Fabrizio De André storia di dischi e testi Fabrizio Cristiano De André (Genova, 18 febbraio 1940 – Milano, 11 gennaio 1999) è stato un cantautore italiano. Molti testi delle sue canzoni raccontano storie di emarginati, ribelli, prostitute e persone spesso ai margini della società, e sono state considerate da alcuni critici come vere e proprie poesie, tanto da essere inserite nelle antologie scolastiche. Era conosciuto anche come Faber, soprannome datogli dall'amico d'infanzia Paolo Villaggio e derivante dalla sua predilezione per i pastelli della Faber-Castell. In quasi 40 anni di attività artistica, De André ha inciso tredici album in studio, più alcune canzoni pubblicate solo come singoli e poi ripubblicate in varie antologie. Di simpatie politiche anarchiche, libertarie e pacifiste, è stato anche uno degli artisti che maggiormente ha valorizzato la lingua ligure ed esplorato, in misura minore, il sardo gallurese e il napoletano. La popolarità e l'alto livello artistico del suo canzoniere hanno spinto alcune istituzioni a dedicargli vie, piazze, parchi, biblioteche e scuole subito dopo la sua prematura scomparsa. Nell'estate 1998, durante la tournée del suo ultimo album Anime Salve, gli fu diagnosticato un carcinoma polmonare che lo portò a interrompere i concerti. La notte dell' 11 gennaio 1999, alle ore 02:30, Fabrizio De André morì all' Istituto dei tumori di Milano, dove era stato ricoverato con l'aggravarsi della malattia. « Io ho avuto per la prima volta il sospetto che quel funerale, di quel tipo, con quell’emozione, con quella partecipazione di tutti non l’avrei mai avuto e a lui l’avrei detto. Gli avrei detto: «Guarda che ho avuto invidia, per la prima volta, di un funerale». » (Paolo Villaggio - La Storia siamo noi - 4 gennaio 2007)
Album: Tutto Fabrizio De André Anno: 1966 Si tratta di un'antologia di brani già pubblicati su 45 giri dalla Karim nel corso degli anni '60. Fu ristampato due anni dopo, nel 1968, dalla Roman Record Company e pubblicato con una copertina diversa e con il titolo La canzone di Marinella, come la canzone nota al pubblico di massa per via della cover portata precedentemente al successo da Mina. Conoscerà altre numerose ristampe con titoli e copertine diverse.
Album: Volume I Anno: 1967 « "[...] Le ho scritte così, come mi hanno aggredito. Per incontenibile affiorare di memoria. [...] Talvolta il ricordo mi arrivava da molto lontano: dai balli a palchetto nelle campagne astigiane degli anni Cinquanta, dove un paio di labbra impiastricciate di viola, la cucitura di una calza di seta che scompariva nella "terra promessa", il balcone dipinto di verde della casa di mia nonna diventavano i particolari di una memoria diversa e più recente: dalle labbra di "Bocca di Rosa" alla disperata attrazione per la stanza semibuia di "Via del Campo". » (dalla postfazione di Fabrizio De André al saggio "La lingua cantata", Garamond, 1995.)
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Volume I è il primo album registrato in studio da Fabrizio De André per la Bluebell Records, ed il secondo della sua discografia complessiva, se si considera anche l'antologico Tutto Fabrizio De André pubblicato dalla Karim nel 1966 (che racchiudeva però incisioni realizzate in anni precedenti).
Preghiera in gennaio De André dichiarò di averla scritta al ritorno dal funerale di Luigi Tenco amico cantautore di De André morto suicida nel gennaio 1967. Tratta appunto il tema del suicidio ma anche della pietà poiché la Chiesa non solo condanna il suicidio ma ripudia, illecitamente, il suicida. "Lascia che sia fiorito, Signore, il suo sentiero(...)perché non c'è l'Inferno nel mondo del buon Dio(...)l'Inferno esiste solo per chi ne ha paura!"
Spiritual Un vero e proprio spiritual che parla di Dio in cui De André canta con voce "nera", tipica degli afroamericani.
Si chiamava Gesù La storia di Gesù raccontata da De André in maniera molto avanguardista e che alla fine considera lui come un essere umano e morì come tutti si muore, come tutti cambiando colore e che non lo considera proprio un eroe non si può dire che sia servito a molto, perché il male dalla terra non fu tolto. Questo è un punto molto controverso, perché d'altronde scrive anche: "non si può dire non sia servito a niente perché prese la terra per mano" e nonostante il punto di vista ateo mostra un gran rispetto ed ammirazione verso Gesù. Lo dice lui stesso pubblicamente in diverse occasioni. Il coautore della musica di questa canzone era Vittorio Centanaro, ma nel disco fu accreditata solo a De André in quanto Centanaro non era iscritto alla Siae.
La canzone di Barbara Anche questa canzone fu pubblicata su 45 giri all'epoca con un differente mixaggio e alcuni pezzi di chitarra tagliati.
Via del Campo « Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior »
È una delle canzoni più note e apprezzate di De André. Via del Campo era uno dei vicoli più malfamati nella Genova degli anni sessanta, perché rifugio di prostitute, travestiti e gente povera, ossia quegli "ultimi" ai quali il cantautore genovese ha sempre prestato particolare attenzione nei suoi brani. De André evoca la figura di una prostituta e dell'"illuso" che le rivolge una proposta di matrimonio che non verrà mai accettata: « Via del Campo ci va un illuso a pregarla di maritare, a vederla salir le scale, fino a quando il balcone è chiuso. »
In questa canzone, ispirata in parte alla figura del travestito genovese Mario Doré, in arte "Morena", De André esprime la sua solidarietà per quei ceti sociali a cui, vessati e derisi dai benpensanti, è preclusa ogni possibilità di riabilitazione.
Caro amore La canzone utilizza come base musicale, per il testo originale di De André, parte del movimento Adagio del Concerto de Aranjuez del 1939 di Joaquín Rodrigo.
La stagione del tuo amore La canzone è un'affettuosa serenata ad una signora che si sta affacciando alla terza età. Con una melodia che trasmette una forte sensazione di nostalgia, De André cerca di acquietare1 le paure che si manifestano con i primi cambiamenti del corpo portati
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dall'invecchiamento. Il messaggio, ribadito dal ritornello, è che seppure il tempo non ci permetta di vivere per sempre le nostre gioie ed i nostri dolori, questi rimangono comunque con noi, impressi nei ricordi. Inoltre, nonostante il ricordo delle passate emozioni ci provochi nostalgia, la vita continua ad offrircene di nuove.
Bocca di Rosa « C'è chi l'amore lo fa per noia, chi se lo sceglie per professione, Bocca di rosa né l'uno né l'altro, lei lo faceva per passione »
Bocca di Rosa è una delle canzoni più famose di Fabrizio De André, nonché quella che, come ha dichiarato in un'intervista televisiva concessa a Vincenzo Mollica, il cantautore genovese considerava più cara e più vicina al suo modo di essere. A testimonianza di quanto questa canzone sia entrata nell'immaginario collettivo, si può citare il fatto che l'espressione "bocca di rosa" è entrata nel linguaggio comune, essendo usata - se pur erroneamente - come eufemismo di prostituta; erroneamente in quanto, in realtà, come si afferma nel testo, Bocca di rosa l'amore non lo faceva "per professione", ma "per passione". La canzone racconta la vicenda di una donna forestiera che con il suo comportamento passionale e libertino sconvolge la quiete del "paesino di Sant'Ilario". Viene presa di mira la mentalità perbenista e bigotta della popolazione, che non tollerandone la condotta riesce alla fine a farla espellere dalle forze dell'ordine. Il testo risulta infatti particolarmente duro e sprezzante nei confronti delle donne cornificate («l'ira funesta delle cagnette a cui aveva sottratto l'osso»), il cui atteggiamento è contrapposto in negativo a quello di Bocca di rosa («metteva l'amore sopra ogni cosa»). Alla forzata partenza di Bocca di rosa assistono commossi tutti gli uomini del borgo, i quali intendono «salutare chi per un poco portò l'amore nel paese». Alla stazione successiva la donna viene accolta in modo trionfale e addirittura voluta dal parroco accanto a sé nella processione.
La morte La musica è di Georges Brassens per il brano Le verger de Roi Louis, ma il testo è assolutamente autonomo e originale di De André
Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers In un linguaggio volutamente aulico2, sottolineato da una musica buffamente solenne, Villaggio dà un tocco di colore e di "rustica vitalità" alla tradizione medievale e cristiana fatta di crociate, onore e "cavalleria", narrando le vicende di Carlo Martello, che tornando dalle gloriose gesta belliche contro i Mori non trova di meglio che comportarsi da perfetto maschio cialtrone con una povera ragazza del popolo per soddisfare i suoi appetiti sessuali, scappa quando la fanciulla gli chiede dei soldi per le sue "prestazioni".
Album: Tutti morimmo a stento Anno: 1968 Il cantautore genovese si è ispirato alla poetica di François Villon per scrivere i testi di questo album, che più di altri esprime perfettamente la visione sarcastica con cui De André guarda la vita e la sua simpatia nei confronti degli "ultimi", dei perdenti, dei reietti della società.
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rendere quieto; calmare, placare di linguaggio e di tradizioni letterarie; illustre, nobile 3/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
Album: Volume III Anno: 1968 Con il titolo di questo album, De André riprende la titolazione cronologica delle sue pubblicazioni, saltata dall'album Tutti morimmo a stento.
Il gorilla [Le gorille] Il brano è la traduzione di Le gorille, tratto dal primo album di Georges Brassens, La Mauvaise Réputation, datato novembre 1952. Il gorilla è una canzone che De André tradusse da Georges Brassens che la scrisse a ghigliottina funzionante. Questa canzone, oltre ad essere molto simpatica, cela un significato molto profondo sulla ingiustizia della pena di morte. La sentenza ingiusta, se una persona è in vita, si può sempre modificare. Ovviamente se la persona viene punita con la pena di morte, non è più possibile.
S'i' fosse foco Adattamento musicale ad opera di De André del famoso sonetto di inizio Trecento "S'i' fosse foco, arderei 'l mondo" di Cecco Angiolieri.
Nell'acqua della chiara fontana [Dans l'eau de la claire fontaine] Ennesima traduzione di un brano di Brassens, pubblicato dall'autore francese nel novembre del 1961.
Il re fa rullare i tamburi Interpretazione dell'autore di un canto popolare francese del XIV secolo, Le Roi a fait battre tambour. Il brano è stato inciso con il testo originale in francese da Nana Mouskouri nel suo album Vieilles chansons de France.
Album: Nuvole barocche Anno: 1969 L'LP raccoglie infatti alcune fra le prime canzoni del cantautore e poeta genovese pubblicate dalla casa discografica Karim; due brani erano già apparsi nei primi album dell'autore (La canzone dell'amore perduto in Tutto Fabrizio De André e Carlo Martello... in Volume I, sebbene quest'ultimo in una versione diversa), mentre altri, pubblicati solo in forma di singoli, appaiono qui per la prima volta su 33 giri. Questo album, in sostanza, completa la raccolta di singoli del periodo Karim non pubblicati nel primo album Tutto Fabrizio De André, con l'eccezione de La canzone dell'amore perduto, già presente nel primo album, che viene qui riproposta. Proprio per questa caratteristica, i due album, dal 1972, si possono trovare uniti in un doppio LP antologico.
Album: La buona novella Anno: 1970 L'LP è un concept album tratto dalla lettura di alcuni Vangeli apocrifi (in particolare, come riportato nelle note di copertina, dal Protovangelo di Giacomo e dal Vangelo arabo dell'infanzia), pubblicato nell'autunno del 1970 (le matrici riportano la data del 19 4/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
novembre). Come ha raccontato Roberto Dané, l'idea del disco la ebbe lo stesso Dané, che pensando di realizzarla con Duilio Del Prete, la propose ad Antonio Casetta, che la dirottò a De André. « Nel 1969 tornai da Casetta e gli sottoposi un'altra idea, che avevo intenzione di realizzare con Duilio Del Prete: un disco basato sui Vangeli apocrifi...lui, che era un grande discografico, di buon fiuto, mi ascoltò con attenzione ed alla fine disse: "Ma scusi, perché questa idea non la propone a Fabrizio De André? Sa, è un periodo che è un po' in crisi, non sa cosa fare...". E io che cosa dovevo dire? Con De André c'era sicuramente una maggiore esposizione » (Intervista effettuata da Riccardo Bertoncelli contenuta in Belin, sei sicuro? Storia e canzoni di Fabrizio De André, 2003, editore Giunti, pag. 85, ISBN 978-88-09-02853-1) « Nel 1969 scrivevo La buona novella. Eravamo in piena rivolta studentesca; i miei amici, i miei compagni, i miei coetanei hanno pensato che quello fosse un disco anacronistico. Mi dicevano: "cosa stai a raccontare della predicazione di Cristo, che noi stiamo sbattendoci perché non ci buttino il libretto nelle gambe con scritto sopra sedici; noi facciamo a botte per cercare di difenderci dall'autoritarismo del potere, dagli abusi, dai soprusi." .... Non avevano capito - almeno la parte meno attenta di loro, la maggioranza - che La Buona Novella è un'allegoria3. Paragonavo le istanze migliori e più ragionevoli del movimento sessantottino, cui io stesso ho partecipato, con quelle, molto più vaste spiritualmente, di un uomo di 1968 anni prima, che proprio per contrastare gli abusi del potere, i soprusi dell'autorità si era fatto inchiodare su una croce, in nome di una fratellanza e di un egualitarismo universali. » (Intervista a Fabrizio De André)
Quando gli fu chiesto per quale assurdo motivo, negli anni della contestazione giovanile, un cantautore rivoluzionario come lui avesse scritto un concept album dedicato a Gesù Cristo, lui rispose: "Perché Gesù Cristo è il più grande rivoluzionario della storia!". Pertanto la scelta di puntare sui Vangeli apocrifi come traccia da seguire per elaborare la trama del disco. Un modo questo per scoprire la vocazione umana, terrena, a volte quasi sofferente, dolorante e quindi poi provocatoria e rivoluzionaria della figura storica di Gesù di Nazareth. La narrazione, introdotta da un Laudate Dominum, inizia raccontando L'infanzia di Maria: la piccola Maria vive un'infanzia terribile segregata nel tempio ("dicono fosse un angelo a raccontarti le ore, a misurarti il tempo fra cibo e Signore"); l'impurità delle prime mestruazioni ("ma per i sacerdoti fu colpa il tuo maggio, la tua verginità che si tingeva di rosso") provocò il suo allontanamento e la scelta forzata di uno sposo; il matrimonio avviene con un uomo buono ma vecchio, il falegname Giuseppe ("la diedero in sposa a dita troppo secche per chiudersi su una rosa") che la sposa per dovere e la deve poi lasciare per quattro anni per lavoro. Ne Il ritorno di Giuseppe si può cogliere la fatica della vita di Giuseppe; nel suo ritorno a casa porta una bambola per Maria, e la trova implorante affetto e attenzione. Il sogno di Maria riporta la scena nel tempio. In un sogno l'angelo che usava farle visita la porta in volo lontano "là dove il giorno si perde"; lì le dà la notizia della futura nascita di un bimbo; il testo allude ad un concepimento più terreno di quello raccontato dai vangeli canonici. Al risveglio Maria capisce di essere incinta ("parole confuse nella mia mente, svanite in un sogno ma impresse nel ventre") e si scioglie in pianto. La maternità inaspettata ("ave alle donne come te Maria, femmine un giorno e poi madri per sempre"), si esprime in Ave Maria, un omaggio alla donna nel momento del concepimento. Dalla letizia che traspare in Ave Maria il passaggio a Maria nella bottega d'un falegname è drastico: il ritmo dato dalla pialla e dal martello scandiscono il dolore straziante del falegname che costruisce la croce ("tre croci, due per chi disertò4 per rubare, la più grande per chi guerra insegnò a disertare") con la quale il figlio di 3 4
figura retorica consistente in una descrizione o narrazione che abbia un senso riposto, diverso da quello espresso letteralmente dalle parole [in senso figurato] abbandonare una causa, un partito politico e simili 5/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
Maria ed i due ladroni verranno crocifissi. Infine sotto la croce stessa: "non fossi stato figlio di Dio t'avrei ancora per figlio mio". Questo aspetto è completamente trascurato dai Vangeli canonici. La via della croce è una delle canzoni in cui Fabrizio lascia trasparire i suoi pensieri e i suoi sentimenti anarchici: "il potere vestito d'umana sembianza ormai ti considera morto abbastanza". Ne Il testamento di Tito vengono elencati i dieci comandamenti, analizzati dall'inedito punto di vista di Tito, il ladrone pentito crocifisso accanto a Gesù; i nomi dei ladroni variano da vangelo a vangelo (Dimaco, Tito, Disma e Gesta): Tito è il ladrone buono nel vangelo arabo dell'infanzia. Per quanto riguarda la musica, la prima strofa incomincia semplicemente con la voce ed un leggero accompagnamento con la chitarra, crescendo sempre più in strumenti e accompagnamenti fino all'ultima strofa. L'opera termina con una sorta di canto liturgico che incita a lodare l'uomo, e non in quanto figlio di un dio, ma in quanto figlio di un altro uomo, quindi fratello.
Album: Non al denaro, non all'amore né al cielo Anno: 1971 « Avrò avuto diciott'anni quando ho letto Spoon River. Mi era piaciuto, forse perché in quei personaggi trovavo qualcosa di me. Nel disco si parla di vizi e virtù: è chiaro che la virtù mi interessa di meno, perché non va migliorata. Invece il vizio lo si può migliorare: solo così un discorso può essere produttivo. » (Fabrizio De André in un'intervista.)
Non al denaro, non all'amore né al cielo è un concept album5 ispirato ad alcune poesie tratte dall'Antologia6 di Spoon River di Edgar Lee Masters, libro pubblicato in Italia nel 1943 con la traduzione effettuata da Fernanda Pivano (edizioni Einaudi). L'idea del disco, come ha raccontato Roberto Dané, la ebbe Sergio Bardotti, che infatti lo seguì insieme allo stesso Dané in qualità di produttore. Per ogni canzone è possibile risalire a una storia del libro, che è stata spunto della riscrittura di De André.
La collina La collina è l'incipit sia del libro (The Hill - La Collina) sia del disco. Parla di tutta quella misera gente morta accidentalmente (chi cadendo da un ponte mentre lavorava, chi bruciato in miniera, chi per aborto o per amore, chi in un bordello per le carezze di un animale, o il suonatore Jones, colui che offrì la faccia al vento/la gola al vino e mai un pensiero/non al denaro, non all'amore né al cielo) che adesso dorme sulla collina del cimitero di Spoon River.
Un matto (dietro ogni scemo c'è un villaggio) «Tu prova ad avere un mondo nel cuore e non riesci ad esprimerlo con le parole...»
Un matto (dietro ogni scemo c'è un villaggio) è tratta dalla storia di Frank Drummer, che nell'originale impara a memoria l'Enciclopedia Britannica per darsi un tono; nella versione di De André l'enciclopedia è la Treccani.
Un giudice Un giudice è tratta dalla storia di Selah Lively, un nano che studia giurisprudenza e diventa giudice e si vendica della sua infelicità attraverso il potere di giudicare e 5 6
Un concept album è un album discografico in cui tutte le canzoni ruotano attorno a un unico tema o sviluppano complessivamente una storia raccolta di testi 6/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
condannare (giudice finalmente, arbitro in terra del bene e del male), incutendo timore a coloro che prima lo deridevano; inginocchiandosi però nel momento dell'addio non conoscendo affatto la statura di Dio. Grande importanza anche qui, come nel matto il tema dell'invidia, che diventa ancora una volta il motore dell'agire del personaggio, in questa canzone De André ci mostra come l'opinione che gli altri hanno su di noi ci crei disagio e sconforto. Il giudice diventa una carogna, per il semplice fatto che gli altri sono sempre stati carogne con lui, si abbandona quindi il tema malinconico dell'invidia provata dal matto e si trova un' invidia che trova nella vendetta l'unica cura possibile.
Un blasfemo (dietro ogni blasfemo c'è un giardino incantato) Un blasfemo (dietro ogni blasfemo c'è un giardino incantato) è tratta dalla storia di Wendell P. Bloyd anche se De André introduce l'idea della "mela proibita", volendo aggiungere che, forse, è stato il blasfemo a sbagliare perché si era ribellato a un'immagine metafisica piuttosto che a qualcosa di più concreto nel tentativo di ribellarsi a un modo di vivere. «Mi arrestarono un giorno per le donne ed il vino non avevano leggi per punire un blasfemo non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte mi cercarono l'anima a forza di botte»
Un malato di cuore Un malato di cuore è tratta dalla storia di Francis Turner, un malato di cuore che muore per la troppa emozione non appena conosce le labbra di una donna. Questo è il pezzo che conclude la prima parte del disco, che ha avuto come tema centrale quello dell'invidia. Il malato di cuore fin dall'infanzia soffre di questa solitudine che lo porta solo a sfiorare la vita senza poterla mai vivere, anche qui come nel matto abbiamo molti elementi che ci costringono a provare le stesse sensazioni del personaggio e che ci fanno perfettamente capire il suo stato d'animo ("come diavolo fanno a riprendere fiato; e mai poter bere alla coppa d'un fiato, ma a piccoli sorsi interrotti"), accentuati dall'utilizzo della seconda persona. Tuttavia è alla fine della canzone che il malato di cuore si distingue dal matto, dal giudice e dal blasfemo: mentre il giudice ha trovato nella vendetta la sua alternativa all'invidia abbassandosi al livello di chi lo aveva deriso, e il matto è stato spinto dall'invidia a imparare la Treccani a memoria, il malato di cuore vive la sua vita senza essere spinto dal motore dell'invidia, riuscendo a vincere l'invidia attraverso l'amore che gli regala un momento di estrema felicità prima della morte.
Un medico Un medico è tratta dalla storia del dottor Siegfried Iseman che vuol curare la povera gente ma è costretto per vivere a vendere pozioni miracolose e finisce in prigione additato da tutti come imbroglione e ciarlatano.
Un chimico «Da chimico un giorno io avevo il potere di sposar gli elementi e di farli reagire ma gli uomini mai mi riuscì di capire perché si combinassero attraverso l'amore. Affidando ad un gioco la gioia e il dolore»
Un chimico è tratta dalla storia di Trainor, il farmacista, che non capisce le unioni tra uomini e donne ma capisce e ama le unioni tra gli elementi chimici, muore in un esperimento sbagliato «proprio come gli idioti / che muoion d'amore»
Un Ottico «Vedo gli amici ancora sulla strada, loro non hanno fretta, Rubano ancora al sonno l'allegria 7/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
all'alba un po' di notte: e poi la luce, luce che trasforma il mondo in un giocattolo.»
Un ottico è tratta dalla storia di Dippold, l'ottico che vuole fare occhiali speciali che mostrino panorami insoliti; è stato interpretato come metafora di un venditore di droghe allucinogene (es. LSD)
Il suonatore Jones «lui che offrì la faccia al vento, la gola al vino e mai un pensiero non al denaro non all'amore né al cielo...» (dal testo di La collina)
Il suonatore Jones è l'unica canzone che riporta lo stesso titolo della storia del libro, così come tradotta dalla Pivano (nell'originale Fiddler Jones: per ragioni di metrica Jones nella versione di De André è un flautista, nell'originale è un violinista).
Album: Storia di un impiegato Anno: 1973 « Quando è uscito "Storia di un impiegato" avrei voluto bruciarlo. Era la prima volta che mi dichiaravo politicamente e so di aver usato un linguaggio troppo oscuro, difficile. L'idea del disco era affascinante. Dare del Sessantotto una lettura poetica, e invece è venuto fuori un disco politico. E ho fatto l'unica cosa che non avrei mai voluto fare: spiegare alla gente come comportarsi. » (Fabrizio De André in un'intervista dalla Domenica del Corriere del gennaio 1974)
Come accade spesso nei dischi di De André, le canzoni sono collegate fra di loro da un filo narrativo: in questo caso, infatti, la storia è quella di un impiegato (la cui vita è basata sull'individualismo), che - dopo aver ascoltato un canto del Maggio francese davanti a tale scelta di ribellione, entra in crisi e decide di ribellarsi anch'esso, mantenendo però il suo individualismo. Le canzoni che seguono rappresentano l'ordine logico di una presa di posizione individuale che, con il rapido (e onirico7) succedersi dei fatti, con l'esperienza fallimentare della violenza e solo dopo, in un ambiente crudo e forte come quello carcerario, diventa collettivismo. Il disco venne comunque attaccato dalla stampa musicale militante e vicina al movimento studentesco, e così viene recensito, ad esempio, da Simone Dessì: « Storia di un impiegato è un disco tremendo: il tentativo, clamorosamente fallito, di dare un contenuto "politico" a un impianto musicale, culturale e linguistico assolutamente tradizionale, privo di qualunque sforzo di rinnovamento e di qualunque ripensamento autocritico: la canzone Il bombarolo è un esempio magistrale di insipienza8 culturale e politica »
In anni più recenti è stato giudicato da Riccardo Bertoncelli come un disco «verboso, alla fine datato »
In tempi recenti il disco ha avuto riabilitazione da alcuni critici: di fatto alcune di queste canzoni sono rimaste nel repertorio dell'autore per anni (una per tutte, la bellissima Verranno a chiederti del nostro amore, inclusa anche nel doppio disco dal vivo con la PFM del biennio '79-'80). I testi esprimono una notevole forza, risultando tra i lavori più interessanti del De André anni settanta: nell'opera, un "concept album", l'autore racconta, da una prospettiva particolare, l'esperienza '68, della 7 8
relativo al sogno insipiènte = [letterario] ignorante e stolto 8/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
rivoluzione culturale e del fermento politico attraverso una storia che racchiude più livelli di lettura, attingendo dalla filosofia e dalla storia del pensiero libertario. Livelli di lettura che sono stati colti in pieno soltanto in anni più recenti, quando, tranne sporadici casi, il disco è stato ampiamente rivalutato.
Canzone del Maggio Il primo brano dell'album “Storia Di Un Impiegato”: Canzone del Maggio, è liberamente tratta da un canto del maggio francese del 1968 di Dominique Grange, il cui titolo è Chacun de vous est concerné. Quando De André si mise in contatto con lei per pubblicare il pezzo, la cantante francese glielo regalò non chiedendo i diritti d'autore. Va però notata la grande differenza anche nella musica tra il brano di De André e la versione originale. Della Canzone del Maggio esiste una versione dal testo molto più duro e accusatorio (si tratta della traduzione letterale dell'originale), presentata a volte dal vivo dal cantante genovese; di questa versione esiste una registrazione non ufficiale, in quanto fu sottoposta a censura. Il ritornello della versione censurata recitava "Voi non avete fermato il vento, gli avete fatto perdere tempo". Tutta la canzone, in generale, manifesta la forza del movimento del '68 nel suo pieno svolgimento, a differenza della versione non censurata, che con il suo "anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti", che al contrario descrive il Movimento dopo la sua fine.
La bomba in testa In questa canzone l'impiegato si confronta con i sessantottini e si unisce idealmente ai giovani, seppur con anni di ritardo. Sceglie però un approccio individualista e violento. L'impiegato prende coscienza di ciò che quei giovani avevano fatto, e quello per cui avevano lottato, e della sua situazione ricca di conformismi e frasi fatte, di lavoro ed obbedienza senza alzate di testa, e lì capisce quanto ne sia distante ma soprattutto si scuote dal torpore in cui la società media fa piombare. Dopo la necessaria presa di coscienza si rende conto che l'odio e l'impeto9 in lui risvegliatisi sono sufficienti affinché possa avere una rivalsa, anche da solo, nei confronti di chi, per via della falsa morale imperante, dà lustro ad una sfaccettatura del proprio io celando l'interezza del pensiero e dell'essere per non apparire fuori schema, così come avevano fatto coloro che nel maggio francese anziché supportare la rivoluzione erano rimasti a guardare, se non diffidenti, indifferenti.
Al ballo mascherato Questa canzone rappresenta il primo sogno, la prima esperienza onirica nella quale con l'esplosivo fa saltare tutte le maschere di ipocrisia10 ai simboli del potere. Qui il potere è espresso in tutte le sfaccettature della società borghese: culturali, parentali, politiche ed ideologiche, religiose etc. L'intento è quello di togliere la maschera agli ipocriti, delegittimare il potere e colpire le istituzioni. « Al ballo mascherato partecipano tutti i miti, tutte le autorità, i personaggi, i ruoli che hanno imposto all'impiegato un comportamento alienante e che, ora, vengono smascherati su un quasi beffeggiante ritmo swing. Lo sguardo passa su ognuno di questi personaggi, raggruppati senza badare alle differenze temporali e a quelle di luogo. Il primo è Cristo, mito della religione che tenta da sempre di imporre a tutti lo stesso comportamento. A lui non poteva che affiancarsi la madre, Maria, ormai insoddisfatta della propria maternità anormale. Poi è il turno di Dante, il sommo poeta, ritratto come un guardone intento a spiare Paolo e Francesca, roso dall'invidia per un amore così umano e normale; di questi amanti Dante ha fatto un modello, cercando così di strapparli alla loro semplice felicità. Dopo aver smontato anche il mito del colonialismo (l'ammiraglio Nelson), l'impiegato passa alla famiglia: il padre, sempre diviso tra l'affetto e l'autorità che la sua veste sociale gli impone e la madre, relegata a donna di casa e a non splendere di luce propria. Allo scoppio della bomba il padre esplode dopo, prima il suo decoro, mentre la madre, prima di morire, riesce perfino a provare pietà per la propria vita.
9 [in senso figurato] improvviso moto dell'animo, commozione violenta 10 simulazione di buoni sentimenti e di buone qualità 9/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
L'ultimo a morire è l'amico che mi hai insegnato il come si fa. Con la sua uccisione l'impiegato, in questo sogno, ha portato a termine la propria liberazione, si è ribellato perfino contro chi gli ha insegnato a ribellarsi, in realtà, ha compiuto anche l'estremo sacrificio sull'altare dell'individualismo, del quale ormai è vittima: anche se non se ne rende conto, ha già cominciato quel riavvicinamento al sistema che renderà vano ogni tentativo di ribellione. Lo stesso tono demistificatorio e surreale si ritroverà nel brano tradotto da Bob Dylan, Via della povertà, dell'album successivo. » (Matteo Borsani - Luca Maciacchini, Anima salva, pp. 85-86)
Sogno numero due Nel suo secondo sogno l'impiegato è sotto processo e smascherato dal giudice (coscienza al fosforo piantata tra l'aorta e l'intenzione), che gli fa notare come la bomba abbia rinnovato ed alimentato il sistema; seguendo la sua personale brama di potere, l'impiegato ha infatti giudicato e giustiziato i potenti per ritagliarsi un posto. Nelle parole del giudice si delinea la criticità di De André nei confronti dell'operato dei brigatisti rossi e degli altri nuclei di lotta armata. D'altro canto si potrebbe ipotizzare che nelle vesti dell'imputato che "uccideva favorendo il potere i soci vitalizi del potere" vi siano le forze dell'ordine che si eccitano nel ruolo più eccitante della legge "quello che non protegge": il boia; siamo quindi costretti ad ogni modo a rimanere fedeli a una legge che ci uccide per difenderci da noi stessi in questa guerra di tutti contro tutti.
La canzone del padre Il giudice ha concesso all'impiegato di scegliere una vita tranquilla ed integrata, e questi assume il ruolo di suo padre, ben collocato nel suo posto tra "piccoli" e "grandi", scoprendo la miseria e l'inutilità della sua vita. L'ipocrisia e la fragilità della vita borghese, le paure bieche e piccole prendono il sopravvento fino a svegliarlo dal sogno. Questa volta il giudice e l'impiegato si rivedranno davvero. « La Canzone del padre è un sogno in continuità con quello precedente (cioè il Sogno numero due) e si apre con l'impiegato che, all'interno delle dinamiche del potere, prende il posto di suo padre, ucciso al ballo mascherato. Il sistema dunque continua, l'impiegato ha il suo posto e sa benissimo che potrà comandare quelli sotto di lui (le barche più piccole), ma che non dovrà interferire con quelli al di sopra (le barche più grandi). Comincia così una nuova vita, tesa a proteggere la propria integrità, quella della famiglia e del denaro, ma ci si accorge subito che qualcosa non va: una lavandaia è schiacciata dall'avanzare del progresso e viene seppellita in un cimitero di lavatrici; suo figlio scappa per la paura di venire trasformato in una macchina. Tutto ciò, per chi comanda, ha poca importanza: si provvede a dichiararlo morto arrugginito, per dimenticarlo più velocemente. Nonostante il cambiamento anche all'impiegato le cose non vanno bene: l'alienazione11 ha già contagiato la moglie, che sente sempre meno sua, finché il suo amore viene barattato da un altro uomo per un passaporto e una valigia di ciondoli. Anche il figlio minore ne rimane vittima e, per la mancanza di attenzione, perde la voglia di vivere e di guadagnarsi una posizione. Allora, improvvisamente, l'impiegato si rende conto di essere un fallito, diventa consapevole che non si può sfuggire all'individualismo12. Il letto nel quale sta dormendo prende fuoco e il sogno si tramuta in incubo. Si scaglia contro il giudice: "vostro onore sei un figlio di troia"; si sveglia di colpo e acquista la consapevolezza di ciò che deve fare recuperando anche la voglia di sovvertire l'ordine. La canzone si chiude con una promessa che sembra una minaccia: "ora aspettami fuori dal sogno, ci vedremo davvero, io ricomincio da capo". » (Matteo Borsani - Luca Maciacchini, Anima salva, pp. 87-88)
Il bombarolo L'impiegato, mosso da motivazioni da disperato "se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato", prepara un vero attentato il cui unico effetto è metterlo in ridicolo rivelando al tempo stesso la sua mania di protagonismo e la sua goffaggine. È una satira cruda del terrorismo degli anni settanta prima che questo assumesse dimensioni realmente 11 {diritto} trasferimento ad altri della titolarità di un bene o di un diritto 12 tendenza a far prevalere gli interessi individuali su quelli collettivi 10/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
tragiche. « Negli anni '60 e '70, questo termine designava chi compiva attentati. La caratteristica principale del bombarolo qui descritto è di agire da solo. Non prende ordini da nessuno e non combatte per nessuno; è un isolato, un uomo solo che vuole portare fino in fondo la sua battaglia, prendendo di mira sia chi non ha voglia di ribellarsi e aspetta la pioggia per non piangere da solo, sia i profeti molto acrobati della rivoluzione che probabilmente pensano di poterla fare soltanto coi libri. Ha capito che l'unico modo per farlo è scuotere la società a cannonate (nel senso letterale del termine). Così tenta di fare esplodere il Parlamento, ma ottiene solo di distruggere un'edicola poco distante. La sua vera sconfitta sarà nel vedere su tutti i giornali la faccia della fidanzata, che ha scelto di lasciarlo prendendo le distanze dalle sue azioni [...]. Il bombarolo è rimasto veramente solo ma, quando viene catturato e messo in carcere, scrive per l'ultima volta alla sua amata. » (Matteo Borsani - Luca Maciacchini, Anima salva, pp. 88-89)
Verranno a chiederti del nostro amore L'impiegato, dal carcere, vede la sua donna intervistata, la vede schermirsi davanti ai giornali e ripensa al loro rapporto. Ora che sono separati dal carcere l'impiegato guarda alla donna e teme per il suo futuro, quasi rassegnato, chiedendole di prenderlo in mano e fare le proprie scelte con autonomia. « Verranno a chiederti del nostro amore è stata l'unica canzone dell'album [Storia di un impiegato] ad essere poi riproposta in concerto e inclusa anche nel disco dal vivo inciso con la PFM. È una canzone d'amore sui generis13: appare un'accusa alla donna che ha preferito non esporsi, lasciandosi corteggiare in cambio di un mazzo di fiori o di un posto di lavoro. Può invece essere considerata a pieno titolo una canzone d'amore se si valuta questo sfogo, a tratti tagliente e aspro, come l'estremo appello che l'impiegato rivolge dal carcere all'amata per convincerla a cambiare, a non barattare se stessa con niente e a prendere in mano la sua vita. È l'ultimo tentativo dell'amore di mantenersi in vita. Le prime due strofe ripercorrono il rapporto: lei è descritta come prudente e restia "nelle fantasie dell'amore", ma sempre pronta ad abbandonarsi al linguaggio ipocrita delle eterne promesse, che saranno poi puntualmente smentite; lui invece è dipinto come un ribelle anche dal punto di vista amoroso: "dove l'amore non era adulto / e ti lasciavo graffi sui seni". Entrambi sono arroccati sulle loro posizioni e non disposti a cambiare. A cambiare entrambi interviene un terzo elemento, estraneo al loro amore, tuttavia così forte da condizionare lei e da gettare in carcere lui. Tra i due, l'ultimo riflesso dell'antico rapporto è rappresentato dallo sguardo di lei, che si è concessa al padrone in cambio di una sicurezza di vita e non riesce a nascondere al compagno la vergogna che prova. L'ultima strofa è la più struggente: con una serie di domande provocatorie, l'impiegato cerca di spingere l'amata a non lasciarsi scegliere, ma finalmente a scegliere lei. L'appello rimane sospeso a mezz'aria, e così si chiude la canzone, piccolo capolavoro che ci ricorda che il pericolo dei compromessi è sempre in agguato. » (Matteo Borsani - Luca Maciacchini, Anima salva, pp. 89-90)
Nella mia ora di libertà L'impiegato, in carcere, compie la maturazione definitiva tra l'individualismo e le lotte collettive. La canzone parte con la rinuncia all'ora d'aria, descrive l'inutilità del carcere e la maturazione che porta il carcerato a "capire che non ci sono poteri buoni" e si conclude con il sequestro dei secondini nell'unica frase al plurale: la sua lotta non è più una sterile protesta individuale ma una lotta collettiva che riprende il tema della Canzone del Maggio.
Album: Canzoni Anno: 1974 « Ero in piena crisi personale e piuttosto che non scrivere più nulla, mi sono messo a tradurre brani di Cohen, Brassens e Dylan. Chissà perché, mentre i nostri migliori poeti hanno ricevuto
13 sui generis = (letteralmente: di un genere suo proprio) è una locuzione latina tuttora in auge nella lingua italiana. 11/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
consensi nel tradurre i loro colleghi stranieri, per i cantautori invece questo tentativo, peraltro umile, di divulgazione di culture straniere diventa immediatamente sinonimo di inaridimento della vena poetica. » (Fabrizio De André in un'intervista.)
Via della Povertà [Desolation Row] Traduzione del brano di chiusura del celebre album Highway 61 Revisited (1965) di Bob Dylan, il pezzo è il primo frutto della collaborazione tra De André e Francesco De Gregori che darà vita l'anno successivo a Volume VIII. L'autore gioca con le storie, le intreccia e trasporta i personaggi nella società di oggi. Non ci vuole molto perché vengano resi dei simboli personaggi tanto pazzi e crudeli, questa gente in fondo non è poi così diversa da tutti noi, con le proprie paure e le proprie sicurezze.
Le passanti [Les passantes] La canzone originale, incisa da Georges Brassens nell'ottobre 1972, si basa su una poesia di Antoine Pol, poeta minore francese molto amato da Brassens, che il cantautore scoprì su di una raccolta del 1918. Il testo, a sua volta, richiama A une passante, celebre poesia di Charles Baudelaire, musicata, tra l'altro, anche da Léo Ferré. La musica del brano fu composta da Jean Bertola. Venne cantata nel 2009 dal cantante italiano Tiziano Ferro nel programma televisivo Che tempo che fa - speciale Fabrizio.
Morire per delle idee [Mourir pour des idées] Il brano di Brassens è tratto dallo stesso album del 1972 che contiene Les passantes. La canzone, scritta e composta da Brassens, è una vigorosa polemica contro ogni forma di fondamentalismo ideologico.
Album: Volume VIII Anno: 1975 « La canzone più importante che abbia mai scritto è forse "Amico fragile", sicuramente quella che più mi appartiene. È un pezzo della mia vita: ho raccontato un artista che sa di essere utile agli altri, eppure fallisce il suo compito quando la gente non si rende più conto di avere bisogno degli artisti. » (Fabrizio De André in un'intervista.)
Con questo album si rinsalda e si definisce meglio la coppia di autori De André-De Gregori: quest'ultimo collabora alla stesura dei testi e delle musiche di quattro canzoni (Le storie di ieri è interamente sua, così come l'intera musica di Canzone per l'estate) di questo che è uno degli album musicalmente più complessi del cantautore genovese. « ..mi aveva proposto di lavorare insieme dopo avermi conosciuto in un locale di Roma, il Folkstudio. Passammo quasi un mese da soli nella sua bellissima casa in Gallura, davanti ad una spiaggia meravigliosa dove peraltro credo che non mettemmo mai piede: in quel periodo avevamo tutti e due delle storie sentimentali assai burrascose ed era più o meno inverno. Fabrizio beveva e fumava tantissimo e io gli stavo dietro con un certo successo. Giocavamo a scacchi, a poker in due: ogni tanto prendevo il suo motorino e me ne andavo in giro per chilometri. Al mio ritorno spesso lo trovavo appena alzato che girava per casa con la sigaretta e il bicchiere e la chitarra in mano e che aveva buttato giù degli appunti, degli accordi. Era uno strano modo di lavorare il nostro: non ci siamo mai messi seduti a dire «Adesso scriviamo questa canzone». Semplicemente integravamo e correggevamo l'uno gli appunti dell'altro, certe volte senza nemmeno parlarne, senza nemmeno incontrarci magari, perché lui dormiva di giorno e lavorava di notte e io viceversa. Le musiche ci venivano abbastanza facilmente - Fabrizio era un eccezionale musicista - e le registravamo su un piccolo registratore a pile. Così vennero fuori La cattiva strada, Canzone per l'estate, Oceano, ecc... »
12/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
(Francesco De Gregori, 1975)
La cattiva strada La prima traccia del disco è giocata sul contrasto tra la parte musicale, una leggera ballata acustica costruita solamente su tre accordi, ed il testo estremamente allusivo e di difficile interpretazione («Alla parata militare sputò negli occhi ad un innocente, e quando lui chiese: «Perché?», lui gli rispose: «Questo è niente, e adesso è ora che io vada». E l'innocente lo seguì, senza le armi lo seguì, sulla sua cattiva strada.»). L'uomo, senza alcuna imposizione morale, impara il giusto sempre dopo aver sbagliato e mette la gente di fronte all'errore per smuoverne la coscienza.
Oceano « ..Una volta avevo ascoltato in una discoteca una canzone che mi era rimasta in testa, mi era piaciuta tantissimo, ed era Alice di Francesco De Gregori. Nello stesso tempo mi era rimasta in testa una domanda: ma perché Alice guarda i gatti e non può guardare quel lampione là o non può guardare qualsiasi altra cosa, un sasso piuttosto che un cespuglio, un albero? E volevo chiederglielo, però non sapevo come, non lo conoscevo e avevo questa domanda da fargli... L'estate successiva scopro che sta iniziando a lavorare con mio padre ad un album che era Volume ottavo. Figurati, impazzisco, vado in Sardegna e me lo trovo lì, a casa. In pigiama. Che lavora con mio padre, seduto sul mio divano, con la chitarra, giovane, con la barba rossa, un po' fricchettone [...]. E allora io prendo coraggio e vado da lui. Questo è il figlio di Fabrizio, Cristiano; piacere Francesco. Comincio alla larga, poi piano piano mi convinco e un giorno: «Francesco, perché Alice guarda i gatti?» Lui mi guarda con un occhio aperto e l'altro chiuso... Non mi risponde. E non mi ha mai risposto. Anzi mi ha risposto, però in un modo abbastanza inconsueto: cioè scrivendo una canzone, con mio padre. Si chiama Oceano, e devo dire che io sono orgoglioso di questa canzone perché è stata dedicata a me. È la risposta di perché Alice guarda i gatti. Al che non mi sono più sognato di fargli domande di questo genere. » (Cristiano De André, 1995)
Nancy [Seems So Long Ago, Nancy] Nancy è la traduzione del brano di Leonard Cohen Seems So Long Ago, Nancy, dall'album Songs from a Room del 1969. L'artista canadese, di cui De André aveva già interpretato altri pezzi (Suzanne, Joan of Arc), scrisse il testo ispirandosi alla storia vera di una giovane suicida di Montréal.
Le storie di ieri Le storie di ieri è totalmente scritta e composta da De Gregori, che la inserisce anche nel suo disco Rimmel, sempre del 1975, con lievissime modifiche nel testo. Il brano tratta, con toni lievi ed immagini evocative, un argomento spinoso come la scelta dell'ideologia fascista e la sua trasformazione nel MSI14 dopo la caduta ufficiale. La canzone, a registrazione già effettuata, venne tuttavia scartata dalla RCA Italiana, la casa discografica a cui era allora affiliato De Gregori; la registrazione tuttavia è reperibile su bootleg15. Questa versione presenta il testo originale del brano in cui è presente un riferimento a Giorgio Almirante ("Almirante ha la faccia serena"). Nel 1974 De Gregori e Fabrizio De André si ritirarono per quasi un mese in Gallura, nella tenuta del cantautore genovese; dalla proficua collaborazione nacque la traduzione italiana di Desolation Row di Bob Dylan ("Via della Povertà"), pubblicata lo stesso anno nell'album misto Canzoni, e l'album Volume VIII, nel quale Fabrizio inserì la sua interpretazione di "Le storie di ieri", la prima ad essere pubblicata. In questa incisione il nome "Almirante" venne sostituito con la locuzione "il gran capo"; vi sono inoltre altre due minime differenze nel testo ("una scritta nera" e "il bambino nel cortile si è fermato").
Giugno '73 14 Movimento sociale italiano 15 Il Bootleg è un disco pirata inciso senza il benestare del gruppo interessato ne tantomeno della casa discografica. 13/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
« Io mi dico è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati. »
Canzone molto malinconica ed autobiografica, che tratta della fine di un amore. « Questa canzone l'ho scritta per una ragazza di nome Roberta, con la quale ho vissuto due anni, fra la mia prima moglie e la Dori. Tutti credono che sia stata scritta per Dori, invece no. » (Fabrizio De André)
Lo stile della canzone sembra quasi epistolare, sul modello della celebre canzone Famous Blue Raincoat di Leonard Cohen, che De André tradurrà per Ornella Vanoni col titolo La famosa volpe azzurra. La narrazione oscilla tra il dolce e l'ironico sull'incapacità del cantautore di stare vicino ad una donna della buona società, dai costumi un po' mondani e - a tratti frivoli. Alla fine, dopo i versi ironici sulla madre di lei che storce il naso alla professione del cantautore e a cui De André aveva regalato una gazza parlante con la speranza che le insegnasse almeno a salutarlo, Fabrizio si congeda con dolcezza dal suo amore per seguire gli amici, che lei giudicava ineleganti, perché il loro viaggio porta un po' più lontano.
Dolce Luna Tratta della storia di un marinaio, che, costretto a terra, rimpiange il tempo passato in mare fra storie di corsari e la sua balena Dolce Luna, dalla quale egli spera che possa nascere un figlio «con due occhi normali ed il terzo occhio inconfondibile e speciale» che abbia «quella mia voglia di mare». Nel testo si fa riferimento a un'«esca dalle lunghe gambe»: è una citazione del titolo di una poesia di Dylan Thomas, Ballad of the Long-legged Bait, contenuta nella raccolta del 1946 Deaths and Entrances. L'ultima strofa è recitata in un simil-tedesco che si presume sia senza senso compiuto.
Canzone per l'estate Al contrario di La cattiva strada, Oceano e Dolce luna, firmate insieme sia per il testo che per la musica, Canzone per l'estate è invece firmata da De André solo nel testo, insieme a De Gregori, mentre la musica è interamente del cantautore romano (che la reinciderà con alcune piccole modifiche nel testo nel suo album Amore nel pomeriggio del 2001). Il protagonista del pezzo è un benestante che pur avendo già tutto quello a cui si può aspirare (molti soldi, una bella famiglia felice) si accorge che pur con la sua «tranquillità, lucidità, soddisfazione permanente» non è felice, che «non riesce più a volare», che ha smesso di sognare. Il dramma del protagonista è quello di essersi chiuso in una realta' che non sente a pieno, che ha castrato i suoi sogni e i suoi desideri, ha rinunciato a sé stesso e non riesce più a volare. La capacita' di volare si ha invece quando si è "aperti" e "disponibili", quando si hanno ancora dei sogni, quando non si abdica alle proprie idee, quando si ha il coraggio di vivere a pieno cio' che si è. Sono evidenti le inflessioni stilistiche di De Gregori, sia nelle immagini poetiche che nella metrica volutamente imperfetta.
Amico fragile Una delle canzoni più celebri ed amate di De André, tratta della frivolezza e dell'inconsistenza culturale dell'alta società, dove non c'è spazio per un ragionamento, una discussione, ma solo per il divertimento fine a se stesso. È però anche una delle canzoni in cui De André espone di più se stesso a feroci autocritiche consegnandoci un autoritratto inquieto e sofferto. « Pensavo è bello che dove finiscano le mie dita debba in qualche modo incominciare una chitarra. E poi seduto in mezzo ai vostri "arrivederci" mi sentivo meno stanco di voi, ero molto meno stanco di voi. Potevo stuzzicare i pantaloni della sconosciuta fino a vederle spalancarsi la bocca, potevo chiedere ad uno qualunque dei miei figli di parlare ancora male ad alta voce di me, potevo barattare la mia chitarra e il suo elmo con una scatola di legno che dicesse "perderemo". » 14/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
Raramente De André è protagonista delle sue canzoni. Addirittura in Hotel Supramonte, che parla del suo rapimento in Sardegna, i versi sono molto discreti e lirici, quasi come se cercasse di eliminarsi dalla narrazione. Invece in Amico Fragile, De André parla in prima persona, è al centro della canzone e dà il suo punto di vista sulla società che frequenta e su se stesso. Emerge, anzi, s'impone una visione senza filtri che oscilla dalla più cupa rassegnazione alla feroce ironia, dalla malinconia di chi si sente "la minoranza di uno" al riscatto della sua condizione di artista, ma soprattutto di uomo libero. « Stavo ancora con la Puny, la mia prima moglie, e una sera che eravamo a Portobello di Gallura, dove avevamo una casa, fummo invitati in uno di questi ghetti per ricchi della costa nord. Come al solito, mi chiesero di prendere la chitarra e di cantare, ma io risposi «Perché, invece, non parliamo?». Era il periodo che Paolo VI aveva tirato fuori la faccenda degli esorcismi, aveva detto che il diavolo esiste sul serio. Insomma a me questa cosa era rimasta nel gozzo e così ho detto: «Perché non parliamo di quello che sta succedendo in Italia?». Macché, avevano deciso che dovessi suonare. Allora mi sono rotto le palle, ho preso una sbronza terrificante, ho insultato tutti e sono tornato a casa. Qui mi sono chiuso nella rimessa e in una notte, da ubriaco, ho scritto Amico fragile. La Puny mi ha stanato alle otto del mattino, non mi trovava né a letto né da nessuna parte, ero ancora nel magazzino che finivo di scrivere. » (Fabrizio De André)
Musicalmente il pezzo è giocato su quattro accordi: due sul verso mentre altri due introducono il ritornello. Una chitarra folk accompagna la voce del cantautore con un rapidissimo arpeggio, creando un'atmosfera onirica e quasi sospesa (molto simile alla tecnica che verrà usata ne La domenica delle salme, del 1990); il ritornello è impreziosito da un riff divenuto molto celebre. Lo stile inconfondibile con il quale è suonata la chitarra folk è mutuato da Leonard Cohen, stile che lo stesso Cohen considera il suo punto di forza come chitarrista e che contraddistingue molte delle sue canzoni, tra le quali The Stranger Song e Avalanche. Il 2 marzo 2000 si è tenuto un concerto in ricordo di De André dal nome “Faber, amico fragile”, dove il cantautore emiliano Vasco Rossi, tra gli altri, si è esibito proprio con questo brano, che nove anni dopo ha inserito nel suo album intitolato Tracks 2 Inediti & rarità.
Album: Rimini Anno: 1978 « "Rimini" è un disco molto triste, terribile. La piccola borghesia è un cancro diffuso in tutto il mondo ed estremamente pericoloso, perché non prende mai posizione, persa com'è a rassomigliare il più possibile alla borghesia vera, quella che ha dettato le regole del mondo di vivere degli ultimi quarant'anni e forse più. » (Fabrizio De André in un'intervista.)
Dopo la proficua collaborazione con Francesco De Gregori, con questo album De André comincia a lavorare con Massimo Bubola, che è co-autore di tutti brani. L'album, che presenta musicalità più lontane dalla chanson francese e più vicine al folk europeo e americano e al pop, nasce dopo la delusione politica di De André per le vicende degli ultimi anni settanta, in particolare per la rottura con le idee del sindacato (a cui si fa riferimento in Coda di Lupo, paragone metaforico tra gli indiani d'America e i contestatori degli anni settanta), gli Indiani metropolitani. I testi sono più oscuri e lirici che nei precedenti album. In Sally e Volta la carta tornano i personaggi cari da sempre a De André: prostitute, tossicodipendenti, emarginati.
15/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
Vi sono anche due brani strumentali: Folaghe e Tema di Rimini.
Rimini È la storia di una ragazza riminese figlia di un droghiere, Teresa, che spazia nel tempo con la fantasia. La canzone affronta, in maniera poetica, non solo il tema dell'aborto, ma anche il tema di quella gioventù di provincia romagnola che viveva di turismo e di amori che durano un'estate, già descritta con eloquenza da Federico Fellini ne I vitelloni. È una canzone in cui realtà e sogno si intrecciano, Teresa evade con la mente dalla Rimini estiva, e spazia nel mare, nel tempo e nello spazio fino ad incontrare Colombo. I due sono accomunati da uno spirito d'avventura che li fa sentire stretti nella cartina geografica tracciata loro intorno e l'uno naviga verso l'ignoto, l'altra guarda oltre l'orizzonte e sogna.
Volta la carta Il brano affonda le sue radici in un filone di filastrocche di varie tradizioni italiane che accostano, verso dopo verso, concetti (introdotti dalla frase «volta la carta») molto distanti tra loro ma spesso legati dalla rima, sfociando in quello che Bubola ha definito «un esempio di surrealismo popolare». Tra le strofe c'è inoltre una citazione della canzone popolare Madamadorè. Il ritornello, che prende ispirazione contemporaneamente da una canzone popolare (Angiolina, bell'Angiolina) e dal neorealismo di Pane, amore e fantasia, racconta invece la storia di una ragazza di nome Angiolina, che patisce delusioni d'amore da un carabiniere ma che infine riesce a sposarsi. La voce femminile è di Dori Ghezzi.
Coda di lupo La canzone è politica, poetica e fantasiosa. Attraverso la metafora di un ragazzo pellerossa che viene iniziato alla vita adulta e alle difficoltà della vita, parla della generazione dei ragazzi cresciuti negli anni settanta, nell'epoca della contestazione giovanile, dell'immaginazione al potere, durante gli Anni di piombo. Molti sono i riferimenti all'attualità del tempo, come la cacciata di Luciano Lama dall'università di Roma da parte degli studenti contestatori nel 1977: «vicino a Roma, a Little Big Horn/ capelli corti generale ci parlò all'università/ dei fratelli tute blu che seppellirono le asce/ ma non fumammo con lui, non era venuto in pace». Le varie "divinità" citate, a cui il protagonista dice di non credere, sono i simboli di condizioni e fatti: i valori della borghesia industriale (dio degli inglesi), il lavoro che arricchisce i già ricchi (dio "fatti il culo"), la paura della ribellione dei giovani da parte delle istituzioni (dio perdente), la fine degli ultimi vecchi partigiani sognatori, inghiottiti dalla storia (dio goloso), la contestazione alla Scala di Milano, che non cambiò nulla (dio della Scala), la fine della contestazione studentesca, sancita dalla repressione e dal numero chiuso alle Università (dio a lieto fine), le illusioni fragili che rimangono ai pochi idealisti superstiti (dio senza fiato). L'ultima strofa descrive la condizione attuale di chi dopo nove anni di contestazione si trova o a protestare in maniera solitaria e convulsiva, magari violentemente, o sfoga la sua repressione nell'Arte, viene mitizzato dalle generazioni più giovani e prova a guardarsi indietro, nel suo percorso. Ma non ha più memoria, ha solo una gran rabbia e colpisce tutti, senza distinzioni. Esplode. O meglio implode senza parlare. Immagine del proprio dio senza fiato, senza alternative, disperato. Un dio in cui tutto sommato non si deve "credere". Il tema è prettamente politico, tuttavia rispetto all'album Storia di un impiegato De André appare più distaccato e disincantato. Il testo scivola sull'ironico e gioca tutto sul parallelismo tra gli indiani d'America e gli Indiani Metropolitani per finire con la strofa conclusiva che racchiude anche un'autocritica per chi "scarica la sua rabbia in un teatro di posa".
16/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
« Un brano come Coda di lupo è una disperata disamina16 del fallimento della rivolta sessantottina e del riflusso della speranza della "fantasia al potere nell'area dei gruppi autonomisti", come gli indiani metropolitani. Non a caso l'illustrazione che, nel libretto che accompagna il disco, si accoppia alla canzone è quella del venditore di cocomeri: un modo di dire, è fallito tutto, andiamo a fare un mestiere qualsiasi, allora vendere cocomeri può valere come "andare a cacciare bisonti in Brianza", come recita un verso del brano. » (Fabrizio De André)
Andrea In questo album, inoltre, viene per la prima volta registrata Andrea, canzone che diventerà, insieme a La guerra di Piero, una delle canzoni più fortemente antimilitariste non solo di De André, ma anche della musica italiana, sullo sfondo però di una storia di amore omosessuale durante la prima guerra mondiale. In tal senso Andrea è pure una canzone sulle diversità. Dai versi finali "... il secchio gli disse signore il pozzo è profondo ... lui disse mi basta che sia più profondo di me" si può dedurre che Andrea, dopo aver perso l'innamorato al fronte, si suicida gettandosi nel pozzo. La voce femminile è di Dori Ghezzi.
Avventura a Durango Avventura a Durango, traduzione di Romance in Durango di Bob Dylan, è la storia di un bandito messicano. De André e Bubola hanno tradotto il ritornello, scritto mescolando parole in spagnolo e inglese (no llores mi querida soon the desert will be gone) con vivaci espressioni, ottenute mescolando parole che ricordano il dialetto abruzzese con l'italiano (nun chiagne Maddalena e strigneme Maddalena stu deserto finirà) eseguite dal cantautore genovese con molta ironia.
Sally Sally racconta in chiave fiabesca il distacco di un giovane dalla propria famiglia e il suo ingresso nel mondo, dove entra a contatto con la droga, la violenza e la prostituzione. Sally simboleggia un po' la delusione di veder svaniti i propri sogni e le proprie illusioni, di come chi non riesce ad adattarsi alla società, finisce per esserne vittima. La protagonista, che non è Sally, dapprima vive nell'autorità della madre, che le raccomanda di non "giocare con gli zingari nel bosco". Comincia così l'avventura della giovane protagonista, che si avvia sprovveduta e senza le conoscenze necessarie per affrontare tutto ciò che è il mondo. Le prime strofe del brano e l'ultima, che riprende la prima, attingono ad una filastrocca britannica: « My mother said that I never should Play with the gypsies in the wood, The wood was dark; the grass was green; In came Sally with a tambourine. I went to the sea - no ship to get across; I paid ten shillings for a blind white horse; I up on his back and was off in a crack, Sally, tell my mother I shall never come back. »
mentre le successive, che presentano i personaggi di Pilar e del Re dei Topi, si ispirano rispettivamente a Cent'anni di solitudine di Gabriel García Márquez, di cui Pilar è uno dei personaggi femminili, ed El Topo di Alejandro Jodorowsky.
Zirichiltaggia (Baddu tundu) Zirichiltaggia è una veloce ballata in gallurese che testimonia la forza e la cultura sarda che stavano sempre più affascinando e coinvolgendo De André in quegli anni: « Quattro anni di Sardegna vuol dire come minimo, se uno ci vive dentro, insieme, imparare il dialetto. Allora mi sono permesso di scrivere 'sta roba qua: si chiama Zirichiltaggia, che vuol
16 disaminàre = sottoporre a un attento esame 17/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
dire lucertolaio. È un litigio fra due pastori per questioni di eredità. » (Fabrizio De André, 1979, concerto con la PFM)
Melodia e ritmica della canzone molto simile alla canzone Back Door (La Porte d'En Arrière) di D.L. Menard, un hit degli anni 60 nella Louisiana cantato in Francese Cajun.
Parlando del naufragio della London Valour Parlando del naufragio della London Valour è una canzone "difficile", con un testo volutamente slegato dalla musica e recitato; il tema del titolo, il naufragio della London Valour, è nascosto in una storia apparentemente "favolistica", costruita sulla libera associazione di idee, in un testo in cui si trovano anche riferimenti alla realtà politica degli anni '70. Il naufragio della London Valour, in tal senso, potrebbe essere una metafora dell'intera società italiana di quel periodo. Tra l'altro, l'intenzione di Faber era quella di descrivere i comportamenti della massa, rappresentati in questo caso dagli abitanti della zona portuale di Genova, che quando si imbatte in una sciagura altrui vi assiste spinta dal solo movente della curiosità, un po' come può capitare oggi davanti all'ennesimo incidente in autostrada. Come svelato da Cristiano De André, la canzone contiene anche una frecciatina a Francesco Guccini nel verso il paralitico tiene in tasca un uccellino blu cobalto ride con gli occhi al circo Togni quando l'acrobata sbaglia il salto, evidentemente come risposta ai riferimenti critici fatti da Guccini agli altri cantautori, tra cui De André,in alcune sue canzoni, quali "Via Paolo Fabbri 43" e "L'avvelenata" ("Colleghi cantautori, eletta schiera, che si vende alla sera per un po' di milioni, voi che siete capaci fate bene ad aver le tasche piene e non solo i coglioni"). Ne ha fatto una cover nel 2000 Max Manfredi rendendola molto più melodica dell'originale. Il brano si trova nel doppio cd Aia da respia, prodotto dal comune di Genova.
Album: Fabrizio De André (L'indiano) Anno: 1981 « Passerà questa pioggia sottile come passa il dolore » (Hotel Supramonte)
“Fabrizio De André” è il decimo album in studio dell'omonimo cantautore genovese, meglio conosciuto come L'indiano a causa della copertina dove compare l'immagine di un nativo americano a cavallo. L'album è stato inciso nel 1981 ed è stato scritto in collaborazione con Massimo Bubola, con cui De André aveva già collaborato per l'album precedente, Rimini; come in Rimini, l'accordo tra i due cantautori prevedeva che le canzoni presenti nell'album avessero la firma di entrambi, pur essendo in realtà il contributo alla scrittura non sempre identico per i due autori. L'album è stato pubblicato, nello stesso anno, in Germania Ovest dalla Metronome. Il tema dell'album è il confronto tra due popoli per certi versi affini, il popolo dei sardi e quello dei pellerossa, entrambi chiusi nei loro mondi.
Quello che non ho Il primo brano, dotato di un ritmo che richiama il blues, mette in evidenza le differenze tra i popoli autoctoni17 e quelli che rappresentano gli "oppressori", rappresentate dalle cose che non si hanno. Introdotto da spari e rumori registrati durante una caccia al cinghiale in Gallura (come riportato nelle note sul retro di 17 nativi del luogo 18/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
copertina), il pezzo è scandito dallo shuffle di una chitarra elettrica e accompagnato dall'armonica a bocca; nella parte finale entrano anche le tastiere di Mark Harris.
Il canto del servo pastore Nel brano la natura viene cantata in prima persona dal servo pastore, uomo semplice che non conosce il proprio nome e le proprie origini ma, vivendo separato dalla comunità umana e immerso nell'ambiente incontaminato, possiede una grande sensibilità per la realtà che lo circonda tanto da fondersi con essa («Mio padre un falco, mia madre un pagliaio»). La canzone è ambientata nelle lande dell'entroterra sardo; il cisto e il rosmarino, le sughere, le fonti e i rivi contribuiscono a delineare il paesaggio come spesse pennellate di colore.
Fiume Sand Creek Nella terza canzone, i sardi vengono messi per un attimo da parte e gli indiani fanno la loro comparsa in Fiume Sand Creek, che ha per tema un reale massacro di pellerossa, avvenuto il 29 novembre 1864, quando alcune truppe della milizia del Colorado, comandate dal colonnello John Chivington, attaccarono un villaggio di Cheyenne e Arapaho, massacrando donne e bambini; l'episodio è raccontato attraverso il linguaggio innocente e forse un po' surreale di un bambino testimone dell'avvenimento. Lo stesso De André ha dichiarato di aver tratto i maggiori spunti per il brano da Memorie di un guerriero Cheyenne, libro/intervista che raccoglie le memorie del guerriero Cheyenne Gambe di legno. Rispetto all'episodio storico, De André e Bubola cambiano il grado e l'età del quarantenne colonnello Chivington, che diventa "un generale di vent'anni". Il pezzo termina, in 3^ persona, nel modo più doloroso possibile: « Ora i bambini dormono nel letto del Sand Creek »
Nel 2007 Shel Shapiro ha inciso nel suo album Storie, sogni e rock'n'roll una traduzione in inglese di questa canzone, intitolata River Sand Creek; il testo inglese è opera dello stesso Shapiro, ed è il frutto di una serie di traduzioni che l'ex leader dei The Rokes ha realizzato per un progetto di Patti Smith legato alla sua incisione di canzoni italiane.
Ave Maria L'attenzione torna sul popolo sardo con Ave Maria, un canto tradizionale sardo ispirato alla preghiera cristiana che viene riadattato. Nella canzone canta Mark Harris, tastierista e coarrangiatore dell'album.
Hotel Supramonte Si tratta di un adattamento della canzone di Massimo Bubola Hotel Miramonti (scritta ad Alleghe all'Hotel Miralago, di cui era ospite); la versione originale viene a volte riproposta live dal cantautore veronese. Il brano parla del sequestro subìto da De André con la moglie Dori Ghezzi nell'agosto del 1979 per mano dell'Anonima sequestri. Il titolo è dato dal Supramonte, catena montuosa dell'entroterra sardo, nascondiglio dei più famosi latitanti dell'isola, inteso come una sorta di albergo in cui far soggiornare gli ospiti. Dal punto di vista musicale il pezzo è il più intimo dell'album: alla voce si aggiungono solo degli strumenti acustici (un basso, un violino, una chitarra suonata da Faber) e un leggero accompagnamento d'archi.
Franziska L'amore controverso e impossibile tra una ragazza ed un bandito (poeticamente denominato "marinaio di foresta") è il tema di Franziska.
19/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
Se ti tagliassero a pezzetti Se ti tagliassero a pezzetti, una canzone d'amore e insieme un inno alla libertà. Quando veniva cantata dal vivo, il verso "signora libertà, signorina fantasia" veniva spesso modificato in "signora libertà, signorina anarchia". La paternità della canzone è di Bubola, per quanto probabilmente il testo sia stato integrato e sicuramente reso proprio da Faber.
Verdi pascoli Questa canzone parla del paradiso secondo gli Indiani d'America, che viene descritto da De André con molta libertà e divertimento.
Album: Crêuza de mä Anno: 1984 « Crêuza è stato il miracolo di un incontro simultaneo fra un linguaggio musicale e una lingua letteraria entrambi inventati. Ho usato la lingua del mare, un esperanto dove le parole hanno il ritmo della voga, del marinaio che tira le reti e spinge sui remi. Mi piacerebbe che Crêuza fosse il veicolo per far penetrare agli occhi dei genovesi (e non solo nelle loro) suoni etnici che appartengono alla loro cultura. » (Fabrizio De André in un'intervista)
Crêuza de mä (il cui nome originale è Creuza de mä, 1984) è l'undicesimo album registrato in studio di Fabrizio De André. Il disco è interamente cantato in lingua genovese, in quanto esso vuole rappresentare la realtà del bacino del Mediterraneo: in questo senso, il genovese, lingua della Repubblica di Genova e tuttora lingua viva, è stato per molti secoli (approssimativamente dal Basso Medioevo fino al XVIII secolo) una delle principali lingue per quanto riguarda la navigazione e gli scambi commerciali. Il disco è stato considerato da parte della critica una delle pietre miliari della musica degli anni ottanta e, in generale, della musica etnica tutta; David Byrne ha dichiarato alla rivista Rolling Stone che Crêuza è uno dei dieci album più importanti della scena musicale internazionale degli anni ottanta, e la rivista "Musica & Dischi" lo ha eletto migliore album degli anni ottanta.
Crêuza de mä « Ómbre de môri, môri de mainæ, dónde ne vegnî, dôve l'é ch'anæ? »
È la canzone d'apertura e dà il titolo all'album. La locuzione crêuza de mä nel genovesato definisce un viottolo o mulattiera, talvolta a scalinata, sorta di strada collinare che abitualmente delimita i confini di proprietà e porta (come tutte le strade a Genova) verso il mare. La traduzione è quindi "viottolo di mare" o, utilizzando un ligurismo, "crosa di mare". I marinai, tornati dal mare, un posto "dove la luna si mostra nuda", quindi non guarnita da colline, foglie o case, vanno alla taverna dell'Andrea in un tentativo di riscoperta delle loro origini. Il pezzo, considerato tra le più alte espressioni artistiche di Fabrizio De André, è interamente in lingua genovese (come del resto l'intero album). Il testo è incentrato sulla figura dei marinai, e sulle loro vite da eterni viaggiatori, e racconta il ritorno dei marinai a riva, quasi come estranei. De André parla magistralmente delle loro sensazioni, la loro narrazione delle esperienze provate sulla propria pelle, la crudezza d'essere in balìa reale degli elementi; poi affiora una ostentata scherzosa diffidenza che si nota nell'assortimento dei cibi immaginati, accettabili e normali,(quasi, per un marinaio), contrapposti ad altri, come le cervella di agnello, o il pasticcio di "lepre di tegole" (ossia il gatto, spacciato per 20/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
coniglio), decisamente e volutamente meno accettabili, e citati evidentemente per fare ironia sulla affidabilità e saldezza dell'Andrea e, forse, di tutto un mondo a cui sanno di non appartenere. Alla fine il "padrone della corda", probabilmente la necessità o la loro scelta di vita, li riporterà al mare.
Jamín-a Tra le canzoni più cariche di sensualità di Fabrizio De André, è un vero e proprio inno o elogio dell'erotismo, impersonato dalla "lupa di pelle scura" Jamín-a, capace di fare l'amore in modo travolgente e quasi insaziabile. Voglia d'amore che però racchiude qualcosa di più elevato e spirituale, come se l'unirsi dei due corpi sottintenda qualcosa di più d'un semplice atto fisico. « ... Jamín-a non è un sogno, ma piuttosto la speranza di una tregua. Una tregua di fronte a un possibile mare forza otto, o addirittura ad un naufragio. Voglio dire che Jamín-a è un'ipotesi di avventura positiva che in un angolo della fantasia del navigante trova sempre e comunque spazio e rifugio. Jamín-a è la compagna di un viaggio erotico, che ogni marinaio spera o meglio pretende di incontrare in ogni posto, dopo le pericolose bordate subite per colpa di un mare nemico o di un comandante malaccorto » (Crêuza de mä - Incontro con Fabrizio De André, film-documentario di Mixer (1984) commentato dallo stesso De André)
Sidún Questo brano è considerato uno fra i migliori di De André in virtù di un testo poetico e struggente18 che descrive lo strazio di un padre di fronte alla morte violenta, a causa della guerra, del proprio figlioletto. In questo senso, può essere considerato un inno pacifista che mette in luce l'inutilità di tutte le guerre. "Sidùn" è la città di Sidone, in Libano, teatro, all'epoca della stesura del disco, di ripetuti massacri durante la guerra civile che sconvolse il paese (campo di battaglia di Siria e Israele) dal 13 aprile 1975 fino al 1991. A farne le spese fu in massima parte la popolazione civile, soprattutto i numerosissimi rifugiati palestinesi. La canzone è introdotta dalle voci di Ronald Reagan e Ariel Sharon alle quali fa da sfondo il rumore dei carri armati. « Sidone è la città libanese che ci ha regalato oltre all'uso delle lettere dell'alfabeto anche l'invenzione del vetro. Me la sono immaginata, dopo l'attacco subito dalle truppe del generale Sharon del 1982, come un uomo arabo di mezz'età, sporco, disperato, sicuramente povero, che tiene in braccio il proprio figlio macinato dai cingoli di un carro armato. Un grumo di sangue, orecchie e denti di latte, ancora poco prima labbra grosse al sole, tumore dolce e benigno di sua madre, forse sua unica e insostenibile ricchezza. La piccola morte, a cui accenno nel finale di questo canto, non va semplicisticamente confusa con la morte di un bambino piccolo. Bensì va metaforicamente intesa come la fine civile e culturale di un piccolo paese: il Libano, la Fenicia, che nella sua discrezione è stata forse la più grande nutrice della civiltà mediterranea. » (Crêuza de mä - Incontro con Fabrizio De André, film-documentario di Mixer (1984) commentato dallo stesso De André)
Sinàn Capudàn Pascià La canzone narra la storia, vera, di un semplice marinaio della flotta della Repubblica di Genova, noto come tale Scipione Cicala (Çigä in lingua genovese), catturato dai Mori durante uno scontro navale e in seguito, per aver salvato la vita al sultano, a mezzo del ripudio della propria fede e delle proprie origini, diviene alla fine fiduciario del sultano ed infine Gran visir con il nome di Sinàn Capudàn Pascià. Il personaggio, pur vedendo tutta la sua vita trasformata, non cambia intimamente e diventato importante dignitario, si giustifica dicendo che di fatto non molto è mutato nel flusso della sua vita, che continua erratica ed opportunista, (evidenziata dalla allegoria del pesce che quando le cose vanno bene sta a galla, ma quando vanno male si nasconde al fondo), e con la sola variante di proseguire giastemàndo Momâ òu pòsto do Segnô ("bestemmiando 18 tormentoso 21/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
Maometto al posto di nostro Signore").
'Â pittima 'Â pittima rappresentava, nell'antica Genova, la persona a cui i privati cittadini si rivolgevano per esigere i crediti dai debitori insolventi. Il compito della pittima era di convincere, con metodi più o meno leciti, i debitori a pagare; ancora oggi a Genova la parola è sinonimo di persona insistente, noiosa, appiccicosa. « Il personaggio è la risultante di un'emarginazione sociale, almeno come io lo descrivo, dovuta principalmente alle sue carenze fisiche. "Cosa ci posso fare se non ho le braccia per fare il marinaio, se ho il torace largo un dito, giusto per nascondermi con il vestito dietro ad un filo": questo è il lamento di chi è stato costretto da una natura tutt'altro che benevola a scegliersi, per sopravvivere, un mestiere sicuramente impopolare. [...] Così ho immaginato la mia pittima, come un uccello che non riesce ad aprire le ali, ed è destinato a nutrirsi dei rifiuti dei volatili da cortile. » (Crêuza de mä - Incontro con Fabrizio De André, film-documentario di Mixer (1984) commentato dallo stesso De André)
 duménega « Fabrizio: Lì è stata la forza di Pagani: "Adesso scrivo un pezzo alla De André", e ti esce fuori con " duménega". Mauro: Io ho fatto " duménega" avvertendo Fabrizio che la gente avrebbe detto: "Eh, questo è il Fabrizio di una volta!" » (Fabrizio De André e Mauro Pagani, riguardo la musica di " duménega")
Il brano racconta in maniera ironica il "rito" della passeggiata domenicale che il comune di Genova concedeva un tempo alle prostitute, per tutta la settimana relegate a lavorare in un quartiere della città prestabilito. De André riporta le scenate dei cittadini al passaggio di queste prostitute e descrive le reazioni dei vari personaggi, tutti accomunati dal finto moralismo: da chi grida loro qualsiasi epiteto19 salvo poi frequentarle durante la settimana; al proprietario del molo, felice di tutto quel ben di Dio a passeggio che porta tanti soldi nelle casse del Comune, favorendo la ristrutturazione del molo stesso (giacché il Comune di Genova con i ricavi degli appalti delle case di tolleranza sembra riuscisse a coprire per intero gli annuali lavori portuali) ma le insulta comunque "per coerenza", al rozzo bigotto, che, per legge di contrappasso, mentre sbraita contro le prostitute vede tra loro la propria moglie.
D'ä mê riva Il brano chiude idealmente il discorso sull'eterno viaggiare dei marinai aperto ad inizio album con "Crêuza de mä". Qui infatti vediamo un marinaio al momento della partenza per un nuovo viaggio salutare con un triste canto d'addio l'innamorata che lo guarda dal molo e la sua città, Genova. « Quando un navigante abbandona la banchina del porto della città in cui vive arriva il momento del distacco dalla sicurezza, dalla certezza, sotto specie magari di una moglie, custode del talamo nuziale20, agitante un fazzoletto chiaro e lacrimato dalla riva; il distacco dal pezzetto di giardino, dall'albero del limone, e, se il navigante parte da Genova, sicuramente dal vaso di basilico piantato lì sul balcone [...] . È un momento sottilmente drammatico, un momento che si vive come accecati da un controsole, e che suscita la nostalgia nel momento stesso in cui l'imbarcato fa l'inventario del suo baule da marinaio preparatogli dalla moglie: tre camicie di velluto, due coperte, il mandolino e un calamaio di legno duro [...] compagna della vita resta al marinaio soltanto una fotografia di quando lei era ragazza, una fotografia sbiadita in fondo ad un berretto nero, per poter baciare ancora Genova sull'immagine di una bocca che io definisco "in naftalina". » (Crêuza de mä - Incontro con Fabrizio De André, film-documentario di Mixer (1984) commentato dallo stesso De André)
19 parola spregiativa, insulto 20 il talamo è la camera nuziale o il letto coniugale e in senso figurato riconduce alle nozze. 22/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
Album: Le nuvole Anno: 1990 « Ormai viviamo tutti al centro di un'immensa e dolorosa Trent'anni fa si poteva sperare di cambiare il mondo, di un'opposizione seria al sistema. Oggi, purtroppo, non ci mondo che semmai è cambiato in peggio, a una giustizia e
satira e io ho tentato di descriverla. avere una giustizia sociale e resta che la rassegnazione davanti al a un'opposizione fantasma. » (Fabrizio De André in un'intervista)
« ...in Creuza in fondo ci eravamo divisi i compiti, lui i testi, io le musiche. Quando cominciammo a lavorare al disco nuovo ci rendemmo conto invece che con il passare degli anni il nostro rapporto si era fatto più profondo, che le nostre conoscenze sempre più si influenzavano e si intrecciavano a vicenda. Così stavolta tutto prese forma e identità davvero a quattro mani, chiacchierando, inventando, facendo e rifacendo. Soprattutto guardandoci intorno, con una attenzione al mondo del tutto diversa da quella del disco genovese. Il «dove» stavolta finì per essere l'Ottocento, l'Ottocento cattolico e borghese delle grandi utopie21, del colonialismo e delle guerre senza senso, così simile per contenuti e scelte ai tempi odierni, in fondo solo un po' più veloci e molto più isterici. Tutto quello che avevamo tra le mani di nuovo trovò peso e collocazione, dai ricchi ateniesi di Aristofane, così simili ai nostri, all'ignavia22 di Oblomov, dall'incanto malinconico di Čajkovskij alla saggezza un po' guittesca e senza tempo del secondino Pasquale Cafiero. » (Mauro Pagani, 2006)
In quest'opera di De André la cesura23 tra le due facce dell'album è molto sentita ed evidente. Il lato A, interpretato completamente in italiano (Don Raffae' compresa, trattandosi di un napoletano italianizzato e perfettamente comprensibile) inizia e termina con un canto di cicale, simbolo ironico del «coro di vibrante protesta» lanciato dal popolo italiano in risposta allo spadroneggiare dei potenti e alla perdita di identità e valori.
Le nuvole È il brano che dà anche il titolo all'album. Il testo non è cantato da De André, ma interpretato da due donne, una anziana ed una più giovane, che recitano sotto un tappeto sonoro intenso e sognante. « Ho scelto Lalla Pisano e Maria Mereu perché le loro voci mi sembravano in grado di rappresentare bene «la Madre Terra», quella, appunto, che vede continuamente passare le nuvole e rimane ad aspettare che piova. È messo subito in chiaro che «si mettono lì / tra noi e il cielo»: se da una parte ci obbligano ad alzare lo sguardo per osservarle, dall'altra ci impediscono di vedere qualcosa di diverso o più alto di loro. Allora le nuvole diventano entità che decidono al di sopra di noi e cui noi dobbiamo sottostare, ma, pur condizionando la vita di tutti, sono fatte di niente, sono solo apparenza che ci passa sopra con indifferenza e noncuranza per nostra voglia di pioggia... » (Fabrizio De André)
Ottocento È un pezzo volutamente anacronistico24, un'opera buffa che è un misto di vari generi musicali, tra cui anche un jodel alla tirolese. Anche l'interpretazione vocale di Fabrizio è piuttosto anomala: la voce del cantautore appare differente da quella alla quale il pubblico è abituato. De André riporta in un'intervista le motivazioni di questa scelta: 21 22 23 24
idee irrealizzabili e progetti inattuabili indolenza (indolente = che non dà dolore) {musica} in una melodia, sospensione non scritta, ma suggerita dalla natura della melodia stessa che costituisce anacronismo; antiquato; disusato 23/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
« È un modo di cantare falsamente colto, un fare il verso al canto lirico, suggeritomi dalla valenza enfatica di un personaggio che più che un uomo è un aspirapolvere: aspira e succhia sentimenti, affetti, organi vitali ed oggetti di fronte ai quali dimostra un univoco atteggiamento mentale: la possibilità di venderli e di comprarli. La voce semi-impostata mi è sembrata idonea a caratterizzare l'immaginario falso-romantico di un mostro incolto e arricchito. » (Fabrizio De André, 1990)
Don Raffaè Don Raffaè nasce dalla collaborazione di Fabrizio De André con Massimo Bubola per la stesura del testo, con Mauro Pagani per la scrittura della musica. L'uso del dialetto non è comunque inusuale per lo stile dell'artista, in quanto appartenente al periodo della svolta world del cantautore. La canzone è una denuncia della situazione delle carceri italiane negli anni ottanta, e della sottomissione dello Stato al potere delle mafie. Viene citato infatti un brigadiere di Polizia Penitenziaria del carcere di Poggioreale ormai lacchè piegato al boss in galera, ma anche la condizione di vita agiata all'interno del carcere dello stesso boss. Il brigadiere ha come unica speranza di miglioramento della propria condizione, quella di chiedere intercessione al boss Don Raffaè: per trovare lavoro o una casa, per ottenere giustizia, ma anche per un cappotto elegante da poter usare ad un matrimonio. Secondo le parole dello stesso De André, «la canzone alludeva a Raffaele Cutolo» noto camorrista e fondatore della Nuova Camorra Organizzata, sebbene né lo stesso De André né il coautore Massimo Bubola disponessero «di notizie di prima mano sulla sua detenzione». Anche lo stesso Cutolo pensò a una dedica alla sua persona e si premunì di scrivere al cantautore genovese per complimentarsi, meravigliandosi inoltre di come De André fosse riuscito a cogliere alcuni aspetti della personalità e della vita carceraria del boss, senza avere a disposizione informazioni dettagliate. De André rispose alla lettera di Cutolo per ringraziarlo, ma evitò di continuare il carteggio con il boss. Il ritornello della canzone è una citazione del brano O ccafè di Domenico Modugno. Una incisione del brano è stata realizzata in coppia con Roberto Murolo, ed una esecuzione è stata cantata dai due in occasione del Concerto del Primo Maggio del 1992. Il brano è stato reinterpretato dal cantante napoletano Peppe Barra nel 2001, anno di pubblicazione del disco Guerra che contiene la cover.
La domenica delle salme La musica è scritta con Mauro Pagani, mentre il testo è di De André. Racconta Pagani: « Quando il disco fu terminato Fabrizio se lo portò a casa e dopo qualche giorno mi telefonò. «Manca qualcosa, è tutto bello ma un po' troppo leggero, manca quello che pensiamo davvero di tutto questo, manca quello che purtroppo ci è accaduto». Così qualche giorno dopo partimmo per la Sardegna, e dopo aver fatto il pieno di bottiglioni di Cannonau ci nascondemmo all'Agnata, la sua tenuta in Gallura. Faber tirò fuori uno dei suoi famosi quaderni, e le cento righe di appunti quasi casuali, raccolti in anni di letture di libri e quotidiani, in tre giorni diventarono la descrizione lucida e appassionata del silenzioso, doloroso e patetico colpo di Stato avvenuto intorno a noi senza che ci accorgessimo di nulla, della vittoria silenziosa e definitiva della stupidità e della mancanza di morale sopra ogni altra cosa. Della sconfitta della ragione e della speranza. Credo che nel testo de La domenica delle salme ci sia tutta la grandezza di Fabrizio narratore. Ci sono tutti gli elementi per capire, ma tutto è raccontato, non ci sono sintesi o giudizi, che, come lui diceva spesso, nelle canzonette sono peccati mortali. La visione del tutto scaturisce dalla somma di tante piccole storie personali, nessuno grida in quella ridicola tragedia. Nessuno punta il dito, tutto si spiega da sé. E nell'elenco dei patetici fallimenti, come tutti i grandi, Faber non dimentica il proprio e quello dei suoi colleghi canterini, giullari proni e consenzienti di una corte di despoti arroganti e senza qualità. » (da Mauro Pagani. Il sentiero delle parole, in AA.VV. Deandreide. Milano, BUR, 2006.) 24/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
Nel testo del brano De André cita il suo «illustre cugino de Andrade» in riferimento al poeta brasiliano Oswald de Andrade. « Tra i molti poeti sudamericani che conosco, Oswald de Andrade è uno dei miei preferiti, probabilmente per quel suo atteggiamento comportamentale oltre che poetico totalmente libertario, per quel suo anticonformismo formale che lo fa essere qualcosa di più e di meno e comunque di diverso da un poeta in senso classico. E poi è dotato di un umorismo caustico difficilmente riscontrabile in altri poeti dei primi del Novecento. » (Giancarlo Susanna. Stormy Weather. Intervista a De André, autunno 1990)
Mégu megún « E mi e mi e mi e anâ e anâ e a l'âia sciortî e sûa sûa e o cheu o cheu o cheu da rebelâ finn-a pigiâ, pigiâ o tren o tren »
Brano in lingua genovese scritto con Ivano Fossati. La traduzione in italiano del titolo è "medico medicone". Il brano consiste nella lunga lamentela di un ammalato immaginario contro il suo medico, colpevole di volerlo far alzare dal letto. A spaventare il povero ipocondriaco è il contatto con la gente, la gente che fa domande, la gente sporca, la gente pronta a rubare i soldi con qualche stratagemma, la gente che, naturalmente, attacca le malattie, la gente che ti può far innamorare. Il tono è cupo: addirittura in un passaggio della canzone si riproduce il respiro affannoso del malato. Alla fine il paziente deciderà che per lui è meglio non uscire, e resterà, come un Oblomov, prigioniero del suo letto, intento a sognare.
La nova gelosia Adattamento di un canto popolare napoletano del XVIII secolo. La gelosia sarebbe il serramento della finestra, la persiana nuova che impedisce all'amato di guardare la sua bella. « Fenesta co' 'sta nova gelosia [...] tu m'annasconne Nennella bella mia lassamela vedé sinnò me moro. »
Fabrizio scelse di includerla nell'album in preparazione dopo averla ascoltata in un'interpretazione di Roberto Murolo che lo affascinò.
'Â çímma Vero capolavoro in lingua genovese di Fabrizio De André, scritto con Ivano Fossati. Il brano descrive poeticamente la preparazione d'un piatto tipico ligure, la cima appunto. (LIJ) « Çè serèn, têra scüa carne tégna nu fäte nèigra nu turnä düa Bell'ôeggiä strâpunta de tüttu bun prima de battezälu ‘nt'u prêbuggiùn cun dùi âguggiuìn drîtu ‘n pùnta de pe' da sùrvia ‘n zù fîtu ti a-a punzeggiæ »
(IT) « Cielo sereno terra scura carne tenera non diventare nera non ritornare dura Bel guanciale materasso di ogni ben di Dio prima di battezzarla nelle erbe aromatiche con due grossi aghi dritto in punta di piedi da sopra a sotto svelto la pungerai »
Monti di mola Omaggio di De André alla sua terra d'adozione tanto amata, la Sardegna; monti di mola è
25/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
infatti la denominazione gallurese della Costa Smeralda. Il brano è scritto in lingua gallurese e narra teneramente l'impossibile amore tra un giovane e un'asina, irrealizzabile non tanto per la differenza di specie ma per un "problema burocratico": (SDN) « Ma a cuiuassi no riscisini l'aina e l'omu ché da li documenti escisini fratili in primu »
(IT) « Ma non riuscirono a sposarsi l'asina e l'uomo perché dai documenti risultarono cugini primi »
Partecipa all'incisione del brano il gruppo sardo dei Tazenda, che effettua il controcanto nei ritornelli.
Album: Anime salve Anno: 1996 « Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria col suo marchio speciale di speciale disperazione, e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi per consegnare alla morte una goccia di splendore, di umanità, di verità » (Smisurata preghiera)
Anime salve è un album intenso, considerato da molti il testamento spirituale di Fabrizio 'Faber' De André, un percorso ideale nell'anima del mondo: il mondo degli umili, dei reietti, dei dimenticati. Il tema prevalente è la solitudine in tutte le sue forme: quella della transessuale, del Rom, dell'innamorato, del povero pescatore di acciughe, anche (in positivo) quella scelta come condizione ideale. Lo stesso titolo dell'album deriva dall'etimologia delle parole "Anime Salve", e sta a significare "spiriti solitari". L'intero disco può essere considerato un "elogio della solitudine", che permette di essere liberi e non condizionati dalla società. Lo stesso De André definì "Anime salve", nel corso del concerto tenuto al Teatro Brancaccio di Roma nel 1998, un «discorso sulla libertà». Scritto a quattro mani con il cantautore e amico genovese Ivano Fossati, Anime salve colpisce per il livello altissimo di ispirazione delle liriche e degli arrangiamenti (curati da Piero Milesi), vere e proprie perle nel panorama della musica leggera italiana. La ricerca musicale dell'opera è indirizzata verso ritmi e temi tipici della cultura musicale Sudamericana, cara a Fossati e che fin da giovane hanno appassionato Fabrizio nel tropicalismo di Caetano Veloso, ma vi sono anche chiari riferimenti alle sonorità della musica Balcanica e Mediterranea. Anche in quest'ultimo disco Princesa sono in portoghese sono in lingua genovese, il sesta canzone, Disamistade,
De André usa molto altre lingue e dialetti: i cori di del Brasile, i cori di Dolcenera e l'intero testo di  cúmba finale di Khorakhané è in lingua rom, mentre il titolo della è una parola sarda.
Princesa Prinesa trae spunto dall'omonimo libro autobiografico di Fernanda Farias De Albuquerque, scritto con l'ex brigatista romano Maurizio Iannelli, in cui viene narrata la storia della transessuale brasiliana Fernandinho che abbandona l'infanzia contadina per seguire il suo desiderio di femminilità, trasferendosi in città per correggere chirurgicamente l'errore della natura, diventare finalmente donna e, citando il testo della canzone, correre "all'incanto dei desideri".
26/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
Khorakhané (A forza di essere vento) Struggente pezzo incentrato sullo stile di vita e l'assoluta libertà del popolo Rom (la parola "Khorakhanè" indica appunto una tribù d'origine Rom). I Rom vengono qui dipinti come un popolo senza una vera casa e per questo totalmente liberi e privi di condizionamenti economico-sociali. Da qui la metafora, il senso del pezzo: la vita è come il viaggio di uno zingaro, che parte senza sapere la meta e senza, soprattutto, curarsi di questa, perché il fine diventa solo un interessante particolare, non lo scopo dell'esistenza umana! "...per la stessa ragione del viaggio: viaggiare..." Nel corso del concerto tenuto al Teatro Brancaccio di Roma nel 1998, Fabrizio De André dichiarò a proposito del popolo Rom: «Sarebbe un popolo da insignire con il Nobel per la pace per il solo fatto di girare per il mondo senza armi da oltre 2000 anni». La coda di questo brano è scritta in romaní, la lingua dei Rom; ad esso collaborò un amico rom di Fabrizio. Nel disco in studio questo finale in lingua rom è cantato dalla moglie di De André, Dori Ghezzi; dal vivo il finale è spesso interpretato dalla figlia di De André, Luvi.
Anime Salve È il brano che dà il titolo all'album. Il testo, poetico, è incentrato sulla solitudine e gli "spiriti solitari": la loro salvezza deriva forse proprio da questo essere diversi, solitari per scelta, liberi. Il pezzo è cantato con Ivano Fossati, co-autore dell'intero album, che presta la sua voce anche in 'Â cúmba. Secondo il dato fornito nella raccolta "In direzione ostinata e contraria" sarebbe dedicato alla memoria del bassista Stefano Cerri, circostanza del tutto inverosimile essendo Cerri scomparso nel novembre 2000, cioè quattro anni dopo l'uscita dell'album e quasi due anni dopo la morte di De André.
Dolcenera Durante un concerto a Treviglio, il 24 marzo 1997, De André affermò: « Questo del protagonista di Dolcenera è un curioso tipo di solitudine. È la solitudine dell'innamorato, soprattutto se non corrisposto. Gli piglia una sorta di sogno paranoico, per cui cancella qualsiasi cosa possa frapporsi fra se stesso e l'oggetto del desiderio. È una storia parallela: da una parte c'è l'alluvione che ha sommerso Genova nel '70, dall'altra c'è questo matto innamorato che aspetta una donna. Ed è talmente avventato in questo suo sogno che ne rimuove addirittura l'assenza, perché lei, in effetti, non arriva. Lui è convinto di farci l'amore, ma lei è con l'acqua alla gola. Questo tipo di sogno, purtroppo, è molto simile a quello del tiranno, che cerca di rimuovere ogni ostacolo che si oppone all'esercizio del proprio potere assoluto. »
La canzone ha una musica profonda, un linguaggio ricco di rime e di assonanze e un ritmo ondeggiante e sinuoso.
Le acciughe fanno il pallone Il titolo è una frase tipica ligure e sta ad indicare il momento in cui le acciughe, nell'intento di sfuggire dai loro predatori, saltano velocemente fuori dall'acqua. Nelle giornate senza vento è possibile vederne a migliaia saltare fuori e formare una scintillante semisfera. Il brano può essere visto come uno spaccato della solitudine, quasi voluta e cercata, del marinaio che torna a riva dopo ore di pesca in mare aperto e non viene notato «dalle villeggianti che passano con l'occhio di vetro scuro» di fianco alle reti che asciugano sul muro.
Disamistade Disamistade, in sardo, significa "inimicizia" e, per estensione, faida, lotta. Il brano racconta appunto la faida tra due famiglie probabilmente per motivi d'onore e promesse non mantenute ed è uno spaccato delle classiche "guerre" e inimicizie tra famiglie che
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spesso si potevano vivere soprattutto nella zone centro-meridionali italiane fino a qualche decennio fa, dovute soprattutto ad un fortissimo senso dell'onore e dell'orgoglio.
 cúmba Il titolo tradotto è La colomba. Nel pezzo la colomba è, metaforicamente, la ragazza che vola via dalla casa dei genitori per sposarsi e cambiare "nido", abitazione. Il testo, interamente in lingua genovese, è incentrato sull'operazione di convincimento che il pretendente fa verso il padre della ragazza per convincerlo a cedergli la figlia in sposa. Il ragazzo promette di trattarla con rispetto e riverenza e riesce a convincere con buone parole il padre della ragazza, ma nel finale di canzone De André ribalta tutto e mostra la realtà proponendo l'immagine della ragazza a casa trascurata e del marito in giro a divertirsi. Nel brano, con De André, canta anche Ivano Fossati.
Ho visto Nina volare Lo spunto di questa canzone dovrebbe essere il primo amore d'infanzia di De André. È dedicata all’amica d’infanzia Nina ... descrive la solitudine del ragazzo che deve disobbedire al padre, non sapendo informarlo del suo amore per Nina: sarà costretto a scappare di casa, e cercare una nuova vita lontano. L'ombra è il rimorso del protagonista che si ribella all'autorità paterna, ma lui è ben pronto a cacciarlo, con il coltello (cioè con la violenza), e con la maschera di gelso, che vuol dire nascondersi. Elementi presenti nella canzone sono l'altalena su cui giocavano, il cortile della cascina e l'arnia («mastica e sputa, da una parte il miele, mastica e sputa, dall'altra la cera»). Ivano Fossati riferirà in seguito, in un'intervista, che il "masticare e sputare da una parte il miele e dall'altra la cera" è un'antichissima pratica osservata con stupore da De André e dallo stesso Fossati mentre veniva effettuata da alcune anziane contadine nel materano, in Basilicata.
Smisurata preghiera Smisurata preghiera è tratta dal libro di poesie Saga di Maqroll - Il gabbiere di Álvaro Mutis (divenuto poi amico di De André) che racconta di un marinaio errante e delle sue considerazioni sui temi fondamentali della vita (il quale, al contrario della canzone in questione, prega: Ricorda Signore che il tuo servo ha osservato pazientemente le leggi del branco. Non dimenticare il suo volto). Considerata l'epitome25 dell'intero disco e dei suoi temi, è una sorta di richiesta, da parte di quegli uomini che per la libertà hanno scelto la solitudine e per questo sono stati emarginati dalla maggioranza, di un riscatto impossibile, smisurato. Lo stesso Fabrizio affermò, durante un concerto: « L'ultima canzone dell'album è una specie di riassunto dell'album stesso: è una preghiera, una sorta di invocazione... un'invocazione ad un'entità parentale, come se fosse una mamma, un papà molto più grandi, molto più potenti. Noi di solito identifichiamo queste entità parentali, immaginate così potentissime come una divinità; le chiamiamo Dio, le chiamiamo Signore, la Madonna. In questo caso l'invocazione è perché si accorgano di tutti i torti che hanno subito le minoranze da parte delle maggioranze. Le maggioranze hanno la cattiva abitudine di guardarsi alle spalle e di contarsi... dire "Siamo 600 milioni, un miliardo e 200 milioni..." e, approfittando del fatto di essere così numerose, pensano di poter essere in grado, di avere il diritto, soprattutto, di vessare26, di umiliare le minoranze. La preghiera, l'invocazione, si chiama "smisurata" proprio perché fuori misura e quindi probabilmente non sarà ascoltata da nessuno, ma noi ci proviamo lo stesso. »
Smisurata Preghiera può essere considerata quasi il "testamento spirituale" dell'intera opera di Fabrizio De André, il suo messaggio "definitivo". È un atto d'amore per le minoranze, «per chi viaggia in direzione ostinata e contraria col suo marchio speciale 25 compendio, riassunto, specialmente di un'opera storica 26 opprimere, maltrattare 28/33 Fabrizio De André – Storia di dischi e testi
di speciale disperazione» contro una maggioranza incline a coltivare le sue meschinità. In questa canzone, di riuscitissima forza poetica, c'è tutto De André: quello che insegue la libertà «tra i vomiti dei respinti» con un titanismo che ricorda quello di Leopardi ne La Ginestra. C'è il De André che si rivolge al divino per invocare, con profonda umanità, la salvezza degli emarginati che «dopo tanto sbandare è appena giusto che Fortuna li aiuti come una svista, come un'anomalia, come una distrazione, come un dovere». Il pezzo si chiude con uno struggente assolo strumentale di oltre due minuti di tastiera e organetto diatonico suonato da Riccardo Tesi.
Album: -- (singoli senza album) Anno: -La città vecchia Novembre 1965 A ritmo di mazurca De André racconta frammenti di vita dello strano popolo dimenticato che vive presso il porto di Genova, «in quell'aria spessa carica di sale, gonfia di odori»: puttane, vecchi sbronzi, ladri, nani e assassini. « "Io credo che gli uomini agiscano certe volte indipendentemente dalla loro volontà. Certi atteggiamenti, certi comportamenti sono imperscrutabili. La psicologia ha fatto molto, la psichiatria forse ancora di più, però dell'uomo non sappiamo ancora nulla. Certe volte, insomma, ci sono dei comportamenti anomali che non si riescono a spiegare e quindi io ho sempre pensato che ci sia ben poco merito nella virtù e poca colpa nell'errore, anche perché non ho mai capito bene che cosa sia la virtù e cosa sia l'errore" » (Fabrizio De André)
La morale finale è un po' la summa del pensiero di De André: « Se tu penserai e giudicherai da buon borghese li condannerai a cinquemila anni più le spese. Ma se capirai, se li cercherai fino in fondo se non sono gigli son pur sempre figli vittime di questo mondo »
Per il titolo ed il contenuto del brano Fabrizio si ispira a "La città vecchia", celebre poesia di Umberto Saba ambientata nella zona portuale di Trieste; sebbene la morale finale sia la stessa («la prostituta e marinaio, il vecchio che bestemmia, la femmina che bega [...] sono tutte creature della vita e del dolore», dice Saba), vi è tuttavia un enorme divario ideologico: se per Saba «s'agita in esse, come in me, il Signore», per De André a quella gente «il sole del buon Dio non dà i suoi raggi, ha già troppi impegni per scaldare gente d'altri paraggi» Quest'ultima frase è ripresa direttamente da una poesia di Jacques Prévert, "Embrasse moi", da Histories, 1946: (FR) (IT) « Le soleil du bon Dieu ne brill' pas de notr' « Il sole del buon Dio non brilla dalle nostre côté parti Il a bien trop à faire dans les riches quartiers » ha già troppo da fare nei quartieri dei ricchi » (da "Embrasse moi", Jacques Prévert)
La musica è fortemente ispirata a "Le bistrot" di Georges Brassens (1960). La canzone fu anche censurata all'epoca, i versi "... quella che di giorno chiami con disprezzo specie di troia / quella che di notte stabilisce il prezzo della tua gioia"
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furono sostituiti con "quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie / quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie". La prima versione fu incisa, ma a causa della censura venne ritirata dalla Karim, e ne esistono solo poche copie.
Delitto di paese Novembre 1965 "Delitto di paese" è la prima di una serie di canzoni francesi di Georges Brassens tradotte da De André; in questo caso si tratta di una cover di L'assassinat. La vicenda è quella di un pover'uomo oramai vecchio che si innamora di una giovinetta; quando però lui le dice di non avere nemmeno un centesimo, lei chiama il suo pappone e insieme uccidono il poveretto. Quindi i due «misero tutto sotto sopra senza trovare un soldo, ma solo un mucchio di cambiali e di atti giudiziari. Allora presi dallo sconforto e dal rimpianto del morto, si inginocchiaron sul poveruomo chiedendogli perdono. Quando i gendarmi sono entrati, piangenti li han trovati: fu qualche lacrima sul viso a dargli il paradiso». Nella prima strofa Fabrizio nomina "I fiori del male", libro di Charles Baudelaire; questa citazione non è presente nel testo originale.
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Indice Dischi (in ordine cronologico) 1966 - Tutto Fabrizio De André 1967 - Volume I
pg. 1 pg. 1-3
1968 - Tutti morimmo a stento
pg. 3
1968 - Volume III
pg. 4
1969 - Nuvole barocche
pg. 4
1970 - La buona novella
pg. 4-6
1971 - Non al denaro, non all'amore né al cielo
pg. 6-8
1973 - Storia di un impiegato
pg. 8-11
1974 – Canzoni
pg. 11-12
1975 - Volume VIII
pg. 12-15
1978 – Rimini
pg. 15-18
1981 - Fabrizio De André (L' Indiano)
pg. 18-20
1984 - Crêuza de mä
pg. 20-22
1990 - Le nuvole
pg. 23-26
1996 - Anime salve
pg. 26-29
Singoli senza album
pg. 29-30
Canzoni (in ordine alfabetico) 'Â çímma
pg. 25
'Â pittima
pg. 22
 cúmba
pg. 28
 duménega
pg. 22
Al ballo mascherato
pg. 9
Amico fragile
pg. 14
Andrea
pg. 17
Anime Salve
pg. 27
Ave Maria
pg. 5
Ave Maria
pg. 19
Avventura a Durango
pg. 17
Bocca di Rosa
pg. 3
Canzone del maggio
pg. 9
Canzone per l'estate
pg. 14
Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers
pg. 3
Caro amore
pg. 2
Coda di lupo
pg. 16
Crêuza de mä
pg. 20
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D'ä mê riva
pg. 22
Delitto di paese
pg. 30
Disamistade
pg. 27
Dolce Luna
pg. 14
Dolcenera
pg. 27
Don Raffaè
pg. 24
Fiume Sand Creek
pg. 19
Folaghe
pg. 16
Franziska
pg. 19
Giugno '73
pg. 13
Ho visto Nina volare
pg. 28
Hotel Supramonte
pg. 19
Il bombarolo
pg. 10
Il canto del servo pastore
pg. 19
Il gorilla [Le gorille]
pg. 4
Il re fa rullare i tamburi
pg. 4
Il ritorno di Giuseppe
pg. 5
Il sogno di Maria
pg. 5
Il suonatore Jones
pg. 8
Il testamento di Tito
pg. 6
Jamín-a
pg. 21
Khorakhané (A forza di essere vento)
pg. 26
L'infanzia di Maria
pg. 5
La bomba in testa
pg. 9
La canzone del padre
pg. 10
La canzone di Barbara
pg. 2
La cattiva strada
pg. 13
La città vecchia
pg. 29
La collina
pg. 6
La domenica delle salme
pg. 24
La morte
pg. 3
La nova gelosia
pg. 25
La stagione del tuo amore
pg. 2
Laudate Dominum
pg. 5
Le acciughe fanno il pallone
pg. 27
Le nuvole
pg. 23
Le passanti [Les passantes]
pg. 12
Le storie di ieri
pg. 13
Maria nella bottega di un falegname
pg. 5
Mégu megún
pg. 25
Monti di mola
pg. 25
Morire per delle idee [Mourir pour des idées]
pg. 12
Nancy [Seems So Long Ago, Nancy]
pg. 13
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Nell'acqua della chiara fontana [Dans l'eau de la claire fontaine]
pg. 4
Nella mia ora di libertà
pg. 11
Oceano
pg. 13
Ottocento
pg. 23
Parlando del naufragio della London Valour
pg. 18
Preghiera in gennaio
pg. 2
Princesa
pg. 26
Quello che non ho
pg. 18
Rimini
pg. 16
S'i' fosse foco
pg.4
Sally
pg. 17
Se ti tagliassero a pezzetti
pg. 19
Si chiamava Gesù
pg. 2
Sidún
pg. 21
Sinàn Capudàn Pascià
pg. 21
Smisurata preghiera
pg. 28
Sogno numero due
pg. 10
Spiritual
pg. 2
Tema di Rimini
pg. 16
Un blasfemo (dietro ogni blasfemo c'è un giardino incantato)
pg. 7
Un chimico
pg. 7
Un giudice
pg. 6
Un malato di cuore
pg. 7
Un matto (dietro ogni scemo c'è un villaggio)
pg. 6
Un medico
pg. 7
Un ottico
pg. 7
Verdi pascoli
pg. 20
Verranno a chiederti del nostro amore
pg. 11
Via del campo
pg. 2
Via della croce
pg. 6
Via della Povertà [Desolation Row]
pg. 12
Volta la carta
pg. 16
Zirichiltaggia (Baddu tundu)
pg. 17
Fonti Wikipedia (www.wikipedia.org) • Dizionario italiano (www.dizionario-italiano.it) •
19 marzo 2011
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