Genova Palazzo San Giorgio Sala delle Compere 5 - 21 Dicembre 2008
MARIO FALLINI
Il Milione di Marco Polo
λóγος
Mostra promossa da
AUTORITĂ€ PORTUALE
DI
GENOVA
Con il contributo di
Con il contributo di
Con il patrocinio di
In collaborazione con
REGIONE LIGURIA
PROVINCIA DI GENOVA
COM UNE
DI
La Fermata resort
GENOVA
COM UNE
DI
BOGLIASCO
AUTORITà PORTUALE
Luigi Merlo – Presidente Autorità Portuale di Genova Danilo Cabona – Dirigente Servizio Comunicazione Autorità Portuale di Genova
FONDAZIONE BOGLIASCO
James Harrison – Presidente Anna Maria Quaiat – Vicepresidente
PALAZZO DEL MONFERRATO
Paolo Filippi – Presidente
FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI ALESSANDRIA
Gianfranco Pittatore – Presidente
PROVINCIA DI ALESSANDRIA
Paolo Filippi – Presidente della Provincia di Alessandria Maria Rita Rossa – Assessore alla Cultura Provincia di Alessandria
LA BOLLA srl
Lorenzo Cassano – Amministratore Unico
REGIONE LIGURIA
Claudio Burlando – Presidente della Regione Liguria Fabio Morchio – Assessore alla Cultura della Regione Liguria
PROVINCIA DI GENOVA
Alessandro Repetto – Presidente della Provincia di Genova Giorgio Devoto – Assessore alla Cultura della Provincia di Genova
COMUNE DI GENOVA
Marta Vincenzi – Sindaco del Comune di Genova Andrea Ranieri – Assessore alla Cultura Innovazione e Ricerca del Comune di Genova
COMUNE DI BOGLIASCO
Luca Pastorino – Sindaco del Comune di Bogliasco Dino Moretti – Assessore alla Cultura del Comune di Bogliasco
Sono lieto di ospitare nella sede dell’Autorità Portuale di Genova le opere di Mario Fallini, artista alessandrino, tra i più autorevoli e apprezzati esponenti dell’arte contemporanea del panorama nazionale. Egli possiede, infatti, un talento che merita l’attenzione del pubblico di una grande città come Genova e delle sue Istituzioni. La mostra Il Milione viaggio ideale attraverso la Via della Seta rientra nelle attività della Fondazione Bogliasco, che ha voluto dare spazio all’arte nella propria interessante e varia programmazione culturale e che desidero ringraziare vivamente per aver scelto la Sala delle Compere di Palazzo San Giorgio quale cornice per l’allestimento.
La Fondazione Bogliasco, di cui sono Presidente, è lieta di presentare l’esposizione di Mario Fallini intitolata Il Milione, dedicata a Marco Polo e installata, non a caso, nello storico Palazzo San Giorgio, dove il veneziano fu imprigionato dai genovesi dopo una delle tante battaglie navali. Mario Fallini è stato ospite della Fondazione Bogliasco, avendo meritato una borsa di studio nelle Arti Figurative nel 2004 e nel 2007. Durante una visita guidata al centro storico di Genova, si è trovato ad ammirare il Palazzo San Giorgio, e appreso di essere di fronte a quella che era stata la prigione di Marco Polo, pensò di offrire alla città un’esposizione del suo calligramma Il Milione. La Fondazione Bogliasco ha deciso di favorire questa iniziativa nell’ambito dei suoi compiti istituzionali atti a promuovere e sostenere la cultura anche mediante l’opera dei borsisti Bogliasco provenienti da ogni parte del mondo. Ospitati in una sede favorevole tanto alla concentrazione quanto allo scambio di idee, accademici e creativi, attivando sinergie interdisciplinari e internazionali, contribuiscono allo sviluppo delle ricerche e delle interazioni culturali. L’installazione di Mario Fallini presenta l’esempio di un progetto ideato ed elaborato con queste finalità, pertanto ringrazio le realtà genovesi e alessandrine che sostenendo questo evento condividono l’impegno della Fondazione Bogliasco.
Luigi Merlo Presidente Autorità Portuale di Genova
James Harrison Presidente Fondazione Bogliasco
Mario Fallini, protagonista maturo dell’intellighenzia alessandrina, approda al Palazzo San Giorgio di Genova, con il suo sorprendente Milione, egli stesso nuovo Marco Polo, a cui una esuberante, sapiente, capacissima creatività, ha permesso di essere, in campo artistico, l’esploratore che tutti conosciamo. Esperto di traduzioni in arte visiva di testi quali il Vecchio e Nuovo Testamento Le Mille e una notte Il nome della rosa, oggi ci restituisce una delle opere letterarie mondiali più grandi e coinvolgenti, intramontabile rimando alla fascinazione attraverso il viaggio. La grandiosa ricostruzione de Il Milione, l’ultima fatica calligrammatica di Fallini, occuperà lo spazio della Sala delle Compere di Palazzo San Giorgio con un’installazione diversamente modulata, il cui elemento di forza è costituito dalla trascrizione per metri e metri del testo originale, confluito in simboli e disegni. Una sede unica e in questo caso, la sede ideale, del maestoso “rifacimento” di Fallini, sapendo che proprio nelle carceri di Palazzo San Giorgio, tra il 1298 ed il 1299, Marco Polo dettò a Rustichello da Pisa, le fervide memorie del suo incredibile viaggio. Oggi, grazie allo sforzo di questo artista che non cessa mai di stupirci per i suoi racconti elegantemente e magistralmente annodati alle immagini e grazie alla fattiva partecipazione sinergica delle istituzioni promotrici dell’evento – Autorità Portuale di Genova e Fondazione Bogliasco – e delle istituzioni del territorio alessandrino sostenitrici – la Provincia di Alessandria, il Palazzo del Monferrato, la Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria – ripercorriamo estasiati le tappe di quel viaggio. Quale Presidente della Società Palazzo del Monferrato della Provincia di Alessandria, non posso che salutare con immensa soddisfazione la mostra di dicembre del nostro Mario Fallini nella città di Genova.
Mario Fallini è tra gli artisti più rappresentativi della nostra città e del nostro territorio – ricordando che i frutti della sua feconda ricerca sono arrivati in tutta l’Italia e all’estero – in grado con il suo nome di richiamare immediatamente il tessuto culturale alessandrino e provinciale nell’arco di tempo che va dagli anni settanta a oggi. Al di là della sua presenza in personali e collettive negli spazi privati e pubblici più accreditati, ha sempre firmato sperimentazioni tra pittura, scultura e design – prove di un metalinguaggio colto e originalissimo – che, svincolate o meno dalla committenza, lo hanno portato a un apprezzamento unanime da parte di pubblico e di critica. Fallini continua a contrassegnare anche locali pubblici e sofisticate abitazioni private, in una tradizione unica che unisce incursioni nella storia dell’arte (dalla più antica alla più contemporanea) e nella storia dell’immagine o comunicazione, che dir si voglia. Incursioni, ancora, nella storia della letteratura: ecco allora che l’artista ha trascritto in forma visiva capolavori come Le mille e una notte Il nome della rosa – per non parlare dei testi sacri – arrivando, a oggi, al Milione. L’eredità lasciataci da Marco Polo settecento anni fa ritorna, nella versione di Fallini – attraverso l’importante mostra promossa dall’Autorità Portuale di Genova e dalla Fondazione Bogliasco e che la Provincia di Alessandria insieme alla Società Palazzo del Monferrato e alla Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria ha con convinzione sostenuto – nel suo luogo originale, meglio testamentario, cioè Palazzo San Giorgio di Genova (il porto di Genova siglava allora il coronamento del viaggio lungo la via della seta) nelle cui allora carceri venne accolto il famoso dettato. Rustichello da Pisa scrisse ante litteram una delle più gigantesche installazioni dell’umanità. Spetta oggi a Mario Fallini chiudere un cerchio. Gli siamo davvero grati per quest’ultima opera, nell’accezione più ampia possibile, dove ancora una volta egli usa mescolanza di linguaggi e di saperi. Così siamo grati, oltre che ai promotori della mostra, a chi ha svolto la cura critica, la milanese Renata Pisu e l’alessandrino Mario Mantelli – note voci dell’ingegno – e chi ha svolto la cura del non facile allestimento, lo studio Carpani, Masoni, Tasso Architetti, firma insigne della nostra città e avvezza ad articolare i lavori di un autore a noi tutti tanto noto e tanto caro come Fallini.
Paolo Filippi Presidente Società Palazzo del Monferrato e Provincia di Alessandria
Maria Rita Rossa Assessore alla Cultura Provincia di Alessandria
Cura e allestimento della mostra Studio di architettura Roberto Carpani Giulio Masoni Armanda Tasso in collaborazione con l’arch. Roberta Buso e Laura Morreale Realizzazione strutture Falegnameria Artigiana Alessandria Giovanni Avalle Giulio Cattarin Progetto e allestimento impianto illuminotecnica Volume Milano Lavorazioni plastica Bussetti e Mazza - Alessandria Fotografia Enzo Bruno Produzione Video Zero Frame Regia Luca Busi Servizi didattici Roberta Buccellati Associazione Guide Turistiche Liguria Servizio Comunicazione Autorità Portuale Giovanna Massardo Coordinazione progetto Fondazione Bogliasco: Pasquale Pesce, Ivana Folle, Alessandra Natale Realizzazione grafica e stampa Astigrafica s.n.c. - Asti Ringraziamenti Camilla Bertolino, Giambattista Buongiorno, Maria Luisa Caffarelli, Pina Cavallaro, Aisha Elbiar, Massimo Ghezzi, Francesca Liotta, Dino Molinari, Samantha Pilotto, Gigi Poggio, Alex Porta, Gian Luigi Repetto, Pier Angelo Taverna, Accademia Ligustica di Belle Arti.
Progetto di allestimento della mostra
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Renata Pisu Se non avessi incontrato Mario Fallini, forse questi pensieri mi sarebbero rimasti dentro inespressi: meno che pensieri, intuizioni, spunti per il pensiero. Ma cosa sono i pensieri inespressi, esistono o no? Io penso che esistano, abbiano una propria indicibile esistenza, non materializzata dal flatus vocis, non fissata con segni sulla carta. Ma può un pensiero non essere detto, non essere scritto? Ti è sorto dentro e lo vorresti trattenere, ma lui vuole uscire. Si ingaggia una lotta. Il pensiero tenta allora di conformarsi come immagine astratta, non disegnata, non raccontata. E a volte questo tipo di immagine generata da un pensiero genera ancora un pensiero, sempre indicibile, che si compone in un’altra immagine. Una catena di intuizioni, di pensieri muti ma felici che si saldano anello per anello in un discorso senza parole. Io vengo dalla Cina, nel senso che sono ormai lunghi anni che mi occupo di fatti e pensieri, soprattutto di pensieri, che laggiù hanno origine. E sono proprio questi pensieri “altri” che fatico a esprimere. Vengo e vado, dall’Italia alla Cina, portandomi appresso tanti pensieri che vorrei trasmettere, ma sempre fallisco, al massimo li comunico con vaghezza. Senza contorni. Per esempio, “parlare senza parole” è un pensiero cinese. Le parole si susseguono, si versano come l’acqua da un vaso, si generano l’una con l’altra all’infinito senza che vi sia un’origine e un limite, in una eguaglianza naturale. Questo l’ideale dei taoisti. Ma parole dette o parole scritte? Ed è proprio vero che prima si dice e poi si scrive? Così è successo per Il Milione. Marco Polo diceva, raccontava, e Rustichello scriveva. è successo che, parlando con Mario Fallini di questa sua eroica copiatura amanuense delle parole scritte de Il Milione, di questa lunga striscia ininterrotta di segni che sono parole e che si avviluppano in immagini, uno dei pensieri inespressi che da tempo mi abitano ha preso corpo. Si è conformato come punto interrogativo: il λóγος dei greci e il dei cinesi, come conciliarli? Il λóγος è un concetto greco, significa allo stesso tempo parola, argo-
è invece un concetto mentazione, giudizio, in ultima analisi logica. cinese, significa arte in senso lato ma soprattutto scrittura, letteratura, in ultima analisi civiltà. Nel Vangelo secondo San Giovanni si legge “In principio era il λóγος” che in latino è stato tradotto con Verbum, in italiano Verbo, ovvero Parola. In principio si pone dunque la parola, la parola creatrice. Noi siamo quindi la civiltà del λóγος, o della Parola. La Cina invece, anche se non lo asserisce nessun testo fondante, è la civiltà del , della scrittura. Il Cielo non parla, quando i Saggi si incontrano si capiscono a vicenda senza affidarsi alle parole. L’arte oratoria è sconosciuta, non ci sono retori, nemmeno grandi miti che sono figli della voce. Il capo supremo non arringa le folle, si limita ad apparire. I dazebao, i giornali a grandi caratteri della Rivoluzione culturale, prevalgono sugli slogan gridati. Il nome del reprobo si scrive rovesciando i caratteri che lo compongono, così se ne decreta la condanna. Faticosamente, cerco di far venire alla luce il mio pensiero inespresso. Il discorso si inanella in immagini, in altri pensieri, altre immagini, altri pensieri, un ininterrotto disordinato fluire provocato dal fatto che ho conosciuto un folle che ha confuso tutte le carte: infatti ha scritto a mano un testo che fu raccolto da Rustichello da Pisa dalla voce di Marco Polo (parlava italiano? O veneziano?) e trascritto in francese: un testo che quindi non può vantare una edizione originale ma che nasce come trasposizione dal Verbo allo Scritto. è quindi sin dall’inizio una “copia” perché non c’è originale, l’unico originale sarebbe il narrare di Marco, la sua viva voce. Ma la stesura di Fallini, per essere scritta a mano è una copia “originale”, quindi unica, non appartiene all’era della riproducibilità dell’opera artistica, ignora Gutenberg e tutto quello che è venuto dopo. E, allora, è una provocazione? Uno sberleffo? Cosa è mai? Osserviamo l’opera di Mario Fallini, la sua grafia che scorre piana e talvolta si inalbera in calligrammi fantasiosi. Cosa è mai? Mi soccorre il
poeta Lu Ji del IV secolo che nel suo Trattato sull’arte della scrittura dice: In un lungo nastro di seta vi è lo spazio infinito le parole sono un diluvio… Ma quali parole? Non mi sarebbe capitato di interessarmi all’argomento se questa copia originale non avesse avuto a che fare con la Cina, il Catai, la Via della Seta. Il mio pascolo. Così cerco di districarmi. Di tentare di enucleare il mio pensiero per contrapposti: alfabeto e ideogramma, per cominciare. Ci sono parole per dire e parole per scrivere. Le nostre parole scritte sono parole per dire, da dire: scriviamo cavallo e diciamo “cavallo”, enucleiamo i suoni. Ci soccorre l’alfabeto . Ma per un cinese il carattere che significa “cavallo” non passa attraverso la mediazione del suono “ma” che è la parola per dire cavallo: l’idea del cavallo gli balza all’occhio immediata come se vedesse la figura di un cavallo galoppare lungo la pagina. Così “cavallo” per un cinese non è una parola da dire, è una pittura; e una pittura non può essere detta, la si guarda. L’ideogramma cavallo, come tutti gli altri, giace nel silenzio. Così torno al nostro “In principio era il Verbo”, la Parola, ma si tratta della Parola divina che è creatrice. E subito altri pensieri mi si affollano e si contrappongono: la nostra cultura è quella del λóγος, della Parola, ma non vuol dire affatto che si privilegi l’oralità, anzi. Il λóγος, il Verbo, è subito scritto, abbiamo appunto le Sacre Scritture. In Cina, invece, nella civiltà del , dello Scritto, c’è un testo vecchio di millenni, lo I Ching, che non trascrive messaggi trasmessi oralmente da un essere trascendente, non deriva dalle parole. E non è scritto, né con ideogrammi né con un alfabeto fonetico, ma si basa su due semplici segni, la linea continua e quella spezzata. Si combinano, questi due segni, in trigrammi ed esagrammi, e si reputa che così tutto possa essere compreso e spiegato secondo un codice che non è esclusivamente linguistico e nemmeno esclusivamente figurativo, ma si colloca nel crinale originario dove si forma il pensiero, fra parole e immagini, scrittura e oralità. Ecco, forse i pensieri inespressi di cui parlavo e che lottano per venire alla luce, potrebbero configurarsi come dei trigrammi, combinati a formare degli esagrammi in un’alternanza di passaggi
dall’uno all’altro: non possono essere scritti, non possono essere detti, possono soltanto essere interpretati grazie a un gioco dettato dal caso: il lancio della moneta, il fascio dei rametti di achillea… Qui non siamo né nel λóγος né nel , siamo nell’arcano. Fortunato Mario Fallini. Se non avesse avuto a disposizione un corpo scelto di ventisei soldati, le lettere dell’alfabeto, avrebbe dovuto faticare assai di più per fornire la copia originale di un testo. Fosse stato cinese si sarebbe dovuto cimentare, infatti, nell’arte della calligrafia, la disciplina che in Cina è considerata l’arte suprema. Ma ecco un altro paradosso: risale al IV secolo la composizione e la scrittura di un breve saggio di Wang Xizhi intitolato Il Padiglione delle Orchidee, considerato il massimo capolavoro dell’arte calligrafica. Ne furono fatte delle copie ma il manoscritto originale andò perduto, tuttavia per secoli e secoli si continuò a incensare la calligrafia di Wang come modello stilistico sublime, senza che nessuno avesse mai visto l’originale. E c’è di più. Nel 1965 l’erudito Guo Moruo sostenne la tesi che la calligrafia de Il Padiglione delle Orchidee come era stata tramandata nelle trascrizioni di epoche posteriori, rifletteva uno stile più tardo di quello in voga nel IV secolo e che il testo non sarebbe stato composto da Wang Xizhi. Conclusione: il sublime modello che ha ispirato tutto lo sviluppo tecnico ed estetico della calligrafia cinese, non sarebbe mai esistito. Allo stesso modo non è mai esistito il celebrato Giardino Wu Yuo. Il Giardino che non c’è: lo descrive minuziosamente un letterato di epoca Ming il quale scopre subito le sue carte. Osserva infatti nell’introduzione che la maggior parte dei famosi giardini del passato sono scomparsi, sopravvivono soltanto sulla carta. E allora, perché mai un giardino deve essere esistito nella realtà se la sua condizione finale è l’esistenza letteraria? Si inventa allora il suo giardino perché non c’è nessuna differenza tra un giardino famoso che non esiste più e un giardino che non è mai esistito, dal momento che entrambi in fin dei conti esisteranno per i posteri solo grazie alla scrittura. Questa è la grande potenza del , lo Scritto, che in fin dei conti è potenza creatrice, come il λóγος, il Verbo. Crea e ricrea quello che non esiste più, o che non è mai esistito. Semplicemente scrivendolo. Come ha fatto Mario Fallini il quale ha scritto e perciò, pur confondendo tutte le carte, ha creato.
PAROLE IN FORMA DI VIAGGIO Mario Mantelli Mario Fallini, tra le sue varie tecniche d’espressione, disegna con le parole. Con le parole scritte di romanzi e narrazioni delinea le figure dei personaggi e delle cose che vi compaiono. Si tratta di calligrammi, anche se, usando questo termine, il pensiero corre subito alla classica poesia a forma di coppa o di calice, che disegna questo oggetto colman– done l’ideale profilo con le parole o, meglio, facendolo scaturire dalla disposizione delle parole stesse (tipo di composizione già in uso durante l’ellenismo, più propriamente definito technopaegnion). Per le figure di Fallini, ispirate a modelli entrati in uso nel Cinquecento, è leggermente diverso: tracciate su grandi dimensioni sembrano a prima vista disegni “al tratto”, di quelli cari agli stampatori perché non hanno chiaroscuri difficili da calibrare, ma sono composte da pure linee. Solo che in questo caso, appena ci accostiamo, scopriamo che la linea è composta di parole e che, per esempio, il disegno di Rustichello (presente in mostra) è delineato dalle parole dell’inizio de Il Milione. Avvicinandoci a questi calligrammi di Fallini è come se facessimo una scoperta; la sorpresa, se già non sappiamo di che cosa si tratta, è forte, come se scorgessimo, anziché parole, una linea di formiche che vanno avanti e indietro e animano la figura. Bisognerà pertanto tener conto di tale effetto di meraviglia esaminando le opere letterarie scelte per questo tipo di disegni-trascrizioni. La meraviglia sembra essere la strada imboccata in queste opere da Fallini, a tre diversi stadi. Il primo è costituito dal “miracolo” stesso della scrittura, l’operazione magica che ci permette materialmente di trasferire nei prati bianchi della carta il seme nero di una realtà che attende solo il lettore per prendere vita. È l’operazione evocata dal famoso “indovinello dello scrittore”, che così emblematicamente ha tenuto a battesimo la letteratura italiana: «Se pareva boves, alba pratalia araba, albo versorio teneba, negro semen semenaba» (i buoi sono le dita della mano che scrive, i bianchi prati sono il supporto della scrittura, il bianco aratro è la penna d’oca, il seme nero è la scrittura).
Il secondo stadio è quello già richiamato del calligramma, la “parola dipinta”, il “visibile parlare”, così bene illustrati da Giovanni Pozzi: è voler aggiungere meraviglia a meraviglia, cioè far sì che la realtà presente sulla carta diventi analogico-visiva oltre che digital-semantica, riverbero di un’utopia per cui tutto possa essere contenuto nello scrigno dello spazio bianco della carta. Ma l’aspirazione di Fallini attinge a un terzo stadio, che consiste nell’attuare un’articolata operazione di tipo allegorico o meglio ancora emblematico in cui, sperimentando alcune questioni di ricerca icono– logica e di rapporti tra forme e contenuti, si realizzi un piccolo mondo concluso, una stanza poetica, un ambiente incantato. Per spiegarci meglio vediamo che cosa succede nella presente mostra Il Milione di Marco Polo, che si tiene nel Salone delle Compere di Palazzo San Giorgio a Genova. Siamo a due passi dal carcere in cui, secondo la tradizione attestata da una lapide, il grande viaggiatore veneziano dettò la sua opera a Rustichello da Pisa. Grazie alla duplice ospitalità del Centro Studi Ligure per le Arti e le Lettere di Bogliasco e dell’Autorità Portuale, possiamo dire che Il Milione (nella trascrizione di Fallini) è tornato a casa, presso le segrete in cui è stato scritto per la prima volta. Questo è il più avvincente valore emblematico di cui si riveste il calligramma in oggetto: riportare all’ambiente originario della sua formulazione e stesura (un moto da luogo, un movimento centripeto e claustrofilo) l’opera di narrazione per eccellenza del viaggio esotico, moto a luogo oltre ogni tipo di Colonna d’Ercole, forza centrifuga inarrestabile, sconfitta totale di qualsiasi agorafobia. Ecco che un primo cerchio si chiude: l’opera dettata dal saggio e nobile cittadino di Venezia a messer Rustico da Pisa, contesa dai traduttori di tutta Europa, ritorna presso il luogo dove i due la elaborarono, ora sotto forma di una trascrizione bizzarra, che ha qualcosa di araldico e celebrativo, un po’ come quegli affreschi che nei palazzi nobili descrivono le gesta delle famiglie che li abitano.
Ma non è il solo cerchio che si chiude; ce n’è un secondo che può spiegarci maggiormente il fascino del calligramma considerato di per sé. Le immagini che erano nella mente di Marco Polo, frutto di cose viste e di cose udite «da persone degne di fede», vengono messe in iscritto da Rustichello. Esce la parola dalla bocca di Marco Polo, si riversa nella scrittura del suo interprete. Passano i secoli e le traduzioni. Oggi Fallini trascrive a sua volta le parole stese originariamente da Rustichello, ma come liberando le immagini in esse contenute, ritornando alle figure che popolavano il “teatro della memoria” di Marco Polo. C’è una somiglianza con ciò che successe qualche anno fa con una poesia di Montale: venne tradotta in un certo numero di lingue e alla fine di questo percorso venne tradotta in italiano dall’ultima lingua a cui si era giunti. Non so se nella versione finale si cogliesse ancora qualche bagliore dell’originale e così pure è difficile dire se nelle immagini di Fallini sopravvive qualcosa di «tutte le grandissime maraviglie e gran diversitadi delle genti» che affollavano la mente del Veneziano. Se qualcosa rimane è sicuramente da ricercarsi in quell’immaginario che attraversa i secoli, costituito dalle carovane dei Magi dei presepi, dal cagnolino-mascotte presente qua e là nei più vari pittori del rinascimento (da Carpaccio a Cambiaso), dal cavallo imbizzarrito e recalcitrante, icona della ritrattistica occidentale (naturalmente dei personaggi a cavallo). C’è tutto un ponte costituito dall’arte figurativa italiana che unisce segretamente l’immaginario di Marco Polo al nostro e che unisce quindi persino le sue calzamaglie, attraverso Carpaccio, a quelle dell’illustratore Golia ne I grandi viaggiatori della collana La scala d’oro. Complice questo comune immaginario collettivo, viene a formarsi in Fallini un duplice processo di identificazione, chiaramente esplicitato nella mostra. All’ingresso del percorso (la mostra si configura come percorso) troviamo infatti che spicca isolato, su una colonna, il calligramma che rappresenta Rustichello. Questo personaggio, come l’icona di un santo, porta con sé degli attributi simbolici ben precisi: una matita, una lente, una penna d’oca in bocca. È insieme colui che scrive e il copista che interpreta; uno dei suoi strumenti, la piuma d’oca, è simbolo di velocità, leggerezza, volo pindarico da un argomento all’altro. Rustichello sta alle soglie del viaggio memorizzato, è condizione preliminare perché si svolga, è, tramite la trascrizione, guida mercuriale (psicopompo: i ricordi sono vita defunta). È fin troppo facile capire
come il calligrafo di oggi vi si identifichi. Fallini, materialmente, ha compiuto la medesima operazione di Rustichello, solo che al posto della penna d’oca ha usato un pennarello con un inchiostro di bronzina dorata, al posto di un qualche onciale dal tratto variato, uno stampatello minuscolo a tratto costante, leggermente alto e stretto. Procedendo nella mostra capiamo che l’identificazione non si ferma qui, ma si estende a Marco Polo (Rustichello non poteva attuare questa identificazione; il calligrafo d’oggi sì: come ben sappiamo noi moderni siamo come nani sulle spalle di giganti: sappiamo tutto, vediamo tutto del passato, messo a nudo semplicemente perché siamo a conoscenza di ciò che è successo dopo). O forse non è così; Marco Polo può permetterci l’identificazione con lui perché è universale. Fatto sta che nella mostra Fallini celebra la memoria, il teatro della memoria, del Veneziano non solo con la messa in opera del complesso calligramma in tre scene (più una lunga coda che esamineremo), ma accostando a esso la carta della memoria della propria intera sua opera. Questa carta della memoria è un ulteriore calligramma che ha le fattezze dell’allegoria della memoria di Cesare Ripa (autore seicentesco di un classico repertorio di iconologia) e riporta i titoli di tutte le opere composte da Fallini dai suoi inizi all’anno 2004, in cui incominciò a trascrivere Il Milione. Il doppio processo di identificazione (con Rustichello e con Marco Polo) è stato realizzato materialmente con una trascrizione, un aspetto dell’imitazione, che è una delle categorie dell’intervento parados– salmente creativo (l’imitazione come stimolo alla creatività!) di Fallini. Non è certo un caso che il nostro calligrafo nasconda il suo autoritratto nella faccia della scimmia (nel terzo pannello, sotto il cavallo imbiz– zarrito). Anche se nel Milione si parla di scimmie che «ànno viso molto simile a uomo», la scimmia del calligramma è un preciso tributo alla scimmia intesa come classica allegoria dell’imitazione (nel 1991 Fallini ha dedicato un’intera mostra al tema dell’imitazione: “De imitatione”… dal 1977, presso la Sala Comunale d’Arte Contemporanea di Alessandria, con testo di Andrea Calzolari). Altre allegorie, meno convenzionali, più sottili e permeanti, sono presenti nel Salone delle Compere. Una è quella dell’Oriente impalpabile, del suo fascino soffuso e indeterminato per noi occidentali che così poco ne sappiamo (il cavallo recalcitrante davanti all’elefante simboleggia
l’Occidente che di fronte all’Oriente prova lo spaventato stupore di chi, aprendo la porta, si trova improvvisamente davanti un individuo sconosciuto). Per noi l’Oriente è sempre quello delle Mille e una notte. In effetti il visitatore è accolto dalla proiezione, sul soffitto e sulle pareti, del calligramma di Fallini riguardante le storie di Shahrazad (esposto nel 1993 presso lo Studio Graziano Vigato di Alessandria con il titolo In nome dell’Amore, testo di Arturo Schwarz). Quindi, prima di accedere al percorso introdotto dal Rustichello-mentore, si passa davanti alle teche contenenti le spezie, che sono le ragioni stesse del viaggio e ne costituiscono il profumo mentale ancor prima che fisico: l’Oriente è innanzitutto un’aura, un’atmosfera, un aroma. È così che arriviamo all’imbocco di un tunnel formulato dagli allestitori della mostra (gli architetti Carpani Masoni Tasso) in modo da apparire, coi suoi pallets, come un’arca di tavolacci (dove sognano i prigionieri) pronta a salpare nel mare interno del salone. Dentro questo bastimento ci verranno incontro le scene disegnate dai calligrammi e ci appariranno come sinopie di un affresco ancora tutto da campire e colorare, come spire di fumo, di polvere fatta di lettere e di parole in un primo momento incomprensibili, un teatro d’ombre appena accennate, inconsistenti, da costringerci a dire: “Davvero questo viaggio è stato fatto e non è solo frutto di fantasia e fantasticheria?”. Ma, comunque sia andata, viaggio è, un viaggio concreto c’è stato, anzi, più di uno ed il visitatore è invitato a percorrere tutto il penetrale dell’arca (che allude certamente ad un percorso interiore) dove non solo si incontrano le scene di un fumigante passato di ricordi, ma si sottolinea l’interminabile lunghezza del viaggio con questo espediente: la parte terminale della trascrizione del Milione è distribuita su dieci righe lunghe ciascuna quasi diciassette metri, incorniciate assieme ad una undicesima “riga” sovrastante, che è il lungo itinerario della via della seta (percorsa da Marco Polo), una fantastica Tabula Peutingeriana (in scala relativamente alle distanze) dove l’itinerario è un nastro di seta e le tappe, le città che si incontrano, dopo Venezia fino a Xian, sono racchiuse nel simbolo di una pietra dura, con gli abbinamenti che seguono: Venezia murrina, Antiochia prenite, Palmira ambra, Hamadan agata bianca, Sharud giada, Merv ametista, Battria citrino, Tashkorgan calcedonio, Kashgar corallo rosa, Aksu turchese, Kucha rubellite, Turpan quarzo bianco (cristallo di rocca), Dunhuarg agata blu e Xian
pietra vulcanica (gesso). Il nome di queste pietre è così suggestivo che verrebbe voglia di seguire le orme de Le città invisibili di Italo Calvino (che a sua volta segue quelle di Marco Polo) per inventare nuove città invisibili: Prenite, Giada, Citrina, Calcedonia, Turchesia, Quarzia… Con Il Milione Fallini è giunto alla sua quinta trascrizione riguardante le grandi narrazioni (cfr. Andrea Calzolari, Il passo di Saturno nel catalogo della mostra antologica tenutasi a Ovada nel 2006-2007 a cura del Gruppo Due Sotto l’Ombrello). Aveva iniziato nel 1988-89 trascrivendo Il nome della rosa, in cui emerge l’intenzione di creare un manoscritto che non è mai esistito, dato che il romanzo era stato composto con la macchina da scrivere e con il computer (e si meritava questo riguardo, svolgendosi in un ambiente di amanuensi e vertendo su un manoscritto scomparso). Nel 1991-93 trascrive le Mille e una notte: vi domina il tema del talamo, ambito della narrazione di Shahrazad: la scrittura è tracciata dalla penna a sfera direttamente su un lenzuolo; si sottolinea la componente del tessuto, trascrivendo per trama e ordito, perpendicolarmente. Prende forma un primo grande calligramma, che riproduce il cavallo incantato di uno dei racconti delle Mille e una notte. La figura del cavallo fatto di parole esce come spira di fumo dalla lampada di Aladino, che consuma le sue parole in mezzo alla scrittura disposta su trama ed ordito. Dal 1994 al 2001 Fallini si dedica alla trascrizione dell’Antico e del Nuovo Testamento mediante un programma informatico che riprende le forme della sua scrittura. Il prodotto è stato serigrafato su formelle di ceramica blu con la scrittura dorata, che decorano le pareti della chiesa della SS. Annunziata ad Alessandria (progettata dagli architetti Carpani Masoni Tasso). La Scrittura viene così estesa nello spazio sacro, quasi ad avvolgere il fedele. È ancora in una chiesa, San Rocco ad Alessandria, questa volta uno spazio barocco, che viene allestita nel Natale 2007 una complessa e astratta scenografia presepiale che ha per tema da una parte i libri della sapienza umana e dall’altra le parole dei Vangeli della Natività sotto forma di un angelo (che è anche simbolicamente stella cometa). Le distanti parole che compongono l’angelo sospeso in alto potevano essere lette mediante l’uso di un cannocchiale fissato su una mensola. Ciò che colpisce di queste operazioni, al di là delle valutazioni estetiche, è il senso eroico e totalizzante dell’identificazione con il grande
scrittore. Fallini è un personaggio borgesiano come il Pierre Menard, “autore” del Don Chisciotte: «Non volle comporre un altro Chisciotte –ciò che è facile- ma il Chisciotte. Inutile specificare che non pensò mai a una trascrizione meccanica dell’originale; il suo proposito non era di copiarlo» (da Finzioni). A dimostrazione di ciò noteremo che ogni trascrizione di Fallini intende introdurre finalità allegoriche o emblematiche che mirano ad andare oltre la copiatura per indicare relazioni nuove che “avverino” l’opera riscritta. Quanto meno c’è sempre l’aspirazione a una critica del testo letterario condotta con modalità extraletterarie (i materiali, le immagini, il concettismo che mette in relazione le componenti introdotte nel gioco); ciò porta a stabilire conoscenze nuove, nessi creativi altrimenti inaccessibili fino a che il libro rimane chiuso e fermo in se stesso, nella sua forma tradizionale. La stessa spazializzazione dell’opera letteraria, che viene ad assumere una sua tridimensionalità fisica con la creazione di ambienti e scenografie diverse, dimostra la disponibilità a nuove avventure del testo trascritto, senza la quale, per esempio, Il Milione non sarebbe potuto ritornare “ritualmente” a casa.
OPERE IN MOSTRA Il Milione di Marco Polo trascrizione in calligrammi è composto da: Rustichello, foglio di cm 170 x 80 incollato su supporto cilindrico, pennarello su carta Scene di viaggio, tre pannelli ciascuno cm 300 x 190, pennarello su carta La via della seta, pannello cm 1680 x 15, pennarello su carta, nastro di seta, pietre dure Le spezie, polimetilmetacrilato, salgemma, spezie naturali Proiezioni sul soffitto dei calligrammi tratti dalla trascrizione delle Mille e una notte
La carta della Memoria, pannello cm 140 x 200, pennarello su carta Un Concettismo (estratto), DVD, min. 7 Stampa- Errore di Stampa, DVD, min. 3.30
Mario Fallini Nato ad Alessandria nel 1947, interessato al rapporto parola e immagine adatta tecniche e materiali ai suggerimenti che gli derivano da varie discipline (iconologia, mnemotecnica, critica warburghiana) traducendoli con procedimento analogico e metaforico in opere che il titolo integra in modo sostanziale. Dal 1989 dedica il suo impegno alla riscrittura mediante calligrammi di opere come Le Mille e una notte esposta con La Carta della Memoria nel 2004 nella Biblioteca dell’Università di Pisa nell’ambito del convegno tenutosi alla Scuola Normale Superiore, dal titolo Con parola brieve e con figura durante il quale presenta il video Un Concettismo. Un’altra opera significativa di riscrittura è quella che riveste le pareti della chiesa della SS.Annunziata di Alessandria (progettata dagli architetti Carpani Masoni Tasso) che, in 231 formelle di ceramica, riporta il testo integrale dell’Antico e Nuovo Testamento. Il legame della sua arte con architettura e design è un elemento fondamentale del suo percorso artistico, ideazione e tecnica si fondono nel progetto che diventa oggetto d’arte. Attualmente si sta dedicando alla realizzazione a dimensioni reali del Teatro della Memoria sulla base del testo L’Idea del Theatro di Giulio Camillo (1550).
Mostre personali 2006 Il passo di Saturno, Loggia di San Sebastiano, Ovada
1981 Flatus vocis, Galleria Nuova 13 Vigato, Alessandria L’atelier Studios, Castello dei Pio, Carpi
2005 Dolce & Salato, Sugar house, Nizza Monferrato
1978 Pirografie, Studio Fossati, Alessandria
2007 Presepe d’autore, Chiesa San Rocco, Alessandria
Un castello di immagini, Spazio due sotto l’ombrello, Ovada
2004 La carta della memoria, Fondazione Bogliasco, Bogliasco 2002 Le due età, Studio Vigato, Alessandria 2001 Cibus Tec, Ente Fiere, Parma
2000 Solve et Coagula, Ludoteca Comunale, Torino
1999 Gola e lussuria, Over Studio, Torino Loft Art Tacchella, Alessandria 1998 Critica del gusto, Fratelli La Cozza, Torino 1997 Pizza Tec, Berlino Grafica, Triangolo Nero, Alessandria
1995 Critica del gusto, Il Mulino, Alessandria
1993 In nome dell’amore, Studio Vigato, Alessandria
1991 ... Imitazione dal 1977, Sala Comunale d’Arte Contemporanea, Alessandria
1990 Vetri, Studio Repetto, Alessandria
1988 Allegorie del post-moderno, Triangolo nero, Alessandria 1987 Allegorie del post-moderno, L’Infinito, Parma
1985 La fissazione dell’incorreggibile Mercurio, Graziano Vigato, Alessandria 1984 Rondò, Galleria Chisel, Genova Sogno, visione, caduta, Cristina Busi, Chiavari
1983 Liaison, Unione Culturale Antonicelli, Torino
1982 Puzzle, Sala Comunale d’Arte, Serravalle Scrivia
1979 Interno, Studio Fossati, Alessandria
Mostre collettive e a tema
1992
Ornamenta, Castello di Belgioioso
2008
Il mercato della crisi, Galleria Unimedia, Genova
Ceramica in celle, Celle Ligure
Different opinion, Viafarini, Milano
Il nostro canto libero, Spazio culturale, Cascina Grande, Rozzano
1991
I torchi gli inchiostri le carte, Sale espositive Comune di Alessandria
Con parola brieve e con figura, Biblioteca Università di Pisa
1988
Il sogno di Aleramo, Castello, Barolo
1987
10° Premio Internazionale per l’incisione, Biella
Food art, Over studio, Torino
1985
Expo Bari, Francesca Monti, Macerata
Finchè c’è morte c’è speranza, Pio Monti, Roma
Arte da mangiare mangiare arte, Chiostri dell’Umanitaria, Milano
1984
Finchè c’è morte c’è speranza, Flash Art Museum, Trevi
La verità della nostalgia, Graziano Vigato, Alessandria
1995
Arte Fiera, Bologna, Graziano Vigato, Alessandria
1993
Attualissima, Fortezza da Basso, Firenze
1981
2007
2005 Macef, Stand Bussetti & Mazza, Milano
2004
Un concettismo, Scuola Normale Superiore, Pisa
Ars locus solus, Over Studio, Torino
Food design, One off, Torino
2003
2000
Bianca Maria Rizzi, Milano
1999
Pit stop, Over Studio, Torino
Libri d’Artista, Galleria d’Arte Modena, Torino
Arte Industria, Rocca Trecentesca, Riolo Terme
1998 1997
1996 Ai confini della terra, Flash Art Museum, Trevi
1983
Natività, Cooperativa Ceramica, Imola
1982
Libro e segnalibro, Museo dell’Informazione, Senigallia
Carta dell’Artista, Castello di Belgioioso Scacchiera, Galleria Unimedia, Genova
La fortezza di vetro, Fortezza del Priamar, Savona Le gioie dell’occhio, Graziano Vigato, Alessandria
Avamposti, Galleria Studentskog Centra, Zagabria Istituto Italiano di Cultura, Belgrado
Sebastiano o dell’ambiguità, Triangolo Nero, Alessandria Arte Fiera, Bologna, Francesca Monti, Macerata Chartae, Graziano Vigato, Alessandria
Seetal Internazionale Kunstbiennale, Meisterschwanden
La persistenza del mito, Centro Comunale di Cultura, Valenza L’occhio sull’immagine, Cala Fieschi, Sestri Levante Linee di scambio, Palazzo Farnese, Ortona
Arte Italiana Contemporanea, Galleria Unimedia, Genova L’unicorno, Pio Monti, Roma
Uomini scimmie e robot, Meeting 83, Rimini
Artisti della memoria, Graziano Vigato, Alessandria
La verità della nostalgia, Graziano Vigato, Alessandria Libro d’artista, Metrònom, Barcellona
Libro d’artista, Centre G. Pompidou, Parigi
Finito di stampare nel mese di novembre da - astigrafica 0141.21.04.94 -