Semestrale Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 456) art. 1 comma 1 - DCB – Bologna. In caso di mancato recapito inviare al CMP di Bologna per la restituzione al mittente previo pagamento resi.
Anno 7 Numero 13 - I/2012
QUATTRO DOMANDE A... ALESSANDRO BERGONZONI
Simona Poli
Giancarlo Roversi e Danila Valenti
LA “RESILIENZA”: UNA LUCE NEL BUIO
Alessandro Taverna
QUANDO IL SUONO ABBRACCIA L’IDEA
R I O
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S O M M
EVENTO A SOSTEGNO DELL’HOSPICE SERÀGNOLI
EDITORIALE
DIECI ANNI DI ESPERIENZA PER GUARDARE AL FUTURO di Vera Negri Zamagni
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I N P R I M O PI A N O
UN INTENSO E FECONDO CAMMINO A SERVIZIO DELLA DIGNITÀ DELLA PERSONA di GianCarlo De Martis
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I N O S T R I EV E N T I
QUANDO IL SUONO ABBRACCIA L’IDEA di Alessandro Taverna
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I N P R I M O PI A N O
QUATTRO DOMANDE... A ALESSANDRO BERGONZONI di Simona Poli
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A P P RO F O N D I M E N T I
LA COMUNICAZIONE IN CAMPO MEDICO: COME, DOVE E QUANDO di Franca Silvestri
/pag. 10
A P P RO F O N D I M E N T I
UN CONFRONTO POSITIVO E STIMOLANTE di Gianlorenzo Scaccabarozzi e Danila Valenti
/pag. 12
LA NOSTRA ESPERIENZA COME CONTRIBUTO DI RIFLESSIONE di Deborah Bolognesi e Monica Bravi
/pag. 13
I N O S T R I EV E N T I
PROFIT NON PROFIT: IL FRAGILE INTRECCIO TRA PROFITTO E VALORE di Laura Pappacena
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G LO S S A R I O
LA “RESILIENZA”: UNA LUCE NEL BUIO di Giancarlo Roversi e Danila Valenti
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RINGRAZIAMENTI
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HOSPES Periodico della Fondazione Hospice MariaTeresa Chiantore Seràgnoli Onlus Anno 7 Numero 13 - I/2012 Direttore Editoriale Vera Negri Zamagni
Direttore Responsabile Giancarlo Roversi
Stampa Digigraf
Coordinamento editoriale Simona Poli Progetto grafico Humus Design
Stampato su carta con fibre riciclate
EDITORIALE
DIECI ANNI DI ESPERIENZA PER GUARDARE AL FUTURO Carissimi lettori, ogni numero di Hospes è un’occasione per riflettere sui risultati dell’attività che l’Hospice MT.C. Seràgnoli svolge, insieme a tutte le altre realtà da esso germinate (Associazione Amici, Accademia, Master). Ma questo numero ha un compito speciale: inaugurare l’anno che segna il decennale dell’apertura dell’Hospice di Bentivoglio. Se dovessi sintetizzare il risultato principale di questi anni pionieristici direi che è stato quello di aver contribuito ad una vera e propria “rivoluzione culturale”, in grado di far passare le cure palliative da uno status di oscura marginalità alla dignità di una legge (la 38 del 2010) che ne riconosce l’indispensabile ruolo per garantire la dignità della persona anche quando si presenta nella sua fragilità di essere finito. Non solo la struttura di Bentivoglio è stata tra le prime in Italia ad adottare questo approccio alle cure palliative, sviluppando il proprio modello anche negli altri Hospice bolognesi (Bellaria e Casalecchio), ma ha da subito attivato iniziative che curassero la diffusione della nuova cultura, trovandosi ora nella condizione di poter offrire servizi a tutto campo per chi lavora nell’ambito delle pratiche palliative. Come gli articoli contenuti in questo numero dimostrano, la Fondazione Hospice ha ormai attivato molteplici corsi a tutti i livelli, incontri, seminari, convegni e tirocini rivolti a segmenti diversi di operatori del campo, che stanno portando anche a pubblicazioni specializzate. Essenziali sono pure gli incontri dell’Accademia, volti a scandagliare il retroterra culturale delle cure palliative, che si rifà ad una concezione del lavoro e della vita fondata sui principi di inviolabilità della dignità umana e di solidarietà. Scoprirà il lettore che anche l’articolo sulla “resilienza”, che sembrerebbe scollegato dal tema centrale, ci rinvia invece al cuore di questa nuova cultura, che non è una cultura di morte, ma di vita armoniosa. Buona lettura! Vera Negri Zamagni*
* Presidente dell’Associazione Amici dell’Hospice MT.C. Seràgnoli
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IN PRIMO PIANO
Anniversari: il Decennale Hospice Seràgnoli
UN INTENSO E FECONDO CAMMINO A SERVIZIO DELLA DIGNITÀ DELLA PERSONA di GianCarlo De Martis
Quest’anno l’Hospice Seràgnoli celebra un anniversario molto importante: i primi dieci anni di attività nel mondo delle Cure Palliative, un traguardo degno di nota raggiunto con non pochi sforzi e con tanta passione da parte di un team di persone che ha creduto fermamente, e continua a credere, in uno dei valori essenziali del vivere umano, la dignità della persona, anche, e soprattutto, durante le ultime fasi della malattia. Questo il motore che ha spinto, sin dalla fine degli anni Novanta, i fondatori, gli operatori sanitari e i sostenitori dell’Hospice a intraprendere una vera e propria battaglia culturale per affermare le cure palliative in Italia in un momento storico in cui questo filone della medicina non era affatto conosciuto nel nostro Paese, anzi, soffriva di una errata lettura semantica. Il pensiero dominante in quel periodo interpretava le “cure palliative” come “cure
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inutili, lenitive e momentanee”, avendo come punto di partenza del proprio modello mentale “la malattia” e non “la persona malata”. L’accezione corretta delle cure palliative, invece, capovolge questa visione ponendo il malato al centro dell’attenzione e delle cure dei professionisti sanitari che prendono in carico non solo il Paziente ma anche i loro familiari tenendo sotto controllo il dolore fisico, psicologico e spirituale che si manifesta in questa delicata fase della malattia. L’Hospice Seràgnoli è nato proprio con questo scopo: accudire i Pazienti inguaribili che erano spesso lasciati soli negli ospedali o che non potevano essere curati nelle proprie case. Agli inizi degli anni Novanta, l’idea di creare una struttura dedicata ai malati oncologici in fase avanzata di malattia prese corpo nella mente del professor Cesare Maltoni che aveva avuto modo di vedere in prima
IN PRIMO PIANO
anche a Casalecchio. Dal momento della sua creazione ad oggi tanti sono stati i traguardi raggiunti, ricordo i più significativi: nel 2004 è nata l’Associazione Amici dell’Hospice con l’obbiettivo di divulgare la cultura delle cure palliative all’interno della società civile e di contribuire al fund raising della Fondazione; nel 2005 l’Hospice Seràgnoli è stato il primo dell’Emilia Romagna a ottenere l’accreditamento istituzionale; nel 2007 è stato
redatto per la prima volta il Bilancio di Missione, strumento di rendicontazione indispensabile sia per i nostri azionisti sociali sia per tutti i professionisti che lavorano negli hospice. Per stimolare un costante miglioramento nell'assistenza e per un aggiornamento continuo delle pratiche cliniche, la Fondazione Hospice è stata tra i fondatori, nel 2006, dell’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa. Questo ha permesso da un lato lo sviluppo di percorsi di formazione universitaria, (si pensi al Master in Medicina Palliativa), dall’altro la possibilità di formare in modo continuativo gli operatori che già lavorano in hospice, affinché siano sempre pronti a rispondere alle sfide dei tempi. Sono trascorsi 10 anni da quando è stato intrapreso questo viaggio nel mondo delle cure palliative: tanta strada è stata percorsa, numerose difficoltà si sono spesso interposte alle mete che di volta in volta venivano prefissate. Ma queste difficoltà non hanno mai spento la dedizione e la passione che, sin dagli inizi, hanno animato il nostro lavoro che, sono certo, continuerà ad essere il sostegno più valido per i malati e le famiglie che si trovano nella necessità di affrontare un percorso molto difficile della loro vita. 5
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persona gli hospice della Gran Bretagna, culla del movimento delle cure palliative sorto negli anni Sessanta proprio in un quartiere di Londra grazie all’opera di alcuni volontari che iniziaronono a occuparsi dei malati abbandonati dal Sistema Sanitario. La famiglia Seràgnoli aderì immediatamente al progetto sostenendolo economicamente attraverso la G.D. L’Hospice Seràgnoli è stato sin dalla sua creazione una struttura all’avanguardia: è stato il primo hospice in Italia ad essere costruito appositamente per l’accoglienza dei malati inguaribili e questo ha permesso al professor Maltoni e alla famiglia Seràgnoli di adeguarlo alle necessità di cura cui era destinato. La posizione, in mezzo alla campagna bentivolesca ma al contempo accanto ad un ospedale, la sua peculiare forma “a stella” che si integra perfettamente, quasi a diventare un tutt’uno con la natura, gli spazi interni, gli arredi, i colori usati: tutto su misura per rendere la permanenza dei Pazienti e dei familiari il più serena e accogliente possibile. L’Hospice Seràgnoli ha aperto le porte ai primi Pazienti nel 2002, poco dopo la morte del professor Maltoni, e da allora un’équipe multidisciplinare di altissima qualità è stata determinante per caratterizzare l’hospice come una struttura di eccellenza nel panorama italiano soprattutto in un momento in cui anche a livello istituzionale non vi era alcun riferimento in materia di cure palliative (si è dovuto attendere il 2010 e la legge 38 per avere un termine di paragone accreditato a livello nazionale). L’équipe dei professionisti dell’Hospice Seràgnoli ha contribuito a rendere la struttura sanitaria un luogo ad elevato contenuto relazionale e umano ricordando alla Comunità il bisogno intrinseco di ogni persona malata a mantenere i contatti con il proprio mondo, superando quindi la logica pietistica che spesso accompagna i pazienti, soprattutto se inguaribili, e opponendosi alla condizione di abbandono che rischia di aggravare le condizioni di salute fisica e psicologica degli assistiti. Dal 2002 l’Hospice Seràgnoli è gestito dalla Fondazione Hospice MT. C. Seràgnoli Onlus che grazie all'esperienza maturata con la struttura di Bentivoglio e all’alta qualità dei servizi erogati, si è vista riconoscere dall'Ausl di Bologna un ruolo fondamentale nell'assistenza ai malati inguaribili. Nel 2007 l’Ausl ha infatti, affidato alla Fondazione la gestione dell’Hospice Bellaria dove è stato riproposto con successo lo stesso modello di alta qualità dell’Hospice Seràgnoli e che ben presto verrà esportato
I NOSTRI EVENTI
Cultura e fund raising: un grande evento al Teatro Comunale
QUANDO IL SUONO ABBRACCIA L’IDEA di Alessandro Taverna
“Ciò che costituisce la bellezza vera, il valore vero, la vera ragion d’essere del canto, è l’unione del suono e dell’idea. Il suono per quanto bello possa essere non è ‘pura bellezza materiale’ di una voce. È difficile dire quale sia il vero segreto del canto; si tratta di qualcosa che riguarda la stretta relazione degli elementi del canto e del parlare.” È passato quasi un secolo da quando Reynaldo Hahn pronunciò queste frasi con cui s’inaugurò a Parigi un celebre ciclo di lezioni dedicate al canto. Il compositore venezuelano, amico dello scrittore Marcel Proust, continuava così: “Chi studia canto non ha mai finito di imparare. I progressi di un cantante non finiscono mai, se non quando muore, perché la stessa perdita della voce non vuol dire nulla, in quanto il vero lavoro del canto è mentale”. Il canto che dimora nella mente più che in gola, il canto che si pensa ancor prima che si traduca in respiro: immagini che si attagliano bene ad accompagnare l’ascolto delle pagine musicali proposte al Teatro Comunale di Bologna nel concerto nato dalla
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volontà dell’Associazione Amici dell’Hospice e realizzato in collaborazione con il Centro della Voce, a favore dell’Hospice MT. C. Séragnoli. Evento a cui ha dato profondo significato la presenza in sala del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Evento di straordinario risalto per la partecipazione sul palco di artisti del calibro di Anna Caterina Antonacci, Lucio Dalla, Leone Magiera, Ruggero Raimondi. A Lucio Dalla l’onore di introdurre la serata che ha contato sulla presenza di due cantanti lirici di eccezionale statura che in questa occasione sono stati accompagnati da un pianista dalla carriera altrettanto eccezionale. E per tutti il concerto al Teatro Comunale è stato il ritorno in un luogo che aveva segnato profondamente le rispettive carriere, a testimoniare le prime stupefacenti affermazioni di tutti loro. È stato un ritorno per Ruggero Raimondi che, nello splendido gioiello architettonico rappresentato dalla sala del Bibiena, affrontò quei personaggi che lo avrebbero accompagnato sui
I NOSTRI EVENTI
accompagnato allo strumento da Pedro Memelsdorff. Erano due sonetti firmati da Michelangelo Buonarroti e Francesco Francia: due artisti del Rinascimento italiano più celebre certo il primo del secondo, che fu rinomato pittore bolognese - che endecasillabi e rime li seppero usare con la stessa maestria dimostrata nel maneggiare scalpelli e pennelli.
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palcoscenici di tutto il mondo e - come era stato con il Don Giovanni filmato da Joseph Losey - prestando il proprio volto perfino sul grande schermo. Ma è stato un ritorno anche per Anna Caterina Antonacci che a Bologna aveva mosso i primi passi di una carriera segnata da inimitabili interpretazioni liriche, spaziando dal barocco agli autori francesi, prescelti proprio per quest’occasione: Carmen oltre ad una raccolta di cinque canzoni in dialetto veneziano composte da Reynaldo Hahn. Ed è stato con le opere di Giuseppe Verdi che i due cantanti hanno ritrovato un terreno comune, con due pagine di Don Carlos e Otello con cui si è dimostrato ancora una volta come il canto scaturisca sempre da quella capacità di identificazione, da quella fusione del suono e dell’idea. E il canto è stato inesauribile fonte di ispirazione di un musicista che non ha mai scritto un melodramma ma che pure non ha smesso di ricreare al pianoforte le emozioni di una voce e il virtuosismo esibito dai cantanti dell’opera italiana. Due pagine di Fryderyk Chopin sono state l’ulteriore tassello offerto da un pianista del prestigio di Leone Magiera, dal sodalizio lunghissimo e senza paragoni a fianco di Luciano Pavarotti e dalla carriera altrettanto lunga come direttore d’orchestra, pianista, didatta, scrittore. Altre due pagine sono state scelte da Lucio Dalla, affidate alla voce di Marco Alemanno,
IN PRIMO PIANO
Quattro domande a...
Alessandro Bergonzoni di Simona Poli
L’energia dell’enorme
Che conoscenza ha dell’Hospice Seràgnoli e del ruolo che svolge sul territorio bolognese? Ho una conoscenza diretta e indiretta. Sono stato ai numerosi incontri organizzati dalla Fondazione Hospice dove ho conosciuto i medici responsabili della struttura ma più che altro i temi della metamorfosi, del cambiamento, della malattia e della fine fanno parte del mio pensare. L’impegno sulle questioni che riguardano la salute sono frutto della mia ricerca artistica prima che della solidarietà nata anche con la Casa dei Risvegli. Tra gli obiettivi della Fondazione Hospice c’è quello di migliorare la qualità di vita del paziente e di diffondere la cultura delle cure palliative, dal suo punto di vista di artista e per questo di comunicatore “privilegiato”, quali possono essere i migliori strumenti per comunicare la cultura delle cure palliative? Non mi piace la parola “comunicare” preferisco il termine “conoscere”. Nell’affrontare temi complessi come quello ad esempio delle cure palliative, bisogna fare un
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salto di qualità, è necessario tornare indietro e prendere la rincorsa. Si tratta di condurre una ricerca interiore che porti a capire qual è la propria idea di vita, di bellezza, di morte, di possesso. È un lavoro interiore e quindi un tema culturale che va affrontato con codici e regole diversi. Non mi stancherò mai di dire che bisogna cominciare ad affrontare questi temi negli asili per formare i medici, i familiari e i pazienti di domani in modo che quando si troveranno ad affrontare il tema della vita lo facciano con “enormità” e con una grandezza che oggi hanno solo quelli coinvolti. Sono soprattutto i familiari che raccontano con lettere e comunicano questi temi. Altri argomenti come la sicurezza stradale, l’educazione sessuale, la natura vengono affrontati prima, mentre su temi come la fine e la malattia c’è un silenzio assordante, se ne parla solo quando si è coinvolti. Bisognerebbe fare un hospice dove vengono ricoverati per venti giorni i cosiddetti sani e discutere su cosa sia il corpo, la salute, la vita. Una madre quando nasce un figlio non dice “è nato” ma “ho avuto un figlio” quindi
IN PRIMO PIANO
Nel suo ultimo spettacolo Urge, parla di vastità, di “altro”, della necessità di andare oltre per poter affrontare temi grandi come la vita, la morte, il dolore mentre invece lei denuncia nel suo spettacolo che siamo “piccoli” e impreparati. Come si esce a suo parere da questa condizione? Che cosa “urge” fare? Ci sono concetti che io chiamo “jumbici” come quelli che affronta una realtà come l’hospice, sono temi enormi che come i jumbo hanno bisogno di piste di atterraggio lunghissime, altrimenti si schiantano. Ed è quello che succede a noi quando arrivano questi concetti. Le nostre piste sono corte e sul momento tentiamo di allargarle ma non serve, non basta. È un lavoro culturale che riguarda la politica, l’istruzione e la trascendenza e va fatto nelle famiglie e nelle scuole anche attraverso l’arte per raccontare la morte futura e la devastazione, la trasformazione. Come quando sei davanti ad un Bacon, ad un Kandinsky o ad un Picasso e ti rendi conto che sei di fronte alla descrizione del degno e dell’indegno attraverso i volti
violati. Tutto questo mette in moto la cultura e allarga le piste di atterraggio per i concetti grandi. Se vai ad ascoltare due ore di Dante, quello è tutto catrame pronto per la tua pista. Ma spesso la gente non entra dentro, l’arte rimane nei musei e Dante rimane in teatro. Diverse volte ha partecipato anche come spettatore agli Incontri a Tema organizzati dall’Accademia delle Scienze di Cure Palliative, cosa ne pensa di questo tipo di iniziative e, come spettatore e come filosofo, quali temi vorrebbe venissero affrontati in questo contesto? Penso che siano incontri doverosi e che fino ad ora sia stato svolto un ottimo lavoro dall’Accademia di Medicina delle Scienze Palliative. Mi piacerebbe ora che questi incontri si svolgessero nei posti sbagliati, dove non si è richiesti e si chiamassero le persone che non c’entrano niente. Ad esempio andare nelle scuole o nelle carceri, perché altrimenti l’altra gente non partecipa a questi incontri. Io ho parlato di malattia quando mi hanno chiamato gli studenti nei licei mentre loro affrontavano il tema della Riforma Gelmini, perché ci deve essere “coagulazione” tra diversi temi. Bisogna avere l’energia di fare un lavoro che sembra andare in una direzione “inutile”, come parlare di fine vita durante un’occupazione studentesca perché sono questioni che riguardano l’essere. In questi contesti ci possono essere dei traghettatori, gli artisti, che sono in grado di raccontare a chi non è coinvolto: usateci! 9
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subentra immediatamente il concetto di proprietà. In quest’ottica, quando per una malattia inguaribile non si può vedere un figlio crescere, laurearsi e sposarsi non ci si rende conto che questa persona ha il suo iter, la sua storia che può essere anche di due anni ed è il risultato della sua “opera artistica” e il genitore non ne è il pittore. Bisogna avere il coraggio di parlare, di sapere cosa dire e pensare nelle situazioni in cui generalmente bisogna tacere.
APPROFONDIMENTI
I seminari dell’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa
LA COMUNICAZIONE IN CAMPO MEDICO: COME, DOVE E QUANDO di Franca Silvestri
Due giornate di studio con tavole rotonde tematiche per mettere a fuoco modalità, tecniche, competenze linguistichee socio-culturali Comunicare non significa semplicemente informare, ma stabilire contatti empatici e relazioni interpersonali efficaci: un paradigma importante in ogni processo comunicativo, ancora più rilevante quando si parla di salute, malattia, cura, fine vita. Questo il focus degli incontri organizzati dall’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa il 14 ottobre e l’11 novembre scorsi al Castello di Bentivoglio. Come, dove, quando comunicare? Come insegnare a comunicare? Come mantenere una comunicazione chiara e consapevole, soprattutto in campo oncologico e in medicina palliativa? Se lo è chiesto in apertura il professor Guido Biasco, che ha coordinato con sapienza le due giornate, affiancato dalla dottoressa Danila Valenti nelle tavole rotonde. Per Luigi Grassi, professore di psichiatria all’Università di Ferrara, le abilità comunicative sono fondamentali nel rapporto medico-paziente. Perché è necessario un orientamento psico-sociale, non soltanto bio-tecnologico: un approccio capace di andare oltre la dimensione fisica
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per far emergere i problemi e le preoccupazioni che sono fonte di sofferenza psicologica, psichiatrica, sociale, spirituale per il paziente e i suoi familiari. Una sofferenza che colpisce circa il 40% delle persone in qualunque fase della malattia. Allora, che fare? Bisogna insegnare ai medici e a tutte le figure dell’area sanitaria tecniche comunicative adeguate. Il professor Walter Baile, psichiatra all’MD Anderson Cancer Center di Huston e studioso di rilievo internazionale, ha messo a punto una metodologia che può aiutare i medici a riferire correttamente la diagnosi, la prognosi e lo sviluppo della malattia. Un modello che viene trasmesso in workshop residenziali di formazione attiva, dove la simulazione di situazioni reali permette di apprendere e sperimentare strategie di approccio, relazione, comunicazione. Perché i malati e i loro parenti considerano il rapporto con il medico importante quanto la sua competenza clinica. Perché anche le cattive notizie possono essere date in un contesto più empatico.
APPROFONDIMENTI
C’è un diritto morale all’ignoranza La comunicazione in medicina è complessa, piena di implicazioni culturali, sociali, linguistiche, spirituali, deontologiche, che si amplificano di fronte alla malattia inguaribile e nel fine vita. Dei risvolti etici e giuridici hanno parlato due esperti di legge e bio-etica dell’Alma Mater: Carla Faralli, docente di Filosofia del Diritto, e Stefano Canestrari, professore di Diritto Penale. Il rapporto medico-paziente è cambiato: da un modello paternalistico, dove responsabilità e decisioni erano esclusivamente del medico, si è passati a un modello basato sulla libera scelta del paziente. È questa l’origine del consenso informato ma pure di numerose problematiche di tipo giuridico e morale. Non a caso, negli ultimi decenni codici e carte deontologiche di medici e infermieri hanno ribadito principi già presenti nella Costituzione italiana: il rispetto della dignità della persona, il diritto alla salute e a una corretta informazione, ma anche il diritto morale all’ignoranza. Quindi, etica della cura, condivisione delle scelte terapeutiche, buona comunicazione, ma anche attenzione alla medicina difensiva, all’abbandono o all’accanimento terapeutico e al diritto del cittadino di non sapere. Senza mai dimenticare che le norme etiche e giuridiche si radicano nella cultura e nella psicologia sociale di un paese.
Quando le parole rischiano di essere come coltelli Di competenze culturali e aspetti linguistici si sono occupate Antonella Surbone e Patrizia Violi.
La comunicazione è un processo bidirezionale dinamico che vede l’incontro di due culture differenti: i medici e gli operatori sanitari impiegano conoscenze e linguaggi specialistici, il paziente è in un’altra condizione, anche se appartiene alla stessa realtà socio-culturale. Lo ha sottolineato la professoressa Surbone del Departement of Medicine NYU Langone Medical Center di New York precisando che le differenze di lingua e cultura amplificano l’asimmetria fra medico e paziente e sono le principali barriere nella comunicazione. Patrizia Violi, docente di Semiotica all’Università di Bologna, ha analizzato termini e approcci comunicativi della Medicina Palliativa. Con il linguaggio categorizziamo e costruiamo la realtà. La parola è un’azione, ancora più importante e potente quando l’intervento terapeutico diventa limitato nelle ultime fasi della vita. Però l’espressione cure palliative spesso ha una connotazione negativa nel senso comune e la stessa comunità medica ne fa usi diversi e sovrapposti. Questo perché la parola cura ha dietro due differenti aree semantiche: curare per guarire e curare nel senso di prendersi cura. La medicina palliativa si occupa di tutta l’area del non guaribile che però è ancora curabile. Allora, siamo sicuri che palliativo sia il termine più giusto? La semiologa-linguista ha suggerito “cure di supporto” sottolineando che è necessario recuperare il senso positivo di palliare: coprire col mantello, prendersi cura.
partecipano ai percorsi di cura e comunicazione nei team multidisciplinari come Deborah Bolognesi, Catia Franceschini, Giuliana Gemelli, Maria Paola Zamagni. Singolare l’intervento dello psicologo-tanatologo Francesco Campione sull’importanza della creatività individuale, che prescinde da tecniche, abilità e strategie comunicative. Di grande impatto emotivo il racconto della professoressa Lea Baider, psico-oncologa dello Sharett Institute of Oncology Hadassah University Hospital di Gerusalemme, incentrato sulla sua esperienza medica nel rapporto con i pazienti e i familiari.
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Ma quando si deve comunicare? Durante tutto il percorso della malattia, in modo appropriato, cercando di infondere sempre speranza, ha precisato Matteo Moroni, dirigente dell’Hospice Coruzzi di Langhirano. E quali figure sanitarie è bene coinvolgere in questo delicato intreccio di logos e malattia? Il punto di vista della medicina generale lo hanno proposto il dottor Marcello Salera dell’Azienda Usl di Bologna e il dottor Giandomenico Savorani della FIMMG, quello dell’oncologia pediatrica il dottor Andrea Pession del S.Orsola-Malpighi. Non sono mancate le testimonianze di studiosi, specialisti, psicologi, infermieri e di quanti
APPROFONDIMENTI
XVIII Congresso della Società Italiana di Cure Palliative
UN CONFRONTO POSITIVO E STIMOLANTE di Gianlorenzo Scaccabarozzi (*) e Danila Valenti (**)
(*) Presidente del Comitato Scientifico del Congresso (**) Vice-Presidente Società Italiana di Cure Palliative
Trieste verso la fine dello scorso anno ha fatto da cornice al XVIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Cure Palliative. I congressisti sono stati 1349 tra medici, infermieri, psicologi, volontari e altri profili professionali. Una presenza tra le più significative degli ultimi anni, che sottolinea quanto il Congresso Nazionale rappresenti un momento di insostituibile formazione, aggiornamento e riflessione per accrescere competenza, professionalità ed umanità che guidano la SICP nella sfida per la realizzazione della Legge 38 in tutto il nostro Paese. Il successo del Congresso è frutto di una attenta programmazione scientifica che ha valorizzato tutti gli ambiti professionali coinvolti nell’erogazione delle cure palliative, di un approfondimento di temi non solo di carattere clinico, ma anche etico, culturale, formativo e organizzativo-gestionale, e di una più intensa collaborazione con il mondo del volontariato e dell’associazionismo. Ampio spazio è stato dedicato all’illustrazione dei contributi scientifici da parte dei congressisti e sono stati organizzati tre corsi pre-congressuali (1. In collaborazione con la Società Italiana di Medicina Generale, Cure Palliative: aggiornamento farmacologico e clinico degli oppiacei – Gli oppioidi per il trattamento del dolore da cancro. 2. In collaborazione con Fondazione Maruzza Lefebvre D’Ovidio, Cure Palliative Pediatriche per curare la vita dei bambini inguaribili. 3. In collaborazione con la Federazione Cure Palliative, Etica ed economia del non profit: dal bilancio sociale al fundraising) che hanno registrato 181 iscrizioni. Il Congresso è stata anche l’occasione per presentare due nuove iniziative: la Rivista Italiana di Cure Palliative (RICP), edita da Zadig, alla quale è connesso un pacchetto di formazione a distanza, e il Core Curriculum del Medico Palliativista, che definisce le competenze e i percorsi formativi e professionali necessari al consolidamento e allo sviluppo delle cure palliative in Italia.
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APPROFONDIMENTI
LA NOSTRA ESPERIENZA COME CONTRIBUTO DI RIFLESSIONE di Deborah Bolognesi e Monica Bravi
La Fondazione Isabella Seràgnoli ha partecipato al XVIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Cure Palliative (SICP) presentando, nel corso della cerimonia inaugurale, le attività che da anni promuove nell’ambito delle cure palliative. La comunicazione inaugurale è così divenuta l’occasione per ribadire alcuni dei concetti portanti condivisi dal Gruppo, tra cui l’appropriatezza dei luoghi di assistenza, e la necessaria complementarietà tra assistenza, formazione e ricerca. I risultati delle ricerche effettuate nel corso del 2011, presentate dai nostri operatori, hanno contribuito ad alimentare il dibattito su alcuni punti cardine inerenti allo sviluppo delle cure palliative in Italia quali: • il miglioramento dell’assistenza sanitaria, • il perfezionamento gestionale delle strutture hospice, • le nuove aree di sviluppo nell’ambito delle cure palliative, anche in ottemperanza alla legge 38 del 15 marzo 2010. Riguardo al miglioramento dell’assistenza sanitaria, nel 2011 la Fondazione ha approfondito lo studio dei programmi formativi destinati agli operatori palliativisti. In particolare, durante il Congresso, sono stati discussi i risultati degli studi realizzati sui percorsi di formazione a beneficio di figure professionali quali fisioterapisti e operatori socio sanitari, che hanno un ruolo rilevante nelle varie fasi di assistenza del paziente e supporto alla famiglia, nonché nel processo di costante monitoraggio dell’efficienza delle attività a sostegno dell’assistenza. Sono stati inoltre presentati i programmi formativi messi a punto dall’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa per quanto riguarda la formazione continua e quella universitaria. Lo sguardo al rinnovamento e al miglioramento è stato presentato al Congresso anche da un punto di vista gestionale e organizzativo. La Fondazione ha diffuso i dati emersi dal lavoro di ricognizione e analisi dei modelli gestionali di hospice in Italia, al fine di condividere con i partecipanti i caratteri di eccellenza dal punto di vista organizzativo e gestionale. Oltre al costante sviluppo delle attività esistenti, la Fondazione ha partecipato al Congresso SICP con l’intento di contribuire fattivamente al dibattito sui recenti ambiti di sviluppo delle cure palliative, in particolare per ciò che concerne il settore pediatrico. Pur trattandosi di un ambito relativamente recente, il Gruppo della Fondazione ha presentato le attività avviate, quali il Corso Universitario di Alta Formazione in Cure Palliative Pediatriche e l’analisi di benchmarking internazionale sugli Hospice Pediatrici di eccellenza, attività che si sono distinte nella loro unicità al Congresso.
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I NOSTRI EVENTI
PROFIT NON PROFIT: IL FRAGILE INTRECCIO TRA PROFITTO E VALORE di Laura Pappacena
Impresa, responsabilità sociale, attenzione agli altri e lavoro per la comunità: questi sono stati i temi al centro degli incontri “Profit non profit. Il fragile intreccio tra profitto e valore”, organizzati dalla Fondazione Hospice MT. C. Seràgnoli e dall’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa. Protagonisti, Alessandro Profumo, già amministratore delegato di Unicredit e attualmente membro del Supervisory Board di Sberbank e del Consiglio di Amministrazione di Eni, e don Virginio Colmegna, ordinato sacerdote nel 1969 e presidente della Casa della Carità “Angelo Abriani” di Milano. I relatori, portando la propria esperienza di lavoro e di vita, si sono interrogati e hanno interrogato i presenti su temi di grande attualità: come agire in questo contesto di crisi come persone e come impresa? Come conciliare l’attività economica con i valori e l’attenzione alla comunità? “La responsabilità sociale di impresa”, ha sostenuto Profumo durante il primo incontro, “non è un’attività di marketing né qualcosa da fare perché l’azienda debba ripulirsi la coscienza con alcune attività caritatevoli, anche se spesso viene percepita così. Se per responsabilità sociale di impresa intendiamo il fare bene il proprio mestiere, dobbiamo iniziare a parlare di sostenibilità”. Perché se l’obiettivo primario è la generazione di utili per gli azionisti, diventa fondamentale la capacità di generare risultati che siano sostenibili nel tempo e qui entra in gioco il sistema di valori dell’attività economica. “L’impresa deve avere una legittimazione sociale: nei confronti delle persone che vi lavorano, dei portatori di interesse, dei clienti, dei fornitori e della comunità in cui è inserita”, ha continuato Profumo. “Se il tuo operato viene percepito come valore aggiunto per la comunità ci sono ricadute positive anche per l’impresa. Le azioni che vengono intraprese per migliorare la situazione delle comunità in cui si opera consentono anche di creare
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VIRGINIO COLMEGNA
ottime relazioni. Non puoi essere una buona impresa se non hai la capacità di importare nel tuo modello operativo queste modalità di comportamento”. Profumo ha sottolineato il ruolo centrale della governance, perché la qualità dei processi decisionali è fondamentale. “La modalità di funzionamento della ‘parte alta’ dell’impresa è strettamente legata agli assetti proprietari”, ha continuato Profumo. “Bisogna capire quali sono gli elementi chiave su cui il consiglio di amministrazione deve focalizzare l’attenzione, perché se si lascia esclusivamente nelle mani dei manager la decisione su come compensare il breve con il medio e il lungo termine, presumibilmente si avranno scelte che non sono coerenti con la vita aziendale. Fare impresa sostenibile vuol dire generare risorse che possono essere utilizzate per fare comunità”. Non mancano, però, i problemi strutturali. “Il modello di sviluppo più diffuso in questi anni ha focalizzato la competizione solo sulla riduzione dei costi, ma così si riducono i posti di lavoro e quindi il reddito disponibile”, ha spiegato ancora. “Non si è lavorato abbastanza sull’innovazione e sulla qualità dei prodotti”. Il tema dell’impresa si collega anche a quello del sociale,
I NOSTRI EVENTI
come ha sostenuto don Virginio Colmegna durante il secondo incontro, perché non bisogna dimenticare che chi vi opera deve ragionare anche in termini economici e di bilanci e deve essere in grado di dialogare con tutti i soggetti. C’è anche un’altra importante consapevolezza che guida il lavoro. “Sono fortemente debitore degli incontri con le persone, soprattutto con quelle che apparentemente chiedono aiuto poi restituiscono bisogno di relazioni, intelligenza sociale, umanità, passioni e felicità”, ha raccontato don Colmegna. “Il gusto del vivere si strappa continuamente, si vede lacerato. I ‘poveri’ portano una grande domanda di cambiamento sociale ed esistenziale. Noi operiamo per superare la cultura dell’assistenzialismo di coloro che ovattano con la bontà qualsiasi tipo di atteggiamento e non si interrogano più sull’inquietudine”. Complessità e cultura sono due parole chiave. “Abbiamo costruito un luogo di cultura”, ha continuato don Colmegna, “un luogo dove si condensano l’utopia, la sofferenza, lo sguardo dell’umanità. La domanda di fraternità, di uguaglianza, di dignità è globale. Dobbiamo interrogarci quotidianamente e rendere la cultura
Gli incontri sono proseguiti il 16 febbraio 2012 con Riccardo Bonacina che ha parlato di “Generare il valore. La gratuità come motore dell’economia” e giovedì 1 marzo con Aldo Bonomi.
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ALESSANDRO PROFUMO
operativa, anche attraverso le contaminazioni di esperienze profit e non profit. Alla Casa della Carità ci sono persone di ottantasette nazionalità: ascoltiamo le loro storie e dobbiamo trasformarle in narrazioni sociali. C’è una nuova visione che entra dentro”. “Vedo quotidianamente una cultura meticcia che sta arrivando e che continuamente ci cambia e pone domande alla nostra identità che dobbiamo scoprire quotidianamente. C’è un’umanità rimpicciolita che ha paura di fronte ai cambiamenti. Bisogna ritrovare lo spazio dell’agorà, della piazza come luogo di relazione, di sguardo che non fa paura. Con Alessandro Profumo sono temi che abbiamo discusso spesso, parlando di economia delle fraternità, della gratuità, dell'amicizia. Bisogna ricostruire le relazioni”. Relazioni che contribuiscono a creare una nuova comunità e si trasformano in azione politica. “C’è una visione di cittadinanza inclusiva, nelle persone c’è dignità e responsabilità”, ha continuato la sua riflessione don Colmegna. “La domanda politica che nasce da qui parla di bene comune, di costruzione, di economia della gratuità: un servizio agli altri è anche una restituzione di senso e rappresenta la capacità di costruire legami”. In questa fase di crisi, in cui il confine tra povertà e benessere si sta assottigliando e la paura del futuro attraversa i pensieri della maggioranza delle persone, occorre lanciare segnali importanti di speranza concreta, radicata nell’agire quotidiano. Perché la situazione è già drammatica, come dimostrano i problemi del lavoro e della casa. Come è possibile intervenire? “Alle imprese noi non chiediamo soldi, ci interessa aprire possibilità di occupazione e di commesse di lavoro. La fantasia imprenditoriale per inventare nuovi percorsi di lavoro non deve mancare mai. Altrimenti vince l’assistenzialismo”.
GLOSSARIO
Le parole svelate LA “RESILIENZA”: UNA LUCE NEL BUIO di Giancarlo Roversi e Danila Valenti (*)
Ci sono parole che solo a sentirle pronunciare si ammantano di un alone di mistero, di un fascino intrigante anche se non si riesce a percepirne immediatamente il significato. Parole magiche che inducono chi le ode per la prima volta a scoprire quale segreto tengono in serbo. Una di queste, da poco affacciatasi alla ribalta, ma ancora dominio esclusivo di pochi iniziati, è certamente la resilienza dietro cui si cela un mix di sensazioni armoniose: vitalità, elasticità mentale, energia e buon umore. È un modo di vita che ci fa calare in un atteggiamento positivo, spontaneo, ottenuto con semplici accorgimenti, con respiri profondi e tanti tanti sorrisi.
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La nostra password quotidiana è una soltanto: trasformare i problemi che ci assalgono in opportunità e comunicare a tutti un senso di entusiasmo e positività. Anche perchè mostrarsi ottimisti è il primo passo verso il successo personale e professionale. Anzitutto è necessario individuare con precisione i propri obiettivi. Chi non sa dove vuole andare (in tutti i campi: dal lavoro alla vita affettiva, ai rapporti di amicizia) è come una barca che va alla deriva senza bussola. Il nocciolo del problema non sta nel prendere di petto le contrarietà e le tegole spesso imprevedibili che si abbattono sul cammino, ma nella determinazione di cambiare il nostro atteggiamento nei confronti delle
GLOSSARIO
IL TERMINE “RESILIENZA” IN CURE PALLIATIVE La parola “resilienza” deriva dalla metallurgia e significa capacità di resistere alle forze che vengono applicate. In senso lato significa capacità di apprendere, adattarsi e superare le avversità. C’è anche chi suggerisce la derivazione dal latino ‘resalio’ che indica il gesto di risalire su una imbarcazione rovesciata. Un’imbarcazione che potrebbe essere quella della nostra vita e della quale pertanto dobbiamo riprendere il timone. Perchè parlare di resilienza in cure palliative? Supportare la capacità di adattamento a situazioni complesse sia da un punto di vista pratico sia emotivo e trovare la capacità di superare sofferenze profonde è il percorso che caratterizza le cure palliative. La resilienza, intesa come capacità di adattamento, non ci è data in dotazione standard alla nascita: si può
variamente sviluppare quando si affronta un trauma e possiamo sostenerla nella sua crescita. Rappresenta un cammino da percorrere. La lentezza della progressione della malattia, se da un lato rende molto più lungo e faticoso il percorso, dall’altro può permettere un adattamento alla profonda trasformazione che questa comporta. Per accettare e adattarsi all’idea del peggioramento di una patologia è indispensabile essere aiutati a comprendere sia emotivamente sia razionalmente che il cambiamento radicale avrà luogo. Affrontare con onestà, con l'aiuto di persone competenti, il percorso della possibile evoluzione della malattia, aiuta a prepararsi a ciò che avverrà. Sperare al meglio ma preparasi al peggio, quando la malattia è in progressione, aiuta ad affrontare la situazione. Anche nei bambini. Pensiamo ad un bambino di 11 anni che sta perdendo il padre di 41 anni, per un tumore. Di due tipi possono essere i consigli dei medici: il primo, suggerisce di non parlare al figlio della malattia del padre, di non affrontare il problema se il bambino non fa domande, di farlo distrarre, “perché per meno tempo sta male, meno sta male”. Il secondo invece persegue la strada del dialogo, chiedendo a lui cosa pensa del babbo che non sta bene, invitandolo a parlare delle sue paure, preparandolo all’idea della malattia e gradualmente facendo balenare il fatto che il babbo potrebbe non esserci più, stimolandolo così a mettere in atto meccanismi di resilienza e di difesa che gli permetteranno di affrontare la realtà che lo attende. Significa dargli la possibilità di trovare in sé, con l’aiuto di adulti competenti, modalità di adattamento ad una situazione difficilissima attraverso la consapevolezza. I bambini hanno bisogno di persone capaci di dare loro fiducia e in grado di sviluppare la loro resilienza con onestà affettuosa e partecipe, senza far mai mancare la percezione di poter chiedere e provare a capire, senza che mai venga meno l’amore incondizionato del genitore.
(*) Vice-Presidente Società Italiana di Cure Palliative
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avversità, vere o presunte tali, attraverso una virata di 360° verso uno stato di armonia. Desiderare in positivo è ancora più efficace che pensare positivo e può spalancare le porte alla longevità in piena salute psico-fisica. E questo grazie a semplici strategie, tra cui esercizi di “sorriso” e respiri profondi quotidiani, come consiglia Assomensana (www.assomensana.it), un’associazione di neuropsicologi impegnata nello studio delle caratteristiche degli ultracentenari, che ha promosso un agile vademecum (Vivere 100 anni!) dove vengono spiegate in modo preciso le più recenti acquisizioni scientifiche per allungare l’esistenza. Uno dei fattori fondamentali per godere di una buona forma psicofisica anche in età avanzata è infatti il consolidamento di un modo di pensare positivo in modo da far volgere al bello, anche solo in parte, i momenti quotidiani di sconforto e depressione, facilitando una visione meno nera della vita anche negli individui più pessimisti. Proprio per questo un atteggiamento positivo propizia la longevità e fa accettare con fiducia anche le cure mediche prescritte per ottenere il miglior risultato possibile (compliance) al fine di debellare o sopportare meglio una malattia.
RINGRAZIAMENTI
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RINGRAZIAMNETI
gennaio 2012
AGGIORNAMENTO CONTINUO Un ringraziamento particolare alla Fondazione Perpetua Rusconi perché anche quest’anno il suo contributo è stato fondamentale per rinnovare gli abbonamenti alle riviste scientifiche e permettere ai professionisti dei nostri Hospice di rimanere costantemente aggiornati sulle novità del settore.
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COME SOSTENERE LA FONDAZIONE HOSPICE MT.C. SERÀGNOLI ONLUS
Per sostenere l’assistenza ai Pazienti inguaribili, la formazione degli operatori del settore e la ricerca nell’ambito delle Cure Palliative è possibile effettuare una donazione:
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IBAN
- con un versamento postale, conto corrente n° 29216199, intestato a Fondazione Hospice MT.C. Seràgnoli Onlus via Marconi, 43/45, 40010 Bentivoglio (BO); - con bonifico bancario Fondazione Hospice presso UniCredit S.p.a. (Filiale Emilia Est) IBAN IT 28 O 02008 02515 000003481967; Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa IBAN IT 31 F 03223 02404 000060033937; Associazione Amici dell’Hospice MT.C. Seràgnoli IBAN IT 41 I 02008 02513 000060010479;
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- direttamente dal sito www.FondazioneHospiceSeragnoli.org;
Le donazioni a favore della Fondazione Hospice MT.C. Seràgnoli Onlus sono fiscalmente deducibili o detraibili.
5X - destinando il 5xmille della dichiarazione dei 1000 redditi, firmando nel primo riquadro in alto a sinistra, codice fiscale 02261871202;
- attraverso lasciti testamentari, polizze assicurative, trattamenti di fine rapporto;
- attraverso importi finalizzati, vincolati all’istituzione di borse di studio per gli studenti dell’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa, o in memoria di chi non si vuole dimenticare;
- scegliendo le bomboniere della Fondazione Hospice per festeggiare le occasioni speciali.
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