Pier Luigi del Viscovo con una prefazione di Romano Valente
Un giro in macchina
2017
Articoli pubblicati su Il Sole 24 Ore, il Giornale, InterAuto News, La Repubblica, Guida alla sicurezza e Harvard Business Review
Loro tre
SOMMARIO PREFAZIONE 11 INTRODUZIONE 13 UN GIRO IN MACCHINA 2017
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NON SOLO PRODOTTO: IL CLIENTE CERCA VALORE ANCHE NELLA VENDITA E NEL POST-VENDITA 17 Analisi sul mercato a valore 2016. AUTO RECORD: IL MERCATO ITALIANO VALE 36,5 MILIARDI DI EURO
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36,5 MILIARDI DI EURO PER COMPRARE AUTO NUOVE Ecco quanto hanno speso gli italiani nel 2016 per rinnovare il parco auto.
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CRUSCOTTO DI FEBBRAIO
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CONTINUA LA CORSA DELLE AUTO INTESTATE A SOCIETÀ E NOLEGGIATORI La fine del super-ammortamento (tranne che per gli operatori) non sgonfia gli acquisti business ma le stime 2017 sono prudenti.
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LE FLOTTE COMMERCIALI BRINDANO AGLI INCENTIVI 31 Immatricolazioni record sia per i mezzi pesanti, sia per quelli leggeri nel 2016. PSA COMPRA OPEL, TUTTI I MOTIVI DI UN’OPERAZIONE CONTROVERSA 34 L’acquisizione della casa del lampo, sotto gli aspetti industriali, politici e commerciali. CON 2,5 MILIONI DI POTENZIALI CLIENTI, LA CONCESSIONARIA COME LUOGO PER OSPITARE LA VENDITA DI USATO TRA PRIVATI 38 5
UN GIRO IN MACCHINA 2017 CRUSCOTTO DI APRILE
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IL NOLEGGIO NON È UNA BOLLA, ECCO IL PERCHÈ Le vendite agli operatori possono ancora crescere e continuare a conquistare nuovi clienti: privati e partite IVA.
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L’AUTO PERSONALIZZATA SI CONFIGURA SULLO STILE DI GUIDA DEL SUO DRIVER
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LO SMARTPHONE INTEGRATO SÌ, MA PER UTILITÀ, NON PER GIOCARE
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LE CARATTERISTICHE IN EVOLUZIONE DELL’OFFERTA DI MOBILITÀ DI COSTRUTTORI E GESTORI DI FLOTTE In un contesto sociale ed economico in forte cambiamento, emerge come sempre più forte l’attenzione a fattori come l’ambiente e la sicurezza. Mentre crescono le formule di car sharing.
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INTEGRAZIONE 57 Auto e smartphone, possesso e utilizzo, forme diverse di mobilità: è sempre più centrale far lavorare insieme sistemi diversi per rendere più completo il servizio al cliente. PERSONALIZZARE I TEMPI DELLO SMARTPHONE, OVVERO: PRODOTTI E SERVIZI STANDARD MA ACCOPPIATI SU MISURA
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USATO. STOCK CRESCIUTI MA LA GIACENZA È IN CALO In 2 anni l’incidenza sul fatturato è salita del 4%.
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PRIVATI E KM0, PROVIAMO A FARE UN PO’ D’ORDINE Il fenomeno dei “saldi” rischia di falsare due mercati.
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AUTO A “KM0”, UNA PRATICA CHE NON DURERÀ E COSTERÀ CARA 6
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QUANTO CI COSTEREBBE L’(EVENTUALE) ADDIO AI MOTORI DIESEL
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LA GUERRA AL DIESEL HA UN CONTO SALATO Gasolio. L’impatto del suo declino.
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A PICCOLI PASSI VERSO LA MOBILITÀ SOSTENIBILE Investire in strade, parcheggi, intermodalità e furgoni elettrici aiuterebbe l’ambiente più dei blocchi auto estemporanei.
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DANIELE SCHILLACI (NISSAN): “SULLE AUTO ELETTRICHE DECIDERÀ IL CLIENTE, MA LA RIVOLUZIONE È GIÀ QUI” FLEET&MOBILITY, CRESCE LA SPESA PER LE AUTO NUOVE Nel 2016 gli italiani hanno speso per ogni auto oltre 500 euro in più rispetto all’ anno precedente.
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LEASING E NLT IN FORTE CRESCITA 85 Giro d’affari in crescita a due cifre nel 2016 per entrambi i segmenti:+ 10% e +28%. SUV, UN MERCATO STRATEGICO CHE CRESCE A DOPPIA CIFRA 89 LE AUTO DEL CAR SHARING PARCHEGGIATE PER 22 ORE
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IL MERCATO AUTO AVANZA, E ANCHE BENE. MA CHE FATICA!
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AUTO A KM0, ECCO COME CAMBIA IL MERCATO E L’INDUSTRIA 96 ELETTRICO, PREVALGONO LE PERPLESSITÀ
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AUTO “VINTAGE” TRA SUCCESSI E FORZATURE
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SCOMMESSA VINTA GRAZIE A TECNOLOGIA E DESIGN Ecco come la scomparsa dei dazi europei è servita a migliorare la qualità dell’offerta.
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UN GIRO IN MACCHINA 2017 GLI ACQUISTI “NASCOSTI” DELLE FAMIGLIE
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I NUMERI VERI DELLE ELETTRICHE Le vetture alla spina conquistano spazio nelle strategie delle case ma i dati di vendita restano confinati ad una nicchia ed è soprattutto la Cina ad accelerare nella trasformazione.
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SE L’EUROPA RISCHIA DI INDEBOLIRSI
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SEGMENTO BUSINESS SEMPRE PIÙ CENTRALE 116 Senza km zero e gli extra-volumi del noleggio a breve termine (trainati dal super-ammortamento) il 2017 chiuderebbe positivo di pochi decimali. L’E-COMMERCE CAMBIERÀ VOLTO AI MERCATI DELL’AUTO E DEL NOLEGGIO 119 NEL NOLEGGIO A “VALORE” VINCONO I TEDESCHI
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IL LONG RENT CROCE E DELIZIA DELLE CASE AUTOMOBILISTICHE
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EFFETTO AMAZON SUI VEICOLI INDUSTRIALI
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IN STRADA NEL 2050 CIRCOLERANNO SOLTANTO AUTOMOBILI 129 ALLA “SPINA” AUTO ELETTRICHE, IL NUOVO AMORE DEGLI ITALIANI. MA È SOLO UN SONDAGGIO
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C’È CHI SOGNA UNA CITTÀ SENZA AUTO
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LA DIASPORA DELL’AUTOMOBILE
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AUTOVETTURE SUL WEB: I DEALER AFFRONTANO LA SFIDA
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RIVOLUZIONE HI-TECH NEI CONCESSIONARI 140 Le nuove tecnologie trasformano il modo di proporre e vendere autovetture, il cui acquisto è stato in realtà deciso online da clienti sempre più consapevoli. LE SOCIETÀ COMPRANO IL 30% IN PIÙ? NON PROPRIO I dati sulle auto immatricolate da interpretare.
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DA EVITARE LE FUGHE IN AVANTI
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CON IL 2018 L’OBBLIGO DELL’E-CALL
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IL MITO DEL MERCATO A QUOTA DUE MILIONI DI IMMATRICOLAZIONI
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TRIBUTI 157
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PREFAZIONE Ero quasi al termine della mia giornata di lavoro, quando il prof. del Viscovo mi chiamò per chiedermi di scrivere la prefazione al suo libro “Un giro in macchina”, una interessante e ben curata raccolta di articoli redatti e pubblicati su alcune delle più autorevoli testate giornalistiche italiane nel 2017. Il libro 2016 lo avevo letto subito, almeno le prime 118 pagine come avevo confessato il giorno della presentazione ed erano state pagine che erano scorse veloci nel racconto di un anno di storia della mobilità italiana. Così, alla gentile domanda del prof. del Viscovo non ho avuto dubbi nel dare una risposta affermativa e dopo un po’ ho cominciato a raccogliere le idee. La prima parola che mi è venuta in mente di fronte al libro è stata “Enciclopedia”, pensando alla sua etimologia latina encyclopaedia che in realtà risale all’etimo greco coniato da Plutarco per indicare una “conoscenza che abbraccia un intero ciclo”. Perché infatti, fuori dalla metafora, il libro abbraccia un periodo significativamente lungo, un anno, ma cruciale nello sviluppo della mobilità, perché proprio nel 2017 molteplici ed articolate sono state le dinamiche che hanno riguardato il settore automotive. Il libro, attraverso la raccolta degli articoli pubblicati su alcuni autorevoli quotidiani nazionali e alcuni periodici, ripercorre queste vicende fornendo analisi, prospettive dal punto di vista del ricercatore, attento a cogliere i nuovi elementi di tendenza per cercare di descrivere più compiutamente la direzione che l’evoluzione della mobilità sta prendendo. D’altro canto è noto come l’auto sia al centro di una rivoluzione epocale, la parola più usata per indicare questa fase è appunto 11
UN GIRO IN MACCHINA 2017
disruption che ben descrive la discontinuità di un approccio convenzionale a metodi e processi, in modo da accelerare un cambiamento. Il cambiamento in atto non abbraccia solo lo stile, il design, quindi le motivazioni d’acquisto più tradizionali, ma evolve verso l’offerta di nuove tecnologie, per rispondere all’esigenza di una maggiore attenzione all’ambiente e alla sicurezza senza trascurare la prospettiva di una sostenibilità economica per le aziende e le persone. Così, gli articoli del prof. del Viscovo approfondiscono progressivamente le nuove aspettative dei clienti, le dinamiche delle nuove formule di acquisto o di possesso attraverso le analisi della performance dei vari canali di vendita, con i relativi riflessi sulle attività della Concessionaria, non solo nell’area più tipica della vendita, ma anche in quella più cruciale della gestione del post vendita e dell’usato, per raccordarsi con le prospettive dei costruttori sulla evoluzione della mobilità, una mobilità sempre più integrata, connessa e condivisa. Così il libro lascia aperta la domanda: ma allora, come sarà il futuro dell’auto? E a questa domanda è facile rispondere con un beneaugurante: lo vedremo raccontato nel prossimo libro! Un complimento al prof. del Viscovo e l’augurio di una piacevole consultazione ai suoi lettori. Prosit! Ing. Romano Valente Direttore Generale UNRAE
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INTRODUZIONE Una raccolta di articoli su un settore non è tanto una costruzione dell’autore, lo sviluppo di un pensiero, di una tesi, quanto invece il quadro di ciò che un anno ha proposto all’attualità. Non è l’autore che sceglie da un menù ideale cosa raccontare. Egli si trova seduto a un pranzo dove il menù è deciso da altri e viene svelato di portata in portata. Questa raccolta è un po’ rivivere, o almeno ricordare, cosa ci ha portato il 2017. Cosa ci ha lasciato, invece, è una valutazione che rimane nel giudizio di ciascun lettore, che vorrà avere la pazienza di sfogliare o addirittura leggere questi brevi interventi. Leggerà di mercato. L’analisi del valore, che ha fatto emergere l’affermazione dei SUV, i quali hanno spinto in alto il prezzo medio delle auto e dunque il valore complessivo del mercato, ben oltre quello che indicano le statistiche dei volumi. Ma non solo. Il 2017 è stato l’anno del trionfo dei km0, della grande abbuffata che ha portato indigestione, con i propositi, alla chiusura, di non farlo più, non in maniera esagerata, perché costano troppo. Gli articoli hanno riportato che i privati non hanno ceduto quota di mercato: 62% era e 62% è stata, considerando il surplus di km0 che hanno comprato come usato. Leggerà di mobilità sostenibile, perseguibile con l’elettrificazione dei veicoli commerciali leggeri e con interventi per fluidificare il traffico e agevolare la ricerca di parcheggio, questi ultimi responsabili insieme di un 1/3 della circolazione automobilistica (e delle relative emissioni). Leggerà di elettrico. Di come non abbia funzionato l’offerta dei costruttori, di quale disegno di politica industriale abbia la Cina, delle fantasiose previsioni con cui le grandi società di consulenza ambiscono a ottenere incarichi milionari dai grandi investitori da13
UN GIRO IN MACCHINA 2017
gli occhi a mandorla, della centralità del cliente affermata da uno dei manager più importanti dell’auto elettrica, e dunque del grande assente che ha fatto di questa una partita sempre annunciata a mai giocata: il bisogno del consumatore di passare a un propulsore elettrico. Leggerà di diesel. Una brutta storia appena cominciata. Storia di disinformazione, di mistificazione della realtà, di assenza di fact checking in molti altri organi d’informazione. Una storia dove la sensibilità per l’ambiente viene immolata sull’altare del consenso e dell’ideologia. Una storia di opinioni che danneggiano sia la salute sia l’economia, a volte (ma solo a volte) inconsapevolmente. Leggerà dell’acquisizione di Opel da parte di PSA. La fine della mission impossible di GM in Europa. Delle sue implicazioni e delle sue motivazioni, industriali ma anche politiche. Punta di un iceberg di corteggiamenti incrociati, di cui poco e nulla trapela, ma che sono magari alla base della frenesia di aumentare l’utilizzo degli impianti produttivi, da cui i km0. Leggerà di innovazione telematica e di car sharing, ma anche di guida assistita e autonoma, due cose apparentemente simili, in realtà separate e diverse come poche altre. Di come le varie innovazioni procedano parallele, non concatenate, se non nella mente fertile di chi fugge dalla realtà del presente verso un futuro immaginifico (che non si nega a nessuno), inseguito non si capisce da chi o da cosa. Leggerà anche di noleggio. Di come il NLT in particolare si stia affermando tra gli individuals, con o senza partita IVA. Di quanto ciò stia alterando equilibri importanti nel sistema distributivo. Di cui leggeremo ancora, perché è solo l’inizio. Legge fin d’ora della mia gratitudine per tanta immeritata attenzione. Pier Luigi del Viscovo 14
UN GIRO IN MACCHINA 2017
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NON SOLO PRODOTTO: IL CLIENTE CERCA VALORE ANCHE NELLA VENDITA E NEL POST-VENDITA Analisi sul mercato a valore 2016.
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he significa per un concessionario che il 2016 ha segnato il terzo giro d’affari più alto di sempre (36,5 miliardi di euro) con un numero di immatricolazioni che nemmeno si avvicina a quei 2 milioni, che appena pochi anni fa venivano indicati come soglia minima, sotto la quale la rete distributiva non avrebbe retto – come in effetti è stato? Significa lavorare con un cliente che ha un po’ cambiato il suo approccio, con implicazioni nella vendita ma anche – forse soprattutto – nel post-vendita. L’analisi, frutto di un’elaborazione del Centro Studi Fleet&Mobility basata sui dati Unrae, indica che il segmento C (12,3 miliardi) ha sorpassato il segmento B (10,6), dopo averlo affiancato nel 2015, in termini di valore. Questo porta l’Italia a somigliare di più all’Europa, dove questo è da decenni il segmento centrale del mercato. Insieme i segmenti C e D, con 19,7 miliardi, valgono il 54% della spesa degli italiani, mentre A e B (le utilitarie) pesano ormai meno del 40%. I volumi raccontano una storia diversa, ovviamente, ma i bilanci e gli stipendi si fanno con i soldi, non con i volumi. Questi fenomeni sono il frutto di una concentrazione della spesa sulle auto di fascia media e medio-alta, con una crescita del 26% rispetto al 2015 (anche il segmento E ha superato i 2 miliardi di valore, con una crescita pari al 21%). Per converso, la spesa per utilitarie è aumentata meno del 10%, complessivamente. Perché i clienti hanno modificato le scelte 17
UN GIRO IN MACCHINA 2017
d’acquisto in maniera così sensibile? Ci sono più ragioni, alcune strutturali e di lungo periodo, ma una è congiunturale. Partiamo proprio da questa, la più evidente: il super-ammortamento. Le società hanno approfittato dell’offerta. Alcuni hanno anticipato l’acquisto, entrando sul mercato anche se magari avevano in programma di farlo più avanti. È questo lo scopo di una promozione, quale è l’incentivo fiscale. Altri, che avrebbero comunque cambiato la macchina nel 2016, hanno solo ricevuto un beneficio fiscale, senza alcun ritorno per il comparto. Va bene, rientra nel costo di una promozione. Ricordiamo sempre che questa promozione, come tutti gli interventi fiscali, è stata finanziata con i soldi dei contribuenti. E ricordiamo anche che quando un cliente anticipa un acquisto siamo contenti, ma ci aspettiamo che nel periodo immediatamente successivo il suo acquisto verrà a mancare. Le extra targhe del 2016 delle società saranno scontate nel 2017. Un’altra ragione è la crescita degli acquisti del noleggio, che effettivamente c’è stata. Qui sono opportune due considerazioni. 1) Il noleggio non è un fenomeno avulso dal mercato auto, ma solo un canale attraverso cui gli automobilisti entrano nella disponibilità di un’auto – occasionalmente, quando scelgono di non usare l’auto propria, ovvero stabilmente, nel caso del NLT. Ergo, le scelte dei noleggiatori riflettono quelle dei loro clienti, più o meno direttamente. 2) Sul totale degli acquisti del noleggio le utilitarie pesano, in volume, tra il 40 (NLT) e il 50% (rent-a-car). Complessivamente, noleggio e società nel 2016 hanno incrementato i loro acquisti rispetto al 2015 di 126.000 unità, di cui circa una metà è identificabile con vetture medie e medio-alte (diciamo 60/65.000) mentre i segmenti C e D sono cresciuti di ben 162.000 unità, di cui circa 100.000 acquistate dai privati. 18
Questo ci porta all’altra ragione, strutturale e trasversale a tutti i canali: l’orientamento dei clienti verso automobili più trendy, più cool, che piacciono. Grazie al miglior invecchiamento delle auto in circolazione, agevolato pure dalle minori percorrenze medie, pare proprio che i consumatori siano disposti a cambiare l’auto a patto di poter prendere un SUV o un Crossover (aumentati del 26% arrivando a mezzo milione di unità) o, più in generale, di scegliere una versione meglio allestita. Anche se costa di più. Questa è una notizia positiva, che conferma una strategia precisa per i concessionari: dedicare più tempo e di miglior qualità al cliente che acquista. Agganciarlo magari online e poi stabilire e mantenere una relazione integrata, online e offline, in modo da adeguarsi alle sue esigenze e rispondere con competenza e tempestività alle domande. Questa attenzione, sia ben chiaro, non è un costo da sostenere sull’altare della vendita, bensì è l’opportunità, forse unica, che la concessionaria ha per far capire al cliente che gli conviene stabilire e conservare questa relazione, anche a discapito di qualche piccola convenienza economica. Se la vendita online nei prossimi anni non metterà all’angolo le concessionarie, ma le terrà dentro il processo come tutti ci auguriamo, sarà per quel valore che in queste trattative essa stessa sarà stata capace di far percepire al cliente. In conclusione, questa ripresa del mercato ci ha consegnato un cliente orientato più di prima al valore e alla qualità, intesa non solo in senso tecnico ma anche e soprattutto come estetica e confort. Non è difficile immaginare che questo cliente sarà molto più esigente anche nella fase del post-vendita, che dovrà essere sempre più hassle-free (rapida, semplice, senza problemi) più che low cost.
Articolo pubblicato su InterAutoNews, a gennaio 2017 19
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Fonte: Centro Studi Fleet&Mobility 20
AUTO RECORD: IL MERCATO ITALIANO VALE 36,5 MILIARDI DI EURO
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l 2016 è stato il terzo anno migliore di sempre per il mercato auto. Non per numero di immatricolazioni, ancora ben al di sotto dei fatidici 2 milioni e della media del decennio scorso di 2,3 milioni all’anno, ma per il giro d’affari: 36,5 miliardi di euro, secondo le prime stime del Centro Studi Fleet&Mobility. Solo il 2007 e il 2008 hanno fatto meglio, ma con 2,5 e 2,2 milioni di targhe, rispettivamente. La crescita complessiva del mercato, in valore, è stata del 18% sui 12 mesi, oltre due punti in più della crescita in volume. La ragione di questa nuova fisionomia dei consumi di auto (meno volumi ma più soldi) sta principalmente nelle scelte d’acquisto degli Italiani: più vetture medie e grandi e meno vetture piccole e utilitarie e, tra le utilitarie, auto più trendy e versioni più accessoriate di serie. Con appena 1.825.000 immatricolazioni, questo risultato è stato raggiunto grazie a un prezzo medio, al netto degli sconti ma senza gli optional, che arriva quasi a 20.000 euro. Questo cambiamento è cominciato già due anni fa e pare destinato a durare. È un bene, perchè comprare prodotti migliori è un segno di apprezzamento dell’automobile e di riscoperta del piacere di guidare e andare in macchina. L’altra ragione è stata il super-ammortamento, che ha spinto le società, che si orientano in media su modelli medio-grandi, a cambiare la macchina. Questa ragione è congiunturale e probabilmente sarà scontata nel prossimo anno. Questo miglioramento di valore dei ricavi si sposa poi con una 21
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struttura dei costi delle concessionarie decisamente migliorata, grazie alla cura da cavallo a cui la crisi ha sottoposto il sistema distributivo italiano. Analisi accurate parlano di una contrazione delle concessionarie e dei saloni di vendita nell’ordine del 28% e del 19%, rispettivamente, tanto che già un anno fa Federauto denunciava la perdita di oltre 20.000 addetti nel settore. Passando all’analisi dei dati, emerge che la crescita viene per oltre il 70% (4 miliardi) dai due segmenti centrali, le vetture medie e medie superiori, entrambi cresciuti del 26% rispetto all’anno precedente, con un prezzo medio di 21.600 e 32.600 euro, rispettivamente. I segmenti C e D pesano in valore il 54% del totale (era il 51 lo scorso anno), mentre le utilitarie e le piccole, segmenti B e A, sono al 39% (erano al 43). Infatti, il loro contributo alla crescita è stato decisamente più contenuto, poco oltre 1,2 miliardi di euro, con un apprezzamento rispetto al 2015 pari al 9,4%, ben al di sotto della media del mercato. Oltre al diverso mix di vetture, il 2016 è stato anche caratterizzato dalla crescita dei canali società, grazie al super-ammortamento, e noleggio, che sono arrivati a pesare in valore il 21 e il 20% rispettivamente, spingendo la quota dei privati al 59%. Tuttavia, giustificare il cambio di preferenze verso vetture medio-grandi con queste dinamiche di canale sarebbe fuorviante, per varie ragioni. Innanzitutto, i segmenti C e D sono aumentati di 162.000 unità, mentre società e noleggio insieme hanno immatricolato 126.000 unità in più. Inoltre, non tutti gli acquisti dei noleggiatori e delle imprese vanno in quei segmenti, ma solo una parte (per quanto maggiore di quella dei privati). Infine, se per le società si è trattato solo di un’anticipazione per approfittare del vantaggio fiscale, il NLT è né più né meno che un canale di acquisizione: se il cliente di un’auto medio-grande è passato dall’acquisto al noleggio, in un mercato a somma zero il suo ac22
quisto sarebbe venuto a mancare negli altri canali, mentre così non è stato. Insomma, l’orientamento verso auto più grandi e di maggior valore (SUV e Crossover) è reale e interessa tutte le fasce di clientela.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 2 gennaio 2017
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36,5 MILIARDI DI EURO PER COMPRARE AUTO NUOVE Ecco quanto hanno speso gli italiani nel 2016 per rinnovare il parco auto.
“S
ono 36,5 i miliardi di euro spesi in Italia nel 2016 per acquistare nuove automobili, 5,6 miliardi in più del 2015. È il terzo anno migliore di sempre per questo mercato, che solo nel 2007 e nel 2008 aveva prodotto un giro d’affari maggiore”: così il Centro Studi Fleet&Mobility, analizza le vendite del mercato italiano e spiega che con appena 1.825.000 immatricolazioni, questo risultato è stato raggiunto grazie a un prezzo medio netto, al netto degli sconti ma senza gli optional, che arriva quasi a 20.000 euro. “La crescita - spiegano gli analisti - viene per oltre il 70% (4 miliardi) dai due segmenti centrali, le vetture medie e medie superiori, entrambi cresciuti del 26% rispetto all’anno precedente. Con un prezzo medio di 21.600 e 32.600 euro, rispettivamente, questo fenomeno ha portato la crescita complessiva del mercato, in valore, al 18% sui 12 mesi, oltre due punti in più della crescita in volume. Il contributo delle piccole e utilitarie è stato invece decisamente più contenuto, poco oltre 1,2 miliardi di euro, con un apprezzamento rispetto al 2015 pari al 9,4%, ben al di sotto della media del mercato”. “Gli Italiani acquistano meno auto che nel decennio scorso, ma le vogliono più trendy – sostiene Pier Luigi del Viscovo, direttore del Centro Studi Fleet&Mobility – ossia più SUV e Crossover e comunque meglio equipaggiate anche nelle dotazioni di serie. Questo porta a un prezzo medio più elevato, che significa anche più margini per unità venduta”. Intervista a Pier Luigi del Viscovo, pubblicata su la Repubblica, il 3 gennaio 2017 24
CRUSCOTTO DI FEBBRAIO
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 21 febbraio 2017 25
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CONTINUA LA CORSA DELLE AUTO INTESTATE A SOCIETÀ E NOLEGGIATORI La fine del super-ammortamento (tranne che per gli operatori) non sgonfia gli acquisti business ma le stime 2017 sono prudenti.
A
guardarlo adesso è tutto chiaro, ma il 2016 è stato nel suo corso un anno piuttosto articolato. È iniziato con le società e le partite IVA che si affacciavano più del solito all’acquisto (eventualmente con leasing), sulla spinta della convenienza fiscale del super-ammortamento. Questo qualche preoccupazione alle aziende di NLT l’ha procurata, anche se poi hanno visto che il loro trend di crescita proseguiva, alimentato da nuovi clienti che sceglievano questa formula per cambiare la macchina. Sul finire dell’anno, a novembre e dicembre, quando è stato chiaro che l’incentivo non sarebbe stato riproposto nel 2017, c’è stato poi un rush a cambiare l’auto da parte di chiunque poteva usufruirne e che avrebbe comunque sostituito l’auto nel corso del nuovo anno. Nel mezzo, i costruttori hanno spinto al massimo sui km0, dopo aver esaurito le consegne frutto dei loro incentivi ai privati della prima parte dell’anno. Queste vendite, aumentate di oltre 50.000 unità rispetto al 2015, hanno avuto il duplice effetto di gonfiare le statistiche del canale società e deprimere quelle dei privati, a cui comunque dopo un paio di mesi erano destinate queste macchine. Le auto aziendali, che statisticamente individuiamo nelle immatricolazioni alle società e ai noleggiatori, hanno prodotto nel 2016 un risultato storico. In termini di volumi hanno pesato per il 38% dell’intero mercato, con ben 689.000 immatricolazioni, frutto di una crescita del 21% rispetto all’anno precedente. In valore, le elaborazioni del Centro Studi Fleet&Mobility sui dati 27
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Unrae indicano in 15 miliardi di euro il giro d’affari legato agli acquisti di società e noleggiatori, in aumento del 26% rispetto al 2015. Questo ha portato il loro peso in valore al 41% delle vendite. Entrando in ulteriori dettagli, osserviamo che il NLT ha sfiorato le 230.000 immatricolazioni, con un balzo del 18% rispetto al 2015. A riguardo, è opportuno chiarire che questa formula non doveva scontare più di tanto il calo degli anni di crisi, proprio per la natura del prodotto che, non dando al cliente la proprietà dell’auto, non gli consente nemmeno di tenerla “a costo zero” dopo aver esaurito il finanziamento o il leasing. Pertanto, essendo obbligato al pagamento di un canone per avere la disponibilità dell’auto, il cliente può scegliere se pagarlo per un’auto nuova ovvero se prolungare il contratto della vecchia, pagando comunque ogni mese. Anche per questo motivo il NLT non ha subito, negli anni di crisi, una flessione paragonabile a quella registrata per le società e per i privati. Di conseguenza, non aveva nemmeno accumulato un potenziale significativo di rinnovi da scaricare poi in questo periodo di ripresa. Per concludere sul punto, la crescita del NLT di questi anni non trova la sua causa in una flessione di anni recenti, bensì nella acquisizione di nuove fasce di clientela. Come ha spiegato anche Alessandro Grosso, direttore di FCA Italia per le vendite flotte e business, “gli operatori stanno spingendo oltre che sulle PMI anche sui privati. Nel 2016, per quanto riguarda FCA, questo segmento ha assorbito circa 3.500 auto, con due operazioni, Be Free e 4Season, che sono state attivate a metà anno e che hanno riscosso il favore degli operatori e dei clienti”. Si guarda dunque alle esigenze dei clienti di domani, che porteranno notevoli cambiamenti. Proprio su questo ha definito la missione dell’Aniasa (l’Associazione Nazionale Industria dell’Autonoleggio e Servizi Automobilistici, che all’interno di Confindustria rappresenta il settore dei servizi di mobilità: noleggio veicoli a lungo termine, rent-a-car, car sharing, fleet management e altri 28
servizi nell’automotive) il neo-presidente Andrea Cardinali, presidente e amministratore delegato di Alphabet Italia, che succede a Fabrizio Ruggiero con un incarico quadriennale (2017-2020): “La sfida principale per un’associazione che ha da poco celebrato il primo mezzo secolo di vita è tenere il passo con i cambiamenti epocali in corso nell’era della rivoluzione digitale. La parola d’ordine è dunque, obbligatoriamente, modernizzazione. Obiettivo primario del mio mandato sarà ampliare la base associativa, in senso non solo verticale ma anche orizzontale, superando le barriere tradizionali per attrarre operatori legati sia alla mobilità più classica che a quella più innovativa, mantenendo però la coesione interna della compagine”. In tema di modernizzazione e mobilità innovativa, addirittura “un automobilista su 5 prevede in futuro di rinunciare all’auto propria esclusiva (proprietà o noleggio che sia) per avvalersi di auto da usare quando serve, tipo il car sharing, anche integrandola con altri mezzi (taxi, mezzi pubblici, altro)”, secondo quanto riportato da Enrico Billi di Ipsos, che ha condotto un sondaggio esclusivo inserito nel programma di ricerca promosso da AgitaLab. Però al futuro bisogna arrivarci, passando per il 2017, che non dovrebbe tenere il ritmo sostenuto dello scorso anno, almeno secondo Grosso: “In relazione a tutto il 2017 stiamo ragionando su un incremento modesto delle immatricolazioni aziendali rispetto allo scorso anno, e anche per il canale dei noleggiatori a lungo termine è ipotizzabile una crescita modesta rispetto all’anno appena concluso. In particolare, ci aspettiamo un primo trimestre in linea con lo stesso periodo del 2016. C’è stato un effetto anticipo delle società a novembre e dicembre, coloro che avrebbero dovuto cambiare l’auto in questi primi mesi dell’anno ormai l’hanno già fatto. Inoltre è ipotizzabile che, nonostante non vi sia più il beneficio del super-ammortamento, le flotte che ancora sono in proprietà continueranno ad esserlo”. Dal versante noleggio, Cardinali afferma che “nel 2017 la quota noleggio resterà stabile al 20%, dunque i volumi potrebbero aumentare se l’intero mercato lo farà”. 29
UN GIRO IN MACCHINA 2017
Sul fronte dei prezzi, alias canoni di NLT, sarà interessante osservare se e come i noleggiatori utilizzeranno il beneficio del super-ammortamento, ora che di fatto sono gli unici ad averlo, se si escludono le auto strumentali, che sono marginali. Potrebbero scoprire che abbassare i prezzi è piÚ semplice che alzarli.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 21 febbraio 2017
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LE FLOTTE COMMERCIALI BRINDANO AGLI INCENTIVI Immatricolazioni record sia per i mezzi pesanti, sia per quelli leggeri nel 2016.
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ltre 23.000 camion con massa totale a terra superiore ai 35 quintali immatricolati nell’anno rispetto ai 15.000 del 2015, pari a +52%. Di questi 18.000 sono mezzi pesanti, con massa totale superiore a 16 tonnellate, che nel 2015 non avevano raggiunto le 12.000 immatricolazioni. Una crescita anno su anno di oltre il 50% è un fatto eccezionale per ogni mercato. Se poi si tratta di camion, allora qualche spiegazione è d’obbligo. “Non possiamo non essere soddisfatti del risultato” ha dichiarato Franco Fenoglio, Presidente della Sezione Veicoli Industriali di UNRAE, l’Associazione delle Case estere. “In particolare, risalta il risultato di dicembre che denota un incremento, in assoluto e in confronto con gli altri mesi, davvero eccezionale, dovuto alle misure adottate dal Governo sia in materia fiscale, come il super-ammortamento, che di sostegno al mercato con gli incentivi all’acquisto”. Anche i concessionari sono stati molto soddisfatti della domanda, come spiega Gianandrea Ferrajoli, coordinatore di Federauto Trucks, la cui analisi va anche oltre: “Gli effetti del super-ammortamento e della nuova Sabatini si sono sentiti anche sul rinnovo del parco circolante che resta, comunque, non al passo con il resto d’Europa. Il settore ha mostrato reattività alle politiche che favoriscono e premiano chi investe e innova. L’auspicio è che vengano ampliati gli strumenti a disposizione di imprese e imprenditori favorendo il processo di innovazione sia delle tecnologie che della sostenibilità. Nel breve periodo occorre rinnovare il parco pre Euro 3 che rappresenta 31
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ancora oltre il 70% del parco circolante italiano e nel medio lungo termine sfruttare appieno le potenzialità delle energie alternative dell’elettrico e del metano liquido”. Insomma, pare che questa ripresa stia facendo emergere, nel settore del trasporto, un segmento di imprese che vogliono puntare alla sostenibilità e alla competitività in senso ampio. Imprese che vanno incoraggiate e accompagnate con politiche adeguate. Per questo Fenoglio si dichiara intenzionato a chiedere “l’esclusione dal rimborso delle accise anche degli autoveicoli appartenenti alla classe di inquinamento Euro 3, fermo restando che quanto recuperato andrebbe reinvestito a beneficio del settore; l’istituzione di un sistema bonus-malus per pedaggi e tariffe, proporzionato alle classi di inquinamento dei veicoli; la conferma strutturale del super-ammortamento almeno nella misura attuale; la verifica e la semplificazione delle procedure per la concessione dei fondi della Nuova Legge Sabatini secondo le indicazioni che provengono dal mercato”. L’Unrae in prospettiva vede un settore in cui le tecnologie dei mezzi (connettività e assistenza alla guida, soprattutto) chiederanno driver professionali, in grado di utilizzarle al meglio e magari anche di svolgere una serie di compiti di tipo concettuale/ amministrativo, man mano che la guida assorbirà meno tempo. Ma questi autisti vanno formati adesso, con un percorso di selezione e scolarizzazione preciso. Per questo il 3 gennaio stato firmato, dall’Unrae con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e con il Presidente del Comitato Centrale dell’Albo degli autotrasportatori, insieme alle organizzazioni dell’autotrasporto e dell’automotive, un Protocollo di intesa finalizzato alla promozione e valorizzazione della professione di conducente di veicoli per il trasporto di merci. L’idea di Fenoglio è di “offrire ai giovani in età scolare e in cerca di lavoro informazione corretta e formazione adeguata sui «camion», che sono diventati ambienti professionali sempre più sofisticati”. 32
In ultimo, ma non ultimo, va segnalato l’ottimo risultato del comparto dei veicoli commerciali leggeri, con portata utile fino a 35 quintali, anch’esso cresciuto di quasi il 50%, arrivando a sfiorare le 200mila immatricolazioni (erano state 134.000 l’anno scorso). “A sostenere l’ottimo andamento delle vendite nell’intero anno 2016 – afferma Massimo Nordio, presidente di Unrae – il beneficio fiscale del Super-ammortamento e la Nuova Sabatini per l’acquisto di beni strumentali, che hanno accelerato il rinnovo di un parco circolante ancora molto anziano, e la commessa del Costruttore nazionale verso un’Azienda a partecipazione pubblica”. Venendo al 2017, i vertici delle associazioni mostrano un cauto ottimismo, che porta a formulare previsioni forse prudenziali, che gli stessi vorranno rivedere alla luce dei primi mesi. Secondo Nordio, “alla luce della conferma dei benefici fiscali quali Super-ammortamento e Legge Sabatini, riteniamo che il mercato dei veicoli commerciali possa proseguire nel trend di incremento, seppur in deciso ridimensionamento al +5%, vista anche l’anticipazione degli acquisti sul 2016, che avrà effetti soprattutto nel 1° trimestre di questo anno”. Per i veicoli industriali, Fenoglio ha anticipato al Sole24Ore che la stima di una crescita del 5% potrebbe presto rivelarsi eccessivamente prudenziale, in quanto formulata prima che la Sabatini e il super-ammortamento fossero riconfermati per il 2017.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 21 febbraio 2017
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PSA COMPRA OPEL, TUTTI I MOTIVI DI UN’OPERAZIONE CONTROVERSA L’acquisizione della casa del lampo, sotto gli aspetti industriali, politici e commerciali.
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eglio una fine con terrore che un terrore senza fine”. GM deve aver deciso che basta, dopo 15 anni di perdite andava messa la parola fine alla sua avventura europea, cominciata nel 1929. Leggendo in rete e sui social le prime considerazioni a caldo di alcuni esperti addetti ai lavori, emerge una generale incomprensione per l’intera operazione, che però sicuramente ha le sue ragioni. Ma prima di addentrarci in ipotesi e valutazioni, meglio mettere nero su bianco alcuni fatti. Il Gruppo PSA produce, tra automobili e commerciali leggeri, circa 3 milioni di veicoli, di cui 2 milioni in Europa (1 milione in Francia, mezzo milione in Spagna, 300.000 in Slovacchia, 127.000 nella Repubblica Ceca, 108.000 in Italia) e 700.000 in Cina. GM produce in Europa circa 1 milione di veicoli, di cui 360mila in Spagna, 260mila in Germania, 170mila in Polonia e 146.000 in UK. Poiché il gioco, nell’industria dell’auto, è riuscire a fare soldi vendendo le macchine che si producono, vediamo quale capacità di vendere hanno mostrato i due attori recentemente. PSA in Europa vende 1,45 milioni di auto, che con i commerciali 34
leggeri portano a superare il milione e mezzo. La Francia assorbe circa il 40% delle vendite, seguita da UK (13%), Italia e Spagna (entrambe il 10%) e Germania (7%). Opel supera il milione tra auto (979.000 unità) e commerciali leggeri. Il primo mercato non è la Germania, che assorbe un quarto delle vendite, ma UK con quasi il 30%. Seguono Italia (10% delle vendite), Spagna (8%) e Francia (7%). GM non è riuscita, dall’inizio del secolo, a portare al pareggio la Opel/Vauxhall, bruciando circa 15 miliardi di dollari. A cui andrebbero aggiunti quelli relativi all’operazione Chevrolet, ritirata dal mercato europeo dopo appena dieci anni, per lasciare spazio a Opel e provare a riportarla in utile. Chi conosce gli americani sa quanto considerino strategici i global brand, quelli che hanno una presenza in tutti i mercati, rispetto ai local brand, per quanto bene facciano nei loro mercati (e non è il caso di Opel). Deve essere stata una decisione difficile, quella di ritirare Chevrolet e puntare su Opel/Vauxhall. Adesso, spazio a qualche considerazione. Uno. La decisione di GM non necessita particolari riflessioni. Hanno staccato la spina e turato una grossa falla da cui uscivano soldi. Avevano provato a farlo già alcuni anni fa, ma poi il progetto era abortito. Due. La decisione di PSA necessita di qualche riflessione. Il Gruppo si stava riprendendo bene, dopo anni molto, molto difficili, anche grazie all’ingresso del socio cinese col 14,1% (stessa quota della famiglia Peugeot e dello Stato Francese). Tre. È un affare europeo, dunque la strategia va ricercata in Europa. Guardando al villaggio globale, non si comprende bene perché portarsi dentro un brand e una capacità produttiva (probabilmente eccessiva) che stanno a poche ore di macchina, verso est. Non ha molto senso visto che l’Europa è il mercato più 35
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difficile del Mondo, saturo e affollatissimo, dunque altamente competitivo, dove ogni mese devi fare a sportellate per assicurare alle fabbriche (troppe e troppo costose) la produzione per il mese successivo. Guardando al villaggio globale. Allora proviamo a ‘non’ guardare al villaggio globale. Guardiamo al villaggio locale, alla nostra vecchia Europa. Può essere una visione accettabile quella di puntare a una posizione di forza nel vecchio continente? Ha un senso considerare l’industria dell’auto regionale, puntando sulla vicinanza tra fabbrica e mercato e sulla forza dei volumi in una regione? Quattro. È un affare che ha una cifra politica non trascurabile. Le socialdemocrazie europee non ci stanno a lasciare un settore come quello dell’auto in balia dei mercati. Troppi lavoratori coinvolti e troppe aziende dell’indotto dipendenti dalle scelte dei costruttori. Troppo forti i sindacati. Allora, tanto vale restare a giocare in casa, aumentando anche di più il peso produttivo e sociale, in modo da contare di più ai vari tavoli che dovessero formarsi negli anni, per gestire i problemi di sovraccapacità produttiva. Se non puoi batterli, fatteli amici. Cinque. I tre brand sono abbastanza sovrapponibili, tutti posizionati come generalisti nelle automobili piccole, medie e medio-grandi. Questo da una certa cultura automobilistica viene visto come un limite, perché l’idea è sempre quella di coprire l’alto di gamma, dove c’è la vera gloria. Ma c’è un altro modo di guardare a questa apparente concentrazione, ed è il tempo. I modelli hanno un ciclo di vita. Poter vendere lo stesso modello con tre brand diversi consente eventualmente di giocare con i cicli in modo da avere un volume di vendite che non scende mai sotto la soglia del pareggio, oltre a poter distribuire gli investimenti su tre marchi e non su due (ma questo lo si capisce con qualsiasi cultura). 36
Sei. Le reti dei concessionari. Attualmente, sia nelle reti PSA sia in quelle Opel/Vauxhall, le dimensioni delle vendite erano scese spesso sotto il livello di sostenibilitĂ . Una fusione, con espulsione dei dealer deboli e concentrazione su quelli forti, in modo da renderli competitivi con la concorrenza, non pare uno scenario improbabile, nĂŠ cattivo. In aggiunta, anche per loro varrebbe il discorso dei cicli di vendita da alternare, con tre brand e non con due.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 6 marzo 2017
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CON 2,5 MILIONI DI POTENZIALI CLIENTI, LA CONCESSIONARIA COME LUOGO PER OSPITARE LA VENDITA DI USATO TRA PRIVATI
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na concessionaria come market place, dove ospitare quei 2,5 milioni di privati che ogni anno si scambiano auto usate, senza passare per alcun intermediario? È un’ipotesi avanzata e discussa con esponenti di Dekra, FCA, Ford e Mercedes il 6 aprile a La Capitale Automobile usato&classic, voluta da Agos e Dekra e curata da Fleet&Mobility, nella splendida cornice dell’Automobile Club d’Italia. Nel 2016 1,25 milioni di auto usate sono state scambiate tra privati senza intermediazione di commercianti o concessionari: 2,5 milioni di soggetti coinvolti, uno a vendere e l’altro a comprare. Queste persone in buona parte non si conoscono, si incontrano sui siti web di vendita (come una volta si faceva attraverso le pagine di annunci), si sentono al telefono e poi decidono di incontrarsi, per osservare la macchina. Non è raro che il compratore si faccia accompagnare da un meccanico di fiducia, il quale apre il cofano, si sdraia per terra a scrutare sotto, fa un giro di prova, soprattutto parla poco, molto poco, perché è esperto e con lui le parole non servono, guarda ai fatti, a lui non la dai a bere. Compie insomma tutti quei gesti, piuttosto vacui ma perfettamente interpretati, che danno l’impressione che ci stia capendo qualcosa. È per quello che è venuto, per dare un conforto al compratore, per confermargli l’ovvio, l’evidenza, che anche un qualsiasi profano coglierebbe, che però detta da lui acquista il peso della sua esperienza. Esperienza che dovrebbe indurlo a rifiutarsi di controllare lo stato di salute di un’auto del terzo millennio senza un’attrezzatura (hardware e software) adeguata alla bisogna. Sì, può vedere se ci sono danni o riparazioni di carrozzeria, ma queste appunto sono visibili a un qualsiasi profano minimamente attento. Tutto questo avviene per strada. In alcune zone 38
delle città si sono addirittura creati dei punti fissi, dove la domenica mattina i venditori sostano ad esporre l’auto ai possibili compratori. Una roba da terzo mondo, diciamolo chiaramente. L’idea, avanzata da Sergio Smeraldi di Dekra sulla scorta di un’intensa attività di consulenza presso i dealer (ricordiamo l’Osservatorio Bilanci che pubblicano ogni anno), è davvero semplice: perché le concessionarie non aprono le loro strutture a questi privati? In concreto, si tratterebbe di destinare un’area, in cui i privati venditori esporrebbero le loro vetture agli acquirenti di turno, anch’essi privati. A contorno di questo spazio, dovrebbero rendere disponibili alcuni servizi, questi sì a pagamento. Chi acquista un’auto usata cerca rassicurazione. Che paghi poco o tanto, vuole sapere che non sta ricevendo un bidone. Le macchine nuove sono tutte uguali, perché escono una dopo l’altra dalla stessa catena di montaggio. Infatti vengono acquistate a scatola chiusa e poi fabbricate: built-to-order. Come se questo non bastasse, sono anche garantite dalla Casa. L’usato è un’altra storia. Ha vissuto e camminato, guidato da persone e per strade che il compratore può solo supporre. Chi garantisce per quella storia? Beh, il concessionario. È questo l’approccio seguito finora: quando compri un usato, invece che acquistarlo da sconosciuti (privati o commercianti che siano), rivolgiti a un concessionario ufficiale. C’è da fidarsi. Vero, verissimo. Ma la realtà racconta una storia diversa. Per tante ragioni, che magari poco o nulla hanno a che fare con la rassicurazione, le concessionarie vendono al cliente finale circa mezzo milioni di auto usate, il 18% del totale, in base alle elaborazioni del Centro Studi Fleet&Mobility su dati InterAuto News. Ora, mentre va benissimo la strategia di comunicare la maggiore affidabilità del concessionario rispetto al rivenditore di auto usate, la fetta di mercato che preferisce il fai-da-te andrebbe aggredita diversamente, andandole incontro, invece di porsi come alternativa. Ho trovato un privato che vende l’auto che stavo cercando? È una Fiat? Bene, diamoci appuntamento presso la concessionaria Fiat, non costa nulla. Ci conosciamo e poi, se mi sembra opportuno, chiedo 39
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alla concessionaria di fare un check-up della vettura, eseguito a regola d’arte con le apparecchiature e i controlli giusti. Mi costerà qualcosina, ma ne vale la pena. Magari sono anche interessato a valutare un finanziamento o una polizza assicurativa, oppure una copertura sulle parti meccaniche. In futuro, ci saranno possibilità che ritorni per l’assistenza, se ho ricevuto un buon trattamento. Il venditore, che sta cedendo la sua auto, in tanti casi dovrà comunque prenderne un’altra e dunque potrebbe valutare di acquistarla proprio in quella concessionaria. Anzi, proprio quando il potenziale cliente entra per la prima volta in salone, per informarsi su un acquisto, è il momento giusto per offrirgli di vendere la vecchia auto per conto suo, privatamente, appoggiandosi alla concessionaria per incontrare i compratori. Insomma, con questo modello ogni transazione genererebbe un traffico di due potenziali clienti, che pagherebbero per gli eventuali servizi accessori ricevuti. Primo fra tutti, la tranquillità di non avere sorprese (il compratore) e di non ricevere spiacevoli telefonate dopo (il venditore). La concessionaria non vende solo macchine, ma anche servizi, alcuni reali e altri intangibili. Il più importante è proprio la fiducia, e si paga. E poi, ricordiamoci che nella corsa all’oro non si arricchisce il cercatore, ma chi gli vende i badili. Articolo pubblicato su InterAutoNews, ad aprile 2017
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CRUSCOTTO DI APRILE
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, l’11 aprile 2017 41
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IL NOLEGGIO NON È UNA BOLLA, ECCO IL PERCHÈ Le vendite agli operatori possono ancora crescere e continuare a conquistare nuovi clienti: privati e partite IVA.
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rande è la confusione sotto il cielo: la situazione è eccellente”. Questa celebre espressione di Mao Tse Tung sembra appropriata a descrivere l’andamento di questo primo trimestre nel comparto flotte. Gli elementi di disturbo ci sono e pure significativi. Uno è l’esclusione di società e Partite IVA dal super-ammortamento, limitato di fatto ai noleggiatori, per i quali tutte le auto sono strumentali a perseguire l’oggetto sociale. Non sono i soli, ma è lì che stanno i grossi volumi. Risultato: tutti quelli che dovevano cambiare la macchina si sono affrettati a farlo entro dicembre, per cui è già un miracolo se il canale società nel trimestre, al netto delle auto-immatricolazioni, ha ceduto appena il 10% dei volumi rispetto allo scorso anno. È prevedibile che andando avanti nell’anno la forbice si allarghi, prima che le acque del Mar Rosso si richiudano definitivamente dietro l’ennesima forzatura imposta al mercato. Ma diciamo subito che non si tratta di grandi quantità: nel trimestre, mancano meno di 3.000 macchine rispetto allo stesso periodo del 2016 – sempre escluse quelle intestate a costruttori e concessionarie. A seguire, ma è il fattore più pesante, la pressione delle fabbriche sui volumi, dovuta sia ad alcuni mercati extra-europei che stentano a ripartire sia al grande risiko in corso. A sua volta originato dalla sfida epocale della mobilità che hanno davanti i costruttori, in cui giocano dei player non-auto da far tremare i polsi. La paura di trovarsi seduti a tavola, ma non a capo tavola, è fortissima e spinge al 43
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rafforzamento che solo le grandi fusioni possono dare. E se fusione ha da essere, meglio arrivarci con un miglior utilizzo degli impianti. Da qui il +78% di immatricolazioni a case e concessionarie, che da sole spiegano metà della crescita del mercato nel periodo. I km 0, che già lo scorso anno avevano toccato l’8% delle immatricolazioni, in questi primi mesi del 2017 aumentano ancora di oltre il 60%, secondo InterAutoNews. Niente di male, salvo che il fenomeno rischia di far impazzire la maionese, perché stravolge le dinamiche della domanda. Infatti, affermare che i clienti privati abbiano acquistato il 4% più dello stesso periodo del 2016 (quando c’erano forti campagne delle case) è una verità statistica. Ma in periodi in cui le verità sono tante è opportuno aggiungere che tanti clienti privati entrano in concessionaria cercando un’auto nuova e ne escono al volante di una usata, a km 0: del resto, a qualcuno si devono pur vendere quelle vetture immatricolate il mese prima. Sempre per completezza di rappresentazione, ricordiamo che dentro i privati ci sono anche le Partite IVA di professionisti e ditte individuali. L’altro canale dove ci sono tracce evidenti della pressione dei costruttori è il rent-a-car, che ha immatricolato 65.000 macchine, il 13% più del primo trimestre 2016, anno in cui in totale avevano acquistato 1,5 volte le auto immatricolate due anni prima. Ora, quel settore sta andando bene, è vero, grazie a una domanda turistica in grande spolvero, ma con tassi di incremento nemmeno paragonabili a quelli delle immatricolazioni. Se comprano così tante auto, accelerando il ciclo di sostituzione, non sarà perché il loro costo è sempre meno oneroso? L’effetto collaterale è quello di agevolare le politiche di offerta low cost di alcuni noleggiatori, su cui ciascuno avrà la sua opinione, ma che certamente non producono ricchezza, anzi. Dulcis in fundo, la star del mercato, il noleggio a lungo termine. Il polmone finanziario e la penetrazione commerciale degli operatori sta cambiando la fisionomia della domanda. Non tanto perché in tre mesi hanno acquistato un quarto in più delle auto rispetto all’anno 44
scorso, che già sarebbe notevole. Ma perché di questo passo prima della fine dell’anno avranno comprato il doppio delle macchine del 2013, che è appena quattro anni fa, ossia un ciclo di noleggio. Certo, molti noleggiatori stanno utilizzando il super-ammortamento per offrire prezzi aggressivi ed è un male, perché abitua il cliente a valori bassi (da cui poi è difficile risalire) e perché rimanda ancora la competizione sulla differenziazione del servizio, ma non per questo il fenomeno è congiunturale, come qualcuno negli anni ha provato a suggerire. Come da tempo scriviamo, è la vera partita che si sta giocando nell’auto in questi anni. Tanto importante che l’abbiamo indicata tra gli aspetti favorevoli dell’acquisizione di Opel da parte di PSA. Se non scelgono di procedere separatamente, presentarsi ai grandi clienti col portafoglio dei tre brand insieme darà una forza d’urto maggiore, in grado di far recuperare a PSA i tre punti di quota persi nel NLT nel 2016, laddove Opel ha tenuto la posizione al 3,2%, arrestando di fatto una discesa iniziata due anni prima (era al 4,8% nel 2013). Insomma, il NLT non è una bolla e non si sgonfierà.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, l’11 aprile 2017
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L’AUTO PERSONALIZZATA SI CONFIGURA SULLO STILE DI GUIDA DEL SUO DRIVER
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na volta erano le ruote larghe, lo sterzo corsaiolo e, i più eccentrici, anche una striscia bianca che attraversava la carrozzeria. Certo, nel Paese della moda e dell’italian style, non era mai stato il top personalizzare in quei modi un’auto. Cose da meccanico di provincia. Ma è acqua passata. Ora le macchine si personalizzano più di allora, ma in modo discreto, e nel prossimo futuro assisteremo a un vero e proprio taglio sartoriale della vettura sulle caratteristiche del suo driver, grazie alla digitalizzazione dei veicoli. Secondo gli addetti ai lavori (16 esponenti del mondo automotive, riuniti in conclave da Agita Lab per fare luce sui prossimi scenari), la personalizzazione del prodotto auto non viene ormai declinata tanto nelle componenti meccaniche e motoristiche, quanto nell’interfaccia digitale tra auto e driver, ossia nella possibilità di relazionarsi con l’auto attraverso strumenti digitali. Si prevede un marcato sviluppo di optional totalmente digitali, orientati alla connettività e all’interazione, che daranno luogo alla personalizzazione dell’utilizzo dell’auto, il cui aspetto più evidente e basilare è l’adattamento allo stile di guida preferito dall’utente. Stando agli interpellati, le flotte guardano a queste soluzioni di personalizzazione, sia hardware che software, per migliorare l’efficienza e abbassare il total cost of ownership. Ma se il centro dell’attenzione non è più l’accessorio (hardware) della macchina, bensì tutte le soluzioni legate al suo utilizzo, diventa importante capire come saranno resi disponibili questi accessori. Qui l’offerta si sdoppia. Da un lato avremo il pacchetto servizi all inclusive, con i suoi vantaggi economici e di tranquillità. Dall’altro 46
la possibilità di scegliere à-la-carte quali servizi aggiungere a quali escludere, opzione che lascia maggiore libertà al cliente. Secondo gli addetti ai lavori la domanda darà spazio ad entrambe le offerte, per cui assisteremo ad un bilanciamento delle due forme, quella all inclusive e quella flessibile, dove si possono selezionare alcuni servizi. Le previsioni per il NLT vanno nella direzione di proporre, alla clientela tradizionale, ossia le aziende, una maggiore ampiezza dei servizi, con pacchetti sì all inclusive, ma con un elevato grado di personalizzazione, per rispondere alle specifiche esigenze di ciascuno. È probabile che la formula evolverà nel senso di un servizio basic ad un costo contenuto, a cui aggiungere molteplici servizi. Però ormai le aziende sono solo una parte della clientela del NLT, che annovera sempre più piccole società e professionisti e recentemente anche i primi soggetti privati, senza partita IVA. Ancora pochi, ma un’avanguardia: che soluzioni si avvia a predisporre il sistema del NLT, secondo gli addetti ai lavori? Molti ritengono che anche a loro saranno destinati pacchetti all inclusive. Quello che tuttavia resta da chiarire è la formula di utilizzo e pagamento dei servizi accessori, per quanto inclusi e accessibili. Come è intuibile, esistono due possibilità. Da un lato, i servizi a forfait, dove si paga un fisso e si riceve la possibilità di accedere ai servizi in quantità variabile, in base alle necessità non prevedibili. Dall’altro, la possibilità di acquistare i servizi quando servono, con la formula pay-as-you-use. L’esempio più semplice è quello della vettura sostitutiva, ma presto se ne aggiungeranno molti altri, soprattutto di tipo digitale. Su questo, sembra che la soluzione vincente sia la combinazione dei due: alcuni servizi a forfait, dove si paga un fisso, accanto ad altri acquistabili quando servono, con la formula pay-as-you-use. Il quadro tracciato finora è già sufficientemente complesso, ma il gruppo di esperi è andato ancora più a fondo nel disegnare lo scenario futuro della personalizzazione dei servizi. Infatti, i prodotti e i servizi possono anche essere standardizzati, ma la differenza tra un 47
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driver e un altro può derivare dalla combinazione di più prodotti e più servizi. La valutazione e la scelta di quali prodotti e servizi mettere insieme diventa sempre più difficile, sia per la continua sofisticazione dei prodotti e dei servizi e sia la loro compatibilità. In questo processo d’acquisto (ormai non più sequenziale, tanto da essere meglio indicato come un purchasing journey), il cliente può muoversi e scegliere da solo, ovvero può avvalersi di figure terze esperte. Come nel mondo retail si è affermata la figura del personal shopper, nei servizi auto questo ruolo sarà affidato al broker, che faciliterà la composizione del pacchetto più adatto alle esigenze del singolo driver. Con un avvertimento: nessuno più si illuda che questa funzione possa essere ancora assolta dal commercialista, figura che appartiene al passato per le scelte in materia di acquisto o noleggio delle auto. Spazio invece alle concessionarie, i cui venditori dovranno aiutare il cliente a districarsi tra siti di prodotti e servizi, i luoghi dove verosimilmente si decideranno gli acquisti, interagendo con gli auto-blogger, i siti di benchmark e i social media. Non ci sarà di che annoiarsi, in attesa che siano le stesse auto, dotate di intelligenza artificiale, ad adattarsi e assecondare gli stili di guida del driver.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, l’11 aprile 2017
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LO SMARTPHONE INTEGRATO SÌ, MA PER UTILITÀ, NON PER GIOCARE
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cquistare un’auto online potrebbe anche starci, ma c’è un ruolo per la concessionaria. Integrare il telefono nella macchina va bene, ma non per giocare. La mobilità con l’auto propria, ma anche senza: il car sharing ha fatto breccia. In sintesi, è quanto emerge da un sondaggio condotto a fine gennaio, su un campione rappresentativo degli automobilisti, da Ipsos nell’ambito del programma di indagine promosso da Agenzia Italia. La concessionaria risulta di gran lunga il posto preferito per l’acquisto di un’auto, in linea con il bisogno di contatto personale, però emerge anche una buona frequentazione del web, siano i siti dei costruttori (il car configurator) ovvero i siti specialistici, dove trovare informazioni utili. Resta comunque importante per gli automobilisti il parere e l’esperienza di persone conosciute. Per quanto concerne le scelte di domani, davanti all’ipotesi di comprare l’auto online il campione si è spaccato esattamente a metà. Always on. Integrare lo smartphone con la macchina va bene, per 7 automobilisti su 10, ma l’interesse è dettato principalmente da quelle funzioni che possono migliorare concretamente l’uso dell’automobile. Infatti, metà e più del campione si mostra tiepido per tutte le funzioni oggi tipiche dello smartphone, quali la messagistica, le varie app e l’accesso ai social network: non è per questo che il telefono deve integrarsi con l’automobile. Piuttosto, lo smartphone deve aiutare a muoversi bene, dando informazioni sulla viabilità e sul traffico. Poi, una volta a destinazione, deve aiutare a trovare il parcheggio, che rimane l’altro grande bisogno, soprattutto nei centri urbani. Dove poi l’interesse diventa diffuso è sulla possibilità che il telefono, integrandosi con la vettura, ne aumenti la sicurezza e sia 49
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un efficace sistema contro il furto, oltre a fungere da interfaccia per la diagnosi dell’auto, in modo da sapere esattamente quali interventi siano necessari. Venendo al futuro prossimo, metà degli automobilisti vede nella sicurezza la principale utilità dei sistemi di guida assistita, che risolveranno anche altri problemi, ma non il traffico e i parcheggi. In tema di mobilità, quattro automobilisti su cinque ritengono essenziale il potenziamento dei mezzi pubblici. Ma poiché ci si continuerà a spostare anche in auto, il 60% confida che un contributo alla mobilità arriverà dalla ricezione di informazioni in tempo reale sul traffico e sulla disponibilità di parcheggi e, in prospettiva, dai sistemi di guida assistita. C’è poi anche chi indica il car sharing: tre automobilisti su dieci l’hanno utilizzato e ne riportano un livello di soddisfazione piuttosto elevato. Tra chi non lo utilizza, solo uno su tre si dice poco interessato a provarlo nel prossimo futuro. Tra questi attuali e futuri utilizzatori del car sharing c’è addirittura chi prevede, per il futuro, di rinunciare al possesso di un’auto in via esclusiva (che sia di proprietà o a noleggio). È una percentuale rilevante, un automobilista su cinque, che pensa di avvalersi di un’auto quando serve, integrandone l’uso con altri mezzi di trasporto, collettivi (bus, metro) e individuali (taxi). Se anche solo la metà di quanti lo dichiarano rinunciasse nei prossimi anni ad avere un’auto propria, la riduzione del parco circolante sarebbe significativa, ai fini di un minore ingombro di vetture inutilizzate e conseguente maggiore fluidità nella circolazione. Come sempre, l’uomo della strada sembra ben agganciato alla realtà e alle sue prospettive concrete, più di tanti voli pindarici di cui spesso si legge.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, l’11 aprile 2017 50
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LE CARATTERISTICHE IN EVOLUZIONE DELL’OFFERTA DI MOBILITÀ DI COSTRUTTORI E GESTORI DI FLOTTE In un contesto sociale ed economico in forte cambiamento, emerge come sempre più forte l’attenzione a fattori come l’ambiente e la sicurezza. Mentre crescono le formule di car sharing.
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o scorso anno la domanda di vetture elettriche da parte delle flotte è diminuita di 1/3 rispetto all’anno precedente, quando aveva rappresentato quasi lo 0,3% delle immatricolazioni. Poco, si dirà. Beh, molto di più del resto del mercato, che di auto elettriche ne ordina in ragione di 6 ogni 10.000. Si potrebbe concludere che le flotte siano attente all’ambiente cinque volte più degli altri, ma che ancora siamo su valori da prefisso telefonico, anche internazionale. Però la sostenibilità ambientale di una flotta, limitatamente all’inquinamento, deve essere misurata anche sulle propulsioni termiche alternative e ibride. Sempre in base ai dati del Portale Noleggio di Unrae e Centro Studi Fleet&Mobility, la domanda di motori diesel delle flotte a noleggio è diminuita di 2 punti nel 2016, passando dal 79 al 77%, a favore dei propulsori a benzina (dal 18 al 19%) e degli altri: ibridi 1.7%, GPL 1.4% e metano 0.9%. In realtà, la mobilità sostenibile è qualcosa di ben più ampio. Allarghiamo allora un po’ il quadro. La mobilità è in aumento e con essa l’assorbimento di energia necessaria. In base a un’elaborazione del Censis per l’Aniasa, fino al 2030 la popolazione mobile (identificata come l’insieme delle persone che quotidianamente si spostano, per diverse esigenze e con tutte le modalità) potrebbe apprezzarsi fino all’8% rispetto ai valori del 2015. La maggior parte di questa domanda verrebbe ancora 52
soddisfatta per 3/4 dai mezzi privati (auto e moto), che servirebbero nel 2030 circa 818 miliardi di passeggeri/km (Gpkm). Mentre appena il 10% (113 Gpkm) sarebbe appannaggio dell’offerta pubblica e il resto si dividerebbe tra aerei, treni e navi, sempre secondo le elaborazioni fatte dal Censis sui dati della Commissione Europea (EU Energy Trends). Però già questa segmentazione pubblico/privato oggi è inadeguata a rappresentare la domanda di mobilità. Infatti, con l’avvento di nuovi sistemi, quali il car sharing, diventa altrettanto utile distinguere tra mobilità individuale e mobilità collettiva, dove la proprietà del mezzo assume un peso relativo. Inoltre, c’è l’esplosione dell’e-commerce, che quest’anno dovrebbe superare i 23 miliardi (acquisti B2C di consumatori italiani), doppiando quasi il valore del 2013. Che c’entra con la mobilità? Molto. Aumenta quella per trasporto merci, che nelle città (ultimo miglio) significa flotte di veicoli commerciali leggeri. Su queste basi, ad esempio, Volkswagen ha appena inaugurato una nuovissima fabbrica a Września in Polonia, destinata alla produzione del Crafter. In questo scenario, quali sono i principali criteri per definire se una certa mobilità sia più o meno sostenibile? Partiamo dagli impatti negativi, almeno i più evidenti: inquinamento, traffico (che assorbe tempo e dunque costi) e sicurezza fisica delle persone coinvolte. In attesa che i propulsori elettrici per le vetture diventino una realtà rilevante – e tralasciando ogni considerazione sulla fonte dell’energia elettrica (nucleare, petrolio, carbone o gas) e sullo smaltimento delle batterie, come pure sulla dispersione dell’energia – sarebbe certamente consigliabile spingere sull’elettrificazione delle flotte commerciali (LCV). Buona parte di questi, infatti, vanta due caratteristiche importanti: vengono riposti la sera in compound dove è possibile ricaricare e non vengono utilizzati oltre un certo chilometraggio giornaliero (non vanno fuori nel week end, insomma). 53
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Ma il grosso dell’inquinamento, in città, viene dalle macchine. Tutte le macchine, non solo quelle nuove vendute quest’anno e l’anno prossimo. Le analisi del Centro Studi Fleet&Mobility indicano, ad esempio, che nel 2016 a fronte di 1.848.000 auto immatricolate sono state radiate 130.000 Euro 0/1, il 7%: gli italiani non comprano nuove auto per sostituire le vecchie. Allora, è evidente che per ridurre l’inquinamento occorre agire su tutto il parco, magari riducendo le percorrenze, almeno quelle inutili. Secondo un’indagine TNS per il World Mobility Observatory, solo 2/3 del tempo di utilizzo delle auto è dedicato allo spostamento effettivo, mentre la restante parte è assorbita per 1/9 dal traffico e per 2/9 dalla ricerca di un parcheggio. Incidere su queste grandezze comporterebbe una migliore sostenibilità della mobilità, sia sotto il profilo dell’inquinamento sia sotto quello del tempo delle persone. Per farlo, si può operare in due direzioni: aumento dell’offerta (parcheggi e rete stradale) e diminuzione della domanda, che significa occupare meno spazio per le macchine ferme. Sempre secondo lo studio TNS (ma anche altre analisi portano più o meno agli stessi valori) le macchine vengono utilizzate il 4% del tempo. Ergo, il restante 96% stanno ferme. Alcune in aree private, ma molte in strada, diminuendo la superficie disponibile alla marcia e dunque rallentando il traffico e rendendo più difficile parcheggiare. È su questo che stanno intervenendo da alcuni anni costruttori e noleggiatori, attraverso la formula del car sharing. Anche se al momento si tratta di un investimento che ancora non ha raggiunto i numeri necessari per essere sostenibile (fare profitto), sta tuttavia sortendo un risultato ancora più importante. Sta cambiando la cultura delle persone verso l’automobile: da bene di possesso a bene di uso, di godimento. Secondo un sondaggio Ipsos per AgitaLab, ben un automobilista su cinque valuterebbe di non possedere in futuro un’auto esclusiva (che sia di proprietà o a noleggio), in favore di un uso maggiore di car sharing e altre forme di mobilità condivisa. Infine, ma non meno importante, la sostenibilità dal punto di vista della sicurezza: muoversi in macchina non deve comportare rischi di 54
lesioni o peggio. Eppure, nonostante l’incremento dei sistemi di sicurezza attivi e passivi introdotti sulle auto e sulle strade, l’uso dello smartphone alla guida sta incrementando incidenti, lesioni e decessi. Gli automobilisti ne sembrano ben coscienti, tanto che sempre nello stesso sondaggio, interrogati sull’integrazione tra smartphone e auto, due su tre hanno espresso molto/abbastanza interesse per le funzioni riguardanti sicurezza, viabilità e parcheggi, mentre uno su due si è detto interessato a telefonate e messaggi e solo uno su tre ai social. Su questo, costruttori e noleggiatori sono davanti a un dilemma. Da un lato, si dovrebbe andare verso la schermatura delle vetture, in modo che non sia possibile l’uso del telefono durante la marcia (dei sistemi ci sono, ma solo su base volontaria). Dall’altro, la corsa è proprio a trasformare la macchina in un terminale, agganciando lo smartphone al sistema telematico di bordo. Probabilmente, la soluzione arriverà da due tecnologie: i comandi vocali dello smartphone (ancora poco efficaci) e la guida assistita. In conclusione, la mobilità si avvia a essere certamente più sostenibile, per l’ambiente, per l’economia sociale e produttiva (il tempo) e per la sicurezza, ma il lavoro è di medio-lungo periodo e consiste in interventi strutturali e culturali. Articolo pubblicato su Harvard Business Review, a maggio 2017
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Fonte: Ipsos per AgitaLab
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INTEGRAZIONE Auto e smartphone, possesso e utilizzo, forme diverse di mobilità: è sempre più centrale far lavorare insieme sistemi diversi per rendere più completo il servizio al cliente.
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e due innovazioni che più rapidamente si stanno diffondendo nelle auto sono l’integrazione con lo smartphone (e tutti i collegamenti che vi transitano) e la guida assistita.
Mentre quest’ultima deriva dall’evoluzione dell’auto, tanto che le prime forme risalgono a oltre vent’anni fa, l’integrazione con lo smartphone è uno sviluppo obbligato, visto che ormai non esiste più un driver che salga in macchina senza portarsi dietro il suo bagaglio di link e connessioni. Agita Lab, un centro R&S che fa capo al Gruppo Agenzia Italia, ha condotto nei mesi scorsi un programma di ricerca articolato, curato dal Centro Studi Fleet&Mobility, che ha coinvolto sia operatori addetti ai lavori che semplici automobilisti, ascoltati attraverso un sondaggio Ipsos. La guida assistita è parte della naturale evoluzione del prodotto, forse iniziata con il superamento dell’avviamento a manovella, forse prima. Oggi il primo beneficio sembra essere proprio la maggior sicurezza. Metà degli automobilisti vede nella sicurezza la principale utilità dei prossimi sistemi di guida assistita. L’auto senza autista per il momento sembra considerata ancora remota, pur se uno su quattro la ritiene prossima. Tornando invece alla più realistica guida assistita, un terzo del campione ritiene che – pur essendo molto valida – non risolverà 57
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i problemi del traffico e del parcheggio. Tuttalpiù, renderanno più comodo parcheggiare e muoversi nel traffico grazie al controllo della distanza e alla relativa frenata automatica. Però l’informazione oggi vale oro, e gli automobilisti lo sanno: quattro su dieci dichiarano che avere accesso a informazioni in tempo reale, sempre su traffico e parcheggi, potrebbe facilitare e non poco la mobilità. Tuttavia, pure le migliori soluzioni non potranno prescindere dalla disponibilità di infrastrutture sensibili sulle strade, che dunque emerge già come fattore abilitante (on/off) per ogni innovazione dell’offerta. Anche perché nel 2025 l’85% della popolazione vivrà nelle metropoli rispetto all’attuale 65%, e ciò imporrà di ottimizzare l’uso dei mezzi circolanti. Secondo 4 automobilisti su 10, per circolare meglio in città non si potrà fare a meno di un sensibile potenziamento dei mezzi pubblici. Il telefonino è ormai vera e propria propaggine della persona, tanto che più di 7 automobilisti su 10 si dichiarano interessati all’integrazione dello smartphone con l’auto. La buona notizia è che la propensione non è di usare il telefono in macchina per continuare a fare relazioni con amici e social network, quanto piuttosto per migliorare l’esperienza di guida, in tutti i sensi. Scendendo in profondità, emerge che l’interesse è dettato principalmente da quelle funzioni che possono migliorare concretamente l’uso dell’automobile. Infatti, l’interesse scende sotto la metà del campione per tutte le funzioni oggi tipiche dello smartphone, quali la messagistica, le varie app e l’accesso ai social network: non è per questo che il telefono deve integrarsi con l’automobile. Piuttosto, lo smartphone deve aiutare a muoversi bene, dando informazioni sulla viabilità, sul traffico. Poi, una volta a destinazione, deve aiutare a trovare il parcheggio, che rimane l’altro grande bisogno, soprattutto nei centri urbani. Ma dove l’interesse diventa diffuso è sulla possibilità che il telefono, integrandosi con la vettura, riesca a essere un mezzo di comunicazione per la diagnosi dell’auto, in modo da sapere esattamente quali interven58
ti sono necessari, e per la sicurezza, oltre che un sistema efficace contro il furto. Queste posizioni sono abbastanza corrispondenti a quanto anche gli addetti ai lavori hanno espresso. Questi considerano la connettività soprattutto per la sua funzione di migliorare e agevolare l’uso e la gestione dell’auto. Però c’è chi ammette che il tema centrale sia di assorbire dentro l’automobile la connettività che la persona ha quando è fuori dall’auto, con lo smartphone che dunque resterà sempre lo snodo centrale. Anche dal loro punto di vista il traffico, i parcheggi e i pedaggi sono le aree che maggiormente ne beneficeranno, insieme alla diagnosi remota per la manutenzione e alla localizzazione per il soccorso. Tuttavia, non possiamo ignorare che l’uso del telefonino durante la guida è un’abitudine che sta causando danni enormi, in termini di sinistri e anche, purtroppo, di lesioni e di vite umane. Tutte le campagne di sensibilizzazione verso un utilizzo non pericoloso sono benvenute, ma difficilmente riusciranno da sole a fermare questa deriva. Allora l’integrazione diventa una necessità assoluta, nella misura in cui non solo agevola le comunicazioni ma le canalizza pure, impedendo nei fatti che il guidatore possa dedicare attenzione visiva e manuale ad altro che non sia la guida: pensiamo alla funzione di comando vocale dello smartphone. Il cerchio si chiude quando si capisce che il telefono, per le persone, non serve più a telefonare (infatti i millennials non lo fanno), bensì a esercitare il governo delle proprie cose, tra cui la mobilità. E se l’auto si connette allo smartphone, deve essere chiaro a tutti che comanda chi pigia sullo schermo. Per lui/lei governare significa disporre di un mezzo di mobilità: da qui al car sharing il passo è breve. Questa nuova forma di utilizzare l’auto in maniera spot, quando 59
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serve, comincia a piacere. Le persone hanno capito che nei grandi centri urbani può davvero sostituire la seconda macchina. Tre automobilisti su dieci l’hanno utilizzato, ed è un dato importante, se si pensa che l’indagine era su un campione nazionale, mentre questo servizio è presente solo in alcune grandi città. Chi ancora non l’ha sperimentato prevede, in buona misura, di farlo nel prossimo futuro. Tra coloro invece che già lo hanno utilizzato poi, la soddisfazione è davvero diffusa, a livello di nove su dieci. Addirittura, un automobilista su cinque prevede, per il futuro, di rinunciare al possesso di un’auto in via esclusiva (che sia di proprietà o a noleggio), per avvalersi di un’auto quando serve, integrandone l’uso con altri mezzi di trasporto, collettivi (bus, metro) i individuali (taxi). Anche Agos è intervenuta sul tema della mobilità urbana, attraverso il suo Innovation Lab, che mette al lavoro decine di concessionari insieme a giovani millennials, sugli sviluppi del settore. Tra le altre idee, hanno pure progettato una piattaforma di mobilità che combina car sharing e car renting, una sorta di via di mezzo tra Bla-bla-car e Car2Go. L’ipotesi sottostante è quella di sfruttare le auto immatricolate dai concessionari come auto sostitutive o dimostrative (che spesso giacciono inutilizzate nei parchi auto dei vari punti vendita), per sviluppare una rete di veicoli a disposizione dei clienti / viaggiatori per noleggi di breve periodo. Il tutto ovviamente gestito comodamente tramite una App dedicata. Per qualcuno quest’idea potrebbe assomigliare a X-files, eppure gli operatori, riuniti a porte chiuse da AgitaLab, si sono mostrati ben consapevoli che mettere al centro delle strategie di impresa il cliente farà emergere bisogni di mobilità diversi e di conseguenza potenziali servizi da erogare. La mobilità individuale (non collettiva) vedrà il passaggio dal concetto di auto a quello di sistema, dove la capillarità dei servizi e la facilità di accesso e programmazione saranno essenziali per il cliente. Anche le loro organizzazioni sono orientate a capire come essere parte o anche gestire la mobi60
lità complessiva dei clienti. C’è chi afferma che le case automobilistiche dovranno essere abili ad integrare l’auto in un sistema di mobilità: l’auto diventerebbe un sistema dentro un sistema. Più in generale, nella misura in cui per i costruttori il punto di partenza sarà la centralità del cliente, piuttosto che l’auto, anche gli attuali schemi di alleanze verranno rivisti. Le partnership saranno molto più pragmatiche e la competizione molto più atipica. Sicuramente l’alleanza con i gestori del car sharing e con le istituzioni è ritenuta strategica, ma poi si dovranno sviluppare tutte le sinergie di filiera, tra l’auto, il turismo e i servizi alla persona.
Articolo pubblicato su InterAutoNews – Data Book, a maggio 2017
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PERSONALIZZARE I TEMPI DELLO SMARTPHONE, OVVERO: PRODOTTI E SERVIZI STANDARD MA ACCOPPIATI SU MISURA
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l cliente al centro. Va bene. È banale: è ovvio che il cliente sta al centro, è lui che compra e ci dà i soldi. Certo, sta al centro secondo quella filosofia della Ford T: purché si compri quello che gli proponiamo. Piuttosto, trattandolo sempre con cortesia. Ecco, come se essere educati e garbati fosse un valore aggiunto, non un prerequisito. Ma seriamente, cosa significa oggi e nel futuro prossimo mettere al centro il cliente? In estrema sintesi, dare a ciascuno il prodotto e il servizio ritagliato sulle sue preferenze ed esigenze: personalizzare. Non è cosa nuova: declinazioni e adattamenti unici sul fronte della meccanica e della carrozzeria le abbiamo sempre avute. Ma l’avvento delle tecnologie digitali sta spostando l’accento sull’interfaccia auto/driver. Come da tempo abbiamo la possibilità di schiacciare un bottone e far prendere al sedile la posizione memorizzata, così presto entreremo in auto e con un click tutto si sistemerà in base alle preferenze del guidatore. Dallo stile di guida alle stazioni radio, dal server di connessione remota alle destinazioni già usate in precedenza. Di questo e di tutto quanto afferisce alla personalizzazione si sono occupati alcuni esperti del settore, riuniti a Roma dal Centro Studi Fleet&Mobility su iniziativa di AgitaLab, che sta conducendo un percorso di ricerca finalizzato alla crescita culturale dell’industria. Nessun dubbio che le auto a breve saranno equipaggiate, di serie, con dispositivi di connessione. Invece qualche dubbio, anche diffuso, che i dati generati in auto saranno gestiti dai costruttori. Il cliente già adesso entra in macchina connesso, attraverso il suo vero e unico strumento di relazione col mondo: lo smartphone. Tutta la telematica di bordo dovrà trovare il modo di agganciarsi al cliente 62
dialogando con il suo telefonino. Sicché, se qualcuno pensava che anche domani sarebbe stato il cliente/driver a entrare nell’universo macchina, progettato e costruito, adesso deve abituarsi all’idea che è l’auto a infilarsi sotto e intorno al cliente, nella misura in cui riesce a rendersi facilmente disponibile dal punto di vista digitale. Copernicano, mi sembra, come cambiamento, vero? Ma non è tutto. C’è il corollario. Il cliente non compra solo un ferro, ma anche il sistema di mobilità che ruota intorno. Dunque servizi. Dentro pacchetti all-inclusive oppure à-la-carte. Pagandoli a forfait oppure pay-per-use. Senza necessariamente entrare nei singoli servizi di mobilità (anche perché davvero non se ne può più!) l’elemento interessante sollevato dagli esperti coinvolti è che, in fondo, prodotti e servizi possono anche essere di tipo standardizzato, ma la personalizzazione può derivare dalla diversa combinazione di più prodotti e più servizi. La valutazione e la scelta di quali prodotti e servizi assemblare diventa sempre più difficile, anche per la continua sofisticazione dei prodotti e dei servizi e per la loro compatibilità, tanto che il venditore della vettura diventerà un esperto informatico abile ad aiutare il cliente a districarsi tra siti di prodotti e servizi.
Articolo pubblicato su InterAutoNews, a maggio 2017
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USATO. STOCK CRESCIUTI MA LA GIACENZA È IN CALO In 2 anni l’incidenza sul fatturato è salita del 4%.
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on l’usato si fanno i soldi”. Oggi lo dicono tutti, come se fosse una scoperta. È proprio vero, l’unica storia nuova è quella che tu non conosci. Vediamo allora come si fanno i soldi con l’usato. Vendendo le macchine oggi invece di domani, è l’indicazione che arriva dai concessionari. Finalmente, aggiungerei. Negli ultimi due anni hanno applicato la vecchia regola del “pochi, maledetti e subito”. Se prima un’auto giaceva nei piazzali 80/90 giorni, adesso vi resta meno di 70, così che in un anno il magazzino gira una volta in più rispetto a due anni fa. Stock che nel frattempo è cresciuto più del 30% rispetto al 2014, grazie ai ritiri frutto delle vendite di vetture nuove. Questo emerge dai dati che InterAuto News raccoglie dal proprio panel di concessionari e pubblica mensilmente, che per questa analisi sono stati opportunamente elaborati dal Centro Studi Fleet&Mobility. C’è anche un’altra grandezza che viene misurata: il valore medio dell’usato. Qui emerge un dato interessante. La media degli ultimi quattro anni, dal 2013 al 2016, indica un valore di 7.856 euro, in un buffer che va da un massimo di 7.949 euro del 2015 al minimo di 7.723 euro dell’anno appena chiuso. Invece la media del periodo 2007 – 2012 era di 8.882 euro, ben 1.000 euro in più, con uno scalino ripido dal 2012 (8.907) al 2013 (7.901). Certamente ha giocato la penalizzazione fiscale delle motorizzazioni elevate, che fece letteralmente scappare oltre confine molte macchine da 250 CV in su. Su questo, ci consentiamo una piccola divagazione di 64
ordine sociale, che ci vorrà essere perdonata. Il mercato dell’usato in Italia conta circa 2,8 milioni di transazioni ogni anno. Se volessimo considerare un impatto pari anche solo alla metà di quanto osservato, ossia 500 euro a transazione, dovremmo posizionare la portata di quel provvedimento ben sopra il miliardo di euro. Come sottrazione di valore dal mercato delle auto usate. Ma questa è un’altra storia. Fine della divagazione. A questo punto, disponendo anche di un valore medio unitario, è possibile trasformare gli indici di gestione del magazzino in valore economico. Nel momento più basso, due anni fa, il giro d’affari della concessionaria media sull’usato superava appena i 2 milioni di euro, e per farlo aveva una dotazione di vetture che in media valeva 463.000 euro, ossia il 23% dei ricavi (più o meno l’incidenza degli anni precedenti). Nel 2016, il giro d’affari si è attestato sopra i 3,2 milioni, con un capitale di quasi 600.000 euro, che però è il 19% dei ricavi. L’incidenza dello stock sul fatturato è migliorata di 4 punti percentuali in due anni. Si tratta di una evoluzione significativa nelle strategie di gestione del business. Per fare un confronto, nel 2012 per vendere nemmeno 2,9 milioni di euro di auto usate (il 10% meno dello scorso anno) impegnava uno stock di circa 700.000 euro, il 15% in più. Questa analisi è l’ennesima conferma che guardare solo alle unità vendute è molto limitativo per valutare la salute del business. È assolutamente necessario guardare ai valori di vendita e all’equilibrio finanziario della concessionaria.
Articolo pubblicato su InterAutoNews, a maggio 2017 65
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PRIVATI E KM0, PROVIAMO A FARE UN PO’ D’ORDINE Il fenomeno dei “saldi” rischia di falsare due mercati.
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n risultato non direttamente imputabile all’accelerazione degli acquisti per sostituzione o ampliamento del parco da parte delle aziende”. Questa la formula elegante usata dall’Unrae (associazione dei costruttori esteri) per giustificare il risultato davvero sorprendente registrato dal segmento ‘società’ nel mese di aprile: +25% rispetto allo stesso mese del 2016. Dove sta la sorpresa? Semplicemente nel fatto che lo scorso anno le aziende godevano del beneficio fiscale del super-ammortamento, che quest’anno è stato limitato alle sole auto strumentali – in pratica, quelle acquistate dai noleggiatori, che le usano appunto nel perseguimento dell’oggetto sociale, più poche altre che non spostano certo le statistiche. Tanto che i costruttori erano ben consapevoli che almeno questo primo semestre sarebbe stato fiacco per le vendite alle imprese, visto che chi doveva andare sul mercato l’aveva già fatto entro dicembre. Ma allora, chi ha immatricolato tutte queste macchine? Ma niente, lì dentro ci stanno un sacco di km0. Come più volte abbiamo ribadito, ognuno sceglie di vendere i propri prodotti come vuole. Se qualche Casa preferisce anticipare le vendite facendo i saldi, pur di tenere una quota di mercato e, soprattutto, un livello di utilizzo degli impianti, faccia pure. Eh sì, perché oggi questa è la motivazione che viene addotta: le fabbriche devono lavorare sopra un certo livello, perché solo così il costo unitario di produzione può stare entro un determinato budget e dunque il prezzo delle macchine può essere sia competitivo sul mercato che foriero del giusto margine per la filiera. Se 67
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per fare questo alcune migliaia di auto ogni mese devono essere svendute, pace. Come si vede, parliamo sempre e comunque del solito problema dell’industria europea: il mantenimento di capacità produttive in occidente ormai eccessive, per due motivi. Uno, che la domanda non potrà mai più essere quella dei decenni in cui la penetrazione di auto cresceva, adesso che si tratta solo di sostituire quelle che vengono rottamate – sempre più lentamente, tra l’altro, data la buona longevità dei prodotti. Due, che da vent’anni il mercato regionale può essere rifornito da impianti nuovi, localizzati nell’Europa orientale, più efficienti. Che c’entra tutto questo con i km0? C’entra, c’entra. In questo periodo storico, tutti i costruttori stanno valutando costantemente almeno altri tre/quattro concorrenti, per capire se un matrimonio ci potrebbe stare. Mostrare che uno/due impianti in occidente non sono un problema rende la sposa molto più desiderabile. Ma cosa sono davvero i km0, croce e delizia di questo mercato? Una vendita-non-vendita. Un artificio per cui una macchina può essere conteggiata come immessa sul mercato (sell-out) senza che nessun cliente ancora ce l’abbia in uso. Poi sarà contata ancora, quando un cliente finalmente la acquisterà come usato (resell-out), gonfiando e falsando i due mercati, quello del nuovo e quello dell’usato. Cose da statistici, poco importanti, si dirà. Fino a un certo punto. Queste auto prima o poi vanno a finire nelle mani di un cliente. Sono macchine nuove di fabbrica. Sì, c’è una piccola scritta sul libretto, ma poca roba. È nuova, punto. E costa molto meno di una nuova, altro punto. Chi la comprerà? Chi stava cercando un’auto nuova o chi era in giro per un usato? Allora, gentilmente, quando si contano gli acquisti che i privati cittadini fanno, sarebbe opportuno includere i km0. O almeno indicare che quel 68
dato è parziale. Perché se si fa confusione, si rischia una diagnosi sbagliata del paziente. Nel valutare la performance 2016, è stato osservato come i privati abbiano pesato in volume meno del 62%, il minimo di sempre. Ma se aggiungiamo i km0 2016 aggiuntivi a quelli 2015, la stessa penetrazione supera il 64% e il presunto problema si sgonfia. Forse c’è un problema da affrontare nei canali di vendita, ma non è detto che si chiami ‘privati’. Ma il tema è importante e presto ci torneremo su. Articolo pubblicato su InterAutoNews, a maggio 2017
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AUTO A “KM0”, UNA PRATICA CHE NON DURERÀ E COSTERÀ CARA
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on durerà per sempre, questa febbre dei km0. Sembrava essersi stabilizzata, negli anni scorsi. Poi invece è tornata più virulenta di prima, un po’ come il morbillo. Non durerà, ma per adesso è lei che manda in confusione le statistiche del mercato auto. Ad aprile, il mercato ha segnato un rallentamento non lieve, il 5% rispetto all’aprile del 2016, a causa della contrazione a doppia cifra, meno 17%, degli acquisti dei privati, che sono il segmento più importante, sia perché valgono ben più della metà del mercato, sia perché sono quelli dove i margini sono migliori, sia perché sono la clientela dei concessionari. E questo è forse il dato più significativo. A parte tante giustificazioni, più o meno plausibili, il fenomeno rilevante che sta sotto questa statistica è che non rappresenta ormai la dinamica della domanda. Non del tutto, almeno. Perché un privato che compra una km0 è uno che cerca un’auto nuova, mentre le statistiche riportano che ha comprato un usato. Aver immesso sul mercato nei primi 3 mesi 47.000 vetture a km0, contro le 35.000 dello stesso periodo dell’anno scorso, ha un impatto sugli acquisti delle persone. Chi si affaccia sul mercato trova un’offerta di km0 maggiore del 34% rispetto a un anno fa. Auto che i concessionari devono vendere prioritariamente, avendole già immatricolate. Molte sono state anche pagate e consegnate, e stanno lì sui piazzali a subire la svalutazione del tempo che passa. Perché questa frenesia che brucia valore? Perché ci sono alcuni mercati extra-UE che ancora non hanno recuperato quanto perso negli 70
ultimi anni, proprio nel periodo in cui è aperto il gran ballo degli accoppiamenti, a cui tutti vogliono presentarsi con la dote migliore, alias l’utilizzo degli impianti. La risposta di questo mese al calo dei privati è stata una corrispondente ennesima iniezione di km0, nelle pieghe delle vendite a società: +25%, “un risultato non direttamente imputabile all’accelerazione degli acquisti per sostituzione o ampliamento del parco da parte delle aziende”, secondo l’Unrae (l’associazione dei costruttori esteri). Se le Case continuano a pompare km0 nelle concessionarie, gli acquisti dei privati saranno sempre più bassi, rispetto alla reale domanda di auto nuove. Per questo non durerà. Perché è un serpente che si mangia la coda, e se dovesse continuare finirebbe per ingoiare le vendite a privati dentro quelle alle società. Ma è impossibile, ovviamente. Prima del burrone si fermerà. Anche perché è un gioco a somma zero nei volumi, ma sui margini il conto si paga. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 3 maggio 2017
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QUANTO CI COSTEREBBE L’(EVENTUALE) ADDIO AI MOTORI DIESEL
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uò il batter d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?” Così intitolò una sua conferenza Edward Lorenz, matematico pioniere della teoria del caos. Può un incidente grave a una centrale nucleare in Giappone determinare l’abbandono dell’energia atomica in Germania? Può un’indagine sulla manomissione di una centralina in Nord America provocare la messa al bando dei motori diesel in Europa? Sembra di sì. L’ironia è che se tutti i motori diesel in circolazione fossero come quegli Euro 5 del diesel-gate non ci sarebbe neppure il problema del diesel. Nessuno di noi porterebbe i figli a giocare vicino a un tappeto di auto in coda che scaricano anidride carbonica e polveri sottili. Dunque siamo tutti d’accordo che queste emissioni vanno ridotte il più possibile, se non proprio eliminate. Secondo l’ultimo Rapporto 2016 dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, il 14% delle emissioni di particolato (PM10 e PM2,5) è riconducibile ai trasporti. Non è un buon motivo per non intervenire sulla riduzione o eliminazione dei motori diesel. Di quel 14%, ancora più della metà viene introdotto nell’aria dagli scarichi dei motori, nonostante l’ottimo contributo dei filtri anti-particolato. Circa il 40% deriva infatti non dal propulsore, ma dall’usura di freni e gomme. Sfortunatamente, ancora tutte le auto camminano su gomma e sì, di tanto in tanto frenano. Neanche questi sono motivi validi per difendere i propulsori diesel, che producono però circa il 20% di CO2 meno di quelli a benzina, perché più efficienti. Sia detto incidentalmente, era il motivo per cui vari Governi in Europa hanno nel tempo favorito il diesel rispetto al motore a scoppio. 72
Tutte considerazioni sterili, poco sopra le chiacchiere da bar, visto che ormai la bambolina di pezza su cui appuntare gli aghi si chiama diesel: il valzer è cominciato. Si ipotizza che nel giro di anni i motori diesel potrebbero essere fortemente emarginati, vietandone l’accesso nelle città o anche peggio. Vediamo allora di analizzare quali grandezze sociali ed economiche entrerebbero in gioco, laddove si dovesse procedere a interventi risoluti contro questi propulsori, che oggi rappresentano più del 40% delle auto circolanti in Italia. La spesa degli italiani. Obbligare chi possiede una vettura a gasolio a sostituirla con una a benzina (meglio se ibrida) si può fare. Qualcuno lo farà a cuor leggero, mentre molti dovranno sacrificare altre spese sull’altare della salute. Più precisamente, di quel 60% del 14% di salute danneggiato dal particolato degli scarichi auto, meno il 20% di maggior contributo al riscaldamento globale. Quanto saranno contenti di farsi obbligare a cambiare la macchina invece di andare in vacanza o mandare i figli a un corso di studio all’estero? Però ci sarebbe sempre la vecchia strada di far pagare ai contribuenti, attraverso qualche lauto incentivo, in modo che gli italiani felici sarebbero molti di più. Certo, una politica simile dovrebbe durare almeno un lustro, se non un decennio. A giudicare dalla politica fiscale sulla casa, rappresentabile bene con il pendolo, difficilmente si potrà fare. È più verosimile aspettarsi qualche briciola che favorisca l’orientamento verso il benzina, ma senza obbligare nessuno. Così, chi normalmente cambia la macchina e dunque usa motori piuttosto nuovi e poco inquinanti, inquinerà ancora meno. Mentre chi resta seduto, per motivi economici, sui vecchi propulsori diesel, continuerà a farlo e a inquinare più di tutti. La ricchezza degli italiani. Mettere al bando i motori diesel, in modo forte o morbido, comporterebbe una loro immediata svalutazione. Chi spenderebbe dei soldi per acquistare un’auto usata diesel, che non potrà circolare se non con pesanti limitazioni? 73
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Il valore di queste vetture non andrebbe a zero, perché subito i mercati limitrofi, dall’Africa al vicino Oriente, prenderebbero il beneficio di acquistarle a prezzi molto svalutati: il 40 o il 50% potrebbe essere realistico. Poiché da alcune analisi accreditate il valore delle vetture usate vendute dai concessionari arriva in media quasi a 8.000 euro, e assumendo che quelle vendute tra privati o da commercianti siano di valore inferiore, intorno a 5.000 euro di media, parliamo almeno di 2.500 euro a macchina, su oltre 14 milioni di auto. Non ci sono molti altri i modi con cui impoverire di 35 miliardi un Paese in tempo di pace. Eventuali incentivi partirebbero non da zero ma da meno 2.500 euro. L’industria italiana ed europea. L’opinione pubblica orienta le decisioni tenendo a cuore i propri interessi. Gli europei, che sono opulenti, badano soprattutto, e giustamente, alla salute. Sfortunatamente, anche le industrie badano ai propri interessi, la cui salute è il bilancio. Nella competizione globale sull’automobile, capita che per varie ragioni l’Europa si sia specializzata sui propulsori a gasolio, più del Nord America (motori a scoppio) e del Giappone, molto avanti sulla tecnologia ibrida. La salute viene prima dei soldi, però è opportuno sapere che il prezzo di quella salute (sempre il 60% del 14%, meno il 20% di CO2) colpisce la competitività di quelle industrie dove alcuni milioni di cittadini si recano ogni giorno. Potranno anche non andarci più, ma sarebbe bene che nel frattempo si sviluppassero altre occasioni di produzione, magari in settori meno maturi. In conclusione, la politica in Europa sta per prendere posizione rispetto ai motori diesel, ma probabilmente sarà una posizione di alto volume e poca musica. Ibrida, insomma.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 20 maggio 2017 74
LA GUERRA AL DIESEL HA UN CONTO SALATO Gasolio. L’impatto del suo declino.
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e tutti i motori diesel in circolazione fossero come quegli Euro5 del diesel-gate firmato Volkswagen, nemmeno ci sarebbe il problema. Comunque, le emissioni dannose vanno ridotte il più possibile, se non proprio eliminate. Secondo l’ultimo Rapporto 2016 dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, il 14% delle emissioni di particolato (PM10 e PM2,5) è riconducibile ai trasporti. Di questo 14%, ancora più della metà viene introdotto nell’aria dagli scarichi dei motori, nonostante l’ottimo contributo dei filtri anti-particolato. Circa il 40% deriva infatti non dal propulsore, ma dall’usura di freni e gomme. Sfortunatamente, ancora tutte le auto camminano su gomma e sì, di tanto in tanto frenano. Certo non sono motivi validi per difendere i propulsori diesel, che producono però circa il 20% di CO2 meno di quelli a benzina, perché più efficienti. Sia detto incidentalmente, era il motivo per cui vari Governi in Europa hanno nel tempo favorito il diesel rispetto al motore a scoppio. Orientare le scelte prossime di acquisto verso il benzina (meglio se ibrido) è cosa buona e giusta. Intervenire con la clava delle restrizioni e delle penalizzazioni è altra cosa, perché si parla di oltre il 40% del parco circolante, 14 milioni di macchine. Obbligare chi possiede una vettura a gasolio a sostituirla significa deviare le scelte di consumo di milioni di famiglie. Quanto saranno contente di non andare in vacanza o non mandare i figli a un corso di studio all’estero? A chi dovesse pensare di far pagare ai contribuenti con incentivi, diciamo che a 5.000 €/macchina (almeno, poi vedremo perché) fanno 70 miliardi, da distribuire su 5/10 anni. Verosimilmente, non si andrà oltre qualche decina di milioni, una 75
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tantum, per accontentare la piazza, ma senza obbligare nessuno. Così, chi normalmente cambia la macchina e dunque già usa motori piuttosto nuovi e poco inquinanti, inquinerà ancora meno. Mentre chi resta seduto, per motivi economici, sui vecchi propulsori diesel, continuerà a farlo e a inquinare più di tutti. Mettere al bando i motori diesel, in modo forte o morbido, comporterebbe una loro immediata svalutazione, diciamo il 40/50%. Secondo stime accreditate, parliamo almeno di 2.500 euro a macchina, su oltre 14 milioni di auto: italiani più poveri di 35 miliardi, d’emblèe. Gli incentivi dovrebbero prima recuperare questo gap e poi contribuire alla spesa. Poi ci sarebbe da considerare l’indebolimento dell’industria automotive europea (già non tanto tonica di suo), competitiva sui motori diesel più del Nord America (motori a scoppio) e del Giappone, molto avanti sulla tecnologia ibrida. In conclusione, la politica in Europa sta per prendere posizione rispetto ai motori diesel, ma probabilmente sarà una posizione di alto volume e poca musica. Ibrida, insomma.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 29 maggio 2017
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A PICCOLI PASSI VERSO L A MOBILITÀ SOSTENIBILE Investire in strade, parcheggi, intermodalità e furgoni elettrici aiuterebbe l’ambiente più dei blocchi auto estemporanei.
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desso che il dibattito sull’ambiente in Europa sta rivolgendo la sua attenzione verso le auto, e verso i diesel in particolare, il tema della mobilità sostenibile accende gli animi. Dopo l’ultimatum Ue all’Italia sull’inquinamento eccessivo (con procedure d’infrazione che potrebbero sfociare in multe miliardarie), cui è seguito un maxi-patto fra le regioni del Nord per fronteggiare gli sforamenti dei limiti, il nostro Paese è chiamato a prendere azioni riguardo alla mobilità sostenibile. Per diminuire seriamente le emissioni nocive è necessario adottare provvedimenti slegati da posizioni ideologiche e preconcette. Concentriamo l’attenzione su quelle prodotte dal traffico su gomma, tralasciando che si tratta solo di una parte delle emissioni che tutti vogliamo aggredire. Uno dei concetti chiave per valutare l’impatto dei trasporti sull’ambiente è la loro fluidità. Il traffico di mezzi pesanti è aumentato enormemente negli ultimi 50 anni, mentre la nostra rete stradale extra-urbana non si è adeguata. I moderni camion di ultima generazione hanno dei propulsori che inquinano molto meno della media di quelli in circolazione. Ma se restano fermi in coda, anche loro emettono scarichi che si potrebbero e dovrebbero evitare, potenziando le strutture ferroviarie e marittime, in modo da deviarvi tutto il traffico superiore ai 6/700 chilometri. Incidentalmente, visto che nel trasporto su gomma gli operatori italiani sono attaccati dai trasportatori dell’Est Europa (nonostante i limiti imposti al cabotaggio), simili investimenti in infrastrutture farebbero entrare nella torta del trasporto operatori 77
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italiani del mare e del ferro. Una politica industriale ambientalista investirebbe nell’intermodalità. Poi ci sono i trasporti commerciali leggeri, quelli del cosiddetto ultimo miglio, che sono importantissimi nell’analisi dell’inquinamento nei centri urbani. Intanto, perché circolano prevalentemente nelle città, impattando direttamente sulla qualità dell’aria che respiriamo. Inoltre, perché sono previsti in crescita esponenziale, a sostegno dello sviluppo dell’e-commerce, che negli ultimi 4 anni ha raddoppiato il suo valore (e le proiezioni sono ancora di maggior penetrazione). Infine, perché (questi sì) sarebbero sostituibili con furgoni a propulsione elettrica, visto che rispetto alle auto qualche ostacolo in meno davanti ce l’hanno. Per prima cosa, ogni sera vengono parcheggiati in compound dove è possibile ricaricare le batterie, a differenza di quelle poche vetture che non “abitano” in villa o box privati. In secondo luogo, percorrono ogni giorno un certo numero di chilometri, anche contenuto, senza esigenze di picchi straordinari, che invece le auto devono soddisfare. D’accordo, ci sono altri ostacoli che rimangono per i furgoni elettrici, quali il costo, il valore residuo e le batterie, ma la partenza è meno in salita, rispetto alle aute elettriche. Ma veniamo alle macchine e veniamo alle città. I tre quarti degli spostamenti quotidiani della popolazione avvengono in macchina o in moto e così sarà anche nel 2030, secondo le previsioni del Censis, che stimano pure la penetrazione dei mezzi pubblici collettivi stabile, intorno al 10% attuale. Allora, sarà bene occuparsi non solo di immettere sul mercato propulsori ancora meno inquinanti, quanto piuttosto di cercare di ridurre le emissioni di tutti quelli in circolazione. Come? Facendoli circolare lo stretto necessario. Secondo un’indagine Tns per il World mobility observatory, solo due terzi del tempo di utilizzo delle auto è dedicato allo spostamento effettivo, mentre la restante parte è assorbita per un nono dal traffico e per due noni dalla ricerca di un parcheggio. Più avanti, gli esperimenti di car sharing odierni diventeranno 78
una realtà capace di ridurre il numero di auto parcheggiate (ricordiamo che tutti gli studi posizionano il tempo di utilizzo delle macchine tra il 4 e l’8%). Ma nel frattempo urge aumentare l’offerta di parcheggi, per liberare spazio su strada e rendere il traffico più fluido. Non parliamo di parcheggi di scambio in periferia, ma di riqualificare qualche palazzo in centro e farne dei multipiani. È anche auspicabile che presto si avvii una digitalizzazione della rete stradale, in modo che il traffico possa essere smistato in tempo reale in base alle convenienze, fino ad arrivare un giorno ad usare le corsie in ambo i sensi di marcia, in base alle esigenze dei diversi momenti, come le rotaie ferroviarie. La digitalizzazione delle strade potrebbe magari – auspicabilmente – fare capolino nel piano di investimenti in infrastrutture da oltre 20 miliardi in 15 anni (per strade, ferrovie e porti) ripartiti ieri dal Governo nel Fondo di investimento (previsto dalla legge di Bilancio) e nel nuovo piano da 2,2 miliardi di investimenti di Autostrade per l’Italia per il periodo 2018-2023. Ci sono, invece, interventi che servono a poco, come i blocchi alla circolazione delle auto. Oltre a non avere impatti positivi duraturi sull’aria, ne hanno di negativi. La circolazione privata non è un capriccio, ma l’ingranaggio che permette di lavorare e produrre ricchezza, anche quando dedicata allo shopping e al tempo libero. Se poi blocco deve esserci, perché non fermare le caldaie dei riscaldamenti, che sono molto più obsolete e inquinanti?
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 30 maggio 2017
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DANIELE SCHILLACI (NISSAN): “SULLE AUTO ELETTRICHE DECIDERÀ IL CLIENTE, MA LA RIVOLUZIONE È GIÀ QUI”
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erché non abbiamo più un Nokia in tasca? Perché alla fine sono sempre i clienti che scelgono. Il bello dell’umanità è che le persone hanno la capacità di capire quale cosa rende la vita migliore e più facile”. Con questa breve (ma pesantissima) pillola di marketing Daniele Schillaci ha segnato lo stato dell’arte per le auto a propulsione elettrica, per Nissan e per l’intera industria. Schillaci è vice presidente esecutivo vendite e marketing e direttore globale dei veicoli elettrici di Nissan Motor Company, oltre ad avere la responsabilità diretta della regione asiatica (incluso il Giappone, quindi). Si tratta di un manager italiano di cui andare fieri, poiché si è affermato in un contesto non facile, che abbiamo incontrato a Roma alcuni giorni fa, insieme all’amministratore delegato di Nissan Italia, Bruno Mattucci. “Se l’elettrico – ha proseguito Schillaci – malgrado le nostre passioni e visioni non avesse questa magia di rendere la vita migliore e più facile al cliente, sicuramente non staremmo qui a discuterne. È una tecnologia pulita e più bella da guidare perché più eccitante, grazie all’accelerazione fantastica. Poi il cliente sceglierà se vuole un’auto elettrica o a benzina o diesel. È il bello del nostro mondo. Ci sono settori che sono scomparsi perché altri sono apparsi, mentre ci sono settori che hanno resistito perché avevano un valore aggiunto per il cliente che è rimasto nel tempo”. Aver iniziato a investire sulle auto elettriche molti anni fa ha permesso a Nissan di accumulare un’esperienza preziosa sulle dinamiche che regolano la domanda. Tanto che, nonostante in80
vestimenti cospicui (ma non indicati), Schillaci non se l’è sentita di sbilanciarsi su tempi e volumi di vendita di queste vetture, fissando su un generico 2025 il momento in cui “ci saranno tanti veicoli elettrici nelle strade”. Alla domanda se eventuali incentivi potrebbero fare la differenza, è stato ribadito che certamente aiuterebbero, ma non farebbero comunque la differenza tra l’accettazione e il rigetto da parte del pubblico. “All’inizio di una nuova tecnologia gli incentivi possono accelerare l’accettazione del cliente, ma non è detto che senza incentivi non si facciano risultati”. Anche qui, come dargli torto? Sempre l’esperienza di questi anni ha consentito poi a Bruno Mattucci (manager intelligente e concreto) di indicare i veicoli commerciali come il settore che più e prima delle auto possono dare (e stanno dando) un significativo ritorno di vendite per i propulsori elettrici. “Sui veicoli commerciali leggeri, anche senza incentivi, stiamo registrando un incremento di domanda che nessuno si aspettava nemmeno pochi anni fa. Ha iniziato DHL con un test su due veicoli Nissan, che ha permesso un’analisi costi/benefici, che sono apparsi evidenti: consegnare nei centri storici senza pagare l’ingresso; consegnare in orari in cui non sarebbe consentito a mezzi rumorosi, grazie alla silenziosità del motore elettrico; ma soprattutto l’incredibile affidabilità di questi veicoli e la riduzione dei costi di manutenzione (il total cost of ownership). Adesso oltre a DHL abbiamo GLS e Poste Italiane, oltre ad Amazon che, pur delegando a terzi le consegne, pretende che almeno una parte della loro flotta sia elettrica. È la conferma che la tecnologia parte quando dà un vantaggio concreto”. Concludendo, un incontro molto illuminante questo avuto pochi giorni fa con i vertici di Nissan. Dalla loro esperienza sul campo un’indicazione per tutti gli addetti ai lavori: guardare alle statistiche di vendita per capire quanto realmente oggi (non in 81
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un tempo indefinito) l’elettrico incontri la domanda dei clienti. Un incontro che ci sentiamo di raccomandare anche agli analisti finanziari di Wall Street, alle prese con i titoli Tesla e Ford.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, l’8 giugno 2017
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FLEET&MOBILITY, CRESCE LA SPESA PER LE AUTO NUOVE Nel 2016 gli italiani hanno speso per ogni auto oltre 500 euro in più rispetto all’ anno precedente.
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el 2016 gli italiani hanno acquistato circa 1,85 milioni di autovetture per una spesa complessiva pari a 36,3 miliardi di euro. Una crescita in valore (19,5%) superiore a quella dei volumi (16,3%), frutto di un prezzo medio netto che è passato dai 19.095 del 2015 ai 19.634 euro del 2016: gli italiani hanno speso per ogni auto oltre 500 euro più dell’anno precedente. È questo il primo dato che emerge dall’analisi “Il mercato auto a valore 2016” del Centro Studi Fleet&Mobility, con il supporto di Alfa Evolution Technology (Gruppo Unipol). La domanda dei noleggiatori (sia di breve che di lungo periodo) è aumentata del 19% passando dai 6,2 miliardi del 2015 ai 7,4 miliardi del 2016 (+1,2 miliardi di euro) e rappresenta il 20% del totale, con un prezzo medio netto di acquisto pari a 20.127, in crescita del 2% rispetto al 2015, quando era pari a 19.771 euro. Le società, che coprono il 21% del mercato, hanno acquistato auto per 7,5 miliardi, con una crescita di 1,8 miliardi di euro e con un prezzo medio netto di acquisto pari a 21.952 euro. Tuttavia è corretto riportare che il 65% dei volumi realizzati dalle società è costituito dalle auto-immatricolazioni delle Case e dei dealer sotto forma di vetture demo e Km 0, che quindi ridimensionano l’effettivo peso degli acquisti in proprietà/leasing delle aziende. 83
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I privati sono passati dai 18,4 miliardi spesi nel 2015 ai 21,4 miliardi nel 2016 con un prezzo medio che è arrivato a 18.784, con un aumento di oltre 500 euro. “I dati confermano che gli italiani sono ancora molto sensibili al fascino delle auto belle e alla moda”, spiega Pier Luigi del Viscovo, direttore del Centro Studi Fleet&Mobility. “Abbiamo registrato un orientamento verso modelli più moderni, in particolare SUV e Crossover, e allestimenti più ricchi di dotazioni e confort. Chi cambia la macchina lo fa non solo per necessità ma anche per guidare un’auto che dia soddisfazioni, a ogni livello di spesa. Ricordo che nel 2009 furono spesi 35 miliardi per acquistare 2,15 milioni di auto, 300mila più del 2016”.
Intervista a Pier Luigi del Viscovo, pubblicata su la Repubblica, il 15 giugno 2017
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LEASING E NLT IN FORTE CRESCITA Giro d’affari in crescita a due cifre nel 2016 per entrambi i segmenti: + 10% e +28%.
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rapporti sul leasing e sul noleggio, presentati rispettivamente da Assilea (associazione delle società di leasing) e Aniasa (associazione dei noleggiatori), hanno restituito il quadro di un 2016 molto positivo per entrambi. Stimolate da forti incentivi (il super-ammortamento e la Nuova Sabatini) le imprese del comparto auto e autotrasporto hanno risposto con un ricorso al leasing che ha sfiorato gli 8,9 miliardi di euro (+28% rispetto al 2015) per 309.000 contratti stipulati (+23%). In termini di prodotti, per le macchine il valore dello stipulato leasing è cresciuto del 24% e per i veicoli commerciali del 27%, mentre il vero boom è stato registrato per i veicoli industriali, con un 50% di aumento rispetto al 2015. Le automobili acquisite con un leasing nel 2016 sono state 118.217, il 38% del volume dello stipulato. Sulle immatricolazioni di auto il leasing ha pesato per il 6,4%, in crescita rispetto all’anno precedente quando contava per il 5,6%. I principali utilizzatori dello strumento finanziario sono stati i noleggiatori a breve, che pesano per il 41% del totale, seguiti dalle società (29%) e dai privati con partita IVA (25%). Residuale invece il ricorso al leasing da parte dei noleggiatori a lungo termine: 5%. Tuttavia, il fatto che i noleggiatori usino il leasing per finanziare la loro attività dimostra ancora una volta come i due strumenti siano non necessariamente alternativi. Anzi, quando si tratta di veicoli strumentali all’attività d’impresa, come tipicamente per il noleggio a terzi, si rivelano complementari, parti di una filiera che produce un servizio. 85
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Venendo al noleggio, l’Aniasa ha presentato una fotografia ancora più robusta. Un settore con un elevato tasso di competitività interno, che non solo cavalca la domanda ma la stimola anche. Una competitività talmente spinta da risultare in alcuni passaggi al di sopra della norma e che forse non trattiene la porzione di valore generato che sarebbe lecito attendersi. In forme diverse, questo si riscontra sia nel noleggio a breve termine (RAC) che nel noleggio a lungo termine (NLT). Nella sua totalità, il noleggio ha prodotto nel 2016 un giro d’affari di 7,7 miliardi di euro, in espansione del 10% rispetto al 2015, con una flotta che tra macchine e veicoli commerciali leggeri ha sfiorato le 800.000 unità, anche queste in crescita di 100.000 pezzi sull’anno precedente. Tutto ciò ha portato il settore a pesare come mai prima sul comparto automotive. Lo scorso anno, più di un’auto ogni cinque immatricolate in Italia era ad uso noleggio. Il NLT, in particolare, ha incrementato nel 2016 il proprio giro d’affari di oltre mezzo milione di euro, portandolo a 6,5 miliardi, di cui 1,7 dalla rivendita di veicoli usati a fine noleggio. Stando alla sola attività tipica, è passata da 4,3 miliardi del 2015 a 4,8 del 2016. Per fornire una chiave di valutazione, basti osservare che nei tre anni precedenti il settore era cresciuto di 400 milioni, dai 3,9 miliardi del 2012. In termini percentuali, il 2016 ha registrato un +12%, laddove dal 2012 al 2015 l’apprezzamento era stato in totale del +10%. Pure la flotta gestita (auto e furgoni) a fine anno è risultata incrementata di 90.000 unità sull’anno precedente. Anche qui, vale la pena evidenziare come nel triennio precedente la crescita fosse stata di 58.000 veicoli. Guardando alle sole macchine, il NLT nel 2016 ha immatricolato 229.000 auto, per un controvalore di 4,9 miliardi di euro, al netto degli sconti. È quanto emerge dalla consueta analisi sul valore del mercato, condotta ogni anno dal Centro Studi Fleet&Mobility, che 86
quest’anno si è arricchita, grazie al sostegno di Europcar, di una sezione dedicata esclusivamente al noleggio. In questi numeri c’è la crescita del prodotto/servizio, superiore a 62.000 auto, che ha portato la flotta gestita a fine anno a quasi 520mila macchine, producendo un fatturato di quasi 4 miliardi di euro. La spinta verso l’alto del valore è stata determinata, nel NLT come nel resto del mercato, anche dalle preferenze crescenti verso i SUV e i crossover, vetture di gran moda per le quali i clienti sono disposti a spendere qualcosa in più. La loro quota, nel NLT, è passata dal 21% del 2015 al 24% dello scorso anno. Di questo momento di forte sviluppo del NLT hanno parlato il presidente di Aniasa, Andrea Cardinali, e il presidente di Unrae, Michele Crisci, intervenuti a La Capitale Automobile fleet, ribadendo come non si debba porre questa crescita in alternativa all’attività che i concessionari svolgono sui privati e sulle PMI: il mondo in questi anni si muove velocemente e i dealer, se non vogliono restare indietro, devono integrarsi nell’offerta di auto più servizi, che è la nuova domanda espressa dal cliente. Cardinali ha anche sottolineato come la presenza al dibattito di Aniasa e Unrae insieme andasse vista come un fatto significativo e strutturale, e che sarebbe stato auspicabile avere anche Federauto al tavolo.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 27 giugno 2017
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SUV, UN MERCATO STRATEGICO CHE CRESCE A DOPPIA CIFRA
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a prepotente affermazione dei SUV e dei crossover nelle scelte degli italiani ha un significato ben evidente a tutti: la passione per l’automobile non è morta, la gente non è più contenta di avere l’ultima versione di iPhone piuttosto che la macchina del desiderio. Sì, perché l’auto è tuttora un forte oggetto di desiderio. Ma prima di analizzare più in dettaglio questo significato, osserviamo le statistiche su cui si poggia. Il 2013 fu l’annus horribilis del mercato dell’auto, quando furono vendute 1.313.000 vetture nuove. Certo a causa della crisi, ma anche scontando un po’ i piacevoli effetti dell’abbuffata di pochi anni prima fatta con gli incentivi. In quell’anno, il valore medio delle auto immatricolate, al netto degli sconti, fu di 18mila euro. Nel 2016, anno di ripresa inaspettata prima e acclamata poi, con 1.848.000 immatricolazioni, il valore medio netto delle auto nuove è stato di 19.600 euro, suggellando un percorso di apprezzamento costante, non fermato nemmeno dalla quota dei km0, che deprimono il valore netto e che sono passati dai 91.000 del 2013 ai 147.000 del 2016 (+ 62% in un mercato cresciuto del 41%). Sicuramente le cause saranno state più d’una, ma è impossibile non annoverare tra queste lo spostamento della domanda verso i SUV e i crossover, passati dal 18 al 27% di quota di mercato in volume – che in quantità significa quasi mezzo milione di unità. Sono macchine appariscenti, non passano inosservate. Chi le sceglie sembra voglia affermare che sì, guida un’auto speciale, forse appena sopra le righe, ma va bene così, non c’è niente di male a compiacersi della propria auto. Se non è passione questa…? Eppure, negli anni tutti hanno cercato di fornire motivazioni razionali e 89
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poco convincenti a quello che è un puro e legittimo atto di piacere: sono auto più sicure, servono per andare su strade di campagna, le usiamo per andare in montagna. Un variegato impianto di difesa contro chi invece vi si scagliava contro, mal sopportando questa ennesima ostentazione della voglia di automobile. È curioso come alcuni siano poco contenti sia quando si vendono poche macchine sia quando la gente pare apprezzarle. Il SUV come prodotto è stato costruito molto bene, in termini di marketing. Innanzitutto, partendo da modelli di fascia alta con brand premium: quelli che diventano l’oggetto del desiderio per tutti, preparando il terreno per i marchi più generalisti e per i modelli di fascia media e medio-bassa. Un po’ la stessa operazione che portò al successo le station wagon negli anni ‘90, trainate dalla Volvo Polar, icona delle SW, indice di un automobilista evoluto, che si prende cura di sé nel tempo libero, in un tempo in cui sembrava contasse solo il lavoro. Fu questo a fare la differenza rispetto a un modello di macchina che già si conosceva, la giardinetta degli anni ’60. Che però era una variante di automobili di fascia medio-bassa, decisamente meno accattivanti. In queste dinamiche intangibili, che però fanno la differenza, c’è pure la risposta a quanti si chiedono perché la Giulia non abbia una versione station wagon: perché oggi non è trendy e contrasterebbe con l’immagine di Giulia. Venderebbe? Certo che sì, ma sarebbero volumi che si ritorcerebbero presto contro il posizionamento di Giulia. Chi poi avesse bisogno di spazio può averlo, dentro la Stelvio, che fuori però è un SUV, di tendenza e che come tale vive di vita propria. Tornando ai numeri, dall’analisi del mercato a valore del Centro Studi Fleet&Mobility, emerge che tra i 15 modelli che hanno la quota di mercato (in valore) più elevata, ben quattro sono SUV/ crossover: la 500X in 4° posizione, il Renegade in 6°, il Qashqai 90
in 8° e il Tucson in 14°. Ordinando poi questi top model in base al valore medio lordo, il podio è tutto loro, dei SUV, con Renegade in testa a 28.160 euro di media, seguito dal Tucson a 27.405 e dal Qashqai a 27.246, tutti ben sopra la media del mercato, fissata dall’analisi a 23.675 euro, al lordo degli sconti. Poco sotto il podio, a 23.522 euro, la 500X. Detto questo, la passione prima o poi lascerà anche i SUV, per spostarsi su un’altra declinazione di auto: che siano le classiche berline quattro porte a tre volumi? Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 27 giugno 2017
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LE AUTO DEL CAR SHARING PARCHEGGIATE PER 22 ORE
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osa hanno indicato i primi anni di esperimento di car sharing (CS) nelle nostre principali città? È una soluzione tattica o un’alternativa strategica da sviluppare su larga scala? È la domanda posta da un’interessante indagine presentata da Gianluca Di Loreto (principal di Bain&Co. Italia) all’assemblea Aniasa di fine maggio. Stimolati da questa domanda e aiutati dai dati pubblicati da Aniasa, che per la prima volta ha diffuso la durata media dei noleggi CS (32 minuti), il Centro Studi Fleet&Mobility ha potuto estrarre il dato dell’utilizzo e dunque del fatturato. Nel 2016 in Italia, con una flotta di 4.500 veicoli, sono stati registrati, stando ai dati Aniasa, 4,7 milioni di noleggi CS, con un utilizzo del 6%: circa un’ora e mezza al giorno. Mentre a Roma e Milano il servizio è più gettonato (9 e 8%, rispettivamente), nelle altre città siamo al 3%. Giusto come riferimento, il rent-a-car (RAC) viaggia su tassi di utilizzo superiori al 75%. La scommessa del CS è di ridurre il numero di auto circolanti, facendo utilizzare la stessa a più persone. Ma finché il CS resta su tassi di utilizzo che sono gli stessi delle auto private tale funzione non viene assolta. Con tali parametri, le stime del Centro Studi Fleet&Mobility indicano che il giro d’affari lo scorso anno avrebbe superato di poco i 30 milioni di euro: in media meno di 7.000 euro all’anno per singolo veicolo (il RAC sta intorno a 10.000 euro). È pur vero che il valore medio delle vetture immatricolate dal RAC è superiore ai 15.000 euro, mentre il CS come sappiamo utilizza esclusivamente auto molto piccole, adatte a un uso breve e urbano. Inoltre, prima di avventurarci in ipotesi sull’equilibrio economico-finanziario del servizio, occorre tenere presente altre differenze non marginali. 92
Intanto, dietro un noleggio RAC c’è sempre almeno una persona di back office e una stazione, dotata di uffici per il pubblico e, soprattutto, di parcheggi per i veicoli. Il CS invece ha un’incidenza del lavoro decisamente inferiore. Dall’altro lato, gli operatori di CS lamentano da tempo il fatto che queste macchine, proprio perché lasciate stabilmente in strada, siano oggetto di atti vandalici e criminali, che aggiungono costi al servizio. Però il sistema pare aver fatto breccia tra gli italiani, stando all’indagine di Bain. Tra chi lo usa frequentemente, 4 su 10 hanno già rinunciato ad avere un’auto. Tra tutti gli utilizzatori, un terzo vi rinuncerebbe se potesse farvi pieno affidamento – alias, se ci fosse una flotta più numerosa e distribuita. In pratica, servirebbe un salto di quantità, che portasse la flotta fino a qualche decina di migliaia di macchine. Ma per questi investimenti serve un’ipotesi credibile di ritorno economico e le analisi riportate, pur non conclusive, qualche dubbio sulla sostenibilità economico-finanziaria del servizio lo pongono. Aggiungiamo che quelli che sarebbero gli operatori elettivi, le società di RAC, non sono entrati nel business: perché? Di contro, non si può ignorare che adesso dietro ciascun operatore di CS c’è un costruttore, che magari trova conveniente investire per far provare e far circolare determinati modelli di auto. Che poi voglia investire per far crescere il servizio, ed eliminare dal mercato un bel po’ di compratori di macchine, è ancora tutto da dimostrare.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 29 giugno 2017
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IL MERCATO AUTO AVANZA, E ANCHE BENE. MA CHE FATICA!
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iù 13% nel mese e più 9% nel semestre. Niente da dire, l’auto nuova continua a farsi immatricolare, un po’ davvero e un po’ per finta. Sì, per finta, perché quando un’auto viene immatricolata non per camminare, ma per stare ferma in un piazzale (anzi, a volte per essere costruita e poi portata nel piazzale) in attesa che un cliente la scelga e se la porti a casa, quella macchina non fa parte del mercato. Non può e non deve (dovrebbe, per adesso) rientrare nella misurazione della domanda. Stiamo parlando del fenomeno, ormai fuori controllo, dei km zero. Aumentati del 48% a giugno e del 66% nel primo semestre, rispetto a quanto fatto in un già dignitoso (si fa per dire) 2016. Immatricolare in sei mesi oltre 166.000 auto tra Case e concessionarie rappresenta quasi il 15% del totale mercato: oltre un’auto ogni sette targata non era destinata a finire in mano a un cliente (non come nuova, almeno). Diciamo, ad onor del vero, che non tutte sono km0: una parte fisiologica (66mila?) serve agli operatori come demo e courtesy car. Per dare un parametro, si sappia che i privati nel primo semestre hanno acquistato poco più di 100.000 auto al mese. Dunque, quelle immatricolate a km0 hanno pesato quanto un mese di acquisti da parte dei privati. Ricordiamocelo, quando si tira in ballo un giorno rosso in più sul calendario o un ponte. Il fenomeno origina dalla necessità di tenere la quota di mercato (alias utilizzo impianti), forse anche per tranquillizzare i plotoni di analisti finanziari che studiano ora quello ora l’altro dossier per fusione o acquisizione. E come capita in ogni mercato, ogni mese c’è 94
qualcuno che si trova in ritardo sui volumi e deve fare uno sforzo per recuperare la propria quota. Sia chiaro che chi costruisce macchine ne fa quel che vuole, nel nome del libero mercato. Allo stesso modo, però, chi fa informazione ha il dovere di far sapere ai lettori che il mercato dei privati non va affatto peggio dello scorso anno. Se al giro di boa mancano all’appello diecimila macchine acquistate nuove dai privati, sia chiaro che questi clienti ne hanno trovate 66.000 in più dello scorso anno lì, sui piazzali, già targate (dunque usate) ma assolutamente nuove: significa che quasi il 9% di privati in più del 2016 ha fatto l’acquisto. In conclusione, la domanda è una ed una sola: perché non ci si mette d’accordo nel conteggiare nel mercato, ossia come domanda dei clienti, solo le auto che vanno effettivamente su strada, quando ci vanno? Un’auto a km0, pur se immatricolata, sta ancora nella pipeline della filiera, in attesa del cliente. È ancora signorina, insomma.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 4 luglio 2017 95
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AUTO A KM0, ECCO COME CAMBIA IL MERCATO E L’INDUSTRIA
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elle prossime due/tre settimane di ferie in spiaggia potrà capitare un giorno di pioggia: pazienza, è comunque estate. Ma se ci fossero 15 giorni di pioggia, freddo e neve, allora non c’è pazienza che tenga! Significa che qualcosa è cambiato. Per i km0 è lo stesso. Finché pesavano per il 6/7% delle vendite, passi. Se in alcuni mesi superano l’8%, va ancora bene. Ma quando per un intero anno, il 2016, hanno rappresentato il 13% delle immatricolazioni (incluso le demo, d’accordo) e quest’anno si avviano a sfondare il 15%, qualche domanda forse è il caso di farsela. Perché magari qualcosa sta cambiando ed è meglio saperlo prima che dopo. In Europa, a differenza dell’America, le macchine si vendono col sistema detto ‘built-to-order’: ordina un’auto in concessionaria, dai un anticipo, e noi te la costruiamo e te la consegniamo nel giro di alcune settimane. Questo sistema ha delle declinazioni industriali, di marketing e finanziarie. La fabbrica può ottimizzare il magazzino dei componenti, il cliente può scegliere allestimenti e optional, il concessionario può lavorare su catalogo, con relativamente poco stock. Ma adesso le fabbriche hanno bisogno più di una saturazione degli impianti costante e garantita che non di un magazzino leggero. Le promozioni sugli ordini (rottamazione, incentivi, tasso zero, supervalutazione della permuta e via discorrendo) non sono sufficienti a portare a casa il risultato, nei tempi dovuti, anche perché il concessionario, che prima giocava in una sola squadra, oggi gioca con due/tre squadre diverse e dunque riesce a far quadrare i suoi conti anche se il singolo brand arranca. È il prezzo del passaggio al dealer multi-marca, che poggia il proprio business sul cliente. Così, quando 96
vedi che mancano pochi giorni e sei a metà del tuo obiettivo, rompi il salvadanaio e cominci a telefonare, per immatricolare auto da vendere poi a km0. Finora, sembrava che fosse una tattica, per aggiustare il risultato del mese, poi del trimestre e infine del semestre. Tanto che ci si chiedeva: ma quanti salvadanai da rompere hanno i costruttori? Forse però c’è un altro punto di vista. Forse non è tattica ma strategia. Forse c’è l’intenzione di affiancare al ‘built-to-order’ l’altro sistema, quello dello stock, quello push, che funziona più o meno così: io fabbrico comunque il quantitativo minimo di auto, necessario a tenere la saturazione degli impianti sopra il 75/80% e avere così un costo variabile industriale dentro i limiti di budget. Poi le spingo sul mercato attraverso forti sconti: move the metal. Non è complicato, ma quali sarebbero le implicazioni, se questa strategia dovesse crescere ancora? Per il cliente, ci sarebbero solo vantaggi. Chi volesse comunque ordinare la sua auto, con allestimento, colori, interni e option personalizzati, potrebbe continuare a farlo, sapendo però che i tempi di consegna potrebbero allungarsi ulteriormente (vedremo perché). Chi invece fosse disponibile ad approfittare di un’auto in pronta consegna e uno sconto allettante, potrebbe scegliere tra quelle disponibili nello stock del concessionario. Che in questo caso dovrà essere il più ampio possibile, perché l’assortimento è una delle principali leve di creazione di valore per il distributore. Se la scelta fosse tra pochi pezzi, andrei a vedere se da un altro trovo qualcosa di diverso. Questo sarebbe il punto di cambiamento maggiore per il sistema distributivo: il concessionario con maggior capacità finanziaria avrebbe il magazzino più ricco e dunque più franchise di clienti. La selezione darwiniana verrebbe di conseguenza. A quel punto, gli investimenti che oggi sono destinati a strutture improduttive (arredi, ambienti e standard vari) sarebbero dirottati sul ferro da tenere a stock. 97
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Per i costruttori, sono ipotizzabili altri cambiamenti significativi. Innanzitutto, la produzione per lo stock verrebbe concentrata su modelli, allestimenti, colori e optional più richiesti, tanto da rendere sempre più difficile evadere ordini particolari in tempi brevi. In secondo luogo, la spesa di marketing verrebbe spostata dall’ordine alla vendita: quando il livello dello stock del dealer diventa alto, sarà opportuno spingere le vendite (il sell-out) con sconti aggiuntivi, altrimenti quel dealer rallenta le immatricolazioni. Apparentemente, non c’è una grande differenza tra spendere 1.000 euro per regalare un navigatore su un ordine e spendere 1.000 euro per vendere l’auto sul piazzale. In realtà, questo è l’aspetto probabilmente più doloroso dell’intero sistema. Quando si spendono soldi per lo zuccherino, che fa sedere il cliente di fronte al venditore per ordinare la macchina, c’è un grande spazio per recuperare quei soldi attraverso la vendita di option e allestimenti che danno margine. Ma quando l’auto è già lì, sul piazzale, fatta e finita (e un po’ impolverata), lo spazio per le vendite aggiuntive si riduce al minimo. Infine, ci sarebbe la questione degli option innovativi e tecnologici, su cui soprattutto i costruttori premium poggiano la competizione e i margini. Immatricolare auto con nuovi e costosi dispositivi potrebbe essere sconsigliabile perché rischioso. Questo danneggerebbe in prima battuta i costruttori premium, che fanno delle nuove soluzioni il loro cavallo di battaglia, ma nel medio-lungo periodo tutti gli investimenti in innovazioni ne risulterebbero scoraggiati. Lo scenario descritto è sicuramente incompleto e forse anche immaginario. Magari tutti questi km0 sono solo una tattica, per quanto costosa e un po’ fuori controllo. Però la realtà riporta che di clienti impazienti e a caccia di affari ce ne sono sempre di più, che le concessionarie tendono a diventare più grandi e più strutturate, anche finanziariamente, e che le fabbriche devono ridurre al minimo le oscillazioni. Built-to-order? Anche no, grazie. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 7 luglio 2017 98
ELETTRICO, PREVALGONO LE PERPLESSITÀ
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gni 10.000 macchine nuove, quasi 9 sono elettriche. È un inizio, dagli tempo. Eh, no! Non è un inizio e il tempo gliel’abbiamo già dato. Otto anni da quando le prime Case hanno iniziato a venderle, investendo cifre enormi, il cui ritorno non c’è stato. Ora è il tempo di tirare qualche conclusione per capire cosa non ha funzionato. Sarebbe poi interessante chiedersi perché abbiano fatto da eco ai costruttori, che predicavano un futuro quasi presente, dove tutti avrebbero staccato il numerino per non farsi scavalcare nella corsa all’acquisto di un’auto elettrica. Invece di interrogare, di mettere in discussione: quante pensate di venderne? entro quando? quanto state investendo, tra ricerca e sviluppo e marketing? quale sarà il Roi (ritorno sull’investimento) dell’operazione? è il modo migliore per investire dei capitali? perché insistete tanto sul propulsore elettrico? Ma questa è un’altra storia, che supera l’automobile. La prima conclusione è che l’equazione di marketing non sta in piedi. Il prezzo è molto più alto di una vettura termica di pari livello (nei metri, non nella sigla). Si risparmia sul carburante, se ricarichi nel cortile di casa, salvo che il bisogno di un’auto elettrica è più forte nelle metropoli. Se ricarichi su strada (ma dove? e chi pagherebbe l’investimento per le colonnine? e cosa direbbero i signori del petrolio?), chi può realisticamente garantire quale sarà la tariffa a kW in un libero mercato? Non solo: la ricarica dura circa un’ora. Un’ora? Adesso quando troviamo tre macchine in coda al distributore tiriamo a quello successivo. Poi, la durata e lo smaltimento delle batterie, per tacere del valore residuo dell’usato e delle fonti di produzione dell’elettricità. Serve un velo molto grande, da stendere. Ma quand’è che c’è stata una morìa di direttori marketing e non ce ne siamo accorti? 99
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La seconda conclusione è che c’è ancora tanto lavoro per mettere a punto un prodotto competitivo, ma tale sviluppo dipende poco dai costruttori di macchine e molto da altri colossi industriali, che operano in più settori. Inoltre, la messa su strada sarà determinata dalle infrastrutture, che alcuni Paesi potranno permettersi e altri meno, dovendo scegliere tra le colonnine e le reti digitali e telematiche, su cui corrono le comunicazioni, la produttività e la crescita stessa di un Paese. Insomma, il futuro è bellissimo, ma ha un piccolo difetto: prima o poi arriva.
Articolo pubblicato su il Giornale, il 14 agosto 2017
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AUTO “VINTAGE” TRA SUCCESSI E FORZATURE
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iat 500 e Mini sono due successi assoluti, con il loro stile contemporaneo che però ha sapientemente recuperato forme e dettagli degli anni ‘60 e ‘70. Chi allora era giovane, oggi spesso ha i soldi per ricomprarsi un po’ di gioventù. La prima a provarci fu Volkswagen col Maggiolino, all’inizio del secolo, ma con risultati che si vedono, anzi non si vedono, sulle strade, nonostante fosse la più iconica di tutte – Bernie, il maggiolino tutto matto. Cosa non ha funzionato? Probabilmente non il marketing: se negli anni ‘80 hai venduto l’anima, ora puoi ricomprarla. Allora il prodotto. Confrontando le immagini delle due versioni, anni ‘70 e anni 2000, mancano quei bellissimi paraurti cromati, come pure il deflettore dei finestrini anteriori e il cupolino che copriva la luce della targa, decisamente carino. Ma la grande scomparsa è il predellino, già all’epoca residuo delle macchine del dopoguerra. Sono quei segni che il gusto apprezza, perché fanno affiorare i ricordi. Perché siano stati sacrificati è un mistero. Possiamo azzardare che siano stati immolati sull’altare del contenimento dei consumi. Il Maggiolino di oggi è migliore? Sicuramente sì. Ricorda emotivamente quello originale? Sicuramente no. È probabile che gli ingegneri tedeschi abbiano trovato il modo di intrufolarsi in un progetto dal quale dovevano essere tenuti ben distanti. Un altro tentativo di rivitalizzare un brand model del passato lo stanno conducendo (senza successo) i francesi di Psa. Da alcuni anni hanno deciso che devono avere il loro posto al sole nel segmento premium, facendo della sigla Ds un brand con un’intera car line. Qui non c’entrano gli ingegneri, ma la grandeur. La Citroën Ds è 101
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stata negli anni ‘60/‘70 (ed è ancora oggi) una delle auto più belle e invidiate. Per la tecnologia di costruzione e per le sospensioni, ma soprattutto per quella forma unica, ferro-da-stiro, che ancora oggi si ricorda e si apprezza. Dunque, è stata riprodotta tale quale da Psa? Facendola tornare sul mercato per alcuni anni, per poi affiancarle altre versioni e formare una car line? Magari trovando il modo di resuscitare sotto lo stesso ombrello anche un’altra icona dei giovani, la 2 Cavalli? Assolutamente no. Niente di questo. La ricetta d’Oltralpe è più breve: prendiamo la sigla, spieghiamo che viene dal passato, la mettiamo su carrozzerie di oggi e tanto vi deve bastare. Accattatavil, direbbe Sophia Loren. Ecco, appunto.
Articolo pubblicato su il Giornale, il 28 agosto 2017
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SCOMMESSA VINTA GRAZIE A TECNOLOGIA E DESIGN Ecco come la scomparsa dei dazi europei è servita a migliorare la qualità dell’offerta.
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sattamente 6 anni fa Martin Winterkorn, allora capo del gruppo Volkswagen, si recò presso lo stand Hyundai al Salone di Francoforte per esaminare e apprezzare la qualità della i30, rivale della Golf, facendo un endorsement alla manifattura industriale del gruppo coreano. Era giustamente preoccupato perché era appena entrato in vigore, il 1° luglio 2011, il Free Trade Agreement (FTA) tra l’UE e la Corea del Sud, che prevedeva la graduale scomparsa dei dazi sulle vetture importate (e sul 98% dei prodotti oggetto di import/export tra i due Paesi). Come abbiano sfruttato la maggior competitività doganale i due brand del gruppo, Kia e Hyunday, lo abbiamo chiesto ai rispettivi amministratori delegati, Beppe Bitti e Andrea Crespi. “Le auto coreane avevano un posizionamento value-for-money – dice Bitti (Kia Motors Italia) – che le rendeva molto appetibili, nonostante il dazio del 10%. Negli anni, abbiamo elevato sia la qualità tecnologica del prodotto sia il design. Ciò ha comportato un innalzamento del costo della produzione, che però abbiamo compensato con la graduale scomparsa delle tariffe. Portare il brand via dal posizionamento value-for-money è ciò che stiamo facendo. È più facile su prodotti iconici, come lo Sportage che è ormai alla 4° generazione. Ma ormai siamo percepiti in linea con gli altri brand generalisti europei. Nei prossimi anni avremo tutta la gamma disponibile con propulsori ibridi e questo farà la differenza, innalzando ancora la percezione del brand, soprattutto presso la clientela più sofisticata”. 103
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Passando a Hyunday, vediamo che questo brand dal 2011 al 2016, secondo l’analisi del Centro Studi Fleet&Mobility, ha incrementato la sua quota di mercato più in valore (+0.7 pp) che in volume (+0.6 pp), grazie a una politica che ha spinto sui modelli di fascia medio-alta. Infatti, dall’analisi emerge anche che il prezzo medio (a listino, incluso IVA ma senza optional) delle auto vendute nel 2016 è stato di 20.890 euro, a un livello dell’88% rispetto alla media del mercato, mentre nel 2011 il valore fu 17.542 euro, l’81% della media mercato. La crescita di questo indice è stata nei 5 anni superiore al 19%, mentre il mercato ha segnato un incremento del valore medio inferiore al 10%. La strategia ce l’ha confermata Crespi (Hyundai Motor Company Italia): “Abbiamo rinnovato la gamma puntando molto sulla tecnologia e sul design, non solo sulla fascia bassa ma anche su modelli come Tucson. Questo ha permesso alla rete di crescere non solo in volume ma anche di attirare una clientela più elevata, che ha reso il business più sostenibile e consente al concessionario di offrire servizi sempre migliori”. In conclusione, la politica del gruppo è stata molto lungimirante: sfruttare il maggior margine sulle vendite derivante dalla scomparsa delle tariffe non per aggredire il mercato europeo con prezzi sempre più bassi, bensì per sopportare costi di produzione crescenti derivanti da una qualità e un design sempre maggiori. Esattamente il contrario di certe miopi filosofie low cost. Bella lezione.
Articolo pubblicato su il Giornale, il 30 settembre 2017
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GLI ACQUISTI “NASCOSTI” DELLE FAMIGLIE
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e famiglie decidono di affrontare l’acquisto di un’auto quando sentono che le cose economicamente non solo vanno bene, ma presumibilmente continueranno a farlo: tecnicamente, hanno fiducia. Un’analisi del centro studi Prometeia mette in relazione l’indice di fiducia con gli acquisti di automobili. Ciò che emerge, su un arco temporale di sette anni, da gennaio 2011, è una conferma del rapporto nel medio periodo, ossia tre/quattro trimestri. Addirittura, si nota che le curve di frenata/ripresa degli acquisti di auto anticipano di qualche trimestre il medesimo movimento della fiducia (non che ciò autorizzi, ovviamente, a invertire il nesso di causalità). Ma l’analisi di Prometeia è interessante anche e forse più per altri due elementi. Primo, tiene conto, negli acquisti, sia delle macchine nuove che di quelle usate, ritenendo correttamente che chi compra un’auto compra un’auto. Secondo, riconduce il livello degli acquisti al loro valore economico, i soldi, anziché fermarsi ai volumi. Assumendo, anche qui giustamente, che un mercato che vendesse un milione di Panda non sarebbe uguale a uno che vendesse un milione di Porsche. Venendo ai giorni nostri, osserviamo che l’indice della fiducia è in netta ascesa, mentre non così l’acquisto di auto delle famiglie, che nelle statistiche ufficiali fino ad agosto è in ritardo di oltre un punto percentuale rispetto allo stesso periodo del 2016. Nella realtà le famiglie stanno comprando più dello scorso anno e anche i concessionari confermano che il mercato c’è e si respira un’aria di ottimismo. Solo che le Case stanno immettendo nella rete auto a km0 in ragione del 50% in più dello scorso anno. Come da tempo argomentiamo anche da queste pagine, le statistiche non tengono 105
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conto che le auto a km0 risultano immatricolate da una società (il concessionario) ma poi vengono comprate realmente (come usato a km0) dal vero cliente, un privato. In questo anno, le cosiddette auto-immatricolazioni (intestate a concessionarie o a Case auto) hanno segnato finora un incremento di oltre 80.000 unità. Secondo un’analisi del Centro Studi Fleet&Mobility, se queste sole fossero ascritte ai privati (come probabilmente è verosimile), questo segmento, le famiglie, risulterebbe in crescita del 9%. Ma il diavolo, si sa, fa solo le pentole. I clienti che chiedono un’auto a km0, perché convinti di risparmiare, devono sapere che al prodotto nuovo la Casa spesso riserva vantaggi che le km0 non hanno. A parte la garanzia di 2 anni, non è raro vedersi offrire soluzioni di finanziamento riservate esclusivamente al veicolo nuovo, che complessivamente lo rendono più conveniente.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 3 ottobre 2017
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I NUMERI VERI DELLE ELETTRICHE Le vetture alla spina conquistano spazio nelle strategie delle case ma i dati di vendita restano confinati ad una nicchia ed è soprattutto la Cina ad accelerare nella trasformazione.
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’è qualcosa dietro a questa corsa frenetica verso l’auto elettrica. È normale che l’industria corra e acceleri, certo, ma verso il mercato. I clienti invece, dopo 8 anni di offerte, gonfiate da una comunicazione incomprensibilmente esagerata, ancora non hanno degnato di uno sguardo le auto elettriche: in Italia siamo a meno di 8 ogni 10.000 auto acquistate. Nel Mondo, escluso la Cina, va un po’ meglio (30 ogni 10.000), in particolare grazie alla California e alla Norvegia, che per effetto degli incentivi pesa per oltre il 6% delle vendite mondiali, pur avendo gli stessi abitanti della Sicilia. Francamente, con questi numeri nessun costruttore parlerebbe ancora di elettrico. Ma c’è la Cina, dove invece ogni 100 auto una è elettrica, con un balzo impressionante negli ultimi tre anni – nel 2013 era al livello dell’Italia. Le ragioni di tanta freddezza da parte dei clienti sono note e lampanti: reti di ricarica inesistenti, tempi di ricarica da società agricola, costo del prodotto elevato, valore residuo non pervenuto. Le colonnine prevedono un forte coinvolgimento pubblico, non tanto per l’investimento (che potrebbe pure arrivare dai privati – come Repower, che ne sta installando oltre 150 nella penisola) quanto per la realizzazione: tra ministeri ed enti locali competenti, non si finirebbe più. Le ricariche, a parte i tempi, farebbero sorgere problemi di capacità nel sistema distributivo. Secondo Green Alliance, un think tank inglese, la Gran Bretagna (uno dei sei Paesi al Mondo con una quota di vendita di auto elettriche superiore all’1%) non sarebbe pronta, poiché la ricarica di una sola macchina richiede la 107
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stessa energia che un appartamento medio assorbe in tre giorni e, soprattutto, perché l’assorbimento simultaneo di molte vetture sarebbe insostenibile per la rete elettrica, se non adeguatamente rinforzata (tanto che stanno pensando a colonnine domestiche programmabili col timer). Anche il vantaggio per l’ambiente pare tutto da verificare, al punto che l’equazione elettrico = ecologico è vera in rarissimi contesti. Spesso non si considera che l’elettricità non è una risorsa naturale, ma un prodotto industriale. Se viene dal nucleare, come in Francia, allora un’auto elettrica emette circa 8 grammi/km di CO2, ma se la produci in Cina col carbone il valore arriva a 120 grammi/km. A proposito di Cina, dal Global Outlook EV (electric vehicle) dell’International Energy Agency si apprende come in soli 3 anni (2013-2016) abbia impresso un’accelerazione all’elettrificazione della mobilità automobilistica. I punti di ricarica sono 141mila (erano zero), quasi la metà di tutti quelli disponibili al Mondo. Gli altri Paesi nel periodo non hanno nemmeno triplicato la dotazione, da 49.000 a 181.000. Le immatricolazioni di auto elettriche (BEV) sono passate da 15.000 (0,08%) a 257.000 (1%). Una sterzata confermata anche da uno studio di Alix Partners, che misura le vendite di auto elettriche tenendo conto dell’autonomia di guida. Tale indice, espresso in milioni di km, riporta che in Cina nel 2016 sono state vendute auto elettriche (BEV) ed ibride plug-in (PHEV) per un totale di 63 milioni/km, 30 volte il valore 2013. Nel frattempo il resto del Mondo ha solo quadruplicato le vendite, da 36 a 140 mln/km. La Cina sta deviando verso l’elettrico a beneficio della sua industria nazionale. Ancora dall’analisi di Alix Partners viene fuori che delle 260mila vetture elettriche (BEV+PHEV) vendute nel secondo trimestre 2017 nel Mondo, 115.000 sono di costruttori cinesi, che dunque hanno una quota del 44% a livello mondiale. Nel mercato totale (termico + elettrico) gli stessi costruttori non arrivano al 6%, tutto o quasi fatto in Cina. Fuori dai confini, una penetrazione a due digit resta un sogno, a meno che non trovino il modo per rime108
scolare le carte. Detto chiaramente, il sospetto è che l’industria automobilistica cinese, non potendo competere con quella occidentale e nippo-coreana, abbia puntato sul passaggio al motore elettrico per spazzare via quei vantaggi tecnologici costruiti nei decenni su propulsori, cambi, trasmissioni e altri sistemi che oggi fanno rotolare le ruote. La competizione si sposterebbe così sulle batterie. La disponibilità di litio a livello mondiale è dibattuta, ma pare non sia lui l’anello debole (Elon Musk l’ha paragonato al “sale sull’insalata”), quanto piuttosto il nichel e il cobalto. Il primo, presente soprattutto in Australia e Filippine, è al centro di grandi controversie perché la sua estrazione provoca danni ambientali significativi. Il secondo si trova per il 60% in Congo, di cui la Cina si è già accaparrata il 90%. Ci si ritrova così al solito vecchio risiko dell’energia, di cui abbiamo memorie. Negli anni ‘60 ad esempio, quando la Francia uscì dall’Algeria e puntò sul nucleare. O nel 2011, quando la Germania accelerò l’uscita dal nucleare, dopo il disastro di Fukushima ma grazie all’inaugurazione del gasdotto Nord Stream. In conclusione, la domanda che questa corsa all’elettrificazione pone è evidente. Da un lato è ragionevole che i costruttori occidentali sviluppino l’elettrico, per evitare le multe dell’EEA (European Environment Agency) a chi nel 2021 sforerà il limite di 95 gr/km di CO2 e per farsi trovare pronti sul mercato cinese, che pesa oltre 1/4 del totale. Dall’altro, è meno facile da capire (e da credere) che ciò sia accompagnato dalla smania di distruggere un’eccellenza industriale (l’automotive) che occupa milioni di addetti. Anche perché i consumatori, con qualche eccezione, non lo chiedono. Anzi, potendo scelgono un SUV.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 3 ottobre 2017 109
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SE L’EUROPA RISCHIA DI INDEBOLIRSI
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l Salone di Francoforte ha reso evidente, con le molte importanti assenze, che queste kermesse hanno poco futuro se puntano solo sull’esposizione ultra-costosa della gamma. Invece, ha confermato la necessità di momenti di incontro dedicati al confronto sui temi caldi dell’automobile. Proprio da lì Dieter Zetsche, presidente di Acea e numero uno di Daimler, ha motivato la richiesta di rinviare dal 2021 al 2030 il taglio del 20% delle emissioni, legandola “alla reale domanda di auto elettriche da parte del mercato e alla disponibilità delle infrastrutture di ricarica”. In altre parole, ciò che da anni andiamo ripetendo invano. Primo, un’innovazione così marcata, che cambia le abitudini dei consumatori (per intenderci, non è un common rail qualsiasi) va fatta CON i consumatori e non trascurandone le abitudini, i bisogni e le priorità. Secondo, c’è un convitato di pietra: pubblico o privato che sia, qualcuno deve investire per le colonnine. Terzo, la vera causa di tanta pressione dei costruttori verso l’elettrico sono le multe e non l’ambiente. Del resto, i costruttori sono SpA e non ONG e poi l’auto elettrica con l’ambiente c’entra il giusto. Sì, perché l’elettricità non è una risorsa ma un prodotto industriale, che inquina poco o molto a seconda di cosa bruci – se carbone (come in Cina), un’auto emette circa 120 gr/km di CO2. Detto ciò, l’Europa dovrebbe anche stare più attenta alle sue scelte di politica industriale, perché magari altri giganti non vedono l’ora di competere con un’industria automobilistica europea indebolita proprio nella sua eccellenza maggiore, i sistemi di propulsione e trasmissione, che occupa milioni di addetti. 114
Quanto sarà stata contenta la Cina di vedere che la gran parte del suo mercato dell’auto (il primo al Mondo) è in mano a gruppi europei (pur con produzioni locali, d’accordo)? Perché in 3 anni hanno fatto crescere le strutture di ricarica, al punto da vantarne il 44% di tutte quelle esistenti sulla Terra? Come mai di tutte le auto elettriche vendute al Mondo (ponderate in base all’autonomia, secondo un indice AlixPartners) quasi la metà sono di costruttori cinesi? Sembra plausibile una strategia del Dragone che suoni più o meno così: il mercato, almeno quello domestico, è roba nostra e dunque vogliamo una quota dominante ma, poiché non possiamo competere sul termico, passiamo all’elettrico, dove la complessità è minore e siamo tutti più allineati. Mentre in Europa giochiamo a fare Tafazzi.
Articolo pubblicato su il Giornale, il 4 ottobre 2017
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SEGMENTO BUSINESS SEMPRE PIÙ CENTRALE Senza km zero e gli extra-volumi del noleggio a breve termine (trainati dal super-ammortamento) il 2017 chiuderebbe positivo di pochi decimali.
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e fosse per i privati (che comprendono anche le partite IVA non societarie) e per le società che acquistano o prendono in leasing le macchine, mancherebbero rispetto allo scorso anno 5.000 targhe nel mese e ben 20.000 nei nove mesi. Per fortuna ci sono i grandi acquirenti (noleggiatori) insieme alle auto-immatricolazioni delle Case e delle loro reti (demo e km0), che fanno da stampella e riportano il mercato in positivo. Tra questi grandi compratori, occorre fare un distinguo. Il noleggio a lungo termine (NLT) ha acquistato di più perché la sua politica di espansione funziona e attrae ogni mese nuovi clienti, piccole imprese e ditte, professionisti e privati cittadini – ancora pochi, ma in crescita. Come afferma Andrea Cardinali, presidente di Aniasa (l’associazione dei noleggiatori) “gli operatori del long term in questi mesi hanno fortemente stimolato nuove fasce di clientela a considerare e adottare la formula del noleggio, non solo attraverso un’offerta flessibile, ma anche utilizzando in più occasioni il beneficio fiscale del super-ammortamento, che ha liberato risorse da destinare alla competizione, incrociando significativamente la domanda delle piccole aziende, dei professionisti e dei privati. Evidenti sono stati, quindi, i benefici della misura varata dal Governo per la mobilità delle imprese italiane. Non solo: a beneficiarne sono state anche le entrate dell’Erario. Considerando unicamente le autovetture adibite a noleggio a lungo termine, nel 2016 questa misura ha prodotto 35.000 immatricolazioni in più, con relativi 170 milioni di euro netti di maggiori entrate per l’Erario. Per questi motivi ANIASA ha chiesto al Governo di confermare e rendere strutturale 116
nella prossima Legge di Stabilità il super-ammortamento”. Ormai i noleggiatori hanno delle business unit a livello europeo dedicate a questi clienti nuovi, che non possono essere gestiti come le flotte. Come ci ha spiegato Alessandro Grosso di FCA (che pesa intorno al 30% nel noleggio), “per avere successo in questo segmento non devono mancare nel mix alcuni elementi chiave: innanzitutto, proporre dei servizi adatti alle esigenze del privato, con chilometraggi non molto elevati e durate di almeno 48 mesi, in linea con le loro abitudini; poi, evitare di chiedere anticipi, a meno che questo non sia rappresentato da una permuta, che c’è nel 70/80% dei casi e di cui il noleggiatore deve farsi carico; infine, ma questo è particolarmente riferito ai privati senza partita IVA, offrire un canone già comprensivo di IVA, finito”. Per i noleggiatori a breve (RAC), non è ben chiaro quanta parte degli acquisti sia determinata da una reale esigenza di business e quanta invece risponda solo a logiche di convenienza. Indubbiamente, aver immatricolato a settembre oltre 4.000 macchine in più rispetto allo scorso anno (e quasi 21.000 in più nei nove mesi) qualche perplessità la genera, se si pensa che la domanda di noleggi cresce, ma nell’ordine del 5/6% anno su anno. È possibile che alcuni di essi abbiano accettato condizioni di fornitura molto favorevoli, con l’idea che il minor costo delle auto potesse migliorare il margine di contribuzione. Peccato che poi il margine si riduca di nuovo, se si ricorre a prezzi eccessivamente aggressivi per utilizzare questa dotazione di flotta. L’altro effetto è quello di accelerare la rotazione della flotta, dismettendo prima dei 6 mesi le macchine e alimentando un mercato del semi-nuovo che fa una concorrenza spietata al nuovo, sul segmento dei privati. I privati che vogliono cambiarsi la macchina oggi sono già abbondantemente stimolati da un’altra fonte di attrazione, le vetture auto-immatricolate dalle stesse Case e dai loro concessionari, che statisticamente finiscono nelle società ma che poi andranno ai privati, come km0 o usato semi-nuovo. Non parliamo di pic117
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coli numeri: 10.000 targhe nel mese più del settembre 2016 e oltre 92.000 in più nei nove mesi. Senza questi extra volumi e quelli del RAC, il mese avrebbe chiuso in negativo e l’anno sarebbe positivo di uno zero virgola. A chi afferma che le auto demo e le km0 ci sono sempre state e sono ormai un canale fisiologico, va ricordato che in questi mesi le quantità sono abnormi. Del resto, lo stesso Michele Crisci, Presidente dell’Unrae (che rappresenta le Case estere), ha affermato come “tuttavia dobbiamo rilevare che il fenomeno delle auto-immatricolazioni, finalizzate a sostenere le quote di mercato, comincia ad acquisire contorni importanti, rendendo più complesso il dimensionare correttamente le previsioni per il 2018”. Questi sono i fatti salienti, economici, che definiscono la congiuntura. A latere, molti annunci di cambiamenti che però sono difficilmente riscontrabili nella realtà dei numeri. La fuga dal diesel, ad esempio: la sua quota nell’anno al 57% è perfettamente allineata al 2016 e nel mese è cresciuta di qualche decimale, mentre le vetture a benzina (33%) cedono un punto a favore delle ibride.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, 17 ottobre 2017
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L’E-COMMERCE CAMBIERÀ VOLTO AI MERCATI DELL’AUTO E DEL NOLEGGIO
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’e-commerce è il vero fenomeno disruptive di questa epoca, in quanto separa la compravendita di cose (i beni virtuali, essendo dati e informazioni, già si scambiavano da remoto) nei due momenti: l’acquisto e la consegna. Portare l’atto d’acquisto online significa rendere superfluo l’incontro tra venditore e compratore, con quello che ne consegue: efficienze di tempo e spostamenti, comodità di ubicazione e orario del compratore, ma anche rinuncia a quel valore aggiunto che deriva dal confronto delle parti. Sia come sia, non sembra un fenomeno passeggero. Per ora stiamo assistendo ai primi esperimenti su beni di consumo, ma sappiamo tutti che prima o poi anche l’auto ne sarà interessata. Anzi, per la verità già nell’usato molte trattative iniziano e finiscono online. Assumendo che prima o poi anche le auto aziendali possano essere acquistate/noleggiate online, AgitaLab (centro ricerca & innovazione di Agenzia Italia, un service provider leader nelle flotte) ha riunito un panel di esperti per formulare una previsione di come l’e-commerce interesserà la company car. Questi esperti si sono trovati d’accordo sul fatto che la vendita online dell’auto aziendale avrà uno sviluppo deciso nei prossimi anni, e che sarà cruciale avere un’organizzazione di back office in grado di gestire il rapporto col cliente in modo esaustivo e professionale. In particolare nella fase commerciale, l’e-commerce non dovrebbe limitare la comprensione dei bisogni specifici del cliente, anche se richiederà una maggiore capacità di ascolto e più specializzazione nelle figure di front line, in modo da tenere una relazione efficace come se si operasse offline. 119
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L’altro impatto forte sull’organizzazione dei noleggiatori, previsto dagli esperti, è il potenziamento del customer care, in particolare nelle relazioni con i driver, oltre a un presidio attivo dei social per i complaints. Una volta stabilito con i driver un rapporto diretto, anche di natura commerciale, il passo a proporre servizi integrativi, pagati dal driver stesso, è davvero breve. A questo punto, anche il ruolo del fleet manager ne risulterà modificato, visto che i driver potranno partecipare attivamente alla fase commerciale e di configurazione dell’auto e poi avere la responsabilità di gestire direttamente alcune attività. Ed è qui che molti esperti sono andati ancora oltre, azzardando una previsione che potrebbe cambiare l’assetto attuale della gestione di molte company car: venendo a mancare o attenuandosi molto la relazione diretta col fleet manager, questi potrebbe anche acquistare le auto direttamente dal costruttore e i servizi dai singoli provider. Insomma, l’e-commerce potrebbe portare, in un certo tempo, a una sorta di scomposizione del NLT nei suoi diversi servizi.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 17 ottobre 2017
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NEL NOLEGGIO A “VALORE” VINCONO I TEDESCHI
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uando si guardano le statistiche sulle immatricolazioni nei diversi canali, si assume che quelle intestate a società di noleggio siano di categoria mediamente superiore, perché un’auto usata per lavoro (o anche per lavoro) normalmente non è un’utilitaria. È un luogo comune che corrisponde solo parzialmente alla realtà. Dall’analisi delle immatricolazioni in valore, condotta annualmente dal Centro Studi Fleet&Mobility, emerge infatti che una distanza c’è tra il valore medio delle auto a noleggio e quelle invece intestate a privati (segmento che include, è opportuno ricordarlo, anche professionisti con partita IVA e ditte individuali), ma non è poi così grande: intorno ai 1.300 euro. Nel 2016 i noleggiatori hanno acquistato auto di 20.100 euro di valore medio, al netto degli sconti e incluso IVA, ma senza considerare gli optional, mentre i privati si sono attestati su un valore medio di 18.800 euro. Allora, è opportuno andare a approfondire quali sono i modelli che più di tutti sono acquistati dai noleggiatori. Il noleggio copre il 40% del mercato con 15 modelli, dalla 500L (che nel 2016 aveva la quota in valore più alta, 4.7%) alla Mercedes Classe C (1.7% di quota in valore). Ovviamente, la conversione della quota dal volume (che legge le immatricolazioni) al valore economico qualche sorpresa la riserva. La più evidente riguarda la Panda: se in volume risulta la più venduta con il 7.7% delle vendite a noleggio, come valore passa in seconda posizione col 4% del mercato. Significativa anche la 500, che in volume sta sul podio col 4.3% dietro Panda e 500X, ma in valore (2.6%) passa al quinto posto, dietro la sorella 500X, che invece appare piuttosto equilibrata: 3.3% in volume e 3.1% in valore. Al terzo posto sale invece l’Audi A4, col 3,1% di quota in valore, laddove in volume si ferma a 1,9%. Altri disallineamenti marcati si osservano sulla 121
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Volkswagen Passat (in sesta posizione, con 2.4% in valore ma 1.7 in volume) e sulla Serie 3 BMW (al nono posto, con una quota in valore del 2.3% a cui corrisponde appena l’1.4% in volume). Per gli altri modelli si riscontra invece una certa corrispondenza tra la quota in volume e quella in valore: 2.4% per la Peugeot 308 e per la Volkswagen Golf, 2.1% per la Nissan Qashqai e la Jeep Renegade, 2.0% per la Ford Focus e l’Audi A3 e 1.8% per la Giulietta. Il fenomeno dipende da quanto il prezzo dei diversi modelli si discosta da quello medio del mercato, fungendo da moltiplicatore dei volumi. A tal proposito, è molto interessante la classifica di questi 15 best sellers ordinata proprio in base al prezzo medio di vendita lordo (senza gli sconti, ma con IVA). Qui il podio è tutto tedesco, con la Classe C in vetta a 45.131 euro, l’Audi A4 a 43.745 e la Serie 3 a 42.860 euro. Poi, un po’ isolata, la Passat in quarta posizione a 36.768 euro, prima di scendere sotto i 30mila con l’Audi A3 a 29.983 euro, davanti alla prima del Gruppo FCA, la Jeep Renegade, a 27.899 euro. Nella fascia dei 20mila troviamo poi, scendendo, la Qashqai, la Giulietta, la Golf, la Focus, la Peugeot 308, la 500X e la 500L. chiudono questa speciale classifica la 500, a 15.768 euro, e la Panda, a 13.523 euro. Anche i top 15 brand per quota in valore ovviamente riflettono il diverso valore/prezzo unitario dei rispettivi modelli. A parte Fiat, che grazie a una quota in volume poderosa, che copre un quarto del mercato, riesce comunque a tenere la prima posizione anche in valore, con una quota (17.3%) quasi doppia rispetto alla seconda, quello che emerge è una separazione netta tra i brand premium e i cosiddetti generalisti. I premium hanno una quota in valore superiore a quella in volume, in un ordine che va dal 50% fino a oltre il doppio. C’è il gruppo di testa, con Audi a 9,4% (ma in volume si ferma al 6,1), seguita da BMW con 8,1% (ma 4,9% in volume) e da Mercedes (7.1 e 4.6%, rispettivamente) in quinta posizione – in quarta c’è Volkswagen, con 7,5% in valore e poco 122
meno in volume, 6,9%. Altri generalisti hanno quote in valore vicine a quelle in volume, salvo Renault (5.7 in valore vs 6.7 in volume), Peugeot (5.1 vs 5.7) e Citroen (3.3 vs 4.1). Poi c’è il gruppo di coda (sempre tra i top 15), con Jeep al 3% in valore (2.4% in volume), Alfa Romeo al 2,6% (2,4 in volume), Land Rover, che spunta una quota del 2,4% in valore sebbene in volume si fermi all’1,1%, e Volvo che si attesta al 2,2% (1,5% in volume).
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 17 ottobre 2017
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IL LONG RENT CROCE E DELIZIA DELLE CASE AUTOMOBILISTICHE
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eglio un uovo oggi o una gallina domani? Il più classico dei dilemmi, ma non l’unico. Ce n’è un altro, che forse sta arrovellando (o dovrebbe) i costruttori e i concessionari: la penetrazione del NLT presso professionisti e PMI e – più in prospettiva, ma non tanto in là – i privati cittadini. In cosa consiste il dilemma? Per i costruttori, i noleggiatori a lungo termine sono di gran lunga i clienti più grandi. Ormai, una macchina ogni sette immatricolate è intestata a un noleggiatore. Nel semestre, hanno acquistato oltre 150.000 vetture, con una concentrazione elevatissima: i primi 4 operatori assorbono circa 3/4 della domanda e con i secondi 4 si arriva a coprire il 90%. Stiamo parlando di clienti che valgono anche 30/40mila macchine nuove all’anno. Nella distribuzione normale, quella delle reti, a parte alcuni grandi gruppi nessun concessionario si avvicina nemmeno a cifre simili. Ma il solo confronto sui volumi non darebbe la dimensione esatta. Questi grandissimi compratori acquistano senza stare dentro un mandato di concessione, che impone al dealer una serie di vincoli e obblighi che alla fine incidono molto sulla sua autonomia strategica e operativa e, in ultimo, sulla performance economico-finanziaria. Basti pensare al sistema del post-vendita, con i relativi impegni sui ricambi e sulla monodopera, oppure al modello di offerta multi-marca. Laddove un concessionario deve fare i salti mortali (saloni, società diverse, personale dedicato) per mettere insieme due o tre marchi, per il noleggiatore è la prassi offrire al cliente tutti i brand possibili. Eppure, nonostante il legame stretto con la Casa, difficilmente un concessionario riesce a spuntare le condizioni economiche praticate ai noleggiatori, almeno quelli grossi. Perché non c’è niente da fare, il volume d’acquisto 124
che mettono sul tavolo pesa, e tanto. Quest’anno si avviano a rappresentare forse il 15% del mercato, mentre solo cinque anni fa stavano al 10. Da un certo punto di vista, la loro crescita negli ultimi anni è stata una cuccagna per le Case, almeno apparentemente, a cui nessuno o quasi ha voluto e saputo rinunciare. Del resto, perché avrebbero dovuto? Beh, perché in realtà si trattava di un dilemma, solo che la fretta e la fame di volumi hanno indotto a sorvolare. Vendere più macchine significava accettare alcuni piccoli cambiamenti. Primo, quell’offerta multi-marca che favorisce il cliente, d’accordo, ma porta dentro di sé una spinta mostruosa al rinnovo velocissimo della gamma. Appena un modello diventa meno tonico rispetto alla concorrenza, viene di fatto accantonato, senza avere dalla sua un concessionario che attinge al suo bacino di clienti per tenerlo ancora un po’ in vita, imponendo così alla Casa di uscire con la versione aggiornata – che significa investimenti, da ammortizzare in meno anni. Secondo, non poter contare su un’attività di post-vendita simile a quella che produce la concessionaria (almeno nei primi anni), con quel che significa in termini di vendita di ricambi originali e, non meno importante, in termini di fatturato del dealer, i cui margini spesso aiutano a riequilibrare il bilancio. Cambiamenti che nel tempo aumentano il loro peso, ma che sviliscono di fronte all’opportunità di vendere. E di rivendere. Sì, perché un altro fattore decisivo è stato il ciclo di sostituzione del NLT, che riesce a garantire un ritorno del cliente sul mercato dopo tre o quattro anni, ritmo che difficilmente chi acquista riesce a mantenere – c’è sempre un motivo per aspettare a sostituire la macchina. Per queste ragioni, le Case e le loro reti hanno aperto le porte ai noleggiatori, spesso anche servendogli i loro clienti. Ora, sia chiaro che il mercato è il mercato e su questo non ci piove. Se nuove fasce di automobilisti preferiscono noleggiare, va bene e occorre che tutti se ne facciano una ragione. Però forse, ripensando a come è andata la storia con le partite IVA e, maggiormente, 125
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in vista del noleggio ai privati, qualche mossa per mantenere una certa relazione con il cliente e poter stimolare le sue scelte future si può pure negoziare. Soprattutto, il sistema per tenere il concessionario dentro il ciclo gestionale dell’auto a noleggio può essere studiato, per fornire un servizio sul territorio migliore, nell’interesse di tutti, anche del noleggiatore – che a curare meglio i piccoli clienti ci guadagna solo.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 17 ottobre 2017
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EFFETTO AMAZON SUI VEICOLI INDUSTRIALI
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uest’anno il mercato crescerà del 5%”, aveva previsto a inizio anno Franco Fenoglio, presidente della sezione veicoli industriali di Unrae. Sembrava una previsione troppo prudente, alla luce dello scoppiettante 2016 (+50%), ma ora purtroppo i numeri sembrano dargli ragione. Dopo un semestre di crescita rallentata, l’estate ha infilato due mesi negativi ma poi il mercato a settembre è tornato a crescere, sicché il cumulato dell’anno resta intorno al +7%. Per questo l’Unrae chiede che, oltre a “mantenere tutte le misure in atto intese a favorire l’incremento del mercato (super-ammortamento e Sabatini ter – ndr), vengano riaperti i termini per la presentazione delle domande a valere sui fondi per gli investimenti 2017. La sicurezza sulle strade e il minore inquinamento sono la spinta al rinnovo del parco dei mezzi pesanti, sia motrici sia rimorchi e allestimenti”. Come ci ha spiegato Sandro Mantella, Coordinatore del Gruppo Rimorchi, Semirimorchi e Allestimenti di UNRAE, “spesso vediamo dei camion con una motrice di ultima generazione, Euro6 o a metano, che però montano un allestimento che funziona con motori vecchi e inquinanti. Per questo sarebbe importante poter disporre di incentivi strutturali”. Le grandi catene affidano il trasporto a terzi ma pretendono che siano in possesso di mezzi moderni che garantiscano standard elevati. Una per tutte, Amazon, che si sta muovendo in modo nuovo, con una rete di service provider autonomi che ruotano intorno a hub aggiuntivi pensati proprio per le consegne urbane, anche alimentari. Sembra che il mondo del lungo raggio e dell’ultimo miglio si stiano avvicinando, perché – come conferma Luca Bedin, a capo di Volkswagen Veicoli Commerciali – “le grandi aziende di trasporto che lavorano per la grande distribuzione stano ampliando la loro rete con furgoni per andare incontro alla domanda crescente di consegne a domicilio”. Un esempio viene da Scania, che fornisce alle 127
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imprese di raccolta rifiuti più avanzate un mezzo Euro6 a motore ibrido, che opera in modalità silenziosa quando circola di notte in città. Nel farmaceutico, poi, è vitale che tutta la catena logistica sia a temperatura controllata, per evitare l’alterazione nociva dei farmaci. Volkswagen, con il nuovo Crafter, e Lamberet, azienda leader negli allestimenti per il freddo, hanno sviluppato un veicolo certificato per il trasporto dei farmaci. Nell’alimentare, dove la spesa a domicilio si va intensificando, la merce non si sposta più solo tra i centri di distribuzione e i punti vendita, tratto in cui la refrigerazione è facile, visto che vengono trasportati prodotti simili, freschi o freddi che siano. “Con il trasporto dal punto vendita a casa – prosegue Mantella – tutto l’allestimento del mezzo deve essere tripartito, fra secco, fresco e freddo”. Insomma, i moderni camion sono dei veri e propri concentrati di tecnologia, molto più integrati nel sistema logistico di quanto si possa immaginare, e richiedono alla guida degli specialisti. A questo punta l’Unrae con il “progetto Giovani Conducenti, inteso a promuovere – spiega il suo ideatore e promotore Franco Fenoglio – la professione di conducente di veicoli per il trasporto di merci, dando concretezza ad un’idea strategica da tempo accarezzata dal nostro comparto produttivo, che vede nella professionalità dei conducenti, e quindi nella formazione dei giovani che intendono diventare tali, uno strumento essenziale per far recuperare al nostro Paese occupazione e trasporto qualificato nell’ambito di una maggior sostenibilità complessiva”. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, 17 ottobre 2017
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IN STRADA NEL 2050 CIRCOLERANNO SOLTANTO AUTOMOBILI ALLA “SPINA”
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ank of America Merrill Lynch (BofAML) ha appena aggiornato il suo studio “Global Automobiles - Global Electric Vehicle Primer: Fully charged by 2050”, che si aggiunge ai tanti altri studi analoghi. Domanda: ma perché ogni società di consulenza o finanziaria si agita così tanto per avere il suo posticino al sole dello sviluppo della mobilità elettrica? Sembra quasi che da qui al 2030/2050 non ci saranno altre evoluzioni per l’umanità se non questa. Non nell’alimentazione, non nello sfruttamento del suolo, non nell’efficienza idrica, non sui flussi migratori. Niente. Il Mondo nel 2050 somiglierà abbastanza a questo del 2017, salvo che le macchine andranno a corrente. Evidentemente, ci deve essere un mercato appetitoso per le strategie e per gli investimenti in qualche parte del pianeta (magari a oriente) che ingolosisce questi operatori e li induce ad aprire le piume. Il fatto saliente della previsione di BofAML è che nel 2050 il 90% delle auto vendute saranno a batteria (BEV) senza motore termico (ICE, Internal Combustion Engine), ma la crescita dallo 0,5% attuale non sarà graduale, anzi. Fino al 2020 le BEV e le ibride saranno al 2,4 e al 20%, rispettivamente. Poi dal 2020 al 2025 l’ibrido balza al 76.6% e l’elettrico puro aumenta di oltre 7 volte la sua penetrazione, al 12%. A parte i decimali (!?) significa che i motori termici passerebbero dal 78% all’11% delle scelte dei consumatori. In soli 5 anni! Poi dal 2025 l’ibrido, la cui curva era in forte ascesa, comincia a scomparire dalle scelte d’acquisto, finendo nel 2050 per pesare il 10%, col 90% appannaggio di auto BEV. La dinamica temporale di questa previsione è interessante. Mentre per i prossimi anni resta ancorata alla realtà di partenza, con le normali 129
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evoluzioni che vedono affermarsi soprattutto il motore ibrido, nel 2025, quando ci si sente abbastanza lontani dal presente (e dunque in genere le previsioni tenderebbero a replicare i trend, proprio per l’impossibilità di scorgere tanto lontano), tutto cambia e si afferma inaspettatamente il propulsore elettrico puro. In pratica, la validità di questa previsione resta intatta e non confutabile dai fatti per circa un decennio da ora. Quando sono funzionali a sostenere una tesi, anche le previsioni devono avere una durata utile, per accreditarsi presso chi sta lavorando affinché quella tesi diventi realtà. Tali considerazioni, indubbiamente maligne, sono indotte non solo dalle curve, ma anche e soprattutto dal fatto che la precedente versione arrivava al 2030: perché dopo pochi anni, quando ancora mancano 13 anni al 2030, si è sentito il bisogno di spingere le curve ancora oltre, fino al 2050, se non per poterne invertire l’inclinazione? Questa previsione, comunque la si voglia valutare, è basata sul costo complessivo (TCO, ossia acquisizione e gestione/uso) dell’auto BEV rispetto a quella a combustione interna (ICE). Il costo di un’auto elettrica BEV, oggi intorno ai 16.200 dollari di media, calerebbe del 6% annuo fino ai 6.700 del 2030, quando le due curve si incrocerebbero – considerando il risparmio sul carburante, l’incrocio si approssima al 2024. Pur ammettendo l’esistenza di molti altri fattori che influenzeranno le scelte dei consumatori, gli esperti di BofAML non sembrano tenerne conto e fondano sulla convenienza economica l’ipotetico e drastico cambio degli orientamenti. Magari perché l’opinione pubblica pesa tanto nelle democrazie occidentali, mentre altrove è più influenzabile. In proposito, lo studio ipotizza che questa svolta verso l’elettrico sarebbe alimentata fino al 2030 dagli automobilisti cinesi, che coprirebbero metà della domanda globale. Questo consentirebbe ai costruttori cinesi di accumulare esperienza e volumi in modo da trovarsi in posizione competitiva al giro di boa del 2030, quando 130
anche dagli altri Paesi la domanda sarà fortemente orientata a veicoli elettrici. A quel punto, il progetto sarebbe compiuto: aver portato l’industria manifatturiera cinese a essere competitiva anche sui veicoli leggeri, dove attualmente sono oggettivamente indietro. Per dare l’idea delle forze in campo, dei 95 milioni di vetture e veicoli commerciali leggeri prodotti e venduti nel 2016, la Cina ha una quota del 30% sia in produzione che in vendite, alias la bilancia commerciale è in pareggio. Solo Europa, Giappone e Corea del Sud hanno un surplus industriale (34% della produzione mondiale) rispetto alla domanda (23% delle vendite mondiali): in praticano esportano auto, mentre sono importatori netti di macchine gli Stati Uniti e il resto del Mondo (salvo la Cina che è in pareggio, come detto). Però, se si guarda ai costruttori si scopre che i cinesi pesano il 15%. Come a dire che metà delle auto vendute in Cina sono sì fabbricate in loco, ma da costruttori occidentali. Una situazione a dir poco anomala, se si considera che la Cina è, con oltre 500 miliardi di euro di surplus, il più grande esportatore netto del Mondo. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 30 ottobre 2017
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AUTO ELETTRICHE, IL NUOVO AMORE DEGLI ITALIANI. MA È SOLO UN SONDAGGIO
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taliani politically correct e un po’ proiettati nel futuro. Interrogati da Doxa (istituto di ricerche) sui temi di attualità (carburanti, mobilità elettrica, car sharing e guida autonoma) per il consueto appuntamento mensile dell’Osservatorio Findomestic, hanno fornito risposte abbastanza in linea con la comunicazione e le tendenze del momento. Il car sharing si conferma fenomeno di nicchia, limitato alle grandi città e ai pochi fortunati che si trovano al posto giusto nel momento giusto. In verità, dobbiamo tener presente che stiamo valutando un servizio offerto in forma ampiamente sotto-dimensionata alle reali necessità, che appunto si trova spesso ai limiti dell’operabilità. Del resto, è pur vero che, finché questi primi esperimenti resteranno in zona negativa dal punto di visto economico-finanziario, è difficile prevedere un ampliamento del servizio su volumi importanti. Ma è sui carburanti che si sono espressi in modo significativo. Indicando la motorizzazione della prossima auto che acquisteranno, hanno molto ridimensionato i propulsori tradizionali (diesel il 24%, benzina l’8% e metano l’8%) a favore di soluzioni più in linea con le tendenze ecologiche: ibrido 27% ed elettrico 9%. Suona anomalo il crollo dei motori a benzina, specialmente se confrontato con il diesel che si dimezza, in quanto sappiamo che nella realtà è proprio quest’ultimo a soffrire per le limitazioni imposte dalle emissioni di polveri sottili, non solo in Italia. Ma si tratta solo di intenzioni, proponimenti. La realtà dei comportamenti secondo le elaborazioni dell’Unrae per ora registra solo una lieve flessione, nei primi dieci mesi del 2017 rispetto al 2016, di un punto di quota sia per il diesel (che resta però il motore scelto da un italiano su due) sia per la benzina (uno su tre), in favore di auto 132
a GPL e ibride a benzina. Anche questi però sono dati da prendere con le pinze, visto che mai come quest’anno molti italiani stanno comprando auto nuove a km0, che figurano nelle statistiche come vendute alle società, segmento dove la benzina tiene (31%) e il diesel addirittura incrementa di un punto la sua quota al 61%. In generale, il campione ha dichiarato di ritenere sostenibile una mobilità basata sulle auto elettriche (per il 42% dei rispondenti) o ibride (per il 32%), nonostante l’energia elettrica sia prodotta da fossili (per circa il 65%) e da nucleare (10%). Inoltre, ha aggiunto che le scelte in favore delle vetture elettriche sono frenate dalla quasi inesistenza di colonnine di ricarica nei centri urbani (48%) e dagli eccessivi costi di acquisto (47%), tanto che la loro diffusione aumenterebbe se il Governo desse incentivi e se ci fossero ulteriori agevolazioni economiche sull’assicurazione auto, sui pedaggi autostradali e sui parcheggi a pagamento (36%), insieme alla cancellazione del bollo auto (21%). Insomma, molti italiani comprendono bene il valore della salvaguardia dell’ambiente e vorrebbero essere ben remunerati per questo. Ultima, ma non meno importante, la macchina che guida da sola. Oltre 3 italiani su 5 pensano che presto le incontreranno sulle strade e uno su due ci salirebbe tranquillamente sopra. Sfortunatamente, perché questo possa accadere c’è ancora un bel po’ da fare, sia nelle infrastrutture viarie e sia, soprattutto, sul fronte della normativa stradale. Però aumenteranno sempre più i sistemi che assistono e aiutano l’automobilista nelle diverse fasi di guida. In conclusione, l’indagine, sempre ben curata, restituisce un quadro degli Italiani molto inclini a orientare le proprie risposte secondo le opinioni più accreditate ed elevate, salvo poi comportarsi nei fatti in modo diverso. Ma possiamo farlo, essendo storicamente dei grandi consumatori di indulgenze, dispense e perdoni. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 6 novembre 2017 133
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C’È CHI SOGNA UNA CITTÀ SENZA AUTO
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a dove andranno tutti quanti? Le macchine degli altri danno fastidio. A lamentarsi in genere sono gli stessi automobilisti, non capendo perché anche altri debbano girare in macchina, creando traffico e rallentandoli, in città come in autostrada. I pedoni tutto sommato non ci fanno caso più di tanto, salvo gioire intimamente per il fatto di non trovarsi imbottigliati. Sì perché a rotazione siamo tutti automobilisti e tutti pedoni. Ma le auto sono anche dannose, perché producono CO2 e polveri sottili, quelle diesel. Per queste ragioni è partita in questi anni una guerra alle auto nelle città, vestita da ambientalismo ma coltivata nel terreno fertile dell’avversione al simbolo di una borghesia in chiave anti-operaia. Tanto che alcune grandi metropoli (con in testa Parigi, dove giustamente ci si aspetta che nascano le rivoluzioni moderne) hanno dichiarato espressamente la visione di una città senza auto. La strategia, ispirata dall’urbanista Paul Lecroart, è quella di sottrarre gradualmente le strade al traffico automobilistico. Solo che per paradosso l’uso cittadino dell’auto in maniera massiccia e indispensabile è più un appannaggio dei lavoratori che dei benestanti, che possono permettersi di vivere e lavorare in zone limitrofe, laddove i primi sono spesso costretti a spostarsi da quartieri dormitorio ai centri direzionali, accompagnando e riprendendo i figli a scuola e poi al nuoto. Ma il nuovo millennio è fondato sul superamento dei conflitti, non sul loro sovvertimento. Allora, sarà il caso di ripensare davvero, e in senso non ideologico, l’urbanistica delle città che, non dovendo più relegare in zone periferiche le industrie inquinanti, potrebbero rimettere insieme la vita residenziale e privata con i luoghi del lavoro concettuale, riducendo così le distanze. E già che ci siamo, destinare 134
interi fabbricati al parcheggio delle auto, che sono il vero ostacolo a una circolazione meno invasiva: così si riduce e fluidifica traffico, non eliminando le strade sulla pelle dei lavoratori. Per avere poi un traffico meno nocivo, sembra imperativo andare verso auto ibride, che in città possano fare a meno del propulsore termico. Inoltre, spesso si dice che in Italia i mezzi pubblici coprano solo il 13% della mobilità, perché inadeguati. Però dobbiamo anche considerare che c’è una domanda di mobilità individuale, che forse non vuole rinunciare al mezzo proprio, e preferisce uno scooter sotto la pioggia a un autobus in ritardo.
Articolo pubblicato su il Giornale, l’8 novembre 2017
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LA DIASPORA DELL’AUTOMOBILE
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’automobile ha accompagnato la società occidentale attraverso il secolo scorso, detto anche secolo breve, perché iniziato forse solo dopo la Grande Guerra. È stata molto amata, e anche molto odiata. È stata un simbolo, di libertà, di benessere, di non povertà, di opposizione politica, di sviluppo industriale, di progresso, di ritmi frenetici, di città congestionate, di passeggiate fuori porta, di spazio intimo, di strumento di socializzazione e chissà di quante altre cose. Ognuno faceva riferimento all’automobile, quando la usava e quando no, chi l’aveva e chi no. Nella sua unicità era declinabile e adattabile per innumerevoli usi, sia pratici sia simbolici, evocativi. Quelle auto, quegli oggetti, ancora girano. Le strade ne sono piene, anche troppo, in certi momenti e in certi punti. Ma noi le stiamo trasformando in qualcosa di diverso. In tante cose diverse. Ognuna probabilmente migliore di quella di prima, ma diversa. Fisicamente, è ancora lei, quell’unica automobile che ci ha accompagnato per un secolo. Ma dentro, le più recenti, hanno già il nuovo, hanno quella tecnologia che ci permette di declinarle in innumerevoli usi diversi. Più propriamente, quella tecnologia che consente a noi di avere tanti rapporti con l’automobile. A cominciare dalla classificazione del prodotto stesso, ma non solo. Un tempo, c’erano le utilitarie e le sportive, e c’erano le macchine grandi, che significavano lusso, benessere. Chi voleva trasmettere un’immagine di sè più importante, economicamente benestante, andava in giro con un macchinone. Oggi il lusso è ampiamente disponibile su auto di uso quotidiano, personale e dunque piccole. Un tempo se ti sedevi al volante di un’auto, quella era la tua, in senso lato. Oggi magari la stessa macchina è nella tua disponibilità giusto il tempo dell’utilizzo, prima di cambiare padrone, sempre pro-tempore. Quando andavi in giro, eri tu a comunicare agli altri dove ti trovavi, se ti muovevi velocemente ovvero eri bloccato nel traffico. Se tu eri lì, 136
voleva dire che anche la tua auto c’era. Chi notava la tua auto parcheggiata, poteva dedurre che nei paraggi ci fossi anche tu, il suo proprietario. Oggi è l’auto stessa che sta in collegamento con una pluralità di server riceventi e – nel caso – ti informa di ciò che può esserti utile. La macchina legge i segnali stradali e te li visualizza meglio. Legge i limiti di velocità e ti allerta se li hai superati. Calcola il tempo che impiegherà ad arrivare alla destinazione impostata. Se c’è una curva, curverà. Se c’è un ostacolo frenerà. Quando l’auto era una, dipendeva dal suo guidatore in tutto e per tutto. Quelle di oggi sono in grado di farsi un check-up da sole e informarti se necessita un intervento, che sia il semplice gonfiaggio del pneumatico ovvero la sostituzione di parti usurate. Ovviamente, il cambiamento parte da noi. Abbiamo pian piano abbandonato quel legame forte, personale, che avevamo e volevamo con la nostra automobile. Ce ne siamo distaccati, per usarla all’occorrenza. Così, lei deve essere disponibile per noi e anche per altri. Deve poter dialogare, dirci dove si trova. Consentirci di usarla senza essere in possesso delle chiavi. Tutto possibile, tutto facile. Già, ma non dà tanto. È la tecnologia telematica, unita alle reti di comunicazione, che rende possibile tutto questo. E la cosa fantastica è che non bisogna necessariamente cambiare la nostra auto per accedere a questa nuova tecnologia. Possiamo anche dotare le automobili che abbiamo, magari non tutte, con dispositivi di ultima generazione e cominciare ad usare un’auto nuova. È sempre lei, all’apparenza, ma ci permette nuove cose, nuove funzioni. La bellezza della rivoluzione digitale è questa. Che puoi, entro certi limiti, aggiornare il tuo dispositivo e restare al passo. Non sono più gradini, ma una graduale salita. Articolo pubblicato su Guida alla sicurezza – Viasat, il 15 novembre 2017 137
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AUTOVETTURE SUL WEB: AFFRONTANO LA SFIDA
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DEALER
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i sono cose che si sanno e cose che si dicono. Non sempre corrispondono. Nel caso delle macchine, si sa che presto anche quelle nuove si potranno acquistare online, come tanti altri prodotti. Tutti lo sanno, ma quasi nessuno lo dice. Per anni abbiamo ascoltato il mantra “le auto non si venderanno mai online”. Mai dire mai. Le Case si stanno attrezzando, cercando ovviamente il modo per tener dentro la filiera il concessionario. Ma ho paura che sia solo il primo passo. L’apertura delle vendite sul web porterà prima o poi a un ripensamento dell’intero sistema distributivo. Per quanto riguarda la vendita, il cliente sarà più spesso agganciato online, dove si dovrà anche condurre la trattativa, con le formule di acquisto e di finanziamento, leasing o noleggio, incluso la valutazione e il ritiro dell’usato (con l’ausilio anche qui di una rete di certificazione dello stato d’uso – che poi tornerà utile in fase di rivendita). Ed è la parte facile dell’integrazione off/ online. Il mal di testa riguarda la prevendita, dove certe attività fisiche (vedere la vettura e provarla, ritirarla) resteranno tali e si faranno in un luogo fisico. In esse non c’è niente di commerciale, non passano di mano soldi, e senza la dimensione commerciale sarà più semplice dislocare queste cose sul territorio, aprendo degli show room permanenti o – dove il bacino di clientela non lo giustifichi – temporanei e itineranti. Per corollario, un concessionario potrà coprire un territorio più vasto, non avendo bisogno di personale di vendita in ogni punto. Sono attività costose: lo show room costa, l’esposizione costa, la prova costa. Oggi chi acquista l’auto paga anche per 138
chi la prova soltanto, perché quest’ultimo andrà comunque a comprarla da un’altra parte e tutti i ricavi resteranno sempre dentro un certo bacino territoriale, in una somma zero tra tutti i concessionari e del luogo. È un costo di vendita e basta saperlo. Ma quando la visita o la prova saranno sganciate dalla vendita, potrebbe verificarsi che un dealer faccia solo provare a 100 clienti e un altro, distante, si limiti a vendere 100 auto: la somma non fa più zero. È probabile che l’e-commerce porti – e non solo nell’auto, sia chiaro – a una destrutturazione (unbundling) dello scontrino, dove ogni attività offerta al cliente nel punto fisico venga pagata. Che si tratti di 3 euro per provare un paio di Nike o di 50 euro per una macchina, il lavoro e il servizio andranno retribuiti. Poi il cliente che acquista potrà vedersi scalati i soldi anticipati, dallo stesso o dal venditore di turno (che a sua volta girerà quella cifra a chi ha sopportato la prova). Insomma, un nuovo equilibrio si può trovare ma ci vorrà del tempo. A fare in fretta si concentra pure il dolore, che diventa acuto. Se magari si fosse partiti prima, invece di negare pervicacemente e colpevolmente l’evidenza … ma la storia non la scrivono i “se”.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 5 dicembre 2017
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RIVOLUZIONE HI-TECH NEI CONCESSIONARI Le nuove tecnologie trasformano il modo di proporre e vendere autovetture, il cui acquisto è stato in realtà deciso online da clienti sempre più consapevoli.
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a rivoluzione digitale prima o poi arriva, anche dai concessionari di auto. Finora ci aveva pensato la Casa a far evolvere la concessionaria, nella struttura come nei processi. Molti forse pensano che andrà così anche stavolta, ma potrebbero sbagliarsi. In effetti, prima il mondo era più semplice, un fiume che partiva dalla Casa, arrivava in salone e sfociava nelle mani del cliente finale. Il punto di snodo era sempre la concessionaria, tanto che i vari affluenti (assicurazioni, finanziamenti, antifurti e via discorrendo) trovavano utile immettersi proprio nel salone per poter arrivare subito e bene al cliente. Ma via via s’è complicato. Adesso ci sono molti più fornitori che offrono i servizi più disparati, dalla musica in streaming ai pagamenti on-the-road (benzina, pedaggi o parcheggi). Molti di questi puntano direttamente al cliente finale, grazie alla tecnologia digitale. Cercando di semplificare (con le approssimazioni del caso) possiamo individuare due cluster di attività: quelle legate all’auto e quelle legate alla mobilità. Per quanti sforzi i costruttori facciano (e ne stanno facendo) pare improbabile che riescano ad avere una copertura uguale delle due aree, finendo per risultare ancora dominanti nell’auto e nei servizi propri, mentre la mobilità sarà per loro ben più sfuggente. Dunque, il concessionario deve accettare che la sua missione non sarà più solo di rappresentare un brand sul territorio, con tutte le declinazioni (nuovo, usato, ricambi, assistenza) e qualche servizio accessorio (polizze, finanziamenti e qualche option non di Casa madre). 140
Il punto è se/come diventare un operatore al servizio dei clienti e delle loro esigenze di mobilità. Qualcuno si sta già muovendo in questa direzione e altri lo faranno, ma non tutti. Non ci sorprenderemo scoprendo che si potrà vivere e bene vendendo e assistendo macchine, senza necessariamente trasformarsi in centro servizi per la mobilità, che sarebbe una navigazione in mare aperto, senza la protezione e l’indirizzo della Casa. Può apparire un dettaglio, ma non lo è. Nel modello attuale, la concessionaria è un’impresa molto ben sviluppata, in cui però troppe funzioni sono ancora nelle mani del titolare. Ha funzionato e funziona finché il grosso dei rapporti di fornitura è con una Casa, che definisce anche le politiche commerciali e l’organizzazione del post-vendita. Ma operare autonomamente in altri servizi richiede una struttura manageriale che ancora pochi hanno. Senza andar troppo lontano, lo abbiamo visto nell’usato. Al fianco di chi lo tratta come una business unit, acquistando macchine al giusto valore di carico, indipendentemente se il venditore acquista o no un’auto nuova (perché il magazzino usato va tenuto in assortimento, in quanto centro di profitto), c’è ancora chi lo vede come un male necessario: la permuta come favore al cliente in cambio del nuovo. Dunque, proviamo a immaginare quale impatto potrà avere la tecnologia digitale sulla concessionaria, anche nel business tradizionale. Partendo dalla vendita del nuovo, sappiamo che sempre più i clienti si recano in salone solo per trattare e perfezionare un acquisto già quasi deciso online. Ciò richiede meno venditori in salone, ma ogni incontro andrà concordato visto che assorbe più tempo perché conclusivo. Le risorse liberate potranno e dovranno rinforzare con professionalità commerciale e tecnica l’area di contatto da remoto, anche nelle ore serali e durante il week-end. Per l’usato la faccenda si complica, e non poco. Un cliente oggi ha un’offerta di usato online che, con due soli portali, supera il mezzo milione di macchine. Per quanto voglia restare cliente della concessionaria, è difficile che possa accontentarsi dell’offerta di 141
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questa, che quando è vasta arriva a un centinaio di auto. Allora il dealer deve scegliere, se servire solo chi acquista, contrapponendosi all’online, ovvero integrarsi e assistere il proprio cliente anche e soprattutto quando questi valuti un’auto online, da un venditore sconosciuto. Si tratta di vendere macchine o vendere servizi. È un cambio culturale, prima che organizzativo. Un discorso analogo si pone per i ricambi e i materiali di consumo, il cui commercio online è ancora basso ma in crescita logaritmica. Il concessionario può fare resistenza, pretendendo di usare solo materiali acquistati presso la sua struttura, ovvero aprirsi al cliente e accettare di fare il service anche con ricambi e materiali procurati online a un prezzo trasparente. In ultimo, ma non ultimo, l’assistenza. Ci sono al momento due tendenze significative: la prenotazione online del service e l’integrazione a vario titolo dell’officina in uno o più network, per i vetri, i pneumatici, la carrozzeria, le parti meccaniche e quelle elettroniche e telematiche. Poiché la vera risorsa scarsa del cliente è il tempo, aumenteranno le preferenze per chi chiederà due soli ingressi in officina, per lasciare e riprendere la vettura – e nemmeno quelli, con un servizio di pick-up&delivery a domicilio. L’accettazione ne risulta particolarmente coinvolta.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 5 dicembre 2017
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LE SOCIETÀ COMPRANO IL 30% IN PIÙ? NON PROPRIO I dati sulle auto immatricolate da interpretare.
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i è rotto il termometro. La misurazione del mercato, attraverso le sue statistiche, non racconta più cosa davvero succede a livello strada. I numeri dicono che i privati cittadini sono in affanno, per quanto riguarda comprarsi un’auto nuova, rispetto allo scorso anno. Invece non è vero. Del resto, tutti gli indicatori economici e sociali puntano al bello, la gente lo sa, lo sente, e si cambia la macchina. Ancora, i numeri dicono che le società stanno acquistando oltre il 30% di macchine più dello scorso anno. Ma come, fino al 2016 c’era il super-ammortamento per tutti, mentre da gennaio si applica solo se l’auto è strumentale all’oggetto sociale dell’impresa – in pratica, quasi solo i noleggiatori ne beneficiano (tra un attimo vedremo come)? Infatti, non è vero. Dentro ci sono quasi centomila auto in più targate da costruttori e concessionarie, nei primi dieci mesi, che sono andate e stano andando a finire in mano ai privati, come usato a km0. Allocando correttamente queste vetture, il segmento dei privati segnerebbe un +9% rispetto al 2016, mentre le società che acquistano o prendono in leasing le auto segnerebbero un più veritiero meno 8%. Tutto qui? No, per niente. Nel rent-a-car (RAC) si contano nei primi dieci mesi dell’anno quasi ventiseimila macchine immatricolate in più, rispetto allo stesso periodo del 2016, pari al +20%. Pur avvertendo che si tratta di stime preliminari, visto che nel noleggio c’è un tempo più lungo per l’iscrizione a nome della società che immatricola, siamo comunque su volumi che non sono assolutamente giustificati dalla domanda di noleggio. 143
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Quest’ultima sta sì crescendo, sia per la maggiore vivacità dell’economia interna, sia per l’attrattività del Paese verso i turisti stranieri, anche a causa della maggior sicurezza verso il pericolo di attentati, ma non certo a due digit. Al giro di boa dei sei mesi (ultimo dato disponibile), l’Aniasa – associazione dei noleggiatori – registrava una crescita del 4% rispetto al primo semestre dell’anno precedente, sia nel giro d’affari sia nei volumi, intesi come giorni di noleggio. Non è difficile concludere che gli operatori, sensibili alla pressione sul prezzo da parte dei costruttori, stiano immatricolando più del dovuto. Che fine facciano queste macchine è facilmente immaginabile: molte vanno a sostituire quelle attualmente in flotta, in un ciclo accelerato di qualche mese, ma altre probabilmente non fanno nemmeno un chilometro prima di andar vendute a privati, in Italia e all’estero. Di nuovo, un’alterazione delle statistiche. Sia chiaro, nel mercato ognuno è libero di vendere le sue auto come e quando gli pare, però sarebbe opportuno che le istituzioni, che hanno o si assumono il compito di misurare questa e altre grandezze economiche, adeguassero le statistiche alla realtà, censendo come mercato/domanda solo quelle auto che effettivamente vanno in mano a un cliente che il giorno dopo ci cammina. Il segmento forse meno coinvolto (sebbene non esente) dalla pratica delle immatricolazioni fasulle è proprio il noleggio a lungo termine, che pure ha aumentato del 16,4% le immatricolazioni nei primi 10 mesi. Si tratta di una crescita organica, proveniente dalla domanda di nuove fasce di clienti, che prima erano soliti acquistare o prendere in leasing le auto e adesso invece stanno passando al NLT. Un fenomeno descritto molto bene dal presidente di Aniasa, Andrea Cardinali: “Nei primi dieci mesi del 2017 il noleggio a lungo termine ha proseguito nella sua crescita, con gli operatori che in questi mesi hanno fortemente stimolato nuove fasce di clientela a considerare e adottare la formula del noleggio, 144
non solo attraverso un’offerta flessibile, ma anche utilizzando in più occasioni il beneficio fiscale del super-ammortamento; beneficio che ha liberato risorse da destinare alla competizione, incrociando significativamente la domanda delle piccole aziende, dei professionisti e dei privati”. Il vantaggio fiscale per le auto immatricolate ad uso strumentale ha portato bene un po’ a tutto il settore, come afferma il presidente di Assilea (l’associazione delle società di leasing), che sottolinea come i due strumenti, leasing e noleggio, non siano necessariamente alternativi: “Infatti, su 113 mila immatricolazioni in leasing, il 51% sono a società di noleggio. Il beneficio del super-ammortamento in questo caso è della società di noleggio, che poi con politiche di marketing tende a ribaltare parte o tutto questo vantaggio sul cliente finale. Tendenzialmente, però, questa misura ha reso più competitivo tutto il mercato fleet”. Al momento di andare in stampa, non è ancora chiaro se per il 2018 il super-ammortamento sarà riconfermato. La filiera è unita come non mai nel sostenerlo, come emendamento alla Legge di Stabilità, ma le possibilità di farlo passare sono oggettivamente contenute, visto il buon andamento del mercato auto. Quest’anno si chiuderà con circa due milioni di nuove targhe, comunque le statistiche le allocheranno tra i diversi canali. Come sarà invece il 2018 è tutta altra storia, non facile da prevedere. L’abnorme ricorso ai km0, di cui nell’incipit, ha prodotto una situazione critica nella filiera. Le concessionarie hanno i piazzali pieni di auto già immatricolate, che devono assolutamente e presto vendere ai clienti, le quali si sommano allo stock di auto usate (quelle vere), il cui magazzino è in crescita. Dall’analisi trimestrale sull’usato di Agos, una finanziaria specializzata nel credito al consumo, emerge come mediamente ogni dealer stia 145
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lavorando con uno stock di 89 vetture usate, contro le circa 77 del 2016. I giorni di giacenza sono anche in crescita, seppure di una unità da 68 a 69 giorni, ed è ovviamente in lieve rallentamento la rotazione del magazzino, da 5,4 a 5,3. Per il momento, poiché anche i ricavi medi sono in crescita, la leva finanziaria resta invariata al 19% rispetto allo scorso anno. Però non è una situazione comoda con cui andare verso il prossimo anno. Molti concordano nel ritenere che le concessionarie e le Case non potranno assorbire anche l’anno prossimo gli stessi volumi di auto-immatricolazioni del 2017 – a fine anno, potrebbero aver superato le 300.000 unità, di cui circa la metà in accesso rispetto allo scorso anno e che dunque non dovrebbero esserci nel 2018. Però, si tratta comunque di volumi che i privati stanno assorbendo (sebbene in forma di km0) e potrebbero continuare a farlo nel 2018 in forma di prima immatricolazione, visto che gli indicatori economici e della fiducia marcano il segno più. Pertanto, è prevedibile un 2018 in linea con i volumi del 2017, magari allocati in maniera appropriata.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 5 dicembre 2017
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DA EVITARE LE FUGHE IN AVANTI
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ra bufalo e locomotiva/ la differenza salta agli occhi/ la locomotiva ha la strada segnata/ il bufalo può scartare di lato e cadere”. Questi versi di De Gregori sono ottimi per parlare di auto a guida autonoma, segnando la marcata differenza con l’auto a guida assistita, anche nella sua forma più evoluta in cui il pilota potrà esimersi dal guardare costantemente la strada – eyes off. L’auto autonoma è invece quella in grado di muoversi da sola, consentendo al pilota di non essere tale o addirittura di non essere a bordo – mind off. Pur essendo due tappe della stessa evoluzione tecnologica, sono separate da una linea essenziale: di chi è il cervello che compie le scelte? Non è un dettaglio, perché il cervello umano si concede facoltà che l’algoritmo non ha: la trasgressione e la scelta contra se ipsum (violando il principio di utilità). Per quanto si faccia finta di non vedere, la circolazione del traffico è frutto di un’alternanza tra rispetto e trasgressione delle norme. Misurata e intuitiva finché si vuole, la trasgressione è un elemento essenziale della fluidità. Con le sole norme il traffico sarebbe ingessato. Noi possiamo trasgredire perché siamo umani e sappiamo farlo, dosando rischi e benefici in modo intuitivo, condividendo con altri umani comportamenti e valutazioni, tanto che più ci allontaniamo dal nostro ambiente culturale, meno trasgressioni ci concediamo. Poi c’è la facoltà di scegliere il male contro il bene. Tra un bambino che sbuca (torto) e un’auto che procede tranquilla nella corsia opposta (ragione), noi non abbiamo dubbi: sterziamo e tamponiamo l’auto – il bambino è salvo, con tanti saluti. In questo caso, oltre a trasgredire, abbiamo agito contro 149
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ìil nostro interesse, mettendoci a rischio in un tamponamento frontale. Di queste e di altre questioni si è parlato a Ferrara, in un bel convegno promosso dall’Automobile Club, che ha mirato a riportare tra noi questo importante quanto problematico avanzamento verso la guida autonoma. “Dobbiamo occuparci, e all’ACI lo facciamo concretamente tutti i giorni, dell’oggi e non solo del futuro” ha affermato il Presidente Angelo Sticchi Damiani. “Forme di assistenza alla guida non possono essere il privilegio di auto nuove e di alta gamma, ma devono essere rese disponibili anche sulle auto già circolanti, per quelle persone che hanno qualche difficoltà, anche momentanea, a guidare autonomamente”. Un saggio avvertimento per chi sta facendo una fuga in avanti, che non è progresso, anzi.
Articolo pubblicato su il Giornale, il 6 dicembre 2017
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CON IL 2018 L’OBBLIGO DELL’E-CALL
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l 2018 come sarà? Quali fatti importanti occuperanno la scena del mercato dell’auto? Senz’altro, le forze che lasceremo in campo alla fine del 2017 continueranno a farsi sentire. La prima è senz’altro il pesante stock di auto nuove che hanno i concessionari. Ufficialmente un mese di vendite, ma poi parlando con qualche manager delle Case si apprende che in realtà un mese sono solo le vetture già targate, a cui poi si aggiungono quelle fatturate, ma ancora da immatricolare. Pensare che non saranno protagoniste è un’illusione: devono uscire e anche in fretta, prima che comincino a pesare troppo anche in termini finanziari. Per riuscirci, i clienti dovranno essere convinti a suon di sconti, con l’aiuto delle Case o senza. Insomma, il 2017 potrà anche finire a giorni, come sell-in, ma proseguirà per un paio di mesi come sell-out. Negli altri canali, il noleggio a lungo termine sarà ancora la forza che spariglia, che modifica l’assetto della domanda attirando sempre più nuovi clienti tra le partite Iva e le piccole ditte, sottraendo alle concessionarie l’opportunità del post-vendita, quando non anche la vendita tout court. Però nel 2018 non avrà il vantaggio fiscale del super-ammortamento, che nel 2017 ha permesso di offrire canoni aggressivi, rendendo ancor più competitiva una proposta già in grande spolvero. Ma la star dell’anno potrebbe essere invece proprio l’auto in sé, come prodotto. A marzo diventerà obbligatorio il dispositivo dell’ecall su tutti i nuovi modelli. In termini di mercato sarà poca roba, ma l’impatto mediatico potrebbe accendere le luci su tutta quella telematica di cui moltissime auto sono già dotate, ma di cui poco o nulla arriva all’automobilista. L’Italia è tra i Paesi con la più elevata penetrazione di scatole nere, ma finora sono rimaste un prodotto 151
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B2B, utile a contrastare le frodi assicurative. Il guidatore ne beneficia al momento del pagamento del premio, quando riceve le briciole del reale minor costo che quella macchina rischia di generare, e poi nel caso di furto, che però resta una frequenza marginale. La speranza (se ne parlerà a La Capitale Automobile il prossimo 2 febbraio) è che l’avvento dell’e-call schiuda le porte a un’era di reale connettività, dove guidatore e smartphone possano davvero dialogare con l’auto. Senza esagerare, s’intende, perché… se scoprissero di non avere molto da dirsi?
Articolo pubblicato su il Giornale, il 27 dicembre 2017
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IL MITO DEL MERCATO A QUOTA DUE MILIONI DI IMMATRICOLAZIONI
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l mercato dell’auto somiglia molto, in questi mesi, al gioco delle bocce: la bravura è avvicinarsi al tetto dei 2 milioni senza toccarlo. Aver fissato un anno fa questo obiettivo è costato fior di soldi alle case, che hanno poi dovuto fare di tutto per realizzarlo, svenandosi a forza di auto-immatricolazioni (km 0) e offerte irrinunciabili ai noleggiatori del breve, che avranno prodotto alla fine di dicembre circa 170.000 targhe più dello scorso anno. Senza queste, il mercato starebbe sui livelli fisiologici dello scorso anno o poco sotto, a 1.800.000. Invece chiuderà secondo l’Unrae a 1.980.000, se nessuno si è distratto col panettone mentre un altro faceva il furbetto. L’altro mutuo sentire riguarda il 2018, che pure dovrebbe danzare intorno ai 2 milioni. Secondo l’Unrae il tetto sarà sfiorato a quota 1.998.500 immatricolazioni, decisamente una previsione accurata, in un mercato dove pure un solo brand può spostare migliaia di auto da un mese all’altro. Anche il Centro Studi Promotor, pur accettando la chiusura dell’anno a 1.970.000 auto, frena molto per il 2018, fermando la previsione a 2.048.000 e rilasciando il consueto ottimismo più avanti, con ben 2.203.000 targhe per il 2019 – ma oggi a chi interessa il 2019? È curioso notare come siano più arrotondate le previsioni per quest’anno, a un mese dalla chiusura, che non quelle del prossimo. Nella realtà, il prossimo anno non sarà così facile tenere il mercato a quota 2 milioni, visto che l’altro tormentone di queste settimane è il proponimento diffuso di non calcare più tanto sui km0, fermandosi a una percentuale fisiologica, e senza il super-ammortamento, pur con qualche mese di italiana dissolvenza. Trovare in Italia 150.000 clienti disposti a comprare senza gli sconti dei km0 è possibile, ma dando quegli sconti in altra forma, dunque intaccando comunque i margini. In aggiunta, la mancanza del super-ammortamento potrebbe di fatto 153
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raffreddare le offerte dei noleggiatori a lungo, che hanno indotto molte partite IVA a cambiare la macchina grazie a canoni aggressivi. Un concetto chiave nelle previsioni di mercato è che le forzature (comunque declinate) possono alzare le vendite nel periodo, ma non fanno aumentare i consumi. Mentre nel turismo una tariffa stracciata può indurre a fare un viaggio in più (si tratta di un bene di consumo istantaneo), per le auto non è così. Essendo sì beni di consumo, ma durevoli, chi le acquista lo farebbe comunque, prima o poi. Chi viene spinto a comprare da una super offerta guida un’auto matura per la sostituzione e si trova su un immaginario piano inclinato: all’aumentare della pendenza (promozioni) aumenta la velocità con cui arriva all’acquisto. Ne abbiamo avuto esperienza in questi anni. La grande rottamazione anti-ciclica fece anticipare gli acquisti, ma seguì il crollo sia per la fine degli incentivi sia per l’acuirsi della crisi, dopo la quale c’è stato un rimbalzo. Che si sarebbe stabilizzato sopra 1,8 milioni, senza le forzature ad anticipare messe in campo – si può dissentire, ma allora che senso hanno avuto tutte le auto-immatricolazioni viste quest’anno? Parlando di volumi e fatturati e margini, vale la pena un cenno alle propulsioni elettriche (le BEV, senza motore termico), per dare un ordine di grandezza e dunque di importanza relativa nel business complessivo. Dopo un 2016 in lieve flessione a 1.400 auto (pari a 8 unità ogni 10.000 immatricolate) il 2017 si avvia a chiudere con una crescita importante, che sfiorerà le 2.000 unità (10 ogni 10.000) e il 2018 probabilmente farà ancora meglio, arrivando a 3.000 macchine (ben 15 ogni 10.000). In conclusione, un 2018 a 2 milioni, con qualche incertezza e tanti soldi da mettere, dopo un 2017 che chiuderà a 1.975.000, probabilmente e salvo che a qualcuno non sfugga il colpo e bocci tutto – nel mercato a volte può succedere. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 29 dicembre 2017 154
TRIBUTI
Al secondo giro in macchina, ringraziare le stesse persone senza ripetere pedissequamente (o peggio, parafrasando) il senso di gratitudine e di stima già espresso nella prima edizione diventa difficile.Tuttavia, un semplice e sintetico rimando a quanto già scritto non sarebbe giusto, poiché non farebbe conoscere al lettore il perdurante lavoro degli amici che hanno contribuito alla nascita degli articoli di questa raccolta. È giusto dunque (o almeno ne avverto il bisogno) segnalare che questa edizione trae origine dalla fiducia che importanti professionisti della notizia hanno continuato a riporre nella mia capacità di riportare e commentare fatti e dati. Mario Cianflone, capo della pagina Motori e di Motori24 del Sole 24 Ore, professionista di vastissima competenza, eppure (o proprio perché) costantemente curioso e appassionato. Laura La Posta, brillante colonna del Sole 24 Ore, attenta e precisa, che regge in modo ineffabile amplissime responsabilità. Pier Luigi Bonora, ancora a capo (a sua insaputa) della pagina Motori del Giornale e di Fuorigiri, che ormai vola tra le notizie, padrone di uno spirito positivo invidiabile. Enrico Sassoon, direttore responsabile di Harvard Business Review Italia, sensibile alle tematiche dell’automotive. Alessandro Tommasi, editore di InterAuto News, tenace e flessibile, come un bravo editore deve essere. Francesco Signor, direttore responsabile di Guida alla Sicurezza, con un grande fiuto per l’innovazione. I miei colleghi, Alessandro, Alessia e Francesca, hanno non solo messo quanto serviva a dedicarmi con serenità alla scrittura, ma hanno anche curato i contenuti delle analisi e la trasformazione degli articoli in un volume. È grazie al lavoro di ciascuno che questo volume non solo vede la luce, ma merita anche la lusinghiera prefazione del mio amico Romano. 157
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Finito di stampare nel mese di giugno 2018 DB Stampa - Roma