Alle radici di una Chiesa 50 anni INSIEME, per ripartire a S. Agostino di Livorno
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
Sommario Maggio 2008
ANNI ‘80 (Noi) insieme pp. 64-77
PRIMO PIANO pp. 4-11
I giovani e la parrocchia. Le esperienze dei nuovi cappellani. I tempi d’oro di «Noi Insieme». Interviste a cinque
ANNI ‘50 La chiesina pp. 12-25
L’avvio delle attività nella parrocchia il 9 giugno 1957. La costruzione di una comunità. Interviste a monsignor Pier Luigi Betti e Maria Grazia Ghezzani
ANNI ‘60 La nuova chiesa pp. 26-47
La costruzione della nuova chiesa. Le suore Venerini. La posa della prima pietra e la Consacrazione. Interviste a Pier Luigi Mazzetti e Mauro Solari
sacerdoti, ex chierichetti
ANNI ‘90 Nuovi percorsi pp. 78-93 L’arrivo di don Luciano Cantini. L’allargamento delle attività della Caritas. La ripresa dell’AC. Intervista a
don Luciano Cantini
2000 Verso il futuro pp. 94-107
Nuove prospettive per il domani. L’anno traboccante di grazia del parroco don Vittorio Vital
ANNI ‘70 Sull’onda del Concilio pp. 48-63
L’arrivo del nuovo cappellano, la nascita di «Noi Insieme». Il gruppo chierichetti e le attività dei giovani. Intervista a monsignor Paolo Razzauti
Parrocchia di S. Agostino Piazza Aldo Moro, 2 57126 Livorno - tel. e fax. 0586.801522 Il logo del Cinquantennio è realizzato da Paolo Nobili
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CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
Alle radici di una Chiesa,
50 anni insieme, per ripartire
a S. Agostino di Livorno
Pubblicazione a cura di: Gianluca della Maggiore - gianluca.dm@tiscali.it Progetto grafico, impaginazione, acquisizione fotografica sono realizzate dal curatore Ove non firmati i testi sono scritti dal curatore © 2008 Gianluca della Maggiore, Livorno I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compreso microfilm o copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi.
Stampa realizzata da: EDITASCA s.a.s. - Via del Littorale, 86 - 57128 Livorno Tel. e Fax 0586.580580 - editascalivorno@libero.it
Il calendario dei festeggiamenti 9 gennaio
28 aprile
Il Consiglio Pastorale Parrocchiale approva l’idea delle celebrazioni per l’anniversario e costituisce una «Commissione per il Cinquantennio» che avvia i lavori il 12 gennaio
Assemblea parrocchiale presieduta dal vescovo monsignor Simone Giusti La comunità parrocchiale oggi con le sue articolazioni
«Queste pagine non vogliono essere la cronaca della parrocchia di S. Agostino, né tanto meno la storia critica di mezzo secolo della sua esistenza e neppure una raccolta di fatti edificanti ivi successi, ma più semplicemente un rivivere insieme questi anni raccontandoci per testimoniare lo Spirito e fare memoria. Altri ne trarranno vantaggio per scrivere le loro pagine, i loro documenti, ma noi vorremmo trarne motivo per scrivere in futuro, con i sogni e i talenti dei nostri giovani, pagine ancor più piene di vita, di amore e di servizio secondo l'annuncio del Vangelo». don Luigi Zoppi
2 maggio 22 febbraio Dialoghi sulla Parrocchia «Fare memoria, alcuni criteri per una accurata riflessione storica». Incontro con il prof. Riccardo Burigana (storico, direttore CEDOMEI Livorno)
24 febbario/2-9 marzo Domeniche di Quaresima. Testimonianze di carità in parrocchia dagli inizi ad oggi
Dialoghi sulla Parrocchia Testimonianze dei giovani di ieri: «Dalla parrocchia di S. Agostino al mondo» con Stefano Semplici e don Andrea Brutto
4 maggio
40° ANNIVERSARIO DELLA CONSACRAZIONE DELLA CHIESA DI S. AGOSTINO ore 10.30: S. Messa concelebrata dal
Vescovo Emerito Mons. Alberto Ablondi e dal Vicario Generale mons. Paolo Razzauti
5 aprile La festa con i "nostri" sacerdoti e religiosi Ore 18: Celebrazione Eucaristica celebrata da don Pier Luigi Betti insieme alle «vocazioni» nate in parrocchia e ai sacerdoti che sono stati con noi in questi anni
16 maggio «I giovani sulle orme di S. Agostino» Riflessioni e animazione dei giovani sull'attualità del «giovane» S. Agostino
24 maggio 27 aprile
ore 10.30: S. Messa celebrata da S. E.
Mons. Simone Giusti, Vescovo di Livorno Inaugurazione della Mostra del Cinquantennio della parrocchia
ore 19.00: S. Messa in
ricordo dei Defunti della parrocchia - buffet break Serata Cinquantennio: immagini, ricordi, musica.
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Monsignor
Primo piano
Giusti
«Siate una comunità che fa incontrare Cristo!» Per una parrocchia che trabocchi d’amore L’omelia della celebrazione del 27 aprile 2008, prima visita del vescovo monsignor Simone Giusti a S. Agostino. «Il segreto non è avere comunità dove si parla di Cristo, ma comunità dove si incontra Cristo e lo si fa incontrare. Il primato di tutto è nell’Eucarestia»
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hissà se lo sapeva monsignor Simone Giusti che le sue parole così infuocate e luminose della sua prima visita ufficiale da Vescovo di Livorno a S. Agostino si cucivano così bene ad agghindare a festa il mezzo secolo di storia di questa parrocchia. E no, non poteva saperlo, lui arrivato in città da poco più di quattro mesi, non poteva conoscere a fondo l’itinerario «tra le case degli uomini» di una parrocchia nata in un giorno di Pentecoste del ‘57, sospinta dal soffio entusiasmante dello Spirito. Ma è proprio la storia dello Spirito la bussola delle parole di Giusti nell’omelia. Storia sua personalissima eppure storia di tutti. Di tutti quelli che si lasciano sfiorare dal tocco silenzioso di Dio e poi sospingere dal vento impetuo4
«In quelle tre ore di Adorazione eucaristica, Dio cominciò a dirmi un sacco di cose. E mi accese il cuore di un fuoco incontenibile»
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
so dello Spirito verso mete sconosciute. Come fecero don Betti e tutti quelli che con lui collaborarono cinquant’anni fa alla costruzione di una parrocchia e di una comunità in un quartiere in piena espansione senza avere mezzi a disposizione. Un salone al rustico, vuoto e senza intonaci, in mano solo la fiducia completa che lo Spirito in qualche modo avrebbe provveduto. Giusti racconta un episodio risalente al 1972. Allora non pensava nemmeno lontanamente al seminario. «Con un amico ero andato ad Assisi ad assistere ad un incontro di padre Ernesto Balducci dice - e per qualche giorno trovammo ospitalità dalle suore della comunità di Carlo Carretto a Spello». Una comunità completamente affi-
data alla Provvidenza («se c'era qualcosa in casa si mangiava, se non arrivava niente non si mangiava»). Durante la mattina i lavori in aiuto ai poveri della zona poi il pomeriggio la sorpresa. «Suor Madeleine ci disse: ‘la proposta che vi faccio ora è quella di fare tre ore di Adorazione eucaristica’. Ricordo ancora che le dissi senza troppi peli sulla lingua: ‘e io che ci faccio per tre ore lì davanti?’». Ma era proprio lì che lo Spirito gli aveva dato appuntamento: «La suora mi guardò bene bene negli occhi e mi disse ‘devi semplicemente star fermo in silenzio e in ascolto’. E mi insegnò la preghiera del cuore: ‘stai lì davanti e ripeti semplicemente quella che è la fotografia di te stesso: Signore Gesù abbi pietà di me peccatore. Sincronizza questa frase con il tuo respiro e cerca di riposare la tua mente in Dio, poi se il Signore vorrà dirti qualcosa, te lo dirà Lui, attraverso il Suo Spirito. Lui ti farà capire e comprendere mille cose’». Il Vescovo apre tutto il suo cuore: «Quel pomeriggio non lo
dimenticherò mai. Una cappellina intima e raccolta, un'icona su una piccola pietra e un piccolo ostensorio con il Santissimo esposto. All'inizio mi introdussi nel silenzio come quando un bimbo va in bicicletta la prima volta: timoroso, piano piano, con la paura di cadere. Poi ad un certo punto entrò il silenzio della mente e la voce del cuore. Dio incominciò a dirmi un sacco di cose. E mi accese il cuore di un fuoco incontenibile, dandomi al tempo stesso una chiarezza lapalissiana su molte cose. E in quelle tre ore che tante decisioni della mia vita sono maturate: soprattutto quella di uno stile cristiano
autentico: il distacco dai soldi, da tante cose futili e una dedizione totale a Dio, la volontà di stare almeno un'ora al giorno con lui. Per i Suoi disegni fu un giorno indimenticabile. Quel giorno Gesù smise di essere un'idea in cui credevo e diventò una persona reale. Questo è lo Spirito Santo». L’azione trasformante dello Spirito, Giusti l’ha vista poi all’opera un sacco di volte. Specie coi giovani. Come quella volta in campeggio in Valtellina: «Al termine di una giornata intensa - racconta facemmo un’ora di Adorazione da mezzanotte alle una. E mi vidi poi arrivare un ‘nottolone’ altro due metri che piangeva come un bambino, perché in quella serata davanti al Tabernacolo spalancato qualcosa di importante era successo. Molti di questi ragazzi erano stati accarrezzati dal buon Dio». Ed ecco il messaggio forte di monsignor Simone Giusti per la comunità in occasione di questo Cinquantennio: la conoscenza vera dello Spirito Santo rende evidente la presenza di Dio in un modo a cui è impossibile sfuggire. Il fuoco che infiamma le nostre azioni deve essere uno solo. «In questi miei 25 anni di sacerdozio - dice - ho visto che il segreto non è avere parrocchie dove si parla di Cristo, ma avere comunità dove si incontra e si fa incontrare Cristo». «Quando un giovane incontra davvero il Signore non può non inna-
In queste due pagine, alcune
immagini della celebrazione di monsignor Simone Giusti, il 27 aprile 2008
«E’ l’amore che ti dà la forza di donarti, ti fa vincere ogni sacrificio, ti fa diventare creativo nella carità, nel dono, nell’amicizia»
morarsene. Se una persona in parrocchia ci trova Cristo ne rimane infuocato e non scappa più via. Se non c’è questo fuoco, se non c’è Cristo rischiamo di essere solo delle organizzazzioni sociali e benefiche. Manca il nostro centro propulsore. Perché la differenza la fa tutta lo Spirito. Il segreto è avere comunità che ti fanno fare esperienza dello Spirito e ti fanno conoscere Cristo. E allora ti si spalanca un amore senza limiti, un amore che ti copre, ti coccola, ti prende. Com’è possibile sfuggirgli?» Nelle parole di Giusti tutto il senso di una missione parrocchiale: «Se manca l’amore in una parrocchia tutto è freddo. E’ l’amore che ti dà la forza di donarti, che ti fa vincere ogni sacrificio, che ti fa diventare creativo nella carità, nel dono, nell’amicizia. Solo chi è trasportato realmente dal Vangelo diventa instancabile annunciatore di Gesù. In una parrocchia ribadisce il Vescovo - tutto parte dall’incontro con Cristo. Il primato di tutto è nell’Eucarestia».
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Monsignor
Primo piano
Ablondi
Con la «chiesa», verso una «Chiesa»:
per camminare con Gesù
L’omelia della celebrazione del 4 maggio 2008, anniversario della Consacrazione di S. Agostino. «Siete riusciti a creare un edificio con linee architettoniche e spazi opportuni per offire accoglienza ai bisognosi di pane e di Parola» DARSI UNA CHIESA PER RENDERE PRESENTE CRISTO La festa di oggi ci fa incontrare due parole che sembrano sinonimi. Ma per distinguerle basta aggiungere ad ognuna di esse un diverso articolo. Quando dico «la» Chiesa, mi riferisco a quella comunità che vive e presenta la salvezza. Quando invece dico «una» chiesa indico un tempio, sempre pieno di Dio, ma costruito dagli uomini, che rende presente il Cristo. Quello che noi oggi vogliamo celebrare è appunto questa chiesa che deve riprodurre in mezzo a noi l’immagine del Salvatore. FAR INCONTRARE CRISTO ANCHE NEL SUO CORPO In cinquantanni di cammino fatti da una Comunità per darsi «una» Chiesa, perché questa possa rendere presente Cristo, dovrà presentarlo, anzitutto, nella sua corporeità. E’ una parola «vasta» questa e deve riprodurre la corporeità del Cristo nell’avere un suo territorio, nel proporre anche linee architettoniche sintonizzate con l’ambiente. Inoltre del territorio deve esse6
re presente al pulsare della vita che cresce, deve essere attenta alla sofferenza del malato, deve usare un linguaggio comprensibile alle diverse culture. Ebbene tutti questi elementi sono la corporeità della Chiesa che rappresenta in mezzo a noi la corporeità del Cristo. Caro monsignor Betti e caro architetto Chini, siete riusciti a creare un edificio con linee architettoniche e spazi opportuni per offrire accoglienza ai bisognosi di pane e di Parola. Questi, sempre presenti alla vita della Chiesa, nei tempi di grazia del passato trovavano diritto d’asilo nei luoghi sacri. Questi poveri che nella storia della parrocchia hanno insegnato il valore della carità soprattutto attraverso quel simbolo vivente e sofferente di Carletto. L’indimenticabile Carletto che anche da adulto con un corpo deformato di bambino, era ridotto alla rigidità di un pezzo di legno, per cui quando non stava
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
ABLONDI E S.AGOSTINO Sopra, celebrazione del Corpus Domini sul viale dei Pini il 1 giugno 1972 Pagina accanto, monsignor Ablondi, ancora vescovo ausiliare, di monsignor Emilio Guano, il giorno della Consacrazione della chiesa il 4 maggio 1968
a letto era costretto ad appoggiarsi ad un muro. La sua vita era la finestra, dalla quale spiava anche il passaggio del parroco e scrutava la presenza del Vescovo. I quali non potevano accontentarsi di un cenno di saluto ma dovevano entrare in casa dove lui li accoglieva con un volto dolce e disteso da un soddisfatto sorriso. CON CRISTO LA PARROCCHIA È CATTEDRA D’AMORE Un’altra dimensione che si impone alla contemplazione del corpo di Cristo incarnato in una Chiesa è l’essere Chiesa e insieme Cattedra, l’unica al mondo che insegna l’amore. E in una Chiesa l’amore non diventa un’astrazione, non si riduce a sentimentalismo, non decade nella passione né nel potere. Allora amare con l’amore di Cristo significa portare tutte le persone ad una maturità affettiva e rendere possibile qualunque vocazione, la cui mancanza compromette ogni completezza umana. UN PARROCO CHE INSEGNA A RISPONDERE ALLA VOCAZIONE Caro monsignor Betti, per questa ricerca di maturazione allo scopo di educare tutte le vocazioni, ricordo le tante volte in cui mi chiamavi: per le mamme, per le vedove, per i fanciulli, per i fidanzati. Era questa l’educazione all’amore e, se vuoi, il segreto che ha colpito tutti noi di fronte alla crescita numerosa di vocazioni nella tua Parrocchia, io sono pronto a dire e a documentare che, non solo i trattati vocazionali e non solo i convegni sulle vocazioni e non solo le insistenze che circuiscono i giovani sono i segreti
delle nascite delle vocazioni. Caro Monsignor Betti la vocazione del Prete nasce soprattutto dalla vocazione del suo Prete, dalla sua gioia, dalla sua serenità, quando una vocazione non è offuscata dai discorsi superficiali, dalla critiche insolenti, dalla scontentezza permanente e corrosiva. Davanti a noi sta nascendo una Chiesa che ha il compito di liberare la fisionomia di Lui, per vedere il volto del Cristo la Chiesa non deve portare ferite ripugnanti di una flagellazione che continua o assenze tascurate. La sofferenza di un Parroco lo costringe a non accontentarsi mai dei presenti che si imboscano nella vita parrocchiale. IO SONO LA PORTA: DELICATO COMPITO DEL PARROCO? La Chiesa deve riprodurre l’immagine di Gesù, deve essere come Lui che si è definito «una Porta». Per evitare il vuoto delle assenze monsignor Betti si è messo sulla porta come il Buon Pastore ed io lo ritraggo in un episodio che mi è capitato molti anni fa. A un gruppo di persone che, con maliziosa curiosità, mi chiedevano quanti fossero i fedeli frequentanti a Livorno rispondevo: «non lo so, perché più che il numero dei presenti in Chiesa mi sta a cuore come ne escono colore che ci sono entrati». Ma rendere presente Gesù, in una Chiesa come quella di S. Agostino, significa presentare un serio cammino di evangelizzazione. Il Parroco infatti, e tanti laici con lui, frequentando la Chiesa, non si sono sgravati una tassa pagata alla al buon Dio o alla simpatia del Parroco. ANDARE A CRISTO ATTRAVERSO L’EUCARESTIA, CONTRO LE TANTE DEFORMAZIONI Essi ricevendo Cristo nei sacramenti dell’Eucarestia, nella Parola, nella Penitenza, hanno l’obbligo di andare nel mondo riconoscendo il diritto ad ogni uomo di offrire il Cristo che hanno ricevuto. Quante battaglie, caro Monsignor Betti, con i Parroci viciniori, in maniera che la catechesi non fosse una presa in giro e fatta di frequenze simboliche! I ragazzi della prima Comunione non dovevano accontentare le loro famiglie con una bella festa; mentre nelle domeniche successive avrebbero presentato solo un povero gruppo di «orfanelli» perché si pensa che i bambini della prima Comunione accompagnandoli alla mensa di una Chiesa conviviale sarebbero stati abbandonati dai loro genitori spesso analfabeti di ritorno dai valori cristiani. LA CHIESA CON I MURI NON MURATA: PER FARE COMUNIONE E’ cresciuta così la Chiesa sotto gli occhi di questi cinquant’anni ma, ringraziamo Monsignor Betti e parrocchiani tutti per aver dato risalto alle linee della fisionomia del Signore. Proprio queste linee vengono da Gesù e valorizzano persino i muri di una Chiesa. Facciamo in modo che non siano solo muri portanti ma di accoglienza e di accompagnamento in maniera che questi muri diventino solide soglie di comunicazione e di comunione. Dal momento che il Gesù che la Chiesa presenta è tutto Comunione, così fiorisca la comunione dei poveri coi ricchi, comunione tra famiglie e Chiesa Facciamo in sopratutto, lasciatemelo dire, come un augurio che traduce un impegno di tanta fatica, si crei finalmente la comunione tra le modo che i muri diverse Parrochie e tra Parrocchie e Diocesi.
siano muri
ANCHE LE CAMPANE, VOCE DI CRISTO, di accoglienza SUONANO L’AUGURIO PER IL FUTURO Ma poiché la chiesa è fatta anche di campane che danno voce al Signore, queste siano simbolo di una fusione armoniosa di che diventino parole e di opere come i loro armoniosi suoni. Questo itine- solide soglie rario in cui i monumenti, le strutture, la comunicazione e la comunione sono stati altrettanti tratti di disegno con i quali di comunione una parrocchia traccia per il mondo la figura di Cristo. Vorrei concludere con un augurio ispirato a valori divini e umani: e comunicazione sono elementi diversi tra di loro, ma la vita cristiana è fatta di ammirate sproporzioni. Allora voglio ricordare per questo sulla cattedra del celebrante la presenza di un cuscino di seta rossa. Cucito dalle mani della mamma del parroco, voleva essere segno dell’educazione familiare che ha fondato la vita sacerdotale di don Betti e nello stesso tempo voleva essere segno della necessaria collaborazione laicale alla vita della Chiesa. Ma sopra il cuscino, da allora ed oggi, dominante e ispirante l’immagine scultorea del Cristo Risorto. E’ bello e doveroso allora come augurio per una parrocchia che cammina oltre i 50 anni, che sappia sempre giudicare la sua condotta, la sua parola, le sue iniziative e le sue celebrazioni, con un unico metro. Questo ne assicura la validità umana e la santità divina nell’essere sempre capace, camminando con la sua chiesa e verso la sua Chiesa, di presentare il Cristo Risorto.
Monsignor Razzauti Una comunità profetica ed educante
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inquant'anni di storia servono per fare una verifica del cammino percorso e per lanciarsi in nuove e sempre più coinvolgenti prospettive. Possiamo definire la Comunità di Sant'Agostino una comunità educante e formativa, perché sin dal suo nascere ha visto crescere tante vocazioni laicali e sacerdotali religiose, sorte non per un caso ma certamente come frutto di una educazione ai valori dell'Eucaristia, della Parola di Dio e della Chiesa. Quella di Sant'Agostino è stata, ed è, una vera comunità dove i sacerdoti hanno il ruolo di guida e di maestri ed i laici quello di animatori e di testimoni; non in uno stato di sudditanza ma di collaborazione e corresponsabilità. Ecco allora una parrocchia che si è sempre aperta sui valori della catechesi (quanti corsi per catechisti) sulla pastorale giovanile, sulla formazione delle famiglie, sulla provocazione al discernimento della propria vita come dono di amore da parte di Dio da trasmettere ai fratelli. In questo itinerario il ruolo certamente fondamentale lo ha avuto lo Spirito Santo ma certamente il suo interprete e testimone più bello è stato don Pierluigi Betti (parroco per trentasette anni), che insieme a tutti i suoi collaboratori, preti e laici ha saputo trasmettere il bello dell'essere chiesa. A Sant'Agostino il Concilio non è stato un vento passeggero ma la base di un rinnovamento e di una testimonianza che partivano dalla centralità dell'Eucaristia. Auguro a questa comunità di essere capace, nel rispetto di quanto è stato costruito fino ad oggi, di poter continuare ad essere una comunità profetica ed educante, che si mette in cammino e sa incontrare le persone aiutandole a scoprire e vitalizzare i loro carismi.
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Monsignor
Primo piano
Betti
Come una foresta che cresce piano
senza fare rumore
La lettera di don Betti ai parrocchiani di S. Agostino in occasione dei 50 anni della Parrocchia. «Ancora una volta pongo voi e le vostre famiglie sotto la protezione di Maria nostra Madre» CARISSIMI,
l'occasione delle celebrazioni per il 50° della nostra Parrocchia di S. Agostino mi offre l'opportunità di rivolgere a tutti voi il mio affettuoso saluto e la mia doverosa riconoscenza. Ho voluto rileggere i due volumi della cronaca parrocchiale da me compilata ed è stato come aprire una finestra su di un passato che richiama alla mia memoria il detto: «Una foresta che cresce non fa rumore». Ho così potuto rivedere la povertà iniziale del mio operato tra di voi e man mano vedere crescere con costante entusiasmo associazioni, gruppi e iniziative varie. Dai Fanciulli Cattolici, alle Beniamine; dai ragazzi, ai giovani e agli adulti nelle varie componenti associative come i Catechisti, l'Azione Cattolica, la Conferenza S. 8
Vincenzo (ora Caritas), il gruppo Anziani, per arrivare alle altre iniziative collaterali come la Corale, la Filodrammatica, il Cineforum, ecc… Non posso dimenticare le commemorazioni dei Sommi Pontefici Giovanni XXIII (tenuta dal Cardinale Lercaro) e Paolo VI (tenuta dal Cardinal Pignedoli) nonché le conferenze del Cardinal Benelli, di tanti Vescovi e di altri oratori che ci hanno offerto in varie occasioni la chiarezza entusiasmante della loro parola. Tra i tanti doni che la Provvidenza ha elargito alla nostra Parrocchia non è possibile dimenticare che dal gruppo Chierichetti, il Signore ha prescelto cinque giovani che hanno salito il nostro Altare come novelli Sacerdoti ed un giovane divenuto Cappellano Militare ed un altro chiamato a seguire la Regola
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
Il mio «Grazie» va a tutti voi. Senza la vostra collaborazione ben poco avrei potuto fare
di San Francesco. Dopo la guida iniziale dei Vescovi Piccioni e Pangrazio, che mi hanno mandato tra voi, ha un posto di rilievo l'amatissimo Vescovo Alberto Ablondi che, oltre ad aver consacrato la nostra Chiesa (opera dell'Architetto Vittorio Chini) è sempre stato pronto a rispondere alle nostre richieste per celebrazioni, conferenze, incontri mamme, ecc… tanto da esser chiamato scherzosamente «Cappellano di Sant'Agostino». Hanno un posto nella nostra storia anche le Suore Maestre Pie Venerini avendo costruito l'Istituto in mezzo alle nostre case e con zelo costante hanno contribuito non poco allo sviluppo della Scuola Parrocchiale di Catechismo, mettendo a disposizione della medesima le aule scolastiche e la loro fattiva collaborazione come Catechiste. È doveroso ringraziare il Signore per quanto abbiamo fatto in questi lunghi anni, ma allo stesso tempo il mio «Grazie» va doverosamente a tutti voi perché senza la vostra collaborazione ben poco avrei potuto fare.
Le parole di don Betti alla celebrazione del 5 aprile
Il mio amore è stato grande e sincero
Pregate per i sacerdoti ed anche per me. Sarà forsel’ultima volta che vengo a celebrare in questa chiesa, per la mia età... ma, credetemi, siete tutti nel mio cuore. Vorrei salutarvi uno a uno. Prego per i tanti che non ci sono più. Ricordo in particolare l’architetto Ing. Vittorio Chini che ha disegnato questa chiesa così luminosa, senza poterla vedere completata. Vi ringrazio tutti. Scusatemi dei difetti, delle mancanze e di ciò che non ho potuto fare. Ma il mio amore per Dio e per voi è stato grande e sincero.
I Sacerdoti che mi hanno affiancato per un periodo più o meno lungo come Vice Parroci (Mons. Razzauti, Don Caciagli e Don Schiavone) e gli altri Sacerdoti Religiosi (Trinitari, Gesuiti, Barnabiti), sempre assidui, particolarmente nel Confessionale e nella predicazione, hanno un posto nel mio cuore insieme a quanti mi sono succeduti come vostri Pastori per quanto hanno fatto o faranno, anche nel ricordo del caro don Vittorio. In questa circostanza invito al ricordo e alla preghiera per i tanti nostri fratelli e sorelle che godono ora la visione di Dio meritatamente, anche per quanto hanno fatto collaborando con noi. Concludendo sento il dovere di rivolgere un pensiero alla Madonna che abbiamo sempre venerato con particolare affetto devozionale attraverso le fiaccolata, i tridui, il mese di maggio chiuso sempre con l'offerta floreale dei bambini alla Grotta di viale di Pini. È per questo motivo che, ancora una volta, pongo tutti voi e le vostre famiglie sotto la protezione di Maria nostra Madre mentre porgo il mio affettuoso abbraccio a tutti ed a ciascuno personalmente con l'augurio di un fecondo avvenire. Dio vi Benedica
don Luciano Cantini Le parole di don Luciano alla celebrazione del 5 aprile 2008
Non dimenticate quel Gesù che è nei poveri S
apete che sono un po’ orso e anche un po’ piagnone, ma ci provo. Cinquant’anni fa, nel ‘58, ho cambiato casa e sono tornato in via Medaglie d’Oro con la mia famiglia. Provenivo dai Salesiani. Parrocchia attrezzata di tutto, e qui invece non c’era niente. Al posto della Chiesa un campo da gioco, alcune stanze senza intonaco: quella era la parrocchia. Poi due case, l’ombra dei pini e la fisarmonica di don Betti, insieme alla volontà di quel giovane prete di tenere insieme tutta la comunità. Volti e storie di persone. Poi sono diventato prete, e mi sono inginocchiato davanti a questo altare nel 1973 quando il Vescovo mi ha imposto le mani. C’erano intorno tanti chierichetti e alcuni oggi sono preti con me.
Poi monsignor Ablondi mi chiese di diventare parroco di questa parrocchia. Ebbi paura. Non ci venivo volentieri perché questa è sempre stata una parrocchia speciale: la mia parrocchia.
La maggior parte dei collaboratori laici della diocesi in questi anni sono venuti da S. Agostino, con responsabilità piccole o grandi. Tutto questo ha inciso fortemente sulla vita della nostra diocesi e della nostra parrocchia. Per questo ho diretto la parrocchia per 14 anni con un certo tremore. Ed ora che sono diventato girovago sento la vostra mancanza, l’affetto, il calore di una comunità parrocchiale.
Non dimenticate Gesù, quello che vi è sempre vicino, un po’ antipatico da sopportare, dalla faccia a volte irriconoscibile, quel Gesù che è nei poveri. Per 14 anni abbiamo fatto un lungo cammino con questa atten-
zione a chi era povero, straniero, o in qualche modo diverso. Continuate a voler loro bene. Teneteli stretti stretti perché senza di loro si corre il rischio di perdere il senso di Gesù. Abbiate cura di loro sempre e con amore, mai con l’atteggiamento di sufficienza. Insiema a loro anche noi siamo chiesa, di qualsiasi religione, razza o nazione essi siano, perché il Signore si riconosce nel volto dei poveri. Abbiate cura del Signore Gesù.
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don Luigi Zoppi S. Agostino: «La casa di Dio aperta a tutti gli uomini»
Dio ha bisogno degli uomini! Ha bisogno di te! H
o incontrato una chiesa viva a S. Agostino, nel momento che il suo pastore, don Vittorio, stava morendo, consumato come un cero dalla malattia, accettata ed offerta come la parte che manca alle sofferenze del Cristo per la redenzione dei propri fratelli e quindi nel momento più alto del suo apostolato. Ho capito la profondità della fede dei cristiani di questa parrocchia durante la loro preghiera e nella confidenza del sacramento, ma più ancora nell’impegno di quanti si prodigano ogni giorno per i più bisognosi, ammalati e soli, piccoli in attesa di conoscere il vangelo, il catechismo, ma anche per gli sconosciuti, gli immigrati di ogni colore. E questo è l’aspetto che caratterizza S. Agostino: la casa di Dio aperta a tutti gli uomini in una accoglienza reciproca, a partire dai bisogni più impellenti della persona (a proclamare la liberazione dei prigionieri, la guarigione dei malati...), e a ritrovare nella fraternità, credibile per i suoi gesti, la strada che conduce al Padre, alla casa comune della unica famiglia redenta da Cristo. In questi segni ho ritrovato la paternità di don Pier Luigi Betti, la fraternità attiva di don Luciano Cantini, il sacrificio di don Vittorio Vital. A S. Agostino ho trovato chi ti lava i piedi ed anche la veste, chi ti offre la colazione, ma di più, ti offre ascolto e attenzione, chi offre la coperta ed i vestiti per ripararsi dal freddo a grandi e piccini, chi offre il lavoro e chi lo cerca, come si faceva un tempo sulla piazza del paese. Una chiesa dove pregare, dove mangiare insieme, come fanno qui le donne Ucraine, lontane dalla propria patria per svolgere un lavoro umile e faticoso di badanti. Una sala dove incontrarsi e confrontarsi insieme, almeno una volta al mese, come per i Nigeriani della Toscana. Non mancano le vocazioni sacerdotali con 5 preti impegnati in diocesi e un cappellano militare. E i laici che testimoniano la loro fede nell’insegnamento delle università, come negli asili nido, negli ospedali e nelle tante professioni. Al porto di fraternità di Torretta prestano il loro servizio gratuito numerosi parrocchiani: alle mense e al centro ascolto, come alla presidenza. Nella AC diocesana sono sei presenze di alte responsabilità. Il cinquantennio di fondazione della parrocchia aiuta a prendere consapevolezza di una tale ricchezza di doni che il Signore ci ha fatto, del carisma che ha dato alla Chiesa di S. Agostino e della fiducia che ripone ancora su di noi per chiederci con slancio il nostro servizio per l’avvenire perchè venga sulla terra il suo regno, il regno dell’amore. Dio ha bisogno degli uomini! Ha bisogno di te! 10
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Luano Fattorini FARE MEMORIA UN ESAME DI COSCIENZA COMUNITARIO
S COMUNITA’
Sopra, a sinistra, un
momento della Celebrazione delle Vocazioni del 5 aprile 2008.
Nella foto grande, la festa
di saluto a padre Urbano nel 2003
ono tanti i motivi per celebrare, da cristiani, l'anniversario di una parrocchia, nel nostro caso il cinquantesimo anniversario della parrocchia di S.Agostino in Livorno : - CELEBRARE LO SPIRITO: prima di tutto per celebrare non certo noi stessi ma l'Altro per eccellenza, l'altro da noi, Colui che ci fa vivere, ricordare, celebrare. - LODARE IL SIGNORE: per lodare il Signore perché «grandi cose ha fatto» in noi «l'Onnipotente e santo è il Suo nome» (Lc, 1: 49). Quanto a noi e alle nostre opere, Sant'Agostino ci ammonisce e ci insegna: «Chiunque dinanzi a Te voglia vantarsi di meriti propri, che cos'altro può enumerare se non i Tuoi doni ?» (S.Agostino - Le Confessioni: IX,13). Infatti, continua il nostro Patrono e protettore : «Il bene è opera Tua e dono Tuo, le colpe sono mie e sono sotto il Tuo giudizio» (S.Agostino - Le Confessioni : X , 4) - LA COMUNIONE DEI SANTI: ricordare gli anni trascorsi significa vivere con maggiore intensità la comunione dei santi, pensando anche a quelli che ci hanno preceduto nella nostra parrocchia; - FARE MEMORIA: una memoria già
tiere di ricerca anche a proposito dei vari campi di azione pastorale della parrocchia, dai sacramenti (battesimi, comunioni, matrimoni, ecc..) ai catechisti e gruppi di catechesi, dalle opere di carità al consiglio pastorale, le riunioni e le questioni affrontate, le decisioni prese, le iniziative e la comunione realizzata. Così come il campo dell'associazionismo ecclesiale, con le sue dinamiche, la sua pluralità, le sue caratteristiche e testimonianze specifiche. La «materia prima» da cui partire e su cui lavorare è copiosa: i bollettini e le cronache parrocchiali, curati da don Betti con tanta precisione e solerzia, i registri dei sacramenti, il giornalino parrocchiale «Noi insieme», i verbali delle associazioni e dei gruppi, le foto e le cronistorie dei tanti eventi che hanno contribuito a costruire una comunità ed un' immagine di comunità, o varie e diverse immagini della stessa che diviene nel tempo. Inoltre, le testimonianze orali delle persone, tante persone da interpellare, da intervistare su ciò che hanno fatto o visto, su ciò che ricordano della parrocchia che hanno frequentato, dove sono «cresciuti», dove hanno pregato e operato…
E «quante di queste cose sono nella mia memoria… Se però trascuro di rievocarle di tanto in tanto, esse vengono di nuovo sommerse e piombano nei loro più segreti recessi…» (S.Agostino - Le
Confessioni: X , 10). presente parzialmente in ciascuno di noi ma insufficiente a far memoria della parrocchia, una memoria che va costruita insieme e sempre scandagliata senza stancarsi, perché problematico e laborioso è accorgersi veramente della storia vissuta o che stiamo insieme vivendo e misteriosa è la storia della salvezza. A tale riguardo, l'episodio evangelico di Emmaus è molto significativo: può capitare anche a noi di vivere una vicenda (addirittura di camminare accanto a Gesù), senza coglierne la piena comprensione, e stentare a riconoscere il protagonista, a capire la piena verità della vicenda. (Lc, 24:13). - ATTIVARE CANTIERI DI MEMORIA: per fare memoria occorre dunque impegnarsi, anche come comunità: occorre attivare energie di ricerca, attivare cantieri di memoria, come bene ha fatto il bravo Gianluca della Maggiore con questo bel volume coinvolgendo persone, raccogliendo ricordi e riflessioni. Occorre infatti riflettere e far riflettere sul divenire parrocchiale e necessariamente diocesano. Da questo impegno potrebbe e dovrebbe nascere col tempo una storia parrocchiale e, col concorso di tutte le parrocchie, diocesana. Una storia sempre in
divenire e sempre aggiornabile. Una storia che nasce da un vissuto autentico, da un esame di coscienza comunitario. Una storia che rappresenti una celebrazione del Signore e delle ispirazioni dello Spirito, una storia di gente impegnata nella storia, liberamente e umilmente, gratuitamente come gratuiti sono i doni della grazia e della chiesa. Una storia infine che è una celebrazione del presente ed una grande speranza del futuro, e che, da atto anche penitenziale e comunitario, getti solide basi per il futuro pastorale della parrocchia. Cinquant'anni, periodo in fondo breve se comparato ad altre comunità o istituti ben più antichi, sono comunque tanti da ricordare, se si vogliono ricordare nel senso sopra illustrato. Per farlo bisogna aprire ad esempio, e tenere aperto, un cantiere di ricerca sulle principali figure di apostolato che hanno lavorato in parrocchia, sui loro incarichi, sulle attività e sui campi di apostolato che le hanno coinvolte, sui sacerdoti che si sono succeduti e sui sacerdoti la cui vocazione è nata nella comunità, come pure sui tanti laici, specialmente su quelli che hanno avuto un certo rilievo ecclesiale e apostolico. Bisogna aprire, e tenere aperto, un can-
Una celebrazione del presente e una grande speranza del futuro, che, da atto penitenziale e comunitario getti solide basi per il futuro pastorale di S. Agostino
Questo fascicolo, pazientemente costruito da Gianluca con il contributo di tante testimonianze, servirà proprio a questo. Servirà, questa è la nostra speranza, a risvegliare la memoria e le energie del presente per rispondere con rinnovato vigore alla domanda di Vangelo così come si presenta in questo territorio e in questo tempo dove, come dice il Concilio Vaticano II, «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti. Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia». (G.S., 1) Anniversario, dunque, per ricordare e per capire, ma soprattutto per riprendere a progettare, per ricominciare, rinnovandolo, il cammino parrocchiale.
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Anni ‘50 La chiesina 12
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La nascita
Tra il ‘51 e il ‘61 in zona Fabbricotti fu vero boom di nuovi palazzi. Tutta la città era un cantiere aperto. Nascevano dal nulla interi quartieri. In centro la guerra aveva lasciato intatto solo l’8% degli edifici. Anche la diocesi era in ginocchio. Ma si rialzò presto...
Una chiesa tra i campi Piccioni nel ‘54: «Il quartiere crescerà Rosario e S. Jacopo non bastano più»
«B
ambini! Bambine! Ogni Domenica alle ore 10 TUTTI in VIALE DEI PINI. Divertentissimi giochi vi attendono! Seguite Campanile Sera alla Televisione? Vi piace? Ebbene, potrete partecipare ad un gioco simile se sarete puntuali. Le campane delle dieci. È la rubrica catechistica che vi istruirà divertendovi, al fresco dei pini… vicino alla Chiesa dove alle 11 Gesù vi attende per la S. Messa del Fanciullo». In Italia, la Televisione era nata il 3 gennaio 1954. Qualche mese dopo, esattamente il 10 agosto, monsignor Giovanni Piccioni, vescovo di Livorno da ormai 33 anni, firmava un atto importante, che avrebbe cambiato la vita di un intero quartiere: a Fabbricotti si erigeva una nuova parrocchia: S. Agostino. La vita cambiava soprattutto per i bambini del quartiere. C’era quel giovane prete, già tutto stempiato ma poco più che trentenne, che se ne arrivava ogni giorno tutto trafelato col suo motorino celeste, e si inventava di tutto per far breccia nel cuore ANNI ‘50 dei bambini. «Bambini! Bambine!», Sopra, scriveva don Betti nei volantini. Era un richiamo il volantino che circolava irresistibile. Eppure di spazio - specie col caldo sul finire estivo - nella nuova chiesa non ce n’era proprio. degli anni ‘50 Chiesa, poi! Si poteva chiamar così un salone al per i bambini del quartiere rustico, 9 metri per 13, che bastava appena a celeFabbricotti. brar degnamente la messa? E i bambini come si A Sinistra, accoglievano? Bisognava partir da loro per dare prime comunioni nella chiesina un’anima alla parrocchia. con don Betti e Allora il giovane prete li andava a cercare coi Gino Battaglini suoi mezzi. Si metteva a tracolla la sua grossa fisarmonica e diventava Gorni Kramer. Sì, come quello del sabato sera alla televisione. E accanto a lui c’era il Mario Riva di Fabbricotti, alias Gino Battaglini, uno che per la giovane parrocchia si stava CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
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dando anima e corpo. I bambini si mettevano in cerchio sulle panche del viale dei Pini intorno ai due ‘presentatori’, don Betti attaccava a suonare il ‘motivetto mascherato’, e via a precipizio verso la campanella, poi Gino principiava con le sue domande su Gesù, i Dieci Comandamenti, i Sette Vizi Capitali. Chi è Dio? «Dio è l’Essere Perfettissimo, Creatore e Signore del cielo e della terra: Egli è l’Altissimo». A fine anni ‘50 il catechismo sul viale dei Pini si faceva così, richiamando via via, come miele per gli orsi, i programmi di punta della Rai-Radio Televisione Italiana: il Musichiere di Riva, poi Campanile Sera di Mike Bongiorno. La Televisione stava diventando il simbolo di un vento che faticosamente stava cambiando. La guerra aveva spazzato via vite, sogni, speranze e a Livorno aveva distrutto anche tutt’intera l’anima urbanistica della città. In centro solo l’8% degli edifici erano rimasti illesi. Le strutture industriali e portuali erano distrutte. Anche la diocesi era stata pesantemente colpita. Sopra, Mario Su un documento Riva durante il dell’Azione Musichiere. Sotto, il vescovo Cattolica, datato Piccioni insieme 1951, si legge: al segretarto «Nell’immediato don Spaggiari dopoguerra su 36 e all’Ingegner Vanni in visita Chiese parrocchiali al duomo ben 22 risultavano in ricostruzione distrutte o inservibili. La Cattedrale era rasa al suolo, il Seminario, la Curia Vescovile e l'Episcopio distrutti, quasi tutti gli istituti religiosi inabitabili. Ma da un certo punto di vista gli effetti più gravi furono prodotti dalla forzata evacuazione della città operata nel 1943 dalle truppe tedesche. Dopo la liberazione, la cittadinanza si riversò a Livorno occupando ogni vano libero e pochissimi poterono ritornare nelle loro case. I Parroci si trovarono con una popolazione completamente nuova, senza Chiese, senza locali, senza associazioni. Il tessuto organizzativo e sociale del14
MONSIGNOR GIOVANNI PICCIONI Fu il Vescovo Piccioni, a destra, a erigere la parrocchia di S. Agostino il 10 agosto 1954. Guidò la diocesi di Livorno dal 1921 al 1959, traghettandola con grande sapienza attraverso epocali stravolgimenti: dalle nebbie fitte del totalitarismo fascista fino sulla soglia dei nuovi orizzonti del Concilio Vaticano II. All’anziano presule molti riconoscevano posizioni profetiche: «Agli allievi di monsignor Piccioni - scrisse don Renato Roberti il Concilio non ha detto niente di nuovo. L’affermazione è enorme ma siamo in molti a sostenerlo. Tanto fu profetica la sua catechesi, e dunque progressista».
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l'ante guerra non era stato solo depauperato e diradato come in altre Diocesi, ma era stato completamente distrutto. E bisognò ricominciare da capo». Così l’anziano vescovo Giovanni Piccioni che aveva traghettato con paterna e ferma autorità la sua diocesi tra le sabbie mobili del fascismo e le devastazioni della guerra, si trovava ora ad affrontare la missione più difficile del suo episcopato. Cominciare da capo. E ricostruire. Chiese sì, ma anche il tessuto educativo, associativo e
parrocchiale: perché la resurrezione più difficile era quella morale. C’era fame di pane e di mattoni, ma - più di tutto - di speranza, di punti fermi da cui ripartire. Nel luglio 1945 subito la prima gara catechistica del dopoguerra, poi il rilancio dell’Azione Cattolica, le nuove iniziative del CIF, delle ACLI, della Pontificia Commissione Assistenza. Ricostruzione tanto più difficile col terreno sociale via via reso rovente dal rincrudire dello scontro tra blocchi: sul battagliero Fides, il rinato settimanale diocesano, lo scontro coi rossi era accesissimo. Sulle strade, spesso, erano botte da orbi. Nei resoconti dei Comitati Civici, si potevano leggere anche paragrafi di questo tono: «di notte, in Corso Mazzini, una trentina di comunisti attacca la nostra esigua squadra (7 persone). L’autista viene malmenato (infrazione dell’8a costola) reagisce saltando in macchina e torna con la Celere che arresta due aggressori». In questo clima, l’imponente macchina delle opere assistenziali cattoliche poté mettere comunque in moto il suo imponente motore: il filo diretto con Roma era strettissimo; con alla guida don Roberto Angeli, scampato all’inferno di Dachau, si offrì aiuto, ai reduci, ai disoccupati, ai baraccati.
9 GIUGNO 1957 La prima messa a S. Agostino fu celebrata da mons. Pangrazio
LA PENTECOSTE DI UNA COMUNITÀ
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entecoste 1957. Una data assai significativa per l’inizio ufficiale dell’attività pastorale di una Comunità parrocchiale. Senza lo Spirito Santo non c’è missione: e la grande svolta della Pentecoste che trasforma un gruppo di persone impaurite in testimoni coraggiosi del Risorto divenne insieme il simbolo e l’auspicio migliore per la nascita di S. Agostino. C’era un quartiere ancora tutto in costruzione, c’era un germoglio di comunità parrocchiale appena sbocciato che doveva crescere. A leggere oggi la storia di quei primi momenti di vita della parrocchia si è colpiti proprio dalla grande carica spirituale che animò quei primi «attivisti». La parrocchia era qualcosa di intensamente voluto e desiderato. La partecipazione alla sua costruzione non un comando che si impone all’uomo dall’esterno, ma una passione che prorompe dall’interno.
Come un soffio dello Spirito. Così don Betti descrisse sulla sua cronaca l’inaugurazione del salone-cappella che per 11 anni avrebbe fatto da chiesa: «Alle ore 9 è giunto Mons. Pangrazio per la celebrazione della Prima Messa e per dare l’avvio dell’attività pastorale. Presenti alla cerimonia molti parrocchiani ed amici miei; don Giovanni Balestri, parroco dei SS. AA. Pietro e Paolo con alcuni parrocchiani e chierichetti e don Mario Udina, Cappellano Maggiore della Misericordia che ha favorito i fedeli nel seguire il Rito avendo piazzato nei corridoi esterni ed interni gli altoparlanti da lui portati. Le Parole del Vescovo sono state di incoraggiamento ed augurio, ed ha invitato me e tutta la Comunità parrocchiale a confidare nell’aiuto dei buoni che saranno - per quanto necessario spiritualmente e materialmente - la mano della Provvidenza divina».
LA CURIOSITÀ
Quel giovane prete di SS. Pietro e Paolo
Q Già, le baracche. Erano la ferita sanguinante lasciata dalla guerra: migliaia di livornesi si ritrovano senza casa costretti a vivere in alloggi di fortuna: baraccopoli sorsero, tra l’altro, in piazza Lavagna, via dei Floridi, via Terreni, e Coteto. Ma già a metà degli anni ‘50, si cominciava a respirare un’aria diversa: lo sforzo della ricostruzione, pompato dagli aiuti americani, dava i suoi frutti. Con l’INA-Casa arrivava a Livorno l’edilizia popolare. Anche se tra il ‘50 e il ‘54
spuntarono ancora baracche in Fortezza Nuova, via via prendevano forma anche nuovi quartieri: «Sorgenti» (nel 1951), «Coteto» (completato nel 1956), «Colline», il quartiere CEP della «Rosa» (iniziato nel 1958). A partire dal 1952, per l’urgenza di dar casa ai numerosi senzatetto, era cominciata poi la costruzione degli ‘alloggi minimi’ di «Corea» e «Shangai». Anche in diocesi si respirava aria nuova: dal maggio 1955 a fianco di Piccioni era arrivato monsignor Andrea Pangrazio, come vescovo coadiutore con diritto di successione. Non si può nascondere: il suo arrivo creò un certo scompiglio. Lui - giovane, severo, autoritario, voglioso di fare - era assai diverso dai modi paterni - e negli ultimi anni inesorabilmente rallentati - di Piccioni. All’anziano presule molti riconoscevano posizioni profetiche: per certi versi un anticipatore delle idee conciliari. Pangrazio invece era a tutti gli effetti un uomo della Chiesa di Pio XII, una Chiesa - scrive lo storico Andrea Riccardi - concepita «come un movimento sotto la direzione immediata del romano pontefice». Ma queste novità non fermarono la rinascita della Chiesa livornese, anzi, sotto l’aspetto della ricostruzione materiale, si ebbe una vera e propria svolta. Nel giugno del 1955 i grandi titoli in verde sulla prima pagina del Fides, il settimanale diocesano, dichiaravano: «dopo dieci anni completata a Livorno la ricostruzione delle chiese, ha inizio la costruzione di nuovi edifici sacri». Con una città che cambiava
UNA DISTESA DI CAMPI Così appariva la zona Fabbricotti nell’aprile 1944: una distesa di campi coltivati. In Piazza delle Belle Arti solo un palazzo, poi, più nulla. Nel cerchietto rosso la zona dove una decina d’anni dopo nacque S.Agostino.
Sopra, a destra: un giovanissimo don Betti... coi capelli!
Nel giugno 1955 Fides titolava: «dopo 10 anni ricostruite le vecchie chiese, ha inizio la costruzione di nuovi edifici sacri»
uando Don Pierluigi Betti diventò «Vicario Economo» di S. Agostino nell’aprile 1957, era già prete da 10 anni, cappellano di don Balestri a SS. Pietro e Paolo. Il 6 luglio del 1947 a San Sebastiano, la parrocchia della sua infanzia, era stato ordinato dal vescovo Piccioni, con cerimoniere don Uguccione Ricciardiello. Sul Fides, giornale diocesano, del 13 luglio 1947 che descrive l’evento si legge: «la serie delle vocazioni Sacerdotali in questa parrocchia non è interrotta, avendo sempre dato alla Chiesa degni Sacerdoti». Una caratteristica che don Betti tenterà (con successo...) di riportare anche nella sua nuova parrocchia. Maria Grazia Ghezzani, storica catechista di S. Agostino, tra i parrocchiani più attivi della prima ora, svela oggi una curiosità sulla scelta di don Betti: «Quando fu stabilito che in questa zona sarebbe sorta la nuova parrocchia vennero fatte le voci di probabili parroci: chi ci manderanno? Da Dino Lugetti seppi che i papabili erano don Teodoro Biondi e don Betti. Poi però il Vescovo si convinse che per la nuova parrocchia ci voleva qualcuno che avesse già una bella esperienza, e allora scelse don Betti che si era fatto le ossa a fianco di Don Balestri». Don Biondi così cominciò la sua avventura a Shangai. Anche lui poi, negli stessi anni, partì da una baracca creando dal nulla una parrocchia: la Sacra Famiglia
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volto e ingigantiva il suo corpo urbanistico, la diocesi stava al passo. Grazie soprattutto al Ministro dei Lavori Pubblici, il pontederese Togni (che col suo concittadino Gronchi si spartiva le simpatie Dc in città), Piccioni e Pangrazio riuscirono a porre in terra molte ‘prime pietre’: Corea, Shangai, S. Agostino... Già. A Fabbricotti il cambiamento che di lì a poco avrebbe rivoltato la zona come un calzino, Piccioni l’aveva annusato tutto, ben prima dell’arrivo di Pangrazio. Nel’54 aveva firmato l’atto di erezione, quando a fianco e oltre la Villa era ancora per lo più una distesa di campi. Qualche palazzo era già spuntato a ridosso della vecchia via Roma, nelle nuove vie a cui si davano nomi che spesso attingevano a piene mani dalla recente epopea della Resistenza (Lanciotto Gherardi, Brigata Garibaldi, sorte nel ‘49). Dal centro città c’era ancora chi veniva verso la ‘campagna’ a vedere i cavalli trotterellare lungo i viali alberati. Ma bastava farsi un giro più approfondito per scovare a ogni breve passo le preselle delle cooperative che di lì a poco avrebbero cambiato faccia a tutta la zona fino a Barriera Margherita. Tra il ‘51 e il ‘61 la densità demografica del quartiere aumentò del 100 per cento. Qui veniva ad abitare la giovane e rampante borghesia livornese, questo sarebbe diventato il più sicuro dei serbatoi dei voti Dc livornesi. Ma non sarebbe diventato i ‘Parioli’ di Livorno: benestanti sì, c’erano direttori, capouffici, giudici, ma anche tanti operai, guardie municipali, impiegati, militari... Il 14 agosto 1954 Piccioni scriveva a Roma al Ministero dei Lavori Pubblici: «Il nuovo Beneficio Parrocchiale abbraccia un agglomerato urbano di case, sorto in questo dopoguerra, abitato in prevalenza da famiglie della classe impiegatizia, in continuo aumento che raggiungerà presto le 12.000 anime. Le Chiese Parrocchiali di S. Jacopo in Acquaviva e N.S. del Rosario, dalle quali il territorio viene smembrato, distano dal centro della nuova Parrocchia, rispettivamente una m. 2.500, e circa m. 600 l’altra ma la capienza della Chiesa del Rosario è pressoché nulla, essendo di appena 100 persone». Tre anni dopo sarebbe arrivato don Betti armato solo di una fisarmonica e tanta, tanta voglia di costruire: «Bambini! Bambine!» 16
Il mondo e la vita intorno alla chiesina
1 1Il primo gruppo Chierichetti attorno a don Betti nel 1958 2 Così appariva l’interno del salone che per 11 anni ha fatto da chiesa 3 Don Betti con la sua inseparabile fisarmonica, così attirava i bimbi al catechismo 4 Un gruppo di bambine della parrocchia nel campo dove sarebbe sorta qualche anno dopo la nuova chiesa 5 Don Betti nella chiesina con un bambino il giorno della prima comunione, è il 29 giugno 1959
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Ciascuno col suo «mattone» Partiti da zero, la comunità cresce pian piano con l’apporto di tanti laici che si danno
«M
onsignor Pangrazio oggi ha detto una frase per me agghiacciante: ‘Si ricordi che la Curia Vescovile è povera e che gli aiuti dovrà cercarli tra i fedeli che non la lasceranno certamente solo’. Con queste parole, ho avuto la nomina e la consegna». Così don Betti scrive in una delle primissime pagine della sua cronaca parrocchiale. E’ l’aprile 1957. Ma poco dopo aggiunge: «Ma ecco che la Provvidenza si è subito messa in movimento nella persona del dottor Dino Lugetti, parrocchiano che è venuto a trovarmi la sera stessa mettendosi a mia disposizione per quanto fosse necessario e secondo le sue personali possibilità. E’ infatti tornato il giorno dopo con un elenco di abi-
tanti nel territorio parrocchiale, pregandomi di prepare un invito di convocazione da inviare al più presto agli stessi. Infatti abbiamo concordato una prima riunione dei ‘segnalati’ per il 2 maggio ormai prossimo. Lo stesso Lugetti, con la gentile consorte signora Marinari Ainzara ha messo a disposizione la sua casa posta al n. 67 del Viale della Libertà per questa prima assemblea». E’ questa certamente la caratteristica più bella di quei tempi pionieristici. C’era tutto un quartiere giovane che voleva crescere, e la parrocchia per molti rappresentava una pietra d’angolo. Indispensabile. La sentivano loro, la volevano. Volevano essere protagonisti della costruzione a fianco di questo
I PRIMI PASSI DELLA PARROCCHIA 10 AGOSTO 1954 Il Vescovo Piccioni erige la nuova parrocchia 14 AGOSTO Piccioni chiede al Ministro dell’Interno gli effetti civili del proprio decreto di erezione 3 MAGGIO 1955 La diocesi acquista dal Comune di Livorno il terreno dove verrà edificata la parrocchia 25 NOVEMBRE Decreto M. dei Lavori pubblici, concesso un contributo per la costruzione della casa canonica ed annessi della parrocchia 6 FEBBRAIO 1956 D.P.R. di riconoscimento degli effetti civili dell’erezione della parocchia 10 APRILE Il Vescovo dona alla parrocchia l’area acquistata 9 GIUGNO 1957 Pentecoste - Inizia la vita pastorale a S. Agostino
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ha costruito la comunità anima e corpo per la nuova parrocchia che sentono profondamente loro parrochino venuto senza niente tra le mani ma con entusiasmo da vendere e una fiducia sfacciata nella Provvidenza. Il primo censimento parrocchiale del 20 febbraio 1959 stabilì che i parrocchiani erano 5.097. Il salone ‘al rustico’ (l’attual Salone ‘G. Castellani’) mostrò fin dall’inizio tutti i suoi limiti. Don Betti, nel giugno 1957, pochi giorni prima dell’inaugurazione della cappella, scrive: «Partiti da zero come si dice a Livorno, vedo crescere non soltanto il lavoro, ma particolarmente l’impegno di quanti hanno capito che la nuova parrocchia è per loro; non è del prete o del Vescovo. Quanto fanno o donano è per il bene di tutti, perché tutti insieme formiamo la
Chiesa con Cristo». Nel Ventesimo della parrocchia, Dino Lugetti buttò giù righe significative: «La piccola Comunità di S. Agostino - scrive - si riunì per la prima volta in casa mia, e il ricordo di quel pomeriggio suscita nell’animo mio cari e ormai lontani ricordi. Al fianco del nostro don Betti, in una delle più importanti porzioni del mondo cattolico cittadino, eravamo, con mia moglie Ainzara, un gruppetto di laici, dei quali ricordo a distanza di anni ancora i nomi: Gino Battaglini, Virgilio Girolami, Ugo Landi, Mario Bandinelli, PieroBorrani, Luigi Saltini, Francesco Galluzzo ed altri). Dopo iniziò la discussione con cento proposte e tutte improntate naturalmente ad un grande otti-
MESSAGGIO DI PIO XII Sul Fides del 19 gennaio 1958 si trova il messaggio che Pio XII inviò a don Betti:
«Al neo Parroco S. Agostino Pierluigi Betti Augusto Pontefice di cuore invia auspicio abbondanti grazie et lumi celesti per fervido et fecondo ministero implorata Apostolica Benedizione estensibile collaboratori et fedeli»
mismo e fu deciso di unire le forze valide e di metterci subito al lavoro, per completare e rendere agibile quel ‘rustico’ costruito col contributo dello Stato». E più oltre: «Un tempo le Chiese erano spesso costruite con il diretto lavoro del popolo, che si impegnava nelle necessarie opere manuali. Così ho visto tanti amici parrocchiani lavorare, anche a tarda sera, con fervore religioso, intorno all’edificio, che mancava di tutto, con i muri scalcinati, senza pavimenti e privo di qualsiasi impianto. Grande fu la nostra gioia quando potemmo collocare l’Altare di Marmo. La Chiesetta era visibilmente un’opera di tutti, e di ciascuno: partecipavamo all’ansia apostolica del nostro Parroco e ai problemi grandi e piccoli della Comunità Parrocchiale». Se Lugetti fu l’anima della costruzione materiale della parrocchia, Gino Battaglini ci metteva dentro mattoni fatti di carità, amore per la Liturgia e la catechesi. Seguendo il suo racconto si viene catapultati dentro al clima di quei giorni: «Quei quattro candelieri scrive nel 1977 - il crocifisso, l’arredamento per le cerimonie di apertura... il sacrestano stesso... tutto preso a prestito. Per poter funzionare in quei primi giorni c’era davvero da mettersi le mani in testa... forse proprio per questo, ora don Betti è quasi pelato». «La cappella è troppo esigua e non può accogliere tutti i partecipanti, così alcuni sono costretti ad accomodarsi lungo il corridoio interno, ma per tutti non c’è posto: molti altri quindi devono rimanere all’esterno; d’inverno al gelido freddo e d’estate sotto il sole cocente e... se piove, con l’ombrello aperto». Battaglini descrive l’avvio della SCUOLA DI CATECHISMO: «Furono attrezzate un poco alla meglio 4 o 5 stanze con qualche panca e poche sedie. Due uomini e tre o quattro signorine furono i primi insegnanti. I bambini fin dal primo giorno parteciparono numerosi». La Chiesa spaziosa e accogliente di oggi era di là da venire: allora si doveva fare i conti con disagi di ogni tipo: «D’inverno i bambini durante le celebrazioni dovevano rimanere col cappotto e il cappellino... in quei tempi il riscaldamento era veramente un miraggio. Prima di iniziare le lezioni dovevamo portare le panche e le sedie nelle stanze. Circa dieci minuti prima della fine alcuni volenterosi dovevano ritirare le stesse panche e sedie per portarle in chiesa». Don Betti sapeva trovarci sempre il lato positivo. Il 15 dicembre del ‘57 annotava: «i ragazzi del catechismo vengono per ora ‘pigiati’ davanti all’altare e intorno a
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esso. Le posizioni scomode procurano sacrificio, ma così si sente molto la comunione tra il celebrante ed i ragazzi». Oggi Maria Grazia Ghezzani non è più catechista. Fino a qualche annetto fa però si impegnava con dedizione in un servizio che aveva cominciato negli anni ‘50: «Anch'io - dice oggi - iniziai allora il mio cammino di catechista con altre ragazze e con mia sorella che si occupava di raccogliere le ‘Piccolissime di A.C.’ (tra queste c'era Veronica Bassini la prima bambina battezzata nella nuova Parrocchia) andando a prenderle a casa e poi riaccompagnarle dopo incontri gioiosi nei quali imparavano a conoscere Gesù. La catechesi era un servizio per la crescita cristiana e noi catechisti eravamo impegnati nell'opera educativa per far ‘crescere nella fede’ i nostri ragazzi, crescendo noi stessi, per incontrare e far incontrare sempre più e sempre meglio il Signore, nella vita di ogni giorno». Anche Ugo Landi, vincenziano e primo ‘cassiere’ parrocchiale, era tra gli attivisti della prima ora. 30 anni fa scriveva su Noi Insieme: «All’inizio le attività riservate a noi laici, e ben coordinate dal parroco, erano principal«La Chiesetta mente tre: l’insegnamento del cateera chismo ai bambini, l’attività caritativa visibilmente della S. Vincenzo, un’opera di la raccolta di fondi per i bisogni della tutti e parrocchia ed in di ciascuno». particolare per la costruzione della Ognuno Chiesa. Ci sentivamo veramente voleva dare comunità e, fosse ’entusiasmo, il suo piccolo lfosse il fatto di contributo essere poche perin uno spazio a quest’opera sone tanto ristretto, mentre tanti erano affascinante i bisogni, vivevamo effettivamente una vita di comunione». Vista dalla parte dei bambini, il catechismo di quei tempi era una gran festa. Per tutti i bimbi il TOMBOLICCHIO, dove don Betti diventava come i saltimbanchi della tv, era una vera attrazione: «Una domenica mattina d’estate - scriveva nell’87 Adriana Pacini Sanguinetti - io e i miei amici del palazzo accorrevamo ‘sotto i pini’ a prendere posto sulle panche già predisposte in cerchio. Rapidamente la platea si completava e con l’arrivo di don Betti il 18
Sopra Prime comunioni nella Cappella Sotto Giulia e Ubaldo Saltini il 5 gennaio 1974 nel giorno del loro 50° di Matrimonio. Ubaldo fu tra gli «attivisti» della prima ora, e fu presidente della Comissione tecnica del Comitato Pro Erigenda Chiesa negli anni ‘60 Sopra a sinistra Ragazzi fuori della Chiesa Sotto Don Betti nella chiesina
UN PO’ BACCHETTONI Il ‘68 era ancora molto lontano. Durante gli anni ‘50 anche nella Chiesa livornese esisteva un Delegato Diocesano per la Moralità. Così i parrocchiani di S. Agostino potevano leggere sul loro giornale, messaggi di questo tipo: «Una parola ai
genitori e ai figli… sul cinema.
Fra tutto il complesso delle influenze esterne che contrastano e rendono più che mai difficile l'azione educativa della famiglia, vi è indubbiamente il cinema. La produzione cinematografica è infatti orientata verso le peggiori espressioni di esaltazione del vizio e del peccato»
Al centro, l’organista Torquato Bastianini
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
gioco incominciava». Sulla scia di ‘Domenica è sempre domenica’ si iniziava con Don Betti-Kramer e Battaglini-Riva. I bimbi si dividevano in due gruppi: i maschi diventavano i ‘galli zoppi’ e le femmine le ‘galline spennacchiate’: «Appena l’animato pubblico lo permetteva si dava inizio alla gara. Qualche nota di motivi celebri, lo scatto di due concorrenti, il suono della campanella (spesso il suo abbattimento per la gran foga), il titolo della canzone come risposta e, a questo punto, il premio al vincitore!». E invece no, «adesso cominciava il bello, l’essenza della ‘trovata’. Entrava in scena il conduttore del gioco e poneva la temuta domanda di catechismo. Solo l’esattezza di questa seconda risposta faceva finalmente guadagnare i sospirati buoni (acquisto) che permettevano di ritirare ghiaccioli o gelati alla latteria ‘convenzionata’ con la parrocchia». Tra i parrocchiani, giovani e vecchi, c’era chi, dopo il lavoro, si trasformava in muratore, falegname, imbianchino. Con una parrocchia nuova, tutta da costruire, molti rompevano le loro visioni consolidate. Veniva travolto il loro concetto di chiesa. Luigi Solari, storico ‘economo’ della parrocchia, soste-
neva che la parrocchia non l’aveva ‘vista’ nascere. Di più: «L’ho ‘sentita’ nascere e l’ho ‘sentita’ crescere dentro di me, prima e più che intorno a me». Prima la parrocchia era una «Chiesa dove si andava una volta alla settimana - ed in poche altre occasioni - per ‘ascoltare’ la S. Messa o ‘assistere’ a qualche altra funzione». Ora ci si sentiva attrattatti: «sentivo necessario dare anche il mio se pur modesto contributo a questa opera affascinante». «Mi rendevo conto scriveva Solari su Noi Insieme - che le necessità di ogni genere aumentavano ogni giorno di numero, di gravità e di urgenza e sentivo il mio aiuto sempre più insignificante, ma sempre più necessario e imperativo». «Mi sentivo inserito e impegnato in una comunità come non mi ero mai sentito». Una comunità che cresceva di giorno in giorno. Via via la vita parrocchiale prendeva forma. Don Betti la musica ce l’ha sempre avuta nel sangue. La SCHOLA CANTORUM fu fin da subito, grande momento di aggregazione. Nel ‘57 i coniugi Bastianini avevano donato alla parrocchia un harmonium brasiliano. E proprio Torquato Bastianini divenne l’inso-
CATECHISMO 1959
PRIMA CLASSE MISTA (Insegnanti: Ghezzani Giovanna e Maria Grazia) - Battaglini Lucia, Squarcino Fabio, Frizzi Elisabetta, Formicoli Bruna, Falleni Claudio. SECONDA CLASSE MISTA (Insegnante: Bianchini Roberta) Chelli Fiorella, Bartaletti Fabrizio, Rossi Franco, Giovannelli Cristina, Bastogi Elisabetta TERZA CLASSE MASCHILE (Insegnante: Battaglini Gino) - Parigi Roberto, Baracchini Caputi Roberto, Pasquinelli Giovanni, Cantini Renzo, Spagnoli Roberto TERZA CLASSE FEMMINILE (Insegnante: Santi Giovanna) Bagagli Maria Grazia, Romboli Giuseppina, Fiorini Sonia, Bechelli Anna Rosa, Sinatti Anna QUARTA CLASSE MASCHILE (Insegnante: Landi Ugo) - Cantini Luciano, Brunori Gualberto, Soriani Manlio, Grechi Luciano, Trebbia Quarta classe femminile (Insegnante: Maria Grazia Boccardi) - Pacini Adriana, Battaglini Fabiola, Papi Maria Lia, Calandriello Eleda, Di Batte Doretta QUINTA CLASSE FEMMINILE (Insegnante: prof. Mei Gigliola) Parigi Roberta, Pasquinelli Alessandra, Lubrano Simonetta, Trivellino Liviana, Balzini Claudia Da "Regnum Christi", 15 aprile 1959
stibuile organista di ogni celebrazione: Tridui, Novene, Adorazioni, Matrimoni, Funerali... non mancava mai. Ma un incidente stradale se lo portò via troppo presto all’alba del 1960 (all’organo lo sostituì per lungo tempo Santi Citti). La CARITÀ era un altro dei pilastri per la nuova parrocchia di don Betti. E anche per questo servizio Gino Battaglini si prodigò instancabilmente: «La Conferenza Parrocchiale di S. Vincenzo de' Paoli - scrive nell’87 Battaglini - fu istituita nel 1958. Aderimmo una quindicina di uomini. Poiché la Parrocchia, inaugurata soltanto da circa un anno, si dibatteva in gravi difficoltà economiche, dovevamo operare soltanto con quel denaro che potevamo raccogliere facendo una volta al mese la questua alla porta di chiesa e con quei pochi spiccioli che ricavavamo fra noi ‘Confratelli’ durante le riunioni, che avevano luogo settimanalmente. Durante il primo anno la Diocesi ci dette una mano, fornendoci diversi sacchi di farina, che noi consegnavamo a un forno in cambio di altrettanto pane. Per due volte ci rifornì anche di fagioli, zucchero, margarina e pasta inviata dal Vaticano. Fu allestito anche ‘l'armadio del povero’, ove venivano consegnati medicinali, riviste, vestiario, ecc. Spesso, per insufficienza di locali, dovevamo raggruppare il tutto in vari angoli delle
TRA DC E PARROCCHIA Più volte segretario della Democrazia Cristiana
livornese. Il suo nome è legato soprattutto all’Istituto autonomo Case Popolari
DINO LUGETTI, TASSELLO PREZIOSO PER S. AGOSTINO
«S
e non c’avevo lui eran cartacce». Chiarissimo don Betti nel sintetizzarci il ruolo di Dino Lugetti per la parrocchia di S. Agostino. E in effetti, senza il suo contributo ben poco si sarebbe costruito. Nato nel 1911 come il suo grande amico di battaglie politiche Mario Razzauti, Lugetti fu segretario della Dc livornese per varie volte, fino agli anni ‘70 quando entrò anche in Consiglio Regionale. Ma il suo nome è legato soprattutto all’Istituto autonomo Case Popolari e alla Cassa di Risparmi di Livorno, per le quali ricoprì per vari anni
stanze già adibite al catechismo dei ragazzi. Intanto don Betti, fin dalle prime riunioni ci consegnò una nota di 15 famiglie bisognose, residenti in parrocchia o confinanti. L'assistenza veniva praticata a domicilio. Ci recavamo presso queste famiglie in due o tre ‘Confratelli’ (questo infatti era l'appellativo che ognuno di noi assumeva), consegnavamo loro buoni del pane, latte, carne, zucchero, pasta, e, a secondo dei casi, anche sapone, saponette, medicinali, vestiario, caramelle, ecc.». Se c’erano da aiutare donne e bambini l'assistenza alle famiglie veniva preferibilmente praticata dalle signore che l’8 gennaio 1959, grazie all’infaticabile Eugenia Bettini, avevano fondato la Compagnia delle Dame di Carità. La Bettini fu davvero un’altra delle pietre vive della nuova parrocchia. Fu lei che nel febbraio 1958 dette vita anche al gruppo delle cosiddette Zelatrici dell’ APOSTOLATO DELLA PREGHIERA, e «se non era per quella rompiscatole dice oggi con simpatia don Betti - la parrocchia non avrebbe mai avuto la sua bella Grotta di Lourdes inaugurata in pompa magna da Pangrazio il 30 maggio 1959». Era un primo ma molto significativo segno di quella DEVOZIONE MARIANA così evidente nel corso degli anni successivi con le curatissime fiaccolate dell’8 settembre lungo le vie del quartiere in occa-
RESOCONTO DEL 1958
Messe celebrate: 743;
Comunioni: 20.000;
Battesimi: 48; Cresime: 75; Prime Comunioni: 53; Matrimoni 25
(usciti di Parrocchia: 12);
SS. comunioni agli infermi: 95; Morti in parrocchia: 36; Morti con tutti i Sacramenti;: 12; Morti con sola Estrema Unzione: 9;
da primo numero "Regnum Christi", 15 marzo 1959
Sotto, la casa canonica negli anni ‘50
il ruolo di Presidente. Fondò la società sportiva Libertas, e fu anche a fianco di don Angeli nel CLA della ricostruzione. Morì nell’ottobre 1993. «L’8 giugno 1957 - ricorda Don Betti - il giorno prima dell’inaugurazione della cappellina con Dino, la moglie e i figli facemmo l’una di notte per gli ultimi preparativi»
sione della Natività di Maria Dino Lugetti, allora presidente della Giunta Diocesana di AC, fu anche il primo organizzatore dell’AZIONE CATTOLICA parrocchiale. Luigi Solari fu il primo Presidente degli ‘Uomini’, Eugenia Bettini delle ‘Donne’, Grazia Boccardi delle ‘Giovani’ e l’operaio Giancarlo Buti quello dei ‘Giovani’. «Fu l’8 dicembre del 1957 - scrive Lugetti - nella luce della festa dell’Immacolata che fu celebrato il nostro tesseramento e, ricevendo la tessera, tutti rinnovammo la promessa di impegnarci in fervida collaborazione per la buona riuscita di tutte le iniziative programmate». Fu costituita la Giunta Parrocchiale di AC, che coordinò tutta l’attività apostolica. Nacquero anche le associazioni dei più piccoli iscritti all’AC: i Fanciulli Cattolici (fiamme tricolori), le Beniamine, le Piccolissime. Nel 25° anniversario di Consacrazione della chiesa don Betti scriveva: «Io che ho seguito tutte le fasi, dal primo colpo di piccone al momento dell’apertura al culto, posso affermare che questo edificio sacro non sarebbe sorto se non l’avesse voluto la fede di un popolo che per ben 11 anni si è accalcato in una sala, bella, accogliente, arredata per fungere da cappella, ma assolutamente inaduegata anche per le più semplici celebrazioni festive».
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LA DEVOZIONE MARIANA Fu inaugurata da Pangrazio - si legge su Fides del 7 giugno 1959 - in occasione del Centenario delleApparizioni dell'Immacolata a Massabielle e per celebrare il 50.o di fondazione dell'Unione Donne di AC». Da allora la Grotta di Lourdes, fortemente voluta da Eugenia Bettini, campeggia accanto alla chiesa di S. Agostino. A sinistra, Pangrazio e don Betti il giorno dell’inaugurazione. A destra, accanto alla grotta dopo le Prime Comunioni 1960 (si riconosce la giovane catechista M.G. Ghezzani) Accanto, sopra: un tesseramento di AC. Sotto: in gita parrocchiale, sotto l’ombrellino c’è Eugenia Bettini
Ghezzani
Maria Grazia
Don Betti le escogitava tutte per coinvolgere tanti laici nell’edificazione della comunità
Catechesi, carità e liturgia Il mattone più importante era la Parola
V Sopra Maria Grazia Ghezzani negli anni ‘60 «La nuova parrocchia racconta - fu un evento davvero importante per il quartiere Uno scambio di incontri facilitato dalla presenza di don Betti che sapeva avvicinare le persone»
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ive «uscio a uscio» con la parrocchia. In quel palazzone di piazza Aldo Moro che è uno dei pochi che erano già lì prima della costituzione della parrocchia. Ma soprattutto Maria Grazia Ghezzani è una che la storia della parrocchia l’ha vissuta tutta. E l’ha fatta. Generazioni di bimbi hanno avuto le Signorine Ghezzani (lei e sua sorella Giovanna) come catechiste e mamma Lia come delegata dei Fanciulli Cattolici. Oggi Maria Grazia è una miniera di aneddoti e ricordi. «Son tornata di casa qui nel ‘48 - racconta - e si andava a messa nella vecchia chiesina del Rosario da don Angelo Angioni». Com’era il quartiere allora? «Il mio era l’ultimo palazzo costruito della zona. Ci affacciavamo alle finestre e vedevamo tutti campi verdi fino alla Pinetina. Al posto della chiesa c’era un grande terreno. Si cominciavano a costruire allora i primi palazzi di via Lopez, di via Fioravanti e via Gherardi. La via Pirandello era
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tutto un gran campo che costeggiava la Villa, e in fondo, dove ora ci sono gli stabili, c’era una bellissima casa colonica in cui abitava il vecchio contadino della Villa. Era un gioiello in muratura con tanto di torre e merletti». Come accoglieste l’annuncio della nuova parrocchia? «Fu una novità che prese molto tutto il quartiere. Una grande gioia davvero. Le persone anziane felici di avere una chiesa tutta per loro a due passi, i più giovani aspettavano con ansia un luogo dove potersi riunire». Cosa offriva il quartiere ai giovani di allora? «Mancavano gli spazi aggregativi e perfino le scuole: alle elementari i bimbi erano costretti a andare alle De Amicis, le medie si facevano alle Pazzini di piazza Magenta. Per questo i più giovani erano molto affascinati dall’idea di avere una parrocchia. Si sentiva parlare molto delle iniziative che potevano venir fuori. Al Rosario c’era la chiesa e
basta, non c’erano attività parrocchiali. Invece ora si vociferava che don Betti, di cui si parlava un gran bene, avrebbe portato con sé grandi novità» E fu davvero così? «Sì, don Betti cominciò subito a girare in lungo e largo il quartiere in costruzione. E soprattutto volle impostare subito basi solide per la costruzione della comunità, cercando di coinvolgere da subito molti laici». In che modo? «Le sue priorità furono senz’altro la catechesi, la carità e la liturgia. Aveva ben chiaro che per una parrocchia giovane i mattoni più importanti erano quelli della Parola. Da qui le mille idee per attirare i bambini al catechismo escogitando modi che potessero educare divertendo (il Tombolicchio in primis)». E la carità? «L’aspetto della carità trovò subito due animatori infaticabili in Gino Battaglini per gli uomini della S. Vincenzo de’ Paoli e in Eugenia Bettini per le Dame della Carità. La signora Bettini, di famiglia benestante, era una persona di grande generosità. Era animata da una grande devozione mariana e si prodigò tantissimo perché in parrocchia fosse costruita la Grotta di Lourdes». La Liturgia? «Don Betti voleva che fosse curata nei minimi dettagli. Era lì che la vita della comunità doveva trovare
Battaglini
Gino
Fu il primo catechista della parrocchia. «Ha svolto la sua missione con i mezzi semplici che aveva, ma con grande amore»
Il mio grande babbo e la parrocchia. Quel mondo mi ha riportata a casa «Ahhh...». Quando abbiamo chiesto a don Betti di tratteggiarci la figura di Gino Battaglini, lui ha esordito con un lungo sospiro di approvazione. «E’ stato il primo catechista della parrocchia - ricorda - e ha svolto questa missione veramente con grande amore e con i mezzi semplici che aveva. Aveva un naturale afflato affettivo che sui bimbi che l’avevano come maestro produceva grandi frutti spirituali». Qui sotto, i ricordi della figlia di Battaglini.
qualcuno si sentiva male per quanti eravamo e per il caldo che si creava. Come allora, mai più ho trovato tanta vicinanza e comunione. Don Betti, il Parroco, era la vera anima della comunità, ma anche un organizzatore e artista come pochi. Vivevamo molte situazioni insieme, ricordo il Musichiere versione bimbi, il pellegrinaggio a Montenero in ricorrenza del maggio i sono stati chieMariano, la fiaccolata sti dei ricordi da di settembre, le sfilate inserire nel e le feste di carnevale, mosaico parrocchiale. le gare di catechismo, Avevo desistito subito la premiazione per il sopraffatta dalla diffiPresepio più carattericoltà che la complesstico cui Gino partecisità di una vita crea pava sempre e con quando se ne vuole opere davvero impetrovare un filo condutgnative e tantissimi tore, e il mio personamomenti di gioco le è ben contorto. oltre che di raccogliPoi ho pensato di mento. Ambito colletdoverlo ai miei genitivo e formativo tori ed a mio padre in molto coinvolgente, particolare che tanto ci sono cresciuta e CATECHESI ha vissuto in questa parrocchia. quel che mi ha dato ha contribuito E CARITÀ Innanzitutto una preghiera che un giorno a riportarmi a casa. Gino Battaglini ho trovato nel suo Messale: «oggi La mia è sicuramente una voce fu anche il primo ricorre l'anniversario della scomfuori dal «coro» perché all'età di animatore delle parsa del nostro fratello … Mario opere sedici anni ho iniziato un percorso assistenziali Vivarelli, Eugenia Bettini, Vittorio di critiche e contestazioni che mi della S.Vincenzo Mazzone… egli per molti anni e avrebbero portato altrove. de’ Paoli, foncon ammirevole generosità, ha preEppure don Betti mi aveva dando la stato la sua opera in questa Chiesa. accolto nei canti collettivi con l'acConferenza in O, Signore, per la tua sovrana bontà compagnamento del piano che parrocchia nel 1958 insieme a concedi a lui il premio concesso ai sapeva suonare magnificamente, è Ugo Landi e tuoi servi fedeli. Per questo ti pregrazie a lui che ho imparato a Gino Vaccari. ghiamo Signore». conoscere i tempi ed i ritmi del Qui sopra, è il Di sicuro sarà stata letta canto comunitario, un patrimonio primo a sinistra, all'Altare per questi suoi cari che, anche se non ho saputo pratiè ritratto insieme conoscenti e per molti altri che alle figlie care, è entrato a far parte della mia nel foglio non sono menzionati… forma mentis, ed al momento adesso vorrei poterci aggiungere opportuno mi è tornato a guida e anche il suo nome. ricchezza. Avevo cinque anni quando la Gino era molto legato a quel Chiesina è stata inaugurata. Ricordo con giovane Parroco, così alto e così alla mano, colori brillanti le domeniche mattina. Babbo nel suo portafogli c'è sempre stata anche e mamma rientravano dalla Messa delle 7, una sua foto: in mezzo a noi bambine il facevamo colazione insieme e poi mamma giorno della mia Prima Comunione. ci preparava per la dottrina, babbo ci prenIn questa occasione vorrei ringraziare deva per mano ed uscivamo. Noi ad imparatutto questo ambito di umanità che il mio re lui ad insegnare il catechismo. Il rione era grande babbo ha contribuito a creare con giovane, quindi i bambini erano tantissimi. l'appoggio discreto e forte della sua cara Ogni celebrazione riempiva la Chiesina sposa, la mamma. oltremisura, ho sempre il ricordo che spesso LUCIA BATTAGLINI
M alimento e spinta per crescere anche nelle difficoltà e nelle ristrettezze di quei tempi. Un particolare può dire molto dell’attenzione e della sensibilità del nostro giovane parroco: allora le messe erano celebrate in latino e don Betti si preoccupò subito che qualcuno (e spesso fu l’‘economo’ Luigi Solari) rileggesse all’assemblea le letture in italiano dopo la loro declamazione in latino». Ma la vita comunitaria non si esauriva qui... «No. Don Betti le escogitava tutte per richiamare e coinvolgere. La Corale, grazie a lui e all’organista Torquato Bastianini fu subito un momento di grande aggregazione. E poi ricordo anche l’attenzione costante alla cosidetta ‘Buona Stampa’: fino dal ‘59 la parrocchia ebbe il suo bollettino parrocchiale con le due pagine all’interno di Regnum Christi. Mi ricordo di essere stata per molte domeniche al banchetto della distribuzione della stampa che allora era arrangiato alla meglio nel corridoietto che dava accesso alla Chiesina». Gli eventi di richiamo? «Sicuramente la fiaccolata dell’8 settembre. E ci metto anche la celebrazione delle Quarantore. La ristrettezza dell’ambiente faceva sì che tutti dessero qualcosa in più per rendere più dignitoso l’evento».
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Betti
Don Pier Luigi
Se io sono stato qualcosa per questa gente e per questa Chiesa, sono stato solo la mano guidata dalla Provvidenza, la voce intonata dal Signore»
«Solo una matita nelle mani di Dio»
Tra le larghe braccia della Provvidenza
«M
i raccomando. Incensa tutti, meno che me». E’ sempre lui. Anche a 85 suonati da un pezzo è il don Betti che si accoccola tutto nella mani della Provvidenza, per dire che sì, in 37 anni a S. Agostino ha costruito qualcosa, ma è tutto («tutto davvero») merito del Signore. «Madre Teresa di Calcutta - rinforza il concetto - diceva che era la matita nella mano di Dio. E allora ecco, se io sono stato qualcosa per questa gente e per questa Chiesa, sono stato solo la mano guidata dalla Provvidenza, la voce intonata dal Signore». E se gli tiri fuori la storia della parrocchia sforna-preti lui ti fredda ancora con il suo proverbiale senso dell’umorismo. E ti
A destra, sopra:
don Betti al termine della «celebrazione delle vocazioni» il 5 aprile 2008
Al centro e pagina accanto,
due momenti della celebrazione di inaugurazione del salone-cappella il 9 giugno 1957 con monsignor Pangrazio In basso, don Betti consegna una candela al Ministro dei Lavori Pubblici, on. Giuseppe Togni
DUE IMMAGINI STORICHE Fu scattata per scherzo da Luigi Solari a don Betti che seguiva i lavori di costruzione della nuova Chiesa dal Campanile della Chiesa. La vignetta, a destra, opera del mitico «Legno», apparve su «Noi Insieme» del 27 aprile 1986
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risponde come nelle sue (quasi) catechesi in vernacolo. «Mah, insomma - dice - qualcuno m’è scappato... Ce n’è uno però che m’è rimasto qui. Massimo, il fratello del frate Marco Flore. Io lo punzecchiavo, lo punzecchiavo e poi... s’è sposato. Ora è a Roma colonello dei Carabinieri. Bah! Quando vedo sua moglie glielo dico sempre... Paola, sei una rovinafamiglie!». E te lo dice con quella sua classica risatina, incorniciata da due occhietti furbi e vispi che ti guardano in obliquo. Certo che l’«obiettivo» se l’era posto da subito. Sulla sua cronaca parrocchiale, l’8 luglio 1960 si legge: «Chissà se il Signore non privilegi in seguito la nostra parrocchia, appena nata, con qualche suo figlio chiamato al sacerdozio! Per questo preghiamo!». 50 anni fa aveva già tutto bello chiaro in testa eh, don Betti? «Bravo, te ne sei accorto (ride). Posso dirti molto semplicemente che ho sempre avuto la convinzione che l’esempio buono trascina in qualsiasi situazione. E la vocazione sacerdotale non fa eccezione. Mi son sempre detto: fatti vedere sempre attivo, fatti vedere sempre innam o r a t o della tua vocazione, non dire mai, nemmeno in un momento di depressione, accidenti a quel giorno che mi son fatto prete! No, queste cose nemmeno si pensano». Però qualcuno pensò a una bella vignetta (qui sopra) sull’argomento. Se la ricorda? «Eccome (ride). C’erano i ragazzi del gruppo giovanile che passavano
su un nastro attraverso un marchingegno: gli scarti andavano a sposarsi, quelli ‘boni’ diritti in seminario». Si arrabbiò? «Nooo, macché. Una volta le suore mi dissero, ‘ma lei che è tanto bravo a fare i preti, perché un ci fa anche qualche sora?’. Dé, e tanto c’ho lo stampino!» Tornando seri e tornando agli anni’50. Cosa ricorda di quei tempi pionieristici? «Ricordo che monsignor Pangrazio mi mise in mano le chiavi del salone al rustico dicendomi: ‘il tuo sarà un inizio missionario’. E acciderba
IL DOCUMENTO STORICO Il testo dell’articolo apparso sul Fides del 19 gennaio 1958
L’Amministratore Apostolico consegna la parrocchia al parroco don Pier Luigi Betti
D se non lo fu! Ma mi ricordo che arrivai comunque con un grande entusiasmo, dopo 10 anni da viceparroco mi si spalancavano davanti nuovi orizzonti. Ed erano orizzonti del tutto aperti e straboccanti di speranza». Anche con quattro pareti senza pavimento, in mezzo a un deserto verde pieno di palazzi in costruzione? «Direi, proprio per quello. Quando arrivai per esempio dormivo in una stanza senza intonaco e senza pavimento. Si cominciava dal nulla, ma questa prospettiva missionaria non mi dette spaventi per-
ché mi affidai ancora di più alla Provvidenza e vidi che si faceva subito viva». In che modo? «La primissima volta con un incontro in via dell’Indipendenza. Mi si avvicinò un’anziana parrocchiana di SS. Pietro e Paolo e mi disse: ‘Come va don Betti? la vedo un po’ triste...’ e dico ‘Eh sì, il Vescovo m’ha detto così e così, io devo fare l’attacco luce e non so come fare’. Lei non sentì discorsi e mi cacciò in mano 5.000 lire». E poi? «E poi Dino Lugetti. Se non c’avevo lui erano cartacce. Fu l’anima di tutto. Si prodigò in mille
1959 Fu il giornale della Parrocchia fino all’83
ARRIVA REGNUM CHRISTI Prima di «Noi Insieme» le cronache di S. ché troppo piccola... Abbonatevi!... Agostino si affidavano a 2 pagine dentro questo giornale vi porterà la mia voce e Regnum Christi. Ecco il primo editoriale: vi farà capire che si può lavorare e far
Parrocchiani carissimi, in occasione della benedizione delle case, in luogo della solita immaginetta e del solito volantino, ho pensato di lasciarvi un bel giornale che se vi piacerà - come spero - sarà il nostro bollettino parrocchiale che vi arriverà a casa mensilmente a mezzo posta. Fatevi onore... "Regnum Christi" è il giornale che si fa leggere e che con il settimanale cattolico FIDES deve costituire il nostro collegamento ed il collegamento con le attività a largo raggio della Chiesa. So che molti di voi non frequentano la Chiesa parrocchiale per-
molto anche se non abbiamo grandi locali a disposizione. Oggi poi che la propaganda protestante martella ogni ambiente e s'insinua anche nelle vostre case, non respingete questo foglio che porterà sempre una parola chiarificatrice ed un incoraggiamento a perseverare nel bene. Cristo è la Verità e la sua Chiesa ne è la divulgatrice autorizzata. Ascoltatela, perché è lo stesso Gesù che ci dice: "Chi ascolta voi ascolta me e chi disprezza voi disprezza me". Il vostro Parroco (Regnum Christi, 15 marzo 1959)
omenica scorsa ha avuto luogo la cerimonia della consegna della Parrocchia di S. Agostino al M. R. Don Pier Luigi Betti da partedell'Eccellentissimo Amministratore Apostolico Monsignor Andrea Pangrazio. I parrocchiani in gran numero e fedeli di altre parti della città hanno partecipato alla cerimonia che si è svolta secondo la procedura stabilita con la lettura della bolla vescovile di nomina, con il bacio del Crocifisso, la consegna delle chiavi del Ta b e r n a c o l o, della mozzetta, del confessionale e del Fonte battesimale. S. E. Mons. Pangrazio ha poi rivolto il suo saluto ed il suo augurio al Rev.do Don Betti con espressioni di ben meritato apprezzamento per l'opera già compiuta sino ad ora nella nuova Parrocchia. S.E. ha poi magistralmente parlato della figura del Parroco, come maestro, guida e santificatore, sottolineando che il seguire il Parroco nei suoi insegnamenti costituirà per tutti motivo di salute spirtituale. Don Betti ha ringraziato l'Ecc. mo Mons. Vescovo per la fiducia accordatagli e per gli auguri rivoltogli ed ha parlato di quanto egli desidera realizzare per il bene delle anime a lui affi-
dare a maggior gloria di Dio. Dopo il canto del «Te Deum» Don Betti ha infine impartito la benedizione eucaristica. All'inizio della cerimonia, al momento dell'ingresso dell'Eccellentissimo Amministratore Apostolico e di Don Betti, un coro di uomini e giovani, egregiamente preparati e diretti dal M. O. Torquato Bastianini, aveva cantato l'Ecce Sacerdos Vester e il Veni Creator Spiritus. Altri mottetti sono stati cantati nel coro ed al termine della funzione. Tra i presenti, oltre al Segretario Vescovile Don Renzo Bellomi ed al Parroco di SS. Pietro e Paolo Don Balestri, il can. Roberto Angeli, il Padre Rubbi S.J., il comm. Santi, il Dr. Dino Lugetti, Presidente Diocesano dell'A.C., il Dr. Girolami e il Dr. Martorano, giudici di Tribunale, il Dr. Zaccaria direttore del Banco di Roma, il Dr. Ravanelli direttore dell'Ufficio del Lavoro, il Rag. Borrani, l'ing. Ubaldo Saltini, il rag. Vaccari e numerosi altri tra i quali i dirigenti parrocchiali e soci dell'A.C. Al termine della funzione religiosa numerosi parrocchiani si sono riuniti intorno a Don Betti per una manifestazione di affetto e di simpatia.
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Sopra, a sinistra, prime comunioni nella chiesina, al centro,
un gruppo di «diavoletti», tra i tanti giovani che scorribandavano intorno al pallone nel campo dove ora sorge la chiesa A destra, in alto, un gruppo di bambini della parrocchia, in basso, tutti in maschera! una festa di carnevale organizzata dalla parrocchia
modi. Andammo a Pisa in macchina e cominciammo a dire: cosa ci vuole? Ampolline, candelieri, ecc... tutto mancava. Quel che non mancò mai fu l’aiuto della gente». Si ricorda la prima riunione? «Certo. C’erano tutte persone di alto livello (ma non solo) abitanti nella zona: giudici, avvocati, impiegati di Prefettura, capouffici. Li aveva convocati tutti Lugetti in casa sua. Mi ricordo che si tassarono tutti per mille lire al mese, e non solo: decisero anche che ciascuno avrebbe trovato altre 9 persone che si tassassero. In questo modo fu rimpinguata la Cassa parrocchiale». Provvidenza? «E come chiamarla sennò? Come ho scritto nella mia lettera per il
Cinquantesimo (pubblicata a pagina 6, ndr) la vita della parrocchia è stata come quella di una foresta che cresce senza far rumore. Col contributo silenzioso e innamorato, anno dopo anno, prima di pochi entusiasti e generosi, poi pian piano con sempre nuovi collaboratori, nuove attività, nuove energie. Con opere murarie sempre più rispondenti per numero e capienza alle crescenti attività, con una vita di preghiera e formazione sempre più intensa. Una crescita materiale che andava di pari passo a quella spirituale. Con il desiderio di ‘fare’, ma soprattutto di ‘essere’». Provvidenza sì, ma anche tanto lavoro da parte sua. «Io posso dire che mi son fatto tro-
Guardando al futuro? Proseguite nel bene, non mollate mai
CALCIO Dove ora sorge la Chiesa, c’erano frotte di bimbi intorno al pallone
QUEI «DIAVOLETTI» SUL CAMPETTO DI FABBRICOTTI Quando l’Ipod, il cellulare e la playstation erano ancora fantasie, per le strade di Livorno si giocava a ghinè, a palline, a moscace’a, a lurilurinforzo ma soprattutto... a pallone. Nel campo dove ora sorge la Chiesa frotte di bimbi correvano idietro a un pallone. Tanto che don Betti un giorno decise di fondare una squadra di calcio... ma questa è storia degli anni ‘60. In questo stralcio di articolo di Carlo Melosi su «Noi Insieme» del 1977, si descrive la vita nel campino... 24
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«Chissà d’autunno o d’inverno di un anno nascosto nel tempo, sul terreno dove ora sorge la chiesa, bambini come grappoli d’uva, rincorrevano una palla che cercavano di far entrare nello spazio tra due giacchette arrotolate, stese per terra a indicare una porta, ad invitare alla segnatura. Quando la palla passava troppo alta, allora erano discussioni a non finire: «E’ goal o non è goal?». Tutto ciò costituiva un divertimento anche per i passanti che si fermavano per vedere quei «diavoletti» correre su e giù per il campo».
vare sempre disponibile e accogliente verso i carismi che, attraverso gli altri, mi capitavano fra le mani, favorendo tutte le cose buone che mi piovevano dal cielo. Ma se io ti dovessi dire, qual è stata la ricetta, non te lo saprei dire. Si diceva: servono le panche per la nuova parrocchia? Spunta il falegname della Legione Carabinieri. Perché non si radunano i bambini? E in poco tempo arriviamo a 120 bimbi iscritti all’AC. Si forma una bella corale? Prima 3 gatti, poi 5, su su fino a 40. C’è bisogno di un aiuto per il catechismo? Ecco le Venerini. Ci vorrebbe una scossa per questi giovani? Ecco don Paolo. E via via, potrei continuare per ore. E’ stato un crescendo continuo che dava ancor più entusiasmo man mano che vedevamo crescere tutto intorno a noi. Davvero io, ripensandoci ora, metto tutto nelle mani di Dio, è stato Lui l’artefice, io solo lo strumento, la matita. Lui sempre lì in prima fila, col suo Spirito, a illuminare, sostenere, correggere». S. Agostino l’ha lasciata nel ‘94 dopo 37 anni da parroco. Quale messaggio lascia oggi ai suoi vecchi parrocchiani? «Proseguire nel bene, darsi da fare sempre, non mollare mai, affidandosi completamente al Signore. Come ci si tira su l’uno con l’altro, si fa anche presto a buttarsi giù, influenzandosi a vicenda. Io, per parte mia, ora posso solo partecipare con la preghiera e attraverso la sofferenza del non-fare. Offrendo a Dio la mia immobilità». Come sempre, abbandonato tra le mani di Dio.
dalla cronaca di don Betti I ‘rossi’ volevano costruire un Centro per la Gioventù accanto alla Chiesa
Come Peppone e don Camillo I comunisti e S. Agostino
N
el 1958 sul Fides, il giornale della diocesi, ci si poteva imbattere in articoli che trattavano dell’«avvenire europeo» dell’Italia (il 1 gennaio erano entrati in vigore i Trattati di Roma che costituivano la Comunità Europea). Oppure si dissertava sulla «conquista dello spazio», espansione extraplanetaria del conflitto Usa-Urss. Il 3 febbraio 1958, ad esempio, si poteva leggere: «Il primo di febbraio è stata lanciata nello spazio la ‘Luna Bambina’ americana, che ora continua la sua corsa vorticosa intorno alla Terra, ad un’altezza quasi doppia degli Sputnik sovietici». Soprattutto il Fides era lo specchio fedele dell’atmosfera da «guerra fredda» del tempo. Il clima più disteso nelle Gerarchie ecclesiastiche creato del Papa Buono, eletto nel novembre dello stesso anno, era ancora di là da venire. I titoli di Fides parlano da sé. «Vivere eroicamente la Chiesa Cattolica in Siberia. Nelle steppe, nelle tundre nordiche, nelle foreste vergini, nelle zone dove si esperimentano le bombe atomiche sovietiche, dove partono le lune artificiali, là si innalza- Don Betti no le croci, segno della Fede, simbolo dell’avvenire». Oppure: «Nei sobborghi di Mosca. I clandestini di nel ‘58 a Dio». O ancora, in un articolo dell’11 maggio 1958 si Pangrazio. faceva notare come «questa Italia ha visto rifiorire il più obietto e scamiciato anticlericalismo fuoriuscito dalle «Eccellenza fogne ormai fuoriuso». E si diceva che la «guerra fredda dura e non accenna a placarsi». Il «pericolo comuni- ci faccia sta» era «sempre vivo, sempre presente, più vero e più costruire reale oggi che nel 1948 perché allora l’Unione Sovietica non era forte come oggi». un salone, Certo, Livorno faceva anche un po’ storia a sé: pur nell’estrema intransigenza delle posizioni - e basta leggere sennò Fides per capirlo - i due mondi si erano parlati. In Italia arrivano la nostra fu l’ultima delle Giunte di Unità Nazionale a sciogliersi ben oltre l’esperimento degasperiano. prima i Ma il clima alla Peppone e don Camillo si viveva, comunisti» eccome, anche da noi. E a S. Agostino? Pure. Così sulla cronaca di don Betti il 15 agosto 1958 si poteva leggere: «Anche dietro raccomandazione del nostro vescovo (Pangrazio), si sono fatte oggi particolari preghiere per la pace nel mondo e per la ‘Chiesa del silenzio’ (sono le comunità cristiane zittite dai regimi comunisti dell’Est europeo sotto l’egemonia dell’Unione Russa Sovieti)». Ma soprattutto c’è una lettera, scovata in Archivio diocesano, datata 28 novembre 1958, e indirizzata da don Betti a monsignor Pangrazio che può dirci molto di quanto l’avvento della parrocchia nel quartiere Fabbricotti non fosse passato inosservato ai comunisti. Anzi. Don Betti scrive, preoccupato, per sollecitare la costruzione di una sala per conferenze e proiezioni. E attacca: «Una brutta notizia - proprio l’altra sera - è stata data da alcuni nostri uomini i quali avrebbero sentito dire che il Partito Comunista, che agisce prevalentemente in Via Roma dove ha una sede malmessa, starebbe acquistando del terreno proprio vicino alla Chiesa, per la costruzione di un locale per la gioventù. Eccellenza, mi aiuti perché possa arrivare presto, prima di loro. Penso che la Parrocchia di S. Agostino abbia tolto la tranquilla sicurezza di padronanza ad alcuni caporioni che abitano nella zona e particolarmente per quanto riguarda i ragazzi che - secondo loro - sono insidiati dalla Chiesa e particolarmente da me, che ho avuto dal Signore il dono, di farmi presto amici tutti i bambini che incontro (pur non avendo ancora capito bene precisamente il perchè)». Tale e quale a don Camillo.
DIARIO 1957 2 MAGGIO - Prima sorta di "consiglio pastorale parrocchiale" e "c.p.a.e.": Pietro Michelacci, Gino Battaglini, Paolo Rafanelli, Temistocle Mariotti, Raoul De Maio, Virgilio Girolami, Luigi Saltini, Dario Cremoni, Gino Vaccari, Dino Mugelli, Giuseppe Foti, Piero Borrani, Renato Orlandini, Ugo Landi, Giulio Bittarelli, Francesco Galluzzo, Armando Bogi, Pietro Bianchini, Roberto Morelli e Ugo Masani. Convocati ma assenti a prima riunione: Alfonso Erceli, Vittorio Santi, Lorenzo Conti, Pilade Filidei, Benedetto Amodei, Salvatore Cardile.
Festa di pentecoste - Alle ore 9 è giunto Pangrazio per la celebrazione della prima Messa e per dare l'avvio all'attività pastorale in S. Agostino. Presenti alla cerimonia molti parrocchiani ed amici miei; Don Giovanni Balestri, parroco dei SS. AA. Pietro e Paolo con alcuni parrocchiani e chierichetti e Don Mario Udina Cappellano Maggiore della Misericordia che ha favorito i fedeli nel seguire il Rito avendo piazzato nei corridoi esterni ed interni gli altoparlanti da lui portati. 9 GIUGNO
DIARIO 1958 8 SETTEMBRE - In occasione della festa della Natività di Maria continua la tradizione dei festeggiamenti mariani (19.30 Funzione Mariana in via delle Medaglie d'oro della Resistenza, dinanzi al tabernacolo della Madonna di Montenero eretto sul fronte del palazzo/cooperativa filotranvieri, n. 9/11) per recita del Rosario. Alle 21 raduno e funzione si sono ripetute in via Roma (palazzo Case popolari) dinanzi al tabernacolo con l'immagine della Madonna, addobbato riccamente con luci e fiori.
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Anni ‘60 La nuova chiesa
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FESTA DALLE VENERINI In questa bella foto don Betti con i bambini dell’Istituto Venerini il 31 maggio 1969. L’istituto venne inaugurato nell’ottobre del 1962 In colonna, la nuova chiesa appena inaugurata
a nuova chiesa o la Chiesa nuova? Tutte e due. Gli anni ‘60 soffiarono un vento forte di novità a tutti i livelli della comunità cristiana. Per la Chiesa Universale, per la Chiesa diocesana e per la giovane parrocchia di S. Agostino. E fu un intreccio di rinnovamento che anche in città e nel quartiere per molti versi alimentò l’entusiasmo e spalancò orizzonti inesplorati. A Roma si mettevano i mattoni della «Chiesa nuova». Giovanni XXIII - un papa anziano che appena eletto al Soglio parve a tutti una svolta prudente e senza incognite dopo gli ultimi difficili anni di Pio XII - dilatò in un quinquennio il respiro della Chiesa connettendola alle straordinarie trasformazioni del contesto mondiale. «Come fiore spontaneo di inaspettata primavera», il Papa Buono annunciò quel Concilio che avrebbe avuto lo scopo di adeguare il mondo cattolico alle nuove condizioni di vita, ai nuovi modi di pensare conseguenti alla rivoluzione scientifica e tecnologica e al crescere in tutto il mondo delle aspirazioni democratiche. C’era un mondo che cambiava volto, la Chiesa non poteva restare la stessa. Anche in diocesi la trasformazione fu piuttosto brusca. A succedere a monsignor Pangrazio era arrivato una personalità di assoluto rilievo della Chiesa italiana degli ultimi decenni. «Domenica 1 luglio 1962 - si legge su Regnum Christi - ha fatto il suo solenne ingresso nella nostra diocesi il nuovo Vescovo Mons. Emilio Guano. I parrocchiani del Viale della Libertà, rispondendo con entusiasmo all'appello inviato loro dal parroco, avevano pavesato a festa il percorso che segnava l'ingresso del corteo ufficiale nella città. Indimenticabile resterà il ricordo dell'entusiasmo dei parrocchiani nostri che hanno bloccato la macchina del Presule, subito dopo la Barriera Roma. Mons. Guano, dopo aver ricevuto un mazzo di gladioli bianchi presentato con parole di augurio dalle beniamine Maria Gloria Barella e Stefania Balzini, ha salutato con un abbraccio i parroci delle due parrocchie rappresentate ed ha impartito commosso la sua benedizione». Guano, con monsignor Franco Costa (con cui condivise gli anni in Fuci) e l’arcivescovo Giacomo Lercaro, apparteneva a quella parte della chiesa genovese che più di tutte nell’episcopato italiano appoggiava la linea del rinnovamento giovanneo e montiniano in contrapposizione all’area tradizio-
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GUANO E ABLONDI VENTO NUOVO IN DIOCESI
Anni 60 FINALMENTE LA NUOVA CHIESA I LAVORI INIZIARONO IL 2 MAGGIO 1966
«La nuova Chiesa - scriveva don Betti - ha un aspetto un po’ particolare e moderno, perché nelle intenzioni dell’architetto ideatore, l’Ingegner Chini, la struttura doveva riprendere l’idea di una tenda, la tenda di Mosè». Qui sopra una foto dello stato dei lavori negli ultimi mesi del 1967
Emilio Guano arrivò in diocesi nel luglio del 1962 a pochi mesi dall’inizio del Concilio Vaticano II di cui fu assoluto protagonista. Alberto Ablondi fu suo Ausiliare dal 1966, divenendo poi Vescovo nel 1970. Entrambi portarono grande rinnovamento nella vita della Chiesa livornese
MONSIGNOR PANGRAZIO VESCOVO DAL ‘59 AL ‘62
«C’è una cosa che da Vescovo di Livorno - disse Pangrazio tornando in visita in città nell’87 - farei di nuovo immediatamente ed è la scelta di don Pier Luigi Betti come parroco della nascente parrocchia di S. Agostino». Pangrazio, morto nel 2005, è stato segretario generale della Cei dal 1966 al 1972
nalista capeggiata proprio dal cardinale di Genova Giuseppe Siri. Del Concilio Guano fu grande protagonista (presidente di una sottocommissione centrale), giocando una parte significativa nella stesura di fondamentali documenti come la Dei Verbum e la Gaudium et Spes. Ma la malattia che ben presto lo colpì e le continue assenze proprio per gli impegni romani impedirono alla Chiesa livornese di godere appieno (forse anche per una certa inerzia da parte del clero livornese) tutta la novità di un Vescovo così profetico. Ad affiancare Guano nel 1966 arrivò quello che sarebbe diventato viste le sue continue visite in parrocchia nei primi anni - il «cappellano onorario di S. Agostino». «Monsignor Ablondi - scrisse don Betti in occasione dei 20 anni di episcopato - non veniva a Livorno come ‘ordinario’ ma come ‘coadiutore’, ma subito, dai primi contatti di saluto, potemmo capire che chi 28
Qui sopra,
Mauro Solari, figlio dello ‘storico’ economo della parrocchia Luigi
Solari.
Ha vissuto la sua adolescenza in parrocchia e ricorda bene il clima di unità e voglia di sacrificarsi che caratterizzava la gente di S. Agostino negli anni della costruzione della nuova chiesa
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veniva tra noi era uno ‘straordinario’. La sua affabilità paterna, il suo modo di accogliere, le sue prime parole richiedenti collaborazione ed il suo sorriso fecero capire, appunto, che qualcosa di buono c’era veramente da sperare». Con Guano e Ablondi nasceva davvero una «Chiesa nuova» sull’onda lunga del rinnovamento conciliare. Ma in quel primo scorcio degli anni ‘60 c’era anche una «nuova chiesa» che era sulla bocca di tutti nel quartiere Fabbricotti. E soprattutto era sulla bocca e nei pensieri di don Betti e dei laici che insieme a lui stavano mettendo con fatica le ali a un sogno che cominciò ad apparire realtà solo intorno alla metà del decennio. Il salone-cappella era davvero troppo angusto per una popolazione che nella zona cresceva ancora a ritmi da boom: nel ‘59 il censimento parrocchiale diceva 5.097 anime, appena due anni dopo - con un balzo incredibile - si arrivò a 6.519 (per circa
1.800 nuclei familiari), nel ‘63 ancora un salto fino a 7.122. Basta scorrere velocemente le pagine di Regnum Christi per avere un’idea dell’ansia con cui si coltivava questo progetto. Per due lustri «la nuova chiesa» è il titolo più ricorrente sulle pagine del bollettino parrocchiale: ogni mese don Betti aggiornava sugli sviluppi, i ritardi, le marce indietro, i piccoli successi conquistati. «Quante volte, su questo Bollettino che porta la mia voce e le notizie della parrocchia nelle vostre case - scriveva ad esempio il 1 ottobre 1965 - abbiamo parlato della chiesa nuova. E quante speranze… e quante attese!». E la nuova chiesa fu - non c’è dubbio - una faticosa conquista di popolo. Di soldi lo Stato ne tirava fuori pochi e allora la fantasia del parroco e dei laici dette vita al Comitato pro erigenda chiesa, una vera e propria commissione permanente popolare che ebbe l’incarico di mettere le gambe al progetto del
COMITATO PRO ERIGENDA CHIESA Fu costituito nel febbraio 1962 Era il simbolo di una Comunità che voleva costruirsi da sè una chiesa
I FEDELI EDIFICANO LA NUOVA CHIESA LA COSTRUZIONE TAPPA PER TAPPA
MAGGIO ‘68 Qui a lato la tradizionale premiazione della gara catechistica che chiudeva l’anno di catechismo. La foto risale al 26 maggio 1968. Qui sopra, il plastico della Chiesa, sotto, la Chiesa in fase di completamento
nuovo edificio attraverso l’autotassazione dei parrocchiani. A quel tempo Mauro Solari era un adolescente. Ma questo clima lo ricorda eccome: «Era un’atmosfera molto bella - racconta - la chiesa nuova era una esigenza viva e reale, molto sentita dalla gente del quartiere». Mauro la vita della parrocchia la viveva tutta: suo padre Luigi («con in tasca un diploma da computista commerciale») è stato per tantissimi anni ‘l’economo’ della parrocchia e fu tra i membri promotori del Comitato per l’erezione della Chiesa. «La nuova chiesa - dice Mauro - era un impegno sentito sulla propria pelle. C’era un bel clima comunitario e succedeva un po’ come succede oggi nei paesi poveri - come ad esempio nelle favelas del Brasile dove la gente prima delle case, ti chiede di costruire la Chiesa, perchè sente che lì c’è il centro di tutto. Sentimenti che oggi abbiamo perso e che andrebbero riscoperti».
«S. Pasqua 1966. Carissimi parrocchiani, con la benedizione e l’augurio pasquale, Vi annunciamo l’inizio dei lavori per la costruzione della chiesa parrocchiale. L’opera completa - per un importo di 80.000.000 di lire - sarà costruita per il 61% a carico dello Stato, mentre il rimanente 39% (pari a 31.000.000 di lire) sarà a carico della Parrocchia. Il Comitato ‘pro erigenda chiesa’ ha portato a raccogliere solo la metà della cifra occorrente; ecco perché ci rivolgiamo a Voi, sia che non abbiate dato ancora la vostra offerta, sia che già apparteniate alla numerosa schiera dei beneffatori. Vogliamo ricordarvi il dovere di amare la propria chiesa, di aiutare a edificarla perché in essa abita il Dio vivente. Quando nel giorno di Pentecoste 1967, entreremo nella nuova grande chiesa, ci sentiremo una grande e buon famiglia che ha costruito con i propri mezzi la casa del Padre che ci compenserà con le sue Grazie. Vi salutiamo e Vi auguriamo ogni bene nel Signore. Don Betti e don Orfeo». In realtà, come sappiamo, il sogno di inaugurare la Chiesa esattamente 1O anni dopo la prima messa nella chiesina rimase tale. La Chiesa fu consacrata infatti dal vescovo ausiliare Alberto Ablondi il 4 MAGGIO 1968. Nel piccolo volantino sopra riportato che veniva distribuito con nel dorso l’immagine del plastico dell’edificio si comprende molto della storia della costruzione della nuova chiesa venuta su col grande contributo dei fedeli. Vediamo le tappe più importanti di questa opera comunitaria.
Il 7 FEBBRAIO 1962 viene formalmente costituito il «Comitato pro erigenda Chiesa» formato da 18 membri (don Betti, don Bosello, Lugetti, Solari, Romboli, Tonelli, Ghezzani, Di Pietro, Cardini, Mammini, Bittarelli, Chini, Nencioni, Fabbri, Mazzone, Saltini, Balata, Conti. Segretario Luigi Solari, Presidente Vincenzo Razzauti, Provveditore Dino Lugetti, Cassiere Fulvio Romboli). Il 26 SETTEMBRE 1963 viene esposto all’ingresso della cappella il plastico della nuova chiesa. Incaricati sono sempre presenti all’ingresso per raccogliere gli aiuti necessari (tra questi Edoardo Marinucci, Guido Rossigni, Ugo Landi, Remo Galassi, Alberto Fabbri, Lido Pettinati. Il 31 OTTOBRE 1965 il Provveditorato alle Opere pubbliche approva finalmente il progetto della nuova chiesa di S. Agostino elaborato dall’Ingegner Vittorio Chini. Il 9 FEBBRAIO 1966 l’Impresa del geometra Giuseppe Farneti vince la gara di appalto per la costruzione della Chiesa. Il 19 MARZO 1966, Festa di San Giuseppe, viene celebrato sulla piazza delle Belle Arti il rito della posa della prima pietra del nuovo edificio. Il 28 MARZO 1966 il Comitato consegnano a tutte le famiglie della parrocchia una cartolina con modulo di risposta per un ‘impegno mensile’ o straordinario in favore della costruzione della chiesa. Il 2 MAGGIO 1966 iniziano finalmente i lavori al cantiere di S. Agostino. Dopo la morte del progettista Ing. Chini il 6 SETTEMBRE 1966 la direzione dei lavori viene assunta dall’Ing. Piero Petroni. L’11 GIUGNO 1967 vengono donate due campane dall’Arciconfraternita della Purificazione. Il 19 MARZO 1968 Ablondi consacra le nuove campane. Poi il 4 maggio 1968, la Consacrazione.
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Pier Luigi
Mazzetti
La mia vita a Sant’Agostino dallo Stanzone alla Stanza
Oggi ha iniziato una bellissima esperienza presso i Servi di Maria di Monte Senario, ma per 46 anni Piero Mazzetti ha vissuto la vita della parrocchia, come base dei suoi servizi in Diocesi. «Che belli quei primi anni della parrocchia!»
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a deciso di entrare in convento a Monte Senario tra i Servi di Maria alla bella età di 81 anni. Per chi lo conosce, sa già che fa parte del «personaggio». «Avevo bisogno di una vita di più intensa preghiera, - ti dice Pier Luigi Mazzetti (per tutti «Piero») dall’altra parte della cornetta - sai, arrivato a questa età volevo una comunità dove poter stare più vicino al Signore». Poi fa una pausa, ci pensa un po’ e, con la sua vulcanica simpatia, ti dice ridendo: «Però se ti devo dir la verità m’hai beccato che rientro ora in convento tutto puzzolente. M’hanno mandato a svotare una fogna». E’ tutto lui. In un mix completo tra spirititualità e materialità da livornesaccio doc. Più labora che ora eh Piero? «Sai per accettare uno in convento a più d’ottantanni bisogna che tu ti faccia vedere utile in qualche modo. Sicché m’hanno messo ai lavori: aiuto in cucina, sbarazzo il refettorio...». Pare che Ablondi (lui, «teologo del ricominciare») abbia apprezzato molto l’ulteriore testimonianza di vita di Piero. Perché Piero ha un intensissima vita ecclesiale di servizio passata tra l’impegno per la carità (presidente diocesano della S. Vincenzo negli anni’60; dall’86 al 2000 alla Caritas ha gestito la mensa e il servizio dei pacchi per i poveri; senza contare i campeggi per disabili a Castiglioncello...), e nell’associazionismo cattolico (vice presidente dei Giovani Cattolici di Ac negli anni ‘50, presidente Uomini Cattolici negli anni ‘60, poi l’impegno tra gli Scout nell’ASCI, quello nella CISL Bancari e come segretario dell’Arciconfraternita di S. Giulia). Ma insomma Piero dove lo trovava il tempo di partecipare alla vita di S. Agostino? «Eh, infatti in parrocchia ho fatto di molto pochino! Se si esclude l’iniziativa della Stanza di via Terreni e 30
1 Dal salone al rustico di don Betti fino agli anni di don Luciano Cantini «Una grande vita di comunità» Qui sotto,
Piero Mazzetti
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qualche comparsata sul giornale parrocchale ‘Noi Insieme’ direi che ci sono tanti altri che hanno fatto molto più di me per S. Agostino. Però la vita della parrocchia la conosco bene. Son tornato nel quartiere nell’ottobre 1962». Vorresti parlare solo degli anni ‘60 ma finisce che le due chiacchere con Piero si trasformano in un lungo excursus a 360° gradi sulla storia della comunità vista dal suo personalissimo punto di vista. Da dove partiamo allora? dalla Stanza o dallo Stanzone che faceva da Chiesa? «Mah... partiamo dalla Stanza che è più vicina. Era il 1985, don Betti, organizzò un pellegrinaggio a Lourdes. Ne feci parte, e conobbi Franco, Marisa e Roberto Scarpelli. Insieme avevano organizzato la cosiddetta Stanza, un locale in via Terreni dove tre volte la settimana si servivano 50 pasti ai poveri. Partecipai a questo servizio ed ebbi subito l'idea che sarebbe stato bello, se la mia parrocchia avesse dato il suo contributo. Il parroco aderì alla mia richiesta e subito nacque il gruppo di S. Agostino, che tutt'oggi - trasformatosi in Caritas per la cessazione della Stanza - presta la sua opera con ben due gruppi». E invece lo Stanzone al rustico dei primi anni della parrocchia?
2 1 Ragazzi intorno a don Betti 2 Mario Bandinelli tiene il discorso alla Consacrazione delle Campane 3-4 La chiesa in costruzione 5 Un Giovedì Santo nella chiesina 6 Don Betti suona il piano durante una recita al Venerini 7 La recita di un bimbo al Venerini 8 L’economo della parrocchia Luigi Solari 9 Don Ugo Papini 10 La Corale Parrocchiale dopo una esibizione in Duomo 11 Premiazione catechistica, 6 giugno 1970 12 Prime Comunioni 1969
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7 I COLLABORATORI Durante i primi anni molti sacerdoti collaborarono con don Betti: don Orfeo, don Ugo, i padri Gesuiti e i padri Trinitari
DON ORFEO BOSELLO, PRIMO CAPPELLANO DI S. AGOSTINO
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rrivò l’8 dicembre 1963 da Rosignano Marittimo il pordenonese don Orfeo Bosello. Fu il primo cappellano di S. Agostino fino al suo trasferimento a S. Luca a Stagno che portò all’arrivo di don Paolo Razzauti l’11 ottobre 1970. In realtà prima di don Orfeo c’era stata una fugace esperienza con don Luigi Vigliarolo e soprattutto don Betti si era avvalso della collaborazione dei Padri Gesuiti (Zanca, Tonelli, Strada e Mesini) e dei Padri Trinitari che per lungo tempo si resero disponibili per la confessione e per celebrar Messa. Dal 1965 prestò servizio in parrocchia anche il maestro elementare e Cappellano della Capitaneria di Porto, don Ugo Papini (morto nel 1976). La cura dell’oratorio della parrocchia fu per qualche tempo affidata anche al giovane
«Me lo vedo ancora davanti agli occhi, con quella piccola balaustra che delimitava l'altare e il posto del celebrante! Le porte che davano sul piccolo corridoio del cortile, dove era stata posta la nicchia della Madonna, sempre con i fiori ai suoi piedi. La domenica le persone sostavano anche in quello spazio. Quel salone al rustico era l’inizio di una grande vita comunitaria». Il salone è il suo primissimo ricordo di S. Agostino? «No, per dir la verità ho anche un ricordo molto vivo che risale a quando non abitavo nel quartiere Fabbricotti. Se non vado errato era il maggio del 1957. Stavo sostando dalle parti della chiesa di S. Giulia, ed ebbi occasione di notare il vescovo monsignor Pangrazio e don Betti che colloquiavano tra loro. Era stato annunciato che dovevano nascere due parrocchie una a sud ed una a nord. Una era quella di cui stiamo facendo memoria, l'altra era la Sacra Famiglia di Shangai.
seminarista don Pietro Basci. Ecco cosa scrisse don Betti per salutare don Orfeo Bosello: «E’ stato un compagno fedele nel lavoro; puntuale e preciso; capace di ‘mandare avanti’ una grande parrocchia come la nostra (basta pensare ai miei 50 giorni di degenza in ospedale nel 1968 per capire quanto don Orfeo sia capace di fare). I ragazzi, i giovani si erano con lui ben affiatati e lo cercavano continuamente per le loro necessità (ricordo la ressa dei piccoli alla confessione domenicale e le lunghe file di uomini e giovani per la confessione alla vigilia delle grandi feste). Don Orfeo ha adottato un suo metodo di apostolato ed ha portato frutti abbondanti di bene. Con il colloquio personale più che con il chiasso di certe organizzazioni è riuscito a fare molto. L’apprezzamento per la sua parola così scorrevole e convincente, specialmente nelle omelie domenicali, lascerà nei parrocchiani buoni ricordi e santi propositi».
Ebbi l'impressione che stava per nascere quella a sud. E così fu. E fu cosa bella». Cosa ricorda del don Betti degli inizi? «Posso dire che ha fondato la comunità moralmente e materialmente. E furono lunghi anni di vita, di gioie e sofferenze, di alti e bassi, e tante altre emozioni che ogni parrocchiano un po’ più anzianotto ricorderà bene. Don Betti in quel periodo aveva una grande energia: allegro ma anche serio se ci voleva ma, soprattutto: sempre presente. Le celebrazioni, le liturgie, le ricorrenze religiose, le processioni, i pellegrinaggi, i campeggi, la stampa, ecc. Non c'era scampo! Tutto doveva essere celebrato! Seppe tirar su dal nulla questa grande vita comunitaria. Sì, comunitaria, perché nonostante il suo modo di agire sembrasse autoritario, in realtà lasciava molto spazio a che si sviluppassero i carismi dei suoi collaboratori, e tra questi c’erano
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molti ragazzi. Era motivo d’orgoglio sentirsi da lui chiamati per quella o per quell'altra attività e perciò si faceva il possibile per dare il meglio». E della vita comunitaria di quei primi anni quali immagini le tornano in mente? «Bè, sicuramente i bimbi del catechismo! Come si fa a non mensionare la grande vivacità di vita intorno ai bimbi e ai ragazzi al catechismo. Con la collaborazione dei catechisti e delle suore di via Lopez, si arrivò anche a 400 giovani! Poi di quei primi anni mi viene a mente la magia di certi momenti litugici forti quando si respirava un clima comunitario intensissimo. Nel periodo pasquale e natalizio tutto veniva incentrato nella preparazione delle celebrazioni perché i fedeli trovassero l'ambiente adatto per la preghiera, per sentirsi sempre più vicini a Dio. A Pasqua il fuoco fuori della chiesa e l'ingresso accompagnati dal canto: la luce di Cristo con le candele che si accendevano pian piano. E poi i battesimi con l'acqua appena pronta per fare entrare il catecumeno nella comunità. E a Natale la preoccupazione e la frenesia di arrivare in anticipo per trovare il posto per sedersi e pregare meglio in quello spazio così ristretto Sopra, Aurelio ma così intimo». Torri. Così lo Un clima comunidescrive Piero tario che col Mazzetti: «sindacalista, tempo poi ha vincenziano, generato anche azione cattolica, tante vocazioni sempre presente sacerdotali... in parrocchia, vero cristiano» «Sì, i nostri seminaristi e sacerdoti hanno lasciato una bella impronta nella nostra comunità. La teologia e la cultura di don Raffaello Schiavone che tutt'oggi si manifesta nella diocesi; la profonda ispirazione religiosa, unita alla facoltà di insegnare, che don Andrea Brutto dimostra con il suo incarico di Rettore del seminario; la grande simpatia e l'amicizia che riesce a coltivare - e che nasce dalla sua fede - di Francesco Fiordaliso, ed infine lasciamelo dire - anche se non è nato nella nostra parrocchia, 32
QUEL GIORNO DEL ‘62 CHE ARMANDINO PICCHI... Negli anni Sessanta don Betti decise che bisognava fare qualcosa per quei bimbetti dietro al pallone...
«S
e le attività sportive curate dall'infaticabile don Orfeo e dallo zelantissimo Carlo Melosi (foto sotto), hanno richiamato nel campo un numero sempre crescente di piccoli Mazzola e promettenti Bandoni, quest'anno il numero è divenuto veramente una folla». Così scriveva don Betti su Regnum Christi nell’ottobre 1965. Da un po’ di anni per quei «diavoletti» che si ritrovavano a giocare nel campo
AZIONE CATTOLICA 1963
Associazioni di AC Uomini 40 Donne 60
Fanciulli 80 Di cui Fiamme Bianche 30 Verdi 15 Rosse 30 Pargoletti 5 Gioventù Maschile 33 Di cui Aspiranti 12 Juniores 12 Seniores 8 Gioventù Femminile 133 Di cui Angioletti 5 Piccolissime 43 Beniamine 35 Aspiranti 18 Effettive 32
Totale 346
Foto accanto:
un incontro nel salone che prenderà nome dall’Ingegner
Giovannangelo Castellani, il primo seduto da sinistra
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accanto alla chiesina (foto a sinistra) si era deciso di organizzare una vera e propria società calcistica. Per un po’ si chiamò «Fabbricotti» e Melosi fu nominato «presidente, segretario, allenatore, dirigente, accompagnatore». «La mia macchina - scriveva nel ‘77 - era sempre stracarica di ragazzi che, tre volte la settimana, dovevano andare al campo della Rosa o di Salviano per gli allenamenti. Si vinceva o si perdeva, ma ciò non aveva importanza; tutti erano soddisfatti di ciò che ciascuno aveva potuto fare. Don Betti e don Bosello ci erano di
ma qui ha operato molto - l'amore, la catechesi, l'organizzazione che don Paolo Razzauti ha portato insieme con la sua grande energia nei 12 anni che è stato in mezzo a noi. Io credo che grazie anche a questo fiorire di vocazioni per noi, ormai anziani, siano stati anni veramente pieni, che hanno dato una base al nostro credere e una vitalità maggiore alle nostre azioni di cristiani». Certo, molti che sono diventati poi sacerdoti, appartenevano al «gruppo chierichetti». Ai tempi d’oro ce n’era un verobattaglione... «Eh sì! Ed era una grande soddisfazione per il sottoscritto vedere quell’altare sempre pieno di tonache e roccetti, o cappe bianche. Era uno spettacolo osservare quel loro muoversi con fare liturgico per il servizio alla mensa: genuflettersi davanti al Santissimo, portare i candelieri, muovere il turibolo, suonare il campanello alla Elevazione,
grande aiuto. Fu costituito un Consiglio sportivo composto, oltre che dal sottoscritto, dai signori Corrente, Vivarelli e Di Pietro». Ben presto però la società cambiò il suo nome e per un motivo molto speciale. «Nel nostro quartiere - scrive Melosi - abitava il grande ‘Armandino’ e fu proprio lui, Armando Picchi (foto sotto il titolo) dietro invito del giorna-
portare il calice sulla mensa, porgere le ampolle e tutto il resto. Sempre pronti ad ogni funzione, obbedienti al capo chierichetto ed al celebrante. Mettiamoci anche questo in conto all’insegnamento di don Betti». I giovani comunque, non facevano solo i chierichetti... «Sì, tanti giovani, hanno dato la loro opera con spirito di sacrificio, con l'esempio, con la assidua partecipazione alle varie attività: dal catechismo, alla liturgia, fino al giornalino dimostrando allora con l'obiezione di coscienza, e oggi con le loro famiglie numerose e frequentanti, il loro vero spirito cristiano. Pensando agli anni ‘70 mi vengono a mente ad esempio Stefano Nannini, Luca Valtriani, Roberto Razzauti, ma son sicuro di scordarmene tanti e tanti». E tra gli adulti impegnati in parrocchia chi le viene a mente?
1969
13 novembre
S. Agostino, sull’onda del Concilio, è stata una delle prime parrocchie della diocesi a dotarsi di un C.P.P. Tra tiepidezze e vera partecipazione
Il Consiglio Pastorale Parrocchiale Per una comunità di corresponsabili
lista Vinicio Saltini a venire al campo della Rosa per vedere il gioco dei nostri ragazzi, dare consigli, suggerimenti, incoraggiamento. Fu allora, nel 1962, che il Gruppo cambiò nome e da ‘Fabbricotti’ divenne ‘Armando Picchi Fabbricotti’. Armandino in persona aveva concesso che si usasse il suo nome e così il nostro Gruppo sportivo, per primo a Livorno, ebbe questo ambito nome».
«Ne dico uno per tutti, sapendo di non fare torto a altri che meritano ugualmente un ricordo. Penso cioè alla figura di Aurelio Torri, sindacalista, vincenziano, membro di AC, sempre presente in parrocchia, sempre disponibile per aiutare i bisognosi, un vero cristiano». Con un balzo brusco arriviamo agli anni in cui il parroco era don Luciano. Pure lui cresciuto a S. Agostino... «Mi viene a mente subito un’immagine che tuttora mi colpisce del suo modo di essere prete. Mi riferisco alla lavanda dei piedi: pensavo, come si usa normalmente, che anche don Luciano scegliesse i fedeli che si prestavano per questa liturgia. No! Cintosi il grembiale, seguito dal chierico, scendeva dall'altare e si infilava in mezzo alle panche. Poi si presentava di fronte ad una persona e, con grande umiltà, lavava il piede e lo baciava. Mi ha sempre colpito molto questo modo di procedere, che ne ho colto subito il grande significato. E’ il simbolo liturgico della sua grande capacità di accoglienza».
Dalle «Cronache Parrocchiali» si legge: ad affermarsi come trave portante di tutta l'impal13 novembre 1969: prima riunione del Consiglio catura che regge la vita della comunità? Eppure Parrocchiale per le varie attività. Prima di costituire se si avesse la cura, l'attenzione, lo stimolo cultuun vero e proprio Consiglio, sono stati invitati a parrale ed apostolico di studiare lo statuto che lo tecipare alla prima riunione, quanti desiderassero regge, si scoprirebbe che, nella comunità parrocintervenire per portare il proprio contributo di idee chiale, il C.P. dovrebbe essere talmente importane suggerimenti. te da non essere più possibile 28 febbraio 1970: alle ore 17 di farne a meno. [...] Credo che oggi, sabato, abbiamo tenuto sarebbe non solo molto istruttivo, un'assemblea parrocchiale per la ma aiuterebbe a togliere dalla presentazione dello statuto del mente, tanta indifferenza, tanta Consiglio Pastorale Parrocchiale, stoltità, figlia dell'ignoranza. [...] Lo dando a tutti la possibilità di interstatuto del C.P. sembra indicare un venire e fare le proprie osservaziocammino ascensionale della ni in quanto l'attività del consiglio comunità. Niente pericoli di involuSopra, Giacomo riguarderà la liturgia, la carità, la zioni; anzi rottura netta, spaccatura Razzauti, per catechesi e la ricreazione. decisa con le tipiche incrostazioni, statanti anni membro del Copie della bozza dello statuto sono state gnazioni, morte gore, paludi, abitudinaConsiglio messe a disposizione di quanti fossero rismi, chiusure, mimetizzazioni, ostraciPastorale interessati ad esaminarle per tempo. smi, cui ogni struttura (per quanto viva Parrocchiale. Con la moglie Molte approvazioni e poche osservazioni o vitale possa essere o sembrare) è a Barbara collabora di fondo. lungo andare sottoposta. da molti anni 31 maggio 1970: per sollecitare la colla- in varie attività Ma lo statuto è l'espressione viva che parrocchali borazione al Consiglio Pastorale corrisponde in pieno ad una comunità Parrocchiale di quanti desiderano far vivace, o è un insieme di fogli di carta parte delle varie commissioni, sono stati distribuiti ridotti, in realtà, ad essere senza anima? [...] Il dei moduli di adesione con spiegati i compiti delle C.P. è, ormai, una struttura della Chiesa; e se noi singole commissioni, perché la scelta sia consapediciamo di fare parte della Chiesa di Dio, abbiamo vole, volontaria ed effettiva. l'obbligo morale di conoscere, di partecipare, di Come si vede da queste annotazioni, il C.P., nella stimolare, di criticare positivamente questo orgaparrocchia di S. Agostino, ha radici lontane. nismo. Se ne deve, però, prima conoscere il valoCome tutti gli organismi di questo genere, ha avuto re e l'importanza; dopo di che, lo si deve fare proi suoi alti e bassi; ha vissuto periodi fecondi, di prio e viverne direttamente o indirettamente la grande contenuto pastorale, di approfondimento, di vita. Vita che non è e non deve essere una semstudio, con tanto entusiasmo e grande partecipaplice, stiracchiata, amorfa esistenza. Ma una vita zione; ha vissuto anche momenti di stanchezza, di ricca di sapore e di calore perché il C.P. giustifica assopimento, forse troppo impegnato a «fare» piutla sua esistenza solo se aiuta la comunità a vivetosto che a «pensare». re della Eucaristia, a cogliere fino in fondo il senso È comunque sempre stato un punto di riferimento vero dello ‘spezzare il pane’ che significa condiviprivilegiato della vita della parrocchia: le attività sione, donazione della vita per il mondo, partecisono sempre state pensate e realizzate all'interno pazione alla vita dei poveri». del Consiglio Pastorale «guidato» con saggezza ed Concludeva scrivendo: «tu che leggi queste note attenzione dai parroci e collaboratori che si sono dirai: ma finora il C.P. è stato ben lontano da queavvicendati in questi anni. ste sublimi altezze. E, forse, è vero, ma tu lettore, È interessante rileggere e riflettere, oggi, su quanche cosa hai dato e pensi di dare perché questa to scriveva nel 1987 Mario Lumetti, ispiratore delle utopia si trasformasse e si trasformi in realtà?». premesse teologiche e pastorali del nostro statuto, Questo è quanto ha cercato di essere, per molti riguardo al Consiglio Pastorale: anni, il nostro Consiglio Pastorale; se ci è riuscito «Come stupirsi se ancora oggi in molti si chiedono non spetta a me valutarlo. GIACOMO RAZZAUTI che cosa esso sia; e perché esso stenta così tanto CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
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L’Istituto fu inaugurato nell’ottobre 1962 e dette subito grande beneficio alle attività della giovane parrocchia
Maestre Pie
Venerini
Le «suorine» di via Lopez, guide per la gioventù
La loro attività fu subito ampia e articolata. Le suore del «Paradisino» di Venezia venivano già ad aiutare don Betti nel catechismo prima che fosse costruito l’Istituto «Beata Rosa Venerini». Riviviamo un po’ di storia dell’Istituto e della parrocchia attraverso il racconto di quattro suore. «Per noi sono stati anni indimenticabili»
«L
’Istituto Beata Rosa Venerini in via Sabatino Lopez è sorto, si può dire, dalle rovine di guerra. La popolazione livornese, anche se a distanza di tempo dall’immediato periodo post-bellico, stava formando nella zona Fabbricotti, un grande agglomerato; le maestre Pie, con lo sguardo interpretativo dei bisogni del momento intuirono la necessità di una loro presenza ed idearono di aprire una Scuola Materna, Elementare e Media, e nell’ottobre 1962 diedero inizio alla loro opera educativa in questa zona e si resero disponibili alle attività parrocchiali di catechesi, di preparazione ai fanciulli ai Sacramenti dell’iniziazione cristiana; l’edificio venne aperto per momenti di incontro ai fanciulli, ai giovani, agli adulti». Così scrivevano le suore dell’Istituto di via Lopez nel giorno del 25° anniversario della fondazione della parrocchia nel 1982, spiegando in poche essenziali parole qual è stato per tanti anni - e ancor oggi - il loro servizio e la loro missione nel quartiere Fabbricotti. Nel 1961, quando venne posta la prima pietra dell’Istituto, da pochi anni si era inaugurata la scuola elementare Pilo Albertelli, che era stata una prima risposta alla carenza di infrastrutture scolastiche nel nuovo quartiere in espansione. Ma l’Istituto Venerini immetteva nella zona un carisma nuovo e prezioso, un
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Sopra, due
momenti del giorno della posa della prima pietra dell’Istituto Venerini di Via Lopez, il 12 giugno 1961. Nella
foto a sinistra
monsignor Pangrazio tiene il suo discorso alla folla, a destra il professor Gianfranco Merli, allora presidente dell’Istituto «Paradisino» appone la sua firma. Qui accanto, don Betti inaugura la statua della Madonna nel giardino dell’Istituto
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
carisma educativo ben preciso radicatosi a Livorno nei tre secoli di esperienza nel campo sociale e formativo dello storico «Paradisino» del quartiere Venezia. Nelle prime azioni, nei primi passi delle «suorine» di via Lopez si avvertiva già nella sua interezza la «proposta» formativa della santa che a cavallo tra ‘600 e ‘700 aveva fondato dal nulla 50 scuole, dispiegando il suo genio educativo tutto teso alla formazione integrale della persona. Diceva Rosa Venerini: «prodigatevi nell’educazione di tutte le fanciulle istruendo, ugualmente che le altre, le più povere e le meno civili: anzi, queste con più amore che le altre». Ablondi, introducendo un libro sulla santa, scriveva che la Ve n e r i n i era stata « u n a donna che nel mondo e nella Chiesa, fra cose grandi e
cose piccole ha ‘trovato uno spazio’. Lo spazio di carità che scopre i bisogni tanto più profondi quanto meno sono sentiti: l’educazione alla Parola di Dio e ai valori umani, la gioventù nelle sue attese, la formazione degli adulti attraverso i giovani, l’inventiva suggerita dall’amore». Don Betti l’8 ottobre 1962, giorno dell’inaugurazione delle lezioni nel nuovo Istituto, annotava sulla sua cronaca: «Anche la parrocchia avrà del beneficio da questa presenza cristiana, non soltanto per la Scuola e la per la presenza delle brave suore, ma perché dalle prime conversazioni ho potuto capire la disponibilità dell’Istituto ad accogliere, per esempio, le classi del catechismo domenicale». E l’attività fu subito ampia e articolata. Le «suorine» non si fermavano mai: asilo, elementari, medie, doposcuola. Neanche d’estate tiravano il fiato: si tenevano lezioni di cucito, ricamo, pianoforte, lingua inglese e francese, ripetizione per le varie classi. A dirigere e illuminare quei primi avventurosi passi c’era Suor Ersilia Piergiovanni, direttrice dell’Asilo: spirito ardente, fiaccola sempre accesa: «una suorina piccola - sono parole di don Betti - poco appariscente, ma animata da tanto zelo apostolico e nel suo candore, anche di santità». Quando Suor Ersilia morì nel marzo 1967 dopo una straziante malattia, don Betti ne tratteggiò un profilo da santa: aveva una «capacità educati-
va eccezionale - scrisse su Regnum Christi - un particolare ingegno organizzativo. I bambini erano innamorati di questa suora, poco più grande di loro, ma decisa nel gesto; sempre però tanto, tanto materna». Non era forse Rosa Venerini a dire «le maestre devono ottenere più con le dolci parole che col rigore, più con l’amore che col timore, perché quel che viene dal cuore è più durevole e verace, e più conforme all’indole delle fanciulle, poiché l’asprezza le irrita, mentre la dolcezza le alletta»? Quella delle Venerini era una comunità religiosa che si inseriva perfettamente nella vita della giovane comunità parrocchiale, in un gioco «di scambi di energie, di aiuto, di locali messi a disposizione, di attività apostolica operosa», dicono oggi le suore. «La scuola particolarmente frequentata dai bambini e ragazzi del quartiere era il trampolino per poi vedere gli alunni e le famiglie presenti anche nelle varie attività della parrocchia; e la parrocchia a sua volta, avendo le maestre come collaboratrici nella catechesi, nei gruppi giovanili, nell’animazione della Liturgia, dava alla Scuola il clima che la distingueva come Scuola Cattolica». Oggi possiamo rivivere un po’ della storia dell’Istituto e della parrocchia attraverso le testimonianze di quattro suore che in via Lopez hanno operato in diversi periodi. Già prima della costruzione dell’Istituto di via Lopez - dicono le «suorine» del «Paradisino» venivano ‘prelevate’ dalla Venezia per aiutare la giovane parrocchia nell’attività del catechismo. Dai primissimi tempi pionieristici del Tombolicchio frotte di bimbi animavano ora la vita nella Cappellina del viale dei Pini. C’era bisogno di forze nuove e di un carisma specifico: le «suorine» Venerini calzavano a pennello in quel contesto di rapida espansione: la messe era tanta, gli operai pochi. Come loro stesse scrissero su Noi Insieme nel 1977, le suore erano «una presenza carica di speranza», «partecipavano a tutte quelle iniziative di evangelizzazione e promozione umana suggerite della parrocchia, senza arenarsi di fronte alle difficoltà, senza paura, fedeli alla propria vocazione». «Di quei primissimi tempi ricordo un don Betti infaticabile e sempre disponibile - racconta oggi Suor Rosanna Rosi - la chiesa parrocchia-
SUOR ERSILIA Nella foto sopra con alcuni bimbi per il carnevale, suor Ersilia fu l’animatrice infaticabile dei primi anni dell’Istituto Venerini Sotto, don Betti e mons. Pangrazio il giorno della posa della prima pietra, a lato, l’Istituto in costruzione. Il progetto era dell’Ingegner Franco Tonelli
Una presenza carica di speranza. «In quel quartiere giovane vivevamo tutto come un’avventura»
le era un prefabbricato nel campo dove ora sorge la grande chiesa. C’era tanta gente attorno a questa struttura provvisoria. Tutto parlava di speranza. Speranza di vedere realizzato presto il quartiere con i suoi servizi, le scuole e soprattutto la Chiesa, attesa come un sogno». E per voi suore com’era la vita di quei tempi? «A quel tempo ero una giovane suora del ‘Paradisino’ in Venezia. Con altre suore venivamo a Fabbricotti per il catechismo che si svolgeva nelle aule di via Lopez. Era bello! Personalmente - ma credo anche tutte le altre - aspettavo la domenica quasi con ansia, perché vivevamo quell’esperienza come un’avventura. Mi piaceva incontrare tutti quei bimbi e incontrarmi con gli altri della parrocchia. Erano belle persone! Ricordo che inizialmente veniva a prenderci don Betti, eravamo stipate in una macchina, neanche tanto grande (una Cinquecento?), in seguito diventammo autonome». Ricorda le Messe nella piccola chiesa? «Come scordarle?! La S. Messa nel prefabbricato era straordinaria in tutti i sensi, chi ha vissuto quell’esperienza non può non ricordare con gioia, con stupore e gratitudine quelle domeniche e quegli anni, la crescita della Comunità parrocchiale, le attività, l’unione e l’entusiasmo che animava tutti per la buona riuscita di ogni iniziativa. Erano i primi passi, ma sicuri e importanti, certi sempre della presenza di Gesù in mezzo a noi». Cosa ricorda degli anni del catechismo una volta che venne costruito l’Istituto nel
La posa
della prima pietra 12 giugno 1961
M
ons. Vescovo, nel corso di una cerimonia ha benedetto la prima pietra dell'Istituto "Beata Rosa Venerini" che sorgerà in via Sabatino Lopez, nella « z o n a Fabbricotti». Alla manifestazione hanno presenziato per il prefetto il dottor Ricciardi, il professor Bandinelli per il Sindaco, il professor Merli presidente dell'Istituto del "Paradisino", il commendatore Vincenzo Razzauti, in rappresentanza del presidente della Cassa di Risparmi, il dottor Barbera per il Provveditore agli Studi, i tecnici dell'Istituto ing. Tonelli e architetto Martigli, il prof. Fontanelli ispettore scolastico, il conte Ruelle, primo presidente dell'Istituto, l'ing. Saltini e signora, il dottor Lugetti, presidente dell'Azione Cattolica, il comm. Filidei, il cav. Carrara, il rag. Sassi, il col. Graziani, il dottor Ripoli, il geometra Bittarelli, il signor Mola, il signor Masani dirigente dell'Unione Uomini Cattolici della parrocchia di San Agostino e la signora Bettini delle Dame di Carità della stessa parrocchia. da «La Vita», settimanale cattolico della diocesi di Livorno, 25 giugno 1961
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quartiere Fabbricotti? «Terminato il catechismo ci incamminavamo lungo via Lopez con lunghe file di bimbi allegri e chiacchieroni verso la Chiesa e qui avveniva il ‘miracolo dello spazio’: ogni sedia, panca, angolo accoglieva bimbi di ogni età e don Betti li accoglieva con pazienza, mentre noi catechisti eravamo impegnati a sistemare gli arrivi, a far posto, a spostare i più vivaci, a provare i canti. La liturgia era ‘affettuosa’ e seria e, al di là della ristrettezza e di un po’ di confusione, si sentiva la gioia di ritrovarsi insieme nella preghiera, nell'amicizia, nella tensione sincera del superamento dei limiti naturali, personali e strutturali. Non c'erano le comodità di una struttura completa e comoda, ma c'era una Comunità accogliente e disponibile ed io conservo un caro ricordo dei tanti collaboratori delle origini. Ricordo anche con nostalgia le giornate della Prima Comunione, e la processione dei bimbi che si avviavano con trepidazione per l'incontro con Gesù. La freschezza della vita, delle relazioni, del desiderio ‘che il bene fosse fatto bene’ ha reso quegli anni indimenticabili».
L’ISTITUTO VENERINI
Sopra, a sinistra,
Gianfranco Merli, presidente dell’Istituto «Paradisino», prende la parola il giorno della posa della prima pietra dell’Istituto di via Lopez. Accanto a lui monsignor Pangrazio, dietro don Betti e Dino Lugetti. Al centro, Merli accompagna monsignor Emilio Guano in visita all’Istituto A destra, sopra, una recita nel salone di via Lopez, sotto, la fila di bimbi che, come ogni domenica, raggiungeva S. Agostino per la Messa dopo il catechismo
Anche Suor Eralda Manoni ricorda con nostalgia quei momenti: «La domenica le panche brulicavano di ragazzini del catechismo che, per accaparrarsi un posto comodo scavalcavano le panche. All'arrivo del caro don Betti, si creava un'atmosfera di quiete, di raccoglimento necessaria per vivere la Liturgia. Don Betti calamitava l'attenzione dei ragazzi grazie al suo linguaggio pacato, chiaro, umano. Sapeva sempre cogliere spunti positivi per incoraggiare e far proseguire il cammino verso l'unico ideale: Cristo Gesù. Più volte poi, con la sua abilità di pianista, ha reso gioiosi e piacevoli gli appuntamenti di festa nella nostra Scuola». «Ripenso ai giorni passati, ricordo gli anni lontani...». Suor Maria Pia Paradisi, utilizza un versetto del salmo 76 per introdurre i suoi ricordi. «Mi è caro ricordare quel tempo - dice - vissuto sia da me che dall'intera comunità delle Maestre Pie Venerini con intenso entusiasmo, seguendo le varie fasi dell’edificazione della parrocchia in stretta collaborazione con il parroco don Betti. Deposta la prima pietra della
parrocchia, il cantiere gettava le fondamenta, erigeva alacremente le sacre mura, e dava inizio alle varie attività. Alle Maestre Pie del ‘Paradisino’ fu chiesto un aiuto per la domenica e durante le festività per attendere al catechismo e partecipare alla celebrazione della Messa. Ricordo con piacere che i parrocchiani prontamente si offrirono per agevolare la nostra presenza e ogni domenica mattina mettevano a nostra disposizione la loro macchina per venirci a prendere. E partivamo tutte gioiosamente». Cosa ricorda del catechismo nella chiesina? «Mi ricordo che mancavano le stanze per fare Dottrina e c’era un un'unica grande sala prefabbricata che accoglieva centinaia di bambini, poi rapidamente veniva allestita per la celebrazione dell'Eucaristia. Era un momento di particolare vivezza: trasportare le panche, ridurre gli spazi, disporre al centro la Mensa, tutto ciò rumorosamente e piacevolmente, mentre i chierichetti si preparavono. Gli adulti se ne stavano in
8 DICEMBRE 1964 In questo trafiletto tratto da «Regnum Christi» la descrizione dell’evento clou dell’anno AC
LA «FESTA DEL TESSERAMENTO» DI AZIONE CATTOLICA. SI SVOLGEVA COSÌ
L
'8 dicembre, Festa dell'Immacolata Concezione, anche da noi è stata celebrata la «Festa del Tesseramento», dell'Azione Cattolica. Alla S. Messa, appositamente celebrata dal Parroco alle 9.30, hanno partecipato, al completo, tutti gli iscritti della Parrocchia all'Azione Cattolica. Dai più piccini «pargoletti» agli «angioletti» (quasi appena nati…) ai meno giovani. Tutti i presenti che gremivano l'angusta Cappellina (quando potremo avere la «Chiesa»?) si sono accostati alla Sacra
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CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
Mensa. Dopo la Messa il Presidente degli Uomini Cattolici ha letto la «promessa», dopodiché, con la formula di rito, ogni Presidente di ramo, ha ritirato la tessera dei propri iscritti che sono state distribuite, appena finita la Cerimonia, quasi a suggello personale della solenne promessa fatta. Il canto corale del «Totha Pulchra» e del «Christus Vincit» hanno degnamente coronato la Festa. Nel Pomeriggio ha avuto luogo, nella sala gentilmente concessa dell'Istituto Beata Rosa Venerini, la consuete assemblea generale nella quale numerosi parrocchiani
hanno potuto ascoltare, dopo la breve introduzione del Presidente della Giunta Parrocchiale di A.C., Dott. Dino Lugetti, la Parola di don Orfeo Bosello, amato Cappellano che con l'eloquenza e la profondità di pensiero che lo rendono tanto caro a tutti, ha svolto il tema «il lungo cammino degli uomini», identificando in quello degli uomini il lungo cammino della Chiesa nel mondo.
Luigi Saltini
da «Regnum Christi» del 1 dicembre 1964
piedi, fino all'esterno, assiepati. Il grande momento d'inizio creava l'atmosfera di preghiera, di ascolto e di canti che don Betti animava personalmente». E quando fu costruito il nuovo Istituto? «Divenne il cuore della parrocchia. Furono messe a disposizione tutte le aule per il catechismo. Ogni domenica mattina due lunghe file di bambini e ragazzi, accompagnati dai catechisti e scortati dai Vigili Urbani si scontravano per recarsi in Chiesa alla Santa Messa, mentre l'altra numerosa schiera si dirigeva al catechismo, riempiendo nuovamente le aule. Sempre una bella accoglienza, sempre gioioso scambio di saluti. Successivamente ricordo che il sabato pomeriggio il gruppo dei ‘Ragazzi Nuovi’ dette vita all'Oratorio: giochi, gare in giardino o in palestra, poi lavoro di gruppo fino al tramonto. Ma non va dimenticata la preparazione ai Sacramenti, per la durata di due mesi, ogni sera, dopo le ore di scuola, a completare la giornata». Molto più recente l’esperienza in via Lopez di Suor Gabriella Gigliucci, attuale responsabile dell’Ufficio catechistico diocesano. Suor Gabriella ha vissuto a S. Agostino due periodi: tra il 1972 e il 1974 e nell’anno scolastico 2004-2005. E’ il biennio degli anni ‘70 ad aver lasciato una traccia indelebile nel suo cammino: «La prima tappa - dice - è stata una delle esperienze più belle della mia vita di insegnante e della mia vita parrocchiale. La parrocchia era la nostra casa, appena finite le attività scolastiche e nei tempi liberi, andavamo in S. Agostino, per la catechesi, per animare i gruppi, per i giovani, per visitare le famiglie e
nelle persone del parroco don Betti e del vice-parroco don Paolo Razzauti trovavamo il padre e il fratello sempre pronti ad accogliere e dare stimoli perché la presenza fosse qualificata ed efficace perché il Regno di Dio fosse servito con competenza e gioia. La Scuola accoglieva il sabato pomeriggio e la domenica mattina i vari gruppi della catechesi che inziava con la prima elementare e terminavano con la terza media. Gli altri gruppi si trovavano in Parrocchia. I ragazzi, non solo erano accolti, ma molte di noi allora numerose e giovani - animavano vari gruppi, insieme a giovani accompagnatori. Posso dire che la parrocchia era per noi una casa, ma penso che il nostro Istituto fosse una casa anche per don Betti e don Paolo. Tanta era la stima reciproca e la solida amicizia». «Anche per l'allora vescovo monsignor Alberto Ablondi la nostra Comunità era la sua casa, prima con mamma Angela e poi da solo
VITA AL VENERINI
Sopra, Don Betti
in visita all’asilo di via Lopez negli anni ‘60. Qui sotto, Suor Maria Pia Paradisi negli anni ‘70, Sotto una classe della scuola elementare
L’Istituto divenne il cuore della nuova parocchia «Ogni domenica due lunghe file di bambini e ragazzi si incontravano lungo la via Lopez. Chi andava al catechismo, chi tornava dalla Messa nella chiesina»
spesso veniva per stare un po' insieme e godere della tavola comune che creava fraternità, conoscenza reciproca e stima profonda». «Sono stati anni indimenticabili che hanno segnato sempre più il desiderio di servire la Chiesa con il mio tempo e le mie energie. Dall'esperienza fatta nella parrocchia di S. Agostino, in cui ho potuto gioire nel vivere in pienezza il Carisma di S. Rosa Venerini, è nata la mia seconda vocazione: essere e vivere in e per la Chiesa locale, luogo privilegiato dell'evangelizzazione e della catechesi». Anche Suor Rosanna Rosi ripensa oggi a quegli anni con gratitudine: «Sono passati gli anni - dice - e anche per me sono cambiate parrocchie e città, riconosco però che l'esperienza dei primi tempi a S. Agostino è stata deteminante per la mia vita di catechista. Ringrazio il Signore per quel periodo, quando il mio modo di pensare si è convertito alla passione per l'annuncio e all'amore per la missione. Sono stati quei primi anni a farmi comprendere che le persone sono più importanti delle idee e delle strutture, e che tutti i progetti, prima o poi incontrano imprevisti, delusioni e anche insuccessi ma sicuramente che la speranza è più forte, ed è di coloro che non si fermano davanti alle negatività e che c'è sempre spazio per il sogno e l'ideale. La preghiera, l'Eucarestia la Parola di Dio generano relazioni vere e durature e la consapevolezza che vale molto dedicare la vita a scelte di bene. Ringrazio il Signore non solo per quei tempi e quell'esperienza, ma anche per l'esempio di dedizione continua di don Betti che ha saputo unire e seminare il buon seme. Con gratitudine».
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19 marzo 1966
La prima pietra
«La costruzione sia simbolo della nostra unione » Per S. Giuseppe il coronamento di un sogno Fu una posa bagnata da pioggia e freddo. Ad officiare il rito fu mons. Ricciardiello
«C
om’è bello pensare che questa Chiesa, che era Spirito, è diventata materia, che ora è materia e diventerà Spirito più grande». Così, con queste illuminanti parole, l’allora vescovo ausiliare di Livorno monsignor Ablondi descrisse la costruzione di S. Agostino il giorno della Consacrazione, il 4 maggio 1968. E con queste parole si può forse scavare in profondità l’oltre - la storia nascosta e silenziosa - di un evento tanto materiale come la posa della prima pietra di una chiesa. Lì, in quel 19 marzo 1966 - non a caso Festa di San Giuseppe artigiano -, si davano appuntamento tutte le singole storie personali, le piccole fatiche, i sacrifici conosciuti e sconosciuti di chi aveva seguito il soffio dello Spirito per veder realizzata 38
Sopra, accanto al titolo,
Ricciardiello depone la pergamena dentro la prima pietra, accanto a lui don Bosello e il sacrestano Vittorio Mazzone Sotto, foto panoramica della piazza delle Belle Arti il giorno della posa
Pagina accanto, altri due momenti dela cerimonia
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
un’opera così materiale e nel contempo così spirituale. Ogni mattone, ogni colonna, ogni tassello che sarebbe da quel giorno stato costruito avrebbe contenuto - e contiene - la riserva di tempo e di fatica di qualche benefattore. Quel tempo e quella fatiche che imprigionate nella materia le danno movenze di vita: i piccoli e grandi contributi economici, le ore di incontri e di riunioni, le estati e gli inverni dei volontari al ‘banchetto delle offerte’... In realtà chi c’era, quella mattina del 19 marzo del ‘66 se la ricorderà anche per un altro motivo, questo sì molto materiale: veniva giù un’acqua a secchiate e tirava un vento gelido Ad officiare il rito c’era il cancelliere vescovile monsignor
Ricciardiello, assistito da don Orfeo Bosello e don Ugo Papini. Don Betti nel suo discorso disse, tra l’altro: «Quando, miei cari, passando e ripassando per questa piazza, vedremo salire i pilastri della struttura portante, quando vedremo crescere giorno per giorno il campanile… quando la chiesa prenderà veramente forma definitiva… ogni giorno, ogni volta che passerete di qui, soffermatevi ed esaminate la vostra coscienza… la vostra vita di cattolici, di appartenenti alla Parrocchia di S. Agostino, alla Chiesa universale e domandatevi se nel vostro intimo state crescendo spiritualmente, nella virtù… nella carità, nello spirito di preghiera. Domandatevi se il vostro desiderio di avere una chiesa grande è motivato dalla necessità di stare più comodi o dal fatto che dobbiamo tutti sentirci uniti in Cristo anche nella offerta del S. Sacrificio nel giorno del Signore. Questa chiesa che presto sorgerà per desiderio di tutti e con le offerte di tutti deve essere il simbolo della nostra unione, deve essere il monumento di amore a Dio creatore».
Il Messaggio di Monsignor Emilio Guano
«Quando si parla di Chiesa non si pensa soltanto alla Chiesa materiale, ma si ha nella mente e nel cuore soprattutto la comunità delle anime, la comunità parrocchiale, la comunità Diocesana, la Chiesa Universale»
«Allargate il cuore al mondo intero» S. Agostino sia finestra sulla Chiesa Universale
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uesto è un giorno di grande festa per Voi parrocchiani di S. Agostino. Voi vedete finalmente l'inizio della casa vostra e del Signore che da tanto tempo avete desiderato. Avrete così un ambiente nel quale possiate ritrovarvi con maggiore agio, nel quale possa essere compiuta più efficacemente l'opera pastorale e l'incontro tra voi e con i vostri sacerdoti; essa faciliterà il decoro della lode a Dio; esprimerà meglio la vostra comunità che torna al Signore. L'educazione cristiana che avete ricevuto e che continuate a ricevere vi farà pensare che, quando si parla di Chiesa non si pensa soltanto alla Chiesa materiale, ma si ha nella mente e nel cuore soprattutto la comunità delle anime, la comunità parrocchiale, la comunità Diocesana, la Chiesa universale. Ogni volta che entrerete qui sentirete allargarsi il cuore al mondo intero, anzi a qualche cosa che trascende questo mondo, vi sentirete legati alla Casa del Paradiso, in un cammino verso la comunità del cielo, di cui la vostra Chiesa parrocchiale sarà come un lembo. La celebrazione che si svolge oggi ricorda che tutte le costruzioni hanno bisogno di un fondamento profondo e solido. Vi ricorda, soprattutto, che il fondamento della comunità della Chiesa è Gesù. Poi, come sulle fondamenta man mano cresce la costruzione, così uniti intimamente a Gesù e compatti fino a fare una cosa sola con Lui, anche voi sarete non più le pietre, come si usava una volta, ma gli elementi della costruzione della comunità parrocchiale, il Parroco e i sacerdo-
ti per primi. Nel momento in cui si inizia la costruzione della Vostra Chiesa ringraziate con tutto il cuore il Signore, invocatelo per l'ulteriore lavoro. Ma non vi fermate qui: c'è ancora bisogno delle vostre offerte, del vostro lavoro; gli operai che qui lavoreranno dovranno sentire in se stessi la carità del vostro desiderio, del vostro amore. Tutti concordi sarete anche costruttori della Chiesa materiale, ma soprattutto ricordate di essere costruttori della Chiesa spirituale: siate presenti con il vostro amore, con la vostra speranza, con la vostra fede. E’ anche questa un'opera di preparazione all'incontro pasquale con Gesù che si rinnoverà nella nostra Chiesa non soltanto a Pasqua, ma tutte le domeniche, anzi tutti i giorni. E che questo avvenga il giorno di S. Giuseppe è significativo. Ci fa pensare alla casa di Nazareth, alla presenza tra noi, accanto a Gesù, di Maria e di San Giuseppe. Ho avuto il vostro telegramma in cui vi dite addolorati della mia assenza. Ne sono spiacente, tanto più che quest'anno la Diocesi aveva in progetto per i prossimi mesi di studiare e meditare il tema della Chiesa casa di Dio e casa del popolo cristiano. Sarei stato contento di essere anche fisicamente presente, in quest'ordine di idee, ora alla posa della prima pietra di una Chiesa, come poi ho speranza di essere presente alla consacrazione di un'altra Chiesa parrocchiale nella nostra città, quella di
Sarete costruttori della Chiesa materiale, soprattutto ricordatevi di essere costruttori della Chiesa spirituale
Nostra Signora di Fatima in Corea. Ma spiritualmente sarò con voi. Vi trasmetto la benedizione del Signore, offro al Padre, con Gesù, con tutti voi, la nuova costruzione, l'edificio spirituale della vostra parrocchia, tutti insieme offriamo già i sacrifici che in questa Chiesa si celebreranno chiedendo a San Giuseppe di assistere chi lavorerà materialmente alla costruzione, di essere presente come a Nazareth a formare la vostra famiglia. +Emilio, Vescovo (dal «Bollettino Diocesano», gennaio-aprile 1966)
EMILIO GUANO Qui accanto, monsignor Emilio Guano il giorno della Consacrazione della Chiesa il 4 maggio 1968
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
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LA PERGAMENA
RICCIARDIELLO Fu lui
a presiedere il rito della posa
«QUEL 19 MARZO DOVEVA ESSERCI IL CARDINAL LERCARO»
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osa bagnata, posa fortunata. Non è proprio così il proverbio… ma insomma. Quando chiediamo a monsignor Uguccione Ricciardiello (foto, a lato), classe 1915 e vera enciclopedia di storia della nostra diocesi, cosa ricorda di quel 19 marzo 1966 lui ci pensa un po' e fa: «Pioveva». Fu lui, come abbiamo ricordato, a presiedere il rito della posa della prima pietra di S. Agostino. Allora era Cancelliere vescovile e Vicario episcopale.
Monsignore, a parte la pioggia, ricorda altro di quell'evento?
«Devo dire poco. Ricordo però che se venni io a celebrare il rito fu per una soluzione… di ripiego. Monsignor Emilio Guano era già malato e sarebbe dovuto venire a presiedere l'Arcivescovo di Bologna, il cardinale Giacomo Lercaro che poi all'ultimo momento dette forfait. Così alla fine si dovettero accontentare di me (ride)».
La storia di S. Agostino lei l'ha vissuta da spettatore esterno, ma può sicuramente dirci qualcosa per questo cinquantennio.
«Ho sempre detto a don Betti che ha avuto la grande fortuna di crescere insieme alla sua gente. Non è arrivato in una grande parrocchia già avviata con tutte le fatiche dell'inserimento in una realtà nuova e già strutturata da altri, ma partendo da zero ha costruito lui, pian piano e con la collaborazione di tanti laici, l'edificio chiesa e l'edificio comunità. È questa forse la caratteristica più bella da ricordare per questo cinquantesimo: riguardare alla propria storia parrocchiale come a una lenta ma grande conquista comunitaria, pensare che ogni cosa che viene fatta oggi ha una storia importante alle spalle, che merita rispetto e attenzione. Un messaggio importante per chi questa parrocchia deve viverla oggi e dovrà viverla nel futuro».
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CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
«Sotto la protezione della Vergine SS.ma di Montenero» Venne collocata all’interno della prima pietra con i nomi delle centinaia di benefattori e insieme ad alcune monete in corso a quel tempo
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arrocchia di S. glia e attuare più facilAgostino - Nel mente i rinnovamenti nome del padre, del presentati dal Concilio figlio e dello Spirito Vaticano II. Santo. Oggi 19 marzo Su progetto dell'Ing. 1966 - festa di San Vittorio Chini, la Ditta Giuseppe - essendo del Geom. Giovanni Pontefice Paolo VI - Farneti eseguirà l'opeVescovo di Livorno ra. Contribuisce lo Mons. Emilio Guano e Stato Italiano - con parroco di l'instancabiquesta parle attività del rocchia Don Comitato Pier Luigi Parrocchiale Betti - dal «pro erigenMolto Rev. da chiesa» Monsignor è stata granUguccione de la generoRicciardiello, sità dei fedeCancelliere li i nomi dei Vescovile, è quali saranstata benedetno uniti a ta la prima questa perpietra della gamena. chiesa parPonendo i PRIMA PIETRA rocchiale da nostri desiLa prima pietra dedicarsi a S. deri e propoviene depositata nel terreno, Agostino siti sotto la al suo interno Vescovo e protezione è conservata Dottore della d e l l a la pergamena Chiesa. Vergine SS. Alla presenza ma di delle autorità cittadine, Montenero, particolardi parrocchiani e fede- mente venerata in queli, questo atto vuole sta Parrocchia, e del essere auspicio per il nostro Santo Titolare, futuro sviluppo spiri- diciamo al Signore, tuale e materiale della con le parole che ora la parrocchia che dopo sacra Liturgia ci ha nove anni di attività fatto cantare: «Poni, o può attuare il desiderio Signore Gesù, in quedi veder sorgere la casa sto luogo il segno della del Padre, capace di salvezza e non permetaccogliere tutti i par- tere che vi entri l'angerocchiani in un'unica lo sterminatore. devota e grande fami- Amen!».
Le campane. S
candiscono ogni giorno il tempo delle nostre giornate. Sono così familiari e ‘scontate’ che forse mai ci soffermiamo a considerare che anche le campane dei nostri campanili hanno una loro storia. Delle quattro campane di S. Agostino forse in pochi sanno - o si ricordano - che le prime due hanno una loro storia molto particolare. Giunsero in piazza delle Belle Arti l’11 giugno 1967 su un camion addobbato con drappi e fiori. Don Betti compose addirittura un inno per l’occasione «Salve, sacra campana», intonato dalla corale parrocchiale. E furono donate dall’Arciconfraternita della Purificazione di Maria Santissima
LE QUATTRO CAMPANE.
IL MESSAGGIO DI PAOLO VI
LE CAMPANE DELLA PURIFICAZIONE
«Al Rev.do Parroco, Comitato Parrocchiale e Fedeli lieti per posa prima pietra Chiesa parrocchiale Sommo Pontefice invocando divina assistenza per fervida feconda vita cristiana et auspicando felice compimento sacro edificio simbolo spiritualità di ciascuno invia implorata particolare apostolica benedizione. Cardinale Cicognani».
Sono state fuse dalla ditta Rafanelli di Pisa nel 1857. Le due campane sono ornate di fregi artistici e riportano: la prima le Immagini della Vergine Immacolata di San Filippo Diacono e di San Luigi Gonzaga; l'altra le Immagini della Madonna Addolorata, del Crocifisso e di San Michele Arcangelo.
LA COSTRUZIONE
Vittorio Chini progettista della Chiesa
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Anche loro hanno una storia e dei Catecumeni. Ma la storia particolare è che quelle campane provengono da un’altro campanile che ormai non c’è più: quello della chiesa della Purificazione di M. V., di via del Giardino, distrutta dai bombardamenti del ‘43. Nel periodo del dopoguerra l’Arciconfraternità ebbe in uso la Chiesa dei Greci di via della Madonna, chiesa completa di campanile e campane, per cui quelle donate a S. Agostino rimasero depositate per molto tempo presso il cimitero della Purificazione. Del Magistrato dell’Arciconfraternita facevano parte molti parrocchiani: Dino Lugetti, Dario Cremoni, Vasco Nencioni e Luigi Saltini che ne era anche Segretario Cancelliere.
Sopra, a sinistra, una cuoriosa immagine di don Betti con le campane, al centro, mons. Ablondi consacra le campane il 19 marzo 1968 A destra, due immagini della folla nel giorno della posa della prima pietra il 19 marzo 1966. Sotto, le campane arrivano su un carro infiorato l’11 giugno 1967
Nella colonna a destra, sopra,
l’ingegner Vittorio Chini, sotto, il volantino del giorno della posa della prima pietra
Alle due campane della Purificazione se ne aggiunsero poi altre due fatte fondere per l’occasione nel marzo del 1968. Le due nuove «sorelline», che andarono a formare così il ‘doppio’ del campanile di S. Agostino, furono donate dall’Arciconfraternita della Misericordia (Segretario era a quel tempo il parrocchiano prof. Mario Bandinelli) e dall’Arciconfraternita di Santa Giulia (Segretario, il parrocchiano Pier Luigi Mazzetti). Le due nuove campane furono consacrate dall’allora vescovo ausiliare monsignor Alberto Ablondi in una cerimonia che ebbe luogo sul sagrato della costruenda chiesa il 19 marzo del 1968.
DONI DI TRE ARCICONFRATERNITE LA CAMPANA DELLA MISERICORDIA
LA CAMPANA DI SANTA GIULIA
Porta scolpito l'Emblema della Arciconfraternita donatrice e le immagini di S. Agostino e S. Giovanni Battista, nonché le seguenti scritte: «Dono della Ven. Arciconfraternita della Misericordia Anno 1967» - «In onore dei Santi Agostino e Giovanni Battista».
Reca scolpito l'Emblema della Arciconfraternita e le Immagini di S. Giulia, nonché le seguenti scritte: «Dono della Arciconfraternita del SS. mo Sacramento e S. Giulia Patrona - Anno 1967».
acconta don Betti che l’ingegner Vittorio Chini, progettista di S. Agostino diceva sempre: «la Chiesa di S. Agostino deve venire una cosa semplice e bella, decorosa, il più possibilmente degna di essere la casa del Signore». Purtroppo l’Ingegner Chini fece appena in tempo a vedere la posa della prima pietra ma non il primo colpo di piccone di quel suo progetto lungamente sognato e faticosamente conquistato. Fu colpito da un male insesorabile proprio il 2 maggio del 1966, il giorno in cui si iniziavano finalmente i lavori al cantiere della nuova Chiesa. Morì pochi mesi dopo, il 3 settembre, all’età di 44 anni. Opere di Chini a Livorno sono lo stabilimento Coca-Cola al Corallo, e le vecchie Sedi INAM di Livorno centro, Fiorentina e Cecina. In seguito alla morte di Chini, la direzione dei lavori fu assunta dall’Ingegner Piero Petroni, che era già impegnato nei calcoli di cemento armato per l’impresa costruttrice. Oggi Petroni ha 77 anni e da molti è considerato «il re del mattone» di Livorno con le sue 5 Immobiliari. Di recente ha acquistato il cosiddetto «Nobile Interrompimento» di piazza Grande (Palazzo Grande). La costruzione della Chiesa fu opera dell’Impresa del geometra Giovanni Farneti, già costruttore della chiesa di N.S. di Fatima nel quartiere Corea.
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La loro memoria rimarrà per sempre Sono tante le persone che in 50 anni di vita parrocchiale hanno offerto il proprio servizio «umile e disinteressato» alla costruzione della comunità e della parrocchia. Qui ne ricordiamo alcune: ben sapendo che molte, molte altre ce ne sarebbero da nominare e dovessi dimenticare qualcu«S no, nessuno me ne voglia, ma sappia che il mio ricordo quotidiano nella Santa Messa è per Tutti ed è per Tutti senza nominarne alcuno. Lui, il Signore li conosce per nome e li accarezza». Così scriveva don Betti in occasione del 30° di Fondazione della Parrocchia per ricordare tutte quelle persone scomparse che «con la loro umiltà, il loro disinteresse, il loro sapersi mettere a servizio della Chiesa secondo le varie capacità» avevano prestato la loro collaborazione in parrocchia fin dai primi tempi. Con la stessa premessa fatta da don Betti - senza dunque nessuna pretesa Sopra, Antonio esaustiva - ricordiaFabbri, si mo qui alcune di prodigò per la queste figure. raccolta delle Una di queste è offerte per la nuova chiesa e per diffondere la Buona Stampa. Non era raro vederlo a messa col cappello da bersagliere di cui andava fierissimo
G I O VA N N G E L O CASTELLANI a cui
«dopo la sua scomparsa - scrive don Betti - i giovani vollero intitolare il Salone». «Castellani - ricorda oggi monsignor Paolo Razzauti - era un ingegnere, titolare di un impresa di impermeabilizzazione a cui furono affidati anche alcuni lavori durante la costruzione della nuova chiesa. Era un sant’uomo: un vero amante della liturgia. Lo ricordo a capo della commissione liturgica parrocchiale: un servizio che ha svolto con un amore, una attenzione, una serietà davvero commoventi. E poi era un uomo di grande cultura, e proprio 42
per questo attirava molto l’attenzione dei giovani della parrocchia che in lui trovavano un punto di riferimento, una persona che li ascoltava e con la quale potevano confrontarsi. Ricordo anche che quando costituimmo i primi centri di condominio nel 1973 (una sorta di gruppi di ascolto) lui fu il primo animatore di questa esperienza, invitando i suoi condomini a casa sua e tracciando così la via ad un’esperienza poi molto proficua». Don Betti rammentava spesso «i cari pensionati Alberto Fabbri, Remo Galassi, Guido Rossini»: «uomini che per anni, seduti al ‘banchetto delle offerte’ (come si chiamava allora) con il torrido caldo d’estate o con il gelo invernale, hanno raccolto, soldo dopo soldo, ciò che sarebbe servito per iniziare i lavori della sospirata ed ormai indispensabile nuova chiesa». «ALBERTO FABBRI - scriveva don Betti su Regnum Christi del gennaio 1972 - lasciate che lo ricordi con il suo passo svelto, del quale andava fiero, da vecchio bersagliere. Sempre pronto per un servizio, per curare le candele alla Grotta della Madonna, per portare un giornale cattolico a qualche ‘cliente’ anche se abitante ai piani più alti, per raccogliere le offerte e prendere parte a una riunione». «Qualcuno diceva che la chiesa nuova l’ha costruita il Fabbri. Ed in parte è vero: quando un uomo ha costanza per nove anni filati di stare ogni domenica, con ogni tempo, alla porta di chiesa per attendere alle offerte mensili dei fedeli e segnalarle nel registro, bisogna dargli atto di gran merito. In tanto tempo avrà raccolto circa quaranta milioni... forse più». «REMO GALASSI - scriveva don Betti nell’87 - vecchio ferroviere ma anche bravo falegname, pronto a far panche e riparare sedie».
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Qui sopra,
Una gita parrocchiale del settembre 1969.
Qui sotto:
Ainzara Marinari Lugetti, insieme al marito Dino fu tra le prime persone a mettersi al servizio della comunità
GUIDO ROSSINI
«che sostituì il Fabbri per la raccolta delle offerte o per la raccolta della Buona Stampa (come si chiamava allora)... così, ogni domenica, in un ambiente più riparato quale era la nuova Chiesa». Accanto ai vari Gino Battaglini, Luigi Solari, Ugo Landi si era molto impegnato anche VINCENZO RAZZAUTI, «il primo presidente del Comitato Pro Erigenda Chiesa». La figura di EUGENIA BETTINI spiccò per zelo e attenzione nei primissimi tempi di vita parrocchiale. «Infaticabile per le missioni, per gli ammalati, per la carità». «Una dedizione senza limiti, un correre affannoso, un cercare bussando a mille porte, ma soprattutto un aprire la porta del suo cuore e della sua casa, sì anche della sua casa per accogliere le propagandiste di Regnum Christi che venivano da Lucca, raccogliere i gruppi dei giovani e delle ragazze che, proprio in casa Bettini, hanno rinsaldato propositi di santi impegni e di profonda amicizia. Ed Eugenia offriva a tutti il suo dolcespecialità che presentava come uno scherzo: l’uovo al tegamino fatto con panna e pesca sciroppata». «Riuscì - scrive don Betti - a far dono a tutti noi della Grotta della Madonna di Lourdes». LEDA ARCHIBUSACCI, immatura-
«La catechesi era un servizio per la crescita cristiana e noi catechisti eravamo impegnati nell'opera educativa per far ‘crescere nella fede’ i nostri ragazzi, crescendo noi stessi»
I miei 40 anni da catechista in parrocchia Per crescere e far crescere nella fede I
mente scomparsa, fu invece ricordava don Betti nel 1971 - «la prima ragazza che ha bussato alle porte dei parrocchiani per chiedere le quote mensili per i lavori e per l’allora sognata nuova chiesa». «Con Giovanna Ghezzani, prima presidente della Gioventù Cattolica Femminile parrocchiale, ogni lunedì andava a prendere le ‘piccolissime’ per portarle alla riunione settimanale, per farle giocare, per farle crescere vicine al Signore». Accanto a Dino Lugetti, uno dei ‘padri’ della parrocchia, un ruolo importante lo ebbe anche sua moglie. Così scriveva don Betti in occasione della sua morte nel settembre 1973: «8 giugno 1957: AINZARA LUGETTI con il marito ed un gruppo di amici è intorno al nuovo parroco di S. Agostino. Un salone vuoto, che dovrà fungere da chiesa, abbastanza grande ma non tanto per servire una popolazione iniziale di oltre 5.000 abitanti». «Ed Ainzara cercò di provvedere togliendo quanto era necessario dalla sua casa, con tanta semplicità e con tanto amore perché dopo poche ore si potesse celebrare - nel giorno di Pentecoste - la messa inaugurale dello Spirito Santo».
50 anni della Parrocchia di S. Agostino, i 40 anni caritative, con umiltà e soprattutto con un entusiadella costruzione della nuova Chiesa, sono solo smo edificante. una piccola porzione di tempo nella storia di un Anch'io iniziai allora il mio cammino di catechista territorio, in particolare e dell'umanità in generale, con altre ragazze e con mia sorella che si occuma assumono un significato pava di raccogliere le ed un'importanza di grande «Piccolissime di A.C.» (tra rilievo nella vita di una perqueste c'era Veronica sona ed in questo caso Bassini la prima bambina nella vita di quanti hanno battezzata nella nuova vissuto gli eventi ed abitaParrocchia) andando a vano nella zona prima prenderle a casa e poi e ancora che si realizzassero. riaccompagnarle dopo Questa premessa mi riguarincontri gioiosi nei quali da da vicino, perché fin da imparavano a conoscere piccola ho vissuto nel quarGesù. La catechesi era un tiere «Fabbricotti», ho gioservizio per la crescita criSopra, le Prime Comunioni cato nel grande terreno dove ora sorge la stiana e noi catechisti eravamo impecelebrate chiesa di Sant'Agostino, ho accolto con gnati nell'opera educativa per far «crenella chiesina gioia la notizia che proprio in quel luogo scere nella fede» i nostri ragazzi, cresarebbe nata la nostra «nuova parrocscendo noi stessi, per incontrare e far chia» ed ho seguito poi con tanta comincontrare sempre più e sempre meglio mozione la costruzione della casa canoniil Signore, nella vita di ogni giorno. ca con annesso un salone «rustico» privo Consapevoli dei limiti della nostra preaddirittura della pavimentazione, che parazione, partecipavamo ai corsi di avrebbe accolto la nuova «Comunità di programmazione, per aggiornare la Sant'Agostino» per le celebrazioni eucaristiche. metodologia e soprattutto per meditare sui testi Dopo dieci lunghi anni ho provato la gioia immenbiblici e su documenti come la «Catechesi tradensa di veder sorgere la nuova Chiesa di dae» ed altri che ci venivano presentati. Sant'Agostino. I ricordi di Corsi parrocchiali e diocesani sono I ricordi di questi lunghi anni sono tanti e densi di ancora vivi nella mia mente come lo sono i corsi commozione, nel rievocarli c'è il rischio di cadere che ho avuto la fortuna di frequentare all'Ateneo nella retorica, cedendo ad un sentimentalismo fine Salesiano di Roma: «Verso una spiritualità laicale a se stesso, ciò che invece può essere utile è «riee giovanile» o «Come presentare Cristo ai giovavocare» anche per offrirla ai giovani di oggi, ai ni». nuovi catechisti di Sant'Agostino, l'esperienza di Gli argomenti trattati costituiscono un piccolo Catechesi che io, insieme a tanti altri catechisti, ho archivio personale a cui attingere anche oggi e svolto per molto tempo. sono utili per ritrovare l'energia spirituale per proIl Catechismo è sempre stata una caratteristica seguire il cammino di ogni giorno. fondamentale della nostra Parrocchia ed ha avuto Dopo ben 40 anni (per necessità familiari) ho inizio proprio nei primi giorni, quando nel giugno lasciato il mio servizio di Catechesi in parrocchia, del 1957 un gruppo di ragazzi, preparato dal ho avvertito inevitabilmente un grande vuoto, perParroco riceveva la Prima Comunione ed i primi ché è venuta a mancare tutta quella energia spiri«volenterosi» accettavano l'invito di organizzare i tuale che si riceve facendo catechismo ai ragazzi. gruppi di ragazzi per il catechismo domenicale. «Cursum consummavi, fidem servavi…» vorrei È veramente lunga la lista di coloro che risposero rifarmi e queste parole, aggiungendo che l'espealla chiamata del Pastore, non è possibile ricordarrienza di tanti anni ha lasciato in me una «fede» li tutti, anche per il timore di tralasciare qualcuno, davvero sentita e soprattutto la serenità necessama non posso fare a meno di ricordare il signor ria per affrontare le prove di ogni giorno, portanGino Battaglini che per primo si mise a disposiziodo avanti, in modo diverso la mia «vocazione». MARIA GRAZIA GHEZZANI ne per il Catechismo e per altre attività liturgiche e CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
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4 maggio 1968
La Consacrazione
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l sospiratissimo giorno arrivò in un sabato di gran sole del maggio 1968. A celebrare il grande evento della Consacrazione della nuova chiesa in quel 4 maggio di 40 anni fa, fu il vescovo Ausiliare monsignor Alberto Ablondi. Monsignor Guano, a causa della malattia che ormai da tempo lo attanagliava, fu presente solo per un saluto sul sagrato e per il rito dell’apertura delle porte». «Sulla piazza - si legge sulla cronaca del giorno - è un accorrare di fedeli e di popolo festante; sul brusio di questa folla fanno spicco le voci dei bimbi».
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Qui sopra,
il manifestino per le celebrazioni del 4 maggio, accanto al titolo, Guano tiene il suo discorso sul sagrato, sotto, l’entrata
Nella mattina di quel giorno di festa (la Consacrazione avvenne alle 17.30) era stata celebrata l’ultima Messa, con un rito nuziale, nella cappella che per 11 anni aveva racchiuso tutta la vita della comunità. Anche a simboleggiare la continuità della vita della parrocchia, la mattina del 5 maggio fu celebrato un altro rito nuziale nella nuova chiesa. Nel pomeriggio invece si celebrò il primo battesimo: un bel maschietto che, guarda caso, prese il nome di Agostino. Sempre il 5 maggio il vescovo monsignor Emilio Guano celebrò la Messa solenne alla presenza delle
Autorità cittadine. I festeggiamenti proseguirono poi per tutta la settimana, con una messa in ricordo dell’ingegner Chini, progettista della chiesa, una messa per tutti i parrocchiani e benefattori defunti, una nuova messa «per tutta la famiglia parrocchiale» celebrata l’8 maggio da monsignor Ablondi (di cui riportiamo la stupenda omelia nelle prossime pagine, trascritta dal compianto ing. Castellani), infine una messa celebrata da mons. Ricciardiello (che pose la prima pietra) accompagnata dai canti della corale «Guido Monaco».
L’ABBRACCIO GUANO E DON BETTI
L’ABBRACCIO DEI FEDELI GUANO TRA LA FOLLA
ARRIVA L’AUSILIARE ABLONDI E GUANO
4 maggio 1968, arriva il vescovo Emilio Guano
Sceso dalla sua 1100 nera il Vescovo va verso il sagrato
Due rare foto a colori del giorno della Consacrazione
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
Le parole di Ablondi nella Messa per i parrocchiani
8 maggio 1968
L’omelia di Monsignor Alberto Ablondi
«Com’è bello pensare che l’aver edificato una Chiesa è l’aver realizzato un brano del Vangelo: Una città posta sul monte, che non può essere nascosta»
«Pietre vive» di S. Agostino Così lo Spirito ha esploso la materia
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ari parrocchiani, con vera gioia rinnovo qui la mia presenza. Ho celebrato la Messa della Consacrazione, ho celebrato ieri la Messa per i vostri bambini e adesso celebro la Messa per i parrocchiani, i parrocchiani che danno un senso ed una realtà alla Chiesa; abbiamo benedetto le pietre della Chiesa, adesso, con la Scrittura direi: preghiamo con le pietre vive e scelte di questa Chiesa. E' così bella questa settimana, celebrativa e aperta al grato ricordo: abbiamo ricordato l'Universo nel benedire la Chiesa, è stata celebrata la Messa per l'architetto che l'ha ideata, è stata celebrata la Messa per i bambini, la messa per i Defunti; oggi, per voi, le pietre vive di questa Chiesa, per voi che l'avete costruita e che continuerete a costruirla, che l'avete sperata e che continuerete ad animarla e a darle un senso, affinché questa Chiesa, sia nella sua struttura - nel suo corpo - sia nella sua anima, diventi veramente quello che abbiamo letto nella Liturgia odierna: il sale della terra e la luce del mondo. Come è bello pensare che l'avere edificato una chiesa è aver realizzato un brano di questo Vangelo:
IL DISCORSO GUANO SUL SAGRATO
Prima che la celebrazione abbia inizio il Vescovo rivolge parole di saluto e incitamento
«Una città posta sul monte», che non può essere nascosta. QUESTA NOSTRA CHIESA Ma, la «luce» rivela dei colori, il «sale» rivela dei sapori; ed io vorrei trattenermi un momento con voi nel pensare gli elementi di questa Chiesa: elementi che voi incontrerete, che voi vivrete, che animerete e che, nello stesso tempo, vi ispireranno: un'ispirazione che traduco in quello che io provo pensando a questa Chiesa, entrando in questa Chiesa, guardando a questa Chiesa. E vi auguro che il mio pensiero diventi vostro, che la mia sensibilità diventi la vostra, che la mia preghiera diventi la vostra, per sempre. Entro in questa Chiesa: vi sono entrato la prima volta con Monsignor Guano da quella porta centrale, e sono stato colpito: oh, più che dalle strutture - che d'altra parte avevo già visto - sono stato colpito da una Chiesa «pasquale». Non ho visto - e mi piace - non ho visto un Cristo crocifisso, là: ho visto un Cristo Risorto. Ed è giusto: perché noi non siamo - molti ci interpretano, e forse tanta gente si allontana anche per questo - non siamo dei «cruciati martiri che cru-
Entrando non ho visto un Cristo crocifisso ma un Cristo Risorto. Ed è bello: noi siamo pasquali, noi siamo gli uomini della gioia
L’ASPERSIONE DEL PERIMETRO CON UN RAMO DI ISSOPO
Secondo un antico rito la Chiesa fu aspersa da Ablondi con ramo di issopo immerso in acqua Gregoriana
ciano gli uomini»: certo noi predichiamo il Cristo Crocifisso, ma come una strada, come una meta, come un momento: il Venerdì Santo lo celebriamo una sola volta all'anno, ma tutte le Domeniche sono la celebrazione della Pasqua. Quando veniamo qui per i Sacramenti, noi veniamo a celebrare non il Venerdì Santo, ma la Pasqua: noi siamo pasquali, noi siamo domenicali, noi siamo gli uomini della gioia, noi siamo gli uomini della Resurrezione. Questa presentazione del Cristo, che rivela la Chiesa, che ci accoglie, che dà senso alla Chiesa, che la intona, il Cristo Risorto, dice che noi cristiani siamo gli uomini della Resurrezione, cioè della vita. DAL CRISTO RISORTO ALL’ALTARE Mi diceva il vostro parroco che quel Cristo deve guardare verso di voi, ma che, veramente, come era stato posto all'inizio, guardava molto verso l'Altare: francamente non mi dispiace che guardi verso di voi, ma anche che guardi verso l'altare: perché io penso che il Cristo, vita, in fondo guarda voi, guardando l'altare, perché sull'altare si incarna e diventa vita per tutti. Perché quando io guardo a Cristo Risorto, non posso non pensare ad un momento del Vangelo: «Chi mangia la mia carne avrà la vita». Sento allora che, dal Cristo Risorto, la vita si incarna sull'altare, che da quell'altare - cui verremo ad attingere nella Comunione - si dipartono delle direttrici immense e piene di vita: da quell'altare parte una direttrice che va al Battistero, ed i nostri bambini verranno qui a chiedere la vita; da quell'altare parte un'altra direttrice e si ferma qui, davanti, quando due giovani che vorranno costruire una nuova vita, verranno e si ispireranno a quel Cristo che è
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vita. Due giovani, quando si inginocchieranno, non verranno per una tradizione o perché tutti hanno fatto così, verranno a chiedere la completezza della vita, a quel Cristo, che si riflette in quell'altare, e le cui parole dicono «Chi mangia la mia carne avrà la vita»; «la vita», non solo la vita eterna: perché noi non siamo i cristiani solo della vita eterna; sennò il Cristo non si sarebbe incarnato, ci avrebbe aspettato in Paradiso, siamo come cristiani, cittadini di questa e dell'altra vita. Il bambino che andrà al Battistero, non andrà a celebrare solo un rito tradizionale, andrà a chiedere la vita. E un'altra direttrice parte dall'altare, e va in quel confessionale: perché quando uno è stanco della vita, quando uno è impolverato e inzaccherato, da una vita cattiva, risorga: non vada là solo per farsi pulire, ma per chiedere gioia, per chiedere più vita! Ecco, come io sento la vostra chiesa, illuminata da quel Cristo Risorto, che riflette la vita sull'altare, e che dall'altare va al matrimonio, va al confessionale, va al battesimo; se sapessimo presentarci in questa tonalità, forse saremmo più accolti, forse molti non si allontanerebbero e noi sarem«Se sapessimo mo più presentarci nella « v i v i » , invece, di tonalità del Cristo e s s e r e rimasti Risorto! Forse spesso dei poveri crimolti non si stiani del allontanerebbero. V e n e r d ì Santo, che Non rimaniamo non sanno al Venerdì Santo!» portare la pienezza della vita in ogni aspetto, materiale, fisico spirituale e soprannaturale. Così io penso e sento l'intonazione della vostra chiesa.
MESSAGGIO DI PAOLO VI «Al clero e ai fedeli della parrocchia urbana di S. Agostino, lieti per il felice compimento della nuova Chiesa, costruita anche con loro notevole contributo, augusto Pontefice, grato dell’omaggio compiaciuto della fede dei buoni propositi di ciascuno, invia in pegno divina assistenza per sempre prospera feconda vita cristiana - implorata apostolica benedizione»
Sopra, Mons.
Emilio Guano riceve l’applauso della folla al suo arrivo in S. Agostino.
Pagina accanto,
due momenti della celebrazione: don Betti in mezzo all’assemblea e Mons. Ablondi che consacra l’Altare Maggiore
IL SUONO DELLE CAMPANE Ma io vi metterò a parte di un'altra esperienza che mi ha richiamato un
LA PROCESSIONE DALLA CAPPELLA ALLA NUOVA CHIESA
Ablondi con gli altri sacerdoti e i chierichetti muove dalla vecchia chiesa fino al portone della nuova
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brano evangelico. Stavo celebrando qui 1a Messa della Consacrazione della chiesa: ero chinato sull'Ostia, pronunciando le parole sacramentali e miracolose e in quel momento sentii un suono di campane. Mi si illuminò nella mente un brano evangelico; non so se lo ricordate, è così bello: stavano i discepoli, gli apostoli, tirando una barca carica di pesci. Gesù era apparso loro, aveva detto andate, pescate; stavano tirandola, era carica di pesci; Giovanni aveva detto: «è il Signore», gli altri avevano capito; Pietro si era buttato a bagno, nella sua foga; erano arrivati sulla spiaggia, ma il Signore Risorto aveva preparato un fuoco, con qualche pesce sopra, e disse loro: «prendete e mangiate». E quando ebbero mangiato, là, sulla riva del lago di Genezareth, Gesù si rivolge a Pietro e dice: (e questo è il momento importante, il momento che mi ha ispirato): «Pietro, mi ami tu più di tutti questi?». E Pietro, che sta unendosi in un colloquio di intimità e di amore, dice «Signore, tu lo sai, io ti amo!». Pietro direi che sta chiudendosi in questo colloquio
di intimità, di amore. Ma il Signore non gli dice: «bravo, amami di più», no, ma: «va, pasci i miei agnelli. Pietro, mi ami tu? Pasci i miei agnelli!». E ancora una volta: «ma mi ami tu più di questi? Pasci le mie pecorelle». Ed io ho pensato: questo è il significato di una chiesa: vi parrà strano, vero, ma il campanile mi ha aiutato a capire che io non sono fatto solo per immedesimarmi, come Pietro, in quell'incontro, di quel momento personale con Dio, per raccogliermi: quanto per ascoltare Lui, per vedere Lui, per dire che lo amo, amando gli altri, mentre io pronuncio le parole della consacrazione, le campane suonano: il vostro campanile vi dica sempre questo: che il Signore non vuole tanto essere amato, quanto che noi lo portiamo ad amare gli altri uomini, che noi amando Lui glielo dimostriamo, non dicendo solo «Signore Ti amo». Ricordatelo sempre, quando vedete il vostro campanile, quando venite in chiesa, quando siete qui e sentite suonare le campane, pensate che il vostro amore non sarà
IL RITUALE DELL’APERTURA
IL RITUALE DELL’APERTURA
Il celebrante dice: «Aprite o principi, le vostre porte apritevi o porte eterne e lasciate entrare il Re della gloria». Dal di dentro il diacono dice: «chi è questo Re della gloria?»
Il Vescovo risponde: «Il Signore delle potenze. Egli è il re della Gloria». I fedeli: «Aprite». Ai tre colpi dati dal Vescovo col pastorale si apre la porta della Chiesa
vero, che la vostra fede non sarà nonostante il numero mi permettevera, se non diventerà una carità. vano di ammirare le strutture, i gioCosì quel campanile vi dirà che la chi, la luce, la cura dei particolari parola che ascoltate qui, la parola architettonici. Tutta questa materia, della liturgia, la parola che viene da mi dicevo, tutta questa fioritura di questo pulpito, da questo ambone, linee è sbocciata dallo Spirito; c'è deve diffondersi come la voce delle voluta la fede, la buona volontà, campane: per tutti gli sono stati necessari i altri. sacrifici di un parro«Questa Chiesa Le parole di amore co, c'è voluto l'impenon sono fatte per un era Spirito ed è gno di tanti che lo colloquio intimo tra hanno aiutato, che noi e Lui, o, per lo diventata materia. hanno creduto. E mica meno, non si devono solo di voi parlo, fermare a questo, ed E ora che sapete: in questo hanno la loro comple- è materia momento lo Spirito si tezza solo se diventadilata in gratitudine: no parole di amore per diventerà Spirito la fede che ha costruitutto il mondo, per cui to questa Chiesa è il Cristo, attraverso più grande» anche la fede che noi «pasci i miei viene dai vostri anteagnelli, pasci le mie nati, è un seme che è pecore» riesce ancora rimasto nascosto per ad amare tutto il chissà quanti anni e secoli, un seme mondo. di Spirito, una catena nascosta, un filone nascosto di Spirito che ad un LO SPIRITO VIVIFICA LA MATERIA certo momento è sbocciato: ecco il Ed aggiungerò un altro pensiero ed miracolo grande. è l'ultimo. Ieri tornavo nella vostra Così lo Spirito ha esploso la matenuova Chiesa, con maggior calma - ria, ma ora questa stessa materia c'erano qui i vostri bambini, che costruirà non più solo una Chiesa,
L’UNZIONE DELLE CROCI CON L’OLIO DEL CRISMA
Ablondi unge le croci poste sui pilastri della Chiesa con l’olio sacro del Crisma usato per battesimi e cresime
LE RELIQUIE DEI SANTI Forse non tutti sanno che in ogni altare della nuova chiesa vennero riposte delle reliquie di Santi Martiri, riprendendo l’usanza dei primi cristiani di celebrare la messa sulle tombe dei Martiri. Le reliquie sono di S. Agostino, che non è Martire ma Patrono della Parrocchia, di S. Giulia protettrice della città, di S. Sebastiano, titolare della chiesa dove don Betti è stato consacrato, di S. Agnese e S. Tarcisio, martiri della purezza e dell’Eucarestia
L’ALFABETO GRECO E LATIN0
Per terra su di uno strato di cenere a forma di croce, il Vescovo scrive, intersecandoli, l’alfabeto greco e latino, simbolo di unione tra le due chiese
ma costruirà una cattedrale, mille cattedrali, di Spirito; queste strutture, questo cemento, saranno raccoglimento; questo pavimento, questo marmo, offrirà occasione di inginocchiarsi, di adorare; queste candele, questo altare che si innalza, chissà quanti voti farà esprimere: è una materia che diventerà Spirito in tutte le tonalità della vita. Ecco com'è bello pensare che questa Chiesa, che era Spirito, è diventata materia, che ora è materia e diventerà Spirito più grande: e come è bello che sia edificata così, su una strada, per dire che questa non è solamente la Chiesa della Parrocchia, - non siatene gelosi se dico questo - ma che questa è «la Chiesa». Sì, questo tempio è la Chiesa nella sua missione del mondo, che è in mezzo alle strade, perché la nostra strada è fatta di questo, essere cristiani significa questo: degli uomini che vivono nello Spirito, hanno una fede e trasformano il mondo. E come abbiamo bisogno con la nostra fede di trasformare il mondo! Di renderlo più bello! Di renderlo più giusto! Di renderlo più caritatevole! Di renderlo più tecnico - se volete -, più aperto, più scientifico! Dobbiamo inondare dello Spirito tutte le cose, e crearne delle altre, sempre col nuovo Spirito. E il cristiano è anche quello che prende lo Spirito e ne fa una struttura del mondo e nello stesso tempo prende le strutture del mondo e le anima di Spirito in tutte le maniere ed in tutte le forme. Non è forse questo la Chiesa? Solamente in questa maniera siamo dei cristiani, se ci rinnoviamo continuamente, se incontriamo la nostra Chiesa sulla nostra strada e ci facciamo accompagnare per fecondare dello Spirito le cose e per godere le cose, rendendo più ampio di esse lo Spirito. SPERANZE ED AUGURI Queste sono tre mie impressioni, nell'ingresso in Cristo che è vita, nell'avere pensato che il Signore è amore e che le parole che mi dice debbono risuonare nel mondo; è l'altare ed è l'ambone della vostra Chiesa che diventano campanile; è la vostra Chiesa su una strada che è la Chiesa sulla strada del mondo e sulla strada della vita. Io so che debbo applicare la Santa Messa per voi: la applicherò per questo, perché per voi la Chiesa sia vita, da Dio agli uomini; perché questa Chiesa la possiate incontrare sulla vostra strada, sui vicoli e sulle strade della materia, sui vicoli e sulle strade dello Spirito, sui vicoli o sulle strade - non lo so - del dolore o della gioia. Possiate incontrare questa Chiesa, il mondo possa incontrare la Chiesa.
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Anni ‘70 sull’onda del Concilio
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Il Concilio da poco concluso, la nuova chiesa appena inaugurata. La voglia
di impegno e partecipazione.
Negli anni ‘70 a S. Agostino spirava un vento nuovo...
La «scossa» Con don Paolo e don Betti a scuola di comunione
«Q
uando ci trovavamo nella stanza in fondo per fare formazione il nostro percorso obbligato erano i documenti del Concilio Vaticano II. Quella era la nostra bussola». Stefano Semplici, oggi professore straordinario di Etica Sociale all’Università di Roma «Tor Vergata», ricorda così gli anni della sua adolescenza trascorsi negli anni ‘70 a S. Agostino. Dalla chiacchierata insieme a don Andrea Brutto (oggi Rettore del Seminario di Livorno e altro giovane che in seno a questa comunità è cresciuto) organizzata in occasione dei festeggiamenti per il Cinquantennio, emergono alcuni dei percorsi caratteristici di quei giovani e di quella Chiesa. «Era diversa la geografia sociale del mondo e del territorio - dice Semplici - Aldo Moro parlava di Terza Fase, si prospettava un Compromesso Storico tra Dc e Partito Comunista che a Livorno prendeva ancora il 54%. Soprattutto in politica non si era ancora affacciato il modello americano tutto immagini e spettacolo. Si partiva dalle grandi visioni del mondo e su quelle, con l’esercizio ruvido della razionalità, ci si confrontava». Si stava lenGIOVANI tamente facendo largo la società dei DI IERI consumi ma non erano ancora arrivate «Dalla Parrocchia di le nuove tecnologie («il telefonino e S. Agostino al internet soprattutto») a velocizzare mondo». enormemente il paesaggio sociale e a Questo il titolo liquefare i rapporti tra le persone. dell’incontro con «C’era soprattutto un diverso modello Stefano Semplici antropologico - aggiunge Semplici e don Andrea Brutto svoltosi fondato sulla pedagogia della pazienza nel salone e della durata. Siamo cresciuti in un’atCastellani mosfera in cui il tempo aveva ancora il 2 maggio 2008 un valore in sé. Dove legame valeva più di passione, dove responsabilità più di cuore caldo, dove le cose, i concetti, i pensieri dovevano prendersi il loro tempo per sedimentare e crescere dentro di noi». Questa generazione di baby boomers, («cresciuta cioè in un CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
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mondo popolato da giovani»), coltivava i rapporti comunicando «faccia a faccia» e, soprattutto, era animata da una grande «disponibilità verso il futuro». E la vita a S. Agostino? Don Andrea Brutto la sintetizza in alcuni punti: «Nessun parrocchialismo: c’era una grande attenzione alla Chiesa diocesana e a quella Universale (soprattutto attraverso lo studio dei grandi temi conciliari)». Poi si curava molto il rapporto col territorio e si spendevano molte energie nell’educazione alla preghiera attraverso l’ascolto della Parola. «Spiccava su tutto la centralità della celebrazione eucaristica come momento essenziale di ogni percorso educativo». Ed era una Chiesa
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Sopra, una gita
parrocchiale a Lourdes guidata da don Paolo nel giugno 1976. Sotto, una foto di monsignor Razzauti nel periodo in cui ha svolto il compito di Amministratore Diocesano nella vacanza tra monsignor Coletti e monsignor Giusti Qui a lato, un momento di una fiaccolata dell’8 settembre per le vie del quartiere, negli anni ‘70
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
«che educava alla responsabilità». La responsabilità della scelta della vocazione personale, la «responsabilità di persone cristiane che sanno rispondere alle sfide della vita e che sanno mettersi in gioco per l’altro». DON PAOLO: ECCO LA «SCOSSA» Ma da che cosa scaturiva questa vita comunitaria ed educativa così feconda e stimolante? E’ vero: non c’era affatto quello che oggi i sociologi chiamano «il disagio della postmodernità» che forgia relazioni e identità liquide senza punti di riferimento, con poche spinte alla responsabilità verso scelte definitive. E’ vero: il Concilio appena concluso faceva spirare un vento forte di rinnovamento tra le panche delle parrocchie. Ma oltre a tutta questa serie di motivi a S. Agostino negli anni Settanta si respirava un’aria diversa - più frizzante, più garibaldina - anche per l’arrivo di un pretino giovane giovane che con la sua energia - messa accanto alla grande esperienza di don Betti - dette una «scossa» notevole a tutta la vita della Comunità. L’11 ottobre 1970 arrivava infatti in parrocchia il nuovo cappellano don Paolo Razzauti. Don Orfeo Bosello aveva aiutato preziosamente don Betti nella fase assai delicata della costru-
zione della nuova chiesa e del nuovo avvio. Don Paolo seppe approfittare dei nuovi scenari aperti dal nuovo vento conciliare e dalle aperture accoglienti che creava il nuovo moderno edificio: quella «grande tenda» che secondo il progettista Vittorio Chini avrebbe dovuto accogliere sotto di sè la nuova idea di parrocchia che usciva dal Concilio. «C’è stato un rapporto molto proficuo tra noi due - dice oggi don Pier Luigi Betti - don Paolo faceva tutto con un entusiasmo incredibile e contagioso, bastava dirgli che c’era da fare qualcosa e si mettava subito in moto. Non avevi ancora finito di dirglielo che l’aveva già fatto. Per i giovani fu davvero una scossa notevole. E poi grazie a lui si svilupparono tutta una serie di iniziative di richiamo ultraparrocchiale: conferenze e dibattiti con grandi personaggi (Lercaro, Pignedoli, Benelli) che contribuirono certamente a creare un terreno ancor più fertile per la nostra vità comunitaria». «Don Paolo - racconta oggi Maria Grazia Ghezzani - manifestò fin da subito una grandissima capacità organizzativa, in più trovò un terreno molto fertile. Nella vita parrocchiale c’era già tutto, ma lui seppe dare un contributo per migliorarlo». Soprattutto, ciò che saltava agli
occhi e faceva «bene» alla Comunità, era l’armonia tra parroco e cappellano: «Mi resi conto subito - scrisse don Paolo nell’87 di aver incontrato un fratello maggiore, disposto ad aiutarmi, ad insegnarmi, a venire incontro alla mia inesperienza. Da quel momento iniziò tra noi un cammino bellissimo, fondato sul rispetto reciproco, sulla stima, ma soprattutto sull’amicizia. E trovare due preti che sono veramente amici (soprattutto un parroco ed un cappellano) purtroppo non è una cosa semplice». In don Betti don Paolo incontrava il ‘buon pastore’ «che corre al letto dei suoi ammalati, che sorride ed accarezza i bambini, che rincuora gli anziani, che benedice gli sposi e li aiuta a crescere nella vita, che si preoccupa della liturgia; un buon pastore che sa parlare con semplicità ai bambini e con cognizione di causa agli adulti; un buon pastore che prega e soffre per le sue pecorelle; un prete che si ferma per strada non solo con quelli che vengono in chiesa, ma anche con i lontani». I GIOVANI: VOGLIA DI IMPEGNO Ma, come abbiamo detto, soprattutto i giovani ricevettero uno scossone notevole dalle nuove situazioni. Don Paolo era esigente: voleva che
i giovani si impegnassero e non stessero in parrocchia a giochicchiare, a ‘scozzarsi’ a biliardino o a ping-pong. Si incentivava sempre di più il loro cammino di responsabilizzazione, si spronava all’impegno costante e serio, all’integrità nella condotta di vita cristiana, si invitava ad interrogarsi non superficialmente sui grandi temi che animavano il dibattito ecclesiale e quallo sociale e politico (il terrorismo, le battaglie su aborto e divorzio). Certo, non è tutto oro ciò che riluce. C’era anche chi come Emanuele Ripoli vedeva anche i lati non proprio positivi della nuova situazione: «Quei giovani che prima venivano a S. Agostino almeno per bighellonare - dice oggi Ripoli - non potevano più stare in parrocchia. Forse questa ‘intransigenza’ nel chiedere impegno non fu un aspetto troppo positivo». Come che fosse, molti giovani ricevettero beneficio da questa nuova spinta al mettersi in gioco. «Per me - scriveva nell’87 Stefano Nannini, uno dei giovani cresciuti con don Paolo - entrare nella vita della mia comunità è stato come entrare in un mondo che presto è diventato ‘il mio mondo’. In esso ho trovato persone cui mi sono legato da amicizia sincera e profonda; ho
Sopra, una pro-
cessione sul viale dei Pini in occasione delle prime comunioni nel giugno 1976
Qui a fianco
Stefano Nannini con altri giovani durante una celebrazione in duomo negli anni ‘70 Qui sotto, prime comunioni ‘78 col catechista Stefano Semplici
scoperto valori che sono divenuti i pilastri della mia formazione umana e spirituale: rispetto, disponibilità, partecipazione, servizio, preghiera. Ho trovato modi e forme per approfondire ed esprimere la mia fede sia dentro che fuori l’ambiente ecclesiale. Tutto questo grazie soprattutto alla guida fraterna e all’esempio dei nostri sacerdoti, particolarmente di don Paolo con cui noi, del ‘gruppo più grande’, siamo praticamente cresciuti». Nascevano così l’intensa partecipazione alla vita liturgica della parrocchia con il numeroso gruppo dei chierichetti, la grande novità del giornale interamente scritto dai giovani «Noi Insieme», l’impegno nello studio approfondito dei documenti conciliari, la voglia di sentirsi attivi nella vita del territorio con la partecipazione ai Consigli di Zona, l’esperienza del Gruppo Teatro e Vangelo creata dal giovane Raffaello Schiavone. Nasceva soprattutto un’esperienza di gruppo sentita come valore e arricchimento del proprio vissuto personale. Non c’era una televisione così invadente, non c’era internet, non c’era il telefonino: in parrocchia i giovani si ritrovavano tutti i giorni per studiare, per discutere. «Non era certo il paradiso terrestre - scriveva Stefano Nannini - anche tra noi come in un qualsiasi gruppo, c’erano screzi, litigi, talvolta gelosie, ma finché era possibile si cercava di superarle per valorizzare di ciascuno più i lati positivi che quelli negativi».
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
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Cappellano dal 1970 al 1982. «Sono stati anni
L’intervista
Razzauti
don Paolo
intensissimi, un periodo di crescita forte, vissuto col motore dell’entusiasmo sempre a mille»
«In mezzo a voi ho imparato a fare il prete»
Dodici anni di entusiasmo e gioia «Sono arrivato a S. Agostino che ero prete da un anno. Sono cresciuto insieme ai giovani di questa parrocchia raccogliendo con loro delle sfide di impegno e responsabilità. La voglia di partecipazione e di dibattito. La voglia di esserci, ma insieme»
H
a un brilluccichio negli occhi che è tutto un programma. Si avverte lontano un miglio e si sente dal tono della sua voce che ritornare con la mente a quegli anni vissuti a S. Agostino gli provoca dentro emozioni intense, sensazioni sopite Sopra, don Paolo eppure così vive durante una dentro al cuore e al celebrazione in cervello. S. Agostino, alla Come quando devi sua destra spiegare a qualcuno il futuro don cos’è che ti ha fatto Andrea Brutto, alla sua sinistra essere quello che il futuro sei oggi, da quali don Raffaello sorgenti profonde Schiavone hai attinto perché la tua personalità si è forgiata in un modo e non in un altro. E allora la chiacchierata con monsignor Paolo Razzauti diventa come percorrere un sentiero di alta montagna, con l’aria fresca che ti riempie i polmoni e un amico che ti fa ammirare e scoprire le vette più alte perché le ha percorse in lungo e in largo. Perché don Paolo avverte che quei primi anni sono stati fondamentali per diventare il prete che è oggi. «Sì - dice - perché sono stati 12 anni molto molto intensi. Un periodo di crescita forte, vissuto con grande gioia, col motore dell’entusiasmo sempre a mille. E poi a S. Agostino don Betti mi ha veramente insegnato a fare il prete. Per più di dieci anni abbiamo lavorato gomito a gomito portando avanti una collaborazione bellissima. Anche se io mi occupavo in modo particolare 52
DON PAOLO E DON BETTI «Don Betti mi ha veramente insegnato a fare il prete. Con lui sono stati anni intensi corroborati da un rapporto bellissimo di amicizia. Avevamo i nostri screzi, ma mai la comunità ci ha visto litigare in pubblico».
Sopra a destra,
una curiosa immagine dei due
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
dell’archivio, dei giovani e della catechesi, in realtà assieme lavoravamo su tutti i fronti: lui rendeva partecipe me e io rendevo partecipe lui su ogni aspetto della vita parrocchiale, in uno scambio sempre costante e intenso. Mi ricordo ancora che monsignor Ablondi sottolineò questo rapporto così proficuo durante la celebrazione del mio saluto alla parrocchia. Perché davvero al di là del semplice rapporto tra parroco e cappellano tra noi c’era amicizia. Certo, i punti di vista su certe questioni a volte potevano essere diversi, e allora parla-
vamo, ci confrontavamo, chiarivamo, ma mai di fronte alla gente della parrocchia. Mai le persone hanno potuto avvertire pubblicamente tra di noi un contrasto o un attrito». Ma se dico S. Agostino, qual è il primo flash che le viene in mente? «La gioventù». La sua? «No no, proprio i giovani, i giovani di S. Agostino. Bè, di sicuro anche la mia, visto che sono arrivato a S. Agostino da S. Jacopo che ero prete da un anno e mi portavo dentro
LA LETTERA Le dure parole che don Paolo indirizzò ai giovani nel 1975
NON SIAMO MICA ALL’ATTIAS! «M i sembra che il nostro gruppo (piccoli e grandi) si stia rilassando in maniera paurosa, che spesso manchi la forza o la volontà di impegnarsi maggiormente in tanti aspetti della propria vita. La preghiera mi sembra molto trascurata. La celebrazione dell’Eucarestia per la maggior parte si riduce solo a quella domenicale. La recita di Vespro alla sera mi sembra trascurata da troppe persone. Ebbene, cari ragazzi, se non si prega è evidente che non si può vivere bene da cristiani. E’ evidente che non ci sentiamo di prenderci determinati impegni. E’ evidente che la nostra diventa diventa più una vita da sfaccendati che da testimoni. Noi, però, abbiamo sempre detto, almeno mi sembra, che vogliamo essere veri testimoni in mezzo agli altri, vogliamo essere degli ‘impegnati’: ed allora? Spesso si trova il tempo per parlare, a scherzare, a ridere, nell’ingresso, nei corridoi, nelle stanze, ma non si trova il tempo da dedicare al
Signore. E se qualche volta accadesse il contrario? [...] Scusate ma in questi ultimi giorni mi sembra di essere tornati ai tempi in cui in Parrocchia c’era la stanza con i biliardini ed il tavolo da ping-pong: gente che andava e veniva (molta della quale spesso non si conosceva e non frequentava nessuna attività in parrocchia) gente che giocava, che si divertiva, insomma tutte persone che prendevano la parrocchia soltanto come un luogo per giocare, divertirsi e poi via. Mi sembra che questo stia accadendo, almeno in parte, anche in questi ultimi tempi: gente che va e che viene gente che parlotta da una parte e dall’altra, gente ‘staziona’ in salone ad ascoltare musica... gente che in un’altra stanza gioca, insomma gente che ha preso la parrocchia per un luogo dove incontrarsi, stare insieme, e poi tornare alle proprie case: ma allora che differenza c’è tra questi giovani e quelli che frequentano l’Attias o la via Ricasoli?»
NOVEMBRE 1970
Giovani e stampa. Il primo articolo di don Paolo ai ragazzi
tutto l’entusiasmo e la carica di un giovane di 25 anni con una instancabile voglia di lavorare». Una carica che ha trasmesso subito ai giovani con cui si trovò a camminare insieme... «Sì, i giovani furono in quegli anni il motore della comunità, ma con loro non partii subito a spron battuto». Cioè? «I primi mesi stetti molto a guardare: ero molto giovane e per di più in una parrocchia che non conoscevo. Era tutto nuovo per me. Quei mesi furono molto importanti perché mi
accorsi che molti giovani venivano in parrocchia solo per far confusione: non c'era niente di costruttivo». Allora passò al contrattacco... «Sì, ricordo che nel giugno del 1971 andai da don Betti e gli dissi ‘io chiudo tutto perché non sono venuto per fare il baby sitter ma per aiutare i giovani a camminare’. ‘Eh ma come si fa? - mi rispose lui - Se si chiude tutto i giovani vanno via dalla parrocchia?’. ‘Lei non si preoccupi - gli dissi io - mi dia un anno di tempo e vedremo cosa riesco a fare’». Detto fatto? «Sì. Chiusi tutte le stanze della parrocchia: no al biliardino e al pingpong tanto per fare. E stetti per 6 mesi a buttare sul tavolo provocazioni, lanciando ogni domenica proposte dall'altare. Lasciai l’insegnamento che avevo al Vespucci e cominciai a insegnare religione nella scuola del quartiere alle ‘XI Maggio’. Quelli delle medie li ‘agganciavo’ a scuola, quelli delle superiori li coinvolsi cominciando a lanciare messaggi di provocazione, oltre che dall’altare, anche attraverso la benedizione delle famiglie. E mi ricordo che andai a cercare perfino l’elenco di tutti i battezzati che avevano dai 15 ai 18 anni e scrissi loro una lettera molto approfondita per invitarli a partecipare alla vita parrocchiale». Risultato? «Riuscii a raggruppare un gruppo di giovani ai quali dissi: ‘guardate io non vi voglio né far giocare né far divertire, vi voglio far lavorare e preparare. Se ci state si fa un bel cammino insieme, sennò… E da lì cominciò questa sfida. Il gruppo dei giovani si incontrava in parrocchia per studiare tutte le sere e una volta alla settimana facevamo quel-
DON PAOLO E IL PICCHI
Sopra, don
Paolo in qualità di consulente ecclesiastico del «PicchiFabbricotti». Grande fu anche l’entusiasmo e la capacità organizzativa di don Paolo nel settore sportivo parrocchiale, con l’organizzazione delle Corse podistiche (con partecipanti da tutta la Toscana) e l’incremento dell’attività calcistica parrocchiale. Presidente onoraio del «PicchiFabbricotti» era Leo Picchi, fratello di Armando. «Il funerale di Armando lo celebrai io» ricorda don Paolo
«Per 6 mesi lanciai provocazioni dall’altare. Ai giovani dissi: non vi voglio solo far giocare, ma lavorare e preparare»
Subito l’attenzione alla stampa e ai giovani. Era arrivato da un mese e don Paolo scriveva già il suo primo articolo su Regnum Christi:
«U
no dei termini più interessanti ed importanti del nostro mondo è il giovane. Nella sua sfera, ciò che ci preoccupa maggiormente è la sua educazione e maturazione in una realtà sempre più concreta ed impegnata della vita. E’ naturale che il primo nucleo dove il giovane deve crescere e ricevere un’educazione è la famiglia, che non può essere superata in questo suo primordiale e principale compito né da Chiesa, né da scuola, né da qualsiasi altra forma societaria. La Chiesa, può solo offrire un completamento a questa educazione; il prete può essere l’amico e il suggeritore di una maturità sempre maggiore, ma nonsi può pretendere che egli sia il solo educatore del giovane, né si può pretendere che sia colui presso il quale si manda il ragazzo quasi per liberarsene. Comunque per questa opera di educazione anche nella nostra parrocchia sono organizzati dei gruppi attraverso i quali i giovani cercano di arricchirsi e di impegnarsi in una risoluzione dei loro problemi ed in una ricerca di aiuto verso il prossimo più bisognoso. E’ dovere di ogni giovane che si voglia dire buon cristiano, partecipare a queste riunioni proprio per un completamento sempre maggiore della propria maturità e crescita».
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TUTTO È CAMBIATO?
Crescere a S. Agostino negli anni ‘70 Stefano Semplici oggi è professore straordinario di Etica Sociale all’Universita di Roma Tor Vergata. «Le esperienze che abbiamo fatto hanno costruito la trama persistente delle emozioni e delle amicizie con le quali siamo cresciuti e che più sentiamo nostre»
(di STEFANO SEMPLICI)
È
fin troppo facile dire che tutto è cambiato. La Chiesa, che ha ormai consegnato alla storia il Concilio di papa Roncalli e di papa Montini. Nelle nostre parrocchie i giovani hanno smesso da tempo di leggere e di studiare la Lumen gentium o la Gaudium et spes e molti degli attuali cinquantenni guardano con malcelato disagio alla loro adolescenza: restano natural-
la che avevamo chiamato l’assemblea dei giovani». Certo, erano altri tempi. I giovani erano più disposti forse ad accogliere certi tipi di discorsi... «Sicuramente era molto diverso il contesto sociale e culturale: non c'era il computer o il telefonino, non tutti avevano la macchina, veniva assai più naturale trovarsi tutte le sere in parrocchia. Ma era diversa anche la formazione scolastica e soprattutto la formazione ai valori sia nella famiglia che nella società. Quello che non era diverso era la necessità di offrire ai giovani una proposta seria e solida che potesse responsabilizzarli e farli sentire coinvolti». Provocazione, responsabilizzazione, coinvolgimento. Sono tutti aspetti in cui lei ha sempre creduto molto. «Sì, a me piaceva dare ai giovani 54
mente la fede, la fedeltà e l'impegno di testimonianza, attraversati tuttavia da una vena di disillusione e nostalgia. È cambiata la politica, che non divide e ricompone più forti e compatte «visioni del mondo», ma appartenenze multiple, liquide e talvolta decisamente rarefatte. Non ci si schiera per un'idea ma per un leader e anche questo può facilmente creare imbarazzo in chi ha fatto in tempo a vivere le passioni intense delle tradizioni, dei conflitti e delle mediazioni interpretate dai partiti di massa. Sono cambiate profondamente le nostre paure: quella del terrorismo, che pure è tornata, non ha più il volto del compagno di scuola, del vicino di casa e si cari-
RAGAZZI NUOVI il Gruppo Ragazzi Nuovi a fine anni ‘60, guidati da Suor Annunziata
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
ca dell'ostilità con la quale siamo tentati di guardare il diverso, il lontano, quegli stessi uomini e donne con i quali facciamo affari nello spazio unico del mercato globale. È cambiato, infine, il modo di comunicare. È difficile far capire ai nostri figli che davvero c'era una volta un mondo senza cellulari e senza computer. Quanta fatica costava rimediare agli errori sulla matrice di un ciclostile. E tuttavia la formazione che abbiamo ricevuto non è stata inutile. Le esperienze che abbiamo fatto hanno costruito la trama persistente delle emozioni e delle amicizie con le quali siamo cresciuti e che più sentiamo nostre. Che valgono quanto le ragioni e i
valori. Dare loro, come dicevo loro, la ‘pastasciutta’. ‘Ragazzi - dicevo se io vi do il semolino non crescerete mai! Voi dovete avere qualcosa di solido da masticare’». Quale fu questa ‘pastasciutta’? «Si cominciò subito con lo studio approfondito del Concilio. Dissi loro senza tanti discorsi: ‘Signori miei qui bisogna studiare i documenti del Concilio, ci dividiamo i documenti e li studiamo. A ruota un gruppo si trova durante la settimana per approfondire un documento, poi la settimana dopo lo presenta agli altri gruppi’. Mi ricordo che la conclusione di questo percorso fu una veglia di Adorazione del Giovedì Santo che, cominciata nel pomeriggio, si concluse alle 22.30. E non eravamo nuovi ad esperienze del genere: una volta organizzammo una veglia di Adorazione notturna che si conclu-
principi che ci hanno aiutati a riconoscere e consolidare. In queste settimane la mia parrocchia romana ha ricordato i suoi primi quaranta anni di vita. Ho ascoltato i miei coetanei raccontare storie che non mi appartengono: le baracche di Pasolini, la tempra di un parroco che aveva accettato di fare della sua chiesa la casa degli sfrattati. Ho anche ritrovato, però, i frammenti della stessa quotidianità che, in un ambiente probabilmente più
se alle 7 di mattina... Era un cammino fatto di impegno costante, retto sui pilastri di studio e preghiera». Anche l’esperienza del gionale parrocchiale «Noi Insieme», da lei fondato nel 1975, si inserisce in questo percorso. «Sì, anche quella è stata una palestra di incontro, di riflessione, di lavoro. Non c’era articolo che non venisse discusso in redazione o non fosse argomento di riflessione seria e approfondita. Ci trovavamo tutte le sere per discutere i temi che avremmo messo poi sul giornale. Con me c’era un confronto serrato e senza sconti. L’ho sempre detto che io sono cresciuto insieme a loro: io 25, loro 15-16 anni, costruimmo insieme un percorso di maturazione bellissimo. Ci tenevo così tanto al percorso iniziato con questo gruppo che non esitai a dire no al Vescovo quando mi chiamò per un nuovo incarico». In che senso? «Nell'80 Ablondi mi chiamò per propormi di fare il parroco a Salviano. Io gli dissi: ‘Guardi Monsignore, sa che io ho sempre
raccolto e sereno, a me è capitato di vivere a Livorno, nella diocesi di monsignor Ablondi e nella S. Agostino di don Betti. Le gelosie e magari gli amori talvolta ricambiati e talvolta delusi di un gruppo di ragazzi, ovviamente. Ma soprattutto la voglia vera di stare e lavorare insieme (e "Noi insieme" è stato il mio primo giornale), la convinzione che nella fede ci fosse in gioco il senso ultimo per quanto sofferto di quel che
saremmo diventati, quella cura per l'interiorità e i suoi crepacci che era ad un tempo serietà nello studio e ricerca del silenzio e della preghiera, il desiderio di "fare qualcosa" non perché si è giovani, ma per abituarsi ad un impegno di servizio capace di durare. Tanti volti, dunque. E per primi quelli di chi non c'è più, come Francesco, con la sua riservata dolcezza e il suo amore per la musica. E poi il catechismo, i campeggi, la piccola biblio-
obbedito e non ho problemi ad obbedire anche questa volta. Però sa anche che sto facendo un bel cammino con questo gruppo di giovani e siamo giunti proprio al delicato passaggio che dal ricevere porta al dare. Perché questi giovani finora hanno ricevuto, si sono formati, ora sono loro che devono diventare formatori, testimoni credibili per gli altri. Se lei mi trasferisce in questo momento, il lavoro fin qui fatto rischia di andare a naufragare, se lei mi dà ancora un paio di anni di tempo forse questo lavoro qualche frutto lo porterà. Perciò faccia lei’. E il vescovo mi ringraziò per questa franchezza e disponibilità e mi lasciò altri due anni a S. Agostino». Ricorda qualche momento particolare di quegli anni e di quelle esperienze coi giovani? «Ce ne sarebbero tanti. Era tutto molto appassionante e stimolante, c’era voglia di impegnarsi e partecipare. Mi viene a mente, per dirne una, quando tra il 1973 e il 1974 ci fu il periodo dell’Austerity. La televisione alle 21 terminava i pro-
teca della quale ero particolarmente orgoglioso, le indagini sulla condizione giovanile nel quartiere, gli incontri con il Vescovo o quello nella nostra sala riunioni con monsignor Angeli, la mattina in cui accompagnammo in seminario Andrea, la lunga veglia di un'intera notte di un giovedì santo, ma anche la semplice abitudine di "passare dalla parrocchia" alla fine di una giornata qualunque. Sempre aspettando quel "campo" che
grammi, macchine in giro non ce n’erano, i cinema erano chiusi. E allora si disse: ‘Ragazzi cosa si fa per animare la vita del quartiere? Perché non organizziamo delle recite?’. Allora mettemmo su un vero e proprio gruppo di teatro con commedie in parte scritte da me (anche in vernacolo!) e in parte dal giovane Raffaello Schiavone, all’epoca non ancora ‘don’. Si faceva il ‘pienone’ con spettacoli il pomeriggio o la sera dopo cena». Il ‘pienone’ non lo faceste solo per le rappresentazioni teatrali. Fu sua l’idea di invitare le grandi figure di testimoni di quel periodo... «Sì, invitammo il cardinale Lercaro, il cardinal Benelli e il cardinale Pignedoli. Poi don Dianich, don Balducci e diversi vescovi della Toscana. Io ho sempre avuto questa propensione a sfornare
ho invidiato a chi è venuto dopo di me… E infine il mio matrimonio, il battesimo di Lorenzo ed Eleonora. La comunità ecclesiale è vera non perché in essa avvengono cose straordinarie, ma perché ci insegna a fondere il tempo della vita e quello della fede, rendendoci in questo modo più liberi. Magari anche più sereni. Convinti che veramente Dio si incontra nelle persone alle quali impariamo a volere bene.
TEATRO E AUSTERITY Una delle tante rappresentazioni teatrali organizzate in quegli anni dai giovani di S. Agostino anche in risposta al clima dell’Austerity. In questa foto in particolare si nota don Paolo vestito... da popolana
un’idea al minuto, don Betti mi permetteva di buttarle fuori e concretizzarle. La mia proposta era quella di chiamare i ‘grandi nomi’ sì per invogliare la gente a venire all’incontro, ma soprattutto per dare alla gente dei contenuti solidi su cui riflettere e dibattere». Una filosofia che ha esportato anche in altri contesti... «Sì, per esempio per i catechisti della parrocchia. Facevamo una formazione molto seria, con un corso strutturato con dei docenti e un esame finale sia per i catechisti che per gli aiuto catechisti. E non era un ‘corsettino’ fatto da me: i docenti erano personaggi come don Dianich, don Renato Roberti, don Roberto Angeli, don Piergiorgio Paolini. Siamo arrivati ad avere anche 600 bambini al catechismo: eravamo costretti a fare due
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2 1 Giovanni Paolo II con Ablondi e don Paolo durante la visita dell’82 2 Lo storico organista Santi Citti al lavoro... 3 La celebrazione diocesana del Corpus Domini 1972 sul viale dei Pini 4 Cresime con Ablondi a S. Agostino nel giugno 1978 5 Prime Comunioni 1976 6 Ablondi benedice il nuovo organo elettrico nel 1972 in occasione del 25° di sacerdozio di don Betti Da 7 a 11 Alcuni momenti del servizio dei chierichetti 12 Pubblico nel salone per una conferenza 13 Don Raffaello e Massimo Scardigli chierichetti
1 messe per i bimbi perché tutti insieme non entravano in chiesa: alle 10 c’era la messa per i bimbi dalla prima alla quarta elementare, alle 11.30 c’era la messa per tutti quegli altri. Ed erano messe che arrivavano anche a presenze che superavano le 1000 unitè. I frequentati totali arrivavano al 25% degli abitanti del territorio parrocchiale». E alla vita di questo territorio lei voleva che i suoi giovani vi partecipassero in modo provocatorio e reattivo... «Mi vengono a mente le indagini di Noi Insieme sulla disoccupazione giovanile o le interviste ai politici in occasione delle elezioni amministrative. E poi con i giovani partecipavamo a tutti i Consigli di zona del quartiere per discutere e dibattere». Allora, sì può dire che fu anche una sorta di esperienza pilota per la diocesi? «In un certo senso sì, ma forse non utilizzata fino in fondo... perché a Livorno siamo sempre troppo gelosi di quello che fanno gli altri. Senza nessuna vanagloria penso di poter dire che a quei tempi quello di S. Agostino era uno dei gruppi giovanili meglio strutturati in diocesi. C’era il gruppo di don Luciano Musi, quello di don Edoardo Medori e c’eravamo anche noi. Erano gruppi solidi che insegnavano anche l’amore alla propria chiesa diocesana: non perdevamo mai l’occasione per partecipare agli incontri organizzati dall nostra 56
La parrocchia mi fu di grande aiuto anche durante il periodo della visita del Papa. C’era una grande volontà di camminare insieme
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chiesa locale». Negli ultimi tempi a S. Agostino lei fu coinvolto con un incarico importante nell’organizzazione della visita di Papa Giovanni Paolo II a Livorno. Ebbe un ruolo in questo la parrocchia di S. Agostino? «Certo che lo ebbe. Se non c'era la parrocchia in quel periodo mi sparavo. Nell'81 avevo avuto una nevrite virale ed ero stato un mese fermo a casa bloccato. Finita la mia nevrite virale a don Betti prese una pericardite acuta e fu ricoverato in ospedale: 7 mesi fermo tra letto e poltrona. Don Betti si sentì male il 31 ottobre e rientrò a dire messa la seconda domenica di Pasqua dell'82. In questi mesi io avevo la responsabilità di tutta l'organizzazione tecnico-operativa della visita del Papa (monsignor Savio curava i rapporti con la stampa), più avevo l’impegno dell'insegnamento a scuola, e quello in parrocchia con la visita delle famiglie. Miracolosamente riuscii a fare tutto (lasciando però la scuola). E per l'organizzazione della visita del Papa coinvolsi gioco-forza molti parrocchiani (in una commissione diocesana con più di 100 persone)». Cosa ricorda di quei giorni dell’82? «Mi ricordo che la notte prima dell’arrivo del Papa la passai in giro con la polizia a perlustrare la città; sui tetti e dentro ai tombini c’erano poliziotti pronti ad intervenire. Un
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7 I CHIERICHETTI Frotte di bimbi e ragazzi più grandicelli che litigavano
per accapparrarsi i servizi all’altare. Con i futuri ‘don’: Sorbi, Cantini, Schiavone
RICORDI DI UN EX-CHIERICHETTO TONACA E COTTA E UNA VOCINA...
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n occasione del cinquantesimo anniversario della parrocchia di Sant'Agostino, sono lieto di ricordare la scuola dei chierichetti, dove approdai nel lontano 1965. Don Betti, era molto bravo ad accattivarsi le simpatie dei ragazzi e molti di questi accettavano felici di entrare a far parte del gruppo. Fu proprio in quel periodo che conobbi Raffaello Schiavone, Mario Sorbi e Luciano Cantini: oggi tutti sacerdoti. Ai tempi, Mario, il più anziano, svolgeva il compito di cerimoniere, insegnando a noi più piccoli come muoversi sull'altare, inginocchiarsi, svolgere i vari compiti e, certe volte, calmava pure i più vivaci che litigavano per accaparrarsi i servizi tra i quali l'accolitato, il turibolo, mansioni riservate ai veterani del gruppo. Mi ricordo le corse gioiose, tutti vestiti con tonaca e cotta, per le stanze della parrocchia con Raffaello che, a braccia spalancate, tentava di fermarci invano, quasi cadendo; e don Betti, che spesso e volentieri, ci domandava
poliziotto dormì perfino sotto il palco dove il giorno dopo avrebbe parlato il Papa. Avevo 37 anni e tutto l’entusiasmo di quell’età: faticavo è vero, ma mi divertivo anche. E 13 la parrocchia mi seguì anche in quest’avventura. Perché si viveva un senso comunitario vero: se don Paolo aveva questo incarico, l’incarico era per tutti. Se don Betti si sentiva male, tutti si facevano in quattro. Era così: non c'erano divisioni "questo lo fanno i giovani, questo lo fanno gli adulti", eravamo la parrocchia-insieme, la comunità insieme che camminava. Questo era il bello di quegli anni, con l'entusiasmo, a volte anche con gli scontri, ma con la voglia di raggiungere
se sentivamo dentro di noi, una vocina che invitava alla vocazione sacerdotale. Di particolare fascino era poi il periodo delle benedizioni pasquali, durante il quale i chierichetti accompagnavano il sacerdote nelle visite alle famiglie, felici di poter curiosare nelle case dei loro parrocchiani. Tutto questo è stata un'esperienza che ricordo ancora oggi con affetto, tanto è vero che anche mio figlio Andrea, dopo aver ascoltato queste parole, ha voluto provare l'esperienza di chierichetto sin da piccolo. Un episodio simpatico da poter raccontare è stato l'inizio di un'amicizia con un grande uomo: monsignor Savio. Durante la celebrazione della cresima di mio nipote, Andrea rimase deluso nel vedere il vescovo senza la mitra e il pastorale; al termine, lo raggiunse in sacrestia, e gli domandò, con gli occhi interrogativi di un bambino, se lui era un vero vescovo. Monsignor Savio, con il suo sorriso, aprì la valigetta, prendendo «gli strumenti del mestiere», indossò la mitra e montò il pastorale e apparse al bambino in tutta la sua maestosità. Il piccolo, a questo punto, soddisfatto gli sussurrò: «Adesso sì che sei un vero vescovo!». MASSIMO SCARDIGLI
insieme dei risultati». Allora, visto che è nel suo stile, lanci una nuova provocazione per il futuro dell comunità... «Credo che la comunità di S. Agostino debba riscoprire e dare valore a ciò che è stata. Recuperando - con la consapevolezza che i contesti sono cambiati - gli entusiasmi della sua nascita e della sua crescita. Oggi è una parrocchia di anziani ma fra 10 anni potranno tornare ad esserci molti giovani. E allora fare memoria serve se si recuperano gli aspetti positivi del passato. La voglia di fare, il piacere di raccogliere delle sfide. Mai da soli, con tutta una comunità che partecipa». Noi, insieme. Appunto.
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LA CURIOSITA’
Don Paolo vestito da «Befana»... quante se ne escogitavano per coinvolgere i più piccini
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l 5 gennaio 1972 si legge su Regnum Christi - alle ore 9.30, si è svolta in Parrocchia, la premiazione dei chierichetti, che avevano prestato il proprio servizio all’altare da Settembre ad ora. A tutti sono stati assegnati dei premi secondo il punteggio conseguito. Una cosa, che ha poi contribuito a rendere più interessante la riunione è stato l’arrivo della... Befana, che in persona è scesa dai cieli per portare doni e calze ai chierichetti. Oltre ad essa ci sono state anche delle buone... ombrellate per i più vivaci. Don Betti e... don Paolo si augurano che tutto ciò possa servire a spronare noi ragazzi ad essere più bravi e sempre più assidui. La premiazione era stata preceduta da un discorsino del responsabile Raffaello Schiavone. Riportiamo ora i nomi dei primi cinque premmiati: 1. Sassi Luca, punti 79; 2.
LA «BEFANA»... DON PAOLO Tre curiose immagini di don Paolo travestito da Befana
Sangiacomo Lucio, p. 77; Pazzoni Giuseppe, p. 60; Carpiti Claudio, p. 58; Guglielmi Giovanni, p. 37; Cadoni Giovanni». Eh sì, capitava anche questo a S. Agostino negli anni ‘70... Di vedersi cioè apparire sul sagrato della Chiesa quello che qualche decennio dopo sarebbe stato il futuro Vicario generale della diocesi vestito da «Befana» per la gioia dei più piccini. Era uno dei tanti modi escogitati da don Paolo e don Betti per coinvolgere i giovani nelle attività della parrocchia. «E’ stato in quegli anni scriveva Stefano Nannini nell’87 - che si sono formate le nostre amicizie ed i legami che tuttora ci uniscono, ed è in quel periodo che abbiamo vissuto il nostro momento di formazione maggiore; che abbiamo cominciato a intuire le nostre future vocazioni personali»
CICCIO, CANE «CHIERICHETTO» I chierichetti di allora lo ricorderanno certamente. Ciccio così lo avevano battezzato in parrocchia - quel cane dal pelo rossiccio (nella foto con don Betti e una bambina) che fu adottato dai bambini e dai giovani della parrocchia. Fu trovato abbandonato sotto il portico della chiesa nel giugno del 1977 e da allora - si legge su Regnum Christi «si è fatto amico ed ha trovato tanti amici». Dai chierichetti fu addirittura girato un piccolo film (che tempi!) che aveva come protagonista principale proprio Ciccio. «Sì - si legge ancora - il cane che con tanta solennità i suoi amici definiscono ‘ciccio, il cane chierichetto!’. Perchè? A volte se riesce ad infilare la porta giusta, arriva anche in Chiesa per vedere i suoi amici nell’esercizio delle loro funzioni. Ed i sacerdoti permettono questo scandalo? Pare di sì, per far capire a grandi e piccini che se si arriva ad amare le bestie, perché non amarci ed aiutarci un po’ di più tra noi?».
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Nel Trittico C
hissà quante volte ci siete passati davanti senza darci neppure un’occhiata di sfuggita. Il Trittico collocato sopra la porta che conduce nella cappellina e da lì in sacrestia fu commissionato dalla parrocchia al maestro Ferruccio Mataresi e inaugurato il 2 gennaio 1971, presente il vescovo Ablondi. L’opera, che richiese un lungo lavoro da parte del maestro che adoperava modelli in carne e ossa per rendere meglio sulla tela le espressioni dei personaggi, rappresenta la vita di S.
LA MESSA AL CIRCO...
D
a bambino abitava in piazza della Stazione e davanti casa «piantavano» sempre i Circhi. «Poi nel 1973 il Circo Medrano ‘piantò’ alla Pinetina e una domenica venne celebrata una Messa nel tendone del Circo con tutti i bambini del catechismo. Io ero seminarista. La sera decisi di andare allo spettacolo e la signora che stava alla cassa mi riconobbe come seminariista e mi fece entrare gratis: il fascino che il Circo aveva su di me diventò molto più concreto per quel senso di accoglienza».
PERSONAGGI
Sacrestani e perpetue
«S
la vita di Sant’Agostino Agostino. La parte centrale - che fu consegnata già nel 1969 in occasione della benedizione delle case - raffigura il Santo nell’atto di scrivere una delle sue opere». E - si legge nel documento di presentazione dell’opera - «una luce viva illumina il suo intelletto». Le altre due parti che la affiancano «vogliono esprimere la preghiera di S. Monica per la conversione del figlio, dedito agli studi per la ricerca della verità e la conversione di S. Agostino, genuflesso ai
Qui Sopra, il gruppo ligneo di Collacott Sopra, alcuni momenti dell’inaugurazione del Trittico e don Betti col maestro Mataresi
piedi di S. Ambrogio, vescovo di Milano, che lo accoglie nella Chiesa». Sempre il 2 gennaio 1971 fu inaugurato anche il gruppo ligneo che raffigura il Battesimo di Gesù nel Giordano che fu collacato presso il battistero (oggi si trova nel salone G. Castellani) opera dello scultore inglese David Collacott. La scultura, prodotta in Inghilterra, fu donata da Collacott in ricordo del suo matrimonio con una parrocchiana celebrato da don Betti in S. Agostino
E DON LUCIANO RIMASE FOLGORATO Per capire perché don Luciano Cantini, parroco di S. Agostino per 14 anni, è oggi Direttore Nazionale dell’Ufficio per la pastorale dei fieranti e dei circensi della Fondazione Migrantes, bisogna risalire molto indietro nel tempo. Nella cronaca di don Betti all’11 marzo 1973 si legge: «oggi i ragazzi del catechismo domenicale si sono recati alla "Pinietina" per partecipare alla santa messa che don Paolo ha celebrato nella pista del Circo equestre "Medrano" con la partecipazione di vari artisti ed ope-
ratori del Circo stesso. Il Parroco ha accompagnato i canti con il potente organo dell'orchestra ed il chierico Luciano Cantini ha animato la celebrazione (nella foto un momento di quella celebrazione)». L’iniziativa era partita dal vulcanico don Paolo già l’anno prima, (con la messa celebrato per il Circo Heros). Il motivo era semplice: ogni occasione era buona per accrescere la Comunione nella Chiesa. «Pur continuando a percorrere le strade del mondo e della vita
separatamente - si legge su Regnum Christi del 1972 questi circensi si sentiranno sempre uniti dal ricordo e dal sostegno che proviene dalla preghiera reciproca»
e mi ricordo bene - racconta Maria Grazia Ghezzani - il primo sacrestano della parrocchia è stato Dalmazio Citi, un ometto bassino che arrivava da S. Jacopo». Sono stati tanti in questi 50 anni le persone che si sono spese al servizio della parrocchia. Per molti un lavoro umilissimo e silenzioso eppure quanto prezioso! Aprire e chiudere la Chiesa, accendere le candele, preparare l’incenso per le funzioni... «Poi mi ricordo - continua Maria Grazia - il signor Boccardi e il signor Vivarelli. E come dimenticare la figura di Vittorio Mazzone (foto qui sotto) che in molti modi, sin dall’inizio della vita parrocchiale, si è prodigato a servizio della nostra chiesa. Nella nuova chiesa il suo posto fisso durante le Messe era in piedi accanto alla porta di sacrestia». L’ultimo sacrestano (morto di recente nell’aprile 2008) è stato Calogero Pillizzeri. «Era un uomo simpaticissimo e buffissimo. Fumava sempre e mi ricordo che don Betti, quando lo beccava, lo brontolava bonariamente. Calogeroooo!» Chi non si ricorda invece di Maretta? «Era la vecchia perpetua siciliana di don Betti - dice Maria Grazia - che quando ti diceva qualcosa non capivi niente perchè parlava in un modo incomprensibile ai più. Si prendeva cura di don Betti facendo ben attenzione che le scale della canonica non fossero salite da ragazzine. Guai! La mamma di don Betti, Costanza - che vive con lui - in questo era severa... ma Maretta, ancora di più!». E poi come dimenticare l’infaticabile, Aldemara Sgherri . Classe 1910, novantotto anni di energia e simpatia, la trovate sempre lì in parrocchia ad assistere alle mille incombenze della figlia Manrica. Don Betti lo aveva conosciuto nel 1953 a SS. Pietro e Paolo e lo seguì anche nel nuovo incarico. «Il mio compito - raccontava qualche anno fa - era quello di sistemare le tovaglie, i fiori, e di fare le pulizie in casa e nella vecchia chiesina».
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FAMIGLIA DI FAMIGLIE?
I «per-corsi» in preparazione al Matrimonio Un cammino iniziato nel 1976 che si è interrotto solo poche settimane fa. Partita come esperienza solo parrocchiale, nel 1998 fu iniziato un lavoro comune con la parrocchia del Rosario. «Oggi interrompiamo perché non possiamo continuare a proporre una esperienza di Chiesa contrapposta a quella che si viene chiamati a vivere nella prassi»
E
ra il 1976 quando appena sposati ci presentammo a Don Betti per metterci a disposizione come coniugi e futura famiglia. In quel momento ci stavamo occupando della pastorale familiare diocesana e nel 1978 pubblicammo a firma del Vescovo Alberto il primo Direttorio Diocesano per la Preparazione al Matrimonio. Il
cco una testata di giornaletto «E che è tutto un programma: ‘Noi Insieme’... noi giovani e adulti, ragazzi e ragazze, non più ‘cristiani vegetanti’ all’ombra del campanile, ma insieme per fare chiesa di pietre vive, in un ascolto della ‘Parola’ con il conseguente impegno perché Essa diventi Vita». Così scriveva don Betti su Regnum Christi del marzo 1976. Il giornale dei giovani, fortemente voluto da don Paolo, era nato qualche mese prima, iniziando così una storia lunga 20 anni. Ecco quanto scriveva don Paolo, in occasione del decennale del giornale nell’85, ritornando con la mente ai tempi ‘pionieristici’: «Maggio 1975: eravamo, come ormai da qualche anno, verso la fine delle nostre attività giovanili per la Scuola superiore. Durante i nostri incontri avevamo cercato di approfondire la figura del Cristo, attraverso un cammino lungo la Scrittura, i Padri della Chiesa, il Concilio Vaticano II, le idee dei nostri giorni. Con coloro che frequentavano gli 60
documento riprendeva le indicazioni della Conferenza Episcopale Italiana che aveva dedicato quel decennio al tema «Evangelizzazione e Sacramenti». La preparazione remota e prossima al Sacramento del Matrimonio era ormai considerata un percorso dovuto ai giovani fidanzati che si preparavano a questa celebrazione e ai conseguenti impegni matrimoniali. Iniziammo così l'esperienza di «gruppo famiglie» insieme ad alcune coppie da poco sposate come noi: i coniugi Razzauti, Giannone, Santoni ed altri. Dopo un breve cammino di formazione e di confronto, nel 1979 alcuni di noi si resero disponibili all'animazione degli
incontri in preparazione al Sacramento del Matrimonio. Iniziò così questa avventura che è arrivata fino ad oggi, senza soluzione di continuità (l'ultimo incontro lo abbiamo avuto il 25 marzo scorso). Dopo qualche anno, soprattutto con la nascita dei figli e i diversi impegni della vita, le vocazioni di ciascuno di caratterizzarono in modo diverso e solo noi proseguimmo in questo servizio nella comunità parrocchiale. La nostra visione di una Chiesa sempre più «adulta nella fede», vissuta come autentica comunità/comunione di persone, famiglia di famiglie, e il nostro costante impegno diocesano, ci ha spinto a non riservare all'am-
bito parrocchiale i nostri impegni. Abbiamo quindi cercato e spronato a condividere i doni che ciascuno ha ricevuto dal Creatore, impegnandoci in ambito diocesano ed anche nel promuovere una comunione ecclesiale allargata alle diverse parrocchie del vicariato. Fallito il più ampio coinvolgimento vicariale, nel 1998 riuscimmo a coinvolgere solo la parrocchia di N.S. del S.Rosario di Pompei. Decidemmo così di «unire le
1975. Ecco Noi Insieme Negli anni ‘80 aver accolto di nuovo questa associazione in parrocchia ha mostrato,
A destra,
Una delle primissime copertine di Noi Insieme Sotto, la copertina del decennale nell’85
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
incontri ci ponemmo una domanda: ‘perché tenere tutto per noi, dopo aver lavorato tanto?’. Decidemmo allora di pubblicare tutti i nostri lavori. Demmo incarico al carissimo Luigi Olivieri, che per motivi di salute ci seguiva da casa, di mettere per scritto tutto ciò che era stato studiato; Andrea Malotti preparò il disegno per la copertina, altri pensarono alla stampa; dopo pochi giorni tutto era pronto per essere distribuito: numero unico, periodico mensile? Fu la domanda che ci venne spontanea. Nel primo edito-
riale dicevo che uscivamo, ma non sapevamo se e quando sarebbe uscito un nuovo numero. La risposta da parte dei parrocchiani fu positiva, anche se la stampa, specialmente prendendola in mano oggi, lasciava molto a desiderare. A Settembre, ci ritrovammo con un gruppetto per prendere la decisione: decidemmo di uscire una volta al mese, con l'intervallo di Luglio e Agosto, l'ultima domenica. Iniziò così la storia e il cammino di Noi Insieme». Perché il nome Noi Insieme?
forze» e vivere insieme questa esperienza dei «percorsi» di preparazione al Sacramento del Matrimonio. Insieme ad Alessandro e Margherita Ponticelli e l'indimenticabile don Roberto Corretti, che animavano gli incontri alla parrocchia del Rosario, abbiamo iniziato una bellissima esperienza di fraternità e comunione di intenti che è giunta fino allo scorso anno. Le mutate condizioni pastorali
ci hanno poi convinto a interrompere questa nostra esperienza. Il modello di Chiesa alla quale ci siamo riferiti da sempre e che abbiamo cercato instancabilmente di promuovere, non coincide più con quello al quale sembra ispirarsi l'attuale prassi pastorale, almeno nella nostra parrocchia e diocesi. Non possiamo continuare a proporre un'esperienza di Chiesa in contrapposizione con quella che poi si viene chiamati a
vivere nella prassi: sarebbe un grave peccato di presunzione da parte nostra e un'attività foriera solo di «divisione» e non di «comunione». Approfittiamo di questa occasione per ringraziare il Padre di averci concesso di vivere questa esperienza fatta di una lunghissima e ininterrotta catena di incontri. Ringraziamo di cuore tutti coloro che si sono confrontati con noi in questi trent'anni, accettando di aprirsi ad un
approfondimento della propria esperienza umana e di fede. Abbiamo condiviso con loro riflessioni, approfondimenti, momenti di preghiera, di ascolto della Parola di Dio, di gioia e di agape fraterna. Questa «finestra» costantemente aperta sul mondo dei giovani e dell'esperienza matrimoniale in genere, ha reso certamente più fecondo il Sacramento che ci unisce per tutta la vita. MAURO E LAURA NOBILI
il giornale dei giovani pur nelle incomprensioni, un altro tratto della comunità: la Andrea Malotti, in uno dei primissimi editoriali, lo spiegava così: «Come potete vedere, il titolo di queste poche righe è il nome stesso del nostro giornalino (nostro, cioè di tutti noi comunità parrocchiale); ‘noi, insieme’: che cosa significa veramente questo titolo? Vuol forse dire ‘noi, ragazzi, insieme’? Vuol forse dire ‘noi, comunità, insieme’? Vuol forse dire ‘noi, che scriviamo, insieme’? Non vuol dire niente, è messo solo per figura? [...] Io credo che, per capire il valore del giornalino, si debba prima capire quale di queste interpretazioni sia la più valida. Ma procediamo con ordine. ‘Noi, ragazzi, insieme’: ma perché ci saremmo impegnati con un giornalino, da dare a tutti, dal momento che noi ragazzi siamo già gruppo? ‘Noi, che scriviamo, insieme’: allo-
ra, scriviamo solo per fare bella figura? ‘Non vuol dire niente’. Che valore avrebbe il giornalino, fasullo? Avete già capito che il ‘noi, insieme’ si riferisce a tutta la comunità parrocchiale, comunità che deve essere ‘insieme’». E la stampa come avveniva? «Il vecchio ciclostile - scriveva don Paolo - una vecchia macchina da scrivere e un po' di arrangiamento. Tutto era ciclostilato, soltanto la copertina era stampata. Poi pian piano il nuovo ciclostile, l'incisore. Poi il nuovo formato e le nuove macchine, l'offsett: quante volte avevamo pronunciato questa parola, ma che fatica (vero don Betti?) per acquistarlo!».
Sopra, Una pro-
cessione di chierichetti durante gli anni ‘70
A conclusione del suo articolo revival don Paolo s c r i v e v a : «Spesso riflettendo sulla mia esperienza di dodici anni a S. Agostino vedo proprio come frutto maggiore la crescita di questi ragazzi, la loro maturazione, il loro cammino; oggi, penso si possa dire senza pudori, che sono un po' il cardine della Parrocchia. Per me il giovane va incoraggiato, quando vacilla o ha già l'entusiasmo; va ripreso, anche con durezza, quando sbaglia; va lanciato in modo che sappia diventare uomo e non rimanere bambino. È in questa linea che ho lavorato e mi auguro che i ‘miei ragazzi’ sappiano crescere sempre di più nella vita civile e religiosa, sappiano essere autentici testimoni della Resurrezione».
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1973 e 1975 Due ordinazioni a S. Agostino
Don Luciano Cantini e don Mario Sorbi i primi due ex-chierichetti diventano sacerdoti
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ono ormai passati trentatré anni da quando fui ordinato prete il 14 giugno 1975 nella mia parrocchia di S. Agostino per le mani di monsignor Ablondi». A scrivere in occasione di questo Cinquantennio della parrocchia è don Mario Sorbi, parroco di San Giuseppe, che a S. Agostino è cresciuto e ha maturato la sua vocazione al sacerdozio. Scriveva don Betti sulla cronaca di quel giorno: «Festa grande nella nostra chiesa: alle 18.30 monsignor Alberto Ablondi ha consacrato sacerdote dell'Altruismo don Mario Sorbi che è cresciuto nella nostra parrocchia ed ha prestato servizio di chierichetto al nostro Altare fin dalla fanciullezza.
Qui accanto,
don Luciano Cantini nel giorno della sua ordinazione sacerdotale
Sopra,
don Sorbi con don Bosello
Don Ugo Papini, sua guida spirituale, era al suo fianco con il sottoscritto e tanti amici. La chiesa era gremita di fedeli esultanti che hanno poi ossequiato il novello sacerdote». Don Mario prosegue: «Questo avvenimento segnò il coronamento di un lungo cammino di maturazione vocazionale durante gli anni della mia adolescenza e della mia giovinezza. La parrocchia era la mia casa e la mia famiglia, luogo d'incontro col Signore Gesù e con tante persone che mi sono state vicine con la loro presenza e il loro affetto. I loro volti sono impressi in modo indelebile nella memoria del mio cuore. Ma è soprattutto a don Betti, il mio parroco, che devo la mia grata riconoscenza. Voglio soprattutto evidenziare un aspetto: la cura che metteva nel celebrare l'eucaristia e l'amore che metteva nel servizio all'altare. Questo mi ha sempre colpito e mi ha dato il gusto e l'amore per le cose di Dio da cui è germogliato il germe della mia vocazione sacerdotale». Ma don Sorbi non era il primo sacerdote ordinato in parrocchia. Due anni prima, il
ILIO, 93 ANNI, 50 IN PARROCCHIA Ho 93 anni ed ho conosciuto don Betti nel 1959, essendo un suo parrocchiano abitante in via Ascoli a Livorno. Fin da quel momento ho frequentato la parrocchia. La Chiesa non era ancora pronta, era in via di costruzione. Ricordo che era stata utilizzato una sala attrezzata con sedie e panche. L'ingresso a questa sala era dal cancello che fiancheggiava la palazzina del complesso parrocchiale, nel punto dove è la statua della Madonna Immacolata. Fin da quei giorni io mi resi disponibile ed ebbi vari incarichi da don Betti, fra i quali quello di scrivere e leggere all'ambone durante la messa le intenzioni di preghiera dei fedeli. Negli anni ‘80, essendo a quel tempo presente in Parrocchia il sacerdote Italo Caciagli, come aiuto a Don Betti, ebbi modo di distribuire qualche volta anche la santa Comunione ai fedeli, in aiuto al medesimo. Feci parte del Consiglio Pastorale Parrocchiale ed ebbi modo di conoscere altre persone nei gruppi parrocchiali tra cui don Paolo Razzauti, Giacomo Razzauti suo fratello, e la Signora Ciardini, che mi affiancava nella ricerca dei lettori per le altre letture durante la messa e a raccogliere offerte. ILIO VIEGI
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1 10 novembre 1973 le intense e costanti preghiere di don Betti per la maturazione di vocazioni in parrocchia avevano dato finalmente frutto con l’ordinazione di un altro ex-chierichetto, don Luciano Cantini. Don Luciano racconta che la sua chimata la svelò a don Betti... sul tetto della chiesa. «Eravamo a visitare il cantiere nell’angolo di tetto che sta tra la Chiesa e il campanile; ci mettemmo a sedere e gli comunicai la mia intenzione di entrare in seminario. Per lui fu una scoperta». Nella cronaca dell’ordinazione scritta da don Betti si legge: «Don Luciano Cantini ha celebrato la sua Prima Solenne Messa, ha rice-
LERCARO, PIGNEDOLI
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egli anni ‘60 tra le stanze di S. Agostino si erano già potute incrociare figure molto importanti del panorama culturale ed ecclesiale del tempo. Ad esempio furono organizzate conferenze con padre Arturo Paoli o padre Tollemache. In occasione dei primi passi del Consiglio Pastorale Parrocchiale si invitò poi padre Ernesto Balducci: era il 1969, il Concilio da poco concluso, e il sacerdote grossetano con la sua verve provocatoria suscitò un dibattito serrato su «la nuova immagine della Chiesa». «Il
24/28 OTTOBRE 1979
Per essere più comunità Monsignor Ablondi in visita pastorale a S. Agostino Nei primi giorni del suo episcopato livornese, quando ancora era Ausiliare di monsignor Guano, Ablondi si era autodefinito il «cappellano onorario di S. Agostino», tali e tante erano le occasioni in cui gli capitava di bazzicare la parrocchia. Il martedi della Settimana Santa per l’incontro di riflessione in preparazione alla Pasqua, l’inaugurazione degli Incontri Mamme, la presentazione delle sue Pastorali. Nel 1979 la sua prima «visita ufficiale» in parrocchia. Ecco il messaggio che lasciò in conclusione:
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2 vuto il saluto del suo parroco, il dono dei parrocchiani ed il bacio riverente delle mani unte di fresco con il Sacro Crisma di quanti hanno voluto riconoscere in Lui il Messaggero di pace e di Amore inviato in mezzo al popolo del Signore. Don Luciano ha fatto il suo ingresso "scortato" da otto chierichetti che tenevano in mano delle lunghe foglie di palma ed accolto in chiesa dal canto "Tu es sacerdos in aeternum!" composto per l'occasione dal sottoscritto». In occasione del suo ingresso come parroco a S. Agostino don Luciano svelò un particolare curioso: «Del giorno dell’Ordinazione - disse - non mi ricordo quasi niente. Una cosa
Qui Sopra, la
gigantografia di Paolo VI disegnata da Giovanni Cadoni per la conferenza del cardinal Pignedoli 1 Pignedoli a S. Agostino 2 don Betti e don Sorbi 3 don Betti e don Luciano 4 Lercaro a S. Agostino
però mi ricordo bene. Siccome io sono ‘matto’ e faccio le ‘mattie’, ne ho fatta una anche in quell’occasione. Dopo il momento dell’Ordinazione ci sono i segni esplicativi e tra essi c’è l’unzione delle mani. E se il segno ci deve essere è bene che sia evidente. Quindi mi fu versato l’olio contenuto nell’ampollina così come si condisce l’insalata e poi spalmato sulle mani. Avevo le mani tutte unte e c’era da proseguire la celebrazione. Allora mi son detto: se mi devo lavare le mani per bene è bene farlo nel posto giusto. E scappai al gabinetto a lavarmi le mani, cosa che invece è tutta ritualizzata con la brocchetta, il limone il pane».
...A S. AGOSTINO UNA «COLLEZIONE» DI CARDINALI capovolgimento è iniziato - disse tra l’altro Balducci - quando si è deciso di definire la Chiesa a partire dal popolo di Dio e non dalla Gerarchia, in quanto quest’ultima, non è sopra il popolo, ma dentro il popolo di Dio» Ma fu negli anni ‘70 che a S. Agostino - grazie soprattutto alla capacità organizzativa di don Paolo - cominciarono ad arrivare le grandi personalità. I Vescovi toscani (Matteucci di Pisa, Vivaldo di Massa Marittima, Forzoni di Apuania), ma soprattutto i grandi cardinali «pro-
«P
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gressisti». Così il 16 giugno 1973 S. Agostino - piena come un uovo - accolse il cardinale Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna (nella foto qui accanto un momento dell’incontro) che venne a commemorare la figura di papa Giovanni XXIII. Il 19 maggio 1979 fu invece la volta del cardinale Sergio Pignedoli che a Livorno c’era già stato durante la guerra come cappellano dell’Accademia Navale tenendo
anche contatti col gruppo resistenziale di don Roberto Angeli. A S. Agostino, in una chiesa dominata dalla gigantografia disegnata da Giovanni Cadoni, Pignedoli commemorò Paolo VI.
er essere più comunità! Alla Parrocchia, alle Famiglie, alle Case Religiose l'augurio più bello del Vescovo è "Siate Comunità!". So che questo è anche un programma impegnativo. Perciò voglio indicarvi il modo per diventare una "Comunità Cristiana". Molto semplice e anche difficile. Esso consiste nell'invitare fra voi il Signore: per ascolarLo, come Maestro, con la Sua Parola; per accoglierLo, come Sacerdote, nei Sacramenti che ci offre: per seguire Lui "Sofferente" che accompagna verso tutti i poveri e i sofferenti. Quando nella Parrocchia, nelle Famiglie, nelle Case Religiose, la Parola di Gesù Maestro, sarà più ascoltata di tante altre, a volte così povere di insegnamenti: là vi sarà la Comunità. Quando la Messa e i Sacramenti di Gesù Sacerdote avranno un "dopo" e così ogni parrocchia e famiglia crescerà nell'amore di Dio, nella Sua conoscenza e perciò nell'amore vicendevole: la si vivrà in Comunità. Quando avremo il coraggio di vedere in ogni sofferenza Lui "Sofferente"; quando non trascureremo nessun piccolo e in ogni incontro di uomini si penserà a chi è assente perché ammalato, povero, solo e triste: allora saremo la Comunità del Signore, capace di avere e di dare la "Sua gioia"» + ALBERTO VESCOVO
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Anni ‘80 (Noi) insieme
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CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
(N
(NOI) INSIEME
Un campeggio di giovani di S. Agostino nel 1983
oi) insieme. Negli anni ‘80 «insieme» era una parola chiave a S. Agostino come in tutta la Diocesi. In parrocchia non era solo il nome del giornale che in questi anni visse il suo massimo sviluppo. Scriveva monsignor Ablondi proprio su Noi Insieme nel’85: «Noi insieme, più che una testata è un programma, difficile. Anzi ancora più che un programma è un'identità. Identità di ‘Chiesa Comunione’». E quell’identità di «Chiesa Comunione» in parrocchia si provava a vivere non solo sulla carta ma concretamente, spinti dalla ricchezza e vitalità dei gruppi giovanili (che si alimentavano e crescevano in un proficuo passaggio di esperienze tra generazioni) e dall’esempio di tante figure di laici che sui pilastri della comunione e della responsabilità fondavano il loro agire: «La vocazione laicale nella corresponsabilità, che è qualcosa di più importante della collaborazione dice don Francesco Fiordaliso a proposito degli anni ‘80 è stato un tratto importante nella Sant'Agostino di quegli anni, vedere adulti e giovani partecipare, prendere decisioni insieme, impegnarsi in parrocchia come se fosse casa loro, e non il luogo del prete, mi ha davvero segnato». Ma «camminare insieme» era stata anche la grande intuizione della Chiesa livornese: non una chiesa assembleare, ma una chiesa sinodale. «Per una Chiesa di comunione in Dio, nel servizio agli uomini»: fu l’itinerario guida di un «tempo di conversione, tempo di ricerca convinta e di cammino insieme». Una Chiesa in cui «i fedeli insieme, condividono la comune responsabilità nei confronti del Vangelo, da vivere e annunciare ‘qui e ora’». «Nella chiesa post-conciliare - scriveva monsignor Ablondi su La Settimana del 14 settembre 1980 -, aperta alla nuova realtà di storia umana e di pastorale ecclesiale, si avverte l’esigenza di un Sinodo per ripensare, rivedere, riprogettare il servizio della chiesa all’intima unione con Dio e all’unità di tutto il genere umano. La parola Sinodo vuol dire ‘camminare insieme’ per questo ogni componente della vita diocesana dovrà portare un contributo necessario ed insostituibile: è dalle parrocchie, dalle comunità religiose, dalle associazioni, dai gruppi, che deve iniziare la partecipazione UNA CHIESA IN alla preghiera, di riflessione, di critiSINODO ca, di proposta. Non sarà necessario Il documento finale del Sinodo diocesano interrompere le consuete attività, ma degli anni ‘80 anzi queste troveranno nei temi e nei valori del Sinodo, motivi e richiami di maggiore autenticità». Nell’87, a Sinodo concluso, il vescovo Ablondi conduceva la sua seconda visita pastorale a S. Agostino. E significativamente, ai giovani della redazione di Noi Insieme che gli domandava quale parrocchia avesse trovato, rispose: «Ho trovato una parrocchia che ha tutti i valori della parrocchia attuale nell’arco degli aspetti fondamentali che sono la liturgia, la catechesi, la carità. Una parrocchia che attorno a questi valori ha certamente promosso una notevole presenza di operatori; sotto questo aspetto e pensando agli orientamenti che sono stati dati dal dopo-Sinodo, direi una parrocchia sintonizzata con il Sinodo e dopo-Sinodo. Ha aperte tutte le prospettive più avanzate del Concilio e del Sinodo. L’ho trovata nelle condizioni che conoscevo, ho confortato nell’esperienza quello che pensavo». CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
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Le interviste Le vocazioni sacerdotali
Don Raffaello, don Andrea, don Mauro, Fra Marco, don Francesco
«Da qui è partito il nostro cammino» Il rapporto importante con i cappellani e col parroco, la presenza di una comunità viva, stimolante, con laici significativi e giovani con la voglia di cambiare il mondo. Sono tante e diverse la ragioni che hanno in qualche modo segnato il cammino dei molti futuri sacerdoti di S. Agostino. Ecco i loro racconti
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n tabernacolo aperto. E quella voglia - quella esigenza - di starsene lì davanti al Santissimo che ti abbraccia con tutta la tenerezza del mondo per una notte intera. Il centro di tutto è lì. Non c’è impegno, non c’è servizio, non c’è gioco, non c’è lavoro, se non te ne stai lì davanti col cuore spalancato in ascolto. «Se devo dirti l’immagine che mi torna più frequentemente nella memoria pensando agli anni di S. Agostino, ti dico questo: il tabernacolo aperto in quella notte di Giovedì Santo di tanti anni fa. E noi giovani che ci alternavamo ogni ora per la meditazione». Prima ti dice «così su due piedi, per me è difficile mettere insieme i ricordi dei miei anni vissuti in parrocchia», e poi don Andrea Brutto tira fuori quest’immagine di assolu66
ta bellezza che come una pennellata di artista racconta più di mille parole il ‘segreto’ di quegli anni tra le mura di S. Agostino. Perchè forse era una comunità che aveva il suo centro lì dove il centro deve essere per ogni cristiano. E forse sta anche qui il ‘segreto’ di tante vocazioni sacerdotali maturate in parrocchia nel corso degli anni? Sicuramente, ma non solo. A sentire i diretti interessati è stata una molteplicità di fattori che ha influito in maniera importante mai esclusiva, certamente - sulla loro chiamata al sacerdozio. Lo stesso don Andrea, sacerdote dall’85, oggi Rettore del Seminario, che qui ha vissuto tutti gli anni ‘70 fino alla scelta di intraprendere il cammino sacerdotale maturata nel
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
MOGGIONA 1985 E’ la foto simbolo del campeggio di Moggiona 1985. Don Raffaello celebra la Messa che Francesco serve. Fu in quel campeggio che Francesco comunicò a tutti l’intenzione di entrare in seminario. Questo uno stralcio della preghiera che scrisse in quell’occasione: «Signore, Tu mi hai chiamato ad intraprendere una strada dura nel completo servizio agli altri e alla Chiesa; ti ringrazio per avermelo manifestato. [...] Guida i miei passi ogni giorno, sorreggi il mio animo in ogni istante»
1979, spiega che ha influito molto oltre all’esempio tra don Betti e don Paolo che «coltivavano un bellissimo rapporto di amicizia e collaborazione sacerdotale» - anche l’intenso clima comunitario, fatto di un raccordo assai forte tra giovani e adulti. «Si respirava un clima di comunità viva, ampia - dice - ed era una vita comunitaria arricchiata da un respiro universale: l’approfondimento dei documenti del Concilio, la partecipazione al Giubileo a Roma, l’attenzione ai temi del Congresso Eucaristico di Pescara del 1977, a quelli del Convegno ecclesiale di Roma ‘Evangelizzazione e promozione umana’. C’è stato un equilibrio formidabile tra l’attenzione al particolare e quella all’universale che ha influito sui cammini di molti di noi». Per don Raffaello Schiavone, sacerdote dall’83 e oggi parroco a SS. Pietro e Paolo, c’era invece un ritornello costante col quale don Betti lo pungolava sempre, e che diceva pressappoco così: «Sei come
DON FRANCESCO
Il racconto di quei momenti
MOGGIONA 1985
UN CAMPEGGIO MOLTO PARTICOLARE
Mdon Francesco Fiordaliso
un lucignolo fumigante. Non lasciare che si spenga quella fiammella che ti illumina il cuore». «Don Betti aveva ragione - dice oggi - sebbene quella del sacerdozio fosse un’intuizione che covavo dentro fin dalle elementari, solo dopo la mia laurea le ho dato realmente spazio. E in questo percorso molto devo proprio alle ‘insistenze’ di don Betti. La sua è stata sempre una testimonianza di grande affabilità e paternità. Per noi ragazzi è stato certamente un modello importante. Colpiva la sua capacità di camminare per le strade per andare incontro alla gente, la cura meticolosa nella visita alle famiglie, le sue visite personali agli ammalati del quartiere, la capillarità di presenza della chiesa nel territorio che riusciva a garantire». Ma anche don Paolo mise lo zampino sulle scelte di don Raffaello... «Certamente il suo arrivo ebbe un impatto notevole sulla vita della comunità. Bisogna dare atto anche a don Paolo di aver contribuito al discernimento vocazionale di molti giovani. E non mi riferisco soltanto a vocazioni sacerdotali, ma anche a vocazioni laicali di ragazzi che hanno imboccato strade di grande impegno civile o lavorativo: penso ad esempio a Stefano Semplici, a Stefano Nannini e con loro tanti altri. Per quanto mi riguarda ricordo la cura che don Paolo metteva nel seguire personalmente il mio percorso: una volta, montati sulla sua vecchia 500, portò me e Mario Sorbi a fare una bella gita in montagna. Lì parlammo molto e anche questo ebbe il suo peso. D’altronde non è un caso se la prima persona a cui comunicai la mia decisione dopo il vescovo Ablondi fu proprio don Paolo». Oggi fra Marco Flore è frate francescano minore a La Verna. A S. Agostino ha vissuto gli anni intensi dell’adolescenza e della prima maturità: «La mia esperienza in parrocchia - racconta - inizia nel 1971 frequentando il catechi-
oggiona 1985. Un campeggio che molti ricordano. Fu in quell’occasione che comunicò alla comunità la sua decisione di entrare in seminario. Ecco il suo racconto: «Il 1985 è stato un anno chiave nella mia vita e ancora porto i segni di quell'anno. L'anno degli esami di maturità, della scelta di cosa fare dopo. Io non avevo dubbi, da oltre 10 anni sapevo benissimo che dopo la maturità avrei fatto veterinaria per diventare appunto veterinario, volevo vivere in mezzo agli animali (ogni battuta sulla situazione attuale è già stata fatta!)! e invece il Signore si è messo di traverso: la conclusione di una storia importante per la mia incapacità di portarla avanti, la perdita di senso di ciò che avevo sempre voluto e
Sopra a sinistra:
Don Francesco, don Betti e don Andrea negli anni ‘70, accanto, una processione con con Andrea
l'accendersi in me di una passione nuova: i poveri e il vangelo, tutto questo mescolato all'ansia di dovere rispondere alla domanda: ma cosa vuoi fare da grande? Dove sta la mia felicità? Con questo ura-
Sotto alle due foto, una delle
tante geniali vignette con cui «Legno» arricchiva le pubblicazioni di Noi Insieme degli anni ‘80.
Qui a destra, il
giovane don Raffaello con Ablondi in duomo. Don Raffaello da piccolo sognava di partire in missione come suo zio Gerardo, che in Pakistan spese tutta la sua vita a dispensare pane e Parola
«Si respirava un clima di comunità viva, ampia ed era una vita comunitaria arricchita da un respiro universale»
smo in prima elementare: ricordo la mia cara catechista suor Fernanda, ma anche suor Maria e suor Maria Pia». C’era un momento che colpiva particolarmente fra Marco in quagli anni: «Ricordo la S. Messa alla quale partecipavamo dopo la lezione, in particolare l'omelia di don Betti, che ascoltavo a bocca aperta quando ci spiegava il Vangelo, coinvolgendoci con le domande». Crescendo la parrocchia era diventata una seconda casa, luogo di ritrovo giornaliero con gli amici, per il servizio all'altare come chierichetto e per giocare a calcio nel campino. «Ma gli anni più intensi - racconta - sono stati quelli dal dopocresima in poi, quando cominciai ad essere coinvolto in modo più responsabile nelle attività parrocchiali: il giornalino Noi insieme, le riunioni giovanili, gli incontri di preghiera, il coro, le esperienze di visita agli anziani, di aiuto ai ragazzi in difficoltà, i primi anni del servizio alla mensa dei poveri, il catechismo, il servizio liturgico. Altra esperienza bellissima e formativa sono stati i campeggi estivi, prima con don Paolo, poi con don Raffaello e don Italo». A guardarli oggi sono stati tutti aspetti importanti per capire la sua vocazione: «Provo un senso di gratitudine immenso per don
gano nel cuore ho preparato gli esami di maturità, ho fatto esperienza di preghiera e discernimento fino alla settimana a Valserena dal 21 al 28 Luglio e lì una chiarezza tutta da verificare: il Signore mi diceva di diventare prete, o meglio, dentro di me nasceva la consapevolezza che, se non avessi dato a questo tarlo di fare il prete un po' di spazio avrei passato la mia vita a prendere in giro il Signore, gli altri e anche me stesso, non si poteva scappare, dovevo entrare in seminario per verificare la chiamata, non si poteva rimandare. Appena tornato da Valserena c'era in me un'eccitazione nuova unita a una voglia di gridare a tutti quello che stavo per fare e, nello stesso tempo, la paura di sciupare tutto raccontandolo troppo in giro. Non ricordo se consigliato da Raffaello, però aspettai il campeggio del gruppo a Moggiona dal 29 Luglio al 10 Agosto per comunicarlo al gruppo. Fortuna volle che a quel campeggio ci fossero anche i miei genitori così potevo comunicare la decisione a tutti quelli che erano stai in quegli anni per me "famiglia". Così alla messa di
fine campo comunicai la scelta di entrare in seminario in un clima emozionante e commovente. In quel clima sentii dentro di me il desiderio di lasciare un messaggio a ciascuno dei miei amici e così venne fuori una messa di 6 ore… tornati dal campeg-
gio feci in tempo a preparare le valige, parlare con don Betti, Piergiorgio e il Vescovo e dal 1 settembre cominciò l'avventura del seminario, ma da qui si apre un capitolo nuovo della mia vita. Ora che mi ci fate pensare, il 1985 ha significato la chiusura di un capitolo della mia vita con esperienze, luoghi, persone per aprirne un altro con altre esperienze, altri luoghi e altre persone».
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TANTI GRUPPI DI GIOVANI (Tutti in concorrenza tra loro)
Tante cose si agitavano nella realtà giovanile degli anni Ottanta. La storia esemplare del giornalino parrocchiale e il sogno proibito di don Betti
(di NICO SANGIACOMO)
G
li anni ottanta sono quelli della maturità per la parrocchia di S.Agostino. Sono ormai passati più di vent'anni dalla fondazione, i giovani e giovanissimi dei primi anni sono già adulti. Un caso esemplare di questa fase della storia della parrocchia è rappresentato, a mio parere, dal giornalino parrocchiale che, nato dall'entusiasmo dei giovani all'inizio degli
Betti e gli altri sacerdoti che lo hanno affiancato nei vari anni - dice - ho imparato ad amare la Chiesa e a sentirmi parte di essa, a saper cogliere quello che è il succo del Vangelo: amare Dio e amare il prossimo. Ho fatto una vera esperienza di comunità nella quale, pur non senza difficoltà, abbiamo sempre cercato di volerci bene e di aiutarci. Eravamo tantissimi giovani e la parrocchia era molto viva, un esempio per tutta la diocesi». Poi crescendo f r a
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anni settanta, diventa, negli anni ottanta, un vero e proprio periodico parrocchiale in cui i giovani del tempo continuavano a rappresentare il nucleo portante, ma che era sostenuto e accolto da tutta la parrocchia. L'esempio del «giornalino», come ha continuato ad essere chiamato affettuosamente da tutti i parrocchiani, anche quando è diventato «grande», mi aiuta a spiegare l'evoluzione della realtà giovanile degli anni ottanta. Sono anni in cui i gruppi di giovani che frequentano le scuole superiori e l'università arrivano ad essere quattro, tutti molto numerosi e partecipati, tutti rigorosamente in concorrenza tra loro. Una concorrenza sulle cose da fare, e il giornalino è uno
Marco allargò i suoi orizzonti, ma gli anni in parroccia sono rimasti un faro importante: «Dopo i vent'anni racconta - ho sentito il desiderio e il bisogno di allargare le mie esperienze, partecipando a iniziative diocesane e non solo. Nel 1989 (a 24 anni) ho conosciuto i frati minori ad un incontro di giovani a Fiesole e il Signore mi ha dato la grazia di seguirlo nella vita consacrata come figlio di san Francesco. Per me è stato vivere in pieno tutto quello che già avevo sperimentato in parrocchia: l'amore per il Padre fonte di ogni bene, l'ascolto della Parola, il gusto della preghiera e della liturgia, la bellezza della vita comunitaria, l'amore per i sacerdoti, l'impegno per il prossimo, la disponibilità…».
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
dei campi di «sfida», come lo sono il gioco nel campino, le varie band di musica, i campeggi estivi vissuti con stili diversi, la catechesi affrontata con metodi e spiritualità talvolta concorrenti, all'insegna del «noi siamo meglio». Una concorrenza che ha sicuramente giovato alla vitalità dei giovani della parrocchia che, sotto lo sguardo attento di don Betti, vengono seguiti dai diversi vice parroci di quegli anni: dopo don Paolo Razzauti, che tanto aveva contribuito alla crescita della realtà giovanile di S. Agostino negli anni settanta e che saluta la parrocchia nel 1982, arrivano don Giorgio Eschini, don Raffaello Schiavone, don Italo Caciagli. Sono anni d'oro per S. Agostino nei quali «i giovani di don Paolo» sono
Qui a sinista,
don Andrea Brutto celebra a S. Agostino nel 1988
Sotto: don
Francesco Fiordaliso
diventati adulti e rappresentano allo stesso tempo un modello da imitare e un traguardo da superare per le generazioni successive. Sono gli anni in cui il periodico parrocchiale raggiunge una tiratura di cinquecento copie e un'autosufficienza economica davvero ammirabile per un giornale, di qualsiasi livello. Sul giornalino si scrive la storia di quegli anni della parrocchia e non mancano i contributi importanti anche degli adulti che, nel frattempo, sono entrati a far parte di quello
Chi invece da S. Agostino è partito per girare mezzo mondo è don Mauro Medaglini, oggi cappellano militare a Trieste: «In questa parrocchia sono le mie radici - dice - Qui è nata la mia vocazione e la mia formazione sacerdotale cominciando dai primi passi da chierichetto intorno a don Betti. Certamente sul mio percorso ha influito molto il partecipare attivamente al cammino di una comunità viva e testimone di Cristo». Molti giovani di allora ricordano invece l’intensa e commovente Messa all’aperto del campeggio di Moggiona 1985 quando don Francesco Fiordaliso, oggi parroco a S. Andrea a Castiglioncello, comunicò a tutto il gruppo la sua scelta di entrare in seminario. In parrocchia don Francesco aveva vissuto tutto il vento di entusiasmo che animava i gruppi di giovanili di allora (come raccontiamo in altra parte di questo fascicolo). Nel suo percorso hanno influito certamente l’esempio di don Betti («davvero una persona speciale da cui imparare») e don Paolo («il cappellano della mia infanzia - dice - di
che, in modo piuttosto ambizioso, veniva definito comitato di redazione. Il giornalino è anche il luogo di incontro delle diverse generazioni di giovani ed adulti che, altrimenti, rischiano di vivere realtà parallele tra loro. Sul giornalino trovano spazio modi di comunicare e di riflettere originali per un strumento di comunicazione ecclesiale: mi tornano alla memoria alcune vignette storiche firmate da «Legno» che non servivano solo a divertire, ma anche a suscitare approfondimenti; o
Don Raffaello Schiavone
le catechesi in vernacolo scritte da don Betti che trattavano i temi della fede in modo accattivante e popolare. Di Legno, la firma dietro la quale c'era la penna geniale di Federico Scala, ricordo in particolare una vignetta che rappresentò in modo irriverente, ma davvero brillante la realtà giovanile di S. Agostino: immaginava la parrocchia come una grande catena di montaggio nella quale entravano ragazzi e ragazze e ne uscivano, come prodotto finito, preti e suore, mentre gli
Don Andrea Brutto
lui ho il ricordo soprattutto di una megapartaccia che fece, giustamente, a me e Marco Flore perché facevamo davvero troppa confusione all'altare servendo la messa, visto che ora io sono prete e Marco frate, non so se anche quella partaccia abbia contribuito»). Certamente grande influenza ebbero però don Giorgio Eschini e don Raffaello: «Determinante, in quegli anni, per il gruppo e per me dice - è stato l'incontro con don Giorgio che ha seguito il nostro gruppo passandoci la passione per la montagna e per la Bibbia, dando al nostro gruppo la sua identità. È grazie a don Giorgio che ho cominciato a leggere la Bibbia e a sentirla come compagna irrinunciabile per la mia vita, con don Giorgio ho capito l'im-
scarti venivano espulsi a metà strada ed erano destinati al matrimonio... Si puo' dire che fosse una rappresentazione del sogno «proibito» di don Betti. Ma il giornalino, ovviamente, è solo un esempio di tutto quello che si «agitava» a S. Agostino in quegli anni: dalla musica sperimentata con varie band, al teatro ispirato in particolare da don Raffaello, allo sport «di strada» praticato quotidianamente nel campino, alla solidarietà vissuta con entusiasmo tutto giovanile.
Fra Marco Flore ofm
Sono tantissimi gli esempi che si potrebbero citare ma che, pur non trovando spazio in queste mie righe, rimangono ben fissi nella memoria dei tanti che hanno vissuto la fase più importante della loro maturazione umana e cristiana in quelle stanze, in quei corridoi, su quegli scalini, in quel campino ... Oggi, voltandosi indietro, tutti questi non possono che guardare con gratitudine a quel periodo e alle persone che lo hanno animato con tanta passione e fede cristiana.
Don Mauro Medaglini
portanza di servire i poveri per essere fedeli al vangelo di Gesù. Dopo il suo trasferimento al Gabbro ci ‘raccolse’ don Raffaello e lui, oltre a confermarmi in quel cammino che avevo cominciato con don Giorgio, mi ha fatto scoprire la bellezza dell'appartenenza alla Chiesa e poi è stato Raffaello che ha seguito lo sbocciare e il maturare della decisione di entrare in seminario per verificare se davvero volevo fare il prete». Ma quanto ha influito dunque la vita a S. Agostino sul suo discernimento vocazionale? Don Francesco lo racconta così: «Quando sono entrato in seminario per me il mondo e la chiesa erano S. Agostino: quei locali, quegli scalini, quel campino e quella chiesa erano tutto il mio mondo, e mi bastava, non mi stava
«S. Agostino non mi ha solo influenzato, è stata determinante Era l’aria che respiravo e lì ho sentito inserirsi la chiamata del Signore»
stretto, non avevo assolutamente bisogno di altro perché lì avevo tutto: gli amici e il servizio, la preghiera e la comunità. Per cui non posso dire quanto e come l'esperienza di S. Agostino mi ha influenzato, perché allora io avevo solo S. Agostino e andava bene così, S. Agostino non mi ha solo influenzato, è stata determinante, era l'aria che respiravo e in quell'aria ho percepito l'inserirsi della chiamata del Signore. È stato dopo l'ingresso in seminario che ho incontrato altro e ho scoperto che il mondo e la chiesa non erano solo S. Agostino. Dico questo in senso positivo, è stato il mio percorso e, devo dire, che ogni esperienza è stata giusta al momento giusto. Ora, a distanza di anni, devo dire che sono cambiate tante cose in me e il prete che sono ora non ha niente a che vedere con il ragazzo che è entrato in seminario nel 1985. Avere incontrato un mondo e una chiesa diverse mi ha cambiato molto. Però di allora, di quello che ho appreso e sperimentato a S.Agostino, mi è rimasta la passione per la Bibbia, il senso di appartenenza e la voglia di giocare».
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LAICI E ADULTI INSIEME
PARTECIPAZIONE E CORRESPONSABILITA’ Tra i tanti laici che hanno animato la vita della parrocchia ricordiamo la figura di Mario Lumetti. «Sempre alla ricerca di una autentica spiritualità laicale»
«L
a vocazione laicale nella corresponsabilità, che è qualcosa di più importante della collaborazione, è stato un tratto importante nella S. Agostino di quegli anni, vedere adulti e giovani partecipare, prendere decisioni insieme, impegnarsi in parrocchia come se fosse casa loro e non il luogo del prete mi ha davvero segnato». Sono parole di don Francesco Fiordaliso che raccontano un tratto essenziale
«Quante discussioni, quanti progetti per sognare una Chiesa sempre più vicina agli uomini del nostro tempo» Sopra
Festa dei Ragazzi a Antignano, 24 maggio 1987
Qui a sinista,
Mario Lumetti
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della comunità di S. Agostino. Don Francesco continua: «ricordo la presenza in parrocchia di adulti significativi: SUOR MARIA TESTA, catechista alla nostra altezza (in tutti i sensi), GINO BATTAGLINI con la sua presenza semplice e costante, LA SIGNORA BORGHINi che leggeva la Bibbia da non vedente, MARIO LUMETTI con la sua passione per la Chiesa, i tanti adulti che animavano la preghiera comunitaria, partecipavano agli incontri biblici con don Piergiorgio e erano presenti alle assemblee e ai momenti di partecipazione comunitari». Tra questi ricordiamo qui in particolare la figura di Mario Lumetti, attraverso le appassionate parole di Mauro e Laura Nobili all’indomani della sua scomparsa nel 2001: «La passione e la tenacia di Mario per la ricerca di un'autentica spiritualità laicale, sempre più aderente al tempo che siamo stati chiamati a vivere, lo fece promotore di un gruppo ecclesiale nel quale, con la direzione spirituale di don Piergiorgio Paolini, confluirono numerose persone con diverse esperienze ecclesiali. Quel gruppo ha camminato sui sentieri della spiritualità laicale e della ministe-
rialità per oltre dieci anni; i suoi frutti sono ancora gelosamente custoditi dentro di noi e accompagnano certamente tutti coloro che ne hanno fatto parte. Grazie a quella esperienza, Mario ci ha testimoniato la sua grande Fede, ci ha trasmesso la passione per l'apostolato e ci ha aiutato a mettere le basi di quella spiritualità che ancora oggi alimenta l'impegno mio e di Laura nel mondo e nella comunità ecclesiale. Non è stata, però, una fuga da quell'avamposto della evangelizzazione che è la parrocchia per rifugiarsi in un ‘oasi’ spirituale dove vivere esperienze certamente più gratificanti. Condividendo la residenza nel territorio di Sant'Agostino e quindi la celebrazione eucaristica, formati dalla forte esperienza del gruppo, ci siamo a lungo impegnati nel Consiglio Pastorale Parrocchiale e in vari altri luoghi parrocchiali con la coscienza di autentica partecipazione e corresponsabilità. Personalmente, voglio anche ricordare la grande esperienza sinodale all'inizio degli anni '80. Per cinque o sei anni, insieme a Mario, abbiamo partecipato ai lavori di preparazione del Sinodo, abbiamo fatto parte della commissione centrale del Sinodo e di altri grupppi di lavoro che nascevano. Ci siamo incontrati centinaia di volte. Ogni volta era un'occasione per apprendere, per confrontarci e discutere. Spesso andavamo insieme alle riunioni e dopo, a notte fonda, rimanevamo in macchina per continuare la discussione, per scambiarci impressioni, per parlare di progetti, per sognare una Chiesa sempre più vicina agli uomini del nostro tempo. Quanta fatica! Ma quanta grazia, Signore!»
MISSIONARIA Dopo i lunghi anni trascorsi in servizio tra l’Istituto
Venerini e S. Agostino nel 1987 partì per l’Africa. Dove è ancora in missione
SUOR MARIA TESTA, DA S. AGOSTINO AL CAMERUN
«S
uor Maria Testa che per tanti anni è stata tra noi come maestra d'asilo e catechista, raggiungerà presto l'Africa dove l'aspetta un delicato impegno di promozione umana». Così scriveva don Betti su Noi Insieme del 28 giugno 1987. La «suorina» originaria di Corcumello in Abruzzo che per tanti anni si era spesa per i bambini del quartiere e della parrocchia partiva: destinazione Camerun, diocesi di Ebolowa (dove tuttora svolge la sua missione). Così scriveva suor Maria per salutare la comunità di S. Agostino: qui «mi sono sentita attiva nel vivere la mia vita nella scuola, nella catechesi e
1 1 Campeggio parrocchiale Casone del Monte per Adulti e Ragazzi, agosto 1989 2 Prime Comunioni dell’86 3 Corale S. Agostino nel 1988 4 Campeggio Giovani Adulti con don Italo Caciagli, settembre 1988 5 Torneo di calcio dei Chierichetti 1982 QUI ACCANTO, la copertina di Noi Insieme del 15 marzo ‘92, dedicato all’ordinazione di don Francesco
nell'attività caritativa. In questa comunità ho pregato per voi, ho goduto, ho imparato come si portano i pesi gli uni per gli altri. Gli anni più carichi della mia giovinezza li ho trascorsi con voi, accanto ai vostri bimbi, e ai vostri anziani, ho vissuto situazioni liete e tristi, ho provato la gioia di sentirmi membro attivo di questa porzione di chiesa, dove una espressione particolare di don Betti ha avuto una risonanza precisa nel mio intimo: ‘Godiamo pure, per il numero dei ragazzi che frequentano la nostra scuola di catechismo e per il numero delle persone che vengono a Messa, ma pensiamo e preoccupiamoci per quelli che restano lontani’. Ringrazio don Betti e questa Comunità perché tutti avete contribuito alla mia crescita».
Il racconto di don Francesco Fiordaliso
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GIOVANI: «CON LA VOGLIA DI CAMBIARE IL MONDO»
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anti, tantissimi giovani. Tra gli anni ‘70 e gli anni ‘80 S. Agostino ha vissuto la stagione più florida dal punto di vista della presenza giovanile. Seguendo il racconto di don Francesco Fiordaliso si viene catapultati dentro l’atmosfera di quegli anni intensissimi: «Un aspetto importante degli anni vissuti a S. Agostino - dice - è stato l'avere davanti a noi giovani poco più grandi impegnati in parrocchia nella catechesi e in altri servizi. Vedendo loro è maturata in me la voglia di impegnarmi nei vari servizi parrocchiali. Davvero questo passaggio di esperienza da una generazione a un'altra è fondamentale nel cammino di una comunità: il mio gruppo è cresciuto avendo davanti un gruppo di giovani che ci stimolava e coinvolgeva. In questo senso ricordo il gruppo dei catechisti di cui facevo parte e che mi hanno davvero aiutato nella mia crescita personale e cristiana: Paola Cascioli, Francesca Ferretti, Massimo Flore, Gianluca Montanini e Mara, insieme anche a Stefano Nannini e altri del cosiddetto ‘gruppo giovani grandi’ ho imparato a fare esperienza di Gesù e di preghiera, a voler bene ai ragazzi e aiutarli a fare esperienza di Gesù». Qui, in un contesto molto stimolante tra ‘giovani grandi’ e ‘laici adulti’ come punti di riferimento, don Francesco ha fatto esperienza di Chiesa e di Gesù:
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«Ma tutto questo - spiega - sarebbe rimasto solo sullo sfondo se non ci fosse stato il gruppo giovanile ‘Magico Giorgio’ e, in esso, l'esperienza de ‘le Impressioni’. Gli anni vissuti con il gruppo sono presenti alla mia memoria con commozione e gioia, non smetterò mai di portare nel cuore quei ragazzi e ragazze con cui ho condiviso tutto in quel periodo tra i 15 e i 19 anni: passavamo intere giornate insieme a giocare e discutere, a litigare e fare pace, a correggerci e sostenerci. Di quegli anni ricordo la passione per la musica di autore e la PFM, la preghiera e la formazione, i campeggi, le uscite dopocena che finivano inesorabilmente sugli scalini della chiesa fino all'una le due di notte a parlare, le domeniche in villa Fabbricotti, la passione politica e la voglia di cambiare il mondo, un forte senso di amicizia, insomma devo moltissimo a quegli anni e, soprattutto, a quelle persone con cui continuo a sentirmi e a cui continuo a volere un bene enorme, ciascuno di loro è una parte di me». CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
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NOIINSIEME? E se rinascesse
«N
oi insieme, più che una testata è un programma, difficile. Anzi ancora più che un programma è un'identità. Identità di ‘Chiesa Comunione’. E mi pare che il periodico sia fedele al suo nome: Noi Insieme. I valori di fede che presenta, con continuità e competenza, fanno comprendere che nel Noi, a creare l'Insieme, deve essere Lui, lo Spirito». Così si esprimeva monsignor Alberto Ablondi per il 10° anniversario di Noi Insieme nel 1985. Un buono spunto da cui partire per approfondire la realtà di un giornale che per 20 anni esatti ha segnato profondamente la storia di una intera comunità… Chi meglio di Maurizio Brutto, che insieme all’altro storico vicedirettore Nicola Sangiacomo, ha tirato avanti la baracca per t a n t o tempo può aiu-
Accanto al titolo: Noi Insieme del 31 marzo 1985
CIAO, SONO IL CUGINO DI POPPI!
Tirate fuori i fazzoletti perchè il nostro ex ex ex Vicedirettore Uzzino torna a piangere sul latte versato e lancia messaggi subliminali al prossimo nuovo parroco: ARIDATECI NOI INSIEME!! Lo direbbe anche il nuovo Vescovo pisano:
Noi Insieme è cosa buona e Giusti!
NOI INSIEME A sinistra, Maurizio Brutto in una foto degli anni ‘90 Nell’immagine,
destra, il mitico
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Poppi «riposa» sopra la primissima copertina di Noi Insieme del 1975
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CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
tarci a comprendere il significato di una esperienza così proficua di stampa parrocchiale? Maurizio, guardando all'esperienza di Noi Insieme a distanza di anni, puoi dire cosa secondo te ha rappresentato il giornale per la comunità di S. Agostino? «Noi Insieme ha rappresentato un valore importante per la nostra parrocchia: è stato uno strumento di comunicazione, uno dei tanti strumenti in possesso della comunità per comunicare e fare più comunione, anche se non sempre valorizzato e utilizzato al massimo delle sue possibilità. Non sempre infatti è stato usato in correlazione con tutte le altre attività comunitarie, facendone un uso pastorale. Pur con tutti i suoi limiti però, penso che Noi Insieme sia stato un ‘servo inutile’ nel favorire la comunicazione e la comunione all'interno della comunità». Partito da giornale dei giovani Noi Insieme è poi diventato il giornale della comunità sostituendo, nell'84, Regnum
Christi. Ma Stefano Nannini, per il decennale, scrisse che lentamente il giornale veniva «sempre più visto» come «un qualcosa da fare» e sempre meno come «un qualcosa con cui dire». Fu davvero così? «Forse nel momento del passaggio da ‘giornalino dei gruppi giovanili’ a ‘periodico della parrocchia’ con la conseguente diversificazione dei ruoli tra i componenti della Redazione e il complessificarsi del lavoro è successo quello che scriveva Stefano. Ma con il passare degli anni questo atteggiamento è piano piano venuto meno e Noi Insieme ha assunto sempre più la fisionomia di uno strumento con il quale far circolare le idee, comunicare le diverse esperienze diventando non solo la ‘voce’ della comunità all'esterno, ma anche uno spazio con il quale provare a ‘segnalare’ la multiforme realtà che esiste un passo più in là dell'ombra del campanile». Sembra di capire scorrendo i vari Noi Insieme che spesso i
vostri appelli ad una maggiore partecipazione comunitaria (specie degli adulti) cadevano nel vuoto o magari c'era chi si lamentava che col giornale i giovani ‘perdevano tempo’. Come spieghi queste diffidenze? «Ma, non so. Forse perché non si capisce l'importanza della comunicazione, che deve collocarsi al centro della vita comunitaria e deve essere parte integrante di ogni progetto pastorale. Uno strumento come Noi Insieme può essere, se sfruttato appieno, di grande stimolo per diffondere uno stile di comunicazione all'interno della comunità parrocchiale. Ma da solo non basta. Ecco che allora può ritenersi inutile di per se la presenza di un giornale parrocchiale, il quale può essere visto come un ‘giochino’ con il quale far trascorrere il tempo ai giovani. ‘Comprateli i biliardini’ proponeva provocatoriamente qualcuno. Anche se quel qualcuno poi è stato uno dei collaboratori di spessore, scrivendo numerosi e interessanti articoli». Il giornale nel tempo si è contraddistinto anche per delle rubriche e dei personaggi molto particolari. Poppi, il Saggio Anacoluto, la (quasi) catechesi in vernacolo di don Betti, ecc. Puoi parlarci di qualcuna di queste? «Uno su tutti: Poppi, il personaggio nato dall'estro e la fantasia di Federico Scala (in arte ‘Legno’). Perché Poppi non è stato solo il
protagonista delle vignette che dalla metà degli anni ottanta ha accompagnato ogni numero di Noi Insieme. Poppi è stato la coscienza critica del giornale. Ed è per questo che Poppi riveste un ruolo importante nella storia di Noi Insieme». Un aneddoto, un'intervista, un articolo, un numero di Noi Insieme che, per qualche motivo, ricordi più volentieri… «Ce ne sarebbero tanti di anedotti o ricordi legati alla vita di Noi Insieme. Ogni articolo, ogni numero meriterebbe di essere ricordato. Però se ne devo indicarne uno, la mia scelta ricade su un numero davvero ‘speciale’: quello uscito all'inizio della prima guerra del Golfo. Una edizione straordinaria pensata,
1984 In pensione dopo 26 anni di servizio
ADDIO A REGNUM CHRISTI Era il 1984 quando Regnum Christi cessava il suo glorioso servizio cominciato nel lontano 1958, passando il testimone a Noi Insieme, il giornalino dei giovani, che si guadagnò «sul campo» la promozione a periodico di tutta la comunità. In questo stralcio di editoriale di don Betti su Noi Insieme del marzo 1985 le motivazioni della scelta:
«E’ vero che Noi Insieme è nato come ‘giornalino del gruppo giovanile’ per volontà di don Paolo Razzauti, allora vicario parrocchiale (come si dice oggi) e con la stretta collaborazione di un gruppo di giovanissimi (ora quasi tutti laureati o laureandi) ma per la sua cre-
scita e per non proporre ai parrocchiani una ‘doppia lettura’, con il primo numero dell’anno 1984 du ‘promosso sul campo per meriti di crescita’ a periodico della parrocchia. Regnum Christi che era uscito come primo numero parrocchiale per la Pasqua del 1958 (una anno dopo la nascita della parrocchia) - ha così ceduto al suo ‘fratellino’ di appena otto anni. Ma non è stata una cattiva scelta, questa, proposta dai giovani e poi accolta dal Consiglio Pastorale Parrocchiale».
Sopra: Maurizio Brutto
Foto grande:
Nico Sangiacomo e Luano Fattorini
Sotto a destra: Poppi
nata e realizzata in una mattinata, data alle stampe due giorni dopo e offerta come gesto concreto di pace e come contributo di riflessione in un particolare momento storico. Ti piacerebbe che in parrocchia ripartisse l'esperienza di Noi Insieme? Quali consigli daresti ai giovani che vogliono cimentarsi nell'impresa? Quali messaggi, quali provocazioni per il futuro? «Penso che uno strumento come Noi Insieme manchi alla parrocchia di Sant'Agostino. Anche se devo dire che quando nel 1995 ha cessato le sue pubblicazioni, a parte qualche ‘voce’ isolata, non c'è stato nessun sit-in di protesta con la folla urlante ‘ARIDATECI NOI INSIEME!’. Al di là di questo far ripartire questo tipo di esperienza sarebbe importante per la comunità e per i giovani in particolare. Sopratutto perché un giornalino come Noi Insieme può essere, come lo è stato, una importante palestra di maturazione umana, religiosa e culturale. Come ripartire? Forse tornando alle origini, come proposta dei giovani per l'intera comunità. I giovani, se pur pochi rispetto al passato, hanno tante cose da dire. Hanno idee, fantasia. Basta saper dare loro gli stimoli giusti. E' quello che abbiamo potuto sperimentare in questo tempo di festeggiamenti del cinquantennio della parrocchia proponendo un cammino, particolare ed originale, di riflessione sulla figura di S. Agostino. Proprio da qui potrebbe ripartire l'avventura di un giornalino parrocchiale».
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A SERVIZIO DELLA CHIESA Don Giorgio, don Raffaello, don Italo
Dal 1982 al 1993 sono stati tre i viceparroci che si sono alternati alla guida dei giovani
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rrivava a S. Agostino portandosi dietro un curriculum molto originale. Il 25 settembre 1982, a sostituire don Paolo Razzauti, ecco don Giorgio Eschini, oggi parroco di SS. Annunziata dei Greci alla Leccia. Dal 1970 al 1973 era stato «prete operaio», poi prete-catechista con una equipe di laici nel Sud d’Italia e poi fino al 1979 Londra e gli Stati Uniti d’America. 15 anni in giro per il mondo che lui presentava così: «Un travagliato cammino spirituale che ha tappe
quasi forzate, secondo la Grande misericordia che mi è stata usata, mi ha riportato ad una riscoperta dell’essere cristiano e presbitero nella chiesa e per la chiesa». Biografia che ‘acchiappava’, barba lunga, aria ribelle e severa. Quella di don Giorgio fu una personalità che affascinò subito i giovani. E lui li guidò in un percorso di riscoperta della Bibbia e verso un cristianesimo vissuto senza compromessi. Ad accorgersi sulla sua pelle di quanto i giovani fossero attaccati a don Giorgio, fu chi si trovò a sostituirlo appena due anni dopo. A S. Agostino, dopo 7 anni di lontananza, tornò, stavolta da viceparroco,
don Raffaello Schiavone. «Mi ricordo - dice oggi don
Raffaello - che non fu affatto facile tornare in quella veste nella parrocchia in cui ero cresciuto. Si sa, nessuno è profeta in patria. I giovani erano molto legati a don Giorgio, con lui avevano vissuto una esperienza molto forte e intensa e il suo trasferimento non fu accettato bene». Don Raffaello era praticamente alla sua prima vera esperienza in una parrocchia (era stato ordinato nell’83). «Ormai erano passati degli anni da quando avevo lasciato la comunità - dice - e quindi mi sono dovuto guadagnare da capo il rapporto e la fiducia. Mi ricordo che al campeggio estivo si sciolsero tante tensioni e fu accettata finalmente una presenza sostitutiva di don Giorgio. Anche se brevissima, fu comunque una esperienza molto significativa e intensa».. Dopo appena un anno con
E qualcuno li chiamava... i «chiericoni»
Chierichetti: tra altare e campino el gruppo chierichetti sono passati generazioni di bimbi del Nquartiere Fabbricotti. C’è chi come
Emanuele Ripoli, spesso voce critica della comunità, non è che apprezzasse molto che i «bimbi» rimanessero sull’altare fino a 20 anni. «Mi ricordo che li chiamavo i chiericoni - dice oggi - e lo feci notare anche con un pungente articolo su Noi Insieme». Comunque per molti anche dei più «grandicelli» quella del gruppo chierichetti fu una esperienza forte di aggregazione tra servizio all’al74
tare e momenti un po’ meno...liturgici. «Il gruppo chierichetti - racconta oggi don Francesco Fiordaliso - è un ricordo che copre 10 anni di tempo. Un'esperienza forte di partecipazione fatta di gioco a pallone nel campino (come scordare l'erba da tutte le parti, le ginocchia sbucciate, il puzzo di sudore) e poi, sudati e puzzolenti, tutti in chiesa a ‘servire Messa’, come dicevamo allora, a fare a gara a chi aveva più presenze (Nico, ora che hai 43 anni, lo puoi dire come mai eri sempre primo quando anda-
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
don Raffaello infatti, fresco fresco di ordinazione (era stato ordinato con don Brutto il 28 settembre 1985) arrivò a S. Agostino «don Sigaro», vale a dire don Italo Caciagli, oggii parroco a S. Pio X, che qui rimase fino al 1993. «Si è fatto subito apprezzare per le sue doti di simpatia e umanità - scrivevano i giovani del gruppo 2/3 Riptide sul Noi Insieme del saluto Accompagnatore ai campeggi, è stato quello che più si è interessato dei problemi dei giovani. Grande bevitore di vino e fumatore di sigari (toscani extravecchi) ha sempre rallegrato ognuno di noi, riuscendo nei momenti di difficoltà a tenere sempre saldamente in mano la situazione». Al di là di queste note colori-
Sopra,
don Giorgio Eschini durante la gita a Cardoso e Pruno il 22 agosto 1984, don Raffaello che celebra a S Agostino e la copertina dello speciale di Noi Insieme che salutava don Raffaello dopo appena un anno da viceparroco
vamo tutti a messa insieme? Ti facevi fare delle messe speciali per segnarti la presenza?). Ci sono tanti aneddoti e storie da raccontare: dal cane chierichetto al torneo dei chierichetti vinto ai Cappuccini (in cui io non ho giocato nemmeno una partita perché l'allora allenatore Andrea Brutto preferì Legno a me!!)». E il gruppo chierichetti era solo uno delle molte attività che tenevano occupati i giovani in parrocchia in quegli anni: «quello che di bello rimane è stata l'esperienza di gruppo - dice don Francesco - di un gruppo esclusivo che ti occupava 24 ore al giorno e di cui ti sentivi parte».
LIGNOD-PLOUT-MOGGIONA-S. NICOLAS
La magia di camminare tra le montagne e dentro di sé
I CAMPEGGI, PER SUCCHIARE IL MIDOLLO DELLA VITA
«A
te, don Italo fu davvero una dono importante per la parrocchia. Don Betti diceva che era «una presenza sicura al servizio di Dio», sottolineando il lavoro assiduo e profondo verso i giovani (moltissimi si rivolgevano a lui per la direzione spirituale), e la grande accoglienza verso i poveri. «Degna di nota - si legge su Noi Insieme - è la proverbiale disponibilità di don Italo verso chiunque avesse bisogno di un suo sostegno materiale e spirituale; tanto che ogni giorno, davanti al suo ufficio,
potevamo assistere a vere e proprie processioni di persone con ogni tipo di problema». «Ero alla mia primissima esperienza da prete ricorda oggi - e ero animato da grandissimo entusiasmo. Ricordo le lunghe processioni di tanti sbandatelli al mio ufficio (se iniziassi ora non so se rifarei le stesse scelte...). Certamente sono stati anni intensi di crescita per me e per i tanti giovani che frequentavano la parrocchia. Ricordo di non aver mai confessato tanto come allora!»
Sopra, don Italo Caciagli e una vignetta che lo ritrae nei panni di «don Sigaro».
Nella colonna:
il campeggio di Foppolo del 1990 sotto, una foto della gita a Cardoso e Pruno del 22 agosto 1984
ndammo a FOPPOLO perché volevamo vivere con saggezza e in profondità e succhiare tutto il midollo della vita, sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire in punto di morte che non eravamo vissuti». Negli anni ‘80 i campeggi si facevano anche così. Parafrasando uno dei film cult di quel periodo come l’Attimo Fuggente. A S. Agostino c’era addirittura una Setta dei Poeti Estinti ma al posto di Robin Williams a ispirare le poesie dei giovani della parrocchia c’erano le volute di fumo del Toscano di don «Sigaro» Caciagli. Ma non è proprio nei campeggi che molti giovani hanno sentito «fino in fondo di succhiare il midollo della vita»? Quanti di voi ai nomi di LIGNOD o PLOUT o S. NICOLAS o MOGGIONA sobbalzano un attimo sulla sedia perché si spalancano davanti emozioni così intense e profonde che sembra di riviverle. La fatica immane di arrivare in cima al monte Zerbion sulle orme di Pier Giorgio Frassati e trovarci una statua della Madonna alta una decina di metri che domina un panorama stupendo... O l’ascesa difficile e mozzafiato verso il Colle di Entrelor di Zombi, don Italo, Nico, Ago, Giampa, Marco C., Legno, Mario, Marco L., Ciccio con i piedi che scivolavano ad ogni passo sul sentiero bagnato... «Sai - scriveva Marco Longobardi sul campeggio di S. Nicolas II - quando al Parco del Gran Paradiso, mi guardavo intorno, mentre si camminava, i monti, il bosco, i prati sembravano come volermi dire qualcosa, mi fermavo, guardavo in alto, poi vicino a me e ascoltavo in silenzio. Sì, era meraviglioso: non ero solo. C’era qualcuno che viveva quello stesso momento, che lo divideva con me, che stava camminando insieme a me e quando sentivi tutto questo stavi bene. Davvero».Quante vocazioni, quante storie d’amore, quante amicizie sono sgorgate come sorgenti freschissime tra le montagne che rimbombavano di gioia, di gioco, ma soprattutto di Dio. Le Messe celebrate all’aperto su un altare di roccia e sopra un tetto d’azzurro. I falò tra canti e scherzi, le scarpinate per raggiungere le vette e più salivi e più ti sembrava di camminare anche dentro di te, di agguantare tra le mani un pezzettino di Dio.
Qui accanto a sinistra, la
squadra di S. Agostino del torneo chierichetti del 1982
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LUCI E COLORI IN ONORE DI MARIA
Le fiaccolate per l’8 settembre Tutto un quartiere in festa
1987 LA VISITA PASTORALE
Ablondi: «Siate cristiani che non smettono di stupirsi» Uno stralcio della lettera con cui il Vescovo iniziò la visita pastorale dell’87: ella Visita Pastorale, vorrei aiutare tutti a vivere… con stupore la fede nella dimensione ecclesiale, familiare e personale. È bello e importante in ogni condizione di vita sapersi... stupire. Perché "stupirsi" significa accorgersi, apprezzare, accogliere, fare esperienza di novità, normalmente anche gioire e rendere grazie, soprattutto significa alimentare la speranza e restare sempre in attesa di rinnovato e confortante… stupore. Ove manca lo stupore invece si insedia pesantemente la monotonia, che degenera in stanchezza e indifferenza trascinando fino al rifiuto e alla nausea. Ed allora, desidero, anche con la Visita Pastorale, aiutare quanti vogliono essere cristiani a... "stupirsi".Perché: se l'Amore di Dio è profondamente accolto, i Suoi doni non finiscono mai di rinnovarsi e stupirci; se la Parola di Dio è veramente capita ci stupisce, perché leggendola riusciamo a leggere noi stessi ed il nostro tempo; se la celebrazione Eucaristica è partecipata, alimenta una capacità di far comunione che fa stupire un mondo tanto diviso; se la vocazione è vissuta nei rinnovati doni dello Spirito, si apre a costante stupore di novità in ogni età della vita, se le persone sono incontrate nella carità non finiscono di stupirci, perché la loro bontà attende di risvegliarsi se provocata dalla nostra bontà. Direi davvero che lo stupore, come per gli ascoltatori di Gesù, è la misura dell'amore, della fede, della vitalità nelle vocazioni diverse. Ma proprio la stessa proposta di "stupore" vorrei rivolgere anche a quanti si ritengono lontani dalla vita ecclesiale. E voglio essere, nei loro confronti, tanto rispettoso ma nello stesso tempo tanto pastoralmente attento»
«N
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FIACCOLATA
n occasiodi una lunLa processione per le vie del ne della ghissima quartiere dell’8 festa della serie di fiacsettembre 1976 Natività di colate per l’8 A Sinistra, un pellegrinaggio M a r i a settembre. parrocchiale a Santissima. Un appuntaRoma con don inizia la tramento interGiorgio Eschini dizione dei rottosi (perpellegrinaggi chè?) verso mariani (via delle la fine degli anni ‘90 e Medaglie d'oro della che rappresentava un Resistenza, dinanzi al momento molto sentito tabernacolo della in tutto il quartiere. Madonna di «Tutti gli anni - ricorda Montenero eretto sul Mauro Solari - dovevafronte del palazzo/coo- mo spostare il percorso perativa filotranvieri) perché se rifacevamo per recita del Rosario. sempre lo stesso ci Moltissimi abitanti restavamo male quelli sono iscritti che non erano stati all'Apostolato della coinvolti l’anno prima. preghiera presso i C'era una grande attesa Padri Gesuiti e opera- in tutto il quartiere che no con esemplare entu- si sentiva davvero siasmo nella associa- coinvolto. Moltissime zione caritativa vin- le finestre e i balconi cenziana ‘fatebenetra- addobbate con luci e fiaccole. Tutto un rione nivieri’». Era l’8 settembre del illuminato: ed era dav1957. A nemmeno 3 vero una bella cosa da mesi dall’inizio della vedere e da partecipavita parrocchiale veni- re. Peccato la tradiziova inaugurata la prima ne si sia interrotta».
LE CATECHESI (QUASI) IN VERNACOLO Ricordate Scirocco e Libecciata protagonisti delle «le catechesi (quasi) in vernacolo» a cura di Ir Cocco di Mamma? Don Betti su Noi Insieme si inventò questa forma davvero originale di catechesi che riscosse molto successo.
Trentesimo. «C
arissimo don Betti, posso dirle con quanta gioia abbia accolto il suo invito che mi riporta a quei primi anni di dell’impegno pastorale livornese, che resta nel cuore come momento di grande ‘esperimento’ e ricordo felice di tante cose che hanno trovato una stupenda comunione di sentimenti, come del resto lo conferma il suo invito e quanto Ella scrive. Intanto preparo con la preghiera questo nostro pregare insieme perché la parrocchia sia ‘oasi’ piena di efficienza e di stupenda vitalità, come mi pare di aver capito che si è andato maturando». Con queste parole monsignor Andrea Pangrazio rispondeva a don Betti che lo invitava in occasione dei festeggiamenti per i 30
LA CORALE E’ sempre stato un pallino di don Betti. La corale parrocchiale (a destra in una foto anni ‘70). Negli anni ‘50, poco dopo la nascita della parrocchia, ci pensarono subito i coniugi Bastianini, Torquato - innamorato della musica liturgica e del servizio sacro - e la moglie Iride Rossi che regalarono anche il primo harmonium alla parrocchia. La Corale nel corso degli anni ha
1982 Il saluto a don Paolo Dodici anni camminando insieme Così don Betti scriveva per il saluto a don Paolo, promosso parroco di S. Lucia il 18 settembre 1982. ue preti che si sono subito voluti bene e che - insieme (incontrandosi nelle vedute delle scelte di apostolato o discutendo nelle eventuali e naturali divergenze per un'armonia sempre più completa e risonante del medesimo lavoro) hanno fatto "sinodo" per 12 anni ed hanno dato il doveroso esempio al clero ed al popolo, perché dovrebbero ora nascondersi? Questo, mio caro, è purtroppo il «bello» del nostro ministero: il bene che fai devi farlo, mentre i cattivi esempi dati anche da noi Sacerdoti vengono «proclamati» continuamente. Che mondo!!! Se esprimo qualche sentimento che fino ad oggi è rimasto segreto fra noi, non credo che voglia essere volontà di incensare nessuno, ma può essere esempio e proposta, per laici e sacerdoti di che cosa si possa fare, per lungo tempo, per il bene comune, perché l'apostolato giovi e fruttifichi. E' bello parlare della nostra intesa, del nostro «camminare insieme» - come è detto nel titolo -, del cercare insieme di far camminare il popolo di Dio, pur conciliando gli impegni diocesani (vedi la visita del Papa o il lavoro per il Sinodo) per i quali, specialmente da te, sono state sacrificate tante ore alla parrocchia e al doveroso riposo. [...] Non voglio dire che fra gli altri non ci sono intese e collaborazione, ma credo opportuno che quanti leggeranno queste pagine, scritte nel giornale parrocchiale da te fondato e sostenuto, afferrino - se ancora non lo avessero fatto - che il nostro essere uniti non sono apparenza o ipocrisia, ma frutto di incontri, di discussioni, di accordi. Non siamo stati legati soltanto da impegni pastorali, ma anche il nostro «essere uomini» si è manifestato nell'affetto e nell'intesa».
«D
Pangrazio torna a S.Agostino anni della parrocchia nel maggio 1987. Pangrazio così, a 25 anni dalla sua esperienza episcopale livornese, tornava nella parrocchia che aveva tenuto a battesimo nel 1957. In quel momento Pangrazio girava l’Italia come delegato per i Seminari d’Italia e a S. Agostino tenne una conferenza su «Parrocchia-comunità ecclesiale oggi, dopo il Concilio». Nel fitto programma del 30° intitolato significativamente «Parrocchia una comunità per tutti», spicca la cerimonia di intitolazione del vecchio salone-chiesa all’ingegner Giovannagelo Castellani, una richiesta avanzata anche dai gruppi giovanili. Monsignor Alberto Ablondi in occasione dei festeggiamenti
Qui sopra, la
copertina dello speciale di Noi Insieme sul 30° della Parrocchia.
Nelle foto sopra,
alcuni momenti delle celebrazioni di festeggiamento. Nella foto a sinistra monsignor Pangrazio tiene la sua conferenza a S. Agostino
scrisse, tra l’altro, questo messaggio: «la Vostra Chiesa richiama memorie e apre prospettive che sono motivo di ringraziamento e insieme di augurio: per un Luogo dove lo Spirito Santo dona la Parola ed il Corpo di Cristo; per un Luogo dove le persone si trovano vicine nel conoscersi e nel volersi bene, scambiandosi doni dello Spirito; per un Luogo aperto ad altri Luoghi come le case in cui le famiglie debbono essere aiutate a continuare e a sviluppare le ispirazioni di preghiera e di carità; per un Luogo attento ai Luoghi del territorio che attendono dalla presenza di una Chiesa la lettura dei bisogni, la disponibilità di collaborazione e la proposta di incontro su valori religiosi e umani».
DAGLI ANNI ‘50 PRESENZA COSTANTE partecipato sempre alla Rassegna Diocesana di canto sacro e sempre ha prestato il suo servizio specialmente nelle Solennità natalizie e pasquali eseguendo anche cori a 4 voci. Nel corso degli anni, dopo Bastianini, la cura della corale fu affidata oltre che a don Betti, a Santi Citi, Francesco Cannizzaro e Cristiano Ghiselli. Negli anni ‘80 il coro era diretto da Paola Nieri.
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Anni ‘90 Nuovi percorsi
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Dopo 37 anni, nel dicembre 1994, don Betti lascia la guida della parrocchia a don Luciano Cantini. Che la incammina verso nuovi
percorsi di missione
Apriamo le porte Per accogliere il volto di Gesù nel povero, nel sofferente, nello straniero
«L
ANNI ‘90 GIOVANI IN SINODO I giovani di S. Agostino in una giornata di ritiro parrocchiale l’11 agosto 1992
'invito semplice è quello di cercare Gesù nel volto ‘altro’ dell'uomo, in quello che meno mi rassomiglia. Non sarà ‘brillante come il sole’ come in Matteo (17,2) ma assomiglierà di più al volto del povero, del sofferente o dello straniero». Così don Luciano Cantini scriveva nel marzo del 2004. Chi lo conosce sa che in queste parole c’è probabilmente il succo profondo del suo stile sacerdotale. Nell’invito pressante, urgente - ma mai imposto o sbandierato, più agito che predicato a spalancare le porte a quel Gesù dalla faccia irriconoscibile che ha le mani inzaccherate di marciapiede e indosso i cenci sporchi della povertà e dell’emarginazione. «L'altro va amato per se stesso, per quello che lui è, per la dignità insita nel suo stesso esistere» diceva, citando Enzo Bianchi. Perché la carità cristiana non è assistenza sociale, «è una relazione, un cambiamento nella relazione». E’ un continuo esercizio per spostare lo sguardo dalla povertà al povero, dalla fredda presa d’atto di un problema sociale all’ascolto di una storia di L’ABBRACCIO vita che coinvolge, e ti chiede E’ il 10 dicembre 1994. Durante la accoglienza, ti chiede cambiacelebrazione mento personale, ti chiede stradell’Immissione volgimento dei tuoi schemi e di don Luciano spazi quotidiani. Cantini, come Probabilmente si può dire che nuovo parroco, nella seconda metà degli anni ‘90 l’abbraccio tra l’ex chierichetto a S. Agostino era questo uno dei e il vecchio parsentieri principali dei «nuovi perroco don Pier corsi» che si aprivano con l’avLuigi Betti segna vento del nuovo parroco. il passaggio Dopo 37 anni di feconda opera di testimone don Betti lasciava la guida della alla guida della parrocchia parrocchia. E non fu cosa semplidi S. Agostino ce da digerire. Ma lui lo disse e ribadì in tutte le salse: non mi manda via il Vescovo!, sono gli acciacchi che mi porto dietro da tanti anni che non mi permettono più di guidare una parrocchia che ha bisogno di una guida tutta dedicata. Oggi non pare un caso che l’ultima assemblea parrocchiale con don Betti del maggio 1993 - nel più puro spirito dialogante del sinodo dei giovani da poco indetto - avesse come tema centrale la «Comunità aperta». Ablondi concluse la sua letCINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
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LETERA AI GIOVANI DUE PASSI INSIEME
Anni 90 IL SINODO «PER» E «CON» I GIOVANI FU INDETTO UFFICIALMENTE IL 22 MAGGIO 1993
«Attraverso il Sinodo - disse Ablondi nell’omelia di S. Giulia 1993 - si cerca un modo particolare per ascoltare la voce dei giovani; perché i giovani spesso sono lontani o si sentono lontani; perché con la loro sincerità e intuito individuano spesso molto più dei grandi le vere deficenze della vita»
Ablondi in mezzo ai giovani dell’Attias. E’ forse il gesto profetico simbolo del Sinodo degli anni ‘90. Una lettera per far parlare i giovani. Le tantissime risposte ricevute. Un dialogo straordinario anche con i più lontani, fecondo di intuizioni pastorali
ABLONDI E SAVIO 1993: VINCENZO AUSILIARE
Era l’aprile 1993. Ad affiancare Ablondi alla guida della diocesi arrivò monsignor Vincenzo Savio che a Livorno era già stato parroco dei Salesiani. «Io avrò un collaboratore già amico - disse Ablondi alla diocesi per l’occasione - e voi un vescovo ausiliare già amico di tanti, fratello di tutti»
tera scritta per l’occasione con parole di speranza affermando: «Comunità aperta ed attenta ad anni che verranno, di cui non sappiamo le caratteristiche, ma che avranno sempre bisogno di ‘mani giunte’ che pregano e di mani che impongono la luce dello spirito». E don Luciano che raccoglieva il testimone da don Betti in una solenne celebrazione il 10 dicembre 1994, la comunità, e le porte della sua chiesa, ha provato ad aprirle davvero: soprattutto a quelli, come dicevamo, che nella scala sociale occupano scomodamente gli ultimi gradini. Negli ultimi anni ‘90 e nei primi del 2000 le attività della Caritas parrocchiale si sono così dilatate enormemente. E allora ecco le accoglienze saltuarie per il pernottamento nelle varie e numerose stanze disponibili e, di conseguenza, la necessità di fornire agli ospiti colazione e servizi igienici. Nuove esigenze, nuova urgenza di risposte che hanno orientato la ristrutturazione di tutto il piano terra dei locali parrocchiali, prevedendo le docce, i bagni, il bagno per i disabili e la cucina. Così, oltre a fornire i servizi per gli 80
Qui sopra,
Carla Corozzi Galimberti: dagli anni ‘90 si occupa delle questioni amministrative della parrocchia
Con don Luciano le attività della caritas parrocchiale si sono enormemente dilatate
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
sparuti e saltuari ospiti notturni – soprattutto appartenenti alla comunità marocchina con la quale don Luciano ha stretto profondi legami di conoscenza «adottando» due fratelli appartenenti ad essa – i servizi si sono aperti anche agli ospiti «diurni» che affollano ancora oggi la parrocchia la mattina. Già nel 1998 il primo segno di grande accoglienza di don Luciano: l’ospitalità gratuita data all’Ufficio per il Lavoro della Caritas diocesana che non riusciva più a svolgere il proprio servizio negli stretti spazi della sede della Caritas di via del Seminario. La disponibilità di don Luciano fece sì che questo servizio rivolto all’intero territorio diocesano potesse essere svolto in locali molto più ampi e con a disposizione più di 5 stanze per i colloqui. Il servizio si è così dilatato fino a diventare in città il primo luogo di «incontro» con le persone che hanno bisogno di lavorare e le famiglie che si trovano nella necessità di una collaborazione domestica o assistenziale: luogo di accoglienza, di ascolto, di accompagnamento. «Per numeri e offerte di lavoro - dice oggi Mauro Nobili - il
servizio è secondo solamente al Centro per l’Impiego della Provincia di Livorno: nel corso del 2007 sono state circa 900 le persone che hanno avuto accesso a questo servizio e per oltre 350 di esse si è concretizzato un percorso lavorativo nel pieno rispetto di tutte le garanzie e le regole esistenti nell’attuale legislazione». Certo tutto questo don Luciano lo ha fatto non da solo e non con facilità. Lo ha fatto col suo stile un po’ scorbutico, con quel «suo bel caratterino a noce di cocco che devi sempre spronarlo e tirarlo su» («così ce lo presentarono quando arrivò nel ‘94», dicono oggi i giovani). «Sei sempre stato difficile da seguire, nelle tue idee strampalate e nei tuoi assenteismi. Le messe a giorni alternati, le benedizioni comunitarie, eppure ti avrebbe fatto bene fare due passi per il quartiere», gli scrivevano con pungente simpatia i giovani della parrocchia nel giorni del saluto nell’ottobre 2006. E ancora: «hai dovuto attraversare i dolori delle persone che si sono appoggiate a te in maniera forte, hai dovuto salutare persone che forse troppo presto se ne sono andate, hai
OTTOBRE 1994 «E’ giunto il momento di lasciare il campo ad altro sacerdote che potrà rendere sempre più viva la nostra cara Comunità»
DOPO 37 ANNI DON BETTI LASCIA
LA LETTERA DI SALUTO ALLA COMUNITÀ
Qui a sinistra,
un momento dell’assemblea parrocchiale del 1993 Qui sopra, don Betti, don Corretti, don Cantini, monsifnor Ablondi, il giorno dell’immissione, 10 dicembre 1994 sotto, don Betti nel 1993
dovuto far fronte a modo tuo, bluffando un po', ai contrasti fra le persone, hai dovuto combattere la delinquenza e le offese che per mesi hanno circondato le tue quattro mura. Sei comparso sul giornale troppe e troppe volte per essere un prete». «Io chiamerei quella degli anni di don Luciano una comunità di movimento - dice oggi Carla Corozzi, che da anni cura le questioni amministrative della parrocchia E’ il suo carattere: aprire tutto a tutti. Ha lasciato larga autonomia ai singoli, senza forzare o imporre niente. Voleva una comunità aperta. Non ha mai voluto una parrocchia silenziosa, pulita, tranquilla. Se l’accoglienza al più bisognoso crea caos allora il caos va bene. Molti sicuramente non hanno accettato questa impostazione: perché sono state aperte le porte a personaggi ‘scomodi’, a chi ti crea più problemi e ti costringe a uscire dai tuoi comodi schemi e dal tuo cristianesimo tra quattro cuscini. Ma io penso che la carità del Vangelo è soprattutto una carità di sacrificio, di confusione, anche di sporco, perché vuol dire accogliere l’altro senza pregiudizi e senza compromessi. Forse in questi anni c’è stata una comunità meno organizzata ma con l’imprevedibilità dell’accoglienza all’ordine del giorno che ti sprona ad essere ogni giorno cristiano migliore».
Carissimi parrocchiani, come certamente già avrete saputo, dopo 37 anni di pastorale in mezzo Voi, con Voi e per Voi, è giunto il momento di lasciare il campo ad altro Sacerdote che potrà rendere sempre più viva, per età e nuove capacità ed inventiva, la nostra cara Comunità di Sant'Agostino. Certamente io parto da Voi con rimpianto, per i tanti amici che lascio, per le tante collaborazioni, per un cammino che dal «nulla» di beni materiali ha veduto crescere, certamente con il vostro consiglio ed aiuto anche economico, un patrimonio notevole di beni,chiesa compresa. Ma non è soltanto questo ciò che penso sia gradito al Signore e torni merito e utilità di tutti, ma la crescita spirituale dei singoli e della vita Comunitaria che ci ha fatto sentire, anche se non sempre totalmente, uniti in Cristo. Da parte mia, usando umilmente ed in parte le parole Paolo Apostolo, «ho cercato di combattere la buona battaglia» per la diffusione del Regno di Dio in mezzo a Voi; «ho proclamato la fede», ed ora, presso la Parrocchia di S. Pio X dove è Parroco don Francesco Fiordaliso, cresciuto in mezzo a noi, «continuo la corsa»... finché le forze mi reggeranno. Per
questo non mi pare il caso di usare l'espressione «vado in pensione» perché è una frase che non si addice ai sacerdoti, data anche la scarsità di vocazioni ecclesiastiche. Devo rendervi noto che non è il Vescovo che direttamente «mi manda via», ma sono io che, dopo prolungata riflessione - per le condizioni impossibili di lavoro nelle quali mi sono trovato quest'anno dopo la partenza di don Italo e nonostante la buona volontà di don Mario - ho chiesto di poter svolgere il mio ministero pastorale in aiuto a qualche Parroco, ma senza tutta la responsabilità che ha gravato fino ad oggi sulle mie spalle. Ringrazio il Signore per avermi chiamato al suo servizio e per avermi dato tante consolazioni e pochi dolori nei 47 anni di sacerdozio. Lo ringrazio per avermi fatto incontrare tanti collaboratori buoni e bravi, generosi e capaci, tra i quali non posso dimenticare tutti «i miei vecchietti» che mi hanno aiutato ad impiantare il primo nucleo parrocchiale e gli ammalati che sempre mi hanno accompagnato e che continueranno ad accompagnarmi con le loro preghiere e l'offerta delle loro sofferenze. Il cammino continua per me e per Voi, miei cari, nella certezza che accoglierete con gioia il nuovo Pastore nella persona di don Luciano Cantini (anch'egli cresciuto tra noi) al quale, sono sicuro, non farete mancare amicizia e collaborazione. Tutto ciò che abbiamo fatto insieme in senso materiale (prima di tutto la chiesa), morale e spirituale attende i compimenti in quel cammino cristiano che terminerà per tutti quando raggiungeremo il monte santo di Dio. Prima di terminare questo mio messaggio di riflessione e saluto, voglio chiedere scusa a quanti volontariamente o no avessi recato offesa. Per mio conto perdono di tutto cuore quanti con insinuazioni od altro pensassero di avermi dato sofferenza o fatto del male. Con ogni benedizione tutti abbraccio paternamente, tutti ringrazio e saluto ed a tutti chiedo una preghiera. DON BETTI PIER LUIGI, PARROCO
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Don Luciano
Cantini
«Mi manca la parrocchia, il contatto quotidiano con le persone, avere qualcuno con cui crescere, succhiare
un po’ di Vangelo dalle esperienze degli altri»
«Non perdete di vista il traguardo che è Gesù» L’accoglienza: essenza della vita cristiana
I
n uno dei suoi mitici power point don Luciano Cantini ha scritto: «Tenda, rifugio, nascondiglio fragile, ma provvidenziale, spazio velato di accoglienza, di ospitalità gradita e gradevole. La vita all’ombra e al riparo della tenda è una vita di chi sa affidarsi, di gente che non ha bisogno di trovare sicurezza tra pareti di pietra. Vive in tenda chi ama affrontare la vita». La tenda. Luogo di accoglienza e ospitalità: ma nella provvisorietà e marginalità di una vita in continuo movimento. E poi la tenda del Circo e dei fieranti: saltimbanchi, acrobati e cantastorie che spendono i giorni a far baluginare un sorriso sui volti di sconosciuti passanti. «Tenda dell’alleanza e dell’attesa che si dischiude alla gioia», scrive don Luciano. Se da poco meno di due anni don Luciano ha ricevuto l’incarico nazionale di direttore dell'Ufficio per la pastorale dei circensi e fieranti è forse anche perché lui dello «stile di vita della tenda» ha fatto una ragione di vita. La vita del circo diventa come una metafora di un cri-
Sopra:
un giovanissimo don Luciano
A destra, in alto
don Luciano Pompelmo al centro, con Nico Sangiacomo nel 1996, sotto, da parroco di S. Croce con papa Giovanni Paolo II e il segretario Stanislaw Dziwisz durante la visita a Rosignano nel 1982
Sotto,
una curiosa posa con monsignor Ablondi durante i festeggiamenti per il suo 25° di sacerdozio nel 1998
Pagina accanto, il giorno dell’immissione nel dicembre 1994
Qui accanto,
durante una celebrazione nel 2006
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stianesimo di accoglienza al provvisorio, all’instabile, al periferico, allo staniero. Vissuto con la filosofia agrodolce di un clown un po’ scontroso che nel dispensare sorrisi ti spinge a guardare dentro ai tuoi difetti. Uno stile che ha dato impronta anche ai suoi 14 anni come parroco di S. Agostino. Quella di don Betti non fu affatto una eredità semplice da raccogliere. Lui, suo ex chierichetto, si ritrovava parroco della chiesa in cui era cresciuto e in cui era stato ordinato sacerdote nel ‘73. «La proposta che il vescovo Alberto mi fece per la parrocchia di S. Agostino - racconta oggi - mi colse di sorpresa e del tutto impreparato. S. Agostino non è e non era una parrocchia qualsiasi, nella Diocesi ha assunto negli anni un carattere emblematico, citata come modello, con un parroco modello, io direi piuttosto un mito e sostituire un mito non è facile». E al vescovo cosa gli rispose allora? «La prima evidente risposta fu ‘prima viene l'obbedienza e poi le altre considerazioni’ e di considerazioni ne feci molte e la più evidente fu che nessuno è profeta in patria, ma il Vescovo smontò ogni mia obiezione e mi dette una carica di fiducia tale che accettai pienamente l'incarico. Era il mio quarto incarico, ma era la prima volta che avrei dovuto lasciare una parrocchia da parroco, dopo 15 anni, dopo aver costruito una chiesa e non solo quella. Fu uno strappo non da poco!». Quattordici anni passati a cercar di rendere la parrocchia una «tenda» accogliente per i fratelli meno fortunati... «Quando si va parroco in una parrocchia occorre tentare di cancellare dalla mente e dal cuore l'esperienza che hai avuto in precedenza… Quello che hai vissuto è stata certamente un'esperienza che ti ha
costruito e che non devi demolire. Ma devi evitare di riproporre modelli, schemi di lavoro, prassi che hai sperimentato con soddisfazione ma che potrebbero non adattarsi alla nuova comunità che ha una sua esperienza ed una sua storia. La tua storia di prete conta per te e per quello che sei, ma non per la parrocchia in cui ti trovi. Avverrà una osmosi tra le due esperienze, ma occorre tempo, tanto tempo. Allora bisogna mettersi in ascolto della gente (che non vuol dire stare dietro ai discorsi), ma leggere negli anfratti del detto e non detto ciò che è necessario proporre, senza imporre. Poi bisogna anche lasciarsi fare da ciò che lo Spirito suggerisce e spesso i suoi suggerimenti sono evidenti. A me sembra di non aver fatto nulla di eccezionale, se non lasciare libere le persone di esprimere ciò che già avevano dentro e che avevano maturato col tempo». La tua grande apertura non ti ha risparmiato critiche da
AMARCORD
«LA MIA INFANZIA A S. AGOSTINO»
a mia famiglia - dice don «L Luciano - si trasferì in via Medaglie d'oro nel 1958, avevo dieci
qualche abitante del quartiere. C'era chi sosteneva che avevi aperto «troppo» le porte della parrocchia… «Le critiche fanno parte del rischio. Ascoltare le persone non significa fare uno slalom tra le critiche alla ricerca di equilibri o di accontentare tutti. Spesso le critiche vengono da una visione della vita che è umanamente corretta e giusta, ma non evangelica. Faccio un esempio: per noi rubare è un peccato e non lo faremo mai, anche se rubiamo in tanti altri modi senza neanche accorgercene, quando subiamo un furto ci sentiamo toccati nel vivo, giustamente nel senso umano. Nel senso evangelico dovremmo invece ricordarci che ‘a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica’; il porgere l'altra guancia e l'amare il proprio nemico è una proposta
evangelica dura da digerire». Quali semi gettati in questi 14 anni pensi abbiano dato piùfrutto? «I semi non li ho gettati io. E’ significativa l'espressione di Gesù agli apostoli dopo l'incontro con la samaritana: altri hanno faticato e voi siete subentrati alla loro fatica, quando l'episodio inizia con Gesù affaticato che cerca da bere. Il regno di Dio cresce in modo insondabile e ricco: noi vediamo il progetto di Dio come dal buco della serratura e vogliamo immaginarci anche quello che che non si vede e che si trova nelle stanze più interne. Certo è che i parrocchiani hanno dato molto alla diocesi ed al quartiere in termini di pensiero e collaborazione. Una critica che viene fatta spesso (c'era prima del mio arrivo ed l’ho sentita ancora a due
«Una critica che viene fatta spesso è che i laici di S. Agostino ‘pensano’, hanno idee chiare sulla Chiesa e sul mondo. Ma perché chiamarlo difetto?»
2002 La lettera che don Luciano scrisse su «La Settimana» in risposta a fatti di cronaca
«Cercate il coraggio di trasformare il male in un atto d’amore»
U
n fatto di cronaca, un episodio di delinquenza comune, accaduto proprio qui nel nostro quartiere, tra le nostre case, rimbalzato poi sui notiziari nazionali, un fatto di cronaca che ha coinvolto una delle persone più attive nella comunità parrocchiale ci sta interrogando e chiede a tutta la Comunità parrocchiale una reazione adeguata. Una qualche reazione c'è già stata: giusta indignazione, sommessa protesta, commenti nei negozi e per strada; c'è stato un «mormorare» tipico, da sempre (vedi per esempio: Numeri 14,2 e Luca 5,30). Naturalmente sono venuti a
galla i soliti preconcetti, le telefonate in parrocchia più o meno anonime ed interlocutorie: «Ecco cosa si ottiene a fare del bene agli zingari...», «avete visto voi che lavate la faccia a quei musi neri...». La cronaca invece ci ha rivelato che gli autori di tanta efferatezza sono due concittadini, figli della nostra cultura e della nostra storia, e per di più dello stesso nostro quartiere. Questi fatti ci chie-
dono una reazione adeguata che deve essere illuminata dal Vangelo. Dice Gesù: «Vi dò un
comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che
siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Giovanni 13,3435). Dunque una reazione adeguata deve partire dalla novita dell'amore. Ancora San Paolo scrive:
«Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli
uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un'idea troppo alta di voi stessi. Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti» (Romani 12,14-18). Ecco dunque una reazione adeguata: «Trasformare il male in un atto di amore» a noi cristiani non ci è chiesto altro. Chi vuol provare? Nei servizi di carità che la parrocchia organizza per i fratelli meno fortunati di noi c'è tanto bisogno di aiuto, cercate il coraggio di trasformare il male in un atto di amore, il Signore non delude. Con gli altri volontari che ci hanno provato, vi aspetto.
anni, provenivo da una parrocchia attiva ed organizzata come era quella dei salesiani. Mio padre mi accompagnò da don Betti, suo collega a scuola. Non c’era niente: una casa senza intonaco una chiesa che era un salone. Fuori un grande piazzale ed il viale dei pini con la loro ombra. Lì ho conosciuto il nuovo parroco, sotto quell'ombra con un nugolo di ragazzini seduti su panchine, un cartellone del «tombolicchio» e la fisarmonica che don Betti suonava per tenere insieme quel gruppo. Questo fu il primo impatto, po la messa domenicale stretta in quel salone con il sig. Solari, in piedi su una sedia che leggeva in italiano il Vangelo che il prete diceva in latino… una novità per quei tempi. I laici avevano un ruolo fondamentale… ho incontrato figure spledide: Landi, Battaglini, Borghini, Bettini, Saltini, Castellani… una lista senza fine di persone coinvolte ed impegnate in modi diversi; ma anche persone ‘diverse’ accolte ed integrate in un modo di essere Chiesa diverso da quello di oggi ma per l'epoca modernissimo. Poi le figure belle di preti come don Orfeo, don Ugo, padre Strada e tanti che sono passati da quelle stanze».
anni dalla mia partenza) è che i laici di S. Agostino ‘pensano’, hanno idee chiare sulla Chiesa e sul mondo, sulla pastorale. Mi fa meraviglia che questo sia visto come un difetto. Pur sapendo che una parte considerevole della mia vita è legata a quella parrochia ho sempre detto che la parrocchia non è mia, ma della gente, il parroco è solo di passaggio». Quali esperienze di questi anni oggi ti sono rimaste attaccate di più alla pelle? «Alla pelle c'è attaccato molto e come dopo una scottatura la pelle si stacca con dolore, ma la pelle va cambiata. Nell'attuale servizio mi manca la parrocchia, il contatto quotidiano con le persone, avere qualcuno con cui crescere, succhiare un po' di Vangelo dalla esperienza degli altri. L'assemblea domenicale poi mi manca da morire». Oggi la parrocchia vive una fase di transizione. Quali messaggi, quali provocazioni ti sentiresti di lanciare al nuovo parroco? «Al nuovo parroco vorrei dire di fare una esperienza gioiosa… di lasciarsi condurre allegramente tenendo stretto il timone per non perdere di vista il traguardo che è Gesù Cristo, ma sicuro che ha manovratori attenti ed esperti alle vele».
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LA NAVE GIOVANI NEL MARE DEGLI ANNI ‘90 Sospinti dal soffio leggero dello Spirito tra scelte coraggiose, sacrifici e qualche intuizione importante
L’attività del «Campino», il servizio verso i più piccoli, l’esperienza associativa di Ac, la partecipazione ai gruppi d’ascolto del Sinodo dei Giovani. «Quanti paesaggi esplorati!» (di GIULIO SANGIACOMO)
L Sopra Giulio Sangiacomo
Nella foto grande
il campeggio di Lutago dell’agosto 1994
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e righe che state per leggere sono un tentativo certamente incompleto di provare a tratteggiare alcune delle rotte che, durante gli anni '90, molti giovani della parrocchia di S.Agostino in Livorno, hanno provato a solcare nel mare della loro esistenza. Lo spazio necessariamente misurato e la memoria forzatamente limitata sono certamente due cause (non giustificazioni) delle omissioni che commetterò e per le quali chiedo scusa anticipatamente. La «Nave Giovani» di S.Agostino era già salpata da tempo, aveva già esplorato in lungo e in largo le acque del mondo giovanile del periodo della costruzione del quartiere Fabbricotti, si era lanciata con decisione nei fervidi anni '70 e probabilmente, come avrete avuto modo di leggere altrove, aveva raggiunto la sua massima forza motrice negli anni '80. Che cosa intendo per forza motrice? Beh, se non l'avete ancora
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
fatto, immaginatevi la «Nave Giovani» come un'imbarcazione non particolarmente grande né tanto meno lussuosa, sospinta da due mezzi tipicamente ecologici ed autosostenibili: il vento dello Spirito e la forza delle braccia. Vela e remo: questi i due strumenti che hanno permesso a molti giovani di scoprire paesaggi inesplorati, affrontare difficoltà impreviste, magari anche anticipare qualche mossa climatica dei tempi che correvano e stavano per arrivare con le loro inevitabili novità. Credo che il soffio giusto per poter gonfiare le vele non sia mai mancato, forse piuttosto qualche volta non siamo stati attenti nel posizionare bene la vela oppure nel dispiegarla nel momento opportuno. Non tutto il vento che ha soffiato sulla «nave Giovani» può essere considerato favorevole, immaginatevi quello che soffiava con troppa intensità rischiando di strappare la vela o rompere l'albero oppure quello che soffiava in maniera decisa in direzione opposta a quella che la
comunità parrocchiale aveva scelto… Qual'era dunque il soffio giusto? Probabilmente quello leggero (cfr. 1Re 19, 12) e generoso, che in maniera quasi nascosta si rendeva presente per mezzo di tanti piccoli eventi, di qualche intuizione, di scelte coraggiose e molti sacrifici che uomini e donne di buona volontà compievano: era il soffio dello Spirito. A questa incredibile e provvidenziale forza, dicevo, si era corresponsabilmente affiancata anche quella delle braccia, numerose braccia giovanili che, con fantasia ed entusiasmo, erano disposte a spendersi per poter imparare insieme a navigare nel proprio tempo, nelle acque spesso agitate dell'adolescenza, ed in quelle profonde della giovinezza che richiedevano delle scelte personali sempre più consapevoli, aperte al futuro e alla responsabilità. Di braccia sulla «nave Giovani» di S.Agostino, agli inizi degli anni '90, ce ne erano veramente tante; questo offriva certamente più opportunità all'imbarcazione di compiere tragitti lunghi e/o veloci di quanto poi si potesse fare alle soglie del nuovo millennio, ma non affretterei giudizi sulla buona navigazione, poiché più miglia marine percorse non implicano necessariamente più mete raggiunte; a volte si può rischiare di finire in acque pericolose oppure di girare a vuoto consumando inutilmente energie. Altra considerazione da fare è che
comunque, nonostante le forze a bordo cambiassero di numero e di sostanza, la forza impressa alla vela dal «soffio buono» era veramente gratuita e senza limiti, e su quella i passeggeri dell'imbarcazione dovevano (e devono ancor oggi) soprattutto fare affidamento.
Nella navigazione la ciurma trovò modo di divertirsi e questo aiutò senz'altro a tenere alto il clima a bordo e non solo: ad esempio gli echi del «Talent Show» annuale giungevano nei diversi lati del quartiere, approdando su rive dove la solidarietà incontrava le necessità del posto e del momento; ecco allora le serate di musica e di recitazione per raccogliere fondi per opere di carità. Rotta simile, anche se con aspetti diversi, fu percorsa attraverso tornei di calcetto, nella parte del mare forse privilegiata dai giovani: il «Campino». Qui apro una parentesi che riguarda lo stato del porto a cui eravamo soliti fare riferimento, non sempre tutti i moli (cioè gli ambienti parrocchiali) erano utilizzati al meglio e considerando la «Il vento maggioranza dello Spirito delle realtà cittadine, la e la forza « N a v e di delle braccia Giovani» S.Agostino Vela e remo. poteva disporre di spazi prezioQuesti i due si (grazie ai meriti di chi ci strumenti aveva preceduto nella navigache hanno zione), che permesso a erano un'opporma anche molti giovani tunità una responsabilità, da non far di scoprire scivolare via in paesaggi mare per una libecinesplorati» qualche ciata. Due gli aspetti forse più interessanti delle «rottetorneini»: il dialogo tra generazioni e la solidarietà. In due esplorazioni si riuscì a realizzare un «torneo tra generazioni» con squadre formate con componenti dai 16 anni fino ai 45 circa, la prima volta raggruppando gli elementi più o meno vicini anagraficamente (cosa piuttosto facile), ma nella seconda rotta percorremmo le acque della conoscenza reciproca garantendo una composizione delle squadre equilibrata e legata alla sorte. Anche per queste esplorazioni fu garantita la mèta di attenzione verso i più deboli, rinunciando a coppe, coppette e devolvendo la somma dell'iscrizione a chi era nel bisogno: un piccolo segno
Sopra, un
momento dell’assemblea parrocchiale dell’8-9 maggio 1993 e un gruppo di bimbi del catechismo fuori di chiesa con la catechista Ilaria Tripodi
A destra, un
immagine del campeggio di Lutago nell’agosto 1994
comunque visibile per partecipanti e non. Il clima sportivo che molto spesso assumeva la navigazione sfociò addirittura in qualche «missione spericolata», come ad esempio quella di un gruppetto di bordo che si avventurò per qualche anno nelle acque ufficiali della FIGC per un torneo di calcio a 5 oppure ancor di più per quel drappello che si lanciò in una dozzina di tappe ciclistiche sulle strade della nostra provincia sprezzanti del fiatone, forse perché già abituati al «colpo di remo». L'ambito sportivo offrì certamente molte occasioni d'esplorazione verso una crescita umana dei vari componenti della «Nave Giovani», questo anche grazie alle generose triangolazioni di adulti che, nei primi anni del periodo che sto descrivendo, resero possibile una navigazione organizzata e sicura delle acque «Campino». Molte opportunità di quell'esperienza non vennero sfruttate a fondo ed altre furono troppo frettolosamente lasciate andare; così la «Nave Giovani» continuò la navigazione curando sempre meno l'aspetto sportivo e dando priorità ad altre rotte.
Tra esse certamente rivestì ruolo di primaria importanza, nell'intero arco dei dieci anni, il servizio verso i più piccoli; infatti molti dei giovani marinai si impegnavano nell'educazione dei ragazzi ed alcuni tra i più organizzati (principalmente perché associati, come l'Azione Cattolica) ebbero anche le giuste intuizioni e la buona dose di coraggio per proporre una rotta verso un mare inesplorato che solo negli anni a venire fu solcato con convinzione e perseveranza da tutta la comunità parrocchiale (e non solo), cioè quello della catechesi esperienziale e della composizione dei gruppi non più per classi scolastiche, bensì per fasce d'età, cercando di rompere dei pericolosi preconcetti e degli schemi tradizionali sull' ora di catechismo e, da buoni marinai e scrutatori dell'orizzonte, guardando oltre. I remi tagliarono con perseveranza le onde del servizio alla crescita nella fede e la generosità dei giovani fu davvero esemplare, forse non sempre fu chiaro (ed oggi?) che la responsabilità dell'educazione dei più piccoli implicava necessariamente una formazione personale, che passasse anche attraverso una
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CON AMICIZIA ED ENTUSIASMO L’esperienza del gruppo Terza Età
Formato nel 1982 il Gruppo della Terza Età continua ancora oggi a offrire un momento di ritrovo importante per gli anziani della Comunità e del quartiere. Oggi partecipano circa 25 persone. «Tra merende e preghiera, un momento di serenità per tutti»
Il 30 giugno 1987 noi animatori scrivemmo questa lettera al gruppo III età: «Carissimi, oggi è l'ultimo incontro prima della pausa estiva, ascolteremo la S. Messa per ringraziare il Signore di averci dato la possibilità di conoscerci, di stare insieme e di pregare. La nostra speranza è che quando riprenderemo gli incontri saremo sempre più numerosi,
affiatati e legati da vera amicizia. Il nostro deve diventare sempre più un dialogo di persone che si conoscono bene, che partecipano e che, nel caso ce ne sia bisogno, sappiano anche aiutarsi reciprocamente; per questo cercheremo insieme di svolgere un programma a tutti gradito. Il nostro arrivederci è per il 22 settembre. [...] Il programma, come avete visto, è basato soprattutto sul sentirsi veramente uniti nell'amicizia e nella fratellanza; proprio per questo noi ogni volta iniziamo recitando il Padre Nostro tenendoci per mano (tutti fratelli, figli dell'unico padre) e poi
navigazione di gruppo. La cosa nei primi anni '90 fu garantita attraverso addirittura una pluralità di rotte (gruppi di AC e non), ma con il passare degli anni alcune difficoltà ridussero al minimo la presenza di gruppi di formazione pronti all'esplorazione dei «segni dei tempi». La continuità data dall'esperienza associativa cercò più volte di soccorrere gli altri gruppi rimasti nelle secche, non sempre con esiti positivi.
Il mare non fu solcato solo in estensione, ma diversi momenti forti, offrirono ai naviganti (per queste occasioni trasformatisi in subacquei) la possibilità di andare in profondità attraverso delle vere e proprie «missioni speciali» nel mistero della Parola; negli abissi dell'Amore di Dio, che si rese presente ed efficace nei sacramenti; negli antri delle veglie di preghiera; nei meravigliosi ed indimenticabili fondali dei campeggi estivi, dove con regolarità vennero abbattuti i muri dei pregiudizi e della diffidenza, per lasciare spazio alla contem86
«Qualcuno conosce i frutti di questo navigare, Qualcuno ha voluto che prendessimo il largo»
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
leggendo una preghiera; inoltre in questo anno Mariano meditiamo e recitiamo un mistero del Rosario. Questa è la parte fissa dedicata alla preghiera a cui si aggiungerà anche una parte dedicata alla Catechesi degli adulti. [...] In seguito parleremo di attualità, faremo dei giochi, vedremo dei film, faremo dei cori accompagnati dalla chitarra di Michele, ci divertiremo con delle tombolate e tantissime altre cose. E ogni volta la merenda: tè con dolci e biscottini. Ma quello che più vorremmo far capire è come il nostro incontro sia un momento di gioia e serenità per tutti, come
plazione di barriere coralline costituite da relazioni di amicizia sbocciate spesso in autentiche vocazioni (non solo religiose). Ci sarebbero da raccontare ancora molti altri viaggi in mare aperto della «Nave Giovani», come ad esempio quei due nel mare della comunicazione e quindi della condivisione comunitaria: il primo relativo alla stesura di un «diario di bordo collettivo» (giornalino parrocchiale), il secondo meno significativo ma più azzardato, cioè la registrazione di un piccolo film, dal titolo la «Seppia», parodia ispirata più da una serie televisiva famosa in quegli anni e dall'amicizia di tanti che dall'ambiente marino che vi sto descrivendo. E come non menzionare la partecipazione provvidenziale nei gruppi d'ascolto sinodali, veri e propri laboratori in cui si valutavano mappe e dati meteorologici per capire le migliori rotte da seguire, per ciascuno e per tutti, avendo lo sguardo aperto al cammino insieme («sinodo» appunto) con l'intera comunità diocesana. Tra un vento di bolina e l'altro la
ogni componente di questo gruppo sia importante: quando qualcuno non può venire, subito ci interessiamo per conoscerne la causa, se hanno bisogno di essere accompagnati in macchina lo facciamo volentieri; se sono malati o ricoverati in ospedale li andiamo a trovare e, tutti insieme, preghiamo per loro. Noi animatori siamo contenti di come si svolgono queste riunioni e speriamo che lo siano anche i componenti del gruppo, che potrebbe diventare più numeroso.
«Nave Giovani» offrì anche alla comunità parrocchiale di godere per le celebrazioni liturgiche (e non solo) di buona musica, adeguata ai tempi, questo grazie al gruppo musicale e/o coro di turno che, se pur sempre in fermento e con diversi avvicendamenti, mantenne la costante di essere composto quasi totalmente da giovani. Prima di lasciare spazio al racconto degli anni duemila concedetemi di lasciare qualche riga ad uno dei tanti marinai che sono saliti sulla «Nave Giovani». Credo che attraverso le parole di PAOLO VIERUCCI si possano intuire o riscoprire alcuni aspetti che hanno caratterizzato la navigazione di quei tempi:
«La mente mi è subito andata agli anni 1994 e 1995 in particolare, ai rispettivi campeggi giovanili: li vedo come punto di svolta dei gruppi di allora. Nel 1994 andammo in campeggio tutti insieme (giovani e giovanissimi, AC e non, …), senza prete per il periodo di transizione dovuto all'avvicendamento tra
Non si tratta, infatti, di un gruppo chiuso ma di una piccola comunità che ha il fondamentale bisogno di accogliere sempre nuove persone, sia animatori che partecipanti, per poter così scambiare idee, esperienze ma anche ricordi e speranze. Molte volte gli "anziani" del gruppo (e lo scriviamo tra virgolette perché se lo sono per l'età non lo sono certamente per la forza e l'entusiasmo che dimostrano) ci ringraziano per gli incontri che prepariamo ma, in realtà, siamo noi
animatori che ringraziamo loro per gli esempi che ci danno. La loro serenità e contentezza è per noi il miglio ringraziamento.
Anna, Pietro, Paola, Michele e Aurora»
Il gruppo era stato formato cinque anni prima nel 1982 (anno dedicato all'anziano) suggerito dal vescovo Ablondi. I gruppi parrocchiali, partecipavano, poi agli incontri diocesani. Il gruppo formato da una decina di persone era animato da alcuni giovani che chiesero l'aiuto di un adulto, io
parroci, e fu per tutti una grande prova di maturità e di fede. Nel 1995 ci fu invece un campeggio non propriamente parrocchiale, sebbene promosso e organizzato dai giovani di allora, fu un atto d'indipendenza e di emancipazione notevole ma soprattutto, il tema prescelto fu sicuramente profetico: la sobrietà come stile di vita. Mi pare, col senno di poi, che anticipammo notevolmente i tempi di un fermento culturale intorno al tema della giustizia e dell'ambiente; in particolare vi era già la consapevolezza della necessità di adeguare il nostro stile di vita (la testimonianza di vita) secondo valori esaltati dalla cristianità: giustizia (chiesa dei poveri), ambiente (salvaguardia del creato), l'importanza della testimonianza dei singoli (con il propriostile di vita) e dell'azione pubblica (la politica dal basso). Da lì ognuno partì per strade assai diverse, il contesto parrocchiale non riusciva più a concepire un'esperienza comunitaria reimpostata sulla base delle emergenze sociali, per quanto già allora evidenti. Persisteva (e purtroppo persiste ancora) l'idea di una
che ho sempre avuto la vocazione per gli anziani, che non considero ma i vecchi, accettai e dal 1986 due volte al mese, escluso i mesi estivi, riunisco il gruppo: Pietro e Paola si sono sposati, e sono attivi nella parrocchia di San Benedetto, Aurora e Michele hanno lasciato. Io ringrazio Anna Giulia Torri e Anna Trimboli, che mi aiutano. Da quando è stato scritto l'articolo dell'87 sono decedute 53 persone, che io ricordo con tanto affetto una per una come le vedessi ora. Il gruppo
comunità ‘astrusa’ dalla realtà, quasi un rifugio. Dove la cristianità viene implementata con i ‘servizi comunitari da svolgere’ anziché offrire il luogo del culto e di legami veri per avere la forza di essere davvero, insieme, lievito nel mondo».
Quanti climi differenti abbiamo incontrato in quegli anni, quanti paesaggi inesplorati abbiamo penetrato e quanti ne abbiamo solo sfiorato, con l'orizzonte che ce ne faceva immaginare molti altri… Rotte incrociate con molte imbarcazioni, contatti pensati, programmati, infine stabiliti, fosse anche solo segnalati tramite bandiere; era la ricerca del dialogo e della maturità, forse non sempre consapevole, certamente presente perché ispirata da quello stesso soffio che ci aiutava nella navigazione.
era arrivato ad avere più di 40 persone che partecipavano, ma ora è diminuito, alcune persone sono allettate, ma non abbiamo perso i contatti, alle nostre riunioni ora partecipano dalle 20 alle 24 persone. Le tombole, i giochini, le ricette, i consigli pratici non si sono più fatti perché le partecipanti preferiscono, dopo la merenda, pregare. Vorrei dire ai parrocchiani di venire per stare insieme a noi. Vi aspettiamo. ANNA M. SALTINI IN GAUDIO
Sopra, il gruppo
della Terza Età il 23 giugno 1990
Pagina a fianco,
don Carlo Certosino er breve tempo da seminarista a S. Agostino (‘95’96) Sotto, i giovani di S. Agostino in campeggio sul Monte Amiata nel 1999
Quante rive o moli ha toccato la «Nave Giovani»? Impossibile dirlo: i cuori, le vicende, le storie di molti si sono incrociate ed hanno lasciato solo segni sulla superficie marina, o sul lido di qualche spiaggia, destinati ad essere cancellati dal moto incessante delle onde; eppure Qualcuno conosce i frutti di questo navigare, Qualcuno ha pensato, Qualcuno ha voluto che prendessimo il largo, ed è nella libertà di ciascuno ad essere docili al vento dello Spirito che sta l'incontro di tutti nella comunità cristiana, corpo mistico di Cristo, luogo che dà sapore all'esistenza.
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ANNI ‘90: RINASCE L’AZIONE CATTOLICA Oggi è necessario un esame di coscienza personale e collettivo. Perché molto è crollato in parrocchia? Dopo anni di buio negli anni ‘80 rinacque in parrocchia l’Azione Cattolica. Quale verifica, quale bilancio è possibile fare dopo venti anni? (di LUANO FATTORINI)
V Sopra Luano Fattorni
Nella foto grande è
accanto a monsignor Vincenzo Savio e Mario Lumetti durante il Sinodo diocesano dei giovani degli anni ‘90
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olendo offrire un contributo a proposito dell'Azione Cattolica parrocchiale, ripropongo volentieri, perché mi pare significativo, e materia di verifica attuale, un mio articolo che comparve su Noi Insieme nel maggio 1989, circa un anno dopo la ricostituzione dell'Azione Cattolica a S.Agostino, promossa dal sottoscritto, dopo parecchi anni di inspiegabile eclissi. Infatti l'Azione Cattolica a S.Agostino c'era fin dall'inizio della parrocchia ma , sul finire degli anni ‘70, andò esaurendosi fino a chiudere i battenti, nonostante avesse dato frutti copiosi, nonostante la sua indimenticabile e meritoria opera di collaborazione col Parroco e di sostegno al difficile e decisivo avvio della parrocchia e della sua missione pastorale, collaborazione e sostegno realizzati grazie all'azione indefessa di tanti laici di AC tra cui personaggi importanti della sua storia (e della storia della chiesa e della città di Livorno) come
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Dino Lugetti, Iride Bastianini Rossi, Tonelli, Solari, Ghezzani, e tanti, tanti altri… Purtroppo, di quella storia, ormai lontana, pur conoscendo molti personaggi, non sono in grado di relazionare, essendo venuto ad abitare nel quartiere «solo» sul finire del 1985. Posso ricordare e testimoniare, quindi, alcune cose solo a partire da alcuni anni dopo l'85… Ecco l'articolo di quel tempo :
PERCHÉ UN GRUPPO DI AZIONE CATTOLICA A S. AGOSTINO? (Noi Insieme, 6 maggio 1989) Come già comunicato in un precedente numero del giornale, si è recentemente (ri)costituita in Parrocchia una Associazione di Azione Cattolica. La nascita (o «rinascita» in tempi profondamente mutati) di tale Associazione fa sorgere naturalmente alcune domande e alcune riflessioni. Ferma restando la «sacra» libertà di pensiero e di associazione nella Chiesa
(ovviamente nel rispetto dell'ortodossia e della ecclesialità), vien da chiedersi: perché un altro gruppo, in aggiunta ai tanti (forse troppi) gruppi che già esistono in Parrocchia? Non si sovraccarica ulteriormente l'impegno delle persone e, al limite, l'utilizzo delle strutture, invece di ridurre, come sarebbe necessario, lo «spreco di risorse» (di energie umane e di tempo) per mirare con più efficacia e determinatezza all'essenziale? E poi, in fondo, ma cos'è l'Azione Cattolica, se non una «vecchia signora» della storia ecclesiale italiana? Tutte queste domande ed altre ancora sono perfettamente legittime, e i fondatori del nuovo gruppo se lo sono naturalmente poste. Anzi, è proprio ragionando sui problemi generali della parrocchia che alcune persone hanno sentito la necessità di trovarsi fino a costituire un preciso punto di riferimento «strutturato» quasi a garanzia della continuità e della speranza. I punti principali che giustificano ed anzi caratterizzano oggi la presenza dell'Azione Cattolica sono fondamentalmente due: 1. La necessità di formare un laicato maturo, all'altezza dei tempi, non «bigotto», capace di discernimento in una società sempre più complessa, pronto perché «attrezzato» spiritualmente e culturalmente alla meravigliosa avventura della corresponsabilità nella chiesa e nel mondo, dotato di piena libertà di coscienza ma con una viva memoria
storica ed un profondo radicamento ecclesiale, innamorato della vita e del popolo livornese a cui appartiene. Un tale tipo di formazione, iniziato e continuamente perseguito nel comune cammino parrocchiale e diocesano insieme a tutti i cristiani e mediante gli strumenti e le occasioni comuni, richiede tuttavia per certe persone momenti di più approfondita ricerca, spirituale, culturale, personale e comunitaria. E richiede soprattutto un'esperienza continuativa di vita associata, di collegamenti intradiocesani e nazionali, tali da formare delle coscienze consapevoli dei valori e disvalori in gioco, consapevoli delle grandi problematiche che si agitano nella collettività e nella chiesa italiana, un po' al di là dei ristretti orizzonti che alla fine finiscono per far deperire gli slanci apostolici, che possono far persino morire le vocazioni e i ministeri, specie quelli laicali. 2. La necessità che esista, tra tanti gruppi sorti sulla base di interessi particolari (età, carità, liturgia, giornale, «il sabato», il catechismo, «attenzione a», ecc…), un gruppo di persone che Non un la vocazio«doppione» abbiano ne e lo spirito di ma un umile pensare all'interesse generale della gruppo di parrocchia, pur condivisione continuando magari a curare l'interese di se particolare che già premeva. È proposta doveroso obiettare al servizio che questo «interesse generale» è del «fine già curato, oltre apostolico» che dai sacerdoti, da un gruppo sicuramente più rappresentativo e «istituzionale» qual è appunto il Consiglio Pastorale parrocchiale. E l'obiezione è giusta. Lungi quindi dall'immaginare una sorta di «doppione», l'Azione Cattolica intende piuttosto collocarsi come umile gruppo di condivisione e di proposta al servizio del «fine apostolico» della comunità, al servizio dei Sacerdoti e del Consiglio pastorale, favorendone e magari stimolandone il funzionamento, la capacità di elaborazione e di coinvolgimento, la carica profetica. Così come vorrebbe aiutare tutta la comunità nel necessario sforzo di discernimento dei carismi che al suo interno suscita continuamente lo Spirito, e dei «segni» presenti e a volte non riconosciuti nella piccola grande storia del nostro territorio che forse ci indicherebbero le strade di sempre nuove forme di missionarietà
Sopra, un
momento dell’assemblea parrocchiale del 1993 e una foto del campeggio adulti ragazzi di Colfiorito dell’agosto 1991
Sotto, GIANFREDO TIRELLA, ha donato il suo impegno alla vita della parrocchia in molti modi, ed è stato tra l’altro presidente dell’Azione Cattolica parrocchiale negli anni ‘90
parrocchiale. L'Azione Cattolica sa bene che tutto ciò è compito della comunità ecclesiale nel suo insieme; ma è proprio per questo, per rendere sempre più viva e vitale una tale tensione apostolica e pastorale, che essa vorrebbe portare un suo specifico contributo associativo (quindi non di una persona singola, ma di un gruppo intero) al lavoro di elaborazione e di azione degli organi dei deputati agli interessi generali della parrocchia e della diocesi. Tale contributo potrebbe essere un contributo di preghiera, di pensiero e di azione in ordine agli obiettivi generali, in ordine per esempio ad una maggiore comunione tra cristiani e tra gruppi nella parrocchia, in ordine alla missione della parrocchia sul suo territorio. Potrebbe talvolta essere un contributo di coscienza critica, talvolta un servizio di uomini, talvolta un contributo di proposte o di progetti operativi. Tutti contributi che possono nascere da un impegno associativo «strutturato» e metodico, con maggiori garanzie quindi di continuità, di formazione al
servizio della globalità, di collegamenti vivificanti tra persone con questa specifica vocazione, adulti, giovani, ragazzi. L'impresa non è facile. Le intenzioni sono buone. Chi legge preghi per le nostre buone intenzioni. E perché le vocazioni di questo tipo siano riconosciute e possano unirsi a noi in questa «singolare forma di ministerialità laicale», in questa forma associata di impegno che il Concilio stesso ha definito «di Azione Cattolica» (Apostolicam Actuositatem) così come l'ultima recentissima Esortazione Apostolica di Giovanni Paolo II («Christifideles Laici», 31). Così fu proposta al parroco Don Betti e alla comunità parrocchiale, così avvenne la (ri)costituzione dell'Azione cattolica a S.Agostino, con entusiasmo e con obiettivi nuovi (e con lo Statuto nuovo di Vittorio Bachelet) rispetto a quelli coi quali era esistita e per i quali fu ritenuto opportuno sopprimerla molti anni prima. La sua rinascita, pur accettata dal parroco, ha sempre rappresentato tuttavia un problema per i già «strutturati» nella comunità che vedevano in lei non tanto un aiuto e una nuova opportunità per i parrocchiani, ma il pericolo di alimentare un pluralismo che era ritenuto deleterio perché si temeva disperdesse le risorse disponibili, dividesse le persone e quindi compromettesse l'unità parrocchiale e la compattezza della organizzazione vigente. Nella fatica e nella gioia, questa
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associazione parrocchiale ha dato vita, come nelle intenzioni dei fondatori, a un cammino meraviglioso, per chi l'ha sperimentato, di esperienza di chiesa, contribuendo alla crescita dell'intera parrocchia e della diocesi. Numerose sono stati i contributi di essa alla vita parrocchiale, dal rinnovamento della catechesi dei ragazzi, che ha coinvolto i genitori e tenta ancora di passare da catechesi «scolastica» e di prima comunione a catechesi esperienziale, al consiglio pastorale, da lei ricostituito su basi nuove e più ampie dopo che si era andato esaurendo fino alla cessazione. Ma numerosi anche i contributi a livello diocesano, come le persone uscite dal suo seno, che hanno animato e animano tuttora molte realtà diocesane e cittadine. L' associazione parrocchiale AC di S.Agostino sembra sostenere ormai, con la sua pur ridotta energia Sopra, e con la sua storia, Umberto tutta l'azione catLenzini, anche tolica diocesana, lui impegnato in Ac in parrocchia in questo tempo negli anni ‘90 difficile, tempo di scarsa vitalità e talvolta di oblìo. Ci sarebbe allora da chiedersi, in questo anniversario della parrocchia e a venti anni dalla ri-fondazione dell'AC parrocchiale: fu giusto ricostituire, allora, l'azione cattolica in parrocchia, pur tra tante perplessità? E perché tante perplessità, a quel tempo, di fronte ad una buona e chiara volontà, di fronte alle buone intenzioni di alcuni, di fronte alle chiare indicazioni della Chiesa (Concilio, A.A., esortazioni dei Vescovi italiani, ecc..)? Quale verifica dunque, quale bilancio dopo venti anni ? Un esame di coscienza s'impone, personale e collettivo. E l'esame di coscienza s'impone anche per l'azione cattolica: come mai, da qualche anno, tutto è crollato in parrocchia: dal numeroso gruppo giovanile, a Noi insieme, al campino, alla vita parrocchiale, rigogliosa fino a dieci anni fa ? Non fu forse per aiutare e vivificare che (ri)nacque l'azione cattolica? E per di più, non (ri)nacque, provvidenzialmente, per tempo? Come mai è invece rimasta, ad oggi, sola ed esangue? Qual è il virus, nell'Ac oltreché nella parrocchia? 90
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L’Azione Cattolica e la parrocchia di S. Agostino
QUI SOPRA L’Azione Cattolica Ragazzi si riunisce nello «scantinato» di S. Agostino. La foto è del 1993 A DESTRA Prime Comunioni dell’ottobre 1986
Essere un fiume e cercare Negli anni ‘90 aver accolto di nuovo questa associazione in parrocchia ha mostrato,
E'
difficile - e nello stesso tempo stimolante - scrivere qualcosa sulla mia esperienza nella Parrocchia di Sant'Agostino. Perché mi accorgo che lì sono le mie radici, che anche ora riaffiorano nei tanti volti, incontri, pensieri, luoghi creduti sotterrati ma invece ancora vivi e reali. In modo particolare mi è stato chiesto di dire qualcosa da un punto di vista preciso, quello di iscritto all'Azione Cattolica Italiana. E questa presenza associativa nella Parrocchia di Sant'Agostino ma ancor prima nella mia vita - è stata certamente un fatto nuovo. Un fatto nuovo che inevitabilmente al suo inizio si presentò come provocante diversità in una realtà parrocchiale dove tutto
era già ben strutturato (tanti giovani, tanti catechisti, tanti gruppi e di varie età) e perciò portatrice del rischio insito nelle cose sconosciute di non essere vista come fattore di arricchimento ma di ostacolo all'armonia comunitaria. Che bisogno c'era di un altro gruppo? E per di più di una sigla che sembrava mettersi in contrapposizione, di essere altro da quella parola che rappresentava tutto e tutti, cioè «parrocchia»? E anche nella mia vita di giovane frequentante la parrocchia, già occupato e impegnato in essa, che bisogno c'era di un impegno in più, di mettere un nome a ciò che forse facevo già? Per me l'adesione all'ACI non è stato un aderire ad una sigla, ma un SI che mi ha fatto entrare in un fiume di relazioni, persone, esperienze, riflessioni nuove, che mi ha allargato l'orizzonte e fatto intravedere e a volte pregustare la bellezza del Mare, la Chiesa di Gesù Cristo, a cui ogni fiume deve tendere e portare la sua acqua se non vuole morire. Per la parrocchia di Sant'Agostino l'aver accolto questa associazione ecclesiale di laici credo abbia innescato un movimento positivo che pur nelle difficoltà e incomprensioni - ha mostrato un altro tratto del
il mare. L’AC in parrocchia pur nelle incomprensioni, un altro tratto della comunità: la pluralità volto della comunità, quello della pluralità. Questo perché ha portato la comunità intera non solo a riflettere su se stessa come all'insieme dei singoli credenti in Gesù , ma a sperimentare il suo essere corpo di Gesù secondo la visione «organica» di San Paolo, un modo di essere facilmente predicato ma che sicuramente nella prassi richiede uno sforzo supplementare di comunione. Parlare di parte, di parzialità in ambito ecclesiale non è tradire l'unità a cui siamo chiamati ma credere che l'Unico Spirito soffia dove vuole e suscita diversità di vocazioni, di ministeri, di carismi che la comunità è chiamata riconoscere e valorizzare . Ed il modo di essere dell'ACI nella Chiesa è un modo che non può essere di tutti - pena la sterile uniformità - ma un sentiero per rispondere alla universale chiamata all'incontro con Gesù e la sua Chiesa… attraverso una scelta associata con regole e modalità scritte. Ma come le singole membra non hanno vita e senso fuori del corpo,
così anche per l'Azione Cattolica ciò che interessa è la Chiesa ed il favorirne un sua concreta esperienza, è partecipare al comune banchetto che si celebra nell'Eucarestia ma che si incarna poi nel sentirsi responsabili nella vita comunitaria ordinaria, che certamente vede un suo momento privilegiato - ma non esclusivo - negli spazi e nella realtà parrocchiale. E nello spirito di aiutare il cammino della parrocchia va inserita la proposta che l'intera ACI parrocchiale fece ai bambini e alle famiglie nel proporre loro l'esperienza dell'ACR…. Ed è qui che la mia vita si incontra con la parrocchia in modo nuovo, perché accettai di percorrere in prima persona questa strada per me inesplorata. Ma niente sarebbe potuto succedere se fossi rimasto solo, se non fosse nato anche un gruppo di educatori… un gruppo di persone che si rendessero liberamente disponibili a questo servizio ricevendo come dono inaspettato un'amicizia che ha permesso di realizzare questa stessa
Sopra,
Alessandro Morelli durante un’incontro in parrocchia negli anni ‘90.
A sinistra:
un momento del campeggio Adulti Ragazzi a Casone del Monte dell’agosto 1989 insieme a don Italo Caciagli.
Nell’altra pagina: un’immagine di don Luciano nel giorno dell’Immisione nell’ottobre 1994
esperienza e di scoprire dei talenti forse altrimenti rimasti nascosti . Scegliere di entrare nella catechesi significava - e significa ancora entrare dentro uno dei gangli fondamentali di tutta la pastorale perché è la trasmissione di quanto di più prezioso ha la Chiesa, la sua fede in Gesù; e rivolgersi ai bambini e ai giovani indubbiamente significava occuparsi delle età al centro delle maggiori attenzioni della parrocchia. Certamente l'appartenenza associativa di noi educatori ci dava strumenti in più, occasioni di apertura in più, momenti di confronto in più rispetto a coloro che non ne facevano parte… ma solo un di più che era per noi nello stesso tempo sorgente a cui abbeverarsi. Da questo e in questo contesto associativo nacque la proposta di cammino di catechesi secondo la scelta esperienziale dell'ACR che feci al parroco don Betti, che presentai poi al Consiglio parrocchiale, al gruppo dei catechisti, alle famiglie di allora. A quel tempo l'Iniziazione Cristiana era incentrata su una catechesi che ricalcava i tempi e le modalità scolastiche, nonché una frequenza legata alla partecipazione alla messa domenicale. La proposta che spiegammo e tentammo poi di realizzare - che non significava migliore ma solo «Appartenere che offriva una modalità di avvi- all’AC dava cinamento al Signore diversa - a noi fu quella di pun- educatori tare sull'esperienza di gruppo, strumenti in cui il momento dell'incontro in più, non fosse la occasioni lezione di catechismo, in cui la di apertura Messa non fosse l'obbligo dome- in più, nicale, in cui il momenti luogo non richiamasse l'au- di confronto la scolastica, in cui parlare di in più» Dio non fossero semplici nozioni da acquisire. Tutto questo per tradurre in una esperienza di vita a misura dei ragazzi la riflessione di tutta la Chiesa laddove già parlava di una fede che parlasse alla vita, di una Comunità che richiamasse il senso di una famiglia e di un Dio che si facesse vicino e amico … fin da bambino. Da questa tensione nacque nel «campino» un percorso nuovo,
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durante la settimana, in cui il gioco non era altro dalla catechesi, una parentesi tra le cose serie, ma era il luogo privilegiato in cui il Signore poteva incontrare i bambini. La sfida era stare con i ragazzi e fare tutto pensando e parlando del Signore e della Sua Chiesa, trasmettere loro prima di tutto una gioia e una passione che si tradusse nei campeggi parrocchiali, diocesani, nell'inventare sempre iniziative nuove, nell'invitare ad appuntamenti oltre i confini del gruppo e della parrocchia, nel coinvolgere in questo anche i genitori e l'associazione parrocchiale. Accanto a questo rivedo però anche i limiti, i peccati, le delusioni, gli errori che certamente non potevano mancare ma che non sono passati invano perché almeno hanno Sopra, aumentato il Un gruppo di chierichetti bagaglio di espenel 1994 rienza, di riflessione e di maturazione in ciascuno di noi. In fondo questa esperienza in mezzo ai bambini, come tutta l'esperienza associativa, altro non ha fatto che aprire strade senza mai chiudere porte e sottolineare - nella sua parzialità un avverbio tipico dell'essere comunità, insieme. Insieme ci si esercita a pensare, a pregare, a decidere, ad agire; insieme non solo tra simili magari perché abbiamo la stessa età - ma perché ci interessa ogni persona; insieme ci interroghiamo sulle persone che meglio possono aiutare il cammino di tutti. In questo orizzonte gli organi associativi, le cariche elettive, lo statuto con i suoi articoli non sono sovrastrutture formali ma una forma di partecipazione attiva e responsabile che nel tempo forma ad uno stile di camminare, di vedere e vivere la fede e la Chiesa. Non spetta all'Azione Cattolica raccogliere i frutti, né tanto meno dire se questa esperienza è servita alla maturazione di altre novità nella Parrocchia di Sant'Agostino. L'importante è essere in un fiume, è cercare il Mare. Allora sì che ne vale la pena … come per me e per altri. ALESSANDRO MORELLI
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A FIANCO DI DON BETTI E DON LUCIANO
Don Mario Girardi e don Carlo Leoni. Collaboratori preziosi Due sacerdoti a servizio della comunità parrocchiale
D
on Mario Girardi grande umiltà con la arrivò a S. Agostino quale diede aiuto a don nel 1991 a dar man Betti nella celebrazioni forte a don Betti e a eucaristiche, nelle condon Italo. fessioni e negli ultimi Don Mario aveva già tempi anche nella cateprestato il suo servizio chesi degli adulti. Morì presso le parrocchie di a 72 anni nel giugno S.Giuseppe, S.Teresa a 1998. Rosignano, Per qualche Santa Lucia, tempo, nel Rosario e corso degli soprattutto anni ‘90, ha aveva passato prestato il tutta una vita suo servizio a insegnare a S. religione Agostino nelle scuole anche don (al Vespucci Carlo Leoni. Figura carisoprattutto) e smatica catechismo ai fondatore bambini. Due nel 1979 del importanti C e n t r o servizi a cui Mondialilità Ablondi Sviluppo diede grande Reciproco riconosciSopra, don in parrocmento nomiMario Girardi e chia ha colnadolo diretdon Carlo Leoni laborato con tore diocesaSotto, Emiliano don Luciano no prima Paoli. Era molto per le celedell’Ufficio impegnato in parrocchia come brazioni Catechistico catechista e meteucarestie poi tendo a servizio che, le condell’Ufficio la sua passione per il canto e la fessioni e la Scuola. chitarra. Morì a direzione A S. Agostino 25 anni in un traspirituale dei molti ricordagico incidente il 13 novembre ‘97 giovani no la sua
CIAO EMILIANO!
La sacrestia a un po' di tempo nella sacre«D stia fervono i lavori... cosa sta succedendo?». Così scriveva don Luciano sul foglio parrocchiale del 20 ottobre 1996. Cominciavano infatti in quei giorni i lavori per l’adeguamento della vecchia sacrestia a Cappellina feriale. Ecco come don Luciano spiegava l’iniziativa: «Avevamo iniziato con l'imbiancare per poi pensare ad un diverso utilizzo e infine una trasformazione strutturale della ‘sacrestia’. Una volta sgombrata la stanza dai mobili, è parsa talmente grande da poterla utilizzare come cappellina feriale, da prima ‘rimediando’ un tavolino ed alcune suppellettili necessarie, poi invece si è passati all'idea di dare alla stanza una struttura che rendesse più evidente il senso della cappella e del luogo
LA NUOVA VIA CRUCIS. Nella cronaca di don Betti si legge: «14 aprile 1992: Quest'anno il consueto incontro con il Vescovo per la sera del Martedì Santo, ha avuto uno svolgimento particolare e di straordinario interesse: alle ore 21.15 è stata inaugurata la nuova via Crucis (nuova anche secondo i temi delle singole stazioni che si riferiscono tutti ad episodi evangelici) in terra cotta, opera del nostro
MAGGIO 1997
La lettera di Ablondi per il Quarantesimo
diventa Cappellina feriale di preghiera. Sono state buttate giù delle idee, fatto qualche disegno e poi l'inizio della realizzazione in cartongesso. I lavori sono andati più alle lunghe del previsto, non perché abbiamo intenzione di costruire una ‘basilica di san Pietro’, ma semplicemente perché tutto si sta realizzando con la buona volontà di alcuni, a scappatempo». Ma perché una cappellina: «L'idea della cappellina feriale - si legge dovrebbe andare incontro a due idee, una pratica ed una un po' meno. La prima è il risparmio del
Foto sopra, a sinistra, festa del
25° della consacrazione della chiesa nel 1993. Al megafono: Mario Fiordaliso a destra sopra, assemblea parrocchiale 1993 sotto, giovani a Monte Sagro nel 1993
DONO DELL’ARCHITETTO MORELLI parrocchiano Architetto Pierluigi Morelli che l'ha offerta alla parrocchia. (Gli sono state rimborsate soltanto le spese per i pannelli in legno e per la cottura delle quattordici formelle). Monsignor Vescovo oltre a complimentarsi per l'Opera tanto ben riuscita ed espressiva in tutte le singole parti, ha tenuto una profonda ed allettante meditazione sulle varie stazioni»
riscaldamento e dell'energia elettrica.... e la seconda per rendere la celebrazione feriale più partecipata: infatti saremo riuniti intorno all'altare in una stanza più piccola, a portata di voce, piuttosto che sparsi per tutta la chiesa, con l'impianto microfonico, il rimbombo, i rumori esterni, ecc. Anche quando i gruppi faranno incontri di preghiera e riflessione potranno trovare nella cappellina un ambiente più raccolto. Facendo alcune prove ed un conto approssimativo la capienza della cappellina dovrebbe arrivare fino a una quarantina di persone (la media dei partecipanti alle messe feriali non supera i 20), utilizzando parte delle panche e parte delle sedie, che per il momento saranno sottratte dalla chiesa. Quando viene a costare il lavoro? Andando avanti così, alla giornata, non è possibile fare un preventivo dei costi, l'importante è sapere però che la realizzazione della cappellina non peserà sul bilancio della parrocchia in quanto don Luciano si è accollato personalmente tutta la spesa utilizzando allo scopo le offerte delle Messe che di norma sono riservate al sacerdote celebrante».
Carissimo don Luciano, so che state celebrando il 40° della Parrocchia. Non ho visto i momenti iniziali, ma ho constatato la costante crescita di una parrocchia nell'affiatamento, nella testimonianza, soprattutto nelle vocazioni che ha espresso. Quarant'anni sono quindi un moti vo, da una parte, per guardare al passato e ringraziare il Signore dei tanti doni che ha offerto attraverso i Parroci, i Preti, i collaboratori, i laici e le religiose; d'altra parte quarant'anni significa anche che la Parrocchia è chiamata ad affrontare un mondo nuovo, Direi perciò che l'augurio più consistente che possa rivolgere ad una Comunità Parrocchiale è quello di guardare al presente ed al futuro con senso di responsabilità, di inventiva e perciò di illuminante preghiera. Se dovessi affidare alla Parrocchia un orientamento, le consiglierei il testo dei due Sinodi; tanto più che il Sinodo dei Giovani è rivolto non tanto ai giovani quanto all'uomo di domani. Credo proprio che attraverso di esso si aprono quegli orizzonti nei quali la Parrocchia deve sintonizzarsi con la vita diocesana e deve arricchire se stessa ma anche le Parrocchie vicine e fare giungere la sua esperienza costruttiva attraverso la Chiesa Diocesana alla Chiesa Universale. Con questo augurio saluto il Parroco, don Mario e quanti hanno collaborato nel passato chiedendo a tutti una presenza partecipante alla vita parrocchiale in modo che diventi apporto necessario alla vitalità della Chiesa. Un particolare, affettuoso ricordo a Don Betti che dei 50 di sacerdozio, tanti ne ha offerti alla Parrocchia di S. Agostino. + ALBERTO, VESCOVO
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2000 verso il futuro 94
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
«G
RAZIE per la fatica, le difficoltà, perfino le litigate che hai avuto al servizio della Chiesa nel territorio Fabbricotti. GRAZIE per le intuizioni cariche di speranza, le buone omelie, i progetti creativi e la pazienza che hai saputo mettere nelle attività quotidiane. Adesso ti aspettano nuove sfide, con orizzonti molto più ampi, del resto la tua esperienza te lo può consentire. Pregheremo affinché il tuo nuovo servizio sia vissuto con entusiasmo e soprattutto carico di speranza nella Speranza». Con queste parole di gratitudine alcuni parrocchiani scrivevano a don Luciano Cantini nei giorni dell’ottobre 2006 in cui lasciava la guida di S. Agostino per il nuovo importante impegno di livello nazionale che lo attendeva a Roma nell’Ufficio per la Pastorale dei Fieranti e dei Circensi. In diocesi gli anni 2000 erano iniziati sotto il segno del cambiamento. Dopo 30 intensissimi anni di episcopato (e 4 da ausiliare) il 9 dicembre 2000 monsignor Ablondi consegnava la guida della chiesa livornese nelle mani di monsignor Diego Coletti (foto sotto), il quale nell’ottobre 2005 ebbe modo di visitare per un’intera settimana la parrocchia di S. Agostino. Coletti aveva infatti inaugurato nell’ottobre 2003 un lungo e fruttuoso percorso di visite pastorali che lo portò a conoscere in poco meno di tre anni tutte le comunità parrocchiali della diocesi. Al termine della visita a S. Agostino don Luciano gli scriveva: «abbiamo percepito - uso il plurale perché ne ho parlato con molti in parrocchia - la visita più come un sostegno ‘conferma nella fede’ della comunità parrocchiale che come una sorta di verifica. Non a caso, nella celebrazione conclusiva, ho parlato dello ‘svolazzare’ dello Spirito Santo». E Coletti stesso nella sua lettera alla Comunità parrocchiale manifestava tutta la sua gratitudine. «Voglio segnalare a tutti voi - scrisse il Vescovo - l’esperienza globalmente positiva vissuta in questi giorni di incontri, di preghiera, di scambio, di riflessione fraterna, su ciò che ci sta a cuore e per incoraggiarvi a camminare, con fiducia nella vostra e nostra missione di testimoni di Gesù risorto, vera speranza del mondo, capace di non deludere, anzi di trascendere fortemente tutte le nostre attese». «Desidero anzitutto comunicarvi - continuava Coletti - l’impressione della presenza in comunità di tante energie, disponibilità, risorse personali e strutturali che sono dei veri e propri talenti dei quali la parrocchia deve garantire la massima fecondità apostolica» Esattamente un anno dopo la visita di Coletti la comunità di S. Agostino accoglieva dunque il suo nuovo parroco. A raccogliere il testimone di don Luciano era don Vittorio Vital, parroco di S. Jacopo da 22 anni. Un anno molto intenso, segnato a fuoco dalla grande testimonianza di fede nella sofferenza di don Vittorio, colpito dopo appena un mese dal suo arrivo da una terribile malattia che lo ha condotto tra le braccia del Padre nel novembre 2007. Ma la storia di questi anni è troppo fresca per essere raccontata con il dovuto distacco. Oggi la parrocchia è in una fase di transizione. A condurre momentaneamente l’attività pastorale è don Gigi Zoppi con la collaborazione di padre Andrea Conti e don Didier Okito. E allora con l’arrivo del nuovo vescovo monsignor Simone Giusti nel dicembre 2007 e nell’attesa del nuovo parroco in queste ultime pagine proponiamo alcune riflessioni dei parrocchiani. Riflessioni che guardano al futuro con un occhio ben fisso su ciò che si è stati e su ciò che potremmo essere. Don Gigi ha avuto la bella intuizione di organizzare una serie di eventi per vivere al meglio i 40 anni della consacrazione della chiesa e i 50 dalla fondazione della parrocchia. Nella recente visita pastorale del vescovo Giusti il 27-28 aprile scorso spiegava che l’iniziativa è nata dal desiderio di un «ritorno alle origini, riscoperta delle testimonianze, delle risorse, dei problemi, degli ideali». E dalla voglia di «un rilancio per il futuro». A leggere le testimonianze che seguono si avverte tutto il desiderio di buttarsi con nuovi stimoli, nuove passioni e nuove emozioni verso il prossimo cinquantennio della parrocchia. CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
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QUALE CARITAS PARROCCHIALE? E’ possibile che le povertà del 2008 siano le stesse del 1958? Perché la «delega» totale a poche persone? Come mai manca l’attenzione ai problemi del prossimo? L’intervento proposto da Mauro Nobili alla comunità durante il mese di festeggiamenti per il Cinquantennio della parrocchia. «E’ necessario attivare la fantasia della carità e individuare alcune linee sulle quali tracciare il progetto della Caritas» (di MAURO NOBILI)
rima di tutto, mi sembra corretto Pil perché motivare questo mio intervento e sia stato affidato proprio a me.
Sopra Laura Nobili
Nella foto grande il
vescovo Giusti durante la sua prima visita alla Caritas diocesana il 3 dicembre 2007
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IL COMPITO Alla luce del lavoro storico che la comunità sta facendo in occasione del cinquantesimo, mi è stato chiesto di proporre alcune piste di lavoro sul modo di concretizzare la testimonianza della Carità di questa comunità parrocchiale; cioè come vivere in modo adeguato ai nostri tempi quella dimensione costitutiva di ogni cristiano e della comunità tutta insieme che è la «Carità». Come ha affermato Benedetto XVI nella sua enciclica «Deus caritas est», al n. 20: «L'amore del prossimo radicato nell'amore di Dio è anzitutto un compito per ogni singolo fedele, ma è anche un compito per l'intera comunità ecclesiale, e questo a tutti i suoi livelli: dalla comunità locale
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alla Chiesa particolare fino alla livornese. E' soprattutto per questo Chiesa universale nella sua globali- mandato e l'esperienza maturata in tà. Anche la Chiesa in quanto questi quattro anni che cercherò di provocare la riflessione comunità deve praticare su questo tema. l'amore». Quale CON QUALI STRUMENTI PERCHÉ È STATO CHIESTO Caritas per Il primo strumento è una A ME il domani? serie di «foto», per così Il primo motivo credo sia dire, scattate a partire la presenza ormai trenten- Guardiamo dal 1958 da due autentinale mia e di mia moglie ci pionieri della carità e Laura in questa parroc- a Gesù, alla chia; una presenza che si è parola della che ci sono state mostrate domenica scorsa. sempre concretizzata in In questa serie di foto una costante disponibilità Chiesa, del abbiamo potuto vedere per i servizi che volta per un discreto numero di volta ci sono stati richiesti. Papa, dei uomini e donne impeIl secondo motivo è che Vescovi gnati in vari servizi o verso la fine del 2003 il «opere di misericordia», vescovo Coletti ci chiese e dei nostri come si usava definirle di assumere la direzione allora: dell'Ufficio diocesano per Sinodi - portavano sollievo ai la pastorale della Carità, conosciuto anche come Caritas dio- malati, agli anziani e ai bambini cesana. Da quel momento e fino ad residenti in parrocchia; oggi, ci siamo preoccupati di ani- - fornivano aiuti materiali alle mare e promuovere la testimonian- famiglie residenti in parrocchia za della Carità dell'intera chiesa portando a casa dei pacchi di vive-
NADIR dal Marocco «Qui ho trovato un punto di riferimento»
M
i chiamo Nadir sono marocchino di Fez ed ho appena 22 anni e sono immigrato in Italia da 3 anni. L'Italia rappresentava per me una terra bella e piena di tante belle cose: il lavoro, una casa, la possibilità di mandare ai miei genitori ed ai 4 fratelli un po' di soldi per vivere. Ho attraversato il mare con una barca a motore con altri 50 uomini più grandi di me e dalla Spagna alla Francia sono arrivato fino qui con molto sacrificio.
La mia speranza è stata delusa. Sono stato picchiato più volte perché volevano che rubassi o spacciassi, ma non l'ho fatto. Ho trova-
ri, medicinali e vestiario; - facevano raccolte mensili all'ingresso della Messa domenicale; - allestivano e gestivano «l'armadio del povero» dove venivano conservati medicinali, riviste, vestiario, derrate alimentari, ecc. - visitavano periodicamente i carcerati, i ricoverati nei diversi istituti di ricovero per adulti e per i bambini, al Cottolengo di Pisa, ecc... Il secondo strumento è un'altra serie di «foto» scattate però oggi e che ritraggono la nostra Caritas parrocchiale. Come in quelle del 1958, possiamo vedere un gruppo di donne impegnate a svolgere i diversi servizi, ma in numero molto ridotto e da sole, o quasi, senza presenze maschili: - gestiscono e animano ogni Giovedì pomeriggio il Centro di Ascolto durante il quale si ascoltano le persone, si distribuiscono gli aiuti sotto forma di pacchi viveri, vestiario e accessori per bambini, ecc.; - svolgono il servizio periodico alla Mensa serale e festiva della Caritas diocesana; - offrono il servizio docce e colazioni la mattina di tutti i giorni della settimana, esclusa la domenica; - offrono collaborazione e accoglienza all'Ufficio del Lavoro della Caritas diocesana, tutti i giovedì mattina, dove si incrociano le domande e le offerte di lavoro. ALCUNE DOMANDE
Sopra, un
momento della S. Messa con il vescovo Giusti in visita a S. Agostino il 27 aprile 2008
Sotto, Mauro
Nobili durante un incontro in parrocchia nei primi anni ‘90
Confrontando queste due «foto», nascono alcune riflessioni che possono essere trasformate in domande per farci provocare nella riflessione e iniziare a progettare la Caritas di domani: La Caritas di oggi sta facendo più o meno le stesse cose che facevano gli uomini della San Vincenzo e le Dame di Carità nel 1958: È possibile che le povertà del 2008 siano le stesse del 1958? Nella Caritas parrocchiale di oggi ci sono pochi volontari e quasi esclusivamente donne: In un'epoca in cui la gente ha sempre più tempo libero, come mai non cresce il volontariato e coloro che si rendono disponibili sono quasi esclusivamente donne? Come mai l'esercizio della Carità sembra essere una «delega» totale rilasciata a quelle poche persone? Non si svolgono più raccolte mirate per la Caritas e le offerte sono sempre di meno: Come mai manca anche una semplice forma di attenzione/partecipazione/condivisione ai problemi del prossimo, anche se espressa solo come la semplice «elemosina»? QUALE CARITAS PER DOMANI? Per rispondere a questa domanda dovremmo prima di tutto cercare di capire cosa ci dice Gesù in merito. Poi, dovremmo riferirci alla parola della Chiesa, del Papa e dei
to un po' di lavoro a Bologna per qualche tempo ma ora che sono a Livorno da due anni non trovo niente. Non ho amici perché non ho permesso di soggiorno perché non ho lavoro e non mi fido molto dei miei connazionali. A stare tutti insieme può succedere che uno commette un furto o qualche sbaglio e la polizia prende tutto il gruppo e tutti devono pagare, allora preferisco stare da solo e con qualche amico italiano che sia bravo, come vuole mia madre. Dormo in una Panda abbandonata ma da ieri non l'ho più trovata al suo posto ed ora non so come fare. Per fortuna che mi ha chiamato un amico italiano di una Cooperativa di Bologna. Partirò perché riuscirà a farmi lavorare e avere il permesso.
S. Agostino per me è stato un punto di riferimento importante per potermi lavare e cambiare gli abiti e fare colazione. Sono stato accolto con molta gentilezza dalle signore che ci servono ed ho risentito un po' di affetto perché sono molto giovane, ma non possono fare di più, né per me né per tutti gli altri giovani che vengono qui come me e sono una trentina. Mi manca molto mia mamma ed i miei amici, la mia città, ma Allah è grande e mi aiuterà, io non perdo la speranza.
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L’AC A S. AGOSTINO OGGI
Vocazione di alcuni per la crescita di tutti
I gruppi dell’Azione Cattolica ragazzi coinvolgono 40 tra bambini e ragazzi. In parrocchia condividono l’esperienza di Ac 18 adulti e 17 giovani. «E’ importante che la parrocchia sappia riconoscere, promuovere, accogliere e accompagnare tutte le vocazioni e, tra queste, quella dei laici di Azione Cattolica» forma diretta ed immediata verso i pastori e in forma associata: questa è l'Azione Cattolica.
L'AC è dunque l'esperienza di una vocazione di servizio nella Chiesa per l'annuncio del Signore Gesù.
(di ROBERTO PINI)
T
utti gli uomini sono chiamati riconoscere Dio che ci vuole bene. Alcuni uomini, tutti i cristiani, sono chiamati ad annunciare l'esperienza liberante della pace e della gioia di Cristo risorto. Alcuni cristiani, tutti i laici, sono chiamati ad illuminare della luce di Gesù risorto le realtà «temporali»: la famiglia, la professione, il lavoro la politica, l'economia et cetera. Alcuni laici sono chiamati a rendere evidente la comune corresponsabilità nella Chiesa, esercitando particolari servizi e ministeri. Alcuni laici sono chiamati ad esercitare questa collaborazione corresponsabile in
Vescovi (partendo dal Concilio Vaticano II fino alla prima enciclica di Benedetto XVI: «Deus caritas est») e anche ai due Sinodi celebrati dalla Chiesa di Livorno negli ultimi trent'anni. Mentre cercheremo di progettare insieme questo cammino, vorrei proporvi qualcosa di meno recente ma di grande potenza e significato: il testo del numero 50 dell'enciclica di Giovanni Paolo II scritta nel gennaio del 2001, all'inizio del nuovo millennio: «È l'ora di una nuova ‘fantasia della carità’, che si dispieghi non tanto e non solo nell'efficacia dei soccorsi 98
Una vocazione che attraversa in vario modo tutta la vita e la storia della Chiesa fin dalle origini (pensate ad Aquila e Priscilla, collaboratori di Paolo, da lui citati nelle sue lettere e presenti negli Atti) e ha trovato il riconoscimento della sua forma presente nei documenti conciliari e nel magistero dei papi e dei vescovi. Vocazione di alcuni al servizio della crescita di tutti: questa
ACR Il campeggio dell’Azione Cattolica Ragazzi del 2001
«Dobbiamo fare in modo che i poveri, in ogni comunità cristiana, si sentano come a casa loro»
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
è, deve e vuole essere dunque anche l'Azione Cattolica nella comunità parrocchiale di Sant'Agostino. Come si esprime questo servizio? * Con l'impegno alla formazione personale, che si realizza negli incontri settimanali articolati per fasce di età e mensili tutti insieme, alimentati dalla preghiera e da una spiritualità laicale. * Con la tensione educativa che si manifesta in proposte di cammino di gruppo, che cercano di essere attente alle condizioni esistenziali della persona. L'annuncio di Gesù non può infatti configurarsi come un'impersonale dottrina, ma come l'annuncio di
prestati, ma nella capacità di farsi vicini, solidali con chi soffre, così che il gesto di aiuto sia sentito non come obolo umiliante, ma come fraterna condivisione. Dobbiamo per questo fare in modo che i poveri si sentano, in ogni comunità cristiana, come ‘a casa loro’. Non sarebbe, questo stile, la più grande ed efficace presentazione della buona novella del Regno? Senza questa forma di evangelizzazione, compiuta attraverso la carità e la testimonianza della povertà cristiana, l'annuncio del Vangelo, che pur è la prima carità, rischia di essere incompreso o di affogare in quel
una liberazione che tocca le persone nella loro esperienza viva.
Ricordiamo in particolare, per la dimensione dell'impegno, i gruppi dell'ACR, che coinvolgono più di 40 tra bambini e ragazzi, con la presenza costante di una decina di animatori tra adulti, giovani e giovanissimi. E ricordiamo anche gli incontri con i genitori, che abbiamo «inventato», promosso e sostenuto, ma che vivono dell'impegno dei partecipanti nella preparazione e nella realizzazione. Una bella esperienza, che ha costruito tante relazioni significative, una ricchezza a disposizione della crescita della comunità parrocchiale. * Con il promuovere e valoriz-
mare di parole a cui l'odierna società della comunicazione quotidianamente ci espone. La carità delle opere assicura una forza inequivocabile alla carità delle parole». (Novo Millenium ineunte, n.50) ALCUNE LINEE OPERATIVE Si tratta quindi di impegnarci tutti insieme per attivare questa «fantasia della carità» e individuare alcune linee sulle quali tracciare il progetto della Caritas parrocchiale: - la verifica della nostra testimonianza della Carità alla luce della Parola di Dio e del Magistero; - ascolto, osservazione e discerni-
zare la partecipazione dei laici alla vita della comunità, sostenendo con passione l'esistenza del Consiglio Pastorale e senza tirarsi indietro quando si tratta di richiamarci alla necessità di un vero coinvolgimento di tutti. Un esempio di questo è stata certamente la riflessione che abbiamo pubblicamente offerto sull'installazione delle antenne sul nostro campanile. * Con il rendere esplicita la dimensione diocesana e universale della chiesa, sia attraverso le proposte di iniziative diocesane, sia attraverso il servizio diretto che alcuni di noi svolgono al di là della parrocchia. Fanno parte infatti della nostra Associazione parrocchiale il Presidente diocesano dell'Azione Cattolica,
Giulio Sangiacomo, e altri responsabili diocesani (Gianmarco, Mauro, Chiara). Anch'io, pochi giorni fa, sono stato eletto nella Delegazione Regionale, che sostiene l'attività delle Associazioni diocesane della Toscana. * Con l'apertura alla dimensione civile e politica, dove si gioca la nostra responsabilità di laici che agiscono non in nome della Chiesa, ma perché formati nella Chiesa. Alcuni di noi hanno sperimentato l'impegno politico, con assunzioni di responsabilità a diversi livelli. * Con il richiamare costantemente la corresponsabilità di tutti, anche attraverso la fedeltà alla scelta democratica, definita statutariamente per tutta l'Azione Cattolica
mento delle «vecchie» e «nuove» povertà presenti nel nostro territorio; - quali risposte attivare per queste povertà; - come fare in modo che l'intera comunità parrocchiale sia il soggetto autentico della testimonianza della Carità; - come trovare risorse per le opere di Carità; - individuare quale opera-segno può essere attivata e gestita dalla parrocchia in modo da rendere visibile la dimensione della Carità, accanto alla Catechesi e alla Liturgia.
Italiana. Quello che facciamo lo discutiamo insieme e lo votiamo, così come eleggiamo periodicamente i responsabili a tutti i livelli.
Ma quanti siamo a condividere l'avventura dell'AC a Sant'Agostino? Siamo 17 giovani e 18 adulti. Siamo
tanti? Troppi, come dice qualcuno, chissà perché? Siamo pochi, troppo pochi, come talvolta si rammarica chi ha conosciuto altri momenti? Domande sbagliate. L'importante è che siamo tutti quelli che il Signore chiama a questo servizio. L'importante è che la comunità parrocchiale esprima un discernimento vocazionale, che sappia riconoscere, promuovere, accogliere e accompagnare tutte
le vocazioni e, tra queste, quella dei laici di Azione Cattolica. Un augurio, tra i tanti possibili, per i prossimi 50 anni della nostra parrocchia.
Per chi intende condividere il nostro cammino e il nostro servizio, ecco quando ci incontriamo: gli adulti: sabato pomeriggio dalle 16.30 alle 18.00 i giovanissimi, dai 14 ai 18 anni: il martedì dalle 19.00 alle 21.30. i giovani: la domenica dalle 21.00 alle 23.00. i bambini e i ragazzi dai 6 ai 14 anni: il sabato dalle 15.30 alle 17.00. per chi vuol saperne di più:
roberto.pini13@tin.it
AZIONE CATTOLICA
Sopra, giovani dell’ACR, nel 2003 Qui accanto:
educatori ACR nel 2003
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Bimbi e giovani a S. Agostino negli ultimi anni
3 1 e 6 Comunioni 2007 con don Vittorio Vital 2 don Gigi Zoppiclown durante la festa di Carnevale 2008 3 Incontro Interconfessionale di Azione Cattolica nell’ottobre 2007 4 Foto di gruppo ad Amichiamoci 2007 5 Bimbi in maschera durante il Carnevale 2008 nel «campino» di S. Agostino 7 Bimbi a tavola durante la cena del Carnevale 2007 nel Salone «Castellani» in parrocchia
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I percorsi di catechismo oggi
(di ANNA LAURA SIMONINI PINI)
egli ultimi due anni la parrocchia ha visto cambiare tre sacerdoti. Don Luciano Cantini nel seguire la chiamata ad un servizio ai migranti e ai circensi ha lasciato una parrocchia aperta alle istanze dei più bisognosi, con un nutrito gruppo Caritas impegnato quotidianamente nel servizio delle colazioni e delle docce, della distribuzione di alimenti e vestiario, e periodicamente anche al servizio alla mensa diocesana. Nell'ottobre 2006 don Luciano è stato quindi sostituito da don Vittorio Vital. Don Vittorio nel poco tempo che è rimasto nonostante la terribile malattia che ce lo ha portato via dopo solo un anno - ha curato molto l'aspet-
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Tre sacerdoti negli ultimi due anni. Oggi la parrocchia vive una fase di transizione.
«Fatta la Comunione e la Cresima non riusciamo a trasmettere l’entusiasmo ai ragazzi che possa farli restare in parrocchia»
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
to della catechesi, ha chiamato a questo servizio nuove persone, ha coinvolto i più piccoli come chierichetti all'altare. Lui stesso ha dato testimonianza cristiana nell'affrontare la malattia, la sofferenza, la morte ed è stato in questo un dono per la comunità. Lo splendido don Gigi Zoppi lo ha affiancato negli ultimi tempi, con discrezione ma con grande disponibilità, sempre. Rimasto solo, don Gigi si è caricato in questi mesi (da novembre 2007) del compito di gestire la parrocchia e ci ha rivelato la sua carica di entusiasmo, la capacità di instaurare rapporti con le persone, di creare occasioni di incontro, ma con la
consapevolezza di ricoprire un incarico temporaneo. In questi ultimissimi mesi gli è stato mandato Padre Andrea Conti come aiuto. In entrambi c'è il desiderio di approfondire l'aspetto liturgico, (canti, celebrazioni apposite per i bambini...) e anche quello «ricreativo», con un progetto di istituire un vero e proprio oratorio che possa accogliere i bambini e i ragazzi della parrocchia in maniera regolare. I giovani stanno rimettendo a nuovo il campino, ma servono soprattutto persone disponibili a gestirne l'apertura e a stare con i ragazzi. Le attività di routine della catechesi continuano, anche se come sempre ,
Parola ai bambini La parrocchia secondo me...
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i piace andare in parrocchia perchè si gioca, si disegna, si legge e si canta. Amo di più quando mi raccontano la storia di Gesù, quando c'è la cena e quando si fa la caccia al tesoro, mentre mi stanco a volte alla messa perchè alcune parti non le capisco MARTINA SANGIACOMO 9 ANNI
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I NUMERI DELLA PARROCCHIA ABITANTI TERRITORIO PARROCCHIALE 6.179 FREQUENTANTI 10-12% BATTESIMI (DAL 1957) 2421 MATRIMONI (DAL 1957) 1510
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con lo sguardo al domani La catechesi: tra entusiasmi e l’affacciarsi di problemi vecchi e nuovi fatta la Comunione e la Cresima non riusciamo a trasmettere quell'entusiasmo che faccia restare i ragazzi in parrocchia. Fino a due anni fa si era scelto di portare il sacramento della Confermazione ad una età (15/16 anni) in cui i ragazzi potessero essere consapevoli di questa scelta importante. In realtà la decisione del vescovo Coletti di portare la cresima a 12 anni come tetto massimo ha fatto sì che due anni fa si sia amministrata la cresima ad una settantina di ragazzi dai 12 ai 15/16 anni, e poi…. il vuoto. Oggi ci sono forse una decina di ragazzi tra la seconda e la terza
media, a catechismo. Ci «salviamo» un po' di più con quelli che devono ricevere i sacramenti: 18 di 3 elementare, 35 di quarta, una quindicina di quinta, un'altra quindicina di prima media. Di giovani adolescenti delle superiori, tra AC e non, forse una ventina. Don Vittorio e in seguito don Gigi hanno curato molto i chierichetti, che adesso sono circa una ventina, si ritrovano numerosi ogni domenica attorno all'altare e partecipano alle iniziative diocesane pensate per loro. L'Azione Cattolica dei Ragazzi (ACR) il sabato pomeriggio raccoglie bambini e ragazzi dai 6 ai
Qui sopra, Anna Laura Simonini Pini
ono in parrocchia da quando ho cominciato la scuola elementare e da quel giorno frequento molto volentieri la mia ora di catechismo. Nella mia parrocchia non manca proprio nulla: si gioca, e ci si confronta, si riflette, si prega, e soprattutto è bello ritrovarsi poi tutti insieme la domenica a messa. Io penso che andare in parrocchia sia divertente, perché ti fai tanti amici! Ci sono tanti catechisti uno più simpatico dell'altro e credo che stare insieme a loro sia davvero interessante e istruttivo. Poi ci sono i nostri sacerdoti: ogni loro idea è sempre bella, perché sono simpatici e bravi con tutti.La mia parrocchia è sempre aperta a tutti, soprattutto ai bambini che hanno sempre un campino per divertirsi. Mi piacerebbe che il campino fosse aperto anche la domenica pomeriggio, e poi mi piacerebbe avere una stanza da addobbare con il mio gruppo. ANDREA FORESI, QUASI 11 ANNI
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er me la Chiesa è come una seconda famiglia perchè si sta insieme e ci si vuole bene. In Chiesa ho imparato a fare nuove amicizie in particolare ad accogliere le persone nuove, ho consolidato le mie vecchie amicizie e ho imparato a cresciere con i miei compagni. Ho imparato ad accettare le persone per quello che sono. Sono fiero della mia Chiesa nonostante le difficoltà che ci sono state e mi ritengo fortunato per l'organizzazione, per il silenzio nei momenti in cui si svolge la messa e per il contributo che danno i catechisti per i bambini. SIMONE RAZZAUTI, 10 ANNI
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C’È BISOGNO DI TROVARE NUOVE PASSIONI Giovani di S. Agostino per il futuro
«In parrocchia c’era un concentrato altamente esplosivo di giovani che purtroppo poi il tempo si è portato via. Forse si è sempre cancellato e riscritto sulle stesse lettere della stessa riga sciupando un po’ il foglio. E’ il momento di scrivere nuovi capitoli...»
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ome è buffa la storia certe volte. Vivo questo cinquantennio della Parrocchia con una strana emozione, quasi imbarazzato di fronte all'adulta età di quattro mura (ma non solo), un po' come quelle di casa, che mi hanno visto crescere e che ora, tramite alcuni parrocchiani immersi nei festeggiamenti dei cinquanta anni, mi viene chiesto prima di dare un vesti-
14 anni, suddivisi per fasce di età: in un primo momento di gioco i ragazzi stanno tutti insieme nel mitico «campino», dove per lo più i maschi si ritrovano in una partitella a calcio, mentre chi non ama questo sport può sempre contare su una partita a palla prigioniera o altri giochi sempre in compagnia. Al momento di gioco segue un momento di preghiera in cappellina: entrambi questi momenti, il 102
to grafico al compleanno della nostra Parrocchia, poi addirittura di regalare come testimonianza la mia esperienza sugli anni duemila vissuti dai giovani di questa Parrocchia: a sentir qualcuno «posso essere l'unico in grado di portare una simile esperienza». Quindi eccomi: Paolo classe'79. Al giorno d'oggi 29enne ma allora «veterano» 21enne dei gruppi parrocchiali giovani per gli anni e catechista, a cavallo dell'inizio del secondo millennio, il nuovo millennio. Mi viene chiesto di parlare degli anni 2000, dell'aria che si respirava, delle emozioni
Sopra,
foto di gruppo di un incontro dell’Azione Cattolica Ragazzi nel 2003
Nella foto grande, un
momento del campeggio dei giovani a Castagno d’Andrea nel 2005
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
che si sentivano, delle esperienze che si vivevano.
Beh, in Piazza Aldo Moro, c'era un concentrato altamente esplosivo che purtroppo poi il tempo si è portato via. Sugli
scalini di marmo della chiesa ma soprattutto nelle stanze della nostra parrocchia, nel campino, nei sotterranei era bello stare insieme agli amici di sempre, con i quali sei cresciuto, insieme agli animatori che ti amavano: se poi ci mettiamo dentro che abbiamo avuto la possibilità piano piano di conoscere sempre più il Signore, tutto è diventato immensità. Un immensità certe volte indescrivibile. Capita raramente nella frenesia quotidiana di ricordare quello che è il passato, quelle che sono le emozioni di quegli anni ma se chiudo un attimo gli occhi per concentrarmi, riesco a vivere quei momenti come fossero scorsi da pochissimo tempo, eppure si parla di ben 8 anni fa. Si parla degli anni Duemila, si parla di anni in cui
gioco e la preghiera in comune, ci aiutano a sentirci un'unica famiglia tra di noi e con Gesù, insomma a sentirci Chiesa. Poi i ragazzi si dividono nei diversi gruppi e seguono ognuno il proprio cammino di catechesi che nasce dall'esperienza quotidiana, si confronta con la Parola e la testimonianza, per poi tornare all'esperienza e portare il Cristo incontrato nella vita e negli ambienti di tutti i
un prete cicciotello, seppur nascosto, ci ha permesso nuove cose. Ci ha lasciato
liberi di aiutare la parrocchia a navigare in acque un tempestose e con buoni risultati. Ci ha dato responsabilità che poi pochi hanno coltivato con amore e passione, ma quelli che lo hanno fatto, hanno regalato un po' di nuove idee, hanno dato amore. Ci ha dato la possibilità di vivere esperienze di campeggio fantastiche affiancati ad altre parrocchie della diocesi dove un esperienza di gruppo allargata non essendo mai stata vissuta ha creato un ponte immaginario verso una fratellanza mai pensata e provata. Abbiamo vissuto momenti di incontro così particolari che chiunque poteva essere tra di noi. Abbiamo imparato a pregare, ad adorare in una veglia.
giorni. In questo cammino si inserisce naturalmente la preparazione ai Sacramenti, che va di pari passo con gli altri gruppi parrocchiali. Durante l'anno partecipano alle iniziative diocesane per sperimentare la dimensione di Chiesa più grande (a Natale la visita dei presepi, in aprile/maggio la festa degli incontri) e invitano tutti gli altri ragazzi della parrocchia ad alcuni appunta-
Abbiamo iniziato oltre ad essere animati, ad essere animatori. Abbiamo progettato e «gestito» veglie di preghiera, abbiamo animato la messa con quegli strumenti classici, quegli strumenti che aggregano. Abbiamo costruito molti presepi ai piedi della cantoria: la lampada di wood, il ruscello, le stelle, i pastori ma non tutti sanno dell'esistenza dell'impiccato del presepe o il mostro dei cunicoli di Sant'Agostino («…..il Gobbo di Notre Dame Livornese»). Giocavamo in campino fra ali di folla, perché eravamo davvero tanti: accipicchia quanto «era gasante», eravamo tanti che non c'era storia di sorta nel voler frequentare altri ambienti esterni, quelli stessi che oggi rovinano e tolgono «il lume della ragione» a coloro che ventenni girovagano
così tanto da non trovare qualcosa che li attiri passionalmente. Abbiamo vissuto tante di quelle strane situazioni per noi, quasi fantascientifiche come se fossimo in un film poliziesco. Prendemmo l'abitudine ad andare a giro sui tetti della chiesa a spiare la Piazza dall'alto o quella vecchia ed imponente statua che sorvegliava la nostra chiesa, quasi volesse tener lontano i male intenzionati. Ci sarebbe da raccontarne un mondo… Però quello che vi ho scritto è un piccolo disegno ritagliato di tutte quelle belle cose che hanno vissuto i giovani santagostiniani del duemila: purtroppo il tempo molte le ha cancellate dalla mente di alcuni di loro o momentaneamente «messe in soffitta».
Così oggi guardando indietro
menti parrocchiali come la Tombolata di fine anno o la Festa di carnevale. Un piccolo gruppo di famiglie con bambini molto piccoli si incontra da gennaio per far sperimentare ai propri figli la parrocchia come luogo di incontro , come famiglia di famiglie. E' un esperienza ancora nuova ma vissuta con l'entusiasmo di chi crede nella parrocchia come comunità e cerca di trasmet-
e ricordando, possiamo dire che pochi di quei giovani sono rimasti a remare su questa barca insieme alle nuove leve
che continuamente crescono (non dobbiamo scordare i vecchi!!!). Si è sempre cercato di recuperare il recuperabile, ma non siamo mai stati in grado di mettere un punto fermo e ri-iniziare, un po' come si fa con le vecchie macchine da scrivere quando si deve andare a capo.
Si è sempre cancellato e riscritto sulle stesse lettere della stessa riga, sciupando un po' il foglio. Certe volte ci
è andata bene, altre volte il foglio si è strappato. E così ora che questa mia testimonianza «entrerà» nel librone della parrocchia, per spronare un po' i miei parrocchiani, sento la necessità di invitarci tutti ad andare a capo.
tere ai piccoli la propria fede come gioia dello stare insieme attorno a Gesù. Da qualche anno poi un gruppo di genitori dei bambini dell'ACR organizza delle cene in alcuni momenti particolari, come il carnevale o altri, a cui tutti sono invitati e da due anni è stato anche organizzato il cenone dell'ultimo dell'anno nei locali parrocchiali. I genitori del gruppo di ACR prepa-
Aprire una nuova edizione. Inaugurare la nuova strada che porta verso il centenario della Parrocchia, dove qual-
cun altro al posto nostro regalerà una nuova testimonianza di amore, sempre sulle orme del nostra Amico più grande. C'è bisogno di trovare nuove emozioni, di vivere nuove passioni. C'è bisogno di trovare la forza di farci riconoscere nello spezzare e condividere il pane perché solo così avremo la possibilità di far tornare a brillare la stella di Sant'Agostino: mi piace pensarla così, come un piccolo corpo celeste, immerso nell'universo della Fede, che insieme alle altre riuscirà a trovare la forza necessaria per far luce, per guidare tutti quelli che amano gli altri incondizionatamente come Gesù ci ha detto. (PAOLO NOBILI)
Condividere idee e esperienze, confrontarle con la Parola di Dio per crescere come comunità
rano periodicamente degli incontri a cui sono invitati tutti i genitori della parrocchia, per riflettere sulla condizione di genitori oggi, sul rapporto con i figli, sui problemi che presenta il trasmettere la fede nella nostra società. Condividere idee ed esperienze e confrontarle con la Parola di Dio e della Chiesa contribuisce a maturare anche come comunità.
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L’ACCOGLIENZA DELLO STRANIERO
50 ANNI FA 180 ASCRITTI OGGI SONO 26
APOSTOLATO DELLA PREGHIERA
DAL 1958 AD OGGI
I
l 12 febbraio del '58, la signora Eugenia Bettini con don Betti iniziò il primo incontro dell'Apostolato della preghiera con la presenza della presidente diocesana Rosa Portesani, il 1° giugno fu approvato e aperto il registro dell'ascrizione e gli ascritti arrivano a 181 alcuni di questi già consacrati (nella foto il primo registro delle ascrizioni). Le prossime notizie solo dal 1989, anno in cui il maestro Angelo Sartù, parla di una riorganizzazione del gruppo. Era il 1998 quando il signor Sartù, volendo lasciare il gruppo mi pregò di sostituirlo, ma io non volevo accettare questo incarico perché troppo impegnata per i gruppi 3° età parrocchiali e diocesani. Ricordo che lui mi disse: - Il Cavour diceva: «se vuoi trovare qualcuno che collabori, vai da chi ha tanti impegni», così decisi, anche perché la mia mamma Giulia Saltini deceduta due anni prima, partecipava sempre con tanto fervore alle riunioni e mia sorella Paola Saltini era ed è tutt'ora la cassiera; anch'io ero iscritta e consacrata. Il gruppo era molto ridotto sette o otto persone, ora siamo 26 e partecipiamo anche agli incontri diocesani organizzati dalla presidente Ottavia Margotta. In parrocchia ci riuniamo il primo venerdì del mese e commentiamo i foglietti (misterini) che ogni mese ci vengono proposti dall'Associazione, cosa partecipiamo all'Adorazione eucaristica. All'inizio gli ascritti erano 180 ora siamo a 26, colgo l'occasione per invitare i parrocchiani a diventare Apostoli della preghiera, come dovrebbe essere per ogni battezzato. ANNA M. SALTINI GAUDIO
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CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
Porte aperte ai fratelli ucraini e nigeriani Grazie alla disponibilità di don Luciano e della parrocchia le comunità di immigrati ucraini e nigeriani celebrano i loro riti a S. Agostino
E’
un simbolo molto celebrazioni. Molti bello dell’acco- ricorderanno ad esemglienza che caratteriz- pio la «Giornata Igbo», za la comunità di S. del settembre 2006 Agostino. all'insegna dei due eleNegli ultimi anni infat- menti fondamentali ti la parrocchia ha dato della cultura africana: ospitalità ai fratelli la musica e la danza. immigrati ucraini di Al suono dei tamburi e rito ortodosso che con degli innumerevoli il loro pastore strumenti a celebrano percussione mensilmente tipici della l'eucaristia musica nera, nella loro linun variopingua e si ritroto carosello vano per un di danzatori pranzo insiepercorse gli me. impianti Sopra, padre Quella ucraisportivi parIgor Horishnyy, na non è la rocchiali, parroco sola comunità sfilando dei fratelli ucraini straniera che davanti ad immigrati a Livorno e Pisa trova ospitaliuna folla di Sotto, un tà in parrocparrocchiani momento della chia. e livornesi celebrazione di qualche mese fa Da qualche incuriositi con Basilio tempo anche i da uno spetSemenuk, fratelli nigetacolo del eparca grecocattolico riani tengono tutto inusuadi Ternopil-Zboriv qui le loro le.
PARROCCHIA DI CENTENARI Mentre andiamo in stampa apprendiamo la notizia della morte della signora Fedora Mandruzzato che arrivò 50 anni fa nella nostra parrocchia profuga da Fiume insieme alla famiglia. Figlia di un ultracentenario ci ha lasciato alla bella età di 103 anni dandoci una bella testimonianza di fede che noi ricambiamo con il suffragio. Inviamo i nostri vivissimi auguri di buona salute alla signora Mazzetti, mamma dell'amico Pierluigi, ambedue nostri parrocchiani. Anche la signora Mazzetti ha superato da tempo la soglia dei 100 anni e continua ad essere una buona parrocchiana di S. Agostino. Auguri.
S. Agostino I
l mio avvicinamento alla Parrocchia di S. Agostino è stato progressivo. All'inizio ero chiamato da Antignano per celebrare la messa in assenza di don Luciano Cantini, allora parroco, in seguito sono stato nominato collaboratore con residenza a S. Agostino. Quando entrai per la prima volta in chiesa, colpì la mia attenzione la sobrietà di questa chiesa, una sobrietà che ti richiama alla centralità del luogo: la chiesa non è un museo dove si viene ad ammirare solo le belle opere, la chiesa è prima di tutto un luogo di preghiera, un luogo dell'incontro con Dio. Ad avere anche accattivato la mia attenzione è la grande croce in legno secco posta accanto all'altare maggiore senza la statua di Gesù appesa ad essa. Mi chiedevo: questa croce somiglia di più a una croce di tradizione protestante perché nella teologia protestante, si mette l'accento sul fatto che Gesù morto e risorto non è rimasto sulla croce. Perciò, la croce come presentata dai protestanti è senza Gesù. Volendo saperne di più, mi sono messo a cercare. Ne risulta che quella grande croce in legno nella chiesa di S. Agostino si rivolge di più ai fedeli, non è più la croce di Gesù ma la croce che ognuno di noi deve portare nella sua vita. Detto questo, approdando a S. Agostino, avevo molto da impara-
2002-2003
Padre Urbanus Riziki Shayo
P
Raggio di luce per gli immigranti re perché era la prima volta che ero chiamato a svolgere il ministero in una parrocchia di città. L'impatto iniziale con i parrocchiani era prima timido, forse dovuto anche al mio carattere (un po' taciturno) ma più passava il tempo, meglio apprezzavo la gente e la stimavo. Non era però difficile accorgermi con i «va et vient» degli immigranti che la parrocchia di S. Agostino ha una vocazione particolare: l'attenzione e il servizio agli immigranti senza distinzione di religione. Direi senza sbagliarmi che S. Agostino in Livorno è divenuto un punto di riferimento per molto stranieri. Non si tratta di un assistenzialismo che avvilisce la dignità dell'essere umano, la parrocchia aiuta numerosi immigranti ad inserirsi nella società livornese. Quanti hanno trovato lavoro e sistemazione appellandosi al servizio della caritas di S.Agostino? Quanti incontri sono stati benefici sia per gli immigranti che per i livornesi? Quanti immigranti hanno imparato ad esprimersi in italiano frequentando i corsi di lingua italiana offerti a S. Agostino? Quanti immigranti hanno ritrovato le forze per andare a lavorare dopo la colazione consumata a S. Agostino (per alcuni questa colazione era l'unico pasto sicuro della loro giornata)? In tre anni, ho visto crescere in modo esponenziale il numero degli
Sopra, a sinistra,
foto di gruppo durante la cena di saluto a don Urbano nel luglio 2003, sopra, in alto, Gruppo Terza Età 2007 sotto, un immagine della Festa di Carnevale 2007
Sotto,
don Didier Okito
adre Urbano, sacerdote tanzaniano, dell'opera dello Spirito Santo, è stato vicario parrocchiale dall’ottobre 2002 al settembre 2003. Una presenza fugace ma che ha comunque lasciato un buon ricordo nei parrocchiani. Dopo 5 anni di studi alla Facoltà di Missiologia della Pontificia Università Urbaniana di Roma e la laurea ottenuta discutendo una tesi sulla sua tribù d’origine, padre Urbano è tornato a prestare servizio nel suo paese d’origine.
immigranti che si rivolgono alla na (comunione e cresima), bimbi nostra parrocchia. È una pagina entusiasti. Ma capisco che i catedel vangelo che S. Agostino sta chisti, bravi che siano, hanno riscrivendo con il tempo e a modo bisogno di essere accompagnati, suo: «…sono stato forestiero e mi seguiti, meglio attrezzati nel loro avete accolto…». La «mano» data ministero di porre le fondamenta della chiesa di domani. agli immigranti e non Non posso dimenticare solo costituisce l'identità gli anziani della Terza propria di questa parroc- Questa Età, molti di loro fanno chia. Rinunciare a queparte del gruppo sto significherebbe parrocchia dell'Apostolato della negare a S. Agostino la ha una preghiera. Portano con sua identità. loro il peso dell'età, le E tutto questo grazie alla vocazione fatiche della vita ma collaborazione e all'impegno di tanti fedeli particolare: ancora fiduciosi e pieni di speranza. Rendere laici. Il servizio è certo l’attenzione questo gruppo più vivo e ottimo ma si può migliodare loro l'occasione di rare coinvolgendo le e il servizio stare insieme trovando forze giovanile un po' a modi di divertirsi di più margine di ciò che si fa. per gli contribuirebbe a una Ho esordito affermando immigranti maggiore visibilità del che la parrocchia è gruppo nella parrocchia. essenzialmente un luogo L'ultima parola è l'espedi incontro con Dio, incontro che avviene attraverso la rienza positiva vissuta durante preghiera ma anche dall'annuncio gli incontri con le famiglie per la della Parola. Come non ricordare benedizione delle famiglie. Mi qui le parole dell'ufficiale della sono accorto del desiderio sinceregina di Etiopia recatasi a ro di numerose famiglie di accoGerusalemme per adorare il Dio gliere i sacerdoti a casa loro, per d'Israele: alla domanda di Filippo alcuni sarebbe anche l'occasione che lo ha udito leggere il profeta di riprendere un discorso interrotIsaia «Capisci quello che stai leg- to con la chiesa da diversi anni. gendo?», l'ufficiale rispose: «E Nonostante tutte le critiche concome lo potrei, se nessuno mi tro l'operato dei sacerdoti, i parrocchiani di S. Agostino vogliono istruisce?» (cfr At 8, 30-31). Vedo tanti bimbi partecipare alle molto bene ai loro sacerdoti, più sedute di catechismo in vista dei di quello che si pensa. sacramenti dell'iniziazione cristia- DON OKITO DIDIER CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
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Don Vittorio Vital è stato parroco di S. Agostino dall’ottobre 2006 al novembre 2007. La malattia vissuta con fede. «Attraverso il tuo esempio potremo trovare un riferimento indiscutibile per il nostro cammino di uomini»
La testimonianza di fede di don Vittorio Vital
Solo un anno, ma traboccante di grazia La sofferenza vissuta tra le braccia di Dio
U
n anno. O qualcosa di più. Poco per il tempo dell’uomo. Molto, moltissimo, per il tempo di Dio e per quello del cuore degli uomini. «Grazie don Vittorio per la straordinaria quanto importante testimonianza che ci hai offerto nel momento della malattia, della sofferenza e della morte. Attraverso di essa, ancora una volta, potremo trovare un riferimento indiscutibile per orientare il nostro cammino di uomini, alla luce della Fede in Cristo». Con queste parole Mauro Nobili sintetizzava i frutti copiosi di grazia scaturiti dal personalissimo itinerario della croce vissuto da don Vittorio Vital nei pochi mesi in cui è stato parroco di S. Agostino. Giusto il tempo di iniziare a lavorare, di dare una qualche forma a un progetto pastorale, poi la malattia accettata come dono, la morte vissuta come estremo gesto d’amore. Nella intensissima messa dell’unzione degli infermi in mezzo alla sua gente c’è il volto di una fede profonda che tutto accetta
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A destra, sopra:
don Vittorio Vital in una foto di qualche anno fa A destra, sotto: due momenti della celebrazione delle Prime Comunioni 2007 a S. Agostino
Pagina accanto,
Foto di gruppo al campeggio di S. Agostino a Metello nell’estate 2007
Qui sotto, don
Vittorio al momento della Consacrazione durante una Messa a S, Agostino e un momento del campeggio di Metello 2007
CINQUANTENNIO di S. AGOSTINO
e trasfigura. «Stasera la tua testimonianza di fede - disse monsignor Razzauti durante la celebrazione ha un valore superiore a tante belle catechesi che hai fatto in questi anni». E Silvia, una ragazza della parrocchia, al termine della messa gli scriveva: «All'inizio mi ha addolorato vederla sofferente ma sentendola parlare del Vangelo, della grazia dell'amore di Dio e della Sua immensa misericordia mi sono resa conto che la sua sofferenza non lo ha allontanata né dal Signore né dai fratelli a cui erano rivolte le sue parole. Ci tengo solo a dirle che ringrazio Lei per la sua testimonianza e il Signore che mi ha concesso di essere a questa Messa, di poter ascoltare le sue parole, vedere il suo sorriso nel parlare di una vita piena di Grazia». Riccardo Domenici scriveva: «Con questa tua testimonianza ci ha indicato la strada per raggiungere la gioia nonostante le sofferenze. Ci ha insegnato a dare un senso alla sofferenza, non ad accettarla passivamente né a rifiutarla, ma a viverla come un dono da offrire al Signore per partecipare con lui alla vita eterna». Don Vittorio durante la celebrazione aveva preso la parola con voce commossa, certamente segnata dalla malattia, ma straordinariamente carica di serenità per dire, prima di tutto, «Grazie a Dio, al Padre al Figlio e allo Spirito Santo!». E ancora «Grazie alla Chiesa di Dio della quale facciamo parte». E poi «Grazie a tutti voi che, accompagnandomi in questo momento, date una bella testimonianza di comunione ecclesiale». Poi dopo aver descritto la gioia di quel momento, don Vittorio aveva
concluso augurando ai presenti «la pienezza di speranza nel Signore». A ricordare quei momenti Carla Corozzi - che in parrocchia gli è vissuta fianco a fianco durante l’anno di sofferenza - ancora si commuove: «di don Vittorio - dice oggi ho un ricordo così spirituale. Un grande esempio per me è stato anche la sorella Anna che lo ha seguito con un amore straordinario per tutto l’anno. Per me è stato un tempo di amicizia, collaborazione e partecipazione molto molto intenso. Quante volte (testardo!) voleva usare ogni residuo briciolo di energie per far qualcosa per la sua comunità. A me è rimasta tutta nel cuore questa sua grandissima testimonianza di fede. E non sai quante grazie ha prodotto con il suo esempio di speranza pur nella sofferenza».
«GRAZIE DELLA TUA TESTIMONIANZA» Nella croce accettata, il risplendere della vita
Q
uando, nel mese di ottobre 2007, fu assegnato dal vescovo Coletti come parroco di S. Agostino, don Vittorio era per noi una figura ben nota. In particolare Natalia ed io eravamo frequentatrici abituali della parrocchia di S. Jacopo nelle mattine in cui a S. Agostino non veniva celebrata la Messa. Io notavo la sua cura nella celebrazione eucaristica e la chiarezza nel commento delle letture. Fu solenne l'ingresso ufficiale a S. Agostino di don Vittorio accompagnato dai suoi parrocchiani che lo consegnavano a noi con evidente rammarico. Don Vittorio si inserì subito bene nella parrocchia: continuarono le attività caritative cui spesso si aggiungeva qualche suo personale intervento perchè don Vittorio non voleva rimandare nessuno a mani vuote. Preziosa la presenza di Carla che contribuì a rendere sereno il passaggio. Coadiuvato da don Didier, Don Vittorio potè ripristinare le due SS. Messe nei giorni feriali il mattino alle 8.30 e il pome-
riggio alle 18. Si mostrò subito attento ai catechisti, accolse attorno all'altare i chierichetti per rendere più solenne la celebrazione della domenica, cominciò a visitare gli ammalati accompagnato dai vari ministri straordinari; con l'Apostolato della Preghiera promosse l'Adorazione Eucaristica il primo venerdì del mese, adorazione incentrata sulla recita dei Vespri e sulla meditazione di letture opportunamente scelte. Tutto si svolse regolarmente durante l'Avvento; fu solenne la Veglia di Natale e la celebrazione della grande Solennità. Nel mese di gennaio improvvisa la notizia che don Vittorio doveva essere sottoposto ad un intervento chirurgico. Veglia di preghiera a S. Jacopo, veglia di preghiera a S. Agostino perchè fosse il Signore a guidare nel suo amore gli eventi. Furono eventi di croce. Ma don Vittorio non si lasciò dominare da essi, con la forza della sua volontà che gli derivava dall'abbandono totale al Signore riprese
«Nella sua malattia don Vittorio è stato per tutti noi un esempio di autentica fede e di profonda pietà»
I messaggi dei giovani prima e dopo la scomparsa
«GRAZIE PER AVERCI FATTO CONOSCERE MEGLIO DIO» Devo ringraziarla perché in questa settimana ho ritrovato una fede che stavo per perdere e buona parte di questo ritrovamento è stato grazie a lei... grazie con tutto il cuore (Filippo, campeggio Metello 200/) Grazie anche a lei ho apprezzato a pieno questo campeggio. Grazie, anche solo della sua presenza, oltre che della sua testardaggine (in senso buono) che andrebbe presa d'esempio. (Simone, Metello 2007) Caro DonVi, semplicemente la ringrazio dei sacrifici che ha fatto per essere a questo campeggio. Per me è stato una "spinta" ed un esempio. (Francesca, Metello 200/)
Grazie per avermi aiutato a conoscere meglio Dio
(Ambra, Metello 200/)
Grazie Signore per il dono della vita, grazie perché ci doni persone che ci insegnano a donarla agli altri senza risparmio, fintanto che il corpo ha in filo di energia. Grazie per i sacerdoti che mandi al tuo popolo, per elargire a piene mani lo Spirito che rende viva e feconda la Chiesa. Grazie per don Vittorio che mi ha testimoniato la comunione vera, nel tuo nome facendomi sentire chiamato, ed ascoltato anche attraverso il mio silenzio.
(Luca, 3 novembre 2007)
le sue attività, fra una chemio e l'altra cercando di nascondere le sofferenze. I mesi passavano, e noi leggevamo sul suo volto i segni del male inesorabile. Anche le festività pasquali furono celebrate solennemente: la grande Veglia, la Pasqua gioiosa, il solenne tempo pasquale. Don Vittorio, nella croce accettata, continuava a fare il parroco, Carla ne seguiva le vicende, anche le più nascoste. Nell'autunno don Vittorio cominciò a non distribuire la Comunione perchè gli mancava la sensibilità nelle dita; noi, ministri straordinari, eravamo sempre pronti ad ogni suo cenno. Eppure, anche nelle celebrazioni feriali, don Vittorio continuava a commentare le letture; spesso, prima che il lettore proclamasse la prima lettura, ne faceva l'introduzione inserendola nel contesto per renderla comprensibile a tutti. Al momento della Comunione, l'uno o l'altro dei ministri prendeva dalle sue mani la pisside e distribuiva la Comunione. Volle donare personalmente i suoi libri alla biblioteca diocesana, tramite Natalia. Chiamò attorno sè, per un saluto pieno di gratitudine, i più stretti collaboratori, a ciascuno dei quali volle donare un ricordo. E giunse inesorabile l'ultima settimana. Ricordo che il martedì 31 ottobre don Vittorio celebrò la Messa in cappellina. Al momento della Comunione presi io dalle sue mani la pisside, distribuii ai fratelli l'Ostia consacrata e anche riposi la pisside nel tabernacolo. Confuso tra i fedeli don Gigi con delicata attenzione vigilava. Per il sabato successivo era previsto che Don Vittorio avrebbe ricevuto l'Unzione degli infermi dalle mani del vicario generale. Non credevo che sarebbe arrivato con l'ambulanza e che sarebbe stato fatto entrare in chiesa con la sedia a rotelle. Fu una celebrazione toccante, un insegnamento di autentica fede e di profonda pietà. Don Vittorio riuscì ad alzarsi in piedi per la consacrazione, alla fine della celebrazione non mancò anche un momento gioioso, quando a Don Gigi che si accingeva a leggere gli avvisi, don Vittorio disse deciso: «Gigi, guarda che ci sono io!». Don Vittorio ritornò in chiesa la sera del 31 ottobre per celebrare l'anniversario della sua Ordinazione Sacerdotale. Era la trentesima domenica del tempo ordinario e nella liturgia si leggeva, dalla seconda lettera di S. Paolo a Timoteo: «è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede». Alla fine della Messa, sull'altare, ancora una volta riuscii a stringergli la mano e a sfiorargli delicatamente la fronte: era l'addio. Lo rividi la mattina del 3 Novembre composto nella bara rivestito dei paramenti sacerdotali, il volto sereno e disteso. Ormai Don Vittorio era in possesso del Tesoro per il quale nella sua vita tutto aveva lasciato. BRUNA MORETTI
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«Queste pagine non vogliono essere la cronaca della parrocchia di S. Agostino, né tanto meno la storia critica di mezzo secolo della sua esistenza e neppure una raccolta di fatti edificanti ivi successi, ma più semplicemente un rivivere insieme questi anni raccontandoci per testimoniare lo Spirito e fare memoria. Altri ne trarranno vantaggio per scrivere le loro pagine, i loro documenti, ma noi vorremmo trarne motivo per scrivere in futuro, con i sogni e i talenti dei nostri giovani, pagine ancor più piene di vita, di amore e di servizio secondo l'annuncio del Vangelo»