DOUTDO - 4 Edition 2018-20

Page 1


doutdo è un progetto di raccolta fondi della Associazione Amici della Fondazione Hospice Seràgnoli, Bologna




do = DARE GIVE

do ut do = DARE PER DARE GIVING TO GIVE


"Questo sarebbe un dono: rendere umili gli ideali, introdurre nella violenza dello scambio e nell'aggressività simbolica dell'economia il dono del lavoro intellettuale e fare coincidere il progetto con il rito e l'oggetto con l'abitudine".

Alessandro Mendini


DOUTDO 2018-2020

Doutdo – il cui nome è stato coniato da Alessandro Bergonzoni – è una biennale d’arte, design, architettura e un contenitore di iniziative culturali nata nel 2011 e promossa dall’Associazione Amici della Fondazione Hospice MT. Chiantore Seràgnoli, con lo scopo di sostenere la Fondazione Hospice: un “dare per dare” che si oppone, o quanto meno si discosta, da un utilitaristico o egoistico “dare per ricevere”. Una restituzione di senso e valore che non ricerca o pretende nulla in cambio. Doutdo propone e organizza mostre ed eventi dedicati all’arte, all’architettura, al design e alle eccellenze nell’ambito della cultura per riflettere su un tema legato alla contemporaneità, coinvolgendo artisti, istituzioni, gallerie, imprese e collezionisti. In ogni edizione doutdo si avvale della collaborazione di personalità legate al mondo dell’arte e della cultura, nazionale e internazionale, chiamate a svolgere la funzione di “tutor”. Dopo il sostegno di Yoko Ono nel 2012, dei Masbedo nel 2014 e di Dario Fo e Alessandro Mendini per il 2016, per l’edizione 2018-2020 sono stati nominati “padrini” dell’evento Philip Rylands e nuovamente Alessandro Mendini. Ed è proprio Alessandro Mendini l’ideatore del titolo della quarta biennale: “La Morale dei Singoli”. “Pensare che possano esistere dei raggruppamenti d’arte sotto forma etica, basati sulla morale dei singoli, è una cosa molto interessante e inedita, una cosa che non esisteva... Un unicum” – Alessandro Mendini Il tema pone l’accento sulla “rivoluzione” etica che può essere innescata dalla responsabilità individuale e dalle azioni di ognuno di noi, dando prova del potere che il singolo ha quando si mette in connessione con gli altri, generando una sensibilità collettiva responsabile nei confronti della propria comunità. L’edizione biennale 2018-2020 di doutdo rappresenta quindi l’occasione per riflettere – a partire dall’arte – sul modello di una gestione della responsabilità sociale capace di raccogliere la sensibilità individuale per realizzare obiettivi comuni, condivisi e misurabili. Sono state realizzate presentazioni e mostre dedicate al progetto doutdo. In occasione di Arte Fiera 2019 e 2020, la città di Bologna ha ospitato alcuni dei lavori della biennale all’interno di prestigiose istituzioni museali come l’Archiginnasio, l’Accademia di Belle Arti, Palazzo D’Accursio, Arte Fiera, Galleria Astuni e altre sedi. Le opere sono state protagoniste della mostra inaugurata agli Scavi di Pompei il 14 giugno, aperta al pubblico fino a novembre 2019. [www.doutdo.it]

6


DOUTDO 2018-2020

Doutdo – whose name has been conceived by Alessandro Bergonzoni – is a biennial dedicated to art, design and architecture, as well as a container of cultural initiatives. Born in 2011, it is promoted by the Association “Friends of the MT. Chiantore Seràgnoli Hospice Foundation” with the aim to raise funds for the activities of the Hospice Foundation: a “give to give” which opposes, or at least departs from, an utilitarian or selfish “give to receive”. A return of meaning and value that does not seek or demand anything in return. Doutdo proposes and organises exhibitions and events dedicated to the arts, architecture, design and culture that create opportunities to reflect on a theme tied to contemporaneity; to do so, doutdo relies on the direct engagement of artists, institutions, galleries, enterprises and collectors. For each edition, doutdo relies on the collaboration of leading figures from the national and international worlds of art and culture, who are called upon to serve as “tutors”. After the support of Yoko Ono in 2012, the Masbedo duo in 2014, and Dario Fo and Alessandro Mendini in 2016, the “godfathers” appointed for the 2018-2020 event are Philip Rylands and (again) Alessandro Mendini, to whom we own the title of this fourth biennial: La morale dei singoli” (“The moral of individuals”). “Thinking of the possibility of groups of artists existing for ethical reasons, based on the morals of individuals, is something very interesting and unheard of, something that did not exist before... An unicum” - Alessandro Mendini The chosen theme focuses on the ethical “revolution” that can be triggered by the sense of responsibility of the individual and the actions of each of us, bearing witness to the power that individuals can yield when they connect with others, generating a collective awareness of responsibility to their community. The 2018-2020 edition of the doutdo biennial thus represents an opportunity to reflect – taking art as a starting point – on a social responsibility management model that can seize on individual sensitivity to achieve common, shared and measurable goals. There were presentations and exhibitions dedicated to doutdo. On the occasion of Arte Fiera 2019 and 2020, the city of Bologna has hosted some of the works within prestigious institutions as the Archiginnasio, the Academy of Fine Arts, Palazzo D’Accursio, Arte Fiera, Galleria Astuni and others. The works were the protagonists of the exhibition inaugurated at the Excavations of Pompeii on 14 June, open to the public until november 2019. [www.doutdo.it]

7


L’APP DI DOUTDO

Grazie a Vitruvio Virtual Museum è stata sviluppata l’applicazione di realtà aumentata di doutdo. L’app, attivabile su smartphone e tablet iOS e Android può essere scaricata dal sito www.doutdo-ar.it oppure negli store Apple e Google, cercando l’app doutdo AR+. Dal 2013, Vitruvio Virtual Museum progetta e realizza esperienze e film per la realtà virtuale immersiva. Si occupa inoltre di digitalizzazione e virtualizzazione di opere, musei e gallerie. Più che un marchio è un progetto partecipativo e dinamico che si avvale della collaborazione di artisti e creativi, direttori di museo e galleristi. I suoi lavori sono stati esposti nei più importanti musei italiani per l’arte contemporanea e a gennaio 2020 ha partecipato ad Arte Fiera Bologna con What if, mostra personale a cura di Eleonora Frattarolo.

DOUTDO’S APP

Thanks to Vitruvio Virtual Museum it has been developed the doutdo’s augmented-reality app The app, for iOS and Android, can be downloaded on smartphone and tablet on www.doutdo-ar.it or in the Apple and Google stores under the name do ut do AR+. Since 2013, Vitruvio Virtual Museum designs and produces immersive virtual reality experiences and films. It also deals with digitization and virtualization of artworks, museums and galleries. Vitruvio is not just a brand, it is a participatory and dynamic project, which collaborates with artists, creatives, museum directors and gallery owners. Its works have been shown in the most important italian contemporary art museums and, in January 2020, Vitruvio has participated in Arte Fiera Bologna with What if, a personal exhibition curated by Eleonora Frattarolo.

PORTALE ARTE E CULTURA

Le collezioni di doutdo 2012, 2014, 2016 e 2018-2020 sono visibili nel portale Arts & Culture grazie a Google Cultural Institute. Le opere di doutdo si possono ammirare, al pari delle più importanti collezioni di tutto il mondo, su questa grande piattaforma online che nasce con l’obiettivo di rendere fruibile a tutti l’arte e la cultura [www.doutdo.it/artsandculture].

ART & CULTURE SITE

2012, 2014, 2016 and 2018-2020 doutdo’s collections are in the Arts & Cultures’ site thanks to Google Cultural Institute. All do ut do’s works can be admired, like the most important collections of the world, on the big online platform born to make art and culture available for everybody [www.doutdo. it/artsandculture].

8


Apri l’app di doutdo e inquadra l’immagine Open doutdo’s app and frame the image

9


FONDAZIONE HOSPICE MT. CHIANTORE SERÀGNOLI

La Fondazione Hospice Seràgnoli ha sviluppato un modello innovativo e di eccellenza nel campo delle cure palliative che costituisce un punto di riferimento per il supporto ai pazienti con malattie inguaribili assistiti negli Hospice Bentivoglio, Bellaria e Casalecchio e per la diffusione di una corretta cultura delle cure palliative attraverso le attività di formazione e ricerca dell’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa. Grazie ai risultati ottenuti in questi anni, la Fondazione ha assunto un ruolo rilevante nell’assistenza, nella programmazione sanitaria locale e nell’organizzazione e gestione dei servizi operando in sinergia e in piena sussidiarietà con le Istituzioni. Tutti i servizi offerti dalla Fondazione Hospice, grazie all’accreditamento con il Sistema Sanitario Nazionale e all’attività di raccolta fondi, sono gratuiti per i pazienti, per le famiglie e per i professionisti della rete territoriale (medici di medicina generale e specialisti a cui è offerto un servizio di consulenza in cure palliative). Oltre all’attività assistenziale, vengono avviati progetti di ricerca e di formazione a livello nazionale e internazionale, in collaborazione con enti e istituzioni scientifiche. The Hospice Seràgnoli Foundation has developed an innovative care model, one of excellence and a point of reference in the field of palliative medicine. It provides support for terminally ill patients in its Bentivoglio, Bellaria and Casalecchio Hospices. It also disseminates the correct culture of palliative care through the training and research activities of the Academy of Palliative Medicine Sciences. Thanks to the results achieved in recent years, the Foundation has played an important role in assisting in local health planning and organization and in the management of services. The Foundation works in synergy and in full subsidiarity with the Institutions. All services provided by the Hospice Foundation, thanks to accreditation with the National Health System and fundraising activities, are free for patients, families and professionals in the local network (general practitioners and specialists to whom a palliative care consultancy service is offered). In addition to welfare activities, the Hospice Foundation promotes training and research projects at national and international level in collaboration with organizations and scientific institutions. www.HospiceSeragnoli.org – www.FondHS.org

10


FONDAZIONE

HOSPICE MT. C. SERÀGNOLI ONLUS

Assistenza

Formazione e Ricerca

CAMPUS BENTIVOGLIO

HOSPICE BENTIVOGLIO FONDAZIONE SERÀGNOLI

RESIDENZE

ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI MEDICINA PALLIATIVA C AM P U S BE N T IVOG L IO - B o l o g na

HOSPICE BELLARIA

FONDAZIONE SERÀGNOLI

HOSPICE CASALECCHIO FONDAZIONE SERÀGNOLI

PROGETTO HOSPICE PEDIATRICO

ASSOCIAZIONE AMICI DELLA FONDAZIONE HOSPICE

L’Associazione Amici opera nell’interesse di tutti coloro ai quali stanno a cuore la cura e l’assistenza dei pazienti in fase avanzata e progressiva di malattia. Sostiene ogni giorno la Fondazione Hospice organizzando eventi e sensibilizzando la comunità sull’assistenza in Hospice. Si impegna, inoltre, nella diffusione della cultura della donazione. The “Associazione Amici” (Association of Friends) serves the interests of those who have at heart the care and assistance to patients with serious and not curable illnesses. It supports every day the Fondazione Hospice by organising events and increasing awareness on the importance of Hospice care. It is also commited to spreading the culture of giving.

11


ALESSANDRO MENDINI I NASTRI DI DOUTDO

“Partecipo a doutdo da tre edizioni. Ogni volta è stata una novità perché le edizioni continuano a cambiare formula, diventano sempre più complesse, da piccole raccolte di opere, che all’inizio erano multiple, sono passate a delle ricerche sull’architettura e poi, quest’anno, a delle opere d’arte di una certa complessità. Il titolo quest’anno è “La Morale dei Singoli” il che vuol dire che in un’epoca di isolamento c’è comunque la possibilità di trovare una specie di riscatto, di sollecitazione sociale. Cosa che è fondamentalissima nell’arte che in questo momento è molto slabbrata, è molto condotta su terreni caotici e spesso anche incomprensibili.
 Il concetto del “dono” è molto particolare perché non è mai veramente un “dono”, è sempre anche un atto di egoismo. Tanto è vero che “do - no!”. Io “do” ma “non do”. Questo è un dilemma che ci trattiene tutti e che con il motto di Bergonzoni “do ut do” raggiunge un paradosso che poi costituisce la formula di questa manifestazione periodica. Quando devo parlare di doutdo, cosa che mi è già capitata, non so assolutamente cosa dire, cerco di inventare il giorno prima su istigazione “forzosa e un po’ violenta” di Alessandra. Questa volta mi è venuto in aiuto proprio tre giorni fa lo scrittore Erri De Luca che mi ha mandato un piccolissimo libro che parla di un uomo e di una donna in un ospedale che aspettano che gli venga fatto il trapianto di cuore, attendono il nuovo cuore e poi si ripromettono che se le cose vanno bene si reincontreranno e faranno un brindisi o una vacanza. Le cose vanno bene, si rivedono e lui ha un cuore nuovo e lei ha un cuore nuovo. Non hanno più il loro cuore, hanno il cuore degli altri. È una cosa che li mette molto in imbarazzo: lui ha il cuore di una ragazza giovane morta in un incidente stradale e lei il cuore di un uomo. Qui lui comincia a parlare col cuore di questa ragazza, per cui si innamora del proprio cuore, è un gioco molto interessante. All’interno di questo libriccino, è citato un antico raccontino cinese che parla della differenza tra Paradiso e Inferno. L’In-

12


ferno è una lunga tavola con le ciotole piene di riso, ma con le persone che non riescono a mangiare perché le bacchettine sono troppo lunghe. Ognuno si accanisce a cercare di mangiare nella propria ciotola e progressivamente non riuscendoci muoiono tutti di fame. Nel Paradiso c’è la stessa tavola dove le bacchettine hanno la stessa lunghezza, ma ognuno dà da mangiare all’altro per cui raggiunge la bocca dell’altro che è più lontana. Questo piccolo aneddoto parla dei modi di donare. I modi di donare sono tanti e c’è anche questo di questa specie di “mafia” di doutdo della quale io sono un padrino, per cui diciamo che bisogna stare attenti. Però nella progressione di queste edizioni mi pare che tutto si sia precisato molto meglio e la forma si stia mettendo a fuoco. Quest’anno si fa una raccolta, non una collezione, di opere d’arte di una certa importanza. Raccogliere opere d’arte è un problema difficile, è legato a intenzioni, a ideologie, a scelte. Ognuna delle quali crea attività estetiche e selettive complesse. Siccome a me veniva ancora chiesto di inquadrare questa edizione e considerato che non conosco le opere d’arte scelte, ci saranno anche quelle che non condivido, ho allora pensato di creare degli scotch che inquadrano queste opere all’interno delle pareti o dei pavimenti sui quali verranno esposte”.

13


ALESSANDRO MENDINI DOUTDO’S RIBBONS

“This marks the fourth doutdo that I have had the honour of taking part in. Each edition of the festival has been a breath of fresh air, showcasing a wide array of talents from different backgrounds and disciplines. What started out as a small collection of donated pieces, continues to grow and gain momentum year on year encompassing increasingly prestigious and important works of art and architecture. This year’s edition is entitled “The Moral of the Individual” which, in times like these of great isolation and narcissistic navel-gazing, provides a call to be social and to understand our role as individuals within society. I find that this is absolutely fundamental in art, which is showing itself to be fractured and increasingly veering onto rocky terrain. It becomes self-serving and incomprehensible if we are not careful. Those involved in this project, from the artists to the curators and organisers, are united in their desire to give, even if their works are completely divergent. Whilst they may not share a common theme, they do share a common ideology. Doutdo aims to redefine what it means to give. The concept of giving is never really a selfless act – a donation or a gift – but an egotistical act of giving to receive (do ut des). In fact, doutdo is a riff on this famous Latin motto. Alessandro Bergonzoni came up with the name which perfectly encapsulates the ethos of this event: Give for giving’s sake. That said, when I have to explain what doutdo is, which happens frequently, I am really at a loss as to what to say. I find myself making it up the night before the presentation, with Alessandra on my back forcing me to say something worthy of note. This time the writer Erri De Luca came to my aid. Just three days ago he sent me a tiny book with grand ideas. The first tale tells of a man and a woman in hospital who are both waiting to undergo a heart transplant. While they are waiting for the operation they decide that should it go well, they will meet again and celebrate with a toast or a holiday together. The operation goes well. They meet up with each other again. He has a brand new heart, and so does she. It’s just that they now have somebody else’s heart beating in their chest: him, that of a girl who was killed in a road traffic accident and her, the heart of a man. A terribly embarrassing predicament for both of them. He starts to talk to his new heart and soon falls in love with it (her)… and, well, you can guess how the rest of the story goes. Hidden within this book is an old Chinese tale, showing the difference between heaven and hell. Hell is a long table with bowls overflowing with rice, but the people seated at those tables cannot eat because the chopsticks are too long. Every single one of them tries their hardest to eat out of the bowl but they simply cannot, and all die of starvation. In heaven there is the same table

14


and chopsticks, but everybody feeds each other, managing to reach the mouths of those sitting opposite with ease. Why this brief anecdote? Well, it talks of the many forms of giving and reflects doutdo’s main aim. The danger, though, is being seen as a kind of “mafia” organisation where I am the godfather, so we have to tread carefully. However difficult it may have been in past editions to convince people of the festival’s good intentions, it now seems our purpose is clear and we are no longer in murky waters. This year we are going to put together a “raccolta”, rather than a simple, unidirectional collection, of important and thoughtprovoking works of art. Gathering artwork from various sources (hence the word ‘raccolta’, rather than collection) is a tricky job, because it implies there is a conscious intention and personal ideology behind choosing every piece. Since I was asked to preside over and ‘frame’ this edition of the festival, which includes art that perhaps I would not have chosen myself, this task has been particularly taxing. I have tried to connect the works of art to one another, using tape on the walls and along the floor to connect disparate mediums and ideas”.

15


GIACOMO GHIDELLI LE CORNICI DI ALESSANDRO MENDINI

Si prepara la nuova edizione di doutdo, la straordinaria iniziativa dell’Associazione Amici della Fondazione Hospice Seràgnoli. La Presidente del comitato doutdo, Alessandra D’Innocenzo, è a colloquio con Alessandro Mendini. E, come sempre capita con Mendini, i ragionamenti si fanno ampi: si ragiona sui tempi che stiamo vivendo, in cui il narcisismo delle persone e degli artisti viene enfatizzato da un mercato centrato sulla spettacolarità. Si cerca di capire come doutdo possa invece opporre un atteggiamento resiliente a questa deriva, con la forza dell’esempio e dell’iniziativa personale. Si affronta il grande tema della responsabilità personale dei progettisti, quella che nasce dalla consapevolezza, come diceva Nadine Gordimer, che “la responsabilità è ciò che ci attende al di fuori del giardino della creatività”. Si espande il ragionamento all’etica, all’etica fondata sulla morale dei singoli, a sua volta fondata sulla consapevolezza che il singolo vive e può vivere solo se riconosce la sua dipendenza dagli altri. E quindi se riconosce che la responsabilità consiste nel saper rispondere agli altri delle conseguenze delle proprie azioni, delle proprie scelte. Quando il ragionamento sembra concludersi in un quieto silenzio meditativo, c’è l’idea di Alessandra: “Per questa edizione di doutdo mi piacerebbe che le opere avessero una cornice che pur esaltando la loro irrinunciabile e straordinaria unicità facesse capire che sono legate insieme da una sorta di filo che ne sottolinea la compartecipazione a un’idea collettiva, al dare per dare come modo di stare insieme, come pensiero e modo di fare che si pone in antitesi al narcisismo di persone rinchiuse soltanto in se stesse”. Alcuni anni fa, in un’intervista che ho pubblicato nel volume Alessandro Guerriero senza titoli nella storia del design parlando dell’esperienza di Alchimia (anni a cui risale la mia conoscenza di Alessandro Mendini) Enrico Baleri diceva: “Credo che Guerriero abbia (…) avuto grande influenza su Mendini. D’altra parte, da sempre si parla molto di Mendini, ma non puoi dire di conoscere Mendini se non sai chi c’è alle sue spalle. E questo perché Mendini non è uno che fa il primo passo: lui fa il secondo e lo fa benissimo. È uno specialista, uno che catalizza e sa catalizzare in modo perfetto, ma che inizialmente se ne sta a guardare. Quando fai un progetto con Mendini, persona straordinaria (…), è come se ti dicesse: vai avanti tu, fallo tu e poi io ti dico se va bene o no”. Così, dopo aver sentito l’idea con cui Alessandra aveva concluso la conversazione, Mendini inizia a lavorare. E i pensieri di quel giorno si concretizzano in un’altra delle sue “sublimi idee”: sublimi in senso mozartiano, direi, perché semplici e complessissime nello stesso tempo: sei nastri adesivi, ciascuno stampato con uno dei suoi disegni stilematici e con la scritta “La morale dei singoli – do ut do”. C’è la poesia di un disegno che si adagia sul mondo per circoscriverlo e c’è la forza di un segno che sa definire un gruppo di opere rivelandone il carattere in un vero e proprio “dover es-

16


sere” kantiano. Un gesto, un dono in cui c’è tutto Alessandro Mendini: il suo pensiero, la sua generosità. Già, perché qui è proprio il caso di sottolinearla questa sua generosità. La conosce molto bene doutdo, che da sempre l’ha avuto al fianco. E l’ho sperimentata direttamente anch’io, con Tam-Tam, l’associazione nata da un’idea di Alessandro Guerriero, di Riccardo Dalisi, di chi scrive e dello stesso Mendini. Con Tam-Tam, molte delle iniziative rivolte a reperire fondi a favore di associazioni non profit sono partite proprio da un lavoro di Alessandro, così come altre iniziative hanno beneficiato di una sua opera. Poesia, generosità, certezze, introspezione, amore e altro ancora: una molteplicità di volti di cui lui era consapevole, tanto da disegnare per il manichino che lo ritraeva nella mostra Dressing Ourselves l’abito di Arlecchino: gioco, sberleffo, autoconsapevolezza, travestimento, messaggi sotto traccia e, quando serviva, anche durezza. Detto questo, dico anche che sono convinto sia impossibile “incorniciare” Alessandro in un discorso finito. Ed è una impossibilità che riscontriamo non soltanto riferendola a lui, come persona, ma anche ai suoi progetti. D’altra parte, in un lontano scritto del 1998, diceva di sé: “Progetto delle cose come messaggi sfuggenti, dove determinanti risultano certo il segno, la decorazione, il colore; ma anche la disponibilità errabonda della loro fragilità e indeterminatezza”. Ecco: forse il suo segno più vero sta in quello che è stato il suo eterno e “incorniciabile” errare, e questo nonostante la sua ultima opera siano stati nastri destinati a incorniciare opere di altri. O, forse, proprio per questo. Con riconoscente affetto.

17


GIACOMO GHIDELLI ALESSANDRO MENDINI’S FRAMES

We are getting ready for the latest edition of doutdo, an extraordinary initiative led by the Friends of the Seràgnoli Hospice Foundation. The committee chairwoman Alessandra D’Innocenzo is being interviewed alongside Alessandro Mendini. As we have come to expect with Mendini, he shares his out-of-the-box thinking. He ponders the period we are living in, a time where narcissism of the individual and artists alike is magnified by an economy that is focused on the spectacle. On showing (off). During the interview doutdo is discussed. What does it mean in today’s world? Is it able to swim against this tide of self-serving individualism by being a role model for giving and for using our gumption. The responsibility of the individual, in fact, is another important theme that is tackled. As Nadine Gordimer famously said, “Responsibility is what awaits outside the Eden of Creativity”. Reasoning then turns to ethics, to the ethics of the individual and his responsibility. Sometimes this is founded on the knowledge that the individual can only live if he recognises his reliance on others. If he understands that his responsibility as an individual is based on his ability to know how to explain the consequences of his actions and his choices to those around him. When this reasoning seems to come to a meditative silence, Alessandra interjects with her own view. “I would like this edition of doutdo to have a thread that binds the artworks together, in spite of their very definite distinction and uniqueness from one another. A frame that unites the works, yet divides them at the same time. Giving for giving’s sake as a way of staying together, of uniting people. A way of thinking and acting that offers an antithesis to the narcissism of the navel gazers and the self-obsessed”. A few years ago, in an interview that was published in the book Alessandro Guerriero senza titoli nella storia del design (“Alessandro Guerriero untitled in the history of design”), I recounted my experience of Alchimia when I had first got to know Alessandro Mendini. Enrico Baleri said he thought that Guerriero had had a profound impact on Mendini. We always hear Mendini’s name mentioned, but you cannot claim to know Mendini if you do not know who is behind such a great figure. Mendini is not the kind of person who makes the first move. He makes the second one… and very deftly indeed. He is a specialist. He sets the ball rolling but then immediately takes a back step. When you have the pleasure of working with Mendini, an extraordinary man, it’s as if he says to “after you… you do it and then I’ll let you know how it is. Give it a go!”. After hearing Alessandra’s final idea, Mendini started working. And the thoughts and ideas that were toyed with that day became concrete in one of his other extraordinary ideas. An idea that seemed almost Mozart-like in its simple complexity: six rolls of sticky tape, each one of them containing the name of the exhibition “The Moral of the Individual –

18


doutdo”. There is pure poetry of a drawing that rests on the world and wraps itself around it, and there is the strength of a sign that defines a body of artwork, revealing its character in a true Kant-like ‘ought to be’ fashion. A kind gesture of a gift which encapsulates Alessandro Mendini’s thoughtfulness and generosity. Absolutely. We really must underline his generosity. Doutdo is acutely aware of it and grateful to have always had him at its side. Talking from personal experience, I worked with Tam-Tam, the association that came about from an idea by Alessandro Guerriero, Riccardo Dalisi, myself and Mendini. The association raises money for non-profit organisations and many of its initiatives were started by Alessandro, while others have benefited from one of his works. Works of poetry, generosity, certainty, introspection, love and much more besides. A multitude of facets that made him up. So self-aware was he, in fact, that he even portrayed himself as Harlequin in the exhibition Dressing Ourselves. It’s easy to see the similarities between the character and the real Mendini: characterised by playfulness, self-awareness, disguise, hidden messages and, when called for, an iron fist. That said, I also do think it is simply impossible to ‘frame’ Alessandro. This impossible feat not only refers to him as a person but also to the projects he worked on. In a piece he wrote in the distant past – 1998 to be precise – he said of himself: “I design things as elusive messages, where their symbols, colours and decorations are crucial, as are their wandering fragility and vagueness.” So, perhaps what really symbolised him and could be ‘framed’ was his own eternal nature of wandering (between disciplines). And all of this despite the fact that his last work was destined to be used to frame the work of others. Or maybe it was for precisely this reason... With grateful thanks.

19


STEFANO CASCIANI GLI ULTIMI NASTRI DI ALESSANDRO MENDINI

Ed eccoti qua: una scatola arrivata per posta, con dentro il tuo ultimo ricordo. Dei nastri adesivi, con i tuoi segni preferiti, spediti da Bologna, da questi folli e generosi signori e signore di doutdo. È il tuo ultimo scherzo bonario, l’ultimo sberleffo alla serietà posata dei Designer, e degli Architetti e degli Artisti con la maiuscola, fatto con un oggetto utile e a suo modo letterario, come piaceva a te. Un nastro serve per chiudere, chiudere una storia o iniziare un’altra: per sigillare una busta con dentro le dimissioni da un lavoro che non avresti mai lasciato, oppure con dentro la lettera a una donna con cui speri di andare a teatro, almeno una volta, e vederla sorridere di quello che stai vedendo insieme a lei. Ci puoi anche decorare un pacco, un regalo per una figlia piccola, o già adulta, come le tue Fulvia ed Elisa, che stanno qui ancora a ricordarci quanto hai saputo essere grande e umile allo stesso tempo. A proposito di regali, è quasi Natale e viene da piangere a pensare che è il primo in cui non ci sei più. Niente più scherzi e risate, e divertimento alle spalle – ma anche in fronte – dei parrucconi, degli scassaballe, dei votati a una causa persa, dei prosopopeici seriosi accademici, dei professoroni e critici, compresi quelli che per anni ti (ci) hanno deriso perché non avevi (avevamo) proprio voglia di stare dietro alle loro fisime. Ma così ridendo e scherzando – diventando solo terribilmente serio quando c’era di mezzo la questione vitale che fosse perfetto il lavoro, l’opera, qualsiasi fosse, anche un finto Vuitton venduto dai Vu Cumprà firmato da te – ci hai portato per mano su questa faticosa, difficile, infelice strada di rispondere a domande che nessuno si fa, in questo complicato e a volte inutile mestiere del progettare e dello scrivere del progettare, e nel poco tempo rimasto disegnare cose che non esistono e non interessano a nessuno se non a noi. Per un attimo, a proposito di adesivi, mi vengono in mente quelli piccoli, di carta, improbabili fatti per la Ricerca del Decoro di “Domus”, con i tuoi primi “stilemi”: una delle tue invenzioni intellettuali che guarda un po’ arrivano per lunghe strade proprio fino a questi nastri. Guerriero fece stampare credo milioni di quegli adesivi, che potevano servire da ferma busta, ma forse anche da appiccicare sul frigo in cucina, o sulla porta della stanza dei figli piccoli. Ce n’è ancora un pacchetto, qui in studio in qualche cassetto: dopo li cerco. Il peso dei ricordi. Sembrava, m’è sembrato per tanto tempo una cosa da cattivi scrittori, da pessimi giornalisti. Ma i ricordi alla fine pesano e come. Serve ricordare il giorno che in redazione a “Domus” hai chiesto chi voleva fare uno “scrittino” per/su Zanotta, e ho detto “Io” e mi è cambiata la vita? O del disegno della sedia Zabro che ci hai regalato quando mi sono sposato con Gabi? Serve rivederti quando sei arrivato con Anna Gili non so più a che festa con due dei tuoi Cento Vasi dedicato uno a me e uno a Cristiana Vannini (ognuno di voi ne

20


reggeva uno) per ringraziare del lavoro fatto per una certa importante mostra al “Louisiana Museum”? O quando mi dicesti “ok” quando venni a parlarti di doutdo, come mi hai sempre detto “ok” ogni volta che sono venuto a portarti idee strampalate su cui spendere ore e spremersi il cervello? O dell’ultima intervista che abbiamo fatto insieme per Juliet? O di quegli undici numeri di “Domus” con cui ci siamo divertiti forse come mai prima? Magari non serve, magari sì, importa relativamente adesso. Rigiro questi nastri tra le mani e un po’ mi sembra di vederti sorridere, contento che siano piaciuti a chi voleva da te un ultimo guizzo d’ingegno, semplice e imprevedibile come hai saputo essere fino alla fine. Ti do un ultimo abbraccio, come avrei voluto quel 21 febbraio di sole in cui ti abbiamo salutato senza neanche sapere perché te ne sei andato: se non, speriamo, per mandarci ancora qualche segnale da chissà dove sicuramente sei e guardi con i tuoi occhi così grandi e misteriosi, come quelli di un idolo pagano buono, il mondo e la vita che continuano. Specialmente quella vita che, senza darlo troppo a vedere, alla fine amavi più del design e dell’architettura e dell’arte: più di ogni altra cosa. Ciao, Sandro.

21


STEFANO CASCIANI ALESSANDRO MENDINI’S LAST TAPE ROLLS

And here you are: a box arrived by post, the last memory of you inside it. Adhesive tapes with your favorite patterns printed on them, sent from Bologna, by those mad and generous ladies and gentlemen of doutdo. And here comes your final goodnatured joke, your last mockery of the stuffiness and grandiose posturings of Designers, Architects and Artists with a capital letter, the witz that you have made by an everyday object, something utilitarian yet with a nod to literature, just as you liked. Tape is indeed made to close something, to close one story and to begin another one: to seal an envelope with a letter of resignation from a job you actually had never wanted to leave, or that perhaps contains a letter in which you invite a woman out on a date to the theatre, to laugh in unison at the play, to enjoy each other’s company. Or, you could even use the tape to decorate a parcel, a gift for a little daughter perhaps, or even for daughters who have already blossomed into womanhood, like your own daughters Fulvia and Elisa, who are still here to remind us that you knew how to be both a well grown-up dad and a humble kid at the same time. Regarding presents, it’s almost Christmas and the thought of you not being there anymore brings me to tears. No more insiders’ jokes, no more raucous laughter behind the shoulders (but also in front), of others from the old fogeys to the pains in the neck, to those elected to a lost cause, to pompous academics and bigwig professors and critics, including those who mocked you (us) for years because you (we) did not want to follow in their footsteps and get stuck into their silly fads as they are. And still, by laughing and seemingly fooling, you - just ready to become a terribly serious perfectionist on cue, when there was a piece of work to complete, even if the work of in question was a fake Louis Vuitton bag usually sold by a vu’cumprà, an illegal street vendor immigrant, and signed by you to help them to earn a better life - you took us by hand on this tiring, difficult, unhappy path to answer questions that no one wants to ask. I mean, to navigate this complicated and sometimes useless job of designing and writing about designing things, and in the little time that’s left, drawing things that no one, except us, cares about or that don’t really exist at all. For a moment, I think of those little multicolored paper stickers, designed, made by Studio Alchimia for the “Domus” Research into Decoration, Ricerca sul Decoro, with your seminal stylistic signs, zig-zags and flashes and amoebas: just one of your intellectual inventions that eventually paved the way for these colorful tape rolls I have in my hands now. Alessandro Guerriero must have commissioned millions of those stickers to print, I guess, as they may have been used as envelopes’ seals, or just to stick them on the kitchen fridge or on the doors of the kids’ bedrooms. There must be still one packet left here in my studio, in a drawer somewhere. I’ll go and look for them, in a bit.

22


The weight of memories. It seemed, it always seemed to me to be a piece of rhetoric for very bad writers, for the worst journalists. But in the end memories do start weighing me down, yes, and how they do. Is it worth to remember the day when, at “Domus” magazine, you walked lightly into the editors’ open space and asked “Who wants to write a piece on Zanotta company’s history/identity?” and I said “Me!” and that changed my all life? Or was it when you gave me and Gabi your drawing of the Zabro table/chair as gift for our wedding? Has it any use to see you again with Anna Gili and two of your famous One Hundred Vases for Alessi, dedicated with one of your funny faces to me and Cristiana Vannini, that you and Anna Gili gave us – one for each of us two – as thanks for our work on the design and making of the Copenhagen Louisiana Museum’s Italy the Art Factory exhibition? Or when a few years ago I came to tell you the doutdo story and if you would join the party and yes, you agreed, as all the many times I came to see you with whimsical ideas that would have taken us hours and worn our brains to a frazzle to have them actually made. Or should I remember the last interview we did for “Juliet” art magazine? Or the 11 issues of “Domus” that we edited and published together having more fun than we ever had before? Perhaps there is no need. Perhaps there is any. Well, it does matter relatively now. I twirl these tape rolls in my hands with a tear in my eyes but I feel a bit like I can see you smiling again, happy to see the doutdo people taking pleasure in this last spark of your genius, as simple yet unpredictable as only you knew how to be, right till the very end. And here’s my last hug to you, as the one that I had liked to give you on that sunny 21st February, when we gave you our last goodbye in front of the church, without even knowing why you went away: if only, hopefully, to still send us some signs from who knows where you surely are, looking down with those famously big and mysterious eyes, like a kind-hearted pagan idol, looking down on us and the world and the life that still go on. Especially that life that you, without ever showing it too much, you really loved, more than design and architecture and art: more than anything else. Bye-bye, Sandro

23


MASSIMO MININI DOUTDO

Doutdo è un DO di petto che presuppone amore e generosità senza limiti e senza interessi. Un gruppo di persone, quasi tutte vicine all’arte, all’architettura, al design vengono interpellate da altre persone informate sui fatti che chiedono di dare per scopi benefici, senza aspettarsi alcun riconoscimento. Niente targhe, diplomi, coppe argentate come potremmo trovarne in certi bar di periferia. Non sappia la destra... È anche un modo per passare alla storia. È un gesto talmente raro che mette in luce chi lo fa. Ci ricordiamo dei Poldi Pezzoli, Bagatti Valsecchi, Carrara, Lochis, Tosiio e Martinengo, Morelli, dei Medici, Gonzaga, Farnese e di Battista Sforza, dei Jacquemart André, di Abi Warbyrg, dei Guggenheim, di Thissen di Pinault, Prada, ecc… Non so se lo avete notato, ma fino a poco fa si lasciavano beni alla città, allo Stato. Visti i magri risultati, chi non vende in asta le collezioni oggi se le gestisce da solo (Prada, Guggenheim, Beyeler, Cartier, Trussardi... hanno così un controllo più stretto sui beni e tutto il ritorno d’immagine. Il DO-UT-DO scombina le regole del gioco, un iterativo che spaventa, non se ne vede la fine. La fine no, ma il fine si… un aiuto generoso, di tutti quelli della fotografia al tavolo di Govanni Gastel, sorvegliati da Alessandra D’Innocenzo, nume tutelare, dea ex machina e vera regista di questa scriteriata, saggia operazione.

24


MASSIMO MININI DOUTDO

Doutdo is a rebel yell springing from non-profit, unbounded love and generosity. A group of artists, architects, designers, and much more, are asked to give for charity, without expecting back any recognition. No contest plates, diplomas, or silver cups to be won. We are sorry for suburban-bar contest lovers... Free giving is also a way to make history. In fact, it sheds light on those who make such a rare gesture. We all remember indeed noble collectors and patrons of the arts, like Gian Giacomo Poldi Pezzoli, Fausto and Giuseppe Bagatti Valsecchi, Carrara, Lochis, Paolo Tosio and Leopardo Martinengo, Giovanni Morelli, the Medici, Gonzaga, and Farnese families, Battista Sforza, Jacquemart André, Abi Warbyrg, Peggy Guggenheim, Pinault’s Thyssen, and Prada, among others. Until recently, donating goods to the city and the State was a rather common behaviour. Have you noticed? Given the meagre results, nowadays big names such as Prada, Guggenheim, Beyeler, Cartier, and Trussardi do not sell their collections at auctions but manage them on their own. This way, they have a tighter control over their goods and public image. DO-UT-DO messes up the rules of the game, and frightens with the endlessness of its iterative giving. This project heads to a final purpose, though: a generous help from all photographers from Govanni Gastel’s entourage, supervised by Alessandra D’Innocenzo, the tutelary deity, dea ex machina, and true director of this wicked, wise operation.

25


SEBASTIANO MAFFETTONE LA MORALE DEI SINGOLI

Doutdo presenta questa sua ultima iniziativa con un titolo fortemente evocativo qual è “La morale dei singoli”. Come molti di voi già sanno, l’idea di dedicare il nostro incontro a questo tema è stata di Alessandro Mendini, cui vanno il ricordo più sentito di tutti noi e il ringraziamento più profondo per la capacità di sapere coniugare, come forse nessun altro, il mondo dell’arte con quello della vita. La mia intenzione – in questo breve scritto – è quella di proporvi una riflessione sul rapporto tra la morale individuale (che è poi la morale dei singoli) e l’etica pubblica, che sono, a mio avviso, due facce della stessa medaglia. Detto quanto più sinteticamente possibile, la tesi è che la morale dei singoli presuppone un’etica pubblica adeguata, e che quest’ultima a sua volta richiede che consapevolezza, sincerità, spiritualità, rettitudine – e in sostanza tutti gli aspetti più significativi della morale individuale – siano presenti. Da aggiungere che, ovviamente, la mia tesi riguarda direttamente il tema dell’etica ma indirettamente si rivolge a doutdo e al lavoro che sta svolgendo in questi anni. Prima di entrare nel merito della questione, mi sia consentito di indulgere un po’ nella mia deformazione professionale, presentando un quadro estremamente sintetico di quello che oggi si intende per etica. Credo che l’impresa sia utile per chiarire il punto in discussione, e sono anche persuaso che oggi si parli molto di etica senza avere quel minimo di basi indispensabili per farlo in maniera appropriata. L’etica contemporanea in Occidente si basa su due grandi tradizioni, quella antica (classica) e quella moderna. I due pensatori (principali) di riferimento sono rispettivamente Aristotele per l’etica antica e Kant per l’etica moderna. L’etica di Aristotele è in buona sostanza un’etica dell’autorealizzazione che poggia sul perseguimento delle virtù. “Coltiva te spesso” potrebbe esserne il motto, e la raccomandazione morale fondamentale – che se ne deriva – è quella di una spinta interna a migliorarsi. L’etica di Kant, invece, è nella sua essenza un’etica del rispetto dell’altro. L’invito è a non strumentalizzare mai le persone. La raccomandazione con esso coerente è quella di una spinta però non interna ma piuttosto che viene da fuori, dall’altro per l’appunto. È interessante vedere come nella visione contemporanea questa eredità sia stata adoperata per coniugare morale individuale e etica pubblica. È abbastanza ovvio che la fioritura di una sana morale dei singoli presupponga una decente etica pubblica. Non si possono coltivare le virtù della persona, le qualità del carattere, in un ambiente come quello reso popolare da Gomorra. Ma che cosa si intende per etica pubblica? Tutto considerato, l’etica pubblica è la moralità istituzionale, il modo in cui le persone si comportano, da un punto di vista morale, nella sfera pubblica. Ai nostri giorni, il riferimento obbligatorio in materia riguarda due nomi tra tutti, quelli di due grandi pensatori quali

26


John Rawls e Jürgen Habermas. In questa sede, è impossibile riprendere anche solo per sommi capi le linee essenziali della loro visione dell’etica pubblica. Si può solo dire che entrambi partono – sia pure in maniera originale e diversa l’uno dall’altro – dalla tradizione dell’etica del rispetto che abbiamo fatto risalire a Kant. Sia la Teoria della giustizia di Rawls sia l’Etica del discorso di Habermas riguardano proposte socialdemocratiche e pluraliste di origine kantiana. Nel complesso, siamo di fronte a due grandi costruzioni di pensiero che, per quanto mi concerne, è difficile non prendere in seria considerazione se ci sta a cuore l’etica pubblica della società contemporanea. Tuttavia, entrambe queste proposte trascurano un aspetto importante della questione, quello che, in maniera senza dubbio approssimativa, abbiamo fatto risalire ad Aristotele. Si tratta, in qualche modo, del rapporto tra l’etica pubblica e il soggetto, di quella che, con Mendini, possiamo chiamare la morale dei singoli. Nell’ambito della filosofia occidentale contemporanea il tema del rapporto tra etica e soggetto è stato trattato in maniera stimolante e persuasiva da un altro grande pensatore, Michel Foucault. Magari in sintonia con (pochi) altri filosofi occidentali – in Oriente tale insistenza sulla morale individuale è del tutto normale – del passato e del presente, quali il Socrate platonico, l’Agostino delle Confessioni, i pensatori ellenistici, Montaigne, il Rousseau delle Reveries, il Nozick di Una vita pensata. La questione di fondo verte sul rapporto tra conoscenza e spiritualità. Ne L’ermeneutica del soggetto (un volume della sua Storia della Sessualità), Foucault presenta efficacemente la struttura di questo rapporto e le difficoltà connesse a viverlo filosoficamente nell’ambito della tradizione occidentale di natura istituzionalistica. L’idea centrale di Foucault è connessa alla “cura di sé” (epimeleia heautou, cura sui). La cura di sé foucaultiana intende congiungere in un solo momento la conoscenza di sé (il gnoti seauton) e il lavoro sul sé, sostenendone la sostanziale inseparabilità dei due momenti in questione. La proposta muove in direzione contraria al predominio della conoscenza e della verità tipico della tradizione filosofica occidentale, e che Foucault collega al cosiddetto “momento cartesiano”. L’esito di questo tentativo consiste nel cercare un momento di askesis – una sorta di epifania attiva – in cui il soggetto trasforma se stesso e accede a nuovi orizzonti cognitivi. Insomma, la conoscenza autentica e nuova presuppone un eros precedente, e le due cose non possono essere scisse. L’ascesi individuale mi apre nuove possibilità cognitive, e viceversa le nuove possibilità cognitive mi consentono una trasformazione interiore. In Foucault, tale trasformazione è la premessa per una revisione radicale di quello che si intende di solito per etica pubblica nell’ottica kantiana. Si tratta – come abbiamo detto – di un’etica in cui il dovere del soggetto dipende dal rapporto con gli

27


altri. È la dignità di ogni persona che io riconosco e rispetto nell’altro. E su questo sfondo di intersoggettività pubblica che si origina l’imperativo categorico e l’idea stessa di moralità. In questo modo, però, l’etica contemporanea finisce per mettere in ombra un altro aspetto essenziale della moralità, quello che è in stretta connessione con il sé, aspetto che è invece essenziale nell’eticità greco-romana. Questo secondo aspetto promana dal sé, si preoccupa di regolamentarlo e trasformarlo. È l’ottica dell’uomo saggio, delle sue qualità e potenzialità che fornisce in questo caso la cassetta degli attrezzi dell’etica. Il lavoro sul sé diviene qui essenziale: il pensiero critico non può essere pura astrazione basata su principi, ma deve raggiungere la concretezza di una trasformazione illuminata del sé. La trasformazione del sé, che presuppone, poggia poi su due pilastri – che sono a loro volta tipici sia del pensiero ellenistico sia del pensiero orientale – la capacità di autoregolarsi limitandosi e rinunciando e la possibilità di immergere il sé nel cosmo. La conclusione del ragionamento è a favore di una rinnovata centralità della morale dei singoli nell’ambito del discorso e della partica dell’etica pubblica. Come il nostro lettore avrà compreso, questa affermazione serve da premessa filosofica per affermare il significato e la validità del lavoro di doutdo. L’arte contemporanea colpisce lo stomaco dello spettatore, obbligandolo quasi a trasformarsi in attore, comunque in soggetto attivo e partecipe. Solo in questo modo arriva al cervello e permea la nostra estetica fondamentale. In questo passaggio difficile tra stomaco e cervello, tra reazione istintiva e riflessione trascendentale, bisogna attraversare luoghi complessi del sentimento. La mia tesi da sempre è che, per farlo a ragion veduta, c’è bisogno di quella che chiamo “un’ontologia critica dell’arte”. Che poi vuol dire una giustificazione dell’oggetto estetico in termini non solo di critica dell’arte ma anche di etica, che a sua volta implica quell’impegno che può derivare solo dalla partecipazione attiva in un processo che non sia solo artistico ma anche pieno di responsabilità sociale e morale. La natura sociale e politica dell’arte contemporanea, predicata in anticipo sui tempi da illustri artisti quali Warhol e Beuys, non viene del resto oggi negata da nessuno. Il problema consiste piuttosto nell’interpretarla in maniera feconda. Che doutdo stia da tempo avviando un processo siffatto, a me pare fuori dubbio. La responsabilità morale dei singoli che vi partecipano – a cominciare dalla sua Presidente, Alessandra D’Innocenzo – viene chiaramente fuori da tutto il suo operato. Ancora più evidente è l’impatto di “do ut do” dal punto di vista della responsabilità sociale. L’idea di “usare” l’arte per scopi diversi da quelli suoi tipici, in particolare per il benessere di chi soffre, è infatti tipica della responsabilità sociale. Doutdo l’ha fatta sua non solo in maniera teoricamente corretta ma anche con risultati pratici estremamente incoraggianti, come è evidente per chiunque – come il sottoscritto ne abbia seguito il lavoro negli anni. L’arte

28


contemporanea è, nella misura in cui possa parlarsene come un tutt’uno, fatta di genio e sregolatezza, di fertilità intellettuale e vaghezza, di ricchezza epistemologica e mancanza di scrupoli. Prenderla sul serio vuol dire riscattarla dalle sue parti deboli, decostruirne la totalità in nome della serietà, aggiungervi un impegno morale e sociale esterno e definito. Tutto ciò richiede la congiunzione di morale dei singoli e senso della comunità. C’è ancora bisogno di dire che si tratta di quanto sta facendo per noi e con noi doutdo?

29


SEBASTIANO MAFFETTONE THE MORAL OF INDIVIDUALS

Doutdo presents its latest initiative “The Moral of the Individual”, the brainchild of Alessandro Mendini, who will remain in our hearts and minds forever. We continue to give thanks to him and his unique ability to bring together art and real life. My intention in writing this piece is to invite the reader to reflect on the relationship between our individual, personal morality and that of public ethics. I firmly believe that these two elements are two sides of the same coin and that they cannot exist without one another. The moral of individuals suppose adequate public ethics, and the latter in turn requires that awareness, sincerity, spirituality, rectitude – and in essence all the most significant aspects of an individual morals – be present. Before delving deeper into the matter at hand, I’d like to take a few seconds to talk about my professional bias and how that has come to influence my way of thinking and reasoning. I believe that nowadays people talk about ethics without having even studied the basics. So, what is ethics? Contemporary ethics in the West is based on two great traditions, the ancient (classical) and the modern one. The two (main) thinkers of reference are respectively Aristotle for ancient ethics and Kant for modern ethics. Aristotle’s ethics is essentially an ethics of self-realization based on the pursuit of virtues. “Coltiva te spesso” [Cultivate yourself often] could be the motto, and the fundamental moral recommendation – which comes from it – is that of an internal thrust to improve. On the other hand, Kant’s ethic is in its essence an ethic of respect for the other. The invitation is never to exploit people. The recommendation consistent with it is that of a push, however, not internal but rather that comes from outside, precisely from the other. It is interesting to see that in modern thinking these ancient theories have been used to marry the moral of the individual with public ethics. Of course, it is true that having a strong moral code relies on a system of public ethics. It would be quite impossible to ‘cultivate one’s virtues’ and strength of morality living in a harsh reality like the one we have seen portrayed in Gomorra, for instance. So what is public ethics? Well, it can be summarised as being institutional morality and how people behave in the public sphere. Nowadays John Rawls and Jürgen Habermas come to mind when we think of this topic. It is impossible to explain their vision of public ethics in just a few lines, but we can say that despite having different ideas from one another and offering diverse points for reflection, both start off from the teachings of Kant. Both Rawls’ Theory of Justice and Habermas’ The Ethics

30


of Discourse focus on sociodemocratic and pluralist notions which have their origins in Kant’s teachings. We are looking at two schools of thought that, in my humble opinion, are impossible to ignore when looking at what public ethics means in contemporary society. However, these two great thinkers missed one key element, which can be traced back to Aristotle: the moral of the individual. And herein lies the link to doutdo and Mendini’s latest project... In contemporary Western philosophy, one of the great thinkers who did tackle the relationship between ethics and the self in a dynamic and thought-provoking way was Michel Foucault. In Eastern philosophy, the study and nurturing of an individual’s morality is commonplace, whereas in the West Foucault was one of the few to consider the individual. Others include Socrates, Augustine in Confessions, Hellenistic thinkers, Montaigne, Rousseau and Nozick in The Examined Life. The basic question concerns the link between knowledge and spirituality. In his lecture series The Hermeneutics of the Subject Foucault portrays a contemporary world where it is difficult to live philosophically within the context of Western institutionalism and harks back to what he calls “The Golden Age”. His central idea focuses on care of the self, rather than simply knowing oneself (epimeleia heautou, cura sui), which he argues was prevalent in early Rome and Hellenistic Greece but which remain at the centre of contemporary moral thought. Foucault’s “care of the self” seeks to unite “awareness of the self” (gnoti seauton) and working on oneself at the same time. He maintains that these two are inseparable. This is in stark contrast with what traditional Western philosophy says about truth and knowledge and what Foucault calls “Cartesian Moment”. This attempt results in the search for a moment of ‘askesis’, a kind of active epiphany, in which the individual transforms himself and is able to access new cognitive horizons. True and learned knowledge presuppose that an eros was already present within the individual and these two factors cannot exist without one another. Askesis opens up new cognitive abilities and at the same time new cognitive abilities allow me to reach an inner transformation of the self. In Foucault this transformation is the starting point for a radical revisioning of what we mean when we say public ethics from Kant’s perspective. It deals with the ethics of a subject which depends on his/her relationship with others. I respect my own dignity and that of my neighbour. It is on this basis that morality itself is formed. Contemporary ethics casts aside an essential element of morality - that which is directly connected to the self, and one which was essential in GreekRoman ethics. In this form of ancient ethics the emphasis was on forming and even transforming the self. It is the perspective

31


of the wise man, of his qualities and potentiality that in this case provides the ethic toolbox. The work on the self becomes essential here: critical thinking cannot be pure abstraction based on principles but must reach the concreteness of an enlightened transformation of the self. The transformation of the self, which presupposes, then rests on two pillars – which are in turn typical of both Hellenistic and Eastern thought – the ability to regulate oneself by limiting and renouncing, and the possibility of immersing the self in the cosmos. These are typical of both Hellenistic and Eastern thought. Ultimately this reasoning leads us to a renewed idea of the moral of the individual, placing him at the centre of the issue and of public ethics. As you will have understood by reading up to this point, this idea serves as a philosophical premise from which to understand the significance of doutdo in today’s society. Contemporary art is like a punch in the stomach and forces you, the spectator, to take an active part rather than play the role of the passive onlooker. It is only in this way that the message arrives at our thinking centre: the brain. It is a difficult journey to make between stomach and brain, between instinct and reflection over the rocky grounds of feeling. My theory is, and has always been, that after careful consideration there needs to be a sort of critical ontology of art. That means justifying an aesthetic object not only from the point of view of art but of philosophy and ethics. And to do that means a conscious effort from the active spectator who is not only interested in art and aesthetics but in social and moral responsibility too. The social and political nature of contemporary art, preached in advance by illustrious artists such as Warhol and Beuys, is not denied by anyone today. The problem is rather to the interpret it in a prolific way. I think there’s no doubt that doutdo has been going through such a process for a long time. The moral responsibility of the individuals who take part in doutdo, starting first and foremost with its president, Alessandra D’Innocenzo, of course is clear from their benevolent actions. In particular, in terms of its positive impact on social responsibility ‘do ut do’, giving for giving’s sake, is even more clear to be seen. The idea of using art for purposes other than those which are considered traditional, in particular for the well-being of those who suffer, is in fact typical of social responsibility. Throughout the years since I’ve been involved with the project, doutdo has formed its own social responsibility not only theoretically speaking but also with extremely encouraging practical results, which are evident to any onlooker. Contemporary art is, to the extent that it can speak of itself as a whole, made up of genius and dissoluteness, intellectual fertility and vagueness, epistemological richness and lack of scruples. To take it seriously means to redeem it from its weak parts, to

32


deconstruct its totality in the name of seriousness, to add to it an external and defined moral and social commitment. All this requires the conjunction of the moral of individuals and a sense of community. Do we still need to say that this is what you are doing for us and with us doutdo?

33


DAVIDE RONDONI MORALE DEI SINGOLI MAI

Se ti chiedono chi sei balbetti un poco e poi dici un cognome, una gens, o la città da cui provieni o chi sono i tuoi amici, i tuoi amori, dici di, sono di, dici chi sei dicendo i legami che hai... per questo non esisterà mai dei singoli una morale anche non volendo apprenderai cosa è bene cosa è male dai legami che hai e sceglierai... Ti può capitare la peggio cosa non entrare mai nel fuoco della rosa sbagliando i legami che tieni pensando d’esser individuo perché legami non hai così no, non avrai la morale tua ma assorbirai quel che deciderà il potere del pensiero dominante e sarai libero, ma apparentemente... Scegli, sì, coraggiosamente e con l’umiltà di diamante del cuore a che legami appartieni che ti conducono al mistero della vita e la morale sarà la tua, e viva, gioiosa partecipata

34


Non credo alla funzione morale dell’arte. O meglio non è certo la morale il suo scopo e nemmeno la politica, ma la conoscenza per via estetica. Sto con Baudelaire che ironizzava nel vedere “la scuola socialista e la scuola pagana” girare gli appuntamenti d’arte gridando “moralizziamo! moralizziamo!”. Avviene anche oggi. L’atto artistico ha un solo elemento morale ed è intrinseco: essendo composizione, anche nel più lacerato dei suoi frutti, comunica sempre qualcosa contrario alla disgregazione, ovvero alla morte e alla decomposizione. È animato da uno spirito comunque vitale, quando anche il suo contenuto sia espresso in temi negativi e dispregiativi a riguardo dell’esistenza. L’opera deve essere composizione di bellezza e di tensione conoscitiva. Per il resto, il problema morale sta tutto nel fruitore che può diventare Adolf Hitler, pur ascoltando Mozart o diventare Padre Kolbe. Intendo che il problema morale non è nell’arte, ma nella vita. L’arte esprime la vita nel suo complesso e dunque l’infinita varietà dei problemi morali che la abitano e inquietano. L’autore non ha un fine di indirizzo morale se non interno al potente viaggio della conoscenza del mistero del vivente, attraverso la bellezza che “parla”. Il problema morale del singolo dipenderà, nel momento in cui fruisce e interpreta un’opera, da quali sono i suoi legami fondamentali, i “di chi sono” che lo orientano, e se ha idoli a cui dedica la vita o un Dio che fonda l’esistenza e i suoi percorsi morali in un bene che non delude. L’arte in un’epoca secolarizzata viene spesso letta come unico rifugio spirituale e a volte una specie di para-religione con riti e sacerdozi. Ad essa si fanno spesso domande sbagliate. Errando. E mentre si crede di esaltarla la si perverte e avvelena. Perché lei arte invece non serve a niente, se non a ricordarci quella dimensione che abbiamo, chiamiamola anima o spirito, che risuona al presenatarsi misterioso del reale e che riguarda tutto. Ma la partita morale non è mai interna all’arte sola.

35


DAVIDE RONDONI MORAL OF INDIVIDUALS NEVER

If they ask who you are hesitate for a moment and then tell them a surname, a gender, the city you are from, or who your friends are, your loved ones, tell them from, I’m from, tell them who you are by telling them what ties you have... that is why there will never be one single morality, for all individuals whether you want to or not, you will learn what is right and what is wrong from the ties you have and those you will choose… The worst possible thing could happen to you never enter the blaze of gossip misjudging the ties you keep thinking you are an individual because you are tied to no one like that, you will not be guided by your own morals, you will only absorb, whatever the powers of dominant thought decide and you will be free, but only outwardly so… So yes choose, and do so boldly with precious humility of heart to which ties you belong which will guide you to the mystery of life and morality will be yours, alive, joyous shared

36


I do not believe in the moral function of art. Or rather its purpose is certainly not moral, nor even political, but to inform through aesthetic means. I’m with Baudelaire who wrote with irony about seeing “the socialist school” and “the pagan school” wander around art exhibits shouting “Let us moralize! Let us moralize!”. It happens even today. The artistic act has only one single, moral element and it is intrinsic: being composition, even in the most mangled of its fruits, it always communicates something contrary to disintegration, or rather contrary to death and decomposition. It is animated by a vital energy regardless, even when its content is expressed through negative and pejorative themes regarding existence. The work must be a composition of beauty and cognitive strain. Beyond that, the issue of morality lies in the consumer; whilst listening to Mozart they could become Adolf Hitler or they could become Father Kolbe. What I mean is that the moral problem is not found in art but in life. Art expresses life in its entirety, and therefore also the countless moral problems that inhabit and unsettle it. Artists are not guided by morality unless they encounter it on the compelling voyage in pursuit of knowledge of life’s mysteries, through a beauty that “speaks”. The moment an individual admires and interprets a work of art, their moral stance will be decided by their fundamental ties, the “who made me” questions that orient them, whether they have idols to whom they dedicate their lives or a God who provides a model for life and its moral paths grounded in a goodness that always delivers. In a secularized era, art is often interpreted as a singular spiritual refuge and occasionally as a sort of para-religion with rites and priesthoods. The individual often asks it the wrong questions. Going astray. They believe they are exalting it when in fact they are perverting and poisoning it. Because art does not actually serve any purpose, apart from reminding us of that other dimension we have, whether you call it the soul or the spirit, that resounds at the mysterious appearance of reality and which appraises everything. But the moral dilemma never rests in art alone.

37


VERA NEGRI ZAMAGNI LA VIRTÙ È PIÙ CONTAGIOSA DEL VIZIO

Per capire il successo di un’iniziativa come doutdo occorre sviluppare una breve riflessione. Troppo a lungo ci siamo cullati nell’idea che i vizi privati si tramutassero in pubblici benefici per mezzo di una “mano invisibile”, secondo il pensiero che Bernard de Mandeville consegnò nel 1714 al suo famoso volume The Fable of the Bees. Private vices, publick benefits e che venne poi ripreso da Adam Smith e dagli economisti anglosassoni successivi. Tale idea ha consigliato, anzi raccomandato, a chi era attivo in campo economico di mirare alla massimizzazione dei profitti per i detentori di capitale, senza riguardo ad altro, se non alle leggi, che peraltro dovevano essere le più permissive possibili. A lungo queste raccomandazioni degli economisti hanno suscitato opposizione nei sindacati, nei partiti socialisti e democratico-cristiani, nel movimento cooperativo, nelle iniziative non profit, nel volontariato civile, ma questi contrappesi si sono rivelati negli ultimi decenni sempre meno efficaci e sono cresciuti gli effetti perversi che l’approccio utilitaristico all’economia non poteva che provocare: diseguaglianze crescenti di reddito e di opportunità; inquinamento che rende la vita umana e naturale sempre più difficoltosa; desertificazione di comunità abbandonate da imprese che si rilocalizzano dove il costo del lavoro è basso e dove non si pagano le tasse (paradisi fiscali); globalizzazione selvaggia che tende a parificare al ribasso le condizioni delle popolazioni dell’intero mondo, a beneficio di poche grandi imprese semi-monopoliste e dei loro proprietari e manager. Contrastare questa irresponsabilità diffusa in economia si può e ci stanno provando economisti che lavorano ad una transizione dal paradigma utilitaristico ad un paradigma “civile”, che tenga conto non solo dell’efficienza produttiva, ma anche di una giusta distribuzione dei frutti del lavoro a tutti gli stakeholder che vi contribuiscono (clienti, dipendenti, fornitori, comunità di insediamento) e non solo agli azionisti. Sono sorti movimenti di Responsabilità Sociale (o Civile) dell’Impresa, che hanno dato luogo ad un ripensamento dei fini delle imprese. Sono state create le B-Corp (Società benefit in Italia), che inseriscono espressamente nei loro statuti finalità di impatto sociale. Persino le stesse grandi corporation americane che avevano sempre sostenuto che il fine dell’impresa era “massimizzare i profitti per gli azionisti” hanno qualche mese fa lanciato un manifesto dove si impegnano a passare dall’approccio dello shareholder value a quello degli stakeholder value. È presto per dire se davvero le cose cambieranno, ma si tratta se non altro di una presa d’atto significativa da parte del mondo economico americano che l’approccio di Mandeville non è più sostenibile. Fondazioni come quelle di Isabella Seràgnoli già da molto tempo hanno intrapreso la strada di una responsabilità sociale e

38


civile dell’impresa concreta e continuativa, con molte iniziative, fra cui quella della creazione dell’Hospice di Bentivoglio, dell’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa, della gestione di altri due hospice bolognesi e ultimamente della costruzione di un hospice pediatrico. L’Associazione Amici della Fondazione Hospice MT. Chiantore Seràgnoli, che da anni presiedo, ha offerto varie occasioni alla società civile bolognese, e non solo, per aiutare la Fondazione Hospice a realizzare le sue finalità, in questo modo allargando la cerchia di coloro che si rendono disponibili ad un superamento dell’utilitarismo. Fra tutte le iniziative dell’Associazione, doutdo si è rivelata davvero “contagiosa”. È stato detto che la virtù è più contagiosa del vizio, ma occorre che ci sia chi sappia appassionare alla virtù e questo è successo fra gli artisti perché la consigliera dell’Associazione Amici Alessandra D’Innocenzo ha saputo motivarli, fornire adeguato supporto per la realizzazione dei loro progetti, metterli in rete, farne una comunità di pensiero e di azione. I lavori che gli artisti delle varie edizioni hanno donato a doutdo hanno messo insieme l’originalità creativa con uno scopo altamente solidale e questo è ciò che ha unito in una sinfonia le loro diversità stilistiche, secondo l’indovinato slogan di quest’ultima edizione, coniato dal compianto Alessandro Mendini, “la morale dei singoli”.

39


VERA NEGRI ZAMAGNI VIRTUE IS MORE CONTAGIOUS THAN VICE

To understand the success of an initiative like doutdo, a brief reflection is useful. For too long we have lulled ourselves into the idea that private vices could be turned into public benefits by means of an “invisible hand”, according to the view that Bernard de Mandeville embodied in 1714 into his famous volume The Fable of the Bees. Private vices, publick benefits, a view which was later adopted by Adam Smith and the subsequent Anglo-Saxon economists. This idea suggested, indeed recommended, to economic agents to aim at maximizing profits for the holders of capital, without regard to anything other than the laws, which were requested to be the most permissive possible. These economists’ recommendations have long been fought by trade unions, socialist and Christian-democratic parties, the cooperative movement, non-profit enterprises, civil volunteering, but these counterweights have proved less and less effective in recent decades, and the perverse effects that the utilitarian approach inevitably implied became more and more apparent: increasing inequalities in income and in opportunities; pollution putting human and natural life in danger; desertification of communities robbed of their economic bases by companies chasing after low wage costs and low taxation in tax heavens; a wild globalization which is producing a race to the bottom of the entire world population at the benefit of a few semi-monopolist mega-corporations and their owners and managers. Countering this widespread irresponsibility in the economic field is possible, and there are some economists working on a transition from the utilitarian paradigm to a “civil” paradigm, which takes into account not only production efficiency, but also a fair distribution of the fruits of labor to all stakeholders who contribute to it (customers, employees, suppliers, local communities) and not only to shareholders. Movements of Corporate Social (or Civil) Responsibility have arisen, which are bringing to a rethinking of the purposes of companies. B-Corps (Benefit Companies in Italy) have been created, which expressly incorporate in their statutes their social impact. Even the same large American corporations that had always credited that the aim of the enterprise was to “maximize profits for shareholders” launched a manifesto a few months ago where they pledged to move from the approach of the shareholders’ value to that of the stakeholders’ value. It’s too early to tell if management principles will really change, but it’s a significant admission on the part of the American business world that the Mandeville’s approach is no longer sustainable. Foundations such as Isabella Seragnoli’s have long since embarked on the path of social and civil responsibility, with many initiatives, including the creation of the Bentivoglio Hospice, the Academy of Sciences of Palliative Medicine, the manage-

40


ment of the other two Bolognese hospices and most recently the construction of a pediatric hospice. The Association of Friends of the Seràgnoli Hospice Foundation, which for years I have been chairing, has offered many opportunities to the bolognese civil society to help the Hospice Foundation to realize its goals, in this way expanding the circle of those willing to overcome utilitarianism. Of all the initiatives, doutdo has been truly “contagious”. It has been said that virtue is more contagious than vice, but there must be somebody that succeeds in making others passionate of virtue and this happened among the artists because the member of the board of the Association Alessandra D’Innocenzo has been able to motivate them, provide them with support for the realization of their projects, put them in a network, that has produced a community of thought and action. The works that the artists in the various editions of doutdo have donated have combined creative originality with a highly solidaristic purpose and this is what has united in a symphony their stylistic diversities, according to the appealing slogan coined for this last edition by the late Alessandro Mendini, “the moral of the individuals”.

41


ANDREA VILIANI DOUTDO A POMPEI

Lessico per una morale dei singoli do = “dare”. do ut des = espressione latina che definisce un rapporto di tipo contrattuale: “dare per ricevere” o, letteralmente, “io do affinché tu dia”. do ut do (secondo la paradossale ri-nominazione di Alessandro Bergonzoni, nel 2012) = “dare per dare”. Morale dei singoli: la comunità di doutdo doutdo è un progetto biennale avviato nel 2012 e promosso dall’Associazione Amici della Fondazione Hospice MT. Chiantore Seràgnoli, con lo scopo di sostenere la Fondazione Hospice a Bologna: un “dare per dare” che si oppone, o quanto meno si discosta da un utilitaristico o egoistico “dare per ricevere”. Una restituzione di senso e valore, quella operata da doutdo, che non ricerca o pretende nulla in cambio. Un operare al di là delle regole che sovrintendono al sistema istituzionale o mercantile dell’arte, incentrando la propria operatività sulla logica illogica di un dono che non attiva nessuna aspettativa di reciprocità e nessuna compensazione, e che per questo – al di là del sistema di obblighi e diritti connessi all’atto del donare studiato da Marcel Mauss nel suo Essai sur le don. Forme et raison de l’échange dans les sociétés archaïques, 192324 – potremmo definire neutrale, puro, assoluto, o anche solo illogico, fino al paradosso... “do ut do”, appunto. La morale dei singoli, tema della quarta edizione di doutdo, è la definizione che del progetto stesso fu data nel 2016 da Alessandro Mendini, che in quell’occasione progettò la casa virtuale di doutdo: “… doutdo è un movimento morale e raggruppa opere che non hanno logica di stare insieme dal punto di vista estetico… e il logo “doutdo” ha reso dadaista il raggruppamento. Pensare che possano esistere dei raggruppamenti d’arte sotto forma etica, basati sulla morale dei singoli, è una cosa molto interessante ed inedita, una cosa che non esisteva… Un unicum.” Un raggruppamento unico che indica una piccola rivoluzione dadaista, basata sulla logica illogica di un dono in quanto tale, al di là dell’abitudine o della consuetudine, che connette l’azione collettiva alla sfera dell’intimità, manifestando e facendo agire nella res publica il potere che il singolo acquisisce quando si mette in una libera connessione con gli altri, quando si propone quale membro auto-riflessivo di una comunità aperta. Questa edizione di doutdo – di cui sono mentori Alessandro Mendini (in memoriam) e Philip Rylands, con il Comitato Artistico e Scientifico del progetto – si predispone quindi a divenire un manifesto che riflette su modelli di gestione che, connettendo responsabilità e sensibilità, etica ed estetica, dimensione sociale e individuale, si propone obiettivi condivisi, nel loro seppur minimo afflato rivoluzionario (o dadaista?)...

42


E del resto già l’artista tedesco Joseph Beuys – evocando gli sguardi e i passi del Quarto Stato (1901) di Giovanni Pellizza da Volpedo – aveva affermato, a Napoli, nel 1971, che “la rivoluzione siamo noi”. Si tratta di riappropriarsi di quegli sguardi e di riprendere quei passi... Per questo nell’allestimento di doutdo all’interno della Palestra Grande del Parco Archeologico di Pompei sono riunite opere – in molti casi prodotte appositamente da doutdo – fra loro difformi, in quanto risultato della spontanea donazione di un artista, opere autonome, ognuna a modo suo, ma testimonianza, nel loro insieme, della morale di quei singoli artisti che costituiscono la comunità in esplorazione e in cammino di doutdo. Comunità che in questa edizione ha assunto i caratteri di un’ultima cena tramite l’immaginifica vestizione, angelica e profetica, di Giovanni Gastel. Il fotografo ha messo in scena una cena laica, la cena di doutdo, gioiosa e auto-ironica come forse solo a Bologna sanno organizzare, in cui il cibo da condividere sono le idee e le visioni di questa morale dei singoli. doutdo: da Pompei a Marte (e ritorno) Sepolta sotto una coltre di materiali piroclastici nel 79 d.c. (a seguito delle più recenti ricerche, si pensa nel mese di ottobre), Pompei era ancora un città in costruzione quando fu distrutta – sparendo per secoli dalla nostra storia e dal nostro universo – una città in cui fervevano ancora i lavori dei cantieri a seguito del terremoto del 62 d.c. Una città che fu poi riscoperta, nel 1748, ma continuò ad essere un cantiere, al contempo reale e ideale, soggetto dell’interpretazione (Freud, che la visitò nel 1902, potrebbe dire del transfert psicanalitico) degli intellettuali e dei visitatori del Grand Tour, e oltre. Alle singole ipotesi di riscoperta di questa città in costante trasformazione si rivolge ora anche il cantiere di doutdo, elaborazione ulteriore di quella singolarità che si fa comunità, di quel patrimonio di dati e progetti, di valore epistemico e public opinion su cui si è costituita tutta la storia antica, moderna e contemporanea di Pompei. E per la prima volta, forse, nell’antica città prima greca, poi cumana, sannita e infine romana... verrà quindi pronunciata, nel 2018, una frase latina ma priva di alcun senso apparente... non do ut des... ma do ut do... Incipit di un nuovo racconto pompeiano composto fra parole e immagini, fra sparizione e riapparizione, fra rovine e scoperte, fra oggetti culturali e materie naturali, fra arti umanistiche e scienze dure. Fra molti singoli e una sola comunità. Il percorso con cui doutdo riscrive lo spazio-tempo della Palestra grande (approfondito, al termine della mostra, in una sezione metodologica a cura dello studio Mario Cucinella Architects, autore del progetto di allestimento) delinea un cantiere collettivo che procede dall’enunciazione alla sua dispersione, al di là del confine fra figurazione e astrazione, che innesca una dinamica fra costruzione, distruzione e ricostruzione evocando

43


un’abitazione ipotetica, provvisoriamente sovrascritta alla preesistenza archeologica. Il neon di Maurizio Nannucci enuncia dall’inizio la parolaazione THINK, ovvero “pensa”: assottigliando la differenza fra passato, presente e futuro l’artista – che ha affermato: “All art has been contemporary” (“Tutta l’arte è stata contemporanea”)– ci fornisce la chiave di accesso a un percorso in cui il pensiero si articola in modi multiformi, ma fra loro coesistenti. Segni e parole vengono declinati in differenti discorsi visivi dalle opere di Elisabetta Benassi, Marzia Migliora, Nino Migliori, Moataz Nasr (la cui figura femminile viene moltiplicata, in esterni, nel possibile panopticon da Julia Krahn), Katja Noppes e Joe Tilson. Nel loro incontro con l’oggetto che enunciano, le immagini-pensieri di Pietro Ruffo e Carlo Valsecchi si tingono in chiaro, mentre quelle di Fabrizio Cotognini e Mimmo Jodice virano in scuro: un chiaroscuro (una “camera chiara” e una “camera oscura”) che soggiace ritmicamente al paesaggioracconto di questo percorso. In cui ecco che compaiono rovine e resti, rappresentati dai documenti-regesti fantasmatici di Meris Angioletti, Cuoghi-Corsello, Simone Pellegrini e Alberto Tadiello, mentre Sissi predispone un guardaroba di corpi e dettagli anatomici pompeiani di cui sopravvivono solo custodie perversamente contemporanee. A questi frammenti di un’unità sfuggente, perduta o a venire, si integrano ipotesi di una possibile ricostruzione – introdotte dal Welcome di Patrick Tuttofuoco e dalla Home Sweet Home di Nanda Vigo – che progettano la struttura e i contenuti di una domus surreale (come non potrebbe che essere la nuova casa di doutdo) attraverso gli interventi di Roberto Fassone, Andrew Leslie, Alessandra Spranzi, la sedia Lassù e il mosaico pavimentale di Alessandro e Fulvia Mendini: in una vetrina è presentato anche il numero 391, 1974, della rivista “Casabella”, diretta da Mendini stesso, in cui una sedia dell’architetto-designer brucia ridiventando quella materia riflessiva, quel progetto in corso da cui l’opera era originata, come era già accaduto nei secoli a ogni manufatto e testimonianza pompeiani. In esterni le installazioni di Dado e Flavio Favelli completano il giardino di questa domus contemporanea. I trentuno artisti di doutdo, pur se spesso nati nell’epoca post-digitale, sembrano opporsi sistematicamente alla incorporea virtualità del digitale, investigando la persistenza metamorfica e mitopoietica delle materie, anche le più impalpabili o le meno percettibili. Ogni distinzione si riplasma e si rispecchia, ogni dettaglio si congiunge, come in un rizoma, agli altri, per confluire nelle fluttuazioni fra organico e inorganico, naturale e artificiale, terrestre e spaziale di Loris Cecchini e Alberto Di Fabio. In questo spazio-tempo molteplice le rotte che disegnano la mappa lapidea di Giovanni Ozzola sono la traccia delle imprese di quei singoli individui che, nel corso della storia umana, hanno espanso sempre di più l’esperienza e la concezione stessa

44


di ignoto, estendendolo alle coordinate inconsce dell’universo. E mentre il nostro viaggio sta per finire, siamo giunti anche noi – possibili nuovi cittadini di Pompei? – alle soglie della nostra storia e del nostro universo. Per introdurci in una realtà non più conforme alla realtà come la conosciamo, un al di là della dimensione umana, in un multiverso che solo Pompei, forse, può (già) conoscere: se sulla parete in creta dell’anarchitetto Gianni Pettena l’elemento delle impronte dell’autore lascia, nel corso del tempo, spazio all’autonoma creazione naturale della materia stessa, che seccandosi si cretta e frattura indipendente dalla nostra volontà o dal nostro controllo, Thomas Ruff, con Cassini 31, ci fa volare da Pompei verso Marte, dal passato più remoto (ma anch’esso ancora denso di sorprese: il nostro viaggio a Pompei non può avere una direzione univoca) verso un futuro provvisoriamente archiviato, in attesa di più sicure de-codifiche, dalla NASA attraverso il codice HiRISE (“High Resolution Imaging Science Experiment”). E se ora e qui, nell’iperbolico quanto effimero e quindi ipoteticamente sempre reversibile hic et nunc marziano su cui ci troviamo, ci volgessimo allora indietro, anche doutdo sembrerebbe già appartenere, in fondo, agli innumerevoli futuri anteriori di quell’“opera aperta”, di quella città fisica e immaginaria, di quel palinsesto storico e narrativo, di quello stato d’animo al contempo solo nostro e universale che chiamiamo Pompei... E ci sembrerebbe di ascoltare il vocio indistinto, singolare e plurale, di queste strane parole: ... do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do... Ad Alessandra, angelo e musa (perché le contraddizioni ti piacciono, e ne hai fatto ragione e passione di doutdo) Ad Alessandro, in onore e in memoria, anzi a “Ale” (amico, maestro e ispirazione di doutdo fin dall’inizio e, ancor più, qui e ora)

45


ANDREA VILIANI DOUTDO IN POMPEI

Lexicon for individual moral do = “give” do ut des = latin expression that defines a contractual relationship: “give to receive” or, literally, “I give so that you give”. do ut do (according to the paradoxical re-naming of Alessandro Bergonzoni, in 2012) = “give to give”. The moral of individuals: the community of doutdo doutdo is a bi-annual art project that was launched in 2012 and promoted by the Association of Friends of the Hospice Foundation MT. Chiantore Seràgnoli, with the aim of supporting the Hospice Foundation in Bologna. It provides a “give for giving’s sake” that opposes a utilitarian or even selfish “give to receive” approach. It is a restitution of meaning and value, created by doutdo, which does not seek or require anything in return. A work that goes beyond the rules that govern the institutional or the trading system of art, focusing its operations on the illogical logic of a gift that does not activate any expectation of reciprocity and no compensation, and that for this reason – beyond the system of obligations and rights related to the act of donation studied by Marcel Mauss in his Essai sur le don. Forme et raison raison de l’échange dans les sociétés archaïques, 1923-24 – we could define it as neutral, pure, absolute, or even just illogical, up to the paradox… “doutdo”, indeed. The idea for the project ‘The Moral of the Individual’, the theme of the fourth edition of doutdo (2018-2020), was imagined in 2016 by Alessandro Mendini, who on that occasion designed the virtual home of doutdo: “… doutdo is a moral movement and it groups together works that have no logic of being together from an aesthetic point of view… and the “doutdo” logo has made the grouping Dadaist. To think that there can be art groupings in ethical form, based on the morals of individuals, is a very interesting and unprecedented thing, something that did not exist before… An Unicum”. Doutdo is a unique grouping of disparate works that amounts to a mini Dadaist revolution. It is based on the illogical logic of a gift as just that: something which is beyond habit or custom, which connects collective action to the sphere of intimacy, manifesting the power that the individual acquires when he puts himself in a free connection with others in the res publica, where he posits himself as a self-reflexive member of an open community. This edition of doutdo – of which Alessandro Mendini (in memoriam) and Philip Rylands, with the Artistic and Scientific Committee of the project, are mentors – is poised to become a manifesto that reflects on management models which, connecting responsibility with sensitivity, ethics and aesthetics, the social and the individual dimension, offers shared objectives, in their albeit slightly revolutionary (dadaist?) fashion … After all, the German artist Joseph Beuys – evoking the glances and passages of The Fourth Estate (1901) by Giovanni Pellizza da Volpedo – had already stated in Naples, in 1971, that “we are the revolution”. It is about getting that outlook back and taking those

46


steps again… For this reason, in the setting up of doutdo inside the Great Gymnasium of the Archaeological Park of Pompeii the artworks that are brought together – in many cases produced by doutdo itself – are different from one other in style, form and meaning. This is a result of each artist’s spontaneous donation and therefore each work remains autonomous, each has its own significance, but the whole of them together is testimony to the moral of those individual artists who make up the community in exploration and reflect the teachings and aims of doutdo. An artistic community that in this year’s edition of doutdo is a nod to The Last Supper thanks to photographer Giovanni Gastel and his depiction of angelic and prophetic characters ‘dining’ together and feasting on one another’s ideas and visions. Albeit in a secular setting, this gathering together- a doutdo dinner, if you will- in joviality could only have been conceived by the brilliant minds of the self-deprecating people of Bologna. Those that make up do ut do and this year’s The Moral of the Individual. doutdo: From Pompeii to Mars (and back) Buried beneath a shroud of pyroclastic material in 79AD, Pompeii was a city that was undergoing construction when it was cruelly wiped out in one fell swoop. The irony is that they were still trying to rebuild it after the previous devastating earthquake of 62AD had struck. Pompeii was left at a standstill, a city preserved almost perfectly in that instant, until 1748 when it was rediscovered and excavations officially began. It did, however, remain a sort of real and ideal archaeological site until the early 20th century when great thinkers like Freud and the visitors of the Grand Tour had their interest sparked. In fact, Freud visited the site first in 1902 and then several times over the next two decades and arguably his psychoanalytic theory is based on his findings from Pompeii – after all “psychoanalysis is the architecture of the soul”. Even today the city and our interpretation of it is constantly transforming as new relics are being discovered and new theories put forward. And now it is doutdo’s turn to build something meaningful at the site and to build community and unity out of the singular entity. Our history of Pompeii, from the antique, to the modern and right up to the contemporary is based on public opinion and a wealth of information, data and works of epistemic value. For the first time in the city that has always been so sought after and highly contested- first came the Greeks, then the Etruscans, then the Battle of Cumae, then the warlike Samnite and finally the Romans- this time the invite to take over the ancient city has been officially extended. It seems a fitting location, then, for the doutdo exhibition and its artistic community. In 2018 it was given a new name: not do ut des, as one might expect, but do ut do. This would open up a new era in the history of the site, a new tale to tell of words and images, disappearance and reappearance, ruins and discoveries, culture and material, humanities and science. All of these single entities that make up a whole. Doutdo has created an artistic journey through time and space with its 2018 exhibition The Moral of the Individual located

47


in the Large Palaestra – the use of this location has been made possible in part thanks to Mario Cucinella Architects, who have assisted in the setting up and taking down of the exhibition –. It has been turned into a site of collective creativity, one that brings together, yet disperses; one that goes beyond the confines of depiction and abstraction. Our aim is to trigger a reaction between construction, destruction and reconstruction, ultimately evoking a sense of home and belonging by temporarily drawing attention away from its former existence as a magnificent archaeological site. We want to overwrite, not rewrite, history. Maurizio Nannucci’s THINK blurs the line between the past, present and future artist. “All art has been contemporary” is the key to how we think in a multifaceted way, yet those thoughts are interconnected and transcend time, place and borders. Signs and words come to life in various visual discourses in the exhibition as we can see in the works of Elisabetta Benassi, Marzia Migliora, Nino Migliori, Moataz Nasr, Katja Noppes, Joe Tilson and Julia Krahn’s nod to a panopticon, which shows the female figure under the watchful and scrutinising eye of the viewer. Encouraging us to: Think. In their encounter with the object they express, the thought-images of Pietro Ruffo and Carlo Valsecchi are pale coloured, while those of Fabrizio Cotognini and Mimmo Jodice fade to black. They use chiaroscuro techniques that move from light to dark, leading us on a journey of changing landscapes and tales. Moving through these alternating light and dark rooms, ruins and remains are documented as phantasmatic works by Meris Angioletti, Cuoghi-Corsello, Simone Pellegrini and Alberto Tadiello. Finally, we reach the work of Sissi: a skeletal wardrobe full of clothes with no-body to wear them and anatomical Pompeii-like remains. In this room the only living thing are the guards who keep watch. These fragments of a fleeting unity, one that has been lost or is yet to come, are joined together by the possibility of a reconstruction. In fact, they design the structure and contents of a ‘domus surreale’, which just so happens to be the perfect setting for doutdo’s new home. On our journey we are introduced to this theme of (fragile) togetherness through the works Welcome by Patrick Tuttofuoco, a delicate neon that could fracture in an instant, and Home Sweet Home by Nanda Vigo, showing the lightness (double entendre intended) and weight; fragility and sturdiness; of home. Our path continues with the works of Roberto Fassone, Andrew Leslie and Alessandra Spranzi, the bronze chair Lassù (Up There) from 1983 and the floor mosaic Fiore d’arancio by Alessandro and Fulvia Mendini respectively. Also on display is the front cover of Italian homes magazine Casabella from 1974 (issue 391), created by Mendini himself who was editor at the time, depicting (a replica of) that same chair on fire to show the metamorphosis and tumultuous life cycle of matter. In fact the artwork exhibited stems from this original project, showing a juxtaposition of life and death, much like what has happened over the centuries to all artifacts and accounts from Pompeii. Outside, the installations of Dado and Flavio Favelli make up the garden

48


aspect of this ‘domus contemporanea’ (contemporary home) and thus conclude this section of the exhibition. Despite being born in the post-digital era, the 31 artists who have donated their works to do ut do, seem to oppose the intangible virtual reality of the digital and instead investigate the metamorphic and myth-making tenacity and power of even the most impalpable and imperceptible matter. In the works of Loris Cecchini and Alberto di Fabio every distinction mirrors itself and every detail ebbs and flows like a rhizome that manages to thrive in even the harshest conditions, swaying between organic and nonorganic, natural and artificial, terrestrial and space. This spacetime relationship is also explored in Giovanni Ozzola’s work Scars, which maps out the exploits of those individuals who have amplified their experience and the concept of the unknown over the course of human history. The ‘scars’ traced on stone show the duality between past trauma and healing, giving in to the unknown powers and coordinates of the universe. And while our journey is coming to an end we too have reached the threshold of our history and our universe. Our path today has introduced us to a reality that does not conform to the reality that we already live and breathe. No. This new reality is beyond the human dimension. It is not a UNIverse, but a MULTIverseperhaps one that only Pompeii already knows exists. On the clay wall created by the (an)architect Gianni Pettena the artist’s imprint leaves space for the natural evolution of the material itself- clay cracks and dries out over time, creating fractures in its fragile yet robust constitution that are out of man’s control and intervention. Conversely, Thomas Ruff, with his Cassini 31, flies us from Pompeii to Mars, from the most distant past imaginable to a future that has already been provisionally archived. We are still waiting for a clearer picture given by NASA’s HiRise (High Resolution Imaging Science Experiment) before we are able to truly understand what the future, and MULTIverse really means... And if now and here, in the hyperbolic as ephemeral and therefore hypothetically always reversible Martian hic et nunc on which we find ourselves, we turn back then, even doutdo it would seem to already belong, after all, to the countless previous futures of that “open work”, of that physical and imaginary city, of that historical and narrative palimpsest, of that state of mind at the same time only ours and universal that we call Pompeii… And we would seem to hear the indistinct, singular and plural voice of these strange words: ... do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do ut do... To Alessandra, angel and muse (since you love contradictions and you made them reason and passion of doutdo) To Alessandro, in honor and in memory, indeed to “Ale” (friend, master and inspiration of doutdo since the very beginning and, even more, here and now)

49


L’AGENDA DI DOUTDO Collezione Peggy Guggenheim maggio 2018 Presentazione doutdo edizione 2018-2020

Art City 2019 gennaio 2019 Anteprima opere doutdo

Scavi di Pompei giugno-ottobre 2019 Mostra opere doutdo

Art City 2020 dicembre 2019 Dono dell’opera di Alberto Tadiello

50


51


MERIS ANGIOLETTI ELISABETTA BENASSI EDUARDO CARDOZO LORIS CECCHINI FABRIZIO COTOGNINI CUOGHI CORSELLO DADO ALBERTO DI FABIO ROBERTO FASSONE FLAVIO FAVELLI GIOVANNI GASTEL MIMMO JODICE JULIA KRAHN ANDREW LESLIE ALESSANDRO MENDINI FULVIA MENDINI MARZIA MIGLIORA NINO MIGLIORI MAURIZIO NANNUCCI MOATAZ NASR KATJA NOPPES GIOVANNI OZZOLA SIMONE PELLEGRINI GIANNI PETTENA THOMAS RUFF PIETRO RUFFO SISSI ALESSANDRA SPRANZI ALBERTO TADIELLO JOE TILSON PATRICK TUTTOFUOCO CARLO VALSECCHI NANDA VIGO


GLI ARTISTI E LE OPERE



MERIS ANGIOLETTI


MERIS ANGIOLETTI A slight ache 2017 40 x 33 cm Ed. 1/3 + 2 a.p. Stampa digitale su carta fotografica - Digital Print Sedi espositive - Exhibitions Solo stand Meris Angioletti con Otto Zoo, 2017, Miart, Milano “If you care to see me you should think about it”, 2018, Otto Zoo, Milano doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei doutdo 2018-20, in occasione di Arte Fiera 2020, Teatro Anatomico, Archiginnasio, Bologna L’immagine fa riferimento a uno dei personaggi silenti della performance/conferenza L’anello e il libro – prologo. Realizzata a Roma nel settembre 2016, al Palatino, nell’ambito della mostra Par Tibi, Roma Nihil, si ispira al processo a Giordano Bruno. L’asino è simbolo di conoscenza silenziosa, di possibilità di conoscenza. The image refers to one of the silent participants in the performance/conference L’anello e il libro – prologo. The work was realised in Rome at the Palatine, as part of the exhibition Par Tibi, Roma Nihil in September 2016, and inspired by the trial of Giordano Bruno. The ass, a favourite image for philosophers, is a symbol of silent knowledge, of possibilities for knowledge. Foto - Photo Luca Vianello Donatore - Donor Galleria Otto Zoo

56


57


MERIS ANGIOLETTI Arcano II 2017 135 x 218 cm Ed. 1/3 Arazzo in cotone - Tapestry, cotton Sedi espositive - Exhibitions Solo stand Meris Angioletti con Otto Zoo, 2017, Miart, Milano “Forme Pensiero”, 2018, solo show, Otto Zoo, Milano doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei doutdo 2018-20, in occasione di Arte Fiera 2020, Teatro Anatomico, Archiginnasio, Bologna Arazzo artigianale tessuto sulla base della sintesi concettuale e luminosa del simbolo della dualità, rappresentato dal secondo Arcano Maggiore, la Papessa, all’interno del mazzo dei Tarocchi Marsigliesi. The handwoven tapestry is based on the conceptual and luminous synthesis of the duality symbol. In the Tarot of Marseilles this is represented by the second Major Arcana, which is the High Priestess. Foto - Photo Ugo Dalla Porta, courtesy Galleria Otto Zoo Donatore - Donor Galleria Otto Zoo

58


59


Meris Angioletti, nata a Bergamo nel 1977, vive e lavora a Parigi. Dopo aver studiato fotografia all’Accademia di Brera e alla CFP Bauer, è stata in residenza a Le Pavillon–Palais de Tokyo e all’ISCP (International Studio and Curatorial Program) di New York. Una selezione delle sue mostre personali include: L’anneau et le livre, ENSAPC YGREC, Parigi; Adagio (con Flora Moscovici), LaBF15, Espace d’Art Contemporain, Lione; Forme Pensiero, Otto Zoo, Milano; Le Grand Jeu, FRAC Champagne-Ardenne; Golden, Brown and Blue, Galleria Schleicher/Lange, Berlino; Meris Angioletti, La Galerie – Centre d’Art Contemporain, Noisy-Le-Sec; I describe the Way and meanwhile I am Proceeding along It, Fondazione Galleria Civica di Trento; Ginnastica Oculare, GAMeC, Bergamo; Il Paradigma Indiziario, Careof, Milano. Tra le sue recenti mostre collettive: Il corpo della voce, Palazzo delle Esposizioni, Roma; Raymond, nell’ambito di Manifesta, Palermo; Par Tibi, Roma, Nihil, Nomas Foundation, Roma. Ha partecipato alla Biennale di Venezia del 2011 e a quella di São Paulo del 2012. Meris Angioletti was born in Bergamo in 1977. She lives and works in Paris. After having studied at the Brera Academy and at CFP Bauer, she was artist-in-residence at Le PavillonPalais de Tokyo and at the International Studio and Curatorial Program in New York. Among her solo exhibitions are: L’anneau et le livre, ENSAPC YGREC, Paris; Adagio, (with Flora Moscovici), LaBF15, Espace d’Art Contemporain, Lyons; Forme Pensiero, Otto Zoo, Milano; Le Grand Jeu, FRAC Champagne-Ardenne; Golden, Brown and Blue, Gallerie Schleicher/Lange, Berlin; Meris Angioletti, La Galerie–Centre d’Art Contemporain, Noisy-Le-Sec; I describe the Way and meanwhile I am Proceeding along It, Fondazione Galleria Civica di Trento; Ginnastica Oculare, GAMeC, Bergamo; Il Paradigma Indiziario, Careof, Milan. Among her recent collective exhibitions are: Il corpo della voce, Palazzo delle Esposizioni, Rome; Raymond as part of Manifesta, Palermo; Par Tibi, Roma, Nihil, Nomas Foundation, Rome. Her work was included in the Venice Biennale in 2011 and in the São Paulo Bienal in 2012.

60


Il lavoro di Meris Angioletti si struttura partendo da una vasta base teorica e culturale: l’esoterismo, la filosofia, la psicologia, la scienza, sono solo alcune delle materie che nutrono le sue opere. Il processo di traduzione nella forma avviene per mezzo di una destrutturazione di questi concetti sulla base di partizioni formali, spartiti che agiscono come cori e che si appoggiano a materiali diversi, dalla luce agli arazzi, dalle foto alle performance, e restituiscono un’opera ampia, ma dalle forme semplici e asciutte. Gran parte della sua ricerca si sviluppa attorno al concetto di testimone, come entità esterna agli eventi. La sua voce, insieme a quella di tutti gli altri testimoni, sono una possibilità di verità, l’insieme dei punti di vista per restituire la versione più completa e veritiera di una storia. Entrano in gioco la coscienza del singolo e la giustizia, parti fondamentali all’interno di una narrazione che scava nelle memorie più antiche e controverse del sapere umano. The work by Meris Angioletti is structured according to a vast theoretical and cultural basis: esotericism, philosophy, psychology and science are only a few of the materials that feed her works. The process of translating them into a form occurs through the deconstruction of these concepts on the basis of shared formal partitions that act as a chorus and that rely on diverse materials - from light to tapestries, from photos to performances - and they reward us with a broad work, though one with simple and angular forms. A large part of her art develops around the concept of testimony as an entity outside of events. Her voice and that of all the other witnesses are possibilities for truth, a totality of viewpoints to restore the most complete and truthful version of a story. The conscience of individuals and justice itself come into play, fundamental parts within a narrative that excavates the most ancient and controversial memories of human knowledge.

Annika Pettini (Maggio - May 2019)

61



ELISABETTA BENASSI


ELISABETTA BENASSI Mouchoirs 2015 12,5 x 318,5 x 2 cm Opera unica - Unique work Mappe di seta e plexiglass - Silk and plexiglass maps Opera realizzata appositamente per doutdo - Work specially created for doutdo Sedi espositive - Exhibitions doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei doutdo 2018-20, Mostra “Courtesy Emilia-Romagna”, a cura di Eva Brioschi, in occasione di Arte Fiera 2020, Bologna Chiamate anche “mappe di fuga”, le mappe di seta furono realizzate durante la seconda guerra mondiale e la guerra fredda per i soldati americani e britannici, da usare in caso di cattura dietro le linee nemiche. Le mappe potevano essere nascoste all’interno di uniformi, in una cucitura o all’interno di un colletto, senza tradire la loro esistenza durante un’ispezione. Impiegate anche per rattoppare i vestiti, filtrare l’acqua, fare una fionda per un braccio infortunato o per fare una benda. Cimeli delle guerre del XX secolo, queste mappe sono state trasformate da Elisabetta Benassi in un oggetto diverso; racchiuse in scatole di plastica trasparenti ci ricordano che non solo “tornare a casa” è ancora un viaggio pericoloso, spesso mortale, ma è la nozione stessa di “casa” che ora siamo costretti a riconsiderare. Also called “evasion maps”, silk maps were made during World War II for American and British servicemen to be used in case of capture or being caught behind enemy lines. The maps could be hidden inside uniforms, such as in a seam or inside a collar, and used without a rustle or crackling that could betray their existence during an inspection. They could also be employed to patch clothes, filter water, make a sling for an injured arm or to make a bandage. Relics from the 20th century wars, the silk maps have been converted by Elisabetta Benassi into a different object; enclosed in transparent plastic boxes they remind us that not only “going back home” is still a dangerous, often deadly journey, but it is the very notion of “home” which we are now forced to reconsider. Donatore - Donor Elisabetta Benassi

64


65


Con riferimenti alla tradizione culturale politica e artistica del Novecento, alla psicanalisi come pure ai temi controversi della contemporaneità, l’opera di Elisabetta Benassi (Roma 1966) percorre uno spazio difficile, quello del nostro presente. Il suo lavoro ha come cifra ricorrente l’uso dell’installazione, del video, della fotografia, come dispositivi per creare insieme forti suggestioni emotive e una diversa messa a fuoco morale nello spettatore. Sullo sfondo dei suoi lavori appare sempre una domanda sulla condizione e l’identità attuali, sui loro rapporti col passato storico e una spinta a riconsideralo, guardandolo in controluce. Elisabetta Benassi è attiva nel panorama internazionale sin dai primi anni Duemila. Vincitrice nel 2018 della terza edizione del concorso “Italian Council”. L’artista ha partecipato a tre edizioni della Biennale di Venezia: Personne et les Autres (Padiglione del Belgio) 2015; Viceversa (Padiglione Italia) 2013; ILLUMInazioni | ILLUMInations (2011), alle Corderie dell’Arsenale, curata da Bice Curiger.

In her work Elisabetta Benassi (Rome 1966) critically observes the cultural, political and artistic legacy of modernity, as well as broader, often controversial political and cultural themes of our time. Using diverse media – installation, photography, video – she thus emotionally engages and questions the viewer while tracing troubled and contested timelines. From the background of her pieces emerges a questioning of contemporary identity and of the conditions of the present. Elisabetta Benassi is active on the international scene since the early 2000’s. Winner of the third edition of the “Italian Council” prize in 2018. She has participated in the Venice Biennale three times, in 2015 Personne et les Autres, Belgian Pavilion, in 2013 Viceversa, Italian Pavilion, and 2011 ILLUMInazioni | ILLUMInations, curated by Bice Curiger. www.elisabettabenassi.com Foto - Photo Priscilla Benedetti

66


La ricerca artistica di Elisabetta Benassi si alimenta di immagini del passato, di storie sommerse e di oggetti evocativi. Con uno sguardo critico e indiziario sulla narrazione storica ufficiale, l’artista riporta in superficie fatti emblematici del Novecento per innescare una riflessione sulla memoria e sul suo legame con il presente. Tramite installazioni, fotografie, performance e video, Benassi decontestualizza queste storie e le trasforma in nuove immagini. Proprio da esse, l’artista riflette sulla possibilità di ridefinire immaginari comuni e stereotipati, mettendo in questione le dinamiche che definiscono la Storia. Le immagini del passato diventano così strumenti per ripensare l’origine di problematiche politiche e sociali che persistono nel presente e per fornirne nuove risposte. Ne è un esempio Mouchoirs, 2015: una serie di ‘mappe di fuga’ stampate su seta, in uso dai militari americani e britannici durante la Seconda guerra mondiale per orientarsi in caso di cattura, che l’artista ha racchiuso ed esposto in scatole di plastica trasparente. L’opera apre a diverse riflessioni sulla condizione precaria dell’umanità in guerra così come sul persistente pericolo legato al viaggio e alla ricerca di una dimora sicura. Elisabetta Benassi’s artistic research is nourished by images of the past, submerged stories, and evocative objects. With a critical and circumstantial look at the official historical narrative, the artist brings back emblematic facts of the twentieth century to trigger a reflection on memory and its connection with the present. Benassi decontextualises these stories and transforms them into new images through installations, photographs, performances, and videos. These new images are the starting point of the artist’s reflection on the possibility of redefining common and stereotyped imagery, by questioning the dynamics that define history. Thus, the images of the past become tools to rethink the origin of political and social issues that persist in present times and to provide new answers to them. Mouchoirs, a work Benassi made in 2015, is a clear example of this. The piece is a series of “escape maps” printed on silk, enclosed and displayed in transparent plastic boxes. They were used by American and British soldiers during the Second World War to orient themselves in case of capture. The work opens a window onto the precarious condition of humanity in war, and on the constant danger associated with travel and the search for a safe home.

Lorenzo Balbi

(Agosto - August 2019)

67



EDUARDO CARDOZO


EDUARDO CARDOZO Lagunas del tiempo – Lacune del tempo 2019 Dimensioni varie. Misura approssimativa dello spazio occupato - Various sizes. Approximate measure of occupied space: 300 x 420 cm Opera unica - Unique work Ferro cromato - Chromed iron Opera realizzata appositamente per doutdo - Work specially created for doutdo Sedi espositive - Exhibitions doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei Installazione murale di 19 pezzi di ferro cromato e di dimensioni variabili. Wall installation composed of 19 pieces of chromed iron of varying sizes. Donatore - Donor Eduardo Cardozo, Galeria Sur

70


71


Eduardo Cardozo (Montevideo, 1965) si è formato nella Scuola Nazionale di Belle Arti presso la Facoltà di Architettura di Montevideo e studia incisione in Italia con Luis Camnitzer. Tra le sue mostre personali quelle presso Galería Sur, Museo Nacional de Artes Visuales de Montevideo, Museo Juan Manuel Blanes, Subte municipal, Artful Living Gallery (Washington DC), Galería del IDB (Washington DC), Galería Laca (Charlotte, NC), Ayuntamiento de Wertingen (Germania). Ha partecipato alla Biennale di Cuenca (Ecuador) e alla Biennale di Mercosur (Porto Alegre, Brasil). Tra gli altri, ha ricevuto il primo premio al Salone delle Arti Visive, il primo premio per il Bicentenario del Museo Nacional, il premio “Paul Cézanne” dell’Ambasciata di Francia e il primo premio al Salón Municipal de Montevideo. Eduardo Cardozo (Montevideo, 1965) studied at the National School of Fine Arts at the Faculty of Architecture in Montevideo and studies engraving techniques in Italy with Luis Camnitzer. His work has featured in solo exhibitions at Galería Sur, Museo Nacional de Artes Visuales de Montevideo, Museo Juan Manuel Blanes, Subte municipal gallery, Artful Living Gallery (Washington DC), the IDB Gallery (Washington DC), LaCa Projects (Charlotte, NC), Town Hall in Wertingen (Germany). He has participated in the Cuenca Biennial (Ecuador) and the Mercosur Biennial (Porto Alegre, Brazil). He has also received awards including, First Prize at the National Visual Arts Salon, First Prize at the Bicentenary Painting Awards of the Museo Nacional, the “Paul Cézanne” Salon Award granted by the French Embassy and First Prize in the Municipal Salon, Montevideo. www.eduardocardozo.com

72


Eduardo Cardozo è nato e vive a Montevideo, Uruguay. Pittore astratto la cui intensa carriera è stata caratterizzata da un approccio spavaldo nell’incorporazione di elementi extrapittorici e volumetrici alla tela, esacerba con Lacune del tempo l’aspetto materiale del suo lavoro. Gli elementi che costituiscono questa “installazione murale”, sorta di pozzanghere cromate che paiono un’esuberante cristallizzazione di fenomeni effimeri, producono un effetto prospettico che simula la presenza del quadro e, contemporaneamente, lo espande. Eduardo Cardozo was born and lives in Montevideo, Uruguay. Cardozo is an abstract painter whose active career has been characterized by a bold approach, incorporating extra pictorial and dimensional elements into the canvas. In Lacune del tempo he heightens the material aspect of his work. The elements that constitute this “wall installation” - a kind of assortment of chrome-plated puddles that seem like a vibrant crystallization of ephemeral phenomena - produce a prospective effect that simulates the presence of the painting and at the same time, expands it.

Riccardo Boglione (Febbraio - February 2019)

73



LORIS CECCHINI


LORIS CECCHINI The developed seed 2019 200 x 210 x 25 cm Opera unica - Unique work Scultura in alluminio, ottone, acciaio - Sculpture made of aluminium, brass and steel Opera realizzata appositamente per doutdo - Work specially created for doutdo Sedi espositive - Exhibitions doutdo 2018-20, in occasione di Arte Fiera 2019, Aula Magna, Accademia delle Belle Arti, Bologna doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei Scultura realizzata con moduli in alluminio e acciaio. L’installazione costituisce un sistema modulare auto-generativo con la morfologia di un organismo naturale. Sculpture composed of aluminium and steel modules. The installation represents a self-generating modular system with the morphology of a natural organism. Foto - Photo Loris Cecchini Studio Donatore - Donor Loris Cecchini Produttore - Manufacturer Gilli

76


77


Loris Cecchini (Milano 1969) ha allestito mostre personali in prestigiosi musei internazionali tra cui Palais de Tokio, Parigi; MoMA PS1, New York; Shanghai Duolun MoMA, Shanghai; Centro Gallego de Arte Contemporanea, Santiago di Compostela; Kunstverein, Heidelberg; Quarter, Firenze; Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato; Fondazione Arnaldo Pomodoro, Milano. Loris Cecchini ha partecipato a numerose esposizioni internazionali tra cui la 49°, la 51° e la 56° Biennale di Venezia, la 6° e la 9° Biennale di Shanghai, la 13° e 15° Quadriennale di Roma, la Biennale di Taiwan, la Biennale di Valencia, la 12° Biennale Internazionale di Scultura di Carrara. Ha inoltre preso parte a mostre collettive in tutto il mondo: Ludwig Museum, Colonia; PAC, Milano; Palazzo Fortuny, Venezia; Macro Future, Roma; MART, Rovereto; Hayward Gallery, Londra; The Garage Centre for Contemporary Culture, Moscow; Palazzo delle Esposizioni, Roma; MOCA, Shanghai; Deutsche Bank Kunsthall, Berlino e altre ancora. Ha realizzato varie istallazioni permanenti e sitespecific in tutto il mondo. Loris Cecchini’s (Milan 1969) work has been displayed internationally with solo exhibitions in prestigious museums including Palais de Tokyo, Paris; MoMA PS1, New York; Shanghai Duolun MoMA, Shanghai; Centro Galego de Arte Contemporanea, Santiago de Compostela; Kunstverein, Heidelberg; Quarter, Florence; the Luigi Pecci Centre for Contemporary Art, Prato; Fondazione Arnaldo Pomodoro, Milan. Loris Cecchini has participated in numerous international exhibitions, including the 49th, 51st and 56th Venice Biennale, the 6th and 9th Shanghai Biennale, the 13th and 15th Rome Quadrennial, the Taiwan Biennale, the Valencia Biennale, and the 12th International Sculpture Biennale, Carrara. Cecchini has also participated in collective exhibitions all over the world: Ludwig Museum, Cologne; PAC, Milan; Palazzo Fortuny, Venice; Macro Future, Rome; MART, Rovereto; Hayward Gallery, London; The Garage Centre for Contemporary Culture, Moscow; Palazzo delle Esposizioni, Rome; MOCA, Shanghai; the Deutsche Bank KunstHalle, Berlin and others. He has created various permanent and site-specific installations all over the world. www.loriscecchini.org Foto - Photo Ela Bialkowska

78


L’attuale ricerca artistica di Loris Cecchini è indirizzata a indagini scientifiche e processi naturali, attratta dalla morfologia di piante o minerali, ispirata a strutture reticolari e conformazioni molecolari. Dal 2009 l’artista propone sistemi modulari auto-generativi in acciaio o in alluminio, esemplari di installazioni istantanee che si possono “costruire continuamente”. Queste strutture combinatorie, in apparenza libere e caotiche, ma fondate su schemi matematici o calcoli algoritmici, assumono di volta in volta un carattere peculiare rispondente alle caratteristiche del luogo, oltreché agli elementi coinvolti: l’organizzazione modulare è il “processo” creativo attivato per trovare una “soluzione” interpretativa al contesto espositivo. Loris Cecchini’s current work is geared towards scientific investigation and the study of natural processes. It reflects an interest in the morphology of plants and minerals and is inspired by reticular structures and molecular conformations. Since 2009 the artist has produced self-generating modular systems made from steel or aluminium: examples of immediate installations that can “continuously construct themselves.” These combinatory structures, spontaneous and chaotic in appearance but in fact underpinned by mathematical patterns and algorithms, on each occasion take on a distinctive character which responds to the characteristics of the setting, as well as to the elements involved. Arranging the modular structure is the creative “process” itself, involving an interpretation of the exhibition space in order to find an appropriate “solution.”

Stefano Pezzato (Gennaio - January 2019)

79



FABRIZIO COTOGNINI


FABRIZIO COTOGNINI Should be higher 2019 Misure varie, installazione ambientale - Various sizes, environmental installation Opera unica - Unique work Resina e polvere di marmo, oro 24k, libro d’artista e biacca su carta nera Arches - Resin, marble dust, 24k gold, artist book and white lead on black Arches paper Opera realizzata appositamente per doutdo - Work specially created for doutdo Sedi espositive - Exhibitions doutdo 2018-20, in occasione di Arte Fiera 2019, Teatro Anatomico, Archiginnasio, Bologna doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei L’opera è composta da un leporello su carta nera su cui sono disegnati in bianco le sagome di uccelli migranti che si spostano dall’Africa all’Europa. Ai due lati opposti del leporello, due teste di marmo di uomini. Completano la composizione disegni d’artista. Cotognini’s work consists of a concertina-style Leporello book made of black paper, featuring drawings of migratory birds travelling from Africa to Europe in white. A marble head of a man is placed at either end. Drawings by the artist complete the composition. Foto - Photo Andrea Chemelli, Barbara Jodice Donatore - Donor Fabrizio Cotognini Produttore - Manufacturer Piano in marmo: Ricci Marmi Teca: Plexiglass by Scrambled Design Supporto in ferro: Metal Carp

82


83


Fabrizio Cotognini (Macerata 1983) vive e lavora a Civitanova Marche. Caratterizzato da un costante rimando all’antico rivisitato in chiave contemporanea e dall’utilizzo privilegiato del disegno, elemento cardine di una ricerca che si avvale anche delle possibilità dei nuovi media, il lavoro di Cotognini cattura al suo interno varie declinazioni dell’orizzonte archeologico e storico-artistico. Il tempo, la memoria e la storia sono, nella sua ricerca, figure maestose, capovolte, stravolte o incurvate in un apparato scenico teso a sospenderne la stabilità. Si tratta di un discorso in cui la parola sposa l’immagine in un serrato dialogo fra segno, disegno e scrittura che si fa luogo di contemplazione e, nel contempo, di concentrazione riflessiva. Espone in numerose collettive e personali in tutto il mondo. Fabrizio Cotognini (Macerata 1983) lives and works in Civitanova Marche. A constant theme of his artistic exploration is the reexamination of antiquity to incorporate a modern twist and the favoured use of drawing, a key element of his work. Cotognini also harnesses the possibilities offered by new forms of media and incorporates various forms from the fields of archeology and art history. The majestic figures of time, memory and history are inverted, distorted or bent into a display that aims to suspend stability. His work consists of a discourse in which, with the close dialogue between symbol, drawing and writing, word is paired with image to become a site of contemplation and, at the same time, thoughtful concentration. Cotognini exhibits in numerous solo and collective exhibitions all over the world. www.fabriziocotognini.it

84


Realizzata per l’ambiente in cui è stata temporaneamente custodita, Should be Higher è una installazione che si avvita nel centro dello splendido Teatro Anatomico progettato dall’architetto Antonio Paolucci (detto Levanti) nel 1637 per l’Archiginnasio di Bologna. Adagiato come un corpo sul tavolo di marmo situato al centro della sala, dove un tempo il docente mostrava il cadavere e lo dissezionava per motivi di studio o di insegnamento, il lavoro è composto da due teste in marmo rivestito, poste alle estremità di un libro aperto a fisarmonica sui cui sono disegnati, in bianco e oro, tutta una serie di volatili migratori che si spostano dal continente africano a quello europeo, metafora di odierne problematiche legate alla difficile e differente emigrazione umana in Italia dove rifugiati, richiedenti asilo o profughi cercano scampo dal dolore, dalla morte, dalla disperazione. Le due teste laterali, trattate con bachelite, resina, argento ossidato, rame e oro, guardano entrambe verso l’esterno, verso un punto visionario, verso uno spazio o un luogo, quasi a dialogare con il pubblico, a raccontare allo spettatore il loro essere componente essenziale di un corpo guasto, ma anche parte di un tutto, brandello di una società sempre più condizionata dal qualunquismo, dal conformismo, dall’indifferenza quotidiana. Allegoria di una vita planetaria segnata dai limiti, dalle frontiere, dai silenzi e dalle omertà, dalle guerre e dai profondi ictus della civiltà umana, Should be Higher (il titolo richiama alla memoria una canzone dei Depeche Mode) rappresenta una rottura, una scossa, un risveglio, una riflessione accecante sul mondo d’oggi. Designed for its current setting, Should be Higher is a temporary installation fixed to the centre of the magnificent Anatomical Theatre designed by the architect Antonio Paolucci (known as Levanti) in 1637 for the Archiginnasio palace in Bologna. Cotognini’s work lies like a body across a marble table in the centre of the room, where at one time a professor would have exhibited and dissected a corpse for study and educational purposes. The work consists of two marble heads placed at either end of an open concertina book, on which a series of migratory birds travelling from Africa to Europe are drawn in white and gold. It is a metaphor for the challenges we face today regarding the difficulties and disparities of human migration to Italy, where refugees, asylum-seekers or displaced persons seek an escape from pain, death and desperation. The two lateral heads, treated with Bakelite, resin, oxidized silver, copper and gold, face outwards towards an imaginary point, space or location. It is almost as if they were addressing the public, telling the spectator that they are an essential component of a malfunctioning body, as well as a part of a whole, a fragment of a society increasingly consumed by apathy, conformity, and everyday indifference. As an allegory for a planetary life marked by limits, borders, silences and pacts of secrecy, by wars and by the deep seizures affecting human civilization, Should be Higher (the title recalls the song by Depeche Mode) represents a rupture, a jolt, an awakening, a glaring reflection of the world we live in today.

Antonello Tolve (Agosto - August 2019)

85



CUOGHI CORSELLO


CUOGHI CORSELLO Maghi e Quadrupedi 2018 Misure varie - Various sizes Opera unica - Unique work Sculture in pietra leccese - Sculptures made of Lecce stone Opera realizzata appositamente per doutdo - Work specially created for doutdo Sedi espositive - Exhibitions “Chi Utopia mangia le mele”, a cura di Adriana Polveroni e Gabriele Tosi, 2018, Ex Dogana, Verona (solo Mago grande e un Quadrupede piccolo) doutdo 2018-20, in occasione di Arte Fiera 2019, Archiginnasio, Bologna doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei Quadrupede è nato nel 1994 al Giardino dei Bucintori, la nostra prima fabbrica occupata, da disegno si è imposto come oggetto tridimensionale che possiamo trovare già nella realtà o “artefarlo”. Ha sensi diversi da quelli umani, ma empatizzando con lui possiamo riconoscerceli nel profondo metafisico o nei sensi nascosti. I Maghi sono nati nel 1998 a Cime Tempestose, la seconda fabbrica che abbiamo occupato. Di pongo, dash, creta dipinta ad olio, nel 2018 abbiamo scolpito la prima maga nel tufo di Noto, poi i due di questa installazione di pietra leccese come i quadrupedi e la colonna. Ancora non li abbiamo vissuti abbastanza per capire cosa ci vogliono dire. “Quadrupede”(Quadruped) was created in 1994 at the Giardino dei Bucintori, the first factory we occupied. Having started out as a drawing, it then became a three-dimensional object which we can find in real life or “make artificially.” It has different senses to those of a human being. We can identify them by empathizing with it, either on a metaphysical level or through hidden senses. The “Maghi” (Sorcerers) were created in 1998 at Cime Tempestose, the second factory we occupied. Having created previous versions using modelling clay, play-doh and clay painted with oils, in 2018 we made the first “Maga” out of tuff stone from Noto in Sicily. The two in this installation were made from Lecce stone, as were the quadrupeds and column. So far, we have not experienced them long enough to know what it is they want to tell us. Foto - Photo Barbara Jodice Donatore - Donor Monica Cuoghi, Claudio Corsello Produttore - Manufacturer Pimar

88


89


Nati a Bologna all’ombra della Galleria Neon, Cuoghi Corsello hanno attraversato il millennio grazie ad una ricerca personalissima e appartata, di estrema radicalità e coerenza, che li ha fatti diventare un vero e proprio punto di riferimento per un’intera generazione di artisti italiani, interessati come loro ad una creatività orizzontale e antagonista, spesso declinata al di fuori dell’ufficialità del mercato e delle istituzioni. Dagli albori del graffitismo fino agli anni più recenti, densi di ibridazioni di tecniche e materiali, Cuoghi Corsello hanno anticipato molto, e molto hanno mantenuto, in una straordinaria avventura di vita ed arte. Cuoghi e Corsello sono rimasti misteriosi ai più, spesso confinati in uno dei loro tanti volti (writers, proto-squatters e così via), ma mai colti nella loro complessità di cantori solitari di un’epica della strada, tra le più seducenti e sofisticate degli ultimi decenni, e non solo in Italia. (Guido Costa, 2012) The Cuoghi Corsello artistic partnership was born in the shade of Galleria Neon. Through their personal and secluded research of extreme radicalism and consistency, they entered the millennium and became a point of reference for an entire generation of Italian artists, involved in their own horizontal and antagonistic creativity often operating outside the official market and institutions. From the dawn of graffiti up until recent years, Cuoghi Corsello have anticipated and maintained much - using an intense hybridization of techniques and materials - in an extraordinary adventure of life and art. Though remaining mysterious to most and often confined to one of their many identities e.g. writers, proto-squatters etc, they are rarely appreciated in their complexity as solitary storytellers in a street epic. Cuoghi Corsello’s epic journey remains one of the most alluring and sophisticated in recent decades, and not just in Italy alone. (Guido Costa, 2012) www.cuoghicorsello.blogspot.com Foto - Photo Marisa Bernardoni

90


Sempre più spesso le opere d’arte contemporanea possiedono un background concettuale, un insieme di eventi che precedono la realizzazione finale, una “storia” anteriore che dà un senso più ampio a ciò che è in mostra. Se per gli altri artisti questo retroscena che aleggia spesso è formato dalle scelte effettuate nel giungere alla costituzione dell’opera, per Cuoghi Corsello l’esito è completamente differente. Per loro, come accadeva nelle civiltà primitive, alcuni oggetti sono come pervasi da un’anima, da una personalità. Così le sculture di maghi e quadrupedi non possono essere intese come semplici manufatti ma come entità che posseggono una loro forza vitale, esistenze incorporee e allo stesso tempo tangibili. Il lato materiale e quello spirituale appaiono fusi in modo indissolubile. Quadrupede è una sorta di animale inconsueto, perché ha sensi diversi, immerso in un suo mondo “sottile”, forse extraterrestre, eppure riconoscibile nella materia già composta. I Maghi invece nascono come conseguenza, come contrappunto a quadrupede e possono essere “delle entità, delle figure sacre, vigili essenze, protezioni, ponti, madonnine”. Increasingly, contemporary artworks come with a conceptual background: an account of events leading up to the final realization of a work which gives the viewer an idea of its prior “history” and situates it within its broader context. While for some artists, this omnipresent backstory often consists of the choices an artist makes in the lead up to the completion of a work, for Cuoghi Corsello the process is completely different. As was the case in primitive cultures, Cuoghi Corsello believe certain objects are possessed by a spirit or persona. Consequently the carvings of the “Maghi” (Sorcerers) and “Quadrupedi” (Quadrupeds) are not meant to be seen as artefacts but as living entities, both incorporeal and tangible at the same time. The material and spiritual dimensions appear to be inextricably linked. Given its distinctive senses, and the “subtle”, even extra-terrestrial world it inhabits, the “quadrupede” is an unconventional animal, but still recognizable in matter which has already been formed. On the other hand, the “maghi” are born because of or in contrast to “quadrupede” and come in the form of “entities, sacred icons, vigilant spirits, safeguards, bridges, or statues of the Virgin Mary”.

Guido Molinari (Marzo - March 2019)

91



DADO


DADO L’Altalena / Ci sei rimasto 2018 2,20 x 2,20 x 400 cm Opera unica - Unique work Tubi innocenti saldati con piastre di ferro - Iron scaffolding, plates of welded iron Sedi espositive - Exhibitions “Ailanto<3”, a cura di Fulvio Chimento, 2018, Villa dei Quintili, Parco Archeologico Appia Antica, Roma “Alchemilla”, a cura di Fulvio Chimento, 2018-19, Palazzo Sanguinetti, Bologna doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei doutdo 2018-20, in occasione di Arte Fiera 2020, Archiginnasio, Bologna La scultura è composta di tubi innocenti lasciati appositamente in esterno con la finalità di portare a compimento il processo di ossidazione del ferro. La struttura geometrica dell’installazione risulta essenziale e inquadra porzioni di cielo che si stagliano sullo sfondo dell’opera. Se posizionata in un punto leggermente rialzato l’Altalena accresce notevolmente il proprio slancio distaccandosi dalla propria rappresentazione oggettuale. The sculpture is made from scaffolding tubes left outside to allow the iron to oxidize. The geometrical shape of the installation is fundamental as it frames portions of the sky in the background. When the position of the swing is elevated slightly, its momentum dramatically increases, causing the swing to detach itself from its condition as object. Foto - Photo Cuoghi Corsello Donatore - Donor Alessandro Ferri (Dado)

94


95


Alessandro Ferri, alias Dado (Bologna, 1975), vive e lavora a Bologna. È tra gli organizzatori di Frontiers, progetto in collaborazione con il MAMbo e il Comune di Bologna. Tra le sue esposizioni recenti: Alchemilla, Palazzo Vizzani, Bologna (2019); Ailanto<3, Villa dei Quintili, Parco Archeologico Appia Antica, Roma (2018); Ailanto. Padiglione Tineo, Orto Botanico, Palermo (2016); Dado. Sinopie di un writer, Musée de l’OHM, all’interno del Museo Medioevale, Bologna (2014); La Tour 13, Galerie Itinerrance, Parigi (2013); And_Writer, Biennale d’Arte di Nanjiing, China (2011); Street Art Sweet Art, PAC Padiglione di Arte Contemporanea, Milano (2007). Espone come ospite di Cuoghi Corsello in occasione della loro personale La Famiglia, Cattellani Art Gallery, Modena (1995) dipingendo un pezzo sul muro della galleria. Nel 2016 Alessandro Ferri pubblica il suo libro “Teoria del Writing. La ricerca dello stile”, in collaborazione con il Professor Mubi Brighenti del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento, edito da Professional Dreamers. Alessandro Ferri, alias Dado (Bologna, 1975), lives and works in Bologna. He is one of the organizers of Frontier, a project in collaboration with MAMbo and the municipality of Bologna. Some of his most recent exhibitions include: Alchemilla, Palazzo Vizzani, Bologna (2019); Ailanto<3, Villa dei Quintili, the Appia Antica Regional Park, Rome (2018); Ailanto. Padiglione Tineo, Botanical Garden, Palermo (2016); Dado. Sinopie di un writer, Musée de l’OHM, inside the Medieval Museum, Bologna (2014); La Tour 13, Galerie Itinerrance, Paris (2013); And_Writer, Nanjing Biennale, China (2011); Street Art Sweet Art, PAC Padiglione di Arte Contemporanea (Contemporary Art Centre), Milan (2007). Exhibits as a guest of Cuoghi Corsello’s solo exhibition La Famiglia, Cattellani Art Gallery, Modena (1995) by painting a piece on the gallery wall. In 2016 Alessandro Ferri published his book “Theory of Writing. Searching for the style”, in collaboration with Professor Mubi Brighenti of Department of Sociology and Social Research of the University of Trento, published by Personal Dreamers. www.imdado.com

96


L’Altalena / Ci sei rimasto di Dado è stata ideata per la mostra Ailanto<3, a cura di Fulvio Chimento, all’interno del Parco Archeologico dell’Appia Antica a Roma, che per il suo valore architettonico e paesaggistico rappresenta un unicum a livello mondiale. L’opera in sé esprime l’essenza dell’arte di strada trasposta nel linguaggio dell’installazione: gioco, comunità, immaginazione, isolamento, slancio creativo (il seggiolino rimane bloccato nella sua fase ascendente), caratteristiche proprie al processo artistico e alla vita reale. Nel 2019 l’opera viene esposta anche all’interno della mostra Alchemilla a Palazzo Vizzani (Bologna), dove l’Altalena viene collocata nel cortile interno dell’edificio cinquecentesco. Dado created the work The Swing / Ci sei rimasto for the exhibition Ailanto<3, curated by Fulvio Chimento, within the Parco Archeologico dell’Appia Antica Roma (the Appia Antica Archeological Park in Rome), which for its architectural and scenic value represents an unicum at a worldwide level. The artwork expresses the essence of street art transposed into the language of the installation: games, community, imagination, isolation, and artistic momentum (the seat remains blocked in its ascending position), characteristics related to the artistic process and to real life. In 2019 the artwork was shown at the Alchemilla exhibition at the Vizzani Palace (Bologna), where it was placed in the courtyard of the fifteenth century mansion.

Fulvio Chimento (Luglio - July 2019)

97



ALBERTO DI FABIO


ALBERTO DI FABIO Brain Stone 2016 150 x 220 cm Opera unica - Unique work Acrilico su tela - Acrylic on canvas Sedi espositive - Exhibitions Solo show Alberto Di Fabio, 2016, Luca Tommasi Arte Contemporanea, Contemporary Art Fair, Basel “Aura”, solo show, 2016, Luca Tommasi Arte Contemporanea, Milano doutdo 2018-20, in occasione di Arte Fiera 2019, Teatro Anatomico, Archiginnasio, Bologna doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei L’opera descrive il momento in cui la nostra mente diviene anima. Noi esseri umani non siamo fatti di sola materia, non siamo solo fisicità. Siamo energia in movimento. Siamo corpi di luce composti da diversi strati che compenetrano e ruotano attorno al corpo fisico, questi strati vibrano a vari livelli di frequenza e intensità e si irradiano fino ad una certa distanza dal corpo fisico a seconda dello stile di vita, dello stato fisico, emotivo, mentale. Il sogno di questa opera è di coinvolgere lo spettatore in visioni cinetiche extrasensoriali per una progressiva perdita della coscienza di sé, una sorta di trance visiva, in viaggio verso un mondo onirico. Di Fabio’s work portrays the moment our minds become souls. As human beings we are not purely physical matter. We are energy in motion. We are bodies of light composed of differing layers which interpenetrate and revolve around the physical body. These layers vibrate at different frequency and intensity levels and radiate out from the physical body to varying distances depending on our lifestyle and physical, emotional and mental state. Di Fabio’s work aims gradually to free the spectator from their consciousness of themselves by engaging them in extra sensorial kinetic visions - a kind of visual trance - and transporting them into a dream-like world. Foto - Photo Giorgio Benni Donatore - Donor Alberto Di Fabio, Galleria Umberto Di Marino, Luca Tommasi

100


101


Alberto Di Fabio (Avezzano, 1966) vive e lavora tra Roma e New York. Di Fabio trae ispirazione dal cosmo e dagli elementi che compongono il mondo della natura. La sua pittura indaga su reazioni chimiche, fusioni minerarie, atomi, il DNA, il sistema neuronale, ingrandendoli come sotto un microscopio. Queste forme spesso geometriche girano e vibrano sulle sue tele in colori brillanti e puri, creando contrasti e scale armoniche, variazioni tonali e accostamenti sorprendenti che coinvolgono lo spettatore in visioni cinetiche extrasensoriali. Strutture complesse che ci offrono un’escursione sulle incessanti modifiche della psiche in relazione agli influssi esterni. Di Fabio dipinge in acrilico sia su tela sia su carta di riso. Queste ultime vengono poi assemblate nelle personali istallazioni Aeree, geometrie sospese nello spazio, come delle concatenazioni cellulari, il tutto quantico rappresenta il concetto Divino di danza cosmica. Alberto Di Fabio (Avezzano, Italy, 1966) lives and works between Rome and New York. Di Fabio’s art engages with the rich, ever-evolving imagery of biology, astronomy, and other natural systems, taking the microcosm and macrocosm as its subjects. Forms belonging to nature, the cosmos and the human body become patterns, ambiguous metaphors for human behavior and the social structures that rule us, stable and yet constantly changing. In his early paintings, he examined mineral and botanical structures and gas fusions, before moving on to the study of genetics, DNA, the synaptic receptors of the brain. The initial chaos, the interaction between matter and antimatter, subsequently transformed into the world in which we live, is a mystery with which Di Fabio’s work never ceases to engage. His work carries us close to the scientists’ domain without invading their field; the artist builds bridges between separate worlds: art and science; the earth and the realm beyond; material and immaterial. www.albertodifabio.com Foto - Photo Skino Ricci

102


Brain Stone è la rappresentazione di qualcosa d’impalpabile, una visione che la sola percezione sensoriale non potrà mai cogliere, è l’evocazione di qualcosa di invisibile. È un’opera che vuole manifestare il momento di passaggio tra la fine del tempo biologico umano e l’inizio di una nuova vita spirituale, quando la nostra mente diviene anima. Non solo, è un’esplosione che descrive il tempo in cui l’anima si connette con l’universo quantico. Due sfere, quella umana e quella spirituale, opposte e complementari, fuse da un misterioso soffio divino che tutto muove. Alberto Di Fabio continua a sottolinearci che non solo di ragione è fatta la vita. Nelle immagini di Alberto Di Fabio è spesso un’esplosione a determinare la scossa attorno a cui nascono le flessuose e imperfette geometrie che si compongono sulla tela. Le sue evoluzioni formali partono spesso da alcuni centri irradianti dai quali nasce un movimento che giunge fino al germogliare di colori e forme geometriche simili a fiori leggeri e impalpabili. Brain Stone è un’opera che vuole interagire con chi guarda verso una progressiva perdita della coscienza di sé, una sorta di trance visiva. Con Brain Stone, come per tutta l’ultima produzione dell’artista, si assiste al passaggio dello stato fisico dell’uomo a uno più etereo e immateriale. La materia diventa evanescente e la mente ritrova una possibile congiunzione con la sostanza astrale. Brain Stone is the representation of something impalpable, a vision that sensorial perception alone can never grasp, the evocation of something invisible. Brain Stone is a work which seeks to represent the transition from the end of the biological human being to the beginning of a new spiritual life, when the mind becomes a soul. The work is also an explosion which portrays the moment when the soul connects with the quantum universe. Two spheres, the human and the spiritual, both opposite and complementary, are fused together by a mysterious divine blast that moves everything in its wake. Alberto di Fabio continues to show us that life is not only the work of reason. It is often an explosion in Alberto di Fabio’s images which causes the earthquake from which the willowy and imperfect geometrical patterns emerge across the canvas. They are often formally brought about by a radiating centre, which triggers the motion that eventually blooms into colours and geometrical forms that appear like soft, delicate flowers. Brain Stone is a work which seeks to involve the observer in extra sensorial kinetic visions. It is a representation which tries to interact with the observer and initiate a progressive loss of self-awareness, engaging them in a sort of visual trance. With Brain Stone, as with all of the artist’s most recent work, we witness the transition of man from his physical state to a more ethereal, immaterial state. Physical matter becomes evanescent and the mind rediscovers a possible connection with the universe.

Mattia Lombardo (Aprile - April 2019)

103



ROBERTO FASSONE


ROBERTO FASSONE Egidio 2018 112 x 224 cm (campo di gioco - playground) Opera unica - Unique work Biliardo modificato e lastra di ottone - Modified pool table and brass plate Opera realizzata appositamente per doutdo - Work specially created for doutdo Sedi espositive - Exhibitions “That’s IT! Sull’ultima generazione di artisti in Italia e a un metro e ottanta dal confine”, 2019, MAMbo, Bologna doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei Un tavolo da biliardo con una gamba diversa dalle altre. Vicino alla buca sopra questa gamba una scritta recita: “Ogni volta che una palla cade in questa buca, qualcuno nel mondo cambia radicalmente idea su una questione importante”. L’opera è nata in seguito a una lettera scritta, tramite mia zia, dal mio defunto nonno Egidio, che mi suggeriva di cambiare idea su questo specifico progetto. A pool table with an odd leg. Next to the pocket above the leg is an inscription that says: “Every time a ball falls into this pocket, someone, somewhere in the world, will radically change their mind about an important issue”. The work was born after receiving a letter from my deceased grandfather, who, through the automatic writing of my aunt, suggested I change my mind about this specific project. Foto - Photo Barbara Jodice Donatore - Donor Roberto Fassone Produttore - Manufacturer MBM Biliardi

106



Roberto Fassone (1986) è un artista visivo e giocatore di basket. Il suo lavoro riguarda strutture invisibili, giochi surrealisti, storie bizzare, coincidenze fortunose, sottili trasformazioni e il funk di Minneapolis. Negli ultimi anni ha esibito il suo lavoro e performato presso: Naturhistorisches Museum, Bern; MAMbo, Bologna; Fanta-MLN, Milano; OGR, Torino; MOCAK, Krakow; Centrale Fies, Dro; Carroll / Fletcher, London; AOYS (online), Zkm, Karlsruhe; Mart, Rovereto; Palazzetto dello Sport, Asti. Roberto Fassone (1986) is a visual artist and basketball player. His work focuses on invisible structures, surrealist games, odd stories, weird coincidences, subtle transformations and Minneapolis funk. He has exhibited and performed, among others, at Naturhistorisches Museum, Bern; MAMbo, Bologna; Fanta-MLN, Milan; OGR, Turin; MOCAK, Krakow; Centrale Fies, Dro; Carroll / Fletcher, London; AOYS (online), Zkm, Karlsruhe; Mart, Rovereto; Palazzetto dello Sport, Asti. www.jamaicainroma.com Foto - Photo Riccardo Banfi

108


L’opera di Roberto Fassone è un tavolo da biliardo. Un tavolo da biliardo normale, giocabile e omologato, che differisce da tutti gli altri prodotti dalla stessa azienda per avere una gamba diversa dalle altre. In corrispondenza di questa gamba, una scritta recita: “Ogni volta che una palla cade in questa buca, qualcuno nel mondo cambia radicalmente idea su una questione importante”. In questo modo il tavolo da biliardo assurge ad un nuovo ruolo: non solo più strumento di gioco e divertimento, ma macchina pensante capace di pregiudicare delle scelte. L’opera è nata in seguito a una lettera scritta durante una sessione di scrittura automatica: il defunto nonno Riccardo (noto a tutti come Egidio), tramite la zia suggeriva al nipote-artista di cambiare idea su uno specifico progetto di produzione su cui, proprio in quei giorni si stava interrogando: “Dì a Roberto che suo nonno non crede nel progetto che lui ha in mente, ma crede in quello che ha appena abbandonato per paura di non riuscire a viverlo come desiderato. Tu come al solito hai paura di aver inventato tutto, ma ti prego di ubbidire comunque. Nonno Egidio”. This work by Roberto Fassone is a pool table. An ordinary, functioning, standard pool table, which differs from all other models produced by the same company in that one leg is different from all the others. Next to this leg, an inscription says: “Every time a ball goes into this pocket, someone, somewhere in the world will radically change their mind about an important issue”. As a result, the pool table takes on a new role: not only it is an instrument for play and for entertainment but it is also a thinking machine capable of influencing decisions. The work came into being after a letter was written during an automatic writing session: - channelled through the artist’s aunt - from his deceased grandfather Riccardo (known to everyone as Egidio), who suggested that the artist-grandson reconsider a certain creative project which he had in fact happened to be thinking about at the time: “Tell Roberto his grandfather isn’t convinced by the project he has in mind but he has faith in the one he just abandoned, the one he was afraid he wouldn’t be able to realize as he hoped. As usual, you are afraid that you have made all of this up, but I want you to obey in any case. Grandfather Egidio”.

Lorenzo Balbi

(Agosto - August 2019)

109



FLAVIO FAVELLI


FLAVIO FAVELLI Storia Militare 2019 201 x 158 x 101 cm Opera unica - Unique work Smalto su serbatoio trovato - Glaze on tank Opera realizzata appositamente per doutdo - Work specially created for doutdo Sedi espositive - Exhibitions doutdo 2018-20, Mostra “Courtesy Emilia-Romagna”, a cura di Davide Ferri, in occasione di Arte Fiera 2019, Bologna doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei Le navi militari della Grande Guerra furono dipinte a righe e strisce bianche e nere, con vari disegni per tentare di confondere i sommergibili nemici. Questa operazione diede alle flotte navali un aspetto estetico straniante ed inaspettato, una specie di vestito brillante e allo stesso tempo artificiale a corazzate, dall’aspetto solitamente severo e marziale. Un pezzo di industria, un serbatoio trovato dipinto con questo motivo cerca, più che confondere, di fare risaltare la bellezza di uno scarto. During the First World War, warships were painted in a camouflage consisting of black and white bands arranged in various patterns to confuse enemy submarines. This approach gave naval fleets a disorienting and unexpected appearance, as typically austere military battleships were coated in a dazzling and unnatural exterior. This piece of industrial machinery in the form of an old tank, painted according to this design, rather than confusing the observer, is intended to draw attention to the beauty of a discarded object. Foto - Photo Trapezio Roveda Donatore - Donor Flavio Favelli Produttore - Manufacturer Autodemolizioni Vandelli, Leonardo srl, Maccagnani Ferro

112


113


Flavio Favelli vive e lavora a Savigno (Bo). Dopo la Laurea in Storia Orientale all’Università di Bologna, prende parte al Link Project (1995-2001). Ha esposto con progetti personali al MAXXI di Roma, al Centro per l’Arte Pecci di Prato, alla Fondazione Sandretto di Torino, alla Maison Rouge di Parigi e al 176 Projectspace di Londra. Partecipa alla mostra Italics a Palazzo Grassi nel 2008 e a due Biennali di Venezia: la 50° (Clandestini, a cura di F. Bonami) e la 55° (Padiglione Italia a cura di B. Pietromarchi). Nel 2015 l’opera Gli Angeli degli Eroi viene scelta dal Quirinale per commemorare i militari caduti nella ricorrenza del 4 Novembre. Nel 2017 ha aperto Univers a Venezia negozio metafisico temporaneo e allestito l’ambiente “Senso 80” all’Albergo Diurno Venezia a Milano. Flavio Favelli lives and works in Savigno (Bo). After graduating in Oriental History from the University of Bologna, he took part in the “Link Project” (1995-2001). He has had solo exhibitions at the MAXXI in Rome, the Luigi Pecci Centre for Contemporary Art in Prato, the Fondazione Sandretto in Turin, the Maison Rouge in Paris and 176 Project Space in London. He participated in the exhibition Italics at Palazzo Grassi (Venice) in 2008 and in two Venice Biennale: the 50th (Clandestini, curated by F. Bonami) and the 55th (Padiglione Italia, curated by B. Pietromarchi). In 2015, the work Gli Angeli degli Eroi was selected by the Quirinale to mark National Unity and Armed Forces Day held on November 4th commemorating the soldiers who sacrificed their lives. In 2017 he opened the metaphysical pop-up shop Univers in Venice and set up the “Senso 80” installation at the Albergo Diurno Venezia in Milan. www.flaviofavelli.com Foto - Photo Giovanni De Angelis

114


Storia Militare è una delle ultime opere che Flavio Favelli ha realizzato. Il lavoro deriva dalla combinazione di due elementi: un oggetto trovato – un grosso serbatoio/tanica – e uno strato di pittura che ricopre (ma non del tutto) l’oggetto, un pattern mimetico dazzle, usato per navi militari e portaerei, dall’effetto un po’ optical, rigidamente bicromatico. Dunque, la solidità geometrica del serbatoio è fortemente compromessa/ pregiudicata dalle vibrazioni del bianco e del nero che ne dilata i contorni, e al contempo aumentata, nel senso di una specie di pericolosità o carica minacciosa. Il vecchio serbatoio ha le sembianze di un grande ordigno inesploso, che espande il suo spazio di pertinenza e respinge il corpo dello spettatore. Storia Militare (Military History) is one of Flavio Favelli’s latest works. It derives from the combination of two elements: a recuperated object – a large tank/container – and the layer of paint which coats the object (though not entirely) in “dazzle” camouflage, a paint scheme used by military vessels and aircraft carriers to create a sort of optical and strictly dichromatic effect. The geometrical solidity of the tank is heavily compromised/ undermined by the vibrating black and white chromatics which dilate the contours, whilst its potential to embody a form of hazard or the threat of an attack is simultaneously enhanced. The old tank has the appearance of a large unexploded ordnance, which expands and keeps the body of the spectator at bay.

Davide Ferri

(Aprile - April 2019)

115



GIOVANNI GASTEL


GIOVANNI GASTEL La Cena di Atene 2019 150 x 180 cm Ed. 1/4 + 9 copie 53 x 100 cm Stampa pigmented fine-art giclée su carta photo Rag montata su D-bond - Pigmented fine-art giclée print on photo Rag paper, on D-bond Opera realizzata appositamente per doutdo - Work specially created for doutdo Sedi espositive - Exhibitions doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei doutdo 2018-20, in occasione di Arte Fiera 2020, Teatro Anatomico, Archiginnasio, Bologna “Art Drive-In, Generali”, a cura di Associazione Bellearti, 2020, Garage Agenzia Generali Brescia Nella fotografia è ritratto un grande e trasversale gruppo di artisti: pittori, fotografi, scultori, poeti, designer, architetti che aderiscono, o hanno aderito nelle precedenti edizioni, a doutdo, tutti uniti da un comune obiettivo e quasi “protetti” da un angelo sospeso, l’anima del progetto. The photograph portrays a large and cross-sectional group of artists: painters, photographers, sculptors, poets, designers and architects who contribute, or have contributed in previous editions, to doutdo, all united by a common objective and almost as if protected by an angel suspended above, the soul of the project. Donatore - Donor Giovanni Gastel, Image Service

118


In alto, al centro - At the top, in the centre Alessandra D’Innocenzo, Cuoghi Corsello (corona di spine). In piedi, da sinistra - Standing from the left Mario Cucinella, Loris Cecchini, Lavinia Savini, Jacopo Foggini, Francesca Buscaroli Gianaroli, Claudio Silvestrin, Roberto Fassone, Stefano Giovannoni, Massimo Giacon, Alessandro Mendini, Daniele Innamorato, Duilio Forte, Aldo Cibic, Nicola Martelli, Giovanni Gastel, Carlo Valsecchi, Nicola Bedogni, Fulvia Mendini, Stefano Casciani, Christina Hamel, Alessandra Zucchi, Alessandro Guerriero, Katja Noppes. Seduti, da sinistra - Seated from the left Davide Rondoni, Emiliana Martinelli, Nino Migliori, Valeria Monti, Marcello Jori, Terri Pecora, Mimmo Jodice, Nanda Vigo, Maurizio Marinelli, Andrew Leslie, Julia Krahn, Michele De Lucchi.

119


Giovanni Gastel nasce a Milano il 27 dicembre 1955. Negli anni Settanta ha il suo primo contatto con la fotografia. La svolta avviene nel 1981 quando incontra Carla Ghiglieri che diventa il suo agente e lo avvicina al mondo della moda. Dopo la comparsa dei suoi primi still life sulla rivista “Annabella”, nel 1982 inizia a collaborare con “Vogue Italia” e poi, grazie all’incontro con Flavio Lucchini, direttore di Edimoda e Gisella Borioli, alle riviste “Mondo Uomo” e “Donna”. La consacrazione artistica avviene nel 1997, quando la Triennale di Milano gli dedica una mostra personale, curata da Germano Celant. Il successo professionale si consolida nel decennio successivo, tanto che il suo nome appare nelle riviste specializzate insieme a quello di fotografi italiani quali Oliviero Toscani, Giampaolo Barbieri, Ferdinando Scianna o affiancato a quello di Helmut Newton, Richard Avedon, Annie Leibovitz, Mario Testino e Jürgen Teller. Attualmente è Presidente dell’Associazione Fotografi Professionisti, membro del Consiglio di Amministrazione del Museo di Fotografia Contemporanea, partner istituzionale della Triennale di Milano e membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione IEO-CCM. Giovanni Gastel was born in Milan on 27 December 1955. In the 1970s he had his first taste of photography. The turning point came in 1981 when he met Carla Ghiglieri, who became his agent and introduced him to the fashion world. Following the appearance of his first still lifes in the magazine Annabella in 1982, he began to work with Vogue Italia and then, following his meeting with Flavio Lucchini, the editor of Edimoda, and Gisella Borioli, for the magazines Mondo Uomo and Donna. His artistic endeavours culminated in 1997 when the Milan Triennale gave him a solo exhibition curated by Germano Celant. His professional success was consolidated a decade later when his name appeared in specialised magazines with those of important Italian photographers like Oliviero Toscani, Giampaolo Barbieri and Ferdinando Scianna, and alongside those of Helmut Newton, Richard Avedon, Annie Leibovitz, Mario Testino and Jürgen Teller. He is currently president of the Associazione Fotografi Professionisti, member of the Board of Museo di Fotografia Contemporanea, institutional partner of the Triennale in Milan and member of the Board of Fondazione IEO-CCM. www.giovannigastel.it Foto - Photo Filippo Avandero

120


Un tavolo è un piano di terra sollevato diceva Mario Merz, qualcosa di primario ancora fortemente legato all’organico che aggancia il lavoro artistico all’umano. Il tavolo è il luogo in cui l’opera d’arte nasce sotto forma di progetto o di disegno, uno strumento grazie al quale l’artista mette a fuoco le sue intuizioni, ma è anche un elemento legato alla vita e ai suoi riti quotidiani, lo spazio intorno al quale ci si mette in relazione con gli altri. La foto che Giovanni Gastel ha realizzato per la quarta edizione di doutdo, facendo propria la tradizione che il tavolo ha avuto nell’arte contemporanea, assume tale duplicità riconducendo la dimensione intima e quella collettiva in unico spazio visivo e morale. Uno a uno vediamo raccogliersi intorno a un lungo tavolo bianco tutti gli attori di doutdo, ciascuno portatore della propria presenza individuale e al contempo disposto in relazione all’altro, interno e esterno alla scena. Lo stesso fotografo, scegliendo di partecipare al dispositivo scenico innescato, svela un assunto centrale del linguaggio artistico che doutdo mostra di cogliere fino in fondo: dal gioco dell’arte nessuno può dirsi escluso, poiché ognuno – attore o spettatore, autore o fruitore – è chiamato a fare la propria parte senza distinzioni di ruoli. I segni distribuiti sul piano dell’immagine e affidati ai diversi interpreti in scena stanno lì a ricordarcelo, funzionando come un invito a partecipare a un rito che investendo la morale di ognuno diviene gesto collettivo. A table is a plane of raised earth, claimed Mario Merz, something primary, still strongly linked to the organic system that binds art to humanity. The table is a site in which the work of art emerges in the form of a project or a design, an instrument by which the artist sharpens intuitions, but it is also an element tied to life and to its daily rituals, the space in which one establishes relationships with others. The photograph produced by Giovanni Gastel for the fourth edition of doutdo, expanding on the traditional role the table has held in contemporary art, takes on this same duality by bringing the intimate and collective dimensions together in a single visual and moral space. One by one we see all the participants of doutdo gather around a long white table, each simultaneously contributing their own individual presence and arranged in relation to the other, inside and outside the scene. The photographer himself, choosing to participate in the scenic display that is triggered, reveals a central assumption about the artistic language that doutdo captures fully: no one can declare themselves excluded from the art-game, because every individual - whether participant or observer, producer or consumer - is invited to play their own part regardless of role. The symbols distributed throughout the image and entrusted to the various performers in the scene are there to remind us of this fact, acting as an invitation to participate in a ritual that, by investing the morality of each individual, becomes a collective act.

Gianluca Riccio (Luglio - July 2019)

121



MIMMO JODICE


MIMMO JODICE Real Albergo dei Poveri, Napoli, Opera n° 16 e Opera n° 33 1997-99 90 x 90 cm Ed. 1/3 Stampa digitale su carta Silver Rag Baryta - Digital print on Silver Rag Baryta paper Sedi espositive - Exhibitions “Real Albergo dei Poveri”, 2000, Cappella Palatina, Maschio Angioino, Napoli doutdo 2018-20, in occasione di Arte Fiera 2019, Aula Magna, Accademia delle Belle Arti, Bologna doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei Il Real Albergo dei Poveri, opera dell’architetto Ferdinando Fuga, fu progettato nel 1751 su richiesta del re Carlo di Borbone, ma la costruzione non fu mai portata a termine. Nelle intenzioni di Carlo di Borbone, la struttura avrebbe dovuto offrire un asilo regale a ottomila diseredati del regno con la duplice funzione di carcere, di riformatorio e di rieducazione dei mendicanti. Nel 1999 Mimmo Jodice viaggiando all’interno di questa straordinaria architettura ha ridato vita alle testimonianze del passato, alle presenze umane e della miseria che fu. “Bianco” come la luce, protagonista assoluta, che si insinua dovunque, mettendo in chiaro il presente-passato-futuro della “fabbrica”. “Nero” come il colore dell’umana miseria, quella più dura, e della disperazione. The Bourbon Hospice for the Poor was designed by the architect Ferdinando Fuga in 1751 at the request of Charles III, King of Naples, but was never completed. Charles III intended the building to become a royal shelter for eight thousand poor people in the kingdom and to serve as a prison, reformatory and re-education facility. In 1999, Mimmo Jodice explored this extraordinary piece of architecture and brought out the traces of the past, the misery, the human experiences back to life. “White” like the light, the principal protagonist, which sneaks into every corner, exposing the past, present and future of the “factory”. “Black” like the colour of human misery , the colour of desperation. Donatore - Donor Mimmo Jodice, Vistamare/Vistamarestudio, Pescara/Milano

124


125


Mimmo Jodice (Napoli 1934). Fotografo di avanguardia fin dagli anni Sessanta, è stato protagonista nel dibattito culturale che ha portato alla crescita, all’affermazione e al al riconoscimento della fotografia in Italia ed in campo internazionale. Negli anni ‘60 si impegna molto nel lavoro sociale, realizzando molte inchieste sui bambini che lavorano, negli ospedali, nelle carceri, nelle fabbriche. Durante gli anni ‘70 vive a stretto contatto con i più importanti artisti della neo-avanguardia che frequentano Napoli: Warhol, Beuys, De Dominicis, Paolini, Kosuth, Lewitt, Kounnellis, Nitsch ed altri. Numerose le mostre personali a partire dal 1968: Napoli, Roma, Milano, Philadelphia, Montreal, Parigi Londra, Mosca… Tra i suoi lavori più importanti: Mediterraneo, Vedute di Napoli, Real Albergo dei Poveri, La Città Invisibile, Transiti, Les Yeux du Louvre. Nel 2016 il Museo Madre gli dedica la più grande e completa retrospettiva: Mimmo Jodice - Attesa (dal 1960). Tra le onorificenze ricevute: nel 2003, il premio “Antonio Feltrinelli” attribuito dall’Accademia dei Lincei; nel 2006, la Laurea Honoris Causa in Architettura conferita dall’Università degli Studi Federico II di Napoli; nel 2011, il titolo di “Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres” dal Ministero della Cultura Francese. Mimmo Jodice (Naples 1934). Avant-garde photographer since the 1960s, he has been a protagonist in the cultural debate that has led to the growth, success and aknowledgement of photography in Italy and internationally. In that period, he was deeply engaged in social work, carrying out many surveys on children who work and the conditions in hospitals, prisons and factories. During the ‘70s he worked alongside the most important neo-avant-garde artists who frequented Naples: Warhol, Beuys, De Dominicis, Paolini, Kosuth, Lewitt, Kounnellis, Nitsch and others. Since 1968 he had several solo exhibitions: Naples, Rome, Milan, Philadelphia, Montreal, Paris, New York, London, Moscow... Some of his most important works include: Mediterranean, Vedute di Napoli, Real Albergo dei Poveri, The Invisible City, Transiti, Les Yeux du Louvre. In 2016 the Museo Madre dedicated the largest and most complete retrospective to the artist: Mimmo Jodice - Attesa (since 1960). Among the honors he received: in 2003 the pretigious “Antonio Feltrinelli Award” by the Accademia dei Lincei; in 2006, the Honoris Causa Degree in Architecture conferred by the Federico II University of Naples; in 2011, he was appointed “Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres” by the French Ministry of Culture. www.mimmojodice.it

126


Quella di Mimmo Jodice è una forma d’arte che manifesta una sensibilità al sociale senza riduzione della propria pratica al reportage o all’immagine documentaria. Una struggente umanità si manifesta a dispetto dell’assenza di individui nelle scene prodotte dal suo occhio indagatore rivolto al Real Albergo dei Poveri. Come già nel libro del 1980, Vedute di Napoli, i luoghi astratti dal comportamento delle persone assumono la potenza simbolica di uno spazio antropico senza limitazione a una specifica storia, come il caratteristico bianco e nero di Jodice riesce a realizzare quale assoluto non compromesso da indizi cromatici, mai inficiato da un colorismo che rischierebbe di vanificare la straordinaria vigilanza nel rimanere nell’essenziale, ossia nel costituirsi dell’immagine attraverso processi meccanici e al tempo stesso autoriali di regolazione dell’impressione di luce e ombra. In questa felice tensione linguistica il Real Albergo dei Poveri è l’utopia di una redenzione, non solo il luogo di clausura e rieducazione dei diseredati di Napoli, ma un riscatto estetico ed etico della condizione umana. Mimmo Jodice produces a kind of art that expresses sensitivity to the social condition without being bound to reportage or documentary image. Despite the absence of individuals, the scenes of the Bourbon Hospice for the Poor captured by Jodice’s inquisitive eye express a poignant humanity. As in the book Vedute di Napoli 1980, the places deprived of human behaviour, become powerful symbols of an anthropic space, detached from any singular narrative. Equally the black and white characteristic use of Jodice’s work succeeds to express what is absolute, uncompromised by chromatic evidence, never marred by a presence of colour, that might undermine the extraordinary care taken to keep to what is essential. Or rather the care taken to create the impression of light and shadow in the image by means of technical as well as authorial adjustments. In this state of happy linguistic tension, the Bourbon Hospice for the Poor is the utopia of a redemption, not just a place for the seclusion and re-education of Naples’s underprivileged, but an aesthetic and moral redemption of the human condition.

Gianfranco Maraniello (Ottobre - October 2019)

127



JULIA KRAHN


JULIA KRAHN 33MM_pixel 2019 Struttura ottagonale - Octagonal structure: 500 x 300 cm, diam. 800 cm Ed. 1/3 Fotografia stampata su tessuto, colla, struttura in alluminio, luci, leggio, libro – Photograph printed onto fabric, glue, aluminium structure, lights, bookstand, book Opera realizzata appositamente per doutdo - Work specially created for doutdo Sedi espositive - Exhibitions doutdo 2018-20, in occasione di Arte Fiera 2019, Archiginnasio, Bologna doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei Innesto di un importante lavoro ancora in corso – 33MM (Maria Maddalena) e originariamente pensato per una mostra in una chiesa di Amburgo, annullata all’ultimo momento a causa della fotografia della madre che allatta il suo bambino nudo. L’installazione si sviluppa su un’impalcatura ottagonale, forma sacrale di per sé e riferimento diretto all’Abside della chiesa di Amburgo, dalla quale cadono dall’alto i sette ritratti stampati su tessuto. Nelle fotografie di Julia Krahn le donne mettono a nudo se stesse, mostrando orgogliosamente le loro forze e ferite. Ognuna custodisce l’esperienza di una verità che qui è nascosta da alcuni pixel. Un paradossale voler nascondere corpi nudi, dolori, identità, verità, che invece, grazie ai pixel si amplificano. Da prodotto della censura, i pixel diventano strumento artistico per combatterla. I pixel sono applicati sull’esterno dei tessuti lasciando libera la vista a chi entra all’interno dell’ottagono, in intimità con le protagoniste. 33MM (Mary Magdalene), an offshoot of an important ongoing work, was originally meant to be displayed at an exhibition in a church in Hamburg which was cancelled at the last moment due to a photograph of a mother breastfeeding her naked baby. The installation extends over an octagonallyshaped section of scaffolding - a shape which is sacred in itself, and which directly references the apse of the Hamburg church from which hang seven portraits printed on fabric. In Krahn’s photographs the women bare themselves, proudly displaying both their strengths and their wounds. Each woman preserves the experience of a truth, hidden in this case beneath some pixels. Rather than hiding the nudity, pain, identity and truth, these instead become amplified due to the pixels. Having arisen from censure, the pixels become an artistic means of combatting it. They are applied to the outside of the fabric, granting whoever enters the octagonal structure the chance to gain an intimate view of the protagonists. Foto - Photo Francesco Rucci Donatore - Donor Julia Krahn Produttore - Manufacturer In-Novo/Quadricroma

130


131


Julia Krahn è nata ad Aquisgrana, ma vive e lavora a Milano. Per dedicarsi completamente all’arte lascia gli studi di Medicina alla Albert Ludwig Universität Freiburg e si trasferisce in Italia. Ha vinto vari premi e ricevuto riconoscimenti internazionali. Numerose le mostre in Italia e all’estero, tra cui: al Landesmuseum di Hannover, al Dommuseum di Mainz, al Lentos Kunstmuseum di Linz, a Castelvecchio di Verona, presso la Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia e la Fondazione Stelline di Milano, al Museo Diocesano di Milano, ai Musei Civici di Imola e al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Si è parlato del suo lavoro in più di 150 articoli e libri. Julia Krahn ha pubblicato i volumi “The Last Supper” e “SchönerHeit”. Julia Krahn was born in Aachen, Germany, and lives and works in Milan. She abandoned her studies in medicine at the Albert Ludwig University in Freiburg and moved to Italy to dedicate herself entirely to art. She has won numerous awards and received international recognition. Her work has featured in several exhibitions both in Italy and abroad, including: the Lower Saxony State Museum in Hanover and Dommuseum in Mainz, Germany, the Lentos Art Museum in Linz, Austria, the Castelvecchio Museum in Verona, Fondazione Bevilacqua La Masa in Venice and Fondazione Stelline in Milan, the Diocesan Museum in Milan, the Civic Museums in Imola and Palazzo delle Esposizioni in Rome, Italy. Her work has been discussed in over 150 articles and books. Julia Krahn has published two books: “The Last Supper” and “SchönerHeit”. www.juliakrahn.com Foto - Photo Mayra Troncoso

132


Le più grandi opere d’arte sono spesso nate da occasioni mancate: a Michelangelo, nato scultore, fu imposto di trasformarsi in pittore per affrescare la più grande volta su cui la pittura occidentale abbia mai potuto distendersi: apparve così al mondo il ciclo della Cappella Sistina. L’associazione con l’opera di Julia Krahn sembrerà ardita, ma basta seguirne le tracce per scoprire quanto entrambe segnano il passo dello stretto sentiero dell’arte d’avanguardia. Come nei Prigioni, le sette immagini femminili della Krahn, nell’uscire a forza dal ceppo originario – le 33MM (Maria Maddalena) – riescono così a ricostruire, nell’epoca della loro infinita riproducibilità tecnica, quello che Walter Benjamin avrebbe definito come l’autentico percorso auratico. Nell’entrare nel nuovo spazio cultuale consacrato da Krahn all’immagine femminile, l’osservatore può così vedere mutare queste sette figure da allegoria della femminilità negata (all’esterno) a simbolo di una natura materna e primeva (all’interno). E così, nello scoprire l’origine di queste 33MM-Pixel, sentire quanto mai attuale il monito lanciato al mondo da Pico della Mirandola, nella sua Oratio de hominis dignitate... questa volta però l’immagine umana nella sua perfezione celeste è prima di tutto donna e madre: Maria Maddalena. The greatest works of art are often born from missed opportunities. Michelangelo, a natural-born sculptor, was obliged to transform himself into a painter in order to create the most remarkable vault that western painting has ever been able to manifest. This is how the fresco cycle of the Sistine Chapel came to be. The link to Krahn’s work might seem tenuous, but simply following the course of their work reveals the extent to which both remain poised on the narrow course of avant-garde art. The histories of mankind “ante legem” therefore encounter their continuation “post legem” half a millennium later: the continuation of a censorship that, thanks precisely to the imposition of pixels, inadvertently grants a disruptive iconographical formula to the creative genius. Like the Prisoners, Krahn’s seven female images, in leaving their original provenance - the 33MM (Mary Magdalene) - manage to recreate - in this age of infinite mechanical reproduction - what Walter Benjamin would have termed the authentic course of aura. Upon entering this new cultural space that Krahn has devoted to the female image, the observer can therefore see how these seven figures change from allegory of negated womanhood (outside) into the symbol of a primal, maternal nature (inside). And in this way, in our discovery of the origin of these 33MM-pixel, we hear the warning, more pertinent than ever, that the Italian Renaissance scholar and philosopher Pico della Mirandola voiced to the world in his public discourse Oration on the Dignity of Man (Oratio de hominis dignitate): this time however, the human image in its celestial perfection is above all woman and mother: Mary Magdalene.

Marco Marinacci (Aprile - April 2019)

133



ANDREW LESLIE


ANDREW LESLIE Big Real 2018 290 x 600 cm Opera unica - Unique work Acrilico su alluminio anodizzato - Acrylic on anodized aluminium Opera realizzata appositamente per doutdo - Work specially created for doutdo Sedi espositive - Exhibitions doutdo 2018-20, in occasione di Arte Fiera 2019, Opera Residence, Bologna doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei Nonostante l’ordinarietà dei suoi materiali e delle tecniche semplici e industriali – basiche unità di metallo, comune tintura industriale, muri grezzi – Big Real offre una complessa varietà di esperienze estetiche. Attraverso una tematizzazione delle convenzioni e delle illusioni/delusioni di codici pittorici e linguistici risponde all’impulso artistico di mettere in discussione le proprie convenzioni rappresentative. Nonostante la loro semplicità e la loro impressionante presenza, queste opere offrono uno spazio contemplativo che risuona di associazioni e significati poetici. In spite of the ordinariness of its simple industrial materials and techniques – basic metal units, common industrial paint, unmodified walls – Big Real offers a complex array of aesthetic experiences. By thematizing the conventions and illusions/delusions of pictorial and linguistic codes it responds to art’s impulse to question its own representational conventions. But in their simplicity and striking presence these works open up a contemplative space that resonates with lyrical meanings and associations. Foto - Photo Barbara Jodice, Claudine Leslie Donatore - Donor Andrew Leslie

136


137


Nato in Australia nel 1956, Andrew Leslie vive e lavora a Sydney. Ha esposto le sue opere nei più importanti musei australiani e internazionali. Tra le sue recenti mostre: Non Objective Writing NCCA Darwin, presso l’Harper Commission Sydney nel 2018; Light Positions, al Museum Romer Floris, Gyor e De Stijl 100 years a Leidon Netherlands, nel 2017. Ha esposto all’Annandale Galleries di Sydney e al Ballhaus Ost di Berlino nel 2016; installazioni architettoniche sono presenti al GDC Dangu in Francia. Le sue collezioni sono esposte presso la National Gallery of Australia, l’Artbank Australia, l’Art Gallery of Western Australia Bankwest Collection, l’Holmes à Court Collection, la Vass Laszlo Collection Hungary. È rappresentato dalla Galleria Annandale di Sydney ed è Direttore dello SNO Contemporary Art Projects (2005-2019). Andrew Leslie was born in Australia in 1956 and currently lives and works in Sydney. He has exhibited at major venues both in Australia and internationally. Recent exhibitions include: Non Objective Writing NCCA Darwin at the Harper Commission, Sydney, in 2018; Light Positions, at the Romer Floris Museum, Gyor and 100 years of De Stijl, Leidon, Netherlands in 2017. He has exhibited at Annandale Galleries in Sydney and Ballhaus Ost, Berlin, in 2016. His architectural installations are displayed at the GDC Dangu in France. His Collections are displayed at the National Gallery of Australia, Artbank Australia, Art Gallery of Western Australia, the Bankwest Collection, Holmes à Court Collection, and the Vass Laszlo Collection, Hungary. He is represented by Annandale Galleries in Sydney and is Director of the SNO Contemporary Art Projects (2005 - 2019). www.sno.org.au Foto - Photo Claudine Leslie

138


Big Real è un gioco linguistico. È un dipinto-scultura. È una parola e riguarda l’occhio e la mente. La sua funzione si lega all’uso convenzionale del muro e alla struttura della pittura tradizionale, eppure si basa sulla geometria dello spazio e dallo spettatore che vi entra. Il linguaggio non dovrebbe mettere alla prova la certezza concreta. Combinato con il colore e la struttura, il muro è un elemento essenziale dell’opera. Le condizioni ambientali attivano il calembour attraverso il movimento e la prospettiva. Lo sguardo è effimero e qui provoca vibrazioni ambigue o spettrali che riflettono il significato nell’ombra. Big Real is a language-game. It is a sculpture painting. It is a word and it is about the eye and the mind. Its function relates to the conventional use of the wall and the structure of traditional painting and yet relies upon the geometry of space and the viewer who enters it. Language is not supposed to challenge concrete certainty. Combined with the colour and structure the wall is an essential component of the artwork. Environmental conditions activate the pun through movement and perspective. Sight is ephemeral and here it causes ambiguous or ghostly vibrations reflecting meaning in the shadows.

Ruark Lewis

(Marzo - March 2019)

139



ALESSANDRO MENDINI


ALESSANDRO MENDINI Lassù 1983 39 x 17 x 19 cm Edizione aperta - Open edition Scultura in bronzo con pilastro di supporto in pietra leccese e base in ferro - Bronze sculpture with Lecce stone pillar of support La sedia Lassù è stata realizzata da un falegname milanese su disegno di Alessandro Mendini in due copie uguali. Una copia si trova al Museo della Vitra in Svizzera; l’altra copia è stata bruciata in un prato di fronte alla sede della redazione della rivista “Casabella” e ora si trova nell’archivio del Centro Studi dell’Università di Parma. Non ci fu una performance pubblica, erano presenti solo alcune persone. La sedia Lassù fa parte di un piccolo ciclo di oggetti detti ad “uso spirituale”, che erano destinati alle copertine di “Casabella”. Lassù dimostra che anche gli oggetti nascono, vivono e muoiono e hanno una loro drammatica esistenza. La versione di bronzo in miniatura è stata iniziata nel 1983. The chair Lassù (Up there) was made according to a design by Alessandro Mendini by a Milanese carpenter who produced two identical copies. One copy is held at the Vitra Design Museum in Switzerland. The other was set on fire in a field opposite the editing offices of “Casabella” magazine and its remains can now be found in the archives of the University of Parma. There was no public performance - only a few people were present. Lassù is one of a select series of “Objects for Spiritual Use” which were intended for the covers of “Casabella” magazine. Lassù shows that objects experience birth, life and death and the dramas of life just as we do. The making of the miniature bronze replica began in 1983. Foto - Photo Barbara Jodice Donatore - Donor Elisa e Fulvia Mendini Produttore - Manufacturer Pilastro in pietra leccese: Pimar Base in ferro: Metalcarp

142


Lassù, performance. Casabella N. 391/1974

143


Sedi espositive - Exhibitions “Oggetti senza tempo”, collezione Alchimia, 1983, Studio Alchimia, Milano Alchimia 1976-1987, 1987, Galleria Rocca 6, Torino “Alessandro Mendini”, 1988, Groninger Museum, Groningen, Olanda “Interno di un interno”, 1991, Dilmos, Milano “Shama, Habitat e Identità”, 1992, Centro Affari e Promozioni, Arezzo “Atelier Mendini”, 1994, Groninger Museum, Groningen, Olanda “Alessandro Mendini”, 1995, La fabbrica del Lunedì, Napoli “Immagini dentro di me, 4:3 Cinquanta anni di design italiano tedesco”, 2000, Kunst-und Ausstellungshalle der Bundesrepublik Deutschland, Bonn, Germania “Miraggi”, 2001, Galleria Antonia Jannone. Disegni di Architettura, Milano “Alessandro Mendini tra le arti”, a cura di Peter Weiss, 2001, Basilica Palladiana, Vicenza “Alessandro Mendini tra le arti”, a cura di Peter Weiss, 2001, Museu de Arts Decoratives, Palacio Real de Pedralbes, Barcellona, Spagna “Alessandro Mendini tra le arti”, a cura di Peter Weiss, 2001, Westf. Landesmuseum, Münster, Museum Fur Kunsthandwerk, Lipsia, Germania “Alessandro Mendini”, 2002, Swinger Art Gallery, Verona “Mendini”, a cura di Dorota Koziara, 2004, Muzeun Narodowe, Poznan, Polonia “Stilemi”, 2007, Galleria Daniele, Verona “Alessandro Mendini”, a cura di Beppe Finessi, 2009, Ara Pacis, Roma “Alessandro Mendini, Alchimie. Dal contro design alle nuove utopie”, a cura di Alberto Fiz, 2010, Marca, Catanzaro “Alessandro Mendini e Giuliano Gori. Parliamone insieme”, 2012, collezione Gori, Fattoria di Celle, Santomato, Pistoia “Alessandro Mendini”, 2016, Appartamento N.50 nell’Unité d’Habitation di Le Corbusier, Marsiglia, Francia “Alessandro Mendini. The Poetry of Design”, 2015, DDP- Dream Design Center, Seoul, Corea del Sud doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei doutdo 2018-20, Mostra “Courtesy Emilia-Romagna”, a cura di Eva Brioschi, in occasione di Arte Fiera 2020, Bologna “Mondo Mendini. The world of Alessandro Mendini”, 2019, Groninger Museum, Groningen, Olanda “Alessandro Mendini. Noción estética y gramática visual”, a cura di Raymundo Sesma-Advento, 2019-2020, Besign México, San Pedro Museo del Arte di Puebla; Museo de Arte Contemporaneo, Oaxaca, Messico

144


Pubblicazioni - Publications Alessandro Mendini. Progetto Infelice, a cura di Rosa Maria Rinaldi, Rde, 1983 Alchimia, a cura di Kasuko Sato, Taco, 1988 Alessandro Mendini, a cura di Stefano Casciani e altri autori, Giancarlo Politi Editore, 1990 Atelier Mendini. Una utopia visiva, a cura di Raffaella Poletti con una fiaba di Emilio Ambasz, Fabbri Editori, 1994 Alessandro Mendini, a cura di Peter Weiss, DruckVerlag Kettler GmbH, Germania, 1997 4:3 Fünfzig Jahre italienisches deutsches Design, Kunst-und Ausstellungshalle der Bundesrepublik Deutschland, 2000 Miraggi, Galleria Antonia Jannone. Disegni di Architettura, Milano, 2001 Alessandro Mendini. Cose, Progetti Costruzioni, a cura di Peter Weiss, Documenti di architettura, Electa, 2001 Alessandro Mendini, a cura di Moon-Sun Ko, IA Interior Architect N. 7, Archiworld, South Korea, 2003 Mendini, a cura di Dorota Koziara, Muzeun Narodowe Poznan, 2004 Alessandro Mendini, a cura di Beppe Finessi, Corraini Edizioni, 2009 Alessandro Mendini, Alchimie. Dal controdesign alle nuove utopie, a cura di Alberto Fiz, Electa, 2010 Alessandro Mendini, dal controdesign alle nuove utopie dell’arte e dell’architettura oltre la bellezza, a cura di Vittorio Del Piano, Edizioni Atelier Meditterranea ArtePura, 2010 Alessandro Mendini. Wunderkammer Design, a cura di Peter Weiss, Neues museum-Staatliches Museum für kunst und design, 2011 Alessandro Mendini e Giuliano Gori. Parliamone insieme, collezione Gori, Gli Ori, 2012 Minimun Design Alessandro Mendini, a cura di Graziella Leyla Ciagà, 24 ore Cultura, 2011 Alessandro Mendini. Empatie. Un viaggio da Proust a Cattelan, a cura di Alberto Fiz, Silvana Editoriale, 2014 Codice Mendini, a cura di Fulvio Irace, Electa, 2016 Mondo Mendini, a cura di Ruud Schenk, Steven Kolsteren, Beppe Finessi, Groninger Museum, Olanda, 2019

145


Alessandro Mendini (Milano 1931-2019) laureato in Architettura al Politecnico di Milano, da sempre interessato a scrivere e a teorizzare, oltre che disegnare, ha diretto in successione le riviste “Casabella” (1970-1976), “Modo” (1977-1981) e “Domus” (1980-1985; 2010-2011) e ha pubblicato numerosi libri. Nelle riviste di settore che ha diretto, si è fatto portavoce della crociata per un’architettura eclettica, incoerente, una macchina meravigliosa che mescola gli stili e i linguaggi prendendoli dalla contemporaneità come dalla storia, dall’arte e dalle produzioni di massa. Dagli anni ‘70 è stato il punto di riferimento nella svolta verso il design post-moderno. Dal 1979 al 1991 ha dato vita ad Alchimia, gruppo di radical design tra i più conosciuti al mondo. Ha collaborato con diverse aziende come Alessi, Bisazza, Hermès, Philips, Kartell, Swatch, Venini, Ramun, Cartier. Numerosi i premi e i riconoscimenti in tutto il mondo: vince il Compasso d’Oro nel 1979, nel 1981 e quello alla carriera nel 2014. Gli sono state riconosciute Lauree Honoris Causa in diverse università. L’Atelier Mendini, fondato con suo fratello Francesco – architetto – ha ricevuto la Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana 2003 alla Triennale di Milano per il progetto delle stazioni della Metropolitana di Napoli. Alessandro Mendini (Milan 1931–2019) graduated in architecture from the Polytechnic University of Milan. Interested in writing and theorizing as well as drawing, he directed the magazines “Casabella” (1970–1976), “Modo” (1977–1981) and “Domus” (1980–1985 and 2010–2011) and published several books. As editor of these design magazines, Mendini established himself as the voice of eclectic, incoherent architecture, which he considered a marvellous device for the mixing of styles and visual languages inspired by both modernity and history, art and mass production. In the 1970s he became an exponent of the move into postmodern design. From 1979 to 1991, he formed Alchimia, one of the best-known radicaldesign groups, founded on the principle of the hybridisation of the arts. His clients have included Alessi, Bisazza, Hermès, Philips, Kartell, Swatch, Venini, Ramun, and Cartier. He has received numerous prizes and awards all over the world. He received the Compasso d’Oro Design Award in 1979, 1981 and again in 2014 for lifetime achievement. Mendini has been awarded honorary degrees from several universities. The Atelier Mendini, which he ran with his brother Francesco Mendini, also an architect, received the Gold Medal for Italian Architecture from the Milan Triennale in 2003 for its designs for the underground railway stations in Naples. www.ateliermendini.it Foto - Photo Carlo Lavatori

146


Il titolo indica sin da subito una presa di distanza dell’oggetto dal suo uso abituale, e il basamento di cui la piccola sedia è dotata, alla stregua di una sua naturale estensione, funziona come dispositivo che interrompendo la normale dialettica tra la funzione e la cosa apre intorno ad essa un inedito spazio di senso. Scopo della sedia Lassù non è tanto di sottrarre un oggetto al suo spazio – linguistico e culturale – per investirlo attraverso il gesto della rinominazione di un nuovo valore concettuale, ma piuttosto d’indicarne nuovi possibili usi, connotati in senso non più pratici ma spirituali. Alterare le dimensioni e la fisionomia di un oggetto – una sedia ma anche una seduta Scivolavo o una Valigia per l’ultimo viaggio – e sottoporlo a un processo rituale1, diventa così il gesto più semplice per schivare un rischio – “intasare” con nuove forme “un campo” come quello del design “già ridondante” – e al contempo per rivelare dell’oggetto in questione l’idea, la memoria, il ricordo che porta con sé: per disporre l’uomo e la cosa su un piano simmetrico e condiviso, riuniti in un comune destino di nascita e deperimento, di vita e di morte. Prima che l’abitudine e la funzione prendano il sopravvento, e fuori da una retorica positivista, Alessandro Mendini da lassù continua a ricordarci quanto occorrano ancora oggetti “che siano strumenti critici per liberare lo spazio interiore (…) luoghi dove essere di ora in ora coscienti della propria condizione di ‘viventi’” . From the outset the title distances the object from its typical function. The base, treated as a natural extension of the small chair, acts as a means of interrupting the normal dialectic between object and function, opening up unprecedented scope for interpretation. The aim of Lassù is not to remove an object from its linguistic and cultural context and give it a new conceptual value by renaming it, but to suggest new possible uses, no longer practical but spiritual. Changing the size and physiognomy of an object – a chair but also a seat Scivolavo or a Suitcase for the final journey (Valigia per l’ultimo viaggio) – and subjecting it to a ceremonial process2 , becomes the simplest way to avoid a risk – that of “clogging up” the “already redundant (…) field” of design with new forms - and simultaneously to expose the idea, memory, or recollection that the object in question harbours. In this way it places man and object on the same symmetrical plane, united by a common destiny, that of birth and decay, life and death. With Lassù Alessandro Mendini continues to remind us - before habit and function take over and outside of a positivistic rhetoric - how much we still need objects “which are critical tools needed to free up the interior space (…) places where we can be conscious hour by hour of our condition as being ‘alive’” .

Gianluca Riccio (Ottobre - October 2019)

“La sedia Lassù è stata realizzata in due copie uguali su mio disegno da un falegname milanese. È stata bruciata in un prato di fronte al building della redazione della rivista “Casabella”. Una copia si trova ora al museo della Vitra in Svizzera. L’altra copia è stata bruciata quasi interamente, e si trova nell’archivio del Centro Studi dell’Università di Parma in Italia. Non ci fu una performance pubblica, erano presenti solo alcune persone. La Lassù fa parte di un piccolo ciclo di oggetti detti “ad uso spirituale”, che erano destinati alle copertine di Casabella. La Lassù dimostra che anche gli oggetti nascono, vivono e muoiono, e hanno una loro drammatica esistenza. La versione di bronzo in miniatura è stata iniziata nel 1983.”

1

2 The chair Lassù (Up there) was made according to a design by Alessandro Mendini by a Milanese carpenter who produced two identical copies. One copy (see photo) is held at the Vitra Design Museum in Switzerland. The other was set on fire in a field opposite the editing offices of “Casabella” magazine and its remains can now be found in the archives of the University of Parma. There was no public performance - only a few people were present. Lassù is one of a select series of “Objects for Spiritual Use” which were intended for the covers of “Casabella” magazine. Lassù shows that objects experience birth, life and death and the dramas of life just as we do. The making of the miniature bronze replica began in 1983.

147



FULVIA MENDINI


FULVIA MENDINI Fiore d’arancio 2019 200 x 200 cm Opera unica - Unique work Tondo di marmo policromo intarsiato - Inlaid polychrome marble Opera realizzata appositamente per doutdo - Work specially created for doutdo Sedi espositive - Exhibitions doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei doutdo 2018-20, in occasione di Arte Fiera 2020, Archiginnasio, Bologna OBERON: Hai il fiore con te? PUCK: Ho il fiore, eccolo. OBERON: Dammelo, di grazia. Conosco un pendio dove fiorisce il timo selvatico, dove sbocciano la primula e la tremula violetta sotto un baldacchino di rigoglioso caprifoglio, di profumate rose damaschine e canine. Parte della notte dorme ivi Titania, cullata da suoni e danze fra i fiori; ed ivi il serpente lascia la sua pelle smaltata, ampia abbastanza da poterne fare il manto di una fata. [...] William Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate OBERON: Hast thee the flower there? PUCK: Ay, there it is. OBERON: I pray thee, give it me. I know a bank where the wild thyme blows, where oxlips and the nodding violet grows, quite over-canopied with luscious woodbine, with sweet musk-roses and with eglantine: there sleeps Titania sometime of the night, lull’d in these flowers with dances and delight; and there the snake throws her enamell’d skin, weed wide enough to wrap a fairy in. [...] William Shakespeare, A Midsummer Night’s Dream Foto - Photo Barbara Jodice Donatore - Donor Fulvia Mendini Produttore - Manufacturer Casone Group

150


151


Fulvia Mendini nasce a Milano nel 1966 dove vive e lavora. Dopo gli studi di illustrazione e grafica all’Istituto Europeo di Design, ha lavorato nell’Atelier Mendini, collaborando con varie aziende (Alessi, Abet Laminati, Bardelli, Bisazza, Philips, Sikkens, Swatch, Venini). Nel 1992 inizia una ricerca pittorica e decorativa personale, approfondendo in particolare il mondo della natura e del ritratto. Il suo è un universo pittorico in cui si rintracciano molteplici influenze, il tutto sapientemente mescolato in uno stile colto e raffinato e in una tecnica meticolosa. Ha esposto le sue opere al Grand Palais di Parigi, all’Expo International di Taejon in Corea, alla Triennale di Milano e in numerose gallerie. Nel 2009 ha partecipato alla Biennale di Praga. Ha realizzato delle ceramiche a Vietri e ha disegnato una collezione di borse per Yoox e disegna gioielli. È presente nella collezione permanente al Byblos Art Hotel di Verona con alcuni dipinti e in alcune stazioni della metropolitana di Napoli con opere musive. Fulvia Mendini was born in Milan in 1966, where she currently lives and works. After studying illustration and graphic design at the European Institute of Design in Milan she worked at the Atelier Mendini, collaborating with various companies (Alessi, Abet Laminati, Bardelli, Bisazza, Philips, Sikkens, Swatch, Venini). In 1992 the artist began to develop her own pictorial and decorative research, focusing in particular on the portrait and the natural world. Her pictorial universe is inhabited by many different artistic influences, all blended with a refined style and meticulous technique. Mendini has exhibited at several prestigious venues: the Grand Palais in Paris; the International Exposition in Taejon, Korea; the Triennale in Milan and in several galleries. In 2009, she participated in the Prague Biennale. Mendini has also worked in ceramics in Vietri and designed a handbag collection for Yoox. In addition to painting, she also designs jewellery. A selection of Mendini’s paintings can be found in the permanent collection at the Byblos Art Hotel in Verona. Additionally her mosaics can be seen in some of the underground railway stations in Naples. Foto - Photo Marina Giannobi

152


Da piccolo mi stupivo sempre quando vedevo un fiore nuovo e quindi “strano”. Avevo un’idea di fiore molto semplice, forse perché mia madre aveva affollato il terrazzo di decine di varietà di rose, collocate in grandi vasi di marmo. L’accoppiamento del fiore e il marmo mi risulta quindi familiare. Mi fa inoltre pensare ad Auroville: la città sperimentale, fondata nel 1969, per “realizzare l’unità umana” nella visione del saggio Sri Aurobindo. La sua compagna, Mirra Alfassa, che era stata da giovane amica di Rodin e Manet, disegnò la planimetria a forma di fiore con quattro petali separati. Costruzioni in mattoni, legno e marmo. Un fiore che diventa una città! Oggi ci vivono 2.500 persone. Il Fiore d’arancio di Fulvia Mendini è un gambo con tanti pistilli e foglie. Potrebbe essere anch’esso la planimetria di una nuova e migliore città. Questo fiore, dopo averlo provato in vari lavori, di diverse dimensioni (un quadro di una coppia, un anello in micromosaico, delle piastrelle fatte a Vietri, un affresco fatto alla villa Amistà, il Byblos Art Hotel), Fulvia Mendini lo ha ora incastonato in un tondo di marmo bianco di circa due metri di diametro: un fiore in onice di vari colori. È un’idea di fiore dove trionfano i movimenti delle linee che, con le loro curve, si impadroniscono del marmo come vene colorate: anche loro realizzano una sorta di “unità umana” attraverso un fiore frutto della fantasia. As a child, seeing a flower that was new and therefore somehow “unusual” always amazed me. My notion of flowers was very simple, perhaps because my mother used to fill the terrace with dozens of varieties of roses in big marble vases - so the combination of flowers and marble is something familiar to me. It also makes me think of Auroville: the experimental township founded in 1969 to “realize human unity” according to the vision of the sage Sri Aurobindo. His collaborator, Mirra Alfassa, who had been a friend of Rodin and Manet in her youth, designed the layout in the form of a flower with four separate petals. The buildings were constructed using brick, wood and marble. A flower turned into a city! Today there are 2,500 people living there. Fulvia Mendini’s Orange blossom consists of a stem with multiple pistils and leaves. Her work could equally be the plan for a new and improved city. Having experimented with incorporating the flowers in various other works of different sizes (a painting of a couple, a micro-mosaic ring, tiles from Vietri near Salerno, a fresco painted at the Byblos Art Hotel Villa Amistà), here Fulvia Mendini has embedded it in a white marble circle about two metres in diameter: a flower in onyx of various colours. In this conception of the flower the movements of the lines prevail, curving and spreading across the marble like coloured veins. These too achieve a sort of “human unity” by creating a flower from fantasy.

Francesco M. Cataluccio (Aprile - April 2019)

153



MARZIA MIGLIORA


MARZIA MIGLIORA L’amministrazione della casa 2019 Mensola- shelf 21 x 45 cm; doppia lama - double blade 5 x 37 cm Ed. 1/2 Acciaio e marmo / Steel and marble Opera realizzata appositamente per doutdo - Work specially created for doutdo Sedi espositive - Exhibitions doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei Il coltello, realizzato artigianalmente con doppia lama affilata in acciaio temprato e incisioni, è posto su una mensola di marmo che ricorda un gocciolatoio. La doppia lama non consente di impugnare il coltello senza tagliarsi. Sulle facciate sono incise le parole “oikos” e “nomos” derivanti dall’etimologia della parola economia. Esse significano rispettivamente oikos (casa, intesa come famiglia, ma anche beni e comunità) e nomos (regola): letteralmente amministrazione della casa, anche nel senso ampio di comunità, società, stato. The knife, hand-crafted and with a double blade made of tempered stainless-steel and featuring engravings, is placed on a marble shelf which resembles a drainboard. The knife’s double blade makes it impossible to wield without being cut. The surfaces of the blade are engraved with the words “oikos” and “nomos”, from which the word “economy” derives. Oikos means “home”, typically in the sense of family, but also property and community, while nomos means “norms” - in the literal sense of management of the home, and in the broader sense of community, society, state. Foto - Photo Gabriele Corni Donatore - Donor Marzia Migliora, Galleria Lia Rumma Milano/Napoli Produttore - Manufacturer Metal Carp, Ricci Marmi

156


157


Il lavoro di Marzia Migliora si articola attraverso un’ampia gamma di linguaggi che includono la fotografia, il video, il suono, la performance, l’installazione e il disegno. Le sue opere traggono origine da una profonda attenzione per l’individuo e per il suo quotidiano; le tematiche ricorrenti nella sua ricerca sono la memoria come strumento di articolazione del presente o l’analisi dell’occupazione lavorativa come affermazione di partecipazione alla sfera sociale. Ne deriva un lavoro composito capace di alimentare un’esperienza condivisa, di forte partecipazione emozionale e intellettuale per il pubblico. Tra le più recenti mostre personali: nel 2018 a Palazzo Branciforte, Palermo; nel 2017 a Ca’ Rezzonico, Museo del Settecento veneziano, Venezia; nel 2016, presso la Galleria Lia Rumma, Milano; nel 2001 al Centro per l’Arte Contemporanea, Firenze. Numerose le mostre collettive, le performance e i progetti speciali in Italia e all’estero. In her artistic endeavours, Marzia Migliora uses a wide range of media including photography, video, sound, performance, installation and drawing. Her works have their origin in a deep concern for individuals and for their daily lives; the themes that recur in her research are memory as a tool for articulating the present and the analysis of work as affirmation of participation in the social sphere. The result is a composite work able to foster a shared experience and a strong emotional and intellectual involvement with the audience. Her latest solo exhibitions include: Palazzo Branciforte, Palermo in 2018; Ca’ Rezzonico, Museo del Settecento veneziano, Venice in 2017; Galleria Lia Rumma, Milan in 2016; the Centro per l’Arte Contemporanea, Florence in 2001. She has participated in numerous collective exhibitions, performances and special projects in Italy and abroad. www.marziamigliora.com Foto - Photo Autoritratto - Self-portrait

158


Dalle condizioni economiche dipende l’accesso al cibo, bisogno primario per la sussistenza dell’essere umano. Il concetto dell’opera di Marzia Migliora ruota attorno al rapporto tra l’autorità dello Stato e il popolo che lo abita, nel binomio dare-avere. Come lei stessa afferma: “l’economia nasce da una metafora utopistica assimilabile all’arte della massaia che deve gestire al meglio le risorse della propria casa affinché tutti abbiano uno stile di vita conforme ai propri bisogni, senza far prevalere i propri fini su quelli della collettività”. Per questo l’opera è un oggetto impossibile: un coltello con una doppia lama che ne impedisce la presa e ne annulla l’utilizzo senza inevitabilmente ferirsi. Il coltello porta incise le parole greche oikos (casa, intesa anche come famiglia e comunità) e nomos (norma o legge) che insieme compongono l’etimologia della parola economia: letteralmente “amministrazione della casa”, qui contestualizzata nel bacino di marmo, base per la produzione e contenitore. Access to food, a basic requisite for human survival, is dependent on economic conditions. The concept of Marzia Migliora’s work centres on the relationship between the authority of the state and the people who inhabit it, within the dynamics of giveand-take. As she herself confirms: “The economy is based on a utopian metaphor comparable to the art of the housewife. The housewife must manage the resources of her household as best she can to ensure that everyone can lead a lifestyle which meets their own needs, without forsaking the needs of the collective for one’s own.” As such, the piece represents an impossible object: a knife with a double blade, which prevents it from being held and makes it impossible to use without causing inevitable injury. On the knife are engravings of the Greek words “oikos” (home, intended as family and community) and “nomos” (convention or law), which combine to form the etymology of the word economy: its literal meaning being management of the home, represented here in the context of a marble basin, at the same time the basis of production and a container.

Lorenzo Balbi

(Agosto - August 2019)

159



NINO MIGLIORI


NINO MIGLIORI Il Muro 2018 15 fotografie 50 x 50 cm/cad. Opera unica - Unique work Foto stampate su carta museale 100% cotone, montate su D-bond - Museum 100% cotton paper prints on D-bond Opera realizzata appositamente per doutdo - Work specially created for doutdo Sedi espositive - Exhibitions doutdo 2018-20, in occasione di Arte Fiera 2019, Aula Magna, Accademia delle Belle Arti, Bologna doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei Il lavoro, inscindibile, è stato creato scegliendo le 15 fotografie all’interno di “Muri”, serie realizzata tra gli anni Cinquanta e Settanta. This work, indivisible, was created by selecting 15 photographs from the volume “Walls” (Muri), a series of photographs produced between the 1950s and 1970s. Donatore - Donor Nino Migliori

162


163


Dal 1948 la fotografia di Nino Migliori svolge uno dei percorsi più interessanti della cultura d’immagine europea. Gli inizi appaiono divisi tra fotografia neorealista e sperimentazione sui materiali. Dalla fine degli anni Sessanta il suo lavoro assume valenze concettuali ed è frutto di un progetto preciso sul potere dell’immagine. È l’autore che meglio rappresenta la straordinaria avventura della fotografia che, da strumento documentario, assume valori e contenuti legati all’arte. Oggi si considera Migliori come un vero “architetto della visione”. Since 1948 Nino Migliori’s photography has undergone one of the most interesting developments in European image culture. His early work is divided between neorealist photography and experimentation with materials. From the late 1960s Migliori’s work took on conceptual aspects and is the result of a specific project on the power of image. He is the artist who best represents the exceptional journey photography has taken, from being a means of documenting life to later assuming values and content relating to art. Today we consider Migliori a true “architect of vision”. www.fondazioneninomigliori.org Foto - Photo Gianni Schicchi

164


Le “architetture della visione” inaugurate da Nino Migliori fin dai primi anni Cinquanta hanno generato un lessico della fotografia di straordinaria complessità. Un lessico ricco di richiami, citazioni e ambivalenze, dove figurazione e rappresentazione, forma e astrazione, disegno e segno, generano una sorta di “canone inverso”. L’evidenza iconografica dialoga, si maschera, si dissolve, in un apparente gioco di dissimulazioni. I “Muri” sono una silloge di questo processo: testimonianze di tempi difformi, impronte di anime che nel tempo e con il tempo si sono confrontate. Memorie e grafie che si organizzano in intrecci ambigui richiamando l’eco lontana sul soggetto che ne è autore, sul suo sguardo, i suoi desideri. Anche la fotografia è un racconto, un testo, una narrazione i cui ritmi cambiano, a seconda del supporto, della dimensione, del tempo che l’autore vuole trasmettere. Nell’opera Il muro Migliori lancia la sfida attraverso un montaggio che ricostruisce una realtà dopo averla frammentata: il primo graffito “Controllati il volto/potrebbe non esserci più” contiene un messaggio quasi ammonitorio. Sono muri che diventano parte della nostra storia, frutto di illusioni e di allusioni, di parole d’ordine e di disincanto, rabbia e abbandono. Una tarsia contemporanea, un accrochage di piccoli gesti illegali che si compongono in un insieme sottilmente inquietante. The “Architectures of Vision” captured by Nino Migliori since the early 1950s, have generated an extraordinarily complex vocabulary for photography, one rich in references, citations and ambiguities, where representation and depiction, form and abstraction, drawing and symbol combine to form a kind of “inverted canon.” In an apparent game of dissimulation, the iconographic evidence communicates, obscures and fades. “Walls” is an anthology of this process: accounts of other moments in history, traces left behind by people who have confronted each other over time and confronted time itself. Memories and handwriting woven into ambiguous formations recall the distant echo of the authors that produced them, along with their gazes and desires. Photography is also a story, a text, a narrative whose pace changes according to the medium, the scope, or the time the author wishes to convey. By creating a montage, in Il Muro (The Wall), Migliori is provoking, reconstructing reality after breaking it apart. The first piece of graffiti “Controllati il volto/potrebbe non esserci più” (“Check your face/it might not be there any longer”) carries an almost cautionary message. Walls become a part of our history; the product of illusion and allusion, words of order and words of disenchantment, rage and surrender. A contemporary inlay, a compendium of minor unlawful acts which combine to form a subtly disturbing ensemble.

Beatrice Buscaroli (Aprile - April 2019)

165



MAURIZIO NANNUCCI


MAURIZIO NANNUCCI Think 2016 8 x 35 x 3 cm Opera multipla edita di ventuno esemplari firmati e numerati, sette per ogni colore rosso-blu-giallo Multiple work edited of twenty one copies signed and numbered, seven for each color red-blue-yellow Neon in vetro di Murano di colore giallo - Neon made of yellow Murano glass Sedi espositive - Exhibitions “Think/Neon Multiples”, 2016, Colli Independent Art Gallery, Roma doutdo 2018-20, in occasione di Arte Fiera 2019, Galleria Enrico Astuni, Bologna doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei “Maurizio Nannucci / This sense of openness / Correspondence”, 2019, Flat, Torino doutdo 2018-20, Mostra “Courtesy Emilia-Romagna”, a cura di Eva Brioschi, in occasione di Arte Fiera 2020, Bologna Il lavoro di Nannucci riflette sul linguaggio ed il modo in cui esso si relaziona con lo spazio in cui è inserito. La riflessione a cui spinge il contenuto del testo si accompagna alla dimensione emotiva garantita da luce e colore del neon. “Occupare lo spazio con la parola, che oltre a esprimere un concetto è anche rappresentazione di una forma fisica, fa sì che il testo, abbandonata la dimensione della pagina, diventi ambiente, invada l’architettura, per poi espandersi nel paesaggio urbano, conquistandolo”. (M.N.) Opera custodita in una scatola contenente la firma ed un’impronta digitale dell’artista Nannucci’s work reflects on language and the way language interacts with the environment in which it is embedded. The reflection encouraged by the content of the text is accompanied by the emotional dimension provided by the neon colour and lighting. “By occupying space with a word - which not only expresses a concept but also represents a physical form – the text abandons the limits of the page to become a part of the environment; invading architecture before spreading into the urban landscape, conquering it.” (M.N.) Work preserved in a box which is signed and includes the artist’s fingerprint. Foto - Photo Nicola Martelli Donatore - Donor Galleria Enrico Astuni

168


169


Maurizio Nannucci (Firenze 1939) attualmente vive e lavora in Italia e in Germania Sud Baden. Nella prima metà degli anni Sessanta definisce gli elementi fondamentali della sua ricerca visiva esplorando le relazioni tra arte, linguaggio e immagine. Nel 1967 presenta i primi testi realizzati con neon, attraverso i quali pone in evidenza la temporalità della scrittura e non la materialità degli oggetti. Interessato al rapporto operaarchitettura-paesaggio urbano, dagli anni Ottanta collabora con vari architetti tra cui Botta, Fuksas e Piano. Tra le diverse installazioni permanenti vi sono quella all’Auditorium del Parco della Musica di Roma, all’Aeroporto di Fiumicino a Roma, alla Bibliothek des Deutschen Bundestages di Berlino e recentemente al palazzo della Pilotta di Parma. Ha partecipato più volte alla Biennale di Venezia, alla Documenta di Kassel e alle Biennali di San Paolo, Sydney, Istanbul e Valencia. Le sue opere sono presenti nelle collezioni di numerosi musei in tutto il mondo. Nel 2015 si è tenuta una sua grande mostra antologica al Museo Maxxi di Roma. Maurizio Nannucci (Florence 1939) currently lives and works in Italy and Germany South Baden. During the first half of the 1960s he established the fundamental elements of his visual research, exploring the relationship between art, language and image. In 1967 Nannucci presented his first texts created using neon lighting, emphasizing the transience of writing and the immateriality of objects. Since the 1980s, his interest in the relationship between art, architecture and urban landscape brought him into collaboration with various architects including Botta, Fuksas and Piano. Some of his permanent installations include those at the Auditorium del Parco della Musica and Fiumicino Airport in Rome, at the Bibliothek des Deutschen Bundestages in Berlin and recently at Palazzo della Pilotta in Parma. He has participated many times at the Venice Biennale, the Documenta of Kassel, and the San Paolo, Sydney, Istanbul and Valencia Biennale. His work is featured in museum collections all over the world. In 2105 he held a large anthology at the Maxxi Museum in Rome. www.maurizionannucci.it

170


Come scrive Tommaso Trini “l’arte visiva e scritta di Maurizio Nannucci nomina le cose e i nomi che hanno perso il loro significato e stabilisce di restituirne loro uno nuovo, arbitrario. In generale tutta l’arte moderna è progredita in un universo sempre meno riconoscibile nei suoi significati, sempre meno disposto ad essere interpretato mediante codici che siano condivisi da tutti. L’ambito concettuale in cui si colloca Nannucci pur coi correttivi della sua precoce esperienza di Poesia Concreta, enuncia e analizza tale situazione invece di affermare preferenze univoche: è una arbitraria sistemazione dell’arbitrio semantico”. Think come tutti i lavori di Nannucci è un’opera concettuale non in accezione analitica, e sintetizza – oggettualizzandola l’epifania del processo di significare arbitrariamente. As Tommaso Trini writes: “Maurizio Nannucci’s visual and written art gives names to objects and terms which have lost their significance and sets out to give them new, arbitrary meanings. Broadly speaking, all modern art has evolved within a universe in which meaning is increasingly difficult to discern and to interpret using signifiers which all people share. The conceptual field in which Nannucci works, with the added dimension of his earlier involvement in Concrete Poetry – analyzes and gives expression to a context rather than making any definitive judgement: thus signifiers freed from their denotations are in turn freely systematized”. Like all of Nannucci’s work, Think is conceptual in the nonanalytical sense and by its becoming an object, embodies the revelation we experience when we freely assign meaning.

Galleria Enrico Astuni (Luglio - July 2019)

171



MOATAZ NASR


MOATAZ NASR Rose – The Slave Market 2016 185 x 146,5 cm Ed. 2/3 + a.p. Stampa C-print su carta cotone, montata su D-bond - Cotton Paper C-print on D-bond Sedi espositive - Exhibitions doutdo 2018-20, in occasione di Arte Fiera 2019, Aula Magna, Accademia delle Belle Arti, Bologna doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei “Paradise Lost”, a cura di Simon Njami, 2019 - 2020, Galleria Continua, San Gimignano “Orientalism”, IVAM, 2020, Institut Valencià d’Art Modern, Valencia “Attraverso la riproduzione del dipinto orientalista Una esclava en venta di José Jiménez Aranda (1837-1903), ciò che mi sta a cuore rappresentare sono le istanze politiche e sociali di oggi. Sono sempre stato affascinato dai dipinti orientalisti e ultimamente ho pensato di riproporli in modo contemporaneo per mostrare quanto la storia si ripeta e come le dinamiche di centinaia di anni fa siano applicabili anche ai giorni nostri”. MN “What I want to do is portray current social and political issues, through the reproduction of an old orientalist painting: Una esclava en venta di José Jiménez Aranda (1837-1903). I was always fascinated by orientalist paintings, and lately I have been thinking about reproducing them in a contemporary way to show how much history repeats itself and that what was happening hundreds of years ago is still happening today”. MN Foto - Photo Courtesy of the Artist and Galleria Continua Donatore - Donor Moataz Nasr, Galleria Continua

174


175


L’artista egiziano Moataz Nasr esplora tradizioni e nuovi globalismi, mettendo in discussione lo sviluppo geopolitico ed economico in Africa. Per Nasr la pratica artistica è strumento e linguaggio che abbraccia l’arte, la sociologia, il sufismo e la storia, con l’obiettivo di incoraggiare il dialogo oltre i confini geografici. Una selezione delle mostre collettive più recenti include The See Is My Land, a cura di Francesco Bonomi e Emanuela Mazzonis (MAXXI, Roma, 2013); Arab Contemporary Architecture, Culture and Identity (Louisiana Museum of Modern Art, Humlebæk, 2014); Metropolis. Afriques Capitales, a cura di Simon Njami (La Villette, Parigi, 2017); Senses of Time: Video and Film-based Arts of Africa, (LACMA and The Smithsonian National Museum of African Arts, Washington, 2017). Tra le personali più recenti, The Liminal Space, a cura di Achille Bonito Oliva (Castel del Monte, Andria, 2019) e Paradise Lost, a cura di Simon Njami (Galleria Continua - San Gimignano, 2019). Ha partecipato alla 57a Biennale di Venezia, rappresentando l’Egitto, con un’installazione immersiva del film The Mountain. Egyptian artist Moataz Nasr explores traditions and new globalisms, questioning geopolitical and social development in Africa. The artistic practice for Nasr is a tool and a language that embraces art, sociology, Sufism and history, in order to encourage dialogue across geographical boundaries. A selection of the most recent group shows includes The See Is My Land, curated by Francesco Bonomi and Emanuela Mazzonis (MAXXI, Rome, 2013); Arab Contemporary Architecture, Culture and Identity (Louisiana Museum of Modern Art, Humlebæk, 2014); Metropolis. Afriques Capitales, curated by Simon Njami (La Villette, Paris, 2017); Senses of Time: Video and Film-based Arts of Africa, (LACMA and The Smithsonian National Museum of African Arts, Washington, 2017). Among the most recent solo show, in 2019 The Liminal Space, curated by Achille Bonito Oliva (Castel del Monte, Andria, 2019) and Paradise Lost, curated by Simon Njami (Galleria Continua, San Gimignano, 2019). He participated to 57th Venice Biennale representing Egypt, with an immersive installation showing the film The Mountain. Foto - Photo Courtesy of the Artist and Galleria Continua

176


Moataz Nasr recupera un’immagine da un dipinto di José Jiménez Aranda, Una esclava en venta (1897, Museo Nacional del Prado, Madrid). “Rose, 18 anni, in vendita per 800 monete” recita una scritta in greco sul cartello che pende dal collo della giovane umiliata ai piedi dei suoi potenziali compratori. Nasr ricostruisce esattamente la scena aggiornando pantaloni e calzature degli uomini che attorniano la ragazza. Anfibi e tute militari proiettano in un drammatico presente la scena. Quello che è un quadro di stampo orientalista, intriso di romanticismo e tutto fantasticato si sovrappone alle immagini aggiornate al presente delle migliaia di donne rapite dall’ISIS (per la massima parte yazide, in Iraq e Siria), stuprate, trattate come bottino di guerra, cedute come merce di scambio, vendute secondo contratti legittimati dai tribunali dello Stato islamico. Come in altri lavori che insistono su iconografie che migrano geograficamente e di tempo in tempo (per tutti The Echo del 2003 e The Return of a Griffin del 2013) Moataz Nasr rigenera l’immagine, fa percepire – con un senso di vertigine – come la storia segua un ritmo circolare da cui i destini degli uomini e delle donne sembrano non deviare. Tutto si gioca sulle responsabilità che i singoli si assumono portando nella collettività la coerenza e il coraggio delle azioni personali. Moataz Nasr adapts a scene from a painting by José Jiménez Aranda, A Slave for Sale (1897, Museo Nacional del Prado, Madrid). A sign around the neck of the young girl, who sits in shame at the feet of her potential purchasers, bears the inscription in Greek, “Rose, 18 years old, on sale for 800 coins.”Nasr reconstructs the scene with precision, modernizing the trousers and shoes of the men who surround the girl. Military boots and overalls give the scene a dramatic present-day feeling. What had been an orientalist painting, imbued with romanticism and heavily fantasized, is overlaid with images of today - the thousands of women (mostly Yazidis, from Iraq and Syria) who have been abducted by ISIS, raped, treated like spoils of war, surrendered like bargaining chips, and sold according to trading agreements legitimized by the Islamic State judicial authorities. Moataz Nasr appropriates the image - as he has in other works on iconographies which migrate geographically and in time (The Echo in 2003 and The Return of a Griffin in 2013) – giving the viewer the dizzying sense that history follows a circular pattern from which the destinies of men and women never seem to deviate. Everything comes down to the responsibility that individuals take on by contributing to society with the courage and consistency of their own individual actions.

Ilaria Mariotti (Maggio - May 2019)

177



KATJA NOPPES


KATJA NOPPES Qui dunque non vi è più analogia, se non per caso? 2019 180 x 220 cm Opera unica - Unique work Stampa digitale su tessuto con interventi cuciti e dipinti - Digital print on fabric, sewn and painted details Opera realizzata appositamente per doutdo - Work specially created for doutdo Sedi espositive - Exhibitions doutdo 2018-20, in occasione di Arte Fiera 2019, Cappella S.Maria dei Bulgari, Archiginnasio, Bologna doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei Qui dunque non vi è più analogia, se non per caso?* è parte di uno studio che comprende mappature antropometriche, come quella di Dürer, di Le Brun, pittore di corte francese del ‘600, antropometrie tibetane e dell’industria automobilistica americana, ma anche diagrammi di agopuntura, mappature neurologiche e liste di idoli presenti nelle collezioni del Metropolitan Museum of Art di New York. L’insieme di queste analogie, disegnate e ricalcate a china, esprimono una sorta di andamento mentale, che osserva l’uomo nel suo agire e nel suo comportamento attraverso la storia. Nulla di nuovo, pertanto molto rumore nella mente, appunto The brain is a very noisy environment, titolo complessivo di questa serie di lavori. Qui dunque non vi è più analogia, se non per caso?* (There are no more analogies therefore, if not by chance) is part of a study which includes anatomical charts, such as those by Albrecht Dürer, Charles Le Brun, the 17th century French Court painter, anthropometric studies from Tibet and from the American Automotive industry, as well as acupunture points charts, neural maps and lists of idols from the collections of the Metropolitan Museum of Art in New York. The combination of these analogies, drawn and traced with ink, expresses a kind of mental journey, observing the actions and behaviour of humans throughout history. Nothing new, hence the title of this series of work The brain is a very noisy environment. * Charles Baudelaire

Foto - Photo Barbara Jodice Donatore - Donor Katja Noppes Produttore - Manufacturer In-Novo/Quadricroma

180


181


Katja Noppes (Starnberg, Germania, 1967). Vive e lavora a Milano. Di formazione scenografa ha lavorato in teatro e all’Opera in Francia e in Italia, ha collaborato con Studio Azzurro, è stata docente all’Accademia di Belle Arti Santa Giulia a Brescia e ha esposto in Musei e Istituzioni tra cui I Biennale, Mosca; Siggraph Art Gallery, Boston, Museo del Novecento, Milano, Casa Testori, Careof e Viafarini, Milano; ha tenuto workshop e lectures, da Andrzej Theodor Wirth, Berlino, al Fashion Institute of Tecnology, NY, Incontro d’artisti, Fondazione Bevilacqua, Mamut Price a Istanbul. È presente in collezioni nazionali e internazionali. Katja Noppes (born in Starnberg, Germany, 1967) lives and works in Milan. She studied set design at the Academy of Fine Arts, Brera, and she worked in theatre and opera in France and Italy, Noppes collaborated with Studio Azzurro, was professor at the Academy of Fine Arts Santa Giulia in Brescia and has exhibited in Museums and Institutions including I Biennale, Moscow, Siggraph Art Gallery, Boston, Museo del Novecento, Milan, Casa Testori, Careof and Viafarini, Milan; she hold workshops and lectures, by Andrzej Theodor Wirth, Berlin, at the Fashion Institute of Tecnology, NY, Incontro d’Artisti, Fondazione Bevilacqua, Mamut Price in Istanbul. Her work can be found in in national and international collections. www.katjanoppes.com Foto - Photo Autoritratto - Self portrait

182


Imprigionate nell’osso buio del cranio, estendono le loro ramificazioni cieche, affamate di chimica ed elettricità. Crescono e si moltiplicano intricandosi, mentre acquistano informazioni sul quel mondo che non possono vedere, ma che possono fare. Stringhe di proteine che sognano centauri, supernove e foreste di liane pluviali. Aminoacidi che si esaltano nelle altezze del ragionamento matematico o dell’immaginazione. E sono solo zuccheri che bruciano a illuminare, nel tempo breve della nostra esistenza, l’allucinazione di un pensiero, di un’anima o forse un dio. Sia allora il filosofo ad affondare nelle tesi e antitesi della speculazione oppure il patologo a spingere il suo bisturi nei ritorcimenti della grigia madre, insieme essi affrontano il mistero della nostra incarnazione, che precede quella di ogni cristo, e ci incanta e ci danna nella nostra doppia condizione di spirito e materia. E se davvero, come suggerisce Katja Noppes, il disegno e l’opera concreta sono l’alternativa occidentale alla meditazione, allora la punta del suo pennello diventa insieme lama di pensiero e lama di coltello: impegnati a scavare un intarsio che non trova pace nel foglio o nel piano, ma affetta la percezione, la sminuzza e polverizza, fino a sollevare un alone luminoso che è mappa del Nous e istantanea folgorante del nostro Cerebrum. Trapped within the darkness of the skull, they branch out blindly, seeking chemical and electrical signals. As they absorb information about a world they can create but cannot see, they grow, proliferate, and become entangled. These protein sequences produce centaurs, supernovae and rainforest vines. Amino acids laud the excellence of mathematical reasoning or the imagination. They are simply sugars broken down over the brief course of our lives, to fuel the illusion of a thought, spirit or perhaps a god. Whether it is the philosopher drowning in speculation about theses and antitheses, or the pathologist plunging his scalpel into the coils of grey matter, together they confront the mystery of our incarnation. An incarnation which precedes every poor soul, enchanting and tormenting us in our dual condition as spirit and matter. If design and realization are really the western alternative to reflection, as Katja Noppes says, then the tip of her brush is like both the pinnacle of a thought and the blade of a knife. Together they excavate, unhappy with a sheet of paper or a level plane, carving our perception, crushing and fragmenting it, until a luminous halo appears - a map of the Nous and a dazzling snapshot of our Cerebrum.

Emanuele Crotti (Agosto - August 2019)

183



GIOVANNI OZZOLA


GIOVANNI OZZOLA Scars – Towars Ourselves 2019 150 x 200 cm Opera unica - Unique work Incisione su pietra leccese - Engraving on gray Lecce stone Opera realizzata appositamente per doutdo - Work specially created for doutdo Sedi espositive - Exhibitions doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei Giovanni Ozzola lavora principalmente con fotografie e video, ma nelle sue sculture e installazioni inserisce anche diversi materiali e oggetti trovati. Accanto alla ricerca sulle caratteristiche fisiche della luce, un altro tema centrale del suo lavoro è lo studio di come l’uomo si colloca nello spazio e nel tempo. Per lui è fondamentale la concezione filosofica del viaggio come strada verso la conoscenza e la percezione di se stessi. Da qui prende vita una mappa del mondo incisa finemente con diverse linee che segnano le rotte di viaggio dei più famosi navigatori ed esploratori: da Giovanni Caboto a Zheng He, da Cristoforo Colombo ad Amerigo Vespucci, da Vasco de Gama a Ferdinando Magellano, fino a Charles Darwin. Giovanni Ozzola works mainly with photography and video, but also incorporates other kinds of materials and objects he has found into his sculptures and installations. As well as his research into the physical properties of light, another principal focus of his work is the study of how people associate with time and space. For Ozzola, the philosophical notion of the journey as a route towards greater knowledge and self-awareness is fundamental. From this idea a map of the world emerges, finely engraved with lines tracing the different routes taken by the most renowned navigators and explorers: from John Cabot to Zheng He, Christopher Columbus to Amerigo Vespucci, Vasco de Gama to Ferdinando Magellano, right up to Charles Darwin. Foto - Photo Barbara Jodice Donatore - Donor Giovanni Ozzola, Galleria Continua Produttore - Manufacturer Pimar Per la cornice: Metalcarp

186


187


Nato a Firenze nel 1982, Giovanni Ozzola vive e lavora nelle Isole Canarie. Spaziando dalla scultura alla fotografia ai video, l’opera di Ozzola indaga il posto dell’individuo all’interno dell’infinità dell’universo. I suoi lavori, conservati in collezioni pubbliche e private, sono state esposte in mostre nazionali e internazionali. Born in Florence, Italy in 1982, Giovanni Ozzola currently lives and works in the Canary Islands. Ranging from sculpture and photography to video, Ozzola’s work examines the individual’s place within the magnitude of the universe. Ozzola has exhibited both nationally and internationally with works held in numerous private and public collections. www.giovanniozzola.com Foto - Photo Niko Coniglio

188


Ozzola traccia sulla lastra di pietra il percorso della scoperta primordiale del mondo e lo scalpello delinea sulla sua superficie lo sviluppo della geografia. Tra l’altro, lo sviluppo della conoscenza geografica è strettamente legato al viaggio di scoperta dell’ignoto. Le scoperte geografiche hanno portato alla luce le forme dei continenti sulla pietra scura, che costituiscono immagini e forme. Per centinaia di anni, i grandi esploratori hanno gradualmente delineato il nuovo mondo attraverso avventure e viaggi. Il viaggio verso l’ignoto è spesso pericoloso. In un certo senso, tale viaggio implica anche il processo di creazione di Ozzola stesso: cercare con perseveranza di attraversare il confine ed esplorare cose nuove che non sono ancora state scoperte, ma che non sono inesistenti. L’opera svela viaggi di scoperta intrapresi da molti grandi esploratori come Cristoforo Colombo, Vasco da Gama, Ferdinando Magellano e Zheng He. Questi grandi uomini, provenienti da Paesi e ambienti culturali diversi, non solo hanno compiuto grandi scoperte geografiche, ma anche stupefacenti imprese a livello di lingua: trovare altre nazioni e culture. In altre parole, un navigatore diventa un architetto che costruisce una cultura diversa, e uno scrittore che scrive la storia in una lingua ed effettua dialoghi con altre culture e nazioni. In questo modo, l’opera rappresenta la storia scritta dagli esseri umani attraverso i loro viaggi di scoperta. Il mondo è strutturato attraverso l’esplorazione del tempo e dello spazio. Questo è il modo in cui quei grandi esploratori rappresentavano il mondo, integrando singoli simboli in una struttura e interpretando le forme dei continenti. L’orizzonte stesso diventa un simbolo e disegna il paesaggio, trasformandosi in simbolo verticale sulla mappa. Il tempo e lo spazio si concentrano in una singola opera. Se sono decine di scoperte marittime che compongono i territori e i paesaggi del mondo, è l’artista che mostra queste scoperte in modo sovrapposto. Proprio come lo spazio presentato nell’opera, sono stati compressi secoli di viaggi di scoperta. Ozzola traces the path of the early world discovery on the stone slab, and the chisel on its surface outlines the development of geography. In fact, the development of geographical knowledge is closely related to the journey in pursuit of the unknown. Geographical discoveries have uncovered the shapes of continents in the dark stone, constituting images and forms. For hundreds of years, the great explorers have gradually sketched out the new world through adventures and journeys. The journey into the unknown is often dangerous. In a sense, such a journey is also applicable to the process of Ozzola’s creation: persistently trying to cross the border and explore new things that have not yet been discovered, but are not non-existent. The work unveils journeys of discovery undertaken by many great explorers such as Christopher Columbus, Vasco da Gama, Ferdinand Magellan and Zheng He. These great men stemming from different countries and cultural backgrounds not only made great geographical discoveries, but also achieved astonishing feats in terms of language: finding other nations and cultures. In other words, a navigator becomes an architect who builds a different culture, and a writer who writes history in a language and interacts with other cultures and nations. Thus, this work symbolizes the history written by humans through their journeys of discovery. The world is structured through the exploration of time and space. This is how those great explorers used to depict the world, incorporating individual symbols into a structure and interpreting the shapes of continents. The horizon itself becomes a symbol and traces the landscape, transforming into a vertical symbol on the map. Time and space are concentrated in a single piece of work. If it is dozens of maritime discoveries that make up the world’s territories and landscapes, it is the artist who presents these discoveries by overlapping them. Just as space has been compressed in the work, so have centuries of journeys of discovery.

Lorenzo Benedetti (Agosto 2019)

189



SIMONE PELLEGRINI


SIMONE PELLEGRINI Devasti 2012 146 x 335 cm Opera unica - Unique work Tecnica mista su carta da spolvero - Mixed media on sketch paper Sedi espositive - Exhibitions FAR, Rimini, 2012 doutdo 2018-20, in occasione di Arte Fiera 2019, Cappella S.Maria dei Bulgari, Archiginnasio, Bologna doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei “Devasti” appartiene ad una teoria di immagini che caratterizzano un andamento visionario in cui si consuma il conosciuto in una incessante rivisitazione. Fioriscono come scintille, per eccesso di frizione, astrazioni o insistenze nel sommovimento di campo. “Devasti” subscribes to the idea that imagery portrays a visionary process whereby what is familiar is continually reinterpreted. An excess of friction, abstraction and urgency causes the symbols to spring from the commotion of the scene. Foto - Photo Barbara Jodice Donatore - Donor Simone Pellegrini

192


193


Simone Pellegrini, nato ad Ancona nel 1972, vive e lavora a Bologna dove insegna Pittura all’Accademia di Belle Arti. La carriera d’artista ha inizio nel 1996 durante gli anni di formazione a Urbino. Dal 2003 con la personale Rovi da far calce inaugura una lunga stagione di mostre e fiere internazionali. Le sue gallerie di riferimento sono Gugging di Vienna, CavinMorris di New York, James Freeman a Londra, Hachmeister di Munster e Montoro 12, Roma-Brussels. Acquisizioni più recenti: 2013 Bologna Fiere, collezione permanente, Bologna; 2012 Collezione Unicredit; 2012 Collezione Volker Feierabend. Ha realizzato per la casa editrice Fata Morgana di Montpelier il libro d’artista Dans la chambre du silence. Simone Pellegrini, born in Ancona in 1972, lives and works in Bologna where he teaches painting at the Academy of Fine Arts. His career as an artist began in 1996 during his years of training in Urbino. From 2003, with the solo show Rovi da far calce, he inaugurates a long season of exhibitions and international fairs. His main galleries are: Gugging Gallery, Wien; Cavin Morris Gallery, New York; James Freeman Gallery, London; Hachmeister Gallery, Munster. Recent acquisitions include: 2013 Bologna Fiere, permanent collection, Bologna; 2012 Unicredit collection; 2012 Volker Feierabend Collection. He realized in 2016 a limited edition artist book Dans la chambre du silence printed by the Montpellier historical publishing house Fata Morgana. www.simonepellegrini.com Foto - Photo Annalisa Patuelli

194


La grande opera su carta da spolvero di Simone Pellegrini accoglie frammenti disegnati ed impressionati da colori oleosi e poi parzialmente asciugati in un procedimento simile alla monotipia tipografica in cui affiora un mondo dominato dalla bicromia rosso-nero, tenuto sotto scacco da un tempo incantato. Il lavoro rovesciato si dà come paradosso: il supporto subisce lo strappo dal voluminoso rotolo virginale in una gestualità ritualistica, i negativi nobilitati, si manifestano come opera compiuta, mentre la matrice sacrificata rimane per sempre esclusa a rimarcare l’originario binomio nascitaseparazione. Sull’imponente campitura che ritrae un territorio arrischiato depositario di violazioni formali e sostanziali, viene messo in scena l’umano e le sue evoluzioni e involuzioni. Una semiotica dell’afflizione colonizza il campo. Sommovimenti strutturali si susseguono a partiture ordinate; entropie e catabasi creano contagi. Anamorfosi apparenti disegnano geografie inconsce, ancestrali, archetipiche, sgretolano certezze ed inaugurano la dimensione della perdita. Forme enigmatiche metamorfosano senza sosta in soluzioni biologiche poco rassicuranti dove tutto galleggia e fagocita sottraendosi ad una classificazione certa. In questo grande piano sequenza si crea la vertigine, consci che il razionalismo è insufficiente ed ogni verità è smarrita. Là dove ogni certezza vacilla e l’essere umano disorientato fatica a mantenere il centro, si percepisce la sofferenza dell’esistente. Ma è nel momento più basso che c’è apertura verso il mistero e nello squilibrio si riscopre una nuova insperata forza. This large work on parchment-like paper by Simone Pellegrini is an assortment of fragments which have been drawn and printed using oils and then partially dried in a process similar to monotype printmaking. From this process a world emerges dominated by a two-tone colour scheme of red and black, held spellbound in time. The work, in its inverted state, presents a paradox: in a ritualistic gesture the medium is torn from the large virginal roll, the negatives are venerated and mounted as the finished work, while the matrix from which it stems is sacrificed and remains forever discarded as a symbol of the original process of birth-separation. The impressive scene, which portrays a place of risk and transgression - both formal and substantive - , becomes the stage for humanity in its various evolutions and regressions. The visual field is invaded by a semiotics of despair. Structural upheavals follow one another in orderly scores. Entropy and katabases cause contagion. Apparent anamorphoses trace out unconscious, ancestral, archetypal geographies, dissolve certainties and introduce an aspect of loss. Mysterious shapes metamorphose relentlessly into rather alarming biological solutions in which everything floats and devours, eluding any precise classification. This sweeping fluid sequence creates a feeling of vertigo as the viewer realizes human reason is not enough and that all truth has been lost. In this setting of unsteady convictions where bewildered humans struggle to stay in the centre, you can sense the sufferance of being. Yet it is in these moments of greatest desperation that we become receptive to mystery, and in conditions of chaos that we rediscover a new unexpected force.

Tristana Chinni (Marzo - March 2019)

195



GIANNI PETTENA


GIANNI PETTENA Human wall 2019 6 pannelli 90 x 90 cm/cad. Opera unica - Unique work Installazione site specific di argilla, rete metallica - Site-specific installation made of clay, wire netting Sedi espositive - Exhibitions I Edizione, Galleria Federico Luger, 2012, Milano II Edizione, UMOCA, 2012, Salt Lake City III edizione, “Architetture Naturali/Gianni Pettena”, Kunst Meran/Merano Arte, 2017, Merano IV edizione, doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei V edizione, doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2020, Liceo Steam International, Bologna Un muro che viene definito ‘umano’ non certo solo perché realizzato dall’uomo, ma piuttosto perché il suo intervento si manifesta nella scelta di un materiale naturale e nel segno che egli lascia strisciando con le dita la superficie. Questa, nel processo progressivo di essiccazione, si modifica e fa sì che con il passare del tempo la parete cambi, in un processo di trasformazione lento ma inevitabile che fa prevalere il tessuto dei cretti dell’essiccazione sul prima prevalente tessuto delle dita strisciate a stendere la superficie. 1st Edition, Galleria Federico Luger, Milan, 2012 2nd Edition, UMOCA, Salt Lake City , 2012 3rd Edition, Exhibition Architetture Naturali/Gianni Pettena, Kunst Meran/Merano Arte, Meran, 2017 4th Edition, doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, curator Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei 5th Edition, doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, curator Andrea Viliani, 2020, Liceo Steam International, Bologna A wall that is described as “human,” certainly not just because it is made by man, but rather because the latter’s intervention finds expression in the choice of a natural material and in the sign that he leaves on its surface with his fingers. In the gradual process of drying out this is modified, so that with the passing of time the wall changes, in a slow but inevitable process of transformation that makes the pattern of cracks caused by desiccation prevail over the originally predominant pattern left by the fingers as they worked the surface. Donatore - Donor Gianni Pettena

198


199


Architetto, artista, docente, critico, Gianni Pettena è tra i fondatori del movimento dell’Architettura Radicale. Dagli anni ‘60 conduce, con progetti, installazioni, mostre, scritti teorici, un’attività sperimentale intesa ad eliminare i confini disciplinari. Sia nell’attività di artista che in quella accademica, si dedica spesso a indagare le connessioni tra le proposte delle generazioni più giovani e il retaggio della sperimentazione iniziata negli anni ‘60. Il suo lavoro, soprattutto quello del cosiddetto periodo ‘americano’, assume un particolare valore sia per la sua specificità all’interno della sperimentazione radicale degli anni ’60 e ‘70 che per i suoi influssi sul mondo dell’architettura, del design e dell’arte contemporanea. Sue opere sono in numerose collezioni private e nelle collezioni permanenti di gallerie e istituzioni, tra cui quelle del Centre Pompidou di Parigi, del Frac Centre di Orléans e dell’ archivio storico della Biennale di Venezia. Il suo lavoro è stato presentato in musei e istituzioni come la Biennale di Venezia, il Mori Museum di Tokyo, il PAC di Milano, il Barbican Center di Londra, il Centre Pompidou di Parigi, la Secession di Vienna, la Biennale di Berlino. Architect, artist and critic, professor of History of Contemporary Art and Architecture, Gianni Pettena is a co-founder of the Radical Architecture movement. Since the ‘60s he has been involved, through exhibitions, lectures, articles and books, in the study and practice of an experimental activity that always tried to break down boundaries between disciplines. Both in his artistic and academic activity he often investigated the relationship between the proposals of the younger generations and the heritage of the experimentation that started in the ‘60s. His work, mostly the one of his so-called “American” period, has acquired a special value both for his uniqueness among the radical proposals of the ‘60s and ‘70s and for his influence on the world of architecture, design and contemporary art. His works are in private collections as well as in the permanent collections of such galleries and institutions as the Centre Pompidou in Paris, the Frac Centre in Orléans, the historical archives of the Venice Biennale. It was exhibited, among the many museums and institutions, at the Tokyo Mori Museum, the PAC in Milan, the Venice Biennale, the London Barbican Center, the Centre Pompidou in Paris, the Secession in Wien, the Berlin Biennal. www.giannipettena.it Foto - Photo Courtesy of Gianni Pettena Studio

200


Ogni opera dell’uomo che possa insistere sul pianeta col segreto progetto di durare nel tempo rivela incontestabilmente l’intenzione di sopravvivere alla caduca vita dell’autore. È specialmente nell’opera degli architetti che traspare questa attenzione alla durabilità nel tempo della propria opera… Tutto ciò potrebbe risultare anche patetico: cercare di contrastare la precarietà della sopravvivenza in vita con qualcosa di più duraturo sul pianeta. La natura lavora per ere geologiche, per migliaia e milioni di anni. La spettacolarità delle erosioni, delle montagne, di oceani, il clima che gela le acque e le scioglie, le bianche montagne galleggianti sul mare, le dimensioni di tutto questo ridicolizzano questa attenzione dell’uomo, le cui opere vengono distrutte o fagocitate da fenomeni naturali nel giro di pochissime generazioni. Human wall sintetizza questo pensiero mostrando il segno fitto delle mani dell’uomo su una grande parete tracciate su una superficie di creta ancora umida: la mano dell’uomo costruisce così un tessuto fitto e continuo e come tale è perfettamente leggibile. Ma bastano pochissime ore per segnalare, nel disseccamento della materia la nascita e la crescita di cretti che, alla fine prevalgono, nella percezione dell’intera parete, sul tessuto della mano dell’uomo: la natura racconta così la propria ineluttabile logica di “naturale” prevalenza… e tutto ciò che la mano dell’uomo aveva prodotto, appare, se appare, in secondo piano, o addirittura è necessaria un’indagine archeologica per ricostruirne le tracce… Everything that humankind makes and intends to leave on this planet, in the secret hope that it endures through time, reveals the author’s undeniable ambition to outlive their own fleeting existence. This preoccupation with durability can be found in particular in the work of architects… All this could be somewhat pathetic: trying to counteract the transience of our existence by leaving something more long-lasting on the planet. Nature takes its course in cycles of hundreds or thousands of years and in numerous geological eras. The awesome spectacles of erosion, the mountains, the oceans, the climate which freezes and thaws the waters, the white crests floating upon the sea: in all of these, the scale of nature’s triumphs makes humankind’s preoccupations seem trivial. In the course of a few short generations everything humankind has ever produced will either be destroyed or eroded by natural processes. Human wall encapsulates this way of thinking, showing the dense impressions of the hands of humans imprinted onto the wet surface of a vast clay wall: these hands, woven accordingly into a dense and continuous fabric, are as such perfectly legible. But as the material dries out, all it takes is a few short hours for cracks to appear and to spread, and in the end they prevail, becoming visible across the whole of the wall, across the weave of human hands. In this way, nature illustrates its own inescapable logic of “natural” predominance… and everything that the hand of humankind has produced appears, if it is visible at all, in the background. An archaeological excavation might even be necessary to reveal its traces…

Gianni Pettena (Agosto - August 2019)

201



THOMAS RUFF


THOMAS RUFF Cassini 31 2009 106,5 x 108,5 cm Ed. 2/6 Stampa C-print - C-print “Temi e Variazioni. L’impero della luce”, Peggy Guggenheim collection, 2014, Venezia doutdo 2018-20, in occasione di Arte Fiera 2019, Aula Magna, Accademia delle Belle Arti, Bologna doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei Sul sito della NASA c’è un archivio d’immagini in bianco e nero di Marte. Le fotografie sono state realizzate con il sistema di HiRISE (High Resolution Imaging Science Experiment) sviluppato nel 2006 dalla University of Arizona. L’artista è stato affascinato dalle immagini ad alta risoluzione del pianeta, in cui si può vedere ogni piccolo cambiamento nella sua superficie, nonostante la distanza. Ruff ha modificato le fotografie, creando dei particolari punti di vista, al fine di dare allo spettatore l’impressione di volare verso il pianeta o su di esso. In questo modo ha creato immagini di fotografie reali che non sono conformi alla realtà, a dispetto dell’apparenza scientifica. On the NASA website there is an archive of images of the planet Mars in black and white. The photographs were made with the system HiRISE (High Resolution Imaging Science Experiment) developed in 2006 by the University of Arizona. The artist was fascinated by the high-definition images of the planet, through which you can see every little change in its surface despite the distance. Ruff modified the photographs creating particular perspectives in order to give the viewer the impression of flying toward the planet or on it. In this way he created images of real photographs that do not conform to reality, and which are therefore misleading, in spite of their apparent scientific vocation. Donatore - Donor Thomas Ruff, Galleria Lia Rumma Milano/Napoli

204


205


Thomas Ruff (Germania, 1958) studia fotografia dal 1977 al 1985 a Dusseldorf, dove vive e lavora. Tra le mostre personali si ricordano, tra le più recenti, quelle presso: Haus der Kunst, Monaco, 2012; Sala Alcalá 3q, Madrid, 2013; National Museum of Modern Art, Tokyo e 21st Century Museum of Contemporary Art, Kanazawa, 2016; la Whitechapel Art Gallery di Londra, 2017. Le sue opere sono ospitate nelle collezioni di numerose istituzioni museali di tutto il mondo. In Italia le opere di Thomas Ruff sono conservate presso il MAXXI di Roma, il Castello di Rivoli e il MART di Rovereto. Nel 2002, su invito di Lia Rumma, Ruff lavora alla serie “M.d.p.n.” dedicata al “tardo manifesto” dell’architettura razionalista a Napoli ovvero l’edificio del mercato ittico progettato da Luigi Cosenza tra il 1929 e il 1934, con cui l’artista ha dato seguito ai lavori dedicati all’architettura. Nel 2006 riceve il premio “Infinity Award” dell’International Center of Photography di New York. Finalista nel 2017 per il premio fotografico Prix Pictet. Thomas Ruff (Germany, 1958) studied photography from 1977 to 1985 in Dusseldorf, where he currently lives and works. Solo exhibitions of his works have included those at the Haus der Kunst, Monaco, 2012; Sala Alcalá 3q, Madrid, 2013; National Museum of Modern Art, Tokyo and 21st Century Museum of Contemporary Art, Kanazawa, 2016; the Whitechapel Art Gallery, London, 2017. His works are now in the permanent collections of many museums. In Italy, the works of Thomas Ruff are to be found in the collections of MAXXI in Rome, Castello di Rivoli and MART in Rovereto. In 2002, upon invitation by Lia Rumma, Ruff worked on the “M.d.p.n.” series devoted to the “late manifesto” of rationalist architecture in Naples – the fish-market building designed by Luigi Cosenza between 1929 and 1934, with which Ruff continued his works on architecture. In 2006 he received the “Infinity Award” from the International Center of Photography in New York. He was a finalist for the Prix Pictet photography award in 2017. www.liarumma.it Foto - Photo Gaia Degli Esposti

206


Per la serie ma.r.s. Thomas Ruff ha prelevato delle immagini digitali del pianeta Marte dall’archivio della Nasa e le ha trattate scegliendo dettagli, inquadratura, taglio, ingrandendole e colorandole. Il risultato è sconcertante, al limite dell’accettabile, perché il pianeta sembra di un qualche materiale plastico o gommoso, mentre le immagini appaiono dure e artificiose. Questo almeno a partire dalle abitudini percettive e immaginarie che abbiamo di ciò che stiamo guardando. Diciamolo in questo modo: Marte e il digitale sono ugualmente distanti dall’idea tradizionale che abbiamo di “paesaggio” come genere. Ruff ha esasperato questa distanza per meglio metterla in evidenza e decostruirla, ma non solo. Ruff qui – come in altre sue serie famose, come le jpeg – non fotografa la realtà ma lavora su immagini trovate. La questione dunque non è il paesaggio marziano in sé, ma il fatto è che le stesse immagini di partenza sono a loro volta “innaturali”, perché scattate da meccanismi automatici che non hanno caratteri umani. Ruff l’ha evidenziato accentuando anche i punti di vista, eliminando la prospettiva, sostituita dalla veduta in volo e tagliando spesso in modo che sembri sempre qualcosa d’altro, qui per esempio un disco. D’altro canto, il digitale è a sua volta una “snaturalizzazione” dell’analogico, la sua riduzione a logaritmi, impulsi elettrici. La tecnologia dunque, se da un lato migliora, perfeziona, estende le capacità umane, dall’altro le meccanicizza, le depriva, le sostituisce, non è neutra. E dunque? Resta ancora che l’immagine che ne deriva ha un suo fascino, diverso appunto dalle nostre abitudini ma pur sempre coinvolgente, un fascino che potremmo dire “alieno”. Così l’oggettività presunta della scienza e della tecnologia vengono trasformate, o forse dovremmo dire “restituite” alla bellezza, ma a una bellezza nuova, forse quella del futuro. For the ma.r.s. series, Thomas Ruff extracted digital images of the planet Mars from the Nasa archives and applied digital alterations, modifying the subject, frame, size, magnification and colour. The result is disconcerting, only just acceptable: the planet seems to be made from a kind of plastic or rubber material whilst the images appear severe and artificial. This is true at least in comparison to the typical imagery and perspectives we are exposed to on the subject. Put another way, Mars and digital photography are both equally distant from the way we traditionally conceive of “landscape” as a category. Ruff has exacerbated this distance to highlight and deconstruct it better, though not for this reason alone. Here – as in some of his other famous series, like jpegs – Ruff does not photograph reality but works with images which he finds. The focus is thus not on the Martian landscape as such, but the fact that those same initial photographs are themselves “unnatural”, since they have been captured automatically rather than by humans. Ruff highlights this fact, accentuating angles, eliminating and substituting perspective with birds-eye views, and often cropping the image in such a way that it always appears to be something else, in this case for example a disk. At the same time, digital photography is itself a “denaturalization” of analogue photography, reduced to logarithms and electrical impulses. If on the one hand, then, technology improves, perfects and expands the capabilities of humans, on the other it mechanizes, deprives, and replaces them. In other words, it is not neutral.

Elio Grazioli

(Marzo - March 2019)

207



PIETRO RUFFO


PIETRO RUFFO Migrations 2018 200 x 200 cm Ed. 1/3 Composizione di piastrelle in ceramica, fotoceramica - Combination of ceramic tiles, photoceramic Opera realizzata appositamente per doutdo - Work specially created for doutdo Sedi espositive - Exhibitions doutdo 2018-20, in occasione di Arte Fiera 2019, Cappella S.Maria dei Bulgari, Archiginnasio, Bologna doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei Risulta difficile riuscire a dire qualcosa di nuovo su un fenomeno così complesso, quale quello delle migrazioni, che interroga e coinvolge tante persone, un fenomeno che un tempo in Italia è stato vissuto da attori protagonisti e che ora si vive da spettatori spaventati. Nella grande ceramica, intitolata Migrations, Pietro Ruffo sovrappone antiche scene di popoli nativi e immagini storiche di migranti, ricomposte in narrazioni fantastiche e originali. Diversi gruppi etnici, diversi livelli di pensieri e di idee convergono per evocare la visione dell’artista sulla questione più controversa dei nostri tempi. It is difficult to say something new about a phenomenon as complex as migration which interrogates and involves so many people. In Italy, this phenomenon was once experienced by people as protagonists and is now experienced by frightened spectators. In this large ceramic work, entitled Migrations, Pietro Ruffo overlaps ancient historical scenes of migrants and native peoples recomposes them into original fantastical narratives. Different ethnic groups, different layers of thoughts and ideas converge to simultaneously evoke the artist’s perspective on the most controversial and complex issue of our times. Donatore - Donor Pietro Ruffo Produttore - Manufacturer Ceramica Gatti

210


211


Dopo gli studi in architettura, si trasferisce a New York per una borsa di ricerca presso la Columbia University. Dal 2004 lavora nel suo studio al Pastificio Cerere, Roma. L’arte di Pietro Ruffo è essenzialmente legata agli elementi base della sua formazione da architetto. Ogni sua opera ha origine da una meticolosa progettazione. Tuttavia, non conserva la bidimensionalità poiché la carta, intagliata, acquista la terza dimensione. Ne risulta un lavoro stratificato, dalle molteplici letture visive e semantiche che indagano i grandi temi della storia universale, in particolare la libertà e la dignità del singolo individuo costantemente minacciate dalla massificazione in atto nella società contemporanea. Tra le principali mostre personali: Constelações Migracoes, Centro Cultural Correios, Rio de Janeiro; L’illusion parfaite, Galerie Italienne, Parigi; Terra Incognita, Delhi; Breve storia del resto del mondo, Fondazione Puglisi Cosentino, Catania; SPAD SVII, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma; The Political Gymnasium, Blain Southern Londra; A Complex Istant, Mosca, progetto speciale per la quarta Biennale di Mosca. After studying architecture, he moved to New York for a research scholarship at Columbia University. Since 2004, he has been working from his studio in Pastificio Cerere in Rome. Pietro Ruffo’s art is predominantly connected to the basic elements of his architecture training. Every work is the result of meticulous planning. However he doesn’t conserve bi-dimensionality since an engraving acquires the third dimension. The result is a stratified work, open to multiple visual and semantic interpretations investigating the major themes of universal history, especially individual freedom and dignity, which are constantly threatened by the ongoing homogenization of contemporary society. His main solo exhibitions include: Constelações Migracoes, Centro Cultural Correios, Rio de Janeiro, Brazil; L’illusion parfaite, Galerie Italienne, Paris; Terra Incognita, Delhi; Breve storia del resto del mondo, Fondazione Puglisi Cosentino, Catania, Italy; SPAD SVII, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Rome; The Political Gymnasium, Blain Southern London; A Complex Istant, Moscow, special project for the Fourth Moscow Biennale. www.pietroruffo.com Foto - Photo Ruggero Passeri

212


Negli ultimi anni è diventato di moda fare il test del DNA per scoprire la provenienza dei propri antenati. Si contatta una delle molte aziende che all’estero mettono a disposizione questo servizio, si invia un campione biologico e dopo qualche settimana arriva il risultato, spesso sorprendente: anche chi è convinto di avere radici italianissime dalla notte dei tempi scopre invece che deve il proprio patrimonio genetico a un miscuglio di etnie, dalle provenienze più diverse. Al di là delle considerazioni sulla validità scientifica di tali indagini e sull’opportunità di affidare a soggetti sconosciuti dati così preziosi come quelli ricavabili dal proprio DNA, questo nuovo gioco dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, che le convinzioni radicate su chi siamo e da dove veniamo hanno ben poco fondamento. Ognuno di noi, nessuno escluso, è frutto di secoli d’incontri, di scambi di informazioni, culturali e genetiche. Alle mille rotte di popoli che si sono intersecate nei secoli dando luogo a questi incontri, a questi scambi, alla storia tumultuosa e affascinante della razza umana, si riferisce l’opera di Pietro Ruffo, Migrations, che in modo più poetico ma altrettanto efficace del risultato del test di ancestralità, traccia un’immagine della coesistenza e degli intrecci che, attraverso le epoche, hanno reso gli esseri umani ricchi, complessi, sani, travalicando i confini angusti di concetti come nazione e razza. Genti di epoche e luoghi diversissimi convivono nell’intricato disegno dell’opera, realizzata in maiolica con uno stile che ricorda l’azulejos, tipico ornamento dell’architettura portoghese e spagnola derivato da una tecnica araba e messo a punto attraverso influenze italiane e cinesi per poi essere esportato in Sud America attraverso le rotte dei commerci e della colonizzazione. Un simbolo perfetto dunque di come le idee, le immagini, la sapienza del fare, viaggino insieme alle persone, di come anche queste lungo la strada si mescolino, contaminandosi, dando luogo a nuove idee, nuove immagini, nuovi saperi. In recent years, it has become fashionable to take a DNA test to find out one’s ancestral heritage. You can contact one of the many companies abroad who offer this service, send a biological sample and within a few weeks the results arrive, often surprising: even those convinced of having an entirely Italian heritage going back to the dawn of time discover that their genetic make-up is in fact made up of a variety of ethnicities, of the most wide-ranging origins. Aside from considerations regarding the scientific validity of such investigations and the ability to entrust strangers with such precious data, like those obtainable from one’s own DNA, this new pastime shows, if there was still any need, that deeply-rooted convictions concerning who we are and where we come from have scarcely any basis in fact. Each of us, with no exceptions, is the product of centuries of encounters, exchanges of information, both cultural and genetic. It is to the thousand routes traced by populations who have intersected over the centuries, giving rise to these encounters, to these exchanges, and to the tumultuous and fascinating history of the human race that Pietro Ruffo’s work Migrations refers. His work portrays, in a manner more poetic but equally as effective as the ancestral heritage test, the coexistence and interlacing that, through the ages, have made humans rich, complex and healthy, traversing the narrow confines of concepts such as nation and race. People of very different times and places co-exist in the intricate design of the work, made of majolica in a style reminiscent of azulejos: the typical ornamental design of Portuguese and Spanish architecture which derives from an Arab technique and was refined by Italian and Chinese influences before being exported to South America via trade routes and colonization. It is therefore a perfect symbol of how ideas, images, and the wisdom of craftsmanship travel along with people, of how even these elements blend together along the way, fusing together, giving rise to new ideas, new images and new wisdom.

Cristiana Perrella (Ottobre - October 2019)

213



SISSI


SISSI Ritratto di un corpo sfumato 2019 180 x 200 x 50 cm Ed. 1/2 Installazione in ferro, ceramica, tessuto - Installation made from iron, ceramic, fabric Opera realizzata appositamente per doutdo - Work specially created for doutdo Sedi espositive - Exhibitions doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei L’installazione rappresenta un elemento di vita quotidiana della civiltà di Pompei come la struttura portante di un possibile guardaroba. Lo scheletro in ferro sostiene degli oggetti e alcuni abiti appesi come custodie vuote di una vita passata e sfumata. The installation portrays an everyday object from Pompeii as the supporting frame of a possible wardrobe. The iron frame holds objects and clothes hangers which have become the empty containers of a nuanced and vanished lifetime. Foto - Photo Barbara Jodice Donatore - Donor Sissi Produttore - Manufacturer Per le stoffe: Argomenti Tessili Per l’appendiabiti: Metal Carp

216


217


Sissi, artista nata in Italia nel 1977, vive a Londra. La sua ricerca artistica è concentrata sul desiderio di creare un risultato immaginario o di finzione basato però sulla ricerca scientifica in particolare del corpo e della sua biologia. Discipline quali l’antropologia, l’archeologia e l’anatomia (e la loro storia) ispirano il suo lavoro che si concretizza in numerosi mezzi espressivi, dalle performance, installazioni, foto e disegni alla pittura e all’editoria. A volte il suo lavoro è presentato sotto forma di narrazione che mente sul limite tra la dimostrazione scientifica e la vision poetica: come singoli frammenti o opere staccati da un più vasto continuum. Sissi is a London based Italian artist (b.1977) whose artistic research focuses on the desire to create an imagined or fictional output that is however, based on scientific research, with a particular focus on the body and its biology. Various disciplines such as anthropology, archeology and anatomy (and their histories) provide inspiration for her work that then manifests in an array of media from performance, installation, photography, drawing, to painting and bookmaking. Her work is sometimes presented in a form of narration that lies on the border between scientific demonstration and poetic vision: like single fragments or detached works from a larger continuum. www.sissisissi.com Foto - Photo Lorenzo Palmieri

218


Ho sempre pensato che l’opera di Sissi è scultura: un fare scultura performativo, dove c’è sempre il corpo come protagonista e dove il lavoro è un sondare dentro, un “giocare” con la propria identità, vestendo abiti diversi, ma sempre fatti dalla stessa mano. Per Sissi si tratta di far ruotare la propria vena creativa attorno ai concetti di corpo, disegno e materia. Sulla base di questi, Sissi rende l’abito il fulcro del suo lavoro, nelle sue molteplici e continue trasformazioni, consumando ore e giornate a cucire, come se questo atto (appreso dalla nonna sarta) fosse una estensione del proprio lavoro artistico. Gli abiti sono stati protagonisti di varie mostre organizzate negli anni e lo sono anche in questa nuova opera dedicata a Pompei, Ritratto di un corpo sfumato: ideati, cuciti, realizzati a mano dall’artista in una occupazione che è molto faticosa e solitaria, in quanto richiedono tempo per essere confezionati, sono come una seconda pelle, una membrana che unisce l’interno all’esterno e che rappresenta sempre un elemento della vita quotidiana, un umore, una sfumatura emotiva. L’abito di Sissi infatti, non è moda, non riguarda solo la sfera dell’apparire: al contrario esprime il concetto di esserci, un habitus che è soprattutto un’attitudine, un modo di vivere. I have always thought of Sissi’s work as sculpture: a performative sculpture where the body is always the protagonist and the activity involves internal probing, “experimenting” with one’s identity, wearing clothes which may vary but which are always produced by the same pair of hands. For Sissi, the focus is on turning her creativity to body, design and material. Within these areas, Sissi makes clothing the focus of her work, in all its multiple and continual phases of transformation, sewing for hours and days at a time, as if this act (which she learned from her grandmother, also a seamstress) was an extension of art itself. Clothing has been the subject of various exhibitions of hers organized over the years and is the focus once again of a new work dedicated to Pompeii, Ritratto di un corpo sfumato (Portrait of a nuanced body). The clothing is designed, sewn and fabricated by the artist by hand, in what is an extremely demanding and solitary occupation. On account of the time required to sew the clothing, it becomes like a second skin, a membrane which connects the internal to the external world and which always expresses an aspect of day-to-day life, a state of mind or emotional nuance. Sissi’s clothing, in fact, is not fashion, it is not only concerned with external appearance. Quite the opposite, it expresses the concept of being, a habitus which, above all else, is an attitude or a way of life.

Maura Pozzati (Agosto - August 2019)

219



ALESSANDRA SPRANZI


ALESSANDRA SPRANZI Tornando a casa #21 1997 80 x 120 cm Ed. 3/5 + 2 p. a. Stampa a colori montata su alluminio - Colour print mounted on aluminium Sedi espositive - Exhibitions “Never Talk to Strangers”, Edel Assanti Project Space, 2011, London, UK doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei “Inizialmente pensavo a palazzi che bruciavano, che crollavano avvolti dalle fiamme. Oltre al fuoco, c’era la catastrofe della caduta. Il rumore del crollo. Camminare tra le macerie. Poi l’incendio si è spostato all’interno della casa, ha preso le tende, le sedie, i divani: anzi, ha preso la nostra tenda, il nostro tavolo, la nostra poltrona, il nostro letto. Immagino ci sia un punto della nostra stanza, un angolo dove il fuoco non è ancora arrivato, da dove noi contempliamo le fiamme, partecipiamo immobili all’incendio. La mano non si muove a cercare l’acqua”. “At the beginning I thought of burning buildings, which crumbled down wrapped in flames. Besides the fire there was the catastrophe of the fall. The noise of the crumbling. Walking among the debris. Then the fire moved inside the house, it caught the curtains, the chairs, the sofas. Or rather, it caught our curtains, our table, our armchair, our bed. I imagine that there is a spot in our room, a corner where the fire has not arrived yet, from which we contemplate the flames, we participate, immobile, in the fire. The hand does not reach for water”. Foto - Photo Carlo Favero Courtesy of the artist & P420, Bologna Donatore - Donor Alessandra Spranzi, P420, Bologna

222


223


Alessandra Spranzi (Milano 1962) vive e lavora a Milano dove insegna Fotografia all’Accademia di Belle Arti di Brera. La sua ricerca artistica è legata alla messa in scena fotografica, al riuso delle immagini fotografiche proprie e altrui, al collage. Attraverso questi strumenti e questi soggetti, attraverso appropriazioni e manipolazioni, l’artista si interroga sulle forze che determinano il nostro destino e quello degli oggetti e degli ambienti che ci circondano. Spranzi non è una fotografa, bensì un’artista che utilizza la fotografia. Dal 1992 ha partecipato a diverse mostre, sia personali che collettive in spazi privati e pubblici tra cui: P420, Bologna; Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino; Centre National de la Photographie, Ile de France; Arcade, Londra; MAMbo, Bologna; Festival di Fotografia Europea, Reggio Emilia; Galleria Fotografia Italiana, Milano; Gamec, Bergamo; Museo Marino Marini, Firenze; Galleria Emi Fontana, Milano; Museo Pecci, Prato; Le Magasin, Grenoble. Dal 1997 ha realizzato numerose pubblicazioni e libri d’artista. Alessandra Spranzi (Milan 1962) lives and works in Milan where she teaches Photography at the Accademia di Belle Arti in Brera. Her artistic research is connected with photographic staging, the reuse of images of her own or taken by others, collage. Through these tools and these subjects, through appropriations and manipulations, Spranzi never stops questioning the fundamental forces that determine our fate, as well as that of the objects and spaces that surround us. Alessandra Spranzi is not a photographer, but an artist who uses photography. Since 1992 she has had many solo and collective exhibitions, at P420 in Bologna, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo in Turin, Centre National de la Photographie in Ile de France, Arcade Gallery in London, MAMbo Bologna, Festival of European Photography, Reggio Emilia, Galleria Fotografia Italiana in Milan, GAMEC, Bergamo, Museo Marino Marini in Florence, Galleria Emi Fontana in Milan, Museo Pecci in Prato, Le Magasin in Grenoble. Since 1997 she has made many artist’s books and publications. Foto - Photo Ritratto dell’artista - Artist’s portrait

224


Tornando a casa: un tornado si appresta a sconvolgere gli ordini del tempo. Un gesto inatteso, violento, come la luce stessa che fissa l’istante che precede un evento che non può essere più narrato; che non può più essere reso attraverso la compostezza degli oggetti che – ancora per un palpito – sono disposti nello spazio. L’immagine di Alessandra Spranzi visualizza il tempo dello sconcerto che mette in discussione il vivere secondo un ordine. Quello che sta per accadere non è prevedibile, non è dato saperlo; non è corretto immaginarlo. Possiamo essere certi che tutto cambierà, che il ritorno non sarà pacifico, né seguirà le nostre attese. È l’ordinario, il famigliare, che sta per infrangersi: siamo ai margini del caos, dove le memorie si consumeranno. Le immagini della fotografa ritraggono cose e situazioni solo apparentemente normali, consuete, quotidiane: le fiamme che si alzano dalla tavola apparecchiata o salgono accanto al letto, o, ancora guizzano all’interno di un elegante boudoir, ma il tempo è sospeso. Come scrive l’artista in un suo testo: “Gli oggetti ci stanno intorno e a volte passano di mano in mano, silenziosi, anodini, misteriosi. Quando vengono messi in vendita cercano di catturare la nostra attenzione (…). Il modo in cui questi oggetti sono stati fotografati ci indica un punto di vista che non è il nostro, che ci spinge dentro lo sguardo degli altri”. Tornando a casa (Coming home): a tornado is preparing to shake up the order of time. An unexpected gesture, violent, like the light itself that fixes the moment preceding an event that can no longer be recounted. Something that can no longer be rendered through the control of objects that – for one more instant - are still arranged in space. Alessandra Spranzi’s image renders visible the period of turbulence that challenges living according to an order. What is about to happen is unforeseeable; we cannot predict, nor should we try. We can only be certain that everything will change, that returning will not be easy, nor will it be as we imagined. The ordinary, domestic world is about to be torn apart: we are on the verge of chaos, where memories will be engulfed. The photographer’s images portray things and circumstances which are only outwardly normal, habitual, everyday. From a laid table or from beside a bed, flames rise and climb, even leaping from inside an elegant boudoir; but time is suspended. As the artist writes in one of her written works: “Objects surround us and sometimes pass from owner to owner, silent, anodyne and mysterious. When they are put up for sale, they try to capture our attention (…). The objects have been photographed in such a way as to allow us to see from a point of view other than our own, prompting us to see through their eyes.”

Beatrice Buscaroli (Aprile - April 2019)

225



ALBERTO TADIELLO


ALBERTO TADIELLO Inoculati 2018 200 x 177 x 4 cm Opera unica - Unique work Tecnica mista (matite colorate, pastelli ad olio, rossetti, cere, carboncini, grafite, cenere, impregnante) su pannello truciolare, profilati metallici - Mixed media (colouring pencils, oil pastels, lipstick, wax, charcoal, graphite, ash, impregnating agent) on particle board, metal sections Sedi espositive - Exhibitions doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei doutdo 2018-20, Collezione permanente MAMbo, 2019, Bologna La ricerca di Alberto Tadiello affronta le multiformi tortuosità della natura e si concentra sull’esposizione e sulla rivelazione delle energie, delle tensioni e attrazioni che in essa si manifestano. Inoculati è un grande volto sgomento, maschera di stupore, testa di animale spiritato capace di ingoiare chi la guarda. La sovrapposizione ossessiva ed insistente del tratto che l’ha originata apre ad espressioni febbricitanti, cannibali e terroristiche, in un gioco di forze centrifughe e centripete. Il centro dell’immagine è un grande vuoto, voragine ipnotica che, come una bocca spalancata e cava, risuona di sibili e boati. È la traccia di un rimbombo, di una risonanza, con la fisionomia di un fantasma che attraversa i tempi e si stringe attorno alle paure dell’oggi. The research of Alberto Tadiello addresses the manifold, complex forms of nature, focusing on exposing and revealing the energies, tensions and attractions that can be observed in it. Inoculati is a large, anguished face, mask expressing amazement, head of a possessed animal that is able to swallow whoever looks at it. The obsessive, insistent layering of the lines that creates it takes on a feverish, cannibalistic, or terroristic appearance, in an interplay of centrifugal and centripetal forces. At the center of the image is a big void, a hypnotic gulf which, like a gaping, hollow mouth, is ringing with hisses and booms. The echo of a rumble, resonance, it has the appearance of a ghost that traverse the ages, and coalesces around the fears of today. Donatore - Donor Alberto Tadiello

228


Donata da doutdo alla Collezione Permanente del MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, grazie al sostegno garantito al progetto da Philip Morris Italia.

229


Alberto Tadiello si è laureato in Progettazione e Produzione delle Arti Visive, Facoltà di Design e Arti, presso l’Università IUAV di Venezia. Ha partecipato a numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Nel 2009 è stato proclamato vincitore della settima edizione del Premio Furla, nel 2011 del New York Prize, nel 2015 ha vinto il concorso “Acceleratore” indetto dal Dipartimento di Fisica dell’Università di Trento in collaborazione con il MART, Museo di Arte Moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, Trento. Ha preso parte a diversi programmi di residenza, organizzati da Dena Foundation for Contemporary Art (Parigi), Gasworks International Residency Programme (Londra), Villa Arson (Nizza), HIAP – Helsinki International Artist Programme (Helsinki), Viafarini (Milano) e ISCP – International Studio & Curatorial Program (New York). Alberto Tadiello graduated with a degree in Visual Art Design and Production from the Faculty of Art and Design at the IUAV University of Venice. He has participated in numerous solo and collective exhibitions both in Italy and abroad. Tadiello was proclaimed winner of the seventh edition of the Furla Art Award in 2009, the New York Prize in 2011, and the 2015 ‘Accelerator’ competition organized by the Department of Physics at the University of Trento in collaboration with the Museum of Modern and contemporary Art of Trento and Rovereto, Trento. He has participated in various residency programs, organized by the Dena Foundation for Contemporary Art (Paris), the Gasworks International Residency Programme (London), Villa Arson (Nice), HIAP – Helsinki International Artist Programme (Helsinki), Viafarini (Milan) and ISCP - International Studio & Curatorial Program (New York). www.albertotadiello.com

230


Non so cosa nascondano i volti. Quelli che ho guardato senza sosta nelle strade affollate di New York, quelli che ho studiato nelle metropolitane. Quelli che raramente compaiono in montagna, e si mescolano con musi d’animale, con tratti di bestie mitologiche e spaventose. Quelli nei supermercati, nei telegiornali. Quelli degli attentatori. Quelli delle emoticon. Degli avatar. Dei sogni. Non so cosa nascondano. Ma so che rapiscono. Inoculati sono dei volti. Dei disegni di grande formato, realizzati con matite colorate, pastelli ad olio, rossetti, cere, carboncini, grafite, cenere, impregnante, distesi su pannelli di truciolare pressato. I segni si sovrappongono con lo stesso movimento. Si ripetono per centinaia di volte con insistenza, ossessione. Sono il risultato di tre anni di ricerca. Avvolgono nella cavità dei loro sguardi, della loro bocca una densità di pensieri, di appunti, di schizzi. Roque, giovane protagonista di un romanzo argentino, vive in modo appassionato, data la giovane età. Si meraviglia di fronte a chi pare parlar solo. Sta magari discutendo con un ricordo costui, o con un fantasma? Lui non vuole esser scambiato per nessuno dei due. La sua irruenza gli impedisce di capire quali vantaggi si possano trarre dalla natura di un ricordo o dalla consistenza di un fantasma. Questi volti senza interlocutore, intenti solo a loro stessi, forse hanno solamente conosciuto i vantaggi. E proseguono qualcosa di precedente. Guardando diritto negli occhi. Pronti allo stregamento. I don’t know what faces hide. The faces I’ve observed tirelessly on the crowded streets of New York, the ones I’ve studied on the subway. The ones which appear only rarely in the mountains, blending with the faces of animals, with the features of frightening mythological beasts. Faces in supermarkets, on the news. The faces of terrorists. Of emoticons. Of avatars. In dreams. I don’t know what they hide. But I know that they enchant. Inoculati is a series of faces. Large-scale drawings created using colouring pencils, oil pastels, lipstick, wax, charcoal, graphite, ash and impregnating agent, and laid onto panels of compressed particle board. The markings overlap with their very movement, replicating themselves hundreds of times with insistence and obsession. They are the result of three years of research. They draw you into the void of their gaze, from their mouths a mass of thoughts, notes and sketches emerge. Roque, the young hero of an Argentinian novel, lives passionately, as is expected of someone his age. He is astounded to see someone who appears to be talking to himself. Is that person discussing with a memory or a ghost? He doesn’t want to trade places with either. His impetuousness prevents him from being able to comprehend the merits of the nature of a memory or the constancy of a ghost. These faces without an interlocutor, concerned only with themselves, have perhaps only ever been lucky. And they continue something prior. They look you right in the eye. Ready to bewitch you.

Daniela Zangrando (Agosto - August 2019)

231



JOE TILSON


JOE TILSON Finestra veneziana San Zan 2016 100 x 100 cm Opera unica - Unique work Acrilico su tela, struttura di legno - Acrylic on canvas, wooden structure Opera realizzata appositamente per doutdo - Work specially created for doutdo Sedi espositive - Exhibitions doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei L’opera di Tilson è un omaggio all’Italia, è espressione d’incanto continuo, di stupore a ogni nuova scoperta di ricchezza artistica qui stratificata nei secoli. Affascinato soprattutto dall’arte bizantina e dagli elementi mitologici dell’antichità, Tilson li contamina con immutata freschezza con simboli di culture indiane e aborigene, rivitalizza immagini archetipe della cultura attraverso un linguaggio contemporaneo, accessibile, utilizza in libertà l’alfabeto espressivo dei simboli primari quali aria, acqua, fuoco, terra, enigmi, labirinti. Tilson’s work is a tribute to Italy, an expression of continued enchantment and awe at every new discovery of artistic value layered here through the centuries. Prompted by his particular fascination for Byzantine art and the mythological aspects of antiquity, Tilson contaminates these elements with consistent vigour, introducing symbols from Indian and aboriginal cultures. He uses an accessible, contemporary language to revitalize images that are archetypal of their cultures, freely employing the expressive potential of primary symbols - air, water, fire, earth, enigmas and labyrinths. Foto - Photo Barbara Jodice Donatore - Donor Joe Tilson, Peter Femfert e Stefania Canali, DIE GALERIE, Frankfurt am Main

234


235


Joe Tilson (Londra 1928) icona della British Pop Art, si diverte a ricordare di essere stato famoso prima dei Beatles e Mary Quant. Davvero questo artista silenzioso e visionario è stato, a partire dalla fine degli anni 50, antesignano e protagonista degli “Swinging Sixties” di Londra, destinati a cambiare stile di vita e pensiero nel mondo. Alla fine degli anni 60, Tilson si staccò dalla Pop Art “quando perse l’originario significato di Popular Art, divenendo oggetto di culto-consumo”. Trovò un’altra strada, più introspettiva, materica, traferendosi prima nella campagna inglese, poi sempre più a lungo in Italia. Tilson scoprì l’Italia a 9 anni, ricevendo come premio per una gara agonistica scolastica un libriccino su Giotto, che gli fu da guida per i decenni successivi. Iniziò così una scoperta che partendo da Cefalù a dorso di mulo nell’immediato dopoguerra lo portò in Toscana per arrivare fino a Venezia. Un viaggio che non si è mai concluso neppure ora che ha studio e casa sulle colline di Cortona e su un silenzioso affaccio veneziano. Joe Tilson (London 1928), icon of British Pop Art, fondly recalls how he was famous even before the Beatles and Mary Quant. In fact, from the late 1950s, this quiet, visionary artist was a forerunner of the “Swinging Sixties” in London, playing a key role in the revolution which would transform the way people lived and thought throughout the world. At the end of the Sixties, Tilson broke away from Pop Art, “when it no longer represented Popular Art as it had at its origin and became instead an object of consumer worship”. He chose another path - one that would be more introspective and meaningful - moving first to the English countryside, then even farther afield to Italy. Tilson first discovered Italy at the age of 9 when he was awarded a little book on Giotto in a school competition. The book would act as his guide in the decades to come, initiating a journey which, starting out in Cefalù on the back of a donkey immediately after the war, would take him to Tuscany and then finally to Venice. It’s a journey that has never ended, even now that he has a studio and house in the hills of Cortona and a quiet spot overlooking Venice. www.joetilson.com

236


Joe Tilson, R. A. è uno dei più rinomati artisti britannici della sua generazione. Ha rappresentato la Gran Bretagna alla Biennale di Venezia del 1964, in un periodo in cui era collegato alla British Pop Art. A partire dal 1970 la sua arte, non più limitata all’ambito del vernacolo “Pop”, si è ampliata sino ad includere una vasta gamma di idee. Gli elementi cosmici della sua iconografia comprendono l’Alchera, il sogno aborigeno che precede la creazione del mondo. Tilson è impegnato nella ricerca più nobile che un artista possa seguire: cercare di toccare i segreti dell’universo attraverso l’arte visiva. Ha uno studio sia a Cortona che a Venezia tra i quali lui e sua moglie, l’artista Jos Tilson, vivono e lavorano per gran parte dell’anno. Finestra veneziana San Zan (San Giovanni Decollato) appartiene a una serie di omaggi alle chiese veneziane. Gli scomparti quadrati, come di legno biondo, quasi un armadio per le cravatte di Jay Gatsby, risalgono alla fase Pop di Tilson. Qui contengono simboli, dipinti con freschi colori primari: Una “V” per “Venessia”, riflessa nell’acqua, uno scoppio di luce, un cosmo, fiamme e onde (tre dei quattro “elementi” medievali), un cuore, un arco a sesto bizantino rialzato, con la punta gotica accentuata (un omaggio all’opera dell’approccio tassonomico sull’architettura medievale veneziana di John Ruskin), e un monogramma di Antonio Vivaldi. L’opera è coronata da coni rovesciati che richiamano le merlature moresche ornamentali delle mura dei giardini veneziani.

Joe Tilson, R. A. is one of the most celebrated British artists of his generation. He represented Great Britain at the 1964 Venice Biennale, at a time when he was associated with British Pop Art. From 1970 his art, no longer confined to the range of the “Pop” vernacular, has expanded to encompass a vast arena of ideas. The cosmic elements in his iconography include the Alchera, the aboriginal dream that precedes the creation of the world. Tilson is engaged in the noblest pursuit an artist can follow: the effort to touch the secrets of the universe through visual art. He has studios in Cortona and Venice where he and his wife, the artist Jos Tilson, live and work for much of each year. Finestra veneziana San Zan (San Giovanni Decollato) belongs to a series of homages to Venetian churches. The square compartments, as if in blond wood, like a closet for Gatsby’s ties, date back to Tilson’s Pop phase. Here they contain emblems, painted in fresh primary colours: “V” for “Venessia”, reflected in water, a light burst, a cosmos, flames and waves (three of the four medieval “elements”), a heart, a Byzantine stilted arch with its pinched Gothic point (a homage to John Ruskin’s taxonomy of medieval Venetian architecture), and a monogram of Antonio Vivaldi. The work is crowned by inverted cones which evoke the decorative Moorish crenellations of Venetian garden walls.

Philip Rylands (Marzo - March 2019)

237



PATRICK TUTTOFUOCO


PATRICK TUTTOFUOCO Welcome 2019 182 x 125 cm Opera unica - Unique work Scultura in neon - Neon sculpture Opera realizzata appositamente per doutdo - Work specially created for doutdo Sedi espositive - Exhibitions doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei doutdo 2018-20, in occasione di Arte Fiera 2020, Archiginnasio, Bologna Il neon verde rappresenta la mano dell’artista nell’atto di mimare la parola “Welcome” (la prima lettera) suggerita con un linguaggio dei segni liberamente ispirato a quello delle sottoculture giovanili. La scultura donata a doutdo riprende l’opera site-specific Welcome esposta presso l’Hangar Bicocca e attualmente andata perduta. The green neon depicts the artist’s hand formed to represent the “W” of “Welcome”, loosely based on the gestures used by youth sub-cultures. The sculpture which has been donated to doutdo recalls the site-specific work Welcome which was displayed at HangarBicocca and which is currently missing. Foto - Photo Barbara Jodice Donatore - Donor Patrick Tuttofuoco Produttore - Manufacturer GL Neon

240


241


Patrick Tuttofuoco è nato nel 1974 a Milano, dove vive e lavora. La sua ricerca artistica è concepita come un dialogo tra gli individui e la loro capacità di trasformare l’ambiente in cui vivono, esplorando le nozioni di comunità e di integrazione sociale al fine di coniugare l’immediato fascino sensoriale con il potere di innescare profonde risposte teoriche. Tuttofuoco fonde Modernismo e Pop; spinge la figurazione in astrazione, utilizzando l’uomo come paradigma dell’esistenza, come matrice e unità di misura della realtà. Da questo processo interpretativo e cognitivo si producono infinite declinazioni dell’uomo e del contesto della sua esistenza, da cui vengono generate forme capaci di dare vita alle sculture. Patrick Tuttofuoco ha partecipato alla 50° Biennale di Venezia (2003), a Manifesta 5 (2004), alla 6° Biennale di Shanghai (2006) e alla 10° Biennale dell’Avana (2009). Le sue opere sono state esposte in diverse istituzioni tra cui la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino (2006), la Künstlerhaus Bethanien, Berlino (2008), HangarBicocca, Milano (2015), OGR, Officine Grandi Riparazioni, Torino (2017), Casa Italia, Pyeongchang (2018) e Maxxi, Roma (2018). Nel 2017 l’opera è stata selezionata dal bando Italian Council con il progetto ZERO che si è svolto a Rimini, Berlino e Bologna (2018). Patrick Tuttofuoco was born in Milan, 1974 where he lives and works. His practice is conceived as a dialogue between individuals and their ability to transform the environment they inhabit, by exploring notions of community and social integration in order to combine immediate sensorial allure with the power to trigger profound theoretical responses. Tuttofuoco melds Modernism and Pop; he presses figuration into abstraction, using man as the paradigm of existence, as the matrix and measuring unit of reality. From this interpretative and cognitive process, infinite versions of man and the context of his existence are produced, from which shapes able to animate the sculptures are generated. Patrick Tuttofuoco participated in the 50th Venice Biennale (2003), Manifesta 5 (2004), the 6th Shanghai Biennale (2006) and the 10th Havana Biennale (2009). His works have been exhibited in several institutions such as Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Turin (2006), the Künstlerhaus Bethanien, Berlin (2008), HangarBicocca, Milan (2015), OGR, Grandi Officine Riparazioni, Turin (2017), Casa Italia, Pyeongchang (2018) and Maxxi, Rome (2018). In 2017 his work was selected by the Italian Council as part of the ZERO project presented in Rimini, Berlin and Bologna (2018). Foto - Photo Luca Ghedini

242


Welcome (2015), l’opera che Patrick Tuttofuoco ha realizzato per l’atrio di Pirelli Hangar Bicocca, è un lavoro site specific nato dall’invito di Achille Bonito Oliva a partecipare al progetto “L’albero della Cuccagna”. Un’occasione subito trasformatasi in spunto per riflettere sulle funzioni e il ruolo degli spazi “non espositivi” in un’istituzione dedicata all’arte contemporanea. Dopo una fase di condivisione con lo staff curatoriale l’artista ha proposto un progetto che, attraverso un segno semplice ma incisivo, ha modificato il contesto in cui si trova, ponendo, nella tradizione dell’arte pubblica, domande centrali sulla relazione tra l’opera, il luogo e la sua funzione sociale e culturale. Il neon verde che occupa l’intera lunghezza dell’atrio rappresenta le mani dell’artista nell’atto di mimare la parola “Welcome”, suggerita con un linguaggio dei segni liberamente ispirato a quello delle sottoculture giovanili, mentre un divano rivestito per l’occasione con una fantasia low-fi di animali selvaggi è un riferimento agli spazi espositivi a cui si sta per accedere come luogo e promessa dell’ignoto e dell’inesplorato. Sintetizzando diverse funzioni – segno visivo, dispositivo illuminante, luogo di ritrovo e di consultazione – Welcome sposta la gerarchia tra gli spazi e tra le funzioni delle opere in relazione a essi, riprendendo il filo di una storia dell’ibridazione tra arte, architettura e design che da sempre interessa il lavoro dell’artista. Tuttofuoco, che nella sua esperienza ormai quindicinale ha dimostrato di saper intercettare le vibrazioni dei contesti sociali, urbani e collettivi, disseminando spazi pubblici e privati con opere diventate nel tempo parte del paesaggio cittadino, con ha saputo ancora una volta dare identità a uno spazio di passaggio, trasformandolo in un luogo capace di accendere in chi vi entra la domanda invitante e sospesa dell’arte. Welcome (2015), produced by Patrick Tuttofuoco for the atrium of Pirelli HangarBicocca, is a site-specific work that came about following an invitation from Achille Bonito Oliva to participate in the project “L’albero della Cuccagna”. An opportunity that immediately inspired a reflection on the functions and role of “non-exhibition spaces” within an institution dedicated to contemporary art. After an initial period of discussion with the curatorial staff, the artist proposed a project which, through a simple but powerful symbol, would alter the environment in which it was located. In keeping with the tradition of public art, it posed key questions on the relationship between the work, the place, and its social and cultural function: What expectations do the public have when they visit a contemporary art exhibition? How do artists see exhibitions? How might “the inside” of a space located at the margins of the city interact with the territory which lies “outside”? The green neon light which occupies the entire length of the atrium represents the hands of the artist indicating the letters of the word “Welcome”, using hand gestures loosely inspired by those of youth subcultures. A sofa upholstered for the event in a rudimentary wildlife pattern introduces the impression that the exhibition space the visitor is about to enter is a place of discovery, promising the unknown and unexplored. Encompassing diverse functions – visual symbol, lighting device, place of meeting and dialogue – Welcome shifts the hierarchy between the spaces and between the functions of the works relating to these, resuming the theme of a history of the hybridization of art, architecture and design, which has always been a feature of the artist’s work. Tuttofuoco – who in his now fifteen years of experience has demonstrated an ability to detect the vibrations of social, urban and collective contexts, disseminating public and private spaces with works which over time have become a part of the urban landscape - has managed once again to give a space of passage an identity, transforming it into a place able to spark, in whoever enters, the alluring and unanswered question of art.

Giovanna Amadasi (2015)

243



CARLO VALSECCHI


CARLO VALSECCHI #0910 Amburgo, DE. 2012 2018 126,5 x 463,5 cm Ed. 1/5 Stampa C-print su plexiglass, dibond, cornice in legno - C-print on plexiglass, dibond, wooden frame Opera realizzata appositamente per doutdo - Work specially created for doutdo Sedi espositive - Exhibitions doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei “Il trittico è stato realizzato ad Amburgo nel grande quartiere portuale di HafenCity. Il lavoro è stato realizzato dal cantiere adiacente all’hotel dove alloggiavo. Ho aspettato il passaggio tra la luce del giorno e la notte che nel nord Europa è più lungo in termini temporali. Volevo una luce totalmente priva di direzione e relative ombre. L’immagine davanti a me era talmente forte e carica di lucentezza propria che sembrava quasi illuminata da sé, da dentro sé. Una sorta di omaggio alla pittura di Piero della Francesca, alla sua luce. Una tipologia di luce che, quando è possibile, cerco sempre di utilizzare perché permette di togliere molte informazioni, aiutando la mia ricerca volta a raggiungere ciò che ho visto”. CV “The triptych was created in the large fishing district of HafenCity in Hamburg. The work was created in the boatyard adjoining the hotel where I was staying. I waited for the light to pass from day to night, a passage which takes longer in Northern Europe. I wanted to capture a light without any direction or shadow. The image before me was so powerful, so imbued with its own radiance that it almost seemed to be illuminating itself, from an internal source. A kind of tribute to the paintings of Piero della Francesca, to the light he portrayed. I always try to harness that particular kind of light if I can because you can glean a lot of information from it, and it helps me in my attempts to capture what I see”. CV Donatore - Donor Carlo Valsecchi

246


247


Carlo Valsecchi è nato a Brescia nel 1965. Vive a lavora a Milano. Nel 1992 il suo lavoro è stato selezionato per la Biennale d’architettura di Venezia. Le sue fotografie sono state esposte in molte istituzioni di tutto il mondo, tra cui il Musée de l’Elysée, Losanna, 2009; il Museo MART, Rovereto, 2011; l’Ivorypress, Madrid, 2012; la Somerset House, Londra, 2013; la Walter Keller Gallery, Zurigo, 2013; il Museo della Merda, Piacenza, 2015; la Fondazione MAST, Bologna, 2015 e 2016; il Palazzo Da Mosto, durante “Fotografia Europea”, Reggio Emilia, 2015; l’Ex Ospedale dei Bastardini, durante la Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro, Bologna, 2017, il MMCA Seoul, Sud Corea, 2018; la Pinacoteca Nazionale di Bologna, 2019. Nel 2010, il libro “Lumen, Hatje Cantz”, 2009, è stato premiato con l’argento al Deutscher Fotobuchpreis, il premio tedesco per i migliori libri di fotografia dell’anno. Carlo Valsecchi was born in Brescia in 1965. He lives and works in Milan. In 1992 his work was selected for the Venice Biennale of Architecture. His photographs have been displayed in institutions all over the world: Musée de l’Elysée, Lausanne, 2009; the MART museum, Rovereto, 2011; Ivorypress, Madrid, 2012; Somerset House, London, 2013; Walter Keller Gallery, Zürich, 2013; The Shit Museum, Piacenza, 2015; MAST Foundation, Bologna, 2015 and 2016; Palazzo da Mosto, during the European Photography exhibition, Reggio Emilia, 2015; Ex Ospedale dei Bastardini during the Biennial of Photography of Industry and Work, Bologna, 2017; MMCA Seoul, South Korea, 2018; National Gallery of Bologna, Bologna, 2019. In 2010, his book “Lumen, Hatje Cantz”, 2009, won the Silver Award at Deutscher Fotobuchpreis, the German award for the best photobook of the year. Foto - Photo Robert Matza - Courtesy of the artist

248


La ricerca di Carlo Valsecchi si concentra sempre più sul come vedere che non sul cosa vedere e il trittico amburghese presentato in questa occasione ne è una plastica dimostrazione. La situazione è banale, quotidiana, un cantiere aperto, la finestra di un albergo, visioni e gesti apparentemente senza significato, in attesa di una luce che li trasformi in un’esperienza eccezionale. La materia inerte e confusa subisce una metamorfosi, diviene per l’appunto forma, e luce: composizione dal sapore minimale, sia per l’essenzialità delle figure geometriche che per la diffusione del bianco, tra pittura e scultura, Heizer e Ryman, ma con la memoria a Piero della Francesca. Ma se quella luce antica del Sud rivelava ed equilibrava, questa del Nord affoga e stravolge, poiché non son più tempi di certezze, ma di tentativi di avvicinarsi a un senso, almeno a quello del fare arte, per trovare ancora tra le immagini del mondo un tempo sospeso, fuori dalla contingenza. Una veduta che sappia diventare visione. Carlo Valsecchi’s research focusses increasingly on ways of looking at subject matter as opposed to the subject matter itself, as his plastic Hamburg triptych demonstrates. The setting – a construction site, a hotel window - is unextraordinary, mundane, but with the arrival of a certain type of light, seemingly insignificant sights and actions are transformed into an extraordinary spectacle. Vague, motionless forms undergo a metamorphosis, becoming form and light. The composition is minimalistic, both in the simplicity of its geometry and in the diffusion of white. The work blends painting and sculpture, Heizer and Ryman, but evokes the work of Piero della Francesca. But while the old light of the south was revelatory and equilibrating, this northern light brings saturation and distortion, because our present time is no longer marked by certainties but attempts to find meaning, or at least the meaning in making art. Attempts to find once again amongst the imagery of the world a suspended time, beyond contingency. A view capable of becoming a vision.

Walter Guadagnini (Aprile - April 2019)

249



NANDA VIGO


NANDA VIGO Home sweet home 2019 50 x 50 x 50 cm Opera unica - Unique work Scultura in marmo di Carrara. Rainbow in marmo giallo Siena, verde Prealpi e rosso Verona - Carrara marble sculpture. Rainbow made from yellow Siena, green Prealpi and red Verona marble Opera realizzata appositamente per doutdo - Work specially created for doutdo Sedi espositive - Exhibitions doutdo 2018-20 “La Morale dei singoli”, a cura di Andrea Viliani, 2019, Palestra Grande Scavi, Pompei doutdo 2018-20, in occasione di Arte Fiera 2020, Teatro Anatomico, Archiginnasio, Bologna Light track – Nanda Vigo 13/9/1983 Light è il sentimento delle stelle

Light is the path of the stars

Light è l’alfabeto cosmogonico per leggere le galassie

Light is the cosmogonic alphabet to read the galaxies

Light sono le rifrazioni degli specchi che rimandano labirintici sistemi di luce, per perdersi e per trovarsi

Lights are the refractions of mirrors that send back labyrinth-like systems of light, in which we lose and find ourselves again

Light è la terra, madre, nel quadrato perfetto, del centro di Cheope

Light is the earth, the mother, in the perfect Light square, of the centre of Cheops

Light è la svastica dei raggi di Ra costruttore di vita e di morte nella ruota luce cronotopica di un divenire luce

Light is the swastika of the rays of Ra constructor of life and death in the chronotopic wheel of a becoming light

Foto - Photo Barbara Jodice Donatore - Donor Nanda Vigo Produttore - Manufacturer Casone Group

252


253


Nanda Vigo (Milano 1936-2020) si laurea all’Institute Polytechnique di Lausanne. Dal 1959 inizia ad esporre le sue opere in gallerie e musei in Europa e in Italia; prende parte al Gruppo Zero oltre a collaborare con Gio Ponti e Lucio Fontana. Nel 1965 cura la leggendaria mostra “ZERO avantgarde” nello studio di Lucio Fontana a Milano. Nel 2014/2015 espone al Guggenheim Museum di New York, al Martin-Gropius-Bau di Berlino e allo Stedelijk Museum di Amsterdam nelle retrospettive dedicate a ZERO. Tra il 2015 e l’inizio del 2016 realizza diverse personali: “Affinità elette” al Centro San Fedele di Milano e in seguito alla Fondazione Lercaro di Bologna, “Zero in the mirror” alla Galleria Volker Dhiel di Berlino e al MAC di Lissone, oltre a quella più recente alla galleria Sperone Westwater di New York. Nanda Vigo (Milan 1936-2020). She graduated from the Institut Polytechnique in Lausanne. Since 1959 she has exhibited her work in galleries and museums in Europe and Italy. She is part of the Gruppo Zero and has also worked alongside Gio Ponti and Lucio Fontana. In 1965 she curated the legendary exhibition “ZERO avant-garde” in the studio of Lucio Fontana in Milan. In 2014/2015 she exhibited at the Guggenheim Museum in New York, at the Martin-Gropius-Bau in Berlin and at the Stedelijk Museum in Amsterdam in retrospectives dedicated to ZERO. Between 2015 and the beginning of 2016 she had various solo exhibitions entitled “Affinità elette” (Elective Affinities) at the Centro San Fedele in Milan and later at the Fondazione Lercaro in Bologna and “Zero in the mirror” at the Volker Dhiel Gallery in Berlin and at the Museum of Contemporary Art in Lissone. Her most recent exhibition was at the Sperone Westwater gallery in New York. www.nandavigo.com Foto - Photo Ruven Afanador

254


Per imperscrutabili disegni del Cosmo la parola Luce nella lingua degli Inglesi è uguale al Leggero. Così anche le cose, le opere che Nanda Vigo mette al mondo sono luminose e insieme leggere, fatte di luce e dei suoi riflessi, solo a volte congelati in stati più solidi, “di peso”, come nella Home Sweet Home marmorea che espone e dona a doutdo. Eppure, essere leggeri non vuol dire non essere coraggiosi e il coraggio a Nanda non è mai mancato, da quando giovanissima ha agito loro pari con i Fontana o i Ponti e poi da sola, donna contro corrente, sicura che la strada del disegno da lei scelta fosse quella giusta, forse l’unica possibile ma di certo la migliore di quelle possibili. Le sue opere ci guardano (anche questa “Casa Dolce Casa” che pare omaggiare le “Urformen” dell’abitare per l’amico Alessandro Mendini) o forse è Nanda che ci guarda attraverso esse: e riusciamo a reggere quello sguardo perché è quello stesso della bellezza, che mai fugge, sempre resta, non se ne va – anche dopo che noi ce ne siamo andati. By some mysterious design of the Cosmos, in English the word “Light” can mean both illumination and lightweight. So too the objects or works that Nanda Vigo brings into the world are both luminous and lightweight, composed of light and its reflections. Only occasionally are they frozen into something more solid, “weighty”, like Home Sweet Home, a work in marble which Vigo has exhibited and donated to doutdo 2019. But to be lightweight does not mean to be without courage courage is something which Nanda has never lacked, from the moment she began to work, at a very young age, first with the Fontana and Ponti of her generation and then independently, a woman against the current, confident that the path in design she had chosen was the right one, perhaps the only one possible but certainly the best one available. Her works observe us (“Casa Dolce Casa” too which seems to be a tribute to the “Urformen” of living for her friend Alessandro Mendini), or perhaps it is Nanda who observes us through the work: and we can handle the gaze because it is a glimpse of beauty itself, that never flees, always remains, never leaves – even after we have already left.

Stefano Casciani (Ottobre - October 2019)

255



RINGRAZIAMENTI


Nel pieno spirito solidale che caratterizza il progetto doutdo fin dal suo nascere tutte le collaborazioni sono prestate a titolo totalmente gratuito. COMITATO ORGANIZZATORE

È il Comitato principale con il compito di organizzare il progetto doutdo ogni due anni. Alessandra D’Innocenzo (Fondatrice e Presidente) Maurizio Marinelli (Art Direction) Nicola Bedogni (Fundraising e coordinamento attività) Nicola Martelli (Consulenza tecnologica)

COMITATO ARTISTICO

Ne fanno parte direttori di musei e autorevoli figure del mondo dell’arte contemporanea a garanzia dell’alta qualità artistica di doutdo. Lorenzo Balbi (Direttore MAMbo – Museo Arte Contemporanea Bologna), Gloria Bartoli (Vice Direttore Artistico Arte Fiera – Bologna), Eva Brioschi, Laura Carlini Fanfogna (Direttore Servizio Musei e Biblioteche – Trieste), Aldo Colella, Enrico Fornaroli (Direttore Accademia di Belle Arti – Bologna), Margherita Guccione (Direttore MAXXI Architettura – Roma), Anna Manfron (Direttrice Istituzione Biblioteche – Bologna), Gianfranco Maraniello (Direttore MART – Museo Arte Contemporanea – Trento), Giovanna Molteni (Architetto, designer), Cristiana Perrella (Direttore Centro Pecci – Prato), Elena Rossoni (Direttore Pinacoteca Nazionale – Bologna), Mario Scalini (Direttore Polo Museale – Bologna), Laura Valente (Presidente Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee – Napoli).

COMITATO SCIENTIFICO

È composto da personalità provenienti dal mondo accademico e istituzionale con il compito di offrire le proprie riflessioni sul tema “La morale dei singoli”. Matteo Caroli (Direttore CERIS – Centro Ricerche Internazionali sull’Innovazione Sociale, Roma), Pier Paolo Forte (Docente di Diritto Amministrativo e Istituzioni di Diritto Pubblico), Domenico De Masi (Sociologo), Roberto Grandi (Presidente Istituzione Bologna Musei), Sebastiano Maffettone (Docente di Filosofia Politica), Massimo Osanna (Direttore Generale Soprintendenza Pompei), Eugenio Sidoli (Consigliere Istituzione Bologna Musei), Vera Negri Zamagni (Presidente Associazione Amici della Fondazione Hospice MT. Chiantore Seràgnoli), Stefano Zamagni (Docente di Economia Politica).

258


ARTISTI Meris Angioletti, Elisabetta Benassi, Eduardo Cardozo, Loris Cecchini, Fabrizio Cotognini, Cuoghi Corsello, Dado, Alberto Di Fabio, Roberto Fassone, Flavio Favelli, Giovanni Gastel, Mimmo Jodice, Julia Krahn, Andrew Leslie, Alessandro Mendini, Fulvia Mendini, Marzia Migliora, Nino Migliori, Maurizio Nannucci, Moataz Nasr, Katja Noppes, Giovanni Ozzola, Simone Pellegrini, Gianni Pettena, Thomas Ruff, Pietro Ruffo, Sissi, Alessandra Spranzi, Alberto Tadiello, Joe Tilson, Patrick Tuttofuoco, Carlo Valsecchi, Nanda Vigo.

GALLERIE Galleria Enrico Astuni, Bologna; Galleria Continua, San Gimignano, Beijing, Les Moulins, Habana, Roma, Sao Paulo; Galleria Umberto Di Marino, Napoli; Die Galerie, Frankfurt am Main; Galleria Otto Zoo, Milano; P420, Bologna; Galleria Lia Rumma, Milano/Napoli; Gallería Sur, Montevideo; Galleria Vistamare/Vistamarestudio, Pescara/Milano.

CURATORI – PER I TESTI CRITICI DELLE OPERE Giovanna Amadasi, Lorenzo Balbi, Lorenzo Benedetti, Riccardo Boglione, Beatrice Buscaroli, Stefano Casciani, Francesco M. Cataluccio, Fulvio Chimento, Tristana Chinni, Emanuele Crotti, Davide Ferri, Elio Grazioli, Walter Guadagnini, Ruark Lewis, Mattia Lombardo, Gianfranco Maraniello, Marco Marinacci, Ilaria Mariotti, Guido Molinari, Cristiana Perrella, Gianni Pettena, Annika Pettini, Stefano Pezzato, Maura Pozzati, Gianluca Riccio, Philip Rylands, Antonello Tolve, Daniela Zangrando.

MOSTRA DOUTDO “LA MORALE DEI SINGOLI” A POMPEI Curatore: Andrea Viliani Allestimenti: Mario Cucinella Architects

PER IL CATALOGO Nicla Sportelli (Schede Artisti e Impaginazione) Cecily Siobhan Coates e John Patrick Leech (Traduzione schede artisti e poesia di Davide Rondoni) Labanti & Nanni (Stampa) Legatoria Carfi (Rilegatura)

259


HANNO SOSTENUTO DOUTDO 2018-2020 DONATORI Peter Femfert e Stefania Canali, Elisa Mendini, Fulvia Mendini.

PRODUTTORI – PER LA FORNITURA DI MATERIALI E PER LA REALIZZAZIONE GRATUITA DELLE OPERE Argomenti Tessili (Bologna), Autodemolizioni Vandelli (Bologna), Casone Group (Massa Carrara), Gilli (Bologna), Image Service (Milano), Leonardo srl (Bologna), In-Novo (Bologna), Maccagnani Ferro (Bologna), MBM Biliardi (Roma), MetalCarp di Giuseppe Casillo (Bologna), Pimar (Lecce), Plexiglass by Scrambled Design (Bologna), Ricci Marmi (Ravenna).

SERVIZI Autoadesivi Magri, BF Servizi, Bunker, Camst, Cleto Chiarli, Gabriele Corni, Frassinago Gardens and Landscapes, Google Arts&Culture, Gregoletto, Istituto Alberghiero P. Artusi, Kobalt Entertainment, Laboratorio delle Idee, Lucifero’s, Mario Cucinella Architects, Publierre, Quinti, Slow Food Veneto, Tenuta Santa Croce, Untitled Association, Vitruvio Virtual Museum, ZooPack.

SEDI Accademia di Belle Arti Bologna, Archiginnasio, Arte Fiera, Bologna Residences, Galleria Astuni, MAMbo, Palazzo d’Accursio, Parco Archeologico di Pompei, Peggy Guggenheim Collection.

SI RINGRAZIA Cristiana e Vittorio Alpi, Atelier Mendini, Gianluigi Baccolini, Roberto Bartolomei, Francesca Buscaroli Gianaroli, Gabriella Castelli, Carlo Casti, Glauco Cavaciuti, Giorgio Chiarli, Confindustria Emilia Area Centro, Mario Cucinella, Adele D’Arcangelo, Alvise di Canossa, Elena Di Gioia, Gianmarco Gamberini, Gianni Gamberini, Patrizia Gamberini, Alessandro Guerriero, Antonio Iascone, Barbara Jodice, Massimo Minini, Valeria Monti, Philip Morris Italia, Licia Reggiani, Silvana Spinacci, Antonietta Zoffoli. Inoltre ringraziamo per la collaborazione: Ceramica Gatti 1928 (Faenza), Culturalia (Bologna), GL Neon (Bologna), Il Quadrifoglio Comunicazione (Milano), Ristorante President (Pompei), Spazio 81 (Milano).

260


Custodia, conservazione e restauro di beni di pregio

Camst group società di ristorazione e facility services

Sede legale - 40013 CASTEL MAGGIORE (Bologna) Via Fratelli Rosselli, 35 - Tel. 051/ 70.00.25 - Fax 051/ 70.17.21

INDUSTRIE GRAFICHE E CARTOTECNICHE

261


PER ALESSANDRO MENDINI

“In un felice giorno di sole a Milano incontrai un uomo a cui mi legai da un filo invisibile, destinato. Alessandro, grazie con tutto il cuore per la partecipazione, l’aiuto gentile e disinteressato, rivolto in tutti questi anni a DOUTDO, il tempo felice che mi hai dedicato, per il tuo insegnamento fatto di sorrisi e silenzi capaci più di tante parole. Il tuo precetto è un regalo che custodirò gelosamente per tutta la mia esistenza. Grazie perché mi hai fatto capire che valeva la pena continuare, nonostante tante difficoltà, giocare in questa meravigliosa e generosa avventura. A volte, nel dubbio di una scelta, mi chiedo cosa e come avresti ragionato, agito, risolto. Pensa, sento perfino l’inconfondibile tono della tua voce. Questa logica mi fa trovare ancora la giusta risposta alla soluzione, noi sappiamo che esiste sempre. Mi hai lasciata a metà della quarta Opera, ma ti sento ancora con me”.

Alessandra D’Innocenzo

“Ricordare Alessandro Mendini vuol dire osservare tutta la sua ricerca come un universo di normali meraviglie in viaggio attraverso la storia e i linguaggi; come un’isola abitata da un’infinita varietà di oggetti che, svelandoci un orizzonte ignoto e familiare, ritaglia nel perimetro delle nostre fantasie quotidiane il solo spazio per un’utopia ancora percorribile”.

Gianluca Riccio e Arianna Rosica

262

Alessandro Mendini Collezione Peggy Guggenheim 11 maggio 2018


“Non so se conosco veramente Sandro... Con i suoi oggetti ha ripeuto all’infinito se stesso ma anche se stesso come somma di individui, in costante insistenza autobiografica dove però il reale, la sua vita vera, penso, sia in pieghe misteriose. I suoi luoghi del pensiero sono divisi per pagine, per piccoli quadrati, per rettangoli e cerchi e prospettive improbabili. La somma di frammenti delle architetture, degli edifici, le ossessioni, le frasi, i rumori, gli amori, le geometrie tridimensionali, sono in una totale contemporaneità del tutto, in un labirinto non finalizzato. Tutto dentro la violenza del mondo in quanto luogo fisico. Mi viene in mente la biblioteca di Borges che contiene tutte le possibili combinazioni di 25 simboli ortografici, così che non si possa immaginare alcuna combinazione di caratteri che la biblioteca non abbia previsto. Quello era l’antico sogno dei cabalisti, perché solo combinando all’infinito una serie finita di lettere si poteva sperare di formulare un giorno il nome segreto di dio. Lui non avrebbe mai fatto un inventario di se stesso. Lui non accetterebbe di essere un oggetto ricordo nel museo della soggettività. Chi potrebbe descrivere il suo scollamento dal mondo: Cole Porter, Raymond Queneau, Andrè Breton, Luigi Serafini? Chi è testimone della sua finzione biografica: Umberto Eco, Thomas Pavel, Paul Guldin? Adesso se smontiamo ogni suo pezzo, lo analizziamolo, lo rimpiccioliamolo, ingrandiamolo, dipingiamolo, didascaliamolo... e poi, con Alessandra, proviamo a rimontare tutto in mille metri quadri nella vertigine e nel desiderio di avere, forse, una piccola verità”.

Alessandro Guerriero

263


ASSOCIAZIONE AMICI DELLA FONDAZIONE HOSPICE MT. CHIANTORE SERÀGNOLI Bologna T +39 051 271060 amici@FondazioneHospiceSeragnoli.org www.FondHS.org/amici Facebook.com/AmiciHospiceSeragnoli Youtube.com/AmiciHospice www.HospiceSeragnoli.org DOUTDO 2018-2020 ©2021 Associazione Amici della Fondazione Hospice e aventi diritto Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. All rights reserved, no part of this publication may be reproduced in any form or by any means without the prior permission in writing of the publisher. Stampato nel mese di gennaio 2021 da – Printed in january 2021 by LABANTI & NANNI Viale Marconi, 10 – 40011 Anzola Dell’Emilia, Bologna T +39 051 969262 www.labantienanni.it


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.