John Hunter- Teresa Pugliatti - Luigi Fiorani

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FONDAZIONE CAMILLO CAETANI

CENTRO DI STUDI INTERNAZIONALI GIUSEPPE ERMINI FERENTINO

ROMA

Riproduzione digitale

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John Hunter - Teresa Pugliatti - Luigi Fiorani

Girolamo Siciolante da Sermoneta (1521-1575) Storia e critica

Roma 1983


,I

QUADERNI DELLA FONDAZIONE CAMILLO CAETANI

IV

fohn Hunter - Teresa Pugliatti - Luigi Fiorani

Girolamo Siciolante da Sermoneta (1521-1575)

Storia e critica

ROMA 1983


QUADERNI DELLA FONDAZIONE CAMILLO CAETANI A CURA DI LUIGI FIORANI

IV

I


fohn Hunter - Téresa Pugliatti - Luigi Fiorani

Girolamo Siciolante da Sermoneta (1521-1575)

Storia e critica

ROMA 1983


© 1983 FONDAZIONE CAMILLO CAETANI VIA

DELLE BOTTEGHE OSCURE,

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ROMA


Indice

di Hubert Howard

pag.

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GIROLAMO SICIOLANTE DA SERMONETA. COMMITTENTI E COMMITTENZA di ohn H unter

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GIROLAMO SICIOLANTE DA SERMONETA. CONSIDERAZIONI E PROPOSTE PER UNA RICOSTRUZIONE DEL PERCORSO STILISTICO di Teresa Pugliatti

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PRESENTAZIONE

I

LETTERE DI GIROLAMO SICIOLANTE NELL'ARCHIVIO CAET ANI DI ROMA E NOTIZIA DEL RITROVAMENTO DI UN' OPERA DI TULLIO SICIOLANTE

di Luigi Fiorani TAVOLE

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. Que{tO quarto Quaderno della Fondazione Caniillo Caetani raccoglie le ricerche di tre noti studiosi che affrontano, in maniera organica e complessiva, la figura e l'opera del pittore sermonetano Girolamo Siciolante, per tanti versi legato alla storia e al mecenatismo della Famiglia Caetani. Sulla base di nuovi documenti e di nuove analisi critiche mettono in luce aspetti e fatti del Siciolante, contribuendo così in modo decisivo alla esatta valutazione di un pittore che ebbe un ruolo importante nella cultura artistica romana e italiana lungo tutto il Cinquecento. La Fondazione ringrazia vivamente gli autori di questo Quaderno. Ringrazia altresì quanti, in varie parti d'Italia (Bergamo, Bologna, Pesaro e Roma), hanno voluto celebrare l'anniversario della morte del Siciolante nella data tradizionale (ma ormai non più sostenibile). Ed esprime, infine, la sua particolare stima e il compiacimento per le iniziative e per le ricerche intraprese dal gruppo dei giovani di Sermoneta appartenenti al Centro d'arte e cultura, i quali, in una interessante mostra fotografica, hanno potuto esibire con

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ottime riproduzioni, le opere preziose e quasi sconosciute di Siciolante situate nel Castello di Urfè in Francia.

Hubert Howard Presidente della Fondazione Caetani Roma, Palazzo Caetani, 1 ottobre 1983

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fohn Hunter GIROLAMO SICIOLANTE DA SERMONETA COMMITTENTI E COMMITTENZA


I.

Dalla

pubblicazione, nel 1568, del libro Le vite de più eccellenti pittori scultori et architettori di Giorgio Vasari, la storia dell'arte è consistita essenzialmente nello studio degli artisti. Senza dubbio, altri metodi d'approccio sono stati impiegati quali lo studio dei singoli monumenti, dell'iconografia e dello stile. Ciò nonostante, dietro a queste ricerche, si cela sempre l'interesse per la personalità dell'artista. Nella sua ampia indagine sull'arte italiana, dal tardo Medio Evo alla metà del secolo XVI, il Vasari si sofferma sui maestri grandi e minori, definendo quelli « i più eccellenti », ma lodando là dove pensa di dover lodare. Tuttavia, nei tre volumi della sua opera, riserva la più grande ammirazione per gli artisti del suo tempo. Vasari sostiene che l'arte ha progredito nei secoli grazie alle realizzazioni degli artisti, passando dal primitivo al perfetto, come documentato dalle opere del Cinquecento. E le opere del secolo XVI superano quelle del passato perché gli artisti del Cinquecento erano superiori ai loro predecessori. Avevano approfondito meglio i segreti dell'arte e progredito nel loro mestiere.

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Anche se Le Vite del Vasari sono il primo libro del genere, esse riassumono gli interessi e gli orientamenti, non solo di altri saggi contemporanei, ma anche della maggior parte degli scritti sull'arte dal Medio Evo al Cinquecento 1• Il suo approccio incentrato sull'artista riflette, in effetti, un interesse per gli artisti e per l'arte dell'antichità romana e greca, interesse che si sviluppò con il rifiorire degli studi classici. Nel libro è espresso il punto di vista che proprio gli antichi avevano perfezionato l'arte e che gli artisti del Cinquecento cercavano di eguagliarne le opere. Alcuni artisti del Cinquecento sono reputati pari se non superiori ai loro predecessori greci e romani. Leonardo da Vinci, Raffaello, Tiziano e Michelangelo vengono considerati quali maestri supremi. Altri, come Pontormo, Ferino del Vaga e Francesco Salviati vengono egualmente elogiati per il loro eccezionale talento. Anche se il Vasari indica esplicitamente quali, a suo avviso, siano i più grandi artisti del suo tempo, egli non di meno si occupa ampiamente di molti altri maestri che considera meritevoli: uno di questi è Girolamo Siciolante da Sermoneta. Tuttavia l'equilibrata descrizione che il Vasari fa dell'arte del Cinquecento non si riscontra negli studi fatti sull'arte fin dall'inizio di questo secolo. I nomi e le opere dei più grandi maestri dominano ogni studio di storia dell'arte. Tale cir-

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costanza ha contribuito a distorcere la comprensione che abbiamo del Cinquecento. Poiché si ritiene che le opere dei più grandi artisti siano da considerare i maggiori risultati della loro era attraverso i quali comprendere l'evoluzione dell'arte da un'epoca all'altra, sarebbe necessario dedicarsi esclusivamente allo studio dei più importanti maestri. L'arte di tutti gli altri è da considerarsi in sottordine o derivata da quelli. In contrasto con l'alta stima del Vasari per la sua epoca, autori posteriori, specie del diciannovesimo e ventesimo secolo, hanno giudicato il Cinquecento come un periodo di declino. Molte opere di artisti grandi e minori sono state trascurate perché non meritevoli di considerazione. Ancora una volta viene giustificato lo studio dei sommi maestri. Fortunatamente, questo giudizio negativo è cambiato, ma il modo di pensare permane nel termine stilistico di quest'arte: il Manierismo. L'arte è la somma di tutte le attività che si svolgono in ogni epoca. Per capire la pittura nella Roma del Cinquecento, bisogna conoscere le creazioni di grandi maestri come Michelangelo, Ferino del Vaga, ma anche di maestri minori come Siciolante da Sermoneta perché l'arte di questo periodo è appunto il prodotto di ambedue gli aspetti. Tuttavia, se si volesse prendere in considerazione lo studio sia dei maestri

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grandi ch_e dei minori, rimarrebbe un grande malinteso, generato anch'esso da Le Vite del Cesari. L'arte del Cinquecento non era semplicemente il prodotto degli artisti. Bensl l'arte veniva creata dagli artisti a richiesta dei committenti: le esigenze, gli interessi e le aspirazioni del committente, venivano tramutati dall'artista in creazione pittorica. L'artista, il suo talento e le sue ambizioni, i suoi desideri e preferenze, trovavano espressione e compenso pecuniario nell'appagamento del gusto personale del committente. Sicché è possibile ipotizzare sull'impostazione data dall'artista ad 'uria certa opera, cosl come prendere in considerazione i desiderata dettati dal committente. Al fine di poter meglio giudicare e capire l'opera, occorre conoscere sia i requisiti del committente, che i motivi che potrebbero aver spinto l'artista a compierla. Sfortunatamente, manca spesso quella informazione che potrebbe condurci a scoprire tali requisiti e tali motivazioni: manca proprio ciò che si vorrebbe cercare di scoprire in quella particolare circostanza. Tuttavia, qualora diverse informazioni possano essere collegate fra di loro e dimostrino di contribuire ad un valido piano esecutivo, possiamo ritenere di aver colmato il divario tra ciò che si sa e ciò che non si sa.

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Siciolante e la committenza I dipinti di Siciolante ci offrono un buon esempio del rapporto che intercorreva tra artista e committente. L'opera di questo artista non è ben nota, e quindi anche un aspetto significativo della cultura romana del Cinquecento rimane oscuro. Ciò nonostante, la carriera di Siciolante è sorprendentemente ben documentata. Non solo abbiamo la vita dell'artista scritta dal Vasari, un resoconto contemporaneo molto accurato 2, ma abbiamo anche molte testimonianze circa le sue attività personali e professionali. Alcuni di questi documenti sono di suo pugno. Abbiamo delle lettere perfettamente conservate all'Archivio Caetani, e stime, conti e contratti nell'Archivio di Stato e nell'Archivio Storico Capitolino a Roma. Molti committenti dell'artista sono stati identificati, e questi comprendono personaggi appartenenti alle più importanti famiglie romane: i Caetani, i Colonna, gli Orsini, i Cenci e i Massimo; membri del collegio cardinalizio: Cesi, Capodiferro, Sforza, e i papi: Paolo III, Pio IV, Pio V e Gregorio XIII. Siciolante ricevette ordinazioni da tutto l'arco della corte romana compresa la confraternita di Sant' Eligio dei Ferrari, l'ambasciatore francese Claude d'Urfé e la famiglia Fugger, noti banchieri tedeschi. Di fatto, qualsiasi artista importante nella Roma

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del Cinquecento poteva avvalersi di simile committenza e questa lista ci sembra quindi meno eccezionale di quanto possa apparire a prima vista. Tuttavia la committenza di Siciolante rimane considerevole per la sua qualità, consistenza e durata. La carriera di Siciolante si protrasse per ben 35 anni a Roma. E, a differenza di alcuni artisti, che si avvalsero della committenza di uno o due personaggi in vista che li ingaggiarono per un certo numero di anni, Siciolante procedeva da progetto a progetto, da committente a committente, ma rimaneva quasi sempre a Roma, e quasi sempre si muoveva nella cerchia della nobiltà romana e della corte papale. Il ruolo di questa parte della società romana, di per sé vistoso e ben documentato, ci fornisce quei suggerimenti circa le spinte individualistiche e collettive che non solo influenzarono l'evoluzione stilistica dell'artista, ma determinarono altresi il genere di pittura richiesto a Roma nella metà del Cinquecento. Siciolante nacque a Sermoneta. Secondo Pietro Pantanelli, lo storico settecentesco della città di Sermoneta, la famiglia dell'artista si chiamava in origine Cristalli, nome che fu poi convertito in Ciciolante o Siciolante dal padre dell'artista, Francesco di Paolo, quando entrò in possesso di un certo tesoro 3 • Vi erano quattro figli in famiglia: Girolamo, Giovanni, Alessandro e Onorato 4. Nulla si sa circa la madre dell'arti-

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sta, nemmeno il nome. La data di nascita di Girolamo sembra essere il 1521 circa, perché il Vasari, nelle Vite, sostiene che Siciolante aveva 20 anni quando completò il suo primo lavoro in proprio, la pala d'altare di Valvisciolo che porta una iscrizione del 1541 5• Pochi dettagli della vita privata di Siciolante e del suo carattere ci sono stati tramandati. Si sa che sposò Lucrezia Stefanelli e il loro figlio, Tullio, nacque nel 1552. Siciolante e Lucrezia ebbero altri quattro figli, Verginia, Paola, Antonio e Cesare 6 • La famiglia viveva a Roma in una casa che si affacciava su Piazza Farnese, e conservò altra proprietà nella zona a lungo dopo la morte di Girolamo, avvenuta nel 1575 7 • Per quel che riguarda l'anno di morte dell'artista, sin dall'inizio del secolo XIX si è creduto erroneamente ma ripetutamente che risalisse al 1580 8• La sua morte, improvvisa e non documentata, avvenne in realtà intorno ai primi giorni di settembre 1575. Il 6 settembre 1575 la vedova, Lucrezia Stefanelli, venne nominata esecutrice testamentaria della sua proprietà immobiliare e custode dei suoi figli, e presentò altresì una lunga lista di tutti i beni, proprietà e capitali appartenenti alla famiglia 9 • Il fatto che Siciolante fosse stato in grado di dare una vita agiata alla sua famiglia a Roma, è dovuto naturalmente al successo che l'artista ebbe nella stessa città. A differenza di tanti altri artisti

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che lavorarono per lunghi periodi lontano da casa, Siciolante rimase quasi sempre a Roma, fatta salva qualche eccezione. All'inizio della sua carriera, nel 1545-46, lavorò a Piacenza per Pier Luigi Farnese, duca di Parma e di Piacenza, e poi, nel 1547-48 si recò a Bologna dove ultimò la pala d'altare per i Malvezzi. I dipinti che eseguì per le città di Ancona, Osimo e lo Chateau de la Bastie d'Urfé in Francia furono probabilmente eseguiti a Roma e poi trasportati a destinazione 10 •

La carriera artistica

Non si sa quando Siciolante iniziò la sua carriera artistica, ma sembra che egli sia stato mandato a Roma, forse come apprendista del Pistoia; questo è quanto risulta da Le· Vite del Baglione scritte nel 1642 11 • Questo artista, ora identificato come Leonardo Grazia da Pistoia 12 , fu probabilmente lo stesso maestro che si iscrisse all'Accademia di San Luca a Roma nel 1534 13 , recandosi poi a Napoli all'inizio degli anni 1540 dove completò la Presentazione al Tempio per la chiesa di Santa Maria di Monteoliveto 14 • Il Vasari, un osservatore di quell'epoca, cita solo Ferino del Vaga come maestro di Siciolante 15 • Ma il suo racconto

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è compatibile con l'annotazione più tarda del Baglione. Anche se Ferino fece ritorno a Roma non più tardi del 15 3 7 16, egli non viene associato a Siciolante dal Vasari fin quando i due non collaborarono alla decorazione degli appartamenti papali di Castel Sant' Angelo a metà degli anni 1540. È quindi possibile e perciò probabile che Siciolante avesse prima lavorato con Leonardo da Pistoia negli anni 1530, ossia fino alla partenza di quest'ultimo per Napoli e poi con Perino, forse addirittura fin dal 1541, data in cui abbiamo notizia della sua prima opera, la pala d'altare di Valvisciolo. Per un giovane artista quale Siciolante, era sicuramente necessario l'apprendistato presso un artista che avesse sufficienti incarichi a Roma. Si potrebbe supporre che Leonardo da Pistoia avesse tanto lavoro da richiedere l'assistenza di un apprendista, e che Siciolante avesse potuto imparare gli elementi basilari della pittura nella bottega di Leonardo 17 • Potrebbe anche aver copiato lo stile del suo maestro più anziano. In ogni caso, Siciolante passò dalla bottega di Leonardo a quella di Perino del Vaga e questa, per il giovane artista, fu una gran fortuna. Dopo qualche anno dal suo rientro a Roma, Perino era diventato il più illustre pittore e decoratore della corte di papa Paolo III, e poteva quindi offrire lavoro a diversi assi-

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stenti 18 • Nel commentare il rapporto tra i due artisti, il Vasari dice in effetti che Siciolante era il migliore tra i giovani discepoli di Perino e che lo serviva meglio di qualunque altro 19 • Questa collaborazione con Ferino ebbe importanti conseguenze per la carriera di Siciolante, poiché gli procurò un posto di primo piano a Roma, posizione che non avrebbe certo potuto ricoprire ancor così giovane ed in aperta concorrenza con tanti altri giovani artisti con analoghe ambizioni. Nel 1543, Siciolante si iscrisse all'Accademia di San Luca e pagò una parte della quota associativa di 2 scudi con un suo dipinto che regalò alla chiesa dell'Accademia e che rappresentava San Luca 20 • L'anno successivo, 1544, entrò a far parte della nuova unione degli artisti, la Congregazione dei Virtuosi al Pantheon 21 • Questa associazione che aveva carattere ancor più esclusivo dell'Accademia di San Luca, era in realtà una società di artisti che lavoravano a progetti per la corte di papa Paolo III. Grazie all'appartenenza a queste associazioni, Siciolante migliorò e mantenne la sua posizione di rilevanza nella comunità artistica romana. Man mano che la sua reputazione cresceva, divenne consolo dell'Accademia di San Luca, carica che ricoprì nel 1554-55 ed ancora nel 1564 22 • Il grande successo di Siciolante a Roma certo dipese principalmente dal suo talento e dal rispetto di

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cui godeva come artista, ma questo non spiega tutto. Molti artisti avevano altrettanto talento, forse più di lui, ma non riscuotevano un simile successo. Sembra che Siciolante avesse un importante vantaggio: durante tutto l'arco della sua vita, ebbe l'appoggio dei Caetani di Sermoneta. I Caetani fornirono molti incarichi a Siciolante durante la sua carriera, ma questo fatto è ancora di poca importanza, se si considera l'influenza che potevano esercitare nell'ambito della corte papale e della nobiltà. Quando Siciolante iniziò la sua carriera a Roma, Camillo Caetani era signore di Sermoneta e suo cugino, Alessandro Farnese, era asceso al soglio papale come Paolo III. Il padre di Camillo, Guglielmo, era fratello di Giovanna, madre del papa Farnese 23 • Nicolò, uno dei :figli di Camillo fu fatto cardinale da Paolo III e prestò a lungo servizio presso il papato 24 • Perciò i Caetani erano strettamente legati alla corte Farnese e poterono sfruttare la circostanza a tutto loro vantaggio. Una delle cose che loro interessava fare, era appunto promuovere la carriera di Siciolante.

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Le prime opere Il primo incarico in proprio di cui siamo a conoscenza, gli fu dato da Camillo Caetani. Si tratta appunto del dipinto di cui parla il Vasari, e che sembra abbia ultimato quando aveva 20 anni. La pala d'altare della Madonna e Bambino con santi Pietro, Stefano e Giovannino, che ora si trova al Castello Caetani a Sermoneta (fig. 1 ), fu in un primo tempo ubicata sull'altar maggiore della chiesa abbaziale dei Santi Pietro e Stefano di Valvisciolo vicino a Sermoneta. L'incarico faceva parte di una intera opera di restauro dell'abbazia voluta da Camillo Caetani 25 • Nel disegno che preparò come studio di composizione, che ora si trova al Louvre 26 (fig. 2), intese seguire la moda di quel tempo a Roma e quindi schizzò delle figure in uno scenario paesaggistico. La pala d'altare, tuttavia, è molto diversa dal disegno. Una nicchia architettonica separa le figure dal paesaggio sullo sfondo, creando cosi uno spazio per la Madonna e i Santi al riparo dal resto del mondo r1. Questo tipo di composizione è più tradizionale, esseno do stata in auge nel Quattrocento, ed è ancor più convenzionale se paragonata all'arte di quell'epoca. Sembra che all'artista fosse stato richiesto di imitare un tipo di pittura vecchio stile per Valvisciolo, piuttosto che seguire il gusto più progressista di quell'epoca a

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Roma. Presumibilmente il suo committente, avendo preferenze di tipo tradizionale, impose tale cambiamento 28 • Dopo avere dimostrato il suo talento ai Caetani e la buona volontà nel far fronte alle loro esigenze, Siciolante iniziò a lavorare in proprio a Roma. Il suo primo dipinto di cui siamo a conoscenza ed eseguito in quella città, fu la Pietà per la cappella Muti-Papazzuri nella basilica dei Santi Apostoli (fìg. 3 ). Questa pala d'altare, che fu venduta all'inizio dell'Ottocento 29 , ed ora nel Muzeum Narodowe a Poznan 30 , fu probabilmente completa pochi anni dopo l'esecuzione del dipinto di Valvisciolo, come asserito dal Vasari 31 , rion un decennio dopo come sostenuto da molti studiosi. Si tratta di un'opera giovanile che si discosta dallo stile più caratteristico e più maturo di Siciolante. Fu proprio nel periodo dell'esecuzione della Pietà per la chiesa dei Santi Apostoli, che Siciolante avviò un ambizioso piano di pittura decorativa per Paolo III. Il papa dette disposizione affinché fossero approntate delle stanze a Castel Sant' Angelo. Avendo ancora in mente le devastazioni procurate dal Sacco di Roma nel 1527 e, conscio del ruolo di Castel Sant'Angelo che offri sicuro riparo a Clemente VII durante l'assedio e l'occupazione della città, Paolo III decise di migliorare questo bastione di difesa facendone un punto sicuro

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contro simili assalti futuri. Con questo obbiettivo in mente, si volle anche sfruttare l'occasione per glorificare le origini del Castello come tomba dell'imperatore romano Adriano e per celebrare l'antichità romana che il papato aveva in seguito sostituito. Tutto questo portò in poco tempo alla decisione di decorare le stanze 32 • Una volta ultimata la costruzione, il compito di attendere alla decorazione delle stanze fu affidato a Ferino del Vaga e Luzio Romano. L'incarico dell'esecuzione degli affreschi nella loggia che si affaccia sui Prati con scene ed immagini che si richiamassero all' antichità romana, fu affidato a Siciolante (fìg. 5). Questi dipinti furono articolati secondo lo stile di corte e furono diretti da Perino e Luzio Romano; Siciolante, come seguace di Perino e probabilmente sottoposto ai suoi ordini per quel che riguarda il piano generale degli appartamenti papali, adottò appunto quello stile di corte per l'esecuzione degli affreschi che completò nel 1544 33 •

Alla corte di Pier Luigi Farnese L'anno successivo, Siciolante si trovava a Piacenza alla corte di Pier Luigi F arnese, duca di Parma

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e Piacenza, :figlio di Paolo III. A Siciolante era stato detto di recarsi dal duca poiché poteva offrirgli una occupazione. Tuttavia, pare che il duca si preoccupasse della situazione politica e militare nel suo regno e trascurasse l'ordinazione di opere d'arte. Il 3 novembre 1545, Siciolante scrisse a Bonifacio Caetani, figlio di Camilla, e riferì che gli era stato ordinato un solo dipinto, « una Madonna con certe altre :figure » 34 • La· Sacra Famiglia con l'arcangelo Michele che si trova nella Pinacoteca di Parma, e che potrebbe forse essere identificato come il dipinto Farnese 35 (fig. 6), è l'opera di Siciolante che più imita Ferino ed è certo istruttiva da questo punto di vista. L'influenza di Ferino anche se importante, è molto superficiale. Siciolante non aspirò mai né imitò i ritmi decorativi ed eleganti dell'arte di Ferino. In confronto, d'altronde, il suo stile rimase austero nella forma e riservato nell'espressione. Ciò nonostante, Ferino sembra avere esercitato questa sola influenza significativa su Siciolante, se si esclude quella esercitata da Leonardo da Pistoia su quest'ultimo. Nessun altro maestro ebbe un effetto paragonabile a questo. Le opere attribuite a Siciolante, come la Sacra Famiglia nella Galleria Nazionale d'Arte Antica a Roma, e la Sacra Famiglia, ex-Galleria Chigi, che presumibilmente manifestano l'influenza di Jacopino del Conte 36 , non si riallacciano all'opera documentata di Si-

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ciolante, sia quella del periodo precedente o successivo. Nella sua lettera a Bonifacio, Siciolante si lamenta confessando che non avrebbe mai lasciato Roma se avesse saputo come si presentavano le cose a Piacenza, ed affermando che sarebbe tornato a Roma nella primavera 1546, qualora non gli fosse stato ordinato altro lavoro. Vuole che la sua carriera proceda e non regredisca, egli scrive. Non si sa quale sia stato il consiglio di Bonifacio a Siciolante, se-l'artista ritornò a Roma come afferma, oppure rimase a Piacenza fino al tragico assassinio del duca F arnese il 1O settembre 15 4 7. La sua presunta partecipazione alla decorazione degli affreschi della Sala Paolina di Castel Sant'Angelo, alle dipendenze di Ferino del Vaga, appoggiano la tesi del suo rientro a Roma 37 • Né il Vasari, né la documentazione avallerebbero questa supposizione, e lo stile non ne dà prova inconfutabile. Le figure assegnate a Siciolante, l'Adriano, Temperanza, Fortezza, Giustizia, Amore e Speranza hanno poco in comune fra di loro e con la Sacra Famiglia di Parma 38 • Un'altra tesi che lo vorrebbe a Roma in quel periodo, è il fatto che il Vasari dice che « dopo il suo ritorno in Lombardia, fece nella Minerva cioè nell' andito della sagrestia un Crocifisso, e nella chiesa un altro» 39 • Nonostante i due dipinti per Santa Maria sopra Minerva siano andati perduti 40 , questa annota-

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zione potrebbe essere interpretata come una testimonianza della sua presenza a Roma « dopo... Lombardia», ossia dopo Piacenza. In ogni caso, non vi sono altre opere eseguite a Piacenza di cui abbiamo notizia che possano giustificare un ulteriore soggiorno dell' artista in quella città 41 • Poco dopo la lettera di Siciolante a Bonifacio Caetani, il Concilio ecumenico, che Paolo III aveva tanto tenacemente tentato di organizzare, aprì i lavori a Trento. Questo Concilio, che doveva occuparsi dei problemi riguardanti il dogma e la riforma della Chiesa romana, era uno degli obiettivi principali di papa Farnese. Entro il mese di marzo 1547, il Concilio fucostretto a trasferirsi da Trento a Bologna, una città sotto più sicuro controllo del papato. Fu in questo periodo che Siciolante fu incaricato di eseguire, per conto di una nobile famiglia bolognese, i Malvezzi, una pala d'altare per la cappella maggiore della chiesa di San Martino Maggiore a Bologna 42 (fìg. 7). La Madonna e Bambino in trono con Santi era stata ordinata precedentemente a Michelangelo il 19 giugno 1529. Malvezzi aveva richiesto un tipo di composizione simile a quella che andava di moda nel Nord Italia, all'inizio del Quattrocento. Ma Michelangelo non seguì mai la commessa 43 , che fu poi passata a Siciolante che operò sotto la direzione degli eredi di Matteo Malvezzi; Mat-

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teo tuttavia mori il 19 giugno 154 7. Gli eredi ordinarono il dipinto per l'altare maggiore in memoria di Matteo, e forse anche come gesto di civico orgoglio per il Concilio della Chiesa che si riuniva a Bologna. Siciolante completò la pala d'altare nel 1538 probabilmente nella stessa città. Il tipo di quadro, con la Madonna ed i santi distribuiti su un trono a due piani, era piuttosto comune nel Nord Italia nel tardo Quattrocento. A Bologna alla fine del Quattrocento, un'eminente famiglia bolognese, i Bentivoglio, decorarono la cappella di famiglia nella chiesa di San Giacomo Maggiore con due dipinti di questo tipo, uno di Francesco Francia e l'altro di Lorenzo Costa 44 (:6.g. 8 ). Si presume che la lunga e intensa amicizia, non sempre cordiale, tra i Malvezzi ed i Bentivoglio, abbia spinto Matteo Malvezzi a suggerire questo tipo di pittura un po' antiquato per il suo quadro 45 • Il tradizionale gusto del committente in questo caso, provocò una innovazione nell'arte di Siciolante. L'artista sembra essere stato profondamente influenzato dal realismo descrittivo della pittura del tardo Quattrocento. Un drammatico cambiamento si manifestò nel suo stile, come possiamo ben constatare anche nei suoi dipinti romani immediatamente successivi. Siciolante introdusse questo tipo di composizione a Roma per la pala d'altare della chiesa di Sant'Eligio dei Ferrari,

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circa il 1563 46 (fig. 9), e poi, nel 1570, per la pala d'altare della chiesa di San Bartolomeo ad Ancona, che si trova attualmente nella chiesa di Santa Maria Assunta a Calcinate 47 ( fig. 1O). Il 5 giugno 1549, Siciolante scrisse da Roma ancora a Bonifacio Caetani a Sermoneta 43 • Nella sua lettera dice a Bonifacio di non potersi recare a Sermoneta per dipingere alcune stanze, perché deve finire un progetto promesso all'ambasciatore francese. Questo progetto comprendeva una serie di 11 dipinti raffiguranti scene del Vecchio Testamento per l'ambasciatore Claude d'Urfé. Furono ubicati nella cappella della sua residenza in Francia, lo Chateau de la Bastie d'Urfé 49 (figg. 11-15). Prima di essere nominato ambasciatore alla corte papale nel 1548 da re Enrico II, d'Urfé fu delegato al Concilio a Trento e a Bologna 50 , dove potrebbe aver visto la pala d'altare di San Martino e aver conosciuto Siciolante. Ad ogni modo, l'ambasciatore dette a Siciolante questo importante incarico e potrebbe anche aver suggerito l'artista per l'esecuzione degli affreschi nella chiesa della nazione francese a Roma, San Luigi dei Francesi. D'Urfé aveva sollecitato il re francese Enrico II circa l'erogazione di altri fondi che sarebbero serviti per proseguire la ricostruzione della chiesa 51 • Nel frattempo Nicholas Dupré, che probabilmente avrebbe po-

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tuto essere il segretario del re francese 52 , decise di decorare la cappella di Saint Rémy, nella chiesa stessa, e il 20 marzo 1547 stipulò un contratto con Ferino del Vaga il quale però mori pochi mesi dopo, senza neanche aver avuto il tempo di avviare l'opera. La commessa passò dunque a Jacopino del Conte che portò i dipinti a compimento in collaborazione con Pellegrino Tibaldi e Siciolante 53 • L'affresco di Siciolante, il Battesimo di Clodoveo (fig. 16) come le altre scene, vuole glorificare non solo il primo re cristiano francese Clodoveo, ma anche celebrare il concetto di Réx christianissimus, ossia il potere temporale della monarchia francese per volontà di Dio 54 • Nel 1550, Bonifacio Caetani, figlio di Camillo, entrò alle dipendenze del re di Francia, nella sua qualità di Capitano alle Armi percependo uno stipendio di 4000 franchi 55 • Il tutto fu concordato da suo fratello, il cardinale Nicolò Caetani, durante una visita alla corte francese nello stesso anno e presumibilmente con il consenso dell'ambasciatore d'Urfé. Forse per sua fortuna, Bonifacio ordinò a Siciolante, proprio in questo momento, gli affreschi per la cappella Caetani nella chiesa di San Giuseppe a Sermoneta 56 (figg. 17 e 18). Ci colpisce stranamente questa coincidenza per la quale le tre commesse - per Claude d'Urfé, Nicholas Dupré, e Bonifacio Caetani - furono fatte da committenti tra

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di loro collegati, e per giunta concepite nello stesso stile figurativo della pala d'altare di San Martino.

Committenze ecclesiastiche

Altri due committenti di Siciolante si trovavano a Bologna quando vi si riuni il Concilio, il cardinale Girolamo Capodiferro e il cardinale Giovanni Maria del Monte più tardi asceso al soglio papale come Giu·lio III. I due furono nominati cardinali da Paolo III. Il cardinale Capodiferro, legato pontificio in Romagna e nunzio alla corte francese ;,, ordinò gli affreschi a Siciolante per il suo palazzo appena costruito a Roma, ora palazzo Capodiferro-Spada 58 • Questi affreschi, con scene di antiche battaglie, furono eseguiti in parte da Siciolante ed in parte da altri artisti che non sono ancora stati identificati 59 (fig. 19 ). Il cardinale del Monte, legato pontificio a Bologna, era anche intimo amico del cardinale Capodiferro 60 Dopo la sua · ascesa al soglio papale, il 7 febbraio 1550, egli, come Capodiferro, iniziò la costruzione della sua residenza, villa Giulia, nella sua vigna fuori porta del Popolo 61 , Uno dei nuovi edifici costruiti per la vigna del papa, fu il tempietto di Sant'Andrea sulla via Flaminia progettato dal Vignola. A Siciolante furono ordinati alcuni dipinti:

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L'Assunzione della V ergine, andato perduto, destinato all'altare maggiore, e gli affreschi del Padre Eterno, la colomba dello Spirito Santo ed i putti che sono invece giunti a noi 62 • Gli incarichi affidati a Siciolante dal cardinale Capodiferro e da Giulio III furono eseguiti durante il pontificato di quest'ultimo. La corte dei Farnese non era più il centro degli affari politici e culturali. Tuttavia, i componenti di questa cerchia, ed in particolare i cardinali nominati da Paolo III, diventarono alcuni fra i più importanti committenti di Siciolante. Le loro commesse durante i successivi pontificati diedero sempre maggiore rilevanza all'artista e al suo lavoro. Un altro cardinale nominato da Paolo III, Federico Cesi, si avvalse dell'artista in questo periodo 63 • Per la cappella funeraria, dedicata alla memoria dei suoi genitori nella chiesa di Santa Maria della Pace, il cardinale Cesi fece completare da Siciolante la volta, con una decorazione ad affreschi e stucchi 64 • Quando Giulio III fu eletto papa, il cardinale Cesi fece montare, sulla facciata del suo palazzo vicino a piazza San Pietro in Vaticano, lo stemma del papa 65 • Siciolante assieme a Battista Franco ultimò infatti questo progetto 66 • Dopo la morte del cardinale Cesi il 28 gennaio 1566, suo nipote Angelo di Giangiacomo esaudì il desiderio del cardinale, ossia che fosse ultimata la

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sua cappella funeraria a Santa Maria Maggiore 67 • La cappella doveva essere un monumento commemorativo alla memoria del cardinale Federico e suo fratello il cardinale Paolo Emilio. Il nipote, Angelo Cesi che sposò Beatrice Caetani, una delle figlie di Bonifacio 68 , incaricò Siciolante di eseguire la pala d'altare, il Martirio di santa Caterina, che completò, circa il 1566-67 49 (fig. 20 ). Il cardinale Cesi nutriva una venerazione particolare per santa Caterina. Aveva fatto ricostruire la chiesa romana di Santa Caterina dei Funari, e dedicò la sua cappella commemorativa alla santa. La pala d'altare di Siciolante dunque fu l'espressione ultima della religiosità e della devozione del cardinale. Poco dopo aver completato questo dipinto, Siciolante fu di nuovo impegnato in Santa Maria Maggiore. Il cardinale Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora iniziò la costruzione di una cappella funeraria a fianco a quella del cardinale Cesi 70 • Dopo la morte di Guido Ascanio nel 1564, suo fratello il cardinale Alessandro Sforza, fece completare la costruzione e la decorazione della cappella 71 • Ordinò a Siciolante la pala d'altare, L' Assunzione della V e'rgine (fig. 21 ), che fu collocata nella cappella prima del 1573, in data della consacrazione 72 •

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Il trattato del Gilio Il fatto che Siciolante stesse preparando i dipinti per le due nuove cappelle di Santa Maria Maggiore non sembra semplicemente una coincidenza. Anche in questo caso, i rapporti tra i membri della cerchia Farnese sembrano aver avuto un ruolo importante. I due cardinali Sforza erano imparentati con i Farnese. La loro madre, Costanza, era figlia di Paolo III e sorella del duca Pier Luigi 73 • Guido Ascanio Sforza fu nominato cardinale da Paolo III nel 1534, assieme ad Alessandro Farnese, figlio del duca Pier Luigi Farnese 14. Il cardinale Alessandro Farnese era diventato uno dei più potenti ed influenti membri del Collegio dei cardinali ed era a lui che si dovevano alcuni dei più importanti progetti di costruzione e decorazione del Cinquecento 75 • Non ci si meraviglierà quindi del saggio sull'arte che gli fu dedicato da Giovanni Andrea Gilio nel 1564 76 • Questo trattato, Due Dialogi, solleva specifiche critiche agli errori dei pittori nella rappresentazione dei soggetti religiosi e, come tale, è uno dei primi libri che fu pubblicato dopo la chiusura, nel 1563, del Concilio di Trento che si sofferma sui decreti riguardanti le immagini religiose 77 • L'autore Gilio cita un certo numero di quadri che raffigurano i santi ed altre figure sacre in modo impreciso e non appropriato. Discute con particolare disprezzo un

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dipinto di Marcello Venusti, che rappresenta l' Annunciazione ordinato dal cardinale Federico Cesi per la cappella funeraria dei suoi genitori a Santa Maria della Pace 78 • Gilio afferma, nelle parole di uno degli interlocutori, Messer Vincenzo: Chi veder vole uno sforzo sgarbato veda la Madonna, che il reverendissimo di Cesis ha fatta dipingere ne la sua capella ne la Pace, la quale essendo da l'Angelo annontiata fa uno sforzo nel volgersi in dietro tale, che mi fa ridere quando io lo veggo. Però doverebbe avertire questo illustrissimo signore di non lasciar fare tali figure sgarbate e dishoneste ne la capella, che di nuovo ha fatta in S. Maria Maggiore. Il simile anco doverebbe procurare l'illustrissimo Santa Fiore, in quella che vi fabrica hora esso, non le lasciare sparcare de la vane, e favolose figure: perche non ha convenienza alcuna Cristo con Belial: nè la verità con la falziata 79 •

Non 5i può dire che il cardinale Alessandro Farnese, cui Gilio aveva dedicato il libro, sia personalmente intervenuto nei piani delle due cappelle di Santa Maria Maggiore. Ciò nonostante sembra chiaro che gli avvertimenti circa la proprietà delle immagini religiose sortirono i loro effetti, e ai cardinali della Chiesa Romana, certo, si chiedeva il buon esempio. Siciolante doveva essere uomo di cui ci si poteva fidare, sapeva ciò che era appropriato, e ci si aspettava facesse ciò che era corretto fare. In ogni caso, egli fornl i dipinti che soddisfacevano i requisiti del tempo.

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La corte e poi la cerchia dei Farnese furono certamente importanti per l'incoraggiamento che Siciolante riceveva attraverso questi incarichi. Anche se i componenti di questa cerchia potrebbero avere assicurato il loro posto nell'ambito della società romana, non furono certo loro ad appoggiare la sua carriera fino alla fine. Furono piuttosto i suoi committenti secolari che diedero all'artista la maggior parte delle più importanti commesse successive. Entro la cerchia dei Farnese e nell'ambito della società romana stessa, si era creata una profonda divisione politica tra sostenitori della monarchia francer,e e spagnola 80 • I cardinali Farnese, Sforza e Giulio III avevano appoggiato la fazione spagnola mentre i cardinali Cesi, Capodiferro e Caetani si erano schierati dalla parte francese 81 Durante circa la prima metà della sua carriera, Siciolante riceveva incarichi dai committenti che principalmente aderivano alla fazione francese la quale si sovrapponeva alla cerchia dei Farnese. Durante la seconda parte della sua carriera, vi fu uno spostamento per quel che riguarda la simpatia dei suoi committenti verso la fazione spagnola che dominava la vita e la politica a Roma durante gli ultimi decenni del Cinquecento. La suddivisione politica all'interno del Collegio dei cardinali e della società romana, costituiva sempre un pericolo potenziale per il papato e per Roma. Al fine di

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far fronte a tale pericolo, la politica papale sotto Paolo III e Giulio III era stata improntata ad una attenta diplomazia; quella di evitare ogni possibile conflitto con il più potente regnante d'Europa, l'imperatore çarlo V, per non precipitare in un disastro simile al Sacco di Roma, avvenuto nel 1527. Il cardinale Giovanni Pietro Carafa, nominato da papa Farnese e membro della fazione francese, abbandonò imprudentemente tale politica. Poco dopo essere stato eletto al soglio papale come Paolo IV il 23 maggio 1555, provocò una guerra con Filippo II re di Spagna, ed i suoi alleati, i Colonna, portarono alleati stranieri ancora una volta nella campagna e sotto le mura della città 82 • Allo scoppio della guerra del Carafa, ci fu la confisca da parte di Paolo IV dei territori in possesso di Camilla e Marcantonio Colonna della nobile famiglia romana 83 • Nella guerra che stava per incominciare, i Colonna di Roma si misero in conflitto con un'altra ramo della loro stessa famiglia, i Colonna di Palestrina, alleati dei Caetani e delle forze papali 84 • Il trattato di pace che fu firmato all'epoca della guerra, non mise fìne al perenne astio che regnava nell'ambito della società romana. La riconciliazione tra opposte fazioni ebbe luogo solo dopo che Giovanni Angelo de' Medici, altro candidato Farnese e aderente alla fazione spagnola, fu incoronato papa con il nome di Pio IV il 6 gennaio 1560 85 • Durante il primo anno di regno

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del papa Medici, il ramo romano dei Colonna risolse la lunga ostilità con i Caetani con il matrimonio di Onorato Caetani, figlio di Bonifacio, allora signore di Sermoneta, con Agnesina Colonna, la sorella di Marcantonio 86 • Il 25 giugno 1561, Pio IV revocò la condanna contro i Colonna e ridiede loro pieni diritti 87 • Nello stesso anno ed al momento di tale riconciliazione, Francesco Colonna, signore di Palestrina, che si era schierato dalla parte delle forze papali durante la guerra del Carafa, ordinò un suo ritratto a Siciolante 88 • Francesco era figlio del condottiero Stefano Colonna, ritratto da Agnolo Bronzino in un dipinto nel 1546 89 • Per il suo quadro ora nella Galleria Nazionale d'Arte Antica a Roma (fig. 22), Francesco sembra avere chiesto a Siciolante di utilizzare il precedente dipinto come modello 90 (fig. 23 ). Dopo pochi anni, la sua famiglia ordinò un'altra dipinto ancora a Siciolante, la Crocifissione con la V ergine e san Lorenzo 91 nel quale i donatori, la madre di Francesco, Elena della Rovere, e suo fratello Giulio Cesare sono rappresentati nell'atto di devozione davanti alla scena della crocifissione 92 (fig. 24 ). Il dipinto fu collocato nella cattedrale di Sant' Agapito a Palestrina. Una simile composizione era stata ordinata per la chiesa di San Giacomo della nazione spagnola. A Siciolante fu dato l'incarico di eseguire la Crocifissione per l'altar maggiore (fig. 25), dipinto che ora si

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trova nella chiesa romana di Santa Maria di Monserrato, e i due dipinti ai fianchi rappresentanti San Giacomo e sant' Ildefonso ora andati perduti. La nota di pagamento per tale opera gli fu corrisposta il 23 dicembre 1564 ed il 15 agosto 1565 93 • La Sala Regia

Intanto al fìne di concludere l'opera incompiuta avviata da Paolo III, Pio IV decise di ultimare la decorazione della Sala Regia in Vaticano, un progetto affidato a Ferino del Vaga. Dopo inutili tentativi di far iniziare gli affreschi murali da Daniele da Volterra e Francesco Salviati, gli esecutori del Papa, per quel che riguarda la Sala Regia, assegnarono le pitture ad un gruppo di artisti fra cui Siciolante 94 • L'inizio di questa seconda ambiziosa fase dell'opera di decorazione coincise con il completamento dei lavori, a lungo rimandati, del Concilio di Trento, il 3 dicembre 1563 95 ; il tema della decorazione si ispirava a questo avvenimento così come a tutte le varie problematiche storiche del papato. La decorazione della Sala Regia doveva onorare i regnanti temporali che avessero vantaggiosamente servito il papato, ma questa era solamente la facciata della soddisfazione reale che esprimeva il potere e l'autorità del papa come più eguale tra eguali.

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Questo tema doveva essere rappresentato da avvenimenti tratti principalmente dalla storia papale medioevale che appoggiava le rivendicazioni del papato sull'autorità temporale 96 • A Siciolante furono assegnati due dipinti: un piccolo affresco sulla porta della Cappella Sistina e un grande affresco, probabilmente adiacente ad esso. Il soggetto del piccolo affresco è Pipino re dei Franchi dona alla Chiesa il territorio concesso da Astolfo re dei Longobardi (fig. 26 ). Il grande affresco doveva rappresentare l'Autorità conferita dalla Sede Apostolica agli Elettori dell'Impero. Non fu completato a causa della morte di Pio IV avvenuta il 9 dicembre 1565; ogni lavoro fu sospeso poiché nella Sala Regia si svolse il conclave per l'elezione del nuovo papa rn_ Per queste commesse, a Siciolante fu corrisposta una parcella di 200 scudi il 9 febbraio, il 3 aprile e il 3 novembre 1565. Una somma aggiuntiva di 25 scudi, fu autorizzata 1'8 giugno 1566, ma gli fu corrisposta solo il 4 dicembre 1568 quando si chiusero finalmente i libri contabili relativi al pontificato di Pio IV 98 • Il soggetto dell'affresco di Pipino costituisce la pietra miliare per quel che riguarda le rivendicazioni papali verso il potere temporale, in quanto sostituisce in tal momento la disputata donazione di Costantino nelle strategie papali 99 • Due importanti conseguenze

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scaturirono da tale storica donazione di Pipino: Pipino, infatti, fu nominato dal papa protettore di Roma, titolo d'onore conferito ai successivi imperatori del Sacro Romano Impero; e, attraverso il recupero dei territori dell'impero bizantino in Italia, il papato poté arrogarsi l'eredità di regno dagli antichi imperatori romani 100 • Ciò istigò ad un costante conflitto imperatori e papato. Il Sacro Romano Imperatore, come protettore di Roma, pensava di potersi erigere a giudice per quel che riguardava l'idoneità del papa a regnare. Il papato, inutile dirlo, respinse energicamente questa interpretazione e contrattaccò con l'argomentazione che il papa in effetti era giudice dell'idoneità dell'imperatore a regnare. Nell'aspro e pericoloso conflitto tra papa e imperatore che causava la continua agitazione di cui era pervaso il Cinquecento, il papato usò la donazione di Pipino come una base sulla quale legittimare le proprie rivendicazioni, e come esempio di comportamento per i regnanti. La donazione di Pipino fu una lezione per i re dell'epoca. Siciolante, da parte sua, doveva progettare il suo dipinto secondo i criteri imposti a tutti gli artisti all'opera nella Sala Regia. La sua soluzione per questo raro soggetto fu semplice e diretta. Creò un evento fittizio come richiestogli, che simboleggiasse la storia e potesse altresì soddisfare il gioco di propaganda.

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Committenze secolari Mentre Siciolante era impegnato nella Sala Regia, ricevette una commessa da parte dell'orpellaio spagnolo, Joannes Petrus da Cordoba. Il 7 ottobre 1565, Joannes Petrus stipulò un contratto con Siciolante per l'esecuzione di dipinti che l'artista Nicolò Martinelli non era riuscito a completare secondo un precedente accordo datato 2 giugno 1564 101 • Joannes Petrus specificò che desiderava tre dipinti per la sua cappella nella chiesa di San Giuliano in via dei Banchi Nuovi: una Madonna con Bambino, sant'Andrea e santa Caterina. La Madonna doveva richiamarsi alla pala d'altare di Giulio Romano di Santa Maria dell'Anima a quell'epoca collocata sopra l'altare della cappella Fugger, affrescata da Siciolante 102 • A causa di queste circostanze la Madonna e Bambino con san Giovannino di Siciolante, ora nella Galleria Colonna a Roma, assieme ai quadri di Sant'Andrea e santa Caterina (fìg. 27), fu una imitazione pedissequa del dipinto di Giulio Romano ed uno dei lavori meno personali dell'artista 103 • Un altro spagnolo, Tommaso Armentieri, era maggiordomo e segretario di Margherita d'Austria, la figlia dell'imperatore Carlo V e moglie di Ottavio Farnese 104 • Dopo la sua morte, la vedova Livia di Valeriano Muti della nobile famiglia romana, fece costruire una cap-

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pella in sua memoria nella chiesa del Senato, Santa Maria in Aracoeli 105 • Poco dopo il completamento della cappella, ordinò a Siciolante il dipinto della Trasfigurazione (fig. 28) che l'artista ultimò intorno al 1573-75 e che si trova ora nella cappella del Crocifisso nella stessa chiesa. Un'altra famiglia romana, i Massimo, decise di costruire una cappella funeraria a San Giovanni in Laterano. Nel 1560 Faustina d'Antonio Rusticelli ottenne un permesso da parte del capitolo dei canonici di San Giovanni di costruire una cappella e la costruzione iniziò 106 • Quando Faustina morl nel 1571, la supervisione del progetto passò a suo nipote, Orazio Massimo, che incaricò Siciolante di dipingere la pala d'altare, una Crocifissione 107 (fig. 29). Questo quadr~, uno dei più belli e perfetti esempi dell'arte di Siciolante, fu ultimato nel 1573. I Massimo si avvalsero di Siciolante nel momento in cui la sua ar"te aveva raggiunto l'apice del suo sviluppo e guidarono il suo talento verso il soggetto per il quale l'artista era particolarmente versato. I Massimo di Roma in quel momento avevano aderito alla fazione ·spagnola. Sin dalla guerra del Carafa erano diventati alleati dei Colonna di Roma e dei cardinali Sforza 108 • I loro rapporti divennero ancor più stretti al momento della vittoria della flotta cristiana

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contro i Turchi nella Battaglia di Lepanto il 7 ottobre 1571, e la fazione spagnola nell'ambito della corte romana divenne più potente ancora. Uno degli eroi di Lepanto fu Onorato Caetani, figlio di Bonifacio. Aveva sposato Agnesina Colonna, sorella di Marcantonio, un altro eroe di Lepanto. Ed in contrasto con le simpatie dei Caetani, e di suo padre in particolare, Onorato appoggiò la fazione spagnola a Roma 109 • Nel 1574, l'anno prima della sua morte, Siciolante lavorò per Bonifacio e Onorato. Il 19 gennaio 1574, Siciolante scrisse da Roma a Bonifacio che risiedeva allora nel suo palazzo a Cisterna 110 • Bonifacio si preoccupava della decorazione del palazzo e della chiesa di Sant' Antonio a Cisterna 111 , ed aveva sollecitato una risposta da parte di Siciolante circa certe informazioni riguardanti alcune cose che voleva che l'artista procurasse. La lettera di Siciolante la più lunga delle quattro lettere di cui si è a conoscenza e che è giunta a noi, è piena di dettagli descrittivi circa le ricerche dell'artista. Sfortunatamente, era rimasto poco tempo per l'esecuzione dei progetti. Bonifacio morì il 1 marzo 1574. Lo stesso anno, il figlio di Bonifacio, Onorato, ordinò a Siciolante la pala d'altare la Madonna e Bambino con santi Bonifacio e Francesco e papa Bonifacio VIII (fig. 30). Questo dipinto, ora nella chiesa romana di San Tommaso in Formis, fu collocato nella vecchia

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basilica di San Pietro in Vaticano, nella cappella che

fu costruita da papa Caetani, Bonifacio VIII, che vi fu sepolto 112 • Questa aggiunta alla cappella potrebbe essere stata un tentativo di rammodernamento senza voler distruggere la decorazione medioevale. Vi era un'effigie di papa Bonifacio VIII scolpita da Arnolfo di Cambio ed un mosaico di Jacopo Torriti rappresentante la Madonna e' Bambino con santi Pietro e Paolo e papa Bonifacio VIII 113 (fig. 31 ). L'immagine di questo mosaico del tardo Duecento certamente determinò il tipo di pittura che veniva richiesto a Siciolante. Anche se il quadro di Siciolante, per la sua composizione, è simile a tanti altri del Cinquecento, come la Madonna di Foligno di Raffaello, esso intendeva riferirsi al mosaico di Torriti. La sovrapposizione nel 1574 del dipinto di Siciolante alla decorazione tardo medioevale potrebbe essere stato il modo di Onorato di rendere omaggio alla figura di suo padre Bonifacio, pur conservando la memoria del predecessore Caetani, papa Bonifacio VIII 114 • L'ultimo progetto documentato al quale operò Siciolante, fu la pittura e doratura del soffitto in legno da poco costruito nella chiesa di Santa Maria in Aracoeli. Il Senato di Roma con l'approvazione, prima di papa Pio V e poi di papa Gregorio XIII, decise di costruire questo soffitto nella chiesa del Senato per

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commemorare la vittoria della battaglia di Lepanto m. Siciolante che fu coadiuvato dai fratelli Cesare e Gregorio Trapassi, e Giovanni Satarelli, esegui il lavoro tra il luglio 1574 ed il febbraio 1575 116 (fìg. 32). La scelta di Siciolante per questo progetto fu una .testimonianza di stima nei suoi riguardi. Alla fine della sua vita e della sua carriera, Siciolante si era classificato tra i migliori artisti di Roma.

II. Il successo di Siciolante Prese nel loro insieme, le opere eseguite dall'artista ed i loro committenti dovrebbero testimoniare il successo ottenuto dall'artista durante l'arco della sua carriera. La richiesta di servizi all'artista, la sua reazione creativa ai requisiti del committente, ci danno la misura, anche se solo in termini relativi, del rapporto che intercorre tra l'artista e gli altri artisti della sua epoca e tra l'artista ed il suo pubblico. Un artista, dopo tutto, offre un prodotto. E se volessimo esprimerci in termini mercantili, diremmo che, qualora il prodotto trova un suo mercato, all'artista viene assicurata una certa progressione di carriera. Nel caso di Siciolantè,

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la sua arte piaceva a quella cerchia della società che po teva permettersi di assicurargli un elevato livello di commesse durante l'intero arco della sua carriera. La nobiltà romana, comprese le più alte cariche della Chiesa, le famiglie aristocratiche ed i membri della corte, trovavano nell'arte di Siciolante e forse anche nello stesso Siciolante come individuo, quelle qualità che meglio esprimevano l'epoca. Questa schiera di committenti, naturalmente, si avvaleva del ristretto esercito di artisti che dettava legge a Roma, e Siciolante era solo uno di loro. Nella gara tesa ad ottenere le migliori o più redditizie commesse, Siciolante sembra essersela cavata molto bene. Egli non era un decoratore e quindi commesse di questo tipo raramente gli venivano fatte, e certo non se le andava a cercare 117 • Era un maestro per quel che riguarda la pala d'altare ed il quadro affrescato. Quando riusciva ad ottenere questo tipo di ordinazione, sembrava dare il meglio di sé, e d'altronde, gli veniva riconosciuta la capacità di portare tali progetti a felice compimento. Siciolante sembra anche essere stato un individualista, nel senso che egli poteva lavorare a fianco di altri artisti nell'esecuzione di una commessa collettiva, ma solo quando egli sentiva di poter esercitare un certo controllo su di essa 118 • Sembra che scartasse il lavoro nel quale la sua identità artistica potesse andare disper0

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sa. Ma in una sola occasione in cui gli fu offerto di lavorare ad un progetto collettivo, egli non poté tirarsi indietro, la Sala Regia. L'affresco che Siciolante completò per la Sala Regia in Vaticano ci dà il migliore esempio dell'artista, nella sua duplice capacità di individuo e componente di un gruppo. L'affresco Pipino ( fìg. 26) è, insieme, pittura perfettamente coerente con la sua opera precedente e squisitamente in linea con i requisiti del piano decorativo. A giudicare dall'affresco in sé e per sé, Siciolante sembra essere stato fedele al suo talento espressivo, pur aggiustando il suo talento all'insieme dell'impresa collettiva. È fuori dubbio che l'artista, come individuo e componente di un gruppo, rispondesse ai requisiti del piano decorativo. Ma poiché l'esecuzione dei dipinti della Sala Regia non procedeva come programmato in origine - ovverosia, né Daniele da Volterra, né Francesco Salviati, individualmente o assieme, avrebbero potuto proseguire il lavoro - l'espediente dell'impresa collettiva, comprendente, fra gli altri esecutori, anche Taddeo Zuccaro, Livio Agresti e Siciolante, fu il metodo adottato. Pio IV voleva vedere la Sala Regia completata e aveva una certa urgenza di affrettare il progetto. E se la sua morte, avvenuta il 9 dicembre 1565, non avesse arrestato i lavori, forse la Sala Regia avrebbe potuto essere portata a compimento entro un anno; invece il suo com-

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pletamento avvenne quasi otto anni dopo 119 • Pio IV ed i suoi consiglieri non si preoccupavano solamente del' l'aspetto decorativo della Sala Regia, ma, come avveniva per quasi tutte le imprese di decorazione in Vaticano, si preoccupavano altresl della tematica espressiva. L'atteggiamento del papato nei riguardi del potere secolare, le rivendicazioni del papato rispetto a questo tipo di autorità, l'obbedienza richiesta da parte di altri regnanti secolari al papato, come più eguale tra eguali, era alla base delle raffigurazioni pittoriche. Una tale tematica espressiva non poteva essere facilmente tradotta in scene affrescate; il problema non era quello di voler illustrare la storia come una serie di avvenimenti, cosa fattibile, quanto quello di presentare la storia come una allegoria. Ma una volta delineato il concetto iconografico, questo veniva applicato liberamente e speditamente.

Giudizi sulla Sala Regia

Un critico contemporaneo, Giovanni Andrea Gilio, ebbe occasione di fare un commento sulla decorazione della Sala Regia proprio durante il papato di Pio IV e proprio quando i lavori erano in pieno svolgimento. Nei Due Dialogi, uno dei due interlocutori, Messer Pu-

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lidoro, commenta l'appropriatezza delle figure religiose, come esse non debbano essere rappresentate in modo profano, cosa che era già stato fatto da alcuni artisti del passato. Egli si dilunga successivamente su come una materia profana possa essere appropriata invece in altro contesto: io lodo somamente il nostro pontefice Pio Terzo [sic: Quarto], che ne la Sala publica (Regia) de le due Capelle (com)minciate gia da Paolo Terzo, vi faccia in cambio de le guerre Romane dipingere alcuni Catolici Imperatori c'hanno fatto qualche gran giovamento a la Romana Chiesa, al Pontefice, overo a la Cristiana religione. Questo sono l'historie da dipingersi per le sale de' Cardinale, e del Papa, le cose da Condili generali, e spetialmente de' quattro prencipali, acciò si conosca i benefattori, e si dia animo, e occasione a gli altri di doverli imitare, lodare, et esaltare 120 •

I commenti di Gilio, espressi da Messer Pulidoro, erano rivolti al cardinale Alessandro Farnese, uno dei più influenti membri del Collegio dei cardinali, persona ben lungi dal professarsi indifferente al progetto. La decorazione della Sala Regia cosi come la convocazione del Concilio di Trento furono ambedue iniziative di origine Farnese inaugurate da papa Paolo III, omonimo e nonno del cardinale. Il cardinale Farnese non poteva non essere a conoscenza della duplice importanza della decorazione della Sala Regia, che intendeva glorificare la Chiesa romana riformata e la famiglia Farnese 121 • Il

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buon successo della decorazione che ef>primeva sia le ambizioni storiche del papato e la più immediata controspinta alla sfida protestante, dipendeva dal valore propagandistico delle immagini. Il cardinale Farnese, i consiglieri ed i sovrintendenti alla Sala Regia erano alle dirette dipendenze di papa Pio IV, tutti richiedevano agli artisti di esprimere tali concetti traendo ispirazione dal loro innato talento. L'immagine pittorica era utile poiché contribuiva all'aspetto decorativo della sala, anche se ciò veniva considerato di secondaria importanza. Come Gilio spiega, il contenuto veniva considerato di primaria importanza. In epoca precedente, le soluzioni artistiche probabilmente sarebbero state diverse. Se Ferino del Vaga per esempio fosse vissuto tanto da poter ultimare la decorazione della Sala Regia da lui iniziata, le scene affrescate sarebbero state concepite in altro modo. Lo stesso si può sostenere se gli affreschi fossero stati eseguiti negli anni 1540 piuttosto che negli anni 1560; i requisiti richiesti al progetto pittorico e quindi all'artista avrebbero potuto essere ben diversi 122 • In altre parole, gli affreschi eseguiti sotto il papato di Pio IV furono il prodotto di un particolare periodo storico. Ma ciò che ci sembra corrispondere ai canoni di un'epoca, può apparire del tutto fuori luogo in un'altra più tarda. Giovanni Battista Arme-

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nini, nel suo libro De' veri precetti della pittura espone un punto di vista completamento diverso. Commentando la Sala Regia, dice: conciosia cosa che la Sala de i Re, la quale è posta dinanzi à questa Capela (Sistina), la quale prima dovea esser dipinta da Perino del vaga, per essere medesimamente di lui la volta di stucco, con quella straordinaria bellezza, che si vede; e non potendo poi per la morte darli alcun principio con colori, si destinò a Daniello volterano, et dipoi per diversi accidenti venne a incominciarsi da Francesco Salviati, vè però di niuno di questi tre Eccellenti huomini un sol segno vi rimase per esempio a gli altri, acciò si vedesse poi quanto quei li fossero lontani, poichè, come s'è detto per malignità de' ministri, e per ignoranza de' maggior soprastanti, se li diè fine con l'istorie d'un mescuglio de più genti, le quali erano di poca stima, e senza paragone a rispetto de' sopranominati, e di questo numero si può in parte trar fuori Tadeo Zucchero, il quale con gran fatica ottenne di farvi quel poco, che v'è di buono, e ciò non fu meraviglia atteso ch'egli è pure una vergogna, poichè le pitture d'un luogo tale si videro esser di novo ordinato à doversi dare per via di polize a chi facea offerta di far l'istorie per manco prezzo, ma io sopra ciò non voglia entrar più inanzi; se non dire, che ci è manifesto che le più volte per colpa de' ministri avari, overo ignoranti, o l'uno et l'altro insieme, spogliano a lor Signori di giudicio, e li privano di cose eccellentissime et li dannano più del dovere nell'honor suo 123 •

Il suo giudizio severo riguardante gli artisti che lavoravano alla Sala Regia - risparmia parzialmente T addeo Zuccaro - fa parte di una lamentela personale sullo stato della pittura nel tardo Cinquecento. In questo passaggio, Armenini sintetizza la critica che per-

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vade tutto il suo scritto. Per lui, artisti come Perino del Vaga, Francesco Salviati e Daniele da Volterra, ma soprattutto Michelangelo, furono i più grandi e gli ultimi professionisti di un'arte creativa ed innovativa. Le loro creazioni giungevano a tali vette cui mai i loro successori avrebbero potuto aspirare. Con l'eccezione di Taddeo Zuccaro, Armenini licenziava varie generazioni di artisti, ivi compresa quella di Siciolante. Contrariamente alle osservazioni di Gilio sulla Sala Regia, il ragionamento di Armenini non si sofferma sul contenuto del piano decorativo, ma non perché questo aspetto fosse di scarsa importanza per lui. Piuttosto, egli avrebbe voluto drammatizzare sulle cause che, secondo lui, avevano fatto perdere una buona occasione. Ha fatto riferimento alla mancanza di pregio artistico dei pittori, ma ha anche voluto identificare ciò che egli chiamava malizia dei « ministri » e ignoranza dei consiglieri 124 • Questa sorprendente e severa valutazione dei sovrintendenti della Sala Regia, rivela, sembra, il conflitto artistico di base dell'epoca, ossia la volontà dell'artista di mettersi in contrasto con il volere del committente. Per dirla come direbbe Armenini, se un artista con un certo talento come Taddeo Zuccaro non avesse potuto manifestare le più alte vette della sua arte nella Sala Regia a causa delle limitazioni imposte dai sovrintendenti, l'arte avrebbe proseguito il

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suo declino. Armenini annotava che Daniele da Volterra e Francesco Salviati avevano perso ogni speranza circa le condizioni che verso la fine della loro carriera inibivano la pratica di una pittura creativa. Nessun artista di talento poteva creare in tali avverse circostanze, osservava Armenini. Ne conseguiva quindi che solo gli artisti meno dotati potessero operare in tale ambiente, e questa affermazione poteva sembrare una accusa per Siciolante, che operò e progredì proprio in quelle circostanze. Armenini, scrivendo nel 1587, poteva sembrare lontano da tali avvenimenti che egli ben descrive; ma certo egli interpreta quei sentimenti, largamente diffusi durante i periodi precedenti. Il Vasari, in una lettera in data 14 aprile 1566, ad un suo amico Vincenzo Borghini, scrive da Roma: Io o visto quasi ogni cosa et mi riescie chi bene et chi male; et di queste cose che si son fatte de maestri dora, dal Salviati in fuora, non me ne piace nessuno, et saren tenuti valentuomini 125 •

Ironico è constatare che il Vasari, che presumibilmente annoverava l' Armenini tra gli artisti mediocri all'opera nella Sala Regia, era altrettanto critico circa l'arte che si svolgeva a Roma in quell'epoca. Anche se non è facile specificare esàttamente che cosa deluse tanto il Vasari, 5embra chiaro che, in linea di principio, egli

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non era soddisfatto delle opere della generazione di Siciolante. È tuttavia interessante rilevare un commento specifico fatto dal Vasari: egli denigrava la loro opera, ma notava, quasi esasperato, che questi artisti godevano di una certa stima. In contrasto con il successivo punto di vista di Armenini, Vasari non condanna, nelle sue lettere, gli artisti che nelle Vite egli esalta, ma piuttosto annota con disappunto la loro opera. Non sono gli artisti che mancano di talento; è la loro opera che non suscita piacevoli sensazioni. Anche se il Vasari non lo dichiara apertamente, egli sembra aver colto le cause nelle condizioni ambientali dell'epoca, che certo non contribuivano a stimolare l'artista verso i più alti livelli di creatività. Il conservatorismo della società romana

Queste condizioni sono ben note e ampiamente documentate 126 • La ripresa del conservatorismo nella società romana volta a problemi artistici e di arte religiosa in particolare, ed i vincoli concomitanti sulla libertà degli artisti ad inventare immagini religiose, sono tutti fattori citati spesso e volentieri. Il movimento riformista della Chiesa romana che codificava il suo programma durante lo svolgimento del Concilio di Trento e si esprimeva in decreti emanati dal Concilio

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stesso era la forza motrice del conservatorismo 127 • Quando il Concilio emanò, nel corso dell'ultima sessione, il breve decreto sull'arte religiosa, si dedicò alle due questioni che richiedevano vigilanza e a cui occorreva porre rimedio: la corrispondenza delle immagini religiose alle scritture ed agli insegnamenti dei Santi Padri, e l' appropriatezza della rappresentazione figurativa 128 • Di per sé tale decreto non era radicale, ma · raccoglieva profonde e diffuse critiche circa le libertà che gli artisti si concedevano nel creare le figure religiose, e le licenze che i committenti concedevano agli artisti nel raffigurare tali immagini religiose 129 • Autori quali Gilio, presero a scrivere, al fine di specificare gli errori commessi ed anche al fine di dare dettagli circa gli orientamenti che avrebbero dovuto guidare gli artisti in avvenire 130 • In un certo senso, il processo di correzione era già in atto da tempo, non per quel che riguarda le regole imposte all'arte ma per quel che riguarda la scelta da parte del committente dell'opera da eseguire e la scelta dell'artista. La società romana non poteva dar vita ad una forma d'arte che esprimesse il proprio sentimento, ma poteva operare una scelta e adottare quell'arte che meglio corrispondeva al suo stato d'animo. Ed è proprio a questo punto, ossia nella scelta e nell'orientamento della produzione disponibile, che entra in scena Siciolante.

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Senza voler esagerare, egli mieteva successi a Roma. La sua più importante committenza proveniva da quella cerchia della società che contava - la 1~ iltà romana nelle sue varie forme - la corte papale, le ¾_miglie aristocratiche, la struttura organizzativa dei gove~ni ecclesiastici e civili. Certamente questa committenza era comune ad ogni artista di successo nella Roma dì quell'epoca, ma per Siciolante rappresentò un elemento propulsore che lo fece assurgere a posizioni di primo piano, cosa che è molto difficile immaginare in epoca moderna. In termini relativi, egli fu uno degli artisti più illustri a Roma nell'ultimo decennio della sua vita. Il suo successo era indubbiamente legato al vantaggioso rapporto che Siciolante intratteneva con la famiglia Caetani di Sermoneta, anche se le sue qualità come artista devono avere avuto maggiore influenza. La sua intelligenza, o forse la sua indole di artista gli permise di adattarsi alle circostanze più esigenti, in senso vincolistico, dell'epoca post-medioevale. Mentre l'arte e gli artisti si sentivano limitati dalle conseguenze della Controriforma, Siciolante operava e progrediva. Per quel che riguarda Siciolante, un artista formato nell'ambiente di Ferino del Vaga e la corte dei Farnese, queste circostanze si può dire lo abbiano favorito; in ogni modo egli si trovava sullo stesso piano rispetto ai suoi contemporanei. Era al corrente dello

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stile di corte di Perino quando prese la strada del Nord fino a Piacenza. Ed è ancor più straordinario constatare che egli adottò perfettamente il suo stile alle esigenze locali bolognesi in occasione della commessa Malvezzi; in questa occasione plasmò il suo stile personale che introdusse successivamente nelle sue opere romane. A quell'epoca, alla fine degli anni 1540 e gli ultimi anni della corte dei Farnese, l'arte di Siciolante si distingueva tanto dalle forme d'arte prevalenti a Roma, che i;embrava fosse stata plasmata ed ispirata al di fuori di quell'ambiente. Il suo stile progrediva gradualmente nel senso che si rifaceva alle esperienze del passato e particolarmente a quelle vigenti in Emilia alla fine del Quattrocento, cui raramente si ispiravano i suoi contemporanei a Roma. Questa componente rimase l'elemento distintivo dell'arte di Siciolante durante tutta la sua carriera anche lungo l'evoluzione del suo stile. Tale evoluzione, graduale e sottile, si manifest~ chiaramente negli anni 1560 durante il pontificato di Pio IV. Siciolante cedette agli orientamenti prevalenti della pittura romana esercitata in quel momento da Taddeo e Federico Zuccari, Livio Agresti e Girolamo Muziano 131 • Una nuova forma d'arte a corte si instaurò, creata da artisti della generazione di Siciolante e artisti più giovani di lui, un'arte che era più conservatrice nel suo aspetto, poiché traeva spunto da modelli romani del

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primo Cinquecento piuttosto che dagli sviluppi immediatamente precedenti di Ferino, Salviati e Daniele. Ma forse non è giusto dire che Siciolante cedette agli orientamenti prevalenti; è possibile che vi sia stata una reciproca influenza. L'arte di Siciolante del tardo 1540 e 1550 potrebbe aver fatto riflettere i suoi contemporanei. Ad ogni modo, entro il 1560, l'arte di Siciolante era la realizzazione concreta dello stile dominante a Roma. L'artista era capace di adattarsi e si adattava bene alle forme d'arte che riscuotevano successo nell'ambito della società romana. Il gusto predominante per l'arte conservatrice nella forma, nel contenuto e nell'espressione, trovava pieno appagamento nei dipinti di Siciolante. Vasari si sentiva poco a suo agio per quel che riguarda il lavoro artistico che si svolgeva a Roma nel 1566, e la condanna di Armenini non solo per l'arte, ma anche per gli artisti ed i loro committenti, pongono un dilemma centrale qualora si voglia valutare Siciolante ed il periodo durante il quale opetò. Gli stili che fiorirono nella cerchia di Perino del Vaga e la corte Farnese durante gli anni 1540 non avevano perso il loro potenziale espressivo entro gli anni 1560. Piuttosto, il potenziale espressivo veniva vincolato dal nuovo e diffuso conservatorismo dei committenti. Forse questo conservatorismo, che delimitava l'esuberanza

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degli stili predominanti, è proprio quel che Vasari notò e deplorò. Certamente, fu il conservatorismo che Armenini licenziò, dando la colpa a tutti quelli che vi avevano fatto ricorso. In tali circostanze, ed essendosi formato ad uno stile particolare, Siciolante, come molti dei suoi contemporanei, ebbe molto poco spazio in cui muoversi. I committenti richiedevano dipinti molto particolari che vincolavano la libertà inventiva dell'artista. Siciolante, se è per questo, era in grado di fornire qualsiasi tipo di quadro senza scendere a compromessi con i suoi istinti artistici. Contrariamente ad altre precedenti generazioni di artisti toscani tra cui Ferino, Salviati, Daniele e Vasari, Siciolante aveva poca simpatia ed era poco fedele ai principi della loro arte. Come romano, egli si identificava o, almeno, seguiva gli orientamenti dominanti nella cultura romana. La sua consapevolezza e la dedizione di tutte le sue energie fino in fondo, gli permisero di creare un insieme di opere coerenti che portano l'inequivocabile marchio della sua personalità. Nella sua arte, Siciolante dovette farsi strada attraverso un periodo artistico difficile. Come artista, addestrato in un certo modo, egli si trovava a far fro~te a circostanze del tutto in opposizione alla sua capacità espressiva; tuttavia egli si adattava e mieteva successi di ogni genere. Alle nuove generazioni di artisti, quindi, il compito di creare nuove

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forme espressive, che avrebbero restituito una certa libertà di interesse all'artista, pur rispettando i requisiti del committente e le aspirazioni più ampie della società nella quale si trovavano ad operare. Traduzione di Gabriella Lenzi

La lunga ricerca che mi ha portato alla stesura di questo saggio, è srata resa possibile grazie ad una borsa di studio, per gli anni 1979~2, concessa dalla Fondazione Samuel H. Kress, di New York. Vo"ei esprimere la mia gratitudine a Mary Davis, Executive Vice-President, ormai in pensione, per il suo costante e caloroso incoraggiamento.

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NOTE

1 Vedi J. VON SCHLOSSER, La letteratura artistica, ed. it., Firenze 19562, pp. 300-301. 2 G. VASARI, Le vite de' più eccellenti pittori scultori et architettori, Fiorenza 1568, 3, 1, pp. 367, 368; 3, 2, pp. 591, 695, 854-5. Anche se molto accurata, la vita di Siciolante del Vasari non viene presentata in. ordine cronologico e questa circostanza ha creato non poca confusione negli autori successivi. Nella vita di .Siciolante, Vasari elenca 19 opere (lbid., 3, 2, pp. 854-5). Sette di queste opere sono datate e la loro successione, secondo il Vasari, è la seguente: Valvisciolo, 1541; Santo Spirito, 1564; San Tommaso dei Cenci, 1565; San Giacomo degli Spagnuoli, 1564-5; San Martino, 1548; Farnese, Sacra Famiglia, 1545; Sala Regia, 1565. Non vi è alcuna palese spiegazione che giustifichi tale cronologia espressa dal Vasari. 3 P. PANTANELLI, Notizie storiche della terra di Sermoneta, ed. L. GAETANI, I, ed. anast., Roma 1972, p. 602. Il nome di Siciolante viene rlportato come Hieronimus di Franciscus Siciolante da ·Sermoneta in un documento destinato alla chiesa di Santa Maria in Aracoeli. Roma, Archivio Storico Capitolino, Credenzone VI, tom. 60, f. 396. 4 PANTANELLI, Notizie, I, p. 602. Siciolante potrebbe avere una sorella, Francesca che viveva a Sermoneta. Francesca viene citata in un documento di Roma, Archivio di Stato, Archivio dei notari del tribunale dell'A . C., Gaspar Reydettus, 6229, ,f. 340r, 3 ottobre 1575. Citazione in G. L. MASETTI ZANNINI, Pittori della seconda metà del Cinquecento in Roma, Roma 1974, pp. 109-110. 5 VASARI, Vite, 3, 2, p. 854. 6 Tullio mori nel 1572 (OBUT KIIII, KAL. AVG. M . D. LXXII) e la sua memoria è commemorata da una ~scrizione posta nella chiesa romana di San Lorenzo in Damaso. Vedi L. SCHRADER, Monumentorum Italiae, Helmaestadii 1592, p. 140. I nomi degli altri figli sono riportati in Roma, Archivio di Stato, Archivio del tribunale dell'A. C., Joannes Anto-

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nius Curtus, 2273, f. 375rv, 6 settembre 1575. PANTANELLI, Notizie, I, p. 602 menziona cinque figli: Cesare, Antonio, Lorenzo, Orazio e Tullio. Pantanelli si riferisce a documenti di famiglia che aveva letto personalmente. Questi documenti sono tuttora sconosciuti; la documentazione di fumiglia nell'Archivio Caetani a Roma è incompleta. 7 :In vicolo di Melangolari. San Salvatore in Campo, I, Status animarnm 1596-1632, f. 4"". Vedi MASETTI ZANNINI , Pittori, p. 111. 8 Il primo riferimento all'anno 1580- si trova in P. ZANI, Enciclopedia metodica critico-ragionata delle belle arti, 1, 17, Parma 1823, p. 219. Precedentemente, la data di morte di Siciolante veniva colJocata durant<! il regno di Gregorio XIU ( 1572-85) senza una esatta specificazione dell'anno. 9 Roma, Archivio di Stato, Archivio dei notari del tribunale dell'A.C., Joannes Antonius Curtus, 2273 , ff. 375rv, 376r_373v, 333r_334v, 6 settembre 1575 ; f. 384v, 11 ottobre 1575; Gaspar Reydettus; 6229, f. 340r, 3 ottobre 1575. Vedi MASETTI ZANNINI, Pittori, pp. 102-110. 10 La pala d'altare per 1a chiesa di San Bartolomeo ad Ancona fu eseguita su tela, probabilmente per via delle sue dimensioni, e per facilitarne il trasporto. Mentre è possibile che Siciolante abbia completato il dipinto ad Ancona, sembra più probabile che egli l'abbia eseguito a Roma. Vedi nota 47 oltre. Il pannello della Madonna e Bambino con il donatore della famiglia Pini, che fumò e datò 1516 è abbastanza piccolo da essere facilmente trasportabile. Vedi _Lorenzo Lotto nelle Marche. Il suo tempo, il suo influsso, Ancona 4 lu. - 11 ott. 1981. Catalogo a cura di P. DAL POGGETTO e P. ZAMPETTI, Firenze 1981, pp. 432-435. Gli 11 dipinti per la cappella dello Chateau de la Bastie d'Urfé furono eseguiti su tela ed erano di dimensioni più piccole rispetto agli spazi che dovevano ospitarle. Dell'altra tela fu aggiunta ai lati e le composizioni furono allargate da colui che le istallò nella cappella; non fu Siciolante a dipingere tali aggiunte. Vedi nota 49 oltre. 11 G. BAGLIONE, Le vite de' pittori scultori et architetti dal pontific~to di Gregorio XIII del 1572 in fino a' tempi di papa Urbano ottavo nel 1642, Roma 1642, p. 23. 12 F . TOLOMEI, Guida di Pistoia, Pistoia 1821, p. 184. 13 Roma, Archivio dell'Accademia di San Luca, Libro d;introiti, 2, f. 3v. 14 Ora nel Museo di Capodimonte, Napoli. Vedi B. MOLAJOLI, Notizie su Capodimonte, Napoli 1964, p. 40; VASARI, Vite, 3, 2, p. 147. Per quel che riguarda hl dibattito circa il rapporto tra l'arte. di Leonardo

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da Pistoia e quella di Siciolante vedi R. BRUNO, Girolamo Siciolante; revisioni e verifiche ricostruttive, in « Critica d'arte», 130, 1973, pp. 56-58. 1s VASARI, Vite, 3, 2, p . 854. 16 Secondo il Vasari (Ibid ., 3, 1, pp. 364-5) uno dei primi lavori eseguiti da Perino dopo il suo ritorno da Genova fu la decorazione della cappella Massimo nella chiesa di Trinità dei Monti. Vedi J .A. GERE, Two late fresco cycles by Ferino del Vaga: the Massimi Chapel and the Sala Pc:olina, in « Burlington Magazine», 102, 1960, p . 10, nota 5; Mostra di disegni di Ferino del Vaga e la sua cerchia, catalogo B. DAVIDSON, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, Firenze 1966, p. 4; K. OBERHUBER, Observations on Ferino del Vaga as a draughtsman, in « Master Drawings », 4, 2, 1966, p. 172, nota 29. 17 VASARI, Vite, 3, 1, p, 147 dice solo questo sull'opera del Pistoia a Roma: « ed in Roma fece molti ritratti di naturale ». Baglione, nella vita di Jacopino del Conte (Vite, p. 75) aggiunge: « Iacopino fu discepolo di Andrea del Sarto, e dentro S. Pietro vecchio aiutò il Pistoia, a fare il quadro, che era nella cappella de' Palafrenieri». F. ZERI, Intorno a Gerolamo Siciolante, in « Bollettino d'arte», 36, 1951, p. 141, nota 6, identificò questo dipinto come quello esistente nella sagrestia di San Pietro in Vaticano. 18 Vasari nomina come suoi assistenti Daniele da Volterra, Guglielmo della Porta, Marco Pino da Siena, Marcello Venusti e Siciolante. 19 VASARI, Vite, 3, 1, p. 370: « Si servì Perino di molti giovani, ed insegnò le cose dell'arte a molti discepoli; ma il migliore di tutti, e quegli, di cui egli si servì più che di tutti gli altri, fu Girolamo Siciolante da Sermoneta ». 20 Roma, Archivio dell'Accademia di San Luca, Libro d'introiti, 2, ff. 18V, 19r. 21 J .A. ORBAAN, Virtuosi al Pantheon archivalische Beitrage zur romischen Kunstgeschichte, in« Repertorium fiir Kunstwissenschaft », 37, 1915, pp. 22, 25, 26. 22 Roma, Archivio dell'Accademia di San Luca, Libro di entrata ed uscita del Camerlengo, 41, ff. 4v.5r, 1554-55; ff. 9v.1or, 1564. Vedi F. TOMASSETTI, Elenco dei consoli dei principi e dei presidenti dell'Accademia di 5. Luca dalla sua fondazione fino al 1957, in « Atti della insigne Accademia nazionale di San Luca», 2, 1953-1956, p. 11. 23 Onorato Caetani, padre di Guglielmo e Giovanna (o Giovannella), sposò Caterina Orsini. Giovanna sposò Pier Luigi Farnese e Guglielmo sposò Francesca Conti. Vedi G. GAETANI, Domus Caietana, l , 2, San

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Casciano Val di Pesa 1927 e 1933, pp. 74, 82-83, 151, 196, 214; e 2, pp. 32-7; Dizionario biografico degli italiani, 16, Roma 1973, pp. 135137, 179-184; P. LITTA, Famiglie celebri d'Italia, 3, Milano 1819-1911, tav. VH (Farnesi duchi di Parma}. 24 A. CHACON, Vitae et res gestae pontificum romanorum et S.R.E. cardinalium, 3, Romae 1677, coll. 642-643; CAETANI, Domus, 2, pp. 4655; Dizionario biografico degli italiani, 16, p. 197. 25 VASARI, Vite, 3, 2, p . 854; CAETANI, Domus, 2, pp. 31, 51. Caetani riferisce che il. restauro dell'abbazia avvenne tra il 1544 ed il 1548. Vedi anche B. DAVIDSON, Some early works by Girolamo Siciolante da Sermoneta, in « Art Bulletin », 48, 1966, pp. 55-56. 26 Parigi, Musée du Louvre, Cabinet des dessins, n. 10074. Lo stile del disegno di Siciolante è simile a quello di Perino. Paragonare Un Sacrificio di Perino del Vaga con lo studio per una scena sul basamento de.Ila Stanza della Segnatura in Vaticano. Vedi Mostra di disegni di Perino del Vaga, pp. 48-50, fig. 40. n La figura di san Giovannino sulla pala d'altare viene adattato dalla figura di Perino del Cristo Bambino come rappresentato nella Madonna con Bambino, Liechtenstein. Vedi R. BAUMSTARK, Meisterwerke der Sammlungen des Fursten van Liechtenstein, Gemiilde, Zi.irich-Miinchen 1980, pp. 52-53. Quando ebbe completato la pala d'altare di Valvisciolo, Siciolante conosceva bene ii dipinti e i disegni di Perino. Non si può tuttavia affermare con certezza se questa conoscenza provenisse da una c0mune esperienza di lavoro con Perino. 28 Nulla è noto in particolare circa le preferenze artistiche di Camillo Caetani. Tuttavia, le opere co=issionate dai Caetani a Sermoneta e dintorni tendono ad essere più provinciali rispetto agli sviluppi artistici della Roma di quell'epoca. 29 Il permesso per la vendita del dipinto fu concesso il 2 gennaio 1808. Roma, Archivio del Convento dei Santi Apostoli, Libro dei Consigli, 1789-1821, ff. 143-144. Vedi E. zoccA, La basilica dei Ss. Apostoli in Roma, Roma 1959, p. 93. 30 J. BIALOSTOCKI, M. WALICKI , Europiiische Malerei in polnischen Sammlungen, 1300-1800, Warsaw 1957, pp. 489-490; DAVIDSON, Some early works, pp. 56-58; BRUNO, Girolamo Siciolante, 130, 1973, p. 59; 136, 1974, p. 36; T. PUGLIATTI , Due momenti di Girolamo Siciolante da Sermoneta e il problema degli interventi nella Sala Paolina di Castel Sant'Angelo, in « Quaderni dell'istituto di storia dell'arte medievale e moderna ... Messina», 4, 1980, p. 16. 3! VASARI, Vite, 3, 2, p . 854.

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32 c. D'ONOFRIO, Castel Sant'Angelo e Borgo tra Roma e papato, Roma 1978, pp. 276-284, che è una nuova edizione di Castel Sant'Angelo, Roma 1971; E. GAUDIOSO, I lavori farnesiani a Castel Sant'Angelo: progetto ed esecuzione 1543-1548, catalogo Museo nazionale di Castel Sant'Angelo, 2, Roma 1981, pp. 11-12. Il cardinale Tiberio Crispo, castellano di Castel Sant'Angelo, era il responsabile deH'opera. Si dice che il C!:rdinale Crispo fosse fratello naturale di Costanza Farnese, figlia di Paolo III. Vedi CHACON, Vitae, 3, coli. 706-707; P. PAGLIUCCHI, I castellani del Castel S. Angelo, l, 2, Roma 1909, pp, 108-114. 33 H compenso a Siciolante fu corrisposto tra il 29 giugno ed il 22 agosto 1544. Roma, Archivio di Stato, Commissariato soldatesche e galere, 15, fase. 9, ff. 1, 2, 15, 16, 18, 20. Vedi GAUDIOSO, I lavori farnesiani, p. 252. 34 Roma, Archivio Caetani, Fondo generale, 3 novembre 1545 (C 4221). 35 Vedi La galleria nazionale di Parma, catalogo di A. GHIDIGLIA QUINTAVALLE, Parma 1971, p. 22. VASARI, Vite, 3, 2, p. 855 riferisce: « Al signor Pier Luigi Farnese, duca di Parma e Piacenza, il quale servl alcun tempo, foce molte opere; ed in particolare un quadro, che è in Piacenza, fatto per una cappella; dentro al quale è la Nostra Donna, San Giuseppe, San Michele, San Giovanni Batista, ed un Angelo di palmi otto». 36 Opinioni diverse in ZERI, Intorno, p. 142, figg. 5, 7; DAVIDSON, Some early works, p. 64, nota 49; BRUNO, Girolamo Siciolante, 130, 1973, pp. 63-65 . 37 Il Vasari è fonte di congetture circa l'opera di Siciolante nella Sala Paolina. Egli afferma (Vite, 3, 2, p. 854) che: « Girolamo Siciolante da Sermoneta [ ... ] fu discepolo (del Perino) e l'aiutò nell'opera di Castel Sant'Angelo ». Mtrove (ibid., 3, 1, p. 368) dice: « Et in ultimo le sale e altre camere importanti, fece Perino parte di sua mano, e parte fu fatto da altri, con suoi cartoni. La sala è molto vaga, e bella, lavorata di stucchi, e tutta piena d'istorie romane, fatte da suoi giovani: e assai di mano di Marco da Siena discepolo di Domenico Beccafumi ». Poiché il Vasari identifica Siciolante come uno dei giovani di Perino, sembra logico pensare che sia stato proprio Siciolante ad assistere Perino nella esecuzione della più importante safa degli appartamenti papali. 38 Vedi H . voss, Die Malerei der Spiitrenaissance in Rom und Florenz, 1, Berlin 1920, p. 76; DAVIDSON, Some early works, p. 59; F. ANTAL, Classicism and Romanticism, London 1966, pp. 79-80, nota l; GAUDIOSO, I lavori farnesiani, p. 29; M. CALÌ, Da Michelangelo all'Escorial, Torino

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1980, p. 173; PUGLIATTI, Due momenti, pp. 12-14; Gli affreschi di Paolo III a Castel S. Angelo, 2, pp. 114-115; E. SAMBO, Tibaldi e Nosadella, in « Paragone», 32, 379, 1981, pp. 5-6. Vedi anche R. BRUNO, Ferino del Vaga poetica dell'Idea e stile in Castel Sant'Angelo, in « Critica d'arte», 123, 1972, p. 37, nota 5. 39 VASARI, Vite, 3, 22, p. 855. 40 Esistono tre quadri della Crocifissione attribuiti a Siciolante oltre a quelli da .Jui documentati. Uno nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano in via Ambrogio C.Ontarini a Roma. Vedi I. TOESCA, Due opere del Siciolante, in «Paragone» 187, 1965, pp. 58, 59, nota 6. Un'altro nella chiesa romana di San Carlo ai Catinari; un terzo nella cappella a Castel Sant'Angelo in deposito dalla Galleria Borghese. Vedi Galleria Borghese. I dipinti (Cataloghi dei musei e gallerie d'Italia), a cura di P. DELLA PERGOLA, 2, Roma 1959, pp. 137-138. H dipinto nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano è una variazione della Crocifissione di Siciolante ubicata in San Giovanni in Laterano, firmata e datata 1573. Sembra addirittura essere l'opera di altro artista. Gli altri due dipinti sono copie eseguite da altri artisti, e si rifanno alla Crocifissione di Siciolante di San Giovanni in Laterano. Nessuno di questi dipinti perciò potrebbe provenire da Santa Maria sopra Minerva. 41 VASARI, Vite, 3, 2, p. 855 sostiene che Siciolante « fece molte opere», ma se fa Sacra Famiglia costituiva l'opera più significativa, le altre non devono essere state molto importanti. 42 DAVIDSON, Some early works, p. 59. 43 Vedi K FREY, Sammlung ausgewiihlter Briefe an Michelagniolo Buonarroti, Berlin 1899, pp. 297-301; M. HIRST, Sebastiano del Piombo, Oxford 1981, ,p. 42, nota 5. 44 G. LIPPARINI, Francesco Francia, Bei,gamo 1913, p. 44; R. VARESE, Lorenzo Costa, Milano 1967, p. 66; A. OTIANI CAVINI, La Cappella Bentivoglio in Il Tempio di San Giacomo Maggiore in Bologna, Bologna 1%7, pp. 117-131. 45 c. ADY, The Bentivoglio of Bologna, London 1937, pp. 103-117; A. SORBELLI, I Bentivoglio, Bologna 1969, pp. 90-96. 46 VASARI, Vite, 3, 2, p. 855. Il Vasari chiama la chiesa di Sant'Alò. E. VENIER, G. ZANDRI, c. DE VITA, S. Eligio dei Ferrari, (Le chiese di Roma illustrate, 127), Roma 1975, pp. 40, 49. 47 E. FAVORINI, La pala già nella chiesa di S. Bartolomeo in Ancona del Siciolante, in « Rassegna Marchigiana», IX, 1930.1931, pp. 49-56. 48 Roma, Archivio Caetani, Fondo generale, 5 giugno 1549 (C 4585). Vedi GAETANI, Domus, 2, p. 56.

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49 o. RAGGIO, Vignole, Fra Damiano et Gerolamo Siciolante à la chapelle de la Bastie d'Urfé, in « Revue de l'art», 15, 1972, pp. 29-52. 50 H. JEDIN, Geschichte des Konzils von Trient, 2, Freiburg 1957, pp. 153, 518; 3, 1970, passim. 51 Il a:e concesse la richiesta il 25 dicembre 1549. Vedi A. D'ARMAILHACQ, L'église nationale de Saint-Louis des Français à Rome, Rome 1894, pp. 13-14. 52 Certo Nicholas Dupré di Passy ricopriva fa carica di segretario del re di Francia durante la prima metà del Cinquecento. Vedi H. JONGLA DE MORENAS, Grand Armorial de France, 3, Paris 1935, p. 245 (Dupré du Saint-Maur). 53 u. GNOLI, Documenti senza casa, in « Rivista d'arte», XVH, 2, 7, 1935, pp. 216-217; DAVIDSON, Some early works, p. 61; SAMBO, Tibaldi, p. 23, nota 20. Gnoli trascrive un contratto in data 20 marzo 1547 stipulato tra Nicholas Dupré e Perino del Vaga. L'accordo stabiliva che fosse Perino a procurare dipinti e stucchi per la Cappella Dupré nella chiesa di San Luigi dei Francesi, e stabHiva altresl che l'opera dovesse essere ultimata entro maggio 1548. Quando Perino mori il 19 ottobre 1547, la cappella non era stata ultimata e perciò un nuovo contratto fu firmato tra Dupré e Jacopino del Conte. Gnoli dice che la data del nuovo contratto, che egli non trascrive, è il 13 novembre 1548; e stabilisce che l'opera dovesse essere ultimata entro un anno. Egli afferma altresl, contraddicendosi, che il nuovo contratto venne stipulato poco dopo la morte di Perino. In questo caso, o la data del contratto avrebbe dovuto essere 13 novembre 1547 oppure il nuovo contratto venne stipulato un anno dopo fa morte di Perino, piuttosto che poco dopo. La documentazione di Gnoli non è stata ancora identificata e ·perciò non vi è modo di determinare con precisione le sue trascrizioni ed affermazioni. 54 GRÉGOIRE DE TOURS, Histoire des Francs, trad. R. LA TOUCHT, (Les dassiques de l'histoire de France au Moyen Age, 27), 1, Paris 1975, pp. 115-122; F. OPPENHEIMER, Frankish themes and problems, London 1952, pp. 47-63. 55 Dizionario biografico degli italiani, 16, pp. 133-134. 56 La progettazione della cappella Caetani si ispira alla cappella Ponzetti di Baldassare Peruzzi situata a Santa Maria della Pace. Vedi DAVDSON, Some early works, pp. 62-63; c. L. FROMMEL, Baldassare Peruzzi als Maler und Zeichner, Wien, Miinchen 1967-1968, pp. 81-83. In Gli affreschi di Paolo III a Castel S. Angelo, 2, p. 12, l'autore avanza l'ipotesi che la cappella sia stata dipinta in due fasi: 1542-1543 e 15481549. Sicuramente la decorazione fu completata in una sola fase intorno

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al 1550 circa. Gli affreschi sono stilisticamente coerenti con J'opera cli Siciolante eseguita intorno agli ultimi anni del 1540. 57 CHACON, Vitae, 3, col. 706. L. NEPPI , Palazzo Spada, Roma 1975, pp. 41-46; Dizionario biografico degli italiani, 18, pp. 626-629; JEDIN, Geschichte, 3, pp. 21, 223, 432. 58 L. MORTARI, Gerolamo Siciolante a Palazzo Spada, in « Commentari », 2, 1975, pp. 89-97. 59 VASARI, Vite, 3, 2, p. 855. BAGLIONE , Vite, pp. 23-24 dice: « Il palazzo del Cardinal Capodiferro, hora dell'Eminentissimo Cardinal. Spada, ha una sala de' fatti de' Romani da lui (Siciolante) con vivi colori eccellentemente historiata, ma il fregio è lavoro di Lutio Romano». La parte inferiore della decorazione ad affreschi, trattata come una architettura finta e composta di pannelli cli marmo, nicchie con immagini in piedi ed erme-pilastri femminili, è simile ne1Ia composizione e nei dettagli alla cappella Caetani cli San Giuseppe .a Se~moneta. L'immagine di Abbondanza Marittima (cfr. Gli affreschi di Paolo III a Castel S. Angelo, 1, p. 185, fig. 130) fu eseguita da Siciolante. La parte superiore della decorazione ad affreschi, il fregio continuo rappresentante scene narrative e cariatidi femminili agli angoli deNa stanza - la parte destinata fu eseguita da almeno due artisti da Baglione a Luzio Romano diversi. Le cariatidi femminili non sono pienamente nello stile di Siciolante. E nemmeno le eccessive pose in contrapposto, il tipo cli immagine a spesse membra muscolose, la modellatura soffice e tonale, lo sguardo penetrante, H colore smorzato si ritrovano nell'opera dell'artista in quel periodo. Una sola scena sulla parete a Nord (vicolo del Polverone), Alessandro consegna la corona d'oro, si rifà allo stile cli Siciofonte. Si tratta di una parafrasi del Cristo davanti a Pilato nella cappella Caetani a Sermoneta. Persino questo affresco è stato ridipinto in parte da un altro artista. 60 NEPPI, Palazzo Spada, pp. 43-44, 54; CHACON, Vitae, 3, coli. 600, 741-759; JEDIN, Geschichte, 3, passim. 61 T. FALK, Studien zur Topographie und Geschichte der Villa Giulia in Rom, in « Romische Jahrbuch fiir Kunstgeschichte », 13, 1971, pp. 101-178. 62 Contrariamente a ciò che ci si potrebbe aspettare, la pala d'altare non presentava Sant'Andrea (PUGLIATTI , Due momenti, pp. 14-17), ma l'Assunzione della Vergine. Bartolomeo Ammannati scrive in una lettera a Marco Benavides in data 2 maggio 1555 (FALK, Studien, p. 171): « E prima cominciarò dal Tempio di Santo Andrea posto su fa strada Flaminia, fatto in forma Ovale, d'opera Corinthia, molto ben ordinato

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dentro, e di fuori; nella Tavola de l'altare vi e dipinta l'Assuntione della Madonna e nella nicchia San Pietro e S.to Andrea, 6. Paolo e ,s. Giovanni,. con molti e vari ornamenti ». Pellegrino Tibakµ dipinse gli affreschi per le nicchie. Siciolante fu pagato per fa sua opera alla fine del mese di dicembre 1553 ed -11 15 gennaio 1554. Roma, Archivio di Stato, Camerale I, Fab_briche, 1519, ff. 76, 86v. Vedi FALK, Studien, p. 159. 63 CHACON, Vitae, 3, col. 701-703 ; E. MARTINORI, I Cesi, Roma 1931, pp. 56-62; Dizionario biografico degli italiani, 24, pp. 253-256 .. 64 VASARI, Vite, 3, 2, p. 854. Per gli altri artisti che operavano in questa cappella (Rosso Fiorentino, Simone Mosca, Vincenzo de' Rossi, Marcello Venusti) vedi Ibid., 3, 1, p . 207 ; 3, 2, pp. 497, 775, 873. Vedi anche G. URBAN, Die Cappella Cesi in S. Maria della Pace und die Zeichnungen des Antonio da Sangallo, in « Miscellanea Bibliothecae Hertzianae », Miinchen 1961, ,p. 221. Urban situa J'esecuzione della volta intorno alla metà del 1560. La sua discussione ver,te sul fatto che egli sostiene che la volta fu ultimata alla fine, dopo il totale completamento dell'opera, Mentre logica suggerirebbe il completamento della volta prima. In ogni caso, la decorazione della volta, le pitture e le immagini in stucco sono simili alle opere di Siciolante fine anni 1540, primi 1550, ma non hanno niente in comune con le sue opere del 1560 . . 65 MARTINORI, Cesi, p . 101. 66 VASARI, Vite, 3, 2, p. 591. La facciata fu distrutta ,per costruire il colonnato del Bernini nella piazza San Pietro in Vaticano. 67 Il cardinale fece testamento in data 26 gennaio 1565, due giorni prima della sua morte. Roma, Archivio di Stato, Archivio del collegio dei notari capitolini, Curtius Saccoccius, 1524, ff. 86r_37v, 26 gennaio 1565. Vedi v. FORCELLA, Iscrizioni delle chiese e d'altri edificii di Roma, XI, Roma 1877, p. 41, n. 76. , 68 MARTINORI, Cesi, pp. 62-63; GAETANI, Domus, 2, pp. 113-115. 69 :B l'ultima opera citata dal Vasari (Vite , 3, 2, p. 855) che si recò a Roma nel 1566. Vedi G. VASARI, Der literarische Nachlass, ed. K. FREY e H.W. _FREv; ·2, Miinchen 1930, pp. 228-229. 70 CHACON, Vitae, 3, col. 566-567; J. ACKERMAN, The architecture o{ Michelangelo, 1, London 1964-1966, pp. 109-110; 2, pp. 126-127. 71 CHACON, Vitae, 3, coll. 959-962; FORCELLA, I scrizioni, II, p. 40, n. 73, 74. 12 Ibid., II, p. 41, n. 79, 80. 73 LITTA, Famiglie, 8, tav. H (Attendalo Sforza). Costanza sposò Bc-sio Sforza di Santa Fiora.

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7-i- CHACON,

Vitae, 3, colL 558-565. Per esempio, il palazzo a Caprarola e la chiesa del Gesù a Roma. Vedi F. ZERI, Pittura e controriforma, Torino 1957', pp. 41-61. 76 G.A. GILIO, Due dialoghi, Camerino 1564. n Concilium Tridentinum, ed. s. EHSES, 9, 6, Freiburg 1924, pp. 1077-1079; s. PALLAVICINO, Istoria del Concilio di Trento, annot. F. ZACCARIA, 5, Faenza 17%, pp. 324-326. 78 J. WILDE, Cartonetti by Michelangelo, in « Burlington Magazine», 101, 1959, pp. 370-381. 79 GILIO, Dialoghi, p . 122. 80 Durante il regno dell'Imperatore Carlo V, la fazione spagnola era sinonimo di fazione imperiale. 81 All'inizio del conclave che elesse Giulio III, !i cardinali Alessandro Farnese, Guido Ascanio Sforza e Giovanni Maria del Monte aderirono alla fazione imperiale. I cardinali Federico Cesi, Nicolò Caetani e Girolamo Capodiferro venivano considerati sostenitori della fazione francese. Vedi L. VON PASTOR, Storia dei papi dalla fine del medio evo, ed . ital. A. MERCATI, 6, Roma 1963, pp. 6-34. All'inizio del conclave che elesse Pio IV, tra i cardinali sopravvissuti e quelli presenti, vi era su per giù la stessa suddivisione. Ibid., 7, pp. 19-55. 82 CHACON, Vitae, 3, col. 601-607, 809-842; PASTOR, Storia, 6, pp. 364-421. 83 P. COLONNA, .I Colonna, Roma 1927, p. 209; PASTOR, Storia, 6, p. 371. 84 L. CECCONI, Storia di Palestrina città del prisco Lazio, Ascoli 1756, p. 324; P. COLONNA, I Colonna, p. 209; GAETANI, Domus, 2, pp. 85-86. 85 CHACON, Vitae, 3, col. 736-737, 867-869. 86 COLONNA, Colonna, p . 214; CAETANI, Domus, 2, rpp. 93-94. 87 COLONNA, Colonna, p. 217. 88 Ibid., p. 203; LITTA, Famiglie, 2, tav. V,I II (Colonna di Roma); CECCONI, Storia, p. 324; CAETANI, Domus, 2, pp. 85-86. 89 G. SMITII, Bronzino's portrait of Stefano Colonna: a note on its Fiorentine Provenance, in « Zeitschrift fiir Kunstgeschichte », 40, 1972, pp. 265-269. 90 E. FAVORINI, Il ritratto di Paolo III e di Francesco Colonna del Sermoneta, in « L'arte», 32, 1929, p. 168. 91 Attività della soprintendenza alle Gallerie del Lazio, XII settimana dei Musei, Roma 1%9, pp. 23-24. 75

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92 Elena di Niccolò Franciotti sposò Stefano Colonna, il famoso condottiero a servizio di Cosimo .I de' Medici. I Franciotti adottarono il nome della Rovere in seguito al matrimonio di Gianfrancesco Franciotti con Luchina della Rovere, sorella di Giulio H . Dei figli di Stefano ed Elena, Francesco divenne condottiero come suo padre; Giulio Cesare sembra sia rimasto a Palestrina. Vedi LITI'A, Famiglie, 2, tav. VIII (Colonna di Roma). 93 VASARI, Vite, 3, 2, p . 855; Roma, Archivo · de la Obra Pia de Espafia en Roma, Libro del camarlengo de San Giacomo, 536, ff. 92v, 93r, 23 dicembre 1564; 537 gasto extraordinario, senza paginazione, 15 agosto 1565. Citato in J. FERNANDEZ ALONSO, S. Maria di Monserrato, (Le chiese di Roma illustrate, 103), Roma 1968, p. 83 . 94 Per la prima fase operativa, secondo VASARI, Vite , 3, 2, p. 670, i cardinali Alessandro Farnese e Marcantonio da Mula furono incaricati della Sala Regia. Il cardinale Farnese voleva che a Francesco Salviati fosse assegnata l'opera che Daniele da Volterra aveva iniziato, e fu esaudito. Ma a causa dell'ostilità tra i due artisti e per il fatto che Salviati distrusse uno dei dipinti di Daniele nella Sala Regia, l'opera non poté proseguire. Pirro Ligorio suggeri di assegnare l'opera ,ad un gruppo di artisti (giovani pittori) ed anche il suo desiderio fu esaudito. M cardinale da Mula fu di nuovo data Ia responsabilità della Sala Regia da parte del vtscovo di Forll, Baldo Farratini (Ibid., 3, 2, pp. 694-695). Gli artisti erano, tra gli altri, Giuseppe della Porta, Orazio Samacchini, Taddeo Zuccaro, Livio Agresti, Giovanni Battista Fiorini, Zamaria Zoppelli, e Siciolante. Vedi G. SMITif, A drawing /or the Sala Regia, in « Burlington Magazine», 118, 1976, pp. 102-106. 95 PASTOR, Storia, 7, pp. 236-263; JEDIN, Geschichte, 4, pp. 164-189. 96 P. PERA LI, I fasti del pontificato nella Sala Regia, in « L'Illustrazione vaticana», I, 1, 1930, pp. 31-38; I:I, 1, 1931, pp. 28-32; II, 4, pp. 33-38; II, 7, pp. 23-29; II, 9, pp. 33-36; II, 16, pp. 20-25; ILI, 10. 932, pp. 490-492. G. SMITII, The Casino of Pius N, Princeton 1977, pp. 107-112. . 97 Il grande affresco fu sostiituito da un'altro eseguito da Giorgio Vasari che completò la decorazione della Sala Regia sotto il pontificato di Pio V e Gregorio XLII. Il Vasari esegui i due grandi affreschi della Lega Santa e la Battaglia di Lepanto, uno dei quali sostitul l'opera iniziata da Siciolante. In una lettera a Francesco de' Medici, in data 23 febbraio 1572, Vasari descrive gli affreschi che gli erano stati ordinati. Parla del piccolo affresco sulla porta che dà nella Scala Regia: « L'altra seconda storia vi fara la beneditione che Nostro Signore fecie dello

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stendardo qual Sua Santità lo dara a Don Giovanni d'Austria, et mettera in mezzo ». Questo affresco non era eseguito cosl ma fu completto con un a.ltro soggetto, La scomunica lanciata da Gregorio IX contro Federrgo II. Vedi note 115, 122. 98 Roma, Archivio di Stato, Camerale I, Fabbriche, 1520, ff. 206, 228, CCXXVIII, CCXXVIIII, CCLIIII, 254, 261 ; 1521, ff. 130, 131, 141, CXXXXVIIII. 99 La cosiddetta donazione di Costantino (Constitutum Constantini) era stata precedentemente richiamata per appoggiare le rivendicazioni papali nei riguardi del potere temporale, ma questa donazione divenne una ragione · di contesa. Lo storico del Quattrocento Bartolomeo Platina passò sotto silenzio la storia della donazione di Costantino nella vita di papa Silvestro, in risposta alle discussioni avanzate da Lorenzo Valla tra gli altri. Vedi B. COLEMAN, The treatise of Lorenzo Valla on the Donation of Constantine, New Haven 1922. L'edizione della Historia del Platina affettuata dal Panvinio, non commenta il Constitutum Constantini. Vedi G. PLATINA, Historia de vitis Pontificum Romanorum, ed o. PANVINIO, Venetiis 1562, pp. 32-37. È interessante vedere come Cesare Baronio ricollochi il Constitutum Constantini nella sua storia. Vedi c. BARONIO, Annales Ecclesiastici, 3, Romae 1594, p. 263. Vedi anche E. COCHRANE, Historians and historiography in the Italian Renaissance, Ghicago-London 1981 , pp. 456, 462. Per quel che riguarda l'accettazione della donazione di Costantino per il piano della Sala di Costantino in Vaticano, vedi R. QUEDNAU, Die Sala di Costantino in the Vatikanischen Palast: Zur Dekoration der beiden Medici - Papste Leo X und Clemens VII, Hildescheim-New York 1979, pp 449-458. Circa il rapporto che intercorreva tra la donazione di Costantino e 1a donazione di Pipino, vedi E. CASPAR, Pippin und die romische Kirche, Berlin 1914, ristampato a Darmstadt 1973, pp. 185-189. 100 F. GREGOROVIUS , Storia della città di Roma nel medioevo, trad. A. CASALEGNO, 1, Torino 1973, pp. 400-420. 101 MASETTI ZANNINI, Pittori, pp. XLII, 56-57, 101-102. 102 Vedi J. HESS , Kunstgeschichtliche Studien zu Renaissance und Barock, Rom 1967, pp. 194-195; K. WEIL-<iARRIS POSNER, Notes on S. Maria dell'Anima, in« Storia dell'arte», 6, 1970, pp. 122, 137. Esiste una divergenza di opinioni circa la data di esecuzione degli affreschi di Siciolante ubicati nella chiesa della nazione tedesca di Santa Maria dell'Anima. Nel 1549 al banchiere tedesco Anton Fugger fu ricordato, da parte delle alte cariche della chiesa, che la sua cappella di famiglia non era ancora stata decorata: « Item dominum Joannem Hominis domini roga-

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runt ·ut continuet solicitare quatenus dominus Antonius Fugger velit suam capellam depingi facere prout sepe dictum fuit ». Roma, Archlvdo di Santa Maria dell'Anima, Decreta, F I, f. 27r_. Questa affermazione è stata considerata come prova dell'inizio dell'opera. Tuttavia gli affreschi sono stilisticamente più simili ai dipinti degli anni 1560, ossia gli affreschi dr:lla chiesa di San Tommaso dei Cenci a Roma, datati 1565 e al Pipino della 6ala Regia, datato 1565. Vedi DAVIDSON, Some early works, p. 64; BRUNO, Girolamo Siciolante, 136, 1974, pp. 31-35; PUGLIATTI, Due momenti, p. 16; Gli affreschi di Paolo III a Castel S. Angelo 2, pp. 13-14; E se gli affreschi risalgono in effetti al 1560, Anton Fugger non avrebbe potuto commissionarli. Egli morì infatti il 14 settembre 1560. Suo nipote, Hans Jakob, gli succedette aUa guida della banca Fugger e Hans Jakob, un informato mecenate era noto collezionista di opere d'arte. Vedi R. EHRENBERG, Le siècle des Fuggers, ed. ridotta, Paris 1955, pp. 77-78. (in origine pubblicato con il titolo Das Zeitalter der Fugger, Jena 1912). 103 Catalogo sommario della Galleria Colonna in Roma, a cura di E.A. SAFARIK, Roma 1981, p. 126. 104 T. AMAYDEN, La storia delle famiglie romane, ed. e.A. BERTINI, 1, Roma 1910, p. 81. IOS Presumibilmente l'Armentieri morl prima del 7 ottobre 1565. Ibid., p. 81, nota 3. Un inventario dei suoi averi fu fatto iJ 1 febbraio 1569. Roma, Archivio di Stato, Archivio del collegio dei notari capitolini, Curtius Saccoccius, 1568, ff. 31r.39v_ Ai muratori deMa cappella fu liquidata la parcella il 7 dicembre 1572. Ibid., 1538, ff. 340v.341r. Questo 11iferimento ci è stato indicato da Johanna Heideman. Per le ultime vicende del:la pala Siciolante, vedi G. PIETRANGELI, Recenti restauri nella chiesa di S. Maria in Aracoeli, 6, 1955, p. 170. 106 K. SCHWAGER, Giacomo della Porta's Herkunft und Anfange in Rom, in « Romische Jahrbuch fiir Kuns~geschichte », 15, 1975, pp. 120-121. · 107 Roma, Archivio Massimo, Raccolta di autografi, f. LII, 17 giugno 1573. Riferimento fatto da Klaus Schwager. 108 ,I l fratello di Orazio, Domenico, in particolare si unl a Marcantonio Colonna .nel:la guerra contro i Carafa. Vedi COLONNA , Colonna, p. 206. IO!I Dizionario biografico degli italiani, 16, pp. 205-207; GAETANI, Domus, 2, pp. 129-149. 110 Roma, Archivio Caetani, Fondo generale, 19 gennaio 1574 (C 9450 I). 111 PANTANELLI, Notizie, I, p. · 601; GAETANI, Domus, 2, p. 117;

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E.K. WATERHOUSE, Some frescoes and an altarpiece by Gerolamo Siciolante da Sermoneta, in « Burlington Magazine», 112, 1970, p. 104. 112 Biblioteca Vaticana, Archivio del Capitolo di S. Pietro, Ms. 65. Tiberio Alfarano, De aliquib. antiquitatib. Basil. S. Petri, 1574. Citato in TOESCA, Due opere, pp. 57-59. 113 G. GRIMALDI, Descrizione della basilica antica di S. Pietro in Vaticano, ed. R. NIGGL, Città del Vaticano 1972, fìgg. 7, 8, 59. 114 Nonostante la descrizione di Tiberio Alfarano (nota 112 sopra), non è chiaro come il dipinto di Siciolante sia arrivato alla cappella Gaetani. Data l'assenza di una logica alternativa, si presume che la pala d'altare fosse sovrapposta al mosaico ed all'effigie scolpita di papa Bonifacio VIII. Vedi nota 113. 115 o. CAROSELLI, Il soffitto della chiesa di Santa Maria in Aracoeli, Grottaferrata, non datato. Lo stendardo -per la battaglia di Lepanto, ora nel palazzo Da Vio a Gaeta attribuito a Siciolante, e che risalirebbe al 1571, è stilisticamente diverso dalla Crocifissione dedicata a San Giovanni in Laterano e datato 1575. Vedi Arte a Gaeta dipinti dal XII al XVIII ·secolo, cat. M . LETIZIA CASANOVA, Palazzo De Vio, Gaeta, Firenze 1976, pp. 134-137. 116 Roma, Archivio Storico Capitolino, Credenzone VI, tom. 60, f. 391, 6 luglio 1574. · 117 Gli esempi di pitture decorative sono pochi. Comprendono: gli affreschi per la cosiddetta Villa di Raffaello, iJ Casino Olgiati-Bevilacqua, ora nella Galleria Borghese, probabilmente datato 1544. Vedi Galleria Borghese. I dipinti, 2, pp. 128-131. DAVIDSON, Some early works, p. 64, nota 49, fa risalire questi dipinti al 1550; gli affreschi per la Sala di Alessandro Magno nel Palazzo Capodiferro-Spada. Vedi note 57-59 sopra: gli affreschi nell'ex-palazzo Orsini a Monterotondo. Vedi ZERI, Controriforma, p. 37, nota 2; BRUNO, Girolamo Siciolante, 133, 1974, p. 78; 135, 1974, pp. 71-80. Gli affreschi probabilmente risalgono al 1555-1556 o 1557-1558 circa, -prima o dopo la guerra di Carafo, 1556-1557; e gli affreschi nel Palazzo Caetani a Cisterna, probabilmente nel tardo 1560. Vedi nota 111 sopra. 118 I progetti congiunti sono numerosi: gli affreschi ne1Ia loggia di Castel Sant'Angelo eseguiti assieme a Perino del Vaga e Luzio Romano; l'affresco per la Cappella Dupré a San Luigi dei Francesi assieme a Jacopino del Conte e Pellegrino Tibaldi; le armi di Giulio III per il Palazzo Cesi assieme a Battista Franco; la decorazione sulla volta per la Cappella Cesi in Santa. Maria della Pace assieme a Simone Mosca, Vincc11zo de' Rossi e Marcello Venusti; Sala . di Alessandro Magno. nel

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Palazzo Capodiferro-Spada lin collaborazione con un non ancora identificato artista, e Sant'Andrea -in via Flaminia con Pellegrino Tibaldi. 119 Finalmente completato da Giorgio Vasari hl 23 aprile 1573. VASARI, Nachlass, 2, pp. 776-777 . 120 GILIO, Dialoghi, p. 122. 121 Il cardinale Farnese ebbe inizialmente vinto la causa di Francesco Salviati, durante la prima fase favorativa fallita, ma resi,stette concedendo a Taddeo Zuccaro di prendere parte alla seconda fase lavorativa per non tardare il lavoro di Caprarola. VASARI, Vite, 3, 2, p. 695 . 122 I dipinti del Vasari per Pio V, fa serie Lepanto, e per Gregorio XIII, la serie Ugonotti, ovviamente derivati da avvenimenti contemporanei. Vedi P . BAROCCHI, Vasari pittore, Milano 1964, pp. 71-73; P . FEHL, Vasari's Extirpation of the Huguenots: The challenge of pity and fear, in « Gazette des Beauxsarts », 84, 1974, pp. 258-284; H . ROTTGEN, Zeitgeschichtliche Bildprogramme der katholischen Restauration unter Gregv, XIII, 1572-1585, in « Miinchener Jahrbuch der Bildenden Kunst », 3, 26, 1975, pp. 89-122. 123 G.B. ARMENINI, De' veri precetti della pittura, Ravenna 1587, pp. 214-215. 124 L'autore, o gli autori, del piano della Sala Regia non sono noti. Il cardinale Marcantonio da Mula, uno storico dotto, diresse la decorazione sotto il papato di Pio IV. Vedi nota 94 sopra; CHACON, Vitae, 3, col. 929. 125 VASARI, Nachlass, 2, pp. 228-229. 126 Per quel che riguarda studi più ,pertinenti, vedi: ZERI, Controriforma; G. LABROT, Conservatisme plastique et expression rhétorique, in « Mélanges d'archéologie et d'histoire », 76, 1964, pp. 557-572; G. WEISE, Il Manierismo; bilancio critico del problema stilistico e culturale, Firenze 1971, pp. 203-212. 121 Ibid., pp. 207-208. 128 Concilium Tridentinum, 9, 6, pp. 1077-1079. 129 Michelangelo in particolare era un ambì-to bersaglio, mentre Raffaello f.u spesso citato come esempio di appropriatezza. Vedi L. DOLCE, Dialogo della pittura, Vinegia 1557. 130 Vedi Scritti d'arte del Cinquecento, ed. P. BAROCCHI, Milano-Napoli 1971-1977. 131 Vedi J.A. GERE , Taddeo Zuccaro: bis development studies in bis drawings, London 1%9; F. SPAZZOLI, Livio Agresti, Attualità di un piccolo maestro, in « Studi romagnoli», 23, 1972, pp. 63-69; u. DA COMO, Girolamo Mu:i:iano, Bergamo 1930.

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Teresa Pugliatti GIROLAMO SICIOLANTE DA SERMONETA CONSIDERAZIONI E PROPOSTE PER

/

UNA

RICOSTRUZIONE

DEL

PERCORSO

STILISTICO


stato assegnato a me il compito di delineare ' E l'aspetto stilistico del Siciolante. Aspetto che è sempre il più sfuggente, perché affidato più ad ele-

menti intuitivi che a dati concreti. Ma specificamente problematico esso si configura nel caso del Siciolante, e almeno per due diverse ragioni: una relativa alla carenza di supporti filologici; l'altra legata al particolare carattere elusivo della sua produzione. In generale, forse in nessun'altra disciplina come nella storia dell'arte accade cosi spesso di dover fare i conti con la mancanza di documenti o con la presenza di documenti ambigui che lasciano il problema nello stato iniziale di incertezza, o, peggio, che si prestano ad interpretazioni addirittura opposte e possono creare certezze errate. Ora, nel caso del Siciolante, esistono innegabilmente parecchie opere datate con estrema chiarezza. Ma, per un caso sfortunato, proprio alcune opere che sembrano legate a quello che appare uno dei suoi momenti-chiave, e a mio avviso il più valido, mancano di documenti che possano datarle, o sono corredate di documenti ambigui che forniscono indicazioni alternative o parziali.

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La seconda ragione della difficoltà di delineare un chiaro percorso stilistico del Siciolante è data da una specificità dell'artista: egli mostra infatti, e ciò mi sembra da sottolineare, da una parte una sostanziale coerenza di temperamento e dall'altra, sotto il profilo formale, episodi differenziati in un medesimo momento e, all'opposto, ripetizioni di schemi e di moduli a distanza di molti anni: disuguaglianze e analogie, cioè: difficilmente spiegabili alla luce dei metodi consueti di una ricostruzione « logica ». In altri termini, nella produzione del Siciolante, i segni delle diverse esperienze affiorano in maniera discontinua: a volte essi si possono identificare agevolmente, e al momento « giusto »; a volte scompaiono per riapparire inaspettatamente a distanza di tempo come episodi isolati, e senza apparente giustificazione. Solo in un momento centrale del suo percorso, quello appunto che io ritengo il più interessante ed il più vivo, appare possibile rintracciare dei rapporti culturali coerenti e identificare quindi la ragione di certi aspetti che si colgono nella sua produzione. Ma, come ho detto, questo è il momento più difficile da provare con dati certi. Mi riferisco in particolare ad un periodo fra il 1548 e il 1560 che oggi rimane privo di verificabilità documentale e che a me sembra di poter ricostruire

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attraverso un gruppo di opere e attraverso alcuni indizi, che d'altra parte possono, al tempo stesso, essere messi in discussione. Su questo problema particolare ho intenzione di soffermarmi, proprio perché mi sembra utile proporre alcuni dati che possano costituire materia di dibattito.

Le prime opere

Intanto dirò brevemente degli inizi dell'artista. Sappiamo da Baglione che egli fu allievo di Leonardo da Pistoia 1 • Quanto a quest'ultimo, è noto un suo dipinto eseguito intorno al 1537 a Roma in collaborazione con Jacopino del Conte. Quest'opera, identificata e pubblicata da Federico Zeri nel 19 51 2, è la cosiddetta pala dei Palafrenieri che si trova nella Sagrestia della basilica di S. Pietro. Esaminiamola brevemente (fìg. 33): il quadro mostra una impostazione piuttosto generica sulla linea di una cultura vagamente raffaellesca; la costruzione è rigidamente simmetrica e affidata ad uno schema tradizionale. Vi si può rilevare una compostezza ed una pacatezza di stampo misticheggiante, ma pochi elementi emergono di particolare caratterizzazione. Nulla peraltro vi affiora, mi sembra, che possa costituire segno di riconoscimento della mano di

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Jacopino, un artista che negli stessi anni, a contatto col Salviati, dava prove molto più sofisticate di questa nell'oratorio di San Giovanni Decollato. Che cosa può avere appreso il Siciolante da opere come questa? Vediamo ora la prima opera datata del Siciolante che ci sia pervenuta. È la cosiddetta pala Caetani (che si trovava un tempo a Valvisciolo, presso Sermoneta, nell'abbazia dei SS. Pietro e Stefano, poi fu trasferita a Roma nella cappella di Palazzo Caetani, ed oggi è nel castello di Sermoneta) (fig. 1). È datata 1541. Al di là di una indubbia goffaggine essa mostra già i segni di una influenza del secondo maestro, Ferino del Vaga 3 , oltre ad un possibile legame con la pala del Pistoia nella rigidità delle figure dei due santi; rigidità che al tempo stesso la differenzia da Ferino. Quest'ultimo, infatti, portava alle estreme conseguenze la linea morbida, delicata di Raffaello, realizzando giochi lineari sofisticati talvolta sino alla pura astrazione formale. Ferino era rientrato a Roma, dopo il soggiorno a Genova e Pisa, intorno al '38, e in quegli anni produceva opere come questa pala Basadonne eseguita nel '34, verso la fine del soggiorno genovese, e che oggi si trova nella National Gallery di Washington (fig. 34 ). In un raffronto tra questo quadro e la pala Caetani del Siciolante si può rintracciare nella seconda una influenza periniana nella scioltezza dei panneggi e

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in una inc1p1ente ricerca del segno mosso e leggero, quasi danzante (vedi i due putti alati che reggono le cortine del trono): elemento che ancora si configura però come un tentativo di accostarsi a Ferino, contrastato peraltro dall'opposto andamento rigido delle figure laterali. Ma per rintracciare meglio i tratti caratteristici di Ferino ci si deve riferire a quella che è la sua opera emblematica, anche se precedente di circa un ventennio: il tondo centrale della volta della Sala dei Pontefici in Vaticano, con quattro figure di Vittorie alate, in cui l'esigenza decorativa prevale su quella rappresentativa sino a raggiungere, come ho detto, la realizzazione di un motivo astratto. Ovviamente il Siciolante è lontano dal raggiungere una tale leggerezza, e non la raggiungerà neanche in seguito; né d'altra parte, e ciò va sottolineato, lo vorrà, poiché la sua ricerca diverge sostanzialmente da quella di Ferino, anche se talvolta mostra di rimanerne in parte suggestionato. Debbo però rilevare che nella pala Caetani si riscontrano anche degli elementi di derivazione da un quadro del Pistoia, più tardo (eseguito a Napoli) ( fig. 35), e più caratterizzante rispetto alla pala dei Palafrenieri. Soprattutto i volti di alcune figure mostrano qui con evidenza come proprio dal primo maestro il Siciolante avesse imparato un certo

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modo di disegnare i lineamenti, che rimarrà in lui abbastanza costante. La seconda opera del Siciolante, in ordine cronologico, dovrebbe essere una pala con la Deposizione che esegui per la cappella della famiglia Muti-Papazzurri nella chiesa romana dei SS. Apostoli. Il quadro è menzionato dal Vasari in successione immediata dopo la pala Caetani 4, e a proposito dello stesso dipinto il Baglione aggiunge: « ... tutti vogliono che sia disegno di Ferino suo Maestro; ben'egli è vero, che è assai ben fatto, e mostra la bella maniera del Vaga » 5 •

La pala della cappella Muti Papazzurri Ecco uno dei problemi che voglio proporre. Questo dipinto è stato identificato con una pala che si trova al Museo di Poznan (:fig. 3 ). Si sa con certezza che il quadro di Poznan proviene dalla cappella Muti-Papazzurri ai SS. Apostoli, e fu ceduto al Museo di Poznan dal tedesco conte Raczynski che l'aveva acquistato a Roma nel 1821 6 • Per lungo tempo l'identificazione di quest'opera con quella citata dalle fonti è stata accettata incondizionatamente da tutti gli studiosi. Ma di recente, Waterhouse e Bruno 7 mettono in dubbio tale identificazione poiché rilevano nel quadro di Poznàn

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una ricerca volumetrica che lo esclude dalla influenza diretta di Ferino e lo fa apparire databile negli anni '50. Debbo aggiungere che anch'io in un articolo pubblicato l'anno scorso mi esprimevo in questo senso 8 • Oggi, studiando ulteriormente il Siciolante, mi sento di potere accettare la datazione di questo quadro negli anni '40, sebbene non somigli ad altri quadri del pittore di quel decennio; anzi, proprio perché somiglia molto poco al Siciolante, e può essere accettato come opera di sua mano solo accogliendo l'ipotesi che sia stato eseguito su disegno di Ferino, come adombra il Baglione 9 • Certo è che si tratta di un quadro molto strano. Non solo non ha nessun rapporto con la pala Caetani ( e pochi con i dipinti successivi del nostro pittore), ma presenta anche certe discrepanze all'interno del suo stesso contesto. Tanto accentuata, ad esempio, appare la ricerca analitica di definizione lineare nella zona del primo piano, quanto invece è evidente quella sintetica (opposta) di resa del volume nella figura della Madonna. Se però l'opera fu fatta su disegno di Ferino, le discrepanze possono essere comprese. Cioè, la « stranezza» di questo quadro sarebbe dovuta al fatto che due diverse personalità vi operarono: una nell'ideazione ed una nell'esecuzione. E per di più, l'esecutore, cioè il Siciolante, era in uno stadio ancora non perfettamente definito della sua formazione e risentiva di influenze di-

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verse, prima fra tutte, indubbiamente, quella del testo allora basilare costituito dal Giudizio di Michelangelo con la sua determinante svolta in senso plastico e volumetrico. Al tempo stesso, la maggiore perizia che qui si riscontra rispetto alla Pala Caetani può essere costituita proprio dal supporto progettuale periniano. Ma, oltre ai problemi di carattere stilistico, l'identificazione di questa pala con quella citata dalle fonti presenta dei problemi di carattere filologico che non posso comunque tacere: a) esiste un affresco della fine del '500, nella Biblioteca Vaticana, che ripròduce l'interno della chiesa dei SS. Apostoli con grande minuzim.ità e, come è stato rilevato 10 , mostra con grande fedeltà i dipinti che vi si trovano (ad esempio, appare identico nella riproduzione l'affresco di Melozzo). Mentre la Deposizione che, come si vede con chiarezza, è posta sulla parete della cappella Muti-Papazzurri, non corrisponde nell'iconografia al quadro di Poznan (fig. 4 ). b) Inoltre, anche in una descrizione della chiesa fatta nel 1660 da Bonaventura Malvasia 11 il quadro differisce da quello di Poznan. c) E infine, in un documento del 1808 {questa notizia mi è stata fornita dal dott. Hunter ), le misure del quadro non coincidono con quelle della pala di Poznan. (Va detto qui che il dott. Hunter è tuttavia

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convinto che le due opere coincidano e pensa che queste discrepanze siano imputabili a casuali imprecisioni. Il che in effetti è anche possibile, ma non pacificamente accettabile) . . Debbo dire ancora quali sono le conclusioni dei dissenzienti. Waterhouse suppone che il dipinto del Siciolante fosse andato in rovina col tempo e che fosse stato sostituito dagli stessi Muti con un'altra Deposizione della metà del '500 (quella che oggi è a Poznan), al tempo in cui la chiesa fu restaurata, cioè all'inizio del '700: soluzione che appare in realtà un po' tortuosa. Bruno non - propone alcuna soluzione (forse perché accetta tacitamente quella del Waterhouse). E aggiunge che il quadro di Poznan è comunque del Siciolante, ma sarà uno di quelli menzionati dalle fonti, ed eseguiti negli anni '50, che sono stati considerati dispersi. Rimane comunque il fatto, ripeto, che l'opera di Poznan proviene senza alcun dubbio dalla chiesa dei SS. Apostoli.

I nftuenze periniane Nel 1544 (dal 29 giugno al 22 agosto) il Siciolante riceve pagamenti per i lavori farnesiani di Castel Sant'Angelo; e precisamente per affreschi nella loggia

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di Paolo III. In questa loggia la sua presenza è dunque documentata inequivocabilmente 12 • In questo brano superstite delle decorazioni della loggia (fig. 5) si può vedere che l'andamento lineare è decisamente di stampo perinesco (il tipico panneggio a voluta), ma emergono già nella costruzione della figura certe ricerche strutturali e direi una certa pesantezza, elementi estranei a Ferino che era volto soprattutto a raggiungere preziose soluzioni formali. Dell'eventuale intervento del Siciolante nella Sala Paolina, non documentato, ma oggi concordemente accettato, parlerò dopo, poiché esso è comunque da porre in un momento successivo. Certamente il 3 novembre del 1545 il Siciolante si trovava a Piacenza, poiché a quella data scriveva una lettera al suo signore e protettore Bonifacio Caetani 13 , riferendogli appunto che era giunto a Piacenza e che si era presentato al duca Pier Luigi Farnese. Sembra che il Farnese non avesse mostrato molto interesse per la sua opera, sicché il pittore si lamenta col Caetani che se avesse previsto ciò non avrebbe lasciato Roma. E aggiunge che fino a quel momento il duca gli ha commissionato soltanto un grande quadro con la Madonna e altre figure. Conclude che se non gli sarà offerto altro lavoro se ne tornerà a Roma in primavera. Non sappiamo in realtà se poi gli fu offerto altro lavoro oltre a quel quadro, né se veramente in primavera se ne

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ritornò a Roma. Certo è che il quadro che si trova oggi nella Pinacoteca di Parma può coincidere con quello menzionato nella lettera (fig. 6 ). Questo quadro si mostra senz'altro sulla linea della pala Caetani, ma le influenze periniane qui sono ancor più e:.videnti, forse anche perché la maggiore sicurezza tecnica raggiunta dal pittore lo libera da quelle rigidità che nel primo dipinto si opponevano ai caratteri periniani. Fra l'altro, tra la pala Caetani e questo quadro c'era stata l'esperienza della stretta vicinanza con Ferino a Castel Sant' Angelo. È interessante ricordare che questo quadro in passato era stato attribuito a Ferino e fu il Voss, nel 1920, a restituirlo al Siciolante 14 • Tuttavia anche qui, e specialmente nella figura della Madonna, il Siciolante si oppone a Ferino e questa volta, sembra, consapevolmente, in una certa tendenza al « gigantismo », un aspetto che caratterizzerà le sue figure nell'arco dell'intera produzione, e diventerà una delle sue cifre peculiari. Certamente dovuta ad una suggestione michelangiolesca, ma, in questa fase, ancora soltanto generica e superficiale, quasi una moda, un apporto ambientale inevitabile soprattutto per gli artisti venuti a Roma dalla provincia, quali ad esempio anche un Livio Agresti e persino un pittore dalla personalità più definita come Marco Pino da Siena che non si sottrae a certi tipici allungamenti della fìgu-

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ra. Ma nel Siciolante l'aspetto michelangiolesco si preciserà in una ricerca più attenta e sostanziale solo in un momento degli anni '50, come voglio sostenere, a contatto diretto con alcuni artisti che operavano sulla linea di Michelangelo, e presenterà allora, per un certo tempo, caratteri di più autentica adesione. Non si sa, come ho detto, quando il Siciolante ritornò a Roma dall'Emilia. Abbiamo un totale vuoto di notizie per gli anni '46 e '4 7 durante i quali egli potrebbe essere stato a Roma, oppure essere rimasto a Piacenza. Comunque, nel 5ettembre del '47 il duca Farnese veniva assassinato e certamente oltre quella data il pittore non aveva più ragione di rimanere a Piacenza, ammesso che vi fosse rimasto fino -ad allora. Ma ciò sembra improbabile. Forse in questi anni si deve collocare la decorazione della cappella Caetani nella chiesa di S. Giuseppe a Sermoneta, che mostra una accentuata influenza di Perino nelle varie scene narrative; e l'influenza di un altro raffaellesco, Baldassarre Peruzzi, come ha notato la Davidson 15 , nella ripartizione decorativa che ricorda quella, appunto, della peruzziana cappella Ponzetti a Santa Maria della Pace (fìgg. 17, 18). Nel '48 firma una pala con Madonna e Santi, commissionatagli dal bolognese Matteo Malvezzi per la chiesa di S. Martino Maggiore di Bologna, dove il qua-

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dro si trova tuttora (fig. 7). Si deve però rilevare che il Malvezzi era morto nel giugno del '4 7, e dedurre da ciò che la commissione era stata fatta prima di questa data. Sicché è possibile che il Siciolante nel '4 7 avesse soggiornato per un certo periodo a Bologna ma, aggiungo, non è certo che vi fosse rimasto anche dopo la morte del Malvezzi; e potrebbe aver eseguito la pala a Roma, e averla inviata poi a Bologna dopo il compimento, tanto più che questa era una prassi da lui altre volte seguita. Anche la data, in questo caso, non costituisce dunque un documento sufficiente a tutti gli effetti: in particolare, non basta per attestare la presenza del pittore a Bologna nel '48, e ancor meno per provare che egli si fosse trattenuto in Emilia continuamente dal novembre del '45 sino al '48. E, come si vede, le ipotesi possibili sono parecchie. Voglio esaminare brevemente questo quadro che, come è evidente anche al primo sguardo, mostra dei caratteri diversi rispetto alla pala di Parma, e una impostazione nuova per il Siciolante. Intanto, rispetto alle opere precedenti denuncia una rigorosissima programmazione strutturale nell'impianto architettonico saldo e serrato. Anche le figure si pongono come assi di una costruzione, pur non essendo rigide come ad esempio quelle della pala Caetani. La Davidson vi vede l'influenza della cultura quattrocentesca di artisti « co-

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me il Ghirlandaio » 16 ; ed è vero infatti che qui il Siciolante risente di uno schema quattrocentesco; ma ciò che mi sembra specificamente da sottolineare è il rapporto di questo quadro con le pale tardo-quattrocentesche del Costa e del Francia che si trovano in gran numero nelle chiese di Bologna 17 • Ne voglio mostrare qui qualcuna: quella eseguita da Lorenzo Costa nel 1488 per i Bentivoglio (fig. 8); e, sempre del Costa, la pala Ghedini, nella chiesa di S. Giovanni in Monte, del 1497 (fig. 36). Solo che in questi quadri è dato molto spazio agli sfondi architettonici o al paesaggio, mentre il Siciolante (e ciò si vede soprattutto nel confronto) serra le figure in uno spazio appena sufficiente a contenerle, con un rigore che non sembra soltanto dovuto ad una esigenza di struttura formale, ma nel quale si identifica uno dei caratteri sostanziali del Siciolante, e cioè quella sua forma di rigorismo religioso che, come è stato rilevato, risente dello spirito della Controriforma e « anticipa i decreti del Concilio di Trento sull'arte» 18 • Già fin dagli anni '40, quindi molto prima che si precisassero i programmi iconografici della chiesa controriformata, il Siciolante perseguiva la sua ben precisa poetica di stampo, si può dire, purista, fondata sulla chiarezza dei contenuti e sulla essenzialità della raffigurazione: che sono i caratteri di un' arte rivolta soprattutto a convincere, più che a dilet-

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tare. Ma si deve aggiungere che la qualità di questo dipinto è tuttavia alta, proprio sotto il profilo della bellezza formale, direi quasi malgrado il severo impegno essenzialmente contenutistico del pittore. Il Siciolante qui aveva ormai raggiunto una piena perizia pittorica, nella resa di una materia levigatissima e lucida e di un cromatismo caldo e prezioso, che diverranno elementi di riconoscibilità della sua « mano »: specie per un certo caratteristico cangiantismo dei colori. In relazione a questa pala è interessante vedere un esempio di quella ripetizione di schemi a distanza di tempo effettuata dal pittore, e nello stesso tempo si potrà osservare come, nonostante la ripetizione formale, una serie di opere possa mostrare, attraverso il tempo, sostanziali differenze di sensibilità. Si veda ad esempio la pala di S. Eligio .dei Ferrari (fìg. 9 ), che ritengo si debba .datare intorno al '66, poiché il Vasari, scrivendo nel '68, la dice eseguita « non ha molto » 19 • In questa, rispetto alla pala di Bologna, la forma si è come slargata, rilassata, come se nella ripetizione il pittore avesse perduto quella tensione che anima un fatto creativo nella sua prima battuta. Ma non è soltanto questo. È che in generale tutta la produzione del Siciolante, a partire dagli anni '60, si paluderà di vesti ufficiali e l'autentica religiosità che egli mostra nelle opere precedenti si cristal-

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lizzerà in fredde forme statiche e lievemente declamatorie. Una terza pala che segue ancora il medesimo schema è quella eseguita dal Siciolante per la chiesa di S. Bartolomeo ad Ancona, che oggi si trova nella parrocchia1e di Calcinate, presso Bergamo (fig. 10 ). È datata 1570. E infatti mostra (ma solo ad un esame in profondità) uno stadio ancora successivo rispetto alla pala di S. Eligio nel senso del processo di enfatizzazione e di conseguente raffreddamento. La struttura del trono è divenuta ancor più imponente; si è ingrandita la distanza tra i due piani della raffigurazione per rendere più solenne la collocazione in alto della Madonna. Ma il risultato è indubbiamente di una maggiore esteriorizzazione del tema e di una certamente minore suggestività. Eppure, la tipologia delle figure è uguale in tutte e tre le pale, lo stile è identico. Ecco un .tipico trabocchetto per gli studiosi. I quali, in modo particolare nel caso del Siciolante, come ho detto, sono costretti a guardare a fondo nell'opera per poterne definire la posizione cronologica senza lasciarsi ingannare dagli schemi formali.

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Gli anni '50 Detto questo, voglio focalizzare la visione su quelle opere che mi sembra, come ho detto all'inizio, si debbano collocare negli anni '50; ma, ripeto, per far ciò dovrò procedere soltanto per indizi. Intanto voglio indicare le premesse di questo momento in un'opera che si deve datare nel '48, e certamente dopo la pala di Bologna. Mi riferisco all'affresco condotto dal Siciolante nella cappella Dupré a S. Luigi dei Francesi. Abbiamo in proposito un documento. Anche questo ambiguo, e per una doppia ragione. La prima è che esso fornisce solo la data della commissione e, ovviamente, non quella della effettiva realizzazione dell'opera; la seconda ragione di ambiguità è data dal fatto che questo documento non è trascritto, ma riportato con parole proprie, da Umberto Gnoli 20 ; e non sappiamo se lo Gnoli lo riporta nei termini esatti, poiché a nessuno è stato dato di rintracciarlo. Gnoli dice che in data 13 novembre 1548, « essendo alcuni giorni innanzi morto Ferino » ( al quale era stata commessa la decorazione della cappella), la stessa commissione viene passata a Jacopino del Conte con l'impegno di compierla entro un anno. Si deve intanto rilevare una imprecisione di Gnoli, che riporta erroneamente l'anno, poiché si sa che Ferino del Vaga morl il 19 ottobre del '4 7 e

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non del '48. Tuttavia, salvo l'errata trascrizione del1'anno, coincide con il vero l'affermazione che il 13 novembre Ferino era morto da poco. È noto e accertato che nella cappella lavorò il Siciolante e vi esegui l'affresco che raffigura il Battesimo di Clodoveo: tutte le fonti sono concordi in proposito. Dal documento si deve dedurre dunque che il nostro pittore fu chiamato da Jacopino a collaborare con lui, e, nell'impossibilità di verificare, si deve credere che, come imponeva l'accordo, la cappella fu compiuta entro un anno. Su questa base l'intervento del Siciolante si deve datare 1548 e non oltre. Insieme con i due lavorò anche Pellegrino Tibaldi (che probabilmente aveva iniziato a lavorare nella cappella insieme con Ferino), artista notoriamente incline alla ricerca di ascendenza michelangiolesca che faceva capo a Daniele da Volterra. In questa cappella il Tibaldi dovette lavorare, a mio avviso, su disegni di Ferino. E tuttavia, al di sopra dei moduli periniani, è possibile vedere, nell'affresco che gli si attribuisce con certezza, quella ricerca di esigenza volumetrica che assume la figura umana come struttura geometrica, come« blocco »; quella ricerca cioè che molto bene è stata definita ed analizzata nelle sue più profonde motivazioni culturali da Maria Cali 21 • Ora, la mia supposizione è che il Siciolante dovette riportare nuove suggestioni da questa contiguità col Tibaldi.

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È inoltre da tenere presente che proprio intorno al '48

Daniele da Volterra portava a compimento la Deposizione di Trinità dei Monti che costitul un testo basilare sulla linea della ricerca volumetrica. Voglio infatti rilevare che nell'affresco del Siciolante nella cappella Dupré si può vedere un particolare che conferma la mia supposizione (fig. 16). Il pittore qui esegue la maggior parte della scena secondo i suoi moduli abituali, disegnando le figure (che sono sempre le consuete sue figure, ben riconoscibili) con un linearismo analitico, a volte addirittura serrato e insistito, sempre quello di provenienza periniana. Ma sulla destra egli modella una figura completamente diversa e nella quale appare. una ricerca del tutto opposta: una ricerca, cioè, di definizione volumetrica con la riduzione al minimo dell'elemento grafico; o, se si vuole, una ricerca di sintesi e di semplificazione dei dati descrittivi a vantaggio dei dati espressivi. Che denota una reale adesione alla cultura e alle ragioni di Michelangelo, molto più profondamente del generico gigantismo già rilevato nelle opere precedenti. È dell'estate del '49 la serie di dipinti su tela che il Siciolante esegui su commissione di Claude d'Urfé, ambasciatore francese a Roma, dipinti che furono inviati in Francia e collocati nella cappella del Castello della Bastie d'Urfé, dove si trovano tuttora. Anche in

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questi quadri, che sono stati identificati nel 1972 22 , mi sembra di poter cogliere i segni del nuovo orientamento del Siciolante in direzione della semplificazione del segno a vantaggio della resa espressiva del volume (figg. 11-15). Nell'ultimo di questi dettagli, soprattutto, la figura a destra che sta versando il contenuto di un cesto in una grande caldaia è impressionantemente tibaldesca, proprio come la figura femminile nell'affresco di S. Luigi dei Francesi. Ai dipinti della Bastie d'Urfé io credo si debba far seguire un ciclo di affreschi, oggi non datati né databili con precisione: quelli che il Siciolante eseguì per i Fugger nella cappella di Santa Maria dell'Anima. L'unica notizia relativa a quest'opera è un sollecito da parte delle autorità della chiesa ad Anton Fugger di decorare la cappella 23 • Questo sollecito veniva fatto nell'aprile del '49, ma noi non sappiamo in realtà quando la cappella fu decorata. Io direi tuttavia non molto tempo dopo. Certo mi sembra che quando il Siciolante fece questi affreschi doveva essere sotto la immediata suggestione dell'Assunta che Daniele da Volterra aveva eseguito intorno al '50 a Trinità dei Monti (fig. 3 7 ). Infatti, nella calotta della volta della cappella Fugger, il Siciolante esegue un'Assunzione che appare direttamente influenzata da quella di Daniele (fig. 38 ).

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È qui evidente inoltre come il Siciolante volga la

propria attenzione anche ad un'altra opera compiuta nello stesso periodo su quella medesima linea di ricerca: mi riferisco alla decorazione della cappella Gabrielli alla Minerva, eseguita da Battista Franco nel '50; e in particolare alla figura della Sibilla dipinta nel lunettone della parete sinistra ,(fig. 39 ). Del resto, a sua volta Battista in questi affreschi si ispira con evidenza alla Adorazione dei pastori compiuta dal Tibaldi nel '48. E non è superfluo ricordare che il Siciolante aveva lavorato con Battista Franco proprio nel '50, ad un affresco sulla facciata del Palazzo Cesi 24 • Anche nel caso di questa Assunta Fugger si può segnalare una figura simile che verrà ripetuta, nello schema, dal Siciolante in periodi diversi e a distanza di molto tempo; ma nelle raffigurazioni più tarde l'imponenza suggestiva di questa figura si trasformerà in fredda amplificazione retorica. Si veda l'Assunzione che il pittore dipingerà tra il '68 e il '70 per la cappella Sforza in Santa Maria Maggiore (fìg. 21 ). Qui tutta la raffigurazione si è amplificata enfaticamente, e il sentimento religioso è divenuto un costume devozionale dichiarato a gran voce. Persino nel raffronto tra due disegni dell'artista, eseguiti a distanza di tempo, si può rilevare la differenza di mentalità tra i due momenti culturali diversi. Uno è il disegno per l'Assunta Fug-

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ger (fig. 40 ). Qui la monumentalità della forma è tutt'uno ancora con l'espressione interiore: ed è significativo che questa sia rilevabile anche in un disegno. E se questo disegno si confronta con quello, più tardo, eseguito nel '7 4 come schizzo preparatorio per la pala di S. Tommaso in Formis (fig. 41), si vedrà come questa Madonna, pur mostrando forme analoghe, presenti tuttavia soltanto un generico « gigantismo » di superficie, ed altro non è ormai se non la traduzione retorica della immagine precedente, priva della qualità espressiva di quella. Anche gli altri affreschi della cappella Fugger mostrano la medesima linea di ricerca (figure 42 e 43 ). È stato osservato che, per gli sfondi architettonici di questi due affreschi il Siciolante sembra essersi ispirato all'affresco del Peruzzi con la Presentazione della Vergine al tempio, eseguito intorno al '18, nell'attigua chiesa di Santa Maria della Pace (fig. 44) 25 • Ed è possibile. Ma nel raffronto si può anche vedere come le due opere appartengano a culture differenti, e come l'affresco del Peruzzi, rispetto ad opere come queste improntate alle nuove ricerche volumetriche, appaia un testo arcaico. Una considerazione particolare va fatta su un altro degli affreschi Fugger: quello che raffigura la Nascita della Vergine (fig. 45). Anche qui è evidente

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la forte suggestione michelangiolesca, mediata attraverso gli esiti del Tibaldi, di Battista Franco e di Daniele da Volterra. Un'analoga raffigurazione sarà adottata dal Siciolante in un affresco dello stesso tema, eseguito più tardi, nel 1565, a S. Tommaso dei Cenci (fìg. 46 ). Ma a mio avviso il raffronto mostra anche in questo caso la distanza culturale tra le due opere; e mette in evidenza come le serrate forme della cappella Fugger si slarghino, nell'affresco più tardo, perdendo ogni tensione, formale e intellettuale. Curioso, peraltro, in uno di questi affreschi di S. Tommaso dei Cenci, il ritorno a moduli periniani nell'Angelo annunziante (fìg. 47). Tra il '50 e il '51 il Siciolante lavorò in una stanza del palazzo del cardinale Capodiferro, oggi Palazzo Spada. L'opera è menzionata dal Vasari e dal Baglione, che parlano di affreschi condotti dal Siciolante in una sala con i « fatti dei Romani» 26 • La stanza è stata identificata circa otto anni fa, quando fu effettuato un restauro sotto la direzione di Luisa Mortari, che portò alla luce gli affreschi del Siciolante. Oltre ad una serie di scene narrative (sulla cui interpretazione iconografica, ancora controversa, so che sta per essere pubblicato uno studio di Raymond Keaveney ), agli angoli della sala sono raffigurate delle grandi cariatidi dalle braccia massicce (fìg. 48 ), nelle quali si può riconoscere

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un tipo femminile del Siciolante, ma qui raffigurato iri maniera particolarmente monumentale e semplificata. Anche la Mortari, nel pubblicare questi affreschi, notava che queste figure erano particolarmente robuste 27 ; io aggiungo che esse sono, appunto, sulla linea delle nuove esperienze. A chi dubitasse che queste figure siano del Siciolante voglio proporre il raffronto tra queste e alcune figure femminili che il pittore esegui nel Palazzo Orsini-Barberini di Monterotondo, innegabilmente analoghe ( fig. 49). Da questo raffronto si deduce fra l'altro una datazione per gli affreschi di Monterotondo, che appaiono quindi anch'essi da collocarsi nei primi anni '50. In un altro di questi affreschi (fig. 50 ), insieme con l'accentuata ricerca plastica, riemergono ancora certi moduli lineari di indubbia ascendenza periniana. Queste figure di Monterotondo poi, a loro volta, sono le più simili che sia dato di trovare ad alcune allegorie femminili affrescate nella Sala Paolina di Castel Sant' Angelo. Come ho detto, la presenza del Siciolante nella Sala Paolina non è accertata su base documentale, ma riconosciuta concordemente in quasi tutti gli studi recenti. L'avvio è stato dato da un'attribuzione della Davidson 28 relativa alle due figure di un sovrapporta (fig. 51). Seguiva una attribuzione orale di Ferdinando Bologna, relativa alla figura dell'imperatore Adriano

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(fig. 52). Successivamente, Maria Calì 29 ·attribuiva al Siciolante la figura della Fortezza (fig. 53 ). E io, nel mio articolo dell'anno scorso 30 , estendo la supposizione alla figura della Giustizia ( fig. 54) 31 • Si deve intanto tenere presente che queste figure furono certamente eseguite su cartoni di Perino. Da ciò deriva il loro aspetto perinesco, che però è con evidenza tradotto in forme più massicce, tipiche appunto del Siciolante. Si impone un ulteriore raffronto con altre figure di Monterotondo, quelle raffiguranti alcune dee: Minerva (fig. 55), e Diana (fig. 56), che, come si vede, mostrano strettissime analogie con le allegorie di Castel Sant'Angelo. Le opere devozionali

Non è qui il caso di affrontare il problema della datazione di queste figure di Castel Sant' Angelo, poiché ciò comporterebbe una discussione eccessivamente analitica, inopportuna in questa sede. Dirò soltanto che Gaudioso le pone entro il '47 32 , mentre io le suppongo più tarde, in un momento ti-a la fine del '49 e l'inizio del '50, dopo la morte di Perino 33 • In conclusione, a me sembra che si possa dedurre, dalle opere sopra esaminate, che a partire dal '48-'49 il Siciolante si accosta alla ·ricerca di sintesi volumetrica con un interesse che non si limita a prestiti formali este-

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riori, ma vi aderisce con una piena comprensione intellettuale. Non sappiamo quanto durerà questo momento. Poiché ritroviamo il pittore, dagli anni '60 in poi, impegnato in opere di ben differente mentalità, e nelle quali egli appare perfettamente aderente a quella condotta di « regolata mescolanza » codificata dalla letteratura posttridentina. In questo, che è l'ultimo decennio della sua vita, il Siciolante crea delle immagini di carattere devozionale nelle quali ogni contenuto espressivo si raffredda e ogni umore vitale si spegne. Ecco tra queste la Madonna eseguita nel '61 su commissione della famiglia Pini, proprietaria della chiesa di S. Lucia di Osimo (fìg. 57). Già tutta improntata ad una pia tristezza di dichiarata intenzione devozionale: quella che, lungo una linea di continuità, porterà ali'« arte senza tempo » (per usare un'espressione ormai famosa) dei cosiddetti santini. Va detto comunque che la qualità pittorica, in senso strettamente tecnico, di questo quadro, al di là delle cadute espressive del Siciolante, è sempre brillante. Abbiamo ammirato questo dipinto di recente alla mostra del Lotto e ne abbiamo potuto prendere atto 3-4. Caratteri analoghi presenta il trittico che si trova oggi nella Galleria Colonna (fìg. 27) e che qui voglio menzionare per una ragione particolare: non è stato infatti mai rilevato che quest'opera è perfettamente documentata da un atto pubblicato da Gnoli, datato 7 ottobre

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1565, nel quale vengono citate le tre tavole e si specifica che esse sono state eseguite dal Siciolante come scomputo di una somma che il pittore doveva a Giovan Pietro de Cordoba 35 • In queste tre figure è ancora più accentuato che nel quadro di Osimo l'atteggiamento edulcorato tipico dei santini. Altre opere emblematiche di questo periodo tardo sono (ne cito solo alcune) le tre Crocifissioni, rispettivamente, di Santa Maria di Monserrato, eseguita per la chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli tra il '64 e il '65 (fig. 25); del duomo di Palestrina (fig. 24 ), e di San Giovanni in Laterano (fig. 29), eseguita tra il '68 e il '73. L'opera estrema, quella cioè da ritenersi tale per la sua datazione, è la pala di S. Tommaso in Formis (fig. 30), databile appunto su base documentaria 1574 36 • Anche in questo dipinto, nel quale l'intento devozionale appare dichiarato ed esclusivo, si è ancora una volta divisi nel giudizio tra il contenuto pietistico e la innegabile ottima qualità pittorica che, in ogni caso, almeno a partire dalla pala di Bologna del '48, si deve sempre riconoscere al Siciolante. Ma ancora una volta voglio sottolineare la maggiore validità di quella produzione che ho raggruppato negli anni '50; e suggerire a conclusione un raffronto retrospettivo dal quale emergerà, tra quelle opere e queste tarde, una differenza tale che, se non fossimo in possesso di documenti inequivocabili, ci indurrebbe a sospettare che ci troviamo di fronte a due pittori diversi.

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NOTE

1 G.

BAGLIONE,

Le vite de' pittori scultori et architetti, Roma

1642, p. 23. 2 F. ZERI, Intorno a Gerolamo Siciolante, in « Bollettino d'Arte», 36, 1951, pp. 139-149; in part. p. 141 e fìg. 3. 3 Cfr. G. VASARI, Le vite de' più eccellenti pittori scultori et architettori, (1558), ed. cons. Milanesi, Firenze 1973, voi. V, p. 632; e voi. VII, p. 571; nonché BAGLIONE, Le Vite, p. 23. 4 V. ancora VASARI, Le Vite , val. VII, p . 571. 5 BAGLIONE, Le Vite, p. 23. 6 Cfr. J. BlALOSTOCKI-M. WALICKI, Europiiische Malerei in Polnischen Sammlungen [1957), scheda n. 100. 7 E. WATERHOUSE, Some frescoes and an altar-piece by Gerolamo Siciolante da Sermoneta, in « Burlington Magazine», febbraio 1970, pp. 103-107; in part. p. 107; e R. BRUNO, Girolamo Siciolante. Revisioni e verifiche ricostruttive, in « La Critica d'Arte», n. 130, 1973, p. 59 e p. 70, nota 10; e IDEM, « La Critica d'Arte», n. 136, 1974, p. 39. 8 T. PUGlIATTI, Due momenti di Girolamo Siciolante da Sermoneta e il problema degli interventi nella Sala Paolina di Castel Sant'Angelo, in « Quaderni dell'Istituto di Storia dell'Arte medievale e moderna. Facoltà di Lettere e FiJ.osofìa. Università di Messina», n. 4, 1980, pp. 1129; in part. pp. 16-17. 9 John Hunter mi fa notare che Pompilio Totti nel 1638 citava il quadro"dei SS. Apostoli come opera di Ferino. 10 WATERHOUSE, Some frescoes, p. 107; BRUNO, Girolamo Siciolan . te, n. 130, p. 59. 11 B. MALVASIA, Compendio historico della ven. basilica de' SS. Dodici Apostoli in Roma, Ròma 1665, pp. · 45-46. 12 Archivio .d i •Stato, Roma, Commissariato Soldatesche e Galere, bu. sta · 15, fosc. 9, cè. 2, 16, 20. Questi documenti sono stati rintracciati e

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resi noti per la prima volta da c. D'ONOFRIO, Castel Sant'Angelo, Roma 1971, p. 247, e ripubblicati recentemente da E. GAUDIOSO, I lavori farnesiani a Castel Sant'Angelo. Documenti contabili (1544-1548), in « Bollettino d'Arte», n. 3-4, luglio-dicembre 1976, pp. 228-262; in part. v. pp. 231 e 252. ··· · 13 B. DAVIDSON, Some early works by Girolamo Siciolante da Sermoneta, in « Art Bulletin », march 1966, pp. 55-64; in part. p. 58. 14 H. voss, Die Malerei der Spiitrenaissance in Rom und Florenz, Berlin 1920, p. 104. Lo studioso identificava il quadro ~ulla base della descrizione fornita dal VASARI, Le Vite, vol. VII, p. 573. 15 DAVIDSON, Some early works, p. 62. La studiosa propone per la cappella di Sermoneta una datazione intorno al 1549, che a me sembra meno probabile. 16 IDEM, p. 60. 17 Analogo accostamento, indipendentemente da me e contemporaneamente, ha fatto John Hunter; e ciò stesso prova la suggestione visiva che queste pale esercitano sul visitatore: quella stessa, credibilmente, che esercitarono sul Siciolante. 18 Il primo a rilevare questo aspetto del Siciolante è F. ZERI, Pittura e Controriforma, Torino (1957), ed. cons. 1970, pp. 37-38; e IDEM, Intorno a Girolamo Siciolante, passim. Per la frase da me citata v. · specificamente DAVIDSON, Some early, p. 58. 19 VASARI, Le Vite, vol. VII, p. 573. 20 u. GNOLI, Documenti senza casa, in « Rivista d'Arte», XVII, serie II, anno V.II, 1935, p. 217. 21 M . CALÌ, Da Michelangelo all'Escorial. Momenti del dibattito religioso nell'arte del Cinquecento, Torino 1980. 22 Cfr. o. RAGGIO, Vignate, Fra Damiano et Gerolamo Siciolante à la chapelle de la Bastie d'Urfé, in « Revue de l'Art.», n. 15, 1972, pp. 29-52. 23 J. SCHMIDLIN, Geschichte der deutschen Nationalkirche in Rom S. Maria dell'Anima, Freiburg 1906, p. 243. Il documento •peraltro non è reperibile. 24 VASARI, Le Vite, vol. VI, p. 584. 25 ZERI, Intorno a Gerolamo, p. 144. u, VASARI, Le Vite, vol. VLI, p. 572; BAGLIONE, Le Vite, pp. 23-24. Quest'ultimo aggiunge che il fregio è dovuto a Lutio Romano. Ma sino ad oggi non è stato possibile identificare fa mano di Lutio. 27 L. MORTARI, Gerolamo Siciolante a Palazzo Spada Capodiferro, in

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«Commentari», fase. 1-11, XVI, 1975, pp. 89-97; in part. p. 94 e figg. 7, 9, 11. 28 DAVIDSON, Some early, p. 59. 29 CALÌ, Da Michelangelo, p. 173. 30 PUGLIATTI, Due momenti, p. 13 e passim. Vedi inoltre, più recentf.mente, E. GAUDIOSO, in Gli affreschi di Paolo III a Castel Sant'Angelo, Catalogo della mostra, Roma 1981, passim: l'autore accoglie tutte le suddette attribuzioni. 31 Non si deve, peraltro, dimenticare che il Celio, autore di solito attendibile, dice il Siciolante attivo nella « Sala dipinta » di Castel Sant'Angelo (appunto, la Paolina), insieme con Livio Agresti, Pellegrino Tibaldi e il « Fattor buono» Cfr. G. CELIO, Memorie detti nomi dell'artefici... , Napoli, 1638, p. 150. 32 GAUDIOSO, I lavori farnesiani, in « Bollettino d'Arte» n. 1-2, 1976, pp. 21-42, passim. 33 PUGLIATTI, Due momenti, passim; IDEM, Un fregio di Pellegrino Tibaldi nel palazzo Ricci-Sacchetti a Roma, in una Miscellanea di studi dedicati a Federico Zeri, in corso di stampa a Ginevra, v. nota 19. 34 V. Catalogo Mostra Lorenzo Lotto nelle Marche. Il suo tempo, il suo influsso, (Ancona), Firenze 1981, scheda 126 a cura di M.R. VALAzzr, p. 434. 35 GNOLI, Documenti, p. 219. 36 r. TOESCA, Due opere del Siciolante, in «Paragone», n. 187, 1965, pp. 57-58.

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Luigi Fiorani LETTERE DI GIROLAMO SICIOLANTE NELL'ARCHIVIO CAETANI DI ROMA E NOTIZIA DEL RITROVAMENTO DI UN'OPERA DI TULLIO SICIOLANTE


e

ontrariamente a quanto ci si poteva aspettare, la presenza di Girolamo Siciolante nei documenti conservati nell'Archivio Caetani di Roma è assai scarsa, e si esaurisce, sostanzialmente, in un piccolo complesso di lettere distribuite lungo un vasto arco di anni, 1545-157 4, che le rende estremamente frammentari e lacunose, tale da escludere la possibilità di una loro lettura unitaria. Un insieme relativamente modesto, che è tuttavia da raccogliere con attenzione, per precisare non solo alcuni dati esterni della sua biografia e della sua lunga amicizia con alcuni membri della famiglia Caetani, ma della sua attività artistica, che proprio in questi documenti trova il sostegno definitivo per l'attribuzione di alcune importanti opere d'arte. La famiglia Caetani domina nella vita del Siciolante, come uno dei perni fondamentali: ragioni di amicizia, di protezione mecenatesca, di schietta e, non necessariamente cortigianesca, simpatia per alcuni personalità rilevanti della casata stanno alla base di questo rapporto, nel quale il pittore si sente perfettamente a suo agio e di cui sembra avvertire il richiamo

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specie quando, lontano da Sermoneta e da Roma, si troverà a sperimentare la misurata accoglienza di altri sovrani o l'indifferenza di qualche corte principesca. La storia di questo rapporto si riflette, sia pure di scorcio e a larghi tratti, in queste lettere, in parte già note, ma che vengono ora pubblicate per la prima volta integralmente. Sono conservate nel Fondo generale dell'Archivio Caetani di Roma, che nonostante accurate ricerche, non sembra riservare altri scritti del Siciolante e neppure documentazione utile a lumeggiare qualche aspetto della sua attività artistica 1• Certamente materiale documentario può essere rifluito tra le carte di altre famiglie o presso qualche altra istituzione, o comunque in archivi dove si conservano le carte delle persone con le quali egli ebbe modo di intrattenere rapporti di committenza o di pura e semplice amicizia. Ma per quanto riguarda il complesso aelle lettere può avanzarsi l'ipotesi che esso non dovette assumere dimensioni imponenti, perché il Siciolante dà la precisa impressione di essere tutt'altro che un disinvolto compilatore di messaggi epistolari. Questa esigua raccolta di scritti mette infatti in evidenza una certa ritrosia dell'autore per la scrittura, che appare stentata ed elementare, cosi lontana da quella che talvolta artisti famosi del Rinascimento seppero piegare alle loro inquetudini interiori, proiettandovi i pas-

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saggi fondamentali delle loro esperienze più profonde. Se dunque queste lettere vanno probabilmente considerate come gli unici autografi superstiti del Siciolante, si tratta evidentemente di una raccolta documentaria piuttosto rilevante per la comprensione di uno dei maestri del Cinquecento romano, che muovendosi costantemente tra committenza principesca e committenza religiosa, seppe interpretare con duttile aderenza il decoro della nobiltà emergente e insieme i canoni della nuova pietà religiosa appena uscita dalla teologia tridentina.

Il duca Bonifacio Caetani

Tutte le lettere sono indirizzate al duca Bonifacio Caetani (1516 c.-1574), figlio di Camillo I, al quale era toccata la sorte di restaurare lo stato di Sermoneta, dopo la confisca e lo spogliamento operati dal papa Alessandro VI e dai suoi famigliari 2 • Il primo Cinquecento è in effetti un momento centrale nella lunga vicenda del feudo, nel senso che, sottratto alla sfera d'influenza dei Borgia, esso venne sempre più avvicinandosi a quelle che saranno le costanti storiche della famiglia, ossia una grande forza della periferia dello Stato della Chiesa che non accetta di la-

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sciarsi travolgere dai giochi politici locali, ma cerca di assumere un suo ruolo all'interno delle politiche dei grandi Stati, e, com'è naturale, all'interno dello stesso Stato pontificio. Il feudo di Sermoneta, anche per la posizione geografica intermedia tra il regno di Napoli e i territori a nord dello Stato della Chiesa, e per il tradizionale collegamento con i grandi centri dell'Europa politica e diplomatica, costituiva un fattore importante sul piano dei grandi equilibri che si stabiliscono e si affrontano lungo tutto il secolo sul versante francese e imperiale. Bonifacio Caetani si trova immesso sin da ragazzo in questo orizzonte, tanto più vasto del pur ampio territorio che costituiva il feudo paterno. Nel 1527 - l'anno tremendo del sacco di Roma - fu infatti tenuto in ostaggio per nove mesi dagli Spagnoli a Sermoneta 3, e non tardò poi ad entrare nella militanza antispagnola che aveva informato la politica tradizionale della famiglia. La sua dimensione umana ci sfugge largamente, al di là delle notizie di carattere diplomatico e amministrativo ricorrenti nelle carte dell'Archivio Caetani. Sappiamo che la sua educazione letteraria fu effettuata a Roma 4 e si svolse all'ombra di alcuni grandi personaggi del mondo curiale e nobiliare romano. Ebbe così modo di vedere da vicino come si costruivano le strategie familiari e per quali vie si stringevano alleanze e patti d'azione,

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frequeritando Casa Farnese da cui poco dopo usciva Paolo III, amico e munifico protettore dei Caetani 5 • La sua prima esperienza di rilievo fu presso la corte del re di Francia 6, dove divenne, nel 1550, capitano delle armi, senza peraltro riportare i vantaggi e il successo che si attendeva. Nel 1555, subentrato al padre, dovette sventare un'ennesima congiura dei Caetani di Maenza, sostenuti dal viceré di Napoli che da tempo aspirava al predominio delle terre del feudo confinanti con il Regno e, in prospettiva, cercava di allargare la sfera di influenza degli spagnoli in Italia a danno del papa e dei sovrani filofrancesi. Bonifacio seppe operare energicamente nella difesa della Marittima e in genere del litorale del basso Lazio, il che gli valse dal papa il titolo di generale delle milizie pontificie 7• Anche se i rapporti con il papa non andarono esenti da qualche contrasto, questa politica sostanzialmente allineata a quella pontificia gli assicurò una certa tranquillità all'interno del suo feudo. Ne approfittò per dedicarsi a opere edilizie e a interventi di restauro di grande impegno. Nel 1557 fortifica la rocca e la città di Sermoneta, mentre a partire dal 1562 dà un impulso decisivo per la soluzione di un annoso problema, quello delle invasioni da parte di pirati e di marinai di ventura delle regioni costiere nella zona del Circeo, che sottoponevano a violenze e

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a periodici saccheggi le popolazioni del luogo 8 • Bonifacio organizza un sistema difensivo certamente ragguardevole, articolato su una serie di torri (del lago di Paola, del Fico, della Cala Cervia e Cala Moresca), in grado di reggere alla forza d'urto, anche in virtù di un attento impiego dei presidi militari. E in questa linea di interventi edilizi il suo nome è soprattutto legato alla ripresa urbanistica di Cisterna, la località più a settentrione del feudo e la meno distante da Roma, che soltanto all'inizio del Cinquecento stava lentamente ripopolandosi e organizzando le sue strutture civili dopo un passato di periodiche devastazioni. Bonifacio dette un notevole impulso edilizio ( tra l' altro fece erigere intorno al 1570 la chiesa di S. Antonio 9 dove Siciolante « molte figure effigiò ancora a fresco [ ... ] e vi fece bellissimi quadri d'altare a olio » 10 ), ma curò in modo particolare il ripristino e l'ampliamento del Palazzo, alla cui decorazione chiamò artisti di grande rilievo come i fratelli Zuccari e lo stesso Siciolante 11 • In sostanza, la figura di Bonifacio assume il valore di un personaggio chiave nella storia cinquecentesca della famiglia, non tanto perché seppe personalmente arrivare a traguardi politici importanti, quanto perché con lui si conclude felicemente un lungo processo di assestàmento economico e si avvia una ordinata ristrutturazione territoriale, ponendo cosi le

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premesse di un secondo Cinquecento che vede alla ribalta, e su posizioni indubbiamente prestigiose, altri uomini della famiglia, come il card. Enrico, camer. lengo di S. R. Chiesa e poi tra il 1589 e il 1591 legato in Francia e in Polonia, o come Onorato IV Capitano generale delle fanterie pontificie vittoriose a Lepanto nel 1572. Bonifacio mori un anno prima di Siciolante, il primo marzo 1574 u. Anche questa coincidenza esteriore, che inscrive in un medesimo arco di tempo due personalità cosi intensamente impegnate su campi diversi di una medesima storia, non è senza significato. Siciolante, in effetti, è osservatore e partecipe di questo lento ma lucido emergere della famiglia, da una dimensione appartata e assorbita quasi completamente nei sussulti di una provincia sempre infida, a una politica e a moduli di vita che certamente mirano lontano e di cui il mecenatismo, la committanza d'arte la splendida vita di corte sono solo alcuni e significativi passaggi. È proprio a questo punto che l'esiguità del carteggio con Bonifacio o con altri della medesima casata apre lacune incolmabili, perché vengono a mancare non solo alcune tessere fondamentali alla ricostruzione della biografia artistica del Siciolante, ma la possibilità di percepire in che modo e attraverso quale commercio di idee e scambi di pensiero egli seppe

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raccogliere il disegno complessivo di questa storia e contribuire, almeno in parte, al suo successo.

Le lettere La prima lettera è datata Piacenza 1545. Ci riporta quindi agli anni giovanili del Siciolante, che nato verso il 1521 doveva avere allora sui 24 anni. Lavorava già da tempo a Roma alla scuola di artisti come Leonardo da Pistoia e Ferino del Vaga, ma aveva anche dato per suo conto, la pala di Valvisciolo ( 1541) ora al castello di Sermoneta, e secondo una cronologia tradizionale, 1~ Pietà per la cappella Muti-Papazzurri nella basilica dei SS. Apostoli. Quando si reca a Piacenza alla ricerca di nuove commissioni presso il duca Pier Luigi Farnese, è quindi un giovane che può esibire da un lato un'attività artistica già ragguardevole, e dall'altro confidare sulla prestigiosa presentazione della famiglia Caetani che proprio in quegli anni stringeva legami di parentela con il cardinale Alessandro Farnese poi papa Paolo III. Ma per un pittore che non amerà viaggiare molto " e che preferirà elaborare a Roma le molte opere che committenze da ogni parte d'Italia gli sollecitavano, il trasferimento si concluse infatti su tutt'altro registro. Troppo diverse erano state

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le speranze rispetto ai risultati concreti. In effetti, la lettera è attraversata dal disappunto per aver trovato un sostanziale disinteresse attorno a se 14 , né è reticente sulle promesse andate a vuoto: « fino adesso non ci vego d'avere a far lavori de molta importanza sì come me fu detto et come me pensavo». A Piacenza, tuttavia, il Siciolante lasciò almeno l'importante lavoro di cui parla il Vasari e che Hunter tende a individuare nella pala della Pinacoteca di Parma (la Sacra Famiglia con l'arcangelo san Michele) 15 • In complesso il soggiorno presso il Farnese non fu felice, e non certo per il carattere del pittore che appare incline sempre a una certa arrendevolezza, e neppure perché difettava il talento. Forse dovevano essere i contraccolpi della travagliata situazione politica sviluppatasi allora nello Stato (è noto che il duca verrà assassinato nel 1547), o forse era la conseguenza di una corte restia all'inserimento di forestieri. In quell'accenno a misure prese dal duca verso i signori turbolenti (« sua eccellentia vole che tutti feudadatari di Parma et Piacenza venghino abitar dentro alle città ») si può forse pensare che proprio nelle incerte condizioni dello Stato andavano ricercate le ragioni non solo della modesta offerta di lavoro, ma anche del mancato inserimento a corte. Di qualche anno dopo ( 5 giugno 1549) è la lettera da Roma a Bonifacio Caetani, nella quale comunica

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che i suoi impegni con l'ambasciatore di Francia a Roma gli impediscono di dar corso alla richiesta avanzata dal duca di dipingere le stanze del castello di Sermoneta. La lettera rispecchia una situazione diversa dalla precedente: qui è un Siciolante maturo, con un nome già famoso e ricercato dalla grande committenza, avviato insomma a quella trama di rapporti con ambienti del mondo politico, diplomatico e religioso che sarà uno dei dati caratteristici della sua carriera 16 • Poiché l'ambasciatore cui Siciolante fa riferimento è Claude d'Urfé, la lettera ha consentito alla critica recente di suffragare l'attribuzione al sermonetano delle undici tele con scene dell'Antico e del Nuovo Testamento da lui dipinte per la cappella del castello della Bastie d'Urfé 11 (figg. 11-15). Le due lettere che seguono sono di scarso rilievo e toccano questioni personali: nella prima ( 1557 circa), firmata insieme .a un certo Pietro Cella si accenna a un grave episodio di violenza, effettuato ai suoi danni da parte di certe « persone con archibusci ». Nella seconda di molti anni dopo (18 agosto 1570) il tono si fa più disteso. Il Siciolante, infatti, che sa di valere qualcosa presso Bonifacio, raccomanda al duca un suo nipote, che« ha dedicato un suo figliolo a farlo prete ». Chiede per lui un beneficio ecclesiastico a Roma, « havendo inteso che V. S. ha delli altri benefitii ».

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La quinta lettera è la più ampia e la più interessante del gruppo, ed è scritta per informare Bonifacio sull'esito di certi acquisti che gli erano stati commissionati. Il duca lo aveva incaricato di completare l'arredo liturgico della chiesa di Sant' Antonio di Cisterna e in particolare di reperire nelle botteghe artigiane di Roma una cornice degna per un quadro della Pietà, che doveva essere forse l'opera d'arte più importante della chiesa. Era una pala del Siciolante? Nessuno dei critici che hanno citato questa lettera ha avanzato l'ipotesi. Eppure sappiamo che il Siciolante vi lavorò a lungo, né poteva mancare nella nuova chiesa fatta erigere dal suo signore, l'apporto di uno degli artisti più vicini alla famiglia Caetani. L'ipotesi di una Pietà diviene poi plausibile se si pensa che il tema è uno di quei soggetti religiosi che stanno al centro di tutta la produzione artistica del Siciolante, così come è centrale quello della Crocifissione. Va qui detto, per inciso, che l'identificazione di questa eventuale pala d'altare è ancor più problematica dell'identificazione di un'altra e più celebre pala sullo stesso soggetto, quella da lui dipinta per la cappella della famiglia Muti-Papazzurri nella chiesa romana dei SS. Apostoli, sulla quale le ipotesi e le congetture sono lontane dal trovare un punto d'accordo e sulla quale vale la pena di spendere qualche altra parola

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anche a costo di qualche ripetizione. Come è noto, e comè anche Teresa Pugliatti ricorda nelle pagine precedenti 18 , il problema è rappresentato dalla pala di Poznan (fìg. 3 ), che viene attribuita al Siciolante e si dice provenire dalla cappella della basilica romana. Hunter non ha dubbi 19 , né sull'attribuzione, né sulla provenienza. In un articolo di qualche anno fa, il W aterhouse 20 si era già mostrato d'accordo, mentre ora la Pugliatti afferma che il quadro « è molto strano», ovviamente in quanto la paternità comunemente accolta non appare del tutto convincente. Ancor più categorico Raffaele Bruno, per il quale « la Deposizione già nella cappella Muti in Santi Apostoli a Roma, si deve ritenere dispersa e certamente non identificabile, come s'è fatto, con la Pietà nel Museo Nazionale di Poznan » 21 • Presentando una poco nota e bellissima Deposizione del Sermonetano conservata nel King's College di Cambridge (fìg. 58), il Waterhouse da parte sua richiama un affresco della Sala Sistina della Biblioteca Vaticana, dove Giuseppe Guerra e Cesare Nebbia, intorno al 1590, dipinsero l'interno della basilica dei SS. Apostoli per celebrare la proclamazione di san Bonaventura a dottore della Chiesa. Sul lato destro della basilica è ben visibile la cappella Muti Papazzurri prima della ricostruzione settecentesca, con il quadro che le fonti unanimemente at-

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tribuiscono al Siciolante ( fìg. 4) sopra l'altare, e che il Waterhouse mette a raffronto con quello della collezione di Cambridge. Un tale raffronto può essere ora più agevolmente effettuato perché disponiamo di una riproduzione del particolare dell'affresco, senza dover ricorrere a riproduzioni di scarsa leggibilità 22 • È indubbio che almeno lo schema compositivo richiama abbastanza da vicino la pala del King's College. La scala e la parte bassa della croce sono ben visibili nella pala di Siciolante, così pure sono ben visibili, appoggiati sul terreno, la corona di spine e i chiodi. Ma affermate queste affinità non bisogna trascurare di osservare che il gruppo delle persone ·che occupano la scena è notevolmente più ridotto nell'affresco, e soprattutto sono collocate in posizioni assai diverse. Solo il corpo del Cristo deposto giace incurvato al centro della com. posizione, in modo identico a quello della pala. Anche a un fugace raffronto, si possono quindi dedurre abbastanza fondamente alcuné conclusioni: a) .l' affresco vaticano non richiama in alcun modo lo schema compositivo della pala di Poznan, il che induce ad escludere che quest'ultima sia la tavola originariamente collocata nella cappella romana; b) la Deposizione di Cambridge per ragioni · in parte analoghe, deve anch'essa considerarsi estranea ai SS. Apostoli, a meno che le notevoli differenze con l'affresco vati-

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cano non vengano considerate come semplici variazioni perfettamente legittime in una pittura che per le sue finalità commemorative non doveva tanto preoccuparsi di delineare con esattezza ambienti e opere d'arte, ma dare di essi una sintesi complessiva, necessariamente approssimativa e almeno in parte immaginaria; e) la conseguenza più importante è che, perduta o nascosta che sia in qualche ignota collezione la pala romana del Siciolante, abbiamo tuttavia in questo affresco una « fonte » preziosa per poterla individuare, o almeno un ricordo abbastanza esplicito e ravvicinato del tipo di Pietà, con il quale, del resto, concorda la descrizione di un'autorevole guida del Seicento: vi è dipinta, dice il Malvasia parlando della cappella Muti Papazzurri, « l'immagine del nostro Redentore morto levato dalla Croce, e posto nel seno dell'afllitta sua madre con l'immagini dell'Evangelista san Giovanni e santa Maria Maddalena ai piedi della croce piangente. Questa pittura è stimata bellissima, et è delle più conspicue che siano in questa basilica » 23 • Anche il Waterhouse, valutando somiglianze e differenze e ragionando sui caratteri stilistici, esclude che la Deposizione di Cambridge sia quella richiamata nell'affresco, e quindi che essa possa provenire dai SS. Apostoli. A questo proposito egli avanza l'ipotesi che a un certo punto (agli inizi del Settecento) la pala

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del Siciolante, a causa del cattivo stato in cm s1 trovava nella chiesa romana fu sostituita da altro quadro con il medesimo soggetto, di autore ignoto della fine del Cinquecento 24 • L'ipotesi è suggestiva e verrebbe allora a chiarire l'origine del quadro di Poznan, perché potrebbe essere questo il secondo quadro della cappella, come suppone Pugliatti. Quanto alle guide esse non avrebbero registrato la sostituzione e quindi continuarono ad applicare il nome di Siciolante a un quadro che in realtà aveva preso il posto di quello a cui davvero competeva, mentre quest'ultimo cominciava a peregrinare tra vari possessori 25 • Purtroppo l' esistenza di una seconda Pietà di autore cinquecentesco non può essere suffragata da alcun documento, anzi piuttosto smentita da fonti dell'archivio della basilica 26 che attestano, fino alla vendita del primo Ottocento, l'esistenza di un solo Siciolante nella cappella patrizia. La presenza del Siciolante in SS. Apostoli resta, quindi, un problema appassionante, ma ancora aperto alla discussione. Ma per riprendere l'esame della lettera, è interessante rilevare il richiamo a « doi piante del sito », forse di ambienti del palazzo di Cisterna, e a « doi disegni» relativi all'ornamento del quadro della cappella di Cisterna a cui si interessava il duca. Il Siciolante dice che si poteva pensare a una cornice in legno

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di albuccio (pioppo), « fatto finto di pietra et con qualche poco d'oro» per il prezzo di 18 o 20 scudi. Altrimenti poteva convenire l'acquisto di un'altra cornice che gli era stata richiesta per un quadro della chiesa dei cappuccini ( se si trattava della chiesa romana dell'Immacolata Concezione il quadro poteva essere o l'Annunciazione o L'apparizione de'! Cristo alla Maddalena z,); ma che essendo particolarmente ricca ed elaborata era stata rifiutata da quei religiosi, « perché dicono che la loro religione non ricerca tanta sontuosità ». Il Siciolante riferisce poi di aver trovato nelle botteghe artigiane le suppellettili di cui c'era bisogno: un tabernacolo, l'incensiere, i candelieri che dovevano completare la serie di quelli esistenti nella chiesa di Cisterna ( per un totale di otto pezzi). Le ultime righe della lunga lettera sono dedicate a problemi personali, che non mancano mai nei suoi biglietti a Bonifacio: ricorda al duca alcuni suoi amici, e soprattutto due suoi nipoti, che sembra fossero caduti in qualche brutta disavventura. Supplica perciò che « per l'amor del Signore Dio li siano raccomandati». La data di morte del Siciolante, così come la critica ha potuto recentemente stabilire sulla base di ricerche negli atti notarili dell'Archivio di Stato di Roma, è collocata nel 1575 ( contro quella tradizionale del 1580) 28 ). Questa lettera è perciò uno degli ultimi

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scritti vergati dal pittore sermonetano. e ci consegna l'immagine estrema di un uomo al momento del suo tramonto. È un Siciolante ancora attivo, ancora sensibile ali' amicizia di Bonifacio, verso il quale continua a dimostrarsi disponibile come sempre. È, in sostanza, l'immagine di un artista che conosce bene l'ambiente in cui vive, si muove a suo agio tra commitrenti e botteghe artigiane 29 , disinvolto nei suoi lavori ect esperto di prezzi. Di ··un Siciolante travagliato da particolari problemi, siano essi collegati alla ricerca artistica, o più in generale ali' evoluzione del proprio contesto storico (il Siciolante vive praticamente negli anni che vedono avviarsi e poi concludersi la lunga vi~ cenda del Tridentino), non vi è traccia, né qui, né nelle altre lettere: come in fondo non vi è traccia nel suo lavoro che, salvo alcune parentesi come quella rappresentata dalle pitture della cappella della Bastie d'Urfé, nelle quali si è ravvisata la presenza di un'inquietudine spirituale 30 , ci appare sempre estremamente coerente a moduli di una classica e tranquilla religiosità. POSTILLA

Per un caso del tutto fortuito e fortunato, mentre questo Quaderno era in bozze, mi è occorso di recui

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perare in un magazzino del Palazzo Caetani un'opera singolare, non di Girolamo ma di Tullio Siciolante, l'ultimo figlio morto all'età di appena 20 anni. È una Madonna con bambino tra due angeli (fig. 59), dipinta a olio su una lunetta di ardesia (cm. 196x112), spezzata in tre grossi frammenti, ma complessivamente in buono stato ( sarà presto rimessa in ordine dall'Istituto Centrale del Restauro). Sul lato destro _è tracciata la seguente iscrizione: « Tulius Siciulantes a. D. MDLXXII hanc beate Marie imaginem aetatis sue XX pinxit et obiit ». È forse l'unica opera firmata di Tullio Siciolante che si conosca, e certamente la qualità della pittura dà ragione al giudizio del Pantanelli: « era riputato un portento ». Certo, i caratteri di Siciolante padre sono ben visibili, nel tipo della Madonna e nel volto del Bambino e soprattutto nella maniera robusta di costruire le figure: il che vuol dire che la mano di Girolamo si affiancò a quella di Tullio, cosi come si sapeva che insieme avevano lavorato nelle pitture della chiesa di Cisterna. Fino al 19 3 O circa la lunetta si trovava nell' appartamento di Gelasio Caetani 31 , ma quasi sicuramente dopo la sua morte ( 19 34) essa venne trasferita in qualche angolo di palazzo Caetani, e da allora se ne perse il ricordo. Ignoro dove era collocata prima di finire nell'appartamento del Caetani: il soggetto e la forma

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inconsueta lasciano supporre, peraltro, che essa si trovasse sopra qualche altare o comunque in un luogo sacro di Sermoneta o di Cisterna. In base all'iscrizione la morte di Tullio è assegnata al 1572. La data era nota al Pantanelli che asserisce che il giovane ebbe sepoltura nella chiesa romana di San Lorenzo in Damaso, e ne trascrive l'iscrizione sepolcrale 32 • Quella apposta sul quadro, certamente di mano del padre, è quasi una notazione di dolente umanità: « pinxit et obiit ». Come dire, ebbe appena il tempo di offrire una prova del suo ingegno che la morte ce lo rapi.

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DOCUMENTI

I. Roma, Archivio Caetani, Fondo generale, 1545.~I.3, 127811, C 4221

Ill.mo signore et patrone mio sempre oss.mo. Per advisar V. S. I. qualmente mi ritrovo in Piacenza per gratia de Dio sano. V. S. me perdoni se più presto non ho fatto il debito mio col scrivere, non vedevo cose de multa importanza: subito che arrivai in Piacenza andai da sua eccellentia a basciarli la mano, me domandò se io ero de Sermon~ta et feci le racomandationi da parte di V. S.I. Invero mostrò d'averlo assai da caro me domandò assai de V. S.I. et del Signore suo patre et de monsignore rev.mo. Particularmente de madama et della signora Sua consorte et se aveva facti altri figlioli. Circa l'esser mio de qua sua eccellentia me ha mostrato bona ciera da l'altra banda (?) fino adesso non ci vego d'avere a far lavori de molta importanza si come me fu detto et come me pensavo, si che se sapevo questo non partivo de Roma: se altre cose non sono da fare che queste che vedo a prima vera tornarò a Roma perché voglio veder de non perder il tempo perché se posso voglio andar innanzi no addrieto. Al presente sua eccellentia me fa far un quadro a olio assai grande dove sarrà una madonna con cierte altre figure et così starò a veder questo inverno corno vanno le cose così farrò. Altre nove non sono de qua, se non che sua eccellentia vole che tutti feudatari di Parma et Piacenza venghino abitar dentro alle città sotto pena de rebellione, i quali sono conti marchesi et altri gientilomini privati, perché la magior parte stavano alle lor ville et castelli: l'altra, Sua Eccellentia fa un senato de sette dottori, dui ne stanno a elettione di Parma et

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Piacenza, li cinque a sua Eccellentia il capo di questi sette che se domandarà il Presidente e mons. Claudio Tolomei il quale è in Piacenza; di novo altro no ci è se non che umilmente a V. S.I. mi raccomando et alla aff.ma Signora sua consorte. Francesco Cantarello bascia la mano de V. S.I. se ritrova in Piacenza. Di Piacenza li 3 de novembre 1545 Di V. S. I.

servitore et vassallo Hieronimo Ciciolante Allo ili.mo signore et patrone mio sempre osserv.mo il signore Bonifatio Caetano In Sermoneta

Il. Roma, Archivio Caetani, Fondo generale, 1549, VI.5, 1%7, C. 4585, I

III.mo signore et patrone mio oss.mo Volendo V. S. ch'io venga a Sermoneta non posso mancar di quanto mi comanda et verrò volentieri, quallora nit mandi una cavalcatura vanti le feste, acciò me ritrovi queste feste costi, perchè il signor Inbasciator de Francia insino a qui è stato molto male et per gratia de Dio al presente s1 sente molto bene et mi tien sollecitato della sua opera con dir che non sarrà finita al tempo che se li ho promesso che se non fossi questa causa, mi hoffereria a V. S. di venire questa state a star a Sermoneta et farli io queste stanze che V. S. vol far dipingere. Ma la S. V. mi haverrà per iscuso che io non posso hofferirme a cosa nissuna et me ne doglio assai. Et a

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V. S. illustrissima umilmente mi racomando. Di Roma li 5 giugno 1549. Di V. S. I.

servitor et vassallo Hieronimo Ciciolante Al ill.mo signore et patron mio sempre osservantissimo il signore Bonifatio Caetano Sermoneta

III. Roma, Archivio Caetani, Fondo generale, 1557 circa, 169936, C. 5929, X

Ill.mo Signor mio Supplicando si espone a V. S. Ill.ma che de questa septima passata Giovanni Agnilo et Bonifatio figlioli de Cola de Agnilo con un certo de Core et altre persone con archibusci in una certa casa de mastro Cenzo (?) ferraro quale è de in.. contro a casa nostra ci ficarno la porta per amazarci pensandosi che questo carnevale ritornassemo in casa per far carnevale [ ... ] con ogni humiltà ricorriamo alla clementia e bontà et prudentia della S. V. voglia remediarci e con questo fine humilmente basciamo la mano de V. S. ill.ma pregandoli ogni exaltatione Di V. S. Ill.ma Humili servitori et vassalli Hieronimo Siciolante e Pietro Cella All'ill.mo signore et patron nostro il signor Bonifatio Caetano Cisterna

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IV. Roma, Archivio Caetani, Fondo generale, 1570. VUI, 18, 1866, C. 8493, I

III.mo signore et patron mio oss.mo Mastro Giovanni Leporichio mio nipote ha inteso qui in Roma da prete Giulio figlio di Andrea Corso di Sermoneta ch'ha rinunziato a V. S. ili.ma certi benefitii ch'avea in persona sua: ora perchè detto mastro Giovanni ha dedicato un suo figliolo a farlo prete et havendo inteso che V. S. ha delli altri benefi.tii senza questi da dare quando V. S. ne voglia farne gratia di darne qualch\mo a questo suo figliolo V. S. me ne farrà gratia particolare, e mastro Giovanni negli restarà in perpetuo obligo et pregaranno per la sua felicità che 'l Signore Dio gliela conceda quanto è il suo desiderio et umilmente li bascio la mano. Di Roma li 18 di agosto 1570 Di V. S. ili.ma servitore et vassallo Hieronimo Siciolante Al ili.mo signore et patrone mio sempre e oss.mo il signore Bonifatio Caetano Alla Cisterna

V. Roma, Archivio Caetani, Fondo generale, 1574. I.19, 156465, C. 9450, I

Ill.mo signore et patrone mio sempre osservantissimo Mando doi piante del sito che V. S. illustrissima mi ordinò che pigliasse: fatti in doi modi l'uno che torneria a più

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utilità et magior stanze: l'altro sartia più bello et averria più modo 'l palazzo ma le stanze più pichole: V. S. ili.ma vederà meglio ch'io non saprò dire et pigliarà da me l'animo bono se in questo non restarà sodisfatta corno S. S. desidera. Li mando anco doi disegni in un foglio medesimo dell'ornamento del quadro della pietà del quale qui in Roma se farria del legname d'albuccio o tiglio che costarà da 18 a 20 scudi et poi bisognarà per dipingerlo fatto finto di pietra et con qualche poco d'oro: si trova fatto qui in Roma un ornamento per un quatro d'una grandezza poco magior de questo qual io ho fatto per la chiesa de scapuccini et è di noce con colonne et cornice frontespitio et è molto bello et vale almanco cinquanta scudi: li frati non lo vogliono per esser troppo sontuoso ne fanno fare un altro con manco spesa et più abietto: perchè dicono che la loro religione non recerca tanto sontuosità: questo tal ornamento l'hanno dato al falegname che si venda et sartia molto al proposito per V. S. per questa opera et starrà molto bene et se ne haveria bonissimo mercato per 30 scudi la S. V. lo potrà bavere io non ho voluto mancare di farglielo intendere. Ho trovato un tabernacolo fatto che saria al proposito per l'altare di Santo Antonio quale alto tre palmi bisogna farci fare una giunta quanto è alto il scalino d'altare che serviva per zocholo over basamento de detto tabernacolo et tutto dorato et finito costarà da nove scudi et sarrà alto computatoci questo basamento che sia da fare: quatto palmi: senza la croce che starrà benissimo: et V. S. spenderà pochi danarii io lo fo tenere a instanza di V. S. fino a tanto che mi mandi a dire quel che haverrò da fare. Ho trovato il mastro che fa li incensieri et ne haveva uno che non era finito: ma bello ne domandava sei scudi et anco questo a candelieri per chiesa et li fa lu1 bisogneria haver uno di quelli che sono in Sant'Antonio per far fare li altri quattro che acompagnassero il lavoro et il garbo. Vostra signoria potrà informarse del prezzo di costo quello ch'io vidi a Santo Antonio dico del incensiero et tanto si pagarà questo: la S. V. mi farrà avisato di quanto haverò da fare. Messer Giovanni Jacomo bascia la

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mano di V. S. ill.ma. Dico che quando passo dalla Cisterna per farli reverentia che messer Pietro Valletta si fece dire da parte di V. S. ill.ma che li 50 scudi d'oro la S. V. gli li haverria fatti pagare: fra pochi giorni lui prega V. S. III.ma che sia contenta che li siano pagati in Roma o se V. S. vol che lui venghi alla Cisterna per essi che tanto farrà quanto V. S. li commandarà: non voglio mancare de recordare a V. S. Ill.ma il stato in che si trovano miei nipoti et suplicare a V. S. a pregarlo per l'amor del Signore Dio li siano raccomandati: sia contenta di far che ritornino a Sermoneta et repatriare et saranno sempre boni vassalli et servitori à V. S. si come sono stati sempre perché altramente restaranno in miseria et potrà succeder maggior scandalo per quanto posso io la prego se è possibile li faccia questa . gratia qual io la reputarò .grande et metterò questo grande obligo con tante altre gratie che V. S. m'ha fatte. Pregando il Signore Dio la prosperità et li dia ogni contento. Et con molta reverentia le bascio la mano. Di Ro• ma li 19 di gennaro 1574. Di V. S. ill.ma servitore et vassallo Hieronimo Siciolante Al ili.mo signore et patrone mio sempre osservantissimo il signore Bonifatio Caetano

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NOTE

1 Si tratta delle seguenti lettere: I. Piacenza, 3 novembre 1545, autografa (nota a B. DAVIDSON, Some early works by Girolamo Siciolante da Sermoneta, in « Art bulletin », 48, 1%6, p. 58, n. 20, e J. HUNTER, Girolamo Siciolante da Sermoneta: committenti e committ,:nza, in questo Quaderno, p. 66, n. 34}; II. Roma, 5 giugno 1549, autografa (riprodotta in fac simile da G. GAETANI, Domus Caietana, II. Il Cinquecento, Sancasciano Val di Pesa 1933, p. 56; nota a DAVIDSON, Some early, p. 62, n. 37 e a HUNTER, Girolamo Siciolante, pp. 66, n. 37 e 38; studiata e ripubblicata da o. RAGGIO, Vignole, Fra Damiano et Girolamo Siciolante à la chapelle de la Bastie d'Ur/é, in « Revue de l'art», 15, 1972, p. 51); III. lettera senza luogo e data, ma assegnata a1 1557 circa, firmata da Girolamo Siciolante e ,Pietro Cella (cfr. DAVIDSON, Some early, p. 62, h. 38); IV. Roma 18 agosto 1570, autografa (inedita); V. Roma, 19 gennaio 1574, autografa (nota a GAETANI, Domus, p. 117; DAVIDSON, Some early, p. 62, n. 38; HUNTER, Girolamo Siciolante, p. 74, n. 110). 2 Le vicende della faticosa ripresa del feudo di Sermoneta nel Cinquecento occupano la prima parte della grande storia della famiglia scritta da GAETANI, Domus, II, pp. 1-90. Sul duca Bonifacio, ivi, pp. 46 e ss., e G. DE CARO, alla voce, in Dizionario biografico degli italiani, 16, pp. 133-134 (manca il riferimento alle fonti dell'Archivio Caetani). 3 Cfr. Archivio Caetani, Miscellanea 94, p. 8. 4 Cfr. la lettera del 1531 con cui Bonifacio, scrivendo a1 padre lo informava della sua vita romana e lo ringraziava per l'affetto e l'attenta scelta dei maestri, sia per l'istruzione elementare che per l'educaziune principesca. Arch. Caet., Fondo generale, 22 novembre 1531, e 3226. 5 Per parte di madre, Giovannella Caetani, il card. Alessandro Farnese era cugino di primo grado di Camillo. Questa parentela e questa stretta amicizia spinse poi il medesimo prelato, una volta diventato papa

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Paolo III a concedere il cappello cardinalizio al giovanissimo fratello di .Bonifacio, Nicolò, che fu promosso nel 1538, ossia a soli quattordici anni d'età. ar. CAETANI, Domus , pp. 46-55. 6 Dei sentimenti filofrancesi di Bonifacio è tra l'altro esplicito testimone J'ambasciatore Claude d'Aubespine, in una lettera del 1548. Arch. Caet., Fondo generale, 24 agosto 1548,. 22098, C. 4461 . 7 Vedi in Arch. Caet., Fondo generale, 27 aprile 1557, 92127, il « diploma del cardinale Carafa don Carlo che per ordine di Paolo IV dichiara generale comandante le milizie Caetani Bonifacio duca ». 8 Cfr. CAETANI, Domus, pp. 96 ss., e G. M. DE ROSSI, Torri costiere del Lazio, Roma 1971, e IDEM, Il Circeo,. Roma 1973. 9 In un documento del 1573 si dice che Bonifacio « va alla messa nella chiesa di S. Antonio». In quell'anno, quindi, doveva essere già ultimata. Sulla chiesa cfr. CAETANI , Domus, •pp. 57, 117-118 e 163. 10 La notizia è data da P. PANTANELLI, Notizie storiche della Terra di Sermoneta, I, Roma, 1899, p . . 601. 11 Su cui si veda s. K. WATERHOUSE, Some frescoes and an altarpiece by Gerolamo Siciolante da Sermoneta, in « Tue Burlington Magazine», february 1970, pp. 103-107. 12 Una precisa descrizione della malattia e degli ultimi giorni di Bonifacio Caetani è contenuta in una lettera del suo segretario Rutilio Lèpldo al iPeranda. Cfr. Arch. Caet., Fondo generale, 19 febbraio 1574, 31510, C. 9481. 13 I viaggi di lavoro del Siciolante sembrano essere stati, in effetti, assai scarsi, come ha precisato HUNTER , Girolamo Siciolante, p. 17. Essi dovettero limitarsi sostanzialmente al soggiorno a Piacenza nel 1545-1546 è subito dopo a Bologna nel 1547-1548, dove ultimò la pala d'altare per i Malvezzi. Secondo Hunter, cit., « i dipinti che eseguì per le città di. Ancona, Osimo e per lo Chateau de la Bastie di Urfe furono probabilmente eseguiti a Roma e poi trasportati a destinazione». 14 Il che non corrisponde del tutto con quanto affermava il Vasari circa la commitetnza del duca: « al signor Pier Luigi Farnese, duca d; Parma e Piacenza, il quale servì alcun tempo, fece molte opere, et in particolare un quadro che è in Piacenza, .fatto per una cappella, dt:ntro ail quale è la Nostra Donna, san Giuseppe, san Michele, san Giovanni Battista, et un angelo di palmi otto», G. VASARI, Le vite, p . 854. 15 HUNTER, Girolamo Siciolante, p. 25 e nota 35. 16 IvJ, pp. 15. Certo il grande ventaglio dei committenti pone alla critica alcuni problemi di carattere generale, che andrebbero precisati

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a partire da una esatta definizione storica e culturale dei singoli committenti. Ad esempio, in che modo egli seppe inta,pretare, assecondando la richiesta di un'importante confraternita romana, come quella di S. Eligio dei Ferrari, quella particolare pietà del laicato associativo, in cui confluiscono disciplinamento canonico, ma anche immediatezza tematica e scioltezza espressiva? E, allargando la domanda, come poté adattare il suo .messaggio iconografico e stilistico a committenze tanto diverse fra loro: committenze laiche come i Fugger per esempio, e committenze tipicamente ecclesiastiche, come i canonici del Capitolo di San Pietro? E sempre un medesimo Siciolante, oppure anch'egli si adagia alle mode e alle richieste del momento, interpretando cosl di volta in volta le esigenze del decoro aristocratico, della regolata devozione tridentina, e infine della pietà attiva e operosa ma già percorsa da preoccupazioni controriformistiche propria del secondo Cinquecento? 17 Cfr. RAGGIO, Vignole, citato, ma anche HUNTER, Girolamo Siciolante, p. 29 e T. PUGLIATTI, Girolamo Siciolante da Sermoneta. Considerazioni e proposte per una ricostruzione del percorso stilistico, in questo «Quaderno», p. 97. 18 PUGLIATI, Girolamo Siciolante, pp. 84-87. 19 HUNTER, Girolamo Siciolante, p. 23. 20 Cfr. WATERHOUSE, Some frescoes, pp. 106-107. 21 R. BRUNo,' Girolamo Siciolante. Revisioni e verifiche ricostruttive, in « La ci,itica d'arte», 130, 1973, p. 59. 22 Come quella complessiva fornita da E. zoccA, La basilica dei SS. Apostoli in Roma, Roma 1959, fig. 5 e da J. HESS, Kunstgeschichtliche Studien, II, Roma 1967, pp. 123, fig. 27. 23 BONAVENTURA MALVASIA, Compendio historico della ven. basilica de' SS. Dodici Apostoli di Roma... In Roma, per Ignatio di Lazari, 1665, p. 45. 24 WATERHOUSE, Some frescoes, nota 19. 25 Per la storia degli acquirenti, dr. WATERHOUSE, p. 107 e soprattutto G. A. RAC2YNSKI, Katalog der Raczynskischen Bildersammlung, Berlin 1841, n. 7 - 1876, n. 90; M. GUMOWSKI, Muzeum Wielkopolskie w Poznaniu ... , Krak6w 1924, p. 9 e tav. 16; IDEM, Galeria obtaz6w A. hr. Racynskiego w Muzeum Wielkopolskim, in « Rocznik » (Poznaniu), VI, 1931, n. 29, pp. 50-52; J. BIALOSTOCKI - M. WALICKI, Malarstwo europejskie w zbiorach polskich, 1300-1800, Warsawa [1955], tav. n. 100 e scheda p. 486. 26 Nei verbali dei consigli dei religiosi della chiesa dei SS. Aposto-

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li si fa riferimento alla pala della cappella Muti Papazzurri in occasione della sua vendita per far posto alla Deposizione del Manno. Dunque quest'ultimo rimpiazza il Sermonetano, il che vuol dire che fino allora (1808) la pala del Siciolante era ancora in loco. Ecco il passaggio che ci interessa dal registro dei verbali: « adì 20 gennaro 1808. Fin sotto li 12 settembre 1807 nel Consiglio tenuto · dai Padri fu concessa .la licenza al signor marchese Girolamo Muti Papazzurri di rifare la cappella sua, come si legge in questo a pag. 141; ora avendo ottenuto esso la facoltà di vendere il quadro, che tiene nel suo altare dall'em,mo Giuseppe Doria vescovo di Frascati, commendatario di S. Cecilia e della S.R.C. pro camerlengo». A p. 144 del medesimo registro si ha la •licenza firmata dal ·vescovo di Frascati card. Giuseppe Maria Doria, in data 26 dicembre 1807, di « rimodernare la cappella Muti in SS. XII Apostoli a sue spese e con suo disegno [di Francesco Manno], e quadro mediante l'alienazione del quadro che esiste attualmente di mano del Sermoneta sul disegno di Pieri:n del Vaga o altro autore». Debbo aggiungere che, seguendo l'ipotesi di Waterhouse di una sostituzione del Siciolante con altro autore avvenuta nei primi del Settecento, ho attentamente sfogliato i Libri dei Consigli dal 1697 al 1727, ma non vi è traccia documentaria di una simile sostituzione. Nel Libro dei Consigli 1697-1727 alla data del 7 settembre 1703 ff. 37v-43 si annota la vmdita di quadri della vecchia basilica, ma tra di essi non vi è la pala del Siciolante. In una Descrizione delle cappelle dei XII apostoli, redatta dall'architetto Francesco Fontana nel 1702, si parla della cappella Muti Papazzurri « con un quadro dipinto in tavola, rappresentante un Cristo morto deposto dalla croce, con la santissima Vergine et altre fìeure dipinto da Girolamo Siciolante », cfr. Archivio di Stato di Roma, Affhivio dei Trenta Notari Capitolini, Vitellius Marinus, Instrumentorum, val. 565, f. 449v_ Ma si veda pure ZOCCA, La basilica, pp. 93-94. V Vedi PANTANELLI, Notizie storiche, I, p. 601. 28 Una tradizione pacificamente accettata indicava nel 1580 la data di morte del pittore: recentemente G. L. MASETTI ZANNINI, Pittori della seconda metà del Cinquecento in Roma. Documenti e regesti ( = Raccolta di fonti per la storia dell'arte, Il, II), Roma 1974, ha potuto ristabilire in base a documenti dell'Archivio di Stato di Roma, l'anno e i mesi entro i quali dovette avvenire il decesso (cfr. le pp. XX-XXI e la ricca raccolta documentaria alle pp. 101-112). Si tratta del 1575, fra il 30 luglio (data dell'ultimo documento a noi noto mentre era ancora vivo) e il 6 settembre, quando la moglie Lucrezia Stefanelli prende in consegna l'eredità del defunto Girolamo. La data è raccolta e confermata da HUNTER, Girolamo Siciolante, p. 17, n. 9.

139 .


29 La per1z1a artigiana del Siciolante doveva essere ben nota a Roma: se ne ebbe un ultimo e ragguardevole· esempio nella doratura del soffitto in legno della chiesa dell'Aracoeli affidatagli dal Senato di Roma, dr. HUNTER, Girolamo Siciolante, p. 45. 30 Gfr. RÀGGIO, Vignole, p. 47. Qui si apre il capitolo del rapporto del Siciolante con la nuova mentalità religiosa ispirata dal Tridentino, e più in generale, della qualità religiosa della sua pittura. Come interpreta il Sermonetano il fatto religioso, a quali fonti attinge, quali declinazioni devozionali lo assistono e si traducono costantemente nel suo lavoro? Sono temi che la critica ha appena sfiorato. Importante, in ogni caso, l'osservazione della RAGGIO, cit., p. 52, che in talune opere del Siciolante si può intravedere un documento quasi unico sull'alba della Controriforma. 31 Cfr. CAETANI, Domus, p. 56. 32 PANTANELLI, Notizie storiche, I, p. 602.

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TAVOLE


1. Girolamo Siciolante, Madonna e Bambino con santi Pietro Stefano e Giovannino. Sermoneta, Castello Caetani.


2. Girolamo Siciolante, Studw per la Madonna e Bambino con santi Pietro, Stefano e Giovannino. Paris, Musée du Louvre, Cabinet des dessins.


3. Girolamo Siciolante, Pietà. Poznan, Muzeum Narodowe.


4. Giuseppe Guerra e Cesare Nebbia, La proclamazione dt san Bonaventura a dottore della Chiesa (part. della cappella Muti Papazzurri nella chiesa dei SS. Apostoli). Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Sala Sistina.


5. Girolamo Siciolante, Loggia di Paolo III. Roma, Castel Sant'Angelo.


6. Girolamo Siciolante, Sacra fa miglia con l'arcangelo Michele. Parma, Pinacoteca.


7. Girolamo Siciolante, Madonna e Bambino in trono con santi. Bologna, chiesa di San Martino Maggiore .


8. Lorenzo Costa, Madonna e Bambino in trono con la famiglia Bentwoglio. Bologna, chiesa di San Giacomo Maggiore.


9. Girolamo Siciolante, Madonna e Bambino in trono con z santi Elzgzo, Martino e Giacomo. Roma, chiesa di Sant'Eligio de' Ferrari.


10. Girolamo Siciolante, Madonna e Bambino in trono con santi. Calcinate (Bergamo), chiesa di Santa Maria Assunta.


11. Girolamo Siciolante, Cappella. St. Etienne le Molard, Chateau de la Bastie d'Urfé.


12. Girolamo Siciolante, Mosè fa scaturire l'acqua da una roccia. St. Etienne le Molard, Chateau de la Bastie d'Urfé, cappella.


13. Girolamo Siciolante, zdem .


14. Girolamo Siciolante, La raccolta della manna. St. Etienne le Molarci, Chateau de la Bastie d'Urfé, cappella.


15. Girolamo Siciolante, idem.


16. Girolamo Siciolante, Il battesimo dz Clodoveo. Roma, chiesa di San Luigi dei Francesi, cappella Dupré.


17. Girolamo Siciolante, Cappella Caetani . Sermoneta, chiesa di San Giuseppe.


18. Girolamo Siciolante, Cappella Caetani. Sermoneta, chiesa di San Giuseppe.


19. Girolamo Siciolante e altri, Sala di Alessandro Magno . Roma, palazzo Capodiferro-Spada.


20. Girolamo Siciolante, Il martirio dz santa Caterina . Roma, basilica di Santa Maria Maggiore, cappella Massimo (già Cesi).


21. Girolamo Siciolante, L'assunzione della Vergme, Roma, basilica di Santa Maria Maggiore, cappella Sforza.


22. Girolamo Siciolante, Ritratto di Francesco Colonna. Roma, Galleria Nazionale d'Arte Antica.


23. Agnolo Bronzino, Ritratto dz Stefano Colonna. Roma, Galleria Nazionale d'Arte Antica.


24. Girolamo Siciolante, Crocifissione con la Vergine, san Lorenzo e donatori della famiglia Colonna. Palestrina, chiesa di Sant'Agapito.


25 . Girolamo Siciolante, Crocif1mone. Roma, chiesa di Santa Maria di Monserrato.


26. Girolamo Siciolante, Pipino dona alla chiesa il territorio concesso da Astolfo. Città del Vaticano, Sala Regia.


27. Girolamo Siciolante, Trittico con sant'Andrea, Madonna e Bambino con san Giovannino, santa Caterina. Roma, Galleria Colonna.


28. Girolamo Siciolante, Trasfigurazione. Roma, chiesa di Santa Maria in Aracoeli.


29. Girolamo Siciolante, Crocifission e. Roma, basilica di San Giovanni in Laterano, cappella Massimo.


30. Girolamo Siciolante, Madonna e Bambino con i santi Bonifacio e Francesco e Bonifacio VIII. Roma, chiesa di San Tommaso in Formis.


I

31. Disegno della Cappella Caetani nella vecchia basilica di San Pietro in Vaticano, dal ms. di J. Grimaldi.


32. Flaminio Bolangier, Cesare e Gregorio Trapassi, Girolamo Siciolante, Giovanni Satarelli, So// itto. Roma, chiesa di Santa Maria in Aracoeli.


33. Leonardo da Pistoia, Pala dei palafrenieri. Basilica di San Pietro in Vaticano, Sagrestia.


34. Perino del Vaga, Natività (pala Basadonne) . Washington, National Gallery.


35. Leonardo da Pistoia, Presentazione al Tempio. Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte.


36. Lorenzo Costa, Madonna e santi. Bologna, chiesa di San Giovanni al Monte.


37. Daniele da Volterra, L'assunzione della Vergine. Roma, chiesa della Trinità dei Monti, cappella della Rovere.


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38. Girolamo Siciolante, L'assun zione della Vergine . Roma, chiesa Santa Maria dell'Anima, cappella Fugger.


39. Battista Franco, Pro/eta e Sibilla. Roma, chiesa di Santa Maria sopra Minerva, cappella Savelli.


40. Girolamo Siciolante, L'assunta. Già Collezione Geiger.


ù.,~~. 41. Girolamo Siciolante, Madonna con Bambino. London, Collezione Philip Pouncey.


42. Girolamo Siciolante, Visitazion e. Roma, chiesa di Santa Maria dell'Anima, cappella Fugger.


43. Girolamo Siciolante, Presentazione della Vergine al Tempio. Roma, chiesa di Santa Maria dell'Anima, cappella Fugger.


44. Baldassarre Peruzzi, Presentazione della Vergine al Tempio. Roma, chiesa di S. Maria della Pace.


45. Girolamo Siciolante, La nascita della Vergine . Roma, chiesa d i Santa Maria dell'Anima, cappella Fugger.


46. Girolamo Siciolante, La nasczta della Vergine. Roma, chiesa di San Tommaso m Cenci.


47. Girolamo Siciolante, L'annunc1az1one . Roma, chiesa di San Tommaso in Cenci.


48. Girolamo Siciolante (attribuito ), Cariatidi femminili. Roma, palazzo Capodiferro-Spada, sala di Alessandro Magno.


49. Girolamo Siciolante, Venere. Monterotondo, palazzo Comunale (già palazzo Orsini).


50. Girolamo Siciolante, Nascita di Adone. Monterotondo, palazzo Comunale (già palazzo Orsini).


51. Girolamo Siciolante (attribuito), Speranza e Amore. Roma, Castel Sant'Angelo, Sala Paolina.


52. Girolamo Siciolante (attribuito), L'imperatore Adriano. Roma, Castel Sant'Angelo, Sala Paolina.


53. Girolamo Siciolante (attribuito ), L a Fortezza. Roma, Castel Sant'Angelo, Sala Paolina.


54. Girolamo Siciolante (attribuito), La Giustizia. Roma, Castel Sant'Angelo, Sala Paolina.


55 . Girolamo Siciolante, Minerva. Monterotondo, palazzo Comunale (già palazzo Orsini).


56. Girolamo Siciolante, Diana. Monterotondo, palazzo Comunale (già palazzo Orsini).


57. Girolamo Siciolante, Madonna con Bambino. Osimo, Museo diocesano.


58. Girolamo Siciolante, Deposizione. Cambridge, King's College.


59. Tullio Siciolante, Madonna con Bambino. Roma, palazzo Caetani.


Finito di stampare nell'ottobre 1983 dalla Tipografia Città Nuova della PAMOM, Roma


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