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P ERIODICO
Spediz. in Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°46) art. 1, comma 2 filiale di Milano - Reg. presso il Tribunale di Milano N. 407 del 22.07.1995
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DELL ’I STITUTO PER LA RICERCA E LA PREVENZIONE DELLA DEPRESSIONE E DELL ’ ANSIA
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15 Numero 1 - APRILE 2008
L’ansia di separazione nell’età adulta Marianna Abelli *, Stefano Pini* Il disturbo d’ansia di separazione è considerato una patologia tipica dell’infanzia, con criteri di classificazione ben precisi. Nei bambini, il disturbo d'ansia di separazione si presenta con un’ eccessiva preoccupazione che possa accadere un evento che porti alla separazione, reale o di fant a s i a , d a i g e n i t o r i , d a i n o n n i o d a a l t re p e r s o n e a c u i i l b a m b i n o è a t t a c c a t o .
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ntro certi limiti questo tipo di ansia è normale e non deve destare preoccupazione in quanto costituisce una tappa dello sviluppo del bambino. In alcuni bambini, tuttavia, quest’ansia diventa talmente forte e persistente che interferisce con lo svolgimento delle sue attività quotidiane e diventa allora clinicamente significativa. Quando sono separati dai genitori spesso hanno bisogno di sapere dove si trovino e di stare in contatto con loro (per es., tramite telefonate). Alcuni soggetti divengono estremamente nostalgici e sono a disagio quando sono via da casa. I bambini con questo disturbo spesso esprimono il timore di essere smarriti e di non ritrovare più i loro genitori. Questi bambini possono non essere in grado di stare in camera da soli, e possono mostrare un comportamento “appiccicoso”, stando vicini e facendo “da ombra” ad un genitore per casa o chiedendo che qualcuno sia con loro quando si recano in un’altra stanza della casa . La forma dell’adulto non è altrettanto contemplata anche se è molto frequente nella popolazione generale (6%), in segue a pag. 2
Aspetti psicosomatici nell’asma bronchiale
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Dieci anni...
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in TV 18 Idea
Qualcuno vi ascolta
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In breve dalla ricerca
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Gli antidepressivi: qualche risposta a domande frequenti
per in dal Corso 22 Lavori 23 5mille 20 Notizie Mondo
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L’ansia di separazione nell’età adulta segue da pag. 1
no decidere da soli, necessitano sempre del parere altrui, hanno difficoltà ad esprimere disaccordo e quando termina una relazione stretta cercano immediatamente un’altra persona a cui appoggiarsi. Chi “soffre” di ansia di separazione mai cercherebbe un sostituto alla perdita subita. Anzi, i soggetti con ansia di separazione, dopo un divorzio o la rottura di una relazione, continuano anche per anni a “rimuginare”sul perché tale rapporto si sia concluso, a rivendicare il diritto di essere amati, e a cercare con tutti i mezzi di riconquistare la persona perduta. Attualmente il disturbo d’ansia di separazione dell’adulto è in attesa di avere una “precisa ubicazione nosografica” all’interno dei disturbi psichiatrici dell’età adulta.
particolare nelle donne. Nella maggior parte dei casi questo disturbo si presenta direttamente nell’adulto, tra i 20 ed i 30 anni, mentre solo un terzo dei casi compare nell’infanzia e continua a manifestarsi anche nell’età adulta. Il disturbo d’ansia di separazione si presenta spesso associato ad altri disturbi psichiatrici e ha gravi ripercussioni nella vita privata e nel lavoro degli individui in cui si presenta. Il trattamento con i farmaci avviene generalmente per gli altri disturbi psichiatrici (d’ansia e dell’umore) con i quali si presenta associato. In uno studio effettuato presso la Clinica Psichiatrica dell’Università di Pisa, è emerso che in un campione di pazienti con disturbi d’ansia e dell’umore quelli che presentavano maggiori livelli di ansia di separazione erano i bipolari (il disturbo bipolare è un tipo di depressione). La sintomatologia dell’adulto, proprio come quella del bambino, è caratterizzata da elevati livelli di ansia quando avviene la separazione da casa o dai propri cari o addirittura quando essa è anticipata col pensiero; eccessiva preoccupazione riguardo alla possibile perdita di parenti o amici o alla possibilità che accada loro un evento negativo; forte paura che un evento spiacevole determini la separazione dalle persone amate. Sono presenti, inoltre, difficoltà a stare lontani da casa per molte ore, a partire per viaggi di lunga durata senza il partner (per esempio viaggi di lavoro), ad affrontare traslochi o altre modificazioni della routine quotidiana, a coricarsi da soli o ad addormentarsi senza una luce o rumori “rassicuranti” come quello della televisione, eccessivo timore riguardo alla salute dei propri cari e alla loro sicurezza quando sono lontani. L’ansia di separazione può portare l’individuo a compiere gesti eclatanti e culminare, in rari casi, nel desiderio di morire.
Per quanto riguarda la terapia, il disturbo d’ansia di separazione dell’adulto può giovarsi di un intervento farmacologico a base di antidepressivi SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina), farmaci largamente impiegati anche nel trattamento di altri disturbi d’ansia dell’adulto. Anche la psicoterapia può essere di notevole aiuto in questi casi. Tuttavia, non è ancora stato individuato uno specifico approccio terapeutico, nè di tipo farmacologico né psicoterapeutico. Teorie biologiche e psicologiche per capire l’ansia di separazione. Per capire come mai bambini ed adulti sviluppino il disturbo d’ansia di separazione ci sono due possibili interpretazioni, una biologica che è stata provata soprattutto sull’animale ed una psicologica che si rifà al rapporto madre-figlio. L’insieme delle due teorie ci fa capire meglio questo fenomeno. L’attaccamento è il tipo di comportamento più importante per gli ani-
Il disturbo d’ansia di separazione va distinto dal disturbo dipendente di personalità. Infatti mentre i soggetti con ansia di separazione sono autonomi nel modo di pensare e di agire, nel prendere decisioni ed hanno bisogno della persona amata, gli individui dipendenti non san2
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mali. Esso fa si che si crei un legame tra madre e figlio e viceversa tra il figlio e la madre ma anche tra un uomo ed una donna e tra due amici. Mangiare, dormire e camminare sono funzioni necessarie per la sopravvivenza, ma, come affermava Spinosa, l’uomo è “un animale sociale” ed è per il nostro attaccamento sociale che noi viviamo. In tutti i mammiferi il sistema cerebrale implicato nei processi di attaccamento si forma durante l’infanzia e continua ad influenzare i rapporti con gli altri durante tutta la vita. Alla base dell’attaccamento c’è l’attività di alcune molecole come ossitocina, vasopressina, oppiodi endogeni, corticosteroidi, serotonina, melatonina e prolattina che agiscono tra di loro per dare luogo ai comportamenti che comunemente conosciamo come gesti di affetto. L’ossitocina ha un ruolo fondamentale all’interno di tre comportamenti femminili, determinanti per la creazione di legami affettivi che sono la nascita, l’ allattamento e l’attività sessuale. Perciò tale ormone sembra coinvolto sia nel rapporto di coppia sia in quello madrefigli. Una donna, il cui cervello secerne ossitocina si sente assonnata ma anche piena d'amore per suo figlio. Questo legame si realizza non solo grazie alla presenza di questo ormone ma anche attraverso il contatto fisico, gli sguardi e le carezze. Quindi appena la madre comincia ad accarezzare il figlio attiva questo processo di attaccamento e stimola ulteriormente la produzione di questo ormone. Si è ipotizzato che l’ossitocina sia responsabile sia dei sintomi comportamentali che di quelli fisici che si associano alla perdita di una persona cara. Nell'uomo diversi studi indicano che alcuni disturbi psichiatrici, caratterizzati da difficoltà ad instaurare rapporti con gli altri come l'autismo e la fobia sociale, sono dovuti, con alta probabilità, a difetti genetici a carico dell'ossitocina e la vasopressina. Addirittura sembra che nei soggetti con autismo i livelli di ossitocina circolante nel sangue siano circa la metà di quelli trovati nei soggetti sani. In uno studio molto recente un gruppo di ricercatori svizzeri ha dimostrato come l’assunzione per via nasale di ossitocina abbia aumentato incredibilmente i livelli di fiducia nei confronti degli altri. Questa scoperta in futuro potrebbe avere implicazioni importati per la cura di queste patologie, in cui i soggetti hanno difficoltà a relazionarsi con gli altri.
I rapporti affettivi costituiscono quindi una “base sicura che permette ai bambini di esplorare l’ambiente che li circonda con maggiore sicurezza”. E’ stato osservato come la sensibilità del genitore di fronte alle richieste del neonato sia di fondamentale importanza nello sviluppo di un attaccamento sicuro. Se la madre è affettuosa e rassicurante sicuramente il bambino si fiderà degli altri e sarà sereno ed equilibrato nell’affrontare il mondo esterno. Al contrario se la madre sarà fredda e distaccata il bambino sarà diffidente verso gli altri ed insicuro delle proprie capacità. Nel corso della vita il rapporto che ogni neonato ha avuto con la propria madre costituisce il modello di rapporto con cui si relazionerà con le altre persone. Si pensa che le differenze di attaccamento dell’adulto tra i vari soggetti si riflettano nei rapporti sentimentali. Alcune ricerche indicano che coloro che sono partner sessuali o sentimentali per un lungo periodo di tempo svolgono la funzione di figure principali\ di attaccamento l’uno per l’altro. Presso la Clinica Psichiatrica di Pisa (DPNFB) sono stati effettuati degli studi al fine di caratterizzare dal punto di vista biologico l’ansia di separazione dell’adulto. Queste indagini, finanziate dal Ministero dell’Università e dalla Fondazione IDEA (Milano), hanno evidenziato la presenza di un preciso marker biologico associato a questa condizione, ovvero una riduzione significativa della proteina traslocatrice(18 KDa). I risultati ottenuti hanno permesso una migliore identificazione del suddetto disturbo e future indagini potranno ulteriormente migliorare anche il trattamento farmacologico di questa condizione.
La seconda teoria sull’eziologia dell’ansia di separazione è quella relativa all’attaccamento. Questa dottrina, è stata originariamente creata da Bowlby alla fine degli anni ‘60 per dare una spiegazione alla marcata sofferenza che segue la separazione o la perdita di persone care. L’attaccamento, che è innato, si è evoluto per garantire la vicinanza tra i bambini e le persone che si prendono cura di loro, come per esempio i genitori, i nonni, o altri parenti. Secondo questa teoria l’attaccamento permette ai bambini piccoli mantenuti vicino alla madre di sopravvivere, in particolare nelle situazioni in cui si presenta una minaccia di pericolo. L’attaccamento del bambino alla madre si attiva quando il bambino ha paura, ha subito un danno, è malato, o stanco e si manifesta con il pianto, e con il bisogno di coccole e gesti di affetto da parte del genitore. Nel caso in cui il genitore sia in grado di dare al piccolo un senso di sicurezza, il bambino sarà alleviato dalle sue ansie e non presenterà più questi comportamenti.
* Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia, Biotecnologie dell’Università degli Studi di Pisa 3
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La relazione medico-paziente Giuseppe Berti Ceroni*
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pronta la Legge suddetta, che tende a riportare il medico e in genere l’operatore sanitario di alto profilo (farmacologo, genetista etc.) nel ruolo di consulente e nel contempo di giudice di quel che è bene per il paziente, senza ipso facto dare pieno sviluppo all’incontro fra due reciproche autonomiequella del medico e quella del paziente-, la seconda delle quali alla fine dovrebbe essere -ex lege- dominante. Anche se, a ben vedere (come mi ha ricordato Eugenio Gallo, la Costituzione (articolo 32) tutela la salute non solo come fondamentale diritto dell’individuo, ma anche come bene collettivo. Nessuno comunque- legislatori o organizzatori della sanità (Ministero, Regioni, ASL)- sembra accorgersi di questa ambiguità. Un singolare paradosso è per esempio che le ASL contemporaneamente organizzino corsi di formazione dei loro operatori inversamente orientati, alcuni rivolti a riconoscere il primato della MFE e altri mirati a sviluppare la comunicazione fra operatori e pazienti, senza apparente contraddizione. Un’altra forte ambiguità nasce dalla rilevanza di dottrine, confessionali o comunque etiche, nell’interferire con l’autonomia del malato e anche del medico, riuscendo ad introdurre lineeguida molto vincolanti in Leggi dello Stato, per esempio riguardo alla fecondazione assistita, o rendendo difficile la stessa capacità legiferativa dello Stato, per esempio riguardo all’eutanasia. Succede così che l’autonomia del malato di confrontarsi con il medico riguardo ad alcuni momenti rilevanti della terapia e della vita stessa è limitata da interventi ideologici, plausibili ma nel frattempo limitativi della volontà del paziente.
a relazione medico-paziente è il polo di una relazione specializzata fra operatori dell’aiuto (medici, psicologi, infermieri, altro personale sanitario, volontari) e paziente e loro familiari in ogni campo dell’aiuto. Relazione specializzata di una capacità relazionale propria di ogni atto umano, verosimilmente meno intensa che in altre sue specializzazioni, quale quella della madre o altro accudente con il bambino. La relazione operatore-paziente non è specifica di questo periodo storico, che ha caratteristiche sue proprie, molto forti, ma anche ambiguità, come poi dirò. Riferimenti scientifici e opere letterarie (Cechov, Tolstoi) testimoniano quanto fu importante nel secolo scorso per esempio per tutto il romanticismo e, in Germania e in Russia, per tutto il secolo. In Italia abbiamo il grande contributo di Murri e in generale dei medici socialisti. Ora è di gran moda, pare quasi un tratto distintivo della attuale Società per la forza che alcune discipline umane- l’etica e soprattutto la bioetica- hanno avuto di improntare i codici deontologici e la stessa legge sanitaria, l’ultima dello scorso secolo (la legge detta Bindi), ed anche per il rigoglio di attività di volontariato, anche specializzate- come quella propria di IDEA. Alcune forti ambiguità possono però essere colte in orientamenti scientifici ed etici della medicina e in orientamenti etici o ideologici, anch’essi ben rappresentati nella Legislazione e molto diffusi nell’organizzazione sanitaria (Ministero, Regioni, ASL). Intendo innanzitutto riferirmi al primato della Medicina Fondata sull’Evidenza (MFE), che fra l’altro anch’essa im4
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Voglio a questo punto introdurre un altro elemento su cui riflettere con attenzione, e cioè che l’Evidenza della relazione medico-paziente- tanto più estesa a tutti gli operatori come prima dicevo- è poco studiata e risulta ancora frammentaria, a dispetto di studi importanti ad esempio sulla capacità comunicativa e il suo sviluppo e sull’alleanza terapeutica. Siamo ancora distanti da un livello riconoscibile di Evidenza. Meritevole perciò il contributo di IDEA alla ricerca scientifica nel campo.
quello per cui c’impegniamo, dediti, rispettosi, umani. Con chi? Con noi stessi in primo luogo. Il detto liberale “non fare agli altri quello che non vorresti etc.”, la compassione e la carità con un’impronta più religiosa, la solidarietà fra uomini di altre ideologie tutto fa brodo. Nell’egoismo, nella cecità, nel silenzio siamo noi a disumanizzarci. La cura degli altri, la cura della relazione è cura di noi stessi. Però l’amore non basta, va nutrito per quanto è possibile di conoscenza specifica approfondita, di organizzazione, di collegialità. Il nostro narcisismo compassionevole e solidaristico va contenuto in primo luogo dalla formazione, sempre dal riconoscimento all’altro, al malato, al sofferente, al misero, della sua autonomia, che gli lascia l’ultima parola. Un esempio di collegialità nello sviluppo della conoscenza e nella formazione: la ricerca sui Fattori Terapeutici Specifici Comuni (FTSC), che mette alla prova uno strumento di misura della relazione terapeutica, vagliando insieme percezioni di paziente e terapeuta, con l’impegno organizzativo di un gruppo di noi, l’intervento finanziatore di IDEA, il lavoro volontario di circa 20 fra psichiatri e psicologi e di più di 100 pazienti a compilare in più momenti successivi lunghi questionari si parla sempre male dell’impegno civico degli italiani, ma per quanto riguarda la collaborazione volontaria a ricerche nessun paese ci è pari- è segno di come la conoscenza possa dipendere dall’impegno volontario di una molteplicità di persone. I dati di questa ricerca sono ormai pronti e verranno presto pubblicati e pubblicizzati. Le due cose che ad una prima analisi più mi fanno pensare è che i pazienti 1) danno poca importanza a quale teoria fanno riferimento i terapeuti, che- un po’ vanamente- invece si dannano a dare alla terapia che attuano una cornice scientifica e ugualmente poco danno importanza al luogo- bello o brutto, ben arredato o confusionario, ben riparato o viceversa disturbato da rumori contingenze- le cui qualità invece gratificano o feriscono il narcisismo dell’operatore e 2) danno invece molta importanza alla qualità della comunicazione. Riemerge quindi, rafforzata da dati empirici, la centralità della relazione tra medico e terapeuta. E’ verosimile che la qualità di questa relazione sia altrettanto importante per la scelta del trattamento più appropriato e per l’esito della cura.
Un aspetto teorico che molto mi colpisce è come nella ricerca scientifica e nella sua volgarizzazione mediatica si tenda a sottolineare alla base della relazione (madre-bambino, anzi madre-cucciolo in genere, almeno per tutti i mammiferi) l’innatismo, un insieme di forma, mimica e sensorialità propria del cucciolo, che induce un comportamento e un’emozione comuni all’uomo e a ogni altro mammifero. Certo non nego l’importanza dei fattori filogenetici, soprattutto quando viene riconosciuto l’effetto di fattori ambientali sull’espressività dei geni e poi della macchina per relazioni costruita dai geni, il cervello, viene riconosciuta la plasticità. Mi pare comunque che questo primato dell’innatismo e della filogenesi dovrebbe essere contemperato dalla storia, passata e attuale. Solo brevi cenni: la centralità dell’affetto per la prole riguarda a stento gli ultimi due secoli. Per esempio nel ‘700 alla prole veniva riconosciuta grande importanza di rango, per l’eredità e le alleanze tramite matrimoni, ma i figli venivano allevati da altri (ricordate le balie?), spesso lontano dalle residenze dei genitori, con i quali avevano rapporti rari e brevi: è nell’800 che l’amore filiale diventa importante. Prima il bel musetto e i buoni odori non facevano grande effetto, a dispetto degli innatisti. Nell’Ottocento ancora, nel corso della rivoluzione industriale, gli orfani (ricordate Oliver Twist?), ma anche ora gli orfani e anche gli orfanati da genitori viventi- che abbandonano i figli per necessità o per scelta, non sempre necessaria- riempiono le strade, i bordelli, le miniere, i campi e le officine. Sono pochi esempi, tanti altri ce ne sarebbero. Accanto alle ragioni genetiche e al loro fondamento filogenetico, il primato delle culture va fortemente tenuto in conto. Lo stesso vale per l’uomo- non azzardo parlare di animali- malati, sofferenti, invalidi. Un peso per la Società e qui non ci sono bei musetti e buoni odori, ma aspetti sofferenti e spesso cattivi olezzi. Ospedali, ospizi, badanti. A volte trascuranti, persino disumani, altre volte, ed è
* Membro della Società Italiana di Psicoanalisi 5
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Aspetti psicosomatici nell’asma bronchiale
Mario Schiavina
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unanime intorno al concetto di psicosomatica: tale concetto è elaborato in modo controverso e condizionato da “pregiudizi” medico-biologici da una parte e dall’altra da altrettante pregiudiziali di natura psicologica. Nostro sforzo è quello di gettare un ponte, per così dire, tra le diverse e spesso opposte posizioni, al fine di contribuire ad una visione unitaria del campo della psicosomatica: ciò arricchirebbe non soltanto la teoria, ma sarebbe di pratica utilità nell’atteggiamento terapeutico verso i pazienti. Entriamo nel vivo. A nostro avviso, per causa psichica atta a determinare un’alterazione organica o un sintomo organico, possiamo intendere tutto ciò che “per via psichica” determina una reazione dell’organismo: è nota da sempre l’attenzione per la psiche da parte dei nostri antenati medici di fronte a determinate malattie: ulcera gastro-duodenale, asma, ipertensione. Tale causa può essere costituita da quello che comunemente intendiamo come trauma psichico o da uno stimolo che viene percepito come minaccioso; dal riemergere di un ricordo rimosso spiacevole; dalla attualizzazione di un vecchio conflitto sopito; da situazioni relazionali attuali che possono alterare la omeostasi emotiva ecc…. Tutte queste cause noi possiamo immaginare che con molta probabilità vadano a determinare una situazione di allarme, di angoscia e di dolore, che immediatamente provocano una reazione psichica non necessariamente inconscia. Ne con-
e osservazioni che configurano il ruolo dei fattori psicologici nell’asma bronchiale hanno una lunga storia. Ippocrate disse che “Il paziente asmatico deve proteggersi contro la collera”. Nei secoli seguenti un folto numero di clinici ha contribuito con evidenze anedottiche a descrivere il ruolo degli eventi emotivi nel precipitare ed aggravare la malattia asmatica. I giudizi circa il ruolo degli stimoli psicosomatici nel determinismo dell’asma bronchiale sono stati i più vari e i più controversi nell’era della moderna medicina. I più grandi pneumologi canadesi Bates, Macklen e Christie nel 1971 affermavano che “E’ ammesso che nel corso della malattia asmatica ci possano essere stimoli emotivi o ambientali che aggravano la malattia”.
Note sulla psicosomatica Vorrei prendere spunto e pretesto dalla malattia asmatica per valutare il ruolo della medicina psicosomatica tanto discussa e valutarne il suo ruolo nella malattia e se è opportuno tenerne conto quando facciamo una corretta anamnesi ad un paziente. Da lungo tempo i clinici più saggi hanno suggerito che i fattori emotivi possono giocare un importante ruolo nello scatenare o sostenere le manifestazioni cliniche nell’asma bronchiale. Allo stato attuale sembra non esserci ancora un accordo 6
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segua una successiva reazione fisica di tensione, che possiamo facilmente configurare come motrice di una lunga catena di eventi squisitamente biologici, fisici che contemporaneamente turbano e cercano, nel loro insieme, di ristabilire l’omeostasi minacciata. A questo punto possiamo introdurre il concetto di “compiacenza somatica” (introdotto da S. Freud fin dall’inizio del 1900 e mai smentito nella sua validità) accanto al più noto concetto “organo bersaglio”. Non ci sono salti né logici, né metodologici, né clinici che ci impediscono di accettare che il sintomo somatico o più tardi la malattia somatica, possano essere sostenuti e determinati da uno stimolo psichico. Ci siamo tenuti sul generico e abbiamo seguito una concettualizzazione, per così dire di base, in quanto ben sappiamo come intorno all’argomento della medicina psicosomatica siano state costruite teorie molto articolate e per certi aspetti fascinose, che spiegano tuttavia in modo non soddisfacente la patogenesi psicologica della malattia e conseguentemente non suggeriscono sicure direttive terapeutiche, sempre sul piano psicologico. Il nostro punto di vista, riassumendo, considera la reattività del corpo in modo specifico solo per quanto concerne la “risposta di organo o di apparato”. Abbiamo cioè la tendenza a giustificare tale risposta come condizionata da fattori costituzionali. Consideriamo altresì lo stimolo fisico di per sé aspecifico e relativamente semplice. Uno stimolo per non determina di per sé una risposta y, ma la risposta sarà condizionata solo dalla disposizione organica.
Questo modo di vedere ci pone il problema dell’atteggiamento del medico in maniera diversa da quanto spesso si osserva; cioè o di inviare “allo psicologo” il paziente, o di porsi di fronte al paziente come un benevolo inquisitore per ricercare e trovare l’ipotetico trauma; o, ciò che per noi è cosa peggiore, andare a ritroso nella storia infantile per individuare vissuti nascosti che ipoteticamente potrebbero nel loro riemergere costituire una causa. Se seguiamo la nostra impostazione, possiamo ammettere che allo scatenarsi iniziale delle tempeste emotive che poi determineranno la sintomatologia, segua una perdita della sicurezza o una importante minaccia alla sicurezza stessa del paziente (reazione di ansia, di smarrimento, di sconforto, di paura da cui parte poi il succedersi degli eventi morbosi che ci interessano). Ci rendiamo ben conto di quanto il paziente stesso abbia bisogno di ristabilire il più rapidamente possibile il suo stato di sicurezza. E’ fondamentale a questo fine che il medico sia ben avvertito di questa necessità primaria, a volte impellente, che la persona malata e smarrita denuncia. Possiamo solo suggerire che non è utile “scimmiottare” chi somministra interpretazioni o suggerisce ex-cathedra ricerche intellettualistiche di ipotetiche cause; ma che sia imprescindibile la presenza intelligentemente rassicurante, umanamente bonaria del medico che sa, ma che sa soprattutto somministrare il suo parere in modo comprensivo e dando la possibilità di intravedere la speranza di miglioramento, come il mai dimenticato Domenico Camporacci ci ha così bene insegnato.
A partire da questo numero, Idea Notizie pubblica nelle sue pagine il parere di specialisti in patologie non strettamente correlate alla Psichiatria, i cui articoli documentano la relazione che spesso esiste fra i vari disturbi e quelli legati allo spettro dell’umore. Il primo articolo è scritto per noi dal Prof. Mario Schiavina, direttore del Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare e dell’Unità Operativa di Pneumologia e Terapia Intensiva Respiratoria del Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna. Ringraziamo il Professore per questo importante contributo e per l’interesse e la sensibilità dimostrata nei confronti dei nostri progetti.
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Dieci anni… Massimo Rabboni Di solito, quando in un titolo si annuncia un tempo, ed un tempo così lungo, è per celebrare un anniversario, una ricorrenza. Dieci anni di un percorso, dieci anni di un’attività… Qualche cosa di cui, quindi, essere contenti. Non è, purtroppo, questo il discorso che andremo tessendo.
pa, mi sembrava che fosse pigrizia… Ma in realtà non riuscivo davvero. Tutto mi costava un’enorme fatica e, stranamente, le cose di solito per me piacevoli erano quelle che riuscivo a fare di meno. Me ne ero quasi dimenticato, ma un anno dopo, giusto nello stesso periodo, verso fine settembre, mi è capitato di nuovo. Stavo male, anche più dell’anno precedente. Ero spaventato. Io faccio il ceramista, ho una piccola fabbrica: sono bravo, so fare bene il mio mestiere e ho molti clienti: in quel periodo era un disastro. Se un giorno non ricevevo ordinazioni, mi vedevo sul lastrico e pensavo che tutti sapessero che non ero più capace e quindi non mi volessero più; quando poi arrivava un ordine ero disperato, perché ero sicuro che non sarei mai riuscito a soddisfarlo. Pensavo che saremmo finiti in miseria, io, mia moglie e i miei figli; pensavo che sarei morto, perché lavorando respiravo i solventi dei colori con cui dipingevo la ceramica; e mi sentivo in colpa, perché in agosto ero stato in vacanza, e mi ero riposato, e avevo speso quelli che mi sembravano tantissimi soldi, e nonostante questo mi sentivo molle, e incapace e impotente… Gli amici e mia moglie mi dicevano di tirarmi su, di andare a divertirmi, di non pensarci, che erano tutte fantasie, che forse ero un po’ esaurito… È durata soltanto un mese; poi, quasi di colpo, dopo una notte
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ieci anni è il tempo medio che trascorre tra il momento in cui un quadro depressivo esordisce ed il momento in cui viene avviato un trattamento specialistico congruo. Il dato è allarmante: diffuso in letteratura, lo abbiamo però trovato – e questo, stranamente, lo rende come più sensibile e grave – anche nella nostra esperienza di lavoro quotidiano nell’Ambulatorio IDEA di Bergamo. Dieci anni per la depressione, cinque, in media per i disturbi d’ansia. Ci siamo chiesti perché e come; la risposta è una storia. “Vede, dottore,dieci anni fa, una mattina, stranamente, mi sono svegliato e mi sono accorto che non mi sentivo di andare a lavorare. Ero stanco, svogliato: a me il mio lavoro era sempre piaciuto; ma quella mattina mi sono chiesto perché dovessi alzarmi e andare. Era davvero strano, per me, e ho pensato di essere un po’ esaurito. Poi mi sono alzato, e sono andato. Mi è successo ancora, molte volte. Ho pensato di prendere qualcosa, magari di andare dal medico; ma poi, alla sera, stavo meglio, a volte mi sembrava di stare bene e mi pareva ridicolo andare dal medico a dirgli che stavo male a una certa ora e ad un’altra no. Poi, piano piano, è passato. È stato un brutto periodo, non mi rendevo conto di cosa mi stesse succedendo; mi sentivo in col8
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insonne mi sono accorto che il mattino non mi faceva più paura, e ho ricominciato a vivere. L’anno dopo è andata bene; credevo fosse passata, ma l’anno dopo ancora mi è successo due volte. In primavera è stato lieve, ed è durato un mesetto; poi, di nuovo in autunno. È cominciato lentamente, poi pian piano è cresciuto. È stata la prima volta che una mattina, svegliandomi e sentendomi come mi sentivo, ho pensato che forse sarebbe stato meglio non esserci più. Mi dispiaceva per i miei, ma mi pareva che forse anche per loro sarebbe stato meglio essere liberi dal peso che io ero diventato. Taciturno, cupo, cominciavo a chiedermi come poterlo fare, come uccidermi senza il rischio di un fallimento. Mia moglie ha sentito da un’amica che c’erano delle erbe, dei fiori che facevano molto bene a chi stava come me: li ha comprati – a me sembrava che fossero molto cari, e mi sentivo in colpa anche per questo – e me li ha fatti prendere. Non cambiava nulla; io stavo male, ma avevo paura anche a dirlo a mia moglie, perché temevo di deluderla, di contraddire la sua fede nei fiori miracolosi. Volevo morire. A sua insaputa – mi sentivo in colpa sempre di più – sono andato dal medico di famiglia. Lui mi ha ascoltato, e questo è stato, intanto, un sollievo: mi ha ascoltato a lungo. Mi è sembrato che questo fosse molto meglio dei fiori; mi sembrava che per me ci volesse intanto una persona, un medico che mi ascoltasse, che capisse che cosa mi stava succedendo, che lo condividesse con me, che sentisse, per un momento, come sentivo io. Mi ha detto che ero certamente molto esaurito, e forse depresso. Ho sentito quella parola per la prima volta: un’emozione strana. Mi ha fatto paura – voleva dire che ero malato di mente? – e insieme mi ha sollevato, perché forse, allora, quello che avevo aveva un nome e se aveva un nome esisteva. Mi ha fatto fare degli esami e mi ha prescritto dei ricostituenti, li ho presi per un po’; non succedeva nulla. Erano, nel frattempo, arrivate le feste di Natale. È stato terribile. Avevo ormai pensato di uccidermi respirando il gas dalle bombole che usavo per il forno della ceramica; mia moglie e i miei amici continuavano a dirmi di tirarmi su, che gli esami erano normali, e quindi non avevo nulla. Poi, verso metà gennaio, dopo più di quattro mesi, in pochi giorni è passato. Mi sembrava incredibile: avevo di nuovo voglia di alzarmi al mattino, di lavorare, di parlare con le persone, ero contento. Spaventato, però, anche, da questa cosa che di colpo mi veniva e poi di nuovo se ne andava. Capivo bene che se ne era andata da sé, non c’entravano nulla né le erbe né i ricostituenti. Un anno solo di tregua; poi mi è successo ancora, e ancora e ancora. Un’altra volta, sono andato dal mio medico. Lui mi ha detto che questa volta non aveva dubbi, era proprio una depressione; mi ha prescritto una medicina. Ho visto che era molto costosa, ma non ho speso niente: la passava la mutua. Sono rimasto sconcertato; so che la mutua passa solo le medicine per le malattie vere, soprattutto se sono medicine costose. Voleva dire che ero malato davvero, che non era colpa mia, come avevo sempre pensato e come, in fondo, mi avevano sempre detto i miei, invitandomi a metterci un po’ di buona volontà? Ho comprato la medicina, ma non l’ho mai presa. Mio moglie mia suocera, e un amico con cui mi ero confidato, hanno cominciato a dirmi che ero pazzo a pensare di prendere psicofarmaci, che mi sarei drogato, che mi avrebbero distrutto il fegato, che non avrei potuto smettere più, che era roba per gente debole di carattere o per gli scemi…
Anche quella volta, è durata mesi. Un anno libero, altri anni due volte, di solito una. Ogni volta, l’idea che la morte fosse l’unica soluzione. Poi – erano passati circa nove anni dalla prima volta – ho sentito parlare alla radio uno psichiatra; raccontava la storia di un depresso. Dopo pochi minuti, stavo quasi male. Mi sembrava di sentir raccontare la storia dei miei dieci anni di vita; quello che avevo sofferto, quello che a me sembrava una disgrazia inspiegabile, prendeva in quella storia senso, perfino valore; ma quello psichiatra diceva anche che la depressione – accettavo davvero per la prima volta quella parola – si cura e, il più delle volte, guarisce. Ho deciso di andare a farmi visitare.” Lo psichiatra che aveva parlato alla radio ero io. Ho incontrato quell’uomo; gli ho prescritto una terapia e adesso, ormai da tre anni, con una compressa al giorno sta bene. Il lavoro più difficile non è stato, ovviamente, curarlo, ma aiutarlo ad accettare l’idea di essere malato (la relazione con il medico è fondamentale, per un percorso di cura e di senso; e questo è un altro problema dei farmaci “naturali”, che, paradossalmente, sottraggono il malato a questo percorso di senso, facendogli credere, assai più di quanto non possa fare il più biologico degli psichiatri, che la sua malattia è una questione fisica, che le goccine da sole potranno risolvere). Ma il momento davvero difficile è arrivato dopo; quando quest’uomo – un uomo intelligente, vitale, capace di affetti e di pensieri profondi – un giorno mi ha chiesto: “Ma scusi, dottore: allora, se io fossi andato da uno psichiatra dieci anni fa, mi sarei risparmiato questa serie di inferni?” Questo non ho saputo dirglielo. So di certo che, se ci fosse meno paura della psichiatria, ancora pensata come dispositivo di controllo e di stigmatizzazione sociale anziché come clinica, e se da parte di tutti un approfondimento in questo ambito fosse pensato normale, sarebbe possibile ai malati sentirsi legittimamente tali ed andare a chiedere aiuto per una malattia che sempre si cura, ed assai spesso guarisce.
Il Prof. Massimo Rabboni, che ringraziamo per l’interessante articolo, è Direttore del Dipartimento di Psichiatria II presso l’Ospedale Riuniti di Bergamo. All’interno di questa Unità Operativa, è attivo fin dal 1° marzo 2004, l’Ambulatorio per la ricerca, la diagnosi e il trattamento dei disturbi d’umore e di ansia, nato dalla collaborazione fra l’Azienda Ospedaliera e la Fondazione Idea. Vogliamo ringraziare il Professore per la sua disponibilità e dedizione nei confronti di tutte le persone che soffrono di queste patologie.
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Qualcuno vi ascolta (Risponde Prof. Antonio Tundo, Istituto di Psicopatologia, Roma)
Scrive Osvaldo da Matera: “Qualche mese fa mi è stato diagnosticato un disturbo bipolare e, per prevenire ulteriori ricadute, mi sono stati prescritti i sali di litio. Sono spaventato perché mi hanno detto che è un farmaco pericoloso, riservato ai casi più gravi e che, una volta iniziato, non può essere sospeso in quanto causa dipendenza. Cosa ne pensa?”
quindi potenzialmente tossico. Tutto qui: un buon psichiatra non avrà nessuna difficoltà a gestire in piena sicurezza la situazione. In secondo luogo, non è affatto vero che il litio è riservato ai “casi più gravi”: esso rappresenta invece la cura di base nella prevenzione del disturbo bipolare mentre nelle situazioni più difficili è necessario ricorrere a complesse associazioni farmacologiche con 2 o più stabilizzatori, antidepressivi e/o antipsicotici. Infine, l’idea che crei dipendenza è priva di fondamento. La sospensione del litio non provoca fenomeni di astinenza e non è di per sé pericolosa. Il vero problema in questo caso è un altro: il disturbo bipolare è una patologia “cronica” che necessita di un trattamento a lungo termine (anche di molti anni) per evitare le ricadute. Pertanto, l’interruzione non concordata con lo specialista di una terapia che sta dando buoni frutti espone inutilmente ad un probabile ritorno di nuovi episodi maniacali o depressivi. Un’ultima considerazione: nessuno dei farmaci (antiepilettici, antipsicotici atipici ecc…) oggi utilizzati come stabilizzatori dell’umore ha dimostrato un’efficacia equivalente o superiore a quella del litio. Spero con queste poche righe di aver aiutato Osvaldo, e le tante persone che si trovano nelle sue stesse condizioni, a chiarirsi le idee e a vincere i propri timori in modo da iniziare con serenità la terapia prescritta.
I sali di litio da oltre 40 anni costituiscono il più efficace strumento per prevenire la comparsa di nuovi episodi maniacali e depressivi. Nei pazienti con disturbi bipolari, inoltre, riducono fino a 19 volte il rischio di mettere in atto un suicidio e aumentano l’aspettativa di vita in media di 7 anni perché limitano le conseguenze dello stress e le complicanze somatiche connesse con le recidive. A dispetto di questi importanti risultati, dimostrati dalle ricerche sperimentali e confermati dall’esperienza clinica quotidiana, da qualche anno si è creato un ingiustificato timore verso il litio. La lettera di Osvaldo mi consente di chiarire almeno tre dei più diffusi pregiudizi. Innanzitutto, se correttamente utilizzato, il litio non è assolutamente pericoloso. La sua prescrizione richiede la verifica periodica del funzionamento di reni e tiroide e la misurazione del suo livello nel sangue (“litiemia”) per evitare che sia troppo basso, e quindi inefficace, o troppo alto, e
Inviate le vostre lettere per posta ordinaria al Prof. Antonio Tundo - Idea Bologna, Via Barberia 18 • 40123 Bolognao per E-mail: idearisponde@tin.it In questa rubrica saranno pubblicate quelle che contengono richieste di informazioni o quesiti clinici di interesse comune
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In breve dalla ricerca (a cura della Dott.ssa Fulvia Marchetti, Istituto di Psicopatologia, Roma)
Sicuri ed efficaci gli ANTIDEPRESSIVI NEI BAMBINI E NEGLI ADOLESCENTI La Food and Drug Administration, l’organizzazione che negli Stati Uniti regola l’immissione in commercio e le indicazioni dei farmaci, negli ultimi anni aveva imposto rigide limitazioni all’utilizzo degli antidepressivi nei più giovani. Da una parte, infatti, era stato segnalato un aumento del rischio di suicidio nei bambini e negli adolescenti trattati con questi farmaci, dall’altra non c’era certezza della loro efficacia. Una recente meta-analisi (cioè una sofisticata analisi statistica sugli studi presenti in letteratura), pubblicata su una delle più autorevoli riviste di medicina statunitensi (Bridge e collaboratori, JAMA, Aprile 2007), ha chiarito che la prescrizione di antidepressivi non solo non aumenta la spinta al suicidio, ma ha anche evidenti effetti positivi nel trattamento dei disturbi d’ansia, del disturbo ossessivo-compulsivo e della depressione nell’infanzia e nell’adolescenza.
DISTURBI EMOTIVI DELLA MENOPAUSA: che fare? La menopausa, accanto ai noti disturbi fisici (sensazioni di caldo freddo, improvvise sudorazioni, modificazioni del metabolismo) può causare anche ansia, depressione, facili variazioni dell’umore, irritabilità. Questi disturbi emotivi, più comuni nelle donne che in precedenza avevano sofferto di ansia o depressione e in quelle che hanno un periodo peri-menopausale particolarmente lungo, non sempre regrediscono con la terapia ormonale sostitutiva. Secondo quanto emerge da uno studio di Joffe e collaboratori (Journal of Clinical Psychiatry, Giugno 2007) gli antidepressivi, ed in particolare la duloxetina e gli inibitori della ricaptazione della serotonina, sono un valido trattamento dei disturbi emotivi che compaiono o si accentuano in concomitanza con la menopausa e possono essere con tranquillità associati alla terapia ormonale. Inoltre, nelle donne che non possono assumere estrogeni è possibile attenuare la sintomatologia somatica con il gabapentin, un antiepilettico utilizzato anche nei disturbi bipolari e nell’ansia sociale (Albertazzi, Climateric, Ottobre 2007).
Una terapia per il BRUXISMO Il bruxismo è un’affezione caratterizzata da movimenti ripetitivi ed automatici della mandibola (comunemente definiti anche “digrignamento dei denti”) che si manifestano in genere, ma non esclusivamente, di notte e che possono causare importanti lesioni alla dentatura. Nella maggior parte dei casi costituisce un sintomo isolato, la cui origine non è del tutto chiara, che si manifesta in chi svolge un lavoro particolarmente stressante (Lurie e collaboratori, Aviation Space Environmental Medicine, Febbraio 2007), in chi soffre di disturbi mentali e in chi assume antidepressivi della famiglia degli inibitori della ricaptazione della serotonina. Oltre ad eliminare l’eventuale fattore scatenante (migliorare la gestione dello stress, trattare correttamente ansia e depressione, sostituire il farmaco eventualmente ritenuto responsabile), è possibile intervenire su questo fastidioso sintomo con opportuni dispositivi, detti bite, o con farmaci specifici come il clonazepam, una benzodiazepina, o la clonidina, un anti-ipertensivo che agisce sui recettori alfa-2 adrenergici (Huynh e collaboratori, Journal of Canadian Dentist Association, Ottobre 2007).
Eventi di vita e SINTOMATOLOGIA DEPRESSIVA I sintomi della depressione cambiano da persona a persona e, spesso, da un episodio all’altro anche nella stessa persona. Questa osservazione ha portato alcuni ricercatori a ipotizzare che se da una parte la depressione riconosce un’origine biologica, dall’altra le sue manifestazioni sono condizionate da fattori psicologici, ambientali e culturali (Keller e collaboratori, American Journal of Psychiatry, Ottobre 2007). Ad esempio, quando la depressione è scatenata da un lutto o dall’interruzione di un rapporto affettivo importante prevalgono la sofferenza emotiva, il pianto, la ricerca di compagnia, il bisogno di rassicurazioni e l’inappetenza. Se invece l’episodio insorge dopo un lungo periodo di stress il quadro è dominato dalla stanchezza fisica, dal pessimismo per il proprio futuro e dalle idee di colpa. I risultati di queste recenti ricerche confermano l’utilità di trattare la depressione integrando la terapia farmacologica, che incide sulla componente biologica, con una psicoterapia cognitivo-comportamentale o interpersonale, che interviene sulle componenti psicologiche ed aiuta a superare le problematiche esistenziali (IDEA Notizie, Aprile 2007). 11
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Gli antidepressivi: qualche risposta a domande frequenti
Alessandro Serretti* , Antonio Drago*
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li antidepressivi sono una classe eterogenea di farmaci utilizzati per il trattamento di un ampio spettro di disordini: disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, disturbi della condotta alimentare, disturbi di personalità, disturbi algici. Il clinico ha a disposizione una discreta varietà di opzioni farmacologiche possibili per ognuno di questi disordini. Esistono infatti diverse classi di farmaci caratterizzate da uno specifico meccanismo d’azione: 1. Inibizione del reuptake della noradrenalina e della serotonina associata a effetti su più recettori e sui canali rapidi del sodio 2. Inibitori selettivi del reuptake della serotonina 3. Inibitori del reuptake della serotonina e della noradrenalina 4. Blocco serotoninergico e inibizione del reuptake della serotonina 5. Blocco dei recettori serotoninergici e noradrenergici 6. Inibitori delle monoamineossidasi 7. Inibitori selettivi del reuptake della noradrenalina Uno degli usi più frequenti e diffusi di questi farmaci è per la patologia depressiva: in questo ambito ci sono questioni di ordine generale che possono preoccupare chi sta per iniziare un trattamento o l’ha iniziato da poco. Una delle prime domande è se i farmaci antidepressivi siano efficaci o no. I farmaci antidepressivi sono generalmente piuttosto efficaci, ma non in tutti i casi: non tutti i pazienti sofferenti di depressione guariscono con il solo trattamento farmacologico. Questo dato prognostico dipende dalla diagnosi, dall’anamnesi, dalle patologie concomitanti e da una serie complessa di variabili personali, cliniche e socio demografiche che rendono difficile una risposta univoca. Tuttavia, il numero di per-
sone che non guariscono e la durata media di malattia tendono ad essere più alti nel caso in cui non si instauri alcun trattamento. All’interno delle classi farmacologiche ci sono sostanze più efficaci di altre, anche se le differenze non sono notevolissime. In genere però, i farmaci più efficaci sono anche caratterizzati da effetti collaterali più intensi. Nel caso in cui un trattamento non si dimostri efficace, ci sono delle strategie che possono aiutare: il gesto clinico più comune è il cambiamento del tipo di farmaco. Si badi bene però che questo va fatto solo dopo aver lasciato il tempo alla prima molecola di agire: un mese o un mese e mezzo possono rappresentare periodi minimi di prova. Se il cambiamento farmacologico non dovesse sortire gli effetti desiderati, si possono provare altre strategie come l’affiancamento di un altro farmaco (ormoni tiroidei, stabilizzatori dell’umore per esempio), o di una psicoterapia. La psicoterapia è molto utile nella grande maggioranza delle depressioni e di altri disturbi psichiatrici, anche se non può essere considerata una panacea buona per ogni occasione. Anzi, disturbi psichiatrici maggiori possono essere controindicati ad un approccio psicoterapeutico. Comunque, tornando al caso della depressione, una strategia psicoterapeutica può essere tanto efficace quanto quella farmacologica: l’uso però di entrambi gli approcci insieme permette di raggiungere dei risultati migliori. Una volta iniziato il trattamento, una delle domande che possono sorgere è se i farmaci antidepressivi diano dipendenza. La risposta è no. I farmaci antidepressivi non danno dipendenza: la sospensione del trattamento al termine della terapia, se eseguita nelle modalità corrette, non provocherà sintomi da astinenza. Sostanzialmente, se l’equilibrio timico è raggiunto da qualche mese, e la terapia è stata sospesa nel12
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le modalità adeguate, i farmaci antidepressivi non sono ge-
to della coppia paziente – terapeuta.
neralmente quel tipo di sostanze che ci si preoccupa di por-
Una tematica piuttosto frequente è la durata del trattamen-
tare in viaggio. Assodato che non esiste un rischio di dipen-
to farmacologico. In genere si consiglia di mantenere la te-
denza da antidepressivi, un altro punto forte del trattamento
rapia antidepressiva oltre il raggiungimento della guarigione
è il rapporto tra gli effetti benefici ed gli effetti negativi
dai sintomi per un tempo che è proporzionale alla gravità
dei farmaci antidepressivi. La maggior parte degli effetti col-
della sintomatologia ed alla storia di malattia: se infatti di fron-
laterali (nausea, sensazione di vuoto, lipotimie ed altri più spe-
te ad un primo episodio di media entità ci si potrà orientare
cifici), tendono a comparire subito dall’inizio del trattamento
verso un trattamento di mantenimento di sei mesi, in caso di
e a stemperarsi con il suo proseguire, mentre gli effetti be-
depressioni gravi o che hanno già recidivato nel corso della
nefici sui sintomi depressivi tende a comparire più tardi, do-
storia del paziente, sarà necessario orientarsi verso un pe-
po due o tre settimane di terapia continuativa. A volte è ne-
riodo più lungo, di otto mesi, un anno, un anno e mezzo o
cessario attendere fino ad un mese, un mese e mezzo, cer-
anche di più a seconda del caso. Questo tipo di scelta tera-
cando di mantenere una terapia che è in realtà piuttosto an-
peutica si dimostra vincente nella maggior parte dei casi, an-
tipatica avendo portato velocemente gli effetti collaterali e tar-
che se ad uno sguardo inesperto può sembrare inopportu-
dando a dimostrarsi utile. E’ necessario in questi casi avere
na. Quando si pensa ad un trattamento così lungo, è sponta-
pazienza e fiducia, oltre a chiedere ed accettare un confron-
neo preoccuparsi delle limitazioni alla propria quotidianità che
to aperto col proprio terapeuta. Compito di quest’ultimo sarà seguire il paziente nella fase difficile e talvolta scoraggiante di inizio di trattamento, fornendo consigli ed eventualmente terapie per i principali sintomi collaterali, o altrimenti sospendendo il trattamento e cambiando terapia se questi sono mal tollerati. Una particolare attenzione deve essere posta alla sequenza degli effetti benefici del trattamento depressivo: può infatti accadere che il miglioramento della volontà e della psicomotricità preceda l’effetto sul tono
dipendono dalla terapia. Per esempio, l’assunzione di alco-
dell’umore. In questo caso l’umore rimane nero ma il pa-
lici è fortemente sconsigliata nel periodo di trattamento, sia
ziente ha più voglia di fare, proprio in virtù del trattamento.
per una questione di effetto diretto dell’alcol sul sistema ner-
Si tratta di una condizione a rischio e degna di intensa atten-
voso centrale, sia per le alterazioni dirette del funzionamen-
zione clinica in quanto si possono mettere in atto azioni, per-
to epatico e indirette di quello pancreatico, o i profili di mal-
ché il farmaco ne dà la forza, influenzate però da un tono
nutrizione che possono essere associati ai casi più gravi e che
dell’umore ancora basso, in quanto il farmaco ha bisogno di
possono alterare la funzionalità del farmaco peggiorando i sin-
un po’ di tempo ancora per agire sull’umore. Se il paziente
tomi collaterali.
non è adeguatamente seguito in questo breve periodo, o non * Istituto di Psichiatria, Università di Bologna
sa chiedere aiuto, si possono verificare casi di auto aggressività: si tratta comunque di una finestra temporale piutto-
l’articolo prosegue nel prossimo numero
sto breve che è a rischio limitato se c’è un buon funzionamen13
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Formazione di volontari e prevenzione del suicidio F. Casamassima*, L. Lattanzi* Ogni anno, nel mondo, oltre un milione di persone muore per suicidio: tra queste, secondo le statistiche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 2004), almeno il 90% presenta uno o più disturbi mentali.Il suicidio è particolarmente frequente nelle fasce estreme della popolazione,tra gli adolescenti e gli anziani, ed è la terza causa di morte nella fascia d’età compresa tra i 15 ed i 44 anni. do la vita di familiari, amici o conoscenti, consegnando alla comunità sociale intera sentimenti, spesso intollerabili, di sofferenza, colpa, incredulità, rabbia e disperazione. L’assistenza medica pertanto dovrebbe proseguire anche dopo la morte di un paziente, indirizzandosi ai “sopravvissuti” e cioè ai familiari che oltre a fattori di rischio ereditari, possono sviluppare un quadro depressivo secondario al lutto. Una parte rilevante del compito dello psichiatra, come dello psicoterapeuta, è di costruire una relazione terapeutica valida, educare il paziente ad affrontare la propria malattia modificando ove necessario lo stile di vita ed imparando a riconoscere i prodromi di una ricaduta depressiva o le prime avvisaglie di una fase euforica. Una buona consapevolezza di malattia è probabilmente il fattore prognostico più favorevole nel decorso di un disturbo mentale, consentendo al medico di poter impiegare nel miglior modo possibile le strategie terapeutiche opportune. Nell’arco della vita il rischio di suicidio è maggiore durante il primo episodio di malattia, sia che si tratti di un disturbo dell’umore che di un disturbo psicotico. All’esor-
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egli ultimi 50 anni la frequenza dei suicidi a termine è aumentata del 60% (OMS, 2004). I ricercatori ed i clinici sono peraltro consapevoli che, nonostante l’allarme suscitato dalle statistiche, il fenomeno è ancora sottostimato: in questi dati, ad esempio, non vengono presi in esame i cosiddetti “suicidi mascherati”, e cioè quei decessi per incidenti stradali, overdose da sostanze, rifiuto di alimentarsi ed assumere farmaci di vitale importanza (un fenomeno, tipico degli anziani, conosciuto come “suicidal erosion”), etc., provocati volontariamente e classificati invece come morti accidentali. Se consideriamo inoltre che i tentativi di suicidio sono venti volte più frequenti dei suicidi a termine, e che il numero di suicidi è superiore nella popolazione anziana, ci rendiamo conto che i comportamenti anticonservativi rappresentano un importante problema per la salute mentale e la sanità pubblica in generale. L’entità del problema è destinata ad aumentare se non vengono messe in atto adeguate strategie di assistenza e prevenzione. Nessun decesso, in ambito medico, segna allo stesso mo14
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come essere indirizzati da un centralinista ad un altro durante una chiamata telefonica, l’eccessiva distanza geografica dei servizi di pronto soccorso e/o lunghi tempi di attesa per le visite, la difficoltà di individuare una figura di riferimento nella presa in carico iniziale, possono scoraggiare ulteriormente il paziente depresso, rallentato e demoralizzato, con gravi deficit di concentrazione ed attenzione. Nella Regione Veneto un semplice servizio di Tele-Help-Tele-Check (risposta telefonica immediata alle richieste di aiuto, e controllo telefonico bisettimanale) attivato per una parte della popolazione anziana selezionata in base a fattori di rischio (condizioni di disabilità, isolamento sociale, malattia psichiatrica, scarsa aderenza ai regimi di trattamento ed in lista di attesa per l’ammissione ospedaliera o residenziale) si è dimostrato significativamente efficace nella riduzione dei tassi di suicidio. Nell’ambito dei progetti patrocinati dalla Fondazione Idea la formazione di volontari che operino nel campo della prevenzione del rischio di suicidio potrebbe sicuramente avere ripercussioni positive, anche nella prima assistenza a pazienti con storia di tentativi di suicidio o con fattori di rischio attuali. I volontari dovrebbero essere formati a riconoscere le situazioni a rischio ed a fornire aiuto ai soggetti che si rivolgono al servizio di prima assistenza telefonica, indirizzandoli rapidamente alle strutture sanitarie più vicine. Le persone che manifestano idee di morte devono essere innanzitutto rassicurate con competenza sulla natura dei loro problemi, e sulla possibilità di risolverli quanto prima. Non va infine sottovaluta l’importanza dell’attività di informazione, oltre che di formazione, svolta dalla fondazione Idea. Abbiamo già detto che familiari, amici e colleghi di lavoro, se sono a conoscenza delle problematiche attinenti alla salute mentale, sono le persone più adatte ad identificare le ripercussioni sul comportamento quotidiano di una sindrome depressiva, i segni premonitori di una ricaduta od a prevenirne le complicanze con un intervento precoce di sostegno ed indirizzo al medico curante.
dio della sintomatologia depressiva, il paziente spesso non è in grado di spiegarsi né di affrontare i cambiamenti indotti dalla malattia e gli stessi familiari sono impreparati a riconoscerli ed interpretarli correttamente. L’individuo passa, più o meno rapidamente, da un normale livello di funzionamento all’incapacità di gestione della propria attività lavorativa, alla perdita delle proprie attitudini ed abilità, al disinteresse per il tempo libero. Tutto diventa difficile, faticoso, e perfino la frequentazione di familiari ed amici risulta tormentosa. Chi si sente privo di energie o motivazioni percepisce penosamente il lento trascorrere delle ore, la giornata diventa senza fine e senza speranza, compaiono idee di autosvalutazione e rovina, ci si sente oppressi da sentimenti di colpa, incapacità, inadeguatezza. In molti casi il paziente non è consapevole di essere affetto da una malattia e quindi non manifesta una richiesta diretta di cure mediche. Tuttavia cerca aiuto in molti modi, diretti ed indiretti, rivolgendosi al sostegno dei familiari, ricercando il conforto di amici e conoscenti. E’ auspicabile che le persone care, vivendo intorno al paziente, siano in grado di cogliere i primi indizi di una ricaduta della malattia, di decodificare ed accogliere in modo appropriato queste richieste di aiuto e comprensione. Spesso inoltre la necessità di iniziare un trattamento spaventa il paziente, aggravando la visione pessimistica del futuro, i vissuti di colpa e di vergogna. E’ in queste prime fasi di malattia che il supporto dei conoscenti diventa fondamentale, anche per sostenerlo e rinforzarlo nel suo desiderio di essere aiutato e curato. Quando purtroppo la depressione si intensifica fino alla comparsa di sentimenti di disperazione e angoscia quotidiani oppure si complica con gravi sintomi somatici (insonnia, rifiuto di alimentarsi, tensione interna) allora possono insorgere e maturare anche le idee di morte e di suicidio: a questo punto il paziente spesso non è più in grado di chiedere aiuto o dispera di poterne ricevere alcuno. La facile accessibilità di un’assistenza sanitaria qualificata e tempestiva è un fattore cruciale nella prevenzione del rischio di suicidio. E’ fondamentale sapere dove ed a chi rivolgersi, in che modo contattare operatori competenti e raggiungere le strutture sanitarie in tempi rapidi. Anche banali impedimenti
* Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia, Biotecnologie dell’Università degli Studi di Pisa 15
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Un alieno addosso Testimonianza Laura Garampazzi
E’
molto difficile spiegare un disagio, quando accompagna la tua vita da sempre al punto da farti sentire un’aliena e che indossi come uno scomodo vestito, tanto che nemmeno ti accorgi che il suo tessuto diventa la tua stessa pelle. Diciamo che “è” la tua persona, senza che tu riesca ad avere la consapevolezza che potresti essere altro. Questa è la mia esperienza, un disturbo dell’umore ereditato (Ciclotimia), che in assenza di una diagnosi è diventato un tratto distintivo del carattere di tutti quelli che della mia famiglia ne soffrono. Da quando sono nata e per molti anni a seguire, ho vissuto in balia di stati euforici alternati a crisi depressive, aggravati da comportamenti inadeguati e da un consumo esagerato di tè (a nessun adulto viene mai in mente che sia una bevanda eccitante non adatta ai bambini). Se dovessi trovare una parola che possa sintetizzare quegli anni, direi che mi sentivo
in balia di una bufera, completamente succube dei suoi capricci. Direi che il tratto più invalidante di questo disagio per me è stata la sensibilità. Non quella che rende le persone migliori, che certo non è patologica ma solo auspicabile. Parlo invece di una sensibilità ridondante ad ogni stimolo esterno: odori, suoni, alimenti, farmaci, variazioni climatiche, ecc., tutto ciò che riguarda i cinque sensi ma anche la percezione delle emozioni. Quello che è più difficile da tollerare è la frustrazione di non riuscire a spiegare che tu non senti ciò che non esiste e nemmeno esageri ma senti solo di più, come se avessi occhi ed orecchie enormi ed un’anima fragile come quella che immagini avere uno Scricciolo, tanto da doverti proteggere anche dal salire su un mezzo pubblico per non fare tue le sofferenze dei passeggeri, o dal guardare un telegiornale o un film drammatico. Nella fase depressa, già a sei anni ero terrorizzata da ogni evento emozionale, al
punto da dormire in stato di rigidità muscolare e completamente coperta per proteggermi dai mostri che dominavano i miei pensieri. Avevo inoltre costantemente bisogno di aggrapparmi a qualcuno per sopravvivere ai continui desideri di morte che mi coglievano soprattutto al risveglio, quale unica soluzione alle sofferenze del mondo. Nella fase euforica invece, è come dovessi costantemente lottare contro un vento fortissimo. Pensieri geniali e creativi invadevano la mia mente svegliandomi in piena notte, ma ero impossibilitata a utilizzarli in alcun modo a mio favore, a causa della velocità di scorrimento di questo inesorabile fiume di acuti concetti. In quei momenti ero anche iperattiva. Correvo per ore e non riuscivo a concentrarmi su nulla, se non per pochi istanti, per poi ritrovarmi esausta. La mattina al risveglio ero già affaticata come dopo una giornata di duro lavoro. Questo e molto altro, ha avuto gravi conseguenze sulla mia vita fino ad oggi. Quando ho deciso a vent’anni di intraprendere la psicotera-
Nel ringraziare la Sig.ra Laura, per la coinvolgente testimonianza, rinnoviamo l’invito a tutti i nostri gentili lettori ad inviarci articoli e testimonianze, personali o dei propri cari, affinché l’esperienza di chi ha sofferto possa essere di aiuto ad altri. 16
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pia, potevo vantare problemi di ogni genere e tipo: di relazione, scolastici, lavorativi, sessuali, di salute ecc… Ma la cosa peggiore, è che non avendo consapevolezza di quale fosse la causa dei miei problemi, me ne sono totalmente addossata la colpa, alimentando in me e negli altri sentimenti di totale disistima, impedendo a chiunque di prendersi cura di me e assumendo a tratti comportamenti autolesivi (per fortuna con conseguenze non irrimediabili). Speravo che la psicoterapia mi sollevasse da questo peso, imputando i miei limiti a fattori ambientali, a influenze familiari ecc. e in effetti in parte è stato così ma non per tutto. Il lavoro di analisi è servito a ristrutturare un “Io” molto fragile e ad apprendere in ambiente protetto un modo per comunicare con la realtà esterna. Diciamo, dopo vent’anni di lavoro, che mi ha tutelata dal fare sciocchezze quali il porre fine alla mia vita, che mi ha permesso di trovare un modo per convivere con questo strano modo di sentire la realtà e di smussare o risolvere buona parte dei miei problemi, tranne quello dell’autonomia. Dopo numerosi fallimenti in campo lavorativo, sono riuscita a inventarmi un’attività creativa a contatto con i bambini, dove la mia instabile modalità non venisse notata (lavorando a progetto mi è stato possibile recuperare le assenze accumulate nelle fasi di depressione), permettendomi di mantenere il lavoro per più di otto mesi ma purtroppo non è sufficiente. Ed è stata proprio l’inevitabile frustrazione di non riuscire mai a raggiungere una stabilità lavorativa tale da garantirmi un’autonomia economica e personale, alimentata anche da un peggioramento di
alcuni dei miei disturbi, che mi ha spinto a cercare ancora risposte. Volevo qualcosa che nemmeno io comprendevo; solo ora, ascoltando la sensazione di pace che provo mentre riporto questa testimonianza, sento di aver raggiunto ciò che cercavo.
Infatti pochi mesi fa, all’età di quarantacinque anni e sollecitata da una preziosa amica, mi sono recata presso la Fondazione Idea di Milano per sottopormi ad una visita psichiatrica con la dott.sa Elena Di Nasso, che ancora oggi ringrazio per la sua umanità e sensibilità e in sole due sedute ho avuto quello che probabilmente fino ad allora non ero pronta a ricevere: una diagnosi precisa e utili strumenti per la gestione del mio malessere. Non è stato facile vincere il pregiudizio di entrare in un reparto psichiatrico, la pau-
ra di essere “imbottita” di farmaci e quindi di perdere il controllo di me stessa, senza contare che dopo la diagnosi lo stato depressivo sembrava di molto peggiorato, a causa delle mie difficoltà ad accettare l’etichetta di “malata”. È qui che conta la capacità di un medico e delle figure di contorno di tranquillizzare una persona il cui sentire è comunque in “eccesso”, fortunatamente le mie paure sono risultate infondate. Grazie poi ad una psicoterapia comportamentale, a internet e alle preziose letture consigliatemi dalla dott.sa Di Nasso, ho iniziato un processo di scoperta e “addomesticamento”, riuscendo a limitare di molto i danni legati alla Ciclotimia, sforzandomi di utilizzare invece le sue preziose risorse creative nel migliore dei modi. All’interno dell’Associazione Idea ho trovato la competenza, il sostegno e il conforto che mi hanno permesso di uscire dall’isolamento forzato in cui spesso si auto-relega chi come me ha una visione ridondante della realtà e quindi di ritrovare la dignità e il rispetto della mia persona, liberandomi completamente dai sensi di colpa. I gruppi di AUTO-AIUTO, il numero verde sempre disponibile per le emergenze e il supporto dei volontari, sono una risorsa di umanità indispensabile in questo momento storico dove il disagio psichico sta diventando troppo “di moda” e per finire, non è descrivibile il sollievo che persone come me possono provare nel sapere di poter contare su tali risorse. Perché questo libera noi, dal ruolo di aguzzini sempre bisognosi del supporto di amici e parenti e loro, da quello di consiglieri/salvatori, che se pur dotati delle migliori intenzioni, non sempre hanno la pazienza e gli strumenti adeguati per condividere e comprendere i nostri disagi.
Chi è Laura? Una giovane signora che vive a Villasanta, vicino a Monza, e lavora a progetto come animatore per il canto nell’infanzia. Nel tempo libero, Laura ama disegnare: le due immagini inserite all’interno della testimonianza, sono di sua creazione. Se siete interessati a vedere altre sue opere, potete contattarla direttamente al sito www.lauragarampazzi.it. 17
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IDEA in TV Da Bologna La Fondazione IDEA ha partecipato alla trasmissione DEDALUS sull’emittente “è Tv” presente nella Regione Emilia Romagna e Marche e che tratta settimanalmente di problemi di importanza sociale e di interesse diffuso. La serata del 30 Novembre è stata dedicata alla depressione. Alla trasmissione, oltre alla responsabile di IDEA Bologna Dott.sa Maria Maddalena Fiordiliso Grimaldi, hanno partecipato un medico psichiatra volontario il Dott. Giovanni De Girolamo, una volontaria la Prof. Mirella Falconi ed il sig. Pierino Poli, un fruitore dei gruppi di auto aiuto. Nel corso della trasmissione gli interventi sono stati preceduti da alcune proiezioni ottenute da un film di montaggio che il Prof. Giacomo Manzoli, titolare della cattedra di cinematografia presso il DAMS di Bologna, ha realizzato per IDEA. La Dott. ssa Fiordiliso ha illustrato l’attività di IDEA a livello locale e nazionale descrivendo i diversi settori di attività che comprendono il servizio di risposta telefonica, i gruppi di auto aiuto, le campagne di sensibilizzazione e l’importanza della prevenzione e della ricerca scientifica. Ha inoltre inquadrato il ruolo di IDEA a supporto del Servizio Sanitario Nazionale e Regionale per raggiungere i pazienti e per indirizzarli alle strutture pubbliche. Durante l’esposizione la Dott.sa Fiordiliso ha evidenziato l’alta professionalità che caratterizza tutte le attività di IDEA, sottolineando come i volontari si debbano formare con corsi organizzati nelle diverse sedi nazionali per acquisire le conoscenze ed il rigore metodologico necessari per svolgere questo tipo di attività di volontariato. Il Dott. De Girolamo ha descritto esaurientemente le manifestazioni più frequenti della malattia inquadrandola sotto un preciso profilo clinico - scientifico e delineando i principali approcci terapeutici. La volontaria Falconi ha, infine, esposto il ruolo della ricerca scientifica per una sempre più precisa conoscenza di questa patologia, evidenziando i programmi scientifici sostenuti dalla fondazione IDEA, coordinati a livello nazionale dal Prof. Cassano di Pisa, uno dei massimi esperti del settore a livello mondiale. Molto vivace e convincente è stato l’intervento del fruitore, sig. Poli, che ha illustrato il suo percorso all’interno del gruppo dove era arrivato privo di entusiasmo e dove ha ritrovato la voglia di vivere. Attualmente gestisce una piccola attività imprenditoriale ed ha confermato di avere in IDEA un importante punto di riferimento. La trasmissione è andata in onda in diretta ed è stata condotta con grande professionalità dal Dott. Spada che, con domande puntuali ed assolutamente pertinenti, ha contribuito a chiarire molti aspetti sull’organizzazione e sulle modalità operative di IDEA. È stato così possibile fornire agli ascoltatori strumenti concreti con cui potersi rapportare nel caso in cui si potesse essere coinvolti o si dovesse affrontare il medesimo problema con parenti ed amici affetti da questo male. La trasmissione è stata riproposta anche nei giorni successivi e i numerosi riscontri a livello personale dei partecipanti e soprattutto le numerose telefonate alla sede di Bologna, ne hanno dimostrato il successo. 18
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IDEA in TV Da Milano Il 30 Novembre scorso Idea è stata invitata a partecipare alla trasmissione televisiva di Rai 3 “Cominciamo Bene”, la cui puntata era incentrata sui disturbi di depressione e di ansia. Ospite principale della trasmissione, il Prof. Giovanni Battista Cassano, che ha efficacemente illustrato ai presenti le caratteristiche delle più comuni forme di ansia e depressione e dei più recenti approcci terapeutici e farmacologici. Nel corso della puntata è stato riservato ampio spazio ad Idea, attraverso la partecipazione di un nostro volontario di Milano che, oltre ad illustrare al pubblico l’attività della fondazione, ha voluto riportare la sua personale testimonianza. Il sig. Fosco Baronti, intervistato dal conduttore, ha raccontato la sua lunga lotta contro la depressione e come, rivolgendosi alla nostra sede di Milano, abbia trovato aiuto e consigli per affrontare adeguatamente la malattia ed un utile punto di riferimento nella ricerca della struttura medica competente a cui rivolgersi. Egli ha inoltre dedicato alcune parole all’importante ruolo che, nel suo percorso di guarigione, ha avuto la partecipazione ai Gruppi di Auto Aiuto organizzati all’interno della fondazione; oggi Fosco è guarito e si dedica completamente al volontariato in un ruolo tra i più rilevanti, colonna portante della sede di Milano, gestisce e supporta le attività quotidiane dell’Ambulatorio presso l’Ospedale Fatebenefratelli. Grazie Fosco!
Da Brescia A partire dallo scorso mese di novembre, fino a Natale, la Dott.sa Teresita Frerotti, responsabile della sede di Brescia, è stata ospite settimanalmente di “Teletutto”, emittente televisiva locale, all’interno di un programma dal titolo “Con te in famiglia”. Idea Brescia è stata scelta come gruppo di volontariato che opera sul territorio, per presentare l’importante progetto in corso di realizzazione, il “Progetto Scuola”. Esso si articolerà nel corso dell’anno scolastico, in una serie di incontri condotti da medici della Clinica Psichiatrica dell’Università di Pisa con studenti e docenti degli Istituti Superiori della città, volti a fornire informazioni sui principali sintomi di ansia e depressione e sulle possibili tecniche per affrontarli. L’iniziativa ha lo scopo principale di sensibilizzare i giovani e i docenti sull’importanza di non sottovalutare e riconoscere per tempo determinati sintomi che, così come dimostrano studi scientifici, sono spesso espressione iniziale di disturbi dell’umore che si manifestano in età adulta. 19
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Notizie dal Mondo Milano Lo scorso 11 dicembre, Idea Milano ha organizzato una cena di saluto pre-natalizio fra tutti i volontari che operano generosamenteper la fondazione. La serata ha avuto luogo in una pittoresca cantina della vecchia Milano ed è stata un’occasione di approfondimento delle singole realtà vissute tra i vari gruppi di auto aiuto e motivo di ulteriore aggregazione fra tutti. La Dott.a Elena Di Nasso è intervenuta alla cena riscuotendo come sempre una calda accoglienza da parte di tutti i volontari che, ancora una volta, hanno voluto ringraFosco, Luciana e Rita ziarla della sua preziosa disponibilità e collaborazione. Grazie Elena!
Napoli Sabato 17 Novembre u.s. si è svolta a Napoli in Piazza Vanvitelli n° 5 nella sala teatro dell’Associazione Humaniter, la conferenza “La Depressione dell’anziano”. Il moderatore, Dott. ssa Marina Melongni (Presidente Humaniter), dopo una breve introduzione sul ciclo di conferenze dedicato alla prevenzione, ha introdotto il Sig. Giuseppe Manetti, responsabile della Fondazione IDEA Napoli, ai numerosi ospiti presenti all’occasione. Il sig. Manetti ha fatto una breve presentazione della Fondazione, dei suoi scopi ed obiettivi; in seguito, il Prof. Andrea Fiorillo (Dipartimento di Psichiatra II dell’Università di Napoli SUN), ha esposto la sua relazione sui disturbi di depressione nell’anziano. Sia la presentazione che la relazione sono state seguite con estremo interesse, suscitando alla fine degli interventi numerose domande, che hanno dato luogo ad un lungo ed animato dibattito.
Bologna Il giorno 7 Febbraio, presso l’Accademia delle Scienze dell’Università di Bologna, si e svolta una conferenza dal titolo “La salute delle donne in Italia”. La conferenza, organizzata dall’AdDu (Associazione delle docenti universitarie) e presieduta dalla Prof. Carla Faralli e dalla Dott. Maria Maddalena Fiordiliso, responsabile della sede IDEA di Bologna, ha visto la partecipazione del Prof. Mauro Mauri, psichiatra dell’Università di Pisa e volontario di IDEA e della Prof. sa Maria Paola Landini, docente di Microbiologia presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Ateneo Bolognese e membro del Consiglio Superiore di Sanità. La giornata era dedicata ad illustrare il quadro nazionale sulla salute della donna; la prof. Landini ha illustrato l’andamento di molte patologie di rilevanza sociale ed ha confrontato l’incidenza delle diverse malattie tra gli uomini e le donne nelle diverse regioni italiane. Il Prof. Mauri ha poi parlato, in maniera più specifica, della depressione nella donna e di come essa si possa manifestare in particolari fasi della vita femminile come l’adolescenza, la gravidanza o il post partum e la menopausa. Gli interventi di entrambi i relatori, per la ricchezza dei contenuti scientifici abbinati alla brillante esposizione, hanno suscitato grande interesse da parte di tutti i partecipanti. 20
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Notizie dal Mondo Genova Seicento persone sono intervenute, lo scorso 6 Novembre, all’anteprima nazionale dello spettacolo di clownerie "La verità è un limone" di Selene Gandini, con la collaborazione straordinaria di Giorgio Albertazzi, che l’autrice genovese ha voluto “regalare” a IDEA Genova. L'incasso della serata è stato interamente devoluto al Centro Idea, attivo dal 2003 presso l'Ospedale San Martino. Tema dello spettacolo “La verità è un limone” è l’utilizzo della creatività e della fantasia come strumento per elaborare una realtà familiare difficile e giungere ad accettarla sul piano razionale. Sulla scena, il clown interagisce con un bambino, con alcuni personaggi immaginari, con l'Interlocutore (cui Giorgio Albertazzi ha generosamente prestato la voce) e con alcune figure femminili che chiariranno quale sia la realtà da cui Giorgio Albertazzi tutto si muove, fino a ricomporla e accettarla. Un teatro sostanzialmente inedito in Italia che lascia spazio allo spettatore per le proprie interpretazioni e che si sviluppa attraverso una singolare commistione di arti e suggestioni. La clownerie è una full immersion non solo nel gioco teatrale ma anche nel quotidiano guazzabuglio della comunicazione, dei linguaggi verbali e non verbali, di una parola inventata sul momento. Consente a volte agli artisti di riuscire a dire e, per gli spettatori, di riconoscere, quello che non si è mai saputo di sapere. I registi comici stimolano comunque alla riflessione. Per meglio raccontare la serata ed il clima in cui si è svolta, di seguito riportiamo la testimonianza raccolta, a distanza di alcune settimane, da parte di una spettatrice: “Per me l’invito ad assistere a questo spettacolo ha segnato un momento di svolta importante. Ho più di cinquant’ anni e ho sempre trovato difficile riconoscere di essere malata. Sentivo parlare di depressione e rifiutavo l’idea. Lo scorso 6 Novembre vado a questo spettacolo: ho riso e pianto, mi sono un po’ riconosciuta nella continua ridefinizione della realtà che il clown faceva, sia pure in modo paradossale, per poter sopravvivere ai propri problemi. All’inizio dello spettacolo il presentatore, conosciuto a Genova come persona molto brillante, e una delle ospiti, un’esponente politica, hanno parlato della propria esperienza di depressione, in modo semplice e sincero. Questo e gli interventi della signora Bonsignore, che ha parlato di IDEA a Genova, e del Prof. Maura mi hanno aperto una nuova prospettiva. Ho provato sollievo, mi sono vergognata della mia vergogna, ho riconosciuto il mio problema ma ho anche capito che esistono gli strumenti per affrontarlo. Grazie, IDEA (Giusi R.)”
Trieste Idea Trieste ha organizzato lo scorso 14 Dicembre una cena sociale al ristorante “Duchi d’Aosta”. La serata ha visto la gradita presenza dell’avvocato Sergio Camerino, Presidente di IDEA, del Prof. Aguglia e della responsabile delle sede di Trieste, Dott.a Fabienne Mizrahi. Il Presidente Camerino ha aperto la serata rivolgendo un saluto a tutti i presenti e ringraziando tutti i volontari per il loro costante impegno, mentre il Prof. Aguglia ha parlato in modo specifico Prof Aguglia Avv. Camerino del nucleo di Tr i e s t e , d a l l a sua nascita fino ad oggi. La cena si è rivelata molto piacevole e si è conclusa con una lotteria: in palio, un quadro regalato gentilmente alla fondazione da una giovane artista, Chiara Tesser che ringraziamo. 21
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Lavori in corso
informazioni sulle prossime iniziative dei nuclei locali
Nucleo di Bologna Seminario di aggiornamento per facilitatori dei gruppi di auto aiuto, al quale parteciperanno i seguenti relatori: Prof.sa Ellen Frank, Prof. G. De Girolamo, Prof. G.B. Ceroni, Dott.sa. R. Necci, Prof. D. Berardi, Dott. sa Paola Rucci, Prof.sa Diana De Ronchi e Prof. A. Fioritti (13 Marzo presso la Casa de Cervantes, Via Collegio di Spagna n. 4/A) Proiezione di un film di montaggio curato dal prof. Giacomo Manzoli, nell’ambito del Progetto Scuola. (18 Marzo 2008 al Liceo San Luigi) Conferenza dal titolo “Donne e depressione, facciamocene un’IDEA”, nell’ambito di un ciclo di conferenze dal titolo “DONNA, SOCIETA’ E UNIVERSITA’” organizzate dall’Università degli Studi di Bologna - Polo Scientifico Didattico di Rimini e dalla Provincia di Rimini. Relatori: Prof. A. Tundo, Dott.a Maria Maddalena Fiordiliso. (7 Aprile 2008 ore 16 presso le aule del Polo Scientifico Didattico di Rimini) Gara di golf (12 Aprile - Golf Club “Le Fonti”, Castel San Pietro Terme) Asta dei vini presso il Museo d’Arte Moderna di Bologna - Mambo, via Don Minzoni 14 (9 Maggio ore 14-23).
Nucleo di Brescia Progetto Scuola (Anno accademico 2007-2008)
Nucleo di Genova Corso di formazione per i volontari del Centro di Ascolto, coordinato dalla dott.a Ingrid Scofone, presso la sede di IDEA Genova, P.zza Stella 5/4 (a partire da Marzo). Corso di formazione per Volontari Ospedalieri Psichiatrici presso la Sala riunioni dell’Ambulatorio IDEA. I volontari così formati potranno entrare in attività presso l’Ospedale Gaslini, il SPDC dell’Ospedale San Martino e/o in altre Strutture (a partire da Aprile). Ciclo di conversazioni nelle TV locali in cui si avvicenderanno i vari componenti di IDEA Genova. Torneo di bridge e burraco nella sede del Park Tennis Genova (Primavera 2008) Manifestazioni per la celebrazione del decennale di IDEA Genova (Maggio-Settembre 2008)
Nucleo di Milano Conferenze sul tema “Progetto IDEA Donna” (2008-2009) Ciclo di conferenze nelle scuole secondarie della città per la prevenzione dei disturbi dell’alimentazione e delle dipendenze (2008-2009)
Nucleo di Roma Riunione con i facilitatori, i partecipanti ai GAA e i loro familiari sul tema “La psicoterapia cognitivocomportamentale nei disturbi bipolari” - Dott.sa Loretta Salvati (Marzo 2008) Riunione con i facilitatori, i partecipanti ai GAA e i loro familiari sul tema “Trattamenti non farmacologici della depressione””- Dott.a Fulvia Marchetti (Maggio 2008) Corso per volontari e facilitatori GAA-Idea – Fondazione IDEA - Università Tor Vergata (Primavera 2008) Progetto TENDER TO NAVE Italia, in collaborazione con Idea Bologna (Luglio 2008)
Nucleo di Trieste "Ethos, il posto da vivere" Per stare insieme e contrastare la depressione. Incontro pubblico intervengono dott. Roberto Lionetti (Istituto Scienze sociali Ispes) Fabienne Mizrahi (Fondazione Idea), con il sostegno della Regione Friuli Venezia Giulia e ANC Associazione Nazionale Carabinieri (26 gennaio ore 15.00 via Fontanot a Monfalcone). Seguiranno circa 5 altre conferenze all'interno del progetto gestite da Fondazione Idea Trieste. Mostra fotografica dal titolo “Le nostre foto più belle” tratte dai viaggi e dalle gite IDEA (Estate 2008)
per maggiori informazioni consultare il sito “www.fondazioneidea.it” cliccando su “NUCLEI LOCALI di IDEA” 22
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“IDEArisponde…” IDEArisponde: un servizio al paziente e alla sua famiglia. Un gruppo di volontari, che hanno seguito un apposito corso di formazione, risponde alle telefonate dei pazienti e dei loro familiari per dare ascolto, conforto, consiglio, informazioni. IDEArisponde, in diretta: Milano (Dal Lunedì al Venerdì ore 9-18) 02 80.58.18.66 Roma (Dal Lunedì al Venerdì ore 15.30-19) 06 48.55.83 Bologna (Dal Lunedì al Mercoledì 16-19, Giovedì e Venerdì 10-13) 051 64.47.124 Genova (Lunedì e Mercoledì 16-18, Martedì e Giovedì 10-12) 010 24.76.402 Trieste (Lunedì e Giovedì 10-12, Martedì e Mercoledì 15-18,Venerdì 16-18) 040 31.43.68 Brescia (Martedì e Giovedì 15-18) 030 23.00.196 Napoli (Lunedì e Venerdì 16,30-18,30) 081 57.84.622
Numero verde NAZIONALE 800 538 438 (Dal Lunedì al Venerdì ore 9-18) Numero verde Lombardia S.O.S. DEPRESSIONE 800 122 907
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