Mensile, 5,70 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano
ANNO XI - NUMERO 100 - APRILE 2004
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Prima di cominciare
PAROLE E IMMAGINI Ma non riusciva a tradurre in parole il suo pensiero. Avrebbe voluto esprimersi attraverso immagini, attraverso macchie d’ombra e di luce, attraverso sensazioni... Georges Simenon (da Il viaggiatore del giorno dei Morti ) NONO PENTAX DAY. Incontro annuale tra i soci e simpatizzanti dell’Asahi Optical Historical Club, l’associazione internazionale dei cultori Pentax, il Pentax Day è un momento di approfondimento di aspetti storici della produzione del celebre marchio fotografico, abbinato alla presentazione della produzione attuale e delle novità tecniche dell’ultima ora. Organizzata in collaborazione con Protege - Divisione Foto, distributore italiano Pentax, e con i contributi tecnici di Manfrotto Trading e Epson, la nona edizione si svolge a Spoleto, in provincia di Perugia, il 9 maggio: Centro Congressi dell’Albornoz Palace Hotel, via Matteotti 10. Come consuetudine, oltre una serie di mostre e animazioni, è prevista una esposizione storica di reflex, obiettivi e accessori Pentax, che quest’anno sarà incentrata sulla Asahi Pentax Spotmatic, la cui presentazione avvenne giusto quaranta anni fa in occasione delle olimpiadi di Tokyo del 1964. Vera e propria “pietra miliare” nella storia della fotografia, e successo commerciale senza precedenti, la Spotmatic introdusse e diffuse il concetto di misurazione esposimetrica TTL, dando inizio a una fortunata famiglia di reflex 35mm che si è evoluta nell’arco di trent’anni. In occasione del Nono Pentax Day verrà istituito un Registro Storico della Spotmatic, al quale si potranno iscrivere tutte le Spotmatic, Spotmatic II, Spotmatic IIa, Spotmatic F, SP500, SP1000 e SL, nonché le relative versioni motorizzate e speciali. Al proprietario della Spotmatic con numero di matricola più basso presente al Nono Pentax Day sarà conferito un premio. Protege - Divisione Foto, via Pratese 167, 50145 Firenze; 055-3024937, fax 055310280; info@protege.it. Asahi Optical Historical Club, Dario Bonazza, via Badiali 138, 48100 Ravenna; 0544464633 (anche fax); www.aohc.it/pentaxday/index.htm, info@aohc.it.
Spesso gli avvenimenti si verificano con una rapidità eccezionale e in successione quasi comica. Più tardi, quando ognuno ha la possibilità di ripensarci con calma, senza l’impaccio del punto di vista soggettivo di chi è coinvolto personalmente in una serie di eventi, si riesce a ricostruirli, nella sequenza esatta.
COPERTINA Sintesi grafica del numero 100, tappa editoriale a dieci anni dall’avvio di FOTOgraphia. Nulla di particolare, ma sola certificazione quantitativa. Nessuna celebrazione 3 FUMETTO Cartolina augurale degli anni Cinquanta, con garbato richiamo fotografico d’epoca. Un gioco, ma non soltanto 7 EDITORIALE Con ottimismo, forse, intravediamo una certa maturazione del più ampio discorso della Fotografia. Probabilmente, speriamo, l’adolescenza ideologica indotta dalle nuove tecnologie sta evolvendosi a maggiori consapevolezze
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8 DIECI VOLTE DIECI Confermiamo: nessuna celebrazione dei Cento numeri, ma soltanto rapide parole su semplici trasformazioni, osservate con cuore leggero: nessun approfondimento 10 NOTIZIE Attrezzature, vicende e altre segnalazioni
16 ANCORA IN DOPPIO A due anni di distanza da un caso analogo (Panorama e L’Espresso), i settimanali popolari Oggi e Gente sono arrivati in edicola con la stessa copertina: incidente editoriale oggigiorno inevitabile (?!) di Lello Piazza
18 SEMPRE AL POSITIVO Per il secondo anno consecutivo, il Premio Yann Geffroy è stato assegnato in ex-aequo, tra gli inglesi Tim Hertherigton e Aubrey Wade: con due reportage positivi nel contenuto, quanto nella forma. E poi menzione d’onore per l’israeliano Ziv Koren
22 UN SENSO PER L’ALTRO
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A Catania viene allestita una significativa mostra di Enzo Raineri, che declina la natura come riflesso della Vita: preludio a tante altre iniziative... con supplemento d’anima (come precisa l’autore) di Giuseppina Radice
. APRILE 2004
RIFLESSIONI, OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA
26 STATO DELL’ANIMO
Anno XI - numero 100 - 5,70 euro
Riflessione su un’immagine che arriva al cuore: una delle più significative tra le tante viste fino a oggi
DIRETTORE
RESPONSABILE
Maurizio Rebuzzini
IMPAGINAZIONE
28 LA FORZA DEI GIOVANI Ancora una volta, il Premio Canon Giovani Fotografi ribadisce il valore dei propri intendimenti originari. L’insieme delle partecipazioni attesta lo stato di salute di una generazione attenta allo svolgimento della Vita di Maurizio Rebuzzini
Gianluca Gigante
REDAZIONE Angelo Galantini
PUBBLICITÀ
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E PROMOZIONE
Gian Battista Bonato
FOTOGRAFIE Rouge
SEGRETERIA
34 PEP BONET: INTERVISTA SUL FOTOGIORNALISMO
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In occasione della mostra a tema presentata a Milano, l’attento fotografo spagnolo espone le proprie idee sulla professione e l’uso delle immagini. Con franchezza di Lello Piazza
Maddalena Fasoli
HANNO
COLLABORATO
Pino Bertelli Antonio Bordoni Gianni Canova Umberto Fiori Lello Piazza Giuseppina Radice Piero Raffaelli Enzo Raineri Franco Sergio Rebosio Zebra for You
40 ABITARE IL MONDO Terzo atto del progetto La fotografia e la città, la selezione Europe di Giovanni Chiaramonte continua il percorso fotografico avviato da Joel Meyerowitz e André Kertész di Gianni Canova Diciture per Giovanni di Umberto Fiori
Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604, fax 02-66981643; graphia@tin.it.
46 KUBRICK LUI MEDESIMO
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Una avvincente monografia racconta una quotidianità di Stanley Kubrick. Costante affinità tra fotografia e cinema: mondi contigui, facili a scambi, incroci e reciproca ispirazione su un piano di parità culturale di Piero Raffaelli
● FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano.
53 EVOLUZIONE QUATTROTERZI Premi e adesioni allo standard digitale Olympus E
54 GIORNATA STENOPEICA Evento internazionale della fotografia senza obiettivo. Quindi, retrospettiva storica e interpretazione Polaroid
56 DIGITALE CON VOCAZIONE La configurazione Leica Digilux 2 con forme classiche, che vestono prestazioni tecniche adeguatamente attuali di Antonio Bordoni
58 AGENDA Appuntamenti del mondo della fotografia
65 ADEL AL-TAI Sguardi su una fotografia di transizione e informale di Pino Bertelli
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ome sperato e auspicato da molti, il PhotoShow di Roma, dal 20 al 22 marzo scorsi, ha accolto un pubblico consistente per quantità e qualità. La combinazione dei due valori esprime la cifra di una confortevole vitalità, che si allunga dal presente in avanti. Soprattutto, dà fiducia a una sintesi di potenzialità sulle quali bisogna riflettere e costruire, sia in proiezione, diciamo così, commerciale, sia in intendimento culturale. Essenzialmente, i visitatori del PhotoShow 2004 hanno rivelato un interesse fotografico qualitativo, nel momento in cui si sono avvicinati con garbo e competenza alle proposte tecniche, sia in forma di novità assoluta (a partire dalla Nikon D70), sia in forma di passerella tecnologica di pregio (dall’insieme delle proposte Canon all’interpretazione digitale QuattroTerzi, promossa da Olympus; dalla stampa digitale Epson e Ilford alla prima apparizione ufficiale Konica Minolta; dalle invenzioni ottiche Sigma alle efficaci configurazioni per laboratori e negozianti). Non sono stati necessari richiami fittizi di modelle procaci, ma la Fotografia si è offerta ed è stata accolta per se stessa: appunto dotazioni tecniche e seducenti passerelle di immagini (le esposizioni di Obiettivo Immagine 2004, delle quali abbiamo riferito lo scorso marzo, ma non soltanto). Nel concreto, si è realizzata una sana e costruttiva comunione di intenti tra le componenti commerciali del mercato e gli utilizzatori finali, che interpretano la mediazione degli strumenti appunto come tale: mediazione finalizzata a una produzione individuale di immagini, che appartiene di diritto a una lunga tradizione di impegno, cultura e creatività personali. Come abbiamo annotato, questa qualità si è espressa anche in termini quantitativi, mantenendo però il valore e la statura del singolo, senza inquinarsi nella logica del branco. Cioè la quantità si è espressa come somma di cellule attive, senza arrivare a quella unificazione di massa (il branco, appunto) che solleva gli individui dal dover distinguere tra giusto e sbagliato, tra valori positivi e negativi. Tirando le somme, pensiamo di essere entrati in una fase sociale di maturazione fotografica, all’indomani dei recenti sovvertimenti tecnologici. Dopo i balbettii di un’infanzia contraddittoria, l’attuale personalità della Fotografia nell’era digitale pare potersi alimentare con successo a ciascuna delle attuali infinite possibilità tecniche e tecnologiche di base. I neofiti della Fotografia, avvicinati dall’esuberanza della personalità dell’acquisizione digitale di immagini, hanno abbandonato le sterili logiche originarie di contrapposizione, e si stanno inserendo con autorevolezza nel più ampio contenitore dell’espressione culturale della comunicazione visiva nel proprio insieme. Ora, la parola passa ad altri. A coloro i quali, noi tra questi, devono coltivare queste potenzialità latenti, offrendo gli strumenti e i riferimenti dell’intera vicenda fotografica, senza barriere precostituite e senza preconcetti. Ma con la principale volontà di dare-per-ricevere. Come sempre, del resto. Maurizio Rebuzzini
Sopra tutte, il PhotoShow 2004 ha offerto una indicazione particolare: si è registrata una alta qualità di pubblico, che affronta la Fotografia con competenza e piglio. Da rifletterne.
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DIECI VOLTE DIECI
Non è facile resistere alle tentazioni. In prossimità della fatidica quantificazione del centesimo numero di FOTOgraphia, che è appunto questo di aprile 2004, pubblicato a dieci anni di distanza dall’originario numero Uno del maggio 1994, si sono ipotizzate infinite celebrazioni. Alla fine, è bene non farne nulla. Infatti, si tratta di un percorso editoriale personale, svolto in un settore comunque sia limitato, che non può vantare quelle riflessioni e testimonianze sociali sulle quali testate di prestigio, nazionali e internazionali, hanno sempre costruito le proprie retrospettive storiche. Quindi, poco c’è dato di fare, volendo rispettare quel riferimento al numero Cento, che nella nostra cadenza editoriale di dieci numeri l’anno equivale anche al decennale tondo. Del resto, pur non avendo alcuna particolare fiducia nel sistema metrico, oltre i propri valori canonici, l’appuntamento non può essere ignorato: tanto è vero che lo richiamiamo anche in copertina, e a ben guardare soltanto lì. Di più, non ci siamo sentiti di fare, sia per riservatezza, sia per pudore. Quindi, nessuna retrospettiva, con segnalazione degli articoli che avremmo voluto riproporre o delle posizioni che nel corso degli anni abbiamo assunto, difeso e proposto. Però, allo stesso momento, pur rimanendo fuori della ricorrenza/celebrazione, dobbiamo giocoforza registrare che alla resa dei conti dieci anni sono una consistente quantità di tempo. E lo sono stati, soprattutto, questi ultimi dieci anni, durante i quali si è manifestata e realizzata una completa trasformazione tecnologica del mondo fotografico. La tecnologia digitale ha radicalmente modificato il mondo della fotografia, sia a livello professionale sia nell’ambito degli am-
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pi consumi, più profondamente e concretamente di quanto è potuto succedere in precedenza, allorquando non sono mai stati messi in discussione i princìpi fondamentali della Fotografia. Quindi, non soltanto i recenti ultimi dieci anni sono stati travolgenti, ma l’accelerazione tecnologica è stata tale che potremmo anche solo riferirci agli ultimi cinque anni e, perché no?, agli ultimi due, all’ultimo anno, addirittura. Proseguendo, la crescita in divenire si annuncia altrettanto esponenziale, e quindi ancora molto abbiamo da vedere: basti pensare alla combinazione dell’obiettivo fotografico nell’attuale generazione di telefonini, e della relativa acquisizione di immagini con uno strumento che ormai accompagna la vita quotidiana di una gran parte della popolazione attiva (occidentale). Ma non bisogna pensare, guardare e ragionare in senso nostalgico, e neppure si devono demonizzare le tecnologie. Più concretamente, si deve riflettere e osservare con mente serena, per armonizzare la propria esistenza personale e la propria professionalità con la realtà della vita. Al caso, si possono attivare momenti di razionale reazione, quando e per quanto si rischia di venire malamente sommersi e s-travolti. In questo senso, come abbiamo più volte annotato, il compito di una rivista di settore potrebbe essere proprio questo: annotare le evoluzioni/involuzioni, per sollecitare il dibattito collettivo, piuttosto che le considerazioni individuali. Volendo rimanere nella ricorrenza decennale che oggi si impone, possiamo registrare come le tecnologie applicate, non soltanto quelle fotografiche ma anche quelle trasversali, abbiano radicalmente cambiato l’insieme dei comportamenti individuali della vita. Per quanto ci ri-
guarda direttamente nell’ambito fotografico, hanno cambiato addirittura i comportamenti professionali. Come annotiamo nell’editoriale di questo stesso numero, alla precedente pagina 7, stiamo intravedendo segni di concreta maturazione, che potrebbero cancellare quelle malformazioni che negli ultimi tempi hanno inquinato tante vicende fotografiche. Complici le agevolazioni delle tecnologie, ormai comunichiamo tra noi soprattutto attraverso la posta elettronica, fantastico mezzo di contatto in tempo reale, con relativo trasferimento a distanze (infinite) di parole e immagini. Però, trascorrendo le giornate davanti al monitor, abbiamo finito per limitare al minimo indispensabile quello scambio di chiacchiere sulle quali in passato sono state edificate straordinarie personalità. Ci si muove sempre meno dai propri indirizzi (e potrebbe essere un bene), e così si incontrano meno persone: e sta venendo meno quella “bottega” della vita e del mestiere che si manifestava alle reception dei laboratori di trattamento, nei locali dei grossisti, nelle librerie, in tante occasioni personali/collettive. Così, in Fotografia si finisce per essere tutti un poco più soli, tutti con le sole proprie idee ed esperienze, con pochi scambi, per lo più telegrafici. In questo modo, si rischia di impoverirsi, oltre che di non capire le trasformazioni e il relativo senso. Ormai i fotografi gestiscono in proprio, tramite computer, le postproduzioni del mestiere, inglobando in se stessi professionismi che una volta erano distribuiti su più persone, ciascuna con propria maturazione che arricchiva tutti. Questa condizione tende a isolare e a condurre a una solitudine di pensiero.
Una considerazione professionale è però sovrastante, e dipende direttamente dall’applicazione delle nuove tecnologie digitali. Questa sì potrebbe definire il passaggio dei recenti ultimi dieci anni. Per la prima volta nella propria lunga storia, i fotografi professionisti non possiedono più beni strumentali durevoli! Fino a dieci anni fa, circa, ci sono state macchine fotografiche piccolo, medio e grande formato che accompagnavano i professionisti negli anni, e che poi potevano essere rivendute a valori sostanziosi (ricordiamo qui i nostri tanti articoli sull’uso degli strumenti, soprattutto sull’uso consapevole dei corpi mobili grande formato). E lo stesso si può dire per l’impianto luce, continua o flash, per gli obiettivi e gli accessori. Oggi, invece, l’hardware e il software dei tempi attuali sono rapidi, si esauriscono in fretta e perdono sistematicamente di valore economico-finanziario. Inoltre, l’evoluzione tecnologica comporta anche prestazioni tecniche in crescita esponenziale, accompagnate a riduzioni altrettanto consistenti dei costi di acquisto (ricordate i computer e gli apparecchi digitali delle origini, che costarono decine e decine di milioni di vecchie lire?). Se proprio vogliamo, è questo il segno dei tempi. Ciò potrebbe comportare un balzo in avanti che taglia i ponti con il passato, con la Storia. Ed è proprio questo che non vogliamo che accada: sosteniamo e raccomandiamo l’esatto contrario. Comunque si veda, si viva e si eserciti, rimanga sempre e comunque Fotografia, ricca di quei fantastici processi evolutivi, sia tecnici sia culturali ed espressivi, che si sono coerentemente manifestati negli anni, nei decenni e nei secoli. A partire dalle origini, nel 1839. M.R.
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CAMEDIA IN DOPPIO. Presto detto: la famiglia di compatte digitali Olympus Camedia, complementare alla reflex a obiettivi intercambiabili di taglio alto E-1, si estende. Sono disponibili le configurazioni Camedia C-3100 Zoom e Camedia C-770 Movie, che ampliano un’offerta tecnica adeguatamente scandita su tutti i gradini commerciali dell’attuale proposizione per l’acquisizione digitale di immagini.
L’Olympus Camedia C-310 Zoom è dotata di monitor a colori LCD TFT da 4,5cm (1,8 pollici). Il sensore solido CCD da 1/2,7 di pollice offre una risoluzione di 3,2 Megapixel reali e lo zoom ottico 3x 5,8-17,4mm f/2,9-5, il cui disegno è comprensivo di tre lenti asferiche, esprime un’escursione focale equivalente alla variazione grandangolare-tele 38-114mm sul formato fotografico 24x36mm: a fuoco da 50cm, con selezione macro aggiuntiva da 10 a 50cm, in posizione grandangolare, e da 2cm in funzione Super Macro. Nella gestione dell’immagine acquisita è poi possibile un ulteriore ingrandimento, con zoom digitale fino a 3,3x. Le registrazioni su scheda di memoria xD-Picture Card (disponibile fino alla capacità massima di 512Mb) in formato Jpeg possono essere regolate per risoluzioni variabili da 1536x2048 a 480x640 pixel, oltre la registrazione video Di classe tecnica superiore, la compatta digitale Olympus C-770 Movie vanta una risoluzione di quattro milioni di pixel
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effettivi, con sensore solido CCD da 1/2,5 di pollice. Predisposta per schede di memoria compatte xD-Picture Card, grazie alle quali si riducono anche le dimensioni di ingombro dell’apparecchio, offre la versatilità di uno zoom di ampia escursione focale 10x: 6,363mm f/2,8-3,7, equivalente alla variazione grandangolaretele 38-380mm della fotografia 24x36mm. In combinazione con lo zoom digitale fino a 3x si ottengono considerevoli ingrandimenti del soggetto ripreso. La messa a fuoco standard, da 60cm in posizione grandangolare e da 2m alla selezione tele, può essere convertita all’inquadratura macro da 7 a 60cm e da 1,2 a 2m, rispettivamente alle inquadrature grandangolare e tele; e poi, c’è anche la possibilità di passare al Super Macro da 3cm. Oltre l’impiego fotografico, con registrazioni in formato Jpeg e Tiff, si segnala la registrazione video con audio a trenta fotogrammi al secondo alla risoluzione 640x480 pixel. (Polyphoto, via Cesare Pavese 11-13, 20090 Opera Zerbo MI).
DEDICATI. I due nuovi zoom Sigma 18-50mm f/3,5-5,6 DC e 55-200mm f/4,5-5,6 DC sono specificamente dedicati alle reflex digitali a obiettivi intercambiabili. Entrambi sono definiti da un cerchio immagine adatto alla copertura dei sensori di acquisizione digitale delle immagini, di dimensioni sempre inferiori a quelle del formato fotografico 24x36mm. A conseguenza, si hanno obiettivi di minore ingombro: rispettivamente 60x67,5mm (per 245
grammi di peso; diametro filtri 58mm) e 70x64,6mm (310g; diametro filtri 55mm). Riferito al sensore digitale, l’angolo di ripresa del Sigma 18-50mm f/3,5-5,6 DC varia da 76,5 a 31,7 gradi, propri della variazione 30-85mm sul formato fotografico 24x36mm, e quello del più lungo 55-200mm f/4,5-5,6 DC da 29 a 8,1 gradi, equiparabili all’escursione 93-340mm della fotografia 24x36mm. Nel disegno di otto elementi in otto gruppi, l’uso di lenti asferiche corregge le aberrazioni lungo tutta l’escursione focale grandangolare-standard dello zoom 18-50mm f/3,5-5,6 DC, in modo da offrire immagini di adeguata qualità formale, a ogni distanza di messa a fuoco, a partire da 25cm. Lo zoom standard-tele Sigma 55200mm f/4,5-5,6 DC mette a fuoco da 110cm, con un disegno ottico composto da dieci lenti in otto gruppi. Entrambi gli zoom sono disponibili in montatura autofocus Canon, Nikon D, Pentax e Sigma. (Mamiya Trading, via Cesare Pavese 31, 20090 Opera Zerbo MI).
ANCORA QUATTRO. Due coppie di compatte digitali accrescono la differenziata gamma Nikon Coolpix. In combinazione, le nuove Coolpix 2200 e Coolpix 3200 e poi Coolpix 4200 e Coolpix 5200 offrono e propongono interpretazioni tecniche adatte alle necessità ed esigenze espresse dagli utilizzatori. Con ordine. Sulla scia del successo ottenuto dalle precedenti Coolpix 2100 e 3100, alle quali si affiancano, i due nuovi modelli 2200
e 3200 sono stati pensati non soltanto per i neofiti della fotografia digitale, ma anche per utilizzatori più esperti, che cercano uno strumento pratico e facile all’uso. La Coolpix 2200 incorpora un sensore CCD da 2,0 Megapixel effettivi, contro un CCD da 3,2 Megapixel effettivi della Coolpix 3200. Entrambe le compatte digitali sono dotate di zoom Nikkor digitale 3x, rispettivamente equivalente alle escursioni 36-108mm e 38115mm della fotografia 24x 36mm, riferimento d’obbligo. L’evoluta tecnologia “Imageprocessing” è ideale per ottenere un’elevata qualità di immagine, tramite la fedele riproduzione di colore e contrasto. In un corpo macchina compatto e leggero, le Coolpix 2200 e 3200 utilizzano il Graphic User Interface (GUI), che permette una fruizione intuitiva del menu in italiano attraverso un monitor LCD (a tecnologia TFT) luminoso e ampio (1,6 pollici), che consente una visione immediata delle immagini. Tutti i comandi sono disposti nella parte posteriore dell’apparecchio e consentono un utilizzo intuitivo e autenticamente “easy”. Come tutti i modelli della serie Coolpix, anche le neonate 2200 e 3200 offrono quindici modalità Scene, quattro delle quali (le più note: Ritratto, Paesaggio, Sport, Ritratto Notturno) accessibili direttamente dalla ghiera principale. A seguire, le compatte digitali Nikon Coolpix 4200 e Coolpix 5200, di classe tecnica superiore, confermano le doti di semplicità di uso e facilità di impiego, in riferimento alla risoluzione superiore di 4,0 e 5,1 Megapixel. Anche in questo caso,
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Riccardo Scoma IMPROVVISAMENTE, IN UNA SERATA D’ESTATE LE LUCI DELLA RIBALTA SI ACCENDONO PER UN INCONTRO FOTOGRAFICO A TEMA.
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A
Notizie
zione avanzata di riduzione automatica dell’effetto “occhi-rossi, integrata nel sistema di elaborazione dell’immagine. Entrambi i modelli posseggono un’interfaccia GUI, che consente di selezionare in rapidità le impostazioni e le funzioni desiderate. Il sistema di bilanciamento del bianco offre la scelta tra automatico, premisurato e manuale a sette opzioni, ed è inoltre disponibile una funzione tipicamente professionale, come il bracketing sul bilanciamento del bianco: azionando il pulsante di scatto, le Coolpix 4200 e Coolpix 5200 eseguono una sequenza di tre fotogrammi con regola-
IN-OUT
oltre le dotazioni digitali si registra una configurazione ottica di alto livello, con Zoom-Nikkor 3x, la cui escursione è equiparabile alla variazione grandangolare-tele 38-114mm sul formato fotografico 24x36mm. Le finiture esterne in alluminio conferiscono alle due nuove compatte digitali Nikon un aspetto elegante e “hi-tech”, accentuato dalla pratica impugnatura ergonomica e da elevate doti di compattezza e leggerezza. I comandi, posizionati sul dorso dell’apparecchio, risultano facilmente raggiungibili e agevolano al massimo l’accesso alle quindici modalità Scene. A completamento, si segnala una fun-
zioni variate “a forcella” rispetto al valore centrale prestabilito. Inoltre, si possono registrare filmati di alta qualità, completi di audio, alla cadenza di trenta fotogrammi al secondo con la Coolpix 5200 e quindici fotogrammi al secondo con la Coolpix 4200. (Nital, via Tabacchi 33, 10132 Torino).
EMULSIONI PROFESSIONALI. Le nuove e rinnovate versioni delle pellicole Kodak Professional BW400CN e Kodak Professional Portra 800 sono state particolarmente studiate per la fotografia commerciale, di matrimonio e di ritratto. «L’introduzione di queste pellicole raf-
forza l’impegno di Kodak nell’offrire alternative che possano continuamente soddisfare le esigenze creative, commerciali e di flusso di lavoro di laboratori professionali e fotografi dilettanti», ha dichiarato Miriam Quinones, Product Manager del settore pellicole Kodak Professional. «I fotografi di oggi hanno esigenze uniche. Queste nuove pellicole sono progettate per esaudire i loro desideri; Portra 800: colore intenso, toni dell’incarnato straordinari, grana fine per la conversione in file digitali; e poi bianconero BW400CN, da utilizzare con la stessa tecnica di sviluppo della pellicola negativa a colori». La Kodak Professional BW 400CN è una pellicola cromogenica bianconero, multi-funzionale, progettata per essere sviluppata con i prodotti chimici per le pellicole negative a co-
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lori, Process C-41. Diversa dalle pellicole bianconero tradizionali, offre l’eleganza dell’immagine in toni di grigio con il vantaggio della stampa su carta a colori. Nell’ingrandimento garantisce una grana estremamente fine, una riproduzione fedele dei dettagli dalle alte luci alle ombre e una uniforme scala di valori neutri. Disponibile in formato 35mm e rullo 120, l’attuale Kodak Professional BW400CN sostituisce le emulsioni Professional T400CN e Professional Portra 400BW. Il negativo colore Kodak Professional Portra 800, ad alta sensibilità, si inserisce nella gamma di emulsioni Portra, alla quale offre una interpretazione fotografica a grana fine per ingrandimenti nitidi e un’ampia latitudine di esposizione. Ideale per scattare in condizione di luce ridotta e per catturare immagini in movimento, è compatibile con i canali di stampa della propria famiglia. (Kodak, viale Matteotti 62, 20092 Cinisello Balsamo MI).
ARRIVA KONICA MINOLTA. Per quanto possa essere significativa, la cronaca della fotografia non ha oggi modo di annotare quale sia (stato) il primo apparecchio identificato dalla nuova realtà fotografica Konica Minolta: ma, sempre che serva farlo, la storia evolutiva avrà modo di registrare questo valore. Per il momento, a seguito dell’accordo aziendale di cui abbiamo dato notizia per tempo
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(FOTOgraphia, febbraio 2003), registriamo che il neomarchio Konica Minolta conferma l’impegno fotografico a tutto campo, come hanno testimoniato anche le due reflex analogiche Dynax 40 e Dynax 60, presentate lo scorso marzo. Evoluzione dell’originaria Z1 (FOTOgraphia, ottobre 2003), l’attuale Konica Minolta Dîmage Z2 è una potente ed efficace reflex digitale a obiettivo zoom fisso 10x che offre la qualità formale del sensore solido CCD di acquisizione di immagini da quattro Megapixel. Nell’uso, dispone del Rapid AF (autofocus a rapido accomodamento) e della funzionalità filmati di alta qualità VGA/ SVGA. In aggiunta, il tradizionale controllo della messa a fuoco Predictive, tecnologia proprietaria, garantisce l’efficacia dello scatto anche con soggetti in rapido movimento. La qualità digitale della Konica Minolta Dîmage Z2 si basa sulla pertinente combinazione del sensore CCD da quattro Megapixel con lo zoom apocromatico GT completamente in vetro, la cui escursione ottica 10x (equivalente all’intervallo 38-380mm della fotografia 24x36mm) si può sommare alla variazione digitale aggiunta 4x. La funzione Cattura Progressiva, che salva le immagini nella memoria interna, permette di non perdere mai un’azione. Il tempo di avvio di 1,8 secondi e le rapidità di accomodamento della ripresa garantiscono, quindi, risposte fotografiche immediate ed efficaci. (Rossi & C, via Ticino 40, 50010 Osmannoro di Sesto Fiorentino FI).
OFF CENTER BALL. Le teste
Gitzo dotate dell’esclusivo sistema a sfera decentrata sono il complemento ideale alla versatilità dei treppiedi Explorer: consentono un orientamento semplice e sicuro dell’apparecchio fotografico, anche nelle posizioni di impiego più disagiate. La peculiare struttura co-
nica del punto di rotazione, unita al posizionamento decentrato, conferisce una libertà di manovra impossibile da ottenere con le teste a sfera convenzionali. Le teste a sfera Gitzo si contraddistinguono, poi, per la fluidità dei movimenti e per la sicurezza meccanica dei bloccaggi. Per l’abbinamento ai treppiedi Explorer sono consigliate le teste in magnesio G1275M, con vite di attacco fissa, e G1276M, con piastra a sgancio rapido e blocco di sicurezza. (Manfrotto Trading, via Livinallongo 3, 20139 Milano).
OPTIOOOO. In rapida sequenza, sul mercato sono arrivate quattro nuove compatte digitali Pentax Optio: 30, S40, 33LF e S41. La Optio 30 è la nuova entry level della gamma Pentax. Compatta, ergonomica, economica e leggera, è tanto comoda in mano quanto esteticamente attraente. La capacità di registrare immagini da 3,2 Megapixel effettivi e la versatilità dello zoom ottico 3x creano una combinazione equilibrata di nitidezza e libertà di composizione. Anche l’utilizzo risulta eccezionalmente facile per chiunque, un aspetto che si traduce in confidenza e soddisfazione ancor prima di apprezzare i risultati della ripresa. Con le proprie dimensioni ultracompatte e un efficace corpo macchina in alluminio, la Optio S40 è comoda da
usare, estremamente portatile ed elegante. La grande varietà di funzioni facilmente accessibili assicura risultati apprezzati da qualsiasi utente, con qualunque livello di esperienza, mentre la nitidezza e il dettaglio dell’immagine sono garantiti dalla risoluzione di quattro Megapixel effettivi. La Optio S40 dispone di un obiettivo che offre la versatilità dello zoom ottico 3x, che può essere combinato con lo zoom digitale da circa 2,6x, arrivando così a un rapporto di ingrandimento complessivo pari a circa 8x. La Optio 33LF riunisce in sé divertimento, qualità e versatilità. Con 3,2 Megapixel effettivi e le esclusive tecnologie Pentax per il trattamento dell’immagine digitale, raggiunge un alto livello di qualità. Grazie allo zoom ottico 3x e allo zoom digitale 2,7x, per una capacità complessiva di ingrandimento 8,1x, offre ampia libertà di inquadratura. Inoltre, è dotata di comodo monitor orientabile in tutte le direzioni, che consente una composizione accurata in ogni condizione di uso. Infine, la Optio S4i è sorprendentemente compatta, eppure esprime tutta l’ingegnosità digitale di Pentax. L’ampio monitor LCD a colori TFT da 1,8 pollici con visione del cento per cento del campo inquadrato facilita l’inquadratura, la messa a fuoco e la visione. La nitida immagine sullo schermo si abbina alla risoluzione di quattro Megapixel effettivi e alla libertà di composizione offerta dallo zoom ottico 3x, al quale si può aggiungere lo zoom digitale 4x, per un ingrandimento totale di 12x. (Protege - Divisione Foto, via Pratese 167, 50145 Firenze).
Notizie
ANCORA IN DOPPIO
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Due volte in meno di due anni: due grandi newsmagazine italiani escono in edicola con la stessa copertina. Era successo per l’Intifada, subito dopo la morte di Raffaele Ciriello, fotografo freelance ucciso in Palestina: Panorama e L’Espresso pubblicavano la stessa immagine in copertina (un militare israeliano, seminascosto dietro un riparo, che guatava il nemico; agenzia Reuters; FOTOgraphia, marzo 2002). Ora succede di nuovo per l’attentato di Madrid, ancora due settimanali in forte concorrenza, Oggi e Gente, quest’ultimo con un direttore appena nominato, Umberto Brindani, e un nuovo photo editor, la espertissima Paola Bergna. È grave ciò che è accaduto? Certo. È come se due giornali concorrenti pubblicassero lo stesso articolo preciso identico, stesso testo, stessa firma. Quale direttore non tirerebbe le orecchie a un capo redattore che cadesse in un infortunio simile? Che fare? Dare una tiratina d’orecchie anche ai direttori della fotografia, che nelle redazioni contano sempre meno e sono da considerarsi, nonostante le troppo ottimi-
A metà marzo, con rispettive date di copertina 24 e 25 marzo, i settimanali popolari Oggi e Gente sono arrivati in edicola con la stessa immagine di copertina: una fotografia Ansa relativa all’attentato terroristico di Madrid dell’11 marzo. In un clima giornalistico condizionato da fretta e rapporti professionali globalizzati, questi incidenti potrebbero diventare regola.
stiche valutazioni di cui noi ci stessi ci gratifichiamo, una specie in via di estinzione, come desolatamente affermava Photo District News, la prestigiosa rivista newyorkese di fotografia professionale, già nell’agosto 1998? Sarebbe come tirare le orecchie ai panda. No, la colpa non è dei photo editor, la colpa non è di nessuno, ed è quindi di tutti. Oggi nel mondo dell’informazione tira un’aria di sbracamento: nei mensili si lavora col ritmo dei settimanali, nei settimanali con quello dei quotidiani e nei quotidiani non so. Tutta questa fretta, che probabilmente è il risultato di ubriachezza da Internet, implica meno controlli e maggiori possibilità di sbagliare. Poi, forse, ai direttori non interessa neanche più di sbagliare, se è vero, come denuncia l’ultimo bollettino dell’Ordine dei Giornalisti, che la diffusissima abitudine di fare pubblicità occulta uccide l’informazione: centinaia, secondo Franco Abruzzo, presidente dell’Ordine della Lombardia, i procedimenti in corso per questo
motivo solo nei confronti di giornalisti della Arnoldo Mondadori. Comunque, e con tutte le attenuanti del mondo, si sa che è un rischio scegliere per la copertina un’immagine distribuita da una delle grandi agenzie di informazione, Ansa, Reuters, Associated Press, France Press. Le loro fotografie girano in tutte le redazioni e non è neanche così improbabile che due giornali diversi abbiano in mano simultaneamente le stesse identiche fotografie. Infatti, l’immagine delle copertine di Gente e Oggi (del 25 e 24 marzo) è una fotografia Ansa. Lello Piazza
Esattamente due anni fa, con data di copertina 21 marzo, Panorama e L’Espresso erano già incappati nell’incidente della stessa copertina: fotografia Reuters dal conflitto palestinese-israeliano.
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Sentenza
SEMPRE AL POSITIVO
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Per il secondo anno consecutivo, il Premio Yann Geffroy è stato assegnato in ex-aequo tra due autori. Dopo l’affermazione simultanea di Yannis Kontos e Andreas Reeg all’edizione 2003 (FOTOgraphia, novembre 2003), gli inglesi Tim Hetherington e Aubrey Wade sono i vincitori del 2004. Istituzionalmente attribuito a un fotogionalismo positivo nel contenuto, quanto nella for-
ma, come abbiamo ricordato in occasioni precedenti, il Premio ricorda la figura di Yann Geffroy, prematuramente scomparso nella primavera 1989. Con il Premio, dal 1990 l’Agenzia Grazia Neri mantiene vivo il ricordo del proprio collaboratore, del suo ottimismo e della sua creatività. La cerimonia di premiazione, con attribuzione dei 1550,00 euro previsti, si è svolta il 22 marzo, nel-
Ex-aequo al Premio Yann Geffroy 2004, con Chromosome 17-Rosie’s Story Aubrey Wade racconta la storia di una bambina di venti mesi affetta da sintomi di disordine mentale dovuti a una rara malattia cromosomica.
Il reportage Blind School Link project di Tim Hetherington descrive la realtà quotidiana in due scuole per ragazzi non vedenti, in Sierra Leone e nel Regno Unito: ex-aequo al Premio Yann Geffroy 2004.
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l’anniversario dell’incidente in cui ha perso la vita Yann Geffroy. Il reportage premiato Blind School Link project dell’inglese Tim Hetherington descrive la realtà quotidiana in due scuole per ragazzi non vedenti, in Sierra Leone e nel Regno Unito. Il lavoro, coerente e maturo, evidenzia ottime capacità nella realizzazione del tema e rivela grande forza espressiva tradotta in un linguaggio che non manca di poeticità. Aubrey Wade, lui pure inglese, si è affermato, ribadiamo ex-aequo, con il servizio a colori Chromosome 17Rosie’s Story, che racconta la storia di una bambina di venti mesi affetta
PREMIO YANN GEFFROY 1990-2004 ssegnato dall’Agenzia Grazia Neri, il Premio lui intitolato ricorda e richiama la Analismo figura e il carattere positivo di Yann Geffroy nel proprio incontro con il fotogiorinternazionale. È riservato a fotografi under 35 (anni); si richiede un servizio di venti immagini bianconero o a colori (stampe da 20x25 a 30x40cm, diapositive 24x36mm intelaiate, CD con file Jpeg a media risoluzione), edito o inedito, accompagnato da didascalie di presentazione; termine di partecipazione della prossima edizione, la sedicesima dall’origine, 31 gennaio 2005. La giuria selezionatrice, composta da Grazia Neri, titolare dell’Agenzia, e da dipendenti e collaboratori, indica il servizio giornalistico che, tanto nella forma quanto nel contenuto, interpreta fotograficamente una soluzione in positivo di un problema sociale, politico, scientifico, ecologico: Agenzia Grazia Neri, via Maroncelli 14, 20154 Milano; 02-625271, fax 02-6597839; www.grazianeri.com, photoagency@grazianeri.com. Dalla propria istituzione, il Premio Yann Geffroy, che si concretizza in 1550,00 euro, ha segnalato autori e reportage che successivamente si sono imposti all’attenzione generale. In cronologia, ricordiamo i vincitori, dall’edizione originaria del 1990 alla più recente del corrente 2004. 1990 Didier Ruef (Svizzera), per un servizio in bianconero su East Harlem. Menzione d’onore a Armando Rotoletti (Italia), per il servizio in bianconero Sulla loro pelle, sul tema dell’integrazione razziale. 1991 Fulvio Magurno (Italia), per il servizio in bianconero Luci e ombre. 1992 Stephane Compoint (Francia), per un servizio a colori sullo spegnimento dei pozzi di petrolio in Kwait. Menzioni d’onore a Claudio Vitale (Italia), per un servizio in bianconero sulla vita dei transessuali, e a Toty Ruggieri (Italia), per il servizio in bianconero Giovani pugili a Milano. 1993 Lisa Scarfati (Italia; Contact Press Images), per un servizio a colori sull’operazione per il cambio di sesso di due transessuali a Mosca. Menzione d’onore a Lucia Calleri (Italia), per un servizio in bianconero sull’Istituto Piccolo Cottolengo di Don Orione. 1994 Gideon Mendel (Inghilterra; Network), per un servizio in bianconero sulla cultura del calcio in Zambia. Menzioni d’onore a Jean-Claude Coutausse (Francia; Contact), per il servizio a colori sulla Somalia intitolato Ritorno a Baidoa, e a Antonio Biasciucci (Italia), per un servizio in bianconero sugli indios Xavante in Mato Grosso. 1995 Mark Power (Inghilterra; Network), per il servizio in bianconero The shipping forecast (Avvisi ai naviganti), sulla vita in alcune località di rilevazione meteorologica. Menzioni d’onore a Isabella Balena (Italia), per il servizio in bianconero Via Vaiano Valle, Milano, sul tema della sopravvivenza di una realtà sociale di povertà, e a Laurence Kourcia (Francia; Rapho), per il servizio in bianconero Les Grosses, sul problema dell’obesità. 1996 Manuel Bauer (Svizzera; Lookat), per il servizio in bianconero Lost Shangrila - Escape from Tibet, che documenta il viaggio-fuga di un padre e una figlia tibetani per sfuggire alla dittatura della cultura cinese. Menzione d’onore a Seba Pavia (Italia [FOTOgraphia, luglio 2003]), per il servizio a colori La Domenica, sull’impiego del tempo libero nella società industriale e post-industriale. 1997 Ex-aequo tra Liana Miuccio (Usa), per il servizio in bianconero An italian journey, sui legami sopravvissuti tra famiglie emigrate in America e i parenti rimasti in patria, e Simona Ongarelli (Italia), per il servizio in bianconero Lustando, su un evento musicale che si svolge da anni a lu nel Monferrato, come esempio di una realtà positiva nella provincia. Menzione d’onore a Robert Hubert (Svizzera; Lookat), per il servizio Work through leisure, dedicato alla trasformazione delle miniere carbo-
nifere della Rhur in parchi di divertimento. 1998 Markus Buhler (Svizzera; Lookat), per il servizio in bianconero Short people, dedicato ai nani e alla propria difficile integrazione come “persone normali” in una società che tende ad ignorarli. Menzioni d’onore a Michele Cazzani (Italia [FOTOgraphia, settembre 1998]), per il servizio a colori La normalità di Alvise, sulla vita di un campione sportivo disabile, e a Paolo Cola (Italia), per il servizio in bianconero Ricominciare da zero, relativo al riutilizzo creativo di un’area in disuso, a cura di un gruppo di giovani bolognesi. 1999 Giorgia Fiorio (Italia; Contact), per il servizio in bianconero I Forzati del fuoco, dedicato a una iniziativa di riabilitazione di detenuti negli Stati Uniti, addestrati a domare incendi particolarmente pericolosi. Menzioni d’onore a Michi Suzuki (Giappone), per il reportage a colori Another family, sul tema dell’integrazione razziale, e a Gael Turine (Belgio), per il servizio in bianconero Cooperativa di Ciechi nella Costa d’Avorio. 2000 Ex-aequo tra Matias Costa (Spagna), per il servizio in bianconero The Country of the lost children, che documenta segni di pace in Rwanda, e Jordis Schlösser (Germania; Ostkreuz), per il servizio in bianconero Living on the dump, su una comunità Rom in Romania. Menzione d’onore Vittore Buzzi (Italia), per un servizio in bianconero sulla pesca del tonno nell’isola di Carloforte. 2001 Teru Kuwayama (Giappone), per il servizio in bianconero Tibetan refugees, che documenta la vita di tibetani rinchiusi nei campi di rifugio, mettendo in evidenza la propria capacità e volontà di preservare e trasmettere la cultura del proprio paese ai figli nati in esilio. Menzioni d’onore a Naomi Harris (Usa), per il servizio a colori Haddon Hall - Where living is a pleasure, sulla vita degli anziani in un hotel di Miami Beach loro riservato, e a Flore Aël Surun (Brasile), per il servizio a colori Sur-vie Sous, sui ragazzi di strada rumeni che vivono nelle condotte fognarie di Bucarest. 2002 Michelle Taylor (Usa), per il servizio in bianconero e a colori Flipside, che affronta il tema della critica situazione esistenziale giovanile e le proprie aporie nel realizzarsi, con un’ottima riuscita nella composizione tra l’opera fotografica e l’accompagnamento dei testi. Menzione d’onore a Felicia Webb (Inghilterra), per il servizio in bianconero Through Thick and Thin, che tratta il tema dell’anoressia in una prospettiva positiva e con linguaggio moderno e asciutto. 2003 Ex-aequo tra Yannis Kontos (Grecia), per il servizio in bianconero Kabul Photographers, che rileva e rivela una parte di vita tradizionale e di costume riemersa dal clima doloroso di lunghi anni di guerra, e Andreas Reeg (Germania), per il servizio a colori People with Down Syndrome, che descrive una situazione di handicap con la quale si può convivere [FOTOgraphia, novembre 2003]. Menzione d’onore a Simon Roberts (Inghilterra), per il servizio in bianconero The Gray Friars, su un gruppo di monaci che si occupa di adolescenti. 2004 Ex-aequo tra Tim Hetherington (Inghilterra; Network), per il servizio Blind School Link project, che descrive la realtà quotidiana in due scuole per ragazzi non vedenti, in Sierra Leone e nel Regno Unito, e Aubrey Wade (Inghilterra; Documentography), per il servizio a colori Chromosome 17Rosie’s Story, che racconta la storia di una bambina di venti mesi affetta da sintomi di disordine mentale dovuti a una rara malattia cromosomica. Menzione d’onore a Ziv Koren (Israele; Polaris Images), per il servizio Louai Mer’i, a Sergeant, is Going Home, sul difficile tema del ritorno alla quotidianità di un militare israeliano cui sono state amputate entrambe le gambe.
da sintomi di disordine mentale dovuti a una rara malattia cromosomica. La consapevolezza della morte di un congiunto non si traduce in dolorosa rassegnazione, ma nel desiderio dei genitori di migliorarne la qualità di vita, anche se breve. Composta da Grazia Neri, titolare dell’Agenzia, Daniela Cangiano, Roberta Di Silvestre, Tiziana Faraoni e Paola Riccardi, dipendenti della stessa Agenzia, oltre il premio exaequo la giuria ha assegnato una menzione d’onore a Ziv Koren per Louai Mer’i, a Sergeant, is Going Home, progetto nel quale il fotografo ha affrontato il difficile tema del ritorno alla quotidianità di un militare israeliano cui sono state amputate entrambe le gambe. A.G.
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Menzione d’onore al Premio Yann Geffroy 2004: Ziv Koren per Louai Mer’i, a Sergeant, is Going Home, reportage che racconta il ritorno alla quotidianità di un militare israeliano cui sono state amputate entrambe le gambe.
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my point of view
UN SENSO PER L’ALTRO
Enzo Raineri fotografa la natura per riflesso: oltre a raffigurare se stessa, attraverso un insieme di innumerevoli ed eterogenee manifestazioni, questa natura esprime altre simbologie esistenziali, volontariamente spostate in avanti (www.enzoraineri.com, enzoraineri@aliceposta.it). Al culmine di un lungo tragitto personale, le fotografie di Enzo Raineri sono raccolte in una mostra esposta al qualificato Centro Fieristico-Congressuale-Culturale Le Ciminiere di Catania, dal 21 al 31 maggio: annunciato preludio a tante altre
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Se, a dirla con Schelling, il filosofo cerca di esprimere il mondo, a differenza dell’artista che cerca di crearlo, a me sembra che Enzo Raineri occupi una posizione intermedia tra il filosofo e l’artista. Non propone enunciati sulla natura ostile e terrificante o insensibile e indifferente, non analizza il mutato rapporto tra l’uomo e l’essere, né parteggia per uno degli opposti artificialismi (causalistico o finalistico), che sono parte costituente della filosofia della natura. Pensa e dice la natura senza la pretesa di spiegarla, perché ciò non solo sarebbe impossibile (per Cartesio la natura è una necessità che non può essere altro che quella che essa è), ma significherebbe solo snaturarla. Scrive il poeta Jean-Nicolas-Arthur Rimbaud: «Quando penso, io assisto allo sbocciare del mio pensiero [...] do un colpo d’archetto: la
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iniziative... con supplemento d’anima (come precisa l’autore). L’esposizione si accompagna con un ben allestito volume-catalogo, che sopravvive all’esposizione degli originali fotografici. Dal catalogo riprendiamo il colto testo introduttivo che sottolinea il sottile e manifesto rapporto esistenziale della fotografia di Enzo Raineri. Autentico saggio, Un senso per l’altro (titolo anche della mostra) precisa la propria dotta trattazione con un sottotitolo esplicativo, che certifica L’orizzonte di ogni riflessione o Della prospettiva dell’istante.
sinfonia si agita nella profondità». “Naturgefuhl” è il termine tedesco che indica l’emozione suscitata dalla contemplazione della natura, soprattutto come fonte di insegnamento morale. Enzo Raineri pensa la natura in quanto organismo avvolgente, inglobante, al di qua della tradizionale distinzione tra attività e passività; la natura come foglio dell’essere, il nexus, il vinculum “Natura-Uomo-Dio”. E la natura, suscettibile di tutti i tipi di contemplazione, produce, per mano del suo sognatore, una meditazione attiva. Ecco il desiderio e il progetto di Enzo Raineri: senza recidere i legami organici con essa, vuole pensare e vivere l’esperienza di una natura superiore, e dirla agli altri come semplice sguardo. Per il filosofo francese Gaston Bachelard, la meditazione solitaria ci restituisce alla primitività del mondo, o,
Granellini, fratellini, addossati disegnando e rendendo omaggio alla legge della natura.
forse meglio, la solitudine ci mette in uno stato di meditazione primitiva. Nel dare la propria lettura del mondo, Enzo Raineri assume, senza saperlo e senza alcun intellettualismo, un atteggiamento filosofico: attraverso l’individuazione di spazi incontaminati raggiunge il senso vero e proprio della produzione naturale, un ambito più profondo, quasi preumano. La sua produzione, percorsa da un trasparente atteggiamento simpatetico con la natura, sembra inoltrarsi in quella direzione della fenomenologia dell’essere preriflessivo del filosofo tedesco Friedrich Wilhelm Joseph Schelling, nell’idea di natura selvaggia, archetipica quasi,
che rimanda alla coesistenza delle cose prima della conoscenza, a quel pre-essere che è già lì quando noi appariamo. La solitudine è necessaria per distogliere la mente dai ritmi occasionali: ci pone di fronte a noi stessi, ci induce a parlar-ci e a rivivere così una meditazione che senza fine tenta un’intima sintesi dialettica delle contraddizioni. Secondo il filosofo francese Maurice Merleau-Ponty, il circolo schellinghiano che visualizza la circolarità del sapere, e quindi il passaggio continuo dalla filosofia negativa (l’intuizione, il non saputo) alla filosofia positiva (riflessione), e dalla riflessione all’intuizione, non solo non è un circolo vizioso ma ci pone al centro dell’Assoluto: l’Assoluto non è soltanto l’assoluto ma il movimento dialettico tra il finito e l’infinito. Se la nostra intuizione è un’ek-stasi, mediante la quale, uscendo da noi stessi, cerchiamo di istallarci nell’assoluto, l’assoluto, da parte propria, deve uscire da se stesso e farsi mondo. L’assoluto non sarebbe nient’altro che questo rapporto dell’assoluto con noi: colui che ha capito che l’essenza di Dio è alla base di ogni esperienza, ha capito la naturphilosophie, che non è affatto una teoria, ma una vita all’interno della natura: Dio non deve essere conosciuto al di fuori dell’esperienza, poiché lo cogliamo proprio nel finito.
Empatia.
L’esperienza di Enzo Raineri, come esperienza artistica è una ekstasi, una oggettivazione del suo pensiero, del suo sistema di vita e della sua apertura (di mente e di cuore) al mondo e agli altri. Assumendo interiormente la natura che si rivela anche esteticamente, egli sperimenta e riprende contemporaneamente, in connessione al proprio fascinoso interesse della vita, momenti della natura, istanti immobilizzati in cui sembrano essere presenti due sentimenti contraddittori: il senso del sublime, che per dirla
con Kant è il dolore estetico e l’estasi della vita. Natura è una delle parole più pregnanti della terminologia in tutti gli ambiti del pensiero occidentale e “naturale” è stata una norma estetica cruciale; una inesatta comprensione del termine ha portato spesso ad un’arte fondata su un’idea non pensata, e perciò stesso insignificante. Per Schelling, ciò che caratterizza la natura è che, pur essendo un cieco meccanismo, essa presenti interamente il carattere di un prodotto teleologico e che appaia come penetrata di teleologia. Per Enzo Raineri che, in ultima istanza, dietro la natura scorge Dio, il quale è quindi l’orizzonte di tutte le sue riflessioni, la fotografia non è più soltanto descrizione ma diventa atto intimo; è come se cogliesse la realtà dell’anima mundi e il riflesso che essa ha sulla nostra personale anima. Ogni veduta che viene ri-vista, viene guardata di nuovo, riguardata. Secondo lo psicologo James Hillman, ogni volta che guardiamo la stessa cosa di nuovo, acquistiamo maggior rispetto nei suoi confronti e aumentiamo la sua rispettabilità. Scopriamo che la natura ci restituisce un riguardo accresciuto, un rinnovato senso di rispetto di sé [...] noi siamo e ci muoviamo dentro di esso proprio come ci muoviamo dentro il sogno che ci abbraccia e ci comprende nelle sue immagini [...] guardiamo dentro i
Lava di distruzione che scendi, mi vieni troppo vicino, mi fai male, ma non sai e potrai salire a uccidere lo spirito di resistenza.
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nostri ricordi, nel passato e immaginiamo che questi ricordi, questi pensieri siano tutti dentro di noi. La filosofia della natura ha bisogno di un linguaggio che possa riprenderla in ciò che essa ha di meno umano e che, di conseguenza, sarebbe prossimo alla poesia. A differenza di tutte le altre esperienze metafisiche che hanno bisogno di premesse interminabili, la poesia rifiuta i preamboli, gli esperimenti: rifiuta il dubbio. Al massimo le serve un preludio fatto di silenzio per costruire un momento complesso; per enucleare tale momento dalle molteplici simultaneità, il poeta distrugge la semplice continuità del tempo concatenato. Per Bachelard, la poesia è metafisica istantanea ma, se si limitasse a secondare il tempo della vita, sareb-
be meno che vita. Per trascenderla deve immobilizzarla, fondendo in un sol punto la dialettica delle gioie e dei dolori... così in ogni vera poesia si troveranno gli elementi di una pausa del tempo, di un tempo fuor di misura che chiameremo tempo verticale per distinguerlo dal tempo comune che fugge orizzontale come l’acqua del fiume. Il tempo verticale è una ricerca, è un’ascesa. È il tempo verticale che Enzo Raineri coglie con naturalezza, il tempo non vincolato. La solitudine nel suo dialogo con la natura gli offre il pensiero solitario, un pensare che esula dal divenire e che gli fa superare il tempo orizzontale della vita. Il poeta Charles Baudelaire coglieva nell’occhio dei gatti l’ora insensibile, il tempo non vincolato: in fondo ai suoi adorabili occhi leggo sempre
A Francesco Fragile intima natura. Compagnia, delusione, distrazione, dissipano il celeste retto alto riferimento. Bacia la polvere, arricchendo il terreno già perso. Silenzio, saggio confronto, drizza sul rinsaldato tempo ciò che risultò sviato e sullo storto cammino a rigogliare la chioma.
Tappeti ionici.
(in alto a sinistra) Barrito di monito, suono di miraggio, umore di tuono.
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chiaramente l’ora, sempre quella, un’ora vasta, solenne, grande come lo spazio, senza suddivisioni di minuti o di secondi, un’ora immobile non segnata sugli orologi. Enzo Raineri dice le sue fotografie come frammenti del poetico tempo verticale, come esperienza di quella natura superiore che si esprime in un’ora grande come lo spazio e che è percepibile soltanto nella prospettiva dell’istante. Giuseppina Radice Enzo Raineri: Un senso per l’altro. Centro Fieristico-CongressualeCulturale Le Ciminiere, viale Africa, 95129 Catania; 095-4011903, 800-551485; www.provincia.ct.it. Dal 21 al 31 maggio; 10,00-13,00 16,00-20,00. La mostra è promossa dalla Provincia Regionale di Catania, Assessorato alle Politiche Sociali e della Famiglia. Realizzazione e organizzazione Associazione Culturale SpazioVitale In, via Milano 20, 95128 Catania; 095-371010; vitale@spaziovitalein.191.it. Catalogo pubblicato da Scirocco Edizioni (via Crispi 20, 90049 Terrasini PA; scirocco.edizioni@artefile.it): 84 pagine 22x24cm, con introduzione critica di Giuseppina Radice e testimonianze.
STATO DELL’ANIMO Stati dell’animo e oltre; Missioni Estere Cappuccini Onlus, piazzale Cimitero Maggiore 5, 20151 Milano (02-3088042, fax 02-33402164; www.missioni.org, info@missioni.org); 116 pagine 23,5x27cm, cartonato con sovraccoperta in cofanetto; 35,00 euro.
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Nell’esercizio della Vita, è fondamentale, non soltanto benefico, lo scambio di visioni e conoscenze. Molti incontri ci rendono felici. Soprattutto si prova una gioia segreta quando, conoscendo altre persone, incontrando altre esperienze, finiamo per saperne un po’ di più su noi stessi. Probabilmente è questo il senso e il succo dell’esercizio della Vita; anche a partire dal territorio specifico nel quale ciascuno agisce. Quindi, per quanto ci riguarda, anche a partire dalla Fotografia. Su queste stesse pagine, lo scorso febbraio, Grazia Neri, titolare dell’omonima agenzia fotogiornalistica, personalità di spicco del mondo fotografico (con fantastiche proiezioni oltre ogni stretto confine), ha commentato una monografia di Robert Frank, affermando di considerare la raccolta London/Wales come il più bel libro fotografico pubblicato nel 2002. Addirittura, questa serie fotografica ha modificato la propria personale scala di
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Missionario in Africa negli anni Cinquanta. Per una personale serie di motivi, consideriamo questa la fotografia più significativa tra quante abbiamo visto lo scorso anno (per gentile concessione dell’Archivio Fotografico Pime).
valori, sempre fotografici. Quelle osservazioni ne hanno sollecitate altre, nostre personali, avviandoci in una direzione fino allora non frequentata, fino allora tenuta latente. Nello spirito contemplativo che caratterizza l’insieme del nostro modo di affrontare l’esistenza quotidiana e il mondo della Fotografia, ci siamo posti una analoga domanda, alla quale rispondiamo prontamente. Nel corso dell’anno, tanto per dare una dimensione temporale alle riflessioni, anche noi abbiamo incontrato quella che ci è ap/parsa come la fotografia più significativa tra le tante viste. Addirittura, eleviamo la considerazione oltre il limite dei dodici mesi, per considerare una delle istantanee della mostra Stati dell’animo e oltre, che proponiamo in questa pagina, come un assoluto: una delle fotografie più emozionanti tra quante ne abbiamo fin qui viste nel corso dei decenni, nell’inesorabile scorrere del Tempo. Perché? La risposta non è facile. Forse non è neppure possibile razionalizzare una sequenza di motivi, una consecuzione di commozioni. Addirittura non sappiamo esternare la nostra impressione; tanto più che siamo culturalmente lontani ed estranei allo stesso spirito della mostra Stati dell’animo e oltre, cui sopravvive un elegante volume-catalogo (che ricordiamo nell’apposito riquadro pubblicato in questa pagina), costruita con immagini, rigorosamente anonime, riprese dai Missionari Cappuccini nei luoghi e nelle situazioni del proprio apostolato. L’iter della mostra, abilmente allestita da Cédric de Giraudy, è presto rivelato. Come abbiamo appena accennato, si tratta (si è trattato) di una selezione di fotografie realizzate nel corso dei decenni da frati cappuccini, missionari nel mondo. Immagini amatoriali di situazioni e genti che animano le missioni dal Camerun alla Costa d’Avorio, dalla Thailandia al Brasile, dall’Eritrea all’Etiopia, all’India. Gli improvvisati fotografi, immersi nei villaggi persi nelle foreste, a piedi nudi su ter-
re di fuoco, con una piccola macchina fotografica, hanno tracciato il racconto di una storia aperta al mondo, un segno di esistenza per tutti: delicate e partecipi istantanee, emozionanti perché scattate a ritmo del battito del cuore. Come lo stesso Cédric de Giraudy ha annotato nell’introduzione alla raccolta Stati dell’animo e oltre, e come viene precisato in ogni occasione espositiva (dopo l’originario allestimento al Museo dei Beni Culturali Cappuccini di Milano, fino al Natale 2003, la mostra è esposta alla Galleria Agfa fino al 2 aprile), «queste immagini rappresentano un legame tra noi e questi popoli dalla vita così diversa, ma dello stesso sangue nostro e dello stesso mondo, per far capire che anche con questa diversità siamo così vicini. Provano le stesse gioie, gli stessi pensieri, si accendono come noi quando amano, hanno le stesse ferite, noi come loro abbiamo gli stessi stati dell’animo. Nei paesi dove si parla troppo di povertà, di guerre e di fame, ci possono essere anche gioie, amicizie, libertà. Questi scatti, credo, ne portano una traccia e una speranza». L’elemento comune è individuato proprio in quegli stati dell’animo, che si manifestano senza soluzione di continuità e senza sovrastrati. La fotografia del missionario in Lambretta, carica di bambini neri, esprime più stati dell’animo, con i quali ci sintonizziamo (pur non possedendoli tutti, pur non comprendendone alcuni, pur essendo estranei ad altri): sorriso, amicizia, tenerezza, dedizione, altruismo, fede, ascolto, ospitalità, tradizioni, comprensione, solitudine, speranza, serenità, grazia, affetto, ottimismo, gioia, protezione, simpatia... e altro ancora. È una fotografia autenticamente tale. Fotografia che rappresenta e non solo raffigura; fotografia che comunica sia al cuore sia alla mente; fotografia che accende infinite letture personali. Fotografia da tenere cara. Noi, almeno, l’abbiamo colta in questo modo. M.R.
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Il Premio Canon Giovani Fotografi ribadisce il valore di quella dichiarazione di intenti che offre concrete opportunità di accedere al mondo della fotografia professionale, usufruendo di opportuni contributi. Oltre la consistenza fotografica dei vincitori, tutti di alto livello, l’insieme delle partecipazioni attesta lo stato di salute di una generazione attenta allo svolgimento della vita e all’evoluzione della società, con osservazione fotografica privilegiata Miglior Portfolio Digitale a Mattia Insolera «per aver saputo raccontare una storia con un linguaggio innovativo e con una pratica espressiva poetica e raffinata. Per aver saputo unire con coerenza visione e poesia, scrittura e immagine».
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oerentemente, il Premio Canon rivolto e indirizzato ai Giovani Fotografi continua il proprio inesorabile cammino, che ogni anno attira l’attenzione su un mondo che non è solo fotografico, come istituzionalmente dovrebbe essere ed effettivamente è, ma dischiude le proprie porte su un universo generazionale che affida alla mediazione fotografica sogni, richiami, evocazioni, speranze e impegni individuali. Per quanto possa farlo, dal proprio fantastico punto di vista tanto particolare, il Premio Canon Giovani Fotografi compone un circolo di osservazioni e riflessioni a tutto campo. Ovviamente, il tragitto espressivo parte dall’ambito dichiaratamen-
te fotografico, al quale peraltro torna dopo aver compiuto un largo giro attorno l’universo giovanile. Così, a ciascuno il proprio: si valutino le conclusioni del Premio, attraverso le relative classifiche, sia per ragionare sull’applicazione fotografica di quei giovani che si affacciano al mondo della comunicazione visiva, sia per riflettere sull’uso dell’immagine da parte degli stessi giovani, ancora estranei a quel complesso insieme di meccanismi e, forse, compromessi e adattamenti che condiziona e definisce il professionismo fotografico tutto. Una volta ancora, e una di più, la recente edizione 2003 del Premio Canon Giovani Fotografi conferma quanto è già stato rivelato e sottolineato dai
LA FORZA
DEI GIOVANI precedenti svolgimenti: i fotografi giovani dei nostri giorni (in una sequenza di definizione che ci pare più adeguata: si è fotografi per scelta, e si può essere giovani per anagrafe) applicano il linguaggio fotografico all’osservazione partecipe e ravvicinata della vita contemporanea, della quale puntualizzano contraddizioni, esistenzialità e, perché no?, disagi. I loro, prima degli altri; ma i disagi non hanno limiti di tempo né di età, percorrono trasversalmente e senza soluzione di continuità il mondo attuale, travolto da avvenimenti grandi e vicende private/intime. Sia dal punto di vista formale, dello svolgimento fotografico delle tematiche affrontate, sia da quello, più significativo, dei contenuti, la qualità della fotografia inquadrata dal Premio Canon Giovani Fotografi è alta: offre infiniti spunti di analisi e straordinari punti di vista. Per parlarne, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
ESSERE GIOVANI Tra le tante considerazioni possibili, le indicazioni del Premio Canon Giovani Fotografi ne offrono una prima di tutte, curiosamente indipendente dal risultato della selezione, comunque sia rappresentativa di una situazione esistenziale più ampia e generale, che abbraccia -appunto- la condizione giovanile alla luce della propria combinazione con gli strumenti espressivi della fotografia. L’indicazione dei vincitori, così come vengono distinti nelle singole categorie del Premio, dei quali riferiamo più avanti, non si esaurisce in se stessa e nella segnalazione di nomi e progetti fotografici. Questa stessa indicazione supera i confini degli autori, che finiscono per rappresentare un insieme, più di quanto non rappresentino se stessi. A questo riguardo è giocoforza richiamare ancora quel concetto di conoscenza (esistenziale, ma non soltanto) che parte e ha origine nella natura sociale dell’uomo e dell’evoluzione storica della società. Più concretamente che nei tempi trascorsi e passati, oggigiorno non possiamo ignorare che l’attività produttiva dell’uomo sia l’attività pratica fondamentale, che determina anche ogni altra forma di attività. La conoscenza umana dipende soprattutto dall’attività produttiva materiale: attraverso questa ciascuno riesce a comprendere grado a grado i fenomeni, le proprietà e le leggi della natura, come pure i propri rapporti con la natura e la
realtà; inoltre, attraverso l’attività produttiva, a poco a poco, ognuno raggiunge i diversi livelli di comprensione dei rapporti reciproci tra gli uomini. Come sottolinea il rigoroso impegno delle nuove generazioni della fotografia, che si affacciano oggi al palcoscenico della professione o dell’espressività, magari attraversando anche la porta (privilegiata? certamente qualificata!) del Premio
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Christian Cantori, Miglior Portfolio «per aver saputo dare corpo e vigore a una tematica astratta e poco frequentata come la “paura”. Per aver indagato con profondità all’interno dei sentimenti senza mai perdere di vista senso estetico e forma».
Canon Giovani Fotografi, tutte queste conoscenze non possono essere acquisite al di fuori dell’attività produttiva. Nella società, nel corso della propria attività professionale, ogni persona collabora con altri, entra in determinati rapporti di produzione con il prossimo e si impegna nell’attività produttiva per risolvere i problemi della vita materiale. A tutti gli effetti, questa è la principale fonte di sviluppo della conoscenza umana, ed è logico ritenere che la conoscenza individuale evolva passo a passo, dagli stadi più bassi ai più alti, cioè dal superficiale al profondo, dall’unilaterale al multilaterale. La pratica professionale è uno dei criteri con i quali raggiungere il senso della realtà e della verità, l’autentica conoscenza del mondo esterno. Però, ciascuno di noi riceve la conferma della verità della propria conoscenza solo dopo che nel corso del processo esistenziale materiale ha raggiunto i risultati previsti.
L’ANNO CHE VERRÀ
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ermine di partecipazione all’edizione 2004 del Premio Canon Giovani Fotografi 31 novembre. Le opere devono essere inviate a: Canon Italia SpA, Premio Giovani Fotografi, via Milano 8, 20097 San Donato Milanese MI. Il bando di concorso è disponibile presso gli istituti di fotografia, le scuole d’arte, i negozi di fotografia e sul sito www.canon.it, oppure può essere richiesto direttamente a Pronto Canon: 02-82492000. È confermata la divisione in cinque sezioni: Miglior Portfolio Fotografico, per portfolio composti da dieci a quindici stampe inedite (4000,00 euro e affiancamento di un tutore per l’introduzione nel mondo professionale); stesse modalità per la selezione al Miglior Portfolio Digitale, ovviamente riferito a immagini acquisite o elaborate in forma digitale (2500,00 euro e tutore); il Miglior Progetto Fotografico intende un’idea fotografica ancora da ultimare (che Canon supporta con un contributo di 2500,00 euro e tutore); la Borsa di Studio di 2500,00 euro è destinata a corsi o scuole di fotografia; infine, tra tutti i partecipanti la giuria sceglie un quinto vincitore che è premiato con un’iscrizione gratuita a un seminario didattico del Toscana Photographic Workshop.
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Questa teoria della conoscenza pone la pratica al primo posto; inoltre stabilisce come la conoscenza umana non possa in nessun modo essere separata dalla stessa pratica e respinge tutte le idee che negano l’importanza della pratica e scindono la conoscenza dalla pratica. È stato scritto che «La pratica è superiore alla conoscenza (teorica), perché possiede non solo il pregio dell’universalità, ma anche quello dell’immediata realtà». Come raccontano l’impegno, la coerenza e l’entusiasmo dei giovani fotografi osservati tra le pieghe del Premio Canon, il primo passo nel processo della conoscenza è il contatto con gli elementi del mondo esterno: la fase della percezione. Il secondo è la sintesi dei dati forniti dalla percezione, la propria sistemazione ed elaborazione: la fase dei concetti, dei giudizi e delle deduzioni. Ma soltanto se i dati forniti dalla percezione sono molto ricchi (e non frammentari e incompleti) e corrispondono alla realtà (non sono cioè frutto di un inganno dei sensi, né dipendono da successi casuali ed effimeri), è possibile, sulla loro base, elaborare giusti concetti e trarre giuste conclusioni logiche. Alla resa dei conti, questi giovani sostengono l’unità concreta del soggettivo e dell’oggettivo, della teoria e della pratica, del sapere e del fare: sono contro tutte le idee astratte, erronee, avulse dalla realtà concreta.
UFFICIALMENTE, IL PREMIO Diviso in cinque sezioni in gara, tra cui una espressamente dedicata alla fotografia digitale, l’edizione 2003 del Premio Canon Giovani Fotografi ha confermato la linea di tendenza già annotata negli anni precedenti, ribadendo un’alta qualità delle fotografie e dei progetti. I lavori pervenuti, come sempre numerosi, hanno reso decisamente complessa la valutazione e individuazione dei vincitori da parte della giuria, che si è confrontata con opere di ottima fattura. Sempre attuale lo spirito del Premio: offrire la possibilità a giovani promettenti di accedere al mondo della fotografia professionale, usufruendo sia di contributi economici per portare a termine i progetti fotografici o per approfondire gli studi, sia
Paola Fiore ha prevalso come Miglior Progetto «per avere saputo descrivere al meglio un progetto fotografico complesso e affascinante. Per aver scelto una forma di presentazione chiara e capace di mettere in rilievo contenuti fotografici precisi. Per aver prodotto una prima parte del progetto La casa di Tom Shepperd con fotografia di grande pregio».
dell’affiancamento e la supervisione di un tutore che accompagna i vincitori al fine, non solo di migliorarne le capacità espressive e tecniche, ma soprattutto di promuoverne le opere presso redazioni, agenzie e gallerie fotografiche. Infine, a uno dei partecipanti alla sezione Borsa di Studio viene offerta la partecipazione a uno degli accreditati workshop professionali organizzati dal Toscana Photographic Workshop (ed è così che si arriva a conteggiare cinque sezioni). La giuria dell’edizione 2003 del Premio Canon Giovani Fotografi è stata presieduta da Denis Curti, direttore dell’Agenzia Contrasto (Milano); hanno fatto parte della giuria Enrica Viganò, direttore artistico della galleria ClicArt-nuovi fotografi verso il mercato, Wolf Pazurek, direttore di Photo Italia, Adelaide Corbetta, critico d’arte, Grazia Neri, presidente e fondatrice dell’Agenzia Grazia Neri, Roberta Dell’Acqua, responsabile del settore fotografia di Sotheby’s Italia, Edward Rozzo, fotografo professionista ed esperto di comunicazione. Nella sezione Miglior Portfolio si è affermato Christian Cantori (pagina accanto), «per aver saputo dare corpo e vigore a una tematica astratta e poco frequentata come la “paura”. Per aver indagato con profondità all’interno dei sentimenti senza mai perdere di vista senso estetico e forma». Mattia Insolera (a pagina 28 e 29) ha vinto nella sezione Miglior Portfolio Digitale «per aver saputo raccontare una storia con un linguaggio innovativo e con una pratica espressiva poetica e raffinata. Per aver saputo unire con coerenza visione e poesia, scrittura e immagine». Miglior Progetto a Paola Fiore (in questa pagina) «per avere saputo descrivere al meglio un progetto fotografico complesso e affascinante. Per aver scelto una forma di presentazione chiara e capace di mettere in rilievo contenuti fotografici precisi. Per aver prodotto una prima parte del progetto La casa di Tom Shepperd con fotografia di grande pregio». Borsa di Studio a Maurizio Bongiovanni (a pagi-
na 32) «per aver compiuto una riflessione sui temi dell’introspezione costruendo un percorso visivo di notevole spessore critico. Per aver realizzato una raccolta di immagini capaci di assumere valori che conducono l’osservatore all’obbligo del confronto». Vincitore del workshop TPW è Cristina Canepari (ancora a pagina 32) «per aver raccolto appunti visivi di notevole “appeal”, per aver dimostrato un’ottima capacità di sintesi narrativa e per aver “messo in scena” una storia sui temi della memoria senza tralasciare l’atto di testimonianza».
UN PASSO INDIETRO Ribadiamo lo spirito del Premio Canon Giovani Fotografi, che, come abbiamo appena puntualizzato, «offre la possibilità a giovani promettenti di accedere al mondo della fotografia professionale, usufruendo sia di contributi economici per portare a termine i progetti fotografici o per approfondire gli studi, sia dell’affiancamento e la supervisione di un tutore che accompagna i vincitori al fine, non solo
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Borsa di Studio a Maurizio Bongiovanni «per aver compiuto una riflessione sui temi dell’introspezione costruendo un percorso visivo di notevole spessore critico. Per aver realizzato una raccolta di immagini capaci di assumere valori che conducono l’osservatore all’obbligo del confronto».
Cristina Canepari ha vinto un workshop TPW «per aver raccolto appunti visivi di notevole “appeal”, per aver dimostrato un’ottima capacità di sintesi narrativa e per aver “messo in scena” una storia sui temi della memoria senza tralasciare l’atto di testimonianza».
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di migliorarne le capacità espressive e tecniche, ma soprattutto di promuoverne le opere presso redazioni, agenzie e gallerie fotografiche». In questo senso, torniamo ai vincitori dell’edizione precedente (FOTOgraphia, maggio 2003). Dopo il Premio Canon, numerose riviste specializzate hanno pubblicato le immagini premiate di Eudechio Feleppa (Borsa di Studio). Ha esposto in diverse città italiane, in gallerie private e nell’ambito di festival e manifestazioni. Critici e collezionisti hanno dimostrato interesse per il suo lavoro e inoltre ha concorso al Fourth Polaroid International Photography Awards, vincendo una Honorable Mention per l’area Europa/Africa. Recentemente, ha prodot-
to le immagini per un CD di RAI Trade. Attualmente, sta attrezzando uno studio personale dove poter realizzare i propri progetti espressivi. Agostino Gestri (Miglior Portfolio) afferma che «il Premio ricevuto da Canon è stato molto importante a livello personale, perché mi ha dato la forza di credere nelle mie capacità e nello stile di fotografia che più mi entusiasma. Grazie a questo ho avuto il coraggio di lasciare la professione di architetto per intraprendere una nuova carriera di fotografo». Nell’anno trascorso ha portato a termine il progetto sulla comunità cinese di Prato e ha realizzato un nuovo reportage dal titolo Fair play sul Calcio Storico Fiorentino. Per Giovanni Conte (Miglior Progetto), «la cosa più importante per la mia crescita è stata la possibilità di un confronto con persone di grande esperienza, che mi hanno aiutato a orientare più correttamente i miei sforzi; esco da questa esperienza cresciuto, non solo professionalmente». Il finanziamento ricevuto gli ha permesso di realizzare un volume sul progetto presentato al Premio e un nuovo reportage in Algeria. Grazie alla Borsa di Studio, Roberto Strano ha seguìto un workshop al Toscana Photographic Workshop con Bob Sacha, fotografo di National Geographic: «è stata un’esperienza positiva, perché ho conosciuto dei grandi fotografi ed è stato possibile visionare e commentare personalmente i lavori di National Geographic e apprendere molto da loro». In seguito ha avuto l’opportunità di presentare i propri lavori all’Agenzia Contrasto. Attualmente ha in progetto la realizzazione di una mostra a Milano. Maurizio Rebuzzini
PEP BONET In occasione della mostra a tema dedicata al pluripremiato lavoro sulla Sierra Leone, allestita a Milano presso la Galleria Grazia Neri, il fotografo spagnolo espone le proprie idee sulla professione e l’uso delle immagini. Osservazioni a tutto campo
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INTERVISTA SUL FO
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ella intensa attività espositiva della propria galleria di Milano, Grazia Neri offre una delle più ricche e concentrate panoramiche di lavori fotografici che si possano avere in Italia. Le mostre sono allestite con ritmo ben cadenzato, rimangono in cartellone tre-quattro settimane, e coprono molteplici settori della fotografia applicata, dallo sport all’arte, dal ritratto al reportage. Seguendole, si rimane aggiornati sulle tendenze, i linguaggi, gli autori internazionali della fotografia contemporanea, come consultando un sito web ben confezionato. Forse, addirittura meglio: perché si possono apprezzare an-
che stampe fotografiche e allestimenti scenici di alta qualità formale (la forma per il contenuto). Solo un aspetto non viene mai trattato dalla Galleria Grazia Neri: quello del reportage privato, delle fotografie-memoria della propria vita, figli, mogli, nonni, nipoti, matrimoni, nascite, primi giorni di scuola, fidanzate, eccetera. Ma questa è una fisima mia. Tra tutte le mostre che si susseguono, meritano un’attenzione particolare quelle che riguardano il fotogiornalismo: questo genere di fotografia può coinvolgere il pubblico in storie dell’altro mondo, vicende terribili, paesi lontani, testimonianze sconvolgenti, ma anche scoperte rassicuranti. La mostra di Pep Bonet Faith in Chaos - La Sierra Leone dopo il conflitto, proposta alla Galleria Grazia Neri dal 22 aprile al 21 maggio, ne è una conferma. Queste fotografie raccontano ciò che raramente si legge sui giornali, cioè la verità su fatti che riguardano quegli uomini miserabili che non interessano i media occidentali e la pubblicità, perché non consumano né, probabilmente, consumeranno mai. Lo scenario è quello della Sierra Leone alla fine di dieci anni di una delle più sanguinarie guerre civili del secolo. Pep Bonet ha elaborato la propria storia attorno la solidarietà umana e sociale, quel sentimento che tiene in piedi l’anima dell’uomo come lo scheletro ne regge il corpo. È grazie a questa solidarietà, che Pep Bonet chiama fede, che in Sierra Leone si cerca di dimenticare l’orrore, per continuare a vivere. Il fotogiornalista lo testimonia con quattro racconti, sulla Milton Margai School per non vedenti, sull’ospedale psichiatrico Kissy Mental Home, sulla squadra di calcio degli amputati di guerra del Murray Town Amputees Camp e sulla Born-Again Church, una delle tante congregazioni cristiane presenti in Africa. [A questo reportage ci siamo rapidamente già riferiti lo scorso dicembre 2003, in occasione del commento sullo svolgi-
Sierra Leone, Freetown, giugno 2002. Milton Margai School per non vedenti. Prime luci dell’alba, Kinny Mattia percepisce la luce del mattino.
DOPO LA GUERRA
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gghiacciante documentazione, realizzata tra il 2002 e il 2003, sulla situazione socio-economica in Sierra Leone. Le fotografie di Pep Bonet, raccolte nella mostra Faith in Chaos La Sierra Leone dopo il conflitto, descrivono le inevitabili conseguenze della decennale guerra civile di cui il paese è stato vittima. Premiato con il Grand Prix Kodak du Jeune Photo Reporter nel 2003, il lavoro di Pep Bonet è frutto di un progetto realizzato per il Joop Swart Masterclass della World Press Photo Foundation. Il fotografo ha testimoniato quanto la fede, tema di centrale importanza, sia intesa come solidarietà umana e sociale, e sopravviva tra il caos della memoria del passato e le illusioni di un futuro possibile, per aiutare la gente a ricostruire un presente. Forse rappresenta l’unica strada per superare il trauma e le ferite della guerra. Le fotografie di Pep Bonet raffigurano ospedali psichiatrici, scuole per non vedenti, congregazioni religiose, mutilati di guerra in fase di riabilitazione, e rivelano, con approccio sentito e personale, l’estremo sforzo umano per riacquistare fiducia nel futuro.
OTOGIORNALISMO
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TECNICAMENTE ESSENZIALE
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ep Bonet lavora soprattutto con la Leica M6 dotata di 28, 35 e 50mm. Gli piace anche sperimentare, scattando con una vecchia Agfa Box per pellicola a rullo 120 (stile macchine fotografiche giocattolo: Holga, Eura Ferrania e derivati). Da un paio di anni utilizza anche una reflex Canon Eos-1V con 24mm f/2,8. Niente di più, né di diverso.
mento di Visa pour l’Image, il festival francese del reportage fotografico internazionale durante il quale a Pep Bonet è stato assegnato il Grand Prix Kodak du Jeune Photo Reporter 2003]. Lo sguardo di Pep Bonet è asciutto, non si concede barocchismi visivi, né inquadrature retoriche. Il suo modo di raccontare l’Africa mi ricorda quello di Ryszard Kapuscinski in Ebano (Feltrinelli, 2001). Anche nella presentazione della mostra non vedo compiacimento estetizzante e l’aspetto informativo, quello inestimabile della cronaca giornalistica, è rispettato. Sarà un mio pallino, ma a volte mi sembra che oggigiorno, da parte dei fotografi-giornalisti o dei curatori delle loro mostre, le immagini vengano proposte più come opere d’arte che non come cronaca, una cronaca magari scritta da una penna fotografica molto felice, ma sempre cronaca. Se così fosse, la notizia diventerebbe meno importante di come sono disposte le masse dei neri, dei grigi e dei bianchi nell’inquadratura. Se così fosse, sarebbe come leggere una cronaca di Furio Colombo (per citare uno dei maestri del giornalismo) più per lo stile letterario che non per i contenuti che racconta; come se, per esempio, leggendo uno dei sui articoli sul Kosovo si stesse lì a dire: ma guarda che aggettivo, guarda che “artistica” costruzione di frase, mentre il giornalista sta raccontando di Freetown, maggio 2003. Milton Margai School per non vedenti. Ritratto di Kinny Mattia davanti alla luce.
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una donna stuprata, cui i violentatori strappano dalle braccia il bambino e gli mozzano la testa. Ne ho parlato con Pep Bonet in un’intervista che qui proponiamo. Recentemente, a Verona, visitando la grande mostra dedicata al lavoro dei fotografi della VII [ Inviati di guerra; FOTOgraphia, febbraio 2004] ho avuto la sensazione di una imbarazzante estetizzazione della fotografia di guerra. Spero di sbagliarmi, e d’altra parte rifiuto l’idea che fotogiornalisti come Christopher Morris o James Nachtwey possano considerarsi più artisti che giornalisti. Ma la quasi totale assenza di didascalie alle fotografie mi ha fatto pensare che almeno il curatore della mostra fosse un po’ scivolato nella direzione dell’arte invece che in quella della testimonianza. Da questo disagio nasce la mia prima e un po’ ingenua domanda: nella fotografia news per te è più importante lavorare sullo stile o sul contenuto? «Non penso che si possano separare stile e contenuto, e per me sono importanti entrambi. E a proposito dello stile, aggiungo che per me è spontaneo; io non lo razionalizzo, semplicemente mi viene così. Inoltre, non credo più al modo tradizionale di raccontare le storie, lo trovo noioso. Il mio approccio è “non avere regole, non tenere conto delle esperienze precedenti, seguire l’istinto, ascoltare me stesso e non quelli che mi danno suggerimenti”. Mi immagino anche che il pubblico si stanchi di guardare le fotografie di un fotografo che non cambia mai il proprio stile per anni». Pensi che allestire mostre aiuti il tuo lavoro? «Certo perché nelle mostre posso osservare le reazioni della gente, del pubblico; ed è anche un’occasione unica, nella quale riesco a mostrare il mio lavoro fotografico così come l’ho in mente e l’ho prodotto (a meno che si tratti di una mostra a Vi-
Sierra Leone, Freetown, maggio 2002. Ospedale psichiatrico Kissy. Un paziente in cella di isolamento.
sa pour l’Image di Perpignan, dove gli organizzatori non lasciano decidere nulla agli autori). «Alle mostre, però, preferisco le proiezioni multimediali, dove si può aggiungere musica alle immagini, il che crea un’atmosfera più intensa». Che senso possono avere le mostre per un fotogiornalista che produce immagini perché siano pubblicate dai giornali? «Mi è difficile dirlo. Di certo non penso che i giornali pubblichino le mie fotografie perché le hanno viste in mostra. Non mi è mai capitato di avere un incarico da un giornale perché ho fatto una mostra, ma certo realizzare mostre può aiutare». Quando hai cominciato come fotogiornalista,
ti saresti aspettato di poter essere considerato un artista? «Certamente, perché credo che sia un aspetto del mio mestiere: io cerco di cancellare i confini tra giornalismo e lavoro artistico. Non credo nell’oggettività dell’informazione. Mi piace raccontare le mie sensazioni su quello che vedo. Per far questo talvolta uso fotografie mosse o sfocate, per trascinare lo spettatore dentro l’atmosfera del luogo e fargli sentire la sofferenza o la confusione della realtà che riporto. Cosa c’è di sbagliato in questo? «Un’altra questione è parlare di etica, e perché fai quello che stai facendo, e perché fotografi quello che stai fotografando.
PROFESSIONALMENTE
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appresentato in esclusiva dall’Agenzia Grazia Neri di Milano, Pep Bonet Mulet è nato in Spagna il 23 ottobre 1974, a Colònia de Sant Jordi, Maiorca. Dal 1997 al 1999 ha studiato al Fotogram di Amsterdam, seguendo i corsi di Adrienne Norman e Ruud de Jong e specializzandosi in tecniche di stampa. Ha poi partecipato a diversi workshop e seminari, tra cui il Joop Swart Masterclass della World Press Photo Foundation (2002) e il Festival di Fotogiornalismo di Gijon (2003). Tra il 1998 e il 2001 ha realizzato reportage in Turchia, Andalusia, Cuba, Vietnam, Mongolia e Portogallo, dedicandosi all’approfondimento di tematiche sociali, con particolare attenzione al tema della spiritualità. Nel 2002, per il World Press Photo Masterclass, avvia un reportage sulla drammatica realtà del dopo-guerra in Sierra Leone, approfondendo il tema della fede vista come riscatto dalle sofferenze della guerra civile. Da questo progetto nasce Faith in Chaos, ampliato nel corso dell’anno successivo e premiato nel 2003 con il Grand Prix Kodak du Jeune Photo Reporter. Nel maggio 2003 gli viene commissionato da Médecins Sans Frontières Holland un reportage sulle attività di assistenza a domicilio dei malati di Aids in Zambia. I suoi lavori sono stati esposti e proiettati nell’ambito di manifestazioni internazionali, quali Photoespaña 2001 e 2002, Visa pour l’Image (2003; Per-
pignan), Fotopress (2003; Lleida, Spagna), Fuji Press European Awards (2003; Oslo), Fuji Film Europress Awards (Barcellona) e presso il Foam (Photography Amsterdam Museum). Le sue fotografie sono apparse su numerose riviste internazionali, tra le quali NRC Handelsblad, Trouw, Onze Wereld, PF, Magazine (La Vanguardia), The Observer, Man, Brisas (Ultima Hora), Volkskrant, M magazine, Pdn, El Mundo, El Periódico (El Dominical), The Times. In ambito pubblicitario ha realizzato campagne per Red Bull, Martini e Intercom. Ha ricevuto diversi premi fotografici. Nel 2003 si è classificato al primo posto nella selezione spagnola del Fujifilm Europress Awards, e ha partecipato alla finale europea a Oslo con il lavoro Blind Faith, realizzato in Sierra Leone, primo premio anche a Fotopress 2003 in Spagna. Nello stesso anno si aggiudica il primo premio nella sezione fotogiornalismo del Pdn Annual Contest di New York con il reportage The Kissy Mental Home, pure realizzato in Sierra Leone. Primo e terzo posto al premio tedesco di fotogiornalismo Zilveren camera Holland con due diversi servizi sulla Sierra Leone, nel settembre 2003 vince il Grand Prix Kodak du Jeune Photo Reporter a Visa pour l’Image di Perpignan, con Faith in Chaos, che riunisce tutto il lavoro realizzato in Sierra Leone.
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Sierra Leone, Freetown, maggio 2002. Ospedale psichiatrico Kissy. Un paziente incatenato al suo letto.
Sierra Leone, Freetown. Campo da calcio per amputati (Murray town), di Medici senza Frontiere. Maggio 2003: la squadra durante una partita. Giugno 2002: stretching prima della partita. (pagina accanto, in alto).
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«A me interessano le vicende che non conosco, e mi impegno nel lavoro fotografico con passione per scoprirle. Non voglio cambiare il mondo, voglio solo raccontare alla gente ciò che vedo e soprattutto mostrare loro la mia esperienza». Perché hai scelto il fotogiornalismo? «Ho cominciato come fotografo, mi piaceva la fotografia. Poi mi sono trovato sempre più coinvolto nel mondo del giornalismo. Talvolta, il fatto di essere giornalista mi impedisce di svolgere del lavoro più creativo, perché nel giornalismo le fotografie non vanno costruite, bisogna cercare di essere oggettivi». Da cosa è nato l’impegno in Sierra Leone?
«Semplicemente sono andato in Sierra Leone, e la storia si è costruita lavorando giorno per giorno. Non sono un pianificatore. Penso che questa sia una mia grande carenza, ma per me il lavoro è libertà, e le sensazioni da seguire mi devono emergere dentro senza che mi sia preparato in anticipo: meno informazioni ho, più sarà originale il risultato del mio lavoro. «Queste convinzioni mi riportano al tempo in cui andavo a scuola di fotografia, altro grande errore della mia vita. Oggi non guardo più al lavoro degli altri per ispirarmi, perché così facendo rischierei di copiare le loro idee. Ho bisogno di trovare da solo la mia ispira-
zione. Il mio subcosciente lavora molto e bene registrando ogni cosa: far crescere il mio subcosciente significa la possibilità di lavorare meglio in futuro». Qual è il tuo interesse principale nel raccontare storie con la fotografia? «Scoprire l’ignoto, imparare dalla vita. Anche fare esperienza di situazioni che non avrei mai conosciuto senza la fotografia. «Quando vendo una storia che sarà pubblicata è importante per me che la gente scopra vicende di cui non avrebbe sospettato l’esistenza senza di me. Mi tormenta sempre una domanda: ho raccontato la storia giusta? Perché alla fine io sono lì davanti ai miei provini e scelgo le fotografie. Se le fotografie migliori parlano degli infelici, allora per me la storia è quella: gli infelici. Se invece parlano di gente allegra, allora la storia sono gli allegri. Alla fine il risultato del mio lavoro è così personale che a volte onestamente dubito che si tratti di giornalismo». Oggi le condizioni economiche sono tanto sfavorevoli alla fotografia. In Italia i prezzi sono anche più bassi di dieci anni fa: come vive/sopravvive un fotogiornalista? «Oh, oh, questo è un altro grande problema. «Stanno bene i fotografi che lavorano nella moda o nella pubblicità. Per me la sopravvivenza è difficile, ma non impossibile. Del resto non penso che il fotogiornalismo ti possa gratificare attraverso il denaro: la gratificazione è di tipo spirituale e ti fa crescere dentro. «Io sopravvivo grazie ad alcuni premi vinti e ad alcuni incarichi... Dall’Italia, Grazia Neri mi aiuta molto in questo». Come l’hai conosciuta? «Ad Amsterdam, all’edizione 2002 del World Press Photo, insieme a Elena Ceratti. Da allora lavoro per la sua agenzia e sono molto soddisfatto. Fanno un ottimo lavoro per me, anche se le mie fotografie sono difficili da vendere. Spero che in futuro le cose cambino e si riesca a vendere di più; io stesso potrei cambiare... In verità cambio un pochino ogni giorno, spero in meglio». Progetti per il futuro? «Lavorare al confine tra il giornalismo e l’arte attraverso l’approfondimento del complesso rapporto tra fotografia e giornalismo. Penso che il fotogiornalismo necessiti di grandi cambiamenti; anche molti giornali dovrebbero cambiare e il pubblico dovrebbe smettere di comperare quelle terribili riviste che raccontano un sacco di stronzate. Tutti noi abbiamo bisogno di una rivoluzione. Io voglio esserci quando la rivoluzione comincerà, e aiutarla a realizzarsi. «E poi vorrei incontrare Bruce Gilden della Magnum: il mio fotografo preferito». Lello Piazza Pep Bonet: Faith in Chaos - La Sierra Leone dopo il conflitto; a cura di Grazia Neri e Elena Ceratti; con il contributo di Kodak. Galleria Grazia Neri, via Maroncelli 14, 20154 Milano; 02-625271; www.grazianeri.com, photoagency@grazianeri.com. Dal 22 aprile al 21 maggio; lunedì-venerdì 9,00-13,00 14,30-18,00, sabato 10,00-12,30 - 15,00-17,00.
Sierra Leone, Freetown, giugno 2002. Al National Stadium, due atleti dell’istituto per amputati di guerra si preparano a una gara di velocità.
Sierra Leone, Freetown, maggio 2003. Campo da calcio per amputati (Murray town), di Medici senza Frontiere. La scarpa di Patrick.
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ABITARE IL MONDO
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ROMA, 1998
Terzo atto del progetto La fotografia e la città. La selezione Europe di Giovanni Chiaramonte continua il percorso avviato dalla Natura delle città di Joel Meyerowitz e Lo stupore della vita di André Kertész. Fino al 25 aprile, settantaquattro opere sono allestite in mostra a Palazzo Leone da Perego di Le-
ATENE, 1988
gnano, in provincia di Milano. Dal catalogo riprendiamo il testo critico di Gianni Canova e i richiami poetici di Umberto Fiori
Abitare il mondo. Europe di Giovanni Chiaramonte traccia un itinerario attraverso undici città, delle quali l’autore coglie l’essenza. Nelle immagini, l’Europa si rivela nella propria identità come contenitore delle culture che hanno dato vita alla civiltà occidentale. Il viaggio procede da Sud a Nord, dal mondo mediterraneo a quello germanico, iscrivendo in città molto diverse tra loro il destino in cui la vita di ogni persona è deciso. Il percorso si chiude con le fotografie di Berlino, che ha conosciuto la tragedia della distruzione e che ora si apre a una dimensione di unità, nel rispetto delle differenze che la caratterizzano. Attraverso undici città (Atene, Roma, Milano, Venezia, Istanbul, Lisbona, Evora, Porto, Barcellona, Reims e Berlino), Abitare il mondo. Europe di Giovanni Chiaramonte è il terzo atto del progetto La fotografia e la città, avviato da La natura delle città di Joel Meyerowitz (New York, Atlanta, Saint Louis e San Pietroburgo) e Lo stupore della vita di André Kertész (Parigi e New York).
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pesso, al centro delle immagini di Giovanni Chiaramonte c’è una struttura verticale che svetta verso l’alto, irta e solenne, come attirando verso di sé le linee prospettiche del campo di visione. Poco importa che sia il tronco di un albero, il fusto di una colonna, la sagoma di un faro o il profilo di un’ombra tracciato sul terreno. Quel che conta è che l’immagine cerca spesso in questa forma il proprio centro gravitazionale, o il proprio
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MILANO PONTE DI SANTIAGO CALATRAVA VISTO DAL PONTE ROMANO, MERIDA, SPAGNA
punto di fuga: quasi a suggerire che la storia (la colonna, l’architettura), la natura (l’albero) e la visione (l’ombra) sono i tre ingredienti basici della ricerca che Giovanni Chiaramonte conduce da anni, con limpida coerenza e con ammirevole rigore, sul canone occidentale della visione, suggerendo -sempre da punti di vista diversi- l’impellente necessità di tornare a far parlare le immagini, oltre e al di là dello sguardo che le ha colte. Parlano, le immagini di Giovanni Chiaramonte. Ci dicono di strati di senso depositati nel legno degli alberi come nelle pie-
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tre delle architetture o nell’opacità delle ombre. Parlano e ci dicono di una compresenza, di una simultaneità temporale: come se la luce della fotografia sapesse ricondurre al qui e ora del nostro atto di visione un sempre prima che viene da lontano e che ci ricorda -ora e qui- da dove veniamo: dalle luminescenze mediterranee di ruderi che ancora emanano il sapore (e il sapere) della Magna Grecia, da rovine che ancora rivivono nelle architetture moderne, da ferite che hanno squarciato il corpo vivo delle città e che ancora attendono di essere rimarginate. Perché non sono né il cemento né la pietra che possono risanare i guasti della Storia, quanto piuttosto -appunto- la riattivazione libera, ma matura e consapevole, del lavoro dello sguardo. Ci sono spesso persone che guardano, nelle immagini
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BERLINO, 2003
PORTO
LISBONA, 1996
SANTIAGO DI COMPOSTELA, 1993
DICITURE PER GIOVANNI Tutto il chiaro si regge su una colonna. Un lungo forcone d’ombra punta diritto nel buio che la fonda. Ondeggia al sole la chioma dell’eucalipto.
Immobili, gambe aperte, mani levate, reggiamo la corsa del giorno sul campo giochi. Siamo i guardiani, le cariatidi. Dondola un’altalena sul lato chiaro del mondo.
A queste pietre che Anfione ha radunato con il suo canto l’uomo si appoggia, le sente più da vicino. Tebe. Gaza. Berlino. Gerusalemme. Ogni muro, da noi, è il muro del pianto.
Templi, secoli, regni. Rinvii, segni di segni, ombre di ombre, riflessi. Noi siamo qui col tempo libero, col vetro, col cemento, col verbo essere.
Bivi. Radure. Labirinti. Detriti. Geometria. Spigoli. Europa. Tra gli ulivi, lassù, lo sguardo della Glaucòpide.
BERLINO, 2003
Una sull’altra dall’erba fino al cielo le pietre pesano. Scendono lungo la scorza gocce di resina.
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Veloce, scavando i flutti, correva la nave. Un uomo portava, sapiente quanto gli dèi, che di infiniti dolori aveva esperienza, di guerre e di tempeste, ma ora dormiva immobile, non sapeva più niente. Non ha più ciglia né labbra il volto dell’arcangelo: è barbaglio, splendore. A mani giunte lo ascolta un ventilatore. Un altro lo guarda, e piange.
di Giovanni Chiaramonte. Guardano sempre altrove rispetto a ciò che noi stiamo guardando, o a noi che le guardiamo. Guardano in punti inaccessibili al nostro sguardo, ma possibili e reali dal momento in cui si danno come osservati. Che scrutino un panorama di Gerusalemme o l’oceano che si apre sulle scogliere di Porto, le figure di Giovanni Chiaramonte introducono nel campo visivo una polifonia di sguardi. Ci riabituano alla pluralità del vedere.
Mirano al cielo, le punte dei minareti. Qui c’è una palla, si fanno un paio di tiri. Offre al giorno i suoi tetti, la città, le cupole, i campanili. Incoronato di ombre li benedice il profilo perfetto della Strangolatrice. “Ora immagina che lungo quel muro, tra il fuoco e i prigionieri, dei portatori passino, recando ogni sorta di cose: statue e forme di legno, attrezzi, anfore…” A furia di levare, rimossi i marmi, i paramenti, gli stucchi, le dorature, sbriciolati i mattoni, crollati a pezzi gli intonaci, eccolo il niente del muro, l’altare. Umberto Fiori
Ovunque guardino, in qualche modo, ci riguardano. Gianni Canova Giovanni Chiaramonte: Abitare il mondo. Europe. Palazzo Leone da Perego, corso Magenta 13, 20025 Legnano MI; 0331-471335. Fino al 25 aprile; martedì-venerdì 16,30-19,00, sabato 16,00-20,00, domenica 10,00-13,00 - 15,00-20,00. Con catalogo pubblicato da Edizioni della Meridiana (56 pagine 19x23cm; 15,00 euro).
Una avvincente monografia pubblicata da Rizzoli racconta una quotidianità di Stanley Kubrick che si può intuire tra le pieghe dei suoi celebrati film. Stanley Kubrick. Una vita per immagini svela un coerente legame tra tecnica e creatività e una costante affinità tra fotografia e cinema: mondi contigui, facili a scambi, incroci e reciproca ispirazione su un piano di parità culturale
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ubrick. Il nome “Kubrick”, che suonava misterioso e kafkiano quasi come “Kafka”, è apparso dieci volte in quarant’anni nei titoli di testa di dieci film così innovatori, unici e diversi tra loro da far dubitare che indicasse una persona vera. I cinefili ovviamente sapevano, ma il grande pubblico poteva immaginare ci fossero autori diversi dietro Full Metal Jacket, Shining, Barry Lyndon, A Clockwork Orange, 2001: A Space Odyssey, Dr Strangelove, Lolita, Spartacus, Paths of Glory e The Killing. In imminenza dell’uscita di Eyes Wide Shut, i giornali diffusero qualche pettegolezzo sul “più intellettuale di tutti i registi”, sul “perfezionista incontentabile” che ha strapazzato Nicole Kidman e Tom Cruise, sull’“eremita misantropo” che non concede interviste e non si fa fotografare. Pubblicavano tutti la sola fotografia rubata che circolava, l’espressione nascosta da molta barba. Poco dopo scrissero che era morto all’improvviso, appena visionata la copia
KUBRICK LUI MEDESIMO Un giovane Stanley Kubrick (1928-1999) alla fine degli anni Quaranta. Questo ritratto in posa da fotografo, non ancora professionista, è attribuito al padre Jack. (pagina accanto) La monografia illustrata Stanley Kubrick. Una vita per immagini è curata dalla moglie Christiane, che l’ha compilata come autentico album di ricordi: «Una delle mie foto preferite di Stanley alla macchina da presa, scattata da mio nipote Manuel».
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Curiosa foto-stampa promozionale del film Naked City. La didascalia originaria cita i membri della troupe in pausa (ma non il regista Jules Dassin, finito nelle liste nere del maccartismo). Stanley Kubrick, con Rolleiflex, era sul set per Look. Stanley Kubrick con la sua macchina da presa Eyemo, utilizzata in vari film (fotografia di Alexander Singer). Weegee fotografato da Stanley Kubrick sul set di Naked City (1947) film liberamente ispirato alla sua omonima raccolta fotografica.
del suo ultimo film. La notizia occupava molto spazio sulle prime pagine dei quotidiani. Così tutti appresero che Kubrick era una persona vera, che si chiamava Stanley, nato a New York, Manhattan, americano poco hollywoodiano; buona parte dei suoi film, infatti, erano stati girati in Inghilterra. Infine, qualche giornale scrisse che Stanley, prima di fare il regista aveva fatto il fotografo. Ma questa era una notizia per un pubblico di “nicchia”, quel pubblico quasi inesistente che si interessa di fotografia. Cioè noi, solo noi, tutti qui. Noi, che certo conosciamo bene Weegee, non ci stupiamo nello scoprire (su Stanley Kubrick. Una vita per immagini, a cura della moglie Christiane, Rizzoli libri illustrati) che il regista conosceva bene e ammirava quel fotografo. Però è curioso vedere Stanley Kubrick, quand’era ancora fotografo (inviato da Look), aggirarsi con una Rolleiflex sul set del film Naked City (in Italia, La città nuda; 1948), diretto da Ju-
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Stanley Kubrick con Nikon S2 (a telemetro, dal 1954) sul set di Lolita (1962). Esterno in un garage di Aston Clinton, nei pressi di Aylesbury, trasformato per l’occasione in una stazione di servizio americana; a sinistra Oswald “Ossie” Morris, direttore della fotografia.
Stanley Kubrick. Una vita per immagini, a cura di Christiane Kubrick, prefazione di Steven Spielberg; Rizzoli libri illustrati, 2003; 192 pagine 26x29cm, cartonato con sovraccoperta; 40,00 euro.
les Dassin e liberamente ispirato alla vita del fotografo Weegee, o quantomeno alla sua monografia pubblicata nel 1945. Su quel set, il futuro regista fotografa lo stesso Weegee in cima a una scala, mentre riprende le scene del “suo” film. Sedici anni dopo, Stanley Kubrick ingaggerà Weegee come fotografo di scena per Il dottor Stranamore, e su questo set l’accento anglotedesco di Arthur H. Felling (questo il vero nome del vecchio oriundo austriaco, di Sloczew, oggi in Polonia) verrà copiato da Peter Sellers per caratterizzare il personaggio dello scienziato nazista pazzo che ama la bomba. Tra parentesi: Peter Sellers era fotografo dilettante, come pure l’attore Matthew Modine, che interpreta il fotografo militare in Full Metal Jacket e firma altre fotografie impaginate nello stesso Stanley Kubrick. Una vita per immagini. Che significa ciò? Forse niente. Vediamo poi, nello stesso libro, Stanley Kubrick sul set dei propri film, non solo nel ruolo di regista, ma spesso anche in quello di operatore, direttore delle luci, progettista delle scene e degli effetti speciali, montatore, eccetera; e sempre in compagnia di qualche macchina fotografica, Nikon a telemetro, Minox, Widelux e Polaroid, vestito sempre come il tenente Colombo. Da cineoperatore si riservava le riprese a mano più dinamiche, quando non esisteva ancora la steadycam, che poi sarà il primo a impiegare, quando arriverà. Non c’era novità tecnica che Stanley Kubrick non abbia cercato di anticipare e imparare personalmente. Insomma, accanto allo Stanley-regista-intellettuale è sempre rimasto lo Stanley-tecnico-fotografo, proprio nello stile della classica tradizione artigianale che conserva il piacere di fare. Forse, questo Kubrick doppio e informale non è l’eccezione, ma quasi la norma, negli Stati Uniti e nel mondo anglosassone in generale, dove cinema e fotografia sono due mondi contigui, facili a scambi, incroci e reciproca ispi-
Sul set del Dottor Stranamore, Stanley Kubrick e Weegee esaminano una Rolleiflex insonorizzata. Grande ammiratore di Weegee, il regista lo ingaggiò come fotografo di scena del film. Peter Sellers fotografato da Stanley Kubrick dietro le quinte del Dottor Stanamore. Probabilmente l’attore sta ricaricando la propria cinepresa dentro una borsa cieca.
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FILMOGRAFIA
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mpiamente illustrato, fino a conteggiare duecentoventisette fotografie, comprese molte scattate dallo stesso regista, Stanley Kubrick. Una vita per immagini può essere anche inteso come attenta biografia di un grande autore cinematografico, appunto osservato dal particolare punto di vista dei film realizzati e nel proprio modo di stare sul set e intendere il ruolo di regista. In questo senso, la filmografia che conclude il volume è preziosa, sia per quantità di informazioni, sia per definitiva completezza, che rimedia agli errori e alle omissioni di altre ricostruzioni. Senza entrare nel dettaglio delle singole vicende narrate, questa filmografia è completa di tutte le opportune attribuzioni della produzione filmica, a partire dalle pellicole che non sono arrivate alla distribuzione nelle sale cinematografiche. Ne riprendiamo la sequenza in ordine rigorosamente cronologico. Day of the Fight (bianconero, 16 minuti, 1950); Flying Padre (bianconero, 9
Stanley Kubrick con macchine fotografiche e cineprese: Nikon F, nuova fiammante, comperata assieme a Peter Sellers durante la lavorazione di Il Dottor Stranamore; Polaroid 110A sul set di 2001 («scattava in bianconero per controllare luci e esposizione»); sul set di Full Metal Jacket con Matthew Modine, il sergente fotografo Joker, protagonista del film (con Nikon F Photomic); con cinepresa a mano.
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minuti, 1951); The Seafarers (30 minuti, 1953); Fear and Desire (bianconero, 68 minuti, 1953); Killer’s Kiss (Il bacio dell’assassino; bianconero, 67 minuti, 1955); The Killing (Rapina a mano armata; bianconero, 83 minuti, 1956); Paths of Glory (Orizzonti di gloria; bianconero, 86 minuti, 1957); Spartacus (196 minuti, 1960); Lolita (bianconero, 153 minuti, 1962); Dr Strangelove, or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb (Il dottor Stranamore, ovvero come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba; bianconero, 94 minuti, 1964); 2001: A Space Odyssey (2001: Odissea nello spazio, 141 minuti, 1968); A Clockwork Orange (Arancia meccanica, 135 minuti, 1971); Barry Lyndon (185 minuti, 1975); The Shining (Shining; 145 minuti, 1980); Full Metal Jacket (112 minuti, 1987); Eyes Wide Shut (159 minuti, 1999). A seguire, si segnalano anche due film documentario: Making “The Shining” del 1980 e Stanley Kubrick: A Life in Pictures del 2001.
razione su un piano di parità culturale. E dove la fotografia non se ne sta emarginata e umiliata, come da noi, nel proprio ghetto. Tipicamente italiana è la classica divisione gerarchica tra mestieri e professioni, in alto i dirigenti-intellettuali, in basso i tecnici-manuali. In alto, so-
Dietro le quinte dei risultati spettacolari di 2001: Odissea nello spazio. Impianto esterno della centrifuga che ha simulato la stazione spaziale. Le due “ruote” girano all’unisono, con la macchina da presa statica, inserita nel set su una gru attraverso il pavimento, oppure rotante, agganciata al set in movimento.
La sedia del regista. Fotografia scattata da Matthew Modine a Bassingbourn Barracks durante gli esterni per Full Metal Jacket.
pra tutti, ricordiamo il regista-colonnello con la sciarpa bianca lunga, segno di supremazia creativa, in basso l’umile truppa in tuta. Può anche darsi che tutti gli stereotipi siano ormai scomparsi nella società postmoderna (il gilet multitasche è per tutti), e che nessuno più indossi sciarpe bianche o altri segni di supremazia classista. Le differenze comunque rimangono, e tutti sanno, sui set e fuori, chi dev’essere chiamato “dottore” e chi no.
Che significa ciò? Forse davvero poco. Tuttavia resta l’impressione che la cultura anglosassone stia prevalendo in tutti gli ambiti, cinema, musica, internet e nuovi linguaggi («la mondializzazione è anglosassone», ha scritto Francesco Alberoni), anche perché non è frenata da formalismi, nonché da cerimonie, steccati, gerarchie, osservanze, rispetti e galatei che impacciano soprattutto la cultura italiana. Piero Raffaelli
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EVOLUZIONE QUATTROTERZI
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Yasuo Asakura, responsabile del progetto digitale Olympus E (FOTOgraphia, luglio e novembre 2003), è stato insignito del qualificato Technical Achievement Award 2004, assegnato dall’autorevole Pmda, l’Associazione Produttori e Distributori di Fotoimaging degli Stati Uniti. In precedenza, va ricordato, lo stesso progetto Olympus 4/3 [QuattroTerzi] Digital System è stato indicato come Migliore Tecnologia Innovativa dalla selettiva giuria dei premi TIPA, composta dai rappresentanti di trentun testate fotografiche europee (tra le quali le italiane Fotografia Reflex e FOTO graphia). In quel caso, la motivazione del premio puntualizzò soprattutto le effettive novità progettuali del neonato standard digitale: «Nello sforzo di creare un sistema che fosse effettivamente finalizzato all’acquisizione digitale di immagini, piuttosto che un compromesso tra attuali e diverse tecnologie applicate, i partner che hanno elaborato il sistema Digitale QuattroTerzi hanno messo a punto un progetto che porterà molti benefici a tutte quelle case che vorranno impegnarsi in questo standard. I primi prodotti che saranno presentati per questo sistema dimostreranno che dispone di possibilità senza limiti, per migliorare la qualità e l’accoglienza della fotografia digitale». In stretto ordine temporale, la più recente e attuale indicazione Pmda conferma le doti e qualità del princìpio definito QuattroTerzi, dalla dimensione del sensore di acquisizione digitale di immagini, avviato da Olympus e destinato ad essere adottato anche da altri produttori (come annotiamo nel riquadro pubblicato qui accanto). Fondata nel 1939, la statunitense Pmda è una associazione che raggruppa produttori di macchine fotografiche e aziende distributrici che riveste un ruolo preminente nella promozione delle attività dell’industria fotografica tutta. Annualmente, l’associazione assegna il proprio ambìto
Sistema aperto, il nuovo standard digitale QuattroTerzi avviato da Olympus registra le adesioni di Panasonic, Sanyo e Sigma.
premio a chi si è distinto e ha contribuito significativamente all’evoluzione di prodotti, servizi e attività nell’ambito del settore dell’imaging. Yasuo Asakura, cui è stato attribuito il Technical Achievement Award Pmda 2004 per il proprio ruolo a capo del progetto digitale dei QuattroTerzi, è alle dipendenze di Olympus dal 1981. Nella propria carriera ha seguìto la progettazione del sistema reflex OM, efficace
interpretazione Olympus della tecnologia reflex 35mm a obiettivi intercambiabili, e della gamma Olympus L, compatte 35mm a obiettivo fisso. Successivamente è stato designato Group Leader nello studio delle reflex digitali a obiettivo zoom fisso Camedia E-10 e Camedia E20P (rispettivamente presentate in FOTOgraphia dell’ottobre 2000 e del febbraio 2002). In un certo senso, pur riferita al più recente progetto Olympus E, l’attuale segnalazione ha tenuto conto dell’insieme della carriera professionale di Yasuo Asakura. Di fatto, l’associazione Pmda ha premiato i contributi di studio estesi dalle tecnologie fotografiche tradizionali a quelle digitali, fino alla posizione leader che Yasuo Asakura occupa al vertice dello staff che ha disegnato l’intero sistema Olympus E. A.Bor.
STANDARD DIGITALE QUATTROTERZI
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in dalla propria anticipazione ufficiale, nel corso della scorsa Photokina 2002 (FOTOgraphia, novembre 2002), lo standard digitale QuattroTerzi è stato presentato come sistema aperto, al quale avrebbero potuto aderire altri fabbricanti, oltre Olympus che lo ha progettato, studiato e realizzato. Con l’occasione, ricordiamo che si tratta di uno standard digitale completamente nuovo, nato senza compromessi con costruzioni fotografiche preesistenti. In particolare, la soluzione QuattroTerzi ha impegnato la progettazione ottica, che è stata radicalmente trasformata e finalizzata alla proiezione dell’immagine sul sensore solido CCD, ovvero alle esigenze e necessità digitali, oggettivamente diverse dalla proiezione ottica standard sulla pellicola. In pratica, l’interpretazione digitale QuattroTerzi, che è partita con il sistema Olympus E, non dipende più da aggiustamenti e disagi qualitativi causati e determinati dall’impiego di obiettivi di origine fotografica (tradizionale, analogica), non certo disegnati per la più opportuna combinazione con il sensore digitale. Problematiche quali la riduzione della copertura ottica degli obiettivi grandangolari, la risoluzione insufficiente su tutto il campo o la vignettatura periferica sono inevitabili quando si usano obiettivi fotografici in am-
biente digitale. Le specifiche definite dal nuovo standard QuattroTerzi codificano il tipo e diametro dell’innesto degli obiettivi, come anche le dimensioni del sensore e la distanza tra la flangia e lo stesso sensore, finalizzandoli alla massima qualità formale dell’acquisizione digitale. Tre nuovi partner hanno recentemente aderito allo standard, entrando così nel consorzio per la progettazione e produzione di apparecchi e obiettivi: Matsushita Electric Industrial Co (conosciuta attraverso il marchio Panasonic), Sanyo Electric Co e Sigma Corporation. Lo Standard QuattroTerzi continua ad essere un sistema aperto e l’ingresso di nuovi partecipanti viene caldamente incoraggiato. Queste prime partecipazioni confermano quanto il sistema definisca uno standard sostanzialmente universale per la costruzione della baionetta di innesto degli obiettivi intercambiabili, che consente l’assoluta compatibilità tra apparecchi e obiettivi di produttori diversi aderenti al sistema digitale QuattroTerzi. Le attuali adesioni, che si uniscono a Olympus Corporation, Eastman Kodak Company e Fuji Photo Film Co, che hanno sostenuto la soluzione fin dalle proprie origini, e i prossimi ulteriori arrivi consentono/consentiranno di realizzare sempre nuovi prodotti e accessori QuattroTerzi, a tutto vantaggio dell’utilizzatore finale.
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GIORNATA STENOPEICA
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Evento internazionale creato per promuovere e celebrare la fotografia a foro stenopeico (senza obiettivo), il Worldwide Pinhole Photography Day è arrivato alla quarta edizione. Domenica 25 aprile, in tutto il mondo, il Wppd4 (appunto, Worldwide Pinhole Photography Day 2004) si concretizza in manifestazioni a tema, iniziative, esposizioni e quant’altro sulla materia. In forma autonoma, oltre che (originariamente) spontanea, gli autori e gli appassionati sono invitati a una partecipazione attiva, complementari alle iniziative che vengono organizzate e svolte da associazioni e organizzazioni. Si chiede di realizzare una fotografia con un qualsiasi sistema a foro stenopeico (ufficiale o autocostruito), per contribuire alla salute e conseguente continua diffusione di un procedimento fotografico storico, che prevede l’esposizione senza obiettivo di materiale sensibile. Quella del foro stenopeico (pinhole, in inglese), è una storia antica, che si perde nella notte dei tempi e precede la vicenda fotografica: riguarda la formazione delle immagini, indipendentemente dalla propria registrazione. Oltre la preistoria, indietro nei secoli, annotiamo che nella seconda metà del Sedicesimo secolo, l’originaria camera obscura, antesignana di quelle a uso fotografico (all’indomani del 1839), era priva di obiettivo. Applicato sul fronte della camera obscura, un piccolo foro consente la proiezione dell’immagine sulla parete opposta. Il princìpio della trasmissione rettilinea della luce è alla base del foro stenopeico, che ora trova adepti e applicazioni nell’ambito dell’interpretazione arbitraria del gesto tecnico della fotografia (FOTOgraphia, maggio 1997, giugno 1998 e luglio 1998). Al di là delle esperienze individuali, alcune delle quali abbiamo già registrato (per esempio la fotografia a foro stenopeico di autori ungheresi contemporanei; FOTOgraphia, aprile 2002), il Worldwide Pinhole Photography Day è un evento popola-
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re, che accende i riflettori su questo particolare ambito della fotografia creativa: egualitario, è aperto a chiunque voglia partecipare, anche se non ha mai praticato questa tecnica. Le riprese non richiedono specifiche competenze e, soprattutto, possono essere eseguite anche con mezzi semplici ed economici. L’intento è quello di ricercare emozioni e stupori autentici, legati all’atto fotografico in sé. Gli sperimentatori che assemblano apparati personali, spesso più complessi di altri, in genere agiscono agli opposti: in grande o in piccolo. Con progetti vasti (fino a proiezioni di metri quadrati) o soluzioni minimali: foro stenopeico su barattoli, scatole da scarpe e altri recuperi dalla vita quotidiana (FOTOgraphia, ottobre 1998). A parte l’esposizione di negativi da stampare poi su carta, si possono realizzare fotografie stenopeiche proiettando direttamente sulla carta sensibile, collocata sul piano focale scelto. Per questo, e altri motivi, il territorio della fotografia a foro stenopeico è frequentato da infiniti personalismi. Oltre quanto appena accennato, segnaliamo anche i casi della pagnotta di Paolo Gioli, autore italiano di statura internazionale, e del foro stenopeico applicato al Muro di Berlino nei giorni precedenti la propria demolizione (operazione condotta dallo statunitense
CRONACA E STORIA
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antastica materia, che nel corso degli anni ha sollecitato infinite riflessioni, la fotografia senza obiettivo è stata abilmente sintetizzata in un recente volume a tema curato da Vincenzo Marzocchini. Oltre la presentazione di una qualificata schiera di autori italiani contemporanei, sui quali torneremo a breve, segnaliamo un compendioso casellario di testi storici, censiti con competenza.
La fotografia stenopeica; a cura di Vincenzo Marzocchini; 2004; Vincenzo Marzocchini, via Traversigne 13, 33015 Moggio Udinese UD (0433-51639; laurabasso@libero. it); 72 pagine 14x5x21,5cm, cartonato; 20,00 euro.
Marcus Kaiser, raccolta e raccontata in Pinhole Photography - Rediscovering a Historic Technique di Eric Renner, pagine 100 e 101). Ancora oggi la fotografia senza obiettivo rappresenta una forte tentazione visiva. Grande è il desiderio di esprimere al meglio il proprio gusto, senza necessariamente scontrarsi con il rigore dei valori tecnici più consolidati, anche se vanno rilevate considerazioni basilari altrettanto caratteristiche, che in genere non appartengono alla dimensione creativa. Accenniamo che a parte la spontaneità dell’impiego, anche il foro stenopeico stabilirebbe condizioni tecniche rigorose e vincolanti; per esempio la qualità della proiezione, ovvero la qualità formale dell’immagine finale, dipende dal rapporto tra diametro del foro stenopeico e tiraggio al piano focale. Qui la vicenda è complessa: diversi studi sono approdati a conclusioni autonome e contrastanti. Tuttavia, questa rileva-
zione tecnica passa in secondo piano, oppure va ignorata del tutto, quando si considera la fotografia senza obiettivo nella sola componente estetica e creativa: a ciascuno, la propria. Da una parte, ci sono sistemi spontanei, istintivi, estranei rispetto ogni schema precostituito, che esprimono voglia di trasgressione. Dall’altra, non si esaurisce la ricerca di quel tecnicismo che si basa su un foro stenopeico ottimale, senza sbavature e perfetto nel proprio microscopico diametro, tale da garantire un’alta qualità formale in aggiunta all’espressività individuale. Il Worldwide Pinhole Photography Day si propone di divulgare questo tipo di pratica artistica. Come abbiamo accennato, l’evento è promosso a livello internazionale ed è aperto a tutti quanti ne vogliano far parte. Nella mostra web dell’originario Wppd 2001 (www.pinholeday.org) sono confluite fotografie di duecentonovantun autori stenopei-
STENOPEICHE IMMEDIATE
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on un autentico colpo a sorpresa, Polaroid ha realizzato un kit per la fotografia senza obiettivo, combinato con un proprio dorso portapellicola a filmpack della serie 600. L’apparecchio stenopeico Polaroid Pinhole Camera va letteralmente composto attorno il magazzino portapellicola seguendo semplici istruzioni di montaggio riportate nella stessa confezione di vendita. Alternativamente, si può adottare il foro stenopeico da 0,3mm oppure quello da 0,4mm, cui conseguono tempi di esposizione progressivamente diversi, saggiamente sintetizzati sull’apposita guida di esposizione da applicare all’esterno del dorso portapellicola. Ovviamente, l’inquadratura e le attenzioni pratiche in esposizione, con pellicola a sviluppo immediato bianconero oppure colore, sono ampiamente demandate all’operatore, cosciente di frequentare un campo di applicazioni fotografiche diverso dalla più semplice e generica ripresa standard. E di questo ne riparleremo.
La Polaroid Pinhole Camera utilizza filmpack della serie 600. È dotata di due fori stenopeici: da 0,3mm e 0,4mm.
sti, di ventiquattro nazioni; l’anno dopo, nel 2002, si è saliti a novecentotré immagini da trentacinque paesi; l’anno scorso hanno partecipato milleottantadue fotografi di quarantadue nazioni. Inoltre, l’edizione Wppd 2003 ha registrato ol-
tre settanta eventi dedicati, tra workshop, mostre e conferenze, svolti in tutto il mondo. Referente italiano: Paolo Aldi, via Garibaldi 10, 38068 Rovereto TN; 0464-439333; paolo@pinholeday.org. M.R.
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rocediamo con ordine. Evoluzione della compatta digitale originaria Digilux 1 (FOTOgraphia, aprile 2002), la nuova versione Leica Digilux 2 offre una serie di caratteristiche tecniche e di uso sostanzialmente incrementate, che ne accrescono le funzionalità operative. Allo stesso tempo, tutte le interpretazioni tecniche e tecnologiche di attualità, con propria proiezione in avanti nel particolare segmento dell’acquisizione digitale di immagini, si combinano con selettori
classici, direttamente ereditati dalla più tradizionale dotazione fotografica (analogica). Come dire che la tecnologia si è vestita con un confortante abito di taglio classico, allo stesso momento ammaliante oltre che rassicurante. E su questo riflettiamo nel riquadro pubblicato nella pagina accanto, per rimanere qui nella cronaca dei valori tecnici di uso. In un design che, ribadiamo, riprende e ripropone l’estetica fotografica più classica in una sobria eleganza di forme, la compatta digitale Leica Digilux 2 conferma la
tradizione storica del proprio marchio (Leica!), dotandosi di un obiettivo di alta qualità formale, che si accompagna ad adeguate dotazioni tecniche, ovviamente finalizzate alla migliore resa/restituzione di immagine e a una confortevole funzionalità di impiego. L’elevata risoluzione di cinque Megapixel effettivi dell’esclusivo sensore solido CCD da 2/3 di pollice (5,24 Megapixel totali) è in pertinente ordine con gli attuali standard digitali. In relazione alle dimensioni del sensore di acquisizione digitale di immagi-
ni, inferiori a quelle del tradizionale fotogramma 24x36 millimetri, l’escursione focale dello zoom Leica DC-VarioSummicron 7-22,5mm f/22,4 (tredici elementi in dieci gruppi ottici) equivale alla variazione 28-90mm della fotografia piccolo formato, riferimento d’obbligo. Oltre la qualità ottica del proprio progetto, direttamente derivato dagli standard fotografici della celebre famiglia Summicron, uno dei cavalli di battaglia dei sistemi ottici Leica M e Leica R, le inquadrature dalla visione grandangolare all’avvicina-
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CON VOCAZIONE
mento medio tele consentono di affrontare in modo adeguato una diversificata serie di applicazioni fotografiche, ulteriormente incrementate dall’impiego dello zoom digitale supplementare 2x o 3x. Due elementi asferici e il gruppo ottico anteriore fisso garantiscono la migliore restituzione fotografica, a ciascuna selezione focale e a tutte le distanze di ripresa, dall’accomodamento minimo da
La configurazione Leica Digilux 2 è consapevolmente in ordine con gli attuali standard dell’acquisizione digitale di immagini. In un panorama sempre più uniforme e uniformato, sottolinea la classe del proprio marchio storico e la qualità di pertinenti combinazioni ottiche. Inoltre, introduce un nuovo parametro, sul quale è doveroso riflettere
IN FORMA CLASSICA
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ltre gli automatismi di esposizione Programmato (con Program Shift) e a priorità dei tempi o dei diaframmi, e l’autofocus, la Leica Digilux 2 consente di regolare manualmente tutti i parametri della ripresa fotografica, in questo caso finalizzata all’acquisizione digitale di immagini. I comandi operativi sono direttamente mutuati dalla costruzione classica degli apparecchi fotografici: in un corpo macchina sostanzialmente classico, che riveste funzioni e dotazioni tecnologicamente attuali. In particolare, la ghiera di impostazione dei tempi di otturazione (da 8 secondi pieni a 1/2000 di secondo; 1/4000 di secondo in automatismo) e le ghiere sull’obiettivo per l’impostazione dell’apertura del diaframma, della selezione zoom e della messa a fuoco sono esattamente quelle degli apparecchi fotografici tradizionali. Per quanto questo possa significare qualcosa, che comunque meriterebbe altri momenti di analisi (ammesso e non concesso che sia più tempo per queste rilevazioni), si realizza una sorta di continuità con la tradizione della costruzione fotografica. Addirittura, la Leica Digilux 2 ha un aspetto poco digitale, monitor sul dorso a parte. Pare quasi di avere tra le mani una Leica a telemetro; e questo è sicuramente tranquillizzante per una fascia di utenti
30cm. La rapidità della messa a fuoco è quindi affidata all’aggiustamento del gruppo secondario (appunto) di messa a fuoco. Simultaneamente, si registra una confortevole luminosità relativa. Il sensore solido CCD di 2/3 di pollice da cinque Megapixel effettivi (5,24 Megapixel totali) è caratterizzato da fotodiodi più grandi e trasmissione ottimale. Nel momento in cui il sensore elabora più elettroni, consente anche di ottenere un conveniente rapporto tra segnale e rumore, combinato a un’ampia gamma dinamica. Ne consegue una latitudine di esposizione più estesa, maggiori dettagli nelle aree immagine e una maggiore e conveniente riduzione del rumore di fondo. Provvista di mirino elettronico di osservazione, la compatta digitale Leica Digilux 2 è altresì dotata di ampio display LCD da 2,5 pollici ad alta risoluzione di 211.000 pixel. Si ottiene così una osservazione estremamente
potenziali selezionata, quanto individuata. Diciamola così. Con questa configurazione, non ci si rivolge a quell’ampio pubblico di massa, generico e distratto, oltre che inconsapevole della progressione storica degli strumenti della comunicazione visiva. Dichiaratamente si accolgono coloro i quali sono coscienti che la discussione sulle tecnologie (l’un contro l’altra armate) è inutile e fuori luogo: puro esercizio di stile. Ovvero si riconosce l’evoluzione tecnologica inevitabile, da utilizzare con un piacere tattile, un gusto estetico e una applicazione che ancora fa la differenza, nel sottile rapporto che esiste tra tecnica e creatività. Anche la forma influisce sul contenuto. E di questo siamo più che convinti.
brillante e chiara, con contrasto ottimale anche in situazioni di elevata luminosità ambiente, che non interferisce nella resa visiva del monitor, dal quale si governano anche le funzioni attive, guidate da menu di chiara e facile interpretazione. La Leica Digilux 2 ha una dotazione software sia per computer PC sia per stazioni Apple Mac. Oltre la consueta gestione delle immagini scaricate dall’apparecchio (Adobe Photoshop Elements 2.0 per Win/Mac, ACDsee 6/Win, ACDsee 1.68/Mac, Apple QuickTime 6/Win, Driver USB per Windows 98 SE), la connessione USB dell’apposito Leica USB Remote Control Software permette di governare la Leica Digilux 2 dal computer, come un telecomando esterno. Sono possibili le impostazioni relative all’esposizione, alla risoluzione e ai parametri di compressione. Inoltre, sono disponibili schermate di anteprima e l’istogramma delle densità. Una
impostazione di scatti a intervallo (esposizioni automatiche a intervalli regolari o a intervalli di tempi specifici programmati) può essere utile nell’ambito della fotografia tecnica e di documentazione. Infine, si segnala la compatibilità con il nuovo flash elettronico dedicato automatico Leica SF24D, con relative combinazioni automatiche. Per la memorizzazione delle immagini acquisite, la Leica Digilux 2 dispone di slot per SD Memory Card: in dotazione una card da 64Mb. La capacità di memorizzazione dipende dalla risoluzione scelta: 2560x1920 pixel; 2048x1536 pixel; 1600x1200 pixel; 1280x960 pixel; 640x 480 pixel; 1920x1080 pixel (HDTV) e 320x240 per le riprese video. Sulla scheda SD Memory Card da 64Mb si registrano da trentadue a quattrocentottantaquattro immagini in compressione Jpeg e fino a sei RAW. (Polyphoto, via Cesare Pavese 11-13, 20090 Opera Zerbo MI). Antonio Bordoni
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rima grande ricognizione italiana su un momento cruciale della storia dell’arte e del costume del Ventesimo secolo:
MARIO CRESCI: SLITTAMENTO SU RAFFAELLO, TRITTICO, BERGAMO 1997
A confronto Mario Cresci e Davide Tranchina
Mario Cresci ha compiuto un cammino lungo quasi quarant’anni, che, a cominciare da una
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RICHARD HAMILTON: JUST WHAT IS IT THAT MAKES TODAYS, 1956
Mario Cresci e Davide Tranchina: Analogie. Galleria Fotografia Italiana, via Matteo Bandello 14, 20123 Milano; 02-462590; www.fotografiaitaliana.com. Dal 23 aprile al 29 maggio; martedì-venerdì 15,00-20,00, sabato su appuntamento.
Alle origini della Swinging London
anni analizzerà le vicende della Pop Art internazionale, questa rassegna precede quelle dedicate all’arte moderna italiana, americana ed europea.
Pop Art UK: British Pop Art 1956-1972, alla Galleria Civica di Modena. Curata da Marco Livingstone, considerato il maggiore esperto mondiale sull’argomento, e Walter Guadagnini, direttore della Galleria Civica, l’esposizione comprende circa sessanta opere di autori appartenenti a una straordinaria stagione artistica inglese, compresa tra gli anni Cinquanta e Settanta, che ha concorso alla nascita del mito della “Swinging
Pop Art UK: British Pop Art 1956-1972. Dal 18 aprile al 4 luglio; martedì-venerdì 11,0013,00 - 16,00-19,00, sabato, domenica e festivi 10,30-19,00. ❯ Sala Grande, Galleria Civica di Modena, Palazzo Santa Margherita, corso Canalgrande 103, 41100 Modena; 059-206911, fax 059-206932; www.comune.modena.it/galleria, galcivmo @comune.modena.it. ❯ Palazzina dei Giardini, corso Canalgrande, 41100 Modena.
Pop Art inglese
WORKSHOP Glamour in… moto. Roberto Rocchi svolge un proprio workshop a tema domenica 9 maggio a Forlì. Due modelle e una serie di motociclette d’epoca sono a disposizione dei partecipanti, in un allestimento scenico all’interno del Chiostro del Rolo, in piazza Saffi. Associazione Otello Buscherini, via Nigrisoli 33, 47100 Forlì; 0543-61158 (Gilberto Giorgetti); gilrom@aliceposta.it. ClicK Art’s. Programma didattico tra cultura e formazione.
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sperimentazione legata a concetti percettivi e al design, si è evoluto in ricerca linguistica e antropologica per approdare, infine, a una profonda coerenza teorico-formale sfociata in riflessione sul linguaggio, metalinguaggio e metafotografia. Davide Tranchina, sebbene abbia utilizzato strumenti diversi, ha percorso un cammino analogo. Nelle opere a colori, dotate di grande forza visiva, studia e riproduce la realtà filtrandola attraverso l’immagine pubblicitaria stereotipata, fortemente segnata dal gusto dell’epoca e della società da cui viene prodotta.
DAVIDE TRANCHINA: CANE A SEI ZAMPE
onfronto generazionale. Analogie, allestita alla Galleria Fotografica Italiana di Milano, attraversa i percorsi di due autori diversi e, nel contempo, simili tra loro. I fotografi-artisti Mario Cresci (classe 1942) e Davide Tranchina (1972) costruiscono un discorso unitario fondato sulla coerenza della ricerca artistica. Fino ad oggi spesso collocati in un ambito propriamente fotografico, gli autori vengono riletti in una chiave che mette a confronto il mondo circoscritto della fotografia con quello dell’arte. I lavori esposti, accompagnati da un volumecatalogo con testi di Angela Madesani, edito da Charta, divergono da un punto di vista estetico e formale, ma sono affini nel modo di concepire e gestire il mezzo fotografico.
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London”. Tra gli artisti si ricordano Richard Hamilton, Eduardo Paolozzi e Peter Blake (che ha firmato la copertina di Sgt. Pepper Lonely Hearts Club Band dei Beatles), Clive Barker, David Hockney, Allen Jones. Il catalogo illustrato, con saggi a corredo che analizzano e approfondiscono il tema, richiama tra l’altro i rapporti internazionali della Pop Art inglese. Prima esposizione di un ciclo che nel corso dei prossimi cinque
❯ Innocenzo Perdetti: Fotografia infrarosso. 11, 12, 13 e 19 giugno. ❯ Nudo e Glamour. 27 giugno e 2 luglio. ❯ Base. Sette incontri teorici e uscita sul campo. ❯ Enrico Lonati: Fotografia digitale. 2, 16, 23 e 30 aprile. ❯ Beppe Bolchi: Tecniche creative polaroid. 8 e 9 maggio. ❯ Claudio Argentiero: Sviluppo e stampa bianconero. Aprile e maggio. Associazione Culturale Click Art’s fotografia, piazza Soldini 8, 21053 Castellanza VA; www. clickarts.info.
Biennale internazionale di Fotografia. Mille opere distribuite in venticinque mostre a Brescia: dal 10 giugno al 5 settembre. A contorno: proiezioni, dibattiti, visione dei portfolio. 11, 12 e 13 giugno workshop full time. ❯ Jean Janssis: Ritratto creativo in bianco nero. ❯ Jeff Dunas: Fine art nude. ❯ Rafael Navarro: Linguaggio del corpo. ❯ Marco Ambrosi: Fotografia digitale in studio. ❯ Prabuddha das Gupta: Fashion. Museo Ken Damy di Fotografia Contemporanea, corsetto Sant’Agata 22, Loggia
ercorso fotografico attraverso belle e suggestive località di montagna, proposto dal giornalista e fotografo Maurizio Capobussi. Allestita alla Galleria Agfa di Milano, la mostra Itinerari fotografici in montagna - Luci e colori nell’alternarsi delle stagioni è composta da quaranta immagini a colori, corredate da mappe che descrivono gli itinerari da percorrere per tornare ai luoghi suggeriti: dai ghiacciai della Valle d’Aosta alla cima del Ceveda-
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A spasso tra i monti Con itinerari fotografici da scoprire le o del Vioz, dall’aereo sentiero della Strada degli Alpini alle Tre Cime di Lavaredo. Nel volumecatalogo Itinerari Fotografici in Montagna, che accompagna la mostra, l’autore suggerisce luoghi da esplorare, svela retroscena della fotografia paesaggistica e offre soluzioni tecniche.
Dietro il cinema Di Vittorio Storaro, con ispirazione
accolta di cento immagini fotografiche di Vittorio Storaro. La mostra Scrivere con la luce - Doppie impressioni: tra fotografia e
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cinematografia è ospitata a Verona, in occasione del festival cinematografico Schermi d’Amore. In anteprima mondiale prende forma un viaggio
delle Mercanzie, 25122 Brescia; 0303750295, fax 030-45259; www.polimedia.it/kendamy, kendamy@tin.it. Poesia visiva - Visual Poetry. Approfondimento a cura di Keith Carter (www.keithcarterphotographs.com) e Mauro Fiorese (www.maurofiorese.it): lago di Garda, 18-24 luglio. Rossana Galbiati 338-4187378; mauro.fiorese@fastwebnet.it. Deaphoto. Associazione Culturale Fotografica con sede a Bagno a Ripoli, in provincia di Firenze, che organizza cor-
Maurizio Capobussi: Itinerari fotografici in montagna - Luci e colori nell’alternarsi delle stagioni. Galleria Agfa, spazio espositivo nella sede della filiale Agfa-Gevaert, via Grosio 10/4, angolo viale De Gasperi, 20151 Milano; 023074377; fax 02-38000229; nell’immaginario collettivo. In omaggio al celebre e celebrato direttore della fotografia, pluripremiato anche da Oscar dell’Academy Award, sono in programma la proiezione di dieci film (da Giovinezza, giovinezza di Franco Rossi a Reds di Warren Beatty, da Lady Hawke di Richard Donner a Corpo d’amore di Fabio Carpi) e un’accurata selezione di immagini emblematiche del suo lavoro, confrontate con le opere dei pittori che le hanno ispirate: Magritte per Il conformista, Mantegna e Botticelli per Addio fratello crudele, Pellizza da Volpedo per Novecento e Rousseau per Apocalypse Now. A coronare l’evento, anteprima europea della nuova versione di Un sogno lungo un giorno di Francis Ford Coppola. Ancora, si ricorda Scrivere con la luce, trilogia di Vittorio Storaro pubblicata da Electa in collaborazione con l’Accademia dell’Immagine. I tre volumi
si di fotografia a diversi livelli, con frequentazioni settimanali: ripresa, camera oscura, tecnica digitale e workshop a tema. Deaphoto, Associazione Culturale, Didattica, progettazione, documentazione fotografica, via di Quarto 47, 50012 Bagno a Ripoli FI; 055-631898, anche fax; www.deaphoto.it, deaphoto@tin.it. Digitale. Dlight di Milano propone una serie di argomenti rivolti a diversi livelli di preparazione preventiva (richiedere il dettaglio degli orari e costi): base, Adobe Photoshop, Color management
arianna.cimadori.ac@italy.agfa.com. Dal 6 aprile al 4 giugno; lunedì-venerdì 9,00-18,00. delineano un affascinante percorso attraverso il mondo della filosofia, della pittura e della fotografia, ambiti nei quali l’artista rintraccia contenuti, poetiche e forme di espressione alternativi al linguaggio filmico. Vittorio Storaro: Scrivere con la luce - Doppie impressioni: tra fotografia e cinematografia. Palazzo della Gran Guardia, piazza Bra, 37121 Verona; 045-8005348; www.schermidamore.it. Dal 10 aprile al 6 maggio; lunedì-domenica 10,00-19,00.
A seguire 60 Pedalando nel tempo 60 Vladimir Sutiaghin 60 Cinema indiano 62 L’arte di Patti Smith 62 Made in Africa 63 Ritratto dell’anima 63 Tre generazioni
ICC, fotografia di architettura e museale, Digital Culture. Dlight, via Boncompagni 57, 20139 Milano; 02-5394265.
CONCORSI
Reportage - La Realtà raccontata. Si richiede un CD-Rom comprensivo di immagini e presentazione scritta del lavoro; termine di partecipazione 30 aprile. In estate viene anche allestito un omaggio ai fotografi di scena, con mostra fotografica di Tazio Secchiaroli, Sergio Strizzi e Mario Turzi e tavola rotonda:
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Su due ruote sposizione di biciclette antiche presso i locali di Palazzo Castellani, sede dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza (Imss) di Firenze. Curata da Paola Bertucci, Pedalando nel tempo illustra le tappe significative della bicicletta, descrivendone la storia dalla fine del Settecento ai primi anni del Novecento. Insieme ai bicicli dalle grandi ruote anteriori e alle prime biciclette dotate di trasmissione a catena, è esposto un modello ottocentesco di draisina, il primo velocipede della storia. Restaurate dopo i gravi danni causati dall’alluvione del 1966, le antiche biciclette esposte sono state donate da diversi collezionisti. La mostra, organizzata in collaborazione con il Museo di Storia della Fotografia Fratelli Alinari, è arricchita da fotografie, poster e stampe d’epoca, ed è accompagnata da una competizione: sui lungarni, domenica 25 aprile. Partecipano dodici draisine clonate dall’originale esposto. Per gli atleti, costumi rigorosamente d’epoca.
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Pedalando nel tempo. Museo di Storia della Scienza, piazza dei Giudici 1, 50122 Firenze; 055265311; www.imss.fi.it, imss@ imss.fi.it. Fino al 31 dicembre; mercoledì-lunedì 9,30-17,00; martedì 9,30-13,00.
sistono mondi creativi, la cui interpretazione fotografica è inaccessibile a una comprensione totale. È il caso del bielorusso Vladimir Sutiaghin, che in due sedi collegate a Sondrio propone centotrenta immagini tra ritratti singoli e di gruppo, paesaggi velatamente melanconici e una serie di monasteri che raffigurano la sua capacità di accostare lo spazio architettonico alla figura umana, fino alla fusione dell’uno nell’altra. Tutto questo è La mia terra: una ricerca dedicata ai monasteri, alle chiese e ai templi
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In monasteri e templi antichi stampe virate, dalle calde tonalità brune, che inseriscono architetture e paesaggi in una dimensione sospesa, di paziente attesa. La mostra è accompagnata da un volumecatalogo edito dalla Fondazione Gruppo Credito Valtellinese, che comprende una testimonianza diretta di Vladimir Sutiaghin e testi critici di Roberto Mutti e Sergio De Carli.
antichi, che esprime il fascino del rapporto controverso tra le rovine e il paesaggio. L’autore approda a un metodo di lavoro, volutamente opposto a quello frenetico del fotoreportage, che avvicina la sua fotografia a particolari di rara intensità emotiva, capaci di evocare il significato più profondo della vita. Per questo, Vladimir Sutiaghin predilige
Vladimir Sutiaghin: La mia terra. Dal 7 maggio al 28 giugno; lunedì-venerdì 9,0012,00 - 14,30-18,30, sabato 9,00-12,00. ❯ Galleria Credito Valtellinese, Palazzo Sertoli, piazza Quadrivio 8, 23100 Sondrio; 0248008015. ❯ Museo Valtellinese di Storia e Arte, Palazzo Sassi de’ Lavizzari, via Quadrio 27, 23100 Sondrio; 0342-526269.
Cinema indiano Lontano nel tempo e nello spazio
ggi si guarda al cinema indiano con particolare attenzione per la propria prolifica produzione (circa mille film l’anno), ma il fenomeno poteva essere considerato consistente già intorno agli anni Sessanta quando, in occasione di un viaggio di lavoro con il regista Giuseppe Ferrara, Mario Carbone si è soffermato sugli aspetti peculiari di quella produzione cinematogra-
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Foianofotografia, 52045 Foiano della Chiana AR. Dal 26 giugno all’11 luglio. Foto Club Furio Del Furia, via Indipendenza 40, 52045 Foiano della Chiana AR; 0575-649240; www.foianofotografia.com, fatum@inwind.it. La città che cambia. Si richiede di raffigurare i cambiamenti in atto nelle città moderne, con particolare riferimento all’area metropolitana di Torino. Sezioni per opere fotografiche e composizioni (entro l’ingombro di 100x150cm), lavori individuali e di gruppo; fino a tre fotografie 20x30cm
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Meditazioni
fica: essenzialità di mezzi, professionalità e impegno senza pari. Dopo quarant’anni, queste preziose immagini vengono presentate per la prima volta presso la Stamperia San Marco 14 di Latina, spazio espositivo nato per consolidare anche una fototeca di respiro nazionale con richiami a significativi autori stranieri. Mario Carbone: Immagini del cinema indiano a Latina. Stamperia San Marco 14, piazza San Marco 14, 04100 Latina; 0773-692797; stamperia@stamperiasanmarco14.co m. Dal 6 al 31 maggio; martedì-sabato 9,00-13,00 - 17,0020,00; festivi 17,00-21,00.
realizzate con tecnica libera (non sono accettate elaborazioni al computer). Termine di partecipazione 10 maggio. Premio Sergio Nicola, via Scotellaro 67, 10155 Torino; www.premiosergionicola.3000.it, dalma.ferrino@email.it. Università della Terza Età - Unitre Torino, corso Francia 27, 10138 Torino; 0114342450, fax 011-4342428; www.torino.unitre.net, torino@unitre.net. Mediterraneo Art. Per tre stampe a colori o bianconero fino al 30x40cm. Tema libero. Termine di partecipazione 20 maggio.
KRÒCHINO. TERRA DI VÒLOGHDA, 1999
A ritroso
Associazione Culturale Accademia Audiovisivi Mosaico, via l Manfredi 33, 90127 Palermo; 091-6164885, anche fax; www.accademiamosaico.it. Villorba Sconosciuta. Termine di partecipazione 30 giugno. Tre sezioni: Contemporanea, per stampe a colori e bianconero (inedite, 24x30cm e 21x29,7cm se digitali) che documentino architettura, storia, arte, tradizioni del territorio villorbese; Storica, per fotografie che raffigurino il Comune di Villorba d’altri tempi; Under 18 (anni), per stampe a colori e bianconero (24x30cm e 21x29,7cm se digitali).
Nel centro storico di Milano, a due passi dal Duomo, il piÚ grande negozio Canon d’Italia
te dell’arte globale, anticipando la multimedialità e l’interdisciplinarietà odierna. Il suo lavoro abbraccia, quasi caoticamente, l’arte figurativa, la musica rock, la critica letteraria, il teatro. Il risultato è unico, forse perché mediato dall’uso di un linguaggio ribelle e inconfondibile nel panorama artistico contemporaneo.
L’arte di Patti Smith Alle origini della multimedialità ell’ambito dell’Undicesima edizione della Biennale Donna, l’Assessorato alle Politiche e Istituzioni Culturali del Comune di Ferrara e l’Unione Donne Italiane presentano The Art of Patti Smith. In esclusiva per l’Italia, il progetto si basa sulla mostra Strange Messenger, organizzata in collaborazione con Ferrara Arte e l’Andy Warhol Museum di Pittsburgh (Usa). L’iniziativa esplora e approfondisce le molteplici espressio-
ni artistiche di Patti Smith. In particolare, la mostra dedicata all’opera grafica dell’artista americana costituisce l’occasione di conoscere una parte poco nota, ma affascinante, della produzione di questa straordinaria e versatile performer, che, da oltre trent’anni, si cimenta con eguale tensione creativa attraverso la musica, la poesia e le arti visive. Influenzata da numerosi esponenti della cultura antica, moderna e contemporanea, dai preraf-
iù ricca della precedente e prima edizione (FOTOgraphia, maggio 2002), Made in Africa Fotografia tratteggia ancora una volta e con un linguaggio sempre diverso, uno spaccato di umanità. Si tratta di una fotografia che racconta, con tutta la varietà e l’ambivalenza che la contraddistingue, l’evoluzione di un’identità emotiva. Il percorso artistico di Made in Africa Fotografia si articola in tre sezioni. L’Area internazionale offre una panoramica sulle tendenze fotografiche emergenti: dal reportage del giovane nigeriano Emeka Okereke all’irriverente arte ritrattistica del congolese Tchicaya; dall’Egitto metropolitano raccontato dalla fotografa Maha Maamoun all’organicità delle immagini di Sophie Elbaz, per dieci anni fotogiornalista in Africa per
Made in Africa
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Seconda Biennale di Fotografia Africana l’agenzia Reuters. La sezione Zimbabwe ospita la collettiva dal titolo Thatha Camera: straordinaria testimonianza della prima generazione di fotografi neri su un percorso storico, sociale ed emotivo di un popolo che da lungo tempo è coinvolto nella lacerante battaglia per l’indipendenza politica, economica e culturale. La sezione Egitto, infine, presenta la personale del fotografo Nabil Boutros dedicata ai Copti del Nilo, i Cristiani d’Egitto. Un pellegrinaggio intimo che ripercorre la memoria di tradizioni popolari spesso ignorate,
Comunale di Villorba, piazza Umberto I 19, 31050 Villorba TV; www.comune.villorba.tv.it. Dalle radici al calice. Un percorso tra viti, uva, feste e folklore. Due sezioni: stampe colore e bianconero 30x40cm o 30x30cm a tema obbligato; solo colore per il tema libero. Termine di partecipazione 15 ottobre. Premiazione e relativa mostra a novembre. Luciano Masini, via fratelli Bandiera 85, 80038 Pomigliano d’Arco NA; 0818845837, 338-24966691; lucianomasini@libero.it, asfoto@libero.it.
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faelliti a Jackson Pollok, da Bob Dylan a Giuseppe Verdi, da Bela Bartok ad Hank Williams, Patti Smith diviene, come ha osservato Andy Warhol, un’esponen-
The Art of Patti Smith. Padiglione d’Arte Contemporanea di Palazzo Massari, corso Porta Mare 5, 44100 Ferrara; 0532-209988, fax 0532203064; www.kunstmeranoarte.com, info@kunstmeranoarte.com. Fino al 16 maggio; martedì-domenica 9,00-18,00.
ma che ancor oggi preservano una vitale spiritualità. Inni di fede, rituali comuni ai cristiani e ai musulmani, giorni di festa in cui il sacro si unisce al profano. L’intenso sguardo sui Copti, da cui lo stesso fotografo discende, fissa in un istante le ombre che accarezzano i muri di un monastero, il raccoglimento dei fedeli durante la messa, il fervore gioioso dei pellegrini. Immagini che parlano di ciò che di religioso, magico e sacro è custodito nel ventre dell’Egitto. Made in Africa Fotografia. Musei di Porta Romana, Galleria
Arteutopia, viale Sabotino 22, 20135 Milano; 02-89055278; www.arteutopia.it. Fino al 25 aprile; martedì-domenica 10,0019,30, giovedì fino alle 22,00.
L’erotismo femminile, Nudo, Glamour e Lingerie. Concorso nazionale a tema per fotografie a colori, bianconero e immagini digitali. Termine di partecipazione 30 novembre. È previsto anche un Premio Giovani (under 25 anni), dedicato a Marilyn Monroe. Piero Borgo, via Zara 45, 80011 Acerra NA; 081-8850793, anche fax; piero.borgo@libero.it.
vo problemi sociali, politici o scientifici (FOTOgraphia, novembre 2003 e su questo numero da pagina 18). Termine di partecipazione 31 gennaio 2005. Agenzia Grazia Neri, via Maroncelli 14, 20154 Milano; 02-625271, fax 026597839; www.grazianeri.com, photoagency@grazianeri.com.
Premio Yann Geffroy. Assegnato dall’Agenzia Grazia Neri, è riservato a servizi fotografici di autori under 35 (anni): per reportage che interpretino al positi-
56esimo Congresso Nazionale Fiaf. Acireale CT. Dal 12 al 16 maggio. Come tradizione, i lavori congressuali della Federazione Italiana Associazioni Fotogra-
INCONTRI
Ritratto dell’anima In una realtà che scorre egni di giorni vissuti, di giorni ricordati; tracce di giorni dimenticati, o destinati ad esserlo. Le fotografie di Alessandro Vicario parlano di quel tempo che si deposita sulle pareti domestiche come dentro di noi; è il tempo della memoria e dell’oblìo. Gigliola Foschi, curatrice della mostra Frammenti domestici tra memoria e oblìo, afferma che la rappresentazione fotografica trasforma la dimensione eterea e immateriale dell’esperienza in segni tangibili. Paradossalmente, proprio la tensione a una riproduzione fedele e veritiera, permette all’autore di trasfigurare la realtà e di sottoporla a un processo di straniamento.
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Alessandro Vicario: Frammenti domestici tra memoria e oblìo. Officina Fotografica, via Farini 6, 20154 Milano; 026571015, fax 02-65589265; www.officinafotografica.com. Dal 6 maggio al 10 giugno; lunedìgiovedì 15,00-18,00.
Tre generazioni Di fotografi parmensi: i Carra, dal 1904 ercorso singolare: dal passato rurale di inizio Novecento agli anni del Fascismo, dalle due guerre mondiali al boom economico, fino alla società contemporanea. Variegato mosaico storico e visivo osservato dalle generazioni di una famiglia di fotografi: i Carra di Parma, operanti dal 1904 e ancora in attività. La mostra L’occhio dei Carra. 1904-2004, un secolo di foto-
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grafie a Parma è composta da trecento immagini, molte delle quali vintage, ed è suddivisa in tre sezioni generazionali. Le immagini di Giuseppe Carra, capostipite, sono stampate da negativi in lastra; le copie, incollate su cartoncini decorati con gusto liberty, sono complete delle caratteristiche personalizzazioni sul dorso. Gli scatti di Walter e William Carra si collo-
fiche si accompagnano con mostre, presentazioni di libri, proiezioni di audiovisivi, lettura dei portfolio e workshop. In particolare, si segnala l’esposizione di Mario Cresci, compendio delle immagini pubblicate nel volume della collana Grandi Autori. Fiaf, corso San Martino 8, 10122 Torino; 0575-980910; www.fiaf-net.it, www.fotoit.it/congressofiaf.zip, fiaf@fiaf-net.it.
MOSTRE
Fotosintesi 2004 - Eventi di fotografia a Piacenza. Chiesa di Sant’Agostino,
cano tra il ventennio fascista e il dopoguerra. Nell’ultima sezione dell’esposizione, riferita alla generazione attuale di Claudio, Dino e Alessandro Carra, le fotografie raffigurano un passato prossimo, decisamente recente. Allestita dall’architetto Leonardo Pedrelli, la mostra è arricchita da antichi strumenti fotografici provenienti dallo studio Carra. Il catalogo, edito da Step, comprende testi critici di Bruno Rossi e Romano Rosati.
borgo Parmigianino 2b, angolo via Cavour, 43100 Parma; 0521218669; s.randazzo@comune. parma.it. Dal 3 aprile al 2 maggio; mercoledì-lunedì 10,0013,00 - 16,00-19,00.
L’occhio dei Carra. 19042004, un secolo di fotografie a Parma. Galleria San Ludovico,
Stradone Farnese, 29100 Piacenza. Dal 30 aprile al 9 maggio. Collettiva internazionale di quindici fotografi europei e statunitensi. Eventi serali dal 3 al 7 maggio: proiezioni video, musica, dibattiti sulla fotografia e incontri. In contemporanea Festival Off: esposizione di fotografi emergenti presso i negozi del centro storico della città. Paola De Pascale: Ombre in transito. Associazione Culturale Imagon, piazza San Donà di Piave 20, 00182 Roma; 06-70304890. Dal 15 al 22 maggio; lunedì-sabato 16,00-20,00.
Selezione di fotografie a colori e in bianconero in cui luce e ombra si uniscono per poi separarsi. Foto Flash. Punto vendita con spazio espositivo. ❯ Marco Cavina: Boxing Emotions. Fino al 30 aprile. Stampe a colori da fotomontaggi digitali con prospettiva 3D. ❯ Ivano Sansovini: Riflessi. Dal Primo maggio al 15 giugno. Allestimento di fotografie a colori in cibachrome. Foto Flash, via Gulli 161a, 48100 Ravenna; 0544-420263, fax 0544-426007; www.fotoflash.ws.
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La fotografia non è sempre obbedienza alle regole del mercato. Può essere anche turbamento della legalità o azione libera e innovativa dell’uomo. C’è una fotografia orientata verso il consenso e altre visioni della fotografia che agiscono contro l’omologazione dei segni. È meglio trovarsi in disaccordo e in opposizione con tutti, piuttosto d’essere soli con se stessi e in contrasto con le proprie idee di amore e di libertà. Ci sono affabulatori d’ogni arte che non entrano nel complotto della propaganda politica o mercantile, e sul filare dei non allineati non perdono l’abitudine a pensare.
ADEL AL-TAI Uno di questi è Adel Al-Tai. Adel Al-Tai nasce in Iraq, nel 1948. Nel 1971 prende il Diplôme de peinture de l’École des Beaux-Arts a Baghdad. Nel 1973 studia all’École des Beaux-Arts di Parigi, e nel 1979 acquisisce il Diplôme de photographie de l’École Nationale Supérieur des Arts Décoratifs, sempre a Parigi. Nel 1996 crea e dirige una sezione sugli audioviosuali a all’École des Beaux-Arts di Baghdad. Lavora defilato dal regime sanguinario di Saddam Hussein. Le sue immagini hanno poco a che fare con l’abituale oloeografia, il pittoresco o il sociologismo dilet-
tantesco di quanto circola nella fotografia araba; quello che si vede nelle associazioni fotografiche di Baghdad, in esposizioni nei caffè degli artisti o presso archivi privati, ci induce a pensare alla grande possibilità iconografica (perduta) che molti fotografi arabi sembrano non vedere o disertare. Anche quando fotografano la miseria della propria realtà c’è una sorta di soggezione alla cartolina illustrata, al rifacimento iconologico delle riviste occidentali “scadute”, alla ricerca di una seduzione estetica provinciale che vuole emergere per conquistare il successo e non la verità.
DELLA FOTOGRAFIA DI TRANSIZIONE
La fotografia di transizione; o, meglio, la scrittura per immagini fisse, e non importa se si tratta di reportage, ritrattistica o rappresentazione informale, può essere un mezzo di pace e mostrare gli orrori, gli amori, le favole di una comunità cancellata nell’oppressione, nella violazione e nell’indigenza più profonda. Il pensiero socratico -è più vergognoso commettere un’ingiustizia che subirla!- qui non vale. Se vuoi vincere la cattiveria dell’uomo, non ignorarla: affrontala. Per difendere una dittatura occorre un esercito, per seminare la libertà nelle teste di chi lo
vuole, bastano le idee di uguaglianza di un uomo. L’ottusità della religione islamica (come i dogmi di ogni dottrina o ideologia) e la rapacità dei paesi occidentali, ai quali non importa nulla di massacrare intere popolazioni per impossessarsi di petrolio, oro, diamanti o acqua, va denunciata, senza timore di gridare che non ci sono né guerre giuste né guerre sante. Dopo i campi di sterminio nazisti e la bomba atomica di Hiroshima, la guerra, tutte le guerre sono un crimine commesso contro l’intera umanità. Va inoltre denunciata anche la situazione di servaggio alla quale le donne arabe sono sottoposte, con la durezza della fede e la grazia del bastone; e sotto quel velo di dolore nessuno le vede piangere o morire come schiave di mediocrità familiari senza uguali. Il “grande affare” è la guerra dei ricchi, che coinvolge banche, economie, eserciti. Sullo sfondo della politica dei G8 non ci sono soltanto i lustrini delle ladrerie istituzionali, ma anche i resti (moribondi) dei diritti dell’uomo. Recita un detto degli antichi uomini del deserto: C’è più cattiveria nel mondo che pulci sui cani randagi.
Hitler è diventato quello che è diventato, perché mi ha visto con il reggicalze ne L’angelo azzurro; ora [con i campi di sterminio] vuol vedere cosa c’è sotto le mie mutandine di pizzo. Marlene Dietrich DELLA FOTOGRAFIA INFORMALE DI ADEL AL-TAI Adel Al-Tai non è personaggio di facile addomesticazione. Nemmeno là, in quella terra bruciata dalle milizie assassine di Saddam Hussein e dalla barbarie (anche telematica) dell’esercito americano e dei propri squallidi alleati. Il fotografo iracheno è un intellettuale, un artista, un disertore di faide fratricide, e guarda con distaccata ironia anche le armate dell’Impero a stelle e strisce che sono sbarcate sulla terra in mezzo ai due fiumi (l’Iraq) a colpi di cannone, per portare la democrazia, dicono i bollettini dei telegiornali. Il mercato globale esige genocidi spettacolari e i mass-media cavalcano gli eventi con particolare attenzione alla servitù volontaria. Dicono tutti quello che gli addetti stampa dei governi coinvolti nel conflitto dicono loro di dire: chi sono i cattivi, chi i buoni. I pregiudizi proteggono i valori degli stupidi e ogni stupidità si uccide da sé.
Un’esposizione di Adel Al-Tai in Francia, nel 2001, suscita una buona attenzione di critica e nell’invito alla mostra (tradotto molto liberamente), Alice Bséréni scrive che Adel Al-Tai è un artista di atmosfere visuali, un creatore di linee, colpi di luce, delicate penombre; un rifacitore di momenti sospesi, intimità dei corpi, fusione dell’oggetto trovato con la luminosità dei segni a ricordo e rivisitazione dell’esistenza dell’uomo. Per noi le immagini a colori del fotografo iracheno figurano questo e altro. Nelle sue fotografie vediamo frammenti vita deposti in una surrealtà dell’anima, dove lo sguardo del fotografo si mescola al modo di catturare l’ordinario e lo trascolora. Lo rende fecondo di una vivezza altra. Nelle “cromie” di Adel Al-Tai, la lezione surrealista francese è presente, in modo particolare Man Ray, ma dentro le “fotovisioni” di Adel Al-Tai c’è anche molto dell’iconologia del Bau-
haus e i suoi lavori si chiamano fuori da una larga corrente amatoriale o pubblicitaria, che fluisce nella fotografia digitale e fa della “nuova creatività” colorata l’apogeo e la bara della fotografia. Le immagini di Adel Al-Tai, almeno le diverse che abbiamo visto, non cadono nella trappola dell’estetismo, coniugano l’informale con l’invisibile; e quando l’iracheno assembla i colori della propria macchina fotografica a figure che gridano il dolore dei secoli, è impossibile non scorgere lì le torture d’ogni potere. Nell’informale fotografico di Adel Al-Tai si avverte il tocco dell’inadempiente, del fuori gioco, dell’artista non compromesso con gli inginocchiatoi dominanti. Ci vuole coraggio a lavorare fuori dal coro e rischiare la galera o l’oblìo. Ci vuole amore per stare con la propria gente alla deriva di tutte le fazioni di casta, ideologiche o mercantili. Ci vuole dignità e voglia di ribaltamento di prospettiva di un paese mortificato dalla religione islamica, dai valori del profitto e dalla cupidigia delle potenze straniere per fare del cuore del caos una poetica fotografica della bellezza. Pino Bertelli (12 volte settembre 2003)
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