FUL | Firenze Urban Lifestyle #6

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prendimi prendimi •• free free press press

dicembre '12-gennaio 2013

anno 02

n• 06

Aut. del Tribunale di Firenze n. 5838 del 9 Maggio 2011 - Direttore responsabile Daniel Meyer Proprietario Fabrizio Marco Provinciali • Realizzazione grafica Ilaria Marchi



Care lettrici, cari lettori, anche quest’anno, immancabili, arrivano le feste natalizie; poi sarà il momento del Capodanno, che si porterà via le luci e le ombre di questo 2012. Un momento di passaggio, un momento di cambiamento. Qualcuno direbbe che è tempo di crisi; è la parola dell’anno, ce la ritroviamo dappertutto: nei Tg come sulle prime pagine dei quotidiani, parlando al bar o andando a fare la spesa al supermercato. Beh, scordatevi di trovarla su queste pagine: “crisi” è un termine bandito qui su FUL. Qui troverete altre parole d’ordine: voglia di reagire, inventiva, energia, intraprendenza, creatività, amore per la vita (e per Firenze, of course), entusiasmo, vitalità. Perché questo è ciò in cui crediamo, e questo ci dà ogni giorno la spinta per continuare la nostra avventura. Assieme a voi. Ecco perché in questo numero troverete tanti articoli legati al concetto della forza, in tutte le sue accezioni. Dalla storia di Zia Caterina, che ogni giorno trova la forza -assieme ai suoi piccoli Supereroi- di combattere con un sorriso quelli che sembrano dei nemici imbattibili, all’ultimo saluto al mitico Garga, uno dei simboli di una Firenze antica e autentica, che l’ha amata con una impareggiabile forza. Dall’intervista a chi ha conosciuto il carcere, e la forza per reagire, alla storia di chi, come il Maestro Pisani, ha dedicato una vita a insegnare sul ring il valore della vera forza, quella interiore. Questo, e molto altro ancora, lo troverete su questo numero di FUL che, visto il suo successo crescente (grazie a voi!), troverete adesso con un formato più grande e traduzioni in inglese. Quindi è con orgoglio che vi diamo il benvenuto (o il bentornato) su queste pagine salutandovi con le parole di John Fitzgerald Kennedy: «Scritta in cinese, la parola crisi è composta di due caratteri. Uno rappresenta il pericolo e l'altro rappresenta l'opportunità.». Fate la vostra scelta... noi l’abbiamo già fatta.•

ma lo sai che?

Da quanto tempo scorre l'Arno sotto le arcate del magnifico ponte vecchio? La prima costruzione risale all'epoca romana, venne ricostruito più volte ma fu letteralmente spazzato via dall'alluvione del 1333, una delle più violente che si ricordino. Dopo la costruzione dei "lungarni" il ponte venne ricostruito, a tre valichi, nel 1345 ed è considerato opera di Taddeo Gaddi e di Neri Fiorvante. Prima di raggiungere lo splendore e la fama per cui oggi è conosciuto, Ponte Vecchio, è stato il ponte dei macellai e dei verdurai. L'autorità cittadina, infatti, impose ai beccai (macellai) di riunirsi nelle botteghe sul ponte per salvaguardare la pulizia delle abitazioni del centro ed eliminare, in questo modo, gli odori e gli scarti delle carni che dalle strade venivano trasportate fino all'Arno. Quando venne costruito il Corridoio Vasariano (1565) sopra il ponte, le botteghe vennero considerate inopportune e si decise (1593) lo sfratto dei macellai per concederle agli artigiani e agli orafi, che ancora oggi, continuano il tradizionale e rinomato lavoro di gioielli, noto in tutto il mondo. Infatti, proprio in onore dell'oreficeria, fu posto nella terrazza in mezzo al ponte una fontanella con il busto del grande maestro Benvenuto Cellini, il più grande orafo fiorentino, opera dello scultore Raffaello Romanelli

Daniel Meyer

Aut. del Tribunale di Firenze n. 5838 del 9 Maggio 2011 Direttore responsabile Daniel Meyer Proprietario Fabrizio Marco Provinciali Realizzazione grafica Ilaria Marchi Stampa Litograf ia Ip

Ideazione e coordinamento editoriale Marco Provinciali e Ilaria Marchi. Se sei interessato all'acquisto di uno spazio pubblicitario: marco@firenzeurbanlifestyle.com • tel. 392 08 57 675 Se vuoi collaborare con noi ci puoi scrivere agli indirizzi: marco@firenzeurbanlifestyle.com • ilaria@firenzeurbanlifestyle.com visita il nostro sito www.firenzeurbanlifestyle.com pagina facebook FUL *firenze urban lifestyle*

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ringraziamenti www.ilpaninotondo.it

a Sandro e la Domi, Emilio Pisani e la Boxe Robur Scandicci, Lega Improvvisazione Firenze, Corso di Progettazione Architettonica 1, a Giovanni Bartolozzi, a Angel, Edoardo, Rocco, Francesco, Theo e Cosimo, a Daniel e la Bumbi, Leonardo Pirase e Gianni Gaggiani, a Sheila, a zia Caterina


L

a bocca di Leone arriva nell’universo gastronomico fiorentino all’inizio dell’estate scorsa. Situato in via Pisana, all’ingresso della porta di San Frediano, da subito conquista i raffinati palati dei gourmet più esigenti tanto che sul mondo virtuale diventa uno dei ristoranti più favorevolmente recensiti. Il locale ricavato dagli ambienti in disuso di un vecchio magazzino si presenta alla sua clientela con un ambiente fresco, accogliente e moderno che il proprietario Alessandro Bitossi ha voluto appositamente creare per rendere la cucina del suo bistrot attentamente dinamica, pronta a soddisfare le richieste dei clienti più esigenti. L’affiliazione al consorzio IGP a tutela del vitellone bianco dell’Appennino e la scelta della filiera corta garantiscono ai commensali del ristorante un menù orientato al rispetto della tradizione gastronomica fiorentina e di assoluta qualità. Non c’è amante della buona cucina cui non piaccia il gusto di un buon bicchiere di vino ed allora la cantina de “La Bocca di Leone” diviene un’autentica scoperta per coloro che si affascino dinnanzi al complesso mondo dell’enologia; dominano la scena i vini toscani con i tradizionali CHIANTI o i più celebri SUPER TUSCAN ma la scelta spazia dai migliori vini nazionali fino ad alcune selezioni dettagliatamente scelte delle cantine estere.

CORTESIA E CURA DEI PARTICOLARI FANNO DE LA BOCCA DI LEONE UN LUOGO PERFETTO PER UNA CENA ROMANTICA O PER UN INCONTRO D'AFFARI.

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p.8

Emilio Pisani: Maestro di “Educazione Sportiva”

p.12

La sottile arte di... Improvvisare

p.14

Carcere... E poi?

p.16

La forza del pensiero magico

p.18

«Il colore più bello che c'è...»

p.22

"Andrà tutto bene"... è una minaccia!

p.24

Ci mancherai splendido Garga!

p.27

Milano25 La forza dell’amore

p.30

Rubrica:

p.32

Grow the Planet: Pollice verde 2.0

p.34

Rubrica:

Nel suo ambiente lo chiamano “Maestro”, ma per i suoi ragazzi è semplicemente “Emilio”. Eppure è un titolo che pochi meritano più di lui, dopo più di 50 anni di attività a bordo ring Recitare, immedesimarsi in un personaggio davanti a un pubblico che aspetta con ansia la tua prestazione, portando avanti la storia attraverso colpi di scena, genialità e soprattutto senza copione: si tratta dell’Improvvisazione Teatrale Con la difficile situazione del mercato del lavoro, tutti possiamo facilmente capirne la sua importanza. Una particolare categoria di persone però non conosce momenti di crisi, né di sviluppo: i detenuti Una breve viaggio nella psiche per comprendere alcuni elementi che caratterizzano l’uomo nel confronto con le forze naturali che lo circondano Su Wikipedia alla voce “identità del tifoso fiorentino” spicca uno studio fatto da ricercatori universitari che, prendendo in esame gli striscioni esposti dagli ultras viola, ne ricostruisce le implicazioni identitarie, pressoché uniche nel panorama delle tifoserie italiane Da un'idea Un incontro con Le Furie, band di successo del panorama musicale italiano. Seguiteli con noi e “Andrà tutto bene” «Vedi, un tempo andavo in Arno con la mi’ barca, che si chiamava Moby Dick. Andavo nel mio fiume e ci portavo le donne. Tu non hai idea di come sia bello e poetico portare delle donne sulla tua barca sul tuo fiume. Hai voglia ad andare per locali, Firenze è l’Arno! Io tutte le notti vo’ alla pescaia e urlo AMOREEE alla città» (Giuliano Gargani, detto I’ Garga) Il suo taxi l’hanno visto tutti, ma non tutti conoscono quello che quella macchina colorata e sgargiante significa. Né sanno quello che fa per gli altri

uno straniero a firenze//un fiorentino all'estero

Storia di come dal proprio balcone è possibile cambiare il mondo (armati di terra, zappa e mouse) e di come, anche nel mondo virtuale, l’unione fa la forza (della natura).

Respira che ti passa


Buona lettura.

Come disse qualcuno, «Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare…». Non ho mai sognato, o neppure pensato, di fare il giornalista. È stato il giornalismo che ha trovato me: è come se ci fossimo sempre conosciuti, ma ci siamo incontrati solo grazie ad una serie di coincidenze. Io questo lo chiamo Destino…Viaggiare, conoscere persone interessanti, intrufolarsi dappertutto, soddisfare la propria curiosità, imparare sempre qualcosa di nuovo, dialogare coi lettori, scrivere… che volere di più?

Mario Puccioni

Daniel Meyer

Ilaria marchi e Marco provinciali

POR FIN!!! direbbero sull'altra sponda del Mediterraneo. Siamo dovuti ricorrere alle stregonerie di uno sciamano sessantottino, innamorato delle lingue arcaiche, per riuscire a mandare in stampa il nuovo attesissimo numero di FUL: "terque, quaterque tacta testicula et omnia pericula fugata sunt" Tra un latino maccheronico e teorie del rimbalzo (della fortuna si intende) abbiamo trovato pian piano la strada per i denari necessari alla distribuzione del magazine che si presenta sí in ritardo ai suoi lettori ma evoluto, con articoli riassunti in lingua inglese, una nuova rubrica ed un totale di 36 pagine che raccontano, a fiorentini veraci e non, storie di FORZA (interiore) che abbiamo scovato all'interno della città. E pensare che qualcuno credeva che questo tipo di energia si potesse trovare solamente nei riti meditativi dei monaci d'oriente.

“Le persone comuni spesso lo ignorano, ma nel nostro mestiere il talento conta moltissimo. Quando ero ragazzo anch'io pensavo che lo scienziato, alla fin fine, è soltanto un osservatore attento che mette in ordine i dati. Non è così. Per scoprire qualcosa di nuovo occorre lo stesso talento di un compositore capace di creare nuovi legami tra note e melodie. Nel nostro caso si tratta di connettere aspetti comportamentali apparentemente lontani tra loro” (G.Rizzolatti, 2012). Dalle scienze bisogna uscirne più volte possibile per colmare l'incolmabile differenza che c'è tra la vita reale e la teoria. Psicoanalista e neuroscienziato cognitivo, lavora da tre anni presso l'Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze.

Cristina Battaglini

Paolo Lo Debole

Alice Colombini

Tommaso Baroncelli

Cristina Battaglini 26enne vagabondante tra Germania ed Austria, attualmente vive a Graz in veste di assistente di lingua italiana. Neolaureata in Studi Rinascimentali si chiede che ne sarà di lei, ma non sgomenta. Intanto scrive, poesia e svolge ardite performance poetiche in giro qua e là. Collabora come giornalista freelance in diverse riviste. Chiamatela anche Ladycri.

Sono nato nel 1964 nella meravigliosa Firenze in un giorno d'estate precisamente il 21 giugno ma ho dovuto attendere un sacco di tempo per capire cosa la fotografia significasse per me. Posizionare l'occhio nel mirino e vedere il mondo da una prospettiva diversa,con più angolazione. Oramai ho deciso che questa sarà la mia strada professionale,ogni volta che esco con la mia Nikon il momento diventa importante e il solo pensiero che anche un solo scatto mi soddisfi è gratificante.

Sono Alice Colombini , vivo a Firenze e sono una psicologa…… Quando sono nata alle 7.05 del 25 marzo 1981 il sole era in Ariete e la Luna in Scorpione, la mia carta del cielo parla chiaro: impulsiva e paziente, ha bisogno di agire, va incontro alla vita con energia, in modo prorompente, vivere è una sfida e un’avventura, non manca mai di coraggio ma la franchezza e l’onestà possono a volte cacciarla in situazioni imbarazzanti. Ma questa sono io…. Incredibile!

Firenze, 23 luglio 1979. Nasco pigramente 23 giorni dopo la scadenza del tempo, il primo giorno disponibile del Leone. Sin da piccolissimo rimango per ore incantato ad ascoltare musica ed a guardare i dischi girare nel piatto… Colleziono vinili, leggo molto, mi piace cucinare e amo il buon vino. Credo che le belle canzoni aiutino ad essere persone migliori.


Silvia Brandi

Teresa Tanini

Jacopo Aiazzi

Giacomo Pirisi

"Nata a Firenze Torregalli il 28 settembre 1987 (Bilancia ascendente Sagittario), di residenza isolottiana ma scandiccese d'adozione, a 20 anni decide che ha voglia di farsi qualche giro e passa 3 anni fra Londra, l'Australia e Parigi. Adesso è a Firenze in pianta semi stabile perché nella vita non si può mai dire. Per FUL traduce gli articoli in inglese, vivendo così nella paura che gli articolisti sentano nella traduzione stravolto il significato delle loro parole e l'aspettino sotto casa. Il traduttore è un mestiere duro ma qualcuno deve pur farlo".

Fiesole, 1982. Vive e lavora a Firenze. Ha da sempre un rapporto conflittuale con i propri capelli. Un amore immenso per il mare e un’antipatia profonda verso le meduse. Ascolta tanta musica, non si sveglia la mattina, incline alla risata rumorosa, arrossisce per lontane associazioni di idee. Quando può ficca il naso nel mondo reale e virtuale alla ricerca di (belle) cose da vivere, regalare o anche solo da raccontare.

Nasco a Fiesole alle 5:30 di mattina del 23 settembre 1985, con una mano sopra la testa e dal peso di 4kg e passa. Più fastidioso di così non potevo essere. Sono nato il giorno in cui è morto Giancarlo Siani, un giovane giornalista di ventisei anni ucciso dalla camorra a Napoli. Oggi ho la sua età e ancora non ho assimilato tutte le sfumature che il giornalismo può assumere. L'unica cosa di cui sono consapevole è il desiderio di coltivare questa conoscenza. Più appassionato della scrittura in quanto tale che dal giornalismo, apprezzo ogni forma di quest'arte. La cosa che più mi codifica come italiano è l'amore per la pastasciutta, con qualsiasi sugo.

Giacomo Pirisi, classe '82. Nasco a Pisa, vivo a Gavorrano (GR), poi a Venturina (LI). Mi laureo a Siena e dopo una breve parentesi romana mi trasferisco a Milano, per quasi 6 anni. Fiorentino da Gennaio 2012, videomaker, spenderei i soldi che non ho in libri, fumetti, musica, cinema e viaggi. Frase preferita: "Pensate che la cultura sia costosa? Provate l'ignoranza.". Gli amici mi chiamano Piro.

redazione mobile

Nata nel 1983, sono stata subito chiamata in causa: o Duran Duran, o Spandau Ballet, e poi, senza un attimo di tregua, Take That o East Seventeen, Vasco o Ligabue.. Insomma, una vita fatta di scelte e industria musicale, così ho cominciato a cercare la frivolezza nel vintage e nella moda low-cost, dilettandomi a recitare in qualche teatro di periferia e scrivendo qua e là (soprattutto sui muri della scuola) di miti e manie.. Per fortuna la scuola è finita e i muri sono diventati bacheche, dashboards e timelines, così io posso continuare a scrivere, senza imbrattare la mia amata Firenze! Twitter: @crazygianz LinkedIn: Giorgia Biagini

La nostra redazione è in completo movimento, composta da fiorentini autentici e da coloro che hanno trovato a Firenze la loro seconda casa. La centrale operativa è nella zona delle Cure ma l’occasione di incontri e riunioni è sempre una buona scusa per approfittare di una visita ai vari gestori di bar o locali che ormai da anni conosciamo. Una redazione mobile che trova nel supporto della rete il collante necessario per la realizzazione di ogni nuovo numero.

Martina Scapigliati

Quello della Scapigliatura fu un movimento artistico e letterario sviluppatosi nell’Italia Settentrionale a partire dagli anni sessanta dell’Ottocento. Gli Scapigliati erano giovani tra i venti e i trentacinque anni, nutriti di ideali e amareggiati dalla realtà, propensi alla dissipazione delle proprie energie vitali. « …tutti amarono l’arte con geniale sfrenatezza; la vita uccise i migliori » (in introduzione, La Scapigliatura e il 6 febbraio, Sonzogno, Milano, 1862). Martina è nata nel 1985. Sa leggere la musica, ama scrivere e cantare, è in procinto di terminare gli studi per la Laurea Magistrale in Giurisprudenza. Vive a Firenze col suo adorato Jack Russel Napoleone, di anni 7.

Giorgia Biagini

Lorenzo Giorgi

Lorenzo Giorgi. 28 anni, barman, viaggiatore ed aspirante fotoreporter, come molti miei coetanei ancora alla ricerca di un ruolo in questo tempo. L’importante è riderci su, dopotutto «le fotografie sono come le barzellette, se le devi spiegare vuol dire che non sono venute bene».


Sport in città

Emilio Pisani: Maestro di Educazione Sportiva

Nel suo ambiente lo chiamano “Maestro”, ma per i suoi ragazzi è semplicemente “Emilio”. Eppure è un titolo che pochi meritano più di lui, dopo più di 50 anni di attività a bordo ring Testo di Daniel Meyer, foto di Paolo Lo Debole

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lla parola “Maestro” Emilio Pisani scuote le spalle e si schermisce «Sie... è l’età che ci porta a essere chiamati così. I meriti sono un po’ meno...». Questo è Emilio Pisani: un uomo, che ha dedicato la sua vita al pugilato e ai suoi valori più autentici; la prima volta che ha indossato i guantoni aveva quattordici anni, ed è stata una folgorazione («M’è entrato nel sangue»). Erano gli anni Cinquanta; oggi Pisani ha settantuno anni, e ha allenato intere generazioni di ragazzi, insegnando loro a stare su un ring ma soprattutto il rispetto dei valori dello

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sport e degli avversari. La chiama“educazione sportiva”, perché per lui «la finalità dello sport è quella di educare». Lo sguardo è fermo, si riempie d’ orgoglio:«Questo è il principio che esiste in questa società». La “società” è la Boxe Robur Scandicci, storica palestra fondata nel 1968. Oggi è un ampio spazio, dotato di tutte le necessarie attrezzature. I ragazzi (e le ragazze) si allenano con impegno, senza sosta; l’atmosfera è concentrata, seria, ma sorridono. «Si pensa che sia uno sport singolo, ma non è vero: esiste lo spogliatoio anche qui. Se c’è all’interno della palestra un rapporto di amicizia tra i ragazzi, è più facile ottenere i risultati» dice Pisani. Conosciuto in tutto l’ambiente nazionale, premiato per i cinquanta anni di attività, è stato rappresentante degli insegnati della regione, consulente tecnico del Comitato regionale della federazione Italiana Pugilato e altro ancora. Titoli, cariche, riconoscimenti: eppure, si capisce che quello che ama di più è insegnare, stare a contatto coi ragazzi, aiutarli a crescere. È questa passione forse quello che lo tiene ancora così in forma, che gli dà quell’entusiasmo e quell’energia che


emana la sua persona. «Finché la salute regge, reggo anch’io», scherza. Eppure, l’aria mite e bonaria nasconde uno degli allenatori più bravi del settore. La boxe è la “nobile arte”, non un esercizio di forza bruta. Tecnica, carattere, intelligenza, capacità di soffrire, determinazione: questo fa di un pugile - ovviamente anche dotato di talento - un campione. Spiega Pisani: «Si dà per scontato che un tecnico conosca le metodologie di allenamento e di insegnamento. Ma quello che fa la differenza è la capacità di capire chi si ha davanti. Non con tutti ci vuole lo stesso sistema: c’è chi ha bisogno della carezza, chi dell’urlo, chi delle promesse. Cambia anche il sistema di allenamento, da atleta ad atleta». Questo perché «prima di tutto bisogna essere dei bravi

Campioni in erba «Insegnare a i bambini è la cosa più bella e più facile che ci sia» dice Emilio Pisani. La Robur crede molto nel valore sportivo e formativo del pugilato, e infatti, oltre ai vari eventi che organizza, ha lanciato un programma per portarlo nelle primarie di Scandicci. Non solo: per i bambini dai 6 ai 13 anni l’iscrizione è gratis. «Alti, bassi, grassi, magri: per noi vanno tutti bene» dice Pisani. Coordinazione motoria, riflessi, fiato, rispetto degli altri e delle regole: il pugilato è un’ottima scuola. E va sfatata anche la leggenda sull’inevitabilità di rompersi il naso: tra guanti, caschetti e regolamenti vari il livello di sicurezza è sempre molto alto.

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conoscitori degli uomini. Essere degli psicologi... Ma bravi.» Così è riuscito a portare al successo generazioni di pugili, a ogni livello. L’ultimo gioiello della Robur è Sead Mustafa: proveniente da una famiglia di pugili, è imbattuto dal ’99; essendo extracomunitario non può partecipare ai campionati regionali o italiani, ma dà del filo da torcere anche a pugili di alto livello. Un peccato. Sospira Pisani: «Sarebbero tanti i regolamenti da rivedere...». Lui lo sa bene, perché negli anni ha dovuto mescolarsi anche con gli aspetti più politici del pugilato. Si capisce che lo fa malvolentieri, che non si sente a suo agio tra giochini, accordi sottobanco, scambi di favori; ma, da vero guerriero, se deve, si butta nella mischia, e dice sempre la sua, con onestà e franchezza. Forse anche troppa. Meglio allora lavorare con i suoi ragazzi: scherza, ride, li coccola, si informa di come stanno, di come vanno le cose “fuori”, dove forse la vita è un po’ più dura. Anche la lotta di Pisani e della Robur si svolge in gran parte fuori dal ring: permessi, spazi, costi di trasporto, rimborsi: la boxe non è uno sport per chi vuole arricchirsi, le istituzioni non sempre aiutano e la fatica è tanta; se si pareggiano i conti è già tanto. «È un dramma» commenta Pisani. Ma «i’ pugilato l’è i’ pugilato»: lui lotta sempre, con l’entusiasmo di un ragazzo. «Non s’arriva mai. Non si finisce mai di apprendere», dice proprio lui, che insegna a tutti. E che un Maestro lo è davvero.•

«Si dà per scontato che un tecnico conosca le metodologie di allenamento e di insegnamento. Ma quello che fa la differenza è la capacità di capire chi si ha davanti»


ENGLISHVERSION>>>> His boys call him “Emilio”, for everyone else he is “The Master”. Emilio Pisani dedicated his whole life to boxing, which he practises since he was fourteen. Now he’s 71 and has been teaching generations of young men how to box, as well as to respect one’s challengers because, he says, «the aim of sports in general is to educate for life». Emilio teaches boxing at Robur Scandicci, founded in 1968, a well equipped gym where guys (and ladies too) train constantly. «People think boxing is an individual sport, but it’s not true. There are changing rooms here and when friendships are established we do get better results». He’s got a gentle look, Emilio Pisani, but he is one of the best coaches and he’s known on a national level, with his more than 50 years of experience. To be a good boxer you need technique, character and intelligence. «But what really makes the difference -Pisani explains- is the ability to understand who stands in front of you. Each athlete is different, so what’s most important is to be a good men connoisseur, kind of a psychologist». The last jewel “made in” Robur Scandicci is Sead Mustafa, unbeaten since ’99. Unfortunately, being Sead an immigrant, he cannot enter regional or national boxing matches. During the years Pisani has had to get involved with some “political” aspects of boxing: he doesn’t feel at ease having to deal with favour exchanges, compromises and tricks but, as a good warrior, he does what he has to do and always says his piece straightforward. He much prefers to spend time with his boys: he jokes with them, calls them and keeps himself informed of how they are. But the hardest fight, for Emilio Pisani and Robur Scandicci, is actually outside the boxing ring: transportation costs, permissions, refunds… it’s not always easy to balance and institutions don’t help much. «It’s not easy, but boxing is boxing, and you never finish learning». «Teaching children how to box is easy and satisfying», says Pisani. At Robur Scandicci children from 6 to 13 years old are exempted from registration fees. «Tall children, small children, thin children… everyone can be a boxer, and it’s not true that we need to get noses broken: we use helmets, boxing gloves and regulations so that oneself is absolutely protected».•

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Palchi di città

La sottile arte di...

Improvvisare Recitare, immedesimarsi in un personaggio davanti a un pubblico che aspetta con ansia la tua prestazione, portando avanti la storia attraverso colpi di scena, genialità e soprattutto senza copione: si tratta dell’Improvvisazione Teatrale

Testo di Giorgia Biagini, foto Rossella Di Maria

L’

improvvisazione Teatrale è una disciplina difficile, quanto interessante, utile per crescere caratterialmente e avere la forza di superare i

propri limiti. «Chi si avvicina all’improvvisazione lo fa con le motivazioni più disparate - ci spiega Giovanni Palanza, presidente della Lega Improvvisazione Firenze (L.I.F.)a livello personale per accrescere la fiducia in sè stesso, vincere la timidezza, scaricare lo stress, sviluppare prontezza e

creatività per il proprio lavoro o attività. A livello sociale per divertirsi in gruppo, conoscere gente, oppure, semplicemente, ha visto i nostri spettacoli e percepisce il “divertimento “ di chi pratica e insegna questa “disciplina”, con oltre venticinque anni di esperienza di scuola e di palco». «Inoltre - continua-, improvvisare è una cosa, che nostro malgrado, facciamo di continuo nella vita, anche nella più esasperata “routine”, dai semplici dialoghi alle situazioni più inaspettate e, sapere quali sono i meccanismi di una “buona

Improvvisare non significa spingersi oltre i propri limiti solo sul palcoscenico, ma nella vita reale può diventare una chiave per approfondire i meccanismi della comunicazione .12

improvvisazione”, comunque aiuta a vivere meglio». La L.I.F. organizza, sia con attori professionisti, che amatori su Firenze, Prato ed Empoli i “Match di Improvvisazione Teatrale®”, spettacoli in cui due squadre di attori si contendono la vittoria attraverso storie create sul momento, secondo temi e categorie proposte da un arbitro; il pubblico, dopo ogni improvvisazione, è chiamato a votare per l’una o l’altra squadra determinando l’andamento dell’incontro. «Io - racconta Palanza- provengo dal teatro in prosa e avevo avuto, come in quasi tutte le accademie, un approccio all’improvvisazione solo come “mezzo” per interpretare un testo o un personaggio; poi, casualmente, alla fine del 1990, assistetti ad un “Match di


ENGLISHVERSION>>>> Acting creating new characters, a whole new plot and twists without script: this is Improvisational theatre, also known simply as Improv. Giovanni Palanza, president of Lega Improvvisazione Firenze Florence (Improv League) explains: « Improv can be extremely useful on a personal level because it helps you to be more confident, less shy and stressed, more creative, and on a social level simply to enjoy working in a group, meet people, have fun. Improvisation is one thing we constantly do, everyday of our life for example when we talk to people, so it’s useful

to get to know its basic techniques». LIF organizes Improv Matches in Florence, Prato and Empoli – during these matches 2 teams of actors challenge with stories created on spot, plots and subjects given by an arbiter; then the public chooses the winner team. «Me, says Palanza, I come from prose theatre but then in 1990 I saw an Improv match and I absolutely loved it: to improvise and so to create new stories and situations makes you feel special, what happens is unique and will never be repeated again. People who follow us have a lot of fun, they become protagonists by giving titles

and themes to the teams». Improv is not just limited to stage: it’s useful for daily and professional life to communicate with people whose intentions we do not know. “Working on individual and group creativity helps to improve teamwork concepts which are the basics in a business environment”. As Pirandello said: “In the end everyone plays a part” Info, classes and reservations: www.legaimprovvisazionefirenze.it Improv is not just limited to stage: it’s useful for daily and professional life to communicate with people whose intentions we do not know.

Improvvisazione Teatrale®” e fu come una folgorazione: improvvisare come fine, vedendo nascere davanti ai miei occhi scene, situazioni, lazzi, storie, in cui, tutto quello a cui assistevo, anche da spettatore, mi faceva sentire speciale, in quanto ciò che accadeva era “unico e irripetibile”, non ci sarebbe stata una recita uguale ad un’altra... Nessuna replica!». «Coloro che ci seguono - prosegueaspettano ancora oggi di divertirsi per due ore, di passare una serata a stupirsi, a tifare (nel senso nobile del termine) e partecipare a uno spettacolo in cui lo spettatore è, in qualche modo, anche protagonista, sia attraverso la preferenza che dà all’una o all’altra squadra, sia addirittura fornendo egli stesso il titolo su cui gli attori dovranno confrontarsi». Il sito web della L.I.F. si apre con una

citazione di Fabrizio De André, a sua volta ripresa da Lee Masters: “Non più ottico ma spacciatore di lenti, per improvvisare occhi contenti, perché le pupille abituate a copiare inventino i mondi sui quali guardare“. «Questo concetto - ci spiega ancora Palanza- incarna il primo compito di un improvvisatore, in quanto egli deve utilizzare la sua arte per aiutare il pubblico a vivere storie fantastiche, emozioni e passioni che appaiono sul momento, come indossando dei magici occhiali». Improvvisare non significa, però, spingersi oltre i propri limiti solo sul palcoscenico, ma nella vita reale e professionale può diventare una chiave per approfondire i meccanismi della comunicazione, per aiutare a superare ostacoli e paure dell’interagire con altri soggetti di cui

non si conoscono le intenzioni. «Lavorare sulla creatività dell’individuo nel gruppo - conclude il presidente della L.I.F.- serve ad arrivare a una capacità percettiva complessiva, che permetta di valorizzare il team: l’improvvisazione è l’esaltazione del concetto di “fare squadra”, importantissimo in ogni ambito aziendale». Perché nella vita, citando Pirandello, “in fondo tutti noi recitiamo una parte”! Il campionato “amatori” del “Match di Improvvisazione Teatrale®” e i corsi sono partiti a settembre... •

Info, corsi, formazione aziendale e prenotazioni: www.legaimprovvisazionefirenze.it

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Ful dietro le sbarre

Carcere... E poi? Con la difficile situazione del mercato del lavoro, tutti possiamo facilmente capirne l'importanza. Una particolare categoria di persone però non conosce momenti di crisi, né di sviluppo: i detenuti Testo di Jacopo Aiazzi

S

volgere un’attività lavorativa permette al detenuto di partecipare alla vita collettiva della società in cui vive. Il lavoro svolge un ruolo centrale nella società dei “liberi” e la possibilità di avere una fonte di sostentamento e di guadagno accettata e incoraggiata, funge da deterrente al compimento di ulteriori reati. La maggior parte dei detenuti rientra appieno nello stereotipo del “delinquente povero e socialmente disadattato”, e lo svolgimento di un’attività è un valido rimedio, anche per chi non necessita di un lavoro, agli effetti degradanti della detenzione. Una corretta retribuzione e un’attività che non abbia i connotati dei lavori forzati danno in concreto l’idea dell’utilità del proprio lavoro, distolgono dall’idea di sfruttamento e reintegrano il detenuto in una logica di legalità. Il percorso per l’inserimento lavorativo è però lungo e difficoltoso, spesso reso vano da lentezze burocratiche e da un sovraffollamento delle strutture penitenziarie. Dai 35 mila detenuti del 1990 in Italia siamo arrivati ai 67 mila del 2011, oltre 20 mila detenuti in più della capienza regolamentare. La situazione si aggrava per i detenuti stranieri, spesso mancanti di reti familiari e di domicilio. La loro unica possibilità è il lavoro all’interno degli istituti. La quasi totalità del lavoro negli istituti si svolge per cooperative

Il percorso per l’inserimento lavorativo è lungo e spesso reso vano da lentezze burocratiche e dal sovraffollamento delle strutture penitenziarie


Data rilevazione

Detenuti presenti

Totale lavoranti

% Lavoranti

31/12/95

46.908

11.954

25,48%

31/12/00

53.165

11.121

24,09%

31/12/05

59.523

12.723

26,77%

31/12/10

67.961

12.110

20,86%

31/12/11

67.394

11.508

20,42%

Il n° dei detenuti lavoranti è dato dalla somma dei lavoratori esterni e interni alle strutture penitenziarie. (Fonte: Ministero della Giustizia, relazione al Parlamento relativa allo svolgimento da parte di detenuti di attività lavorative)

sociali e per l’Amministrazione Penitenziaria. I lavori svolti per l’A.P. sono spesso lavori di basso profilo, per un paio di ore al giorno e pagati mediamente 15 euro al mese come indennità di disoccupazione. I carcerati che svolgono un lavoro all’interno di Sollicciano sono ogni anno 200-250. Questo scosceso panorama di riabilitazione porta spesso, oltre alla reiterazione del reato una volta scontata la pena, a situazioni di depressione che spesso sfociano in suicidi ed episodi di autolesionismo. Soltanto in Toscana, rileva Franco Corleone, Garante dei diritti dei detenuti di Firenze, nel 2011 di circa 4.100 detenuti nelle carceri toscane, i suicidi sono stati 5, i tentati suicidi 150, gli episodi di autolesionismo 914, gli scioperi della fame 637, le aggressioni al personale 34. Per comprendere meglio questa difficile situazione abbiamo parlato con Andrea, nome di pura fantasia, detenuto toscano dal 2007. Il periodo che hai passato all’interno di Sollicciano è stato accompagnato da un percorso di reinserimento lavorativo? «No, assolutamente no. Per mia colpa, ma anche per la mancanza di questo tipo di percorsi, sono uscito e rientrato dal carcere. Succede che all’improvviso ti avvisano e in un paio di settimane ti sbattono fuori, ma tu sei là, da solo. La tua famiglia ti aiuta, ma è difficile dopo quattro anni di detenzione trovare un lavoro e così rientri nel solito circolo vizioso e ricadi nell’errore. La situazione, di Sollicciano nello specifico, è piuttosto grave; ci sono per lo più extracomunitari e tossicodipendenti, mancano i fondi e tutto ciò che di propositivo viene offerto ai carcerati proviene da associazioni di volontariato che non sempre possono fare miracoli». Sei a conoscenza di altre attività con finalità di recupero svolte all’interno del carcere, come un percorso scolastico o attività artistiche? «Sì, esistono attività: io per esempio ho frequentato per un periodo piuttosto duraturo un corso di informatica base che oltretutto era anche piuttosto ben strutturato ma, tornando alla problematica dei fondi, in carcere ogni tipo di iniziativa non ha una lunga vita». Cosa ti ha spinto a delinquere? «Le cazzate. Le tentazioni in cui cadi e dalle quali poi è difficile riemergere. La droga è una brutta bestia e la dipendenza lo è ancor di più. Sembra di averla sconfitta ma alla prima occasione si ripresenta e dire di no è molto difficile. Poi, come ho detto prima, esci dal carcere e nessuno ti ascolta. Già è difficile oggi trovare un lavoro per coloro che hanno una vita “normale”, figuriamoci per un ragazzo come me che non è esente da colpe».•

ENGLISHVERSION>>>> Given the difficult situation of the labor market, it’s easy to understand the importance of a job. But there is one particular category of people that never has moments of crisis or development: detainees. A job allows prisoners to participate in the life of the society, and it acts as a deterrent to commit further crimes. The path to the employment, however, is long and difficult. From 35,000 people held in prison in Italy, we got to 67,000 in 2011, more than 20,000 inmates in excess to the actual capacity of prisons. All of the work takes place in social cooperatives and in the Prison Administration: often low-profile jobs for a couple of hours a day, on average paid 15 euro per month. Prisoners with a job in Sollicciano are 200-250 per year. Only in 2011, of an estimated 4,100 inmates in Tuscany, suicides were 5, suicide attempts 150, incidents of self-harm 914, hunger strikes 637, assaults on staff 34. We talked to “Andrea”, a name of fantasy, held in prison since 2007. The time you spent in Sollicciano has been accompanied by a process of re-employment? «No, absolutely not. Through my fault, but also for the lack of this kind of help, I went out and came back from prison. Suddenly you are kicked out, but you’re there, alone. Your family will help, but it’s hard after four years in prison to find a job». Are you aware of educational or artistic activities to help detainees? «Yes, there are activities: for example, I spent a considerable amount of time in informatics training but in prison every kind of event does not have a long life». What prompted you to commit crimes? «Crap. All temptations from which it’s hard to re-emerge. Drug addiction is an ugly beast. When it seems you defeated it, on the first occasion it’s very difficult to say no. You get out of jail, and no one will listen to you. It is hard today to find a job for those who have a “normal” life, let alone a guy like me».• 15.


Ful e la mente

La forza del pensiero magico Una breve viaggio nella psiche per comprendere alcuni elementi che caratterizzano l’uomo nel confronto con le forze naturali che lo circondano A cura di Mario Puccioni Psicoanalista e Neuroscienziato Cognitivo Ospedale Pediatrico Meyer, Firenze

L’

energia è un’idea, come l’amore. Facile da riconoscere, ma difficile da definire» (D.Herron) L(Lavoro)= F(Forza) x S(Spostamento) Quando ero piccolo avevo un cane, Jackson, un cocker dispettoso che si divertiva a rubare i miei giocattoli e a seppellirli in buche profonde nel nostro giardino. Un’altra sua attività prediletta era quella di mangiare tutti i pinoli che io e mia sorella schiacciavamo ogniqualvolta trovavamo qualche pigna bella nutrita. Un giorno, quando avevo sei anni, Jackson morì e i miei genitori mi dissero che era andato in cielo. Capii subito che non era scappato per un po’, come faceva spesso per raggiungere il suo amore, e sentii qualcosa che tutti noi conosciamo bene, cioè quel groppo, tra il petto e la gola, che fai fatica a deglutire. Non comprendevo bene cosa mi stesse succedendo, ma ricordo che mi misi a sbucciare per lui molti pinoli, li misi in un pentolino di metallo, li nascosi in un posto dove solo io e lui potevamo vederli e ricominciai a giocare. Ancora oggi potrei giurare che qualche ora dopo quei pinoli non c’erano più. La “forza psichica” deriva direttamente dal concetto di impotenza. Non quella sessuale, piuttosto mi riferisco al senso di piccolezza nei confronti del mondo, della natura e della straordinaria potenza che hanno su di noi: la storia di Jackson riguarda la forza del pensiero magico, onnipotente, proprio di un bambino che lo utilizza per dare senso a qualcosa che non può ancora avere. In quael caso il dono dei pinoli serviva a colmare un dolore non spiegabile, o meglio, talmente tanto inspiegabile, da farmi credere che Jackson fosse tornato veramente a prenderseli quei pinoli. Fin verso i 6 anni questo tipo di pensiero caratterizza la mente dei bambini e li fa interagire con il mondo e con la materia in modo del tutto diverso da qualsiasi adulto che cerca spiegazioni. Per i bambini gli oggetti sono animati, non soltanto in quanto hanno un’anima ma perché possono essere mossi, mescolati e modificati attraverso il pensiero. Purtroppo, o se Dio vuole, man mano che cresciamo siamo sempre più interessati a capire come diavolo funzionano le cose, ma, nonostante tutto, un buon retaggio del

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pensiero magico resta vivo in tutti noi. Uno studioso americano, Robert Merton, nel 1948 scoprì la “profezia che si autoavvera” e dimostrò attraverso un esperimento di psicologia sociale, che «una supposizione o profezia per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l’avvenimento presunto confermando in tal modo la propria veridicità». Dopo di lui molti altri produssero esperimenti del genere e tutti, con modalità e teorizzazioni diverse si trovarono d’accordo (per chi vuole approfondire, Tauber e Green, L’Esperienza Prelogica, 1959). Per adesso ci è dato di capire che il nostro cervello, formato da miliardi di connessioni sinaptiche, possiede una capacità unica di captare dall’esterno innumerevoli informazioni in brevissimo tempo, in buona parte senza accorgersene, ovvero in modo inconscio. Ritornando al concetto di impotenza, la mente si struttura fin da subito a contatto

con la percezione di forze naturali non propriamente gestibili. È l’impotenza nei confronti di un mondo gigantesco e complicato (ma altrettanto interessante e stimolante) che ci regala la forza di andarlo a scoprire. Ogni scoperta che facciamo, però, è sempre relazionale, ovvero procede nella nostra vita attraverso le relazioni: da bambini, i genitori fanno da interlocutori principali e ci insegnano come loro vedono il mondo, da adulti attraverso le persone che incontriamo, le amicizie e gli amori. Ma c’è forse un elemento ancor più profondo che ci dirige in questo percorso, il desiderio. È proprio il desiderio la benzina ufficiale dei nostri motori mentali. Individuare e seguire i nostri desideri è probabilmente l’impegno più nobile e utile che abbiamo nei confronti di noi stessi e di chi ci circonda. Ma per farlo dobbiamo investire del tempo: i desideri non parlano in frazioni di

Individuare e seguire i nostri desideri è probabilmente l’impegno più nobile e utile che abbiamo nei confronti di noi stessi

secondo, quelli sono gli istinti. I nostri desideri si nutrono di molte cose e maturano come benzine raffinatissime in recipienti che vanno analizzati al riparo da agenti chimici. In un momento storico in cui viviamo buona parte del Tempo (T) impegnati nella frenesia e nel lavoro (L), attività nelle quali spendiamo buona parte delle nostre forze (F), forse dobbiamo chiuderci in un laboratorio di fisica e studiare una nuova formula che potrebbe essere Forza= L(Love) x T(Tempo).• ENGLISHVERSION>>>> Work = force X distance “Energy is an ideal thing, as love is. Easy to recognize but hard to define” (D.Herron) When I was a kid I had a dog named Jackson, who above all loved to eat pine nuts that my sister and I used to gather. When he died my parents told me he had gone to heaven, and I understood he would never come back, so I started peeling pine nuts for him, placed them in a pan and hid them in a special place only my dog and I knew. Even today I can still swear that after a few hours those pine nuts where not there any longer. “Psychic” strength comes from the concept of powerlessness towards the inexplicable forces of nature. The story about my dog Jackson tells about the power of thought of a little child trying to fight off his sorrows, ending up believing that the dog actually came back to take his pine nuts. The more and more we grow up, the more and more we get interested in understanding how things work, even though a little bit of magical thoughts always remain with us. In 1948 Robert Merton discovered the “self-fulfilling prophecy”: he said that a prophecy which is declared as truth may, in the end, fulfil the initial belief. This was then confirmed by many others (for example Tauber and Green, “Prelogical experience”), and we now only know for sure that our brain can detect countless bits of information in a very short time and that most of the time this happens on a subconscious level. Going back to powerlessness concept, this is what actually moves us forward and makes us want to go and discover this complicated but challenging world. The other basic elements of this path of discovery are our desires, whatever they might be. Desires are fuel for our mental engine: we have to recognize and fulfil them, but it takes time ; our profound desires can get enhanced by many things. Today we spend good part of our time (T) working (W) and so using our strength (S), although perhaps we should close ourselves in physics lab to study a new formula which might be: STRENGTH = L (Love) X T (Time) 17.


Ful in curva

«il colore più bello che c'è...»

Su Wikipedia alla voce “identità del tifoso fiorentino” spicca uno studio fatto da ricercatori universitari che, prendendo in esame gli striscioni esposti dagli ultras viola, ne ricostruisce le implicazioni identitarie, pressoché uniche nel panorama delle tifoserie italiane A cura di Marco Provinciali

N

ello studio si spiega che «emerge nel caso dei tifosi viola un unicum FirenzeFiorentina vissuto nelle sue connotazioni storico-culturali. Il calcio viene concepito dai tifosi gigliati come evento che travalica la performance sportiva e affonda le sue radici nell’identità cittadina; ciò comporta il fatto che l’evento sportivo divenga un assioma: se vince la squadra vince Firenze, in caso di sconfitta perde la città intera. Emerge la figura del cittadinotifoso che avverte e manifesta il forte orgoglio di vivere Firenze e il privilegio di tifare la squadra all’interno di un unico spazio identitario. Nel caso dei tifosi viola si assiste anche alla trasposizione del calciatore da atleta moderno a calciante del calcio storico e la partita diviene uno scenario epico per la tradizione della città: eroi i calciatori-calcianti ed eroi i cittadini-tifosi uniti nel nome del primato di Firenze e della Fiorentina. Per gli Ultras viola il calciatore della propria squadra deve sempre dare il massimo, non solo come atleta, ma perché egli diventa il calciante del 1530 che gioca e lotta per il dardo cittadino. A tutti gli effetti gli Ultras viola si inseriscono in un continuum IO-tifoso ed IO-cittadino nel quale Firenze-Fiorentina sono percepite come un’unità costruita sulla fierezza, l’orgoglio, la storia e la tradizione cittadina. Firenze, durante il Medioevo era la città del guelfismo e tutt’oggi, nelle curve Fiesole e Ferrovia, ritroviamo striscioni inneggianti al guelfismo, segno di un’appartenenza verso

lo splendore della Firenze medioevale, che i tifosi viola si portano da sempre nel cuore». Una questione di identità, di appartenenza, come lo fu quel gigantesco puzzle famoso nei ricordi degli appassionati che, nell’aprile del 1991 in occasione di un Fiorentina - Juventus colma di rancore e rabbia (era il ritorno di Baggio al Franchi dopo la dolorosa cessione dell’estate precedente), dipinse la Fiesole con il profilo dei monumenti simbolo della città, ad indicare al mondo intero che Firenze è la Fiorentina e viceversa. Una vera e propria opera d’arte ritenuta la più bella scenografia che mai sia stata realizzata nel panorama

tifosi dal vecchio bar della piazza ai portici di via Pellicceria, dove prendettero corpo le prime spontanee manifestazioni: le trasferte. Particolari sono i ricordi trovati su di un vecchio libro, “Firenze Viola”, a cura di Giuliano Sottani, in cui si descrive come nel secondo dopoguerra gruppi di impavidi tifosi affrontassero già allora lunghissimi viaggi su mezzi di fortuna con il solo e unico scopo di sostenere la maglia e la città. Poi arrivarono gli anni ‘50 e ’60, con la massiccia espansione urbana che fece perdere al centro storico il ruolo di aggregante, e l’epidemia di tifo calcistico andò a contagiare i quartieri di nuova edificazione trovando particolare fermento nei bar, dove tra un caffè e un aperitivo si discuteva di calciomercato o sulle decisioni del giudice sportivo. È in quegli anni che nascono in città come in curva i primi Viola Club. I primissimi in assoluto sono il “Centro coordinamento Viola Club” nato nel settembre del 1965 e il “Settebello” , nato nello stesso anno. Ne seguiranno numerosissimi non solo in città ma in tutta Italia, altrettanto fedeli, altrettanto orgogliosi. Perché il tifo viola è la storia di una città, è l’amore per una maglia è la fede di una curva. È stato spesso elemento decisivo per le vittorie dei propri beniamini, quel dodicesimo uomo in campo che in più occasioni ha trasmesso agli atleti gigliati la forza per gettare il cuore oltre l’ostacolo e regalare al popolo fiorentino la vittoria.•

Una vera e propria opera d’arte ritenuta la più bella scenografia che mai sia stata realizzata nel panorama del calcio mondiale

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del calcio mondiale, un po’ come dire: quando parlate della Fiorentina dovete sciacquarvi la bocca, perché questa è la città che essa rappresenta. Ma i tifosi viola non hanno certamente iniziato a sostenere i propri beniamini negli anni ’90. Già nel Trenta e nel Quaranta il popolo fiorentino supportava la maglia, partecipando attivamente alle prime esibizioni sportive nel nuovissimo Artemio Franchi e nelle discussioni di città. Dal 1946 l’apertura del Chiosco degli Sportivi comportò l’emigrazione dei


ENGLISHVERSION>>>> By checking “ACF Fiorentina” on Wikipedia we may find an accurate description based on a University research, which explains the unique relationship between the city of Florence and its representative team. Fiorentina fans tend to identify the team with the city; by supporting their team, fans also support their hometown and if Fiorentina wins, Florence wins too. Players are transposed to athletes of the historical football of Florence (Calcio Storico Fiorentino, ndt) and they’re required to do their best every time they play, because they have the honour of representing Florence on the field. Let’s also think about how many Florentines got a purple lily tattoo done: lily is the historical symbol of Florence and purple is the team colour. It’s quite funny to know the story about this colour choice: it is said that in 1929, before playing against Roma, Fiorentina red-and-white shirts were badly washed by a laundress in the river Arno, they faded and became purple. Fiorentina supporters started moving from other cafés and meeting up in 1946 in Via Pellicceria where they also reunited to go see Fiorentina playing away. In “Firenze Viola”, an old book written by Giuliano Sottani, there’s evidence of extremely long and hard trips fans used to make to go support their team away. During the 50s and 60s support expanded in the city outskirt and found its bases in cafés. Those are also the years of first “Viola Clubs” (for example “Centro coordinamento viola club” and “Settebello”, both born in 1965). A thought as a real supporter obviously goes to the last real Fiorentina king, Batistuta: Florence will always be grateful.

Sotto la curva con la mitraglia Un pensiero da tifosi, va verso l’ultima vera bandiera viola, Batistuta che oggi, come dichiarato nel marzo di questo anno in un’intervista a France Football, non corre più a causa delle troppe infiltrazioni e della poca cura verso se stesso in quegli anni vissuti a Firenze. Del “Re leone”, in città, mai si scorderanno e gli saranno sempre grati, per i sogni vissuti e le vittorie ottenute, anche in quelle fortezze blasonate, di cui ancora noi ricordiamo le meravigliose esultanze del campione argentino.

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foto di Lorenzo Matteoli

L’unione fa la forza

Alla facoltà di architettura, cinquanta studenti del Corso di Progettazione Architettonica 1 tenuto da Giovanni Bartolozzi a lavoro su Firenze Nello scenario traballante dell’università italiana un ulteriore colpo è segnato dalla scarsa attenzione riservata alla didattica, al suo rinnovamento e alla sua divulgazione. Alcune facoltà sono più avvantaggiate nel veicolare le esperienze didattiche e formative: la facoltà di architettura di Firenze, per esempio, promuove da qualche anno una mostra che espone i lavori dei laboratori di progettazione e che è spesso la maschera del vuoto di certa didattica: lo dimostra il fatto che tutto svanisce nel nulla da cui è nato, senza ricadute concrete e culturali sulla città. Alla luce di queste premesse, approfittiamo

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dello spazio concesso per raccontare una piccola esperienza didattica svolta con gli studenti del corso di Composizione Architettonica e Urbana 1 della facoltà di architettura. Non si trattava soltanto di traguardare obiettivi didattici specifici non sintetizzabili in poche righe, ma soprattutto di introdurre dei giovani studenti nel vivo dell’avventura progettuale in un confronto attivo e responsabile con la città. L’area di progetto era un nodo irrisolto di Firenze, ovvero l’isolato tra via Corridoni e via Pisacane, situato in prossimità di piazza Dalmazia e attualmente non edificato. Agli studenti è stato chiesto di ideare una residenza-studio ed è stata data loro la possibilità di personalizzare il committente, per garantire una partecipazione individuale al tema: dall’artista al fotografo, pianista, gallerista, poeta, giornalista, designer. Le residenze sono nate dai desideri di vita di questi committenti e da un tentativo di


contestualizzazione: nessuno dei cinquanta progetti è gratuito, tutti sviluppano un ragionamento urbano e concettuale al contempo ed il risultato ne è una vivace testimonianza. Si è trattato di un corso senza formalismi, senza imposizione, senza liste, insomma senza obblighi assoluti finalizzati alla valutazione finale. Il tentativo è stato quello di indurre lo studente a partecipare stimolando il suo impegno e avvalorando la sua presenza dal basso, attraverso impulsi concreti. Il laboratorio si è svolto nella sede di Santa Teresa, in aula 4, per questo lo abbiamo chiamato LABAULA4, da cui prende nome il sito del corso: www.labaula4.com. Difficile sintetizzare gli espedienti e le tappe formative che hanno caratterizzato questo intenso semestre. Attraverso lezioni teoriche angolate abbiamo trasmesso agli studenti un quadro conoscitivo sulle principali tematiche della progettazione architettonica, dal Movimento Moderno ai nostri giorni. Da giugno ai primi di luglio, pur dedicando la maggior parte del tempo alla progettazione, il laboratorio ha portato avanti un seminario teorico a carattere interdisciplinare, con lecture tenute da artisti, architetti, fotografi e ricercatori come Cristina Amenta, Clementina Ricci, studio ++, Francesco Gnot, Pino Brugellis, Guido Incerti, Silvio Pappalettere. Grande entusiasmo tra gli studenti ci è stato confermato dalla raccolta dei loro appunti e dai commenti sul sito del corso: commenti importanti perché mostrano la capacità di entrare nel merito delle riflessioni proposte e consentono ai più timidi di esprimere liberamente una riflessione. Ogni studente ha redatto il proprio Quaderno del corso, una sorta di diario di bordo per trascrivere appunti, riflessioni progettuali, pensieri personali. Uno strumento importante per il laboratorio che abbiamo deciso di trasformare in occasione creativa lavorando su un formato comune e invitando gli studenti a personalizzare la copertina con il “proprio” materiale, per comporre un pavimento di quaderni: metalli, sabbia, rovere, tappi di bottiglia, tessuti, plastiche, pluriball, sughero, ceramica, jeans e tanto altro abbiamo scoperto con sorpresa il giorno dell’esame. Cinquanta quaderni tutti uguali, ma tutti diversi.

Casa-atelier per un ballerino - Giulia Zanobini

Casa-laboratorio per un pasticcere - Emanuele Remedi

Casa-studio per una coppia di intellettuali - Eunae Sung

Casa-studio per poeta - Paolo Palagi

Casa-studio per un artista - Irene Nucci

Casa-studio per un fotografo - Francesco Puccini

Casa-studio per un pianista - Mariacristina Pace

Per la valutazione finale abbiamo invitato una giuria di esperti, esterni alla facoltà di architettura, a valutare il lavoro svolto per metterci in gioco tutti. Il corso è stato seguito da un ristretto numero di preziosi collaboratori, l’arch. Michela Sardelli e l’arch. Lorenzo Rossi, il cui contributo è stato decisivo. Esso è stato una preziosa esperienza di vita al fianco dei giovani studenti del primo anno.

21. Casa-studio per un pittore - Giulia Pannocchia


Ful in musica

"Andrà tutto bene"...

è una minaccia! Un incontro con Le Furie, band di successo del panorama musicale italiano. Seguiteli con noi e “Andrà tutto bene” Testo a cura di Tommaso Baroncelli, foto Le Furie

ENGLISHVERSION>>>> They are Edoardo, Rocco, Francesco, Theo and Cosimo, they come from Florence and together they form “Le Furie”; after their successful experience as Toomuchblond, they decided for a change and they started a whole new chapter. Edo, the singer, told us that “Andrà tutto bene” (everything’s going to be alright). Tell us a bit about Le Furie… «We’ve been playing together since we were 14 and have always been listening to different kinds of music. There’s good music and bad music, we listen to the good one». “Andrà tutto bene” got good reviews from both critics and public… «It is our first record and it’s very simple and direct. We wrote the lyrics in our studio in San Frediano where there’s not enough light, it smells and you feel like going outside to take a breath. “Andrà tutto bene” is about this». Why did you choose this title during these hard times we going through?

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S

ono Edoardo, Rocco, Francesco, Theo e Cosimo; vengono da Firenze e prima si chiamavano Toomuchblond, band «... Nata dall’amore per il rock e l’elettronica, la Nutella, i viaggi, i vinili, dal desiderio di non voler assomigliare troppo a qualcun altro e dalla passione per qualsiasi movimento il cui nome cominci con “post”». Dopo anni di intensa attività live, culminati con un contratto con la Sugar di Caterina Caselli, la vittoria nel contest di MTV Operazione Soundwave e una collaborazione con il musicista e produttore Roberto Vernetti, decidono di dare un calcio al loro passato e diventano “Le Furie”… Edo, il cantante, che ci ha detto che sì... «Andrà Tutto Bene!» Raccontami un po’: chi sono Le Furie? «Suoniamo insieme da quando abbiamo quattordici anni. Prima il nostro gruppo aveva un altro nome… Abbiamo un background musicale eterogeneo, anche perché non esiste un genere più bello di un altro, solo la musica fatta bene e bella e quella fatta male e brutta. Noi ascoltiamo quella bella. Le Furie lo abbiamo scelto perché ci ispirava velocità e rabbia e in più era in italiano». “Andrà Tutto Bene” è stato accolto bene da pubblico e critica. «È il nostro primo disco, scritto negli ultimi tre anni. È sincero, semplice e diretto. Il nostro obiettivo è quello di riuscire a far sentire la nostra voce, nel nostro modo. Lo abbiamo scritto nella nostra bottega in San Frediano dove non c’è molta luce, c’è puzza e si ha voglia di uscire a prendere un po’ d’aria. “Andrà Tutto Bene” è anche questo». In un momento storico “critico” come questo, perché un titolo così? « “Andrà Tutto Bene” è il mantra che ci siamo ripetuti in questo periodo per affrontare le difficoltà. Il titolo ci ha dato forza. Fa sorridere e dà serenità. Abbiamo stampato migliaia di adesivi con su scritto “Andrà Tutto Bene”. Ho sorpreso gente che staccava gli adesivi per riattaccarli sui motorini e macchine o nei


«È il nostro primo disco, scritto negli ultimi tre anni. È sincero, semplice e diretto»

posti più assurdi. Una volta sono andato a casa di un mio amico a Bologna, il suo coinquilino lo aveva attaccato sullo specchio dove ogni mattina si lavava prima di incominciare la giornata. Lì ho capito che abbiamo scelto il titolo giusto». L’album è prodotto da Taketo Gohara, come vi siete incontrati e come è stato lavorare con lui? «Ci siamo incontrati nel 2009 e dal quel momento non ci siamo più separati. Lavorando con lui ho capito che per scrivere devi essere il più libero possibile. Ciò che conta è la verità in quello che dici e l’impegno che ci metti. Quando mi metto le cuffie e ho lui dall’altra parte del vetro sono totalmente libero di esprimere me stesso senza limitazioni. Lui dal canto suo dice di avere la pensione assicurata…. magari!» Qual è il brano che ritieni più rappresentativo dell’album? «I pezzi a cui siamo più affezionati cambiano ogni volta. Il prossimo singolo che abbiamo scelto però sarà “21 Anni”, canzone che amiamo tutti».

Che rapporto avete con Firenze e a quale luogo siete più legati? «Un rapporto ambiguo. Amiamo questa città, qui abbiamo la nostra vita e inoltre qui scriviamo quasi tutte le nostre canzoni, ma la scena musicale purtroppo è ferma agli anni Ottanta. Se dovessi scegliere un luogo sceglierei la nostra bottega in via Toscanella. È lì che lavoriamo... E da lì sono passati tanti personaggi e tante storie…». Musica e Forza: che rapporto c’è? «La musica tocca l’inconscio e muta la tua percezione della realtà, i tuoi pensieri, ti fa piangere, ridere, sfogare e arrabbiare. Può darti anche forza nei momenti in cui ne hai bisogno. Uno strumento ti permette di esprimerti, di tirare fuori il “mostro” dentro di te. Ciò che esce fuori quando suoni è te stesso, in un modo che molte volte stenti a crederci. E non c’è niente che dia più forza che dialogare con se stessi». Quando vi potremo sentire dal vivo? «Da novembre abbiamo cominciato una serie di concerti in giro per i club di tutta Italia».

Un saluto per Ful. «Ciao Ful speriamo di rincontrarci presto! Grazie per l’intervista. Se seguite Le Furie vedrete che “Andrà Tutto Bene”... È una minaccia!».• >>>>>ENGLISHVERSION>>>> «“Andrà tutto bene” is what we always say to ourselves when there are complications, it gives us strength and makes us smile. We printed thousands of “Andrà tutto bene” stickers and spot people around sticking them on their scooters and cars. That makes us think we chose the right title». How do you feel about Florence? «It’s a strange relationship we’ve got with our city. We love Florence, we’ve always been living and writing our songs here, but the musical scene is static since the 80’s.». Music and Force: what’s the relation? «Music touches inner chords and changes perception of reality, feelings, thoughts, makes you cry, laugh and get angry. It can even give you strength when you need it, it makes the “monster” inside you come out». Say hello to FUL «Hi Ful hope to meet you again soon! Thank you for the interview. If you follow Le Furie you’ll see that “Andrà tutto bene”… and that’s a threat!». 23.


Memorie di città

Ci mancherai splendido Garga

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«Vedi, un tempo andavo in Arno con la mi’ barca, che si chiamava Moby Dick. Andavo nel mio fiume e ci portavo le donne. Tu non hai idea di come sia bello e poetico portare delle donne sulla tua barca sul tuo fiume. Hai voglia ad andare per locali, Firenze è l’Arno! Io tutte le notti vo’ alla pescaia e urlo AMOREEE alla città» (Giuliano Gargani, detto I’ Garga) Testo di Martina Scapigliati, foto di Alessandro Jommi .24


I

ENGLISHVERSION>>>> o non sono una ragazza di San portavano sulle spalle e negli occhi, lo “Those people from San Frediano are the most Frediano. Ma da buona fioren- spirito di tutta una tradizione dell’esboorish among the Florentines, they preserve the tina, San Frediano ho voluto ser fiorentino. Il cameratismo, e il suo authenticity of Florentine spirit which manages conoscerlo nella sua intimità. È essere appassionato, libero, autentico e to get its gracefulness from its coarseness” (Vasco stato qualche anno fa. Da allora, diretto. Garga era quello che di bello in Pratolini, Le ragazze di San Frediano) frequento quel cuore pulsante della Firenze e la fiorentinità c’era, e che sta “ You see, once I used to go boating on the river città con continuo entusiasmo e sincero procedendo irrimediabilmente verso il Arno taking women with me. You have no idea attaccamento. E ora voglio anche dire suo svanire. Sicuramente, come Garga how beautiful it is to take women on your boat on in tutta onestà che San Frediano l’ho nel oramai c’era solo il Garga. your river. Sure you can go for pubs, but FlorEclettico dalla personalità eccentrica, cuore. ence is the river! I go every night to the weir and È stato lì che ho sempre incontrato aveva un amore viscerale per la sua città. shout AMOREEEEE to the city” (Giuliano personalità evocative, artisti per lo più. La voleva veder fiorita e colorata, così Gargani, aka I’ Garga). Redenti e redentori, compagni, ispi- coltivò rose e girasoli nel suo celebre I am not from San Frediano but I was lucky I got rati e ispirazioni. E fu d’inverno che io giardino in riva all’Arno. Era un poeta to learn this part of the city very well, and since e un ribelle. Proconobbi Giuliano then I keep it deep in my heart. testò sistemando Gargani, meglio I’ve met plenty of artists and amazing people Biancaneve alla conosciuto come there, Giuliano Gargani was one of them. Uno dei pochi I met him one night in his restaurant in Via Del Pescaia. Battagliò I’Garga. uomini che Moro, he was with some artists. He was an inper la purezza del Capitò di sera credible speaker: he had this deep voice and the portavano fiume: «Noi abbiamo tardi, nel suo ristoattitude of looking straight into your eyes while dei nemici laggiù. Va rante di Via del sulle spalle e talking… he used to gesticulate and make the bene? Oh. E sono dei Moro. A saracinenegli occhi, lo right pauses, you could never be fed up of it. He pesci orribili! Che sca abbassata, luci knew how to create a magic atmosphere and spirito di tutta nemmeno alla Specola soffuse, in comloved to talk about poetry, music, books, politics, li vogliono! Capito?!» pagnia di un picuna tradizione beautiful women and good wine. He used to alDipinse quadri colocolo manipolo di ways wear a flower and a bandana on his head. dell’esser ratissimi, si occupò artisti d’Oltrarno. He definitely was the personification of the anfiorentino di collettive d’arte. Garga era, va cient tradition of being Florentine: fellowship, E aveva un cuore detto, un grande passion, being genuine and direct. smisurato. Cucinava oratore. Il tono di He was the one and only Garga, who used to voce –ho memoria di quello, tra le sue prelibatezze per i bisognosi, con la stessa paint and cook for the poor. I’ Garga deeply loved particolari caratteristiche-. Una voce ispirazione e spirito di condivisone che his city, he was a poet and a rebel, he fought for profonda, robusta, grandiosa. Di cui aveva con tutto e tutti. the clearness of river Arno: «We’ve got enemies era impossibile stancarsi. La sua figura Garga ci ha lasciati, la notte dell’11 Setdown there, alright? They are those horrible fishes, they don’t even want them at the Specola tembre. Con lui se n’è andato un pezzo alta, solida. Gesticolava, le mani grandi Museum!». e nodose, guardava dritto negli occhi, di cuore della città. Firenze lo ha pianto He passed away last 11th of September and took si soffermava, si perdeva, riprendeva… alla cerimonia funebre nella sua chiesa a little piece of Florence’s heart away with him. le sue parole risuonavano sempre coin- di San Frediano in Cestello. Il suo corpo The city cried for him during his funeral in the volgenti, nelle stanze dipinte come una è stato cullato per l’ultima volta nel church of San Frediano di Cestello, his body was tela, di mille colori. Da subito gli rivolsi punto in cui l’Arno scorre nel suo letto carried on a boat where roses and petals where attenzione con tutta una serietà, che più disteso, dolce, ampio e meraviglioso. thrown, someone crying “Amoreeeee” out loud. forse non serviva nemmeno. E forse Traghettato su una barca su cui sono non la si trovava in niente, se non fosse state lanciate rose, petali, e commosse per l’incanto di quell’atmosfera magica grida di AMOREEEEEE. • e magnetica, che lui come pochi sapeva creare. C’era una santità in lui, e insieme la sua perfetta smentita. Risa grossolane si alternavano a parole gravi e taglienti. Intorno al tavolo del suo locale si parlava di poesia, pittura, musica, politica, di belle donne e buon vino, mangiando «Questa gente di San Frediano, che rappresenta la parte più becera quello che usciva dalla sua ghiotta e più vivace dei fiorentini, è la sola a conservare autentico lo cucina, sentendolo fantasticare, o ricorspirito di un popolo che perfino dalla propria sguaiataggine seppe dare. Sempre con un fiore in testa e una ricavare della leggiadria; e dal suo ingegno, in verità, una perpetua bandana avvolta a fasciargli la fronte. improntitudine» (Vasco Pratolini, Le ragazze di San Frediano) Mi resi da subito conto di trovarmi -forse per la prima volta davverodavanti ad uno dei pochi uomini che

Ritratti d’autore

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Solidarietà in città

Milano25 La forza dell’amore

Il suo taxi l’hanno visto tutti, ma non tutti conoscono quello che quella macchina colorata e sgargiante significa. Né sanno quello che fa per gli altri A cura di Jacopo Billi

>>>


E

ro a seduto a un tavolino all’aperto quando ho visto il taxi parcheggiato davanti a una pizzeria. Non era la prima volta che lo vedevo, strambo e colorato com’è non passa certo inosservato. Ma come molti in città non avevo idea del perché fosse così diverso. Pensavo si trattasse di una specie di scherzo, l’invenzione stravagante di una mente fuori dalle righe. Quando ho visto uscire la sua proprietaria, la mia sensazione divenne quasi certezza:

cappello pieno di fiori, mantello lungo fino ai piedi e una quantità di sonagli che tintinnavano a ogni passo. Quando Caterina - per tutti “Zia Caterina” - mi ha spiegato quello che fa mi sono sentito un idiota; una persona piccola con davanti a sé qualcosa di grande. «Vieni con me - mi ha detto invitandomi a entrare nella pizzeria voglio farti conoscere una persona». Seduta su una piccola sedia a rotelle c’era una bambina di sette-otto anni. I capelli le erano caduti per effetto della chemioterapia e accanto a lei cenavano i genitori. «Questo è quello che faccio -

mi ha detto Zia Caterina dopo avermi presentato - le ho dato un passaggio al Meyer e adesso mi offrono una pizza». Usciti dal locale, Zia Caterina mi ha dato un piccolo libro. «Qui trovi un po’ della mia storia e dei Supereroi che mi aiutano a viverla ogni giorno. Ma il modo migliore per capirla è venire con me e fare una corsa su Milano 25». Quando ci rivediamo per l’intervista è passato un po’ di tempo. Non appena mi siedo sul sedile del taxi vengo proiettato in mondo fantastico. «Quando un bambino sale su questa macchina voglio regalargli delle emozioni


- mi dice Zia Caterina - i bambini che viaggiano con me sono dei Supereroi che lottano contro il peggiore dei nemici: la morte». Per tutti noi la morte è qualcosa di terribile, una cosa brutta e che ci spaventa. «La morte è parte della vita. Siamo spaventati da ciò che non conosciamo, per questo è importante conoscerla. Non è la morte che deve spaventarci, ma l’indifferenza. Quando un Supereroe non riesce a vincere la sua battaglia non muore mai del tutto, ma rimane per sempre nel mio cuore e in quello delle persone che hanno avuto la fortuna di incontrarlo». Ma dove si trova la forza di fare quello che fai tu? «Faccio quello che mi sento di fare. Esiste una sorta di egoismo anche nel volontariato. In fondo quello che io dono cos’è? Una corsa in taxi, ma quello che ricevo è qualcosa di indelebile, che rimane per sempre nel mio cuore. Io non sono un supereroe, quello che faccio io lo può fare chiunque». Alla base di tutto quello che fa Zia Caterina c’è la certezza che l’amore sia una forza straordinaria, capace di rendere eterno ciò che per natura non lo è. «Quando il mio compagno Stefano si è ammalato e non poteva più guidare il taxi, mi ha chiesto che diventassi io Milano 25. A fare la tassista non avevo mai pensato, ma è grazie a lui e alla volontà di far rivivere il suo amore attraverso la vita degli altri, che è iniziata questa Onlus. Avrei potuto anche vivere in modo diverso, conservare il suo ricordo nel mio cuore e rifarmi una vita, ma è questo che ho scelto di fare». Mentre continuiamo a chiacchierare Zia Caterina accosta. «Andiamo a comprare un po’ di gelato, lo portiamo a Giuseppe». Giuseppe è da due anni che combatte la sua battaglia, è un ragazzo di 20 anni, con una bella testa di capelli nerissimi e folti; viene da Vibo Valentia e lo andiamo a trovare in una delle case messe a disposizione dalla Misericordia. Insieme a lui ci sono la madre e la sorellina. Nonostante io sia un estraneo non mi sento affatto di troppo, mi sento bene e capisco meglio cosa intendesse Zia Caterina quando mi parlava delle emozioni che si possono provare solo in prima persona. Dopo aver salutato Giuseppe e la sua famiglia Zia Caterina mi porta in viale Giannotti alla sede della Lilt, Lega Italiana contro i Tumori dove incontriamo Vittoria Tettamanti, professoressa alla Syracuse University e volontaria di Milano 25. «Vedi - mi dice Zia Caterina in tono scherzoso - Vittoria serve a dare credibilità a Milano 25. Quando vedono me mi catalogano subito come una matta con il cappello e il mantello, mentre avere al mio fianco una professoressa universitaria rende tutto più istituzionale». Vittoria conviene con un cenno del capo e poi si rivolge a me: «Tu come hai conosciuto Zia Caterina?». «Perché mi sembrava una matta con il cappello e il mantello. Non sapevo minimamente cosa facesse». «E questo è un vero peccato» mi risponde Vittoria. Ed ha ragione, conoscendo Zia Caterina e sapendo quello che fa non si può altro che ammirare la sua forza e il suo valore e questo articolo ha lo scopo manifesto di far conoscere lei e la sua Onlus Milano 25. Altro che una matta col cappello!•

«Non è la morte che deve spaventarci, ma l’indifferenza»

www.milano25.com

ENGLISHVERSION>>>> Everyone has seen her taxi, but not many really know what that bright coloured car really means, and what it does for people. I was sitting outside when I saw that car parked. It wasn’t the first time I had seen it, but I had no idea why it was so… different. I thought it was meant to be kind of a joke. Then I saw the driver coming out and I thought I was definitely right: she was wearing a hat with flowers on it, a long cloak and so many bracelets and little bells that I could hear her tinkling. When Caterina – better known as “Aunt Caterina” – explained to me what she does I felt so small… «Come with me – she said – I want you to meet someone». Sitting on a small wheelchair by her parents was a 7/8 years old child, with no hair due do chemotherapy. «This is what I do – Aunt Caterina told me- I gave them a lift to Meyer Hospital and they’re now offering me a pizza». When we finally meet for our interview, I sit on the back seat of her taxi and I find myself floating in an amazing different world. «Every time a child gets in my car I want him to feel special – Aunt Caterina tells me – children I carry are Superheroes who fight against the worst enemy: Death. Death is part of life. We fear what we do not know, that’s why it’s important to get to learn things. We should not fear death but indifference». But how do you find the will and strength to do this? «I only do what I feel like doing. Even volunteering has a sort of selfishness. What I get back are unforgettable, life-lasting emotions. I am not a superhero, everyone could do what I do». Caterina does this because she positively believes that love is an extraordinary force which can make endless what nature made mortal. «When my partner Stefano got ill and couldn’t drive his taxi anymore, he asked me if I wanted to become Milano 25. My need to keep his love alive made this begin. This is what I chose to do, so that I can keep Stefano’s memory in my heart forever». Caterina takes me to Lilt base (Italian Association Against Tumors). At Lilt base we meet Vittoria Tettamanti, professor at Syracuse University and volunteer for Milano 25. «You see – Aunt Caterina tells me – Vittoria is the one who gives credibility to Milano 25 non-profit organization. People see a weirdo with a hat, but hlaving a University Professor by my side makes everything more institutional». Vittoria nods and asks me «How did you meet aunt Caterina?». «I thought she was a weirdo with a hat and a cloak, I had no idea she was doing all this». «That’s a shame», says Vittoria. And she’s right: once you’ve met Aunt Caterina and learned what she does every day, you can only admire her strength and will. Weirdo with a hat? No way!•


dicembre'12-gennaio'13

vi consigliamo

1 dicembre

RUE ROYALE

Tender Club - via Alamanni, 4

www.tenderclub.it

8-9 dicembre NiMI

XIV Festival Giapponese & Japan Expo

Ponte culturale, economico e sociale tra l’Italia ed il Giappone Stazione Leopolda

www.2012.nimifestival.it

fino al 14 dicembre

50 Giorni di Cinema Internazionale a Firenze 2012

www.odeon.intoscana.it

13 dicembre Jokko

uno straniero a firenze /\ un fiorentino all'estero

Daniel

Il mio nome è Daniel. Sono un illustratore e graphic designer, negli ultimi quattro anni ho vissuto e lavorato a Firenze. Cosa porteresti a New York di Firenze? Una delle cose che preferisco di Firenze è la vita nelle piazze, sembrano dei salotti pubblici sparsi per la città, dove la gente si rilassa e socializza. L’energia di Firenze viene realmente in superficie con la sua miscela di bellezza, storia, romanticismo e vita moderna, tutto si fonde insieme. Sarebbe un fenomeno meraviglioso da avere a New York. Cosa porteresti da New York a Firenze? Penso che Firenze sarebbe ben servita da un ristorante aperto 24 ore su 24 e magari da alcuni negozi aperti per tutta la notte. A New York, quasi tutte le zone hanno almeno un punto in cui è possibile comprare un cartoccio di latte alle due del mattino, in modo da non dover correre dopo il lavoro o soffrire per cereali asciutti il giorno successivo. Ed è proprio confortante sapere che puoi sempre trovare un boccone di cibo da qualche parte, non importa a quale ora.• My name is Daniel. I am an illustrator and graphic designer, and for the past 4 years I’ve lived and worked in Florence. What things would you bring from Florence to New York? One of my favorite things about Florence is the life in the piazzas. It feels like there are many public living rooms all around the city, where people relax and socialize. The energy of Florence really comes to the surface, with the mixture of beauty, history, romance and modern life all bubbling together. It’d be a wonderful phenomenon to have in New York. What things would you bring from New York to Florence? I think Florence would be well served by a 24-hour restaurant and some all-night bodegas. In New York just about every neighborhood has at least one spot where you can get a jar of milk at 2 in the morning so you don’t have to rush after work or suffer because of dry cereal the next day. And it is just comforting to know that you always could go get a bite of food somewhere, no matter the time of day.•

Concerto per ricordare Mor Diop e Modou Samb

Nelson Mandela Forum dalle 20.30

www.comune.firenze.it/jokko

fino al 6 gennaio Sotto le copertine Guido scarabottolo in mostra

Sala Costantini - Museo Archeologico Fiesole, Via Portigiani, 3

20 dicembre

duccio maria gambi conteniamoci (!) cementificio @ LAGOSTORE

Via Lamarmora 32, dalle ore 18.00 A cura di Arch. Paola De Bianchi

Arch. Katia Santuccio, Alessandra De Bianchi

www.ducciomariagambi.com

22 dicembre Zen Circus

21,30 Auditorium FLOG

www.flog.it

27 dicembre OBO

Tender Club - via Alamanni, 4

www.tenderclub.it

Bumbi

Mi chiamo Caroline Meyer, ho 32 anni e da dieci anni vivo all’estero, di cui otto in Spagna. All’inizio quello che mi ha attratto,come credo sia successo a molti,è stata la grande offerta di locali, festival e divertimento in generale; però arriva un momento in cui bisogna “mettere la testa a posto”...Ed è così che ho deciso di aprire un negozio “vintage” qua a Madrid, che si chiama Retro City (www.facebook.com/pages/RetroCity/136486182396) ed è conosciuto in città. E penso che rifarei questa scelta mille volte, perchè sono molto felice del mio lavoro, e anche se all’inizio non è stato facile, ora mi sento a casa. Cosa c’è qui che manca a Firenze? Non so se è la risposta che vi aspettate, però da sempre c’è una cosa che credo sia molto positiva qua a Madrid,ed è il fatto che i sacchettini per i bisogni dei cani sono distribuiti gratuitamente nelle spazzature! Sinceramente mi sembra un’iniziativa molto positiva! Cosa ho portato con me da Firenze? Il mio accento italiano,che piace tanto agli spagnoli...E che non ho intenzione di perdere. Di Firenze mi manca la bellezza. Ho imparato ad apprezzarla molto di più. Ora quando cammino per le sue strade ogni volta scopro nuovi angoli, nuovi palazzi,nuove strade, cammino guardandomi attorno e non più guardando dritto.• My name is Caroline Meyer, I'm 32 years old and I spent the last 10 years abroad, of which 8 in Spain. Initially what attracted me, as I think to many, was the large selection of clubs, festivals and fun in general; but there comes a time when you have to "grow up" ... and so I decided to open a "vintage" shop here in Madrid, called Retro city (www.facebook.com/pages/Retro-City/136486182396) that is quite known in the city today. And I think I would do this choice a thousand times, because I am very happy with my work and, although it has not been easy at the beginning, now I feel at home. What's here that’s missing in Florence? I do not know if it's the answer you expect, but there is a very positive thing here in Madrid, the fact that the bags for the “business” of dogs are distributed for free! Honestly, it seems to me a very positive initiative! What I brought with me from Florence? I brought my Italian accent, that Spanish people like so much ... and I'm not going to lose it. I miss the beauty of Florence ... I learned to appreciate it much more. Now, when I walk down the streets, every time I discover new angles, new buildings, new roads ... I walk looking around me and not just looking straight.•



Contemporaneità a lavoro

Grow the Planet: Pollice verde 2.0 Storia di come dal proprio balcone è possibile cambiare il mondo (armati di terra, zappa e mouse) e di come, anche nel mondo virtuale, l’unione fa la forza (della natura). Testo di Teresa Tanini, foto Caterina Tanini

È

abbastanza desueto che un art director e un account un giorno si sveglino e si mettano in testa di dedicare la propria carriera professionale a coltivare orti, eppure è quello che i toscani Leonardo Piras, 33 anni, e Gianni Gaggiani, 42, hanno deciso di fare. Il bello è che queste due zucche pensanti non si sono limitate al proprio orticello, ma si sono inventati un modo per far germogliare, potenzialmente, gli orti di tutti.

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Si chiama Grow the Planet ed è, a voler essere precisi, una social web application, più terra terra (sia concessa questa licenza stolta), una roba fighissima che, mentre offre gratuitamente la possibilità a ciascuno di noi di diventare, da maldestro pollice verde, un ortista provetto, favorisce la creazione di un’appassionata community mondiale attenta al mangiar bene, alla vita sana, a valori legati alla sostenibilità ambientale e, più in generale, all’economia verde.


Per finirla una volta per tutte con quello spettacolo triste e indecente che è la piantina di basilico avvizzito acquistato d’impulso al supermercato, basta dunque registrarsi (richiede meno di un minuto), disegnare in pochi click il proprio orto - riproducendo quello reale che si ha sul davanzale, sul balcone o in giardino - e lasciarsi guidare, passo passo in ogni fase di coltivazione, fino al raccolto. L’aspetto forse più stupefacente di Grow the Planet è la sezione “Coltiva” dove un tutor fa e-learning e, grazie ad un algoritmo elaborato dai due stessi fondatori, si ricevono tempi e metodi di coltura geolocalizzati, in base cioè alla zona geografica in cui ci si trova; questo non solo permette di poter coltivare il proprio orto, sia che ci si trovi a Catania che a Manila, ma rende concreta la creazione di una comunità agricola locale: entrando nella rete dei propri vicini di orto diviene possibile scambiare attrezzi con semi, pomodori con zucchine, patate con carote. In poche parole, quelle di Gianni, «un sistema di baratto 2.0». Presentato e apprezzato a San Francisco nel 2011 al TechCrunch Disrupt, il più famoso trampolino di lancio per startup web, Grow The Planet conta sul

supporto della veneta H-Farm - venture incubator di startup basate su modelli innovativi di business – e annovera, ad un anno esatto dalla sua prima semina, un variopinto fiore di oltre trentamila iscritti. Il social network che gli americani chiamano benevolmente farmville for real farmers è «una bella storia da raccontare» dice Leonardo, porta con sé un messaggio positivo e ha destato l’attenzione di investitori e partner tra cui, solo per citarne alcuni, Slow Food, WWF e l’Università degli Studi di Padova. Tra le tante idee coltivate ci sono il progetto educativo “Orto in Condotta” - realizzato con Slow food - per lo sviluppo di orti nelle scuole di tutta Italia e, di più recente creazione, la sezione “Cucina” dove i “growtheplaners”, a seconda della propria produzione agricola, possono cimentarsi in ricette d’autore, chiudendo così il ciclo dell’autoproduzione, dalla semina al piatto. L’indirizzo dove “grow up and make a better world” è questo, www. growtheplanet.com. Le radici per un modo e un mondo diverso ci sono, resta adesso il compito per ognuno di noi di farle crescere e di prendersene cura.•

Basta dunque registrarsi, disegnare in pochi click il proprio orto riproducendo quello reale - e lasciarsi guidare ENGLISHVERSION>>>> It is not quite common for an Art Director and an Account Manager to wake up in the morning with the same idea in their heads, though that’s exactly what happened to Leonardo Piras, 33 years old, and Gianni Gaggiani,42. What they thought of is farming. So they created “Grow the Planet”, a social web application which helps everyone who wants to grow a green thumb. You simply need to register yourself in, design your own garden in a few clicks (reproducing what you really have on your balcony) and let yourself be guided, step by step, till the crop. The most incredible section of Grow The Planet is “Coltiva”: personalized advices on times and methods of farming based on your location on Earth, so you can grow your own garden with local plants and fruits, doesn’t matter whether you are from Sicily or the Philippines! With more than 30,000 members, Grow The Planet was firstly presented in 2011 in San Francisco’s TechCrunch Disrupt, the most important showcase for start-up web. Grow The Planet (also called “Farmville for real farmers” by Americans) gathered the attentions of investors and partners such as Slow Food, WWF, University of Padova, among the projects that came up we find “Orto in Condotta” (realized with Slow Food) which helps kids and teachers growing gardens in Italian schools, and “Cucina”, where members may find special cooking recipes for their specific crops. The address where you can “Grow up and make a better world” is : www.growtheplanet.com. Roots for a better world exist, it’s up to us to take care of them.•

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Respira che ti passa A cura di Alice Colombini Da un posto buio alla luce più accecante, là dove l’aria è molto più fredda e secca; da un silenzio ovattato al rumore, alle voci che si sovrappongono peggio che in un bazar. E poi la gente, rude al contatto anche quando vuole essere gentile, irrispettosa della solitudine a cui sei abituato. Perché sono venuto qui? Ti chiederai quando ti sculacceranno. Il viaggio non nasce sotto grandi auspici. Forse è la prima volta che vieni, forse sei venuto molte volte, per motivi di studio: dovevi imparare ad essere ricco, povero, malato, atleta, donna, uomo. “Questo è il primo e l’ultimo viaggio che faccio”, così ti sei detto ogni volta. Forse lo dice ogni persona che nasce. A volte uno ci riesce, diventa un Buddha ed esce dal giro, e quella che sembrava essere la prima volta ne aveva invece molte dietro, ed era proprio l’ultima. Invece la morte, la fine del viaggio, può essere solo l’inizio. (Andrea Bocconi, 2002) Anno solare 2012. Sulla Terra la crisi imperversa. Crollo delle certezze, delle ideologie e precarietà delle emozioni. Costante ricerca di un qualcosa che ci faccia sentire vivi, utili a tratti indispensabili. Ognuno affronta a suo modo questo stato dell’essere… C’è chi decide di abbandonare tutto per andarsene alla ricerca di un qualcosa che ancora neanche conosce. Poi c’è chi invece “decide di viaggiare ma senza partire mai, e chi invece parte e va lontano senza bisogno di viaggiare, poi ancora c’è chi parte e viaggia e chi invece non parte e non viaggia.” Ogni decisione, ogni azione implica una forza necessaria alla scelta. Questa forza è diversa in ognuno di noi, affonda le proprie radici in esperienze

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diverse, c’è chi riesce a sentirla, usarla e sfruttarla e chi invece pensa di non averla. Proprio in questi periodi storici caratterizzati dall’instabilità, la convinzione di non avere abbastanza forza ci fa sprofondare in una ancor maggiore incertezza che spalanca le porte alla paura. Vorrei soffermarmi su coloro che in questa situazione di totale precariato non solo lavorativo, ma a mio avviso emotivo, decidono di costruire un qualcosa di solido e importante. Decidono di mettere al mondo dei figli. Sono impressionata dal numero di “pancioni” che vedo per strada, circondata da amiche, amici e parenti che hanno deciso (chi più chi meno) di avere dei figli. Inizialmente pensavo fossero solo coincidenze, pensavo che vista la mia età fosse normale mettere al mondo dei figli, ma successivamente con l’aumentare dei casi, mi sono resa conto che non erano coincidenze particolarmente diffuse, ma qualcosa di più profondo stava alla base di questa presunta casualità. Alcuni dicono che è l’influsso dei pianeti, altri che dipende dall’anno bisestile, altri ancora che è la crisi e che a furia di aspettare tempi migliori che non arrivano, va a finire che i figli non si faranno mai. Oltre l’orologio biologico femminile, la passione che arde e l’amore che mitiga, penso che proprio in questi momenti di totale incertezze l’essere umano senta il bisogno di qualcosa di concreto, reale, profondo, duraturo che dia valore al nostro essere al mondo e nel quale rifugiarsi lontano dalle incertezze di questa società. Mia nonna direbbe alla riscoperta dei valori, io preferisco verso il contatto profondo di noi stessi nella relazione. Probabilmente si cerca proprio quella forza di agire, di passare dall’astratto al concreto, di fare un atto di coraggio che pone le basi per un cambiamento.•

ENGLISHVERSION>>>> Year 2012. Massive crisis on our Planet Earth. Collapse of certainties, ideologies and uneasy feelings. Constant search of something which could make us feel alive, valuable and indispensable. Each one of us has his own way: there are those who leave in search for something they don’t even know, those who travel with their minds and never leave, and those who don’t travel nor leave. Every decision needs an effort to be made in order to be taken. To make these efforts we need an inner strength which is very subjective: during these hard times of instability we tend to think we’re not strong enough, so we start fearing decisions. Now I would like to talk about those people who, in this social climate of temporary jobs and general instability, decide to have children. I’m quite impressed by the amount of pregnant women I see on the streets and I know directly. At the beginning I thought of coincidences, but then realized that there’s actually something deeper behind these “casualties”… I think that it’s right in this moment of total uncertainty that a human being really needs something concrete, real, deep and lasting which would worth his being alive. My grandmother would say this is the “rediscovery of values”, I prefer to think about the rediscovery of ourselves in relationships instead. I think this is just a brave deed which may set the basis for a real change.

Alice Colombini psicologa. Psicoterapeuta in formazione presso la scuola di specializzazione Biosistemica, Presidente di Associazione Spontanea www.associazionespontanea.com associazionespontanea@gmail.com


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Fabio Avaro Gabriele Pignotta Gioele Dix Federico Russo Daniela Morozzi Paolo Ruffini

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Katia Follesa Petra Magoni Ferruccio Spinetti Cecilia Dazzi Sergio Fiorentini

Il ricavato di questo libro FINANZIERà LO STUDIO PILOTA per il trattamento dei tumori “SNC poor responder” dell'età pediatrica.


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