i Quaderni di FederlegnoArredo
“TUTTO CIÒ CHE HO FATTO NELLA VITA, L’HO FATTO PER LA MIA FELICITÀ”
La testimonianza di nove capitani d’industria del legno e dell’arredo
i Quaderni di FederlegnoArredo
“TUTTO CIÒ CHE HO FATTO NELLA VITA, L’HO FATTO PER LA MIA FELICITÀ” La testimonianza di nove capitani d’industria del legno e dell’arredo
Meeting di Rimini, 21-27 agosto 2011
L’idea di creare una collana di Quaderni di FederlegnoArredo nasce dal desiderio di comunicare il grande patrimonio di esperienze imprenditoriali e umane che “vivono” all’interno della Federazione.
Moderatore delle Conversazioni Imprenditoriali: Pietro Bazzoni, direttore esecutivo Officine Italiane Innovazione
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SOMMARIO
Prefazione di Roberto Snaidero
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Introduzione di Giovanni De Ponti
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Alberto De Zan
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La ricetta del successo: la persona al centro © 2011 FederlegnoArredo Srl Foro Buonaparte, 65 20121 Milano tel. 02.806041 fax 02.80604392 www.federlegnoarredo.it Per richiedere copia del presente quaderno, scrivere a: web@federlegnoarredo.it Progetto editoriale: FLA Media Grafica e impaginazione: Grafica FLA
Nicola De Carlo e Alberto Lualdi
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La crisi come opportunità: il ruolo dei collaboratori Giovanni Anzani
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Protagonisti del made in Italy: costruttori del bello Emanuele Orsini e Vittorio Livi
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Fare con: da padre a figlio
Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, dell’opera, in ogni forma e con ogni mezzo, inclusi la fotocopia, la registrazione e il trattamento informatico, senza l’autorizzazione del possessore dei diritti.
Gianluca Marvelli e Alberto Conficconi Artigianalità e industria: il segreto del design italiano
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Andrea Negri
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Fare impresa: perché è ragionevole rischiare
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FEDERLEGNOARREDO AL MEETING 2011
PREFAZIONE
“Un tempo gli operai non erano servi. Lavoravano… La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso. Era un primato. Non occorreva che fosse ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario. Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura… Per loro, in loro non c’era neppure l’ombra di una riflessione. Il lavoro stava là. Si lavorava bene. Non si trattava di essere visti o di non essere visti. Era il lavoro in sé che doveva essere ben fatto”.
La manifattura del legno e dell’arredo è una delle più grandi ricchezze che l’Italia possiede. In una situazione difficile come quella attuale, occorre recuperare innanzitutto il gusto del bello, la passione per il lavoro, il coraggio del rischio. Tutti valori che ancora oggi vivono all’interno di migliaia di imprese del settore.
(Charles Peguy, L’Argent, 1914) Quasi 100 anni fa Charles Peguy descriveva così il senso del lavoro: un vero e proprio manifesto dedicato all’arte del saper fare. Un giudizio che Peguy maturò fin da piccolo stando fianco a fianco con il padre, falegname, e la madre, impagliatrice di sedie. La storia delle imprese che operano nel settore del legno e dell’arredo è uno straordinario esempio di questo valore, un patrimonio di genialità e professionalità che ha contribuito a rendere grande l’Italia in tutto il mondo. I veri protagonisti di questa storia sono loro, le persone: gli imprenditori innanzitutto, che con le loro idee, la loro passione e la spinta continua a fare cose nuove, hanno dato corpo all’ideale di bellezza. Ma insieme agli imprenditori, gli operai, i progettisti, i tecnici, gli artigiani, tutti coloro che, con il loro quotidiano e sapiente lavoro, hanno reso unico il design italiano. FederlegnoArredo ha scelto di essere presente al Meeting di Rimini per aprire uno squarcio su questo universo, e al tempo stesso lanciare una sfida ai giovani, affinché possano percepire le opportunità professionali e personali che si celano dietro una “sedia” ben fatta.
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Incontrare chi fa queste imprese è per tutti noi una grandissima occasione per crescere. Al Meeting di Rimini dello scorso agosto, tantissime persone hanno avuto l’opportunità di conoscere da vicino alcune testimonianze di questo patrimonio. Nove nostri imprenditori hanno accettato la sfida di raccontare della propria esperienza personale e del desiderio che li ha animati e tuttora li anima a guardare al futuro, nonostante tutto, con fiducia. Nel fare ciò, hanno offerto un grande servizio a chi ascoltava e hanno comunicato certezza anche nel rischio di fare impresa. Incontri che hanno reso più consapevoli della ricchezza che costituisce l’esperienza di ognuno di noi. Incontri con imprenditori che hanno mostrato la loro umanità. Roberto Snaidero Presidente FederlegnoArredo
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INTRODUZIONE La Mission di FederlegnoArredo ha come primo obiettivo quello di “incontrare gli imprenditori del legno e dell’arredo per sostenere il desiderio di fare impresa”. Un obiettivo alto, certamente, ma sono convinto sia anche l’unico di cui ci sia reale bisogno, e quando le difficoltà aumentano come in tempi di crisi, questo bisogno diventa un’urgenza. Ma come è possibile sostenere questo desiderio, che è poi quello di scoprire che il proprio lavoro è utile e costruisce, anche quando si devono affrontare delle sconfitte? Io ho potuto vedere che questo accade quando si è di fronte a proposte concrete di azioni da condividere, quando ci si può finalmente confrontare con un’ipotesi di affronto positivo delle circostanze - come una voce fuori dal coro rispetto all’accanita documentazione dei soli fallimenti - quando non si è lasciati soli e si è aiutati a verificare quanto di buono ci sia in ogni fatto che accade, anche se faticoso. Positivo per il semplice fatto che è una sfida al nostro cambiamento. Questo credo debba essere il compito e la sfida di una Federazione, ancor prima della difesa di interessi di parte: rilanciare i suoi protagonisti in ciò che li muove nel loro lavoro di ogni giorno. Da questo sono nate le Conversazioni Imprenditoriali: momenti di incontro in cui gli imprenditori testimoni di un’Italia che continua a creare con passione, a lavorare con soddisfazione e a produrre con responsabilità - raccontando di se stessi ci fanno accorgere di quanto sia importante che essi ci siano con questo loro desiderio, più di quanto siano capaci di fare. Perché da quel desiderio si può sempre ricominciare.
conversazione n°
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Giovanni De Ponti Direttore Generale FederlegnoArredo
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Lunedì 22 agosto INCONTRO CON ALBERTO DE ZAN
Alberto De Zan Amministratore Delegato Dieffebi
"La ricetta del successo: la persona al centro"
La tua storia di imprenditore ha uno stretto legame con la dimensione familiare. Ci puoi raccontare come hai iniziato questa avventura? Alberto De Zan nasce a Milano cinquantatre anni fa; è sposato con Alessandra e ha tre figli. Inizia la sua attività di imprenditore a diciotto anni, come il padre Primo, titolare di un’industria a Milano. Dopo gli studi superiori, frequenta per tre anni i corsi serali in Economia Aziendale dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, e tuttora partecipa a numerosi corsi di aggiornamento e approfondimento, organizzati da Unindustria Treviso o da SDA Bocconi. L’impresa da lui fondata, la Dieffebi spa, produce mobili per l’ufficio ed oggi ha una percentuale di export pari al 65% del proprio fatturato, soprattutto grazie alle buone intuizioni dei suoi collaboratori, nonché ad una particolare ricerca nel campo del design. Da sempre alterna i suoi impegni di lavoro e di famiglia, con la partecipazione alla vita associativa nella territoriale di Confindustria e in FederlegnoArredo. È stato per diversi mandati membro del Consiglio Direttivo di Unindustria, rappresentante degli imprenditori di Conegliano, Membro del Consiglio di Amministrazione di Formazione Unindustria e del Comitato di controllo valutazione bilanci in Unionfidi Treviso. Per tre anni è stato membro del Consiglio Direttivo di Federmeccanica, con il Presidente Albertini. Attualmente ricopre la carica di Presidente di Assufficio (Associazione di FederlegnoArredo che riunisce i principali produttori italiani di mobili per ufficio), Componente della Giunta e del Consiglio Direttivo di FederlegnoArredo, e fa parte del Board della Federazione Europea dei Produttori di Mobili per Ufficio.
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Sono figlio di un imprenditore, e questo fatto certamente mi ha aiutato molto. Mio padre poi ha preferito sostenermi nell’avvio di una mia impresa autonoma. Mi sono avvicinato al mondo dell’ufficio perché mi piaceva. Ero affascinato dai prodotti in metallo. Ci sono aziende che utilizzano materiali diversi; io sono partito dal metallo con l’idea di creare prodotti per il mercato. Ho iniziato a fare l’imprenditore nel 1976. Avevo 18 anni. A quei tempi era molto diffusa la necessità di realizzare dei tavolini per le fotocopiatrici. Siamo quindi partiti producendo questi tavoli-supporto con una posizione ergonomica, e i primi risultati sono stati discreti. Fin da subito abbiamo avuto un forte orientamento verso i mercati esteri; nel 1982 esportavamo il 40% della nostra produzione. La crescita della mia azienda è stata fin da subito accompagnata da un deciso coinvolgimento personale nei contesti associativi: ho iniziato a frequentare la territoriale di Confindustria a Treviso, e sono stato rappresentante degli industriali di Conegliano. Da 20 anni sono in FederlegnoArredo e dal 2008 sono presidente di Assufficio. Questi contesti ti offrono la grande occasione di confrontarti con altri imprenditori e questa è davvero una grande opportunità.
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Per noi è evidente da tempo che mettere un lavoratore nelle migliori condizioni gli permette di rendere di più e dare il meglio di sé, con un evidente guadagno per l’azienda
Come è stato il tuo percorso a livello di formazione? Io ho fatto una maturità tecnica e mi sono trovato nella condizione di lavorare da mio padre durante il periodo estivo. Quando ho avuto l’opportunità di lavorare da solo mi sono buttato. Alla sera, contemporaneamente, frequentavo la facoltà di Economia a Venezia. Questo mi è servito per sviluppare la passione per il mio lavoro. Poi per fortuna qualche risultato è arrivato abbastanza presto; concretizzare quando si è giovani è molto importante. E questo mi ha spinto a continuare. Nel 1976 vivevamo un’imprenditoria molto più ruspante e c’era convinzione.
Nel DNA di un imprenditore c’è sempre l’intuizione dei bisogni emergenti sul mercato. In questo momento nel tuo lavoro è molto presente il tema della “centralità della persona”. Perché questo focus? Questa è una delle mission della nostra associazione. Dal 2007 abbiamo avviato un importante progetto chiamato Ufficio Fabbrica Creativa; si tratta di un progetto culturale che intende valorizzare l’ufficio, oltre che per il suo arredo, anche come ambiente di lavoro. Per noi è evidente da tempo che mettere un lavoratore nelle migliori condizioni gli permette di rendere di più e dare il meglio di sé, con un evidente guadagno per l’azienda. Abbiamo fatto questo progetto per far crescere la filiera, le nostre imprese e per produrre oggetti orientati al benessere delle persone. Abbiamo cercato molto il dialogo con i progettisti, che hanno una grande importanza nell’organizzazione dell’ufficio, e abbiamo realizzato diverse iniziative di formazione con i rivenditori e gli agenti. La scelta del nome ovviamente non è casuale: negli ultimi anni si è verificata un’evoluzione visibile nelle nostre fabbriche verso una maggiore snellezza dei processi, e un maggior avvicinamento al mercato. Non si tratta più di produrre per il magazzino, quanto piuttosto per il mercato.
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Diversa è stata l’evoluzione dell’ambiente ufficio, dove fino a non molto tempo fa si dava la massima attenzione agli strumenti tecnologici a disposizione, e meno al benessere del lavoratore. Ora invece siamo tutti più consapevoli del fatto che una risorsa umana può fare davvero la differenza. Non basta più arredare lo spazio ufficio con pochi prodotti inseriti quasi con casualità. Occorre creare un ambiente stimolante e facilitante alle relazioni personali. Il successo di un’impresa è un gioco di squadra, l’imprenditore da il buon esempio, ma bisogna dare fiducia ai nostri collaboratori. Queste persone devono avere un buon comportamento nella vita privata e nella vita di fabbrica perché veniamo osservati. Se tutto questo accade, ognuno è molto più convinto di quello che fa ed orgoglioso della propria impresa.
Occorre che tutti noi ci ‘’reinterpretiamo’’ per collaborare alla crescita dell’impresa? È fondamentale partire convinti al giorno d’oggi, occorre il giusto ambiente e strategie chiare. Quando siamo di fronte al nostro cliente dobbiamo esprimere sicurezza, altrimenti è molto difficile convincere e portare a casa l’ordine. Questo può succedere soltanto quando un lavoratore sente come ‘propria’ l’azienda in cui lavora. Abbiamo la necessità di migliorare i nostri margini e, al tempo stesso, di vivere maggiormente nella legalità, nelle regole. Sono tutti requisiti che alla fine incidono sulla tua capacità di essere competitivo sul mercato.
La tua azienda è un esempio eclatante di quanto è importante l’export per il settore dell’arredo italiano. Che futuro vedi per le nostre imprese nel mondo? Noi viviamo un momento molto delicato, perché molte nostre aziende per anni si sono completamente dimenticate dei mercati emergenti. A ciò si aggiungono le gravi mancanze della nostra politica. Non è facile oggi riconquistare questi mercati, cresciuti
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Il successo di un’impresa è un gioco di squadra; l’imprenditore da il buon esempio, ma bisogna dare fiducia ai nostri collaboratori
così velocemente, molti dei quali con una loro identità precisa, loro fabbriche e loro prodotti. I consumatori non cercano soltanto il prodotto, ma anche il servizio e l’assistenza al prodotto. Il cliente oggi, grazie alla globalizzazione, è molto informato ed esigente: quello che proponi deve avere un valore concreto e un prezzo giusto.
Nel mondo noi italiani riusciamo ancora a porci come partner e non come semplici fornitori perché riusciamo a capire il cliente molto meglio di un competitor orientale
Eppure il prodotto made in Italy nel mondo è da sempre sinonimo di qualità ed eccellenza… È chiaro che la creatività italiana è sempre in grado di fare la differenza, ma le nostre aziende devono assolutamente migliorare la loro competitività, devono essere maggiormente concrete nelle proposte e devono vendere al prezzo giusto. Questo è il mix vincente oggi a livello internazionale. Nel mondo noi italiani riusciamo ancora a porci come partner e non come semplici fornitori perché riusciamo a capire il cliente molto meglio di un competitor orientale. Veniamo preferiti per la nostra versatilità e capacità di adattamento alle esigenze del cliente. Riusciamo a produrre anche quantità piccole: queste sono le nostre abilità. I nostri competitors sono più rigidi sotto questo aspetto. Intervento dal pubblico: oggi i gusti sono molto più volubili di un tempo. Quello che piace oggi, domani non piace più. Come fate a stare al passo senza perdervi nella customizzazione infinita? Io lavoro nel settore sanitario e cerco di andare incontro alle esigenze di tutte le persone. Voi come fate? De Zan: sono convinto che oltre a curare il design del prodotto, bisogna avere i numeri veri all’interno dell’azienda, i costi giusti. Puoi vendere lo stesso prodotto in Germania, Inghilterra e Olanda, così come in Grecia, Spagna e Turchia, e avere prezzi diversi e quindi marginalità diverse. La marginalità la si deve costruire con le quantità. Quando ci siamo messi a
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fare cassettiere per ufficio, il primo anno realizzavamo 2.000 pezzi; due anni fa, prima della crisi, eravamo arrivati a 150.000 pezzi e siamo diventati il secondo produttore di cassettiere in Europa. Dopo 10 anni trascorsi a realizzare prodotti a partire dai gusti degli altri, abbiamo fatto una scelta precisa: ci siamo focalizzati su pochi prodotti e ci siamo specializzati nel settore della classificazione. Abbiamo formato i nostri dipendenti, automatizzato le linee di produzione e siamo arrivati ad un prodotto di buona qualità ad un prezzo imbattibile. Così siamo riusciti ad aumentare molto la produzione ed i numeri, e ovviamente i benefici li abbiamo avuti anche sui margini. Abbiamo standardizzato molto il prodotto nella prima parte della lavorazione e ottenuto una grande flessibilità nella parte finale, per mantenerci aderenti alle richieste del cliente: colorazione, chiusura, maniglie, sono tutti particolari che possono essere customizzati. Noi innoviamo guardando molto le soluzioni possibili: da anni visito il Cebit di Hannover, la fiera internazionale dedicata alla tecnologia che mette in mostra le ultime innovazioni. È un’esperienza utile perché mi offre molti spunti su come potrebbe evolvere il posto di lavoro, la work-station. Questo significa studiare l’evoluzione delle esigenze del mercato. Intervento dal pubblico: sono un giovane architetto. Sto collaborando con alcuni imprenditori e stiamo cercando di sviluppare una rete. Questo secondo me è il fattore che può permettere alle aziende italiane di essere competitivi in Europa e nel mondo. Secondo la sua esperienza, questo approccio è diffuso in Italia oppure no? De Zan: è uno dei problemi storici dell’imprenditoria italiana: fare rete. Ci hanno provato tutti ed i risultati sono stati piuttosto deludenti. È una nostra grande debolezza, lo sappiamo. Il Governo ha realizzato alcuni progetti sulle reti, ma poi sono mancati i fondi per le agevolazioni.
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Io avverto molto questo problema, specialmente quando affronto mercati nuovi. Bisogna veramente che troviamo la chiave per proporre qualcosa di concreto: per esempio a Londra ho aperto uno showroom con altre due aziende non concorrenti. È stata un’esperienza positiva e secondo me dovrebbe essere replicata in altre parti. Il cliente vuole vedere il prodotto ma vuole anche essere sicuro che ci sia qualcuno che risponda in caso di necessità. Io non ho la ricetta: ma di certo dobbiamo smetterla di difendere ciascuno il proprio piccolo orticello.
Quando hai iniziato il tuo percorso imprenditoriale la tecnologia era una componente marginale. Oggi c’è un modo di lavorare in cui la tecnologia sembra più determinante rispetto al rapporto umano. Cosa ne pensi? Non esiste tecnologia in grado di sostituire il valore dell’incontro tra le persone, del confronto a viso aperto. Al contrario, abbiamo bisogno di creare ambienti da lavoro stimolanti. Avranno fisionomie diverse e cambieranno, ma negli uffici il bisogno di confronto non cesserà mai: è questo che fa crescere le aziende. Ed è per questo che le aziende oggi sono più attente alla questione acustica, all’illuminazione, alla climatizzazione, perché vogliono creare un ambiente eccellente per i loro dipendenti.
conversazione n°
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Giovanni De Ponti: una cosa mi ha colpito. Noi veniamo valutati per i valori reali. Lui non ha mai usato la parola finanza, questo è lo stile dei nostri imprenditori: si lavora concretamente e non si vende del fumo. Quella di oggi è stata una bella testimonianza di cosa significa lavorare con passione per stare sul mercato.
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Nicola De Carlo
Alberto Lualdi
Amministratore Delegato De Carlo Infissi
Presidente Lualdi Porte
Nicola De Carlo nasce a Marsiglia (Francia) nel novembre del 1961. Dopo aver conseguito il Diploma di Ragioniere e Perito Commerciale, nel 1982 inizia il suo percorso professionale come Consulente del lavoro, attività che porterà avanti fino al 1988. Nel 1986 si iscrive al Ruolo dei Periti ed Esperti Tributari presso la Camera di Commercio di Taranto. Negli anni successivi, De Carlo entra nell’azienda del padre portando con sé il bagaglio di conoscenze ed esperienze sviluppate sia a livello gestionale che amministrativo. Dal 2003 al 2006 sviluppa una serie di percorsi formativi presso SDA Bocconi, occupandosi in particolare di ‘People management’, ‘Progettazione del sistema di CO.GE’, ‘Progettazione integrata e misurazione analitica’, ‘Efficacia, efficienza, sistemi e controllo’, ‘Gestione degli obiettivi di imprese familiari’, ‘Decisioni e risultati’. All’inizio del 2001 viene nominato Amministratore Delegato della De Carlo Infissi spa, carica che tuttora ricopre. De Carlo è anche Amministratore Unico della De Carlo Casa srl, Consigliere della Domenico De Carlo & C. srl, Dirigente di Dexpert srl, Direttore di De Carlo Windows Ltd e Presidente di De Carlo America Holding. È Presidente della Sezione Legno e Arredamento di Assindustria Taranto, ed è membro della Consulta di Milano Expo 2015.
Presidente di Lualdi Porte e EdilegnoArredo, nonché Vice Presidente e membro del consiglio direttivo di FederlegnoArredo, Alberto Lualdi è anche Presidente di Lualdi inc. USA e membro del Consiglio di MADE Eventi. Dopo la laurea in Business and Administration presso l’Università Cattolica di Milano, inizia la sua carriera in Lualdi Porte come Sales Director. Dal 2003 al 2006 è Vice Presidente di ARCO, fondo pensione nazionale per i lavoratori del settore del legno e dell’arredamento. Nel 2011 viene eletto Presidente del Gruppo Legno e Arredo di Assolombarda. Una lunga tradizione nel settore dell’arredamento realizzato su disegno e su misura caratterizza il marchio Lualdi, azienda leader nella produzione delle porte di design di alta qualità. Nel 1960 inizia la produzione, con la collaborazione dell’architetto Luigi Caccia Dominioni, dei primi modelli di porte d’arredamento che si differenziano da quelle tradizionali per il design moderno, semplice ed elegante, per i materiali impiegati e per la qualità esecutiva. Oltre alle porte, la presenza di una produzione di arredamenti su disegno e su misura e una gamma completa con partizioni e pannelli da integrare alle porte offre la possibilità di realizzare progetti completi e sofisticati.
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Martedì 23 agosto
dell’azienda, invece, sono state attratte verso questo luogo di confronto.
INCONTRO CON NICOLA DE CARLO E ALBERTO LUALDI
Alberto, come stai vivendo tu la sfida di questa situazione?
“La crisi come opportunità: il ruolo dei collaboratori”
In questa fase di crisi, come stai vivendo il rapporto con i tuoi collaboratori? De Carlo: all’interno dell’azienda si sta verificando un significativo rinnovamento nei rapporti con il personale. In un periodo di crisi come questo, tutti in azienda viviamo lo stesso problema, per cui paradossalmente è un’occasione importante per ri-focalizzarsi sulle priorità aziendali e fare davvero innovazione. La situazione attuale ci sta costringendo a chiederci con insistenza: ‘stiamo facendo quello che i nostri clienti si aspettano? Siamo davvero utili a qualcuno?’. Il lavoro che stiamo facendo in questo momento è proprio quello di condividere questa situazione, di comunicare ai nostri collaboratori quello che sta accadendo: stiamo spiegando se gli oneri aumentano oppure no, qual è il nostro margine di contribuzione, li stiamo rendendo consapevoli delle nostre preoccupazioni in modo che, condividendole, si possa arrivare a risolverle con minori difficoltà.
Come stanno reagendo i tuoi uomini? Con il senno di poi, ho avuto conferma che parlarne con loro è stato l’unico modo per ottenere un risultato, e la risposta è stata eccellente; anche molte persone che sembravano un po’ ai margini
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Lualdi: la mia è un’azienda molto piccola, anche se è sul mercato da tanti anni, essendo ormai alla quarta generazione. Nel 2008, con lo scoppio della crisi immobiliare, abbiamo avvertito un progressivo rallentamento degli investimenti e di conseguenza una contrazione delle vendite. Ci siamo posti innanzitutto il problema di salvaguardare l’occupazione; siamo aziende manifatturiere, i prodotti sono l’espressione di quello che facciamo. I collaboratori per noi sono strategicamente fondamentali: a differenza di altri settori, come quello meccanico o tessile, dove la macchina è prevalente, per noi la manodopera è molto importante, e perdere risorse umane in queste situazioni di crisi è un danno che nel tempo non si recupera più. Abbiamo fatto grandi sacrifici pur di salvaguardare questa capacità di fare.
In che modo avete tutelato la manodopera? Quando il mercato va bene, le aziende lavorano soprattutto per processo, per cui ciascuno è dedicato ad una specifica funzione. In questo caso, il lavoro è piuttosto ripetitivo, si fa meno fatica e la resa è ottima. In un momento di crisi, cosa succede? Dall’oggi al domani chi è abituato a svolgere un certo tipo di attività fa fatica ad occupare il tempo. Per noi è stato fondamentale introdurre un concetto di flessibilità, per cui i singoli operai e le squadre hanno iniziato a svolgere attività diverse durante la giornata. Questo ha dato dei risultati sorprendenti, e ha fatto emergere risorse inaspettate. Vi porto degli esempi: ho un ragazzo che fino a poco tempo fa faceva l’assistente di una certa linea produttiva; avevamo l’esigenza di
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Perdere risorse umane in questi tempi di crisi è un danno che nel tempo non si recupera più
Come imprenditore ho l’obbligo di dire cosa voglio fare di questa azienda e qual’è la rotta che intendo prendere in un momento di mare in tempesta
imparare a programmare il computer di una certa macchina, così ho proposto questa nuova attività. Si è rivelato il miglior investimento dell’azienda; in sei mesi questo ragazzo è diventato un esperto della macchina. Altra situazione: un’impiegata russa era addetta al ricevimento della logistica di lingua russa proveniente dell’est europeo; con l’avvento della crisi, anche lei si è trovata ad avere tempo libero e, quindi, abbiamo deciso di impiegarla anche a fare l’attività commerciale. Risultato: oggi è la commerciale più brava che ho. Questi piccoli spostamenti hanno generato soprattutto entusiasmo. Anche per me la condivisione è stata ed è tuttora fondamentale. Ma più che le preoccupazioni, io ho preferito condividere le certezze dell’azienda con i miei collaboratori. Da me si aspettano più delle certezze: come imprenditore ho l’obbligo di dire cosa voglio fare di questa azienda e qual’è la rotta che intendo prendere in un momento di mare in tempesta. La condivisione delle linee guida è fondamentale. Per un lavoratore cambiare abitudini può certamente comportare dei sacrifici, perché è abituato a fare sempre lo stesso lavoro e gli viene automatico farlo. Ma questo sacrificio può anche portare grandi soddisfazioni, perché uno si sente importante, si sente prezioso. E questo ha un grande valore per l’azienda, perché sa di avere un collaboratore che dà il meglio di se stesso in un momento di difficoltà, e questo offre una garanzia di stabilità futura dell’azienda.
Alberto ha posto in evidenza un aspetto fondamentale: ovvero che in una situazione di difficoltà, i collaboratori guardano all’imprenditore come ad un ‘capitano della nave’. Nicola, qual’è la tua esperienza? De Carlo: da noi le situazioni di crisi sono quasi all’ordine del giorno. Siamo un’azienda abbastanza giovane, siamo nati nel 1964, e devo dire che il tipo
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di rapporto con i collaboratori di cui si sta parlando per noi è stato un metodo proposto fin dall’inizio. Si è creato fin da subito un senso di appartenenza forte, che oggi ci sta dando un grande contributo e ci permette di attuare la flessibilità con una certa facilità. Lualdi: posso fare un intervento? Io ho molta stima per l’azienda di Nicola. Tra l’altro, ha una grande fortuna, perché la sua terra offre dei bravissimi falegnami. Io lo posso testimoniare, perché ho avuto operai che vengono dalla Puglia, in particolare da Gioia del Colle e da Taranto. De Carlo: come diceva prima Alberto, siamo certamente noi titolari dell’azienda a dover stabilire cosa fare, dove andare; dobbiamo dare la direzione, ma anche capire se la nostra nave è attrezzata adeguatamente per solcare questi mari tempestosi. Qui pongo la mia attenzione anche su altri concetti che non hanno più a che vedere con i nostri collaboratori, ovvero quello di capitale, di reddito e di organizzazione aziendale, ma che hanno più a che vedere con la visione che noi abbiamo dell’azienda. L’imprenditore ad un certo punto deve anche valutare attentamente se è il caso che su questa nave lui prosegua da solo con i suoi “soliti” collaboratori o scelga strade diverse. Il semplice fatto di porsi le domande in questo modo può solleticarci al punto da farci capire che abbiamo bisogno di un aiuto.
Di che tipo di aiuto parli, professionale o soprattutto finanziario? De Carlo: entrambi. Questo per me è un tema fondamentale, perché molte aziende del nostro settore sono sottocapitalizzate e questo rappresenta un grande limite che non si può più ignorare sperando nel sostegno del sistema creditizio. Le banche sono arrivate quasi al punto di ‘chiudere i rubinetti’ alle imprese. Allora noi dobbiamo metterci attorno ad un tavolo per capire
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come possiamo affrontare questa situazione nel modo corretto. A mio avviso, manca un aiuto a capire come le aziende effettivamente possano uscire dalla secca o come possano affrontare situazioni ben superiori alle loro forze.
L’intervento di Nicola pone in primo piano la crisi come fenomeno finanziario. Il peso dell’economia si è spostato in maniera radicale. Il mercato è cambiato. E questo implica una mutazione anche nella forma antropologica delle nostre imprese. Tutto questo si può vivere individualmente, oppure aprendosi ad una collaborazione con altri imprenditori. Qual’è la tua esperienza? Lualdi: hai toccato un punto importante. Nel 1492 Marco Polo ci ha insegnato a varcare i confini senza paura. Oggi noi dobbiamo provare a fare lo stesso percorso, ma certamente è molto difficile farlo da soli; in questo senso, un ruolo determinante lo giocano le associazioni. Il tema dominante che stiamo affrontando in FederlegnoArredo è come andare alla conquista di nuovi mercati. Mentre prima il mercato veniva a cercarci, oggi dobbiamo andare noi a cercarlo; questo non significa la città o la regione vicina, ma il continente più lontano, con tutti i sacrifici e le fatiche che questo implica. Noi non vendiamo gioielli o Ferrari, vendiamo dei mobili che sono replicabili in tutto il mondo. Cos’ha di vincente l’Italia? Innanzitutto la flessibilità; quello che stiamo chiedendo all’interno ai nostri dipendenti, da sempre lo chiediamo ai nostri fornitori. Prima erano abituati a fornirci ogni volta migliaia di pezzi; adesso si stanno adattando a realizzare minori quantità in tempi più rapidi agli stessi prezzi. Questo ti permette di recuperare competitività. Guardando ai mercati lontani, per noi è fondamentale porci una domanda: “Cosa spinge un cinese o un indiano ad acquistare una porta o una finestra in Italia, anziché rivolgersi ai produttori locali?” Per
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fortuna, esiste una fascia di mercato di cinesi, indiani e asiatici che vogliono quei prodotti fatti in Italia, perché ne riconoscono il valore aggiunto. Come coltiviamo questo valore aggiunto? Vuol dire tessere dei rapporti internazionali cliente-fornitore e la cosa più difficile oggi non è vendere un prodotto ma è vendere un’azienda. Qui sta la fatica che facciamo noi italiani.
In che senso? Occorre avere una struttura che parla un certo linguaggio: non bisogna imparare soltanto la lingua, bisogna imparare il ‘linguaggio’ commerciale di chi si ha di fronte, perché un cinese compra in maniera diversa da uno svizzero o da un americano. L’impegno in questo momento più importante della mia azienda è quello di conquistare i mercati. Conquistarsi la fiducia con la propria reputazione e con la propria credibilità, non soltanto in termini di prodotto, ma in termini di professionalità relazionale, commerciale, aziendale. E qui entra in gioco l’associazione, il fare sistema. Mi è capitato più di una volta di andare a presentare la mia azienda a dei clienti cinesi e mi sono sentito dire: “Bellissime le tue porte, ma mi dici con quali pavimenti e finestre le posso abbinare, quali mobili d’ufficio ci posso mettere; noi non conosciamo tutto, un tuo consiglio sarebbe molto gradito”. Cosa significa questo? Vuol dire che questi clienti hanno poco tempo da perdere e hanno dei soldi da spendere, quindi devono capire nel più breve tempo possibile qual’è l’azienda più idonea. Perché un conto è fare un collage di pezzi di design, un conto è fare un arredamento armonioso, integrato, coordinato a livello di colore e a livello di materiali. E allora magari capita che oltre ai prodotti questi clienti sono interessati ad una progettualità, per cui cercano degli architetti come art director. Questo è l’esempio pratico di cosa vuol dire fare sistema. FederlegnoArredo gioca un ruolo importantissimo
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Per noi è fondamentale porci una domanda: «Cosa spinge un cinese o un indiano ad acquistare una porta o una finestra in Italia, anziché rivolgersi ai produttori locali?»
Quello che noi imprenditori possiamo fare è rendere il lavoro un’occasione per la persona, renderlo un’opportunità per esaltare se stessi
da questo punto di vista, perché crea i presupposti per andare a presentarsi sui mercati stranieri, attraverso le varie iniziative che organizza, dalle fiere agli incontri B2B e alle manifestazioni culturali. In questo senso, più aziende siamo nell’associazione e più possiamo essere vincenti sui mercati. È importante che tutti gli attori siano allo stesso livello di professionalità, di capacità di raggiungere i mercati stranieri e di fare prodotti di qualità. Non ci sono da fare né consorzi né nuove società; c’è da creare affinità di mercato, di prodotti, di stile. È un gioco di squadra, io ti passo la palla e tu la passi a me. Questo è fondamentale, e il ruolo dell’associazione è proprio quello di agevolare questo tipo di rapporti.
Lasciamo spazio a qualche domanda. Cosa vi ha colpito dell’incontro di oggi? Intervento dal pubblico: mi hanno colpito due cose: la prima è il modo in cui vi coinvolgete con i vostri collaboratori e come avete affrontato con loro la crisi; mi avete aiutato ad aprire gli occhi, la vostra è stata una testimonianza preziosa che cercherò di mettere a frutto domani quando tornerò nella mia azienda. L’altra cosa è lo sguardo che avete a lungo termine perché voi sapete che la vostra azienda non finisce domani o dopodomani ma deve durare a lungo. In questo momento sto riorganizzando la mia officina meccanica: ho qualche problema sul fatto che nella mia zona non c’è molto il desiderio di imparare un mestiere. Voi come avete affrontato questo problema? De Carlo: soltanto se esiste una condivisione degli obiettivi si può aspirare ad una crescita del lavoro; bisogna agire sulla persona, cioè occorre stimolare il fatto che quello che il collaboratore fa non è fatto bene per l’imprenditore o per l’azienda, ma soprattutto per lui stesso. Quando il sistema riconosce che una certa pratica
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funziona per uno, per due, per tre, è probabile che funzioni anche per il quarto, per il quinto e per il sesto. Ciò significa che si va a creare un sistema per cui uno impara dall’altro, quindi in qualche modo si crea un circolo virtuoso intorno alla persona. Quello che noi imprenditori possiamo fare è rendere il lavoro un’occasione per la persona, renderlo un’opportunità per esaltare se stessi. Quando ciò accade, si verificano veri e propri miracoli, c’è il desiderio di fare sempre meglio il proprio lavoro. Lualdi: io credo che per ogni azienda sia importante avere un 10-20% di collaboratori più determinati, un po’ più attaccati degli altri. Basta questo perché si crei uno spirito di gruppo. Il tema della formazione professionale dei giovani è un’altra questione cruciale. Mio padre diceva sempre che “man mano che scompariranno queste generazioni di falegnami pugliesi, non ci saranno più nuove generazioni di falegnami...”. Noi cerchiamo di formare i ragazzi direttamente in azienda: prendiamo ragazzi al primo impiego finita la terza media; su dieci che entrano, uno rimane più a lungo. Quel collaboratore, cresciuto professionalmente in azienda, sarà uno di quelli che poi si coinvolgerà di più e che avrà voglia di guardare avanti. Poi devo dire un’altra cosa: in un momento di crisi, tutti riflettono sulla situazione, e quando si sente parlare che il posto di lavoro è in discussione, uno la voglia se la fa anche venire. Intervento dal pubblico: ho fatto il terzista per un po’ di anni e 5 anni fa ho deciso di aprire una ditta di decorazione di mobili. Sto imparando adesso a fare l’imprenditore, prima ero un artigiano di bottega, non uscivo mai dal mio laboratorio… Mi accorgo che per diventare imprenditore devo avere una cultura, soprattutto una cultura del mobile. Io sto cercando un mio stile, ma mi accorgo che mi mancano le basi culturali. Ma non c’è più una scuola
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che insegni questa cultura. Io vorrei essere aiutato dall’associazione a risolvere questo problema. De Carlo: una soluzione può essere lo sviluppo di una collaborazione; spesso è sufficiente un confronto con i colleghi per aprire un po’ di più gli occhi e per abbattere qualche ostacolo. Per concludere, ci tengo a sottolineare un aspetto che riguarda lo stato d’animo del lavoratore oggi. Noi siamo nella situazione in cui una persona lavora 8 ore al giorno, e lo stipendio che percepisce normalmente non è adeguato alle esigenze della sua famiglia, per cui sempre più spesso questa persona è costretta a trovare un secondo lavoro per poter chiudere il cerchio. Per me questa è una situazione davvero insostenibile.
conversazione n°
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Mercoledì 24 agosto INCONTRO CON GIOVANNI ANZANI
Giovanni Anzani Presidente Poliform
“Protagonisti del Made in Italy: costruttori del bello”
Giovanni Anzani, amministratore delegato di Poliform, assieme ai due soci cugini Alberto e Aldo Spinelli, rappresenta la seconda generazione dell’azienda. Figli dei fondatori dell’impresa artigiana nata nel 1942, subentrano nel 1970 ai padri imprimendo un nuovo corso alla società che si trovano a dirigere. Si decide quindi di cambiare il nome (da Spinelli Anzani a Poliform) e soprattutto la strategia aziendale, rivolgendosi a mercati sempre più ampi con prodotti moderni e di design. Giovanni Anzani, in particolare, si è da sempre occupato della attività di comunicazione ed organizzazione aziendale, coniugando la cultura “del saper fare” con una visione imprenditoriale sempre in piena sintonia con i cambiamenti sociali ed economici. A lui si devono tutte le campagne pubblicitarie Poliform e Varenna e tutta la documentazione aziendale (cataloghi, listini, etc.). Precursore delle tendenze, ha da subito investito nelle nuove tecnologie rendendosi fautore dell’informatizzazione dei processi gestionali all’interno dell’azienda e di un sistema all’avanguardia di contabilità analitica. Giovanni Anzani è presidente di Assarredo, Vicepresidente Vicario del Consiglio Direttivo FederlegnoArredo ed è membro della Giunta di FederlegnoArredo.
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Con la tua azienda sei riuscito ad esportare nel mondo il gusto tipico delle nostre genti. Qual è lo stimolo che ti ha spinto a intraprendere la strada dell’imprenditore? Sicuramente l’essere nato in Brianza ha giocato un ruolo fondamentale; respirare sin da piccolo la storia di un’area vocata alla lavorazione del legno da oltre due secoli (quello che i latini chiamavano genius loci, ndr) ha influito profondamente sulla mia formazione. Grazie a ciò, ma anche al fatto di essere un Paese meraviglioso come il nostro, ho avuto sin da giovane la possibilità di vivere nella bellezza e in seguito di realizzare prodotti in grado di abbellire le case degli italiani. Quando mi sono messo in proprio con alcuni soci, ero ancora minorenne. I miei genitori, dopo una vita di fatiche, avevano preso la decisione di chiudere l’azienda artigiana, ma ero convinto che il patrimonio accumulato negli anni non dovesse andare perduto. Pochi in Brianza credevano che ce l’avremmo fatta; invece, ci abbiamo creduto e, nel giro di pochi anni, siamo diventati una realtà di primo piano in Italia e nel mondo. Il salto di qualità è avvenuto come diretta conseguenza della nostra filosofia imprenditoriale basata sulla
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Ho avuto sin da giovane la possibilità di vivere nella bellezza e in seguito di realizzare prodotti in grado di abbellire le case degli italiani
continua sperimentazione, tant’è che fin da subito abbiamo incominciato a collaborare con importanti architetti italiani e stranieri nella realizzazione di prodotti che hanno poi avuto un grande successo commerciale.
la produzione. Un risultato straordinario che ha consentito innanzitutto di creare posti di lavoro e poi di acquisire nuove quote di mercato in un segmento fino ad allora a noi sconosciuto.
Qual’è l’idea di “bello” che ti ha stimolato? Il tuo è un approccio che affonda le radici nel passato, ma con lo sguardo sempre rivolto al futuro…
Non abbiamo avuto paura di affrontare nuovi mercati, ma nemmeno di provare strade nuove, come nel caso di Varenna
Certamente. Un altro aspetto che contraddistingue la Poliform sin dagli esordi è l’entusiasmo e il metterci continuamente in discussione per vedere se sia sempre possibile migliorarci. L’entusiasmo che ha contraddistinto la nascita di Poliform è ancora la forza dell’azienda; per capire come muoverci, è sufficiente incontrarci sui gradini al mattino, scambiarci le informazioni e procedere immediatamente. Questa freschezza nel prendere le decisioni ci ha premiati, valorizzando le peculiarità di ogni singola persona e consentendoci di diventare una componente importante della manifattura italiana. È stato un processo graduale che ci ha visti prima uscire dai confini della Brianza per penetrare nel mercato italiano, successivamente siamo passati in Europa (partendo da Svizzera e Germania) e oggi siamo presenti in 85 Paesi nel mondo con 45 store. Non abbiamo avuto paura di affrontare nuovi mercati, ma nemmeno di provare strade nuove, come nel caso di Varenna. Quando abbiamo preso la decisione di acquistare il marchio di questa storica azienda produttrice di cucine, poteva sembrare un azzardo; invece è risultata una mossa vincente. Abbiamo ricompattato una realtà profondamente radicata nel territorio, tramite l’ufficio di collocamento abbiamo contattato i vecchi dipendenti, abbiamo acquistato nuove linee e nel giro di poco tempo siamo partiti con
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È la capacità di saper interpretare le esigenze che si verificano negli anni. Quando siamo partiti noi la situazione era quella di un mercato che recepiva tutto, era sufficiente produrre un mobile e si vendeva. A partire dagli anni Ottanta, le cose sono cambiate; il mercato è diventato più difficile e gli imprenditori più lungimiranti hanno cominciato a vendere all’estero. È stata gradualmente abbandonata la concezione di casa da vivere solo in dati momenti (pensiamo alla sala da pranzo utilizzata solo la domenica) e, oggi, l’acquirente di arredamenti pensa a una casa da vivere tutto il giorno e tutta la settimana. L’esigenza odierna è quella di avere un ambiente ospitale e conviviale dove collocare arredi belli, resistenti e con le migliori performance economiche e qualitative. Non dimentichiamoci, infatti, che la maggior parte delle nuove generazioni hanno un potere d’acquisto limitato, ma ricercano il bello. La nostra sfida è quindi quella di saper interpretare questi cambiamenti; se saremo in grado di anticiparli avremo sempre grandi soddisfazioni sui mercati di tutto il mondo.
Qual è il segreto di Poliform? Cosa vi spinge a dire che non siete arrivati, ma che avete ancora tanto da dare? Sicuramente la passione e il desiderio che abbiamo tutte le mattine di scoprire qualcosa di nuovo. Aggiungo anche la fiducia nei giovani. Giovani con ideali, come quelli che ho visto qui al Meeting di Rimini, e con tanta voglia di imparare. Tra le caratteristiche della Poliform c’è infatti quella di
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valorizzare al massimo i giovani (a cui cerchiamo di trasferire le nostre passioni) e le piccole realtà che altrimenti farebbero fatica a emergere in un mercato sempre più complicato. L’esempio della nostra Divisione Contract è emblematico: per la realizzazione di arredi per comunità e ambienti pubblici ci appoggiamo a realtà artigianali che non sono strutturate per penetrare nei mercati. La nostra è una scelta chiara che ci permette di valorizzare piccole realtà locali che sono state in grado di tramandarsi decennio dopo decennio le proprie conoscenze.
Nei prossimi anni che strade intravvedi all’estero? L’obiettivo primario per il nostro sistema è quello di convincere gli acquirenti stranieri con maggiore potere di acquisto a puntare all’arredamento made in Italy, la cui qualità ed estetica è tuttora ineguagliato. Se vogliamo conquistare nuovi territori, dobbiamo far sì che il nostro design e la nostra cultura entrino nella coscienza degli acquirenti che hanno più possibilità. Per fare ciò, dobbiamo riprogettare la comunicazione internazionale mettendo in campo nuove strategie adatte a mercati profondamente cambiati rispetto a pochi anni fa. Dobbiamo essere sempre più credibili e proporre nuovi servizi.
In che modo e con quali mezzi è possibile promuovere bene il made in Italy all’estero? Dobbiamo puntare a una comunicazione internazionale. Alcuni mercati emergenti, come Cina e India, hanno una percezione vaga del made in Italy e non è difficile trovare aziende che si presentano con la bandiera italiana ma che di italiano non hanno nulla. Nostro compito è quindi quello di comunicare la nostra serietà, affidabilità ed eccellenza, sottolineando che un prodotto è valido se il rapporto qualità prezzo è corretto.
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Direi, per semplificare, che il nostro design è oggi percepito come “un bel prodotto” mentre non c’è una percezione chiara della qualità dell’intero arredamento italiano. Per fare ciò è quindi necessario comunicare il meglio dell’eccellenza del nostro settore.
Il made in Italy è sicuramente attraente all’estero, ma quali prospettive ha il retailer italiano? Sono convinto che la distribuzione italiana debba puntare sempre più sulla specializzazione. È necessario passare da semplici venditori di mobili a veri e propri consulenti in grado di consigliare al meglio una clientela sempre più informata e preparata. Una strada percorribile è quella di corsi di formazione per diventare consulenti di interior design.
Consideri vincente la strada delle aggregazioni? Direi di sì. In Poliform, ad esempio, abbiamo da pochi anni inserito una divisione di imbottiti affinché chi si rivolge a noi possa scegliere di arredare tutta la casa in base ai propri gusti e alle proprie esigenze. Per quanto riguarda le imprese che hanno chiuso o che sono in grosse difficoltà, mi auguro che il know-how accumulato negli anni non si perda e che ci sia sempre un imprenditore interessato e illuminato a rilevare chi è in difficoltà.
Qual’è la certezza che ti ha guidato negli anni e che ancora oggi ti spinge ad andare avanti nella tua carriera imprenditoriale? Innanzitutto la forza e l’entusiasmo che i miei genitori sono stati in grado di trasmettermi. In secondo luogo, la certezza di essere parte integrante e attiva di un territorio, la Brianza, dove essere imprenditori è più facile e la voglia di fare è nel DNA della sua gente. Un altro aspetto che ci tengo a sottolineare è
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Dobbiamo puntare a una comunicazione internazionale. Nostro compito è quello di comunicare la nostra serietà, affidabilità ed eccellenza
che le nostre aziende sono anche realtà belle, dove chi ha il desiderio di imparare e di crescere avrà sempre la possibilità di farlo, contribuendo a mantenere vivo il tessuto produttivo e sociale della Brianza. I miei figli sono consapevoli di questa responsabilità sociale sul territorio e sono sempre stimolati a saldare i rapporti con le persone che lavorano nelle nostre aziende affinché il tessuto si mantenga sano.
Nelle nostre aziende chi ha il desiderio di imparare e di crescere avrà sempre la possibilità di farlo
conversazione n°
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Emanuele Orsini
Vittorio Livi
Direttore Generale Sistem Costruzioni
Presidente Fiam Italia
Emanuele Orsini inizia la sua attività all’interno dell’azienda di famiglia (Sistem Costruzioni) prima come preventivista per poi continuare come area manager commerciale per la Romagna. In seguito diventa responsabile della gestione di varie società collegate a Sistem Costruzioni impegnate in cantieri edili distribuiti sul territorio. Oggi, dopo 18 anni di esperienza, ricopre la carica di Direttore Generale di Sistem Costruzioni ed è Presidente della struttura Maranello Village, il complesso residenziale collegato a Ferrari Auto spa composto da bar, ristoranti, palestra, diverse zone polifunzionali e 151 alloggi. Dedicandosi al marketing e al reparto commerciale, amplia gli orizzonti produttivi dell’azienda, portandone l’attività anche all’estero fino alla costituzione di una società controllata, con sede in Spagna, denominata Sistem Iberica e alla creazione di una succursale in Centro America, dove l’azienda svolge importanti lavori per conto delle autorità pubbliche. Ha partecipato alla nascita del “progetto Natura”, un sistema costruttivo in legno sviluppato in azienda per soluzioni abitative, di lavoro e locali pubblici, in grado di adattarsi ad ogni disegno ed esigenza progettuale, superando il concetto di modularità e standardizzazione. Grazie a questo sistema, Sistem Costruzioni ha potuto realizzare 7 palazzine di tre piani destinate alle popolazioni colpite dal terremoto in Abruzzo. Nel corso della sua carriera lavorativa sviluppa rapporti di collaborazione con Assolegno e FederlegnoArredo, entrando a far parte del Consiglio Direttivo; nel febbraio 2010 viene nominato Consigliere Incaricato del Gruppo Case ed Edifici a Struttura di Legno dell’associazione.
Nel 1962, a 18 anni, Vittorio Livi costituisce la sua prima azienda (Fullet), per produrre vetri decorati per l’industria del mobile. Seguono Artiglass (1964), Curvovetro (1966), Cromoglass (1967) e Vellutart (1969). Nel 1973, costituisce Fiam Italia, prima impresa dedicata alla realizzazione di elementi d’arredo in cristallo curvato, per la quale collaborano i più noti designers internazionali, tra i quali Giorgetto Giugiaro, Enzo Mari, Philippe Starck, Ron Arad, Cini Boeri, Vico Magistretti, Makio Hasuike. Fiam Italia distribuisce la propria collezione in tutto il mondo ed alcuni dei suoi prodotti sono presenti in 25 musei internazionali. Nel 1988, con Massimo ed Alberta Ferretti, costituisce la Montegridolfo srl per la ristrutturazione dell’omonimo borgo murato risalente al VII secolo a.c. che, diventato fatiscente, viene riportato agli antichi splendori. Nel 1970 fonda a Norwolk (USA) la Forma & Design per la distribuzione di marchi italiani di design negli USA. Nel 1992 acquisisce Villa Miralfiore, edificio storico di Pesaro del 1260 che ha segnato le tappe storiche di questi luoghi tramite le famiglie nobili che l’hanno abitata; diventata nel frattempo fatiscente, viene recuperata unitamente al suo originario giardino all’italiana. Una parte della Villa viene dedicata alla realizzazione di un Museo per opere in vetro da lui prodotte collaborando con artisti quali Gianni Colombo, Arnaldo Pomodoro, Enrico Baj, Umberto Mariani, Eugenio Carmi, Bruno Munari… Vittorio Livi è membro della Giunta di FederlegnoArredo, Consigliere di Assarredo e di Cosmit spa.
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Giovedì 25 agosto INCONTRO CON EMANUELE ORSINI E VITTORIO LIVI
“Fare con: da padre a figlio” Giovanni De Ponti: oggi abbiamo con noi Gianni Rossoni, Assessore all’Istruzione, Formazione e Lavoro di Regione Lombardia, che desidero ringraziare di cuore perché sta favorendo la nascita della prima scuola di formazione professionale promossa da FederlegnoArredo. È un grande progetto che stiamo sviluppando insieme agli amici di Aslam (Associazione scuola lavoro alto milanese) destinato ad accogliere i ragazzi che escono dalle scuole medie. Cosa ha trovato d’interessante in questo progetto? Assessore Gianni Rossoni: ho accolto da subito con grande attenzione e disponibilità la vostra proposta di mettere in piedi una scuola per il legno e l’arredo. Questo è un modo per rispondere alle vostre esigenze di imprenditori, in particolare quella di sostenere i giovani nella loro ricerca del senso del lavoro e dell’impresa. Avere un lavoro vuol dire realizzare se stessi: dobbiamo riscoprire, e far riscoprire ai giovani, la bellezza dei lavori manuali, e dobbiamo dire loro che è possibile realizzarsi e trovare soddisfazione professionale in questi lavori tanto quanto nel percorrere la strada dell’avvocatura o della medicina. Questo nostro compito riguarda in prima battuta i giovani, ma allo stesso modo anche i genitori, che devono rendersi conto che è importante offrire l’occasione ai loro figli di mettere a frutto i loro talenti. Abbiamo bisogno di riscoprire le scuole professionali e quelle tecniche, affinché diventino luoghi in cui gli
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imprenditori possano trovare risorse umane all’altezza delle loro esigenze. Non posso che complimentarmi quindi con FederlegnoArredo per la scelta di investire su un progetto come questo. Chi si impegna su questa strada non può che trovare da parte delle istituzioni e in particolare di Regione Lombardia il pieno supporto per favorire che il percorso diventi reale. Voglio concludere questo mio breve saluto ricordando con affetto il presidente Rosario Messina: se oggi siamo qui a parlare di formazione dei giovani e di una scuola professionale lo dobbiamo in buona parte a lui.
Entriamo subito nel merito di questa conversazione. Vittorio, qual è la tua storia di imprenditore? Livi: alla fine delle elementari, mio padre mi ha iscritto alla scuola d’arte. Mentre frequentavo la scuola, per guadagnare qualcosa aiutavo un vetraio sotto casa. A 15 anni sono diventato capo operaio. A 17 anni ho avuto l’idea di mettermi in proprio per produrre vetri decorati per l’industria del mobile. Mio padre non era molto contento perché in famiglia c’erano pochi soldi, ma io volevo dimostrare di essere in grado di realizzare qualcosa di mio. A questa prima azienda, che si chiamava Furet, se ne è aggiunta un’altra che si chiamava la Seconda Artiglass, specializzata in vetrate artistiche. Ogni volta che incontravo una persona capace, nasceva in me il desiderio di creare qualcosa di nuovo: così abbiamo aperto la prima società in Europa che faceva vetri riflettenti (Termoglass), poi un’altra ancora per realizzare vetri per le immagini sacre. Poi ancora una quinta per complementi d’arredo. Non lo facevo per ragioni economiche, ma perché mi dava soddisfazione. Mi ritengo un uomo fortunato e sono felice di quello che faccio. Tutto ciò che ho fatto nella vita l’ho fatto per la mia felicità. Lavorando per una di queste aziende, che si chiamava Curvo Vetro e faceva vetri bombati, un giorno mi è venuto in mente di realizzare uno sgabello per seduta. Un mio amico giornalista mi ha fatto una foto mentre ero in piedi sullo
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Mi ritengo un uomo fortunato e sono felice di quello che faccio. Tutto ciò che ho fatto nella vita l’ho fatto per la mia felicità
Vedere quello che mio padre ha creato, la responsabilità che ha sempre dimostrato verso i suoi dipendenti, tutto questo mi ha destato il desiderio di seguire la sua strada
sgabello. In quegli anni pensare di stare in piedi su una lastra di vetro era sconvolgente. Da lì mi è venuta l’idea di disegnare mobili in vetro curvo: a quei tempi questo tipo di lavoro non esisteva, per cui ho dovuto studiare a fondo gli impianti e i progetti. Nel 1973 ho presentato a Milano la prima collezione di complementi d’arredo in cristallo curvato. Il percorso sembrava promettente e c’era molta curiosità; sfortunatamente le banche non mi hanno seguito e mi sono trovato senza finanziamenti. In quel momento ho capito che non bastava essere da soli con la propria esperienza per realizzare e progettare quei mobili; iniziai a frequentare la città di Milano, divenni socio dell’ADI, e mi avvicinai al mondo del design, conoscendo i migliori interpreti di quel tempo, quali Enzo Mari e Cini Boeri. Poiché i miei mobili erano una nicchia di mercato, ancora prima di sviluppare il mercato italiano, ho iniziato a lavorare in Europa, entrando in contatto con designers internazionali come Philippe Starck e Ron Arad, che a quei tempi non erano ancora famosi. Tutto questo spiega perché riuscimmo a vincere il compasso d’oro alla carriera già 20 anni fa. Oggi i prodotti che ho disegnato sono in oltre 25 musei di tutto il mondo.
Qual è stato il tuo segreto? Livi: avevo la sete di fare e di sapere. E non ero il solo: molti miei amici di quel tempo sono diventati poi importanti industriali italiani, come Scavolini, Berloni e Ferri. Io stimo molto il Meeting di Rimini perché ci offre l’opportunità di vedere tanti giovani che desiderano creare qualcosa d’importante, ed è la stessa passione che ritrovo in ogni giovane della mia azienda. In tutto questo, l’educazione ha un ruolo fondamentale, e questo vale in azienda come in famiglia. A mio nipote tutti portano un sacco di regali; io preferisco insegnargli affinché sia lui stesso a fare da solo. È l’esperienza del fare che permette ad una persona di crescere e di
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essere felice. La cosa più brutta che vedo nei genitori di oggi è la loro tendenza a togliere il desiderio nei bambini. Ma cos’è un uomo senza desiderio? Questo vuol dire bruciare le persone: se ad una persona togli il desiderio, cosa gli rimane? Noi tutti siamo nati per desiderare: la donna, il bello, la casa, tutto! Quando una persona viene a lavorare da me, cerco di salvaguardare proprio questo: quando un prodotto viene realizzato all’interno del forno, il nostro maestro vetraio sa che alla fine c’è la sua firma; l’ha fatto lui, è lui l’artefice. Quel prodotto va in giro per il mondo ed è una sua creatura, è qualcosa che gli appartiene. Questo per me è il segreto del lavoro. Solo così lasci un segno indelebile nella storia. L’esperienza mi ha educato a dare questa possibilità ai giovani. Noi dobbiamo dare ai giovani la possibilità di venire all’interno delle nostre fabbriche e scoprire che se hanno delle qualità possono essere più bravi degli ingegneri o degli scienziati.
Emanuele, tu hai ancora tuo padre con te in azienda. Raccontaci la tua storia. Orsini: io sono nato in azienda; la prima favola che mi ha raccontato mio padre era quella dei tre porcellini, soltanto che non era la casa in legno che cadeva ma quella in muratura... Mio padre è sempre stato un uomo con un grande desiderio e una grande passione per il suo lavoro. Io sono orgoglioso di portare avanti la sua azienda. Vedere quello che lui ha creato, la responsabilità che ha sempre dimostrato verso i suoi dipendenti, tutto questo mi ha destato il desiderio di seguire la sua strada. Ricordo che da bambino mi capitava delle volte di saltare la scuola per andare con mio padre ad appuntamenti di lavoro. Stavo in macchina anche delle ore per aspettarlo. Ho fatto tanti sacrifici per imparare da lui.
Perché facevi questi sacrifici, cosa ti muoveva? Vedere in lui la passione che lo muoveva per il lavoro
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mi dava gusto. Era bello veder realizzato quello che si disegnava sulla carta. Oggi purtroppo la maggioranza dei giovani vuole fare il progettista, ed è sempre più difficile trovare le persone che fanno il montaggio. Il mondo delle case in legno è un mondo in forte crescita. La ricostruzione dell’Abruzzo è stata una grande occasione per noi perché ci ha permesso di dimostrare la nostra competitività. Sono state ben 7 le aziende associate ad Assolegno che hanno realizzato appartamenti in Abruzzo. Tra questi c’eravamo anche noi. È stata un’esperienza gratificante ed edificante. Ricordo il primo impatto con quella terra: dovevamo trovare un’area per la logistica del cantiere, non c’erano acqua, luce e gas, non sapevamo dove far mangiare i nostri dipendenti e dove alloggiare le tende… Abbiamo chiesto ad una famiglia, che in quel momento viveva in una tenda, la disponibilità del loro terreno per creare il campo base. Mi sentivo in dovere verso quelle persone; quell’emozione, quel senso di responsabilità verso gli altri, questo è il bello di costruire delle strutture.
Sono qui presenti entrambi i figli di Vittorio Livi che, come lui, sono cresciuti in mezzo alla polvere di vetro. Raccontateci la vostra esperienza.
non è facile. È una sfida continua, giorno dopo giorno: quello che rimane alla fine è la passione che anche noi cerchiamo di trasmettere a tutti quelli che lavorano con noi. Ed è stimolante vedere che i tuoi colleghi sono fieri perché si rendono conto di fare qualcosa di speciale. Intervento dal pubblico: sono figlio di un falegname; sto ereditando l’azienda da mio padre che ha 90 anni e ancora viene a lavorare. Realizzo mobili su misura ed arredi e siamo 6 dipendenti. Uno dei grandi problemi che stiamo affrontando è la formazione del personale e dei giovani. Noi avvertiamo molto la necessità di una scuola di formazione, con maestri e docenti preparati. Quindi sono felice che ci siano delle iniziative come quella di FederlegnoArredo per creare una scuola dedicata al settore. Orsini: l’associazione può fare tanto, soprattutto per le aziende medie e piccole. Questo sarà il futuro, tutti dovranno andare in questa strada: aggregarsi. Lo stesso vale per l’internazionalizzazione, perché ad esempio aggregandosi è possibile ridurre i costi; su questo aspetto FederlegnoArredo sta lavorando molto bene.
Daniele Livi: la mia storia personale è la sfida con mio padre: sono sempre stato paragonato a lui, nel bene e nel male. Il mio ingresso in azienda è stata una scelta. Sono stato un anno in un’altra realtà come ingegnere meccanico, ma poi ho deciso di andare da mio padre. Sono in Fiam perché mi piace. Se è una scelta, lavorare con il proprio padre è una grande fortuna; diversamente, fai vivere la tua vita a tuo padre, e non è giusto. Lui ha fatto la sua scelta e io ho fatto la mia. Questa è la mia esperienza.
Livi: quando ho cominciato la mia attività, non sapevo niente di impresa; così ho guardato gli altri imprenditori e ho imparato da loro. Quello che mi sento di dirti è di fare come ho fatto io: guarda attorno a te e incontra gli imprenditori più interessanti; ti accorgerai di quanta ricchezza può uscire.
Francesco Livi: io nasco tra un ingegnere ed un artista: la cosa, come potrete immaginare, non è semplice... Mio padre mi ha trasmesso una grande passione per il lavoro, anche se certamente essere il figlio del titolare
Livi: il mio lavoro mi ha insegnato ad amare la vita, io amo la vita. La vita per essere vissuta ogni giorno deve essere continuamente una sfida; è la sfida che alimenta la fiamma del desiderio. La mia infanzia mi
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Giovanni De Ponti: vorrei fare una domanda a Vittorio: cosa ti permette di mantenere vivo il desiderio dopo tanti anni?
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Se ad una persona togli il desiderio, cosa gli rimane? Noi tutti siamo nati per desiderare: la donna, il bello, la casa, tutto!
ha dato una buona sensibilità verso l’arte; oggi sto mettendo a frutto questa sensibilità realizzando opere d’arte in cristallo in collaborazione con artisti di tutto il mondo, quali Pomodoro, Munari, Colombo e Giuliano Maggi. Abbiamo realizzato anche un museo per ospitare questa collezione: ho cercato qualcosa che mi desse nuove soddisfazioni senza trascurare l’azienda. Mi sono creato un altro lavoro per avere un nuovo obiettivo. Il piacere con un materiale, nel mio caso il vetro, deriva dalla possibilità di creare. Non è tanto il mestiere che fai che ti dà soddisfazione, ma come lo fai. Nel mondo la forza più potente che esiste è l’estro; stare con gli artisti per me è sublime.
La vita per essere vissuta ogni giorno deve essere continuamente una sfida; è la sfida che alimenta la fiamma del desiderio
Emanuele, qual è la certezza che hai visto in tuo padre e che ti ha convinto a proseguire sulla sua strada? Orsini: sicuramente il rapporto con la materia prima, con il legno. Il legno ci accompagna sempre. E poi la genialità e la creatività italiane. Vi racconto un breve aneddoto: quando siamo entrati nel mercato del Centro America, è stata una vera sfida perché ci hanno messo alla prova. Abbiamo realizzato un piccolo villaggio con tre bungalow nostri, tre di costruttori brasiliani e tre cileni. Arrivò l’uragano Gustav che spazzò via tutto quello che c’era, tranne i nostri bungalow. Il nostro ingegnere aveva fissato la struttura a terra con dei trefoli in acciaio, prevedendo il rischio di un uragano. Non era previsto dalla normativa, è stato un colpo di genio. Da allora la nostra presenza in quel mercato è aumentata. Questo è il made in Italy, e questo è uno degli elementi che mi dà certezza per continuare.
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Livi: la mia certezza è quella di fare qualcosa di importante che possa lasciare una traccia indelebile nel futuro e dia l’opportunità ai miei figli di poter continuare.
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Gianluca Marvelli
Alberto Conficconi
Amministratore Delegato Koh-i-Noor
Presidente Cierre imbottiti
Classe 1954, Amministratore delegato di Koh-i-Noor spa, Gianluca Marvelli inizia la propria esperienza nell’impresa di famiglia subito dopo la laurea in giurisprudenza. La copertura di mansioni differenti gli consente negli anni il raggiungimento di una conoscenza ampia e approfondita delle diverse attività. Dal 2006 è anche amministratore delegato di Design Koh-i-Noor Distribution, una controllata spagnola a Barberà del Valles nei pressi di Barcellona. All’interno dell’Unione Industriali della Provincia di Varese ha ricoperto dal 1991 al 1993 la carica di presidente del Gruppo Giovani Imprenditori, e sino al 2009 quella di vicepresidente del Comitato Piccola Industria e componente della Giunta. Dal luglio 2008 ricopre la carica di Presidente Assobagno di FederlegnoArredo, riconfermato sino al 2013, ed è membro del Consiglio Direttivo e della Giunta di FederlegnoArredo, e Consigliere di Amministrazione di Cosmit Spa.
Alberto Conficconi nasce a Forlì nel 1960. Diplomato all’Istituto Tecnico Commerciale “Matteucci”, ha frequentato il Master FMQ (Formazione Manageriale Quadri) presso il centro Europeo Studi Aziendali di Bologna. Entra nell’azienda di famiglia, Cierre Imbottiti di Forlì, all’età di 20 anni; nel 1979 ne diventa socio e nel 2009 presidente. Ha svolto il suo percorso formativo aziendale ricoprendo diversi ruoli nelle varie aree aziendali (amministrativo/contabile, commerciale/marketing, logistico/gestionale). Nel 2004 è promotore, con il fratello Stefano, della nuova filosofia aziendale “Living in leather” che sfocia nella produzione non solo di imbottiti ma anche di mobili, lampade e complementi con la presenza della “pelle” in tutti i suoi componenti. Nel dicembre 2006, sempre assieme al fratello Stefano, costituisce ad Hong Kong Cierre Asia, società di import/export e finestra dell’azienda madre sul Far East. È promotore, con il collega Franco Cappellini, del gruppo Giovani di FederlegnoArredo, di cui nel 2007 è stato primo presidente. Nel 2009-2010 promuove a Forlì il Progetto di Orientamento “Strada Facendo” per migliorare l’incontro fra la domanda e l’offerta sul locale mercato del lavoro, coinvolgendo oltre 1.000 studenti all’anno. Attualmente ricopre la carica di Consigliere incaricato del Gruppo Imbottiti di Assarredo.
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Venerdì 26 agosto INCONTRO CON GIANLUCA MARVELLI E ALBERTO CONFICCONI
“Artigianalità e industria: il segreto del design italiano” Qual è il punto di distinzione fra design e arte? Come si può salvaguardare la cultura del bello, l’artigianalità e il valore del dettaglio sfruttando un processo industriale? Dobbiamo capire che cosa il mondo ci invidia e continuamente desidera da noi. Il successo del Salone del mobile ne è un esempio eclatante. Marvelli: la nostra impresa da sempre coniuga alta tecnologia e competenze tecniche avanzate con abilità manuali e artigianali. La nostra produzione non si basa sui volumi, ma sulla complessità e l’ampiezza dell’offerta, e per questo dobbiamo sempre fare appello al lavoro manuale. Per noi quindi è fondamentale fare ricerca e innovazione continua. Questo presuppone un’attenta attività di monitoraggio del mercato, perché il risultato alla fine sia un prodotto di design con contenuti innovativi e allo stesso tempo funzionali.
Qual è stata la tua ultima esperienza di innovazione sul prodotto? Noi facciamo accessori per il bagno: porta salviette, porta saponi, tutto quello che arreda il bagno escludendo i mobili e i sanitari. Tradizionalmente un porta salviette viene fissato alla parete tramite
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tassello e foro. Abbiamo sviluppato una tecnica di incollo che non prevede l’utilizzo di siliconi bensì di adesivi, che servono per proteggere la piastrella. In questo modo la piastrella non viene forata e non si rovina. Tutti possono quindi portarsi a casa l’oggetto e applicarlo come vogliono. Questa è stata una ricerca non di design, ma di funzione.
Facciamo un passo indietro. Qual è la tua storia di imprenditore? Io desideravo fare il magistrato: avevo studiato giurisprudenza e volevo proseguire su questa strada. Poi la vita mi ha fatto cambiare a 360°. Sono stato chiamato da uno zio per prendere un ruolo all’interno della sua azienda. Era il 1978. Sono partito svolgendo diverse mansioni all’interno della ditta, sia a livello semplice produttivo che in amministrazione. A quei tempi si trattava di una piccola realtà con 20 dipendenti, specializzata in spazzole e prodotti di toiletteria. Io non ero entusiasta degli articoli che trattavamo; così un giorno ho incontrato una persona che si occupava di arredamento del bagno e me ne sono subito innamorato. Non sapevo niente di arredamento bagno, ma ugualmente ho voluto rischiare e ho chiesto alla famiglia se volesse sostenermi in questa nuova avventura. Ormai eravamo nel 1995. Così abbiamo rilevato l’azienda e siamo partiti. Mi ricordo di non aver dormito per mesi... Oggi siamo una realtà internazionale che opera in circa 30 paesi nel mondo, e siamo abbastanza contenti…
Alberto Conficconi è di Forlì e ha un’azienda tra quelle leader nel reparto dell’imbottito. Tu hai attraversato tutta la fase di trasformazione e sviluppo dell’azienda. Ci puoi raccontare come hai vissuto questo processo? Conficconi: l’azienda è nata nel 1972; all’inizio contava su 12 addetti, oggi siamo in 120. Ho vissuto
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Per noi è fondamentale fare ricerca e innovazione. Questo presuppone un’attenta attività di monitoraggio del mercato, perché il risultato sia un prodotto di design con contenuti innovativi e funzionali
Il saper fare manuale e la dignità dell’uomo nel fare; queste cose sono il vero valore aggiunto del made in Italy
praticamente tutta la storia della Cierre Imbottiti. Ho vissuto con i miei fratelli una situazione di ‘famiglia allargata’, che andava da casa all’ufficio fino al laboratorio. Io partecipavo a questa crescita e c’era confidenza con i dipendenti: facevo i bottoni, tagliavo il tessuto, le pelli, imballavo i divani, li consegnavo… Facendo tutto questo è nata in me una passione e una grande curiosità per il mondo dell’arredo, a cui poi nel tempo si sono aggiunte anche le responsabilità. Oggi siamo in Europa, Asia, USA, Medio Oriente, Sudest-asiatico, vendiamo il nostro prodotto per Armani Casa e allo stesso tempo serviamo la grande distribuzione. Qual è stato il segreto di questa crescita? Nel fare una buona cucina, un buon bagno, una buona lampada, un buon divano, c’è una differenza di interpretazione di una mano che ci mette del suo. La forza delle nostre aziende è diventare sempre più mente d’opera e meno mano d’opera, affinché tutti abbiano la possibilità di portare chiavi di lettura nuove, che non siano semplici interpretazioni statiche del disegno di un architetto. Nel settore dell’imbottito esiste ancora molta artigianalità; il saper fare manuale e la dignità dell’uomo nel fare queste cose sono il vero valore aggiunto del made in Italy.
Il mondo sembra chiedere sempre di più l’‘industrializzazione’ delle imprese; eppure tutti desiderano il nostro design che è espressione di una piccola e media imprenditoria in cui la manualità ha ancora una grande importanza. Come si conciliano questi due aspetti? Conficconi: è sempre una questione di equilibri tra marginalità – e quindi costi – e qualità dei prodotti. L’azienda deve cercare di tenere questo equilibrio proponendo un giusto prezzo, un comfort adeguato del prodotto e design. Per essere più bravi degli altri occorre essere innovativi: ma oggi la vera innovazione la si fa sull’azienda, sulla sua capacità di trovare i
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giusti equilibri produttivi, di design e artigianali, di processo e di prodotto, che permettano alla fine di proporre il made in Italy con un prezzo accessibile. Se oltre a rispettare questi equilibri, un prodotto riesce a comunicare i contenuti di valore di un’azienda, allora quello sarà un prodotto di successo. La differenza alla fine non la fa un’innovazione tecnica o meccanica; ci deve essere amore e passione e questo deve emergere nel prodotto.
Gianluca, raccontaci la tua esperienza. Marvelli: l’importante è creare una cultura di questo aspetto da parte di tutte le persone che partecipano al processo. Una cosa che mi fa sempre molto piacere è vedere la soddisfazione di un nostro dipendente che, trovando un prodotto dell’azienda esposto in un negozio, dice “ho visto il mio prodotto, che ho fatto con le mie mani”: il suo prodotto, non di Koh-i-Noor. Vi racconto un esempio: noi abbiamo il custode dell’azienda che fa anche il fattorino; è capitato più volte che, dovendo consegnare la merce ad un nostro cliente, si accorge che i nostri prodotti sono esposti male e protesta. In fondo lui dovrebbe essere preoccupato soltanto di consegnare dei pacchi. Questo per me è il grande valore aggiunto. Come fai a raggiungere questo livello? Con una grande passione per il lavoro, con la giusta formazione che oggi è sempre più rara, perché è sempre più difficile trovare persone che hanno un’attitudine al fare e alla manualità.
Le botteghe medioevali e rinascimentali crescevano intorno a dei maestri, generazioni di ragazzi che hanno poi portato nel mondo il segreto dell’arte italiana. Questo segreto che il mondo ci invidia, come lo tramandate nelle vostre aziende? Marvelli: io credo molto nell’esempio. E in secondo luogo, credo molto nella necessità di dare più spazio
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alla cultura e alla formazione. Su questo dobbiamo lavorare molto perché è il sistema migliore per tramandare questi valori. Conficconi: per me ci sono due aspetti da evidenziare: internamente all’azienda la mia prima preoccupazione verso una persona da formare è quella di farla innamorare. Se una persona ha certe qualità e certe professionalità, bisogna farla innamorare della squadra, del clima aziendale; se scatta questo meccanismo, allora il valore dell’azienda verrà tramandato nel giusto modo. Questo non significa che poi una persona debba fare lo stesso percorso professionale degli altri: tutto questo deve servirgli come base culturale da cui partire per scoprire il suo percorso. Se guardo invece al di fuori dell’azienda, noi dobbiamo avere la preoccupazione di comunicare nella maniera adeguata i nostri valori ai giovani. Oggi abbiamo perso la dignità sociale di certi mestieri; credo sia nostro dovere comunicarli.
C’è spazio per domande dal pubblico. Intervento dal pubblico: mi colpiva quello che diceva Marvelli. Io non ho dormito per molto tempo. Mi sono messo in proprio in Brianza nel 2005. Da allora è stata dura, anche se non rimpiango affatto la mia scelta perché ho potuto realizzare il desiderio che avevo nel cuore. Ora anche mio figlio mi sta seguendo. La mia domanda è questa: come può oggi un giovane aspirare a fare l’imprenditore o comunque lavorare in questo settore? Marvelli: noi imprenditori abbiamo parlato della nostra passione e dei nostri valori. Ci sono anche aspetti meno positivi che riguardano il nostro personale: è pagato poco. Non perché è retribuito male dall’impresa, ma perché il costo del lavoro in Italia è fuori mercato. Oggi sostenere l’inizio di
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un’attività è complesso, soprattutto perché è difficile trovare i finanziamenti. Conficconi: io sono di seconda generazione. Mio padre faceva il barbiere e quando ha scelto di mettersi in proprio, anche lui non ha dormito per anni. Oggi siamo in tanti che non dormiamo... Sul tema delle retribuzioni, è vero che il costo del lavoro in Italia è tra i più alti ed il netto della busta paga è tra i più bassi; è anche vero, però, che i quadri intermedi, che spesso sono frutto di un percorso non scolastico ma tutto interno all’azienda, hanno stipendi che sono migliori di certi architetti o avvocati. Molto dipende da ciascuno di noi, da quanta passione porti nell’organico in cui sei inserito. Intervento dal pubblico: che tipo di rapporto avete e come scegliete i vostri fornitori? Marvelli: è un tema fondamentale ed un grosso collo di bottiglia. Deve avere le capacità di portare la sua cultura creativa all’interno del processo produttivo. In Italia si è fatto poco per agevolare questo rapporto. Un esempio: nel comasco ho partecipato come presidente di Assobagno ad una fiera chiamata “Fornitore Offresi”. Lì mi sono reso conto di quanto oggi sia difficile trovare fornitori attendibili: con la delocalizzazione, molti fornitori ormai sono lontani; nel frattempo, a causa della crisi, tanti piccoli fornitori locali hanno chiuso. Per noi è fondamentale ritrovare fornitori che esprimano il valore della filiera del made in Italy. Anche qui mi auguro che ci sia una ripresa della nostra filiera, compresa la parte della componentistica realizzata in Italia. Conficconi: per me i fornitori sono partner, collaboratori esterni, che ti aiutano anch’essi a fare innovazione e ricerca. Cierre Imbottiti ha il 90% dei partners/ fornitori che sono cresciuti con noi negli ultimi anni; la difficoltà che abbiamo oggi è quella di mantenere un
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Se una persona ha certe qualità e certe professionalità, bisogna farla innamorare della squadra, del clima aziendale
La certezza che ci sostiene è la volontà di metterci sempre in discussione, di essere pronti al cambiamento, mettendoci dentro tutto il sentimento, la passione e la creatività
dialogo di crescita con loro. Dove esiste un distretto produttivo con la presenza di tutta la filiera, è più semplice. Oggi il distretto si sta geograficamente allargando anche al di fuori dei confini nazionali. Per me il partner non è da ‘spremere’ per ottenere i prezzi più bassi, ma occorre trovare con lui equilibri che gli danno la marginalità per stare sul mercato e la passione di seguire Cierre e fare ricerca insieme su prodotti o materiali nuovi. Fuori dai confini nazionali, non è facile trovare un partner così.
Per concludere: riprendendo il tema del Meeting di quest’anno, qual è la certezza che sostiene la vostra impresa? Marvelli: è il desiderio del voler fare, anche in un momento così difficile. È la volontà di mettersi sempre in discussione, di essere pronti al cambiamento, mettendoci dentro tutto il sentimento, la passione e la creatività. Con questi valori, noi possiamo avere delle certezze per il nostro futuro. Conficconi: la certezza che ho è l’ottimismo che c’è in me e in tutti i miei collaboratori. Nonostante le difficoltà, serve una buona dose di ottimismo, la conoscenza del mercato, il desiderio di fare squadra; tutto questo fino ad oggi ha pagato ed è quello che secondo me serve per superare questi momenti esageratamente difficili. Ciascuno di noi se guarda la situazione con fiducia, può trovare le forze per cambiare la situazione; questa è una certezza che mi auguro di avere sempre. Partendo dal basso si può anche pensare di cambiare il Paese.
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conversazione n°
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Sabato 27 agosto Andrea Negri
INCONTRO CON ANDREA NEGRI
Amministratore Unico MP - Mister Parquet
“fare impresa: perché è ragionevole rischiare”
Andrea Negri è Amministratore Unico della MP spa (azienda leader in Italia per la produzione e vendita di parquet in rovere, larice, bambu e teak) e Procuratore Speciale di AICO Srl e A.N.M. Srl. In passato ha rivestito la carica di Amministratore Delegato di Molisana Parquet Srl, Misterstep srl, Rintal spa, Valef sarl. Presidente di MADE Eventi srl e Vicepresidente di Federcostruzioni, Andrea Negri è da anni impegnato nel mondo dell’associazionismo in qualità di membro del consiglio direttivo e della Giunta di FederlegnoArredo, di AFI Associazione Forestale Italiana e dell’Associazione Industriali del Molise, nonché membro del consiglio si amministrazione del Consorzio “Maestri Molisani”.
Il titolo di oggi è la sintesi degli incontri di tutta la settimana, perché dice del desiderio che c’è dentro di noi pur nelle situazioni più avverse e contrarie. Andrea ha iniziato la sua attività imprenditoriale dopo 23 anni da manager. Perché ti sei assunto questo rischio? Queste scelte nascono in noi, ce le portiamo dentro per tanti anni e poi arriva un momento nel quale uno dice che c’è la può fare. Misurarsi con se stessi è uno degli aspetti della natura dell’uomo più affascinanti. Solo dopo questa valutazione si può essere soddisfatti. Ho lasciato l’attività da manager e sono diventato al 100% imprenditore giocandomi i risparmi di 23 anni di lavoro.
Da manager avevi sempre un’ultima sponda a cui aggrapparti, quella dell’imprenditore. Che differenza c’è adesso? Anche se tante volte la decisione finale è sempre stata mia, io giocavo in casa di un altro. La differenza è formidabile. Adesso quando vado a dormire alla sera spesso mi sveglio e comincio a pensare, perché hai solo te stesso con cui confrontarti: il capitale, la reputazione, le vendite … Sono momenti molto difficili; in particolare le aziende dei pavimenti in legno soffrono tantissimo dell’insolvenza nei pagamenti. Anche se hai del buon materiale e lavori bene, la
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Misurarsi con se stessi è uno degli aspetti della natura dell’uomo più affascinanti
sopravvivenza dell’azienda è sempre in discussione perché mancano i soldi. Allora si cerca di sopperire affidandosi alle banche, che però sono anch’esse in crisi e fanno molta fatica a darti credito. Questa situazione non era certamente nei miei piani quando ho deciso di diventare imprenditore e accade tra l’altro in un momento nel quale la mia azienda ha una crescita del fatturato.
Cosa ti aiuta in questi momenti?
Sto mettendo tutto me stesso in questa operazione, poi andrà come deve andare, c’è sempre la Provvidenza che aiuta
In questi momenti emerge un’altra componente che è poi quella che ti fa tenere duro, ovvero la sfida di percorrere nuove strade per creare qualcosa di unico e nuovo. Per fare un esempio, recentemente ho sviluppato un nuovo brevetto che mi dovrebbe permettere di propormi in modo competitivo sui mercati internazionali più interessanti: si tratta di un supporto per il pavimento in legno che garantisce l’isolamento dall’umidità, problematica molto sentita per questo tipo di prodotto.
Essere l’amministratore unico di un’azienda è una grandissima sfida, anche personale. Perché spesso ti trovi a confrontarti solo con te stesso. Qual è la tua esperienza in tal senso? Essendo soli, è vero che si cerca sempre un punto di riferimento, ma si è anche totalmente liberi. Mia moglie ha letto in me questo desiderio reale e radicale di assoluta libertà e questo mi ha ulteriormente incentivato. Quando fai il manager fai sempre i conti con quello che vuole il tuo imprenditore; quando fai l’imprenditore, ti misuri con te stesso, non hai possibilità di scampo. Questo significa anche che devi giudicare il tuo stesso operato, e magari arrivare anche ad ammettere che qualcun altro è più bravo di te.
In questi due anni cosa hai scoperto di nuovo? A livello interiore ho provato sensazioni che non avevo
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mai provato. Sono situazioni difficili da descrivere, che ti vengono quando ti metti in gioco e sei immerso totalmente nella situazione. In parallelo ho avuto anche molte soddisfazioni perché questa libertà è effettiva: libertà di decisione, libertà di scelta.
Torneresti indietro? Rifarei la stessa scelta. Tornerei indietro solo per pagare di meno quello che ho comprato... Sto mettendo tutto me stesso in questa operazione, poi andrà come deve andare, c’è sempre la Provvidenza che aiuta. Accanto a grandi responsabilità e problemi, ci sono comunque anche belle soddisfazioni. Noi facciamo i pavimenti in legno ma anche i rivestimenti delle scale in muratura o in acciaio. Questo ci ha permesso di proporci per realizzare le scale e i pavimenti in legno della nuova sede Microsoft a Milano. O ancora, stiamo realizzando tutti i gradini e i pavimenti in legno della nuova stazione Tiburtina di Roma. Essere i protagonisti di progetti come questi è certamente un fattore di orgoglio e soddisfazione.
Paesi come la Cina sono ormai una realtà ben presente anche per le aziende italiane del legnoarredo. Com’è il tuo rapporto con questi mercati emergenti, in particolare con quelli asiatici? Stiamo cercando di sfruttare l’esperienza di questi produttori asiatici a nostro favore, ad esempio acquistando la materia prima a basso prezzo per poi trasformarla in Italia. A questa attività si aggiunge una parte di produzione realizzata completamente in Italia con legno europeo, un’altra parte che compriamo e rivendiamo, oppure che compriamo e trasformiamo. Intervento dal pubblico: noi dobbiamo avere l’idea del prodotto, non possiamo competere con mercati che sono a basso costo di mano d’opera.
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Sono d’accordo. La mia azienda anni fa aveva un grande impianto per la produzione di pavimenti tradizionali, tutto automatizzato. Oggi il prezzo della materia prima in certi Paesi esteri è esattamente pari al prezzo del prodotto finito. Come faresti a pagare quell’impianto? Io penso che il pavimento e le prime lavorazioni del legno debbano essere svolti nel Paese d’origine di provenienza del legno. Intervento dal pubblico: ho aperto la mia attività di giardinaggio due anni fa a Pesaro. Ho trovato un po’ di problemi nel rapporto con la banca, subito pronta a farsi sentire non appena il mio conto andava anche solo di poco sotto. Per i piccoli imprenditori le banche potrebbero essere più elastiche. Qual è la sua esperienza in questo ambito? Sicuramente il rapporto con le banche è un rapporto complesso. Quando ricevi il finanziamento sorridi; passato quel momento, arrivano le rate e le conseguenze. Purtroppo il sistema bancario spesso non valuta adeguatamente il progetto imprenditoriale al pari dei tuoi bilanci pregressi. Il mondo del legno è poi un mondo molto particolare perché molte materie le compri dall’estero e le paghi contro documenti: cioè paghi IVA e materiale quando arriva in dogana, poi devi trasformarlo, venderlo e non incassi ancora: 270-300 giorni di differenza di valuta sono all’ordine del giorno nel nostro settore. Quindi per noi le banche hanno un ruolo fondamentale.
Da quando sei diventato imprenditore, come è cambiato il tuo modo di rapportarti con i lavoratori dell’azienda? La mia esperienza è diversa dalle normali esperienze imprenditoriali. Io vivo un rapporto con l’azienda in maniera non quotidiana. L’azienda è a Campobasso ed io vivo a Milano; per capirci, non sono uno di quelli che va ad aprire la fabbrica alla mattina. Trascorro in azienda due giorni ogni 15. Questo sistema
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implica un rapporto di fiducia molto elevato con le maestranze, che sono abituate a dover fare i conti con se stessi e con gli obiettivi ed i risultati. Questa è molto più la loro azienda che non la mia. Io rischio il capitale, certo, che però va e viene; l’azienda invece rimane, le persone rimangono. Intervento dal pubblico: mi trovo a dovere affrontare il tema dell’internazionalizzazione della mia impresa. Lei ha già affrontato questo tema e come lo ha sviluppato per la sua azienda? Io non vendo all’estero, ma è un tema che mi sono proposto. Entro l’anno voglio assolutamente impostare qualcosa all’estero. Con il pavimento in legno e con la mia azienda faccio a Milano MADE expo dal 5 all’8 ottobre con l’obiettivo specifico di raccogliere tutte le opportunità che quella manifestazione fieristica mi offre in ambito di sviluppi possibili all’estero. È una strada certamente perseguibile e può darmi ottime chances. Intervento dal pubblico: come riesce a stare sul mercato senza la componente estera? La nostra capacità è stata quella di assestarci bene sul mercato italiano. Il mondo delle costruzioni e dell’edilizia è in crisi, ma noi riusciamo ad affrontare questa situazione perché ci occupiamo anche di pavimenti antichi e facciamo recuperi storici: l’Italia è un mercato ricchissimo da questo punto di vista. Intervento dal pubblico: io conosco Andrea da diversi anni e apprezzo il suo stile. Osservo che nella gestione del tuo tempo investi molto nella cura delle relazioni. Qual è il motivo per cui lo fai, qual è la ragione di tutto questo investimento? Prima abbiamo parlato di libertà, ma uno vive anche di passioni. Con il fatto di essere imprenditore mi
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Io rischio il capitale, certo, che però va e viene; l’azienda invece rimane, le persone rimangono
gioco la mia libertà anche in questo senso. Un filo molto elastico che conduce tutte le cose c’è, ed è una passione personale.
Il titolo di questo Meeting è “L’esistenza diventa un’immensa certezza”. Qual è la certezza che sostiene la tua esistenza? Direi che è l’acquisire la certezza della consapevolezza. Sentirsi alla fine di averle giocate tutte in questa vita. Di essere riuscito a sfruttare tutte le opportunità che si sono presentate. Di aver vissuto fino in fondo. Di aver vissuto di più.
Un filo molto elastico che conduce tutte le cose c’è, ed è una passione personale
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