Psicologia dei Videogiochi

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SOMMARIO

Sommario

Introduzione

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Capitolo 1 – Psicologia dei videogiochi: per iniziare

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1.1 1.2 1.3 1.4

Immersi nella tecnologia: mondi virtuali e generazioni digitali I videogiochi: un successo senza tempo Che cosa è il videogioco? Videogiochi: le tipologie Tre domande a... Douglas Gentile

Capitolo 2 – Identità e videogiochi: essere qualcuno nei mondi virtuali 2.1 La tecnologia e l’Io 2.2 Identità e virtuale 2.3 Che cos’è un Avatar 2.3.1 Avatar relazionale e avatar agentivo 2.3.2 Avatar estensione e avatar alter ego 2.4 Un modello per la costruzione identitaria 2.5 Avatar online e intenzione comunicativa 2.6 Conclusioni Tre domande a... James Paul Gee

Capitolo 3 – L’immersività del videogioco: “being there” e azione virtuale 3.1 Processi sociali e videogiochi: l’effetto Proteus 3.2 Immersività e presenza 3.2.1 Teorie sul senso di presenza 3.2.2 Senso di presenza e variabili secondarie 3.2.3 Social presence 3.3 Il concetto di flow 3.3.1 La scoperta del flow 3.3.2 Le dimensioni del flow 3.3.3 Networked flow 3.4 GTP – Game Transfer Phenomena Tre domande a... Giuseppe Riva

Capitolo 4 – Videogiochi tra emozione e cognizione 4.1 Il punto di partenza: la relazione fra (video)gioco e (video)giocatore

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SOMMARIO

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4.5

4.1.1 Il videogioco come gioco 4.1.2 Il videogioco come lavoro Gli effetti dei videogiochi su cognizione e cognizione sociale 4.2.1 I diversi volti della cognizione 4.2.2 Le funzioni ricettive 4.2.3 Le funzioni espressive 4.2.4 Pensiero 4.2.5 Memoria 4.2.6 La cognizione sociale Il ruolo dei videogiochi tra emozioni positive e benessere 4.3.1 L’approccio edonico 4.3.2 L’approccio eudaimonico Imparare dai videogiochi: strategie e modalità 4.4.1 L’edutainment 4.4.2 Andare oltre l’edutainment: i serious game come media per il cambiamento 4.4.3 Serious game: usi e benefici Conclusione Tre domande a... Ivan Venturi Tre domande a... Manuela Cantoia

Capitolo 5 – Psicopatologia del videogioco 5.1 “La vita è come un videogioco, ognuno deve morire almeno una volta” 5.2 Il videogioco come abitudine poco salutare: aspetti fisici 5.3 I videogiochi come fonte di distrazione: dal rendimento scolastico all’adhd disorder 5.4 La diatriba sui videogiochi violenti 5.5 La dipendenza dai videogiochi 5.5.1 MMORPG addiction 5.6 Il videogioco come fuga dalla realtà: derive psicotiche 5.7 Restaurare il videogioco: le tecnologie positive Tre domande a... Tonino Cantelmi

Bibliografia Giocografia

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INTRODUZIONE

Questo libro ha molte lacune. Come accade per qualunque altro volume, anche il nostro può attirare lettori molto diversi fra loro; ciascuno con aspettative, interessi e criteri di valutazione propri. Ci sono però almeno quattro categorie di potenziali lettori alle quali ci siamo rivolti. È a loro che rimettiamo il giudizio sulla bontà e l’efficacia dei nostri sforzi. I lettori del primo tipo sono gli esperti di psicologia e di videogiochi. Un titolo, quest’ultimo, di cui anche a noi piace fregiarci. In verità, mentre possiamo dire che siamo “esperti” di psicologia poiché di questa disciplina abbiamo fatto la nostra professione, ci reputiamo “esperti” di videogiochi perché, prima di ogni altra cosa, siamo dei videogiocatori. Solo per pochi anni non possiamo essere inclusi nella categoria dei cosiddetti nativi digitali; tuttavia, siamo abbastanza giovani da aver sperimentato in prima persona l’ingresso dei giochi digitali nella vita quotidiana e di esserne divenuti accaniti fruitori. Riteniamo che questa sia una ricchezza per il libro che abbiamo voluto scrivere: non siamo dei luminari che si sono interessati ai videogiochi dall’esterno, “di punto in bianco”, come talvolta accade. Al contrario: siamo innanzitutto dei giocatori, incidentalmente psicologi, che hanno iniziato a riconoscere nelle proprie esperienze di gioco molti fenomeni interessanti che meritavano di essere raccontati agli altri. Questo è stato il nostro punti di partenza. Ci siamo inoltrati in un ambito di studio ancora variegato e, in parte, disorganizzato, dove ricercatori e teorici di diversa estrazione hanno cercato di cogliere i punti salienti di ciò che

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INTRODUZIONE

accade alla mente e al comportamento quando le persone si impegnano in un’avventura virtuale. Ora, gli esperti di psicologia e di videogiochi troveranno senz’altro qualche lacuna in questo libro, soprattutto in relazione al fatto che la sua pretesa è piuttosto forte: si intitola “psicologia dei videogiochi”, quasi fosse un manuale. Ha persino una struttura tematica, con alcuni capitoli focalizzati su macro-argomenti di interesse psico-videoludico, a volte quasi incommensurabili tra loro. Mentre un manuale dovrebbe essere esauriente e completo, questo libro sicuramente non lo è. Vi chiediamo di considerarlo come il tentativo di prendere una direzione specifica e di fornire delle linee guida in rapporto a un oggetto che stimola la nostra psiche a diversi livelli. La nostra speranza è che i lettori del primo tipo, oltre a dire saltuariamente: “... ma perché non hanno parlato di questo e quest’altro?”, si ritrovino anche a pensare: “... questo non lo sapevo!”. Per fortuna, come potrete vedere, la relazione tra videogiochi e psicologia è straordinariamente ricca di spunti. Nella seconda e nella terza categoria di lettori possiamo annoverare chi ha una competenza molto vasta in un ambito ed una più limitata nell’altro. Nel primo caso, abbiamo a che fare con psicologi o studiosi di psicologia; con chi ha una buona conoscenza di come funzionino i processi cognitivi, di cosa sia un’emozione oppure di chi saprebbe parlare a lungo di come gli esseri umani reagiscono e sono influenzati dall’ambiente, dagli altri e da loro stessi. Non si intendono però di videogiochi; e giocando qualche volta qua e là, anche soltanto su internet o sul loro smartphone (o vedendo altre persone giocare) sono stati colpiti dal fatto che in quel momento potesse accadere qualcosa di psicologicamente rilevante. Costoro potranno senz’altro trovare spunti validi in questo libro; e trovandoli, si accorgeranno senz’altro di quanto ancora c’è da approfondire e scoprire per quanto riguarda le persone e i videogiochi. Un esempio su tutti: l’ipotesi che i giochi violenti possano farci diventare violenti a nostra volta. Questa idea circola da almeno vent’anni; eppure la questione è ancora del tutto aperta a verificazioni efficaci. Similmente, è abbastanza noto che alcuni videogiochi possono stimolare alcune nostre capacità cognitive e motorie, migliorando le nostre prestazioni; tuttavia, le appli-

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INTRODUZIONE

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cazioni praticabili e i contesti e i modi più adatti per sfruttare questa potenzialità costituiscono un dibattito ancora in divenire. Accanto a questi, che sono alcuni fra gli argomenti più famosi legati alla psicologia dei videogiochi, quelli di cui tutti hanno almeno sentito parlare, si è scelto di approfondire molti altri fenomeni, sovente trascurati, ma non meno importati nella loro influenza sulla psiche. Tali argomenti potranno interessare maggiormente anche il terzo tipo di lettori, che da un certo punto di vista saranno probabilmente i più severi. I videogiocatori esperti lo sono sempre: sono capaci di analizzare a fondo ogni prodotto che hanno sottomano, con minuzia filologica. Non trovano soltanto i bug (malfunzionamenti ed errori di programmazione), ma sono sempre attenti a caratteristiche di usabilità e funzionalità, di finezza narrativa, di qualità artistica e soprattutto di effettiva godibilità del gameplay. Inoltre, sono spesso piuttosto sensibili a chi parla di videogiochi e pretende di fare teoria su di essi. Sanno meglio di chiunque altro quanto questo mondo è sconfinato e incredibilmente vario: costoro vedranno che in questo libro di videogiochi se ne citano “pochi” (circa una settantina) e restano fuori capolavori storici, dal retrogaming fino ai giorni nostri, e anche tanti piccoli prodotti underground, e indie, certo poco conosciuti ma che, in un vero manuale, dovrebbero essere senz’altro trattati per le loro peculiarità uniche. Sì, questo libro ha molte lacune anche dal punto di vista dei videogiochi; però cerca di rispondere ad alcune domande. Domande che qualunque videogiocatore maturo, critico e curioso verso la propria stessa esperienza, si sarà posto almeno una volta: perché a volte mi sento il mio avatar e a volte no? Perché mi trovo bene a giocare certi personaggi e non altri, anche se sono così diversi da me? Perché, giocando a quel gioco, ho perso il senso del tempo? Com’è possibile che delle immagini in movimento sullo schermo e un controller siano in grado di farmi sentire in un luogo dove non sono, e che non esiste? In questo libro cercheremo di rispondere a questi e ad altri quesiti: a testarne la veridicità e l’adeguatezza possono essere soltanto i giocatori stessi, quando si troveranno di nuovo davanti allo schermo. C’è un ultimo tipo di potenziali lettori per questo libro: coloro che “non sanno niente”, né di psicologia né di videogiochi

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INTRODUZIONE

o che pensano di saperne molto poco. Non sapremmo dire quale motivazione può averli portati a leggere questo libro, oltre alla semplice curiosità. Ma esso è senz’altro rivolto anche a loro. Nella ricchezza dell’esperienza, di cui i mondi virtuali costituiscono un’inusitata ma ricca metafora, esiste anche la possibilità di comprendere meglio se stessi e il mondo che ci circonda.

Ringraziamenti Un libro come questo è il frutto di un lungo percorso di ricerca. Ad esso ci ha introdotti Giuseppe Riva che, più di ogni altro, ci ha incoraggiato ad intraprendere questa avventura, guidandoci con intelligenza e lungimiranza. A lui dobbiamo un ringraziamento particolare. Vista la complessità delle tematiche trattate e il considerevole lavoro che è stato fatto nel corso di questi anni da ricercatori italiani ed internazionali, abbiamo chiesto ad alcuni di essi di intervenire direttamente e di raccontarci il loro punto di vista. A Tonino Cantelmi, Manuela Cantoia, Douglas Gentile, James Paul Gee e Ivan Venturi, qui riportati in rigoroso ordine alfabetico, va il nostro ringraziamento per la passione, l’entusiasmo e la disponibilità che ci hanno dimostrato quando ci siamo confrontati con loro. Un ringraziamento speciale va anche a Patrizia Villani e Alberto Kratter Thaler che sin dall’inizio hanno creduto nella nostra idea e nel nostro progetto, mettendoci a disposizione la loro competenza ed esperienza. Un ultimo ringraziamento va all’Università Cattolica di Milano, all’Università degli Studi di Milano-Bicocca e ai gruppi di ricerca con i quali abbiamo iniziato a collaborare. Insieme a loro continueremo ad addentrarci nel complesso mondo della psicologia dei videogiochi.

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CAPITOLO 1

Psicologia dei videogiochi: per iniziare

1.1 Immersi nella tecnologia: mondi virtuali e generazioni digitali La tecnologia affascina, sorprende, intimorisce, preoccupa; sicuramente trasforma. Oggi essa è parte integrante di una quotidianità da intendersi non soltanto in chiave individuale, ma anche organizzativa, sociale e culturale. Molti degli aspetti connotanti la nostra esistenza ne risultano così trasversalmente influenzati. Pensiamo, per esempio, all’effervescenza delle moderne possibilità comunicative, all’immediatezza dei processi di recupero e gestione delle informazioni, all’apertura di nuovi orizzonti relazionali, all’immersività delle opportunità ricreative cui abbiamo così frequentemente accesso. Basta sfiorare il telefonino di nuova generazione che abbiamo da poco acquistato per trovare un’esemplificazione concreta di tutto ciò. Possiamo controllare le e-mail mentre ci incamminiamo verso la metropolitana, modificare una presentazione di lavoro mentre sediamo su un taxi, raccogliere delle informazioni sul Web mentre beviamo un caffè al bar. Se rimane tempo, possiamo persino monitorare la nostra pagina Facebook, ascoltare una canzone o svagarci, cercando di superare il nostro record ad Angry Birds. L’esistenza degli smartphone ci ha anche consentito di vedere gli ultimi istanti di vita del leader libico Mu’Aammar Gheddafi, ripreso proprio dalla telecamera di un telefonino, e ha permesso all’opposizione iraniana, ostile al presidente Ahmadinejad, di

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PSICOLOGIA DEI VIDEOGIOCHI: PER INIZIARE

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che strutture (scalando, arrampicandosi, calandosi, saltando eccetera: platform); • deve confrontarsi saltuariamente con bestie feroci e singoli avversari, come archeologi rivali o anche entità soprannaturali: normalmente si difende con pistole e fucili (sparatutto in terza persona). Per un gioco di questo tipo, che risulta trasversale anche alle macro-categorie di cui sopra, si parla infatti di action-adventure: e può essere buffo notare come, nel contesto di un franchise di così grande successo, siano stati creati anche piccoli giochi arcade per cellulare e persino un card game di poker a tema. L’ibridismo tra generi risulterà dominante anche tra molti dei giochi citati in questo libro: dal nostro punto di vista, tale caratteristica del mondo dei videogiochi è da intendersi come un segnale ulteriore della ricchezza che simili prodotti sono in grado di garantire all’utente in termini di esperienza. Nei prossimi capitoli inizieremo dunque ad approfondire tale ricchezza in alcuni dei suoi aspetti principali. Tre domande a... Douglas Gentile Docente di Psicologia dello Sviluppo presso l’Iowa State University, dove dirige il Media Research Lab. Da oltre 20 anni studia gli effetti che i videogiochi e i media in generale hanno sulla fisiologia e sul comportamento dei fruitori, con particolare attenzione al tematiche dell’educazione, della violenza e dell’utilizzo patologico. Professor Gentile, è d’accordo con chi ritiene che i videogiochi possono influenzare e modificare il nostro modo di pensare, agire e persino di provare emozioni? In caso affermativo, ritiene che nel fare questo i videogame siano più efficaci di altri media? Potenzialmente, qualunque cosa facciamo può influenzare il nostro cervello, il nostro comportamento e anche le nostre emozioni. Eppure, molti sono portati a credere che i prodotti realizzati al solo scopo di intrattenere e divertire non incidano psicologica-

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CAPITOLO 2

Identità e videogiochi: essere qualcuno nei mondi virtuali

...It’s a me, Mario!! Supermario

Nella vita quotidiana, che si sia uomini o donne, grandi o piccoli, è pratica comune immaginare di essere qualcun altro: i bambini (a volte gli adulti) nei loro giochi, gli attori su un palco o davanti all’obiettivo di una telecamera, le persone fantasiose nell’uso dell’immaginazione hanno in comune questa pratica, che altro non è se non un gioco identitario. Le realtà virtuali e in particolare i videogiochi hanno aperto una nuova affascinante frontiera per la conoscenza, la sperimentazione, e anche il “gioco” di se stessi: non a caso tale opportunità offerta dalla tecnologia videoludica segue di pari passo l’evoluzione strettamente tecnica e grafica dei prodotti e dei dispositivi, nel senso che i videogiochi, dai primi prodotti costituiti da simboli e luci che garantivano più o meno complesse stimolazioni e interazioni, hanno presto cominciato ad acquisire importanti connotazioni narrative. Si sono insomma trasformati in storie, fatte di personaggi, ambienti, incontri, emozioni e colpi di scena. Ad alcune persone ancora poco avvezze alla pratica videoludica potrebbe venire spontaneo immaginare il videogioco come una stimolazione sterile, un oscuro artefatto interattivo fine a se stesso, nel quale un giocatore può chiudersi per ore senza concludere nulla di concreto, ipnotizzato dalle luci e dai colori trasmessi dai meandri della macchina. Tale rappresentazione, anche se si considerano soltanto videogiochi “antichi” e ormai

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IDENTITÀ E VIDEOGIOCHI: ESSERE QUALCUNO NEI MONDI VIRTUALI

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fino a costituire, nei casi più estremi, una figura a sé stante con la quale si instaura un dialogo fittizio o un processo di immedesimazione (avatar alter ego). I fenomeni messi in luce in questo capitolo vogliono rendere l’idea della complessità sottostante ai fenomeni identitari in relazione ai videogiochi: essi non esauriscono, comunque, la totalità dei fenomeni psichici connessi all’utilizzo di avatar e all’esperienza nei mondi virtuali. Fenomeni più immediati, e in qualche modo “inconsci”, saranno approfonditi nel prossimo capitolo, focalizzato sulle sensazioni e sui vissuti che i mondi virtuali interattivi permettono all’utente in modo peculiare. Tre domande a... James Paul Gee Docente di Literacy Studies presso l’Arizona State University, è membro della National Academy of Education. Si occupa da tempo dello studio dei videogiochi e del loro impatto a livello cognitivo, sociale e culturale. Recentemente ha pubblicato What Video Games Have to Teach Us About Learning and Literacy, Good Video Games and Good Learning e numerosi altri libri sull’argomento. Professor Gee, nei sui lavori ha ampiamente approfondito il rapporto tra nuovi media e identità. Come pensa che i videogiochi possono influenzare lo sviluppo dell’identità nei nativi digitali? I videogiochi e, in più generale, tutti i nuovi media stanno cambiando così velocemente che l’espressione “nativi digitali” pare statica. D’altronde, chi è “nativo” dell’oggi, non lo è più del domani. Ciò che conta davvero è che le nuove generazioni si dimostrino sempre pronte a imparare, che lo facciano in modo proattivo e per tutta la vita; che ci siano persone capaci di imparare con passione e persistenza, con spirito di innovazione e con il desiderio di creare e non soltanto di consumare. Rispetto ai videogiochi, ci sono coloro che potremmo definire “giocatori critici”: essi vedono nel gioco un sistema complesso, costituito da regole in continua interazione. A partire dagli elemen-

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CAPITOLO 3

L’immersività del videogioco: “being there” e azione virtuale

C’è un sacco di spazio. Bisognerebbe vederlo tutto. Sono nello spazio! SPAAAZIOOOO Space Personality Core in Portal 2

Ogni giorno, milioni di utenti agiscono e interagiscono tra loro, mediante rappresentazioni grafiche, all’interno di mondi virtuali (Chan e Vorderer, 2006). Nel capitolo precedente abbiamo affrontato la relazione tra utente, avatar e mondo virtuale dal punto di vista dell’identità; nel capitolo successivo, invece, approfondiremo ciò che accade alla nostra cognizione (il ragionamento, la memoria, il pensiero) e ai processi emotivi nel contesto di questa relazione. Il capitolo che vi accingete a leggere si pone in un certo modo a metà tra questi importanti domini della psiche, trattando fenomeni forse meno conosciuti, in gran parte autonomi ed eterogenei, che hanno in comune un particolare aspetto: sono invisibili alla coscienza. Non significa che i videogiochi operino a un qualche livello profondo della nostra mente, influenzando la nostra persona senza che ce ne rendiamo conto; tuttavia, è senz’altro vero che nell’interazione con questa complessa tecnologia si manifestano fenomeni peculiari che risultano fondamentali perché l’esperienza videoludica sia interamente garantita, e che nei confronti di essi non si realizza una percezione cosciente. Partiamo da un esempio concreto: immaginate di giocare al vostro videogioco preferito, qualunque esso sia. Se lo desiderate, immaginate di compiere un’azione di gioco integrale, possibilmente una che richieda la realizzazione di sotto-azioni

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L’IMMERSIVITÀ DEL VIDEOGIOCO: “BEING THERE” E AZIONE VIRTUALE

Figura 3.1

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Un esempio di avatar volante in DC Universe Online

Yee e Bailenson (2007), ispirandosi alla figura mitologica del dio Proteo (che era capace di cambiare forma in ogni momento), hanno coniato il termine Proteus effect per indicare le modalità in cui le caratteristiche dell’avatar modificano il comportamento dell’utente all’interno del mondo virtuale; nei loro esperimenti hanno dimostrato come utenti che impersonavano avatar attraenti mostravano maggiore disponibilità a rivelare informazioni su se stessi in una conversazione e risultavano più sicuri nell’interazione; allo stesso modo, gli utenti di avatar particolarmente alti tendevano a effettuare scelte più aggressive e autoritarie in un compito virtuale di negoziazione. L’effetto Proteus è strettamente legato ad alcuni concetti noti nella Psicologia Sociale: il primo è l’autodeterminazione del comportamento (Bem, 1967), che si riferisce al fatto che il comportamento che mettiamo in atto può influenzare i nostri processi cognitivi e la percezione che abbiamo di noi stessi (per esempio, ci “accorgiamo” di essere assetati solo dopo che abbiamo bevuto avidamente un bicchiere d’acqua), mentre il secondo è la profezia che si auto-avvera (Snyder, Tanke e Berscheid, 1977), secondo cui il modo in cui pensiamo di apparire agli altri influenza i nostri atteggiamenti e le nostre credenze, connotando in modo peculiare anche le nostre modalità di interazione sociale (per esempio, come in un esperimento classico, indossa-

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L’IMMERSIVITÀ DEL VIDEOGIOCO: “BEING THERE” E AZIONE VIRTUALE

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genera in noi un apprendimento che si manifesta, per un tempo limitato, anche nel mondo reale. Un muro è normalmente un oggetto che non presenta affordance di scalata; ma se abbiamo fatto l’esperienza di scalarne molti, indipendentemente dal fatto che ciò sia accaduto davvero o solo in un gioco, percepire una parete diventa un’esperienza del tutto nuova. Come già accennato, non si tratta di dissociazioni patologiche: non per questo i videogiocatori si lanciano in imprese pericolose perché follemente convinti dal videogioco di poterle conseguire... tali fenomeni, detti Game Transfer Phenomena, rappresentano però un’importante indicatore di quanto l’esperienza virtuale può essere efficace nel modificare la percezione delle nostre capacità... se non le nostre capacità effettive. Simili aspetti, soprattutto dal punto di vista cognitivo ed emozionale, saranno approfonditi nel capitolo che segue.

Tre domande a... Giuseppe Riva Insegna Psicologia della comunicazione e Psicologia e nuove tecnologie della comunicazione all’Università Cattolica di Milano dove dirige il Laboratorio di Studio dell’Interazione Comunicativa e delle Nuove Tecnologie. È presidente dell’Associazione Internazionale di CiberPsicologia (i-ACToR) ed Editor europeo della rivista scientifica “CyberPsychology, Behavior and Social Networking”. Professor Riva, lei studia da tempo il senso di presenza, inteso come la capacità di sentirsi all’interno di un ambiente reale o virtuale; di esso ha considerato anche le diverse applicazioni nell’utilizzo di ambienti virtuali, come per esempio la terapia di fenomeni psicopatologici. Per quanto riguarda, invece, una pratica comune come il videogioco, che ruolo ha la possibilità di vivere un’esperienza di presenza in un ambiente virtuale ludico? Quanto è importante “sentirsi presenti” nella fruizione di un videogioco? I risultati delle mie ricerche mostrano come la “presenza”, intesa come la sensazione di essere nello spazio – reale o virtuale – in cui avvengono le nostre azioni, è il risultato della capacità di attuare in

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CAPITOLO 4

Videogiochi tra emozione e cognizione

La conoscenza di ciò che è complesso è saggezza. Arishok in Dragon Age 2 Solo la cenere ardente di una sigaretta graffia il buio di una quelle notti londinesi in cui la pioggia sembra essere l’unica compagna delle strade della città. La crudele devastazione della terza guerra mondiale le ha private del fascino del recente passato, facendole precipitare nella rovina e nell’abbandono. I loschi traffici del terrorismo e la folle ambizione di una distruzione di massa squarciano il silenzio. Con loro, il colpo di un cecchino, pronto ad abbattere lo sventurato fumatore. Il momento di agire è arrivato. In quanto membro delle forze speciali della SAS (Special Air Service), sei armato di tutto punto. Un MP5, un USP 45 dotato di silenziatore, un coltello tattico, delle granate e delle bombe luminose saranno le tue compagne più fidate nella controffensiva che le forze speciali stanno per muovere. Percorri il lungo vicolo che si trova davanti a te, ti volti velocemente per controllare che dalla via alla tua sinistra non arrivi nessuno ed entri nel magazzino che accoglie i terroristi. L’effetto sorpresa ti permette di anticipare i due che si trovano nella prima stanza: con una raffica di colpi fai fuori l’uomo davanti a te; ruotando di 30 gradi in senso antiorario, puoi velocemente finire anche il suo compagno che intanto si stava preparando ad attaccarti. Hai ancora 315 colpi; non c’è bisogno di ricaricare. La stanza ora è libera. Dai una rapida occhiata al radar per analizzare la conformazione dell’edificio e ti accorgi che non sarà facile espugnarlo: le stanze sono nascoste in un labirinto di corridoi. Puoi salire le

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CAPITOLO 4

peculiare della sfera videoludica ha saputo dedicarsi in maniera mirata all’espressione di un potenziale tanto ampio e trasversale. Si parla, a questo proposito, di serious gaming proprio per indicare quelle applicazioni interattive di natura ludica che si propongono di guidare l’utente in una progressiva acquisizione di competenze e conoscenze, concretamente spendibili nella realtà. Tre domande a... Ivan Venturi Imprenditore e game designer, pubblica nel 1987 il primo videogioco italiano. Nel 2003 fonda Koala Games (dal 2011 diventata Ticon Blu), con l’obiettivo di produrre e pubblicare videogiochi educativi pensati per il mondo della scuola e non solo. Gentile Ivan, da molto tempo lei è impegnato nella realizzazione di videogiochi e, in particolar modo, di serious game e videogiochi educativi. Quali sono, a suo avviso, i fattori che rendono il videogame uno strumento efficace dal punto di vista formativo? Dobbiamo innanzitutto tenere in considerazione il fatto che il videogame è un medium estremamente complesso. Parlare di videogioco in questo momento storico equivale a menzionare la carta stampata: ci si può riferire tanto al volantino del ristorante sotto casa, quanto all’Enciclopedia Treccani. Tale complessità, si traduce inevitabilmente in un’enormità di modi differenti di tradurre i contenuti formativi, informativi e didattici in videogioco e, attraverso di esso, assicurarci la loro penetrazione nel fruitore. Non vi è dubbio, però, che il videogioco abbia alcune caratteristiche specifiche che lo rendono uno strumento efficace dal punto di vista formativo. Rispetto a molti altri media, esso si basa innanzitutto su una modalità di fruizione dell’informazione assolutamente attiva. A questo dobbiamo aggiungere un secondo elemento imprescindibile: il divertimento. Dal momento che, come diceva Gianni Rodari, non ci può essere apprendimento senza divertimento, il videogioco è in grado di alimentare una vera e propria pedagogia delle emozioni, supportando processi quali la

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VIDEOGIOCHI TRA EMOZIONE E COGNIZIONE

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versi fra loro. Un puzzle game, per esempio, mira ad emozionare fino a un certo punto: ci divertiamo a giocarlo per 5 minuti alla fermata dell’autobus e nulla più. Un’altra cosa è un action adventure, come Assassin’s Creed, che possiamo giocare per una notte di fila al buio nel salotto di casa nostra. Credo, però, che la chiave principale per promuovere un’attivazione emotiva del giocatore consista nella possibilità di risvegliare istinti primordiali, quali l’esplorazione, il piacere per la distruzione, il desiderio di accumulare, di riempire uno spazio vuoto o di sentirsi Dio. Questo aspetto è fondamentale anche per i videogiochi didattici: avendo a che fare con ragazzi sommersi da lusinghe audiovideo e sollecitazioni multimediali, abbiamo poco tempo per dimostrargli che non siamo un videogioco blockbuster, ma che possiamo comunque emozionarlo. Per questo motivo, l’impiego di un lessico videoludico consolidato è imprescindibile: se ho un personaggio davanti a una piattaforma, è chiaro che questo dovrà essere in grado di saltare o di muoversi avanti e indietro, a destra e a sinistra. Allo stesso tempo, però, se interpretata in chiave interattiva, anche la narrazione può risultare decisiva.

Tre domande a... Manuela Cantoia Insegna presso le Facoltà di Psicologia e Scienze della Formazione dell’Università Cattolica di Milano ed è coordinatrice delle attività formative dello SPAEE (Servizio di Psicologia dell’Apprendimento e dell’Educazione) della stessa università. Si occupa principalmente di apprendimento e di nuove tecnologie con particolare interesse per i videogiochi; svolge attività di ricerca e partecipa a progetti di formazione per insegnanti ed educatori dei diversi livelli scolastici e per genitori. Ha pubblicato volumi e articoli per riviste scientifiche e divulgative ed è direttore della rivista Scuola Materna dell’Editrice La Scuola. Professoressa Cantoia, nel suo lavoro ha approfondito le potenzialità per la formazione e l’apprendimento che emergono dall’utilizzo dei videogiochi. Oltre

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CAPITOLO 5

Psicopatologia del videogioco

Nulla è reale, tutto è lecito Credo degli Assassini, Assassin’s Creed

5.1 “La vita è come un videogioco, ognuno deve morire almeno una volta” In apparenza, Devin Moore è un ragazzo come tanti altri. Diciotto anni, afroamericano, capelli corti, corporatura media, fedina penale pulita e una grande passione per i videogiochi. Quasi un’ossessione per Grand Theft Auto, la contestatissima serie creata da Sam Houser e distribuita da Rockstar Games. Sembra che il ragazzo sia totalmente assorbito da quel mondo virtuale segnato da furti d’auto, fughe spericolate, risse, rapine, assassini e omicidi. Ben presto, però, i confini fra realtà e virtualità si fanno più sfumati. La mattina del 7 giugno 2003, a Fayette (Alabama, USA), Devin è arrestato per tentato furto d’auto. Inizialmente, il ragazzo si dimostra collaborativo con Arnold Strickland, l’agente che lo accompagna in centrale per raccogliere la sua deposizione ed effettuare le procedure di rito. All’improvviso, tutto cambia. Devin si avventa su Strickland e afferra la sua pistola d’ordinanza. Non esita a fare fuoco. Il secondo colpo va a segno e colpisce in pieno volto il poliziotto. Sentendo gli spari, James Crump, un secondo agente in servizio, si precipita nella stanza. Moore sembra attenderlo e gli scarica addosso tre colpi. Ancora una volta, uno lo raggiunge in piena fronte. Il ragazzo corre,

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