Alpennino 2013 n 3

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Notiziario trimestrale delle Sezioni del Club Alpino Italiano di Alessandria, Acqui Terme, Casale Monf., Ovada, San Salvatore Monf., Tortona, Valenza Autorizzazione Trib. di Casale n. 155 del 27.2.1985 - Direttore Responsabile Diego Cartasegna - Direzione e Amministr. Via Rivetta, 17 Casale Monferrato Redazione Stampa Tipografia Barberis snc San Salvatore Monferrato “Spedizione in a. p. art. 2 comma 20/c legge 662/96 - Filiale di Alessandria” Anno XXIV - Num. 3 - LUGLIO 2013 __________________________________________________

Un’avventura di tredici giorni nei dintorni del “tetto del mondo”

L’impegno del CAI di Acqui Terme verso World Friends

TREKKING ROUND ANNAPURNA PROGETTO ACONCAGUA 2014

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L'Aconcagua, nelle Ande argentine, con i suoi 6962 m, è la più alta montagna della Cordigliera, di tutto il continente americano e di tutto l'emisfero meridionale. È inoltre la più alta montagna della Terra al di fuori dell'Asia. È questo l’obiettivo Alpinistico del CAI di Acqui per festeggiare il 150° e per rilanciare la raccolta fondi per World Friends. Nel 2007, in occasione del 50° anniversario di fondazione la nostra Sezione decide di unire all’impegno alpinistico momenti di solidarietà attiva. La scelta cade su World Frieds Onlus in cui opera il nostro socio acquese dott. Gianfranco Morino che ha deciso di vivere con la propria famiglia in Kenya e impegnarsi per migliorare la situazione disperata dei diseredati delle baraccopoli africane. Di qui l’idea di organizzare una spedizione alpinistica sul Monte Kenya abbinata a una raccolta di fondi per finanziare la costruzione di un ospedale al servizio dei bambini e delle madri delle baraccopoli di Nairobi: il Neema Hospital. La spedizione, “Una luce di speranza per l’Africa”, suscita l’interesse del secondo canale della RAI che invia un suo operatore, Silvio Giuglietti, per compiere le riprese che saranno poi sviluppate in un documentario dal titolo “Montagna di luce”. La spedizione, patrocinata dal Ministero per le politiche giovanili e delle attività sportive e dal Comune di Acqui Terme, ha successo sia alpinistico sia mediatico e permette una raccolta di fondi tale da fare citare il CAI di Acqui Terme fra i cofinanziatori nella presentazione del cantiere. Da allora l’attività di raccolta fondi per l’Onlus è diventata una costante del nostro programma (Camminata Pirotecnica di luglio, Uscite in Mountain Bike, 5 Torri nella Langa Astigiana ecc.) con un nuovo apice nel 2010 attraverso una nuova spedizione alpinistica sul Kilimangiaro abbinata al programma “Nati nel Posto Giusto”. I componenti della spedizione Kilimangiaro 2010 del CAI di Acqui Terme che nel 2007 ricordavano una spianata di area edificabile e cintata, trovano nel 2010 un ospedale che è già una solida realtà in cui transitano più di 400 pazienti al giorno. La verifica dell’impegno e della concretizzazione delle attività di World Friends, ci spinge ora, in occasione dell’organizzazione della spedizione alpinistica sul monte

Humde. Sullo sfondo, al centro, il Chulu Far East, la nostra meta

bandona il percorso principale del trekking e si punta decisamente a nord, con ripida, costante salita in avvicinamento alla catena del Chulu, ove si cela la nostra meta; vegetazione sempre più scarna: non più afa, ma vento, freddo di notte nelle tende che finalmente si montano abbandonando i lodge più o meno confortevoli che finora si trovavano sul percorso; si fa fatica, si va in montagna, ti prende un po’ di inquietudine, sei isolato, conti solo su te stesso, sugli sherpa, sui compagni, su Martino. Primo campo a 3990 m, al sesto giorno campo a 4800 m, ancora sull’asciutto, pietraie moreniche aride, molto sottozero di notte, finalmente i sacchi a pelo “himalayani” comprati dall’amico Chicco cominciano a fare il loro lavoro! Un amico del gruppo sta male, cefalea, vertigini, sbandamento nella marcia: sintomi pericolosi, lo dico a Martino, che si fa? Se lo dici tu che sei medico, lo mandiamo giù senza esitazione, con uno sherpa, è la decisione migliore; starà male ancora 48 ore, poi tutto ok e potrà riprendere il cammino. Arriva il settimo giorno ma non ci si riposa, finalmente si tocca la neve, il primo ghiacciaio, le scarpette si mettono nei sacchi e si calzano gli scarponi veri, ma poi ti guardi indietro e vedi gli sherpa che hanno ancora ai piedi le infradito e ti chiedi se loro sono dei marziani oppure tu un pigro e rammollito figlio del benessere. E intanto sali. Campo a 5300 sul ghiaccio. Notte tremenda: una compagna del gruppo sta male, un problema serio, affanno, rantoli, per me la diagnosi è facile, edema polmonare in fase iniziale. Sono medico, appassionato di montagna, studio da anni la fisiopatologia d’alta quota; non sono il medico della spedizione, solo un privato partecipante, ma non fa differenza; ho con me i farmaci che servono. Desametazone endovena e intramuscolo, gocce di nifedipina sotto la lingua; purtroppo non basta, continua a star male, per fortuna l’organizzazione nepalese ha nel budget la sacca di Gamow, la camera iperbarica portatile. La ficchiamo dentro, pompiamo aria per 2 ore; poi fra la sacca ed i farmaci, sta un po’ meglio, quel tanto che basta ad aspettare l’alba e non essere costretti a farla portare giù in piena notte sulle spalle di due portatori. Altri Segue a pag. 2

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“Sulle Ande per l’Africa”

In Italia abbiamo montagne bellissime, fin quasi superfluo citarle. Eppure, negli spiriti irrequieti, forse vagabondi nella mente prima ancora che sul mappamondo, il richiamo dell’Himalaya prima o poi attira come un vortice dal quale non si può sfuggire, se le circostanze permettono di assecondarlo; ed ecco perché, dopo un lontano viaggio esplorativo in Tibet e Nepal, dopo il primo trekking nella valle del Khumbu con la salita al Kala-Pattar, dopo una divagazione extra-himalayana in vetta al Kilimanjaro, nel 2008 siamo tornati in Nepal per una terza grande avventura: il trekking attorno all’Annapurna con due varianti non banali, la salita a una vetta di 6060 metri nel gruppo del Manang Himal e, sulla via del ritorno, una selvaggia variante al classico colle di Thorung con il periplo del Tilicho Lake e l’attraversamento di due colli glaciali a più di 5300 metri di quota, una variante percorsa pressoché da nessuno (e si capisce anche il motivo!), ma che permette di camminare per due giorni a ridosso della maestosa Grande Muraille. Eccoci dunque, di nuovo, a Kathmandu, con Giorgio e Annalisa, i due cari amici di Padova con cui abbiamo condiviso numerose esperienze di viaggio e di montagna, altri dieci compagni italiani conosciuti sul momento, con la guida di Martino Moretti di Alagna Valsesia, prestigioso alpinista con al suo attivo, fra le altre cose, anche il K2 senza ossigeno nel 1986. Sbrigate le pratiche di rito, dopo il rituale tuffo nelle molteplici facce della città, ci si sposta verso ovest in direzione Pokhara, e poi si arriva a Bhulbule, 840 m, ove ha inizio il trekking. Si comincia quindi a camminare a una quota inverosimilmente bassa, in mezzo a un paesaggio dolce, verdissimo, fertile, ricco di acqua nel profondo solco glaciale della Marsyangdi Khola; si cammina sudando, quasi nell’afa, (nemmeno che si salisse sul Tobbio d’estate!), attraversando villaggi non ricchi, ma ove si respira già un diverso livello di “benessere”, per le popolazioni locali, derivante dai guadagni correlati ai trekking. In tre giorni si arriva a 2600 m, si prende il passo, si respira, ci si assesta gli zaini sulle spalle, ci si libera dalle tossine della civiltà, ci si commuove vedendo i bambini, sporchi, miseri, sani e felici; poi piano piano cambia qualcosa, si fa una gigantesca curva “a sinistra”, si lascia ad est il massiccio del Manaslu e si comincia a intravedere la colossale catena degli Annapurna, con almeno quattro cime secondarie sopra i 7500 metri, si entra nel cuore della Marsyangdi Khola, enormi pareti lisciate dal ghiaccio, valle ad “U” glaciale da manuale di geologia; si comincia a rimanere storditi, non tanto per l’aria sottile, che pure di notte a qualcuno dà fastidio, ma soprattutto per le dimensioni: enormi, lasciano increduli, te lo aspetti ma comunque non sei preparato alla vastità fisica e spirituale dei luoghi. Al quinto giorno a Humde (3300 m) si ab-


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TREKKING ROUND ANNAPURNA

due hanno cefalea, nausea e vertigini: nonostante l’acclimatazione la quota picchia: cerco di fare qualcosa anche per loro, tutta la notte dentro fuori la mia tenda e la loro, Augusta mi aiuta. Mi passa i farmaci, mi prepara le iniezioni, nella concitazione una distrazione fatale: lasciamo i suoi scarponi nell’abside della tenda, si congelano.

Chorten. Sullo sfondo il gruppo degli Annapurna

Alle 5 di mattina si decide: il bollettino medico è più rassicurante; chi sta male scende con gli sherpa o è già sceso, chi sta bene parte per la vetta; siamo già in ritardo di un’ora e mezza; freddo, vento, siamo stanchi, io, Augusta e Martino ovviamente abbiamo passato tutta la notte svegli e in piedi; Augusta paga la sua generosità con gli scarponi ed i piedi freddissimi a causa degli eventi descritti, dopo un’ora torna, teme un congelamento; che rabbia, lei sta benissimo e salirebbe in cima di corsa! Si va troppo veloci, a strappi, non si riesce a tenere un ritmo armonico, qualcun altro deve tornare indietro perché non si riesce a trovare il passo giusto. Tre pendii ghiacciati ripidi successivi, pendenza fino a 4345°. Io, Martino e altri quattro “superstiti” arriviamo in vetta al Chulu Far East, 6059 m. Davanti, dietro, a sinistra, a destra, solo Himalaya. A ovest il Mustang, a est il Manaslu, a nord il Tibet, a sud un rettangolino dietro l’Annapurna Range, riguardando le foto lo identifico come la cima vera dell’Annapurna, fino ad allora ancora invisibile. Foto di vetta, un abbraccio. Sono salito su una cima himalayana insieme ad un uomo che è stato sul K2: scendendo mi ha ringraziato per il lavoro che ho fatto nella notte con chi stava male. Questa è la montagna, la sua follia, la sua bellezza. Mi spiace per Augusta e per gli amici che non ce l’hanno fatta. Se la notte passava tranquilla, arrivavamo tutti in cima. In compenso tutti sono tornati giù, e per come si sono messe le cose, questa è stata la vera conquista della vetta. Rimangono una manciata di foto, uno sguardo sul mondo, una piccozza lasciata in cima da un compagno di Udine in memoria dell’ amico morto in montagna. Si scende molto velocemente al campo a 4800 m; la mattina dopo colazione all’aperto, si guada un torrentello semi-ghiacciato e, quasi di corsa, si scende ancora fino al fondo valle: fine della giornata? Macché, per arrivare a Manang, praticamente su sentiero sempre in piano, ci mettiamo due ore; una bottiglia di Coca-Cola ghiacciata comprata sulla strada da un bambino vale più di uno champagne d’annata! Manang, 3500 m. L’ultimo paradiso degli hippies e dei giramondo stile anni ’60, in fuga da una Kathmandu non più tanto tollerante; si mescolano bene ai trekkers che passano un giorno di completo relax: chi si lava gli indumenti, chi si taglia la barba, chi cerca di accaparrarsi un turno di acqua calda sotto la doccia del lodge, chi dorme tutto il giorno, chi gira a caccia di foto e di atmosfere. Alla sera tutti cercano di mangiare più carne di yak possibile dal menù del cuoco che in realtà sembra sempre molto parsimonio-

so. La compagna che è stata male non si è ancora ripresa e, in accordo con i medici volontari americani dell’ambulatorio per i disturbi d’alta quota, non prosegue il trekking e ridiscende a dorso di cavallo con uno sherpa fino a Bhulbule, da lì fino a Pokhara in bus, dove la ritroveremo in buona salute. Noi ripartiamo. Alla fine del paese, in un vicoletto, due cartelli per le due direzioni possibili: uno è per la via “normale” del giro dell’Annapurna, per il passo di Thorung; l’altro è per la via più difficile, percorsa solo fino al lago di Tilicho ove però quasi tutti tornano indietro; noi invece proseguiremo, per valicare ancora in alta quota e scendere a Jomosom in totale solitudine. Sarà un’avventura. Si parte rilassati, con un panorama piacevolissimo, la Marsyangdi Khola nella sua parte centrale, più aperta e con visioni bellissime sul gruppo dell’Annapurna, ma in realtà si capisce ben presto che sarà dura; si deve arrivare al Tilicho Base Camp, teoricamente 600 m di dislivello, in realtà sono 900 a causa di saliscendi interminabili. Un piccolo monastero, isolato e solitario a 4000 m, è commovente con il suo unico custode. Si arriva al lodge tardi, il sole è già scomparso dietro la Grande Muraille, freddo glaciale a 4150 metri. Ai lodge non si prenota, speravamo di trovare posti, ma un gruppo di francesi ci ha preceduto: allora si montano le tende e, viste le condizioni del lodge, tutto sommato è meglio così,

bollente serve a scaldare le mani prima che lo stomaco. Un momento di estasi, ma solo un momento, si riparte, c’è qualche incertezza sulla direzione, la neve ha sparigliato le carte ed i punti di riferimento; Martino decide di non fare il Mesokanto La, ma di puntare a nord verso il New Tilicho western Pass: lo ha già percorso alcuni anni addietro; gli sherpa non sono di grande aiuto, per cui si affida alla memoria. La neve è pesante, la traiettoria è diretta e quindi anche decisamente ripida, ancora fatica per arrivare finalmente al passo a 5480 metri. Alla nostra sinistra, a sud-ovest, l’elegante gruppo del Nilgiris, ancora oltre fa capolino il triangolo sommitale dell’Annapurna, ma a un certo punto compare in tutta la sua maestosità il Dhaulagiri con il suo versante nord-est. Si scende ancora su pendii ripidi ghiacciati e, dopo un’ora, come un sogno, si comincia a toccare la roccia e a calpestare qualche rado arbusto. Ci si spoglia al sole, la temperatura è salita di almeno 20 gradi. Si scende al campo successivo a 4215 metri, ma bisogna guadagnarselo anche questo, con i soliti terribili saliscendi e con ultima salitina spacca gambe. Ma si dorme in tenda all’asciutto, comodi e rilassati come dei re. Il tredicesimo e ultimo giorno di trekking si dovrebbe “solo” scendere fino a Jomosom. Cento metri di dislivello

Sopra Jomosom, sulla destra inizia il Mustang

Ai piedi della Grande Muraille, 5200 m

a parte il freddo e l’umidità. Si riparte all’alba di una giornata meravigliosa, si sale a lungo su pendii morenici e finalmente si arriva su un pianoro ghiacciato a 4800 m, la Grande Muraille si tocca quasi con le mani! Poi, dopo un’altra ora, finalmente il Tilicho Lake, 4950 metri, uno dei più alti laghi naturali del mondo, 3,5 km di lunghezza e 1,5 di larghezza, acque blu cristalline, due chilometri più in alto incombe il Tilicho Peak. La bellezza del luogo è indescrivibile. Noi cominciamo ad aggirare il lago sulla destra, su ripidi pendii ghiacciati; qualcuno calza i ramponi, diamo le piccozze ai portatori i quali, incredibile ma vero, camminano ancora con ai piedi le infradito o tutt’al più con qualcosa di simile alle Superga da basket in tela (in versione nepalese, ovviamente). Il lago è poco più giù, una scivolata nelle sue acque sarebbe fatale per lo shock termico. Si supera l’Eastern Pass a 5340 m (in totale 1200 m di dislivello nella giornata) con ripidi passaggi su roccia sporca e friabile; ora bisogna solo andare giù, a 5200 m, dove dormiremo. Arriviamo al buio e sotto la neve, montiamo con fatica le tende, si mangia poco e contro voglia nella tenda-mensa, più che altro per scaldarsi un po’, poi si cerca di dormire, ma per tutta la notte ogni ora si dovrà buttare giù la neve dal tetto della tendina per non rimanerne schiacciati. Alba a -15°, un incredibile cielo blu che sembra finto, sole, la Grande Muraille scintillante e ghiacciata: una foto, un ricordo, un’emozione indelebile che compensa la notte poco riposata, basterebbe da solo questo momento per giustificare il viaggio. Colazione all’aperto mentre gli sherpa smontano il campo, la tazza

in salita e 1600 in discesa; arriviamo sull’ultimo spuntone roccioso da cui si domina il paesino poco (?) più sotto, alla sua destra il magico Mustang: è fatta, emozione, rilassatezza, si pregustano birre e Coca-Cola, ma tutto questo ben di Dio ci sarà concesso dopo le ultime due interminabili ore di discesa. Il resto è una doccia calda, una cena fra quattro mura coi sandali ai piedi, una atroce torta a forma di montagna preparata dal cuoco (volenteroso, ma solo quello!), il solito rituale, commovente, delle mance ai portatori con una lotteria per tutti i vestiti e capi tecnici che si lasciano in regalo, come sempre alla fine di una spedizione o di un trekking, l’ansia di riuscire a prendere il volo per Pokhara la mattina successiva, dopo tre ore di attesa in cui ci sono passati davanti centinaia di trekkers; il nostro aereo rischia di non atterrare (e non ripartire) per il vento, ma il pilota, pazzo e bravissimo, vuole mangiare a casa con la famiglia e non ha nessuna intenzione di farsi turbare dalle raffiche (noi invece sì, ma che importa?). Il resto è, ancora, una monumentale bistecca di yak con una montagna di patate fritte e un po’ di birre ghiacciate, un po’ di relax a Pokhara, un’alzataccia all’alba per farsi portare dalle barche al centro del Phewa Lake per vedere i primi raggi di sole illuminare il versante sud del gruppo dell’Annapurna e, soprattutto, il Machapuchare, incredibile piramide che incombe sulla città. E poi il ritorno a Kathmandu, e in Europa. Voglia di ritornare e di non dimenticare. Durata: 13 giorni Dislivello in salita: 9500 m Dislivello in discesa: 7500 m Quota massima: 6059 m (Chulu Far East) Quota più bassa: 840 m (Bhulbule) Sviluppo in lunghezza (approssimato): 140-150 km Augusta e Stefano Gandolfi


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IN RICORDO DI MARCO CORINO, GLI AMICI DEL CAI CASALE

“Durante una gita del corso di sci alpinismo che lo vedeva come allievo, andavo cercando, durante la discesa, la neve più soffice, la farina. La individuai in un vallone laterale, immacolato. Gli feci cenno di seguirmi e quando mi chiese cosa avessi visto di tanto interessante laggiù, risposi… la Madonna. La sciata con la neve polverosa fino al ginocchio fu dolce, magica, esaltante. Lo invitavo non tanto a cercare preziosismi di stile ma ad accarezzare la neve con i due legni e godere di tanta bellezza. Lo sentivo alle mie spalle ridere e cantare. Quando arrivammo in fondo, con quel suo sorriso a ganascia larga mi disse “Tino avevi ragione, qui abbiamo davvero visto la Madonna!” Questo episodio è uno dei tanti che lui, con il suo generoso entusiasmo, ci ha riservato. Quel mattacchione mi mancherà.” (Tino) “Ciao Marco, mi ricordo come fosse ieri la tua prima gita del corso, salimmo insieme sulla Cialma, tu affaticato ed io a cercare di trasmetterti i rudimenti di questo gioco chiamato scialpinismo. Dopo quella volta, quante gite abbiamo fatto insieme, e quante altre ancora ne avremmo fatte... Sei stato un compagno di gioco fedele e divertente in tutte le salite, e lo sarai di sicuro anche nelle prossime, ti porteremo sempre con noi, non nello zaino ma nel cuore. Come dicevi tu: molto Annapurna!” (Paolo) “Quanti ricordi ho di Te, accomunati dalla parola “Allegria”. Le risate durante le gite insieme, tu e le tue facce buffe e burlesche che io mi divertivo a fotografare e poi mi dicevi con falsa

preoccupazione “Non le metterai mica sul sito del CAI!?!”. E quando catalogavamo i libri della Biblioteca del CAI aspettando che io ti dessi il numero da inserire mi dicevi “Sei lenta, lenta!”; quanto amavi quei libri, li conoscevi tutti e me li consigliavi con grande passione. Scommetto che anche adesso stai facendo ridere qualcuno raccontando una delle tue barzellette!” (Manu) “Sono passati 30 anni esatti dalla nostra prima salita, Tu ragazzino tredicenne, già affamato di Montagne, e ne abbiamo scalate tante insieme

83 anni ma non li dimostrava

BREVE STORIA DEL RIFUGIO CASALE

Nell’anno 1930, con la firma dell’atto di acquima già nell’estate 1946 venne utilizzato per i sto di un appezzamento di terreno in territorio campeggi estivi riaprendo i battenti dopo diverdi Ayas da parte del Comune di Casale Monfersi anni di forzata inattività. Negli anni successivi rato, rappresentato dall’allora Podestà Avv. fu ristrutturato ed aggiornato e quindi nuovaGiovanni Tommaso Caire, ebbe inizio la storia mente inaugurato nel 1949. Per quasi vent’anni del Rifugio CAI Casale Monferrato. Il citato atto la struttura del Rifugio Casale fu utilizzata per di acquisto giunse a coronamento dell’operato soggiorni estivi ed invernali, rimanendo a dispodel Consigliere Avv. Mario Cappa il quale, già sizione dei soci, ma priva di un gestore. Il tranel dicembre 1928, aveva caldeggiato l’idea di scorrere degli anni e le condizioni ambientali costruire un rifugio in Valle d’Ayas. Successivadella località, unitamente ad una sfortunata gemente era stata aperta tra i soci una sottoscristione nei primi anni ’70 lasciarono pesantezione per reperire i fondi necessari per perfeziomente il segno sullo stabile, che lentamente si nare l’atto di acquisto del terreno e per costruidegrado’. Grazie all’instancabile opera di un re il rifugio. L’Ing. Dario Pater si occupò del pronutrito gruppo di soci ed all’interessamento del getto mentre la Ditta BuscaComune di Casale Monferraglione eseguì l’opera a temto, negli anni 1977/78 venne po di record; fu così che il 19 eseguito un insieme di opere luglio 1931 avvenne la ceriatte a riportare la struttura in monia di inaugurazione. Si grado di assolvere agli usi per trattava di una gradevole cocui venne costruita; in particostruzione posta a 1701 metri lare si sistemarono le pavidi quota sul livello del mare, mentazioni ed i rivestimenti in splendida posizione panoin legno delle pareti, si costruì ramica ed edificata su basal’impianto di riscaldamento mento in pietra, con struttucentralizzato, vennero interare portanti verticali ed orizmente rifatti i servizi igienici e zontali in legno, pareti rivela cucina. Da quel momento il stite esternamente in lastre “Rifugio Casale” ebbe un gedi fibrocemento e tetto a due store, per un breve periodo il falde anch’esso coperto da nostro socio Renato Gasparetlastre fornite a prezzo agevoto, e quindi dal 1979 la Signolato dall’Eternit. Al piano rialra Fausta Bo che per oltre Il Rifugio Casale zato si trovavano la cucina con vent’anni lo ha gestito con il giorno della sua inaugurazione la zona pranzo, al primo piano grande passione e competenle camere da letto ed al secondo piano un caza, coadiuvata dalla mamma e dal marito Stelio merone comune. Negli anni successivi alla sua Frachey. Il progresso è arrivato anche in Valle costruzione il rifugio venne utilizzato dai soci d’Ayas ed il rifugio, ormai raggiunto dalla stradella nostra Sezione per i campeggi estivi e coda carrozzabile e dalle piste da sci, ha perso le me base di partenza per le innumerevoli escuroriginali caratteristiche di punto d’appoggio sioni possibili in zona. Durante la seconda guerper gli alpinisti e gli escursionisti casalesi, divenra mondiale il fabbricato non sfuggì alle usanze tando un alberghetto; vera e propria “anticadell’epoca subendo saccheggi di ogni genere, mera” alle splendide montagne della valle. Ne-

che non sto ad elencare. Sei stato una formidabile spalla nelle salite e un grande Amico nella vita di tutti i giorni. Mi mancherai! Ciao Marco.” (Giorgio) “Ma la montagna, anche se era tanto per Te, non era tutto. Che dire del lavoro… quando per esempio ci tinteggiasti la cucina “arancio ANAS” e cercavi di spiegarci la luminosità che dava quella tinta… Oppure le cene insieme, a ricordare i piatti tipici, ormai dimenticati dai più… Tante cose, sciocchezze forse, ma che rendevano piacevole il tempo trascorso insieme. Non avevo mai realizzato, prima d’ora, quanti furgoni bianchi ci siano in giro: solo adesso che, incrociandoli, cerco all'interno di ognuno il tuo sorriso.” (Marco) “Scendevamo da... beh non ricordo il nome. In svizzera a 3800 metri. A sinistra delle guglie di roccia, a destra dei seracchi, in centro un canale di neve polverosa. Nelle tue curve c'era l'incertezza di chi stava imparando ma c'era anche l'amore e la gioia per lo sci. Avremmo dovuto urlare di felicità, invece siamo scesi concentrati e increduli di sciare in così tanta bellezza. Era la bellezza della vita e noi ci scivolavamo sopra... Un urlo diverso avrei voluto fare quando, una mattina, ho saputo quello che il destino già sapeva. Quelle urla sono la vita. Bella e tragica insieme, la vita... Noi abbiamo scivolato sulla vita per qualche tratto insieme. Grazie caro Marco per il tuo modo di amare la montagna e grazie per averlo condiviso con me. Grazie... grazie.” (Luca) gli anni ’80 l’originale copertura del tetto venne rimossa e sostituita con pannelli di rame ben coibentati per migliorare l’isolamento termico durante la stagione invernale. Verso la metà degli anni ’90 fu effettuato un ulteriore intervento di restauro e coibentazione di tutte le facciate esterne. I lavori, eseguiti con pannelli isolanti e tavole di legno disposte orizzontalmente secondo le tecniche costruttive giunte a noi sin dal ‘500 tramite le popolazioni Walser (detta a blockbau) hanno anche migliorato notevolmente l’aspetto estetico dell’edificio; essi si erano resi necessari sia per neutralizzare le lastre di fibrocemento che rivestivano le facciate che per aumentare il livello di isolamento dei locali a fronte dei sempre crescenti costi energetici per il suo riscaldamento. Negli ultimi anni, sempre grazie ad un nutrito gruppo di volontari, la struttura era stata notevolmente migliorata; vennero rifatti tutti i servizi, la centrale termica e moltissime finiture interne; ciò ha consentito il suo utilizzo da parte di gruppi di soci provenienti da tutt’Italia sia durante la stagione estiva che quella invernale. Ultimamente era stato interamente restaurato il salone di piano terreno ed il nostro rifugio non era mai stato così bello ed accogliente. Il tragico rogo del 23 maggio scorso ci ha privati di Marco, un amico di sempre ed un instancabile collaboratore per le manutenzioni del rifugio e, ad 83 anni di distanza dalla sua costruzione, ha messo la parola fine alla storia del Rifugio Casale. Personalmente conserverò sempre nel cuore il ricordo di una straordinaria esperienza di solidarietà umana ogni qualvolta il nostro rifugio necessitava di manutenzione; in particolare negli ultimi mesi sono state moltissime le giornate trascorse a Saint Jacques in compagnia dei “soliti volontari” per cercare di affrettare i lavori ed avere tutto pronto per la stagione estiva. Grazie Marco, Giorgio, Claudio, Franco... e qui mi fermo perché dimenticherei sicuramente qualcuno, grazie delle giornate trascorse lassù, non le potrò mai dimenticare. Antonio Bobba


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CAMMINANDO SI PESTANO STORIE Tra il 23 maggio ed il 2 giugno si è percorso il secondo tratto della variante Francigena delle Terre Alte di CAMMINACAI 150, da Casale Monferrato a Sarzana. Hanno attivamente partecipato, oltre alla Sezione di Casale, quelle di Valenza, che ha generosamente accolto per la notte viandanti nella propria sede, Tortona, Voghera, Piacenza, Parma, Pontremoli e Sarzana, accompagnando il gruppo, anche sotto la pioggia battente, lungo i sentieri sul proprio territorio, ed organizzando importanti eventi per l’accoglienza. Presentiamo questo tratto del percorso attraverso la singolare testimonianza di una nostra nuova socia “tedesca”.

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“Camminando si pestano storie“, dice Wu Ming 2 nel blog della Compagnia dei Cammini, e se questo è vero in generale lo è in modo assolutamente particolare per le grandi vie storiche. È rincuorante osservare quante energie si stanno investendo anche a livello di Comunità Europea (hub.coe.int/it/web/coe-porta l/cultural-routes-forum-2012) per promuovere percorsi ed itinerari culturali come quello che Sigerico, arcivescovo di Canterbury, conobbe e descrisse nel 990 al ritorno da un suo viaggio che lo aveva portato in 79 tappe e ben 1800 chilometri attraverso Francia e Svizzera dalla sua sede episcopale fino alla Roma di Papa Giovanni XV. Mi riempie di speranza il vedere quante persone si stiano dedicando al rallentare, alla scoperta dei centri minori, alla pratica di stili di vita sostenibili, al fare fatica in modo sano e alla promozione di mille realtà locali “virtuose”, come da qualche anno si dice senza neanche le virgolette, come fosse chiaro e lampante di quali virtù si tratti. Si parla di virtù nel mondo del Nano e del Grande Fratello, che strano. Io sono via dall’Italia dagli anni ‘90. Quando mi salta il ghiribizzo di sentir parlare italiano salto su un aereo e vengo giù, mettendo a zittire malamente le mie stesse obiezioni ecologiste. Da quando ho scoperto le escursioni del CAI sono spesso in giro con l’una o con l’altra sezione. Il mio inizio in questo senso è stato il trek di 7 giorni che Sergio e Marinella della sezione Bologna Ovest organizzano annualmente per il 2 giugno: dalle vie appenniniche che conducono dalla Barbiana di Don Milani ai morti di una guerra per niente civile dalla quale è nata la Repubblica Italiana (come non mi stanco mai di ripetere ai miei tedeschi, che al contrario di noi hanno ancora oggi un modo di ricordare e rappresentare la dittatura pieno di imbarazzi e di silenzi). Segue da pag. 1:

A maggio di quest’anno mi sono imbarcata in una storia di tipo decisamente diverso. Niente partigiani, niente Costituzione né critica sociale radicale ma anch’essa un’avventura con una forte componente storica: l’Anno Mille, storie di pellegrini, di monaci medievali, saraceni e longobardi, di mercanti e di eserciti. Un’avventura che ha messo a dura prova non solo i miei scarponi e i miei menischi ma soprattutto la mia - appena nata - capacità di camminare al freddo, sotto la pioggia, in tanti, nel fango, con uno zaino sempre troppo pesante, cantando, sbuffando. Siamo partiti in una ventina da Casale Monferrato, sotto un cielo inizialmente freddo e grigio - strano maggio - e io mi sentivo come una marziana mentre gli altri sopraggiungevano e si salutavano. Già, molti avevano fatto un primo tratto della Via Francigena insieme e raccontavano della neve al Moncenisio e della Sacra di San Michele, della Val di Susa. Nel fresco del mattino, mentre continuavano ad arrivare nuovi volti e ci si preparava per il cammino siamo stati raggiunti da una notizia orribile che purtroppo ci avrebbe accompagnato per molti giorni: la morte di Marco Corino nel rogo del rifugio di San Jacques. Prima o poi il gruppo si è poi messo in marcia, mentre le nuvole basse che si dissolvevano regalavano ai molti obiettivi fotografici improbabili immagini di campi di grano fumanti. A Casale mi son guardata intorno e ho cominciato a preoccuparmi seriamente. Ho visto fisici asciutti, scattanti, outfit superprofessionali, passi esperti... ce la farò? Poi nei giorni seguenti non ci sarà più tempo per i timori e, come sempre accade camminando insieme, alle fine siamo diventati tutti consorti. Ed era un bel campionario di umanità. C’è l’Uomo dei Numeri con il suo GPS, c’è il playboy Autoironico, c’è la Compagna di Stanza, c’è la Capa Infortunata, ci sono le Sorelle con la bandiera, c’è il Gianni, così dolce, con la sua Maura, c’è il Capo con le insegne del Cammino e il cipiglio di uno che guarda sempre avanti, c’è chi fa sempre lo spiritoso, ci sono gli irriducibili, c’è chi parla “a chilometro zero”, c’è chi a casa ha più grane che altro, c’è chi invece lascia un orto e una moglie, c’è chi per strada cerca banalmente la propria fortuna, c’è chi è ad una svolta importante e la affronta a testa alta, c’è chi chiacchiera, c’è chi fotografa, chi si apparta in chiesa, chi ci viene incontro in bici, c’è chi cerca il silenzio in cima alla fila, c’è chi la sa lunga ma tace, c’è chi è stato a Santiago. E ci sono gli esperti di tutto,

le guide improvvisate, c’è chi in mezzo a monti racconta permanentemente di altri monti, c’è chi finisce in acqua, ci sono quelli che vogliono portare a Francesco un dono, ci sono quelli che camminano perché l’han sempre fatto e ora ne hanno il tempo, c’è chi si fa male ma soffre silenzio, ci sono mille storie e motivazioni diverse... E ci sono dozzine di accompagnatori e compagni di un pomeriggio, ci sono tanti amici incontrati per strada... durante gli undici giorni del nostro percorso il gruppo si contrae, espelle qualcuno, accorpa qualcun’altro, si ingigantisce come un’ameba fino a comprendere 303 persone durante l´intersezionale del 26 maggio (c’erano anche madame con le scarpe da ginnastica) ed è un piccolo catalogo di vizi e qualità umane che cammina accanto a me con lo zaino. Ma non c’è tanto tempo per pensare. Iris, papaveri, rose, maggio alla fine è esploso. Presto passiamo accanto ad una cascina che apre il suo portone per noi, e lì sull’aia ci attende un rinfresco: salvia e limone, torcetti, crumiri di Casale (solo la sera prima in una cena di benvenuto preventivo avevo imparato quali non comprare), gusti semplici ed antichi come il gesto elementare di chi cammina. Un amico infortunato ci vuole salutare. (continua sul prossimo numero) cinzia.fenoglio@gmx.de

PROGETTO ACONCAGUA 2014

Aconcagua in Argentina, a promuovere una nuova raccolta fondi destinata al potenziamento del Neema Hospital e ad un eventuale acquisto di un’ambulanza da destinare alle baraccopoli. La nuova spedizione sarà per questo denominata “Sulle Ande per l’Africa” e vedrà impegnato con noi l’alpinista Piacentino Davide Chiesa che curerà la parte finale dell’ascensione documentandone in un filmato le fasi del raggiungimento della vetta. Chi è World Friends Onlus Amici del Mondo World Friends Onlus è un’associazione aconfessionale e apartitica che si ispira ai valori della solidarietà e della giustizia. I suoi aderenti si riconoscono nei principi sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, con particola-

re riferimento alla salute, all’educazione e alla dignità personale. La struttura organizzativa è flessibile ed essenziale: questo consente di destinare il massimo possibile dei fondi raccolti alla realizzazione degli interventi di cooperazione, senza sprechi né costi eccessivi per la gestione dell'associazione. Gli obiettivi Interventi nelle zone più povere del sud del mondo, con una speciale attenzione alle baraccopoli di Nairobi, Kenya, dove si attivano progetti nell'ambito della sanità, della formazione professionale e della promozione sociale. Il gruppo progettuale di World Friends e parte del Comitato Direttivo si trovano a Nairobi, dove lavorano con le comunità locali e ne raccolgono le

richieste, condividendo con loro i progetti di sviluppo. ONLUS E ONG In Italia World Friends si è costituita come associazione il 21/07/2001 e come Onlus dal 12/02/2004. Dal 2011 (decreto ministeriale del 04/07/2011) World Friends è una Organizzazione Non Governativa riconosciuta dal Ministero degli Esteri Italiano ed è pertanto Onlus di diritto. World Friends è iscritta al Registro delle persone giuridiche, ai sensi del D.P.R. 361/2000, presso la Prefettura di Roma al n° 745/2010. In Kenya World Friends è stata ufficialmente riconosciuta come Organizzazione Non Governativa Internazionale (International Non Governamental Organisation) il 16/12/2004. Sezione CAI Acqui Terme


5 Sezione di Acqui Terme, Gruppo Mountain Bike

BIKEGORREI 2013, PERCORSO DURO

I sentieri del ponzonese domenica 9 giugno sono stati teatro della terza edizione del Bikegorrei, raduno di mountain bike organizzato dal gruppo MTB del Club Alpino Italiano Sezione Nanni Zunino di Acqui Terme. Non sono serviti i due rinvii della manifestazione per maltempo, il destino era la pioggia e pioggia è stata, ma per fortuna solo all’arrivo. Più di trenta i partecipanti partiti da Abasse, risalendo il tracciato del mitico “Trail dei Gorrei”, gara del 14 aprile scorso, abbandonato dopo la durissima discesa dei tralicci per proseguire verso Bandita e risalire il Rio Meri fino a Toleto per poi scendere al Rifugio Gorello e tornare ad Abasse. Il nuovo e definitivo tracciato di 23 kilometri si è presentato molto impegnativo ed ha messo a dura prova gambe e braccia dei bikers massacrando i mezzi meccanici con 5 forature, un disco freni esploso ed un cambio saltato.

I tratti del percorso sono caratterizzati da panorami impagabili sul Ponzonese, sulla valle di Olbicella e sulla Pianura Padana dominata dall’alto della costiera attraversata dal sentiero CAI 531 (Sentiero del Pellegrino di Bruno Buffa) che da Acqui giunge al mare (la traccia GPS del percorso è a disposizione presso la sede CAI). L’acquazzone degli ultimi 10 minuti neppure è stato sentito dagli atleti già bagnati ed infangati dai sei guadi del percorso. Meta ultima e meritata il Ristorante Bado’s di Abasse che come tutti gli anni ha ospitato ciclisti ed accompagnatori per la consueta ed impagabile raviolata. Come tutte le manifestazioni organizzate dal CAI di Acqui in MTB, l’incasso della giornata sarà interamente devoluto alla Onlus World Friends fondata dal socio CAI Dr. Gianfranco Morino. I 350 euro raccolti finanzieranno il Neema Hospital di Nairobi (Kenia) ed aiuteranno l’associazione ad acquistare un’ambulanza per le baraccopoli della città. Il prossimo appuntamento del gruppo MTB CAI sarà una due giorni a Limone Piemonte “Sulla Via Del Sale” a fine Luglio.

Alpinismo Giovanile: prime esperienze in verticale

FERRATA ALLA SACRA DI S. MICHELE Mano a mano che i due pullman con a bordo ragazzi ed accompagnatori si avvicinavano alla meta, il profilo di una grande e storica costruzione si delineava all'orizzonte. Tutti eravamo increduli per la domenica di sole che questa primavera bizzarra, fredda e piovosa ci ha inaspettatamente regalato domenica 2 giugno. L’obbiettivo dell’uscita era il monte Pirchiriano (962 m) dove sorge uno dei simboli del Piemonte ed uno tra i monumenti storici più importanti d’Italia. Si tratta dell’Abbazia della Sacra di San Michele e la via ferrata che percorre il versante nord del Pirchiriano, intitolata a Carlo Giorda, è il terreno di azione del corso di AG delle sezioni di Ovada, Novi Ligure e Acqui Terme.

Il percorso viene affrontato solo dai ragazzi più esperti e tecnicamente preparati, quelli che partecipano al corso avanzato. Gli altri, quelli che devono ancora prendere confidenza con le vie ferrate, si confrontano con i facili tratti del percorso attrezzato che si sviluppa sulle pareti rocciose sopra il paese di Caprie, proprio di fronte alla Sacra sull’altro versante della valle. Questa ferrata si snoda sulla roccia sfruttando ampiamente le zone di maggior interesse con un itinerario diviso in due settori distinti. Il primo è più facile ed appoggiato, ideale per una prima esperienza. I ragazzi più piccoli o comunque alle prime esperienze con cavi e moschettoni hanno provato l'utilizzo di questi attrezzi, divertendosi a salire la via, tutta o in parte, a seconda delle valutazioni degli accompagnatori. Ovviamente anche gli accompagnatori si sono divisi in due gruppi per seguire adeguatamente i ragazzi, adottando la tecnica di progressione in conserva che aggiunge un importante fattore di sicurezza all'uso dell’indispensabile set da ferrata. Il percorso che sale alla Sacra, oltre che essere affascinante, è anche ricco di spunti storici: a metà salita si incontra un ripiano, chiamato nell’antichità dagli abitanti di Sant’Ambrogio “Pian Cestlet” e “Piasa Buè” dagli abitanti della Chiusa San Michele. Su questo ripiano si trova l’antica chiave di confine tra i comuni scolpita nella roccia. Più in alto una spaccatura orizzontale fu usata come nascondiglio dai partigiani della zona negli anni del secondo conflitto mondiale. Ancora sopra si incontra un altro sentiero, che nell’antichità collegava gli abitati di San Pietro e Chiusa passando su una cengia identificata dal toponimo “U Saut du Cin”. Affascinante dicevamo, ma anche piuttosto impegnativo con i suoi 600 metri di dislivello che in una domenica di bel tempo è anche rallentato dal numero di frequentatori. Questo percorso ha però un grande vantaggio: quello di offrire due possibili varianti a due quote differenti, che consentono, in caso di problemi o semplicemente in caso di

stanchezza, di prendere un sentiero e tornare a valle. Un paio di accompagnatori hanno saggiamente scelto questa soluzione per prudenza, vedendo allungarsi troppo il tempo richiesto per la salita. La maggior parte è invece arrivata al termine della ferrata con grande soddisfazione, ammirando la Valle di Susa e raggiungendo e contornando le antiche mura dell’Abbazia della Sacra. Un altro bel momento da annoverare tra le uscite del corso di AG 2013.

CAI Tortona

ATTIVITÀ SEZIONE

La fine dell’inverno è stata generosa di neve anche sull’Appennino della Val Curone e quindi molti soci della Sezione di Tortona hanno potuto effettuare escursioni con sci e racchette in varie località, soprattutto nell’area del Monte Ebro, sostando al Rifugio Ezio Orsi per una piacevole pausa o per il pernottamento. Le avversità atmosferiche della primavera hanno talvolta imposto modifiche al programma ma sono state effettuate ugualmente alcune interessanti escursioni anche in località alpine. Sono stati organizzati alcuni incontri divulgativi presso la sede della Sezione con lo scopo di aggiornare i soci presenti relativamente alle tecniche di progressione su ghiacciaio. L’interesse e la partecipazione sono stati molto elevati e i soci che non hanno mai praticato la specifica attività hanno ora sufficienti elementi per valutare la propria eventuale iscrizione ai corsi della scuola intersezionale. Una serata è stata dedicata all’accoglienza di alcuni soci di altre Sezioni impegnati nel percorso della Via Francigena ed alla proiezione di filmati e fotografie inerenti varie attività alpinistiche soprattutto nel gruppo del Monte Bianco. La sede della sezione, anche se parzialmente inagibile a causa di un guasto idrico, ogni giovedì sera è animata da molti soci che in un sincero clima di amicizia e simpatia si scambiano esperienze e programmi. Si invitano tutti gli appassionati della montagna a condividere questi semplici ma autentici momenti di unione e cordialità.


6 Caratteristiche e segreti della fauna che vive in montagna

ARRAMPICARE COME... STAMBECCHI E CAMOSCI In estate in montagna molti appassionati si dedicano alle escursioni, altri hanno la possibilità di aggiungere qualche difficoltà e quindi qualche passo di arrampicata e pochi riescono ad arrampicare dedicando a questa disciplina la maggioranza del proprio tempo. Arrampicare con una certa disinvoltura prendendosi gioco del vuoto ed ottenere prese improponibili da appigli insignificanti è oggi possibile anche grazie ad una vastissima disponibilità di attrezzature. Ma nelle escursioni estive in montagna è sempre possibile l’incontro con stambecchi e camosci che arrampicano per tutta la vita iniziando già qualche ora dopo la nascita, facendo uso solo di quanto hanno ottenuto dalla natura. Talvolta questi animali sostano a lungo nei pendii più ripidi anche nel periodo invernale dove l’accumulo di neve è più contenuto ed è quindi possibile individuare povere fonti di cibo. La natura ha infatti fornito al camoscio ed allo stambecco zampe particolarmente adatte alla vita verticale. Gli arti dello stambecco sono particolarmente idonei all’arrampicata poiché terminano con zoccoli costituiti da un materiale molto elastico e relativamente morbido; essi sono inoltre facilmente divaricabili. Nella parte posteriore del piede sono presenti due escrescenze cornee, detti speroni, sufficientemente robuste per sfruttare ogni minima sporgenza rocciosa; esse sono anche utili per frenare al termine dei salti sul terreno in pendenza. Gli stambecchi percorrono i versanti più ripidi con ostentata sicurezza che osservarli con un binocolo può farti credere che sia possibile rubare loro qualche segreto. È inutile, devi accontentarti di guardare. Ma continuando a guardare non può sfuggire un secondo aspetto dell’arrampicata dello stambecco: la calma e la lentezza. Questi animali sembrano non curarsi del pericolo di precipitare ma, se non sono disturbati, procedono sempre con una certa lentezza. E proprio queste caratteristiche consentono agli stambecchi di arrampicarsi anche sugli sbarramenti frontali delle dighe soprattutto se essi sono molto grezzi o rivestiti in pietra e più raramente sulle costruzioni militari in quota alla ricerca degli affioramenti salini. C’è poi un terzo ed affascinante aspetto: lo stambecco non segue quasi mai la via più breve e, soprattutto il maschio, ama raggiungere posizioni dominanti, quasi sempre a strapiombo, passando tra i massi, sottraendosi alla vista per qualche istante. Molte volte esso sembra essere scomparso, lo attendi a destra e lui riappare a sinistra e viceversa, oppure non lo rivedi più ma nel momento in cui credi che sia andato altrove, eccolo che ritorna e con un ultimo salto raggiunge il punto più alto dove infine il maschio assume sempre una posizione statuaria. Se lo stambecco è intimorito da un predatore o dall’uomo, procede meno lentamente, ma se sosta su una parete rocciosa non si affanna mai nella fuga poiché è consapevole dell’asprezza del territorio, quasi impossibile per uomini e predatori. Anche nel periodo degli amori lo stambecco continua a frequentare prevalentemente i dirupi dove sfida i rivali sommando le fatiche della lotta con le difficoltà connesse all’ambiente. Per vedere fuggire di corsa un branco di stambecchi è necessario sorprenderli nei pascoli in quota ed

essi, soprattutto se sono presenti femmine e piccoli, fuggono con una corsa abbastanza veloce verso la più vicina parete rocciosa dove, confidando nella vista molto efficace e nelle difficoltà ambientali, sono sostanzialmente al sicuro. Il camoscio apparentemente condivide il territorio con lo stambecco anche se in realtà esistono delle differenze importanti. Anche l’arrampicata del camoscio è differente rispetto a quella dello stambecco. Gli zoccoli del camoscio sono più allungati, ben divaricabili analogamente a quelli dello stambecco ma maggiormente adattati alla progressione sulla neve per la presenza di una suola. La punta degli zoccoli è più o meno acuta in relazione all’ambiente frequentato che a sua volta può causare una maggiore usura mentre il bordo laterale è spigoloso ed elastico, adatto alla presa anche su sporgenze rocciose ridottissime. La parte centrale è più morbida e liscia e favorisce l’aderenza sulle superfici uniformi e levigate come per esempio le superfici rocciose percorse dai ghiacciai. Anche il camoscio è dotato di speroni, utili soprattutto al termine dei salti verso il basso per favorire la frenata. La progressione del camoscio è molto diversa da quella dello stambecco. Il camoscio è osservabile principalmente in tre momenti: mentre si alimenta nelle radure tra i boschi e nei pascoli oltre il limite della vegetazione oppure tra le rocce più elevate soprattutto nel periodo estivo o durante una fuga im-

provvisa allarmato dall’arrivo dell’osservatore. Se l’animale non percepisce la presenza umana o di un predatore, pascola tranquillamente anche se mantiene un livello di attenzione molto alto poiché frequenta spesso anche ambienti non spiccatamente rocciosi e quindi facilmente accessibili ai predatori. Sorpreso, si dilegua molto rapidamente seguendo un percorso inizialmente orizzontale, interrotto ben presto talvolta da una discesa precipitosa o più spesso da una veloce salita quasi sempre seguendo la linea di massima pendenza. Nella fuga il camoscio è sempre molto veloce, talvolta si abbandona ad una corsa sfrenata, ma anche molto sicuro nei movimenti; riesce a correre in salita percorrendo pendii ripidissimi saltando da un masso all’altro e galoppando sui ghiaioni. Può saltare verso il basso anche nelle pareti

rocciose molto ripide. In qualche caso, il camoscio scende dai pendii innevati scivolando verso valle ma è capace di interrompere la discesa ed iniziare a correre all’improvviso nella direzione opposta. Solamente nel periodo degli amori il camoscio modifica le proprie abitudini e soprattutto il maschio è più attento all’arrivo di un rivale che di un essere umano. Gli altri maschi vengono respinti con decisione anche con lunghi inseguimenti che obbligano il soggetto dominante ad abbandonare, anche se brevemente, le femmine. Queste ultime, quando sono costrette ad allontanarsi, sembrano poco desiderose di fuggire ed apparentemente preferiscono attendere il ritorno del maschio spostandosi brevemente. La differenza tra la fuga dello stambecco e del camoscio è dovuta all’ambiente frequentato: lo stambecco vive quasi esclusivamente tra le pareti rocciose anche in inverno mentre il camoscio è molto meno esigente e scende, soprattutto in inverno, all’interno del bosco. Le abitudini del camoscio rendono l’animale più vulnerabile e per questo motivo esso fugge sempre precipitosamente sollevando la breve coda in segno di allarme. In un certo senso, riuscire ad osservare a lungo i camosci nel loro ambiente può essere motivo di soddisfazione anche in relazione alla elevatissima soglia di attenzione dell’animale, sempre estremamente vigile e pronto alla fuga. È ancora da segnalare che le informazioni ora esposte sono relative ad animali che vivono in ambienti poco frequentati. Nelle aree protette, soprattutto in alcune località raggiunte ogni anno da moltissimi escursionisti, gli stambecchi sono molto confidenti anche perché hanno imparato che gli escursionisti consumano alimenti molto salati e quindi particolarmente graditi a questi animali. Anche i camosci accantonano in parte la propria diffidenza e possono farsi avvicinare fino a qualche metro. Riuscire ad avvicinare un animale selvatico divenuto molto confidente può essere attraente; è però importante ricordare che esso può interpretare erroneamente un movimento dell’osservatore o giungere a pretendere l’offerta di cibo come talvolta è avvenuto con le volpi, divenendo ostile e pericoloso soprattutto in presenza di bambini. Non deve mai essere offerto cibo agli animali poiché essi devono procurarsi gli alimenti in natura mantenendo in questo modo la propria rusticità.


PROGRAMMA ATTIVITAʼ ALESSANDRIA ESCURSIONISMO 6-7 LUGLIO 14 LUGLIO

30 AGO-2 SETT 15 SETTEMBRE 29 SETTEMBRE

13 OTTOBRE

20 OTTOBRE

WEEK END PER FAMIGLIE IN VAL VENY D.G. Astori, Avalle COLLE BATTAGLIONE AOSTA 2883 m (Val Ferret) dallʼAlpe Prà Sec 1600 m (EE) D.G. Colla, Penna TREKKING IN VAL DI FASSA (EE) D.G. Accornero, Fei, Modica CIMA SASSO 1916 m (Val Grande) da Cicogna (EE) D.G. Lagostina, Torti GIRO DEI 3 PASSI IN ALTA VAL FORMAZZA Riale, Passo S. Giacomo, Capanna Corno Gries, Passo del Corno, Passo Gries, Riale (E) D.G. Rosina, Torti, Visconti ANELLO DEI LAGHI DI FREMAMORTA 2429 m - da Terme di Valdieri 1368 m (E) D.G. Barbieri, Moscato CASTAGNATA AL MOLINO NUOVO

CASALE ESCURSIONISMO 7 LUGLIO 7-21 LUGLIO 21 LUGLIO 1 SETTEMBRE 5-14 SETTEMBR 15 SETTEMBRE 19-28 SETTEMB 13 OTTOBRE

27 OTTOBRE

ALPINISMO 21 LUGLIO

BREITHORN OCCIDENTALE 4165 m da Plateau Rosà 3455 m (F) D.G. Astori, Avalle, Brunoldi

ACQUI TERME ESCURSIONISMO 7 LUGLIO 8 LUGLIO 21-28 LUGLIO 4 AGOSTO 18-21 AGOSTO 25 AGOSTO 1 SETTEMBRE 14-15 SETTEMB 6 OTTOBRE

MONTE ALBRAGE E MONTE BELLINO PASSEGGIATA PIROTECNICA CORVARA (Trentino Alto Adige) MONTE GIMONT E CIMA SAUREL 2646 m ENTRACQUE - VALLE DELLE MERAVIGLIE TESTA GRIGIA 3313 m SUI SENTIERI DI NANNI ZUNINO GRAN TRAVERSATA DELLE GRIGNE 2409 m PONZONE PER IL 150° (prima edizione)

ALPINISMO 13-14 LUGLIO 21-28 LUGLIO AGOSTO NOVEMBRE

MONTE ROSA - TRAVERSATA DAL RIFUGIO SELLA AL RIFUGIO MANTOVA CORVARA (Trentino Alto Adige) ARRAMPICATE IN VALPELLINE ACONCAGUA 6962 m - Spedizione Alpinistica

SIMPLON DORF - BIVACCO LAGGIN (E) Org. Piotto, Rossi ALLA SCOPERTA DELLʼISLANDA A cura di F. Capra e G. Demichelis LAGO DELLʼINCLOUSA - BIVACCO REGONDI (E) Org. Bobba ANELLO COMBOÈ - ARBOLLE - CHAMOLÉ (E) Org. Leporati CAMMINACAI 150 - DA SARZANA A SIENA BIVACCO MOLINO - VALLI DI LANZO (E) Org. Capra, Demichelis CAMMINACAI 150 - DA SIENA A ROMA LA TRADIZIONALE CASTAGNATA: ANELLO RONCO CANAVESE - VALPRATO SOANA (E) Org. Piotto, Rossi QUARONA - MADONNA DEL SASSO (E) Org. Piotto, Nosenzo

ALPINISMO 7 LUGLIO

CORNO BIANCO VALSESIANO da Rif. Carestia (F) Org. Mazzuccato 8 SETTEMBRE MONTE CRESTO DALLA BOCCHETTA DEL CANABÀ (PD) Org. Ferrero

CICLOESCURSIONISMO 14 LUGLIO

RISALENDO LA VALLE DʼAYAS: DA CHALLAND S. ANSELME AL RIFUGIO CASALE (MC/MC) Org. Mazzuccato, Bobba 15 SETTEMBRE GIRO DEL MONTE SION (MC/MC) Org. Bardone 13 OTTOBRE DA SCIARBORASCA A PRÀ RIONDO (MC/BC) Org. Ferrero

ALPINISMO GIOVANILE Gruppo guide 13 LUGLIO SAINT VINCENT attendamento 15 SETTEMBRE PUNTA MARTIN escursione “alpina” 6 OTTOBRE CASALESE uscita MTB

VALENZA

MTB 13 OTTOBRE

GIRO DEI TRE BRICCHI

ESCURSIONISMO 5-8 LUGLIO

TO R TO N A MTB 21 LUGLIO

MONTE CHABERTON

ESCURSIONISMO 27-28 LUGLIO

DUE GIORNI AL MONVISO - RIF. Q. SELLA Commemorazione 150 anni del CAI

ALPINISMO 31 AGO -1 SETT

CAPANNA MARGHERITA 4554 m DAL RIFUGIO MANTOVA

14 LUGLIO 1 AGOSTO 13-14 AGOSTO 1 SETTEMBRE 15 SETTEMBRE 21-26 SETTEMB 6 OTTOBRE 20 OTTOBRE

OVADA ESCURSIONISMO 6-7 LUGLIO 13-22 LUGLIO 21 LUGLIO 26-29 LUGLIO 10 AGOSTO

WEEK END IN VAL BELLINO Rif. Melezè (EE) Org. Cartasegna, Ferraro TUTTI IN BAITA IN VAL VENY (E) Org. Icardi, Stiber BECCA DI PUGNENTA m 2827 - Valle dʼAosta (EE) Org. Mazzino ALPI OROBIE - RIFUGIO CURÀ (E) Org. Cons. Direttivo FIACCOLATA NOTTURNA A SAN LORENZO (T) Org. Piana, Piccardo

DOLOMITI (DA RIFUGIO A RIFUGIO) GIRO DELLA MARMOLADA ALAGNA VALSESIA - RIFUGIO FERIOLI UNA NOTTE AL RIFUGIO CARESTIA DUE NOTTI IN RIFUGIO (Chalet de lʼEpèe - Benevolo) RIFUGIO PERUCCA (Valtournenche) MONTE LOSETTA (Chianale) LA CAMARGUE - PARC DU LUBERON BICICLETTATA E CAMMINATA SULLE NOSTRE COLLINE FAIALLO - MONTE RAMA - LERCA

SAN SALVATORE ESCURSIONISMO 7 LUGLIO 14 LUGLIO 28 LUGLIO 15 AGOSTO 25 AGOSTO 8 SETTEMBRE 21-22 SETTEMB 13 OTTOBRE 27 OTTOBRE

GUGLIA ROSSA (Valle di Susa) (EE) PUNTA DELLA CROCE (Valle di La Thuile) (E) TREKKING IN VALLÈE BLANCHE (EE) CONCERTO DI FERRAGOSTO (E) ALTA LUCE (Valle di Gressoney) (E) RIFUGIO MASSERO (Carcoforo) (E) RIFUGIO V. SELLA (Val di Cogne) (E) CASTAGNATA GITA SOCIALE


8 Una giornata, una vetta…

TÊTE ENTRE DEUX SAUTS m 2729

Val Ferret

Tra il vallone Arminaz ed il più celebre vallone di Malatrà, tributari di sinistra della val Ferret, si eleva la Tête Entre Deux Sauts, cima dal nome singolare che costituisce un punto panoramico di prim'ordine. L'itinerario che raggiunge la vetta si sviluppa interamente al cospetto delle Grandes Jorasses, con la Punta Walker che riveste il ruolo di nobile dirimpettaia alla nostra meta. Il panorama che si gode dal punto culminante è indubbiamente straordinario, dal momento che è possibile cogliere con un solo sguardo l'intero versante valdostano del gruppo del Monte Bianco, che mostra tutte le sue cime più famose: mentre sulla testata della val Ferret s'eleva il Mont Dolent, dal lato opposto le lingue del ghiacciaio del Miage e della Brenva scendono dai 4806,80 m (ultima misurazione) del tetto d'Europa verso la val Veny. L'Aiguille Noire de Peuterey, pinnacolo in stile gotico, e le cuspidi del Maudit e del Tacul contornano il gigante, che mostra il suo curioso dente quasi a scoraggiare chi medita di violarlo. Dalla Tête si possono inoltre scorgere il Crammont e la Testa delle Tronche, altri balconi sui graniti del Bianco meritevoli di visita. L'itinerario si svolge interamente su sentiero, poco evidente soltanto nel primo tratto tra il passo Entre Deux Sauts e l'omonima Tête. Caratteristiche dell'escursione Dislivello: 1040 m circa Esposizione: percorso ad anello, con tratti rivolti in modo variabile ai quattro punti cardinali. Difficoltà: E

rato il limite del bosco, perviene al rifugio Walter Bonatti (2025 m). Tenendo la suggestiva costruzione a sinistra, si prosegue lungo il vallone dirigendosi verso l'Alpe Malatrà superiore (2213 m), in prossimità della quale il sentiero appare inerbito; tuttavia, mantenendosi a destra dell’alpeggio, presto ci si ritrova su percorso evidente. Si risale a lungo, con pendenza graduale, il vallone di Malatrà, fino a quando il tracciato svolta nettamente a destra, mirando con decisione il passo Entre Deux Sauts, a quota 2524 m. Raggiunto il punto di valico, superata di una decina di metri la linea di displuvio, si lascia il sentiero principale e si sale verso destra per un’esile traccia, che una trentina di metri più in quota riprende le sembianze di un vero e proprio sentiero. Quest’ultimo s’inoltra presto nel versante sud Sulla cima sud-est, sullo sfondo del Monte Bianco

Il Gruppo del Bianco dalla vetta: a destra si nota il Dente del Gigante

della montagna, guadagnando rapidamente quota e raggiungendo infine la sommità della Tête Entre Deux Sauts, caratterizzata da due punti culminanti, uniti da una breve e ampia cresta erboso-detritica. All’estremità sudovest si nota un cippo di pietre ed una croce, mentre la cima nordest, che in verità sembra appena più alta, non presenta alcun segno che la contraddistingua. Ridiscesi al passo, si prosegue il percorso ad anello scendendo nel vallone Arminaz. Raggiunta quota 2270 m circa, si nota alla propria destra un sentiero minore, che porta verso l'Alpe Secheron superiore (2250 m): alcune indicazioni (segni gialli) ne facilitano l’individuazione. Raggiunto l’alpeggio, lo si supera e, camminando sempre su esile sentiero tra praterie interrotte da alcune colate detritiche, raggiunta quota 2140 m circa, si confluisce finalmente su un tracciato più evidente. La si segue, ignorando un centinaio di metri più a valle la variante per Arminaz che si stacca a sinistra; ritornati nel bosco, si perviene finalmente a Secheron. Da quest’ultima località, si segue un’evidente carrareccia fino a 1845 m circa, dove ci si ricongiunge al percorso dell’andata, chiudendo l’anello. Un’ultima decisa discesa tra i larici riporta infine al parcheggio. Claudio Trova Sulla cima sud-est, sullo sfondo della Val Veny (a destra)

Descrizione del percorso Con un po’ di fortuna si può parcheggiare l’auto su un piccolo spiazzo a 1695 m a monte di La Vachey o Lavachey. Soprattutto nell’alta stagione e nei giorni festivi non è tuttavia infrequente che i pochi posti disponibili siano occupati: in questo caso occorrerà lasciare i mezzi motorizzati proprio a La Vachey, non essendo consentito il parcheggio ai lati della carrozzabile. In qualunque caso occorrerà raggiungere lo spiazzo a 1695 m, da dove s’inizia a camminare per il sentiero 107, l’attacco del quale si trova poco a valle dello slargo; occorre fare attenzione a non seguire il sentiero che inizia invece a monte del parcheggio, presso una casupola, che s’identifica con un tracciato più lungo. Il sentiero s’inerpica ripido nel lariceto, lascia a destra il bivio per Secheron e, supe-


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