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Suoni e visioni

Edgar Degas, Ballerine dietro le quinte, 1899.
di Luca Ciammarughi
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«Vedere sorgere il sole è più utile per un compositore che ascoltare la Sinfonia “Pastorale” di Beethoven»: così affermava, con vena provocatoria, Claude Debussy. Non ci aspetteremmo da Felix Mendelssohn Bartholdy pensieri simili, eppure, alla fine del suo viaggio in Italia, egli disse: «La musica, non l’ho trovata nell’arte stessa, ma nelle rovine, nei paesaggi, nella gaiezza della natura». La Sinfonia n. 4 non cita melodie italiane, ma evoca piuttosto l’atmosfera complessiva del “paese dei limoni” che incantò l’amburghese.

Lucien Lévy-Dhurmer, L'Après-midi d'un faune, 1910. Pastello
Il caso di Musorgskij è diverso, perché l’ispirazione originaria per i Quadri di un’esposizione derivò da una mostra di acquerelli e disegni del defunto amico pittore Victor Hartmann: eppure, la musica del russo si fa espressione di una forza primordiale estranea a ogni forzata civilizzazione, al punto da travalicare completamente sia l’idea di “arte al quadrato” che di “musica a programma”.

Wassily Kandinsky, La grande porta di Kiev, XVI
Sebbene le tre composizioni che ascoltiamo stasera facciano riferimento, in modi diversi, alla natura e a elementi paesaggistici, nessuna di esse si ferma alla descrizione, ma cerca piuttosto di evocare i sentimenti e i simboli provocati da una visione. È questo il motivo principale dell’impossibilità di relegare la musica di Debussy nella pur fortunata definizione di “impressionismo”: essa non si limita a trasferire in ambito sonoro l’anti-accademismo dei pittori intenti a cogliere en plein air la verità del paesaggio e della luce, ma spalanca un mondo onirico altrimenti irrappresentabile, che si spinge fino all’estasi e all’angoscia. E non è certo casuale che fra i compositori che ispirarono Debussy ci fosse proprio Musorgskij, e in particolare il Boris Godunov, di cui il francese fu tra i primi a cogliere la visionaria modernità.