prendimi • free press
dicembre '13- gennaio '14
anno 02
n• 10
Aut. del Tribunale di Firenze n. 5838 del 9 Maggio 2011 - Direttore responsabile Daniel Meyer Proprietario Fabrizio Marco Provinciali • Realizzazione grafica Ilaria Marchi
D AT E - S N E A K E R S . C O M .2
FW2013
Care lettrici, cari lettori, eccoci qui, ancora una volta assieme a voi, a festeggiare l’uscita di un nuovo numero di FUL. Il numero 10: un numero speciale, un traguardo verso nuovi confini. Un evento da celebrare assieme a voi, che ci avete tenuto compagnia in questa nostra avventura: siete sempre di più, siete sempre più vicini a noi. Grazie, davvero, di tutto. Ma non preoccupatevi: siamo qui per rimanere ancora a lungo, vi staremo ancora in mezzo alle scatole per un po’... Ebbene sì, lo avete intuito: siamo in vena di festeggiamenti, nonostante l’estate sia ormai un ricordo lontano, l’autunno piovoso e ventoso, e l’inverno che incombe. Ma a noi non interessa: la felicità è uno stato dell’animo che sorge spontaneo, senza un perché, fregandosene di tutto. E noi siamo felici, e vediamo il mondo a colori: i colori dell’autunno, i rossi tramonti di novembre, le mille sfumature della città, che non va mai in letargo. Come diceva Picasso, “i colori, come i lineamenti, seguono i cambiamenti delle emozioni”. E di colori, e di emozioni, è ricco questo numero di FUL: dal segno classico e senza tempo di Marco Martelli, l’uomo dai colori al vento, alle geometrie e ai doodle di Mr. G., contemporaneo come non mai. Dai colori (e i sapori) della cucina di Matteo Gambi a quelli del tifo scatenato degli Ultimi Rimasti Lebowski, dai colori della notte alle riflessioni in bianco e nero sul mondo del lavoro. Questo, e altro ancora, lo troverete sulla pagine di questo numero 10 di FUL: un numero imperdibile, uno dei migliori (ogni volta pensiamo di aver fatto del nostro meglio, e poi ci superiamo... che dite, ce la tiriamo troppo?), che racconta le mille sfumature che si nascondono dietro ad ogni angolo, dietro ad ogni storia di Firenze. Viva, piena di energia e di colori: questa è la città dove viviamo, la città che vogliamo. E noi abbiamo catturato un po’ di questa vita e di questa energia per regalare un po’ di colore anche a voi. Buona lettura! • Daniel Meyer
Aut. del Tribunale di Firenze n. 5838 del 9 Maggio 2011 Direttore responsabile Daniel Meyer Proprietario FMP Realizzazione grafica Ilaria Marchi
Ideazione e coordinamento editoriale Marco Provinciali e Ilaria Marchi Se sei interessato all'acquisto di uno spazio pubblicitario: marco@firenzeurbanlifestyle.com • tel. 392 08 57 675 Se vuoi collaborare con noi ci puoi scrivere agli indirizzi: marco@firenzeurbanlifestyle.com • ilaria@firenzeurbanlifestyle.com visita il nostro sito www.firenzeurbanlifestyle.com pagina facebook FUL *firenze urban lifestyle*
per questo numero di FUL,
PLINDO vi invita a scaricare gratuitamente questo pezzo. Scopri chi è l'autore!
ringraziamenti
Borja Valero, Enrico Lorenzini, Cesar Villeda, Annalisa Lottini, Mr. G, Marco Martelli, Millelemmi, We Love Lebowski, Gastòn, Matteo Gambi, Dino Sauro, Plindo, Stefano Iannaco e ovviamente a tutta la redazione
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p. 8
Millelemmi, mille storie rap di Firenze. Il lampredotto è un’arte, e ha il suo profeta: è Millelemmi, il rapper che ha messo in metrica la poesia del prodotto più amato dai veri fiorentini, “nait en dei”. Un rap “made in Firenze” che sta spopolando le classifiche, una “cortellaha” che lascia il segno.
p. 10 Una risata (non) vi seppellirà. La risata: un riflesso istintivo, incondizionato, che distingue
l’uomo da tutte le altre creature. Lo dice anche Sigmund Freud, e allora non c’è motivo di dubitarlo... E ridere fa anche bene: allenta le tensioni, aiuta i rapporti sociali, dà più colore alla vita.
p. 12 Bianco, nero, grigio: i colori del lavoro oggi. L’Italia è ancora “una Repubblica democratica
fondata sul lavoro”? La radiografia del lavoro oggi ci presenta un’immagine sfuocata del mondo del lavoro, dove mancano i colori e i toni dominanti sono quelli del bianco, del nero e del grigio. E voi, a quale categoria appartenete?
p. 14 Gli Ultimi Rimasti Lebowski e la rinascita del calcio d’altri tempi. Televisioni, sponsor,
calciatori milionari seguiti da stylist e agenti famelici, tifoserie violente, società quotate in borsa, miliardari arabi e russi, calcioscommesse... ecco il ritratto del calcio attuale. Cosa è rimasto, oggi, dello “sport più amato al mondo”? Cosa vuol dire “tifare” una squadra, difenderne i colori? La risposta arriva dalla Curva Moana Pozzi...
p. 18 L’uomo dai colori al vento. Il pittore senza definizione
I colori: la materia prima del pittore, che li cattura e li immortala sulla tela. La sua arte senza tempo sfugge a ogni definizione: Marco Martelli, pittore giramondo, ma col cuore nell’Oltrarno, parla del suo rapporto con la luce, le forme e i colori
p. 20 L’uomo dalle mille vite. Non solo razzismo e discriminazione: il colore “altro” della pelle è
legato anche a tante storie di successo, di determinazione, di “quei lavori che gli italiani non fanno più”. Una di queste è quella di Gastòn: presenza storica di via de’ Benci, un tempo “invisibile” e oggi imprenditore di successo.
p. 21 Notturni Urbani: i colori della notte. La città, i suoi mille colori, le sue sfumature.
Fotografie che raccontano di un viaggio spazio-temporale, tra fiaba e mistero. Che inizia col calare della notte, quando i sogni si confondono con la realtà.
p. 22 I mille colori della speranza. La vita è piena di sfumature, è fatta di mille colori, come un
quadro in continuo divenire, che non finisce mai di sorprendere per la sua bellezza. La vita stessa è colore. Ma non per tutti: per qualcuno è difficile vedere i colori, per qualcuno la vita è nera, grigia, buia.
p. 24 Il favoloso mondo di Mr.G. Artista, illustratore, graphic designer e graffitaro:
Mr. G. dipinge di nero, perché nero è il mondo che lo circonda. Schizzi fatti di linee semplici e decise, mostri immaginari, “doodle”, che per lui sono terapia, espressione di un sacro malessere.
p. 27
Rubrica: uno
straniero a Firenze//un fiorentino all'estero
p. 28 L’occhio in cucina vuole la sua... Un piatto ben presentato è un cliente mezzo acquisito. Sì, ok, ma se poi non è buono? Tranquilli, ci pensa lo chef! FUL in questo numero va in cucina e incontra uno dei giovani chef emergenti nel panorama fiorentino.
p. 30
Rubrica: Respira
che ti passa
Come disse qualcuno, “Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare…”. Non ho mai sognato, o neppure pensato, di fare il giornalista. è stato il giornalismo che ha trovato me: è come se ci fossimo sempre conosciuti, ma ci siamo incontrati solo grazie ad una serie di coincidenze. Io questo lo chiamo Destino… Viaggiare, conoscere persone interessanti, intrufolarsi dappertutto, soddisfare la propria curiosità, imparare sempre qualcosa di nuovo, dialogare coi lettori, scrivere… che volere di più. •
Sandro Bini
Daniel Meyer
Marco provinciali
Ilaria marchi
Questo numero 10 di FUL è dedicato ai colori: scelta un po’ controversa se pensiamo che stiamo per entrare nel pieno dei mesi più freddi. L'idea di dedicare l’intero numero ai colori che circondano la nostra vita è nata nei giorni seguenti ai tragici fatti del due ottobre. Che è successo il due ottobre? è il giorno in cui quel barcone carico di migranti è affondato al largo delle coste di Lampedusa, ve lo ricordate? Quel giorno e i giorni a seguire, sono stati giorni tristi, ma non solo. Sono stati giorni pieni di ipocrisia e falsità, di manifesta incapacità delle istituzioni. Vi invitiamo a vedere il film “Terra Ferma” di Emanuele Crialese uscito nel 2011 e potrete capire come molte cose erano state predette e si sarebbero potute evitare. L’idea di dedicare questo numero ai colori è nata in quei giorni, perché quando un barcone sbarca sulle coste siciliane o del sud in genere, interessa la nazione intera, quindi anche Firenze. Negli anni la nostra città è stata invasa ed ha assorbito positivamente le differenti culture provenienti da ogni angolo del globo, ecco pensando al mondo come un’insieme di differenti culture, colori appunto, cerchiamo di togliere dal vocabolario la parola razzismo. Tranquilli non ci siamo buttati sul politico, sono soltanto pensieri, ma vedrete che leggendo questo numero vi renderete conto che nella vita i colori hanno sempre un ruolo fondamentale. •
Fotografo, curatore, docente di fotografia, fondatore e Direttore Responsabile dell’Associazione Culturale Deaphoto di Firenze (www.deaphoto.it), mi occupo prevalentemente dell’organizzazione delle attività progettuali didattiche ed espositive di Deaphoto. La mia ricerca fotografica è incentrata soprattutto sull’indagine delle relazioni fra l’uomo e il paesaggio contemporaneo e sulla dialettica critica fra percezione e fruizione dei luoghi, legata alla contestualizzazione della propria esperienza. Dal 2009 sono curatore del Personal Blog “Binitudini / Spazio di riflessioni visive teoriche e pratiche sul gesto fotografico contemporaneo” (http://binitudini.blogspot.it) •
Mario Puccioni
Paolo Lo Debole
Alice Colombini
Tommaso Baroncelli
“Le persone comuni spesso lo ignorano, ma nel nostro mestiere il talento conta moltissimo. Quando ero ragazzo anch'io pensavo che lo scienziato, alla fin fine, fosse soltanto un osservatore attento che mette in ordine i dati. Non è così. Per scoprire qualcosa di nuovo occorre lo stesso talento di un compositore capace di creare nuovi legami tra note e melodie. Nel nostro caso si tratta di connettere aspetti comportamentali apparentemente lontani tra loro” (G. Rizzolatti, 2012). Dalle scienze bisogna uscirne più volte possibile per colmare l'incolmabile differenza che c'è tra la vita reale e la teoria. Psicoanalista e neuroscienziato cognitivo, lavora da tre anni presso l'Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze. •
Sono nato nel 1964 nella meravigliosa Firenze in un giorno d'estate, precisamente il 21 giugno, ma ho dovuto attendere un sacco di tempo per capire cosa la fotografia significasse per me. Posizionare l'occhio nel mirino e vedere il mondo da una prospettiva diversa, con più angolazione. Oramai ho deciso che questa sarà la mia strada professionale, ogni volta che esco con la mia Nikon il momento diventa importante e il solo pensiero che anche un solo scatto mi soddisfi è gratificante. •
Sono Alice Colombini, vivo a Firenze e sono una psicologa… Quando sono nata alle 7.05 del 25 marzo 1981 il sole era in Ariete e la Luna in Scorpione, la mia carta del cielo parla chiaro: impulsiva e paziente, ha bisogno di agire, va incontro alla vita con energia, in modo prorompente, vivere è una sfida e un’avventura, non manca mai di coraggio ma la franchezza e l’onestà possono a volte cacciarla in situazioni imbarazzanti. Ma questa sono io… Incredibile! •
Firenze, 23 luglio 1979. Nasco pigramente 23 giorni dopo la scadenza del tempo, il primo giorno disponibile del Leone. Sin da piccolissimo rimango per ore incantato ad ascoltare musica e a guardare i dischi girare nel piatto… Colleziono vinili, leggo molto, mi piace cucinare e amo il buon vino. Credo che le belle canzoni aiutino ad essere persone migliori. •
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Silvia Brandi
Teresa Tanini
Jacopo Aiazzi
Fiamma Goretti
"Nata a Firenze Torregalli il 28 settembre 1987 (Bilancia ascendente Sagittario), di residenza isolottiana ma scandiccese d'adozione, a 20 anni decide che ha voglia di farsi qualche giro e passa 3 anni fra Londra, l'Australia e Parigi. Adesso è a Firenze in pianta semi stabile perché nella vita non si può mai dire. Per FUL traduce gli articoli in inglese, vivendo così nella paura che gli articolisti sentano nella traduzione stravolto il significato delle loro parole e l'aspettino sotto casa. Il traduttore è un mestiere duro ma qualcuno deve pur farlo". •
It is more fun to talk with someone who doesn't use long, difficult words but rather short, easy words like 'What about lunch?' – Winnie the Pooh •
Nasco a Fiesole alle 5:30 di mattina del 23 settembre 1985, con una mano sopra la testa e dal peso di 4kg e passa. Più fastidioso di così non potevo essere. Sono nato il giorno in cui è morto Giancarlo Siani, un giovane giornalista di ventisei anni ucciso dalla camorra a Napoli. Oggi ho la sua età e ancora non ho assimilato tutte le sfumature che il giornalismo può assumere. L'unica cosa di cui sono consapevole è il desiderio di coltivare questa conoscenza. Più appassionato della scrittura in quanto tale che dal giornalismo, apprezzo ogni forma di quest'arte. La cosa che più mi codifica come italiano è l'amore per la pastasciutta, con qualsiasi sugo. •
Non amo mettere confini alla mia personalità: vedo la realtà tramite i miei occhi miopi, sfumata come in un quadro impressionistico, e immagino di diventare tutto il bello che riesco a catturare. Laureanda in studi internazionali con un’insaziabile sete di cambiamento e conoscenza, amo il cibo, la musica e ridere. Ho amici in ogni angolo del globo e soffro di un’incessante necessità di esprimermi, mettendo la mia esperienza al servizio degli altri. Penso che la cosa più bella di cui innamorarsi sia la vita stessa. •
redazione mobile
Nato a Firenze 31 anni fa. Fin da piccolo manifesta uno spiccato interesse nei confronti delle immagini offerte dal mondo che le circonda. Durante l'adolescenza inizia ad entrare in confidenza con l'apparecchio fotografico e al momento dell'iscrizione all'università, decide di approfondire la sua passione scegliendo il corso di laurea in Grafica e Fotografia sotto la facoltà di Architettura di Firenze. Laureatosi con il massimo dei voti che poteva permettersi, decide di emigrare a Londra dove vive per quattro anni tra foto, tavoli di ristoranti e clubs fino a pochi mesi fa quando rimpatria a Firenze •
La nostra redazione è in completo movimento, composta da fiorentini autentici e da coloro che hanno trovato a Firenze la loro seconda casa. La centrale operativa è nella zona delle Cure ma l’occasione di incontri e riunioni è sempre una buona scusa per approfittare di una visita ai vari gestori di bar o locali che ormai da anni conosciamo. Una redazione mobile che trova nel supporto della rete il collante necessario per la realizzazione di ogni nuovo numero.
Quello della Scapigliatura fu un movimento artistico e letterario sviluppatosi nell’Italia Settentrionale a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento. Gli Scapigliati erano giovani tra i venti e i trentacinque anni, nutriti di ideali e amareggiati dalla realtà, propensi alla dissipazione delle proprie energie vitali. «…tutti amarono l’arte con geniale sfrenatezza; la vita uccise i migliori » (in introduzione, La Scapigliatura e il 6 febbraio, Sonzogno, Milano, 1862). Martina nata nel 1985. Sa leggere la musica, ama scrivere e cantare, è Dottoressa Magistrale in Giurisprudenza. Vive a Firenze col suo adorato Jack Russel Napoleone, di anni 8. •
Tommaso Pacini
Martina Scapigliati
Marta Pintus
Inizia a scrivere a 6 anni con una poesia che recitava: “Il mondo è fatato, fatto tutto di gelato, con tante caramelle fatte tutte di frittelle (…)”. Nel corso della vita abbandona la poesia per dedicarsi alla prosa, senza però mai rinnegare la visione infantile. Lavora un anno a Barcellona come giornalista di viaggi, scoprendo che la sua poesia altro non era che un reportage: una descrizione dell’essenziale che, come disse la volpe, è invisibile agli occhi. •
7.
ful in musica
Millelemmi, mille storie rap di Firenze Il lampredotto è un’arte, e ha il suo profeta: è Millelemmi, il rapper che ha messo in metrica la poesia del prodotto più amato dai veri fiorentini, “nait en dei”. Un rap “made in Firenze” che sta spopolando le classifiche, una “cortellaha” che lascia il segno.
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Testo di Tommaso Baroncelli
ome nasce il progetto Millelemmi? «Nasce dall'unione della trasposizione letterale del numero "1000" ed il plurale del sostantivo maschile "lemma", che è una voce del dizionario che trova come significato "voce del dizionario". Per un paroliere della mia portata mille lemmi sono in realtà pochi ma è perfetto per realizzare il chiasmo sillabico». Quali sono le tue influenze artistiche? «Ho un modo di indagine apparentemente sconclusionato, seguo percorsi che compiono salti diametralmente opposti. Quello che però mi viene naturale è fare i collegamenti successivi e quindi potrei citarti Dare iz a darkside di Redman e The Unseen di Quasimoto, i classici greci e latini, i cult movies hip hop come Stylewars, Fellini, Dino Risi ed Elio Petri, Marinetti e Depero, Fosco Maraini, il dolce stil novo, Sly and the Family Stone, George Clinton e Sun Ra, D’Annunzio, Ciampi, Conte e Martino ma anche Sergio Caputo, Tognazzi, Gassman e Proietti, Chet Baker, Jeanne Lee, Jodorowsky, la storia occulta e la geometria sacra… ci sono già di sicuro degli illustrissimi omessi». Come mai la scelta di un rap in vernacolo? «Partiamo dall'assunto che in Italia la lingua, così .8
come il cibo, cambia se ci si sposta anche di soli venti chilometri; sommiamo la peculiarità del rap di essere l'espressione spontanea ed originale rappresentativa di un individuo, il che lo porterà a rappare con i modi della sua zona, attraverso i quali definirà il suo stile unico grazie anche ai suoni che li caratterizzano; ecco quindi che risulterà normale per ogni rapper del globo suonare molto “locale”. Possiamo dunque affermare che il mio è rap in italiano fatto da un fiorentino. Il vernacolo in fondo è altro, teatro, aulico o quantomeno in disuso». Quanto è presente Firenze nella tua musica e come vedi la città da un punto di vista culturale? «è presente in quanto è il teatro della mia vita quotidiana. La cultura a Firenze ha moltissime facce di cui solo due sono ben famigerate: una è la lodatissima città-cartolina fatta di capolavori, vetrine e lustrini; l'altra è la città che non riesce o non vuole stare al passo coi tempi dove i teatri falliscono, le librerie chiudono ecc... e qui si apre il grande circo delle lamentele. Ma vorrei parlare della Firenze che fa musica, piena di avanguardisti invidiati un po' dappertutto, della città dell'Accademia delle Belle Arti che continua a sfornare talenti che vengono rimpianti solo quando se ne vanno una volta finiti gli studi, ma per lo più ignorati finché «bighelloni» di casa. E poi ci sono piccole realtà che difficilmente comunicano fra di loro ma che esistono e vanno scovate, cosa che io trovo giusta ed affascinante. A morte invece chi non valorizza, disprezza e reprime, istituzioni in primis!». Esci con un'etichetta indipendente fiorentina, com'è nata questa collaborazione? «Persino all'interno del panorama hip hop sono considerato un outsider o uno trasversale non collocabile mai in qualcosa di specifico, spesso col risultato di essere escluso o di autoemarginarmi. Fresh Yo è un'etichetta
che non si accontenta del già sentito, non va sul sicuro, cerca pietruzze che non erano ancora balzate all’occhio degli altri, le lucida e dona loro un valore riconoscibile e apprezzabile. Direi che è nata quindi in maniera piuttosto naturale ed empatica». L’album è stato recensito molto bene su tutta la stampa specializzata. Quali pensi siano i tuoi punti forti? «Forse dovrebbero essere gli altri a rispondere a questa domanda. Da parte mia credo di offrire un'attitudine spontanea e semplice, cosa che nel panorama strettamente rap è merce rara. Inoltre metto a disposizione dell'ascoltatore un lessico forbito ed un utilizzo forte di espedienti letterari inseriti in un contesto semplice e questo dà modo di divertirsi con la forma, magari riascoltando più volte per coglierne le particolarità. Ovviamente non è per l'orecchio di tutti e questo mi va bene, altrimenti vorrebbe dire che sono nazionalpopolare. Mi arrivano moltissimi apprezzamenti da gente che di solito non ascolta rap o che non lo ascolta più». L’hip hop sta vivendo in Italia il suo momento d’oro, per la serie meglio tardi che mai. Successo duraturo o fenomeno passeggero? «Credo fenomeno duraturo. Dopo le varie fasi di morti e reincarnazioni del genere nella penisola pare che siamo arrivati alla svolta finale, su questo sembrano essere d'accordo tutti. Poi queste cose le decidono i numeri di mercato, e sembrano esserci». Progetti per il futuro? «Molti: dei video estratti da "Cortellaha", fare un bel viaggio, il mio nuovo disco solista e qualche collaborazione». Come ti è venuto in mente di fare il rap del Lampredotto? «Così come con le altre canzoni: era già lì, io l'ho solo presa al volo e le ho dato una forma». • www.millelemmi.bandcamp.com www.freshyolabel.com
«Il mio è rap in italiano fatto da un fiorentino»
ENGLISHVERSION>>>> How was Millelemmi project born? «It was born from unifying the literal transposition of number "1000" and the plural of male gender noun "lemma", of which is dictionary entry that means "dictionary entry"». Which are your artistic influences? «My researches may appear incoherent, the paths I follow can be diametrically opposite. I could mention Dare iz a darkside by Redman and The Unseen by Quasimoto, Greek and Latin classics, cult hip hop movies such Stylewars, Fellini, Dino Risi and Elio Petri, Marinetti and Depero, Fosco Maraini, Dolce Stil Novo, Sly and the Family Stone, George Clinton and Sun Ra, D’Annunzio, Ciampi, Conte and Martino but also Sergio Caputo, Tognazzi, Gassman and Proietti, Chet Baker, Jeanne Lee, Jodorowsky, occult history and sacred geometry… and I’ve already omitted a few». Why the choice of doing rap using a slang? «Considering that in Italy language, as food, changes every 20 kilometres; and adding the peculiarity of rap to be an original and spontaneous expression of an individual and of his background, the result is that it is quite normal for every rapper in the world to be very “local”». How much of Florence do you put in your music and how do you see the city from a cultural point of view? «Florence is present as it is the theatre of my daily life. Culture in Florence has many different faces, but I’d like to talk about the city and its music production, full of avantgarders, the city of the Accademia delle Belle Arti whose talents we regret only after they’re gone away». You work for an independent Florentine label, how was this cooperation born? «Even in the hip hop world I'm considered an outsider, I feel like I'm constantly on the edge. Fresh Yo label is not satisfied by the same old sound, doesn’t want to play safe, and looks for gems which haven’t yet caught anyone else’s eye». Hip hop is now having its golden period in Italy, better late than never. Is this an enduring phenomenon or a temporary success? “I think it is going to last. After many phases of deaths and reincarnations of this kind of music in our peninsula, I’d say we are to the turning point. Everyone says so. But the market has got tha last word». Proof of it is its good trade index” Future projects? «I have many: make videos from “Cortellaha”, planning an amazing trip, my new solo album and some collaborations». How did you find the idea of Lampredotto rap? It happened as for my other songs: it was already there, I only caught it and gave it a shape. • 9.
Ridere allunga la vita
Una risata (non) vi seppellirà La risata: un riflesso istintivo, incondizionato, che distingue l’uomo da tutte le altre creature. Lo dice anche Sigmund Freud, e allora non c’è motivo di dubitarlo... E ridere fa anche bene: allenta le tensioni, aiuta i rapporti sociali, dà più colore alla vita. A cura del dott. Mario Puccioni Psicoanalista e docente universitario
* Il seguente articolo propone il pensiero libero dell'autore e non presuppone indicazioni cliniche o di carattere scientifico
ridiamo per molti motivi, ma volendo generalizzare lo facciamo quando qualcosa non segue le leggi “naturali” o quelle del buon senso .10
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Ridere è probabilmente il più bel gesto estetico di cui è capace un essere umano: e colora le nostre vite. Una delle letture più stupefacenti che abbia mai fatto è Il motto di spirito di Sigmund Freud, scritto nel 1905. Probabilmente perché sentir parlare nonno Freud di umorismo, invece che di resoconti clinici o di patologie angoscianti, mi faceva immaginare il padre della psicoanalisi d’un tratto lì vicino a me seduto rilassato sul divano con il sorriso sulle labbra. L’articolo, scritto non a caso poco dopo L’interpretazione dei sogni (1900), mi aprì un mondo completamente nuovo. Per Freud, ridere è un’azione dallo straordinario potere, che avvicina l’uomo al suo inconscio quasi al pari dei sogni. Mi spiego meglio: ridere è un riflesso incondizionato, non si può ridere a comando o quando lo vogliamo. Potremmo provarci, ma con scarsi risultati. La risata, in particolare quella grassa e invadente, è un riflesso istintivo a qualcosa che stiamo vedendo o ascoltando, e dalla quale rimaniamo sorpresi per le sue conclusioni inaspettate. In breve: ridiamo per molti motivi, ma volendo generalizzare lo faccia-
mo quando qualcosa di fronte a noi non segue le leggi “naturali” o quelle del buon senso. Per leggi naturali intendo tutto ciò che di norma è in natura: una mela grande come una casa ci sorprende e potrebbe farci ridere, o una persona che dorme in piedi, magari un amico, altrettanto. Ma ridiamo anche quando vediamo o sentiamo cose che vanno contro il buon senso, ed in questo i comici sono dei maestri. Ad esempio ci sbellichiamo di fronte alle gag assurde sui nostri politici, dove il personaggio compie gesti folli o dice cose totalmente inadatte al contesto formale in cui si trova, magari svelando parti di sé intime e inaspettate. In questi casi, ciò che suscita il riso, è una discrepanza tra ciò che ci aspettiamo in quella situazione e ciò che invece accade. Ecco, proprio questo tipo di situazione ha il potere magico di allentare le nostre tensioni, producendo un tale benessere che anche medici e scienziati ne documentano quotidianamente i vantaggi: ridere, per dirne una, fa bene al cuore, rilascia un neurotrasmettitore e riduce un ormone – dopamina e cortisolo – capaci di far dilatare le nostre arterie e donargli elasticità. Dal punto di vista psichico, la nostra mente è spinta da forti istinti, ma per ragioni di bon ton la società e i nostri genitori ci richiedono fin da piccoli comportamenti precostituiti. Su questa tensione – istinti contro norme della società – si strutturano delle difese che fanno da filtro e purificano i flussi istintivi modificandoli in qualcosa di socialmente accettabile. Questi filtri però devono anche permetterci di raggiungere, se pur parzialmente, i nostri desideri (o almeno alcuni). Il lavoro che fa la nostra capoccia non è semplice, anzi è molto frustrante, ma magicamente possiamo usare l’ironia e la risata per allentare le tensioni che si creano dall’impossibilità di raggiungere ogni desiderio. Quel tipo di esperienza è veramente preziosa, e ci catapulta improvvisamente all’indietro in un’attività di gioco libero e di fantasia, dove si creano scenari e significati nuovi, proprio come fanno i bambini. Il risultato è gioia allo stato puro per noi e per chi ci sta intorno. Da buoni animali sociali infatti, facciamo la fila nei teatri o nei cinema per andare a vedere gli spettacoli più divertenti: là dentro si accendono i nostri miliardi di neuroni a specchio che sono quelli che riproducono perfettamente il corpo e le emozioni di chi ci sta di fronte. Ma questa valanga di neuroni è talmente tanto attiva e rapida che tende ad anticipare le intenzioni dell’altro. Ecco, proprio quando le intenzioni dell’altro non corrispondono alle nostre, ma sconfinano nell’assurdo, esplodiamo in una grossa risata. E chi ride è bello; e chi ride fa amicizia; e chi ride, ridendo, si avvicina ai propri desideri.•
ENGLISHVERSION>>>> Laughing is probably the most beautiful gesture a human being is capable of: it colours our lives. According to Freud, laughter has an extraordinary power, it puts people in contact whit their subconscious almost as dreams do. I’ll explain myself better: laughing is an unconditioned reflex, we cannot laugh every time we want to. We could try, but with poor results. Laughter, especially those explosive ones, is an instinctive reflex to something we’re seeing or listening to, and which surprises us with its unexpected conclusion. Briefly: we laugh for different reasons, but generalizing we tend to do it more when something doesn’t follow “natural” or common sense laws. When this happens, what makes us laugh is the discrepancy between what we expected from a certain situation and what eventually happens. This kind of situation has the magical power of easing our nerves, producing such a strong feeling of well-being that even doctors and scientists provide documentary evidence of its advantages: laughing is good for your heart, it releases a neurotransmitter and reduces a hormone – dopamine and cortisol – making our arteries dilating and more elastic. From a psychic point of view, our brain is powered by strong instincts, but because of etiquette we were taught by both society and our parents to follow preconstituited behaviours. This tension – instincts versus society’s rules – structures the defences which work as filters purifying instincts and turning them into something socially acceptable. This activity stimulates our fantasy, we create new scenarios and new meanings, exactly as children do. The result is a feeling of pure joy, both for us and the people around. As proper social animals, we queue to get into theatres and cinemas to watch entertaining shows: in there we “light up” our mirror neurons which perfectly reproduce the bodies and emotions of who is in front of us. Right when the other’s intentions do not correspond to ours, and may become absurd, we start laughing. And a laughing someone is a beautiful someone, who makes friends, and while laughing, gets closer to his wishes. •
11.
lavorare oggi
Bianco nero grigio: i colori del lavoro oggi L’Italia è ancora “una Repubblica democratica fondata sul lavoro”? La radiografia del lavoro oggi ci presenta un’immagine sfuocata del mondo del lavoro, dove mancano i colori e i toni dominanti sono quelli del bianco, del nero e del grigio. E voi, a quale categoria appartenete? Testo di Marta Pintus
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Q
uesta è la fototessera che il mondo del lavoro in Italia oggi apporrebbe sul suo curriculum vitae. Come ci insegnano, giusto o sbagliato che sia, è la prima impressione quella che conta, e il nostro candidato non si presenta benissimo. La sua foto è in bianco e nero, ma non per una scelta di stile o per richiesta della forma: il bianco, il nero ed il grigio sono proprio i colori che lo caratterizzano. Regolarmente le cronache ci raccontano di episodi tipo il seguente: la Guardia di Finanza controlla 9 ditte nella zona di Lastra a Signa, Castelfiorentino e Prato. Risulta regolare solamente un’azienda, 24 sono i lavoratori in nero; oppure: nei mesi di giugno e luglio 2013 su 16 aziende controllate solo una è risultata regolare, 48 sono i lavoratori in nero scoperti (fonte: GdF Firenze, luglio 2013). Questi dati purtroppo non provocano più alcuno stupore, nessuna reazione; anzi, spesso neanche ci soffermiamo a leggere una notizia così. Le ragioni possono risiedere nel fatto che Prato, con la sua Chinatown, venga oramai percepita come una situazione sociale fuori controllo; o che il settore industriale a cui si fa
riferimento, il tessile, rappresenti un grosso bacino per il lavoro sommerso; oppure che la nostra percezione delle cose ci abbia oramai portato a normalizzare situazioni di instabilità lavorativa e di distorsioni dei diritti fino al punto che 48 lavoratori irregolari difficilmente riescono a scandalizzarci. Ma basta digitare su Google “lavoro nero Toscana” per portare alla luce un panorama disarmante. Una delle indagini più recenti risale a gennaio del 2013 (fonte: Comunicato Stampa CGIL, del 29/01/2013) dove emerge che nel 2012, su 1.253 ispezioni, siano state riscontrate infrazioni nel 54% delle aziende e che su 27.464 posizioni di lavoratori verificate siano emerse 11.279 irregolarità (41%) di cui ben 3.959 (14,41%) lavoratori completamente al nero; il 6% delle irregolarità consiste in false partite IVA o contratti a progetto. La questione, dunque, non riguarda soltanto situazioni sociali legate a minoranze etniche, a distretti industriali specifici o a settori particolari. In quel 6% rientrano neo-laureati e non, trentenni e quarantenni provenienti dalla classe media, bassa ed alta. Il fenomeno è divenuto così rilevante che si è coniato un termine specifico per definirlo: si chiama “lavoro grigio”. La Treccani lo definisce così: “rapporto di lavoro parzialmente irregolare nei confronti del fisco e delle autorità competenti”. è quel parzialmente che lo rende una forma di sfruttamento ancora più strisciante, più difficilmente denunciabile e dimostrabile. è proprio quel parzialmente che non ti dà coscienza dello sfruttamento, che ti abbandona in un limbo e ti porta alla mera accettazione dei fatti. è sempre quel parzialmente che lascia poche vie di scampo, che non permette di avere una definizione, una identità certa: non sei regolare, ma non sei neanche un lavoratore irregolare, sei un’entità bloccata tra due mondi: generazioni di fantasmi. E infine, dopo il nero e il grigio al lavoro si accosta un altro colore, il bianco. Purtroppo non si utilizza più il termine lavoro, ma la parola “morte”. Morte bianca, ovvero perdere la vita sul posto di lavoro. Dal 1 gennaio del 2008 al 23 aprile 2013 le morti bianche sono state oltre 5.000: 2.553 sul luogo di lavoro, gli altri in itinere. Grazie a queste morti l’Italia si aggiudica il primo posto in Europa, dove i caduti sul lavoro sono in media un terzo di quelli italiani. E ovviamente i dati si riferiscono a statistiche ufficiali che prendono in considerazione lavoratori regolari, qualche grigio, ma nessun nero. Costituzione Italiana, Articolo 1: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. ” Ricordiamoci da dove arriviamo per ritrovare la strada e comprendere dove andare, per capire davvero quali siano i colori che vogliamo usare. •
La questione non riguarda soltanto situazioni sociali legate a minoranze etniche, a distretti industriali specifici o a settori particolari
ENGLISHVERSION>>>> This is the passport photo that the world of work in Italy would put on its CV. It’s a black and white picture. Daily chronicle is all about events like this one: Guardia di Finanza (Italian Finance Police, ndt) inspects 9 firms in Lastra a Signa, Castelfiorentino and Prato. Only 1 firm turns out to be regular, 24 illegal workers; and more: among 16 firms checked over June/July 2013 only 1 is regular, 48 illegal workers (Source: GdF Florence, July 2013). If I google “Black Market labour Tuscany” a disarming scenario comes up. From a recent investigation that took place last January 2013 (source: Comunicato Stampa CGIL, 29/01/2013) emerges that during 2012, on 1.253 inspections, infractions were found in the 54% of firms and among 27.464 working positions checked, 11.279 (41%) irregularities came to light of which 3.959 (14,41%) were illegal workers; 6% of irregularities consists in fake VAT identification numbers or short term contracts. The issue is not just about ethnic minorities or specific sectors. That 6% also involves middle class graduates. The circumstance has become so relevant that a new term has had to been coined: “grey market labour”; you’re not regular, not even irregular though, you’re right in between two worlds: a generation of ghosts. Eventually, another colour is related to labour marked, white. Unfortunately it doesn't relate to work, but to death. White death, that is death white doing your own job (“morte bianca”, Italian idiomatic expression). From 1st January 2008 to 23rd April 2013 over 5.000 white deaths took place: 2.553 on work premises, the rest on the way to it. Italy is the first in the European whit 1/3 of European white deaths. Data obviously come from official statistics which take into consideration only regular workers, perhaps some grey, surely no black workers. Italian Constitution, Article 1: “Italy is a democratic Republic founded on work. Sovereignty belongs to the people which exercises in the forms and within the limits of the Constitution.” Let's remember where we come from if we really want to find our way and to understand which colours we want to use.•
13.
il colore del tifo
Gli Ultimi Rimasti Lebowski e la rinascita del calcio d’altri tempi Televisioni, sponsor, calciatori milionari seguiti da stylist e agenti famelici, tifoserie violente, società quotate in borsa, miliardari arabi e russi, calcioscommesse... ecco il ritratto del calcio attuale. Cosa è rimasto, oggi, dello “sport più amato al mondo”? Cosa vuol dire “tifare” una squadra, difenderne i colori? La risposta arriva dalla Curva Moana Pozzi... Testo di Daniel C. Meyer
C
inque amici, tutti tra i quindici e i sedici anni, si ritrovano a “far forca” in una mattinata del lontano 2004. Inebriati da quel senso di libertà assoluta che solo saltare la scuola può dare, parlando del più e del meno, si ritrovano per caso in mano un giornalino di calcio dilettantistico, e sono colti da un’intuizione folgorante: delusi da un calcio sempre meno legato alle logiche sportive e sempre di più allo show business (emblematico il contemporaneo successo della trasmissione Campioni, simbolo della contaminazione tra reality show e sport), vogliono ritrovare l’idea primigenia di tifo: quello fatto di partecipazione, di vera condivisione, del piacere di stare insieme. Individuano così sul giornalino la “loro” squadra: la più scalcinata della Terza Categoria, il Lebowski (il nome è tutto un programma...), appena reduce da una sonante sconfitta per 8-2 con i penultimi in classifica; gli ultimi erano loro, con una desolante media inglese e una tragica differenza reti... L’articolo termina così: «Il Lebowski si spezza, ma non si .14
una società autogestita, autofinanziata, senza sponsor, dove l’opinione di tutti ha lo stesso valore
piega». Un rapido gioco di sguardi, e i ragazzi capiscono subito: quella sarebbe diventata la loro squadra del cuore, quella sarebbe diventata la “loro” squadra. «Cominciamo per gioco, e dopo un po’ diventa una cosa seria» racconta Duccio, uno dei fondatori: bandiere, striscioni, cori, trasferte... non manca nulla del repertorio della vera tifoseria. Nascono così gli Ultimi Rimasti Lebowski e la leggenda della Curva Moana Pozzi, nome ispirato alla musa di tanti sogni adolescenziali dei ragazzi, e “ultimo baluardo di un cinema di altri tempi”. Una storia unica nel suo genere, raccontata nel documentario We love Lebowski, realizzato nel 2011 da Andrea d’Amore e Gian Luca Rossetti, recentemente riproposto anche alla Kunsthalle di Berlino. Meglio conosciuti nell’ambiente artistico sotto il nome di Ciboideale, i due rimangono letteralmente “folgorati” dopo aver visto gli Ultimi Rimasti Lebowski in azione e da lì («dopo più di un mese di frequentazione e sbornie» racconta sorridendo Andrea d’Amore) hanno messo a fuoco l’idea di raccontare questa straordinaria avventura. «Non volevamo spettacolarizzare la loro esperienza, ma raccontarla come riesce a noi: per immagini» racconta d’Amore, che spiega: «Ci sembrava importante amplificare questa voce che veniva dal basso, di questi giovani che – anche incoscientemente, magari – avevano fiutato questo disagio, questa mercificazione, questa standardizzazione, rispondendo non con il disagio, come si vede in certi stadi, ma individuando e proponendo un’alternativa». Una squadra senza quartiere, senza colori precisi, che «compra le maglie grigio-nere perché sono quelle che costano meno» come racconta Marco, uno dei fondatori; una società auto-gestita, auto-finanziata, senza sponsor, dove l’opinione di tutti ha lo stesso valore, che, come spiega sempre Marco «gioca per il puro gusto di divertirsi e di stare insieme». Un rapporto che nel tempo diventa for-
te, profondo, fino a erodere i confini tra tifosi e giocatori, tanto che, nel tempo, alcuni degli ultrà entreranno anche a far parte della squadra. Con picchi di mille spettatori, e persino gemellaggi all’estero, gli Ultimi Rimasti Lebowski sono stati avvicinati anche da network nazionali, interessati a “spettacolarizzare” la loro esperienza, ma si sono sempre rifiutati per non snaturare l’idea alla base del loro progetto. Sono altre le iniziative che spiegano meglio la loro filosofia: i contest di graffiti organizzati per rendere lo stadio più bello e scenografico, il progetto di creazione di una scuola calcio basata sui valori dello sport, per favorire attraverso il calcio l’integrazione e il dialogo. Persino i cori e le scenografie della tifoseria raccontano di una realtà unica: intelligenti, ironici e surreali, come la famigerata “curva itinerante” che si sposta come un corteo per tutto lo stadio. Marco, uno dei tifosi della prima ora, spiega la filosofia degli URL: «Se penso a cosa vuol dire ultrà è ovvio che penso al mio gruppo, e penso all’amicizia che ci lega, penso al senso di fratellanza che ci lega, penso a tutte le esperienze che abbiamo vissuto insieme, penso a tutto quello che c’è stato fra di noi... penso alle persone che ci hanno lasciati». «C’è un aspetto “ecologico” in tutto questo, io parlo di “ultrà a chilometro zero”» dice Andrea d’Amore che, da giocatore di buone speranze, conosceva bene il mondo del calcio, da cui si era allontanato, disgustato e deluso. L’incontro con gli Ultimi Rimasti Lebowski lo ha travolto, più che coinvolto (l’esperienza è proseguita anche dopo la realizzazione del documentario), e gli ha ridato fiducia nel calcio: «Mi ha dato modo di riscattarmi come calciatore». Forse il calcio di una volta non tornerà più. Ma la passione, la voglia di stare insieme, di condividere un rito, non spariranno mai. Come dice Marco: «Noi non rappresentiamo una città, una zona geografica, un quartiere: rappresentiamo un’idea». •
ENGLISHVERSION>>>> Year 2004: five friends, between 15 and 16 years old, skip school one day and by chance found a paper on nonprofessional football which game them the big intuition – disappointed by football getting more and more related to show business, they decided to bring back up original cheer’s idea made of involvement and sharing. They looked in each other eyes and identified their team on the paper, “Lebowski” team, which had just been defeated 8-2 by the next to last in the chart. “We began for a laugh, then it became serious” says Duccio, one of the founders: flags, banners, stadium chants, away games… the whole collection for real supporters. That’s how “Ultimi Rimasti Lebowski” and legendary “Curva Moana Pozzi” were born. A unique story that can be found in the documentary “We love Lebowski” realized in 2011 by Andrea D’Amore and Gian Luca Rossetti – better known as Ciboideale in the artistic environment – recently proposed again at the Kunsthalle in Berlin. A team without colours, which «has black and grey shirts because they cost less money» as Marco, one of the founders, tells us; a selfmanaged, self-founded, non-sponsored club, where everyone’s opinion has the same value and where «football is played just for the fun of it», Marco explains. A strong relationship that almost cancel limits between players and supporters – eventually some of them became part of the team. With its hundreds of people as a public and its twinnings abroad, Ultimi Rimasti Lebowski, was approached by national networks but they refused any collaboration to be faithful to the core idea of the project. Some of the initiatives they took are exemplary of their philosophy: the organization of a graffiti contest to get a more scenographic stadium, the creation of a football boot camp based on sport's values, which aimed at promoting integration and dialogue. «There is an “ecological” aspect in this» says Andrea d'Amore who used to be a great player and very well knows the world of football from which he took distance, disappointed and disgusted. Meeting the Ultimi Rimasti Lebowsky gave him faith in football again and «a chance to redeem as a player», he says. Maybe football as it was before will never come back, but passion, and the desire of being all together sharing something, won’t ever disappear. As Marco, one of the biggest supporters says «We do not represent a city, a geographical area, a neighbourhood: we represent an idea». • 15.
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luce e colore
L’uomo dai colori al vento. Il pittore senza definizionE
E
chi meglio di Marco Martelli, pittore nostrano, habitué di Santo Spirito e dintorni, studioso di architettura, frequentatore assiduo del mercato delle Cascine, ciclista senza frontiere delle strade fiorentine - anche nel cuore della notte - può farci da interlocutore per il tema di questo numero, ovvero il colore? Marco, che rapporto hai con i colori? Osservando i tuoi quadri l’uso dei colori forti è predominante. Il tuo occhio estetico è catturato da certi tipi di colori rispetto a altri? Che pigmenti usi? «I colori sono una parte fondamentale delle mie opere, visto che il mio è un lavoro principalmente sulla luce e sul colore. Per dare corpo al colore uso di solito tre-quattro stati di colore sovrapposti. Uso oli particolari: i Rembrandt della Talens, i Mussini della Shmincke e quelli della Maimeri. Quando viaggio, ovunque vado, ne compro sempre di nuovi, così la mia cassetta dei colori piano piano si arricchisce sempre di più. A volte, ho anche preparato il colore ad olio impastando e schiacciando i pigmenti con l’olio di lino». Essere artista a Firenze. Pro e contro. «Essere artisti a Firenze senza dubbio non è facile, visto che la città è sicuramente lontana dal circuito
« il mio è un lavoro principalmente sulla luce e sul colore»
I colori: la materia prima del pittore, che li cattura e li immortala sulla tela. La sua arte senza tempo sfugge a ogni definizione: Marco Martelli, pittore giramondo, ma col cuore nell’Oltrarno, parla del suo rapporto con la luce, le forme e i colori A cura di Cristina Battaglini
dell›arte internazionale. Dall'altro lato però, oramai viaggiando e con Internet siamo sempre più cittadini del mondo. Per quanto riguarda il patrimonio artistico che Firenze offre, è sempre fonte di ispirazione: non c'è secondo me un’arte del passato ed una del presente, ma solo un'arte che ti parla ed una che non ti comunica niente. Un pezzo di arte anche di molti secoli fa puoi sentirlo sempre molto affine al tuo sentire e trovarci dentro una «verità». Qual è l’angolo di Firenze che preferisci? «Gli angoli di Firenze che preferisco sono di sicuro quelli nascosti della città, i giardini in centro chiusi dentro i portoni dei palazzi, ma mi vengono in mente ora ad esempio via del Canneto ed il Giardino delle Rose a San Niccolò, e la terrazza del Museo delle Porcellane nel Giardino di Boboli, da cui si gode un panorama sulle colline che ti toglie il respiro». Guardando i tuoi quadri è balenato nella mia testa il seguente accostamento di significato, “realismo visionario”: semplicemente un ossimoro sintattico o ci trovi qualcosa di affine al tuo dipingere? «Per quanto riguarda la mia pittura è sempre difficile definirla o trovarne una definizione: spetta agli altri forse farlo, non a me». Se dovessi scegliere una città del mondo in cui vivere adesso, quale sceglieresti? «Se dovessi scegliere una città in cui vivere ora, penso me ne andrei a Catania, Palermo oppure Lisbona; sarei indeciso tra una di queste tre, città che amo e di cui mi affascina la luce». Come ci si deve porre di fronte a una tua opera? «Davanti ad un mio lavoro ci si deve porre con la propria sensibilità, solo questo, e vedere cosa ti trasmette. Mi sono sentito spesso dire in passato «questo quadro sembra una foto» ... mi ci sono quasi abituato oramai, ma per me scattare una foto è parte del mio lavoro. Sia le foto che i disegni nella fase iniziale di un quadro mi servono per partire, sono i miei appunti, il mio processo creativo. D'altra parte i metodi fotografici sono in uso in pittura ed in arte da circa cinque secoli e tanti dei maestri del passato ne hanno fatto uso, ed io certo non lo nascondo!». Fai un appello a Renzi... «Renzi: devo dire che sotto la sua giunta la città si è un po’ svegliata, non ancora abbastanza in verità, e che bisogna proseguire certamente in quella direzione. Sicuramente bisogna risolvere il problema del traffico, incentivare l'uso della bicicletta, sistemare le Cascine e gli spazi verdi della città, investire di più in cultura, che non è solo la cultura alta. Sono stato in Comune a Firenze alcuni anni fa a informarmi per poter esporre in uno spazio del Comune, visto che pur essendo fiorentino espongo a Firenze assai raramente, e mi sono sentito chiedere circa 100 euro al giorno più le spese per le pulizie a mio carico e questo è davvero delirante!».• <<< "Stoccolma" 50x70cm, olio su tela di lino
MARCO MARTELLI
Tutti i miei lavori sono ad olio su tela di lino. Ho una Laurea Magistrale in Architettura qui a Firenze. Pittore autodidatta, dipingo dall’età di sette anni, grazie alla mia insegnante delle scuole elementari che era una pittrice e mi avviò lei stessa alla pittura. A sette anni ho comprato la mia prima cassetta di colori a olio. All my paintings are oil paintings on linen canvas. I’m an Architecture graduate. I’m self - taught, I’ve been painting since I was 7 thanks to my elementary school teacher who was a painter and initiated me. I bought my first oil colour box when I was 7.
ENGLISHVERSION>>>> Who better than Marco Martelli, Florentine painter, Santo Spirito and surroundings habitué, architecture’s scholar, Cascine open-air market goer, passionate cyclist of Florentine streets, can we interview in relation to this FUL issue’s theme, Colours? Marco, what’s you relationship with colours? Looking at your paintings we notice that you like to use a lot of strong colours. Does your artistic eye get caught up more by some specific colours? What kind of pigments do you like to use? «Colours are fundamental for me, as what I do is mainly based on light and colour. When I travel, wherever I go, I always buy new colours, and so my colours box gets richer and richer». Being an artist in Florence. Pro and cons. “Being an artist in Florence is undoubtedly not easy, since this city is surely far from the international art circuit. Florence artistic heritage is always a source of inspiration though: I think we should not make a distinction between the art of the past and the one of the present, the real distinction is between the art that tells you something and one that doesn’t». Which part of Florence you like most? «I love all the hidden corners of Florence, those gardens inside ancient buildings, but I can also think about Via Del Canneto, for example, and Giardino delle Rose in San Niccolò, and the Museo delle Porcellane’s Terrace inside Boboli garden, from where there is a breathtaking view». Looking at your paintings, what came into my mind is “visionary realism”: do you find anything like that in your art? «As far as I’m concerned I always find very difficult to define my art, others might be those entitled to do it». Say something to Matteo Renzi… “I find Florence a bit bettersince he’s been the Major, but not enough really: we need to solve traffic problems, incentive the use of bikes, fix the green areas of the city, invest in culture. I was in Palazzo Vecchio, domicile of Florence Municipality, to ask if I could expose my paintings in a space of their property, and they asked me for 100 euros per day plus cleaning fees, this is crazy!» •
19.
ful intervista
L’uomo dalle mille vite Non solo razzismo e discriminazione: il colore “altro” della pelle è legato anche a tante storie di successo, di determinazione, di “quei lavori che gli italiani non fanno più”. Una di queste è quella di Gastòn: presenza storica di via de’ Benci, un tempo “invisibile” e oggi imprenditore di successo. A cura di Jacopo Aiazzi, foto di Tommaso Pacini .20
C
i incontriamo di prima mattina, in un piccolo e anonimo bar della periferia di Firenze. Mi vuole offrire un caffè e non accetta un no come risposta. Parla con voce calma e parole ben scandite; il modo di fare di chi può dire di aver avuto una vita intensa, superando le difficoltà con capacità e una buona dose di fortuna. Questa è la storia di un imprenditore, padre di quattro figli e tifoso dell’Inter, ma prima di essere questo è stato un fantasma e prima ancora un lottatore professionista. Questa è la storia di Gastòn, giovane camerunense arrivato a Firenze quindici anni fa. Ciao Gastòn, ci racconti come sei arrivato in Italia dal Camerun? «In realtà sono arrivato dalla Germania. In quegl’anni facevo parte della nazionale di lotta libera del Camerun, guadagnavo meno di cinquanta dollari al
mese e mio fratello, che da qualche anno viveva in Italia come clandestino, derideva il mio stipendio e mi consigliava di seguire la sua strada. Parlava di prospettive migliori, perché neanche in Camerun si può mantenere decentemente una famiglia guadagnando meno di cinquanta dollari al mese. Una notte, durante una trasferta della nazionale a Berlino, decisi di scappare: presi il primo treno diretto in Italia con l'intento di ritrovare mio fratello e magari anche un po' di fortuna». Come hai vissuto gli anni di clandestinità? «Sono stato clandestino per quattro anni. Vivevamo fuori Firenze, verso le Sieci. Era come una Caritas: ospitati da un prete, non facevamo niente per tutto il giorno. Nessuno doveva sapere di noi e noi non potevamo fare altro che usufruire dell'ospitalità del parroco. Era come se non esistessimo; una situazione che ho vissuto con grande malessere. Poi, nel 2001, uscì la sanatoria. Feci richiesta ed ottenni il permesso di soggiorno». A quel punto le cose migliorarono? «Non subito. Quindici anni fa, in Italia, di lavoro ce n’era tanto, ma difficilmente veniva dato a sconosciuti; con gli italiani, tranne rari e positivi casi, non avevo ancora avuto nessun contatto o rapporto. Poi venni assunto come addetto all'accoglienza clienti per un locale del centro storico di Firenze. Da lì le cose migliorarono e iniziai a conoscere i fiorentini e loro a conoscere me». Oggi sei tu a dare lavoro... «Sì, prima però ci tengo a sottolineare una cosa importante: in tutti i locali in cui ho lavorato mi è sempre stato fatto un contratto a tempo indeterminato. Oggi lavoro ancora nei locali, ma ho anche una mia ditta, la Revolution Service. Si occupa di pulizie e accoglienza clienti e opera a Firenze e in altre città del Nord-Italia. In tutto ho diciotto dipendenti e almeno dieci collaboratori esterni». Italiani? «No, certi lavori gli italiani non li fanno e alcuni non li farebbero comunque...». La sanatoria è stata indubbiamente utile, ma chi non ne può usufruire come fa a regolarizzarsi e rimanere in Italia? «Alcuni sperano di sposare una donna italiana; questo funzionava qualche anno fa, e credo che oggi le cose siano molto diverse, ma anche quello è un rischio. Devi andare in Camerun per i permessi, e dal Camerun rischi di non tornare. La maggioranza dei migranti, in Italia, è di passaggio: ho amici in Canada, Francia, Inghilterra... là ti danno un sussidio, che è praticamente uno stipendio. Arrivano in Italia, ottengono i documenti e se ne vanno. Anche chi studia, molto spesso se ne va. L'Italia non è dura come altri posti; i permessi di soggiorno vengono ancora dati, mentre in altri paesi no. Qua se rispetti le regole e hai voglia di lavorare, il lavoro lo trovi». Dove vedi il tuo futuro? «Il mio futuro è con la mia famiglia, qua a Firenze. Una volta preso il permesso di soggiorno ho fatto la richiesta per il ricongiungimento familiare e anche mia moglie ha potuto venire in Italia e ottenere un permesso di «In tutti i locali in cui soggiorno. Ho quattro figli, il più ho lavorato mi è sempre grande – che ha solo cinque annistato fatto un contratto va a scuola e gioca insieme a tutti gli altri bambini. Non ho mai a tempo indeterminato. avuto problemi a Firenze, né con la Oggi lavoro ancora nei polizia né di lavoro o di razzismo. Certo, il ragazzino ubriaco che locali, ma ho anche una ti urla “negro di merda” lo puoi mia ditta, la Revolution sempre trovare, ma lo sai e lasci perdere per non avere problemi». • Service»
ENGLISHVERSION>>>> We meet up in a café in the outskirts of Florence. He wants to offer me a coffee and won’t let me refuse. This is the story of a businessman father-of-four and Inter supporter, but before this of a ghost and a professional boxer. This is the story of Gastòn. Hello Gastòn, will you tell us how you got here from Camerun? «Actually I got here from Germany. I was a member of Camerun’s National wrestling team and my brother, who had been living in Italy for a few years as a clandestine, told me that there were good possibilities here. One night while I was in Berlin for some matches I jumped on a train to Italy, I wanted to find my brother and some luck». How were your years of clandestinity? «I have been a clandestine for four years. It felt like I did not really exist, a very uneasy situation. I had my condition regularized in 2001 and got my residency permit». Did things start to get better then? «Not immediately, no. There were a lot of vacancies by then but it was hard to get hired without knowing anyone. Then I found a job in a bar in Florence city centre, my job was welcome people». Now you’re the one who hires people… «’I’ve had permanent jobs in every bar/ club I’ve worked for. I still work in bars but also have a firm of mine called Revolution Service, we provide cleaning and reception services». That massive regularisation procedure of 2001 was undoubtedly useful, but what about those who are not entitled to benefit from it? How can they get their selves regularized? «The majority of migrants who are in Italy are just passing by. Italy is not as hard as other places, residency permits are not a mirage as somewhere else in Europe. Here, if you respect the law and are willing to work, you can find a job». Where do you see yourself in the future? «My future is with my family here in Florence. I applied for family reunion so my wife could come over. I have four children, my eldest goes to school and plays whit other children. I’ve never had problems in Florence, neither with police nor at work concerning racism. Well, you may always bump into a drunk boy who’ll tell you “bloody nigger”, but you know you have to let it go if you don’t want to have problems». • 21.
messa a fuoco
Notturni Urbani: i colori della notte La città, i suoi mille colori, le sue sfumature. Fotografie che raccontano di un viaggio spazio-temporale, tra fiaba e mistero. Che inizia col calare della notte, quando i sogni si confondono con la realtà. testo e foto di Sandro Bini
N
www.deaphoto.it
otturni Urbani è un progetto fotografico in progress che mira a una analisi territoriale complessiva, su zone differenziate, dell’Area Metropolitana Fiorentina, con location che sono di volta in volta individuate, in base a criteri poetico/topografici. Una geografia urbana che privilegia, con la visione notturna, i colori elettrici, le architetture di luce e le gerarchie sociali degli spazi: dai transiti dei nodi nevralgici agli aspetti più malinconici e desolanti della città diffusa. Il lavoro, nato da un naturale sviluppo del mio studio e del mio progetto fotografico sulla città, trova illustri modelli nella storia della fotografia e in molta fotografia contemporanea. Uno sviluppo dell’analisi architettonica e sociale delle configurazioni urbane, riprese in piena luce naturale, alle evocative gerarchie luminose, dai cromatismi artificiali, della fotografia notturna, che trasfigurano il tempo, e lo spazio nella dimensione poetica e onirica di una visione incantata.
L’esperienza fotografica della notte in città regala stimoli diversi ed emozioni inaspettate. La lenta e rituale messa a punto della macchina fotografica sul cavalletto, i lunghissimi tempi di esposizione, lo studio delle fonti di luce artificiale, gli spazi bui e luminosi, deserti e silenziosi della notte in città, ci avvicinano a una esperienza di contemplazione straniata e straniante, in una dimensione spazio-temporale e coloristico/luminosa diversa e privilegiata, vicina a quella del sogno o della fiaba, in cui gli stessi scenari del quotidiano mutano di segno e di senso per aprirsi al “mistero abitato” della notte e a rimandi culturali sia visivi che letterari. I Notturni Urbani sono dunque il frutto di questa esperienza-vissuta di contemplazione e transito, di visione e lettura notturna del tessuto urbano, ma anche il nome che vorrei affettuosamente dare a tutti coloro che, fotografi o meno, non hanno saputo, non sanno o non sapranno resistere al richiamo notturno, al brivido lungo e misterioso dei colori della notte. •
l’esperienza fotografica della notte in città regala stimoli diversi ed emozioni inaspettate
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ENGLISHVERSION>>>> “Notturni Urbani” is a photographic project in progress: an urban geography that privileges, using a nighttime vision, electric colours, architectures of light and social hierarchies of spaces. This work, born form the natural development of my work and my photographic project of the city, finds well-known examples in the story of photography and in contemporary photography. Nighttime photographic experience gives unexpected emotions. The long and ritual placement of the camera on its easel, the very long times of exposition, the dark and bright spaces, desert and silent at night in the city, bring us to an experience of contemplation in a different and privileged space-and-time dimension, closer to the one of dream and fairytales. “Notturni Urbani” is the result of this experience of contemplation and transit, of a nighttime vision and lecture of urban texture, but it’s also the name I’d wish to give to those who cannot, don’t want and will not resist to the night call, to that long and mysterious shiver of night colours. •
luce e speranza
I mille colori della speranza
La vita è piena di sfumature, è fatta di mille colori, come un quadro in continuo divenire, che non finisce mai di sorprendere per la sua bellezza. La vita stessa è colore. Ma non per tutti: per qualcuno è difficile vedere i colori, per qualcuno la vita è nera, grigia, buia. testo di Daniel Meyer
P
ho Cap: una piccola scuola di Ho Chi Minh City, in Vietnam, un’oasi di pace in mezzo allo sviluppo selvaggio di grattacieli e centri commerciali. I suoi alunni sono speciali: bambini che crescono sulla strada, in condizioni di estrema povertà, alle volte con famiglie disastrate alle spalle, alle volte senza una vera famiglia; soli, abbandonati, rischiano di crescere nell’ombra, e di non uscire mai alla luce del sole. Il progetto Nutriamoli d’Arte, ideato dall’associazione Per Ricominciare, è nato proprio per dare a questi bimbi un po’ di luce e di speranza, riportando – letteralmente – i colori nella loro vita, grazie ai laboratori artistici: l’arte per i bambini è un mezzo per stare insieme, per divertirsi, ma anche per imparare, per scoprire il mondo, conoscere sé stessi, per elaborare i propri traumi.
l’arte per i bambini è un mezzo per stare insieme, per divertirsi, ma anche per imparare, per conoscere sé stessi, per elaborare i propri traumi
E proprio questo è quello che rende speciale Nutriamoli d’Arte: l’idea di ridare ai bambini più sfortunati la speranza, la capacità di sognare. La possibilità di credere in un futuro. è un progetto basato sulla solidarietà: tutti possono fare qualcosa, contribuendo all’acquisto di pennelli e pennellesse, carte, cartoni e cartoncini, chine, inchiostri, matite e pastelli. Tutto è cominciato grazie ad Anna Borghi, una giovane artista che ha avuto l’idea di aiutare i piccoli di Pho Cap dopo un viaggio in Vietnam. Il suo entusiasmo, la sua capacità di sognare, hanno presto contagiato anche altri, come Elisabetta Susani, sua insegnante all’Accademia di Belle Arti di Brera, che si è fatta coinvolgere con entusiasmo nel progetto. I laboratori d’arte, la scuola primaria, la secondaria, la mensa, la ristrutturazione, l'asilo: sono costi da sostenere, e le maestre di Pho Cap non possono essere lasciate sole nella loro battaglia quotidiana. Elisabetta ha deciso così di lanciare un appello, rivolto a tutti. Dopo il successo della campagna online di crowdfunding, l’associazione Per Ricominciare lancia adesso una serie di iniziative per continuare ad aiutare i piccoli di Pho Cap: alla bella serata Music for Saigon (che si è svolta al Combo Club di Firenze il 17 novembre scorso), segue adesso l’evento Tango for Saigon, che si svolgerà sabato 14 dicembre al Circolo delle Caldine SALòN CàLDIN (maggiori info al sito http://www.tangoclub.it/).
ENGLISHVERSION>>>> Pho Cap: a small school in Ho Chi Minh City. There are special students there: children brought up on the streets, in conditions of extreme poverty, sometimes with difficult family situation, some other with no family at all; alone, abandoned, they risk to grow up in the shadow. Project Nutriamoli d’Arte (let’s feed them with Art, ndt), created by association Per Ricominciare, tries to bring colours back to their life – literally – thanks to art laboratories: for kids, art is a way to be together but also to learn, to get to know their selves, to elaborate traumatic events. Everyone can do something, for example by contributing to purchase paint brushes, papers, cardboards, inks, pencils and pastels. All this began thanks to Anna Borghi, a young artist who got the idea after her trip to Vietnam. She transmitted her enthusiasm and capability of dreaming to others, Elisabetta Susani for example, her teacher at the Accademia di Belle Arti of Brera. Art laboratories, primary and secondary school, canteen, renovation works, kindergarten: these are huge expenses, and Pho Cap teachers cannot be left alone. The Association Per Ricominciare launched some initiatives to keep helping children of Pho Cap: next event is Tango for Saigon, which will take place next 14th of December at Circolo delle Caldine Salòn Càldin (http://www.tangoclub.it/). If you want to know more about Nutriamoli d’Arte upcoming events you can check its Facebook page (https://www.facebook.com/nutriamolidarte): you’ll find out much more about Pho Cap’s children. Joining these events is a good way to have fun and help this project to grow up. You can as well contribute by doing a wire transfer to association Per Ricominciare: Iban is IT 14 X 05428 11101 000000030000. Every little helps to bring light and colours back to many children’s life. •
Per conoscere gli appuntamenti futuri legati alle attività del progetto Nutriamoli d’Arte, potete consultare l’apposita pagina Facebook (https://www.facebook.com/nutriamolidarte), dove scoprirete molto altro sulle storie dei bimbi di Pho Cap. Partecipare a questi eventi è un modo per stare assieme, divertirsi e aiutare il progetto Nutriamoli d’Arte. Ma la generosità non conosce limiti... e allora potete contribuire anche con un bonifico all’associazione Per ricominciare: l’Iban è IT 14 X 05428 11101 000000030000. Un piccolo aiuto, che riporterà la luce e il colore nella vita di tanti bambini. • 23.
Ultrapop
Il favoloso M mondo di Mr .G. Artista, illustratore, graphic designer e graffitaro: Mr. G. dipinge di nero, perché nero è il mondo che lo circonda. Schizzi fatti di linee semplici e decise, mostri immaginari, “doodle”, che per lui sono terapia, espressione di un sacro malessere. Testo a cura di Martina Scapigliati, foto Tommaso Pacini .24
r.G., la sua vecchia zia l’aveva predetto, è finito col fare il madonnaro. Il madonnaro, sì. Ma sui muri. In verticale. Dei madonnari, G. ha il riprodurre qualcosa di sacro: sacro è il suo malessere, che gli è evocato dall’intera nostra città, e da tutta una società. I suoi disegni sono terapia, preghiera per sé e denuncia per tutti. Artista, illustratore, graphic designer e graffitaro, G. dipinge di nero. Con l’inchiostro si sporca le mani, ama sentir viva la materia. Nero, nero. Giuseppe ha 30 anni e vede nero: denuncia una società morta, «una società di m***a», e lo fa colorando i muri delle strade e non solo, con i suoi disegni ultrapop dallo stile unico, davvero tutto suo, che sono spesso volti, facce che implorano
qualcosa, a volte perfino di esser colorate. Qualche anno fa Giuseppe Di Carlo – così all’anagrafe – si è laureato in disegno industriale come progettista d’interni. Ma è successo che ha voluto cambiare strada. Sapere sempre dove si trova lo smarrisce, così ama perdersi. Quando gli succede, allora è colto da improvvisa e primitiva ispirazione. Quattro o cinque anni fa, l’autismo. La parola autismo, derivata dal greco autòs, che significa sé stesso, venne impiegata per la prima volta in psichiatria da Bleuler per descrivere un dei sintomi della schizofrenia, consistente nel ripiegamento su sé stessi caratteristico di alcune fasi della patologia. Mr. G. non è stato malato, ma ha disegnato ripiegando su sé stessi fogli per ventuno metri di illustrazione. Ed è andato avanti senza mai vederli aperti. Immaginate una fisarmonica di ventuno metri di carta disegnata. Ed era tutto bianco e nero, e c’era tutto sé stesso, ripiegato tra i fogli lentamente colorati, riempiti dai suoi mostri immaginari, i suoi “doodle”, schizzi, fatti di linee semplici e decise.
Poi G. ha capito che era arrivato il momento di portare fuori il suo lavoro, di aprirlo: fuori dal suo mondo, esporlo, toglierlo dal buio della sua piccola stanza per condividerlo con l’universo di tutti. Ed ha cominciato piano, col proporre la sua fatica in qualche galleria, ma ogni spiraglio lo ha visto strozzato; ed ha capito che «in questa città non c’è selezione del lavoro, non c’è ricerca, soprattutto per quanto riguarda la cultura popolare dello street style». Sembra quieto G., riflessivo, sembra timido ma esporsi non gli fa paura. Non gli è mancato, certo, anche l’incontro con la Polizia, una notte in cui è uscito per dipingere sui muri. Ma la ricorda col sorriso, quell’esperienza antropologica toccante: son finiti a parlar d’arte, lui e i poliziotti, e niente più. Mr. G. predilige il nero ma ha un cuore d’oro, certo non si può che volergli bene. Sono seguiti gli anni di Velvet Goldmine, dove Giuseppe si è dedicato alla stampa dei suoi disegni su magliette. «Ho sempre fatto quello che voglio fare, invece solo ora mi accorgo che
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ENGLISHVERSION>>>> His old auntie foretold it, that he would become a street painter. He eventually ended up being a painter, not properly a street one but more of a wall painter instead, he likes vertical surfaces. Mr G.’s paintings have something sacred in them: his sacred disquiet perhaps, evoked by our city of Florence and our entire society. His draws are a therapy, his own prayer and everyone’s denunciation. Artist, graphic designer and graffiti creator, G. only paints in black colour. He gets his hands dirty with ink, he loves to feel real material. Black, black. Giuseppe is 30 years old and has a bleak view of things: he sees a dead society, “a shitty society”, and so paints street walls with his unique ultrapop draws - faces most of the times, faces begging something, maybe to be coloured. A few years ago Giuseppe Di Carlo – that’s his name – graduated in Industrial Design as an interior designer. Then he decided to change his path. Always knowing where he is makes him feel misplaced, that’s why he loves to get lost. When he is lost, he finds inspiration. Then he understood that time had come to take his work outside, to open it to people: bring it out of his own world, expose it, take it off his little room and share it with the rest of everyone else’s universe. “I’ve always done what I want to do, but now I realize I should have opened up a little bit more to what our system requires”. He’s torn, he realizes how things work and how he works, and that the two ways do not match at all. In the matter of books, just couple of words about Black Box, an amazing book presented by Gianni Sinni where G. writes about the relationship between digital and handmade work. Then, an installation called Versus Project, born from G.’s cooperation with Swedish designer Jimi Roos: here ink gets founded with thread and you can also find an amazing video of it on G.’s website www.giuseppedicarlo.com And more: Modern Société, which describes an anonymous and “shitty” society, unhappy, horrible, unlovable society. And Nice Florence: a head of David debunked with Mexican skull’s style make-up, and a Star of David quote. Indeed. Then, his India trip – G. was there for a month – lighted him up, and also brought him a bit of colour. That’s it: Mr G.’s pictures: you either love them or you hate them. Going back to sacred “If you like draws, fine, if you don’t, amen”.•
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avrei dovuto aprirmi un po’ di più a quello che il sistema richiede». è combattuto, G.. Si rende conto di come funziona il mondo e di come funziona lui, e del fatto che i due sistemi proprio non coincidono. Così ci prova a esporsi, nel suo discordante modo di essere asociale ed estroverso, chiuso nella sua camera e poi aperto, come un libro – il suo libro – perfino sui muri della città. A proposito di libri, un accenno alla Black Box: il lavoro presentato a Gianni Sinni tutto chiuso in una scatola nera. Un album bellissimo, uno splendido libro dove G. indaga sul rapporto tra lavoro digitale e lavoro artigianale. Ancora, l’installazione Versus Project, nata dalla collaborazione con lo stilista svedese Jimi Roos: qui l’inchiostro si fonde col filo e potete vedere anche un bellissimo video sul sito di G., www.giuseppedicarlo.com («Sono l’unico o sicuramente l’ultimo rincoglionito che ha il sito in html»). E ancora, Modern Société, nasce un po’ da una presa in giro di quella Société Anonyme – negozio di abbigliamento – e racconta di una società anonima ma anche di una “shit société”, una società infelice, mostruosa, impossibile da amare. E Nice Florence: una testa del David caricata in modo dissacrante da un trucco stile teschio messicano, con una citazione di stella di David. Appunto. Poi il viaggio in India – G. ci ha vissuto per un mese – lo ha illuminato, portandogli anche un po’ di colore. Ecco: i disegni di Mr. G., li ami o li odi. Anzi, per tornare al sacro: «I disegni se ti piacciono bene, sennò amen». •
Giuseppe ha 30 anni e vede nero: denuncia una società morta, «una società di m***a», e lo fa colorando i muri delle strade e non solo, con i suoi disegni ultrapop dallo stile unico
uno straniero a firenze /\ un fiorentino all'estero
Cesar
Mi chiamo Cesar Villeda. I miei dicono che sono il fratello più piccolo dei loro tre figli: ho una sorella che vive a Chicago e un fratello che invece vive in Messico con loro. Eh sì, sono messicano, nato a Zacapu Michoacan (il posto più sacro per gli antichi indios Purepecha, dove tutto cominciò, almeno così dicono), poco più di trenta anni fa. Ho a malapena finito il liceo, ma ho cominciato a lavorare quando avevo nove anni nella officina di mio padre, che per più di 50 anni ha fatto il meccanico. Ho frequentato un corso di italiano per 5 anni (che non vuol dir nulla), prima di venire in Italia. Grazie a Ciccio, il mio ultimo insegnante di lingua, sono a Firenze da tre anni. E se la burocrazia italo-messicana me lo permette, vorrei iscrivermi all'università per frequentare Storia. Cosa porteresti a Firenze dal Messico? Porterei a Firenze, un po’ di cibo messicano, soprattutto quello piccante. Porterei la facilità con cui si può prendere una buona spremuta d’arancia per strada. Porterei il pisolino pomeridiano che mi piaceva tanto fare. Porterei i giochi di strada che si facevano con i miei amici da bambino. Cosa porteresti nel Messico da Firenze? Porterei in Messico certi formaggi italiani, la cultura del mare, del bere il vino. Porterei l’aperitivo, che mi sembra una cosa geniale, e l’apertura ad ascoltare musica che non sia solo quella locale o tradizionale. Porterei anche la sicurezza che voi avete nel parlare e nell’esporre le vostre idee, la vostra conoscenza. Ma soprattutto porterei tutti gli amici che mi sono fatto qua. • My name is Cesar Villeda. My parents say that I am the smallest of their three children: I have a sister who lives in Chicago and a brother who is living in Mexico with them. Oh yes, I am Mexican, born in Michoacan Zacapu (the most sacred place for the ancient Purepecha indios, where it all began, at least that’s what they say), just over thirty years ago. I barely finished high school, but I started working when I was nine years in the workshop of my father, who has been a mechanic for more than 50 years. I attended a course of Italian language for 5 years (which means nothing) before coming to Italy. Thanks to Ciccio, my last teacher of language, I arrived to Florence three years ago. And if the Italian - Mexican bureaucracy will allow me, I would like to to study History at university. Q: What would you bring to Florence from Mexico? I would bring to Florence a bit of Mexican food, especially the spicy one. I would bring the ease with which you can take a good orange juice on the street. I would take the afternoon nap that I liked so much to do. I would take the road games that I played with my friends as a child. Q:What would you bring from Mexico to Florence? I would bring some Italian cheeses, the culture of the sea, of drinking wine. I would take the aperitivo, which I think is a brilliant thing, and the openness to listen to music that is not just local or traditional. I would carry the security that you have in speaking and exposing your ideas, your knowledge. But, above all, I would bring all the f riends I've made here. •
Enrico
Mi chiamo Enrico Lorenzini, ma tutti (eccetto il parentado più stretto) mi chiamano Ghigo. Ho 30 anni e vivo a Barcellona da 5 anni. Dopo una meravigliosa esperienza a Granada in Erasmus, scelgo di tornare nella Penisola Iberica per un master in giornalismo, senza l'idea di rimanere per sempre. Barcellona però mi ha fatto innamorare. Qui ho trovato una nuova famiglia, e un senso di libertà profondo che mi ha permesso e permette di essere me stesso fino in fondo. Ho trovato lavoro, sono un video-maker e ho scoperto che mai più vorrò vivere in una città senza il mare. Cosa porterei da Barcellona a Firenze? Porterei a Firenze la libertà, l’urbanismo, la tolleranza, la metro e i trasporti pubblici notturni. L’offerta culturale, la vita notturna, il mare, la creatività, la differenza e l’integrazione, l’aeroporto (anche se lo metterei a Pisa o a Empoli), la gente giovane, l’internazionalità al di là del turismo, la connessione con la globalità nella coscienza di una specificità ben precisa, los chipirones (i calamaretti) y los pimentitos del padrón (tipo friggitelli alla piastra). Infine porterei un po’ di profumo di contemporaneità. Cosa porterei a Barcellona da Firenze? Le cose che mi invece porterei a Barcellona sono l’aperitivo e tutto il cibo in generale, il riscaldamento in casa sempre, gli angoli romantici, le Cascine ed il profumo di storia antica. My name is Enrico Lorenzini, but everyone (except the closest relatives ) call me Ghigo. I am 30 years old and I've been living in Barcelona for five years. After a wonderful experience with Erasmus in Granada, I choose to go back to the Iberian Peninsula for a master's degree in journalism, without the idea of staying there forever. Barcelona, however, made me fall in love. Here I found a new family, and a deep sense of freedom that allowed me and still allows me to be myself completely. I found a job, I'm a video maker and I found out that I will never live in a city without the sea. Q: What would you bring to Florence from Barcelona? I would take the liberty, urbanism, tolerance, metro and public transport at night. The cultural offer, the nightlife, the beach, creativity, difference and integration, the airport (although I would put it in Pisa or in Empoli), the young people, the internationalism beyond tourism, connection with the global consciousness, los chipirones (baby squid) y los pimentitos del padrón (a type of friggitelli cooked on the plate). Finally, I would bring a little perfume of modernity. Q: What would you bring to Barcelona from Florence? Things I would instead take to Barcelona are aperitivo and all the food in general, constant heating in the house, the romantic corners, the Cascine and the scent of ancient history. •
dicembre - gennaio
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Territori instabili in mostra a Firenxe Territori instabili Palazzo Strozzi - La Strozzina 27.
ful° tra i fornelli
L’occhio in cucina vuole la sua...
Un piatto ben presentato è un cliente mezzo acquisito. Sì, ok, ma se poi non è buono? Tranquilli, ci pensa lo chef! FUL in questo numero va in cucina e incontra uno dei giovani chef emergenti nel panorama fiorentino. Testo e foto Marco Provinciali
«A noi chef spetta il compito di rendere il piatto sì colorato, ma anche buono»
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M
atteo Gambi, 30 anni, chef del prestigioso ristorante Rinuccio 1180 (cantine Antinori Chianti Classico, Bargino Val di Pesa) vanta un curriculum di tutto rispetto avendo lavorato, prima di ricoprire questo ruolo, in alcuni dei migliori ristoranti della città: su tutti Villa San Michele (Fiesole) e Ora D’aria dove è stato sous chef di Marco Stabile, uno degli chef più apprezzati del panorama nazionale (e non solo). Per questoabbiamo deciso di incontrarlo e spillargli segreti e curiosità riguardo il mestiere più in voga del momento. Che cosa rappresentano i colori per te in cucina? «Quando si parla di cucina si parla innanzitutto di colori. Sì, perché la prima scelta di un prodotto o dell’altro deriva proprio dal colpo d’occhio istintivo che ci orienta sull’acquisto. Del resto, gli studi sulla nostra evoluzione evidenziano come noi umani abbiamo sviluppato la capacità di riconoscere i colori, cosa non comune a tutti gli animali; questo ci ha consentito ad esempio di imparare a riconoscere i frutti più maturi, quindi più buoni, quindi più ricchi di valori nutrizionali. Dunque, chi vende conosce benissimo questa forza/debolezza dell’istinto umano; pertanto, alcuni venditori possono ingannare i clienti utilizzando escamotage chimici per rendere i prodotti di un colore più acceso, ma non necessariamente più buono. A noi chef spetta il compito di rendere il piatto sì colorato, ma anche buono. Anche tra i fornelli l’occhio vuole la sua parte; presentare un bel piatto deve significare aver rispettato determinate tecniche culinarie (basse temperature, cottura sottovuoto) per mantenere intatti colori, sapori e valori nutrizionali. Quindi, è necessario avere una buona conoscenza dei cicli naturali; d’altronde è la natura stessa che ci indica quali prodotti sono reperibili o non, sul mercato in un determinato momento dell’anno. Ciò stimola la nostra creatività: in inverno “giochiamo” con cavoli, spinaci, broccoli etc…, d’estate ci sono altre verdure: melanzane, pomodori, cetrioli etc… La cucina è fantasia, acquisite le conoscenze necessarie dopo non ci rimane che sbizzarrirsi! In più è necessaria la ricerca che spesso porta alla scoperta di deliziosi sapori talvolta dimenticati». Quali sono i tuoi piatti preferiti? «Sicuramente i risotti. Per FUL ne ho preparato uno ai “colori d’autunno”. Riso vialone nano, cavolo nero, cavolo verza, zucca gialla, e finocchiona. è tra i miei preferiti (buonissimo, lo assicuriamo noi della redazione! ndr)».
Un piatto per cuccare? «Mah... io me la sono cavata con un risotto (ovviamente) a base di un mix di formaggi cremosi, salvia e rosmarino... s'era in barca, in mezzo al mare, in Grecia... Oh, doveva funzionare per forza!» • ENGLISHVERSION>>>> Matteo Gambi, 30 years old, chef at the prestigious restaurant Rinuccio 1180 (Antinori Chianti Classico wineries, Bargino Val di Pesa) has a totally respectable professional track, having worked in some of the city's best restaurants: above all Villa San Michele (in Fiesole) and Ora d’Aria where he was sous chef of Marco Stabile, one of the most respected chefs of the national scene (and not only). What do colours represent for you in the kitchen? «When it comes to cooking, everything primarily revolves about colours. Yes, because the first choice of a product derives from that instinctive glance that guides us on the purchase. Moreover, scientific studies show that in our evolution humans have developed the ability to recognize colours: this has allowed us to recognize for example the ripest fruit, tastier and richer in nutritional values. Chefs have the task of making the dish colourful, but also good. Presenting a beautiful dish must mean that certain culinary techniques were respected (low temperature, vacuum cooking), in order to preserve color, flavour and nutritional values. So, you must have a good understanding of natural cycles; on the other hand, it is nature itself that tells us which products are available at a particular time of the year. Cooking is about fantasy: once acquired the necessary knowledge all we have to do is having fun!». What are your favorite dishes? «For sure, risotto. For FUL, I have prepared a “risotto with autumn colours". Dwarf vialone rice, kale, cabbage, yellow squash , and finocchiona. One of my favourites (yummy, we assure you!).» Advice on dish for impressing girls? «Well… I myself got away with a risotto (obviously) based on a mix of cream cheese, sage and rosemary… we were on a boat, in the sea, in Greece… I couldn't fail!».•
Le verdure si dividono in: Bianche (porri, cavoli, finocchi) Contengono principi solforati utili per rafforzare bronchi e polmoni, messi a dura prova dai malesseri invernali, nonché magnesio, potassio e sostanze antiossidanti come i flavonoidi che proteggono dall’inquinamento. Verdi (broccolo, cavolo nero, cavolo verza, cicoria, insalata a foglia verde, rucola). Ricche di calcio e vitamina C, aiutano la coagulazione del sangue e il corretto funzionamento del sistema muscolare; in più tengono a bada il colesterolo, aumentano le difese immunitarie e la capacità di cicatrizzazione delle ferite. Gialle (carota, peperone, zucca) Le verdure giallo-arancio sono fonti privilegiate di beta-carotene, una vitamina a potente azione antiossidante. Rosse (peperone rosso, ravanelli, rabarbaro, barbabietole, radicchio rosso) Sono verdure ricche di vitamina C, favoriscono la produzione di collagene, mantengono integri i vasi sanguigni, stimolano le difese immunitarie e la cicatrizzazione delle ferite. I consigli dello chef per mantenere vivi i colori delle verdure anche dopo cottura: Per le verdure rosse e quelle bianche basterà aggiungere durante la cottura alcune gocce di limone o aceto. Per le verdure verdi un poco di sale è un ottimo coadiuvante per la resa del colore.
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respira che ti passa A cura di Alice Colombini
«Ho creato in me varie personalità. Creo personalità costantemente. Ogni mio sogno, appena lo comincio a sognare, è immediatamente incarnato in un’altra persona che inizia a sognarlo, e io non più. Per creare, mi sono distrutto: mi sono esteriorizzato talmente dentro di me che dentro di me non esisto se non esteriormente. Sono il palcoscenico spoglio su cui passano vari attori a recitare varie opere teatrali». Libro dell’inquietudine, 1918
coltivato, accantonato, ma prima o poi tornerà per possederci totalmente, per definire la nostra immagine, per far emergere quello che chiamiamo il me.» Platone Andare al di là dei colori che abitiamo, andare oltre la maschera che indossiamo, significa entrare nel corpo, nel piacere e nell’incontro con l’altro. Buona ricerca. •
Io sono la mia maschera. Che colori le attribuisco? Dunque la mia maschera esiste. Quale colore predomina? La posso intravedere, toccare, mostrare o semplicemente osservare ed accogliere.
ENGLISHVERSION>>>> «In order to create, I destroyed myself; I have externalized so much of my inner life that even inside I now exist only externally I am the living stage across which various actors pass acting out different plays». The Book of Disquiet, 1918
«Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e vi dirà la verità». Oscar Wilde
«Man is least himself when he talks in his own person. Give him a mask, and he will tell you the truth». Oscar Wilde
Per ognuno è essenziale esprimere il proprio Sé, ma allo stesso tempo essere parte della comunità. Tuttavia, spesso l’essere parte della società va a scapito dell’espressione del Sé, in particolare del Sé corporeo. Ogni uomo, per soddisfare standard e ideali sociali sempre più elevati, è costretto ad indossare maschere che talvolta lo possono portare ad allontanarsi dal contatto con la propria individualità e con la propria essenza. L’esperienza della realtà è possibile solo attraverso il nostro corpo. Per sapere chi siamo, dobbiamo riconoscere e accettare quello che sentiamo: l’espressione del nostro viso, il nostro portamento, la postura, il nostro muoverci e il nostro stare nel mondo. Lo scoprire chi siamo talvolta terrorizza. Pur di avere l’idea di sapere chi sono, mi posso tenere stretta un’identità penalizzante, che non mi rappresenta a pieno o che entra in conflitto con il mio mondo interiore; per questo, può essere utile l’esplorazione delle nostre difese, delle nostre immagini, dei “colori” che mostriamo al mondo per coglierne le relazioni con quel nucleo originario che ci rende unici e irripetibili. Un eccessiva identificazione con l’Io, con l’involucro, con la maschera, può condurre alla distruzione dell’espressione, alla ricerca insaziabile di un bisogno di riconoscimento mancato o svilito nell’infanzia, infatti proprio la conoscenza di sé è la base del cambiamento e rappresenta un passo importante verso la propria originalità, verso quella parte profonda di noi che Platone identificava con il Daimon. «Questo daimon, che possiamo chiamare anche “genio”, componente ineludibile del nostro io, a volte può essere perso di vista, non .30
Everyone finds essential to express his inner self. However being part of a society may thwart self-expression. Every man is forced to wear masks which can sometimes detach himself from his own individuality and essence. Sometimes we fear to find out who we really are. Just because I want to have an idea of who I really am, I may hold on an identity which penalizes and doesn’t represent me, or even clashes with my inner world. Over-identifying ourselves with our cover, our masks, may lead us to destructing of our expression; knowing ourselves is necessary for changing and a very important step towards our authenticity, towards that deep inner part of us that Plato called Daemon. «This daemon, which can also be called “genius”, inescapable part of our inner selves, can sometimes be out of our sights, put aside, but one day it’ll come back to possess us entirely, to define our image, to push our real selves out». Platone Going beyond the colours we inhabit, beyond the mask we wear, means getting inside body, pleasure and encountering the Other. Good luck with your research. •
Alice Colombini psicologa. Psicoterapeuta in formazione presso la scuola di specializzazione Biosistemica, Presidente di Associazione Spontanea www.associazionespontanea.com associazionespontanea@gmail.com
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