FOTOgraphia 107 dicembre 2004

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Mensile, 5,70 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano

ANNO XI - NUMERO 107 - DICEMBRE 2004

Leica À la carte COME TU LA VUOI

Vietnam 1972 L’URLO DELLA BAMBINA

CLOWN ONE ITALIA RIDI CHE TI PASSA


non è

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12 numeri

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RADICI E RIFERIMENTI Vorrei che esistessero luoghi stabili, immobili, intangibili, mai toccati e quasi intoccabili, immutabili, radicati; luoghi che sarebbero punti di riferimento e di partenza, delle fonti: [...] Tali luoghi non esistono, ed è perché non esistono che lo spazio diventa problematico, cessa di essere evidenza, cessa di essere incorporato, cessa di essere appropriato. Lo spazio è un dubbio: devo continuamente individuarlo, designarlo. Non è mai mio, mai mi viene dato, devo conquistarlo. [...] Come la sabbia scorre tra le dita, così fonde lo spazio. Il tempo lo porta via con sé e non me ne lascia che brandelli informi. Georges Perec (da Specie di spazi) ICONA. Indispensabile per raccogliere e catalogare le celebri Figurine, la Guida Figurine e Menu Liebig è arrivata alla dodicesima edizione, che ri/propone la numerazione ufficiale, alla quale si riferisce il collezionismo internazionale. Sulle quattrocentocinquanta pagine, trecentottantacinque delle quali interamente a colori, sono riunite oltre duemila illustrazioni, che identificano le singole serie di Figurine: una per ogni set di sei soggetti, per tutte le milleottocentosettantuno (!) serie emesse, nelle diverse edizioni (italiane, francesi o belghe, fiamminghe, tedesche, inglesi e olandesi). La scelta delle visualizzazioni non è casuale: la Guida privilegia sempre uno o più soggetti chiave, in modo da identificare chiaramente tutto il set. Dal nostro punto di vista annotiamo che la descrizione dei singoli soggetti è accompagnata dalla certificazione di quello illustrato, identificato con una macchina fotografica: ed è qui che sta il nostro interesse specifico. Guida Figurine e Menu Liebig; edizione Sanguinetti, 2004; via Solari 3, 20144 Milano (02-8322715, fax 02-89404052; www.figurineliebig.com, sanguistamps@tin.it); 428 pagine 17x24cm; 38,00 euro (44,00 euro con copertina cartonata); listino prezzi abbinato, 8,50 euro (pagamento su Conto Corrente Postale 38108247).

Diverso da altre forme di giornalismo, ognuna delle quali si esprime in propri ambiti, il modo di raccontare di FOTOgraphia tiene soprattutto conto di due componenti fondamentali, che qualcuno può anche intendere come ricerca di Verità (ammesso, e non concesso, che la Verità possa essere unica): per noi stessi e per coloro ai quali ci rivolgiamo, noi vogliamo sapere. Ma vogliamo anche capire. Non sempre è la stessa cosa; insieme ci aiutiamo a capire. Siamo tutti bravi studenti

COPERTINA Particolare di una delle fotografie di Italo Bertolasi, documentative dell’attività dell’Associazione Clown One Italia, della quale riferiamo da pagina 40 [a pagina 43, l'inquadratura completa]. Testimonianza visiva dell’attività di sostegno morale nei luoghi di dolore, raccontata da Ginevra Sanguigno nel libro Il corpo che ride 3 FUMETTO Copertina della Domenica del Corriere del 13 marzo 1960. «Il fidanzamento di Margaret. Interrotto un programma di musica leggera, la BBC ha annunciato una notizia che ha rallegrato milioni di inglesi, quella del fidanzamento di Margaret con il fotografo Anthony Armstrong-Jones. Walter Molino ritrae una simpatica scena di cui sono protagonisti, al castello di Windsor, la principessa e mister Jones» 17

60

7 EDITORIALE Rapido appunto, in attesa di approfondimento: dalle influenze della tecnologia sulla vita quotidiana alle influenze del digitale sui costumi fotografici 8 PREMIO MARCO BASTIANELLI Fotografia Reflex indice un Premio per ricordare la figura del caporedattore prematuramente scomparso 11 NOTIZIE Attrezzature, vicende e altre segnalazioni

17 MUSICA DA GUARDARE 63

Mostra permanente all’Accademia di Santa Cecilia, una selezione di immagini a tema di Marco Anelli sta per essere raccolta in volume da Federico Motta

22 QUANTE BELLE LEICA Percorso di personalizzazione Leica À la carte, che permette di configurare dotazioni esteriori Leica MP e Leica M7 autenticamente uniche e individuali: a ciascuno, la propria. Noi ipotizziamo una nostra Leica M7 di Maurizio Rebuzzini


. DICEMBRE 2004

RRIFLESSIONI IFLESSIONI,, OSSERVAZIONI OSSERVAZIONI EE COMMENTI COMMENTI SULLA SULLA FFOTOGRAFIA OTOGRAFIA

29 STREET JAZZ Con la mediazione privilegiata dello sviluppo immediato polaroid, il vicentino Attilio Pavin offre una avvolgente interpretazione fotografica della musica jazz di Paola Giaretta

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Anno XI - numero 107 - 5,70 euro DIRETTORE

RESPONSABILE

Maurizio Rebuzzini

IMPAGINAZIONE Gianluca Gigante

REDAZIONE

34 LA FOTOGRAFIA (DELLA BAMBINA)

Alessandra Alpegiani Angelo Galantini

In occasione della biografia di Kim Phuc (la bambina di una fotografia epocale, una delle più significative della guerra in Vietnam), riflettiamo sul potere e valore della Fotografia: tra realtà e propria rappresentazione di Alessandra Alpegiani

FOTOGRAFIE Rouge

SEGRETERIA Maddalena Fasoli

HANNO

40 RIDI CHE TI PASSA L’Associazione Clown One Italia onlus si prefigge di portate aiuto umanitario e arte come strumento di pace e solidarietà nel mondo. Solare testimonianza visiva di Italo Bertolasi

46 BOMBE SU MILANO Agosto 1943: il capoluogo lombardo subisce quattro devastanti incursioni aeree notturne. Nelle fotografie di Franco Rizzi, raccolte e commentate dal figlio Sandro, la partecipe documentazione di ferite e dolori di Sandro Rizzi

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Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604, fax 02-66981643; graphia@tin.it. ● FOTOgraphia è venduta in abbonamento

54 ENNESIMA LEZIONE Autentico crocevia della fotografia d’autore, finalizzata al mercato dell’arte e collezionismo, Paris Photo è un appuntamento che anno dopo anno conferma la propria statura. Annotazioni dall’edizione 2004 di Beppe Bolchi

● FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano.

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60 IL REALE E L’IMMAGINARIO Affermatosi al prestigioso European Publishers Award for Photography (edizione 2004), Il dodo e l’isola di Mauritius di Harri Kallio è un affascinante viaggio fantastico tra storia, geografia e zoologia. E sogno

63 FORZA E PRECISIONE Testa a sfera idrostatica Manfrotto Hydrostat (appunto) di Antonio Bordoni

64 STABILITÀ DIGITALE La nuova Konica Minolta Dynax 7D è la prima reflex digitale a sistema dotata di tecnologia Anti-Shake

66 ANCORA TRATTI DI REPORTAGE Edizione italiana di un fumetto francese già commentato: Il fotografo Didier Lefèvre in Afghanistan (secondo volume)

COLLABORATO

Italo Bertolasi Beppe Bolchi Antonio Bordoni Paola Giaretta Attilio Pavin Franco Sergio Rebosio Sandro Rizzi Ciro Rebuzzini Ginevra Sanguigno Antonella Simoni Zebra for You

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34

● A garanzia degli abbonati, nel caso la pubblicazione sia pervenuta in spedizione gratuita o a pagamento, l’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e in suo possesso, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi della legge 675/96. ● FOTOgraphia Abbonamento 12 numeri 57,00 euro. Abbonamento annuale per l’estero, via ordinaria 114,00 euro; via aerea: Europa 125,00 euro, America, Asia, Africa 180,00 euro, gli altri paesi 200,00 euro. Versamenti: assegno bancario non trasferibile intestato a Graphia srl Milano; vaglia postale a Graphia srl - PT Milano Isola; su Ccp n. 28219202 intestato a Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; addebiti su carte di credito CartaSì, Visa, MasterCard. ● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti. Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano


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Attrezzature e materiali per la fotografia digitale e professionale via Stradivari 4 (piazza Argentina 4), 20124 MILANO Tel. (02) 29405119 - Fax (02) 29406704 LunedĂŹ: 15,00-19,30 MartedĂŹ - Sabato: 9,00-12,30 - 15,00-19,30


S

orretti da radicate opinioni, abbiamo spesso deprecato la contrapposizione che qualcuno solleva, mettendo in conflitto l’attuale tecnologia di acquisizione digitale di immagini con i procedimenti chimici di esposizione della pellicola fotosensibile, trattamento e relativa trasformazione. A questo proposito, dopo aver rilevato che la logica dell’una (tecnologia) conto l’altra armate è quantomeno fuori luogo, e mal pone il problema, che pure è concreto, in tante occasioni abbiamo espresso le nostre convinzioni personali, che non c’entrano con le scelte individuali (delle quali non dobbiamo rendere conto), ma riguardano soltanto il nostro aspetto pubblico: di giornalisti, osservatori delle fenomenologie fotografiche o critici (o quello che via via siamo, interpretando diversi personaggi, tutti coesistenti). Tante volte abbiamo ospitato anche pareri altrui, senza peraltro alimentare in alcun modo gli aspetti volgari e zotici di una pretestuosa querelle, che non ha diritto di esistere, e che dunque non trova accoglienza su queste pagine. Ora sono però necessarie altre riflessioni, che comunque chiamano direttamente in causa gli attuali tempi tecnologici della fotografia, quantomeno dal punto di vista, a nostro giudizio fondamentale, delle influenze e dei condizionamenti. Senza allinearci con nessuno dei due artificiosi schieramenti, tra le pieghe di una più ampia considerazione della Fotografia tutta abbiamo individuato quelle che a nostro avviso sono consecuzioni pericolose, in relazione alle quali andrebbero presi provvedimenti: non tanto per limitare i danni, che paventiamo, quanto -proprio!- per evitarli ed eliminarli! Rapidamente: due sono le contraddizioni principali introdotte nel pensiero fotografico dall’avvento della tecnologia digitale. Una è pratica, quotidiana, sotto gli occhi di tutti. L’altra è latente, e può minare l’intera socialità della fotografia. In primo luogo, come abbiamo annotato riferendo dalla Photokina 2004 (in FOTOgraphia dello scorso novembre), si sta verificando una dicotomia tecnica. Le attuali possibilità operative dei sistemi ad acquisizione digitale di immagini sono tante e tali, che nessun operatore finisce per conoscerle tutte, per usarle effettivamente e per metterne a frutto le straordinarie potenzialità. Ogni apparecchio viene presentato, non necessariamente da noi, ma da tutti, con poche parole di circostanza, che nulla hanno a che vedere con l’effettiva sostanza del soggetto. E, per estensione, ogni apparecchio viene usato in misura infinitesimamente limitata rispetto quanto effettivamente offre. A seguire, l’esuberanza tecnologica dei nostri tempi sta minando la conoscenza/competenza dell’evoluzione storica (e, quindi, ideologica) degli strumenti fotografici. Si sa ancora molto dell’Ottocento e dei primi decenni del Novecento, e stiamo sorvolando -senza codificarli- gli anni più recenti, bollati come inutile “nostalgia” (casi isolati a parte). E questo, se me lo consentite, è un pericolo non da poco. L’ignoranza della storia è grave: e di questo riparleremo. Maurizio Rebuzzini

In anticipo sul commento, che pubblicheremo in uno dei prossimi numeri, segnaliamo l’edizione italiana di La rivoluzione incompiuta di Michael Dertouzos, autentico “Manifesto per una tecnologia antropocentrica”. Si tratta di un testo straordinario, che affronta le problematiche e consecuzioni delle tecnologie sulla vita quotidiana, e che dunque può essere letto anche in riferimento alle condizioni del mondo fotografico, verso il quale declineremo la nostra riflessione/presentazione. (Edizione italiana 2002, a cura di Bernardo Parrella; Apogeo, via Natale Battaglia 12, 20127 Milano; 02-28970277, fax 02-26116334; www.apogeonline.com, apogeo@apogeonline.com; 240 pagine 14,5x21,5cm; 18,90 euro).

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PREMIO MARCO BASTIANELLI

F

Fotografia Reflex, rivista di settore nella cui redazione ha operato fino alla propria prematura scomparsa, nel dicembre 2003, ricorda Marco Bastianelli con un premio per il Miglior libro fotografico dell’anno. Il Premio si propone di contribuire alla diffusione del libro fotografico, ambito nel quale il compianto Marco Bastianelli ha agito nel corso del suo efficace percorso professionale, fino alla stesura del compendioso Archivi fotografici italiani, catalogo completo ed esauriente del patrimonio fotografico nazionale. In questo modo, la casa editrice, i redattori e collaboratori della testata ricordano un amico, un compagno di lavoro, una persona che per anni ha dato tanto alla cultura fotografica in Italia, occupandosi sia di tecnica (necessità obbligatoria, imposta da precari equilibri di mercato), sia di critica libraria, sia del lavoro di fotografi conclamati e esordienti. A un anno dalla scomparsa di Marco Bastianelli, Fotografia Reflex ha realizzato un Premio in sua memoria: il modo più adeguato per ricordare la sua passione per la fotografia. Articolato in due sezioni, rispettiva-

mente Opera prima di un fotografo italiano e Opera di un fotografo italiano, nelle intenzioni dei curatori, come anche nelle speranze di chi l’ha conosciuto, apprezzandone i valori morali e professionali, il Premio Marco Bastianelli dovrebbe aver modo di affermare princìpi di appartenenza al mondo fotografico che non si esauriscono nel solo e semplice assolvimento di doveri. Il Premio dovrebbe, quindi, affermarsi come solido riferimento di un impegno fotografico concreto e partecipe: riconoscimento ambìto per autori ed editori. La visione innovativa e scollata da formule fin troppo abusate sarà il riferimento fondamentale grazie al quale la giuria del Premio, sotto la presidenza di Elisabetta Portoghese, moglie di Marco, esprimerà le proprie indicazioni. Il regolamento del Premio Marco Bastianelli e la scheda di partecipazione per il Miglior libro fotografico dell’anno sono pubblicati sul numero di gennaio di Fotografia Reflex e riportati anche sul sito internet www.reflex.it. Per la partecipazione, l’autore o l’editore deve inviare alla segreteria del Premio una copia dell’opera (che non sarà restituita), allegando la scheda

Caporedattore di Fotografia Reflex, nel proprio impegno professionale, Marco Bastianelli ha sempre manifestato una attenta visione delle espressioni culturali dell’immagine. Prematuramente scomparso lo scorso dicembre 2003, è ora ricordato con un Premio dedicato e intitolato.

con i propri dati, entro il 6 aprile 2005: Premio Marco Bastianelli, Editrice Reflex, via Lòria 7, 00191 Roma (06-36301756, fax 063295648; www.reflex.it, segreteria@reflex.it). Dopo una prima selezione, compiuta da una giuria tecnica preventiva, composta dalla redazione di Fotografia Reflex, dieci opere per ciascuna categoria passeranno al vaglio della giuria definitiva del Premio, che si esprimerà nei primi giorni di maggio. A.G.


SONDAGGIO EUROPEO TIPA 2005 Una grande ricerca tra i lettori delle trentun riviste associate alla TIPA (Technical Image Press Association) in dodici paesi europei. Straordinaria occasione per affermare chi siamo all’industria fotografica.

06 Oltre a me, altre ........ persone leggono FOTOgraphia

01 Scatto fotografie

❏ ❏ ❏ ❏

Da professionista 07 Di ciascun numero di FOTOgraphia leggo

Da utente professionale (libero professionista: architetto, designer, altro) Da non professionista (più di 100 scatti al mese)

Tutte o quasi tutte le pagine

Da non professionista (meno di 100 scatti al mese)

Circa tre quarti della rivista

❏ ❏ ❏ ❏ ❏

Circa la metà della rivista Circa un quarto della rivista

02 Lavoro nel settore fotografico

Solo alcune pagine della rivista

(agente di vendita, commesso di negozio, tecnico di laboratorio o altro)

No 08 Sfoglio o leggo ogni numero di FOTOgraphia circa ........ volte

03 Per le stampe delle mie fotografie digitali Uso carta inkjet di qualità fotografica Uso carta comune (per fotocopie e simili) Mi rivolgo al negoziante o al laboratorio Mi rivolgo a un servizio on-line Mi rivolgo a una catena commerciale

❏ ❏ ❏ ❏ ❏

09 Leggo ogni numero di FOTOgraphia per un totale di ........ minuti 10 Giudico FOTOgraphia in questo modo

FOTOgraphia è

da completamente vero a non vero

Un’importante rivista di fotografia

❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏

Fonte di ispirazione (riflessione) 04 FOTOgraphia pubblica dieci numeri all’anno

Di grande aiuto pratico

(ed è in solo abbonamento postale)

Molto attendibile e competente

Ne acquisto ........ numeri all’anno

Dà ottimi consigli per acquistare attrezzatura

Questa è la prima volta che la leggo

Dà ottimi consigli per acquistare accessori

Sono abbonato da ........ anni

Rende il mercato fotografico più trasparente Se FOTOgraphia non ci fosse, mi mancherebbe

❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏

❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏

❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏

05 Ottengo FOTOgraphia In abbonamento La acquisto in libreria Come saggio promozionale La leggo quando altri l’hanno già letta La leggo al Fotoclub o in Biblioteca o a Scuola

❏ ❏ ❏ ❏ ❏

11 La mia attrezzatura consiste in ........ Macchine fotografiche analogiche di cui ........ reflex ........ Macchine fotografiche digitali di cui ........ reflex

❏ ❏

Scanner piano Stampante di qualità fotografica

La TIPA - Technical Image Press Association ha indetto un sondaggio tra i lettori delle trentun riviste europee associate. Già in passato, la TIPA ha svolto diversi sondaggi tra i lettori europei per fornire all’industria fotografica le opinioni di un gruppo di utenti qualificati. Nell’attuale fase di cambiamento, l’industria fotografica desidera conoscere l’orientamento degli utenti leader, per cui la vostra partecipazione a questo sondaggio è molto importante. L’anonimato è garantito, perché la parte del questionario indicata dal tratteggio (con compilazione facoltativa dei dati personali) sarà ritagliata all’arrivo prima dell’elaborazione delle risposte. I risultati, elaborati da un istituto specializzato tedesco, verranno presentati all’industria fotografica in giugno, presso la Fiera di Colonia, in occasione della consegna dei TIPA Awards 2005 (per il 2004: FOTOgraphia, giugno e novembre 2004) e pubblicati su FOTOgraphia. Fanno parte di TIPA trentun riviste fotografiche europee: associate: Photo Video Audio News (Belgio); Réponses Photo e Chasseur d’Image (Francia); Inpho, Photographie, Photopresse, Pixelgui.de, ProfiFoto e Digit! (Germania); Photographos e Photo Business (Grecia); Digital Photo FX, Practical Photography, Professional Photographer e Which Camera? (Inghilterra); Fotografia Reflex e FOTOgraphia (Italia); Foto, Fotografie, Fotovisie, P/F - Professionele Fotografie e Digitaal Beeld (Olanda); Foto (Polonia); Foto/Vendas Digital (Portogallo); Photo Magazin (Russia); Arte Fotografico, Diorama, Foto/Ventas, FV/Foto Video Actualidad e La Fotografia Actual (Spagna); FOTOintern (Svizzera).


16 Per le mie esigenze fotografiche acquisto

12 Possiedo un telefono cellulare con funzione fotografica

No

Sì, e quindi [rispondere al questionario]

Scatto fotografie

molto spesso

Invio fotografie

molto spesso

Stampo fotografie

molto spesso

❏ ❏ ❏

di rado di rado di rado

❏ ❏ ❏

sempre

spesso

di rado

mai

❏ ❏ ❏ ❏

❏ ❏ ❏ ❏

❏ ❏ ❏ ❏

❏ ❏ ❏ ❏

Dal negoziante di fiducia Nel negozio discount Per corrispondenza/on-line Sul mercato dell’usato

13 Nei prossimi ventiquattro mesi intendo acquistare

❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏

Compatta 35mm Reflex 35mm Apparecchio medio formato Digitale fino a 6 Megapixel Digitale oltre a 6 Megapixel Reflex digitale Obiettivi intercambiabili Film scanner Scanner piano Stampante fotografica Flash (portatile) Esposimetro Software ritocco Album software

17 Leggo la pubblicità che appare su FOTOgraphia sempre

spesso

di rado

mai ❏

18 Per me la pubblicità che appare su FOTOgraphia da completamente vero a non vero

❏ ❏

Ha un valore informativo Mi ha spinto a fare un acquisto

❏ ❏

❏ ❏

19 Informazioni personali Sono:

Maschio Femmina

❏ ❏

Ho ........ anni La mia attuale occupazione

❏ ❏ ❏ ❏ ❏

Libero professionista 14 Mi riconosco nelle seguenti definizioni Mi fa piacere dare consigli sulla composizione Trasmetto le mie conoscenze ad altri nei workshop Do importanza alle opportunità creative del computer Ho dato consigli ad altri per i loro acquisti fotografici

Impiegato da completamente vero a non vero

Tecnico specializzato

❏ ❏ ❏ ❏

Disoccupato / Stagista

❏ ❏ ❏ ❏

❏ ❏ ❏ ❏

❏ ❏ ❏ ❏

Altro I miei studi

❏ ❏ ❏

Licenza media 15 Le mie informazioni sui prodotti fotografici le ottengo regolar-

Maturità (liceale/tecnica)

mente da (sono possibili più risposte) 1

Riviste di fotografia

2

Riviste di computer

3

Riviste di tecnica varia (fotodigitale/video/audio)

4

Dal mio negoziante

5

Alle fiere specializzate

6

Dai dépliant dei prodotti

7

Da Internet

Livello universitario

❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏

Comunque mi fido di più della fonte numero ........

❏ ❏

La disponibilità mensile netta di tutta la mia famiglia è Inferiore a 1000,00 euro Tra 1000,00 e 1499,00 euro Tra 1500,00 e 1999,00 euro Tra 2000,00 e 2499,00 euro

❏ ❏ ❏ ❏

Tra 2500,00 e 2999,00 euro Tra 3000,00 e 3499,00 euro Tra 3500,00 e 3999,00 euro Superiore

❏ ❏ ❏ ❏

20 Il mio codice di avviamento postale (CAP) è ........

COMPILAZIONE FACOLTATIVA

S E N O N VO L E T E R I TAG L I A R E Q U E S TA PAG I N A , F OTO C O P I AT E L E D U E FAC C I AT E

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IMMANCABILMENTE SIGMA. Evoluzione di una lunga genìa di parifocale, da tempo presenti nel catalogo della casa giapponese, l’attuale configurazione Sigma 24-70mm f/2,8 EX DG Macro è uno zoom di confortevole apertura relativa, che promette risultati fotografici ottimali sia con le reflex digitali, caratterizzate da sensori di dimensioni inferiori a quelle del fotogramma 24x36mm, sia con le reflex tradizionali. Obiettivo della serie EX DG,

presenta un disegno ottico di quattordici lenti divise in tredici gruppi comprensivo di due lenti SLD (Special Low Dispersion: appunto a basso indice di dispersione), una lente asferica in vetro ottico e due lenti asferiche del tipo ibrido. A fuoco da 40cm offre un rapporto massimo di ingrandimento 1:3,8. La scala dei diaframmi chiude fino a f/32 e l’angolo di campo passa dall’inquadratura grandangolare 84,1 gradi all’avvicinamento medio tele 34,3 gradi (in riferimento al fotogramma fotografico 24x36mm). Il sistema di accomodamento Dual Focus (DF) assicura una adeguata facilità e precisione di messa a fuoco, altresì favorita dall’apertura relativa, che rimane f/2,8 per tutta l’escursione focale da 24mm a 70mm. Il sistema Dual Focus si basa su una ben dimensiona-

ta ghiera per la messa a fuoco manuale; inoltre, la lente frontale non ruota, perciò lo zoom può usare il paraluce sagomato a petali e filtri polarizzatori. Dal punto di vista ottico, le lenti dello zoom sono trattate Super Multi Layer Coating, rivestimento che riduce le aberrazioni dovute alla riflessione della luce sul sensore digitale. Come accennato, due lenti SLD, una lente asferica in vetro ottico e due lenti asferiche del tipo ibrido permettono una eccellente correzione di numerose aberrazioni e offrono una eccellente qualità ottica. In montatura fissa Canon, Minolta D, Nikon D, Pentax e Sigma. (Mamiya Trading, via Cesare Pavese 31, 20090 Opera Zerbo MI).

CLICCA & STAMPA. Nuovo servizio di stampa via Web di Fujifilm, cui si accede tramite i

negozi Fujifilm Digital Print Shop o da casa, collegandosi al sito www.fujifilm.it. Selezionando il pulsante “Clicca&Stampa”, dalla Homepage si accede a tutta la rete di punti vendita aderenti all’iniziativa: basta scegliere quello più facile da raggiungere, inviare le immagini e andarle a ritirare una volta pronte. I clienti vengono avvisati della disponibilità delle stampe tramite email. Il sistema consente di avere la comodità di prelevare i file direttamente dalle proprie cartelle di archivio, senza lasciare la scheda di memoria al negoziante, o dover salvare le fotografie su un supporto mobile, con la sicurezza di non usare la propria carta di credito on-line, poiché il pagamento avviene al momento del ritiro delle copie. Ogni Fujifilm Digital Print Shop ha a disposizione un proprio sito personalizzato, e oltre alla


stampa on-line offre agli utenti una serie di ulteriori servizi complementari, come promozioni, sconti, incentivi all’acquisto e consigli sui prodotti, esattamente come se ci si trovasse fisicamente nel punto vendita. L’iniziativa Clicca&Stampa è stata sollecitata dalla sempre crescente richiesta dei consumatori di stampare le fotografie realizzate con apparecchi digitali. A differenza di sistemi in proprio, la stampa fotografica presso centri specializzati si presenta economicamente più conveniente e garantisce risultati di livello qualitativo superiori. (Fujifilm Italia, via De Sanctis 41, 20141 Milano).

DOPPIO CANON. I nuovi zoom Canon EF-S 10-22mm f/3,5-4,5 USM e EF-S 1785mm f/4-5,6 IS USM, in sostanziale consecuzione ottica, sono dedicati alla fotografia reflex digitale con sensore di acquisizione di dimensioni inferiori al fotogramma fotografico 24x36mm: nel sistema Canon, Eos 300D (FOTOgraphia, ottobre 2003) e Eos 20D (novità di mercato; il commento sul prossimo numero di febbraio 2005). Confortevolmente ultragrandangolare, in riferimento alla fotografia tradizionale 24x36mm lo zoom Canon EF-S 10-22mm f/3,5-4,5 USM offre un’escursione focale equivalente 1635mm; dunque, si indirizza alle condizioni operative nelle quali sia necessario il più ampio

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distanza, che li rende compatibili con il sistema di esposizione flash E-TTL II presente sulla reflex digitale Canon Eos 20D. Quando sono utilizzati con un flash elettronico della famiglia Speedlite EX, garantiscono un’esposizione lampo estremamente accurata. (Canon Italia, via Milano 8, 20097 San Donato Milanese MI).

MACRO PENTAX. Compatte

campo di visione, in una costruzione meccanica adeguatamente compatta e leggera. Oltre il motore USM di messa a fuoco rapida e silenziosa, nel disegno ottico di tredici elementi in dieci gruppi lo zoom dispone di una lente Super UD, a basso indice di dispersione, e di due lenti asferiche, per il controllo ottimale della resa qualitativa. In combinazione, oppure per sé, l’escursione focale 5x equivalente all’intervallo 27-136mm della fotografia 24x36mm dello zoom Canon EF-S 17-85mm f/4-5,6 IS USM, analogamente dotato di motore USM, è adatta a una vasta serie di situazioni fotografiche, proprie e caratteristiche di numerose applicazioni. Configurato con la più recente tecnologia Canon di stabilizzazione dell’immagine, consente fino a tre stop di compensazione, per evitare immagini mosse a causa del movimento involontario dell’apparecchio. Nella costruzione ottica di diciassette lenti in dodici gruppi è compreso un elemento asferico, finalizzato alla migliore resa su tutto il campo immagine, dal centro ai bordi: incisione e contrasto. Entrambe le interpretazioni sono identificate dall’alfabetico “S” nella sigla EF-S, che indica il disegno ottico retrofocus corto, che consente all’elemento posteriore degli zoom di essere posizionato più vicino al sensore, in modo da delineare un percorso ottimale dei raggi immagine. Entrambi gli zoom includono, quindi, la nuova informazione sulla

e leggere, due innovative interpretazioni macro danno avvio a una nuova famiglia ottica di alte prestazioni fotografiche SMC Pentax-D FA, il cui progetto base è finalizzato alla massima qualità di immagine nell’acquisizione digitale. A differenza della serie DA, gli obiettivi D FA presentano una copertura di campo estesa, completa fino al formato fotografico tradizionale 24x36mm. L’indirizzo digitale, per il sistema Pentax *istD, approdato alla recente nuova configurazione *istDs (FOTOgraphia, novembre 2004), è certificato dalla combinazione ottica, che tiene particolare conto delle esigenze e necessità del sensore digitale, senza peraltro penalizzare le caratteristiche della proiezione sulla pellicola fotosensibile. Tanto l’SMC Pentax-D FA Macro 100mm f/2,8 quanto l’SMC Pentax-D FA Macro 50mm f/2,8 sono progettati per essere estremamente compatti e leggeri, a confronto con gli obiettivi macro convenzionali: rispettivamente, il D-FA 100mm misura 67,5x80,5mm (per 345g di peso) contro i 74x103,5mm (600g) del parifocale FA, e il DFA 50mm misura 67,5x60mm (265g) contro i 68x70mm (385g) dell’analogo FA. La drastica riduzione di dimensioni e pesi è stata ottenuta progettando elementi ottici compatti e ad alte prestazioni e adottando componenti meccanici robusti ma leggeri. Il diametro dei filtri è stato standardizzato a 49mm (rispetto i 58 e 52mm dei due macro FA 100 e 50mm). Entrambi dotati di elicoide di

messa a fuoco fino all’inquadratura naturale (1x: da 30,3 e 19,5cm), i due nuovi macro offrono un confortevole accomodamento: l’SMC Pentax-D FA Macro 100mm f/2,8 incorpora l’innovativo sistema di messa a fuoco Free (Fixed Rear Element Extension), mentre l’SMC Pentax-D FA Macro 50mm f/2,8 impiega l’affidabile sistema flottante. Queste soluzioni assicurano una resa qualitativa uniforme alle varie distanze di messa a fuoco, fino all’infinito, compensando in modo efficace le aberrazioni ottiche alle varie distanze. Una ghiera di dimensioni generose assicura una messa a fuoco accurata in modalità manuale. In autofocus, la stessa ghiera risulta disaccoppiata dal meccanismo di messa a fuoco e rimane in posizione fissa, senza ruotare. Montati sulle reflex digitali Pentax *istD e *istDs, i due nuovi obiettivi offrono l’innovativo sistema di messa a fuoco Quick-Shift, che consente di passare istantaneamente dall’autofocus al controllo manuale senza la necessità di azionare comandi specifici e che dispone del bloccaggio della messa a fuoco su qualunque posizione. (Protege - Divisione Foto, via Pratese 167, 50145 Firenze).



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MUSICA DA GUARDARE

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Quando musica e fotografia si incontrano, possono dar vita a magici connubi. E quando la musica regala le proprie note per mano di artisti di fama, ed è immortalata in un attimo fotografico da un sensibile sguardo, è assolutamente magia. Così è l’esito del lavoro di Marco Anelli, fotografo romano che per la propria espressione visiva si è indirizzato alla fotografia e tecnica di sviluppo e stampa in bianconero, alla cui valenza espressiva affida anche questa sua più recente realizzazione, con la quale svela musicisti di fama mondiale nell’atto di interpretare brani musicali all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma. È proprio il foyer di questo celebre auditorium che ospita in mostra permanente le opere di Marco Anelli, la cui presentazione sollecita il grande impatto visivo e la sug-

gestione delle immagini: ingrandimenti esposti in grandi dimensioni, fino a due metri per tre, incombono sul visitatore, coinvolgendolo in un affascinante percorso che richiama all’emozione dei concerti. L’intero ciclo fotografico che sta per assumere anche forma editoriale in una pubblicazione, La musica immaginata - Grandi interpreti all’Accademia di Santa Cecilia, che sarà pubblicato il prossimo marzo da Federico Motta Editore, la cui presentazione è firmata da Bruno Caglio, presidente e sovrintendente dell’Accademia, e accompagnata dai testi del critico francese Gabriel Bauret. Fotografo di elevato talento e potere espressivo, Marco Anelli si è affermato in prestigiose selezioni professionali, tra le quali Premio Fuji (2000), Premio Canon e Memorial

Auditorium dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, 2004.

Mischa Maisky, 2004.


Prima del concerto, 2004. (in alto) Grigorij Sokolov, 2004. (pagina accanto) Daniel Harding, 2003.

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Mario Giacomelli (2001). Noi stessi abbiamo già presentato tre suoi lavori: Di Te, in FOTOgraphia del marzo 2002; L’ombra e la luce, nell’ambito di 2rome (con Roma-City di Simona Filippini), in FOTOgraphia del settembre 2003; e Il calcio, in FOTOgraphia dell’aprile 2002.

Questa volta, Marco Anelli si misura con il delicato compito della rappresentazione di una materia astratta: la musica. L’autore la materializza attraverso il ritratto di musicisti colti nell’atto della creatività musicale, che cerca prevalentemente durante le prove dei concer-

La musica immaginata - Grandi interpreti dell’Accademia di Santa Cecilia, fotografie di Marco Anelli; testi di Gabriel Bauret; presentazione di Bruno Caglio; Federico Motta Editore, 2005; via Branda Castiglioni 7, 20156 Milano (02-300761, fax 02-38010046; www.mottaeditore.it, editor@mottaeditore.it); 112 pagine 24x34cm, cartonato con sovraccoperta; 55,00 euro (in libreria da marzo 2005).

ti. È proprio in questa fase, infatti, che Marco Anelli ritrova, intatta, tutta l’espressività vibrante di aspetti intensi e personali che direttori, solisti e musicisti infondono nel proprio


strumento di una silenziosa interpretazione, ora della musica, ora del silenzio eloquente degli strumenti. La fotografia diventa mezzo per ascoltare, e la musica materia da guardare. A.Alp. Marco Anelli: I grandi protagonisti dell’Accademia di Santa Cecilia. Foyer Sala Santa Cecilia, Auditorium Parco della Musica, viale De Coubertin 34, 00196 Roma; 06-8082058. Allestimento permanente; 10,00-19,00.

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lavoro. Tra i protagonisti della galleria di ritratti di Marco Anelli si trovano Cecilia Bartoli, Riccardo Muti, Antonio Pappano, Wolfgang Sawallisch, Valery Gergiev, Simon Rattle, Myung-Whun Chung, Daniel Harding, Sir Neville Marriner, Gianluigi Gelmetti, Uto Ughi, Grigorij Sokolov, Martha Argerich, Kyoto Takezawa, Georges Prêtre, Maurizio Pollini. Di questi protagonisti di stagioni concertistiche dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Marco Anelli ne ha tratto l’essenza artistica: l’attimo di tensione musicale nello stesso attimo di uno scatto fotografico. Sono i volti, estasiati e concentrati a parlare di musica, le mani degli artisti, che il fotografo ha fatto vivere e vibrare di vita propria, mentre scivolano, accarezzano o percuotono lo strumento che trasforma l’aria in note. In questi magici momenti di preparazione ai concerti, la macchina fotografica di Marco Anelli diviene

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perfectly compact Il nuovo treppiedi Gitzo in fibra di carbonio Compact G0027 è il compagno di viaggio ideale. Chiuso, è talmente compatto e leggero da poter essere contenuto anche in piccole borse fotografiche senza avvertirne il peso, mentre una volta esteso è il supporto perfetto per la vostra fotocamera in ogni occasione.

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Il fantastico percorso di personalizzazione Leica À la carte consente di configurare dotazioni esteriori Leica M7 e Leica MP autenticamente uniche e individuali. Oltre rivelare una insospettabile leggerezza del sempre austero marchio tedesco, cui corrispondono consistenti presupposti commerciali (va detto), il programma amplifica esponenzialmente le possibili varianti dei propri apparecchi, che in questo modo si proiettano magari anche nel florido mondo del collezionismo e antiquariato, già animato dalle edizioni speciali commemorative. A differenza, in questo caso si tratta di apparecchi Leica M7 o Leica MP effettivamente unici, in quanto allestiti a proprio piacere: finiture, leve, mirino, cornici e incisioni individuali

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olendolo fare, si potrebbero ipotizzare calcoli e conteggi. Ma tali e tante consecuzioni di numeri, moltiplicazioni e ipotesi spettano ad altri, con personali rapporti con la matematica e la statistica. A noi basta la sensazione generale che il programma Leica À la carte attiva una sostanziosa e generosa serie di varianti personalizzate degli apparecchi fotografici Leica M7 e Leica MP, cui ognuno può approdare seguendo una logica serie di passi consequenziali, guidati all’apposita directory dal sito www.leica-italia.it: quante, con esattezza, non importa, ma sono veramente tante. L’abbiamo accennato in FOTOgraphia di settembre, e qui approfondiamo il dettaglio, come anticipato e promesso nell’ambito della lunga passerella dalla Photokina di Colonia dello scorso novembre. Il percorso Internet è affascinante e coinvolgente. Non siamo lontani dal vero, quando ipotizziamo che più di un utente Leica ne possa rimanere incantato. Il professionista può sfruttare soprattutto le opzioni riguardo la configurazione del mirino, in relazione alle proprie esigenze e necessità operative. Così come, più di qualche fotografo non professionista, appartenente a quell’identificato “popolo Lei-

QUANTE BELLE Leica MP in configurazione esteriore standard: frontale senza incisioni né indicazioni, logotipo “Leica” e numero di matricola preceduto dall’identificazione “MP” sulla calotta superiore, bottone di riavvolgimento della pellicola esposta. Leica M7 in configurazione esteriore standard: frontale con indicazione “M7” e bollo rosso “Leica” tra le finestrelle del telemetro, numero di matricola sulla slitta porta accessori, calotta superiore senza incisioni.

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ca” che può vantare consistenti possibilità economiche (non facciamo finta di non saperlo), ha modo di incrementare la propria dotazione tecnica con almeno una Leica assolutamente unica, perché pensata a propria misura e gusto individuale.

À LA CARTE Avanziamo insieme, in un ipotetico percorso nostro: ma, nella pratica, a ciascuno la sua... Leica. Al sito www.leica-italia.it si accede all’Homepage sulla quale è indicata la directory specifica Leica À la carte. Un’opzione preventiva identifica la nazione dell’utente e la lingua nella quale si vuole procedere: Italia e italiano, nel nostro caso. (Attenzione: i commenti alle opzioni, solitamente riportati tra parentesi, sono ripresi dalle spiegazioni ufficiali Leica, riprese dal percorso di personalizzazione). ❯ Prima scelta: Leica M7 oppure Leica MP, con relativa visualizzazione grafica in apposita finestrella: stilizzazione del frontale dei due corpi macchina, che si alterna alla stilizzazione delle rispettive combinazioni fronte/visione dall’alto quando, con il mouse, ci si avvicina all’area di scelta. Entrambi gli apparecchi partono dal prezzo base di 3450,00 euro; poi, man mano che si procede con le selezio-

LEICA ni/scelte, è sempre visualizzata la spesa totale fin lì raggiunta, aggiornata ai vari optional introdotti. Ognuno si muova secondo i propri gusti; noi ci indirizziamo sulla direttiva Leica M7. ❯ Finitura corpo, tre opzioni: 1, laccatura nera (classica finitura Leica, ripresa a partire dalla M6 TTL 2000 [FOTOgraphia, marzo 2000]; dopo un uso prolungato, negli spigoli l’ottone fa bella mostra di sé da sotto la vernice; più 50,00 euro); 2, cromatura nera (finitura molto resistente e discreta); 3, cromatura argento (classica finitura Leica; sottolinea l’eleganza del disegno Leica: a pagina 24), con relativa visualizzazione in tempo reale dell’apposita sintesi grafica in doppio (corpo macchina di fronte e dall’alto). È un gusto tutto personale: cromatura argento [e restiamo a 3450,00 euro]. Nel caso della Leica M7 del nostro percorso, si passa all’opzione del “Tipo di calotta”, che stiamo per affrontare; mentre, se si fosse scelto di configurare una Leica MP, a questo punto si inserirebbe un’opzione propria, che annotiamo prontamente. ❯ Dotazione tecnica (ribadiamo solo per la Leica MP): con bottone di riavvolgimento standard? Oppure con leva di riavvolgimento della Leica M7 (leva di riavvolgimento inclinata, adottata a partire dalla Leica M4; e relativo sovrapprezzo di 220,00 euro)? Torniamo al percorso lineare della nostra ipotizzata Leica M7, finora in cromatura argento.

❯ Incisioni sulla calotta superiore (in attesa di possibili personalizzazioni, che arrivano dopo): come la Leica M7 di serie (bollino rosso “Leica” tra le finestrelle frontali del telemetro e dicitura “M7” sempre sul frontale; calotta superiore libera, con numero di matricola sulla slitta porta accessori; pagina accanto), senza incisioni (pulita al cento per cento; sovrapprezzo di 70,00 euro), con incisioni classiche, ereditate dalla storia evolutiva del sistema Leica M (sulla calotta superiore: logotipo “Leica”, numero di matricola preceduto dalla identificazione “M7” e dicitura “Leica Camera AG - Germany”; alle pagine 25 e 27). A noi piace senza incisioni, ribadiamo in attesa di successive personalizzazioni [e in aggiornamento di prezzo arriviamo a 3520,00 euro]. ❯ Comandi. Con scelta tra la dotazione standard della Leica M7 e le leve di avanzamento, selezione delle cornici luminose nel mirino e sblocco del riavvolgimento stile Leica MP (più 100,00 euro). Non ci lasciamo sfuggire questo richiamo alla storia evolutiva Leica, appunto sottolineata dalle finiture Leica MP, già riprese dieci anni fa per la celebrativa Leica M6J dei quarant’anni di Leica M (FOTOgraphia, ottobre 1994): quindi leve in stile Leica MP [che porta a 3620,00 euro il nostro conto economico]. Nel caso della Leica MP, si può invece selezionare l’opzione del manettino di riavvolgimento della pellicola, alternativo al bottone standard. Così che, fermiamoci un attimo a riflettere, si sta per arrivare a una completa miscela delle parti, che confonderà il futuro riconoscimento degli apparecchi Leica dei nostri giorni, quantomeno al colpo d’occhio. In ordine: Leica M7 standard e Leica MP standard, in finitura cromata o nera (pagina accanto); quindi, dal programma Leica À la carte, si possono avere Leica MP con leve standard ma manettino di riavvolgimento della pellicola (qui sotto) e Leica M7 con leve della Leica MP (alle pagine 25 e 26).

Leica MP cromata, rivestimento marrone finitura struzzo, manovella di riavvolgimento stile M7 (e precedenti, dalla Leica M4), incisioni classiche sulla calotta superiore (logotipo “Leica”, numero di matricola preceduto dalla identificazione “MP” e dicitura “Leica Camera AG Germany”).

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Leica MP nera, finitura nero cuoio di selleria, senza scritte e, a conseguenza, numero di matricola accompagnato dalla identificazione “Leica MP” sulla slitta porta accessori.

Per poi non parlare delle opzioni dal corpo macchina nero, che ipotizzano anche la combinazione con leve cromate, stile M7 o MP, alla maniera delle Leica definite “Panda” (a pagina 27): per un’ennesima moltiplicazione (esponenziale?) delle variabili che possono ingannare il colpo d’occhio. ❯ Ben undici rifiniture del corpo macchina, che presso i Rivenditori autorizzati Leica À la carte si possono controllare dal vivo, oltre la simulazione nel percorso Internet. Con ordine: Leica M7 standard (senza aggiunta di costi); vulcanite (classica similpelle, nel pieno spirito delle Leica d’epoca; più 80,00 euro; a pagina 25); come Leica MP (similpelle dalla presa molto sicura; più 30,00 euro; attenzione: nel caso della Leica MP, questa opzione non ha sovrapprezzo, mentre i 30,00 euro in più sono attribuiti alla finitura “come Leica M7”); nero cuoio di selleria (vero cuoio; più 230,00 euro; qui sopra); nero finitura lucertola (elegante e senza tempo come uno smoking; più 180,00 euro; a pagina 27); nero finitura struzzo (attraente come la pelle di struzzo e robusta come il cuoio; più 180,00 euro); marrone scuro vitello (colore profondo e ricco, superficie liscia; più 230,00 euro); verde racing nappa (il colore delle auto da corsa britanniche; più 230,00 euro); marrone finitura struzzo (attraente come la pelle di struzzo e robusta come il cuoio; più 180,00 euro; a pagina 23); cognac conciatura ecologica (più la usate e più diventa bella; sovrapprezzo di 180,00 euro); rosso vitello (strettamente riservato ai non conformisti; più 180,00 euro; a pagina 26). Un tocco di eleganza (?), oltre che

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di non consuetudine: marrone scuro vitello [che porta il subtotale a 3850,00 euro].

CONFIGURAZIONE Dopo tanti valori formali, ordinati con l’efficacia dei contenuti (nella nostra convinzione di sempre, relati-

LEICA CROMATA

L

eica cromata e Leica nera (cromata nera piuttosto che laccata nera qui non conta) l’un contro l’altra armate. Ogni finitura ha proprie motivazioni sostanziali e può vantare propri affezionati sostenitori. Personalmente, lo dobbiamo ammettere, indipendentemente dal gioco delle opzioni À la carte che sottolineiamo nel corpo centrale dell’odierno intervento redazionale, siamo per la Leica cromata con finitura nera (meglio se vulcanite). Non siamo soli, e ci conforta un passaggio da Bagheria di Dacia Maraini (Rizzoli, Milano 1993), che dà corpo a una visione poetica di questa fantastica estetica (della funzionalità?!). Si parla di Leica a vite («il mirino che sporge come un piccolo cannocchiale»), ma si può estendere anche alla genìa delle Leica M, con innesto a baionetta degli obiettivi intercambiabili. «Queste fotografie delle ville di Bagheria sono state fatte probabilmente con una vecchia Leica, come quella che usava mio padre. Il mirino che sporge come un piccolo cannocchiale, il corpo metallico chiaro con le finiture in ferro nero, una vestina di pelle butterata. Esposizione, velocità, distanza. Ogni cosa si regolava a mano e le foto risultavano precise, col disegno in bianco e nero nitido e pulito, come una incisione a punta secca».


va all’estetica della funzionalità: ne abbiamo già scritto in altre occasioni, e ancora in altrettante ne scriveremo), arriviamo al concreto della configurazione tecnica di uso della Leica M7 della nostra ipotesi, parallela all’altra possibile a partire dalla Leica MP. ❯ Mirino, prima selezione: tra la visione 0,58x, adatta soprattutto agli obiettivi grandangolari, 0,72x, universale, e 0,85x, dedicata ai teleobiettivi, tutte efficacemente visualizzate. Nel mezzo: 0,72x [e non ci spostiamo da 3850,00 euro]. ❯ Mirino, seconda selezione, che dipende dalla prima e conta su una analoga visualizzazione preventiva: per il nostro 0,72x c’è la dotazione standard di cornici luminose di inquadratura in combinazioni 28/90mm, 35/135mm e 50/75mm. In alternativa, altre due opzioni: 0,72-3, con cornici singole 35, 50 e 90mm (più 100,00 euro), e 0,72-5 che evita la combinazione 50/75mm per lasciare le cornici 28/90mm, 35/135mm e 50mm singola (anche in questo caso, più 100,00 euro). Per il mirino con ingrandimento 0,58x le scelte sono tra standard (28/90mm, 35mm e 50/75mm) e 0,58-4 (28/90mm, 35mm e 50mm; più 100,00 euro); anche per il mirino 0,85x due opzioni, una

standard (35/135mm, 50/75mm e 90mm) e l’altra 0,85-4 (35/135mm, 50mm e 90mm). Siccome non usiamo il 75mm, optiamo per le cornici luminose della combinazione 0,72-5 (28/90mm, 35/135mm e 50mm), che aggiungono 100,00 euro al nostro conto [che approda a 3950,00 euro]. ❯ Avendo noi lasciato la calotta superiore senza incisioni possiamo personalizzarla: ancora nessuna incisione oppure incisioni personali. In questo caso, si sceglie tra le scritte in nero o rosso (alternativa arancio o bianco per i corpi macchina neri); rosso per noi. ❯ Sulla calotta superiore si può riportare il proprio nome o un testo (più 130,00 euro) o la propria firma (più 250,00 euro). Manco a dirlo: testo [e arriviamo a 4080,00 euro]. Altrettanto per il retro: nome o testo (sempre più 130,00 euro) oppure firma (ancora più 250,00 euro). E qui la firma ci sta proprio bene [a conseguenza: 4330,00 euro]. A questo punto, compare una griglia sulla quale digitare il testo.

PERSONALISMI! È una mania, la nostra; tra le tante citazioni possibili, in questi momenti ne amiamo particolarmen-

Leica M7 laccata nera, rivestimento vulcanite, leve della Leica MP (riavvolgimento, selezione delle cornici luminose nel mirino, sblocco del riavvolgimento), incisioni classiche sulla calotta superiore (logotipo “Leica”, numero di matricola preceduto dalla identificazione “M7” e dicitura “Leica Camera AG Germany”).

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Leica M7 cromata, rivestimento rosso vitello, leve della Leica MP (riavvolgimento, selezione delle cornici luminose nel mirino, sblocco del riavvolgimento), senza scritte (neppure sul frontale), indicazione “Leica M7” sulla slitta porta accessori.

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te una di Heinrich Böll, che dice «Sono un clown, e faccio raccolta di attimi»: la vorremmo sulla nostra (ipotetica!) Leica M7 À la carte. Ma ce ne sarebbero tante altre possibili. Tra quante ci accompagnano nella vita, e che abbiamo già inserito nell’Absolut FOTOgraphia del novembre 2001, ne recuperiamo qualcuna altra. In ordine sparso: «Quando ti vien voglia di criticare qualcuno, ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i vantaggi che hai avuto tu» (Francis Scott Fitzgerald); «E il mio maestro mi insegnò com'è difficile trovare l'alba dentro l'imbrunire» (Franco Battiato); «Poi un giorno, in un libro o in un bar si farà tutto chiaro, capirai che anche altra gente si è fatta le stesse domande» (Francesco Guccini); «Le persone di cui penso che vivano con talento sono quelle che hanno vite libere, che formulano grandi schemi e li vedono realizzati. E loro sono anche la migliore compagnia» (Hanif Kureishi); «La casa sul confine dei ricordi, la stessa di sempre, come tu la sai / e tu ricerchi là le tue radici se vuoi capire l'anima che hai» (Francesco Guccini);

«Una società sguaiata, che esprime la sua fredda voglia di vivere più esibendosi che godendo realmente la vita, merita fotografi petulanti» (Ennio Flaiano); «Mi rendo conto» (Chance Giardiniere, Peter Sellers in Oltre il giardino); «D'ora in poi, se tu crederai che io esisto, anch'io crederò che esisti tu» (Lewis Carroll; Le Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie); «Non c'è una sola idea, per quanto assurda e ripugnante, che non abbia un aspetto sensato e non c'è una sola idea, per quanto plausibile e umanitaria, che non incoraggi, e quindi dissimuli, la nostra stupidità e le nostre tendenze criminali» (Paul K. Feyerabend); «Mi ricordo Jurij Gagarin» (Georges Perec); «Quando ti metterai in viaggio per Itaca / devi augurarti che la strada sia lunga / fertile in avventure e in esperienze» (Costantino Kavafis); «È questa armonia, questa Qualità, se si vuole, l'unico fondamento dell'unica realtà che ci sia mai dato di conoscere. [...] Quando siete davvero bloccati nessun soggetto o oggetto vi dirà dove dovete andare; la Qualità sì» (Robert M. Pirsig);


«La verità non è qualcosa di semplice e facile che si può conoscere automaticamente, ma un insieme di fatti ed equilibri laborioso e sempre da verificare» (Ernest Callenbach); «La velocità è la forma di estasi che la rivoluzione tecnologica ha regalato all'uomo. [...] Ma quando l'uomo delega il potere di produrre velocità a una macchina, allora tutto cambia» (Milan Kundera); «Bisogna che accada qualcosa!» «Qualcosa accadrà» (Heinrich Böll); «Non me ne frega niente se la storia mi sta togliendo tutto. Le ho già preso tantissimo, vivendo come ho creduto e come ho voluto. [...] Ciò che abbiamo fatto per noi stessi, è ciò che noi stessi oggi siamo» (Michele Serra); «Che cento fiori sboccino e cento scuole contendano» (Mao Zedong). E poi, rientrando nello specifico della fotografia, come non ricordare quanto affermato da Edward Steichen in occasione del novantesimo compleanno, nel 1969, quattro anni prima della sua scomparsa: «La missione della fotografia è quella di spiegare l'uomo all'uomo e ogni uomo a se stesso».

ALLA FIN FINE Ricapitoliamo. In un intervallo di spesa possibile da 3450,00 di partenza a 4850,00 euro con tutte le possibili opzioni più care, in base alle proprie scelte, la nostra personale (ipotetica) Leica M7 è arrivata a costare 4330,00 euro.

Dal vivo, presso un Rivenditore autorizzato Leica À la carte potremmo verificare la consistenza della finitura scelta, e all’indirizzo selezionato, tra l’area dei Rivenditori indicati, potremmo ritirare l’apparecchio nell’arco di otto settimane dalla conferma d’ordine: Leica M7 cromata argento (classica finitura Leica; sottolinea l’eleganza del disegno Leica), con leve stile Leica MP (leva di avanzamento, selettore delle cornici luminose nel mirino e leva di sblocco del riavvolgimento in disegno storico Leica M3 e Leica M2). Rispetto la dotazione standard, non abbiamo voluto l’incisione “M7” sul frontale, né il bollino rosso “Leica”, sempre sul frontale, tra le finestrelle del telemetro/mirino; su un corpo macchina privo di indicazioni ufficiali -a parte la certificazione del numero di matricola sulla slitta porta accessori-, abbiamo voluto nostre incisioni personalizzate e in rosso, sia sulla calotta superiore, sia sul retro: rispettivamente un testo (a scelta) e la nostra firma. L’estetica del corpo macchina si completa con una finitura marrone scuro vitello (colore profondo e ricco, superficie liscia). Infine, il mirino con ingrandimento 0,72x è dotato delle cornici luminose delle combinazioni focali 28/90mm, 35/135mm e 50mm. Insomma, ribadiamo: una (ipotetica!) Leica M7 totalmente nostra e personale. Unica, nell’autentico senso del termine. Le possibilità percentuali che altri seguano lo stesso identico percorso di forma e contenuto sono assolutamente infinitesimali. Maurizio Rebuzzini Leica M7 laccata nera, rivestimento nero finitura lucertola, leve cromate (dunque, “Leica Panda”), incisioni classiche sulla calotta superiore (logotipo “Leica”, numero di matricola preceduto dalla identificazione “M7” e dicitura “Leica Camera AG Germany”).

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In sintonia di immagini e suoni, ma anche viceversa, dipende dai punti di vista personali, il vicentino Attilio Pavin traduce la frenesia della musica jazz in appassionate composizioni fotografiche. Una volta ancora, la mediazione privilegiata dello sviluppo immediato polaroid, arricchito da interventi manuali sulla superficie dell’emulsione/copia finale, offre la consistente base formale di un’espressione visiva costruita, appunto, sull’immagine che appare e si materializza pochi istanti dopo lo scatto

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treet jazz pone l’attenzione sulle ricerche compiute dal fotografo Attilio Pavin tra il 2000 e il 2001. Queste opere sono una tappa del percorso che l’autore ha iniziato negli anni Settanta, rivolgendosi alla ricerca di spazio, colore, movimento, materia e delle relative trasposizioni in fotografia. La serie di immagini del jazz è il cuore di un più ampio studio dedicato alla fotografia polaroid a sviluppo immediato, come strumento indagatore e trasformatore della realtà: l’opera si crea attimo dopo attimo, subendo e traducendo “fisicamente” suoni, sensazioni, vibrazioni, che l’oggetto-soggetto del momento ha comunicato all’artista/autore. Come altre dello stesso Attilio Pavin, anche queste opere sono frutto di una manipolazione immediata, effettuata sull’immagine negli istanti su cui il processo di sviluppo sta per rendere visibile l’immagine definitiva [riquadro a pagina 30]. Con la propria azione manuale aggiunta, Attilio Pavin inventa una fotografia completamente sua, sottolineando gli accostamenti, i contrasti, il ritmo, la velocità, il significato di gesti e movimenti propri del musicista jazz; plasma le proprie opere assimilando i caratteri della musica jazz, quali la creatività istintiva e l’improvvisazione. Come è noto, il jazz stravolge i canoni all’interno anche di se stesso, unendo tratti dei suoni dell’Africa occidentale, forme del folk americano, motivi popolari e classici-leggeri europei del Settecento e Ottocento, facendo interagire ritmi africani con ritmiche nordiche e trasformando strumenti d’orchestra in strumenti di gruppo. Allo stesso modo, e in sintonia, Attilio Pavin stravolge la caratteristica principale della fotografia istantanea che si “autosviluppa”; in questa fase originaria, quando ancora l’immagine si sta formando, impone materialmente il proprio sentire sul supporto fotografico, accordandosi con l’immagine che si forma in pochi istanti. Così agendo, Attilio Pavin esalta le peculiarità dell’istantanea, vi entra per sconvolgerla, valorizzando la rapidità e l’improvvisazione, e mettendola in un reale contatto con le sonorità jazz, che imprimono una sorta di potente -pur silenziosa- musica, che continua all’infinito. Gli originali polaroid, come gli ingrandimenti successivi [necessari all’allestimento scenico in mostra], sono istanti di vita vibrante di suoni, colori, movimento e musica: immagini musicali e musicate, contemporaneamente e indissolu-

STREET

JAZZ

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MANIPOLAZIONE INDIVIDUALE

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ateriale fotografico per se stesso già fantastico, pronto una manciata di secondi dopo l’esposizione, l’emulsione polaroid a sviluppo immediato si presta anche a interventi manipolatori. In particolare, le pellicole integrali a colori autosviluppanti sono state diversamente interpretate dalla creatività di tanti autori. Per la serie Street jazz, come per altri tanti capitoli del proprio percorso fotografico, Attilio Pavin ha applicato quello che viene comunemente identificato come “schiacciamento dell’emulsione a fresco”. Le tracce irregolari perimetrali che fungono da cornice e i tratti interni, che evidenziano e/o sottolineano particolari e dettagli (a scelta dell’autore), si ottengono soltanto con pellicola polaroid integrale, disponibile in diversi formati per relativi apparecchi Polaroid.

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Queste “incisioni”, chiamiamole così, si ottengono premendo sulla superficie in sviluppo con il retro di una matita o il cappuccio di una biro (o uno strumento simile: tipo quelli usati per lavorare la plastilina): pressione decisa, ma -attenzione- lo strumento non deve essere a punta, altrimenti rovina la protezione dell’emulsione. Attilio Pavin applica con maestria questa tecnica, controllando perfettamente il momento e la forza dell’azione, in modo da gestire l’effetto finale: per intensità, visibilità e resa cromatica. Ogni intervento è finalizzato a un progetto visivo preordinato, nulla è lasciato al caso. Oltre questa attuale serie Street jazz, qui presentata in selezione, Attilio Pavin ha adottato la manipolazione polaroid in altre ricerche espressive, tanto che si può parlare di felice connubio creativo: appunto, Attilio Pavin e polaroid.


bilmente, dall’artista fotografo e dal musicista soggetto. Queste fotografie simboleggiano la libertà, intesa come improvvisazione e unione di elementi apparentemente contrastanti e, come è caratteristico in tutta l’opera di Attilio Pavin, il fruitore non si sente imprigionato all’interno di schemi di lettura, ma è invitato ad avvicinarsi all’immagine in modo aperto e assolutamente non univoco. Desiderio dell’autore è che il singolo osservatore dialoghi con la fotografia, la faccia propria e la trasformi in ciò che prova in quel determinato momento, in quella determinata situazione emotiva. Accedendo agli originali polaroid, oppure alla mostra dei soggetti ingranditi in vistose dimensioni (fino a un metro di base), o sulle pagine del volume-catalogo, in primo luogo la ricerca Street jazz va intesa come omaggio alla musica jazz, che accompagna silenziosamente, ma prepotentemente, il visitatore, alternando sonorità spirituali a quelle istintive e profane. Momenti di grande coinvolgimento si avvicendano

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con istanti di pausa, densi di significato in quanto scandiscono un ritmo silenzioso e riflessivo che prepara il successivo di grande foga musicale, nonché fisica. Si noti come Attilio Pavin, con quel potere di stravolgere tipico del jazz, riesca ad alterare completamente le dinamiche: da una parte rende statici soggetti in movimento, che si percepisce però in modo forte in alcuni significativi dettagli, dall’altra dà movimento a immagini originariamente statiche. L’intera serie di fotografie polaroid, dominata cromaticamente dai colori primari, può essere anche interpretata come un ritorno dell’uomo alle origini, al proprio legame con la natura, ai quattro elementi -aria, acqua, terra e fuoco-, alla costante attrazione equilibratrice degli aspetti opposti positivi e negativi dell’energia, lo Yin e lo Yang. Si prendano in considerazione le due immagini del contrabbasso. Una è dominata dai colori della terra, che ricordano l’Africa, la tribalità, le origini del jazz e contemporaneamente l’origine dell’uomo, il suo forte legame con la natura, la sua primordialità: la base del contrabbasso

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sembra nascere materialmente dalla terra, dalla quale prende energia e fisicità [a pagina 29]. L’altra rappresentazione del contrabbasso è invece dominata dall’elemento aria, dai colori chiari, e la musica che risuona è più mentale, spirituale; il senso di leggerezza che si avverte sembra quasi innalzare in volo lo strumento stesso [a pagina 31]. I momenti di pausa, in un istante di grande movimento e musicalità, possono simboleggiare la vita di ciascun uomo, il creare o l’inseguire sempre, a ritmo frenetico, gli episodi della propria vita, alla ricerca di qualcosa che è sempre nuovo, in un cammino fatto di momenti di luce e momenti di oscurità che lo portano a ripiegarsi su se stesso o a intraprendere una nuova musica, da scrivere nel libro bianco della sua individuale e unica esistenza. Paola Giaretta (dal volume-catalogo Street jazz, che accompagna la mostra degli ingrandimenti in consistenti dimensioni dagli originali polaroid: 48 pagine 22x22cm; 10,00 euro)



LA FOTOGRAFIA

Fotografia di Huynh Cong “Nick” Ut, scattata l’8 giugno 1972 a Trang Bang, villaggio del Vietnam del Sud bombardato dall’aviazione americana (Premio Pulitzer, World Press Photo e AP Managing Editors).

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elle librerie italiane c’è un libro che rimanda a una storia (tra)passata e, al contempo, misteriosamente presente, consegnata all’eternità da un’istantanea fotografica. Una storia, riconosciamolo, che sembra destinata ad appartenere sinistramente, per sempre, al nostro vissuto, come se accompagnasse -monito e ossessione- l’attualità di eventi senza tempo. Il momento temporale in cui si situa la vicenda è quello della guerra in Vietnam (anni Ses-

santa-Settanta); la storia, invece, più specificamente analizzata, è quella piccola, privata, intima, di una sola persona: una bambina, allora; una donna, oggi. La bambina/donna della storia è Pham Thi Kim Phuc: in occidente, dove oggi vive, solo Kim Phuc. La bambina della storia è la bambina -sopravvissuta alla guerra, e quindi oggi, donna- della famosa fotografia che la immortala in atto di fuggire in preda al terrore, in preda al dolore da ustioni da napalm gettato dai bombardieri americani sui villag-


(della bambina) La pubblicazione della biografia di Kim Phuc, la bambina terrorizzata e urlante della celebre fotografia degli effetti del napalm usato nella guerra in Vietnam, sollecita una approfondita riflessione sul potere e valore della Fotografia. Infatti, l’evocazione di quell’immagine epocale è indissolubile da collegamenti tra la realtà e la propria rappresentazione fotografica, tra vita e racconto OPINIONE PUBBLICA

gi del Vietnam. Immagine scattata dal fotografo vietnamita Huynh Cong “Nick” Ut, uno scatto imposto dalla casualità di essere presente in quel momento. Uno scatto che, però, segnerà indelebilmente la Storia. E per Storia intendiamo sia quella della rappresentazione fotografica, che da lì in poi si è posta interrogativi nuovi, cercando una collocazione alla potenzialità della propria espressione, sia la Storia come successione di eventi, etici, politici o insondabilmente umani.

È l’8 giugno 1972, e il piccolo villaggio di Trang Bang, nel Vietnam del Sud, viene bombardato per errore dall’aviazione americana. Huynh Cong “Nick” Ut riprende la scena e scatta una fotografia che diventerà famosissima e sarà pluripremiata (Pulitzer, World Press Photo e AP Managing Editors). Questa fotografia diventa subito il simbolo di una guerra sbagliata e inutile, che l’opinione pubblica internazionale non vuole più sostenere (FOTOgraphia, maggio 2001). La bocca di una bambina spalancata in un urlo capace di contenere tutte le nefandezze del mondo ha fatto rabbrividire l’umanità, l’ha messa di fronte a ciò che non aveva il coraggio di vedere (o, peggio, ammettere); forse, l’ha messa di fronte alla propria coscienza. Probabilmente, quella fotografia ha avuto la forza di determinare una crepa definitiva nell’opinione pubblica, ormai già vacillante, diventando l’icona di un Tempo. In quei primi anni Settanta, riguardo la propria presenza militare in Vietnam, gli Stati Uniti avevano sempre meno argomentazioni, stavano ormai ripiegando su se stessi; quanti avevano creduto e obbedito, anche in buona fede, stavano brancolando per cercare altre ragioni possibili; spesso, non trovandone, deponevano le passate opinioni per abbracciare verità nuove. Ne abbiamo già riflettuto; riprendiamo il filo delle osservazioni scritte in ricordo della scomparsa del fotoreporter Gianfranco Moroldo, pubblicate in FOTOgraphia del giugno 2001. La fotografia della bambina che corre urlando fu pubblicata nel 1972, in cronaca diretta, ma già dal 1969 i tempi erano maturi per la diffusione di fotografie scomode della guerra in Vietnam. Il Times fu il primo a infrangere il tabù (della riservatezza? della complicità giornalistica? di qualcosa di più?), dapprima in ter-

La fotografia della bambina urlante, bruciata dal napalm, è una delle immagini epocali del Novecento. La sua straordinaria forza visiva ha ispirato e sollecitato innumerevoli dibattiti sul valore della Fotografia, oltre aver ispirato altrettante avversioni alla guerra.

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BIOGRAFIE E CONTORNI

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ubblicata in Italia da Codice Edizioni di Torino, La bambina nella fotografia di Denise Chong è esattamente ciò che il sottotitolo precisa: La storia di Kim Phuc e la guerra del Vietnam. In copertina, viene proposta la fotografia epocale di Huynh Cong “Nick” Ut del 1972, che dà senso e corpo al titolo, richiamando l’attenzione di coloro i quali sanno di cosa si sta per parlare. La storia di Kim Phuc è emblematica di un momento storico e di rapporti esistenziali/politici che hanno indelebilmente legato il mondo orientale a quello occidentale, all’indomani della conclusione della Seconda guerra mondiale, a tutti gli effetti la prima autenticamente planetaria. La domanda, se di questo si tratta, è presto compilata: per che diamine, al giro di boa della seconda metà del Novecento, gli eserciti occidentali continuano a comportarsi con logiche coloniali? Ribadiamo: con tutte le consecuzioni del caso, delle quali è emblematica la vicenda pubblica di Kim Phuc, proiettata nella Storia suo malgrado.

La bambina nella fotografia (La storia di Kim Phuc e la guerra del Vietnam), di Denise Chong; traduzione di Paola Bonini e Susanna Bourlot; Codice Edizioni, 2004; via Carlo Alberto 43, 10123 Torino (011-19700579, fax 011-19700582; codice@codicecultura. it); 328 pagine 14,5x21,5cm; 22,00 euro.

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za pagina, timidamente, senza troppa enfasi, ma comunque si aprì il varco all’imitazione da parte di altre testate: l’evidenza non poteva più essere taciuta. Strenuamente, il governo degli Stati Uniti cercò di difendersi, facendosi scudo di retaggi moralistici: per esempio, lo Star di Washington fu accusato di pubblicare oscenità, quando mostrò nelle proprie pagine immagini di cadaveri di bambini nudi, e molti altri periodici furono accusati di antiamericanismo ogni volta che rivelavano un aspetto fastidioso della guerra.

VALORE DELL’IMMAGINE John G. Morris, l’allora photo editor di Life, autore di una straordinaria autobiografia professionale

(Sguardi sul ’900 - Cinquant’anni di fotogiornalismo; Le Vespe, 2000; FOTOgraphia, dicembre 2000), ha annotato, forse provocatoriamente, ma non sappiamo fino a che punto, che «per fortuna la bambina non aveva peli pubici», altrimenti, per il codice di autocensura americano, la fotografia non sarebbe stata pubblicata. E chissà: se la bambina avesse avuto i peli, la guerra sarebbe durata di più? La domanda che ci poniamo è se veramente si possa attribuire a una immagine una forza di tale e tanta potenza. Osiamo risposte o forse solo opinioni, che ribadiscono la propria urgenza, soprattutto oggi, in questo periodo storico durante il quale torna vivo il bisogno dell’emblema, immortalato in una fotografia, di una guerra-simbolo da dimen-


Il testo di Denise Chong è lineare e scorre sul doppio binario che annuncia il sottotitolo: la vicenda personale si annoda agli eventi politici di una controversa nazione, tra liberazione nazionale e contraddizioni conseguenti. La narrazione è asciutta, laica e trasparente, e appartiene a una interpretazione del giornalismo tutta anglosassone: tra coinvolgimenti personali e distacchi professionali, non c’è spazio per il gossip, il sensazionalismo o speculazioni d’altra natura. Per certi versi, si tratta di qualcosa di un poco diverso da ciò che nel corso degli anni ha pubblicato il giornalismo italiano. Torniamo indietro. Nel marzo 1995, i quotidiani hanno dato notizia della fuga in Canada della trentaduenne Kim Phuc (per esempio, Corriere della Sera del 19 marzo), puntualizzando come il regime vietnamita non rispetti neppure i propri “eroi”. Subito a seguire, l’allegato settimanale dello stesso Corriere della Sera di Milano, l’originario Sette, recentemente sostituito dall’attuale Magazine, approfondì la vicenda, con contorno di immagini: alcune storiche complementari e altre in cronaca (per esempio, i segni del napalm sulle spalle di Kim Phuc con in braccio il proprio figlio Huan di dieci mesi; a sinistra, in alto). Più recentemente, nel marzo 2003, i venti di guerra (in Iraq) richiamarono altre rievocazioni giornalistiche. Una di queste declinò le conseguenze della guerra in chiave di vicende personali. In copertina del Venerdì di Repubblica del 14 marzo fu pubblicata, appunto, la celebre fotografia di Kim Phuc che fugge terrorizzata, bruciata dal napalm (qui accanto), e i rimandi ai testi interni precisavano proprio le infinite storie dei protagonisti di fotografie epocali (sul cui senso riflettiamo oggi): da Kim Phuc dal Vietnam (1972) al piccolo bambino ebreo dal ghetto di Varsavia (1943, la cui immagine è stata scelta dai lettori del Corriere della Sera, appositamente interrogati, come una delle più significative del Novecento; FOTOgraphia, aprile 2000), dalla madonna di Algeri (di Hocine, 1997) alla giovane profuga afgana (1985, recentemente ritrovata da Steve McCurry; FOTOgraphia, novembre 2002). In conclusione, tornando alla biografia di Kim Phuc che oggi ha sollecitato tante altre parole, il grande merito dell’autrice Denise Chong, consigliere economica del Primo ministro canadese Pierre Trudeau e giornalista, sta proprio in quell’atteggiamento a un tempo partecipe e discosto che anche in fotografia fa la differenza, definendo quegli autori capaci di coinvolgere l’osservatore accompagnandolo per mano, senza inutili spargimenti di enfasi artificiose e superflue.

ticare, ma che nell’attualità ripropone, invece, le proprie analoghe logiche, con la prepotenza e l’insondabilità dei cosiddetti cicli e ricicli della storia. Certamente le immagini detengono potere, e a volte lo manifestano anche. Non ci piove. Potere tanto grande quanto è grande la funzione cui sono state preposte. Le immagini alle quali è attribuito il compito più difficile, più controverso, sono le immagini di attualità, che devono documentare, interpretare o semplicemente riprendere fatti e momenti da sottoporre poi all’osservatore, in un certo senso vittima passiva, in attesa di strumenti per alimentare o forgiare la propria coscienza morale, politica o per consentire un’opinione che guidi le sue azioni.

Ma, attenzione, il punto sensibile e il nostro dilemma fotografico stanno proprio qui. È indiscutibile che un’immagine sgomentante desti reazioni: in qualsiasi caso arriva alla coscienza (alla mente, al cuore, ma anche alla pancia; FOTOgraphia, giugno 2003). Pur riconoscendo il merito alla fotografia di reportage di condurre un’azione di informazione, tale da consentire spesso interventi diversamente impossibili, le fotografie che pur disvelano i fatti terribili di tanta parte di mondo non hanno comunque il potere di rappresentare un altro aspetto del dovere giornalistico e dell’informazione: il perché e le cause. Le fotografie non potranno mai fornire una informazione completa, coerente e circostanziata, semplicemente perché non è il loro compito, che resta quello di fissare e sezionare frammenti di una realtà più vasta. La funzione primaria della fotografia è quella di mostrare. La visione comunica, con una parola propria, non fonetica, e di grande valore narrativo. A una successione di avvenimenti legati tra loro da un senso e da un contesto, la fotografia sostituisce un solo istante, congelato in un linguaggio assoluto e irriproducibile da qualsiasi altro mezzo, che fa della fissità un’occasione di riflessione dalla quale non puoi fuggire.

FORZA E DEBOLEZZA «In se stessa una fotografia può spiegare solo ciò che è, ma invita alla deduzione, alla speculazione, all’immaginazione, alla riflessione. In senso stretto non si comprende mai ciò che è a partire solo da una fotografia», rileva giustamente Susan Sontag nel saggio Sulla fotografia. Per analogia è come se pretendessimo di capire un paragrafo dalla lettura di una sola frase, un racconto dalla lettura di un solo paragrafo o capitolo. È quindi di assoluta importanza avere sempre la consapevolezza di non confondere l’effetto emozionale prodotto dalla fotografia con conoscenza di verità. Anzi, volendo esagerare, per paradosso la fotografia è il peggior supporto per denunciare o per esplorare questi conflitti rivestiti spesso da un senso sociale così complesso, impossibile da spiegare se non in termini politici classici. La fotografia che indigna non potrà dire nulla delle ragioni stesse del proprio senso di essere stata scattata. La capacità della fotografia di ridurre gli avvenimenti a icone costituisce il suo più grande potere e la sua più grande debolezza. Teniamone sempre conto, siamone consapevoli. Affidarsi solo alle immagini per comprendere il mondo è un espediente per non comprenderlo; si sa, la coscienza contiene nervi scoperti che fanno molto male, così come fa male il dubbio di avere in qualche modo rapporto e responsabilità con queste situazioni. Per concludere il senso della nostra riflessione, sollecitata dalla biografia di Kim Phuc, bambina/simbolo della quale ci vengono ora raccontate le vicende terrene, crediamo che nel caso della fotografia che l’ha consegnata alla Storia, al pari di altre im-

Estate 1995. All’indomani della notizia della fuga in Canada, riportata dai quotidiani italiani a metà marzo, Sette, supplemento del Corriere della Sera, racconta l’odissea di Kim Phuc, tra storia e cronaca. Sequenza fino allora inedita di David Burnett, proposta da Sette nell’estate 1995 nell’ambito della propria ricostruzione della vicenda di Kim Phuc: in un certo senso, retroscena dell’inquadratura di Huynh Cong “Nick” Ut. In tempi di guerra annunciata (in Iraq), il 14 marzo 2003 Il Venerdì di Repubblica rievocò vicende private di vittime di guerra, richiamando in copertina la fuga terrorizzata di Kim Phuc, bruciata dal napalm.

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IMMAGINE EPOCALE

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enza ombra di dubbio, la fotografia della piccola Kim Phuc che fugge terrorizzata, bruciata dal napalm, è una delle immagini epocali del Novecento. Personalmente, l’abbiamo inserita nella nostra analisi delle fotografie più significative del secolo, pubblicata a cavallo del Duemila. Sul numero del maggio 2000 la commentammo così: «Una guerra sbagliata. È l’8 giugno 1972, e il piccolo villaggio di Trang Bang, nel Vietnam del Sud, viene bombardato per errore dalle truppe americane. Il fotografo vietnamita Huynh Cong “Nick” Ut riprende la scena e scatta una fotografia che diventerà famosissima e sarà pluripremiata (Pulitzer, World Press Photo e AP Managing Editors). La bambina che corre nuda e piangente, ustionata dal napalm, si chiama Pham Thi Kim Phuc, e attualmente vive a Toronto, in Canada. Questa fotografia diventa subito il simbolo di una guerra sbagliata e inutile, che l’opinione pubblica internazionale non vuole più sostenere». Analogamente, e l’accostamento è ardito, lo statunitense Life ha compreso l’immagine nella propria rievocazione Great Pictures of the Century, abbinandola a vicende storiche in precario equilibrio tra matrice statunitense e respiro planetario: il Vietnam di Eddie Adams, Minamata di W. Eugene Smith, il miliziano di Robert Capa, il bacio in Times Square di Alfred Eisenstaedt, Muhammad Ali, i carri armati bloccati in piazza Tiananmen. Il commento è della scrittrice Sally Quinn, che sottolinea la proiezione storica dell’immagine, rilevandone una volta ancora il peso avuto in diretta sull’opinione pubblica statunitense dei primi anni Settanta (a destra). Infine, la stessa fotografia oggi in esame è riportata in copertina dell’edizione italiana di Le immagini di un secolo, traduzione dell’originario Les 100 photos du siècle, del quale abbiamo riferito in due occasioni: FOTOgraphia del giugno e dicembre 1999. Bilancio per immagini, la monografia raccoglie su carta l’insieme delle cento puntate dell’omonimo programma televisivo, trasmesse dal marzo 1998 alla fine del 1999, sul canale francese Arte: sei minuti di trasmissione settimanale, durante i quali un’immagine, scelta come icona di un momento storico del Novecento, è mostrata, commentata, documentata storicamente con filmati, testimonianze, curiosità. Per chi avesse perso l’appuntamento televisivo (praticamente tutti noi italiani), le stesse fotografie, selezionate con la supervisione di Marie-Monique Robin, giornalista dell’Agenzia Capa, sono sta-

te raccolte e pubblicate in edizione italiana da Evergreen (appunto, Le immagini di un secolo), corredate dei testi e di tutte le documentazioni della trasmissione originaria (in basso). Nello specifico, la fotografia di Kim Phuc viene presentata come Atto d’accusa, con memorie della stessa donna protagonista (allora bambina) e del fotografo Huynh Cong “Nick” Ut. Una ulteriore riflessione, da non perdere.

Nell’ottobre 1999, alla vigilia della fine del decennio, secolo e millennio, Life realizzò un numero speciale di rievocazione fotografica anticipatorio delle monografie a tema pubblicate nello stesso inverno ( FOTOgraphia, dicembre 1999). Immagini epocali del secolo sono state presentate con commenti in equilibrio tra cronaca e storia. Come è il caso, oggi in esame, della fotografia di Kim Phuc.

Addirittura, insieme alla conquista della Luna, la fotografia di Kim Phuc della quale ci occupiamo oggi è una delle due rappresentazioni simbolo del Novecento riportate in copertina di Le immagini di un secolo, che raccoglie quanto trasmesso dal canale televisivo francese Arte nel 1999, in un programma di rilettura delle cento immagini simbolo di cent’anni.

magini, la forza della visione sia potente e decisiva. E lo sia perché propone una verità visiva come ultimo-definitivo tassello, a conclusione di un tutto in un momento perfetto per far esplodere l’azione dirompente che una testimonianza non “fotografica”, pur

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degna di fede, ma fatta di parole, non avrebbe potuto sollecitare. La fotografia è, quindi, una grande opportunità: lasciamo che rappresenti un’occasione per riflettere. Alessandra Alpegiani



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ltimamente abbiamo affrontato argomenti di stretta attualità ai quali la fotografia si lega intimamente, e ne diventa testimone, facendosi spesso (troppo spesso) carico di mostrare, con la propria natura rappresentativa, orrori e svolgimenti terribili della vita, a partire dalle implacabili cronache di guerra. Alleggeriamo ora la scena, togliendo per un attimo il peso che alla fotografia tocca, proprio malgrado, di portare e rappresentare brutture. Siamo in un territorio anomalo; questa volta con la fotografia si racconta una storia di umanità e solidarietà, al cui svolgimento porta il proprio contributo parallelo e laterale: osservazione privilegiata, documentazione che si estende avan-

RIDI

ti nel tempo e nello spazio, visualizzazione di istanti svolti. L’attuale progetto fotografico elaborato con Clown One Italia onlus si è avvalso del prezioso aiuto di Ginevra Sanguigno, attrice mimo e clown, fondatrice della stessa Associazione Clown One Per contribuire con una donazione: Clown One Italia onlus, Banca Intesa, Agenzia 38 Milano (Cab 09544, Abi 03069), conto corrente 99724945. Per informazioni: www.clowns.it, clown.one@flashnet.it.

L’Associazione Clown One Italia onlus si prefigge di portare aiuto umanitario e arte come tramite di pace e solidarietà nel mondo. In un calendario sono raccolte fotografie che testimoniano missioni di pace internazionali con i clown e il dottor Patch Adams. Strumento di solidarietà, illustrato con fotografie di Italo Bertolasi e Mauro Minozzi e interventi grafici di Mirko Pajè

CHE TI PASSA

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IL CORPO CHE RIDE

È

emozionante scrivere questa prefazione per Ginevra, mia sorella “clown”, che ha partecipato con me a molti magici viaggi in Russia, Sudafrica, Cuba, Afghanistan e Palestina. Lei è stata la prima artista professionista con cui ho lavorato e che, come me, voleva usare il clown come un espediente per portare l'amore vicino alle persone di strada e a quelle che soffrono di più. Mentre tentavo di mobilitare la comunità clown del mondo affinché raggiungessimo i luoghi in cui si verificavano tragedie, nel 1999 Ginevra fondò rapidamente Clown One Italia. Ogni volta che penso di condurre un gruppo in un luogo di sofferenza, mi ritrovo sempre a pregarla di venire. Ogni volta lei esplode di amore e creatività per ogni cosa che si presenta e si dimostra sempre un ottimo giocatore della squadra che promuove gli scopi di amore-in-azione. All'età di diciotto anni, avendo deciso di vivere una vita di attivismo politico, ho scelto come uno dei miei lavori quello di essere pubblicamente felice e giocoso in ogni spazio pubblico. Alla ricerca di pace, giustizia e considerazione per tutti, sapevo che il mio risultato migliore sarebbe derivato da uno spettacolo irresistibile, compassionevole e divertente in ogni momento pubblico. Sapevo che almeno potevo sorridere, far brillare i miei occhi e coinvolgere altre persone. L'apprezzamento che il mondo ha mostrato ogni giorno per questa scelta è stato un incoraggiamento a moltiplicare costantemente questo spettacolo. Amavo già essere divertente con gli amici e adesso decidevo di farlo con chiunque. Questa semplice amichevolezza diventava sempre più forte. La gente diceva di amarla e io notavo quanto mi piacesse. Non ho mai preso lezioni per diventare clown, a diciotto anni ho cominciato a indossare costumi e nasi dappertutto. Da quando ho deciso di farlo ogni giorno, ho trascorso più di venticinque anni nei panni di un clown. Ho scoperto che il costume da clown aiuta le persone a sentirsi al sicuro con gli estranei e ciò permette al clown un'invasione nelle vite altrui. Molto presto ho scoperto che se vedevo un genitore e un bambino litigare, trasformandomi nel mio personaggio clown, ero capace di interrompere la lite. Per i primi venti anni ho fatto questo più che altro da solo o con alcuni amici. Durante gli ultimi venti anni ho cercato altri clown con cui lavorare e con cui recarmi nei luoghi feriti del mondo. Ho potuto vedere che un gruppo di clown ha molta più varietà e possibilità di una sola persona. Ho anche notato che il clown era tanto divertente su un marciapiedi o in un hotel quanto lo era in un ospedale o in un asilo. Mi piace dire che sono diventato un raggio di sole professionista. In questi venti anni, è cresciuta sempre di più in me l’intenzione di visitare ospedali, orfanotrofi, asili e prigioni. Ho sentito subito quanto fosse importante per me dare amore e allegria ovunque andassi. Vedevo che il clown dava sollievo o addirittura placava il dolore.

Italia onlus, in cui ha riversato le proprie conoscenze di anni di impegno nell’arte drammatica, nella danza, nello studio e pratica del teatro rituale e di guarigione con maestri e sciamani, per trasformarle in espressione corporea con la quale infonde benessere a persone sofferenti in innumerevoli missioni di solidarietà. Dalle esperienze vissute in Russia, Romania, Afghanistan, Nepal, Sudafrica, Israele, Palestina, Cambogia, Cina, Tibet, Brasile, Argentina, Scozia, Costa d'Avorio e Bosnia Erzegovina, Ginevra Sanguigno ha preso elementi ed energia per condensarle in un libro, Il corpo che ride - Curare con il buon umore, che, insieme alle fotografie di Italo Bertolasi e Mauro Minozzi, rappresenta uno strumento di divulgazione, comprensione e ri-

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Sento di aver chiaramente colmato una necessità che avevo come essere umano. Ho capito che il ruolo di dottore e di clown è la stessa cosa: avvicinarsi alla sofferenza e dedicarsi all'amore per la gente, per ogni individuo. Ho scoperto che l'amore e l’allegria sono ben accolti nella stragrande maggioranza delle condizioni umane, dal capezzale dei morenti, ai campi di rifugiati, dai condannati all'esecuzione alle realtà di guerra. La gratitudine era sempre così grande che desideravo ardentemente fare sempre di più. Questo essere clown mi ha condotto in più di quaranta paesi e negli ultimi cinque anni a sei-dieci tournée all'anno. Il mio gruppo oggi comprende gente tra i dodici e gli ottantasette anni, molti dei quali senza esperienza artistica. È veramente semplice e ha spinto molti altri a compiere questi particolari viaggi come ambasciatori clown. Grazie Ginevra, per aver creato questo libro. Ho notato in tutto il mondo un disperato bisogno di attenzione, giustizia, pace (interiore e globale). La gente ha bisogno di occuparsi degli altri, sapendo che ciò aiuta a dare senso alle loro vite e che è molto divertente. Ginevra ha una grande ricchezza di esperienza raccolta intorno al mondo, su come si inietta amore e divertimento nell'ambiente. È una mia speranza che quando mi si chiederà “come posso essere coinvolto nel portare pace e giustizia e cura oggi?” potrò incoraggiare a leggere il libro di Ginevra. Penso che coloro che stanno già lavorando in questo campo troveranno cose che renderanno più piacevoli i loro sforzi. C'è un motivo per cui non mi preoccupo se coloro che partecipano ai nostri viaggi clown sono "buoni clown": impareranno a inventare moltissimo in due settimane e saranno tutti trucchi per portare l’amore vicino alle persone. So che mettere degli esseri umani accanto a bambini che soffrono farà trovare loro facilmente il proprio sé compassionevole. Quindi, chiunque legga questo libro capirà che tutto è possibile. Clown One, Ginevra, io e molti altri clown viaggeremo nei prossimi mesi in Russia, Cambogia, Palestina, Israele ed Iraq, per continuare a cercare di capire l'amore e prenderci cura di tutti, ovunque. In pace. Patch Adams (Prefazione a Il corpo che ride - Curare con il buon umore, di Ginevra Sanguigno; Xenia Edizioni, 2004; via Carducci 31, 20123 Milano; 02-89013218; www.xenia.it; 188 pagine 13,5x20,5cm; 16,00 euro) [Per il percorso umano e professionale di Patch Adams segnaliamo il film Patch Adams, appunto, di Tom Shadyac (Usa, 1998), con Robin Williams, sul cui spessore cinematografico non ci esprimiamo]


flessione sul potere del buon umore, della volontà di vedere positivo, e con essa addirittura di curare (sulla pagina accanto, proponiamo la prefazione di Patch Adams). Protagonista del progetto, del quale -per nostra istituzione- leggiamo e trascriviamo la chiave fotografica, è l’Associazione Clown One Italia onlus, che si occupa di portare aiuto umanitario e arte come strumento di pace e solidarietà nel mondo. In collaborazione con il Gesundheit Institute di Patch Adams, l’Associazione promuove missioni con clown e altri “Ambasciatori del Sorriso” in aree di guerra e di pressanti emergenze umanitarie. Situazioni, luoghi, emozioni sono state osservate, interpretate e documentate dalla fotografia di Italo Bertolasi e Mauro Minozzi.

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Vicepresidente dell’Associazione e giornalista, fotografo e viaggiatore (FOTOgraphia, aprile 2000 e dicembre 2002), da decenni Italo Bertolasi si occupa di culture sciamaniche himalayane, cinesi e giapponesi, fotografando e scrivendo per le più importanti testate geografiche europee. Nel proprio essere fotografo ha unito la passione del viaggio allo studio di culture lontane e alla ideazione e svolgimento di progetti artistici sempre stimolanti e nuovi. Mauro Minozzi si è accostato al progetto dopo aver incontrato Patch Adams e Ginevra Sanguigno in Romania, durante una delle loro missioni. Si è lasciato coinvolgere dai clown, «queste persone invadenti, fastidiose, impertinenti, eccessive nei loro vestiti colorati, che si infiltrano nella vita quotidiana stravolgendo

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gli schemi consueti, con l’unica coraggiosa pretesa di far ridere a tutti i costi». Coinvolto nel linguaggio universale degli sguardi, nell’emozione che diventa gioia, compassione, amore, tenerezza, oggi come fotografo e uomo si sente un clown. Una selezione di immagini di Italo Bertolasi e Mauro Minozzi, per forza maggiore limitata alle tavole mensili, è raccolta nel calendario 2005 Clown One Italia onlus, realizzato con il contributo grafico di Mirko Pajè, direttore creativo che produce e promuove campagne di sensibilizzazione di associazioni no profit. La vendita del calendario finanzia gli Ambasciatori del Sorriso, i cui messaggi di pace e gioia vengono distribuiti in tutto il mondo, là dove altre azioni hanno portato dolore e distruzione. A.Alp.


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BOMBE SU MILANO Agosto 1943. All’indomani del 25 luglio, nell’intervallo che precedette l’armistizio dell’8 settembre, il capoluogo lombardo subì quattro incessanti incursioni aeree notturne. La devastazione fu totale. Nelle fotografie di Franco Rizzi, raccolte e commentate dal figlio Sandro, la testimonianza viva e palpitante del dolore

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DUOMO PIAZZA DEL

racconto “in diretta”. Purtroppo neanche due anni dopo lui morì, strappato a noi dall’odio cieco di quei giorni di ferocia. È rimasta la Leica -una IIIc, con obiettivo 5cm Summitar f/2-, sono rimaste le stampe, sono rimasti i negativi (Agfa). E il piccolo tesoro è stato “dissotterrato” nel sessantesimo anniversario delle incursioni che sconvolsero Milano. La casa editrice L’ippocampo ha raccolto venti immagini in un cofanetto intitolato Desmentegass [dimenticarsi; a pagina 50], come il film che il regista Lamberto Caimi ha realizzato, traendo spunto proprio dalla storia dei rullini di mio padre. Molte delle fotografie, poi, sono servite ad arricchire la mostra Bombe sulla città, visitata da ol-

itrovamento. Un pacchetto avvolto in quella vecchia carta nera che proteggeva, nelle scatole, la carta fotografica. Uno dei più preziosi ricordi conservati in famiglia. Dentro, un centinaio di cartoline camoscio, formato 9x14cm: si vedono case sventrate, macerie, fumo di incendi, fabbriche scoperchiate con i macchinari anneriti, gente inebetita accanto alle suppellettili recuperate. Sono le immagini dei bombardamenti subìti da Milano nell’agosto del 1943. Le scattò mio padre, Franco. Non era un professionista, ma la fotografia, con la radio e la meccanica, era una delle sue passioni. A Milano andava ogni giorno, avanti e indietro da Sesto Calende, dove lavorava alla Siai-Marchetti, la grande fabbrica di aeroplani. La Leica lo accompagnava sempre. Di fronte a tale scenario di devastazione, scattò quasi cinque rullini. Ero troppo piccolo per ascoltare il suo

R

DESMENTEGASS

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CROCEFISSO

imenticare il passato, limitare la memoria al puro e semplice ricordo, in milanese si dice “desmentegass”. Con questa raccolta di immagini, dal titolo Desmentegass, attraverso il linguaggio universale della fotografia, desidero far ricordare e rivivere i bombardamenti subìti da Milano. Agosto 1943: gli aerei della Royal Air Force lasciano cadere, sulla città, tutto il loro carico di morte, dolore e sofferenza. Tra le circa centocinquanta fotografie scattate subito dopo i bombardamenti da Franco Rizzi (immagini che troviamo nel film Desmentegass, da me diretto e prodotto da Green Movie Group, da cui trae il titolo questa raccolta fotografica), ne ho selezionate venti, per la loro particolare forza evocativa. Sono l’autentica testimonianza di una città sventrata dalle esplosioni, palazzi crollati, gente in fuga, masserizie accatastate per le strade. Istantanee, frazioni di tempo che aprono una porta della memoria milanese, raccontano il dramma di una città, dei tragici eventi di quei giorni e di quelle notti. Un salto indietro nel tempo perché molti non ricordano, o non hanno vissuto quei momenti. Venti fotografie per conservare il passato e, insieme, ricordarci che Milano, in sessant’anni di pace, è cambiata, ma non si è dimenticata della sua storia. Lamberto Caimi

VIA

VIA

TORINO,

VERSO PIAZZA DEL

DUOMO

D



IN COFANETTO

LUOGO

NON IDENTIFICATO

V

www.vivimilano.it, invitati a riconoscere venti luoghi non identificati. Sulle tracce fornite, io sono andato a verificare: in molti casi il riconoscimento è avvenuto, in altri no. Il gioco continua. Sono passati più di sessant’anni dai giorni del 1943 che dice Gaetano Afeltra in un libro- «sconvolsero l’Italia». Il periodo tra il 25 luglio e l’8 settembre provocò al nostro paese un trauma i cui effetti non si sono ancora del tutto spenti negli ani-

PIAZZA

SAN BABILA

tre ventimila persone, tra febbraio e giugno 2003, alla Rotonda di via Besana: partendo dai 18x24cm stampati dal cremonese Ezio Quiresi (cinquant’anni di fotografia...); lo specialista Filippo Novati, di Artogne, nel bresciano, ha elaborato gigantografie di rara incisività: ad esaltazione sia del fotografo sia della Leica. Le fotografie aiutano a ricordare, ma in molti casi non riescono a “dire” tutto. Allora bisogna cercare di ricostruire, scatto dopo scatto, i percorsi su una vecchia pianta della città, e confrontarli con il presente. Restano però tanti angoli senza nome, perché gli ingrandimenti non bastano a decifrare la targa di una via o un cartello. Né è facile, oggi, trovare i milanesi in grado di riandare a quella Milano. Lamberto Caimi, per il suo film, ha setacciato strade e piazze per far coincidere il “come è” con il “come era”. Preziosa in molti casi è stata la collaborazione dei lettori che hanno partecipato al Gioco della memoria sul sito

enti immagini della lunga serie di Franco Rizzi, documentativa dei bombardamenti su Milano dell’agosto 1943, sono state raccolte in cofanetto da L’ippocampo, per la propria collana Immagini al muro: venti stampe litografiche bianconero 23x33,3cm su supporto 29,5x34,5cm sono accompagnate da una introduzione di Lamberto Caimi, che riproponiamo a pagina 48, dal testo del figlio Sandro Rizzi (nella sostanza equivalente a quello che anche noi pubblichiamo ora, in contemporanea con Magazine Leica 4/2004) e da poesie di Franco Loi. A cura di Giuliana Le Noël, il contenitore Desmentegass. Molti non ricordano precisa anche Milano, agosto 1943. Un fotografo documenta la città martoriata, che è proprio lo spirito che collega tra loro e unisce le particolari visioni di Franco Rizzi (L’ippocampo, 2003; 19,95 euro).

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PRINCIPE UMBERTO VIA

mi. E Milano, che dall’inizio della guerra era stata bombardata nel 1940 e più pesantemente nell’ottobre 1942 e nel febbraio 1943, tra l’8 e il 16 agosto subì quattro incursioni notturne: novecentosedici bombardieri britannici Lancaster e Halifax sganciarono duemilaseicento tonnellate di bombe. I morti accertati furono un migliaio, più di mille i feriti, duecentocinquantamila i senzatetto. In città ci saranno state all’epoca sette-ottomila persone, perché dopo l’attacco del febbraio circa trecentomila milanesi erano sfollati. Colpiti il Duomo, la Scala, il Palazzo Reale, la Stazione Nord, la chiesa di San Babila, la basilica di Sant’Ambrogio, Santa Maria delle Grazie (ma L’ultima cena di Leonardo, protetta, miracolosamente non fu toccata). Quasi il cinquanta per cento degli edifici distrutti o danneggiati. «Le distruzioni subite -nota lo storico militare Achille Rastelli nel suo Bombe sulla città (Mursia, 2004)- trovano un riscontro storico solo in quelle provocate da Federico Barbarossa nel XII secolo». In piazza del Duomo, i pompieri stanno ancora spegnendo l’incendio del palazzo Galtrucco e mio padre è lì, all’angolo di via Orefici: un’istantanea un po’ sfuocata, in primo piano un uomo che parrebbe senza un braccio. Sarebbe vietato fotografare, ma un appassionato come lui non si ferma: continua il giro tra i fornitori della ditta che, per il tipo di produzione, aveva importanza strategica. Un giorno, appena dopo un attacco -raccontava mia mamma-, gli sequestrarono il furgoncino per portare in ospedale i feriti e lui era preoccupato di salvare il carico: arrivò a casa molto tardi. Tutti erano in angoscia: si sapeva che a Milano c’erano state vittime, ma non era stato possibile avere sue notizie, né lui s’era potuto mettere in comunicazione. Si viveva nell’ansia. Dalle fotografie si possono interpretare i sentimenti di quei giorni di grande incertezza seguìti al 25 luglio: composta disperazione, gente frastornata, quasi incredula, affronta le macerie con vanghe e badili, reagisce con dignità agli attacchi quasi certamente pianificati dagli alleati per costringere l’Italia all’armistizio. Gente in strada con borse, fagotti, valigie. Uomini in camicia, con le bretelle, donne in abiti leggeri, sandali di sughero. Una lunga teoria di persone in corso Sempione dirette fuori città, verso la campagna: un camioncino con un’incredibile stra-

utti i testi che accompagnano le fotografie che Franco Rizzi ha scattato nei giorni immediatamente seguenti i tragici bombardamenti su Milano dell’agosto 1943, per decenni impressi nella memoria di chi c’era (i miei genitori, per esempio, che me li hanno raccontati più volte), si concentrano sul soggetto esplicito. Da parte nostra è quindi doverosa una annotazione fotografica. Per quanto il figlio Sandro Rizzi precisi che tutti gli scatti sono stati realizzati senza scendere dall’auto, o dal furgone, di passaggio per le strade

bombardate, dunque si tratti di scatti in qualche modo per se stessi “precari”, non possiamo sorvolare sul valore compositivo delle inquadrature, sempre precise, ben osservate, ben combinate nello spazio fotografico. In definitiva, si tratta di un eccellente modo di osservare e raccontare, di un efficace modo di declinare la fotografia, affidandole il compito di documentare per conservare avanti nel tempo il breve istante dello scatto, effimero in senso temporale assoluto, indelebile in quello relativo della pertinente narrazione. M.R.

PIAZZA

T

FIDIA

AVVINCENTI INQUADRATURE

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DARSENA, PORTA TICINESE LUOGO

NON IDENTIFICATO

sa di Garegnano, oggi seminascosta dai sovrappassi). L’inquadratura di piazza San Babila fa scoprire che oggi la colonna davanti alla chiesa è spostata di qualche metro: dove era, adesso c’è un’entrata della metropolitana. In piazza Cadorna, della stazione Nord era restata in piedi soltanto la facciata, poi però abbattuta nel dopoguerra. All’incrocio tra via Cesare Battisti, largo Augusto e via Visconti di Modrone il palazzo dove c’è la farmacia è l’unico punto di riferimento conservato. Dà emozione cercare di inquadrare adesso i soggetti di allora. Certi luoghi, certi edifici, certi scorci non li ritroviamo più, perché la ricostruzione ha cambiato profondamente il volto di Milano. Molte fotografie sono state prese dall’interno dell’auto: fermarsi avrebbe significato violare il dolore di quelle donne sedute accanto alle poche masserizie strappate ai calcinacci. Una sequenza senza retorica di particolari agghiaccianti, ma non meno drammatica nella propria essenzialità. Il tetto sfondato della Scala, le volte senza più vetri della Galleria, gli idranti in via Torino e in via Manzoni vicino al Museo Poldi Pezzoli. E figure senza nome: un vecchio con il cappello nero, forse intabarrato, una donnetta curva, vestita di scuro, con l’ombrello per ripararsi dal sole. Ovunque una patina spessa di polvere e cenere. Sandro Rizzi

tificazione di materassi, tante biciclette, carretti stracarichi, tricicli, furgoni. Su un camion colmo di mobili sono issate anche due donne, sembrerebbero suore. Auto a carbonella o con le bombole di gas sulla semideserta autostrada Milano-Vergiate (si riconosce l’imbocco perché in un fotogramma c’è la Certo-

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Franco Rizzi (1905-1945), cremonese, perito industriale, era ispettore dell’ufficio acquisti della Siai-Marchetti. Ogni innovazione tecnica lo affascinava: fabbricò la prima radio-galena di Cremona; all’inizio degli anni Trenta costruì da solo un motoscafo e lo varò nel Po; in casa realizzava tutto quanto potesse essere utile, dalle molle per la stufa all’armadio, al tagliatartufi. E spesso il bagno diveniva camera oscura: sui raccoglitori dei negativi annotava diaframmi e tempi di posa. Maria, la moglie (mancata nel 1995), ha custodito i suoi “gioielli” e il figlio Sandro, giornalista al Corriere della Sera, ha ereditato con la Leica la passione per la fotografia. Il reportage sui bombardamenti è (invece) un’eredità per tutti.


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L’ingresso al Carrousel du Louvre dalla parte dei Giardini delle Tuilleries, che porta direttamente all’androne di accesso a Paris Photo.

arigi 11 novembre. Inizia Paris Photo 2004 e il relativo pellegrinaggio al Carrousel du Louvre, nel tempio della fotografia d’autore. È la quarta volta che, ormai senza timore reverenziale, mi accingo a visitare questa fantastica mostra-mercato (FOTOgraphia, febbraio 2002, aprile 2003, marzo 2004). Mi sento quasi un veterano, conosco luoghi e percorsi, riconosco addetti e galleristi, pur senza avere la pretesa di esserne riconosciuto. In fondo sono sempre un fotografo, un operatore che vive di fotografia tutti i giorni, con tutti i problemi, le tribolazioni e le soddisfazioni relative. La fotografia che si vive a Paris Photo è di tipo particolare; non ci sono committenti, photo editor, art director, agenzie. O, meglio, spero proprio che ci siano, ma non sono qui a dire cosa vogliono. Siamo tutti qui a vedere e capire quello che la creatività dei singoli e la lungimiranza dei critici e delle gallerie mettono in mostra a favore dei collezionisti-investitori. Qui, il mercato della fotografia d’autore è fatto di ammiccamenti e sensazioni, anche se i dollari (gli euro?), alla fine, sono veri. Non ci sono dati ufficiali sulle transazioni, ma i bollini rossi,

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che identificano le opere vendute, fioriscono di fianco alle fotografie, indicando chiaramente le preferenze e che si tratta di vicenda seria. Ancora una volta, il senso di questa mia presenza è capire; capire meglio di che mercato si tratti, dove va e che opportunità offre. L’impressione è la solita: siamo in un mercato, di quelli veri/autentici, dove le bancarelle sono piene di tutto, in modo da offrire il prodotto giusto a ogni acquirente potenziale. Non siamo certamente in un negozio e men che meno in una boutique, dove le selezioni sono fatte all’origine e dove ci si reca sapendo in anticipo che genere di prodotti trovare. È giunta l’ottava edizione di questa manifestazione, che si presenta letteralmente e pomposamente come il “Punto di incontro di tutte le espressioni fotografiche” e definisce Parigi “Capitale mondiale della Fotografia”.

PARIGI CAPITALE Di sicuro c’è il fatto che Paris Photo è un autentico concentrato di Storia della Fotografia, attraverso tutte le epoche e i generi fotografici che si sono alternati. Basti pensare che all’interno del ristretto spazio espositivo di una sola galleria, la Howard Greenberg Gallery di New York, sono state esposte opere di William Klein, Robert Capa, Richard Avedon, Robert Mapplethorpe, Tina Modotti, W. Eugene Smith, Sarah Moon, Margaret Bourke-White, Henri Cartier-Bresson, solo per citare alcuni autori. Girare tutti gli stand è come visitare, in un colpo solo, un centinaio di musei e mostre, ricevendo allo stesso tempo proposte visive certamente più ampie. Volendo osservare, quello che manca è una guida ragionata, una guida critica, cui non suppliscono certo la cartella stampa, distribuita solo e rigorosamente ai giornalisti accreditati, il catalogo ufficiale e le pubblicazioni collaterali all’evento, che pur affollano

ENNESIMA LEZIONE Affermatosi come autentico crocevia della fotografia d’autore, finalizzata al mercato dell’arte e collezionismo, Paris Photo è un appuntamento che anno dopo anno conferma la propria statura. Una volta ancora, annotazioni dall’edizione 2004 da parte di chi osa ancora pensare che il cammino culturale possa essere comune e condiviso

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edicole e librerie della città. Ma, del resto, questa è condizione comune a tutte le fiere, dunque anche di questa mostra-mercato, nella quale ciascun espositore presenta un’ampia offerta e selezione. Dal mio punto di vista, Paris Photo è una manifestazione cui tutti gli operatori di un certo livello dovrebbero fare riferimento, organizzando visite, incontri e dibattiti; una occasione per fare il punto sulla fotografia, per stimolare, per accendere la passione, per soddisfare gli appassionati e per cercarne di nuovi, sia da un lato sia dall’altro della fotografia d’autore. Da una parte, gli autori hanno bisogno di sapere cosa è richiesto, di essere indirizzati, in qualche modo guidati; dall’altra, gli investitori e i collezionisti hanno necessità di conoscere tendenze e opportunità. Far incontrare offerta e domanda è compito istituzionale.

Izima Kaoru: UA wears Toga, 2003, dalla serie Landscapes with a Corpse, 1993-2003 (Büro für Fotos, Colonia).

Ilkka Halso: Kitka River, 2004; stampa 183x300cm montata su alluminio in edizione di sei esemplari (© Ilkka Halso; Taik Gallery, Helsinky).

ASSENZA ITALIANA Purtroppo in Italia non si sa chi siano le istituzioni in questo campo, ma oso suggerire una combinazione tra critici, giornalisti di settore, scuole, associazioni e, naturalmente (?!), politici. Invece, quanti addetti ai lavori italiani hanno partecipato a Paris Photo 2004? Tra coloro che dicono di amare la fotografia, tengono corsi e workshop, scrivono di fotografia, leggono portfolio, organizzano mostre e festival, quanti hanno pensato di doversi aggiornare dal vivo, di partecipare a un evento che tocca da vicino tutti quelli che vogliono considerarsi esperti? Domanda senza risposta, tristemente e desolatamente; e poi ci lamentiamo che la fotografia italiana non venga riconosciuta all’estero. Sapete il colmo? Nel comunicato stampa ufficiale della manifestazione, proprio nelle prime righe, è annunciato pomposamente che questa edizione ha segnalato la presenza di due nuove nazioni: l’Iran e l’Italia (proprio in quest’ordine!), con una galleria iraniana e due italiane. Traduco dalla presentazione della galleria di Teheran: «Dopo la fondazione nel dicembre 2002, la Silk Road Gallery si è consacrata unicamente all’esplorazione della fotografia. È l’unica galleria in Iran specializzata in questa arte e, benché privata, si è dedicata a imporre la fotografia in un paese dove il proprio riconoscimento, nonostante sia arte a tutto merito, è ben lontano dall’essere ammesso. L’altro merito di Silk Road è di far conoscere la fotografia iraniana al di fuori dei confini nazionali». Difatti, all’interno dello spazio espositivo sono stati presentati ben ventun autori iraniani con un centinaio di immagini (Shadi Ghadirian, a pagina 57). È proprio vero che c’è sempre da imparare, ma dover prendere lezioni così severe da chi ha scoperto la fotografia d’autore solo recentemente dimostra la pochezza di tutta la nostra impalcatura. Non a caso, quindi, solo undici autori italiani, con quaranta fotografie in mostra, sono stati presenti/presentati a Paris Photo 2004, dove sono state esposte ben quattromiladuecentouna immagini: non calcoliamo le percentuali! Considerando che è una situazione ormai pericolosamente statica, l’unica conclusione sarebbe proprio che ce lo meritiamo, per come siamo soliti con-

E IL DIGITALE

D

ell’accettazione del digitale ho già annotato, qua e là, e mi sembra doveroso segnalare l’inserimento di stampe inkjet su supporti nobili, specificatamente realizzate per il mercato fine art, come quella di Walker Evans (?!), sancendo la validità di queste nuove tecnologie nel mercato del collezionismo. È ancora presto per decretarne il successo, ma è simbolico del fatto che il progresso sia inarrestabile e che tutti dobbiamo essere preparati o quantomeno disposti ad accettarlo. Questo non significa che la fotografia tradizionale sia morta; anzi, secondo me, ne esce rafforzata, e proprio le stampe e le tecniche tradizionali, così ancora in voga ai nostri giorni, acquisiranno più valore. Considerazione valida anche per le care polaroid, che non sono certamente mancate tra le proposte d’autore, da Nobuyoshi Araki a William Wegman (a pagina 58), da Andy Warhol a Helmut Newton, con quotazioni anche ragguardevoli, come i seimila euro di una Polaroid Image di Helmut Newton, mancato all’inizio dell’anno.

durre le situazioni, anche se a rimetterci direttamente sono i fotografi! La loro, la nostra capacità e creatività è fuori discussione e non temiamo confronti; basti pensare al mondo della moda e alla nostra tradizione di arte e cultura. Allora perché? Perché non esportiamo i nostri prodotti culturali, dove il mercato c’è, e pure fiorente, salvo sporadici e faticosi tentativi individuali? Perché dall’estero non si conosce e valorizza la fotografia italiana? Proposta (utopistica?): perché non raccogliamo le forze, varie e sparpagliate, coinvolgendo politici e

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istituzioni, uffici per la cultura all’estero, ministero e assessorati alla cultura, per promuovere il nostro mondo della fotografia d’autore, che potrebbe rappresentare un ottimo attivo anche sulla bilancia dei pagamenti? Già commentando l’edizione Paris Photo 2003 (in FOTOgraphia dello scorso marzo), ho notato e fatto notare la preziosa attività di una regione tedesca, la Nord-Renania e Westfalia, che da sola supporta e sostiene gallerie locali (ben dieci) che rappresentano fotografi tedeschi. Una attività che sta dando grandi frutti, tanto che il ministro degli Affari Economici non esita a dichiarare che il sostegno dato a questa attività è giustificato dal successo/ritorno economico, pur riconoscendo che le motivazioni originarie riguardano la promozione del patrimonio artistico nell’ambito della fotografia d’autore, specifico della regione, che vanta il cinquanta per cento delle gallerie tedesche che operano nell’arte moderna e contemporanea.

VISIONE INTERNAZIONALE

William Henry Fox Talbot: Folded Lace, Photogenic drawing negative, circa 1842; 18,4x22,3cm (Hans P. Kraus Jr, New York). (in alto) Anna Atkins: Poa aquatica, Cyanotype negative, 1843-1844; 34,6x24,4cm su supporto 48,2x37,4cm, pagina da Cyanotypes of Bristish and Foreign Flowering Plants and Ferns (Hans P. Kraus Jr, New York).

Robert Capa: Battle of Rio Segre, near Fraga (Aragon front), November 7, 1938; stampa vintage 7 1/8 x9 1/2 pollici (Howard Greenberg Gallery, New York). Flor Garduño: Los limones, Messico, 1998; stampa al platino 33x44cm su supporto 44x55cm (Galerie Yves di Maria, Parigi).

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Il punto dolente è sempre lo stesso, tanto è vero che la Svizzera è stata la nazione invitata d’onore a Paris Photo 2004. Ben otto gallerie e la collezione del Museo di Winterthur sono state presenti alla manifestazione. Una curiosità? Le gallerie sono state equamente selezionate tra quelle dei Cantoni di lingua francese e tedesca, ma la Svizzera non ha tre anime? E sappiamo che a Chiasso, nel Cantone Ticino (in lingua italiana) c’è chi da anni lavora bene con la fotografia d’autore: la Galleria Cons Arc di Guido Giudici, in via Borromini 2 (0041-916837949, fax 0041-91-6829043; www.consarcch.com, galleria@consarc-ch.com). Gli intenti della presenza svizzera? Promuovere una nuova generazione di creatori di immagini, che non sono fotografi in senso stretto, ma utilizzano il mezzo fotografico declinandolo nel senso dell’arte visiva contemporanea. Il tutto a scapito degli autentici fotografi, che sanno coniugare l’essenza di un fantastico linguaggio, sfrattati dal proprio campo da sedicenti artisti, dopo l’invasione degli informatici. Se poi analizziamo le opere esposte, viene proprio da porsi delle domande tipo “Cosa ci stiamo a fare?” Un esempio? Cosa ne dite delle immagini di telecomandi (sì, proprio quelli che usiamo normalmente per cambiare i canali televisivi), ingranditi e proposti in tiratura limitata? Non importa se li vediamo su tutti i cataloghi dei produttori di televisori,

stampati in milioni di copie, ma dove la mettiamo la simbologia e la concettualità di un aggeggio che maneggiamo giornalmente e che condiziona le nostre serate e il nostro tempo libero? Certo, l’arte moderna e quella concettuale sono territori pericolosi; però dico la mia: appendere queste opere a una parete mi sembra proprio assurdo, e con i cinquemila euro cui sono stati proposti mi ci comprerei anche uno schermo al plasma! A considerarla positivamente, si potrebbe pensare che il nostro futuro di fotografi di ricerca non potrà che essere migliore.

BELLA FOTOGRAFIA Per fortuna, comunque, a Paris Photo 2004 le immagini godibili sono state tante; veniamo al dunque. Novantaquattro gallerie e undici editori hanno presentato un po’ di tutto, come abbiamo già annotato, spaziando dagli albori della fotografia alle avanguardie contemporanee. Addirittura da William Henry Fox Talbot (1800-1877), con un calotipo del 1842 realizzato esponendo un pizzo in luce diretta (in questa pagina), e da una sua seguace, Anna Atkins (1799-1871), con un cianotipo a contatto tratto da un album di foglie del 1843: fiori e felci realizzate come documentazione scientifica per raccogliere e conservare informazioni sul mondo vegetale (ancora in questa pagina). Il percorso virtuale ha toccato tutti gli aspetti della Fotografia: le sperimentazioni e le avanguardie degli anni Venti e Trenta, il reportage a cavallo delle due guerre mondiali, con l’immancabile Robert Capa (qui sotto), il reportage umanista degli anni Cinquanta, la scuola americana degli anni Sessanta e Settanta, la visione soggettiva, i fotomontaggi tratti dal cinema, la “Photographie Plasticienne” o “Plastic Photo” o “Messa in Posa”, come la definirei io, per simulare situazioni reali attraverso la costruzione o ricostruzione di situazioni non sufficientemente approfondite dal reportage vero e proprio. E poi il paesaggio, cui viene finalmente riconosciuto un valore fondamentale, soprattutto per il rapporto tra uomo e ambiente, tra natura e propria fruizione, attraverso varie interpretazioni, dalla tradizione classica alla ripetitività e standardizzazione, fino alle astrazioni, di cui il nostro Franco Fontana è maestro sublime a acclamato. In questo panorama, così vasto e impegnativo, hanno avuto modo di esprimersi tutte la gallerie di tutte le nazioni presenti, ognuna con le proprie


scelte e i propri gioielli. Scorro dagli appunti e dalle note prese a margine del catalogo, come il solito completo e ben fatto, per segnalare ciò che mi ha colpito maggiormente. Le immagini di Flor Garduño, splendide composizioni che uniscono nudo e natura morta, proposte in una sorta di mostra personale molto accattivante (pagina accanto). Peccato che l’iniziativa lanciata quest’anno di far intervenire alla manifestazione gli autori per incontrare i visitatori e autografare i propri libri non abbia avuto un buon riscontro da parte del pubblico, tanto che ho visto la stessa Flor Garduño e il sempre gioviale Franco Fontana chiacchierare serenamente mentre i visitatori circolavano incuranti. Un buon segnale, secondo me, sintomo che vengono privilegiate le opere e non c’è divismo per gli autori.

ALTRE FORME Come ampiamente previsto, anche i video sono ormai diventati d’autore. Molte le proposte, con schermi a cristalli liquidi appesi come quadri, che rappresentano momenti esistenziali, come quello -bellissimo- di un treno che arriva e parte da una stazione riflessa nello specchio di un cassettone, in sovrapposizione a una figura femminile, e quello -un po’ inquietante- di una composizione di capezzoli che lasciano cadere gocce di latte (di Henri Foucault, in questa pagina). Uno degli autori che più mi ha sorpreso è stato

Abelardo Morell, con immagini straordinarie, realizzate con il foro stenopeico o addirittura riprendendo le stanze in cui ha soggiornato girando il mondo, trasformate in “camera obscura”, con il relativo paesaggio di fronte disegnato al contrario su pareti e arredi (qui accanto). Una segnalazione merita sicuramente l’immagine di copertina del catalogo di Izima Kaoru (a pagina 53), la cui edizione su plexiglas in formato 30x40cm è stata venduta a milleseicentocinquanta euro per tutti i sette esemplari della tiratura dichiarata (ma c’erano altre copie in dimensioni diverse), evidente dimostrazione che marketing e pubblicità funzionano anche in questo campo. L’aggancio alle quotazioni mi dà modo di accennare anche ad altri autori, a titolo di esempio: quattromilacinquecento-seimila euro per le immagini di Paolo Roversi, seimila euro per quelle di Sarah Moon e ventimila-trentasettemila euro per Ansel Adams (le quotazioni più alte). Un caso curioso è quello di Rosemary Laing, che ha presentato fotografie rigorosamente realizzate in modo tradizionale e analogico, quando mirati interventi digitali avrebbero potuto risolvere i grossi problemi di composizione, considerando che la modella si libra nell’aria saltando su un tappeto elastico e gli uccelli sono stati liberati in contemporanea per cercare di sincronizzare le azioni (a pagina 58). C’è ancora spazio oggi per questo tipo di realizzazioni? Chi mai crederebbe che sia una immagine effettuata dal vero e non assemblando i vari soggetti? Se non l’avessi appurato direttamente, ascoltando l’ottima visita guidata organizzata dalle gallerie della Nord-Renania e Westfalia, come quasi tutti, avrei immaginato un discutibile utilizzo dei mezzi informatici. Che dire poi di Erwin Olaf, che nella sua ultima ricerca ha ricostruito meticolosamente e fedelmente ambienti degli anni Sessanta, fotografando scene di normalità, reali ma artificiose, di casalinghe e famiglie, di direttori e impiegati. Forse è stato il desiderio di rivivere quei tempi o la mancanza di una documentazione diretta del tempo, però il risultato è sorprendente, come rivedere attraverso il visore View-Master ambienti e epoche nella fissità di immagini stereo.

IN NEGATIVO Come ogni anno sento doveroso riportare anche gli aspetti che ritengo meno piacevoli, anzi in alcuni ca-

Henri Foucault: performance video.

Abelardo Morell: Light Entering our House, 2004; 50x60cm in edizione di trenta esemplari (Bonni Benrubi Gallery, New York).

(a sinistra, in alto) Shadi Ghadirian (Iran): Like everyday (Silk Road Gallery, Teheran). (a sinistra) Elena Dorfman: Rebecca 1 dalla serie Still Lovers, 2001; 30x30 pollici (© Elena Dorfman; Edwynn Houk Gallery, New York).

VALORE AGLI SPONSOR parallela. A margine di Paris Photo 2004 va ancora registrata la presenza di sponnon fotografici a supporto della fotografia d’autore. La tedesca BMW ha confermato, con Aforza,sornnotazione la propria volontà di essere presente in un mercato, quello dei collezionisti, verso il quale ha rafforzato l’immagine di classe e stile legata alla proprie vetture della Serie Uno, organizzando uno specifico premio Uno e Unico per segnalare un’opera “unica”, una immagine forte o eccezionale di un fotografo contemporaneo vivente. Una giuria prestigiosa ha indicato l’artista svizzero Jules Spinatsch, cui sono andati i dodicimila euro del premio. Non male! Anche Giorgio Armani ha sfruttato pubblicitariamente l’ambiente di Paris Photo 2004, con una installazione multimediale posizionata subito dopo l’ingresso e quindi altamente visibile: altra dimostrazione di come dall’esterno venga vissuta la realtà della fotografia d’autore, entrata a tutto diritto nel mondo dell’arte.

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Rosemary Laing: Bulletprooofglass # 8, 2002; c-print 94x136cm in edizione di quindici esemplari (Galerie Conrads, Düsseldorf). (in alto, a destra) Vincent Bergerat: Bride 6, 2003 (© Vincent Bergerat; Galerie Léo Scheer, Parigi). (a destra) Daniëlle Kwaaitaal: Floating, 2004 (Torch Gallery, Amsterdam). William Wegman: Leafy Green, 2003; polaroid 50x60cm (Galerie Bugdahn und Kaimer, Düsseldorf).

si proprio sgradevoli. È stata certamente fastidiosa l’azione di una fotografa che ha presentato, un po’ nascosta per fortuna, una serie di immagini di donne che fanno pipì -Les Pisseuses, appunto- con i genitali femminili e l’uscita del liquido bene in vista, con la motivazione di voler rappresentare un atto che per tanto tempo è rimasto “riservato” (ed è lecito che tale rimanga). Forse c’è motivo per superare questo tabù, ma non ne sentivamo la mancanza, almeno nell’ambito della fotografia d’autore. Lo stesso discorso vale per tutta la serie di immagini, proposte qua e là, che vanno dagli amplessi riflessi da vetrate e specchi alla scene saffiche, alla defecazione sulla testa calva di qualcuno che si è prestato a fare da latrina, alle rappresentazioni di organi sessuali fini a se stessi, ovviamente nel pieno del proprio vigore, degni di riviste e club di altro genere. Può essere che vi siano collezionisti anche in quegli ambiti, ma un banale comune senso del pudore vorrebbe che non si mostrassero certe immagini a chi non vuole vederle, soprattutto quando si cerca di affermare che stiamo trattando di Arte. Di ben altra natura, pur se scomode, sono le immagini di Elena Dorfman, che simulano e documentano il rapporto tra uomini e bambole gonfiabili: fotografia inquietante, ma coinvolgente. Con il titolo Still Lovers l’autrice apre un mondo possibilistico di morboso attaccamento di uomini con le proprie finte modelle/amanti, vissute però come vere compagne

IL MESE DELLA FOTOGRAFIA solo poche righe al Mois de la Photo, programma fotografico di prestigio esteso in tutta francese, in quanto non ho avuto il tempo materiale per visitare un sufficiente nuDmerolaedicodicapitale mostre. Non potendo relazionare in modo esauriente, annoto comunque che le proposte sono state tante e golose, dislocate sia in musei e spazi istituzionali, sia in centri culturali e dedicati all’arte, fino alle gallerie che per propria natura si occupano solo di fotografia. A conclusione di questa presentazione vorrei esprimere l’augurio di poter affrontare la prossima edizione con l’orgoglio di essere italiano, ringraziando le due gallerie italiane presenti a Paris Photo 2004: Brancolini Grimaldi di Firenze e Photo&Contemporary di Torino. Per l’immediato futuro, già dall’edizione 2005 spero che anche altri operatori si facciano avanti e che, magari, si possa organizzare un evento tutto italiano che richiami l’attenzione del pubblico internazionale sulla nostra Fotografia e i nostri autori. Chi ne ha voglia, allargando lo sguardo oltre il proprio piccolo orticello, si faccia avanti. Sono certo che, tutti insieme, potremmo/potremo fare grandi cose.

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di vita (a pagina 55). Spero che non sia una realtà, ma potrebbe esserlo: documentazione di disagio, solitudine, incapacità di stabilire rapporti veri con le persone dell’altro sesso, paura, voglia di soddisfare i propri istinti sessuali senza troppe implicazioni.

AL POSITIVO Ci sono state pure delle immagini poetiche, e abbiamo già detto del grande ritorno del paesaggio come uno dei soggetti preferiti. Tra gli autori scegliamo Vincent Bergerat, la cui rappresentazione della natura è idilliaca e piacevole (qui in alto). E poi, ancora, le foglie come acquasantiere di Marie Amar, i seriosi animali di William Wegman in polaroid 50x60cm (a sinistra), i fiori di Irving Penn e Robert Mapplethorpe, i nudi fluttuanti di Daniëlle Kwaaitaal (qui sopra), belli anche se non all’altezza di quelli altamente poetici e molto più complessi e delicati della nostra Patrizia Savarese e, per finire, la fantastica foresta di Ilkka Halso, che ha ben sfruttato la possibilità della postproduzione digitale per costruirci sopra una enorme serra, monito ben riuscito di prendere cura del nostro territorio e delle nostre risorse naturali, con una immagine veramente curata e di grande impatto (a pagina 55). Ripeto, queste sono solo alcune annotazioni, impossibile citare tutti. Spero solo di essere riuscito a solleticare la curiosità di qualcuno, che alla fine desideri venire con me l’anno prossimo per condividere questa grandiosa esperienza. Beppe Bolchi


Nel centro storico di Milano, a due passi dal Duomo, il piÚ grande negozio Canon d’Italia


IL REALE E L’IMMAGINARIO

S

Singolare opera, quasi indefinibile. Una combinazione tra elementi eterogenei, amalgamati tra loro con maestria e intuizione, che hanno come esito un progetto editoriale unico nel proprio genere. Insieme, gli ingredienti che compongono la ricetta -fotografia, ricostruzione storica, geografica e zoologica, nozioni e pratica di scultura e potenza della fantasia- ridanno vita, in un libro fotografico, al dodo, grande uccello estinto trecento anni fa, e ricollocato virtualmente nel proprio habitat naturale e nel proprio aspetto originale. Autore di questa affascinante vi-

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sione è il fotografo finlandese Harri Kallio, la cui concretizzazione nell’opera fotografica ed editoriale Il dodo e l’isola di Mauritius. Incontri immaginari ha ottenuto il premio nella corrente edizione 2004 dell’European Publishers Award for Photography, da cui la pubblicazione continentale del titolo: in Italia, da Peliti Associati. Il progetto del fotografo consiste in un percorso che comprende tempi e azioni diverse: dapprima si segnala la ricostruzione storica, geografica e zoologica dell’evoluzione del dodo, che ha portato il fotografo a studiare presso biblioteche e musei in varie parti del mondo alla ricerca di ogni fonte utile al proprio scopo. A seguire, Harri Kallio ha eseguito due sculture a grandezza naturale dell’uccello, un maschio e una femmina, e realizzato uno studio fotografico dei resti dell’animale, conservati in musei internazionali di storia naturale. In ultima battuta ci sono le ambientazioni fotografiche vere e proprie, rea-

Ricostruzione di dodo: scheletri meccanici in alluminio e acciaio. Modello ricostruito di dodo, posizionato nel suo habitat di origine. Scheletro di dodo; Museo Storia Naturale di Londra. Modello ricostruito di dodo, posizionato nel suo habitat di origine.

lizzate inserendo i modelli di dodo nell’habitat naturale, appunto l’isola di Mauritius richiamata dal titolo della ricerca e della monografia. L’intento di Harri Kallio è proporre un incontro immaginario con questo grosso uccello estinto nella sua terra di origine: in una forma alquanto visionaria, con audacia e sfrontatezza, propone un irreale ma straordinario accordo di passato e presente, capace di dare una forma di bellezza a ciò che non c’è più, di rendere realistico l’inesistente. Legato a un immaginario bonario, il dodo è stato una delle creature più particolari e fantastiche che


PREMIO EUROPEO ome annotiamo nel corpo centrale dell’articolo, il fotografo finCsimalandese Harri Kallio si è imposto nell’edizione 2004, l’undicedall’origine, del concorso European Publishers Award for Pho-

Il dodo e l’isola di Mauritius. Incontri immaginari, fotografie e realizzazione scenica di Harri Kallio; Peliti Associati, 2004; viale della Beata Vergine del Carmelo 12, 00144 Roma (06-5295548, fax 06-5292351; www.peliti.it, www.pelitiassociati.com; inforoma@pelitiassociati.it); 123 pagine 29x23,5cm, cartonato con sovraccoperta; 35,00 euro.

siano mai esistite. Quando le navi europee arrivarono nell’isola di Mauritius, fecero strage di molti degli animali sconosciuti che abitavano l’isola; in particolare, i dodo si lasciavano catturare senza sforzo, perché incapaci di volare e perché non avevano paura dei cacciatori,

non avendo mai sperimentato prima di allora il ruolo di preda. Anche Lewis Carroll, nella propria veste di scrittore (e qui la citazione ha per noi un duplice riferimento, essendo stato anche delirante e straordinario fotografo; FOTOgraphia, dicembre 2002), inse-

tography organizzato da sei case editrici europee. È premiato il progetto di un libro di immagini, che viene simultaneamente pubblicato nei rispettivi paesi: Inghilterra (Dewi Lewis Publishing), Germania (Edition Braus), Francia (Actes Sud), Spagna (Lunwerg Editores), Grecia (Apeiron Photos) e Italia (Peliti Associati, l’editore che ha ideato il Concorso). Nel corso degli anni, il concorso ha puntualizzato il proprio obiettivo dichiarato: diffondere la cultura fotografica, offrendo al vincitore una distribuzione autenticamente europea. Il progetto deve essere inedito e non antologico (per esempio la raccolta delle fotografie di una carriera). All’autore vincitore vengono assegnati dodicimila euro come diritti sulle prime ottomila copie pubblicate e come rimborso delle spese sostenute per la stampa delle fotografie. Nelle precedenti edizioni si sono segnalati: Dario Mitidieri, I Bambini di Bombay (1994; FOTOgraphia, ottobre 1994); Shanta Rao, Donne d’Africa (1995); Bruce Gilden, Haiti (1996); Toni Catany, Nature in posa (1997); Dean Chapman, Karenni. La guerra dimenticata di una nazione assediata (1998); Jeff Mermelstein, SideWalk. Per le strade di New York (1999); Alfons Alt, Bestiae (2000); David Farrell, Paesaggi Innocenti (2001); Simon Norfolk, Afghanistan Zero (2002; FOTOgraphia, giugno 2003); Haris Kakarouhas, Il tempo sospeso. Un ritratto di Cuba (2003). Termine di partecipazione alla dodicesima edizione 31 gennaio 2005 (Peliti Associati, Simona Caroselli, viale Beata Vergine del Carmelo 12, 00144 Roma; 06-5295548, fax 06-5292351; www.peliti.it, www.pelitiassociati.com, caroselli@peliti.it). Il dodo di Edwards; Museo Storia Naturale di Londra, 1626 (dipinto di Roelandt Savery).

risce questo irreale uccello nel celeberrimo Le Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie: «Bene, disse il dodo, il modo migliore per spiegarlo è farlo». A.Alp.

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ydrostat, definizione esplicativa, è la nuova testa Manfrotto per treppiedi a base idrostatica: realizza una fluidità di movimento, una precisione e una forza di bloccaggio significativamente superiori alle convenzionali teste a sfera tradizionali. Compatta e leggera, ha una portata fino a sedici chilogrammi, che ne estendono le possibilità di impiego con una vasta serie di attrezzature fotografiche, il cui alloggiamento è altresì favorito dalle piastre di attacco dedicate, delle quali stiamo per riferire. Il sistema di blocco idraulico è regolabile. Sfrutta l’incompri-

H

nua del frizionamento, per adeguarsi esattamente al peso e ingombro dell’attrezzatura fotografica in uso. Realizzata in magnesio, con sfera da cinque centimetri di diametro rivestita in teflon, la nuova testa dispone di bloccaggi indipendenti in inclinazione (più o meno 90 gradi) e in rotazione panoramica orizzontale, lungo tutta l’escursione completa di 360 gradi. Sono previste e preordinate piastre di attacco, cui abbiamo appena accennato, oltre la semplice piastra fissa (in dotazione): piastre intercambiabili ad inserimento rapido e sicuro nel vano sagomato. Dall’ampio sistema Manfrotto

FORZA

Una particolare ed esclusiva tecnologia dei materiali consente alla testa a sfera idrostatica Manfrotto Hydrostat (appunto) una collocazione fotografica fluida e vigorosa, di massima sicurezza di uso

E PRECISIONE mibilità dei fluidi per applicare attrito sull’ampia superficie della sfera, anziché su un’area limitata, come nelle teste a sfera a bloccaggio diretto convenzionale. Inoltre, la particolare ed efficace testa Manfrotto Hydrostat (codice 468MG) consente la regolazione conti-

di accessori utilizzabili da diverse configurazioni, si segnalano la piastra esagonale RC0, la prima di una lunga genìa, in catalogo dagli anni Ottanta (!), adatta per pesi fino a 16kg, le piastre semplici RC2 (fino a 10kg) e RC4 (fino a 16kg, con pin di registrazio-

ne e bolla di riferimento autonoma), e le piastre rapide scorrevoli RC3 (fino a 16kg) e RC5 (fino a 12kg), tutte illustrate in questa pagina. (Bogen Imaging Italia, via Livinallongo 3, 20139 Milano). Antonio Bordoni

La testa a sfera idrostatica Manfrotto Hydrostat può utilizzare l’ampia gamma di piastre rapide intercambiabili del proprio sistema: esagonale RC0, semplici RC2 e RC4, scorrevoli RC3 e RC5.

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gni proposizione fotografica che si inserisce nel variegato mondo dell’acquisizione digitale di immagini ha come obbligo di presentarsi con una prerogativa propria, capace di fare la differenza in un ambito tecnico tecnologicamente esuberante. La tecnologia Anti-Shake della nuova reflex digitale Konica Minolta Dynax 7D, che ingrossa le fila di un’offerta commerciale estremamente diversificata, è esattamente ciò che la propria definizione sottintende. È un dispositivo che controlla il micromosso dell’apparecchio, per limitare, se non già eliminare, i casi di mosso involontario, anche quando si scatta con poca luce, usando obiettivi di lunga focale, piuttosto che nell’inquadratura macro e, in generale, quando si fotografa in condizioni precarie senza treppiedi. L’Anti-Shake, volontariamente disattivabile, evita altresì di dover selezionare equivalenze Iso superiori (nella gamma di 100, 200, 400, 800, 1600 e 3200 Iso), che possono influire sulla qualità dell’acquisizione digitale. A seguire, le altre caratteristiche e prestazioni della reflex digitale a obiettivi intercambiabili ribadiscono le applicazioni tecnologiche maturate nella lunga esperienza delle reflex a obiettivo zoom fisso della genìa Dîmage (le cui configurazioni Dîmage 7 e Dîmage A2 hanno conquistato ambìti premi TIPA: rispettivamente nel 2001 e 2004; FOTOgraphia, settembre 2001, giugno e novembre 2004). Quindi, nel concreto, il sensore solido CCD di acquisizione digitale di grandi dimensioni (23,5x 15,7mm), da 6,1 Megapixel effettivi, può contare sull’esclusiva tecnologia proprietaria Konica Minolta di elaborazione dell'immagine CxProcess III, che garantisce immagini ad alta definizione e dall'aspetto naturale. Un nuovo chipset LSI assicura, poi,

O

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l'alta velocità di elaborazione dei dati per un miglior controllo della reflex.

CONTINUITÀ Sul dorso della Konica Minolta Dynax 7D, un ampio monitor LCD a colori ad alta definizione da 2,5 pollici semplifica le operazioni di consultazione del menu e fornisce tutte le informazioni sugli scatti e sulle impostazioni della re-

flex. Date le dimensioni del monitor, l'istogramma dell'immagine può essere sovrapposto senza oscurare l'immagine stessa; inoltre, si possono richiamare fino a sedici miniature accostate. Il monitor LCD funziona, quindi, come display di Navigazione per poter effettuare tutte le impostazioni necessarie, mostrando l’insieme delle informazioni operative selezionate con te-

sto a caratteri grandi e ben leggibili. Per un uso ancora più semplice, il display passa automaticamente dall’inquadratura orizzontale a quella verticale quando si ruota la reflex. Dal consistente sistema di reflex analogiche Dynax, la digitale Dynax 7D, con corpo macchina in resistente lega al magnesio e pannello frontale in acciaio inox, eredita il sem-

Prima reflex digitale a obiettivi intercambiabili dotata della tecnologia proprietaria Anti-Shake, nell’uso la Konica Minolta Dynax 7D, con sensore CCD di acquisizione da 6,1 Megapixel di risoluzione, eredita l’insieme delle caratteristiche e prestazioni fotografiche delle reflex analogiche della propria famiglia

STABILITÀ D I G I TA L E


plice sistema di impostazione immediato e intuitivo tramite selettori e leve, e il mirino super luminoso per un confortevole controllo del soggetto inquadrato: pentaprisma in vetro ottico con fattore di ingrandimento 0,9x e campo visivo del 95 per cento. Ovviamente, la compatibilità Dynax è completa, a partire dal sistema di obiettivi autofocus, nato con l’originaria 7000AF, la prima reflex autofocus al mondo. L’accomodamento autofocus ad alte prestazioni e alta velocità dispone di un sensore AF centrale a croce con nove punti in otto linee, per la massima precisione e prestazioni elevate nella rilevazione del soggetto in movimento all'interno dell'inquadratura. Il sistema AF dispone sia del Controllo Predictive della Messa a Fuoco sia della Rilevazione del Soggetto, rendendola adeguata alle condizioni di rapido movimento del soggetto, per esempio nel caso di avvenimenti sportivi.

REGISTRAZIONE Simultaneamente, la Konica Minolta Dynax 7D può registrare in formato grezzo RAW e in dimensione compressa Jpeg, rispettivamente finalizzate a diversi impieghi della fotografia digitale. La reflex usa card CF Tipo I e Tipo II, Microdrive, SD e MultiMedia con adattatore opzionale SD-SF. L’avanzamento continuo ad alta velocità e elaborazione immagine con Buffer di grande capacità consente di registrare alla cadenza di tre fotogrammi al secondo, fino a nove scatti consecutivi, sia in formato RAW sia in combinazione RAW più Jpeg. Inoltre, è possibile scattare an-

che fino a dodici immagini Jpeg a 3008x2000 pixel, in modalità extra-fine, e quindici immagini Jpeg delle stesse dimensioni, in modalità fine. Queste capacità di scatto ad alta velocità sono ideali per catturare espressioni spontanee, momenti sportivi o azioni repentine, mantenendo inalterata l'alta qualità dell'immagine. Per la gestione delle acquisizioni si segnala il Dîmage Master: software opzionale che migliora il flusso di lavoro degli utenti avanzati. Dispone di diversi strumenti per la classificazione e il confronto delle immagini, per la massima efficienza nella scelta degli scatti migliori. Un nuovo programma di elaborazione dei file in formato RAW permette la riproduzione più accurata del colore. La correzione immagine dispone di controllo fine con cinque passi, per nitidezza, contrasto, saturazione del colore e tonalità. Oltre la modalità auto e la modalità persona-

lizzata per la migliore impostazione in condizioni di luce difficili, la Konica Minolta Dynax 7D ha sei modalità preimpostate di bilanciamento del bianco. Offre inoltre l'impostazione numerica della temperatura colore, che consente un grado maggiore di corrispondenza della temperatura. È possibile una regolazione di precisione da 2500 a 9900 kelvin,

con incrementi progressivi di 100K. Ultimo, ma non ultimo (le sfumature tecniche sono molte di più, da approfondire attraverso i canali di informazione predisposti dal distributore), la definita Corrispondenza Zone è una nuova tecnologia che permette la riproduzione precisa delle gradazioni di colore nelle alte luci e nelle ombre, essenziale in condizioni di scatto difficili con alte luci predominanti; nella pratica, assicura immagini prive di rumore anche con poca luce. Il sistema di Corrispondenza Zone permette un controllo efficace della cattura dei toni bassi e alti. I toni bassi sono importanti per catturare le alte luci, mentre i toni alti sono importanti nei casi di poca luce. (Rossi & C, via Ticino 40, 50010 Osmannoro di Sesto Fiorentino FI). A.Bor.

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ANCORA TRATTI DI REPORTAGE

I

Ironia della sorte (?!). Immediatamente a ridosso della nostra segnalazione dello scorso ottobre, quando commentammo l’edizione dei due volumi del fumetto francese Le Photographe, pubblicato da Dupuis, con relativa traduzione italiana del primo (Lizard edizioni di Roma), nelle librerie specializzate è arrivato anche il secondo fascicolo italiano: appunto, Il fotografo, secondo volume. Dunque, corre l’obbligo dell’aggiornamento, con la doverosa segnalazione della traduzione di Daniela Papa, non indicata nel corso della nostra presentazione originaria. I termini si confermano. La seconda puntata dell’avventura del fotografo prosegue il cammino av-

viato con il primo volume: ribadiamo reportage tra disegno e fotografia. Riprendiamone i termini, dalla nostra segnalazione di ottobre. Il fotografo, dall’originale Le Photographe, è una storia contemporanea a fumetti, che racconta una vicenda vera attraverso la combinazione insolita di disegno e fotografia. Concepita e ideata da un fotoreporter (appunto), Didier Lefèvre, che racconta se stesso, la propria esperienza di vita e lavoro in Afghanistan in un lasso di tempo che va dal 1986 al 2002, come abbiamo appena accennato, la narrazione scorre su un doppio binario parallelo e conseguente di tratto grafico (disegno, fumetto) e immagini fotografiche. Dedicato all’équi-

Il fotografo (secondo volume), di Emmanuel Guibert, Didier Lefèvre e Lemercier; Lizard edizioni, 2004; vicolo Margana 15, 00186 Roma (www.lizardedizioni. com, lizarded@ tin.it); 80 pagine 23x30cm, cartonato; 17,50 euro.

pe di Medici Senza Frontiere, che hanno realmente vissuto la storia qui rivelata (Juliette, Robert, Régis, John, Mahmad, Sylvie, Évelyne, Odile, Michel e Ronald), il racconto è stato composto in collaborazione tra il fotografo Didier Lefèvre, il disegnatore Emmanuel Guibert e lo sceneggiatore Lemercier (del quale non ci è stato possibile recuperare il nome di battesimo). Da FOTOgraphia di ottobre: «Un esito editoriale al contempo geniale, commovente e terribilmente drammatico: là dove il disegno (il fumetto) dà rilievo e leggerezza al valore estetico resta sempre uno spazio in cui si incastra, con il proprio linguaggio reale e crudele, la verità di una fotografia. Dalle strisce dei provini a contatto delle fotografie con cui, in una sequenza di scatti, Didier Lefèvre saluta Parigi, città in cui vive e che sta lasciando, alle immagini di vero e proprio reportage di vita e di guerra, che ricorrono in tutto il libro, il percorso visivo e narrativo fornito al lettore è sapientemente dosato, per dare corpo a questo singolare prodotto della comunicazione. Un fumetto? Una raccolta di immagini di reportage? Un racconto di Storia? Tutti e tre, probabilmente (o sicuramente?). E la loro combinazione non stride. Chi sa vedere la verità, o meglio, chi vuole guardarla, non teme il mezzo con cui la si propone». A.G.


UNA LIBERA DECISIONE: LA VOSTRA. Con la *ist Ds siete voi a realizzare le foto, quelle che più vi piacciono, sfruttando tutte le migliori caratteristiche offerte dalla fotografia digitale. Scegliete l’obiettivo e il tipo di illuminazione, naturale o flash, scegliete i programmi dedicati o il pieno controllo manuale. E tutto questo con la sicurezza di una struttura in acciaio, compatta e robusta, per immagini migliori in ogni momento.

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