Alpennino 2011 n 4

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Notiziario trimestrale delle Sezioni del Club Alpino Italiano di Alessandria, Acqui Terme, Casale Monf., Ovada, San Salvatore Monf., Tortona, Valenza Autorizzazione Trib. di Casale n. 155 del 27.2.1985 - Direttore Responsabile Diego Cartasegna - Direzione e Amministr. Via Rivetta, 17 Casale Monferrato Redazione Stampa Tipografia Barberis snc San Salvatore Monferrato “Spedizione in a. p. art. 2 comma 20/c legge 662/96 - Filiale di Alessandria” Anno XXII - Num. 4 - OTTOBRE 2011 __________________________________________________

NEL REGNO DELLA BRENVA

Era il 22 Settembre 2004, avevo poco più che vent’anni e l’estate era scivolata via velocemente. Stavo facendo ritorno da Cogne verso le nostre più tondeggianti colline e nonostante avessimo concluso l’ascensione della cresta sud-ovest della Torre di Lavina in cuor mio ero triste. Infatti, sarei partito da lì a poco per gli Stati Uniti e dunque, almeno per un pò, lontano dalle amate montagne, dalle piacevoli consuetudini e dagli amici cari. In quel momento l’unica cosa che mi rincuorava era un vecchio libro che avevo ricevuto in prestito, ignoravo persino chi fosse l’autore ma parlava di montagna e tanto bastava. Durante il mio soggiorno in America lessi quel libro tre volte. La copertina è davanti ai miei occhi e ancor di più la sua didascalia, che suonava così: “Nel regno della Brenva, scavalcando il Col Moore”. Io non lo sapevo ancora ma in quel momento avevo già deciso…

CAMINANDO JUNTOS A distanza di cinque anni dalla spedizione in Perù del CAI Casale Monferrato con il CAI Tortona, un gruppo di Casalesi è tornato in quella terra a salire altre montagne, assieme agli amici Valentino Subrero ed Erica Casetta del CAI Acqui Terme e Massimo Bottazzi del CAI di Novi Ligure. Il gruppo dei casalesi era formato da Enrico Bruschi, Giorgio Mazzuccato, Marco Moro ed Emanuela Patrucco, Ginetto Pessina, Gianni Scarrone, cui si è aggiunto, per la salita al Piccolo Alpamayo, il frate Cappuccino Angelo Colla, anch’egli socio del CAI Casale, con il nipote Gino, per continuare la tradizione di celebrare i quinquennali di sacerdozio, questo era il 45°, con una messa in quota. Il viaggio, anche questa volta organizzato con Edgar Roca, ormai un vecchio amico, prevedeva un lungo periodo di acclimatamento sull’altipiano con partenza da Arequipa verso il Colca Canyon, il lago Titicaca, La Paz, per traversare da lì verso sud, fino al confine con il Cile l’intero altipiano Peruviano. Quindi il ritorno a La Paz per salire il Pequeño Alpamayo e l’Huayna Potosì, per finire, tornati ad Arequipa, con la salita del vulcano Chachani.

Il viaggio Gli spazi del Sudamerica sono così immensi che spostarsi implica sempre un viaggio lungo e paziente. Ma il viaggio dà modo di apprezzarne appieno gli altopiani infiniti, le visioni a perdita d’occhio, i colori pastello della terra, svariati, che si riflettono nel blu del cielo. Ti perdi davvero, ad ammirarne l’incommensurabilità, la calma

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Ma perché la Brenva? Perché andare a cacciarsi in uno degli ambienti più severi del Monte Bianco e delle intere Alpi? Beh, in realtà ci ho pensato molto anch’io se intraprendere questa salita. Ma alla fine mi risultava più difficile resistere al desiderio febbrile di andare a metterci il naso, di “provarmi” su quella parete, che correre il rischio. La domanda che si faceva largo nei miei pensieri era piuttosto, perché no? E in effetti, l’8 agosto scorso ero lassù, in località Pre de Pascal, con il mio binocolo intento a osservare bene il tratto d’itinerario che più mi dava da pensare, quello dal Col Moore fino a raggiungere il filo inferiore dello sperone. Sapevo che quella sarebbe stata la parte più complessa della salita, per l’individuazione dell’itinerario al buio e per l’eventuale sopraffazione morale che avremmo potuto subire “dall’ambiente” una volta là. La paura, d’altronde, è una delle tante sensazioni sentite dall’al-

In vetta al Chachani

dei nativi che vi camminano, la cadenza sorniona dei lamas e quella più elegante degli alpaca che compaiono tra le pieghe senza fine del paesaggio. I pensieri in Sudamerica hanno un corso lento e costante, cullati, vanno e vengono come le onde dell’oceano. Ti senti così tranquillo, come se tutto avesse un senso, naturale, atavico, e questo non andasse troppo al di là del semplice dormire, mangiare, vivere al ritmo della Madre Terra Pachamama, gioendo di essere vivi in un giorno così semplice, in cui si possa ammirare il sole che si corica dietro a una montagna che già dorme. Perù e Bolivia sono paesi splendidi come le persone che li popolano. Li unisce il Lago Titicaca, la vastità di un lago che sembra un mare, puntellato di isole che ti danno l’impressione di essere nel Mediterraneo, mentre in realtà ti trovi già a 4000 m e sei contornato dalla Cordillera Real che svetta sullo sfondo. La magia di posti come il Salar de Uyuni, 12000 kmq di sale che riflette montagne e isole di cactus millenari come fosse neve, di posti come la Laguna Colorada, nella cui acqua rossa di ferro e minerali si radunano stormi perenni di fenicotteri rosa, o posti come la Colca di Chivay, dove si slanciano gli enormi condores nelle loro spirali che sfruttano le correnti del canyon. L’aria è molto secca, in Sudamerica, ma vicino al Lago profuma di eucalipti e del sapore che sa di menta dell’erba muña. In altopiano il cuore ha il ritmo profondo dell’aria sottile di alta quota; un silenzio e Segue a pag. 3

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Prima sul ghiacciaio, poi sullo sperone


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NEL REGNO DELLA BRENVA

pinista e che, unitamente alle altre, gli dà ragione di essere. Guai se in montagna non si provasse il senso della paura. Significherebbe essere incoscienti, ma soprattutto non potersi più procurare la gioia sublime di saperla vincere. In fin dei conti l’alternativa c’era. Si sarebbe potuto attaccare lo sperone per la variante Gussfeltd e quindi evitare tutta la parte d’itinerario oggetto di riflessione. La variante è senza dubbio più veloce, diretta e di più facile individuazione. Ma come si fa a fare lo sperone della Brenva senza passare dalla Brenva? Come si fa, dico io, a tagliare la parte più interessante della via, quella che dona ingaggio alla salita. Tagliare per la variante Gussfeltd, evitando la parte inferiore della via Moore, avrebbe significato mettere ancora più in evidenza il “cuore” dello sperone stesso. Fare la variante per me sarebbe stato come assaporare un bicchiere di buon vino senza l’ausilio del gusto o peggio come accarezzare un bel viso senza il dono del tatto. Semplicemente non ci si poteva sottrarre dal fare ciò che andava fatto. Il 17 agosto ci ritroviamo dunque, io e il mio compagno, sul ghiacciaio del Gigante verso il colle della Fourche. Passiamo sotto la Nord della Tour Ronde scalata per la terza volta nel mese di luglio e poco più in là del Grand Capucin, dove solo quattro giorni prima avevo accarezzato le pieghe di Voyage (…ma questa è un’altra storia). Saliamo velocissimi al bivacco e come l’altro anno siamo i primi ad accedervi. Solo dopo poche ore l’ameno bivacco avrebbe dovuto contenere 22 ospiti!

Dalla Fourche vista sulla Brenva

Durante una bella giornata dal balcone del bivacco la visuale che vi si offre è qualcosa d’impagabile. È il versante est del Monte Bianco, l’ottava meraviglia del mondo, l’apoteosi dell’alpinismo. Qua e là le rocce di protogino rosso sembrano affiorare come piccole isole in un grande mare di ghiaccio e neve, sconvolto da un dedalo di crepacci e seracchi. Per l’alpinista alla Fourche, guardare ed essere soggiogati dal fascino del Brenva è una cosa sola, la cosa più meravigliosa e allo stesso tempo opprimente che possa provare. Dopo una merenda frugale, ci rendiamo conto che della folta truppa 18 sono diretti alla Kuffner, 2 alla Blanche e 2 sulla Brenva. Noi. Qualcosa vorrà pur dire questo. Riposarsi, pensare, “ma gelerà?” Minchia sono in mutante e fa un caldo da manicomio! Dormire, svegliarsi, girarsi, ripensare. Suona la sveglia, è mezzanotte e mezza. Abbiamo ancora il the in gola mentre facciamo la prima doppia dalla ringhiera della Fourche, non avrei pensato mi costasse così tanto. In effetti, l’ingaggio c’è, eccome e chi non lo avverte non sa dove sta andan-

do. Fare le doppie e calarsi sul ghiacciaio della Brenva genera una strana sensazione. Ma si ingoia e si procede. La luce della luna rende il tutto ancora più magico. Sul plateau superiore del Glacier de la Brenva corriamo, passiamo di fianco alla “balena” e apparentemente fila via tutto liscio (i buchi? Meglio non pensarci). Attraversiamo il conoide del couloir che scende dal Col della Brenva, pieno zeppo di blocchi di ghiaccio grandi come automobili. Esclusa dunque la Gussfeltd, ci accingiamo a risalire il ripido pendio che da accesso al Col Moore… ancora un passo… Bang! Ci siamo, è fatta, siamo nel regno della Brenva. Da questo momento siamo degli umili sudditi, delle formiche alla corte di sua maestà la regina. Scendiamo di un centinaio di metri, sono circa le 2.00 del mattino, ci attende il lungo traverso verso la Sentinella Rossa. Qui l’ambiente è prepotente. Alle 2.10 i nostri pensieri sono interrotti dal fragore che nessun alpinista vorrebbe sentire con le proprie orecchie. È un boato diabolico, è un colpo al cuore! Un seracco ciclopico sta crollando da 800 o 1.000 metri più in alto… Io e Fede ci guardiamo negli occhi, due secondi, due amici, una corda, un sogno… attimi lunghi come ore e pesanti come piombo. Terrore vero. L’aria… Arriva… no. Tutto tace, noi compresi. In fin dei conti la Brenva ci ha voluto fare un regalo, ha voluto rendere la nostra salita perfetta. Ci ha fatto una domanda... La Brenva - dove Lei può tutto e tu non puoi nulla. Si va avanti. Questa è stata la nostra risposta. Ci troviamo proprio sotto la parte di parete sconvolta dalla grande frana degli anni ’90. Guardo in alto, prospettive diverse, tutto trasformato le dimensioni sono pazzesche, enormi, non ritrovo l’itinerario studiato su Neige - Glace, ma continuiamo. Mi volgo all’indietro cercando conforto nello sguardo del mio amico. Chicco mi dice una frase che rimarrà a lungo nella mia memoria: “Manu, lo sai tu come lo so io, da qui non si torna indietro”. Era vero. Non glielo avrei augurato nemmeno al mio peggior nemico di dover tornare indietro di là. Eravamo ormai sopra la Sentinella, la luna aveva girato ed era sempre più buio. Le parti di misto si andavano attenuando e vedevo la cresta sommitale dello sperone venirci incontro. Arriviamo in cresta, molto aerea all’inizio ma le condizioni sono buone. La cresta diviene poco a poco uno scivolo ampio abbastanza monotono. Saliamo in conserva la prima parte dello scivolo sino a quando inizia ad affiorare un po’ di ghiaccio. Proseguiamo quindi in conserva protetta per cercare comunque di mantenere il ritmo di salita. Nel frattempo inizia ad albeggiare e volgendo lo sguardo verso l’alto scorgiamo il seracco sommitale. È l’ultima parte della salita, ma non è ancora finita. Raggiungiamo il “pollice”, un

Sullo sperone

Uscita diretta sui seracchi

monolite di granito alto una decina di metri. Non ho dubbi, passiamo tra il “pollice” e il seracco e poi pieghiamo a sinistra forzando direttamente il seracco. Evitiamo quindi il lungo traverso verso il Mur de la Cotê che oltre ad intaccare l’estetica della linea di salita comporterebbe il rischio di traversare pendii carichi e con placche a vento, dovute alla recente nevicata. Sul seracco facciamo un tiro di corda, non è difficile ma siamo a circa 4.300 m e guardiamo bene, dove piantare le nostre picche. Alla fine del seracco facciamo ancora un paio di zig-zag e finalmente usciamo poco sotto le Petit Rocher Rouges. La tensione accumulata durante la salita lascia lo spazio alla gioia. Ci commuoviamo entrambi. Da lì, in circa un’ora e mezza aggiuntiva saliamo in coppa al Bianco per facili pendii. Si conclude così, la nostra personale trilogia sui tre versanti est dei Trois Monts dopo il couloir Jager al Tacul e la Kuffner al Maudit. Un ringraziamento doveroso va all’amico e compagno di corda senza il quale non sarei riuscito a realizzare questo piccolo, inutile ma meraviglioso sogno. Il pensiero di entrambi va necessariamente a Francesco Oregioni e compagno, scomparsi l’anno prima davanti a noi, in questi stessi ambienti. Ciao Francesco e Davide. Quel vecchio libro era del 1961 ed era la prima edizione de “Le mie montagne”. Da quel libro ho capito che “scalare non è una battaglia con gli elementi, tantomeno contro la legge di gravità; è una battaglia con se stessi. E come per me… scalare mi riporta alla vita - mi de-omogeneizza - mi allontana dalla sicura prevedibilità del nostro piccolo confortevole mondo artificiale. Quando scalo, sono vero. Quando sono immerso nella mia paura, capisco chi sono veramente. Quando ritorno a valle, sono rinato e il sole è più splendente”. Emanuele Camera, sezione di Ovada


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Le montagne Le lunghe giornate passate sugli altipiani ci hanno regalato immagini indimenticabili; le due settimane di permanenza in quota, intorno ai 4000 hanno preparato il nostro fisico alle salite sognate da mesi; le tante ore di trasferimento su pulmini e fuoristrada hanno accresciuto la nostra voglia di muoverci. La partenza per la Cordillera Real, che tante volte abbiamo visto risplendere sul Titicaca e dominare il vasto altipiano di La Paz, diffonde una felice eccitazione tra tutti noi. Traversiamo per chilometri il caos e lo squallore di El Alto, la periferia di La Paz sull’altipiano, poi finalmente le brutte case si diradano lasciandoci nella brulla vastità di erba gialla. Imbocchiamo un’ampia valle solcata dall’acqua della Cordillera, che consente la vita a migliaia di animali, lama, pecore, mucche, asini. La scomoda sterrata finisce presso un gruppo di case di fango, dove l’ampia conca si fa ripida; lì ci attendono gli “arrieros” con i loro asini mansueti che si lasciano caricare il pesante bagaglio di tende e viveri. Saliamo un comodo sentiero che ci porta a costeggiare un grande lago, a circa 4500 m. Reti lasciate sulla spiaggia ne indicano la pescosità. Poco più in alto raggiungiamo una radura, in parte occupata da due gruppi di tende di altre spedizioni impegnate sulla montagna. Siamo a 4670 m scaldati dal tepore del sole, appena attenuto da una leggera brezza. Sopra di noi, a ovest le colate di ghiaccio che scendono dallo scosceso versante del Codoriri, più lontano, verso nord, si intravede la cima del Pequeño Alpamayo, la nostra meta di domani. Si montano le tende, si preparano i sedili ed il tavolo di pietra nella tenda mensa, mentre Padre Angelo, che ci ha raggiunti a La Paz due giorni fa, prepara l’altare di pietra per la sua messa in quota dei 45 anni di sacerdozio. Messa suggestiva, come tutte le messe celebrate in queste splendide cattedrali della natura, concelebrata con Padre Topio, prete alpinista, missionario di Mato Grosso, che si è unito a noi per questa salita, la cui conoscenza vale il viaggio. Mancano ancora due ore al tramonto; Gianni ed io approfittiamo per salire l’ampio dosso erboso su cui, in alto, pascolano branchi di lama. Raggiunta la sommità, ci sediamo a goderci gli ultimi raggi del sole che sta nascondendosi dietro al Condoriri. In fon-

do alla valle il Pequeño Alpamayo ora svetta elegante. Guardo l’altimetro, segna 4810, la cima del Bianco. Sveglia alle 2, buio intenso, stelle infinite, freddo accettabile e vento assente. Alle 3 come previsto si parte, seguendo Padre Topio che intende portare su questa cima, che conosce bene, Anna e Franco, due giovani sposi della Valcamonica, scarsa esperienza di montagna, ma buon acclimatamento dopo un periodo di volontariato. Alla base del ghiacciaio raggiungiamo un gruppo di inglesi, partiti da un campo appena più alto del nostro. Formiamo cinque cordate, tra i soliti faticosi preparativi: le ghette da tirare, i ramponi che non vogliono chiudersi, l’otto, il prusik. Il primo tratto è vetrato, per fortuna poco ripido. Chiudo la cordata condotta da Cesar, con Gianni e Massimo in mezzo. Gianni non va, le sue soste sono sempre più frequenti, mentre gruppi di lumini ci superano e Massimo è sempre più nervoso, finchè si stacca per unirsi alla cordata di Giorgio e Ginetto. Le prime luci dell’alba ci vedono, ultima cordata, al colletto sotto il Tarija (m 5320) che Gianni, ormai stravolto, scambia per la nostra meta. Raggiunta questa cima ci appare l’affilata lama bianca che termina sulla nostra vetta, punteggiata dalle cordate che salgono lente. Lasciamo Gianni tra le rocce di vetta del Tarija, ormai scaldate dal sole, scendiamo rapidamente la sua cresta rocciosa, traversiamo i dossi nevosi che ci separano dalla lama del Pequenio Alpamayo, al cui attacco raggiungiamo le ultime cordate. Cesar, deciso a recuperare il tempo perduto, chiede se mi va di salire a sinistra, in parete, dove la pendenza è maggiore, ma non avremo cordate davanti. Mi sembra di salire in apnea, raggiungiamo Edgar con Marco e Manu e con loro arriviamo in cima per l’abbraccio con Erica, la nostra bravissima “bambina”, Valentino, Massimo, Giorgio e Ginetto che ci aspettano. Una grande soddisfazione, ancor maggiore quando, ormai pronti per la discesa, vediamo arrivare Topio seguito dagli stanchissimi e felicissimi Franco ed Anna, che stringiamo in un abbraccio. Dopo due giorni di riposo a Penas, ospiti nella parrocchia di Padre Topio, partiamo per la nostra seconda meta, l’Huayna Potosì (m 6088). Il pullman si inerpica sulla sterrata di servizio delle miniere nell’amplissimo vallone ricco di grandi laghi preziosi per dissetare La Paz, sotto l’incombente mole del nostro gigante, la cui vetta sempre più si nasconde tra minacciosi nuvoloni neri. Un popoloso cimitero che fiancheggia la “carretera” ci ricorda le durissime condizioni dei minatori che rischiano ogni giorno la vita per sfamare le famiglie. Arriviamo ai 4.700 metri del rifugio Potosì con il primi pallini di neve ghiacciata. Rimaniamo in silenzio sul pullman a mangiare svogliatamente il pranzo freddo preparato dai portatori, con il dubbio se salire o tornare. Il richiamo della montagna vince: prepariamo gli zaini, ci copriamo con le mantelle e, salutati Ginetto e Gianni, stroncati l’uno da un forte raffreddore, l’altro da una persistente lombalgia, saliamo il faticoso sentiero che ci porta ai 5130 metri del bivacco. Allungati i sacchi piuma sul tavolato riusciamo a scaldarci e asciugare prima della cena.

Altopiano

Lago Titicaca

Deserto di sale Uyuni

Condor

Siesta

Verso campo base Alpamayo

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una tranquillità che non fanno sentire isolati ma al contrario in pace con la terra. I colori accesi e variopinti dei mercati, dei chepì che avvolgono i bambini sulle spalle delle mamme, l’aroma della frutta di Sucre, il gusto abbrustolito dell’arroz e della trucha a la plancha, le stelle di un emisfero che non conosciamo a sorriderci nelle tarde ore della notte in cui iniziavamo a camminare sotto le luci delle frontali. Il nostro Sudamerica è stato un misto di profumi, sensazioni, colori, persone, e di montagne bellissime. E se dovessi riassumere tutto questo in una parola, userei quella di Naty, mamita boliviana compagna di viaggio dentro il Salar de Uyuni, che quando le chiedevo se amava la sua terra mi rispondeva con un sorriso immenso come l’altopiano “M’encanta!”. Erica Casetta CAI Acqui Terme


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Fuori non nevica più e tratti di azzurro sempre più ampi squarciano le nuvole. Ci corichiamo fiduciosi, ma presto il bivacco è scosso da violente raffiche di vento che affievoliscono la speranza. Nonostante il vento a mezzanotte comincia il via vai di alpinisti che si preparano per la salita. Rimaniamo volentieri nei sacchi fino alle 2, orario previsto per la sveglia. Alle 3, quando partiamo, il vento è calato e l’umore torna ottimo. Presto incrociamo le prime cordate che scendono, stravolte dal freddo, troviamo altri seduti sulla neve che non sembrano in grado di proseguire. Le frontali sopra di noi indicano che il pendio si impenna per salire sulla lunga cresta sud-est. E’ l’unico tratto ripido della salita, breve ma, considerata la quota superiore ai 5500 m, sufficiente a mettere a dura prova polmoni e polpacci. Usciti sull’ampia cresta troviamo alcune cordate ferme a riprendere fiato, Cesar saluta e prosegue trascinandosi dietro Massimo e me, che stoicamente stringiamo i denti, favoriti dal pendio più dolce. Lontano, sotto di noi, si estende immensa la distesa di luci di La Paz. Superiamo un seracco che, alla luce delle frontali, sembra enorme. Alle prime luci dell’alba stiamo attraversando una suggestiva zona di “penitentes” che ci porta all’affilata cresta nord, battuta da un forte vento, ma ormai vicinissima alla vetta, su cui ci precedono solo 2 delle cordate partite prima. Il sole, che comincia a sorgere alle nostre spalle, proietta l’ombra della montagna sul Titicaca, ma il freddo e la grande stanchezza non ci consentono di apprezzare in pieno lo straordinario spettacolo. Scendiamo a cercare riparo incrociando, non lontano dalla vetta, le cordate dei nostri compagni, che aspetteremo, scaldati dal sole, per condividere la soddisfazione di questo 6000. La vacanza è ormai agli sgoccioli ma, tornati nella zona di Arequipa vogliamo ancora salire il Chachani, il bel vulcano che, all’inizio del nostro viaggio, assieme al Misti ci ha accolti brillando nell’aria tersa sopra questa bella città Peruviana. Saliamo dal versate nord, opposto a quello di Arequipa, dove incontreremo la neve solo sul nevaio sommitale, seguendo un sentiero che ne fa il 6.000 più facile al mondo. Sicuramente molto impegnativa è invece la salita con il fuoristrada che ci porta a 4900 m. Da qui saliamo brevemente a valicare un colle, da cui parte il lungo traverso sul versante nord della montagna che ci porta ai 5150 m. del campo base, una spianata di sabbia lavica sopra cui si inerpica il pendio solcato dalle svolte del faticoso sentiero che tra poche ore ci porterà a salire l’ultima cima di questo viaggio. Non ci sono altre spedizioni ed è affascinante trovarci soli tra i grandi spazi di queste belle montagne. Partenza abbastanza comoda,

Crateri Chachani

alle 4, saliamo compatti in fila indiana, leggeri, senza picca, ramponi e ferraglia, e senza l’impiccio della corda. Per le prime due ore, fino alle prime luci, tutti teniamo un buon passo, poi la quota si fa sentire e qualcuno rallenta, le soste si fanno più frequenti. Fa particolarmente fatica Gianni, Cesar gli propone di scendere, ma lui non vuole perdere quest’ultima occasione per raggiungere una vetta, il suo primo 6000, e procede lento, spinto dalla forza di volontà. Finalmente raggiungiamo la calotta nevosa dove il pendio si abbatte, e raggiungiamo la vetta tra gli incitamenti da stadio degli amici che ci aspettano per la foto di vetta, finalmente tutti insieme. Enrico Bruschi CAI Casale Monferrato

Pequeño Alpamayo

Padre Topio Per chi come me non è credente pare strano realizzare che uno dei momenti più intensi e significativi di tutto il nostro meraviglioso viaggio in Sudamerica sia stata proprio la permanenza presso la comunità di Padre Topio. Topio è un uomo speciale, ed è questo che più m’interessa. E’ un alpinista fortissimo che al campo base del Pequeño Alpamayo ha lavorato più di chiunque altro montando tende, spostando pietre, organizzando il campo. E’ un uomo gentile, dolce, che ha lasciato la vita europea piena di agi e di confort materiali ed affettivi per accettare di dire messa da solo per cinque mesi, prima di vincere con la sincerità e il lavoro la diffidenza della gente di altopiano. La comunità di Peñas sta pian piano riacquistando vita grazie alla sua caparbia e purissima convinzione, e grazie all’aiuto di una famiglia aymara che ha creduto in lui e ha deciso di vivere il progetto che dalle sue mani sta nascendo. Tra le iniziative più importanti di Topio l’idea di accogliere gruppi estivi di giovani volontari dall’Italia per avvicinarli alla realtà boliviana attraverso l’esperienza della montagna. E’ stato bello il vagabondare con Topio in jeep tra le pieghe di una Bolivia non turistica, tra i fiordi del lago Titicaca dove i pescatori stendono le reti e le donne raccolgono totòra per le bestie, tra villaggi di poveri campesinos che hanno saputo accoglierci con tutta la ricchezza di un’umanità spensierata e sincera. Il ricordo delle due giornate trascorse a Peñas con Topio e tutta la sua atipica e amorevole famiglia ha lasciato un segno profondo nel nostro gruppo, facendo spontaneamente maturare in ciascuno di noi la convinzione di dover aiutare un uomo, prima che un prete, che tanto sta operando per la crescita e il benessere materiale e spirituale di un’intera comunità. Erica Casetta

Penas, Padre Tobio

Valle Condoriri

Huayna Potosi In vetta al Huayna

Verso Chachani

Bimba peruviana


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ANELLO DI BISTAGNO

Itinerario circolare piuttosto lungo, ben segnalato, che offre numerose vedute panoramiche. Da Acqui Terme si percorre la ex strada statale 30 della Val Bormida fino a giungere a Bistagno: superato il passaggio a livello si arriva alla piazza del paese, ove si parcheggia l’auto. Da piazza Monteverde il percorso prende a destra Via Martiri della Libertà, prosegue diritto sulla strada comunale per Montabone, superando il centro sportivo e l’antica ed incantevole Pieve nei pressi del cimitero. L’itinerario si snoda sulla strada asfaltata tra vigneti e coltivi per circa tre chilometri, tiene la sinistra al bivio in località Nausano, e arriva in breve alla Cascina Pia, dove lascia l’asfalto e svolta a destra, risalendo il versante boscato. Il sentiero si snoda in un bosco di latifoglie, caratterizzato da querce eorniello (Fraxinus ornus), e man mano che risale il versante offre vedute panoramiche sempre più ampie; con un secco tornante il percorso piega a sud, proseguendo a mezzacosta e oltrepassando il Bricco della Corbellina. Il percorso svolta a sinistra e scende di quota in un bosco di castagno (Castanea sativa) per poi portarsi sul versante ovest della valle del rio Morra, tra bellissimi esemplari di rovere (Quercus petraea) e roverella (Quercus pubescens); superata la Cascina Grassi giunge sull’asfalto e, oltrepassato il ponticello sul rio Morra, svolta a destra, proseguendo sulla strada campestre che costeggia il corso d’acqua L’itinerario procede in costante, graduale salita seguendo il rio fino a guadarlo in corrispondenza di un prato, risalendo sul versante opposto con una ripida rampa nel bosco e sbucando in un ordinato noccioleto, da dove si gode di una bella visuale verso la chiesa di Sant’Ambrogio e la piccola frazione di Roncogennaro. Dopo aver attraversato una zona prativa il tracciato svolta a sinistra e poi a destra, immettendosi sull’ampia strada inghiaiata che risale il versante tra i vigneti e in costante salita giunge alla località La Croce, da dove si gode di un bellissimo panorama su tutta la valle del rio Morra. Il percorso svolta a destra, seguendo la strada provinciale per alcune centinaia di metri e, all’altezza dell’indicazione di località di Roncogennaro svolta a

sinistra su strada campestre, proseguendo tra i vigneti fino a raggiungere il punto panoramico del Bricco della Croce (m 486), ove è situato un grosso pannello ripetitore e dal quale la vista può spaziare a 360° arrivando, nelle giornate limpide, all’arco alpino. Il percorso scende verso il fondovalle percorrendo una ripida strada di servizio tra i vigneti sino ad arrivare al limite del bosco e con una secca svolta a sinistra si immerge in un querceto; la discesa prosegue con continui tornanti, attraversa un vigneto abbandonato ed arriva nei pressi della cascina Bigio. Giunto sul fondovalle l’itinerario continua su una comoda e ampia strada inghiaiata che fiancheggia il corso del rio S. Paolo ed infine ritrova la strada asfaltata che porta alle prime case di Bistagno; il percorso segue via Carrà, supera la provinciale e poi attraversa il bel centro storico, transitando in via Saracco e

giungendo in Piazza Monteverde, da dove era partito. Necessario portare viveri e acqua poichè, fuori Bistagno, non esiste nessuna possibilità di ristoro. Difficoltà: E Tempo: ore 4:30

Testo e mappa tratti da Provincia di Alessandria: www.provincia.alessandria.it/sentieri/index.php? whattodo=sentieri&file=singola&id=135 dove potete scaricare, oltre la descrizione a la mappa, anche il profilo altimetrico, il file di Google Earth e la traccia Gps.


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VAL VENOSTA

Parco Nazionale dello Stelvio e Parco Naturale di Tessa Sono ormai più di 10 anni che il CAI di Valenza organizza gite di più giorni sulle Dolomiti e, avendo io partecipato alla maggior parte di queste gite, devo dire che in ognuna di esse ho sempre riscontrato motivi di interesse, così anche quest’anno gli organizzatori hanno saputo introdurre piacevoli ed interessanti novità, ad iniziare dalla località scelta per trascorrere i 6 giorni di vacanza che è stata la Val Venosta e, precisamente, il Parco Nazionale dello Stelvio con il suo paesaggio sicuramente molto diverso da quello fino ad ora incontrato nelle precedenti gite sulle Dolomiti ma, non per questo, meno bello ed interessante. Dopo un tranquillo viaggio in auto raggiungiamo il bel paesino di Malles, posto a 15 chilometri dal confine austriaco sulla strada che da Merano conduce al Passo di Resia e base per le nostre escursioni; dopo il pranzo ci concediamo una rilassante passeggiata di circa 3 ore per raggiungere il lago di Resia dalle acque del quale affiora il campanile della chiesa del vecchio paese ora interamente sommerso. Il giorno seguente, sabato 2 luglio, partiamo per la prima escursione in programma: l’anello sotto Ortles - Cevedale e Zebrù. Dal paese di Solda (1850 m) prendiamo la funivia fino alla stazione intermedia (2172 m) e di qui imbocchiamo il sentiero che, in circa un’ora e trenta, ci porta ad rifugio Coston (2661 m) posto sotto il Gran Zebrù e punto più alto della nostra escursione. Lasciamo il rifugio Coston, dopo circa un’ora di cammino ci troviamo sotto l’Ortles e proseguendo lungo il sentiero arriviamo al rifugio K2 dove sostiamo per il pranzo. Dopo la più che meritata sosta scendiamo verso Solda e, passando sotto al rifugio Tabaretta (2558 m), raggiungiamo le nostre auto. L’escursione di domenica 3 luglio è dedicata alla salita al rifugio Pio XI lungo il sentiero didattico sul ghiacciaio Vallelunga: dal parcheggio di Melago una stradina pianeggiante ci porta alla Malga Melago (1970 m) e di qui iniziamo a percorrere il sentiero dove, grazie ai numerosi cartelli informativi presenti su tutto il percorso, apprendiamo con stupore (e anche con un po’ di sgomento) che nel 1830 il ghiacciaio arrivava fino al punto in cui ci troviamo. Continuando lungo la faticosa morena giungiamo ai piedi della Vedretta di Vallelunga

dove si apre uno stupendo panorama verso le seraccate del ghiacciaio del Gepatschferner, la cima di Vallelunga e gli irti pendii della Palla Bianca e del Barba d’Orso. Dopo ancora circa un’ora di cammino raggiungiamo finalmente il rifugio Pio XI (2542 m). Dopo la pausa pranzo scendiamo verso la Malga Melago lungo un sentiero decisamente meno faticoso di quello dell’andata. Lunedì 4 luglio eccoci, finalmente, alla grande novità di questa 6 giorni: l’escursione in bicicletta da Malles a Merano (60 Km). Di buon mattino ci ritroviamo alla stazione di Malles dove i “ciclisti” noleggiano le bici ed i “turisti” si imbarcano sul trenino per raggiungere tutti quanti Merano. Una volta partiti dalla stazioncina di Malles in sella ai nostri mezzi meccanici, iniziamo a percorrere uno stupendo territorio tra meleti, castelli, masi, antichi monasteri, campanili aguzzi, sotto lo sguardo dell’Ortles e del Cevedale. Dopo parecchie soste che ci permettono di riposare e di fotografare i suggestivi paesini che si susseguono lungo la pista ciclabile (considerata la più bella d’Europa) arriviamo al Km 40 e precisamente nel paese di Naturno ed è qui che Giovanni decide che è ora di fare sul serio e di dare un ritmo più agonistico alla pedalata; salutato, quindi, il resto della compagnia, organizza una fuga di 5 concorrenti di 20 Km verso Merano. Arrivati a Merano concludiamo la gita con un giro orientativo per la città, dopodiché ci dirigiamo alla stazione per riconsegnare le bici e per ritrovarci con il gruppo dei “turisti” i quali hanno, nel frattempo, avuto modo, alcuni, di visitare i giardini botanici di Castel Trauttmansdrf, altri di visitare il castello principesco, altri ancora di salire al monte Benedettino con la seggiovia. Il giorno successivo, martedì 5 luglio, il programma prevede l’escursione dal rifugio Forcola al Passo dello Stelvio. In auto raggiungiamo Trafoi (paese natale del noto

campione di sci Gustavo Thoeni), in seggiovia saliamo al rifugio Forcola (2153 m) e di qui, lungo uno stupendo e panoramico sentiero con vista su tutto il gruppo dell’Ortles, passando a fianco del lago d’Oro, raggiungiamo, dopo circa 4 ore di cammino, il rifugio Garibaldi posto sulla omonima punta che sovrasta il Passo dello Stelvio. Dopo l’indispensabile foto di gruppo con tanto di tricolore per festeggiare il 150° dell’unità d’Italia, ci concediamo un piatto a base di polenta taragna, uova e speck. Mercoledì 6 luglio è il giorno della partenza: con un pò di malinconia ci salutiamo con la promessa, però, di rivederci tutti, forse ancora più numerosi (i partecipanti sono stati 67) il prossimo anno su queste bellissime montagne. Un sincero grazie e tantissimi complimenti agli organizzatori della gita: Giovanni e Stefano Sisto. A. Piacentini - CAI Valenza


7 Il “Giro dei Campassi” in Val Borbera

UN BELLISSIMO SENTIERO

Ho percorso il bellissimo sentiero ad anello “Giro dei Campassi” in Val Borbera, segna-

to a cura del CAI di Novi Ligure con i segnavia 242 e 245, alle pendici settentrionali del

Monte Antola, con partenza da Vegni (m 1060). Tempo di percorrenza ore 5,30, difficoltà E, dislivello in salita 750 m. E’ un percorso molto bello e affascinante, soprattutto quando si attraversano i borghi abbandonati di Casone, Ferrazza e Reneuzzi. Periodo consigliato marzo-settembre. Invito tutti i soci CAI e non solo a percorrerlo. Oltre al sito del CAI Novese, voglio segnalarne anche un altro che lo descrive benissimo: www.sentieridautore.it/sentieridautore.it/06.Valle_dei_Campassi.html Giovanni Sanguineti, sezione di Ovada

Una settimana con la Sezione di Acqui Terme

ESCURSIONI IN VAL RENDENA Sotto l’attenta organizzazione di Guido Rizzola, venticinque soci della Sezione di Acqui hanno trascorso la classica settimana di inizio agosto a Madonna di Campiglio, suggestiva località della Val Rendena. La località sorge lungo le sponde del Sarca di Campiglio, sormontata a ovest dal gruppo Adamello-Presanella e dalle Dolomiti di Brenta a est. Madonna di Campiglio sorge nel Parco Adamello-Brenta, che dal 2008 è diventato Geoparco, appartenente alla Rete Globale dei Geoparchi (GGN) istituita dall’UNESCO. Un geoparco è costituito da un’area dai confini definiti e caratterizzata da un patrimonio geomorfologico significativo e speciale per rarità, interesse scientifico, richiamo estetico e valore educativo. L’unicità del territorio del Parco Adamello Brenta è costituita dalla coesistenza di tonalite e altre rocce (calcari, dolomia, granodiorite, porfidi e scisti…) che determinano la marcata diversità geomorfologica e geologica dei gruppi montuosi che dominano il Parco: l’Adamello e la Presanella dalle caratteristiche alpine e caratterizzate da fenomeni glaciali, mentre il gruppo del Brenta è profondamente modellato dal fenomeno del carsismo, appare infatti come un grandioso castello, o cattedrale, dominato da torrioni e guglie mozzafiato. Per definire le nostre mete c’era solo l’imbarazzo della scelta! Il tempo ha rappresentato un limite al nostro desiderio di conoscere il territorio: il sole ci ha accompagnati per

metà settimana e in un luogo così ricco di attrattive escursionistiche non basta un pugno di giorni per vedere tutto… Il Giro dell’Imperatrice ci ha portati attraverso un bosco di larici al panoramico monte Spinale, dalla cui sommità abbiamo ammirato le vette circostanti. Lungo la salita non è mancata la sosta alla pietra levigata sulla quale, secondo la credenza del luogo, sedette la Principessa Sissi durante la sua visita. Il giorno seguente abbiamo percorso il Giro dei Cinque Laghi, un sentiero che permette di raggiungere incantevoli laghetti alpini, incastonati nelle valli alle pendici del monte Nambrone e Cima Serodoli. Per l’escursione nel Brenta siamo partiti da Vallesinella e, superato il rifugio Tuckett, abbiamo percorso il sentiero SOSAT per raggiungere il rif. Brentei: la facile ferrata si addentra tra guglie e altipiani lunari, e attraversa una gola mozzafiato, lungo le pendici della cima Mandron. Dal Brentei abbiamo fatto ritorno a Vallesinella attraverso il sentiero Bogani e la sella del Fredolin, un percorso a mezzacosta che offre spettacolari scorci sulla valle e la cima imponente del Crozzon e delle altre vette del Brenta. Lungo il sentiero Vidi, un cospicuo gruppo ha raggiunto la vetta del Pietra Grande (2936 m) dal passo Grostè al rifugio Graffer. Il percorso in cresta offre una vista spettacolare che spazia ai gruppi circostanti, Adamello, Presanella e cime del Brenta, fino all’Ortler e al Cevedale.

Meta gradita a tutti è stata l’escursione in Val Genova, nel cuore del Parco. Dopo esserci soffermati ad ammirare l’imponente cascata Nardis, abbiamo percorso il sentiero che conduce al rifugio Città di Trento al Mandron, suggestivo pulpito con vista sull’Adamello e la Presanella, se le nubi non avessero aperto il sipario soltanto per pochi attimi sui ghiacciai circostanti. Abbiamo visitato il Centro Glaciologico J.Payer, posto poco sotto al rifugio, e, con il silenzio che si addice al luogo, ci siamo recati presso il piccolo cimitero, che accoglie i resti di alcuni caduti della Grande Guerra. Non dobbiamo dimenticare che tra le montagne molti italiani hanno lottato per la patria, trovando morte e sofferenza: a loro dobbiamo riconoscenza e rispetto, soprattutto quando ci rechiamo per divertimento e passione in questi luoghi. La settimana si è conclusa con un’escursione al rifugio Cevedale in Val Venezia, al cospetto della Vedretta de la Mare, delle Cime del Cevedale, Zufall, Palon de la Mare e Viòz: anche stavolta la pioggia ci ha messo lo “zampino”… L’esperienza in Val Rendena è stata estremamente interessante e piacevole, siamo rimasti tutti soddisfatti dalla bellezza dei luoghi, dalla varietà del paesaggio: considerando la molteplicità di escursioni e ferrate che non siamo riusciti a fare durante nostra breve permanenza, è rimasto in noi il desiderio di tornare a Madonna di Campiglio… CAI Acqui Terme


8 Quando Roberto propose il trekking nel gruppo del Lagorai-Cima d’Asta la prima cosa che chiesi fu la data. ”Dal 1° al 3 luglio” fu la risposta e così pensai che con il mio lavoro difficilmente sarei riuscito ad assentarmi in piena stagione per ben tre giorni consecutivi. Peccato: era da un po’ che pensavo ad una puntata in Valsugana e l’occasione era ghiotta. Ciò nonostante cominciai a documentarmi sulle escursioni della zona pensando di andarci per conto mio a settembre. Però, quando trovai la descrizione dell’Alta Via del Granito, ne rimasi talmente colpito che feci una proposta a mia moglie: io ci vado (do le istruzioni in cantiere, con il cellulare sono sempre rintracciabile, al massimo mi chiami sul fisso dei rifugi, poi sono solo due giorni perché il 3 è domenica, …) vedo com’è e ci torniamo insieme in autunno, magari facendo il giro al contrario … Fu così che venerdì 1° luglio alle 9,30 in punto ero a Malga Sorgazza con i 15 amici che avrebbero condiviso con me lo spettacolo che stava per iniziare. L’ALTA VIA DEL GRANITO 1-3 luglio 2011 Prima considerazione: il percorso è segnato in modo impeccabile con frequentissimi segni biancorossi sulle rocce e cartelli in legno ad ogni incrocio di sentieri cosicchè non occorre tenere la cartina costantemente a portata di mano (ottima quella al 25.000 della SAT, con sul retro la sommaria descrizione dei sentieri con dislivelli e tempi di percorrenza parziali e totali). Seconda considerazione proprio a proposito dei tempi di percorrenza: per rispettare quelli indicati sulla segnaletica non ci si può permettere di scattare più di poche foto al giorno e di fermarsi ad ammirare il panorama. Invece i luoghi veramente incantevoli meritano molta più attenzione se si desidera portare a casa un ricordo fotografico e siccome i sentieri non sono mai banali, per il panorama conviene fermarsi e non limitarsi ad una occhiata furtiva tra un passo e l’altro. Dall’ampio parcheggio, pressoché deserto, di Malga Sorgazza (m 1430) costeggiamo il laghetto dell’Enel e per una comoda strada che sale nel bellissimo bosco ricco di ruscelli arriviamo alla partenza della teleferica di servizio del rifugio Brentari. Lasciamo a sinistra il sentiero che sale alla Forcella Magna, per la quale transiteremo domani, e proseguiamo per il sentiero 327 che sale, consentendo di guadagnare rapidamente quota, verso la testata della val Malene. Giunti ai ruderi della Capanna dei Pastori (m 2131) ci concediamo una breve sosta e riprendiamo

la salita lungo i Lastei di Cima D’Asta, una serie di ripide placche rocciose attraversate dall’emissario del sovrastante lago dando origine ad una serie di fragorose piccole cascatelle. Al termine dei Lastei la pendenza diminuisce ed in breve giungiamo al Lago di Cima d’Asta nel quale la sovrastante, imponente parete della Cima d’Asta si specchia con il risultato di far sembrare la strapiombante parete ancora più alta. Pochi minuti e raggiungiamo il rifugio Ottone Brentari della SAT (m 2480). Prendiamo possesso dei posti letto assegnatici, mangiamo qualcosa e, dopo aver alleggerito lo zaino, iniziamo la salita verso la cima d’Asta con l’intenzione di salire alla Bocchetta del Canalon e raggiungere la vetta per la cresta Ovest. Il toponimo di Canalon non è mai stato così adatto per indicare un ripido canale pietroso sul quale, come succede spesso in montagna, sembra impossibile salire. Viceversa, pur se faticosa, la salita è veloce ed in una quarantina di minuti raggiungiamo la sella il cui versante opposto, è completamente innevato. La salita per la cresta ovest offre, andandoli a cercare, alcuni brevi passaggini di facile e divertente arrampicata. Il gruppo si allunga e siccome tira un fastidioso vento di tramontana che trasporta una bassa nuvolaglia che limita la visuale verso nord, raggiunta la vetta (m 2847), divisi in due gruppi, iniziamo quasi immediatamente la discesa lungo la via normale che attraversa le il versante est e presenta diversi tratti innevati. Risaliti alla Forzeleta (il sentiero è attrezzato con diversi tratti di fune di sicurezza) ci riportiamo sul versante meridionale che è completamente sgombro di nubi ed offre una impressionante vista della parete sud percorsa da numerose vie di arrampicata, quasi tutte di elevata difficoltà. La vista del rifugio, laggiù oltre il lago scintillante per il sole che vi si specchia, invita ad allungare il passo anche se la cena è prevista per le 19,30: in fondo, dopo una sveglia antelucana, oltre 400 km di viaggio, 1500 metri di salita, 500 di discesa e 9 ore di scarponi nei piedi non vediamo l’ora di sederci a tavola per l’ottima cena che ci aspetta e di godere del meritato riposo. Dopo aver assistito ad uno splendido tramonto tutti a nanna. Nonostante i cigolii delle brandine il sonno non si fa attendere e ci svegliamo pronti ad affrontare la seconda tappa di questo trekking che si sta rivelando ancora migliore di quanto ci si potesse aspettare. Fuori deve fare parecchio freddo: manca l’acqua del bagno al piano perché il tubo è ghiacciato. Coda nell’unico bagno funzionante, colazione

e alle 7,30 si parte. Oggi la comitiva si dividerà per raggiungere la Forcella Magna per due diversi itinerari. Raggiunto il Passo Socede (m 2516) un gruppo prende il sentiero 380 bis che scende nel Vallone Occidentale facendo molta attenzione sui residui nevai ancora ghiacciati a quell’ora del mattino, aggirando guglie e attraversando canaloni sino ad incontrare il sentiero 380 (m 2000) per risalire alla Forcella Magna (m 2117). L’altro gruppo sale al Col Verde e percorre con vari saliscendi la Cresta di Socede che presenta diversi tratti attrezzati con scalette, gradini e funi metalliche: il Sentiero Gabrielli. Il percorso è molto spettacolare sia per il grandioso panorama su Lagorai, Cauriol, Brenta e più lontano le vette più alte delle Dolomiti, sia per le formazioni rocciose che attraversiamo. In particolare siamo colpiti da uno splendido spigolo di granito rosso e dall’attiguo diedro perfettamente verticale: chissà se sono percorsi da qualche itinerario di arrampicata, a casa verificheremo sulla guida. Ricongiunto il gruppo a Forcella Magna, sono ormai le 11, proseguiamo con un percorso in traversata con diversi saliscendi sul versante orientale delle Cime Lasteati e Cengello, disseminato di strade militari lastricate, trincee, ricoveri in pietra, grotte, resti di reticolati spinati, piccoli rifugi (Lasteati, Cecchin) a ricordarci che queste montagne sono state scenario di cruenti combattimenti durante la prima guerra mondiale. Il nome stesso della forcella che raggiungiamo dopo quasi due ore di cammino, Forcella Buse Todesche (m 2309), indica che le opere di difesa presenti in zona erano state costruite dagli austriaci e successivamente conquistate dagli italiani. Dopo la sosta per il pranzo iniziamo la discesa verso il rifugio Caldenave per il sentiero 360 che tocca il Baito Scagni circondato da numerosi minuscoli laghetti incastonati in magri pascoli e successivamente scende ai Laghi della Val d’Inferno che, considerata la bellezza del luogo, non si capisce perché abbiano quel nome. Sono passate da poco le 16 quando arriviamo alla malga Caldenave rifugio Claudio e Renzo (m 1792) ristrutturata di recente con geniali soluzioni costruttive e di arredo. I coniugi che gestiscono il rifugio, Enrica in cucina ed Elio che ci istruisce sull’uso del rifugio (impariamo persino che gli origami si possono fare anche con la carta igienica usata…) e cura le PR fanno di tutto per renderci il soggiorno il più piacevole possibile e ci riescono tanto bene che, dopo poco più di un mese, alcuni di noi torneranno per completare l’otto immaginario che formano la “Alta Via del Granito” ed il “Lago-

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CIMA D’ASTA - LAGORAI: CHE SPETTACOLO!


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CIMA D’ASTA - LAGORAI rai Panorama”. Gli anelli dei due trekking infatti hanno in comune il tratto Buse Todesche-Forcella Magna. Il rifugio sorge su un poggio che domina un bucolico pianoro erboso attraversato da un ruscello e circondato dalla pineta: seduti davanti al rifugio aspettiamo l’ora di cena ammirando le cime del Lagorai che abbiamo di fronte, oltre la vallata, godendo di un luminoso tramonto ed ascoltando le facezie di Ferruccio. Dopo la cena (menù originale, abbondante e succulento) la serata trascorre piacevolmente sorseggiando una delle grappe casalinghe esposte nella “farmacia” ed ascoltando i consigli di Elio che ci illustra il percorso di domani. Qui i letti non cigolano e nonostante qualche sonora russatina non fatichiamo a prendere sonno. Il mattino seguente dopo la ottima colazione con le marmellate ed i dolci di Enrica ci salutiamo manifestando l’intenzione di rivederci presto. Alle 7,30 ci mettiamo in marcia ed il sentiero 332 sale subito tortuoso nel bosco lambendo diverse volte un rumoroso torrente. Camminiamo all’ombra della cresta Ravetta e, nonostante la salita, non sudiamo affatto. Quando alle 9 arriviamo alla forcella Ravetta (m 2219), in un attimo il sole ci scalda e possiamo dedicare qualche minuto ad ammirare il panorama della val di Rava che si stende sotto di noi con i suoi laghi, le malghe, le greggi al pascolo. Di fronte, oltre la valle, poco più alte di noi, le creste rocciose del Cimon e del Tombolin di Rava, che raggiungeremo tra poco, della cima del Frate e del Castelletto. Per il sentiero 332 bis traversiamo con alcuni saliscendi tutto il fianco meridionale della Cresta Ravetta ed alle 10 raggiungiamo il Forzelon de Rava (m 2397). Lasciati a terra gli zaini ci dividiamo il piccoli gruppi per raggiungere in successione il Cimon di Rava (m 2436) ed il Tombolin di Rava sulle cui ripide pareti sono ancora perfettamente conservate le numerose scalinate scavate nel granito durante la prima guerra mondiale dai militari che hanno firmato la loro opera scolpendo nella roccia 2° Genio 16. Compagnia. Elio, il custode del Caldenave, ci aveva raccontato che il luogo è chiamato la “Piccola Machu Picchu” ed in effetti, pur se molto piccolo, ricorda effettivamente la famosissima località peruviana. Ritornati al Forzelon, e dopo una breve pausa per mangiare qualcosa, alle 12 imbocchiamo il sentiero 328 che, superata la Forcella Quarazza, inizia a scendere verso valle passando accanto al Lago di Costa Brunella con le montagne che gli fanno corona a ricordare il cratere di un vulcano. Dopo aver toccato i ruderi della Malga Val di Lago il sentiero, sinora stretto e quasi nascosto dall’erba dei pascoli, entra nel bosco e si trasforma in una ripida ma comoda mulattiera appena risistemata a cura della Forestale. Giunti a Malga Sorgazza la nostra splendida escursione termina ma l’AVG ci riserva ancora una piccola sorpresa: mentre ci rifocilliamo con un panino ed una radler, il gestore della Malga, che venerdì ci aveva visti partire, ci fa compilare un foglio con il nome di tutti i componenti del gruppo e del sodalizio di appartenenza e consegna ad ognuno una piccola spilla dell’Alta Via del Granito. “Così non vi dimenticate di questa gita” ci dice. Stai tranquillo, amico, non la dimenticheremo facilmente! Partecipanti: Barbieri Gisella, Doglioli Giancarlo, Fei Ferruccio, Ferro Pierangelo, Firpo Maria, Giuge Floriana, Grassi Bruna, Mandi-

rola Roberto, Meoni Cristina, Modica Antonio, Morando Mara, Moscato Antonio, Penna Bruno, Regnoli Giorgio, Regnoli Luisa, Vitale Daniela. I tappa: Malga Sorgazza, rif. Brentari, bocchetta Canalon, Cima d’Asta, Forzeleta, rif. Brentari II tappa: rif. Brentari, forcella Magna, Buse Todesche, rif. Caldenave III tappa: Caldenave, forcella Ravetta, Forzelon de Rava, Cima e Tombolin di Rava, forc. Quarazza, M. Sorgazza Bruno Penna - CAI Alessandria TREK “LAGORAI PANORAMA” 16-18 Agosto 2011 Come frequentatore della montagna e come AE, preferisco cercare e poi proporre mete poco conosciute o almeno non tornare nella stessa valle o zona per un po’ di tempo. Quest’anno però sono andato in controtendenza, sono tornato nella stessa zona dopo solo poche settimane e per di più non proprio dietro casa. Cosa mi ha fatto cambiare idea? Il “Diavolo tentatore” ha un nome: Elio ed è l’ottimo gestore del Rifugio Caldenave, un vero gioiello in cui abbiamo pernottato ad inizio luglio quando come sezione abbiamo percorso il trek “Alta Via del Granito” nella catena del Lagorai con l’ascesa alla Cima d’Asta e al Cimon di Rava. Elio mi ha incuriosito parlandomi del Lagorai Panorama facendo riferimento alla Prima Guerra Mondiale, ai resti e alle testimonianze di quel tragico periodo, al fatto che solo da due anni fosse possibile effettuare il trek perché precedentemente non esistevano rifugi dove appoggiarsi, problema ora risolto con la costruzione del Rifugio Malga Conseria. Nel mese d’agosto presa la decisione di organizzare il trekking e composto il gruppo di cui facevano parte due socie che già avevano partecipato all’AVG, restava il problema dei posti nei rifugi durante il periodo scelto ma grazie ancora ai gestori sono riuscito a fare combaciare le nostre reciproche esigenze. Il trekking si è sviluppato per tre giorni con partenza dal passo Manghen, dove avevamo fissato l'appuntamento a Sergio e Nadia che non paghi di una settimana di val Gardena si sono uniti ai quattro partiti da Alessandria. I sentieri erano ben tenuti e le indicazioni chiare, i tempi invece, nella relazione datemi da Elio si sono dimostrati un pò stretti, stare in certe medie nonostante i dislivelli non fossero eccezionali comportava tenere una velocità media sui 450 m di dislivello/h. Le tappe sono state in media di 7/8 ore escluse le soste. Interessante è stato il suggerimento di Elio di salire sulla Cima Orsera e poi su ormai invisibili tracce percorrere la cresta che arriva alla Cima delle Buse Todesche dove c’è ancora una cittadella fortificata in ottimo stato. Percorso da fare, però, solo con perfetta visibilità, purtroppo una volta saliti sull’Orsera siamo stati avvolti dalle nubi, che immancabilmente ci hanno accompagnato nella seconda parte della giornata dei tre giorni di trekking, facendoci desistere e ritornare sul sentiero classico. Ottima accoglienza anche al Rifugio Malga Conseria dove, come al Caldenave, ci hanno offerto una bottiglia di prosecco come abbiamo saputo successivamente per festeggiare la prima sezione CAI che completava il

trekking. A onor del vero oltre al prosecco ci sono stati anche sprinz e alcune birre ma sempre perché ce lo meritavamo. Partecipanti: Ferruccio Fei, Roberto Zuffo, Bruna Grassi, Maria Firpo, Nadia Piceni e Sergio Zaccaron. 1° giorno: Passo Manghen, Forcella pala del Becco, Malga Montalon, Val Campelle, Rifugio Caldenave “Claudio e Renzo” (tel 348 2564848). 2° giorno: Rifugio Caldenave, Val Orsera, Forcella Orsera, direz Forcella delle Buse Toesche, forcella Magna, Passo Cinque Croci, Rifugio Malga Conseria (340 9026123). 3° giorno: risalire al Passo Cinque Croci, Malga Cion, Passo Val Cion, Forcella Valsorda, Passo Manghen. Come responsabile di gita vorrei ringraziare i partecipanti, Elio ed Enrica del Rifugio Caldenave e le simpatiche gestrici della Malga Conseria per la gentilezza e l’ottimo trattamento. Ferruccio Fei AE AI - CAI Alessandria


10 È il Mongioia, nelle Alpi Cozie

QUEL LAGO A 3000 METRI Domanda: qual è il lago più alto delle Alpi Cozie? Risposta: il Mongioia situato a 3083 metri di altitudine, sulle pendici meridionali del monte omonimo. Nei pressi del lago sorge anche il bivacco Boerio, costruito nel ‘91 e dotato di 10 posti letto. Siamo in Val Varaita, anzi, per la precisione in Val Bellino, la sua diramazione più occidentale. Raggiungere il lago Mongioia non è esattamente una passeggiata. Bisogna superare un dislivello di 1200 metri e percorre il lungo vallone di Rui. Si parte da S. Anna di Bellino, a quota 1882, e, seguendo le abbondanti indicazioni, ci si inoltra in un ambiente dall’aspetto “bucolico”, con molti alpeggi (e con relative mucche). Il sentiero è buono e ben segnato, almeno fino alle Grange Fons di Rui, a quota 2437, situate in un grande pianoro erboso. Qui, lasciato a destra il sentiero che sale al Passo di Fiutrusa, si prosegue prima lungo un’evidentissima traccia sul fondo del vallone e poi si sale decisamente per ripidi pendii, fino ad arrivare ad un valloncello detritico che conduce al passo del Mongioia a quota 3075, sullo spartiacque tra Ubaye e Varaita. E proprio lì, in una pietraia pianeggiante c’è il lago, di di-

mensioni rispettabili, tenuto conto del luogo (3,30 - 4 ore). Dallo specchio d’acqua si può anche salire in vetta al monte Mongioia che, con i suoi 3340 metri, è un punto panoramico di tutto rispetto. Questo tratto di itinerario è però un pò più impegnativo (EE o F-, dipende dai punti di vista). Si parte dal passo, seguendo l'evidente traccia sullo spartiacque, segnata da ometti e da (più rade e stinte) tacche di vernice, che risale il versante sud della montagna. Superato il primo costolone, ci sono numerose vie di accesso alla vetta. Una si snoda sul versante italiano e presenta qualche passaggio roccioso facile (forse di II grado o più probabilmente di I), un’altra segue invece il crinale ed ha difficoltà minori. Il “passaggio obbligato” in entrambi i casi è una fascia di roccette situata nel costolone prima citato. In vetta c’è una croce ed un curioso “cubo” di pietre con un punto trigonometrico. Il panorama è grandioso: se la giornata è limpida, si può osservare tutto l’arco alpino occidentale, dal Rosa all’Argentera. Dislivello complessivo fino alla vetta: 1500 metri circa. Tempo di percorrenza totale: 4-5 ore (dipende dalla gamba). Diego Cartasegna - sezione di Ovada

Sezione di Alessandria

PROIEZIONE DI GIANNI GHIGLIONE

Venerdì 21 ottobre 2011, alle ore 21,15 presso l’associazione Cultura e Sviluppo, piazza DeAndrè, Alessandria, Gianni Ghiglione, accademico e INA del CAI, responsabile della scuola intersezionale Alphard, sarà ospite della sezione di Alessandria per presentare la sua videoproiezione “Trilogia di un incantesimo - Il tempo del sogno”. Gianni è stato compagno di cordata di Gianni Calcagno e Giancarlo Grassi, ha percorso oltre 200 vie molto impegnative sulle grandi pareti delle Alpi e una miriade di vie su pareti di fondovalle. Nel 2004 ha partecipato alla famosa “Spedizione Nazionale del Club Alpino Accademico” al Kongur (7306 m) nel Pamir Cinese, contribuendo notevolmente all’apertura di una via nuova. Attualmente, principalmente, si dedica all’esplorazione di pareti e all’apertura di vie nuove in Corsica, in Alto Atlante, in Marocco e in Anatolia (Turchia). In questa serata Gianni Ghiglione racconterà, a modo suo, la storia dell’apertura di tre vie nuove recentemente aperte. lngresso libero.

Sezione di Alessandria

COMPLIMENTI MAX

Massimiliano (Max) Avalle, Consigliere della sezione di Alessandria, è stato invitato a far parte del Centro Studi Materiali e Tecniche del CAI, Raggruppamento Lombardo. Alpinista e sci-alpinista, istruttore sezionale della scuola Alphard, Max Avalle è professore di progettazione meccanica del Politecnico di Torino: da anni impegnato negli studi sul miglioramento della sicurezza dei veicoli ha esteso queste competenze alle ricerche sulla sicurezza dei sistemi di ritenuta in arrampicata e ai mezzi di protezione mobili, ed alla progettazione di materiali per uso alpinistico.

ALPENNINO SUL WEB

Sezione di Casale

SERATE BIBLIOCAI Con l’autunno, le prime nebbie e le giornate che si accorciano, è piacevole ritrovarsi alla sera a rivivere le trascorse avventure in montagna. Questo è lo scopo delle serate organizzate il venerdì sera. Si inizia con la lunga cavalcata sui 4000 di Luca Calzone, giovane alpinista novarese, che ha come abituale compagno di cordata Matteo Massazza, del CAI San Salvatore. A seguire la serata di Gianni Ghiglione, Accademico e direttore della scuola Alphard, sulla grande via aperta sul calcare rosso delle gole del Taghià, in occasione del 50° della Sezione di Novi.

Si passa dal verticale all’orizzontale con la serata di Riccardo Carnovalini, storico camminatore del CAI, che illustrerà la straordinaria esperienza di GE.MI.TO. in cammino tra natura e luoghi stravolti dall’antropizzazione, al centro del triangolo industriale. Si torna poi in alta montagna con “I colori del Bianco” di Marcello Libra. La genovese Grazia Franzoni racconterà il viaggio in bicicletta tra Cina e Tibet, all’altro capo del mondo. Al prossimo numero l’illustrazione delle successive serate.

La redazione ha iniziato un progetto che porterà in tempi brevi alla pubblicazione del giornale anche sui siti web delle varie sezioni. Per ora questo numero (e quello precedente) sono disponibili sul web entrando nel sito della sezione di Alessandria dove, alla pagina iniziale e cliccando su on-line, si apre una tendina nella quale compare la voce Alpennino e da qui lo si scarica anche in versione stampabile. E’ il primo passo verso la creazione di un sito dedicato esclusivamente al nostro periodico al quale si potrà accedere direttamente o attraverso i siti delle sezioni che vorranno inserire il relativo link. La versione web potrà, in futuro, anche essere a colori, potrà essere collegata a link di approfondimento e col tempo si potrà riversare sul sito tutto l’archivio degli anni passati. Mandateci un vostro parere (alessandria@cai.it) sull’utilità di avere ALPENNINO on-line, valutando la possibilità di ridurre progressivamente il numero di copie cartacee spedite, sino ad eliminare completamente la stampa e la spedizione postale. Cosa ne pensate? La redazione di ALPENNINO


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CASALE ESCURSIONISMO

ESCURSIONISMO 2 OTTOBRE

16 OTTOBRE

16 OTTOBRE 23 OTTOBRE 6 NOVEMBRE

20 NOVEMBRE 20 DICEMBRE

2 OTTOBRE

MONTE LEGNONE m 2610 Lago di Lecco Dal Rifugio Roccoli Lorla m 1463 (EE) 3. uscita C.E.A. - D.G. Penna, Stringa, Torti FERRATA ALLA SACRA DI SAN MICHELE m 880 Val Susa - da SantʼAmbrogio (AD) Possibilità di salita per mulattiera e visita (T) 4. uscita C.E.A. - D.G. Girolimetto, Torti INTERSEZIONALE ALESSANDRIA Val Borbera: sentiero 208, Bivacco Rivarossa (E) CASTAGNATA AL MULINO NUOVO Capanne di Marcarolo (T) - D.G. Todarello MONTE ZEDA m 2156 Parco Nazionale della Val Grande (VB) Dal Passo di Folungo m 1369 (E) D.G. Accornero, Pallavicino PRANZO SOCIALE in località da destinarsi AUGURI DI NATALE IN SEZIONE

9 OTTOBRE 16 OTTOBRE 20 NOVEMBRE

20 NOVEMBRE 16 DICEMBRE PATAGONIA DA SOGNO Org. Capra, Costanzo

PROIEZIONI 21 OTTOBRE 4 NOVEMBRE 18 NOVEMBRE

ACQUI TERME

2 DICEMBRE

ESCURSIONISMO 2 OTTOBRE 9 OTTOBRE 16 OTTOBRE 13 NOVEMBRE 4 DICEMBRE

SENTIERO DEI LAGHI DEL GORZENTE DA ACQUI A CAVATORE e ritorno INTERSEZIONALE ALESSANDRIA Val Borbera: sentiero 208, Biv. Rivarossa (E) DA RIOMAGGIORE A PORTO VENERE ESCURSIONE NELLA RIVIERA DI LEVANTE

DAL ROSA AL BERNINA “I miei 57 quattromila” a cura di Luca Calzone TRILOGIA DI UN INCANTESIMO a cura di Gianni Ghiglione GE.MI.TO “In cammino tra paesaggi ed economia” a cura di Riccardo Carnovalini I COLORI DEL BIANCO audiovisivi a cura di Marcello Libra

SAN SALVATORE

MTB 2 OTTOBRE 6 NOVEMBRE

ALTA VIA DEI MONTI LIGURI tappe 14 e 13 dal Giogo di Toirano al Colle del Melogno (E) Org. Ferrando LA CASTAGNATA in località da destinarsi INTERSEZIONALE ALESSANDRIA Val Borbera: sentiero 208, Bivacco Rivarossa (E) AUTUNNO TRA I CORBEZZOLI Liguria: tra mare e monti

GIRO DEI TRE BRICCHI FORESTA DI DEIVA - SASSELLO

ESCURSIONISMO 9 OTTOBRE 16 OTTOBRE

CASTAGNATA INTERSEZIONALE ALESSANDRIA Val Borbera: sentiero 208, Biv. Rivarossa (E) GITA SOCIALE SALITA NOTTURNA AL MONTE TOBBIO (E)

23 OTTOBRE 25 DICEMBRE

SPELEOLOGIA

TO R TO N A

13 NOVEMBRE

ESCURSIONISMO NOVEMBRE DICEMBRE

GROTTA DI RIO MARTINO - Crissolo (F)

OVADA

ROCCAFORTE - STRETTE DI PERTUSO GIORNATA DEI SENTIERI

ESCURSIONISMO

MTB 16 OTTOBRE 13 NOVEMBRE

MONTE ALPE da Varzi RIVE ROSSE (Biella) (in alternativa: LEVANTO E BONASSOLA)

2 OTTOBRE 16 OTTOBRE 16 OTTOBRE

VALENZA ESCURSIONISMO 2 OTTOBRE 16 OTTOBRE 16 OTTOBRE 30 OTTOBRE 13 NOVEMBRE 27 NOVEMBRE 8 DICEMBRE 18 DICEMBRE 31 DICEMBRE

EPINEL - B. GONTIER - VIEYES (Cogne) PIANI DI PRAGLIA - PASSO DEI GIOVI (escursionismo e mountain bike) INTERSEZIONALE Val Borbera: sentiero 208, Bivacco Rivarossa S. MARGHERITA - SAN FRUTTUOSO CAMOGLI LEVANTO - DEIVA MONTEROSSO - MANAROLA ARENZANO - ALBISOLA PRANZO SOCIALE CENONE DI FINE ANNO

13 NOVEMBRE 27 NOVEMBRE 8 DICEMBRE 24 DICEMBRE

POLENTATA SUL MONTE TOBBIO (E) Org. Piana e le Ragazze del CAI TRENOTREKKING: LAGO MAGGIORE (E) Org. Bruzzone

INTERSEZIONALE Val Borbera: sentiero 208, Bivacco Rivarossa (E) Org. CAI Novi GITA IN RIVIERA (E) Org. Torrielli GITA CON PRANZO SOCIALE (T) Org. Rolando PRESEPE SUL MONTE TOBBIO (E) Org. Dagnino, Arecco FIACCOLATA NOTTURNA A SAN LORENZO (E) Org. Bello, Piana

SPELEOLOGIA 23 OTTOBRE

USCITA IN GROTTA Org. Gruppo Anveria

IN SEDE 7 OTTOBRE 23 DICEMBRE

ASSEMBLEA DEI SOCI

VIDEOPROIEZIONE: UN ANNO DI ATTIVITAʼ Org. Consiglio Direttivo

APERTURA SEDI ACQUI TERME Via Monteverde, 44 Venerdi 21,00 - 23,00 ALESSANDRIA Via Venezia, 9 Tel. 0131 254104 cai.alessandria@libero.it alessandria@cai.it www.caialessandria.it Martedi, Venerdi 21,30 - 23,00 Mercoledi e Venerdi 18,30 - 19,30

CASALE MONFERRATO Via Rivetta 17 - Tel. 0142 454911 www.monferrato.net/cai/ Giovedi 21,30 - 23,00 NOVI LIGURE Corso Marenco 21 Mercoledi e Sabato 18 - 19,30; Venerdi 21,00 - 23,00 OVADA Via Gilardini, 9 - Tel. 0143 822578 Mercoledi e Venerdi 21,00 - 23,00

SAN SALVATORE Piazza Carmagnola, 2 info@caisansalvatore.it www.caisansalvatore.it Martedi 21,00 - 23,00 TORTONA Via Trento 31 (c/o Palestra Fausto Coppi) - C.P. 153 info@caitortona.net www.caitortona.net Giovedi 21,00-23,00 VALENZA Giardini Aldo Moro - Tel. 0131945633 - 3409882624 cai@valenza.it - Martedi e Venerdi 21,00 - 23,00


12 Una giornata, una vetta…

MONTE VECCHIO

Val Vermenagna

La salita al monte Vecchio rappresenta una classica escursione per coloro che amano trascorrere le vacanze estive a Limone Piemonte: la camminata si svolge infatti su sentiero ben segnato ed agevole e non è particolarmente impegnativa. In verità il periodo migliore per salire in vetta è la tarda primavera (periodo durante il quale si può godere delle abbondanti fioriture di ginestre) o l'autunno, quando il clima non è più caldo e la salita lungo i soleggiatissimi pendii del monte Vecchio risulta più piacevole. Dalla cima, sulla quale è stata posta nel 1987 una croce metallica con tanto di diario di vetta, si gode un buon panorama sull’alta valle Vermenagna, con Limone Piemonte e la splendida corona di cime dall'aspetto dolomitico che dividono il borgo dalla valle Pesio. Risultano ben visibili anche il colle di Tenda e la conca di Limonetto, nonché una parte della val Grande, parzialmente compresa nel parco naturale delle Alpi Marittime. La vegetazione che si incontra durante l'escursione è sicuramente interessante; in particolare, se effettuato nel momento opportuno, risulta entusiasmante l'attraversamento del versante sud della montagna, che consente di ammirare luminose e vigorose fioriture di ginestre. Lo stesso versante ospita anche piante odorose quali lavanda, timo e ginepro: qua e là sono inoltre presenti giovani esemplari di pino silvestre. Dopo il colle dell'Arpiola, si cammina tra praterie dove in primavera fioriscono numerose le orchidee e la genziana acaulis. Caratteristiche dell'escursione Dislivello: 680 m circa Esposizione: il percorso si sviluppa su versanti esposti a Sud Difficoltà: E Descrizione del percorso In auto, percorrendo una stretta carrozzabile, si sale da Limone Piemonte ai Tetti Zitun, frazione di S. Anna; la piccola borgata, in abbandono, si trova a

(m 1920)

Segnaletica al passo dell’Arpiola

Il monte Vecchio visto dal passo dell’Arpiola

quota 1251 m, ma l'assenza di un parcheggio costringe a lasciare gli automezzi poco più in basso, nell'ipotesi migliore in un piccolo spiazzo a quota 1240 m circa. Si inizia quindi a camminare lungo una carrareccia che ha inizio alla sinistra delle vecchie baite; dopo un breve percorso, giunti a quota 1320 m, si abbandona la carrettabile e si inizia a salire lungo un sentiero che si stacca verso sinistra. Il tracciato è facilmente individuabile grazie inizialmente ad una evidente segnaletica (frecce indicatrici in legno) e quindi all'abbondante presenza di rettangoli gialli. Si esce presto dal bosco di faggi e si inizia ad attraversare in costa il versante sud del monte Vecchio, caratterizzato dalla presenza di numerose ginestre; il sentiero sale dapprima gradualmente quindi, quando si è ormai prossimi al colle dell'Arpiola, raggiunge il valico superando una faticosa rampa. Dal passo il panorama si apre su un vallone laterale della val Grande; a sinistra si stacca il sentiero per il Bec Matlas mentre a destra ha inizio il tracciato per la cima del monte Vecchio. Dopo un tratto in leggera pendenza, si affronta nuovamente una faticosa rampa, che supera con decisione gli ultimi duecento metri di dislivello. Si sbuca quindi su una c im a allar gat a, al centro della quale è presente un marcato avvalla-

mento, quasi una dolina, morfologia generata verosimilmente dalla roccia calcarea permeabile; sul lato sinistro dello stesso avvallamento, s'innalza una corta cresta erbosa percorsa da un sentierino che, in breve, adduce al vero e proprio punto culminante, sul quale è collocata dal 1987 una croce metallica. Claudio Trova claudiotrova@alpioccidentali.it Monte Vecchio: particolare della croce di vetta


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