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Settimane della moda a confronto

Al fashion month la parola d’ordine è una sola: usciamo e vestiamoci

Più dressing up nelle collezioni, più elasticità nel mescolare formati e modalità di presentazione, più attenzione ai giovani. Il riscatto della fashion week parte con la stagione autunno-inverno e passa per questi tre aspetti con la prospettiva incoraggiante dei budget dei compratori nuovamente in crescita

DI ANDREA BIGOZZI

«Grande è la confusione sotto il cielo: la situazione è eccellente». Questo sono parole di Confucio e sono tornate utili a Mao Tse Tung a proposito della rivoluzione cinese, ma sono altrettanto utili per descrivere il fashion month da poco terminato. Il calendario della moda autunno-inverno 2021/22, infatti, si è rivelato caotico. Una habitué delle passerelle milanesi come Versace ha sfilato, anche se via web, durante la settimana della moda di Parigi. Gucci, Saint Laurent e Bottega Veneta hanno scelto di organizzare i loro fashion show ben oltre la chiusura del fashion month canonico, in base alle esigenze dettate dalla loro supply chain. C’è invece chi, come Ralph Lauren, ha pensato bene di saltare in toto l’appuntamento, senza troppe spiegazioni. Per non parlare della fashion week di New York, che ha cambiato nome al suo calendario: ribattezzato “calendario delle collezioni americane”, comprende tutti i marchi e gli stilisti del Cfda che presentano la propria collezione in qualsiasi momento della stagione, il che significa che ne fanno parte Proenza Schouler, che ha pubblicato i suoi contenuti il 18 febbraio, nel mezzo della London Fashion Week, quanto Michael Kors, che programma per il 20 aprile un evento digitale per celebrare il 40esimo anniversario del brand. Ma ciò che a prima vista potrebbe sembrare confusione e disorientamento è in realtà la fotografia di un’industria che prova a liberarsi dai tradizionali vincoli e a sperimentare nuovi format per la presentazione delle collezioni, per le sfilate e le campagne vendita in showroom. «Non possiamo risolvere tutto, ma è importante essere proattivi e responsabili», ha commentato Miuccia Prada in chiusura di Prada Intersections, il talk virtuale realizzato dalla maison subito dopo la sfilata, diventato uno degli appuntamenti più attesi della settimana della moda di Milano. La stilista non ha dubbi sul futuro: «Gli sforzi fatti fino ad ora per presentare

le fashion week digitali - dice - non devono andare persi quando torneremo alla realtà: sarà interessante fare entrambe le cose». Rispetto a sei mesi fa, infatti, molte cose sono cambiate in termini di capacità dei brand di presentare al meglio le loro collezioni, anche virtualmente. I primi ad accorgersene sono stati i buyer, lo conferma l’analisi di Sybille Darricarrère, women’s buyer di Galeries Lafayette, che parlando con la stampa sul fashion month ha commentato: «Il modo di presentare le collezioni è sempre più efficace e interessante. La scorsa stagione la maggior parte dei brand ha presentato video estremamente concettuali e passerelle molto classiche trasmesse in streaming. A questa tornata di sfilate sono riusciti a mescolare meglio le due cose e, soprattutto, a fornire una migliore leggibilità dei capi». La consapevolezza che è sbagliato vedere fisico e virtuale come due rette parallele è stata raggiunta: il ruolo del digitale non è quello di sostituire l’esperienza fisica e di relazione, ma di aumentarla e arricchirla. «Fare un evento digitale ha i suoi vantaggi», aveva detto Donatella Versace, annunciando che la collezione sarebbe stata presentata fuori dal calendario di passerelle milanesi. Uno di questi è la possibilità di connettersi con il pubblico quando pensi sia il momento più giusto». Filosofia di pensiero seguita da Caroline Rush, ceo del British Fashion Non rinuncio alla mia idea di semplicità e nemmeno al rigore, ma penso che questo momento richieda gentilezza e, forse, anche un tocco di romanticismo. Un elemento, questo, che è appena accennato. Questa è una collezione che rinfranca e rassicura Giorgio Armani Ci siamo resi finalmente conto che non abbiamo bisogno di cose scadenti, ma di pezzi fatti bene che durino. Questa consapevolezza facilita il lavoro di noi stilisti

Gli sforzi per presentare gli show digitali sono un training per la comunicazione direct to comsumer Council: «Il digital first continuerà ancora a lungo». C’è anche chi, pur non disdegnando l’innovazione, rimpiange un po’ il passato. «Trasmettere le emozioni di una sfilata tramite uno schermo è difficile, ma ci sono dei professionisti che sanno fare miracoli. Resta il fatto che per chi fa il nostro lavoro rinunciare al calore dell’applauso finale sia un peccato» è quello ha ripetuto Lorenzo Serafini, apprezzatissimo per la nuova collezione di Philosophy, parlando ai giornali della digitalizzazione della moda. Sulla stessa lunghezza d’onda, tra i buyer, Riccardo Tortato: «Mi auguro che l’Europa e il fashion system inizino presto una nuova era e che questa sia l’ultima stagione interamente digital - è il punto di vista dell’head of buying department di Tsum a Mosca e di Dlt a San Pietroburgo -. Le variazioni sul tema digitale possono essere interessanti, ma per il pubblico dei consumatori, non per noi». Punti di vista diversi, che a Milano e Parigi hanno trovato un equilibrio grazie alla prova di flessibilità data dalle due manifestazioni, abili nel fare lo slalom tra diverse modalità e formati di comunicazione. «Queste ultime settimane della moda sembravano le più normali dell’ultimo anno - ha detto Roopal Patel, fashion detector di Saks Fifth Avenue, riferendosi a quanto visto tra Italia e Francia -. Le sfilate hanno offerto una gamma stellare di colori, tanta creatività, energia e ottimismo, per caratterizzare una ripresa che sicuramente sarà realtà con la stagione dell’autunno 2021». Per la prima volta da marzo 2020, infatti, in tutte le collezioni si è avvertito un desiderio di festa e uno slancio nel tornare a stare insieme. Un mood positivo sottolineato anche dalla scelta delle location utilizzate per gli eventi, non

anonime o artificiali, ma luoghi all’aperto e familiari: dalle vie di Parigi con Chloé e Chanel alle piste da sci con Miu Miu, dai nuraghi della Sardegna con Antonio Marras, al forum di Assago con Missoni e a Etro per le strade di Milano, solo per citare i casi più emblematici. «Le settimane della moda di Milano e Parigi hanno decisamente ravvivato l’atmosfera e ci hanno davvero dato un boost di entusiasmo per tornare nuovamente a vestirci». È il commento di Heather Gramston, head of Browns, che preannuncia anche il ritorno del segno più davanti alla voce budget. E non è l’unica. «È stata una fashion week positiva - conferma Claudia Gazzelloni, responsabile buyer donna di LuisaViaRoma - con tanta voglia di look post lockdown e lo sarà anche sul piano degli investimenti, che per quanto ci riguarda sono in crescita. Prevediamo una grande ripresa. Sono convinta che lo zoomwear abbia fortunatamente le ore contate». «Per il prossimo inverno incrementeremo gli ordini di circa il 30%», anticipa Luigi D’Aniello, titolare delle boutique D’Aniello. C’è anche chi, come Sebla Refig Devidas, buying and merchandising director-Ladies di Beymen, si confessa più cauta sul tema budget, ma conferma la voglia di prendere qualche rischio in più per il prossimo autunno-inverno 21/22. «Certamente investiremo sui marchi che tradizionalmente performano meglio e su collezioni casual e loungewear - osserva la buyer -. Ma destineremo risorse importanti anche alla moda da sfilata e a pezzi importanti. È un segnale per il futuro». Un altro segnale incoraggiante (e abbondantemente imprevisto) è la quantità di nomi nuovi di cui si è parlato durante i giorni di Milano, mentre Parigi è risultata «più sottotono questa stagione», come ha fatto notare ai giornalisti Laura Darmon, head buyer and business development director di Eng Shanghai. Federica Montelli, head of fashion di Rinascente, è tra le prime a riconoscere che questa edizione della fashion week fully digital, pur faticando a ricreare un senso di imperdibilità dell’evento, ha portato una ventata di novità. A farla respirare sono soprattutto i giovani talenti, che si sono mossi con molta agilità dentro ai nuovi formati visivi e comunicativi, forse perché loro digitali lo sono per dna e non solo per necessità. «I giovani designer possono sfruttare al meglio questo calendario ibrido per mettersi in evidenza - prosegue Montelli - e ci sono riusciti al meglio. Penso a Sunnei, sempre più maturi, Marco Rambaldi, creativo come non mai, alla seconda

prova di Nicola Brognano da Blumarine, divertente, sexy e molto focalizzata dal punto di vista commerciale». Sulla stessa lunghezza d’onda Claudia Gazzelloni di LuisaViaRoma. «Questa stagione - dice - ho notato il lavoro di molti giovani talenti: forse questo format digitale sta aiutando perché è vero che l’offerta è vastissima, ma la modalità da remoto ha reso più facile organizzarsi. Il video dell’appartamento occupato di Marco Rambaldi era davvero originale e ben fatto e la colonna sonora divertente e memorabile, come la collezione». Ma oltre alle storie di successo ormai avviate, ce ne sono molte altre che meritano di essere monitorate con attenzione. «Il momento non è facile per emergere, ma il lavoro di stilisti come Alessandro Vigilante e Christian Boaro con Chb va tenuto in considerazione in vista di futuri inserimenti», è il commento di Ercole Cellino, titolare de Il Duomo, che dopo Novara ha aperto anche a Chamonix. «I nomi nuovi a Milano ci sono - aggiunge - non resta che seguirli». Non sono solo i buyer italiani, per spirito patriottico, a sottolineare un buzz crescente a Milano sul fronte dello scouting: Heather Gramston di Browns parlando di Milano Moda Donna non si è limitata ad esaltare il lavoro di stilisti come Prada e Valenti-

no (i più apprezzati tra i brand di Milano, mentre a Parigi si è registrato il dominio di Chloé), ma ha aggiunto: «Nel corso della fashion week abbiamo anche avuto modo di mettere gli occhi su alcuni nomi di nuova generazione: siamo sempre impazienti di vedere cosa Milano ha da offrire in questo campo». «Che bello vedere new talents realizzare progetti che non passano inosservati», le fa eco Tiffany Hsu Fashion, buying director di Mytheresa. «Del Core - prosegue - ha mostrato di avere la stoffa del designer di razza ed è bello vedere che tanti giovani si interessano al mondo della

«Grande è la confusione sotto il cielo: la situazione è eccellente». Questo sono parole di Confucio e sono tornate utili a Mao Tse Tung a proposito della rivoluzione cinese, ma sono altrettanto utili per descrivere il fashion month da poco terminato. Il calendario della moda autunno-inverno 2021/22, infatti, si è rivelato caotico. Una habitué delle passerelle milanesi come Versace ha sfilato, anche se via web, durante la settimana della moda di Parigi. Gucci, Saint Laurent e Bottega Veneta hanno scelto di organizzare i loro fashion show ben oltre la chiusura del fashion month canonico, in base alle esigenze dettate dalla loro supply chain. C’è invece chi, come Ralph Lauren, ha pensato bene di saltare in toto l’appuntamento,

Dopo un anno finalmente gli stilisti riscoprono il desiderio di festa e lo slancio a stare insieme

Council: «Il digital first continuerà ancora a lungo». C’è anche chi, pur non disdegnando l’innovazione, rimpiange un po’ il passato. «Trasmettere le emozioni di una sfilata tramite uno schermo è difficile, ma ci sono dei professionisti che sanno fare miracoli. Resta il fatto che per chi fa il nostro lavoro rinunciare al calore dell’applauso finale sia

un peccato» è quello ha ripetuto Lorenzo Serafini, apprezzatissimo per la nuova collezione di Philosophy, parlando ai giornali della digitalizzazione della moda. Sulla stessa lunghezza d’onda, tra i buyer, Riccardo Tortato: «Mi auguro che l’Europa e il fashion system inizino presto una nuova era e che questa sia l’ultima stagione interamente digital - è il punto di vista dell’head of buying department di Tsum a Mosca e di Dlt a San Pietroburgo -. Le variazioni sul tema digitale possono essere interessanti, ma per il pubblico dei consumatori, non per noi». Punti di vista diversi, che a Milano e Parigi hanno trovato un equilibrio grazie alla prova di flessibilità data dalle due manifestazioni, abili nel fare lo slalom tra diverse modalità e formati di comunicazione. «Queste ultime settimane della moda sembravano le più normali dell’ultimo anno - ha detto Roopal Patel, fashion detector di Saks Fifth Avenue, riferendosi a quanto visto tra Italia e Francia -. Le sfilate hanno offerto una gamma stellare di colori, tanta creatività, energia e ottimismo, per caratterizzare una ripresa che sicuramente sarà realtà con la stagione dell’autunno 2021». Per la prima volta da marzo 2020, infatti, in tutte le collezioni si è avvertito un desiderio di festa e uno slancio nel tornare a stare insieme. Un mood positivo sottolineato anche dalla scelta delle location utilizzate per gli eventi, non

nuovi di emergere, in pochi sembrano sciogliere il dilemma su quale sarà il futuro delle fashion week. Parigi e Milano hanno dato segnali di resilienza, ma resta da capire se marchi come Gucci, Saint Laurent, Bottega Veneta, Jacquemus e ora anche Versace, che si sono impegnati a costruire un loro percorso al di fuori del tracciato del fashion month, decideranno di tornare sui loro passi. Donatella Versace non ha ancora fatto chiarezza sulle scelte future, ma le dichiarazioni spese annunciando che la collezione FW21/22 sarebbe stata presentata fuori dal calendario di passerelle milanesi fanno pensare a una scelta occasionale. «La moda è arte, e proprio per questo - ha sottolineato la stilista - alcune volte deve potersi esprimersi al di fuori di percorsi predefiniti, per fiorire al meglio». Sul fronte Gucci, dopo la crisi delle vendite, in molti hanno iniziato a ipotizzare che la scelta “anarchica” di Alessandro Michele di sfilarsi dalla fashion week possa non essere quella giusta. «L’assenza di grandi nomi come Gucci - ha sottolineato Tiffany Hsu - si è fatta sentire a Milano ed è stato lo stesso con Saint Laurent a Parigi. I grandi gruppi possono permettersi di sfilare quando vogliono, specie in un momento come questo, in cui le regole del settore sono venute meno. Penso tuttavia che sarebbe un peccato se, tornati alle fashion week in presenza, non facessero più parte del calendario. È importante mantenere il focus su queste manifestazioni».

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