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I TRE PILASTRI FONDAMENTALI DELLA SOSPIRATA RIFORMA DEL TERZO SETTORE ITALIANO
La Fondazione Hospice e il territorio: un legame sempre più forte e fecondo
Il punto di vista dell’Operatore Socio Sanitario in Hospice
S O M M A R I O EDITORIALE
LA “SUSSIDIARIETÀ CIRCOLARE”: UN CONCETTO ETICO E UN MODELLO ASSISTENZIALE DA PERSEGUIRE E CONSOLIDARE di Vera Negri Zamagni
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I TRE PILASTRI FONDAMENTALI DELLA SOSPIRATA RIFORMA DEL TERZO SETTORE ITALIANO di Stefano Zamagni
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Si può rispondere alla sofferenza? Riflessioni della Fondazione Hospice sulle Cure Palliative di Jenny Bertaccini
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Nuove borse di studio per Asmepa di Simona Poli
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APPROFONDIMENTI
La Fondazione Hospice e il territorio: un legame sempre più forte e fecondo di Nicla Sportelli
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I NOSTRI EVENTI
Do ut do al MAXXI e al MADRE
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APPROFONDIMENTI
Il punto di vista dell’Operatore Socio Sanitario in Hospice di Jenny Bertaccini, Myrta Canzonieri
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RINGRAZIAMENTI
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HOSPES Periodico della Fondazione Hospice MT. C. Seràgnoli Onlus Anno 9 Numero 20 - II/2014 Direttore Editoriale Vera Negri Zamagni
Direttore Responsabile Giancarlo Roversi Coordinamento editoriale Simona Poli Progetto grafico Humus Design
Stampa Digigraf
Stampato su carta con fibre riciclate
EDITORIALE
LA “SUSSIDIARIETÀ CIRCOLARE”: UN CONCETTO ETICO E UN MODELLO ASSISTENZIALE DA PERSEGUIRE E CONSOLIDARE Cari amici, ricordavamo nello scorso numero della nostra rivista che il modello di produzione di servizi alla persona che si basa sulla partecipazione della società civile e delle imprese a fianco dello Stato (modello di sussidiarietà circolare) è superiore a quello esclusivamente statalistico, perché mobilita le capacità progettuali diffuse nella società civile e l’efficienza delle imprese accanto all’universalismo tipico del pubblico. Anche in questo numero, ne abbiamo ampia conferma sia nella bella testimonianza di Giancarlo Odorico, un operatore sanitario che lavora presso l’Hospice Bellaria, sia nell’intervento della non profit Filo Diretto Onlus, che ha aggiunto alle sue molte attività anche il finanziamento di alcune borse di studio destinate agli studenti del nostro Master. Ma le sinergie dei tre soggetti che promuovono qualità e tempestività degli interventi a conforto dei malati degli Hospice, così come a sostegno di tutti coloro che hanno bisogno di assistenza, si possono dispiegare al meglio solo se sono supportate da una legislazione adeguata e lungimirante. Nell’articolo sul progetto di riforma del Terzo Settore si apre una grande speranza che il nuovo governo voglia affrontare una revisione generale e organica del volontariato e dell’impresa sociale, comprese la loro stessa definizione e le loro forme di finanziamento. L’urgenza dell’intervento è grande, perché abbiamo in vigore leggi ormai datate e troppo settoriali. Se la riforma andrà in porto, la valorizzazione di tutti coloro che amano dedicarsi ad attività di sollievo del prossimo non potrà che venirne potenziata, con soddisfazione di tutti. Buona lettura! Vera Negri Zamagni* (*) Presidente Associazione Amici della Fondazione Hospice MT. C. Seràgnoli
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I tre pilastri fondamentali della sospirata riforma del terzo settore italiano di Stefano Zamagni Il recente annuncio del Presidente Renzi di voler porre mano in tempi rapidi alla riforma strutturale del nostro Terzo Settore non può che dare gioia a tutti coloro – e sono ormai una schiera in Italia – che da tempo vanno sottolineando l’urgenza di transitare dal modello di ordine sociale bipolare (Stato e Mercato) a quello tripolare (Stato, Mercato, Società civile organizzata). Non si può, infatti, continuare a ragionare in termini della dicotomia pubblico-privato; bisogna affrettarsi ad ammettere che c’è pure il civile che attende di essere riconosciuto quale forza strategica per il progresso sia culturale sia socio-economico del Paese. Mai si potrà dare vita ad un welfare generativo, in sostituzione dell’obsoleto e non più sostenibile welfare state, e mai si potrà realizzare il progetto di civilizzare il mercato se non si mettono in campo le energie e le passioni di quei soggetti che ancora ci ostiniamo a chiamare, in modo autolesionistico, Terzo Settore. Quali devono essere, allora, i pilastri della annunciata riforma? Ne indico tre, quelli che ritengo veramente fondativi. Il primo concerne il superamento del c.d. regime concessorio. Si deve sapere che il Libro I, Titolo II del nostro Codice Civile è, a tutt’oggi, ancora quello del 1942, quando il Codice stesso venne approvato. I libri dal II al V dello stesso vennero successivamente modificati, anche radicalmente, ma mai il Libro I, Titolo II. Il principio ispiratore di questa parte del Codice Civile è che è l’ente pubblico – centrale o locale che sia – a concedere l’autorizzazione a fondazioni, associazioni e comitati ad operare e quindi ad esistere. Si tratta di un principio che è contrario allo spirito, oltre che alla lettera, della nostra Carta Costituzionale del 1948. Eppure, in quasi settant’anni, nessuno ha mai ritenuto di sollevare la questione di incostituzionalità. Oggi, siamo nella condizione di sanare la grave aporia,
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sancendo il principio di riconoscimento: l’ente pubblico riconosce – non concede – quanto esiste nel tessuto della società civile e, naturalmente, fissa le regole del gioco, badando di farle rispettare con un adeguato sistema di controlli. Per afferrare la portata di quanto è in gioco, valga un solo esempio. A tutt’oggi, è la Prefettura a decretare la venuta in esistenza di una Fondazione. Ora, dato che assai ampi sono i margini di discrezionalità della decisione, può succedere che un medesimo statuto venga approvato in un luogo e non in un altro. Il secondo pilastro è quello che dovrà distinguere, una buona volta, il no-profit dal non-profit. La confusione di pensiero che ancora regna sovrana in Italia – complice una certa stampa, anche blasonata, che fa disinformazione al riguardo – è all’origine di non poche incomprensioni e parecchie incongruenze normative. “No-profit” significa “vietato realizzare profitti”, cioè realizzare attività commerciali di qualunque tipo. “Non-profit” significa invece che il profitto (eventualmente) realizzato non può essere distribuito tra coloro che hanno concorso alla sua produzione, ma reimpiegato nell’attività dell’organizzazione oppure destinato a finalità di utilità
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soggetto d’impresa, e quindi essere capace di innovazione sociale, esso deve poter accedere a fonti di finanziamento che gli consentano non solo l’autonomia d’azione, ma soprattutto l’indipendenza di giudizio. Come tutti sanno, finora la fonte di finanziamento prevalente è stata quella dei fondi pubblici – convenzioni, gare di appalto al massimo ribasso e simili, sono stati gli strumenti privilegiati. Ne conosciamo le conseguenze nefaste, la più grave delle quali è stata la pratica difficoltà di far nascere una vera e propria imprenditorialità sociale. Abbiamo tanti ottimi e generosi operatori sociali, ma pochi imprenditori sociali, capaci di innovare assumendosene i rischi. Si tratta allora di consentire il decollo dell’equity crowdfunding dal momento che il semplice crowdfunding non basta più; degli strumenti finanziari etici; dei titoli di solidarietà; dell’assegnazione di immobili pubblici inutilizzati e dei beni immobili e mobili confiscati alla criminalità organizzata, fino ad arrivare ad una vera e propria Borsa sociale. Vado a concludere. La sfida che la riforma del Terzo Settore deve saper raccogliere (e vincere) è quella, per un verso, di dare ali al principio di sussidiarietà circolare – la sussidiarietà verticale e quella orizzontale non sono sufficienti, pur restando necessarie – e per l’altro verso quella di favorire tutte quelle forme di ibridazione tra enti for profit e enti non profit dalle quali dipende, in buona parte, la fuoriuscita del nostro Paese dall’attuale asfissiante e avvilente situazione. 5
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sociale. Espressione tipica e alta della prima categoria di soggetti è quella del volontariato e di certe associazioni di promozione sociale; espressione notevole della seconda categoria sono le cooperative sociali, le imprese sociali, le fondazioni che producono servizi alla persona. Si deve sapere che l’Italia è famosa nel mondo per aver “inventato” il non-profit produttivo. L’idea e il lancio delle cooperative sociali sono frutto del genius loci italiano – le prime cooperative sociali nascono nel bresciano agli inizi degli anni 70 del secolo scorso, anche se la legge di settore verrà promulgata nel 1991. È pertanto evidente che l’impianto normativo del non profit non può essere un adattamento e/o un rafforzamento di quello del no-profit. È questo errore categoriale la causa degli spiacevoli casi di malpractice, puntualmente denunciati dalle Agenzie Regionali delle Entrate e dalla Magistratura. Ma la responsabilità prima di questi casi ricade su chi legifera in astratto senza tener conto della realtà effettuale. Infine, il terzo pilastro chiama in causa la dimensione propriamente finanziaria dei soggetti della società civile organizzata. Mentre al no-profit può bastare la filantropia d’impresa (corporate philanthropy), un fund raising potenziato, il 5 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, oltre ovviamente alle varie forme di fiscalità di vantaggio, è evidente come tutto ciò non può bastare al non profit come sopra specificato. Infatti, se quest’ultimo deve operare in modo sistematico come
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Si può rispondere alla sofferenza? Riflessioni della Fondazione Hospice sulle Cure Palliative di Jenny Bertaccini
Parlare di Cure Palliative oggi significa affrontare un tema difficile che molto spesso non trova spazio sui mezzi di informazione e nei luoghi deputati al dibattito. Per portare al centro della riflessione argomenti come il dolore, le malattie inguaribili e spiegare come questi momenti complessi possano essere affrontati, la Fondazione Hospice Seràgnoli e l’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa (ASMEPA) hanno organizzato il 29 maggio a Roma presso la Casa del Cinema l’incontro “Si può rispondere alla sofferenza?”. La domanda, posta ai relatori e al pubblico presente, ha indirizzato la discussione ponendo un interrogativo profondo che costituisce il fulcro degli obiettivi assistenziali e formativi di Fondazione Hospice Seràgnoli e ASMEPA, e che ha suscitato una stimolante discussione con interventi di alto profilo. L’evento, moderato dalla dottoressa Livia Azzariti, medico anestesista nonché nota presentatrice di programmi di interesse socio-sanitario, si è articolato su tre livelli, accuratamente connessi tra loro. Una prima parte introduttiva ha disegnato una panoramica sullo stato attuativo della Legge 38 sulle Cure Palliative da parte del Ministero, tramite l’intervento di Marco Spizzichino; Adriana Turriziani, Past President della SICP, ha delineato i risultati raggiunti e le sfide che ancora si pongono per la diffusione delle Cure Palliative, infine Monica Beccaro, responsabile di ASMEPA, ha descritto le attività assistenziali, di formazione, di ricerca e di divulgazione della Fondazione Hospice Seràgnoli e delle sue strutture operative.
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La seconda sessione ha lasciato il posto a grandi interpreti del pensiero contemporaneo che hanno dibattuto l’argomento della sofferenza sotto diversi aspetti: Remo Bodei ha tratteggiato un excursus storico sull’ambivalente complicità tra dolore e conoscenza nella cultura occidentale, concludendo con una citazione, attribuita a Galeno o a Ippocrate: “è opera divina alleviare il dolore”. Umberto Galimberti ha proseguito su questo piano storico-filosofico effettuando un confronto tra la percezione del dolore e della morte nella tradizione greca e in quella cristiana. La nostra cultura e scienza medica, ammette Galimberti, è proiettata verso un futuro fatto di progresso senza limite, che spesso dimentica l’inevitabilità della fine. Pur considerando le sue grandi conquiste, la medicina rischia di ridursi a tecnica che guarisce l’organismo perdendo di vista il corpo vissuto del paziente, per cui “la medicina stenta a recuperare la dimensione esistenziale della vita del paziente”, mentre la medicina palliativa tende a riconoscere la dimensione globale del paziente, corporale, psicologica, esistenziale e sociale. Anche il sociologo Nadio Delai si è inserito in quest’ottica individuando alcuni fattori, approfonditi nel testo appena pubblicato da ASMEPA edizioni “Applicabilità politica e sociale di un cura etica”, che ampliano lo scarto tra la medicina che guarisce l’organo e la medicina che vuole prendersi cura della persona nella sua interezza. Recuperare la cultura del limite e riconoscere il ruolo delle Cure Palliative aiuta la medicina a rendere concretamente applicabile il concetto di “prendersi cura” come approccio alla persona e non solo al sintomo, concetto che, sottolinea Delai, “la Fondazione Hospice Seràgnoli fin dall’inizio ha cercato di far divenire prassi assistenziale, oltre che teorizzarlo”. Infine, Pier Luigi Celli ha chiuso la seconda parte con una
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Umberto Galimberti
Giacomo Campiotti
Nadio Delai
Remo Bodei
riflessione molto personale e toccante sull’importanza delle Cure Palliative nel loro farsi carico, non solo del dolore fisico della persona malata, ma della sua sofferenza totale e del ruolo, che un buon hospice deve avere, in termini di organizzazione, équipe competenti e accompagnamento del paziente perché “un significato lo si può trovare nel luogo e nel contesto che lo accompagna dignitosamente alla fine”. La giornata si è conclusa con la testimonianza di Giacomo Campiotti, regista del recente successo “Braccialetti rossi”, la fiction Tv che racconta l’amicizia e la vita di alcuni ragazzi all’interno del reparto di Pediatria. In quest’occasione è stato proiettato un montaggio video con i momenti più interessanti e commoventi della serie, il cui significato è tutto racchiuso nel titolo della sigla “Io non ho finito”, a ricordare che la vita non si ferma con la malattia. Come spiega il regista, “Il cinema ha la grande possibilità di raccontare adottando cornici e punti di vista diversi e questo può cambiare tutto. Il nostro punto di vista non si è focalizzato esclusivamente sulla malattia,
perché questi ragazzini, oltre che essere malati sono anche mille altre cose: sono giovani che si innamorano, creano i gruppetti di amici, fanno “cavolate”, insomma continuano ad avere la loro vita. Questo significa cambiare il punto di vista e uscire dal ruolo del malato per porre l’attenzione su altre cose che caratterizzano l’esistenza, anche nel percorso di malattia. I ragazzini della fiction sono percepiti dal pubblico come eroi per la loro voglia di vivere, per il loro continuare ad andare avanti nonostante il timore della morte. Il viaggio non è finito, perché il successo di questa fiction ha influito – e continua a farlo – nella società civile, perché ha suscitato attenzione nei ragazzi, nelle scuole e negli ospedali, portando anche tanta speranza. La mia esperienza mi ha fatto poi incontrare tantissimi eroi, tantissimi “braccialetti rossi” in Italia. Esistono inevitabilmente gli ostacoli insieme al timore della morte, ma ci sono ancora le opportunità e c’è ancora vita, quindi c’è ancora molto da fare.”
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Solidarietà e responsabilità sociale d’impresa
Nuove borse di studio per Asmepa di Simona Poli
Andranno ad accrescere le competenze dei professionisti dell’Hospice Pediatrico come spiega Rossella Rossi, marketing manager Gruppo Filo Diretto Il Gruppo Filo Diretto operante dal 1987, propone a utenti business e consumatori finali polizze assicurative e servizi di assistenza innovativi in diversi ambiti quali i viaggi e il turismo, auto, salute, casa e famiglia. Nel 2002 è stata costituita Filo Diretto Onlus, organizzazione non profit a sostegno dell’impegno sociale del Gruppo che promuove e finanzia progetti e iniziative di solidarietà tra cui quella della Fondazione Hospice Seràgnoli. Intervistiamo Rossella Rossi, Marketing Manager del Gruppo.
Quali sono i motivi che vi hanno spinto a sostenere le borse di studio dell’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa? Filo Diretto Onlus nasce nel 2002 proprio con la mission di aiutare i bambini in difficoltà e le loro famiglie. È un ente non profit con una natura particolare perché generalmente sono i nostri collaboratori che propongono progetti di solidarietà attraverso le loro relazioni e interessi. Ad esempio in Africa abbiamo ultimamente sostenuto una casa di accoglienza e un centro rurale di salute perché un nostro collega conosceva una cooperatrice internazionale attiva in Tanzania. In questo modo abbiamo un contatto diretto con le realtà che operano sul territorio e sono gli stessi nostri
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dall’esperienza della malattia, consentendo loro di vivere una vacanza all’insegna dell’allegria e del divertimento. Nell’ambito di questo che noi definiamo “Progetto Vacanza”, Filo diretto interviene direttamente in tutte le fasi dell’organizzazione viaggio e della gestione di ogni eventuale inconveniente. Siamo infatti in contatto tramite il nostro call center con i medici di riferimento di ogni bambino e qualora ci fossero problemi li contattiamo prontamente anche perché nostro personale volontario – al quale l’azienda riconosce l’impegno come lavorativo – è presente durante la vacanza proprio per far fronte a qualsiasi loro esigenza.
Che ruolo svolge all’interno di Filo Diretto la responsabilità sociale d’impresa e in quali ambiti si indirizza? In Filo Diretto la responsabilità sociale d’impresa è presente anche nell’oggetto sociale perchè il Gruppo nasce come società di assistenza in prima battuta e poi come compagnia assicurativa a tutto campo. Aiutiamo chi sta poco bene nel cuore della notte o all’estero o prestiamo soccorso a chi rimane in panne con l’auto. Abbiamo iniziato nel ramo assistenziale, sviluppando una centrale operativa con un call center e medici disponibili 24 ore su 24 che rispondono a diversi tipi di emergenze. Questa vocazione, unita alla forte volontà della Direzione di essere presente nel sociale, ci ha portato a scegliere progetti che possiamo sostenere anche in ambiti dove siamo in grado di fornire un supporto fattivo. Ed anche quest’anno, per il dodicesimo anno consecutivo, Filo diretto Onlus donerà a 22 piccoli pazienti di quattro importanti strutture sanitarie milanesi una settimana di vacanza presso un villaggio vacanza in Calabria con l’obiettivo di regalare ai piccoli malati un momento di distacco
Filo Diretto sostiene altre realtà non profit? Sono molti i progetti di solidarietà a cui partecipiamo in tutto il mondo, ultimamente nell’ambito dell’oncoematologia pediatrica abbiamo sostenuto diverse istituzioni attive all’interno dell’ospedale San Gerardo di Monza. Abbiamo contribuito all’acquisto di un macchinario indispensabile per capire il tasso della recidiva ad un certo punto della terapia e per definire gli interventi successivi. Oltre all’ospedale di Monza, di questa macchina hanno usufruito altri ospedali e in programma abbiamo anche un finanziamento a sostegno della costruzione del nuovo edificio accanto all’ospedale San Gerardo che sarà interamente dedicato alla ricerca e alla cura della Leucemia infantile. Con il sostegno all’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa, ci è sembrato di chiudere il cerchio in un ambito che molto spesso è poco conosciuto e difficile da comunicare.
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collaboratori a proporsi come volontari e a far da ponte tra la onlus e il progetto. Negli anni il bacino di utenza si è allargato, così quando abbiamo conosciuto le attività svolte dalla Fondazione Hospice Seràgnoli ci è sembrato assolutamente in linea con i nostri obiettivi sostenere le borse di studio che andranno ad accrescere le competenze dei professionisti dell’Hospice Pediatrico. Si tratta di un progetto di altà umanità degno della massima attenzione per l’importanza del ruolo che sono chiamati a svolgere le persone che lavorano nell’Hospice pediatrico, in un contesto estremamente delicato e umanamente molto impegnativo.
APPROFONDIMENTI
Pubblicato il Bilancio di Missione 2013
La Fondazione Hospice e il territorio: un legame sempre più forte e fecondo Il resoconto delle attività svolte nell’ambito dell’assistenza, ricerca e formazione nel corso del 2013 di Nicla Sportelli
La Fondazione Hospice Seràgnoli ha presentato a luglio la settima edizione del Bilancio di Missione che rappresenta uno strumento di rendicontazione indispensabile per alimentare il rapporto di continuità e fiducia con i propri interlocutori istituzionali e con i cittadini. Ascoltando i bisogni del territorio, infatti, sono state orientate le attività di assistenza, formazione, ricerca e divulgazione del 2013 e si sono tracciate le linee strategiche per l’anno 2014. In risposta ad un aumento della domanda di ricovero negli Hospice, dovuta anche a un migliore e più esteso rapporto con i reparti ospedalieri e gli specialisti, la Fondazione ha indirizzato il lavoro di équipe dello staff multidisciplinare verso una maggiore efficienza ed efficacia portando ad una sensibile riduzione dei tempi di attesa. È inoltre cresciuto il numero degli ospiti dimessi confermando l’importanza di una presa in carico anticipata che comporta l’accoglienza dei pazienti nelle prime fasi della patologia, quando la capacità di incidere sui sintomi e sulla qualità di vita è più alta. Seguendo il medesimo principio, nel 2013 la Fondazione ha strutturato ulteriormente l’attività ambulatoriale negli Hospice Bentivoglio, Bellaria e Casalecchio predisponendo professionisti dedicati a seguire i pazienti e le famiglie sin dall’inizio della malattia,
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quando il ricovero non è ancora necessario. Passi in avanti si sono infine compiuti per concretizzare la realizzazione dell’Hospice Pediatrico, progetto caratterizzato dal binomio assistenza e ricerca, profondamente coerente con il modello della Fondazione Hospice nelle cure pediatriche. Questa iniziativa di livello regionale è in linea con la Legge 38/2010 sulle Cure Palliative, secondo cui bisogna offrire il diritto ad una terapia del dolore anche ai piccoli pazienti affetti da malattie inguaribili, croniche e ad alta complessità assistenziale, per migliorare le loro condizioni di vita e quelle di tutta la famiglia. In merito alla formazione e alla ricerca, la Fondazione Hospice, attraverso l’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa (ASMEPA), sede di confronto sulle cure palliative ormai riconosciuta dalla comunità, ha aumentato la propria offerta per rispondere alla richiesta di continuo aggiornamento e di un’educazione specifica in ambito palliativista. Come si può leggere dal Bilancio 2013, ASMEPA ha arricchito il proprio ventaglio di proposte: per quel che riguarda la formazione universitaria, oltre a proporre la VII edizione del Master in Medicina Palliativa e la II edizione del Corso di Alta Formazione Universitaria in Cure Palliative Pediatriche, ha introdotto il Master Internazionale di Alta Formazione
APPROFONDIMENTI
La versione integrale del bilancio di missione 2013 è disponibile online al seguente indirizzo: www.fondhs.org/bilancio
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Per saperne di più
e Qualificazione in Cure Palliative dedicato esclusivamente ai medici che intendono perfezionarsi in questo settore e ha potenziato anche l’offerta di formazione specialistica accreditata ECM seguita da un numero sempre più crescente di discenti. Per quel che riguarda la ricerca, ASMEPA ha stretto rapporti di collaborazione con i principali centri nazionali e internazionali con la convinzione che i progetti di ricerca siano fondamentali per dare un contributo importante alla conoscenza e alla sperimentazione di pratiche cliniche e di modelli organizzativi nel tentativo di migliorare i servizi assistenziali per i pazienti con malattie inguaribili. Infine, per cercare di colmare alcuni gap culturali che riguardano la comunicazione medico-paziente, in particolar modo all’interno del contesto della malattia inguaribile, la Fondazione Hospice, tramite ASMEPA Edizioni, ha pubblicato il volume della Collana PalliAttiva “Comunicare e curare” che si può considerare un primo tentativo per aprire la strada al dibattito e all’insegnamento della materia. Dalla lettura del Bilancio di Missione emerge dunque chiaramente quanto l’ascolto della comunità, delle Istituzioni e dei cittadini, la capacità di saper leggere i bisogni emergenti e intuire quelli latenti, siano fattori indispensabili perché la Fondazione Hospice possa svolgere al meglio la propria missione di presa in carico dei pazienti con malattie inguaribili e delle famiglie all’interno di un circolo virtuoso tra assistenza, formazione, ricerca e divulgazione delle cure palliative che contribuisce a caratterizzare il modello della Fondazione in continua evoluzione verso livelli di eccellenza più elevati nel costante rispetto della sostenibilità economica.
I NOSTRI EVENTI
MAXXI /Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo
MADRE /Museo di Arte Contemporanea Donnaregina
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I NOSTRI EVENTI
Do ut do al MAXXI e al MADRE Nel mese di maggio do ut do 2014 Design per Hospice ha fatto tappa al MAXXI di Roma e al MADRE di Napoli. Nelle due prestigiose istituzioni museali per alcuni giorni sono state esposte le opere donate da 48 nomi di fama internazionale nell’ambito del design che hanno abbracciato la missione della Fondazione Hospice Seràgnoli offrendo pezzi inediti o appositamente realizzati per l’occasione. Gli oggetti verranno attribuiti, secondo il tradizionale schema dell’ “estrazione a sorte”, a chi avrà sostenuto le attività degli Hospice con una donazione che sarà interamente devoluta alla causa. L’ultima mostra in programma si svolgerà a Bologna, al MAMbo (Museo di Arte Moderna di Bologna), dal 22 settembre al 19 ottobre. Il 24 ottobre presso il MAST, Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia sempre a Bologna si svolgerà invece la vera e propria estrazione e conseguente assegnazione delle opere in palio. L’elenco dei designer, architetti e artisti, oltre all’elenco dei produttori che hanno realizzato le opere e le informazioni sulle attività espositive sono disponibili nel sito www.doutdo.it. Seguite l’evoluzione del progetto sulla pagina facebook: www.facebook.it/doutdo. È possibile partecipare all’estrazione delle opere con una donazione a partire da 5.000 e a sostegno delle attività della Fondazione Hospice Seràgnoli (per informazioni telefonare al numero 051 271060). NELLA PAGINA LE IMMAGINI DELLE INAUGURAZIONI DELLE MOSTRE CHE SI SONO SVOLTE A ROMA E A NAPOLI
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APPROFONDIMENTI
Il punto di vista dell’Operatore Socio Sanitario in Hospice di Jenny Bertaccini, Myrta Canzonieri
Gian Carlo Odorico presso l’Hospice Bellaria di Bologna svolge un’attività indirizzata a soddisfare i bisogni primari della persona e a favorire il benessere e l’autonomia del paziente Gian Carlo, puoi raccontarci il percorso che ti ha portato a lavorare come OSS in Fondazione Hospice? Lavoro in Fondazione Hospice da dicembre 2010, ma provengo da esperienze precedenti di lavoro del tutto diverse. Per anni ho lavorato nel settore assicurativo-finanziario, sono stato imprenditore e, dopo aver chiuso l’attività mi sono ritrovato nella condizione di dover ripensare a una nuova direzione per la mia vita. Anche su consiglio di un amico, che aveva riconosciuto in me una propensione alle relazioni umane, ho intrapreso il corso formativo per diventare OSS, pur tra dubbi e titubanze. A conclusione del percorso ho svolto un tirocinio presso la Fondazione Hospice e sono rimasto conquistato dal metodo di lavoro dell’équipe e dalla speciale relazione che si crea tra il paziente, la famiglia e gli operatori. Era quello che stavo cercando. Ci puoi descrivere meglio le peculiarità del ruolo dell’OSS in Hospice e cosa rende il tuo lavoro così speciale? Speciale è l’opportunità che ogni giorno mi viene offerta di costruire relazioni umane significative, con persone che vivono un periodo assolutamente particolare della vita. Vivere queste relazioni vuol dire, anche per noi operatori, essere in prima linea con gli aspetti più veri dell’esistenza. In questo contesto, i rapporti comunicativi e umani vengono esaltati. Quando il paziente ha bisogno di essere aiutato nella sua quotidianità – a lavarsi, vestirsi o alimentarsi – è importante essere capaci di grande discrezione, creando prima di tutto un rapporto di fiducia. E la migliore via – forse l’unica – è stare al suo fianco, adottare un approccio laterale, un progressivo avvicinamento alla sua sfera fisica, che è anche personale e intima. Solo in questo modo pazienti e familiari annullano le barriere e accettano il passaggio. È difficile, a volte, costruire questa relazione? A volte il paziente e la sua famiglia arrivano in Hospice profondamente prostrati, fisicamente e psicologicamente, dopo un lunghissimo percorso di malattia. In questi casi il nostro ruolo è accettare quella sofferenza, esserne consapevoli, riconoscere la legittimità anche della diffidenza. In questa situazione – oggettivamente difficile – ha una grande forza anche il lavoro di condivisione all’interno dell’équipe che è in grado di valorizzare ogni singolo ruolo, necessario e importante, proprio grazie al sostegno e allo scambio reciproco. Singolo operatore e gruppo diventano lati di un’unica medaglia, per cui l’uno potenzia l’altro. Per questo trovo sia il lavoro più bello che abbia fatto in tutta la mia vita. Condivisione, relazione e vicinanza. Quanto queste dinamiche influenzano anche la tua vita? L’esperienza quotidiana di relazioni umane vissute profondamente cambia la propria visione del mondo. Questo è molto positivo, perché mi dà ancora più voglia di crescere e migliorarmi; il nostro lavoro impone quasi un obbligo deontologico e morale di migliorare sempre se stessi. Così, ho concluso pochi mesi fa il Master in Medicina Palliativa – che ho potuto frequentare perché possiedo una laurea in Scienze Politiche. Un’esperienza gratificante, sotto tutti i punti di vista. Aristotele diceva che la felicità è enèrgheia, attività. Non consiste quindi in uno stato – in una condizione o situazione emotiva – ma è nel fare, nell’attività, nel mettersi in gioco, nel superare anche i propri limiti e le difficoltà. Questo è il mio lavoro. Si può davvero parlare di felicità, all’interno di un Hospice? In Hospice si vive e si respira tanta vita: si vedono correre i bambini nei corridoi, i famigliari e i pazienti a volte portano i loro animali, si sentono risate. Insomma, diventa una sorta di piazza in cui le persone si incontrano. È ovvio, le preoccupazioni e le sofferenza ci sono, anche se a volte vengono vissute ma non espresse. In questo contesto l’atteggiamento accogliente di un sorriso non ha pari e lo sforzo di tutti è quello di comunicare, non una normalità astratta, ma l’importanza di vivere in maniera autentica anche l’ultima parte della vita, perché è vita vissuta cui dare il valore che merita. Laddove il tempo è poco l’intensità è più alta. Come ci ricordano i medici, non si può cambiare la rotta. Possiamo però rendere il viaggio più affrontabile, alleviare la preoccupazione, la sofferenza e il senso di solitudine. Cercare di tradurre in passi un percorso che non possiamo modificare, ma contribuire a rendere più comprensibile e accettabile.
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