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BN’s fly
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Nicola Di Biase
L’Autore non è un costruttore meticoloso e rigoroso, è più pulsionale che tecnico, razionale ed impressionista che entomologo. I suoi modelli sono conseguentemente semplici e badano all’essenziale, giostrano coi colori, le masse e le forme. Sono mosche rivolte esclusivamente all’efficacia. Pensate per i temoli difficili, altrettanto difficilmente possono piacere ai pescatori, se questi sono ancora preda di mode e stereotipi ed antepongono schemi librari al senso dell’acqua.
Settembre sul fiume Isel, Austria.
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o sempre costruito mosche con caratteristiche imitative d’insieme. Non ho mai creduto nelle mosche troppo vicine alla realtà. Mi piace più attrarre una presa di una ninfa o una salita ad una secca con degli artificiali definibili d’imitazione generica, anche se si potrebbero trovare altri termini. La pesca a mosca è un gioco; appagarsi sta proprio nel saperlo interpretare. Inoltre non ho immense capacità costruttive, dispongo di poco tempo, la vista di un cinquantenne, pazienza limitata. Tutti elementi che portano alla determinazione di non essere troppo sofisticato, ma razionale nelle imitazioni che costruisco. Conferisco alle costruzioni degli elementi che esasperano un poco certe caratteristiche degli insetti imitati. Mi piace, quando so di dover affrontare un nuovo percorso, costruire un artificiale prima di andarci, lo faccio sempre e spesso con successo. In tutti gli animali esiste un certo latente spirito di curiosità e sfruttarlo può essere di vantaggio per il gioco che andiamo a condurre sul fiume. Da lì all’enfatizzazione di certe caratteristiche imitative, come le ali delle imitazioni di effimera piuttosto lunghe rispetto al reale, così come le code, le sedge con ali piatte, ma evidenti, i colori dei corpi delle ninfe che distacco molto dai colori degli addomi (che sempre costruisco) il passo è breve. Anche realizzare artificiali è un gio77
co, il preambolo del gioco successivo, sul fiume. Perché appiattirsi su teorie, teoremi, realizzazioni standardizzate? Ci sono spazi per un poco di inventiva e di estrosità. Sperimentare fa parte del piacere nella pesca a mosca. Che poi non vi sia nulla da inventare, ebbene è da provare. Per farvi un esempio, 4 anni fa incontrai su un fiume che frequento spesso in Italia un pescatore americano che utilizzava artificiali particolari. Si trattava di grossi ami montati con abbondantissimo Cdc bianco, ami del 12. Era settembre inoltrato e i temolotti di quel corso d’acqua salivano allegramente su quella massa incredibilmente grossolana. L’autore di quel palese mostriciattolo mi disse che non vedeva ragione di non utilizzare gli stessi artificiali che impiegava con successo per il temolo artico. È solo recente l’impiego continuo di grossi e voluminosi artificiali per la pesca del temolo, vedi la Spettinata di Giuseppe e la Branco (entrambe pubblicate su Fly Line). Credo che sui colori in dettaglio ci sia molto da fare, e che il futuro sia nelle idee su questo tema. Rossi, arancioni, rosa, miscele tra viola e gialli, insomma per i corpi delle nostre mosche vedo un futuro da inventare. Se n’è accennato sul breve capitolo dei colori. Se escludiamo certi momenti particolari e certi frangenti temporali il temolo si pesca in corrente. Qui le dinamiche delle immagini e delle particolarità diventano spesso evanescenti e lasciano il campo alle dimensioni, colori e forme generiche degli insetti imitati. Se siamo d’autunno su una piatta lenta, o a fine della stessa con acque tese allora le cose possono cambiare, si estremizzano, ed allora vanno estratte dimensioni, colori, forme molto vicine alla realtà se si vuole avere successo. Ma sono anche momenti in cui comincerete a pensare se avete un conoscente in grado di darvi il numero di telefono di un bravo psicanalista. O meglio metterete a serio rischio le vostre sicurezze personali, le capacità di interazione con i santi cui siete votati e accarezzerete l’idea di frequentare un corso di artificieri con il bieco scopo di comprendere quali sono i migliori articoli esplodenti sulle 78
superfici dei rapidi corsi d’acqua. Se invece incontrerete il grande temolo su quella piatta con un terminale del 10 o del 12 sarete gratificati per il resto del tempo e quell’artificiale che vi avrà dato quella soddisfazione entrerà di diritto nella vostra mente come il migliore mai avuto attaccato ad un filo sottile... anche di speranza di trarre all’asciutto quel pesce. Sarebbe lunghissimo spiegare le dinamiche che portano a identificare le scelte di costruzione rispetto alle dimensioni strutturali. Resta in estrema sintesi che più le acque sono rapide e più le dimensioni di galleggiamento, per le dry, devono essere tali da permettere di cavalcare le dinamiche di superficie. Più queste ultime rallentano e più le dimensioni e il peso strutturale può e spesso deve scendere. La galleggiabilità è un’arma potente, potentissima per indurre il temolo alla salita e alla presa.
Chiusella
Una delle mie mosche asciutte più catturanti. Un’imitazione di sedge di medie dimensioni, nata tanti anni fa, doveva essere la metà degli anni 90, sul Chiusella, magico torrente che ospitava, ai tempi, residui gruppi di meravigliosi temoli adriatici. La caratteristica di quel corso d’acqua era ed è la estrema trasparenza delle sue acque. Forse in nessuno dei torrenti e fiumi da me frequentati il temolo meritava l’appellativo di ombre, ma nemmeno quelle si vedevano... Parlo al passato perché, ahimè, sul Chiusella il temolo lo dò per radicalmente scomparso (complici anche pescatori senza troppi scrupoli). Vi erano poche buche popolate dai timallidi, ma in quelle, anche di bassa profondità, i temoli non si vedevano, quasi mai. Avevano il mirabolante dono di comparire come dal nulla, e tutto aveva davvero, ma davvero, del magico. Ebbene la Chiusella nacque per schiodare quei pesci dal nulla i cui erano incollati. Quell’omonimo corso d’acqua è immerso in una vegetazione rigogliosa e i tricotteri non mancano. Frequentavo il Chiusella d’estate quando le sedge erano ancora all’opera, quei pesci sembravano insensibili alle effimere, anche durante i rari
Chiusella, Foto 1 - Si re-
alizza un corpo in barbe di coda di fagiano. Foto 2 - Si lega orizzontale una piuma di pernice e si taglia l’eccedenza.
Foto 3 - Si fissa una hackle di gallo grizzly relativa al tipo di acque.
Foto 4 - Vista di 3/4, si avvolge l’hackle grizzly e si completa la mosca con testa e nodo.
Chiusella vista da sopra.
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sfarfallamenti serali quei pesci erano difficili con qualunque tecnica e sistema. Potevi pescare a ninfa per ore sfiorando le loro bocche senza che si muovessero. Quel corso d’acqua poteva diventare di una difficoltà senza pari, un bellissimo luogo incantato tiranno di gioie, ma era anche una sfida. Un pomeriggio del tardo giugno mi trovai sulla sponda di quel machiavellico corso d’acqua, gran caldo, acque limpidissime. Montai la prima Chiusella della mia storia di pescatore, pochi lanci e da sotto un lungo ramo sporgente su una breve lama una luce blu oro salì veloce e afferrò senza alcun timore e con assoluta sicurezza quella imitazione. Rappresentava un colpo, ma poteva essere solo... un colpo. Alla fine di quella lunga serata sei temoli erano stati tratti a secco e liberati, tutti sicuri di avere scelto una sedge come aperitivo o antipasto. Per un fiume indecifrabile come il Chiusella rappresentava un successo notevolissimo. Non pago del successo feci altre serate, estivali e quindi difficili su quel percorso sempre con successo. Poi decisi di farci 80
una giornata, cosa che di fatto aveva non un senso compiuto visto che il tratto a temoli era non così lungo e vasto da giustificare un intero giorno, ma un sabato mattina di fine giugno partii di buon’ora. Ebbene la Chiusella non era una mosca da coup du soir, spesso si catturava alle 11 del mattino, alle 15 del pomeriggio e alla sera. Immaginai che se quei maledetti diavoli blu che sapevano valutare attentamente ogni possibile ninfa e poi scartare ogni possibile imitazione, per poi scomparire come liquefatti in quel blu quasi scandaloso tanto era bello potevano essere tratti in inganno da quella imitazione naïf chissà cosa sarebbe potuto succedere su altri fiumi meno sofisticati. E così venne il tempo del Sesia ad ottobre, mitico fiume e mitici difficili temoli. Fu una grande stagione autunnale e le salite e catture su quell’artificiale furono costanti e continue, spesso solo in caccia totale, senza schiuse. In moltissime uscite usai solo la Chiusella e con risultati d’eccezione. Spesso pescando solo in caccia e in assenza di attività, cosa poi così non difficile
su quel bistrattato corso d’acqua. Risultati costanti, duraturi anche nei momenti meno favorevoli. Se il successo era continuativo su quei due percorsi così complessi veniva da sé che altrove, in condizioni simili di stagione, la Chiusella poteva fare miracoli. E li fece, in moltissimi torrenti e fiumi di mezza Italia, Austria e Slovenia. Sull’Isel dove da anni passo i miei autunni una Chiusella ben presentata fa salire temoli mozzafiato, non solo al sottoscritto, ma anche agli amici che condividono con me quel fiume che, in quella stagione, ha del magico. Facile e veloce da costruire, con materiali reperibili in abbondanza (non accade sempre), ne porto sempre con me una poderosa scorta, da settembre in poi, in una scatola nera a scomparti e con sezioni ben divise: le usate, le nuove, le non perfette. Ne costruisco in due versioni, una dotata di maggiori dimensioni del “collarino” in hackle di gallo grizzly nero e bianco per le acque veloci e tumultuose, e una versione con lo stesso più leggero e meno sostenuto per le acque piatte e lente.
DBN 2 “La mosca del Presidente”. Piccolo artificiale, minuscolo, per la pesca nelle grandi piatte del grande fiume, le lente fine buca dei percorsi di mezza montagna, i tesi fine lama, tutto d’autunno. Nasce per gioco in un tempo che non ricordo, ma so che sul Sesia all’inizio degli anni ’80 la usavo già e con successo. Si monta facilmente con filo di montaggio nero, su amo del 24 o del 22, senza ali, ma con un rado hackle in collo di gallo grizzly bianco e nero, lo stesso della Chiusella, ma usando ovviamente le piume corte e sottili dell’inizio collo. Imita quei dannati piccoli insetti scuri che transitano mezzi vivi e mezzi no sulla superficie dell’acqua nei mesi autunnali e nelle giornate fredde. I temoli si divertono in quei frangenti a bollare su quelle malefiche piccole creature spesso indecifrabili, e sono le famose giornate di follia piscatoria, per il pescatore che se non ha l’arma giusta può cercare un ristorante e mettere le gambe sotto al tavolo
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DBN 2, foto 1 - Si forma il corpo con semplice filo di montaggio nero.
Foto 3 - S’avvolge l’hackle e si conclude la mosca.
Foto 2 - Si prepara e appone una hackle di collo di gallo grizzly ben marcata bianco e nero.
chiedendo menù a base di porcini e castagne. Il freddo, quello vero è vicino e sostentarsi per il temolo diventa essenziale, l’inverno sarà lungo e il fiume avaro di prede, il tempo delle schiuse è quasi terminato, almeno di quelle che fanno la differenza alimentare e lo stomaco dei salmonidi... si allunga. Quei maledetti puntini sull’acqua costituiscono la massa critica alimentare, ma sono davvero piccoli al punto che se analiz82
zate lo stomaco di un temolo troverete solo un mescolio informe di colore grigio. Eppure sono là nella buca, lenta e maestosa, li vedi salire tranquillamente e sicuri e qui esce uno dei migliori e più emozionanti momenti della pesca al temolo, la visione globale della sua salita e presa. La bollata è un momento lungo e soprattutto maestoso. Ho tantissimi ricordi legati a questo difficile artificiale, veramente tanti, ma uno in particolare lo voglio narrare. Credo fosse il 1985 o giù di lì e la stagione sul Sesia (sapete quanto abbia frequentato quel fiume) volgeva al termine. Un sabato mattina partii da casa, il freddo era pungente, ma era giusto così, sapevo che era giusto e basta. Con stupore quando arrivai oltre Varallo vidi che le sponde del fiume erano imbiancate di neve, stava nevicando, eccome se nevicava. Allora non si avevano a disposizione tutti i moderni capi e il freddo era un nemico giurato. Oggi onestamente ci fa quasi un baffo, manca solo un disgelante per gli anelli guidafilo. Seguii la logica del cercare dove trovare un gruppo di amici in allegra salita, ma sapevo che quel tempo poteva essere o una fortuna o una sfortuna grama. In mezzo a migliaia di fiocchi
Pesca tra i ghiacci: l’ambiente perfetto per la DBN 2.
di neve lanciare un puntino in mezzo a loro pareva davvero un azzardo. Le acque erano bassissime e le decine di temoli che allora popolavano tutte e dico tutte le buche e le lame del corso d’acqua erano straincollati sul fondo. Inerti. Buttava male. Era una giornata da cappotto, pensai tra me e me. Passai diverso tempo a gironzolare canna in resta tra buche e piatte, ma tutto era immoto e silente come la neve che cadeva abbondante. Poi all’ingresso di una buca vidi tre temoli di buona dimensione in una sorta di agitazione che non sapevo definire. Non mi sembravano in caccia, ma eccitati da qualche cosa che non comprendevo. Stetti a lungo ad osservarli e spesso salivano verso l’ingresso d’acqua, giravano due o tre volte al suo ridosso e tornavano verso il fondo. Pensai che catturassero delle ninfette trasportate dall’acqua. Magari era la spiegazione corretta. Montai la DBN 2, attesi il tempo di “frenesia” sotto la buca, e appena prima del suo inizio lanciai e depositai la mosca appena dopo la “fermata” dell’acqua. E accadde subito: uno dei tre salì sicuro e afferrò la DBN 2. Si slamò dopo circa un minuto di tira e molla. Peccato, pensai, una giornata così meritava
una cattura completa. Attesi diversi minuti prima di ritentare la carta del precedente giochino, per una decina di volte nulla accadde, ma poi l’allegro compagno di giochi del precedente temolo salì e ghermì sicuro la mosca. Stavolta vinsi io. Un bel pesce si dibatteva nelle basse acque del Sesia. Allora si annoccava il pesce e non mi ritirai dal rispettare il rituale. Il cappotto era scongiurato. Ancora altri dieci minuti e ripetei l’operazione, lancio nello stesso punto, etc. E il copione fu lo stesso, un terzo temolo salì sulla DBN 2, e finì da numero due nel cestino che allora portavo con me. Ero pago e soddisfatto, smontai la canna e tornai al tepore dell’automobile, per tornare a casa dopo avere comprato varie ottime cibarie locali. Allora il colesterolo era basso e potevo permettermi quei lussi alimentari! Nel grande fiume la DBN 2 in autunno inoltrato e in inverno ha del magico. Difetto: è montata su amo molto piccolo e di fatto le slamature sono frequenti, ma tenere in canna un bel temolo, combattere con lui in un bel fiume possente dopo averne goduto della salita e della ferrata calma, dolce e delicata, portarlo a riva e... fotografarlo se 83
ne hai voglia altrimenti rimetterlo subito in acqua ha del fantastico. Lì vengono esaltate fino allo spasimo le doti del temolante, filo sottile, artificiale quasi invisibile, salite lente, ferrate in controtempo, lotte da “violinista”. Ecco, la DBN 2 può darvi queste soddisfazioni, estreme, sottili, sofisticate. Anche qui siamo di fronte ad un artificiale che anche il peggiore dei principianti può costruire agevolmente. Magari ne faccia tante, molte resteranno nella bocca alle prime tirate. Ma tant’è, così va la vita del temolante in certi frangenti. Schiacciate bene l’ardiglione: il pesce se ne libererà facilmente, se il filo non dovesse reggere.
La DBN Adda Interpretazione esasperata di una generica Olive, come la chiamerebbero gli inglesi ancor’oggi. Nulla di eccezionale dal punto di vista dell’immaginazione costruttiva, davvero nulla. Qui però emergono quelle caratteriIl carattere fondamentale di questo modello imitante effimere, di regola subimago di Baetidae dai colori spenti, consiste nelle code e nelle ali tenute assai lunghe, così da conferire rispettivamente sostegno e visibilità alle ali.
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DBN Adda
stiche un poco naïf che dicevo in altri momenti di questo scritto. Code esagerate e ali di dimensioni eccessive rispetto al reale. Perché? Perché ritengo che quella particolare attenzione che il temolo pone verso le lievi eccentricità vada esaltata e utilizzata. Imitazione “universale” con le virgolette, ha sempre dato frutti in ogni sito in cui è stata utilizzata, vuoi sulle schiuse di Baetidae in senso stretto, vuoi ad inizio schiusa, anche di altre tipologie di effimera, vuoi in caccia su rade bollate con pesci in “annoiata attività”. Credo nacque un poco per pigrizia, utilizzando punte di piuma un poco esagerate per quelle dimensioni globali. La costruii prima con addome in gallo chiarissimo, solo in seguito compresi come la hackle grigio dun scuro (collo di non facile reperimento), ma non nero, offrisse i risultati migliori, probabilmente in termini di visibilità da sotto, o chissà per quale altra recondita ragione. Dicevo che di queste imitazioni ve ne sono a centinaia, e quindi apparentemente sotto al sole... nulla di nuovo, ma la carta che ritengo vincente consiste appunto nella “esagerazione” nelle caratte-
DBN Adda, foto 1 - Fissaggio classico delle lunghe code.
Foto 3 - Si realizza l’addome con le barbe di penna.
ristiche delle ali e della coda. Vi sono libri illuminanti sul cono visivo del pesce, cosa vede per prima cosa, come lo vede e guarda caso le ali e la coda hanno un notevole rilievo (vedi autori come Vincent Marinaro, Raffaele De Rosa e altri). Inutile riprendere qui il dettaglio dell’argomento, c’è chi lo ha già fatto al meglio. Questa caricatura di una Olive di storica memoria, ma sottoposta a un blasfemo eccesso dimensionale è un jolly da usare in diversi momenti e acque. Mi ha risolto non pochi problemi durante i momenti iniziali e centrali delle schiuse. Potrei citare molti eventi e momenti, ma uno mi sovviene per la particolare ubicazione e situazione. Ero in Norvegia, su un affluente del Glomma, a 10 minuti di macchina a Sud di Roros dove avevo campo base con la famiglia per alcuni giorni di pesca in quell’area, poi si sarebbe ripreso il cammino più turistico (ho sempre amato tantissimo la pazienza con cui mia moglie e i miei figli hanno sopportato questa mia passione e spesso mi tro-
Foto 2 - Fissaggio del materiale per il corpo, sezione di penna d’oca tinta verde oliva.
Foto 4 - Si fissano le lunghe ali in punta di hackle.
vo a pensare che non v’è e non vi sarà mai modo di ricompensare questo gesto d’amore, chissà che un giorno non ci riesca). Il luogo era bellissimo, ma un po’ sinistro per il silenzio che regnava in quel sito. A circa 500 metri di distanza dalla confluenza nel Glomma il bel torrentone creava una lunga e bella piatta ben popolata da temoli interessanti. Passai una mattinata a cercare di svelare su cosa bollavano ad intermittenza quei maledetti diavoli verniciati di fuliggine scura (i temoli nordici sono scurissimi e senza puntinature, scuri come un tizzone d’inferno di Texiana memoria). Ero posizionato non bene perché i pesci erano collocati sulla sponda opposta alla mia, la corrente centrale, pur non veloce, riduceva le derive della mosca, il dragaggio era sempre in agguato. L’acqua ai fianchi dell’ingresso principale era quasi ferma e le bestiole naturalmente sapevano discriminare benissimo 85
Foto 5 - Si raddrizzano ed aprono a circa 30° le ali con ripetuti incroci “morbidi” del filo di montaggio.
Foto 6 - Si appone una hackle grigia con barbe lunghe come l’amo, ma meno delle ali.
Foto 7 - Si avvolge l’hackle e si completa la mosca con testa, nodo e punta di vernice.
di cosa si stava parlando, se di una fregatura o di che d’altro. C’è una caratteristica che mi lascia sconcertato nei temoli del Nord, cadono vittima a centinaia di cucchiaini vistosi come dei Mepps del numero 2, mica roba piccola, e sono discriminanti spesso in modo esasperato sulle mosche artificiali, secche o ninfe che siano. Onestamente anche se la stagione estiva da quelle parti, in lapponia praticamente, è brevissima e quindi impone ritmi alimentari rapidissimi: non ho mai creduto che il cucchiaino venga attaccato con tanta solerzia e veemenza per sole ragioni alimentari. Se così tanta fosse la fame 86
non andrebbero per il sottile sulle mosche secche e ninfe che si presentano e invece il “maledetto” riesce ad essere selettivo anche in quei luoghi e in quei frangenti. Quindi siamo in altra logica che andrebbe studiata. Eravamo ai temoli di quel remoto sito norvegese. Bene, non bollavano sulle effimere, non ne vedevo traccia alcuna, non salivano su emergenti, mi ero impegnato non male a cercare in acqua, non erano ninfate di superficie, probabilmente, vista la giornata uggiosa erano dei piccoli chironomi in schiusa. Sfoderai la DBN2 con il corollario di sue varianti (ne ho una con le ali che resterà un segreto, almeno per adesso), ma nulla accadde di definitivo, alcune salite ispettive e poi rifiutavano. Sono maggiormente di classe i rifiuti sdegnosi sui nostri fiumi, ad onore del vero. Mi stavo stancando di pescare in quella situazione scomoda e quei pesci si prendevano gioco di me, di fatto il lavoretto riusciva bene perché avevano molte variabili a loro favore. Cominciai a pensare di cercare un guado e di cambiare sponda, poi guardando il percorso che avrei dovuto fare a monte, irto di grossi sassi e piante messe a bella posta sulla sponda e che creavano passaggi difficili arrivai a desistere dal proposito. In fondo mi stavo divertendo comunque e male fosse andata più tardi sarei andato
sul Glomma. Poi aprendo le scatole dove conservo le imitazioni di effimera ecco fare capolino dal suo scomparto la DBN Adda. Perché no dissi. La montai e la lanciai in riva opposta a monte di dove sapevo che i temoli avrebbero visto l’artificiale scendere, per quel poco che la corrente avrebbe permesso. Notai subito che quelle ali erano davvero evidenti sull’acqua, le vedevo bene e una scarsa diafana luce che spuntava dalle nuvole ormai invadenti conferiva al tutto una aurea magica, e pensai che quella fosse la strada per catturare ’sti tizzoni d’inferno. E così accadde. Al terzo passaggio il primo temolotto si fece fulminare. Poi un secondo, poi un terzo, poi un quarto. Non so quanti restarono vittima della DBN Adda, forse 13 o 15, spostandomi infatti a valle della lama e pescando praticamente in sponda opposta per altre 3 ore o giù di lì mi resi conto di quanti fossero i temoli in caccia in quella bella, e adesso proficua, porzione di mondo. Avevo lasciato la macchina fotografica in macchina (presa a nolo una Bravo famigliare viola, sì viola, datami dal concessionario in onore del fatto che un italiano avrebbe guidato volentieri un’auto prodotta nel suo Paese, valli a capire questi norve-
gesi...) e non scattai nessuna foto. Ne feci alcune dopo qualche giorno quando portai i miei ragazzi su quel corso d’acqua un’oretta, fu una goliardata e l’unica immagine del sito è quella di un temolotto che passo nella mani di Federico, mio figlio minore. Dò molta importanza a quella foto, non per il temolo che ho in mano, ma per la gioia che leggo nel viso di mio figlio e per quello che mi ricorda di quel lungo e bellissimo viaggio con loro. Le vie dei ricordi sono tante, passano da una mosca, da un affluente del Glomma, da uno stolto temolotto che è scivolato su una DBN Adda per la gioia di un bambino.
Il prof. Calabria in Scandinavia: tanti temoli, ma tantissimi insetti.
DBN Lammer Altro artificiale nato a tavolino. Immaginando cosa ormai non mi è dato ricordare, teniamo nota delle catture, del tempo meteo, delle temperature, delle schiuse, ma mai di come si arriva ad un artificiale, il che è di fatto un poco stupido. Quello che è certo è che nacque per il grande Lammer, fiume austriaco che scorre maestoso nel salisburghese. La usai diverse volte d’autunno quando nel 1995 andai a compiere uscite con alcuni amici tra cui il 87
DBN Lammer
Dr Tadini e Orazio Gatti. Ebbe un successo notevole, sulle fantastiche e indimenticate piatte di quel fiume spettacolare. Artificiale prettamente di uso autunnale. Si tratta di una delle mosche più semplici che si possano realizzare, adatta a cavalcare le rapide piatte e le sconcertanti variazioni di tema (le correnti) tra sasso e sasso, pietra e pietra sul letto dei percorsi di mezza montagna, come tanti lo sono. Costruita su amo a gambo lungo del 18 e del 16 (meglio il 18, ma se l’acqua è un poco tostina meglio il 16: aumenta la visibilità, più al pescatore che al temolo). Sono molte le effimere che si lanciano a deporre le uova nelle tarde mattinate di autunno, quando il sole scivola fuori dalla montagna e ti scalda non solo le mani, ma soprattutto il cuore, con quella luce che rende tutto più gioioso, più limpido, più vicino alle esigenze d’un gioco. Il corpo rosso realizzato in fibre di piuma di fagiano maschio tinto e quel Cdc giallo scuro, quasi che volesse virare al mattone, credo volesse interpretare le effimere cadute in acqua, ma di fatto nulla ha questo artificiale di una spent. Così vanno le cose per il pescatore di temoli, si prova e si 88
osa! Dopo il successo in Austria credetti di dover verificare le sue capacità di attrattiva anche nei percorsi italiani, più complessi di quelli così ben popolati dove aveva avuto il battesimo del fuoco. Dal primo giorno del suo italico impiego diede frutti insperati. Appena sopra Scopello ci sono alcune piatte che chi frequenta il Sesia senza dubbio conosce bene (se ci sono ancora). Ebbene sono storicamente state tra le situazioni di pesca più simpatiche, gruppi di pesci sempre presenti, possibilità addirittura di sederti su grosse e comode pietre per poter ammirare le evoluzioni dei nostri pesci. Ricordo che faceva già abbastanza freddo, doveva essere verso fine ottobre o ai primi di novembre, il sole restava “in piazza” per poche ore, ma a me bastavano per farmi felice. Quando finalmente usciva sopra la montagna, era veramente quasi surreale. Quelle acque, fino a quel momento scure e fredde ai miei occhi, diventavano un melange di colori straordinari, che sembrava raccogliere e mescolare i gialli delle betulle sulla sponda, il decadente colore dei larici, il marrone della terra. Erano talmente tante le luci che sembrava dovessero uscire dall’acqua, avvilupparmi
DBN Lammer, foto 1 - S’inizia fissando le barbe di coda di fagiano tinte con colore rosso.
e portarmi con loro. Ebbene in questo tepore incredibile fatto di luce e colori pescare i temoli era una meraviglia da gustare con discrezione, degustare come un grande vino rosso. Dopo circa 20 minuti dalla uscita del sole si affacciarono le prime timide e ovattate bollate, sui fili di corrente che i sassi creano e alla fine della piana. Stavo già lanciando le mie insidie, senza successo, ma adesso la danza sarebbe cominciata per davvero. Sfoderai una delle classiche imitazioni del Sesia, con un leggero Cdc bianco, imitazione che mi diede catture, ma mai un piacere completo. E sì, serve anche questo, trovare soddisfazione in quello che si usa. Mi sovvenne della Lammer e la presi dalla scatola dei Cdc. Appoggiandola dolcemente in acqua ne percepii subito il valore assoluto. Prima di tutto la vedevo benissimo, contrastava le luci in modo fantastico ed inoltre sembrava si sposasse divinamente con quell’acqua, quella luce, quel momento. La leggera brezza che a ritmi alterni accarezzava la piatta, le bollate e le pietre tutto d’intorno muovevano il Cdc che sfacciatamente reggeva benissimo l’acqua. Chissà che anche questo non dovesse risultare un efficace momento di spinta alla salita, v’era una parvenza di vita in quell’oggettino che si abbandonava alla pur dolce corrente. Al primo lancio vidi la scartata di un bel pesce. Benissimo, iniziai a pensare che ero sulla giusta pista. Dopo tre lanci, sul filo di una piccola pietra che divideva un
Foto 2 - Si realizza il corpo possibilmente con leggera conicità, poi si fissa e si tagliano le eccedenze.
Foto 3 - Si appone un bunch di Cdc giallo e si chiude la mosca.
angolo della corrente, un bel temolo afferrò con estrema decisione la Lammer. E fu lotta, quelle che sul Sesia metti poi in fila nella memoria. Morale quella piana mi diede 6 bei temoli, tutti delicatamente rilasciati. Quel giorno andava così. Magnanimità. Tutti rigorosamente sulla DBN Lammer. E ovviamente non fu che l’inizio di un utilizzo a volte pervicace e che diede sempre e costanti catture. Non contando quelle giornate in cui il Sesia diceva no, in cui avresti potuto sfoderare delle granate e 89
tirarle in quelle buche, ma non avresti che fatto del gran rumore. Quei temoli in quelle giornate erano come Superman o Batman e tu eri il Joker. La Lammer mi diede l’ultima cattura che feci sull’Orco, ormai anni fa. Era settembre e con Tadini si fece una puntata su quel corso d’acqua che ad ogni uscita risultava essere sempre più devastato da interventi in alveo. In molti punti il letto era una strada vera e propria. Ho sempre sofferto molto di queste cose, di una sofferenza profonda, cupa, a volte rabbiosa e una grandissima tristezza mi pervadeva, e lo fa tutt’oggi quando vedo questi scempi. Un giorno capii che la tristezza era più per la stupidità degli uomini, ed era legata ad un profondo senso di rassegnazione, perché mai certa gente imparerà la lezione che i fiumi sanno impartire a chi sa guardare. Ricordo che si pescò appena a valle di una lunga piana, dove una volta l’acqua correva veloce, ma dolcemente e adesso era stata imbrigliata al termine della sua evoluzione con due massicciate di grosse pietre per deviare in parte il letto a valle e permettere di costruire una via di passaggio ai camion che Dio solo sa cosa stavano facendo. Posto splendido, una volta, adesso sembrava un cantiere. Non v’era molto da fare, se non provare lo stesso, ormai avevamo macinato non pochi chilometri e inoltre qualche trota bollava in una acqua ormai ferma. Era facile intuire che lì di pesce ne era rimasto pochissimo. Dibattendo sul da farsi e cioè se tornare a valle e fare spesa di carne a Courgnè e poi schizzare a casa a fare compagnia alle mogli capimmo che l’orario era tale per cui avremmo dovuto fare qualche cosa almeno fino alle 16, orario di apertura del super macellaio del paese. Fui attirato dall’uscita dell’acqua da quella buca. Era una gran sparata davvero. Era come se la sofferenza di quel fermare, chiudere, restringere contro il volere di un Dio minore cercasse di urlare tutta la sua rabbia, il suo dolore. Davvero un grande impeto. Era un flusso lungo almeno 30 metri e che si placava in una successiva serie di lame che sembravano già addomesticate da un ingegnere idraulico dotato solo del cervelletto. In quella violenta uscita, con la coda 90
dell’occhio, mi parve di vedere un movimento rapido. Possibile, pensai, che un temolo si sia collocato lì? Però non era poi così illogico, era uno dei punti più riparati di fatto, meno invasi perché non lavorabili al momento dalle ruspe che attendevano non lontano. Quasi per gioco montai la Lammer e lanciai seguendo con gli occhi l’artificiale attaverso quel 20 metri o giù di lì. Tempo di percorrenza: pochi secondi. Nulla accadde e il mio compagno di pesca mi osservava con un certo stupore. E di fatto anche io mi domandavo cosa stessi facendo. Un sasso non avrebbe potuto cadere a perpendicolo in quella sparata d’acqua. Ma i temoli sono animali che reggono ogni tipo di corrente, stando sul fondo e scattando all’uopo come fulmini. Non so quanti lanci feci, non pochi. Mi accesi un Toscano, cosa che faccio spesso in modo rituale quando so che deve accadere qualche cosa (a volte non accade nulla, ma il sigaro me lo godo comunque) e davvero accadde. Dal fondo, rapido come un serpente a sonagli, scattò un temolo e prese la Lammer con decisione. Lo accompagnai giù, in fondo per la sparata d’acqua e
avrei seduto sulla carica di dinamite, e che espressione avrei avuto io nel farlo, credo di liberazione. Mi assopii pensando a quel temolo che stava per salire sulla Lammer. Era come un pellerossa in una riserva attaccata dal “progresso” che tale non è, perché la maiuscola su sto termine da noi è ben lungi da essere scritta, almeno fino a che faremo strade dove corre solo il fiume.
DBN Traun
lo salpai nella seconda sezione dell’inferno per pesci. Mi sentii stringere il cuore, quella povera bestiola assediata da tutto quel cataclisma, che tale era per noi, figuriamoci per lui che ci vive! Lo slamai anche se mi passò per la testa di terminarlo, come si fa con chi si sa che non ha futuro, come a liberarlo di tanta follia tutta d’intorno. Mi spostai nello stesso punto della salita e rilanciai. Un secondo pesce salì e rifiutò. Avrei potuto insistere, pescando meglio, lanciando meglio, ma mi assalì una tristezza infinita, un grande magone mi prese la gola. Mi riaccesi un sigaro, mi sedetti sul greto osservando quell’acqua che scappava dall’orrore. Guardai l’ora, erano le 15. Dissi a Gianluca che forse sarebbe stato meglio spostarsi a valle o smontare e andare a caccia di belle bistecche piemontesi. Credo che capì benissimo, senza una parola arrotolò la coda nel mulinello e smontò la canna. Quella sera si mangiarono salamelle di ottima fattura. Ma mi addormentai pensando a cosa avrei potuto usare per far saltare quella mostruosità di diga temporanea, che faccia avrebbe fatto quell’ingegnere quando lo
Nacque molti anni fa, credo circa 16, misuro le date sulle uscite in cui portavo la famiglia con me, cercando di fondere la immensa gioia delle mie passioni con moglie e figli. Dobbiamo molto alle nostre mogli e spesso ai nostri figli che ci hanno assecondato in questa bella follia di macinar chilometri per vedere i pesci nuotare nell’acqua. Base operativa della vacanza Filtmoos, una cittadina che se non esistesse la si dovrebbe inventare, non lontana da Salisburgo e, soprattutto, non lontana dalla Traun, nello specifico da Bad Goisern. Dalle immagini, poche per il vero a quel tempo, rapite da qualche rivista (quale poi?) compresi che si trattava di pescare in una grossa sparata d’acqua con sponde letteralmente circondata da una vegetazione ripariale incredibilmente lussureggiante e soprattutto onnipresente. Sarei andato in quella specie di jungla sull’acqua ad agosto. La sera? Neanche da immaginare di starci, la famiglia aveva la precedenza con due bambini piccoli, mica si poteva strafare con gli orari. Avrei pescato qualche volta, ma durante il giorno. Schiuse in quella sparata d’acqua? Ne dubitavo, ad agosto e poi di giorno. Così mi misi al morsetto convinto di trovare il modo di costruire un artificiale nuovo adatto a quell’ambiente. Mi restava ben poco da mettere in pista, tricotteri ne avevo e potevano essere un’arma, ma alla sera? Così puntai su un terrestrial. Costruii su un amo del 16 e uno del 18 a gambo lungo un vistoso corpo utilizzando tre quill di coda di pavone naturale. In pratica il corpo di una Cock-y-bondhu. E fino lì cosa c’era di nuovo? Poco perdinci. Però la velocità dell’acqua, la presenza
Nella foto, due DBN Traun, una con Cdc in bunch di pelo ed una con punte della piuma comprese di rachide. Queste ultime si asciugano più in fretta, poiché tenute aperte dalle barbe.
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DBN Traun, foto 1 - Si fissano tre herl di pavone naturale.
di abbondante vegetazione mi indussero a “vestire” quel vistoso corpo con un Cdc viola scuro, due o tre punte di piume, o un ciuffo di barbe, montate in modo tradizionale, nessun tinsel o amenità simili. Il viaggio cominciò e dopo alcuni giorni meravigliosi con i bimbi e la moglie il richiamo del fiume non lontanissimo si fece forte. Una mattina dopo avere avuto conferma da parte del gestore delle acque che avrei pescato poiché il permesso era sul suo tavolo e mi aspettava partii. L’ospite fu perfetto. Mi accompagnò sul fiume e di fatto restai turbato da quello che vedevo. Una vena d’acqua scura volava letteralmente sotto il ponte dal quale il dotto gestore mi spiegava che avrei dovuto pescare in quello che lui chiamava l’angolo di Ritz. E sì, lì aveva pescato spesso il noto albergatore pescatore e sembra, a sentire il nostro uomo, con successo. Di fatto si trattava di un angolo, un vero angolo da dove si poteva probabilmente pescare evitando il resto della corrente veloce e ai miei occhi quasi impossibile da praticare con successo. Attraversammo il ponte e dopo un centinaio di metri scendemmo al famoso angolo, che tale mi parve fin da subito. L’acqua rallentava per la curva del fiume, forse in tutto 20 metri per 25, poi via, la corsa riprendeva veloce e quasi impossibile da 92
Foto 2 - Si realizza il tipico corpo grassoccio sovrapponendo gli avvolgimenti.
pescare. Un brevissimo tratto per la verità, e dubitai fortemente della scelta che avevo fatto, soprattutto pensando che molto più a valle, in spazi diversi, avrei senza dubbio avuto chance maggiori di pesca, o almeno molto variate. Ma tanto valeva, avevo pagato il permesso e mi sarebbe sembrato scortese abbandonare il mio cordiale ospite che si agitava con il suo stentato inglese nell’indicarmi con entusiasmo quel piccolissimo angolo di mondo. Ci salutammo dicendo che ci saremmo rivisti nel tardo pomeriggio prima del mio ritorno al quartier generale. Dal ponte avevo notato due bei pesci che “pascolavano” appena sotto i piloni del ponte, dove avevo visto le altre due o tre porzioni pescabili a secca. Montare una ninfa in quel pezzo di fiume avrebbe comportato l’impiego di un incudine per poter sperare di razzolare non sul fondo, ma a mezz’acqua. Così montai la canna, la coda, stesi il terminale, montai una grossa e voluminosa effimera e, dopo essermi assicurato che il mio anfitrione se ne fosse andato per davvero mi spostai, rifeci a ritroso quei 100 metri, scesi al greto e cominciai a sfilare la coda. Tre lanci bastarono per far salire una grossa iridea che volò letteralmente nella corrente più pazza che avevo visto. La salpai dopo un bel tira e molla. Tre persone che stavano attraversando il ponte seguirono
Foto 3 - Si appone l’ala in Cdc.
l’evoluzione del pesce e le mie per trarlo a riva, conclusero con un applauso. Rivolsi le mie attenzioni alla placata del primo pilone, quello più vicino a me, qualche lancio e una fario prese la mia imitazione di effimera di grosso volume. Non un gran pesce, ma tant’era, altro applauso a fare da corollario alla mia cattura e al mio malcelato orgoglio. Mi assalì lo sgomento, e adesso? Non restava di fatto che il “ghetto” dell’angolo di Ritz presso cui mi incamminai. Al solito, squadra che vince non si cambia e lanciai distrattamente per molti minuti quell’irsuta imitazione carica di piuma di pernice. Nulla accadeva e una riflessione era d’uopo. L’indigeno mi portò in situ senza troppi fronzoli. Ci aveva pescato Ritz, in fondo l’angolo era confortevole e delle maestose piante dispensavano un fresco piacevole. Ma adesso il fiume. L’angolo era tale per due ragioni, la sponda e una correntina che aveva scavato una buca proprio davanti ai miei piedi. Non se ne vedeva il fondo, ma non mi meravigliava visto che anche in 60 cm di fondo tutto appariva di un marrone scurissimo, quasi torboso. La buca terminava con una digradante situazione, almeno mi
Foto 4 - Si conclude la mosca con testa e nodo verniciato.
sembrava così fosse. Ragionai. Se qualche temolo avesse allignato nella buca di Ritz poteva trovarsi all’inizio della stessa o alla fine. Inutile cercare di fare salire un pesce in tarda mattinata di agosto al centro di quella scura voragine. Credo di avere lanciato per almeno un’ora senza il benché minimo segno di vita. Era arrivato il mezzodì e una fame lancinante si fece strada. Due panini con lo speck, una birra diventata calda e una seduta con Toscano suggellarono l’anonimo pasto. Il tempo passava e mi diedi a gironzolare per la “riserva” a dire il vero una sponda, la sinistra, e a cercare una seconda buca, per farla diventare quella di Di Biase, dopo quella di Ritz. Sarebbe stata meglio una lama, una correntina, avrebbe suonato bene “la lama di Di Biase” e intanto mi perdevo la giornata con i bambini e la cosa non mi piaceva. Tornai alla macchina, credo che schiacciai una pennichella per tornare alla buca del vate alle 14,30 circa e riprendere quell’inutile sequenza di lanci, provando tutte le imitazioni che la mente ormai annoiata mi diceva di montare. Poi mi sovven93
ne la creazione, quella dedicata alla Traun. Erano rimaste in macchina, in una scatola che avevo in auto e mi diedi dell’imbecille! Fai una mosca dedicata al sito, non la provi, te ne dimentichi e magari avresti fatto un dispetto a Ritz, che sicuramente ti stava osservando dalla sua suite, là in alto. Montai l’artificiale e lanciai là dove avevo già lanciato centinaia di volte, in quell’angolo di mondo che mi portava a capire bene cosa fosse una fobìa da spazio ristretto. Due, tre passaggi e vidi una grossa sagoma nera come la pece rifiutare la mia imitazione! Allora ci sei, anzi ci siete. Ed è quello che pensavo io, un bel corpo verde e un pennacchio vistoso ad imitazione di improbabili ali possono fare il colpo. Mi rilassai un momento, pensando se avessi sognato, avessi avuto le traveggole, o se fossi stato colto da febbre da temolo e la temperatura fosse salita oltre il normale. Ma adesso le cose andavano comunque fatte con rigore, basta con gli svogliati lanci su un presunto nulla kafkiano. Curai di capire il perché del rifiuto per evitare di commettere un errore che avreb-
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be spento le velleità potenziali e successive del grosso tizzone di inferno che avevo visto rifiutare, credo. Rilanciai facendo in modo che la mosca scendesse con il rigore del temolante in caccia, e accadde. Salì, afferrò la DBN Traun e fu lotta, e che lotta. Fui costretto a scendere la sponda da monte a valle, con la velocità del fulmine, quel pesce aveva infilato la maestosa autostrada di acqua solenne e imponente e chi dei due era nelle blatte ero io. Era grosso, grosso davvero e ne ebbi conferma quando saltò repentinamente fuori un paio di volte. Pesce grosso, fiume tosto, ma tosto davvero, nessuna logica mi aiutava, solo cercare di farlo girare di 90 gradi e farlo arrivare sui correntini vicino alla sponda dove mi trovavo aveva un senso. E così lo forzai, piano piano lo forzai e ad un certo punto si lasciò trascinare dove io desideravo che andasse. Fortuna? Poi vedremo. Il pesce era davvero imponente, nero, senza un gran che di puntinatura, grosse pinne ventrali viola, del colore del mio Cdc per la DBN Traun, pensai, anche se non ne vedevo nessuna attinenza logica e ancora non ne esiste una ovviamente.
Mi allontanai dalla riva con il pesce in mano. Non avevo il centimetro con me, non usavo misurare i pesci più di tanto, avevo delle tacche logiche sulla canna Riccardi, 40 e 45 cm. Era molto, ma molto più lungo, era il mio primo over 50! Alla misura prima della pentola in albergo segnava cm 53. Potevo annoccare un pesce e lo feci, le misure erano da imbalsamazione, e avrei potuto chiedere al gestore a cui sarebbe forse venuto un colpo nel vedere un simile siluro nero. Eseguii la turpe sentenza e stetti con un sigaro in mano a rimirarmi quella splendida cattura. Molto diversa dalle solite, per me insolita nel colore globale e soprattutto nelle pinne pettorali e anali che erano veramente di un viola cremiso intensissimo. Sdraiai l’immenso malcapitato, lasciai che le mani si tranquillizzassero dal tremore che avevano preso e lanciai ancora. Dove c’è un temolo ne trovi altri. Pescai forse per 10 minuti poi praticamente a 40 cm da dove avevo visto colpire la mosca al primo salì un secondo scuro potente animale sulla DBN Traun. Seguì un copione simile al primo, ma con un epilo-
go felice per l’over 45 che tenevo in mano rimirandolo nelle sue potenti forme. Avete mai notato di fatto che macchina potente è il temolo? Sembra coriaceo, un vero duro! Le squame possenti, soprattutto se di grosse dimensioni, si dimena a fatica e ne puoi leggere la forza che viene dalla sua esistenza in acque così toste e costantemente tirate nella velocità. Lo fotografai con la macchina che usavo a quel tempo e che era ovviamente un modello tradizionale. Pescai ancora per circa un’ora, ma ormai ero al settimo cielo. Avevo un grosso pesce, forse il più grosso mai catturato (ho preso altri 50, uno nella Moell, uno nell’Isel, che ho imbalsamato e tengo con orgoglio malcelato nella mia stanza della pesca, come è comunemente definita il famiglia). Il pesce della Traun alla misura esatta segnò 53 cm. Mi fu servito al forno condito con erbe che solo quel maledetto cuoco deve avere trovato, perché mai più mi capitò di assaporare un pesce di fiume cucinato così sapientemente, al punto che mia moglie ancora oggi rimembra quel temolone sostenendo che mai più appunto è capitato di mangiare un pesce di fiume similmente gustoso. La DBN Traun è mosca da chalk stream, usata sull’Unec ha dato ottime salite. Serve vegetazione, tanta d’intorno, e caldo, estate e fine estate, settembre. Sui freddi fiumi di ghiacciaio si può lanciarla per conferire colore alle gelide superfici e nulla più. Resta un’arma potente, da usare col sole, le piante, dopo un panino allo speck o una frittata fredda, un Toscano e con la famiglia che attende il tuo ritorno.
DBN Micro la più piccola Ogni temolante ha nel taschino una micro imitazione, che se la costruisca, l’abbia in regalo, o la rubi ad un collega. Gli serve. Eccome se serve, magari di rado, ma se ne è privo possono essere dolori. Specialmente nel tardo autunno, o nei frangenti in cui il temolo sembra essere attratto da un nulla che diventa indecifrabile. La Micro mi sovvenne come costru-
L’enfatica bollata di un temolo in eccesso d’entusiasmo: l’insetto era una DBN Traun. 95
DBN Micro, foto 1 - Si realizza
il corpo in filo di montaggio rosso.
Foto 2 - Si appone l’ala in Cdc.
Foto 3 - Se si vuole la testa nera, occorre sostituire il filo di montaggio. zione tanti anni fa, quando con malcelato sgomento mi trovai ad essere beffato da temolotti impudenti che si facevano sfacciato beffeggio della mia DBN presidenziale, la mosca del Presidente descritta in precedenza. Mi trovavo su una vasta piatta e i temolotti, tra cui qualcuno davvero degno di nota bollavano ritmicamente su insetti piccolissimi, tipi del periodo tardo autunnale. Sono piccoli esserini tra il grigio chiaro e il nero, non certo chironomi, di cui si possono ben vedere le determinanti. Era già piutto96
Foto 4 - La piccola imitazione è terminata da nodo e vernice.
sto tardi e tornai deluso dalle relative poche prese che una delle mie mosche predilette avevano raccolto. Necessitava la realizzazione di un micro artificiale che potesse colpire la fantasia delle mie attenzioni. Provai e riprovai, prima con strutture tradizionali, dotate di corpi, ali, addomi e facezie simili, ma non eravamo certo nelle dinamiche realizzative che avevo in mente. Alla fine, ne uscì il massimo della semplicità, un amo del 24, davvero piccolo, pochi giri di filo di montaggio, in rosso e in nero con un accenno
di Cdc azzurro chiaro, la realizzo anche in poly carta da zucchero al posto del pregiato materiale. Difficile addirittura appiccicarla ai materiali di cui sono fatte le scatole porta Cdc, tant’è sottile e leggera. A che terminale avrei appeso quella lilliput? Come l’avrei vista a 15 o 20 metri? Il banco di prova venne l’anno successivo, e fu una summa di piaceri di altissimo livello, con altrettante delusioni legate alla facilità di slamature che simili piccole imitazioni portano con loro. Comunque tenere in canna pesci di 3840 cm e oltre con tanta lenza e coda fuori, recuperi lenti in acque possenti mi insegnò una tecnica che ancora non conoscevo al meglio, la delicatezza assoluta con un pesce di dimensione in canna. La sensibilità si estrapolava e si dilatava dando sensazioni eccezionali. In fondo era un passo avanti anche se estremizzavo un concetto e raffinavo una tecnica, amo piccolissimo, finale del 10 o del 12 se andava bene, ferrata
dolce, ma rapidissima, tenuta del pesce, recupero, slamatura. Scoprii in seguito che la mosca aveva successo in primavera e in autunno nelle riserve no kill, dove vado malvolentieri. Faceva salire quei pesci avvezzi ad essere strapunti, sbatacchiati e rilasciati. Naturalmente servono acque non tesissime o troppo veloci. È un artificiale che utilizzo di rado, magari in novembre, ma che offre sempre grandi soddisfazioni, più per la complessità della gestione delle fasi di cattura che per il piacere di utilizzare un minuscolo puntino che corre quasi invisibile sulla corrente. Dopo pochi lanci il Cdc, unica nota visibile sulla traslucida acqua, sembra volerne fare parte ad ogni costo, e allora spesso non resta che seguire il terminale o pescare d’istinto. Cosa che aumenta ancora di più il piacere di quello che potrebbe accadere. Ho catturato e liberato pesci di misura notevole con questa mosca, che non offre nessun piacere costruttivo, ma che invece permette di fare breccia nel temolo in condizioni particolari, e che dilata al massimo le capacità di chi le utilizza mettendo a nudo le esperienze precedenti e facendone trovare di nuove molto sofisticate.
DBN 9 Artificiale di semplicità estrema, che nella mia razionalità di mammifero vorrebbe interpretare una effimera autunnale in schiusa, magari un Caenidae. Nasce anche lei sul Sesia di tanti e tanti anni fa e fa parte del mio repertorio di mosche facili e semplici come la DBN Lammer. Usata su schiuse sporadiche, o all’ini97