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Il personaggio

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Il “giusto movimento”

Criteri storici per stabilire la scelta dei tempi musicali nel Settecento

DI LUCIO GOLINO

Lucio Golino

Lucio Golino è diplomato ai Conservatori di Trento e Bolzano in clarinetto, musica corale, strumentazione per banda e composizione. Trasferitosi a Vienna, frequenta la ‘Universität für Musik und darstellende Kunst’, diplomandosi in Direzione d’orchestra ed in Direzione di coro con il massimo dei voti. Dal 1996 al 2003 dirige il celebre coro dei Wiener Sängerknaben, conducendolo con successo in numerose tournèe internazionali. Ha diretto concerti nella Carnegie-Hall di New York e nelle maggiori città degli USA, in Canada, alla Philharmonie di Berlino, al Gewandhaus di Lipsia, al Musikverein di Vienna e nei maggiori centri culturali europei, in Sudafrica (Cape-Town, Durban, Johannesburg, Pretoria) ed in Giappone. Ha diretto l’Orchestra della Radiotelevisione austriaca al Konzerthaus di Vienna. (PARTE TERZA)

Esaminato da vicino in cosa consistesse il concettobase di tempi naturali, passiamo ora al secondo dei criteri a cui ci si riferiva nel 18° secolo per la ricerca del “giusto movimento” in musica: la “classe” di notazione. Prenderemo quindi in esame le “diciture di tempo”, ossia quelle denominazioni aggiuntive (Allegro, Andante ecc.) che costituivano il terzo dei suddetti criteri (e che noi oggi chiamiamo superficialmente “indicazioni” di tempo; cfr. prima parte dell’articolo). Ricorderemo altri importanti elementi per la scelta del “giusto movimento”, come lo stile compositivo o il luogo d’esecuzione e concluderemo accennando al concetto particolare di “mouvement” ed all’idea di esecuzione musicale “logicamente corretta”.

2) I valori minimi di rilievo - la “classe” di notazione

Oltre che dalla natura del segno che indicava un tempo più “pesante” o più “leggero”, la velocità della battuta era da ricercarsi nel tipo di valori minimi di rilievo all’interno del movimento musicale stesso1 .

C. PH. E. BACH 1759: “Il grado di velocità deriva sia dal contenuto del pezzo musicale in sé, sia soprattutto dai valori delle note e dalle figure più rapide che questo contiene. Facendo attenzione in questo senso, si cercherà di non affrettare eccessivamente il tempo nell’Allegro, così come di non rendere troppo sonnolento l’Adagio.”2

JOH. PHIL. KIRNBERGER/J. A. P. SCHULZ 1776: “In riferimento al genere di note in essi contenute, i tempi di danza, i quali presentano sedicesimi e trentaduesimi, avranno un movimento più lento di quelli, che con lo

1. Escluse le note di abbellimento, i tremoli d’arco, le tirate ecc. 2. C. Ph. E. Bach, Versuch über die wahre Art, das Clavier zu spielen, 1759, 1^ parte, 3. capitolo “Dell’esecuzione”, § 10, pag. 121.

stesso segno di battuta presentino soltanto ottavi o tutt’al più sedicesimi come valore più rapido. Dunque il Tempo giusto in un pezzo di musica sarà determinato dal tipo di battuta e dai valori di note più lunghi e più brevi in esso contenuti. [...] In più c’è da dire, che note dal valore più lungo vanno sempre eseguite con più peso ed espressività che non note più brevi, quindi un pezzo di musica che richieda un’esecuzione pesante ed espressiva presenterà solo valori di note lunghi, mentre un altro, di carattere leggero e giocoso, ne presenterà solo di più brevi.”3

Esattamente così funzionava la definizione di “Tempo giusto” nel periodo barocco e compositori come Bach o Händel necessitavano raramente di ulteriori indicazioni verbali per rendere comprensibile la loro intenzione. Questo sistema mantenne assai a lungo il suo valore, anche quando le diciture di tempo erano divenute ormai onnipresenti:

DANIEL GOTTLOB TÜRK 1789: “Dunque un Allegro contenente trentaduesimi non potrà essere eseguito così rapidamente, come nel caso che i passaggi più rapidi fossero costituiti solamente da ottavi.”4

Ancora nella prima metà del 19° secolo questo principio di “relatività” presenta il suo pieno valore nelle parole di

CARL CZERNY 1839: ”Dunque, se in un pezzo contrassegnato con Allegro si trovano terzine di sedicesimi, allora il movimento dell’Allegro dovrà essere preso con un po’ più di moderazione, al fine di non dover precipitare queste note. Se però i valori più rapidi saranno quartine di sedicesimi, allora si potrà prendere l’Allegro più scorrevolmente, premesso che questi sedicesimi non facciano parte di procedimenti armonici complicati o non contengano passi polifonici, i quali, per risultare comprensibili e praticabili, dovranno essere altrettanto eseguiti in tempo più moderato. Se nell’Allegro però non compaiono valori più rapidi di terzine di ottavi, allora di regola si prenderà un tempo più veloce. Ancora più rapida sarà l’esecuzione d’un pezzo, che contenga solamente semplici ottavi come valore più rapido. Va da sé, che quanto sopra esposto potrà presentare delle eccezioni, qualora il carattere del pezzo lo renda necessario o quando il compositore chieda espressamente il contrario tramite particolari indicazioni da lui stesso formulate per iscritto.”5

3. Kirnberger/Schulz, Die Kunst des reinen Satzes, II, 1776, pag. 107 e 116. 4. Daniel Gottlob Türk, Klavierschule, 1789, cap. 1, §72, pag. 111. Per il musicista moderno si tratta di un dato di fatto quasi ovvio, anche se, a ben pensarci, il nostro sistema d’oggi è in contraddizione con quanto affermato dagli antichi Maestri: nel pensiero musicale di adesso, la velocità d’esecuzione non viene più desunta dal segno di battuta e dai valori più veloci delle note (la “classe” di notazione), ma viene indicata separatamente (indicazione verbale, metronomica o cronometrica).

3) Le denominazioni aggiuntive - “diciture di tempo”

Fino all’epoca in cui predominavano il contrappunto, l’elaborata tecnica delle diminuzioni e le svariate forme di danza, i musicisti non avevano ancora sviluppato quella particolare sensibilità per l’idea di tempo in sé. Coll’evolversi dell’Opera italiana e dello Stile galante però, la struttura armonico-contrappuntistica si semplificò rapidamente, causando sempre più frequenti occasioni di errore riguardo alla scelta della velocità d’esecuzione. Si dovette così precisare sempre più acribicamente il movimento del “Tempo giusto”, già peraltro definito “naturalmente” dal segno di battuta e dal tipo di notazione caratteristica (vedi la parte prima dell’articolo), tramite l’uso di denominazioni aggiuntive.

KIRNBERGER/SCHULZ 1776: “Quando il giovane compositore avrà completamente interiorizzato il ‘Tempo giusto’, allora capirà presto in qual misura le denominazioni aggiuntive Largo, Adagio, Andante, Allegro, Presto, e le loro modificazioni Laghetto, Andantino, Allegretto, Prestissimo, possano aggiungere o togliere velocità o lentezza al movimento naturale della battuta.”6

Contrariamente al nostro uso, nel 18° secolo la sola dicitura di tempo non corrispondeva all’indicazione di tempo. Una combinazione fra segno di battuta +

“classe di notazione” + dicitura di tempo determinava

l’ordine delle accentuazioni, così come pure la velocità, il carattere e lo stile di esecuzione del pezzo, quindi il suo “movimento” inteso in senso più ampio. Ecco perché per le denominazioni aggiuntive settecentesche è più appropriato usare il termine “dicitura di tempo” al posto del più usuale “indicazione di tempo”.

Un problema erano - e sono - gli incerti significati di tali diciture. Che cosa significa infatti “Adagio”, “Andante”

5. Carl Czerny, Vollständige, theoretisch-practische Pianoforte-Schule, op. 500, Milano e Londra 1839, parte 3, cap. 8 “Del tempo giusto per ogni pezzo”, pag. 51, §4; “Dell’ Allegro”. 6. Kirnberger/Schulz, Die Kunst des reinen Satzes, II, pag. 107.

o “Allegro”? S’intende forse con “Andante” un incedere solenne o piuttosto un passo spedito? CALDARA scrive Andante, ma non tanto allegro, VIVALDI Andante molto e quasi Allegro, HÄNDEL, D. SCARLATTI e LEOPOLD MOZART Andante Allegro, Andante Laghetto, GLUCK Andante non presto. J.J. ROUSSEAU nomina l’Andante in corrispondenza del “Gracieusement” e CHRISTIAN FRIEDRICH DANIEL SCHUBART definisce gustosamente: “Andante, un movimento scorrevole della battuta, il quale giunge a baciare la linea di demarcazione con l’Allegro.” 7

LEOPOLD MOZART: “L’Allegretto ha molto in comune con l’Andante.”8

Non molto migliore era la situazione con diciture come “Allegro” e “Adagio”:

JOSEPH RIEPEL 1752: “Intendo dire, che l’Allegro viene eseguito in ogni singolo stato, in ogni singola città, quasi da ciascun singolo musicista ora più veloce, ora più lento. Vorrei tanto poterlo dimostrare, se solo lo potessi, portando l’esempio di due musicisti italiani, di cui il più anziano esegue i suoi ‘Allegro’ quasi il doppio più lentamente che quello di vent’anni più giovane. Lo stesso discorso vale per ‘Andante’, ‘Adagio’ ecc. così che molti non si riescono più ad orientare.”9

CARL PHILIPP EMANUEL BACH 1753, scrive, che a Berlino “gli Adagio vengono eseguiti molto più lentamente e gli Allegro molto più velocemente di quanto non sia usuale da altre parti,” mentre “in altri posti più lontani” è frequente l’errore contrario, cioè “si suona l’Adagio troppo velocemente e l’Allegro troppo lentamente.”10

7. J.J. Rousseau, Dictionnaire, I, 1767, pag. 73. ◊ Chr. Friedr. Daniel Schubart, Ideen zu einer Ästhetik der Tonkunst, 1806, pag. 360. 8. Leopold Mozart, Violinschule, 1756, pag. 48. 9. Riepel, Anfangsgründe…, cap.1, De Rhythmopoeia, ossia dell’ordine della battuta, 1752, pag. 78. 10. C.Ph. E. Bach, Versuch… 1753, parte 1, cap. 3, § 1, pag. 116 e parte 2, cap. 36, § 7, pag. 304. 11. Quantz, Versuch einer Anweisung…, 1752, pag. 286. Nella foto: Un matinée in corrispondenza di Liszt, 1846, da sinistra, musicisti e compositori: Kriehuber, Hector Berlioz, Carl Czerny, Franz Liszt, Heinrich Wil.

QUANTZ 1752 invita ad osservare “se lo strumentista sia in grado di eseguire ogni pezzo nel suo tempo appropriato, oppure invece se suona tutto ciò che ha la dicitura Allegro nella stessa velocità.”11

KIRNBERGER 1773 distingue: “Fra i diversi tipi di Allegro sono presenti notevoli differenze, non solo in considerazione del tempo di battuta, ma anche dell’espressione, dal momento in cui un pezzo può essere eseguito nella medesima velocità ora gioioso, ora sfacciato, ora brillante

o ancora lusinghevole.” Speculazioni simili sono innumerevoli e riguardano fra l’altro quei gradi intermedi di diciture di tempo che si svilupparono intorno alla metà del secolo: Andantino, Allegretto (con le loro sottocategorie Andantino grazioso, Andantino vivace, Andantino con moto, Andantino mosso e Andantino, più tosto Allegretto).12

Un certo dissenso regnava pure (e sussiste tutt’oggi) sul significato della dicitura Laghetto: più lento o più mosso di Adagio? E Allegro assai: più o meno veloce di Allegro molto? A tutto ciò si aggiunga, che anche l’elevatezza dello stile compositivo ed il luogo specifico a cui era destinata una certa composizione, erano elementi che giocavano un ruolo determinante nella scelta del tempo d’ esecuzione.

J.J. QUANTZ 1752: In una composizione da chiesa bisogna osservare “uno stile d’esecuzione ed un tempo di battuta più moderati che non nello stile operistico.”13

KARL AVISON 1772: “Un Allegro per la chiesa non può essere impiegato in modo efficace anche in teatro: altrettanto poco può un Adagio destinato ed appartenente a quest’ultimo genere musicale, essere usato in chiesa. Infatti le composizioni considerate a ragione solenni per il teatro, se eseguite in chiesa, verranno valutate da un orecchio esperto come troppo leggere e mondane. Andante, Presto, Allegro ecc. vengono impiegati diversamente a seconda del differente genere di musica. Le denominazioni, che nello stile operistico o concertante indicano ‘Vivace’ e ‘Leggiadro’, nello stile da chiesa vanno interpretate meno vivacemente e meno leggiadramente. In quest’ultimo genere di composizioni dunque, si dovrebbe senz’altro eseguire l’Allegro sempre più moderatamente di quanto non sia uso in concerti o opere. Da quest’osservazione possiamo notare, che quelle diciture non indicano neppure ciò che in senso stretto vorrebbero far intendere, ma che anzi le si dovrebbe considerare come termini relativi.”14

IN SINTESI: Le diciture di tempo, considerate fino ad oggi come “indicazioni di tempo” nonostante l’imprecisione e le numerose contraddizioni nel loro impiego, non possono da sole servire adeguatamente a definire la velocità della musica, se non le si pone anche in relazione al segno di battuta, alla “classe di notazione” ed allo stile specifico del pezzo (oltre che al luogo di esecuzione, alle dimensioni, alla qualità dell’ensemble e ad altri fattori di natura particolare). L’affermazione, secondo cui una certa dicitura di tempo corrisponda sempre a una stessa velocità d’esecuzione ben precisa (come sembrerebbero affermare le indicazioni stampate sui metronomi), non trova dunque alcun riscontro storico. Ricordiamo infatti che il “tempo giusto” è una categoria complessa che ha a che vedere non soltanto con la “velocità” in sé, ma piuttosto con il “movimento interno” della musica, ossia con lo snodarsi differenziato della melodia, la gerarchia degli accenti, la densità armonica, la gravità o la leggerezza dell’esecuzione, il profilo ritmico, l’equilibrio dinamico e l’articolazione. L’interprete moderno che abbia fin qui ben compreso i criteri-base per la scelta del tempo più adeguato al suo specifico caso, dovrà ora esercitarsi nella calibrata e sapiente distribuzione degli accenti all’interno del “mouvement”.

4) Il “mouvement”

Nella musica del 18° secolo il cosiddetto “mouvement” era per regola un tempo stabile, determinato da un sottinteso carattere di danza.

J. J. QUANTZ 1752: “Comprendere la misura della battuta in modo particolarmente esatto e praticarla con il massimo rigore, è un dovere che riguarda tutti coloro che si dedicano alla professione della musica.”15

MARPURG 1763: “La misura della battuta non dovrà essere resa instabile da alcun tipo di ornamentazione.”16

J.A.P. SCHULZ 1774: “Chiarezza di esecuzione comporta, che si mantenga il tempo della battuta. Nulla risulta più fastidioso all’ascoltatore, che un’andatura irregolare della pulsazione.”17

MATTHESON 1739: “L’armonia si propaga non solo attraverso il suono, ma anche tramite la sua anima, la battuta.”18

Nell’accezione di “mouvement” non si intendeva tanto la “velocità” in sé, ma piuttosto una scansione musicale originata dalla densità delle accentuazioni ordinate

12. Kirnberger, articolo “Allegro” in: Sulzer, Allgemeine Theorie der Schönen Künste, vol. 1, 1773, pag. 112. 13. Quantz, Versuch…, 1752, pag. 266, § 18 14. Karl (Charles) Avison, Versuch über den musikalischen Ausdruck, Leipzig 1772, pag. 89/90. 15. Quantz, Versuch…, 1752, pag. 254, § 31. 16. Marpurg, Anleitung zur Musik…, 1763, parte 1, pag. 7 17. J.A.P. Schulz, in: Sulzer, Allgemeine Theorie, vol 4, 1774, pag. 706 18. Mattheson, Der vollkommene Capellmeister, 1739, pag. 172, § 17.

secondo una gerarchia metrica. Determinavano il “mouvement” anche la struttura ritmica, il profilo dinamico e financo il modo di eseguire sullo strumento. A questo proposito ecco alcune preziose indicazioni:

REICHARDT 1776: “Così l’arcata nell’Adagio è molto differente da quella nell’Allegro, poiché in quello starà più appoggiata alle corde che non nell’Allegro. Nell’Adagio nulla deve permettere di staccare completamente l’arco dalle corde, tranne una pausa. Financo sulle note da separare, contrassegnate da un trattino verticale (|) e sulle note non accentate, l’arco non dovrà sollevarsi completamente, ma dovrà mantenere il contatto con le corde almeno con l’ottava parte dei crini. [...] Nell’Andante l’arco deve avere la medesima leggerezza dell’Allegro senza la stessa incisività e senza la stessa rapidità nelle parti leggere della battuta. [...] Altrettanto nell’Allegretto: qui però l’arco avrà già più vivacità e di tanto in tanto più incisività. Nell’Allegro finalmente sono assolutamente necessarie la nitidezza dell’arco nelle note separate e la rapidità sui tempi non accentati.”19

In particolare la dicitura di tempo aveva un influsso sulla dinamica del pezzo: “Il forte nell’Adagio si differenzia alquanto da quello nell’Allegro. Questo avrà un aspetto particolare, dovuto al più frequente stacco delle note e alla maggiore incisività degli accenti: infatti nell’Adagio non bisogna mai staccare bruscamente nessuna nota. Anche la condotta dell’arco dovrà essere meno rapida nell’Adagio; e qui per rinforzare il suono non si usi altro che il peso dell’arco stesso.”20

J.J. QUANTZ 1752: “L’Allegro, Allegro assai, Allegro di molto, Presto, Vivace esigono soprattutto nell’accompagnamento [...] un tocco veloce e molto leggero ed un colpo d’arco molto corto. [...] Un Allegretto o Allegro non troppo [...] devono essere eseguiti un po’più seriamente, con un’arcata più pesante, ma pur sempre vitale e con una certa forza. [...] Un Arioso, Cantabile, Soave, poco Andante, verrà eseguito in modo disteso e con arco leggero. [...] Un Maestoso, Pomposo, Affettuoso, Adagio spiritoso, pretende serietà ed un’arcata pesante e incisiva. Un pezzo lento e triste contrassegnato da Adagio assai, Pesante, Lento Largo assai, Mesto, richiede la più grande discrezione sonora e l’arcata più lunga, rilassata e pesante.”21

LEOPOLD MOZART 1756: “Prestissimo. [...] Per questo tempo alquanto veloce si richiede un’arcata leggera e corta. Allegro, ma non tanto ossia non troppo, o ancora moderato [...] qui si richiede un’arcata leggera e vivace, così come lo era nel tempo più veloce, ma non più tanto corta e di carattere più serio. Allegretto [...] ha in genere qualcosa di piacevole, di garbato, scherzoso e ha pure molto in comune con l’Andante. Dev’essere dunque eseguito in modo garbato, giocoso e scherzoso. [...] Sostenuto [...], ci si deve servire di arcate compassate, lunghe e tese sulle quali dispiegare una dopo l’altra le note lunghe. Largo [...] viene eseguito con arcate lunghe e molto distesamente.”22

19. Johann Friedrich Reichardt, Über die Pflichten des Ripien-Violinisten, 1776, pag. 25-27. Nella foto: Coperchio di un almanacco musicale per l’anno 1782, da Johann Friedrich Reichardt (1752-1814) un compositore tedesco. 20. Reichardt, Über die Pflichten…, pag. 69. 21. Quantz, Versuch…, 1752, pag. 199 segg. 22. L. Mozart, Violinschule, 1756, pag. 48.

J.A.P. SCHULZ 1774: “In pezzi, che presentino qualcosa di simile ad un’aria e che abbiano un’andatura moderata, si usa aggiungere ‘cantabile’, per indicare che bisogna eseguirli con carattere particolarmente vocale. Tale esecuzione prevede una forza contenuta; le note saranno più levigate che staccate e ci si asterrà da tutte quelle particolari ornamentazioni, che non risultassero appropriate per la voce.”23

TÜRK 1789, nel sesto capitolo della sua Clavierschule - “Dell’esecuzione”: “Se il modo di eseguire un pezzo debba essere più pesante o leggero, lo si deduce 1) dal carattere e dalla destinazione del pezzo stesso, 2) dal movimento indicato, 3) dal segno di battuta, 4) dal genere di notazione, 5) dall’andamento della stessa ecc. [...] Un Presto dev’essere trattato più leggermente che un Allegro; questo a sua volta sarà più leggero che un Andante ecc. Dunque i pezzi più lenti richiedono il tipo di esecuzione più pesante. Anche il tipo di battuta ha il suo notevole influsso sulla pesantezza o sulla leggerezza dell’esecuzione. Più le suddivisioni della battuta o i suoi tempi principali sono grandi, più l’esecuzione dovrà avere peso. Così ad es. un pezzo in 3/2 verrà eseguito con molto più peso che non se fosse scritto in 3/4 o in 3/8. [...] Diversi valori di note richiedono, indipendentemente dal tipo di battuta, un’esecuzione più o meno pesante. Se ad es. in un pezzo sono presenti in prevalenza valori lunghi [...], allora lo si dovrà eseguire generalmente con maggior peso, che non se presentasse un misto di ottavi, sedicesimi ecc. Soprattutto le note puntate richiedono un trattamento di volta in volta differenziato, sia in riferimento alla loro suddivisione, che riguardo al peso o alla leggerezza della loro esecuzione.”24

23. Joh. Abraham Peter Schulz, in: Sulzer, Allgemeine Theorie, vol. 4, 1774, pag. 383 “Singend” (“Cantabile”). 24. Türk, Clavierschule, 1789, pag. 359-61. “I diversi ‘mouvements’ sono il puro spirito della musica, se si è in grado di compenetrarli” (Jean Rousseau 1678)

Il fine ultimo degli sforzi verbali per formulare il tempo musicale non era affatto il creare una velocità di esecuzione misurabile in modo oggettivo (come si farebbe oggi con l’aiuto del metronomo), ma piuttosto il raggiungimento di un’esecuzione musicale “logicamente corretta”.25 La quale, nella sua accezione più ampia, si basava sui parametri: metrica, velocità e caratteristiche particolari, ampliati dai moduli costituiti dalla combinazione segno di battuta + “classe” di notazione + dicitura di tempo. Lo stile della composizione, il luogo a cui era destinata e il tipo particolare di ensemble incidevano su dettagli riguardanti leggerezza o peso del tocco (o dell’arco), trattamento delle note (più o meno puntate) e gradazione della dinamica all’interno della frase musicale. Questo è dunque l’apparato di mezzi così finemente articolato, con cui il compositore del 18° secolo indicava all’esecutore ogni particolare sul “giusto movimento” e sui diversi criteri esecutivi da adottare.

Questo complesso sistema viene descritto in modo insuperabilmente chiaro da JOHANN ABRAHAM PETER SCHULZ 1774: “Per avere sottomano tutte le battute di ogni tipo, sarebbe sufficiente averne una da ‘due’ ed una da ‘quattro’ per le battute pari ed una da ‘tre’ per quelle dispari; la rapidità o la lentezza d’esecuzione con cui il pezzo debba essere eseguito potrebbe essere indicata da una dicitura di tempo sufficientemente chiara e precisa. Null’altro è necessario,

25. Türk, Clavierschule, 1789, pag. 340. Nella foto: Leopold Mozart suona il violino.

si potrebbe pensare, per definire la battuta e la velocità d’un pezzo. [ex negativo una perfetta analisi del nostro odierno sistema!] Ma, a parte il fatto che il movimento musicale possiede infiniti gradi di velocità e lentezza, tanto che è impossibile descriverli con parole o con segni; in quel caso sarebbero necessari tanti segni e parole, quanti ne servirebbero per indicare lo stile di esecuzione del pezzo, cioè: se esso debba essere suonato in modo pesante e robusto, o più leggero e mezzoforte, o ancora leggerissimo e con uguaglianza. Infatti proprio da ciò dipende tutto il carattere del pezzo. Esiste una differenza immensa, se si pensa di eseguire un pezzo sul violino senza curarsi del suo tempo, con tutto il peso del braccio oppure leggermente e in punta d’arco. Qui non si parla di un’esecuzione artificiale, ma piuttosto di un modo di suonare basato sul carattere specifico del pezzo, il quale dev’essere riconosciuto - qualora lo si voglia capire - per evitare che la musica risulti noiosa e monotona. È divenuta abitudine di ogni musicista esperto, abbinare un certo peso alle note lunghe e considerare le note corte come più leggere e meno robuste. Di conseguenza egli eseguirà un pezzo a seconda delle note più lunghe o più corte in esso contenute, in modo più pesante o più leggero. Similmente il musicista esperto avrà sviluppato, con l’esperienza, una certa sensibilità per la durata della naturale lunghezza e brevità dei valori delle note stesse; così il musicista esperto saprà dare un movimento più o meno veloce, ma pur sempre giusto ad un pezzo che non presenti indicazione di velocità del movimento, o che porti la dicitura ‘Tempo giusto’ contenendo esso note più lunghe o più brevi; similmente egli saprà trovare il peso e la leggerezza dell’esecuzione, sapendo bene quanta lentezza o velocità si debba aggiungere o togliere alla lunghezza naturale delle note, qualora il pezzo sia contrassegnato da ‘Adagio’, ‘Andante’, ‘Allegro’ ecc. Da ciò diventano comprensibili i vantaggi derivati dalla suddivisione delle battute pari e dispari in diversi sottogruppi di valori più lunghi e più brevi; poiché così ogni battuta riceve la sua propria velocità, il suo proprio peso d’esecuzione e di conseguenza anche il suo proprio carattere. Qualora un pezzo debba avere un’esecuzione leggera e un tempo lento, il compositore sceglierà una battuta con valori veloci [ad es. 2/4 o 3/8] e si servirà della dicitura ‘Andante’, ‘Largo o ‘Adagio’, poiché la lentezza del pezzo prevarrà sulla velocità naturale della battuta. Per contro; qualora un pezzo debba avere un’esecuzione pesante e contemporaneamente un movimento rapido, allora il compositore si servirà di un segno di battuta pesante [ad es. C, C, o 3/2] e apporrà la dicitura ‘Vivace’, ‘Allegro’ o ‘Presto’. Dopo che il musicista esperto abbia analizzato i generi di note contenuti nel pezzo, sarà in grado di riprodurre un’esecuzione e un movimento dello stesso, che corrispondano esattamente al pensiero del compositore, con una tale esattezza, che non debbano essere necessari ulteriori segni o parole, per quanto precisi questi possano mai essere.”26

Ancora una citazione da SCHULZ per concludere: “Ascoltando un pezzo, indipendentemente se si tratti di un tempo pari o dispari, come potrebbe dunque un musicista esperto dedurre sempre con esattezza, in che battuta questo sia stato composto, se ogni tipo di battuta non avesse in sé qualcosa di particolare?”27 Auguro a tutti i colleghi che si accingono allo studio della musica settecentesca, di poter raggiungere, tramite lo studio di queste - e d’altre - fonti storiche, la consapevolezza storico-stilistica necessaria per la corretta comprensione delle indicazioni fornite dagli antichi compositori e per la realizzazione di esecuzioni musicali “logicamente corrette”.

26. Johann Abraham Peter Schulz, articolo „Tact“, in: Johann Georg Sulzer, Allgemeine Theorie, 1774, vol. 4, pag. 493 seg. 27. Ibidem.

Fonti primarie in ordine cronologico

Jean Rousseau: Traité de la Viole, Paris 1687; Reprint: Genève 1975; Reprint: Hildesheim 1969.

Étienne Loulié: Éléments, ou principes de Musique; Paris 1696, Amsterdam 1698; Reprint: Genf 1971. Saint-Lambert, (non Michel de): Les Principes du Clavecin; Paris 1702; Reprint: Genf 1972.

Michel l’Affilard: Principes très faciles pour bien apprendre la Musique; Paris 1705; Reprint: Genf 1971.

Johann Gottfried Walther: Musicalisches Lexicon; Leipzig 1732; Reprint: Kassel 1963. Johann Mattheson: Das neu eröffnete Orchestre; Hamburg 1713; Reprint: Hildesheim 2002. Grosse General-Bass-Schule; Hamburg 1731. Der vollkommene Capellmeister, Hamburg 1739; Reprint: Kassel 1954.

Friedrich Wilhelm Marpurg: Anleitung zur Singkomposition; Berlin 1758. Die Kunst das Clavier zu spielen; Berlin 1750, 1761; Reprint: Hildesheim 1968. Anleitung zur Musik überhaupt und zur Singkunst besonders; Berlin 1763; Reprint: Kassel 1975. Anleitung zum Clavierspielen, der schönen Ausübung der heutigen Zeit gemäß; Berlin 1755, 1765; Reprint: Hildesheim 1970.

Joseph Riepel: Anfangsgründe zur musicalischen Setzkunst; Regensburg/Leipzig/Wien 1752-76; Reprint: Wien 1996.

Johann Joachim Quantz: Versuch einer Anweisung die Flute traversière zu spielen Berlin/Breslau 1752, 1789; Reprint: Kassel 1964. Carl Philipp Emanuel Bach: Versuch über die wahre Art, das Clavier zu spielen, 2 parti, Berlin 1753+1762; Reprint: Kassel 2003. Johann Friedrich Agricola: Anleitung zur Singkunst. Aus dem Italiänischen des Herrn Peter Franz Tosi […] mit Erläuterungen und Zusätzen von Johann Friedrich Agricola,Berlin 1757; Reprint: Zürich 1966. Leopold Mozart: Versuch einer gründlichen Violinschule; Augsburg 1756; Reprint: Frankfurt am Main 1956.

Jean-Jacques Rousseau: Dictionnaire de Musique; Genève 1765-1781.

Johann Friedrich Reichardt: Über die Pflichten der Ripien-Violinisten; Berlin/Leipzig 1776.

Johann Philipp Kirnberger: Die Kunst des reinen Satzes in der Musik, prima parte Berlin/Königsberg 1771/74/76; seconda parte, con la collaborazione di J.A.P. Schulz, Berlin 1776/79; Reprint: Hildesheim 1968.

Johann Abraham Peter Schulz: Articoli “Tact” (battuta) e “Vortrag” (esecuzione) in: J.G. Sulzer, Allgemeine Theorie der Schönen Künste, vol 4; Leipzig 1774-94; Reprint: Hildesheim 1967-70.

Daniel Gottlob Türk: Clavierschule, oder Anweisung zum Clavierspielen für Lehrer und Lernende; Leipzig/Halle 1789, Wien 1798; Reprint: Kassel 1962. Heinrich Christoph Koch: Versuch einer Anleitung zur Composition; 3 voll., Rudolfstadt 1782, Leipzig 1787, 1793.

Musikalisches Lexikon: Frankfurt 1802; Reprint: Hildesheim 1964, Kassel 2001.

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