Mensile, 5,70 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano
ANNO XII - NUMERO 109 - MARZO 2005
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Reflex digitali NIKON D2HS CANON EOS 350D
Vincenzo Cottinelli e Tiziano Terzani FOTOGRAFIE DI UN’AMICIZIA
CULTURA DELL’IMMAGINE
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QUALE ONESTÀ?! Ovvio che una simile ricchezza non si acquisisce senza un certo numero di irregolarità più o meno gravi. La legge è legge, d’accordo, ma esiste un livello sociale al di sopra del quale la Giustizia getta lo sguardo solo se vi è proprio costretta. [...] Si ignorava forse, in alto loco, che le leggi sulle società, sugli utili commerciali, nonché le più elementari norme doganali venivano continuamente violate dai Ferchaux (con tutte le apparenze della legalità, peraltro)? E ci si era forse assicurati che le diverse concessioni di cui i due fratelli avevano beneficiato non avessero una loro contropartita occulta? Difficile credere che tutto questo non fosse noto, e, in una clamorosa intervista, François Morel, l’ex avvocato divenuto in seguito il consulente di Dieudonné Ferchaux, ebbe a dichiarare: «Se le grandi imprese dovessero sottostare alla morale che regola le azioni dei comuni mortali, non ci sarebbero né banche, né fabbriche, né grandi magazzini. «Non fatemi ridere, signori, con questa improvvisa crisi di onestà! [...] «È la legge della giungla, signori. «Ma, per favore, non mi si venga a parlare di legalità o di moralità pubblica». Georges Simenon (da Il primogenito dei Ferchaux) BUON RICORDO. Della recente stagione delle copertine dei libri tascabili abbiamo scritto per tempo: nel giugno 2000 abbiamo affrontato l’argomento, concentrandoci sull’attento utilizzo di buone fotografie in qualche modo e misura direttamente collegate con la narrazione evocata. Oggi riprendiamo l’argomento, per collegarci idealmente alle considerazioni secondo le quali un certo discorso fotografico dipende in buona misura dall’esplicito richiamo agli stessi strumenti della fotografia: come annotiamo anche nell’ambito delle riflessioni sul possibile connubio tra industria e cultura, esemplificato con il concreto programma di Visual Gallery, in sintonia con la Photokina di Colonia (da pagina 34). L’illustrazione sulla copertina dell’ennesima edizione di un romanzo di Agatha Christie, Gli elefanti hanno buona memoria, nella collana Narrativa degli Oscar Mondadori, propone una fotografia attribuita all’archivio Special Photographers/Photonica. Dal nostro punto di vista ci soffermiamo sul soggetto: una elegante Rolleicord d’annata, adeguatamente messa in pagina.
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Un paesaggio, una fotografia, altro ancora. Il modo in cui vediamo le cose dipende da come le guardiamo.
COPERTINA Particolare di una delle fotografie presentate nella collettiva Contemporary Art from China, allestita nell’ambito del differenziato programma Visual Gallery, che ha accompagnato la scorsa Photokina di Colonia [fotografia di Chi Peng, intitolata Spinting Forward-2; a pagina 34, l’inquadratura completa]. A freddo, oltre la cronaca dei giorni, torniamo sulla felice combinazione tra Visual Gallery e Photokina, appunto, per riflettere sul valore e l’essenza del rapporto culturale che potenzialmente unisce e collega l’industria fotografica alla cultura della fotografia. In sintesi: tecnica e creatività, tra loro conseguenti. Approfondiamo, riflettendone da pagina 34 3 FUMETTO Dettaglio dalla copertina di Topolino, numero 2470, del Primo aprile 2003. Per combinazione, o caso (?), ammesso che il caso possa anche esistere, in questo stesso numero citiamo ancora Topolino a proposito di una iniziativa tridimensionale: a pagina 21
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7 EDITORIALE Tra forma e contenuto, per dare peso e consistenza alle riflessioni oggi ufficialmente riferite a mostre e premi 8 I MAGNIFICI SETTE In occasione del Worldwide Pinhole Photography Day 05, la collettiva Seven Eyes presenta sette autori internazionali 12 NOTIZIE Attrezzature, vicende e altre segnalazioni
18 IL SORRISO NELLE COSE Nature non morte di Maurizio Sapia affronta con ironia e piglio vicende inafferrabili, coinvolgendo l’osservatore
20 NUDI (ORMAI) D’EPOCA Una affascinante edizione libraria conferma la personalità fotografica dell’attore (del muto) Harold Lloyd, una volta ancora e una di più nel senso della restituzione tridimensionale (3D): appunto Hollywood Nudes in 3-D
24 FOTOGRAFIA DELL’INVISIBILE 60
Il qualificato Musée suisse de l’appareil photographique ospita una mostra che rapporta scienza e fotografia; fino all’autunno, Photographie, Science, Conscience
. MARZO 2005
RRIFLESSIONI IFLESSIONI,, OSSERVAZIONI OSSERVAZIONI EE COMMENTI COMMENTI SULLA SULLA FFOTOGRAFIA OTOGRAFIA
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Anno XII - numero 109 - 5,70 euro
Ritrattista di scrittori, ma non solo, Vincenzo Cottinelli ha avuto il privilegio di fotografare Tiziano Terzani nell’arco di un decennio: tra occasioni pubbliche e private, sempre nel segno dell’amicizia di Grazia Neri 31. ...anche fotografo, di Vincenzo Cottinelli
DIRETTORE
IMPAGINAZIONE Gianluca Gigante
REDAZIONE Alessandra Alpegiani Angelo Galantini
34 TECNICA E CREATIVITÀ Prendiamo esempio dalla Visual Gallery, che ha accompagnato la merceologica Photokina. I possibili e potenziali contributi dell’industria potrebbero dare corpo e consistenza a un proficuo discorso culturale di Alessandra Alpegiani e Maurizio Rebuzzini
FOTOGRAFIE Rouge
SEGRETERIA Maddalena Fasoli
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43 UN ANNO DI FOTOGIORNALISMO Ancora, le più appariscenti fotografie premiate al World Press Photo 2005 sottolineano le tragedie del mondo di Sara Del Fante
48 TALENTI DA SOSTENERE Il Premio Canon Giovani Fotografi ribadisce il concreto impegno della celebre casa fotografica. Quindi, l’insieme delle fotografie vincitrici rivela i connotati espressivi di una generazione attenta e partecipe di Alessandra Alpegiani
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Nell’ambito dell’acquisizione digitale di immagini, la reflex Nikon D2HS puntualizza proprie caratteristiche e doti di velocità di uso, precisione e praticità operativa di Antonio Bordoni
In consecuzione focale, due zoom per il sistema digitale e tradizionale Konica Minolta Dynax: con ordine, AF Zoom 17-35mm f/2,8-4 (D) e 28-75mm f/2,8 (D)
65 MAN RAY Sguardi su un occhio anarchico della fotografia di Pino Bertelli
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60 UNO DIETRO L’ALTRO
Come da aspettative e programma, prosegue il cammino Canon avviato con l’originaria Eos 300D. In evoluzione, reflex digitale Canon Eos 350D
COLLABORATO
Pino Bertelli Antonio Bordoni Vincenzo Cottinelli Sara Del Fante Grazia Neri Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Antonella Simoni Zebra for You
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58 SOPRATTUTTO IN RAPIDITÀ
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HANNO
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55 ELEMENTI FORTI D’ISLANDA Resoconto di un viaggio svolto da Mario Vidor attraverso una natura incontaminata, ricca di evocazioni primordiali
RESPONSABILE
Maurizio Rebuzzini
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orma e contenuto. A partire dall’arte, e dalle relative riflessioni, il connubio tra forma e contenuto è stato spesso dibattuto e approfondito. Anche la fotografia in quanto tale, in quanto espressione o comunicazione visiva, dipende dal sottile legame che unisce, appunto, la forma al contenuto. Tanto per dire, la forma dà peso e sostanza al contenuto. In tutti i casi, una cattiva forma, o una forma inadeguata, non invita a valutare i contenuti: sia dalle pagine illustrate, sia nella messa in mostra di stampe originarie. Nello specifico, oltre una buona stampa (in tiratura piuttosto che in copia fotografica), la fotografia ha anche bisogno di una coerente presentazione: messa in pagina, nel caso di pubblicazione; passepartout, cornice e atmosfera, in quello dell’allestimento scenico. Oggettivamente, possiamo affermare che una buona forma salva un’immagine mediocre, così come una cattiva forma rovina un’immagine buona. Insomma, l’ordine è necessario, addirittura è richiesto. Sicuramente è indispensabile. Riferiamo gli stessi concetti alla confezione di una rivista, come è FOTOgraphia, che si propone soprattutto per la consistenza delle proprie annotazioni e osservazioni fotografiche. La forma serve per arrivare ai contenuti, ma la forma non deve distogliere dai contenuti. Al proposito, riferendoci alla sequenza di argomenti riuniti in questo numero, è opportuno rilevare (o rivelare?) il sottile filo conduttore che, come solito, unisce tra di loro i singoli interventi, finalizzati a un percorso omogeneo; addirittura a una riflessione coerente. Dietro l’apparenza di argomenti oggi soprattutto (soltanto?) riferiti a mostre e premi c’è la dichiarata volontà di puntualizzare sempre e comunque un approfondimento sulle più concrete consistenze fotografiche, quelle sulle quali edificare ogni discorso in essere e divenire. Zigzagando tra consistenti espressioni della fotografia italiana e internazionale riprendiamo e sottolineiamo quel filo comune che collega un corretto discorso di contenuti e relativa visualizzazione. In un’idea, sopra le tante possibili, riscontriamo quanto terreno di dibattito esista ancora attorno la Fotografia (Maiuscola); terreno e dibattiti che non si devono lasciare cadere o perdere, ma raccogliere e portare alla ribalta, giorno dopo giorno nei rispettivi ambiti d’azione. A ben guardare, la materia non manca, gli stimoli sono infiniti. Soltanto non c’è coordinamento e coordinazione. Questo è il punto effettivo, per il quale non abbiamo formula/soluzione: come fare per dare ulteriore visibilità a queste energie, che pure esistono e si muovono tutte nella stessa direzione? Noi ci stiamo pensando, e speriamo di non essere soli in questo. Noi ci mettiamo a disposizione, nella speranza che il terreno diventi, in qualche modo e misura, comune. Maurizio Rebuzzini
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In un montaggio di Timo Bosma, il regista Orson Welles è raffigurato con due apparecchi fotografici epocali, in dimensioni volontariamente esagerate: Rolleiflex (presumibilmente B/1 Secondo tipo, 4x4cm) e Leica M3. Senza preconcetti, né feticismi fini a se stessi, una delle considerazioni che andrebbero riprese e dibattute riguarda proprio il rapporto tra strumenti e immagine. Ne riparleremo.
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I MAGNIFICI SETTE Fotografia stenopeica di Danilo Pedruzzi, uno dei sette autori della selezione Seven Eyes, nel cui ambito espone una serie di still life di natura realizzati con un apparecchio 4x5 pollici autocostruito (qui sotto e fotografia di scena in basso, sinistra).
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Arrivato alla quinta edizione, il Worldwide Pinhole Photography Day conferma la sostanza delle proprie intenzioni originarie. Domenica 24 aprile, in tutto il mondo, il Wppd 2005 dà vita a manifestazioni a tema e iniziative che celebrano e promuovono la fotografia a foro stenopeico (senza obiettivo; FOTOgraphia, maggio 1997, giugno 1998, luglio 1998, ottobre 1998, marzo 2000 e aprile 2002). In forma autonoma, oltre che spontanea, gli autori e gli appassionati sono invitati a una partecipazione attiva, oltre le iniziative che vengono organizzate e svolte da associazioni e organizzazioni. Si chiede di realizzare una fotografia con un qualsiasi sistema a foro stenopeico (ufficiale o autocostruito), per contribuire alla salute e conseguente continua diffusione di un procedimento fotografico storico, che prevede l’esposizione senza obiettivo di materiale sensibile. Il Worldwide Pinhole Photography Day si propone di divulgare questa pratica artistica. Come abbiamo accennato, l’evento è promosso a livello internazionale ed è aperto a tutti quanti ne vogliano far parte. Nella mostra web dell’originario
SVILUPPO IMMEDIATO egnaliamo ancora il kit che Polaroid Sobiettivo, ha realizzato per la fotografia senza combinato con un proprio dorso portapellicola a filmpack della serie 600. L’apparecchio stenopeico Polaroid Pinhole Camera si compone attorno il magazzino portapellicola. Alternativamente, si può adottare il foro stenopeico da 0,3mm oppure quello da 0,4mm, cui conseguono tempi di esposizione progressivamente diversi, saggiamente sintetizzati sull’apposita guida di esposizione.
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Wppd 2001 (www.pinholeday.org) confluirono fotografie di duecentonovantun autori stenopeisti, provenienti da ventiquattro nazioni; l’anno dopo, nel 2002, si è saliti a novecentotré immagini, da trentacinque paesi; nel 2003 hanno partecipato milleottantadue fotografi di quarantadue nazioni; l’anno scorso si è arrivati a millecinquecentododici stenopeisti di quarantatré paesi (referente italiano: Paolo Aldi, via Garibaldi 10, 38068 Rovereto TN; 0464439333; paoloald@tin.it).
SEVEN EYES Tra le iniziative italiane organizzate in occasione del Worldwide Pinhole Photography Day spicca la mostra allestita a Bonate Sotto, nella cintura di Bergamo, a cura dello Studio Fotografico L’Obiettivo (via Giovanni XXIII 6; 035-4942204; obiettivo@interfree.it). Sette punti di vista autonomi sono riuniti nel contenitore, appunto, Seven Eyes: collettiva di fotografia stenopeica in cartellone dal 24 aprile. La stessa domenica 24 aprile, ufficiale Worldwide Pinhole Photography Day 2005, si svolge anche un workshop a tema, che illustra le possibilità e potenzialità della fotografia senza obiettivo: sia con apparecchi autenticamente tali, quantomeno nell’aspetto, sia con sistemi autonomi autocostruiti (a ciascuno, il suo: come spesso si dice). Tre autori italiani e quattro internazionali danno vita alla mostra fotografica Seven Eyes, nella quale convergono diverse esperienze stenopeiche. Still life si alternano a pano-
rami, e non mancano visioni che introducono ulteriori parametri visivi alla sola esposizione con foro stenopeico. Per dire, si approda a stravolgimenti arbitrari, che esulano dalla sola proiezione su un piano (focale) prestabilito e autenticamente tale (piano), per la collocazione differenziata del materiale sensibile.
Paesaggi stenopeici del turco Ahmet Sabuncu, realizzati con disposizione curva del materiale sensibile.
La vicenda, come spesso abbiamo annotato, è affascinante e merita la massima attenzione. Infatti, non si tratta tanto e solo di trasgressioni visive, per quanto volontarie e arbitrarie, ma di autentiche interpretazioni del reale, che traducono nel concreto la base fondamentale del linguaggio fotografico.
SENZA OBIETTIVO!
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ome abbiamo già avuto modo di annotare, ma la ripetizione serve, quella del foro stenopeico (pinhole, in inglese), è una storia antica, che si perde nella notte dei tempi e precede la vicenda fotografica: riguarda la formazione delle immagini, indipendentemente dalla propria registrazione. Applicato sul fronte della camera obscura, un piccolo foro consente la proiezione dell’immagine sulla parete opposta. Il princìpio della trasmissione rettilinea della luce è alla base del foro stenopeico, che oggi trova adepti e applicazioni nell’ambito dell’interpretazione arbitraria del gesto tecnico della fotografia. Come rivela l’insieme delle esperienze individuali, alcune delle quali abbiamo già registrato (per esempio la fotografia a foro stenopeico di autori ungheresi contemporanei; FOTOgraphia, aprile 2002), l’intento è quello di ricercare emozione e stupore autentici, che partono dall’atto fotografico in sé per percorrere strade di avvincente creatività. Gli sperimentatori che assemblano apparati personali, spesso più complessi di altri, in genere agiscono agli opposti: in grande o in piccolo. Con progetti vasti (fino a proiezioni di metri quadrati) o soluzioni minimali: foro stenopeico su barattoli, scatole da scarpe e altri recuperi dalla vita quotidiana (FOTOgraphia, ottobre 1998). A parte l’esposizione di negativi da stampare poi su carta, si possono realizzare fotografie ste-
nopeiche proiettando direttamente su carta sensibile, collocata sul piano focale scelto. Ancora oggi la fotografia senza obiettivo rappresenta una forte tentazione visiva. Grande è il desiderio di esprimere al meglio il proprio gusto, senza necessariamente scontrarsi con il rigore dei valori tecnici più consolidati, anche se vanno rilevate considerazioni basilari altrettanto caratteristiche, che in genere non appartengono alla dimensione creativa. Accenniamo che a parte la spontaneità dell’impiego, anche il foro stenopeico stabilirebbe condizioni tecniche rigorose e vincolanti; per esempio la qualità della proiezione, ovvero la qualità formale dell’immagine finale, dipende dal rapporto tra diametro del foro stenopeico e tiraggio al piano focale. Qui la vicenda è complessa: diversi studi sono approdati a conclusioni autonome e contrastanti. Tuttavia, questa rilevazione tecnica passa in secondo piano, oppure va ignorata del tutto, quando si considera la fotografia senza obiettivo nella sola componente estetica e creativa: a ciascuno, la propria. Da una parte, ci sono sistemi spontanei, istintivi, estranei a ogni schema precostituito, che esprimono voglia di trasgressione. Dall’altra non si esaurisce la ricerca di quel tecnicismo che si basa su un foro stenopeico ottimale, senza sbavature e perfetto nel proprio microscopico diametro, tale da garantire un’alta qualità formale in aggiunta all’espressività individuale.
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Non è la prima volta che lo rileviamo: la fotografia è raffigurativa per propria natura (nel senso che richiede un soggetto concreto) e rappresentativa per propria scelta (nel senso che ciò che presenta è interpretato dall’autore, è la sua comunicazione). Per quanto servano conferme, la collettiva Seven Eyes ha proprio questo indiscutibile merito: di dare spessore e consistenza a un’esperienza visiva altrove troppo spesso relegata al solo gioco fine a se stesso, e dunque impoverita dei propri solidi e consistenti contenuti. La lezione dei sette autori, che stiamo per elencare, è nobile nelle intenzioni e nella pratica. Compone
Adventures with Pinhole and Home-Made Cameras; di John Evans; RotoVision, 2003; 144 pagine 22,5x26cm; 30,00 euro.
Ancora still life di natura di Danilo Pedruzzi, autore che da tempo frequenta con attenzione e abilità la fotografia stenopeica.
FORO STENOPEICO E DINTORNI
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icca e abbonante, più di quanto si possa immaginare, la bibliografia sul foro stenopeico si è recentemente arricchita di un ennesimo titolo, che per il vero non si limita alla sola fotografia senza obiettivo. Pubblicato da RotoVision nel 2003, e recuperabile sia presso le librerie specializzate sia in Rete, come rivela subito il titolo Adventures with Pinhole and Home-Made Cameras spazia a tutto campo tra le esperienze di fotografia creativa arbitraria: appunto con il foro stenopeico e con apparecchi autocostruiti o modificati. Autentica sintesi e guida allo stesso momento, la raccolta ha un solo difetto, che è poi sostanziale, non soltanto formale. Non supera la dimensione di gioco, dando soprattutto peso e spazio alla bizzarria, spesso fine a se stessa, e quindi rischia di rinchiudersi e limitarsi al solo gesto. A nostro modo di vedere la creazione di immagini, indipendentemente dalla mediazione degli strumenti, o forse anche in dipendenza, non è mai sterile, ma risponde a pulsioni e intendimenti creativi individuali, che non dovrebbero mai slittare in secondo piano. Anzi, è vero il contrario: sono sempre primari.
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un avvicinamento alla delicata materia che non cede alle facili lusinghe del mezzo, così ricco di espressione propria, ma lo domina e riconduce a concrete intenzioni creative e di comunicazione. E non è certo poco. Anzi! A cura dello Studio Fotografico L’Obiettivo, Seven Eyes presenta opere di Pierluigi Manzone (Italia; www.ffplm.it), Ahmet Sabuncu (Turchia; www.pinhole-photo.com), Henrieke I. Strecker (Germania; www.pinhole-photography.de), Ricardo Montesdeoca (Canarie, Spagna; www.ricardomontesdeoca.com),
Giorgio Oliviero (Italia), Zernike Au (Hong Kong; costruttore della linea di apparecchi a foro stenopeico Zero Image; www.zeroimage.com) e Danilo Pedruzzi (Italia; www.fotolobiettivo.com). M.R. Seven Eyes; Prima collettiva di fotografia stenopeica. Centro Socio Culturale, via San Sebastiano, 24040 Bonate Sotto BG. Dal 24 aprile al Primo maggio; 24, 25, 30 aprile e Primo maggio 10,00-12,00 - 16,00-19,00, 26, 27, 28 e 29 aprile 20,00-22,00. Workshop: 24 aprile, 15,00.
EPSON® e Epson Stylus Photo™ sono marchi registrati di Seiko Epson Corporation.
Un colore può emozionare. Soprattutto se è l’unico che devi sostituire.
Ci sono cose insostituibili. E poi ci sono i Multifunzione Epson che, oltre ad avere le funzioni di una stampante, di uno scanner e di una fotocopiatrice, sono dotati di una particolare caratteristica: le cartucce di inchiostro singole. Stampare le tue foto non è costoso: ad esempio con Epson Stylus Photo RX425 puoi ottenere fotografie di alta qualità a soli € 0,39 l’una*. Per ulteriori informazioni sui Multifunzione Epson, visita www.epson.it o chiama il numero verde 800-801101. *Costo basato su una confezione di PhotoPack: € 39 Iva incl. - contiene 4 cartucce + 100 fogli carta fotografica 10x15
OBIETTIVO DEL BUON RICORDO. Viviamo un’epoca fotografica ormai schiava di se stessa, rivolta e indirizzata fino all’esasperazione (ormai inarrestabile) di ardite interpretazioni zoom: da escursioni fortemente grandangolari a intervalli sempre più accentuati, che ormai superano la soglia, un tempo sognata, dell’ingrandimento 10x. In questo mondo, altrimenti impegnato, la giapponese Pentax riprende un disegno ottico a focale fissa che ebbe propri momenti di splendore una ventina di anni fa circa (per molti “all’origine -quasi- dei Tempi”). L’attuale SMC Pentax-DA 40mm f/2,8 è un obiettivo ultra-sottile che offre alle reflex digitali di ultima generazione *istD e *istDs (FOTOgraphia, febbraio 2005) una combinazione ottica di straordinaria compattezza, oltre che efficienza: 15mm di spessore con un peso di soli 90 grammi. Progettato seguendo concetti propri delle esclusive serie “Limited Edition”, l’obiettivo offre immagini di alta qualità, elevato contrasto, efficace risoluzione, grande plasticità nella resa e minime aberrazioni ottiche. Le altre caratteristiche qualificanti riguardano la costruzione in alluminio, la focale standard 40mm (da rivalutare come prospettiva visiva: discorso certo ampio, che andrebbe affrontato in tempi e modalità opportune), la generosa apertura relativa f/2,8 (in una scala di diaframmi che chiude fino a f/22), una minima distanza di messa a fuoco da soli 40cm, l’esclusivo dispositivo Quick Shift Focus System (per selezionare con un solo movimento la modalità di messa a fuoco Auto/Manuale), il diaframma composto da nove
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lamelle (per una riproduzione “plastica” dei piani fuori fuoco), e due possibilità di innesto filtri (49mm sull’obiettivo e 30,5mm sul paraluce). L’eccezionale maneggevolezza e praticità di uso, abbinate all’elevata qualità ottica, fanno del nuovo SMC Pentax-DA 40mm f/2,8 Limited l’obiettivo standard da 39 gradi di angolo di campo ideale in una vasta serie di applicazioni: istantanee, ritratti, riprese in interni e paesaggi. (Protege - Divisione Foto, via Pratese 167, 50145 Firenze).
MINICARD CON ADATTATORE. Specializzata nell’offerta di strumenti per la memorizzazione di file digitali, la californiana SimpleTech ha realizzato la nuova gamma di Flash Memory Card Mini SD e RS-MMC, che arrivano sul mercato unitamente al lettore di card FlashLink; e poi si segnala anche la penna USB 2.0 Flash Driver. In particolare, le minicard si indirizzano al mercato dei cellulari, in crescente espansione, tanto da richiedere costantemente nuovi supporti per la memorizzazione di dati sempre più eterogenei, che vanno dai numeri di telefono contenuti nella rubrica alle immagini realizzate con le funzioni fotografiche incorporate, agli MP3, ai servizi GPS. Le nuove memory card MiniSD e RS-MMC nascono nelle capacità da 128 e 512Mb e offrono le medesime caratteristiche tecniche delle schede standard, in una dimensione sostanzialmente ridotta (quasi la metà). Quindi, grazie all’adattatore a corredo, le stesse MiniSD e RS-MMC si convertono istantaneamente in schede standard SD e MMC. Allo stesso momento, si segnala il lettore FlashLink “Allin-one” USB 2.0, che permette un trasferimento rapido e sicuro al computer dei dati, delle immagini e della musica contenuti in diversi supporti di memoria: SecureDigital, MultiMedia, Memory Stick, SmartMedia Tipo I e II, CompactFlash e Microdrive.
Con una velocità di trasferimento di 480Mb al secondo e una compatibilità estesa al sistema USB 1.1, il nuovo lettore SimpleTech, interfacciabile con sistemi operativi PC Windows e Apple Mac, si pone come soluzione ideale per tutti gli utilizzatori di diversi supporti di memoria. Infine, la chiavetta USB 2.0 Flash Driver si presenta con una velocità di scrittura di 7,8Mb al secondo e di lettura di 8,6Mb al secondo, ed è disponibile in diverse capacità: 128, 256, 512Mb e poi 1 e 2Gb. Adatta per dati di ogni genere, comprese le immagini e i file MP3, la chiavetta Flash Driver consente di disporre di una vasta memoria in cui archiviare i propri file, in un supporto decisamente portatile: 91x25x15mm; 15 grammi. (Nital, via Tabacchi 33, 10132 Torino).
RINNOVAMENTO AZIENDALE. A capo della filiale europea della statunitense Pelican Products, con sede a Barcellona, in Spagna, arriva Christopher Marino (Los Angeles, 1965; qui sopra), nuovo Direttore Generale al posto di Scott Ermeti, che ha avviato l’esperienza commerciale in Europa e ora torna alla casa madre in qualità di Vicepresidente Marketing con incarichi sulle operazioni internazionali. Leader mondiale nella fabbricazione di valigie ermetiche di protezione e torce professionali, da tempo Pelican ha intrapreso una politica di proiezione sui mercati mondiali, con particola-
re attenzione alle potenzialità del territorio europeo. Nello specifico, si annotano le soluzioni tecniche Pelican per la fotografia professionale e per il trasporto e la protezione di attrezzature digitali: in valigia ermetica con sagomatura interna. (Mafer, via Brocchi 22, 20131 Milano).
LUCE CONCENTRATA. Flash elettronico anulare dedicato alle reflex digitali e tradizionali, il nuovo Sigma Macro EM 140-DG ribadisce i princìpi dell’illuminazione concentrata nella fotografia a distanza ravvicinata. Il completo automatismo di esposizione si abbina e combina con i sistemi di misurazione e lettura TTL delle reflex a obiettivi intercambiabili di ultima generazione. Il flash è composto da due lampade lampo che possono essere usate simultaneamente, oppure svincolate e separate per effetti luminosi particolari. In ogni condizione di impiego, dotato di controllo a distanza wireless, senza cavi, il Sigma Macro EM 140-DG è un flash elettronico con Numero Guida 14 (in riferimento alla sensibilità di 100 Iso) dotato di sincronizzazione ad alta velocità e di compensazione dell’esposizione. La modalità Modeling permette di controllare il contrasto del soggetto prima dello scatto. La massima potenza può essere controllata e ridotta fino a 1/64 della totale. (Mamiya Trading, via Cesare Pavese 31, 20090 Opera Zerbo MI).
10x E OLTRE. Ancora solo per reflex digitali a obiettivi intercambiabili, con sensore di dimensioni inferiori al fotogramma tradizionale 24x36mm. Se accettiamo come lecita la trascrizione, lo
APS-C, il versatile zoom presenta una costruzione meccanica adeguatamente ridotta, rispetto il disegno per fotografia 24x36mm. Idealmente, si accoda allo zoom tutto grandangolare Tamron SP AF 11-
18mm f/4,5-5,6 Di-II Aspherical (IF), analogamente dedicato all’acquisizione digitale di immagini (FOTOgraphia, novembre 2004), per una combinazione ottica capace di soddisfare l’escursione continua comparata da 17 a 300mm. Il Tamron AF 18-200mm f/3,5-6,3 XR Di-II Aspherical (IF) Macro adotta uno schema ottico completamente nuovo, che utilizza il vetro XR (Indice Extra Rifrattivo) in modo innovativo, per meglio distribuire la potenza ottica su tutta la copertura focale. Questa costruzione riduce le varie aberrazioni al minimo assoluto e contemporaneamente ha consentito l’incredibile riduzione delle dimensioni, già ricordata (83,7x73mm in 423 grammi di peso). Per ottenere una efficace compensazione delle aberrazioni cromatiche sull’asse e laterali, fattore critico
nella fotografia digitale, sono stati utilizzati tre elementi ibridi asferici e due elementi in vetro LD a basso indice di dispersione. In particolare, i raggi immagine sono stati concentrati all’interno di un cono, in modo da raggiungere il sensore di acquisizione digitale con un’incidenza adeguata alle proprie esigenze . Inoltre, la perdita di luce periferica è stata minimizzata in confronto agli obiettivi tradizionali per reflex analogiche, in modo che le immagini abbiano una luminosità uniforme dal centro ai bordi. In montatura per reflex digitali Canon, Minolta, Nikon e Pentax. (Rossi & C, via Ticino 40, 50010 Osmannoro di Sesto Fiorentino FI).
DA CARICATORE. Evoluzione della dotazione originaria 3600, la configurazione Braun Multimag SlideScan 4000
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zoom Tamron AF 18-200mm f/3,5-6,3 XR Di-II Aspherical (IF) Macro è la traduzione in chiave digitale, con copertura di campo limitata ai sensori prossimi alle dimensioni APS-C, dell’escursione originaria AF 28-300mm per reflex 24x36mm: una delle più apprezzate interpretazioni ottiche Tamron (FOTOgraphia, aprile 1999), altresì premiata dalla qualificata giuria TIPA nella propria sessione di fine millennio (FOTOgraphia, settembre 1999), sistematicamente ritoccata nel corso degli anni. Analogamente, l’escursione significativamente superiore alla soglia dei dieci ingrandimenti passa rapidamente dall’ampia visione grandangolare al concentrato e conveniente avvicinamento tele. Data la configurazione ottica, ribadiamo progettata per l’uso esclusivo con reflex digitali con sensore di dimensioni
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perfectly level Con i modelli G1227LVL e G1228LVL, Gitzo inaugura una nuova generazione di supporti fotografici: i treppiedi con colonna centrale livellante. Questa è inclinabile a piacere di +/- 12° grazie allo speciale snodo della crociera, così da permettere una perfetta messa in bolla della fotocamera senza dover regolare le gambe del treppiedi e mantenendola nel centro di gravità, anche su terreni irregolari.
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Gitzo è distribuito in esclusiva da:
Bogen Imaging Italia Via Livinallongo, 3 20139 Milano Tel. 02 5660991 Fax 02 5393954 www.bogenimaging.it info@it.bogenimaging.com
ALTRI ZUIKO DIGITAL. Subi-
combina la praticità di scansione da caricatori portadiapositive con i vantaggi operativi della eliminazione automatica di polvere e graffi con tecnologia Digital ICE. Come noto, si tratta di una funzione basata sull’hardware, che esegue una ulteriore scansione all’infrarosso della diapositiva, per correggerne i difetti fisici utilizzando i pixel immediatamente adiacenti alla parte difettosa. A seguire, il nuovo scanner Multimag SlideScan 4000 è fornito di due ulteriori funzioni, che intervengono per migliorare il risultato della scansione. In particolare, si segnalano il Digital ROC, che agisce automaticamente sulla correzione del colore per migliorare la qualità dell’immagine, e il Digital GEM, che corregge le imperfezioni causate dalla grana della pellicola. Oltre la alta velocità di scansione, con preview visibile già dopo quindici secondi, e la facilità di utilizzo, lo SlideScan 4000 segnala una alta risoluzione di 3600x3600dpi, una profondità colore di 48 bit e una densità di 3,4 Dmax. La flessibilità di impiego si estende a una consistente gamma di caricatori portadiapositive utilizzabili: Paximat da 36 o 50 diapositive, Paximat circolari da 100 diapositive, Paximat compatti da 50 diapositive, CS da 40 o 100 diapositive e lineari universali da 36 o 50 diapositive. L’utilizzo è simile a quello di un proiettore per diapositive; il trasporto della diapositiva può essere effettuato in avanti oppure indietro. Interfacce di ultima generazione USB 2.0 e FireWire consentono un rapido e sicuro trasferimento dei dati dallo scanner al computer Mac o PC. (Fowa, via Tabacchi 29, 10132 Torino).
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to disponibile, il nuovo zoom Zuiko Digital ED 7-14mm f/4 anticipa una consistente crescita, quasi esponenziale, del particolare sistema ottico dedicato alle reflex digitali a obiettivi intercambiabili della gamma Olympus E: dall’originaria E-1 alla recente E-300 (rispettivamente: FOTOgraphia, luglio e dicembre 2003 e febbraio 2004). Con una escursione focale che parte dall’ampia inquadratura grandangolare 7mm (equivalente alla visione 14mm del formato fotografico 24x36mm), offre un angolo di campo di 114 gradi sul sensore digitale QuattroTerzi. A fuoco da soli dieci centimetri, consente e realizza affascinanti prospettive visive. La generosa apertura relativa, costante per tutta l’escursione focale soltanto grandangolare (corrispondente alla variazione 14-28mm della fotografia 24x36mm), si combina con una attenta costruzione ottica telecentrica, che integra una lente asferica ED in vetro sagomato bifacciale di diametro superiore a 50mm. Quindi, due elementi in vetro Super ED e due elementi ED riducono drasticamente il problema di aberrazione cromatica. Il trattamento Multi-coating minimizza significativamente il fenomeno di ghosting e flaring, responsabili della formazione di “immagini fantasma” o fenomeni di “riverbero” dell’acquisizione digitale.
Una costruzione “Splash proof” e “Dust proof”, per una affidabilità totale in tutte le situazioni di ripresa, si abbina alle dimensioni estremamente compatte proprie e caratteristiche dello standard digitale QuattroTerzi. A seguire, per l’autunno sono annunciati altri tre zoom: due ad ampia apertura relativa f/2, una volta ancora costante per tutta l’escursione focale (Zuiko Digital ED 14-35mm f/2 e Zuiko Digital ED 35-100mm f/2), e l’altro a inquadratura tele con confortevole apertura relativa (Zuiko Digital ED 90250mm f/2,8). Al solito, le equivalenze con la fotografia 24x36mm ribadiscono il fattore di moltiplicazione 2x. Quindi, rispettivamente: 28-70mm, 70200mm e 180-500mm. (Polyphoto, via Cesare Pavese 1113, 20090 Opera Zerbo MI).
POPOLO PENTAX. L’affezione al marchio Pentax è più consistente di quanto si potrebbe supporre, ed è certamente particolare: tanto è che si segnala addirittura l’attività di un attento AOHC - Asahi Optical Historical Club d’Italia (presso Dario Bonazza, via Badiali 138, 48100 Ravenna; 0544-464633; dbonazza@libero.it), che da dieci stagioni organizza anche un seguìto Pentax Day annuale. Ora, gli appassionati dello storico marchio giapponese hanno uno spazio in Rete, dove scambiare opinioni, informazioni e anche esporre le proprie fotografie. Dalla Homepage del sito italiano Pentax (www.pentaxitalia.com) si accede all’area Pentax Community, dedicata alle tematiche legate al marchio. Coloro che si registrano, possono esporre le proprie immagini nella Pentax Photo Gallery e anche ricevere, volendolo, una newsletter periodica di informazione sulle novità di prodotto e le iniziative che ruotano attorno il mondo Pentax. (Protege - Divisione Foto, via Pratese 167, 50145 Firenze).
PER IMMERSIONE. La custodia subacquea Fantasea Line FD-70 è disegnata per la reflex digitale Nikon D70. Custodia in policarbonato compatta e leggera, realizzata tramite stampaggio a iniezione, è dotata di pratiche impugnature ergonomiche che ne agevolano l’utilizzo e il trasporto. Il sistema di oblò intercambiabili permette l’impiego di un’ampia gamma di obiettivi, e assicura le migliori opportunità per riprese subacquee di alto livello. Inoltre, è adatta alla protezione contro i danni provocati da pioggia, neve, sabbia, polvere ed elementi atmosferici avversi. Un esclusivo sistema di tenuta tramite guarnizioni e anelli O-ring è garantito per immersioni fino alla profondità di sessanta metri. La reflex digitale Nikon D70 “scivola” all’interno della custodia tramite una guida appositamente progettata. (Nital, via Tabacchi 33, 10132 Torino).
MINILAB. Il nuovo Frontier 570 rappresenta la nuova generazione della serie di minilab Fujifilm. Fornisce servizi innovativi ai laboratori fotografici e garantisce un’elevata velocità di elaborazione, in modo che le stampe possano essere consegnate in breve tempo: fino a milleottocento copie 10x15cm l’ora. Tale velocità è resa possibile dall’impiego della nuova carta fotografica Fujifilm Crystal Archive Paper Type 02 e dei prodotti chimici CP-49E. Inoltre, con l’introduzione del nuovo Digital Imaging Controller, il minilab Fujifilm Frontier 570 può eseguire quasi lo stesso numero di stampe da
sorgenti digitali e da pellicole, contribuendo a migliorare la produttività e a incrementare notevolmente il profitto del negozio, in un ingombro totale di soli 1,84 metri quadrati. Oltre a offrire l’avanzata tecnologia proprietaria di elaborazione delle immagini Fujifilm Image Intelligence, il minilab digitale è dotato di nuove funzioni avanzate, quali la correzione completamente automatica dell’effetto occhi rossi. La messa a punto di una nuova architettura del sistema ne espande ulteriormente le prestazioni, permettendo la completa personalizzazione del software per i singoli mercati e le esigenze dei vari utenti. Un’ampia gamma di connessioni con altri dispositivi di acquisizione e restituzione è ora possibile attraverso l’interfaccia aperta. (Fujifilm Italia, via dell’Unione Europea 4, 20097 San Donato Milanese MI).
VALIGE PROFESSIONALI. La torinese Fowa, presente sul mercato fotografico con marchi primari, rivolti sia alla fotografia professionale sia alla fotografia non professionale, inizia la distribuzione delle valige fotografiche GT Line, concreta realtà industriale Italiana specializzata nel settore della valigeria ad uso tecnico, professionale e militare. Una specifica gamma di prodotti ad alte prestazioni, dedicata al mondo della fotografia, è disegnata e costruita per trasportare in sicurezza attrezzature costose e delicate.
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La linea Explorer include una vasta gamma di valige in resina plastica a tenuta stagna e virtualmente indistruttibili, che ben si prestano a questo proposito. Le caratteristiche distintive segnalano la costruzione in resina plastica ad alto spessore, guarnizioni in neoprene e valvola di pressurizzazione, che permette di assestare la pressione interna nel caso di variazione di altitudine o temperatura. Disponibili in dimensioni adeguate, le valige Explorer sono realizzate in tre colori standard (arancio, nero e verde militare); le dimensioni più grandi hanno ruote e maniglie telescopiche per un facile trasporto. Diverse possibilità di personalizzazione degli interni: con spugna a cubetti, per alloggiare qualsiasi tipo di oggetto; con fondo vuoto, predisposto per l’inserimento di pannelli di controllo per strumenti elettronici, con una serie di borse imbottite modulari ed estraibili; a divisori regolabili, con pannelli per il coperchio e tasche porta documenti organizzate per mezzo di capienti tasche. (Fowa, via Tabacchi 29, 10132 Torino).
IPERCOMPATTA. Il nuovo sensore Super CCD di quinta generazione da sei Megapixel, un monitor LCD da 2,5 pollici e un elegante design ultra-compatto di soli diciotto millimetri di spessore inaugurano l’innovativa gamma di digitali Fujifilm Z, che parte con la FinePix Z1, realizzata in metallo satinato e disponibile nelle finiture silver e nero. Combinata alla tecnologia proprietaria Real Photo, l’efficienza del sensore Super CCD HR di quinta generazione permette di acquisire immagini anche in notturno o in condizione di luce particolarmente difficili: si possono impostare sensibilità equivalenti da 64 a 800 Iso. A seguire, si segnala un’elevata velocità di accensione in soli 0,6 secondi e
un ritardo di scatto di solo 1/100 di secondo dopo la pressione del pulsante. Questo consente di riprendere soggetti in movimento in piena libertà e con la sicurezza di ottenere sempre immagini definite e perfettamente a fuoco. Lo zoom ottico 3x, con escursione comparata alla variazione 36109mm della fotografia tradizionale 24x36mm, è totalmente incorporato nel corpo macchina; il suo ingrandimento può essere moltiplicato con zoom digitale 5,7x. Altra caratteristica discriminante della compatta digitale Fujifilm FinePix Z1 è l’ampio monitor LCD da 2,5 pollici, ideale per la condivisione di fotografie e video anche in condizioni di scarsa luminosità. Il download delle immagini e dei video registrati è estremamente veloce e semplice, tramite il cavo USB 2.0 High Speed oppure tramite il Picture Cradle in dotazione. (Fujifilm Italia, via dell’Unione Europea 4, 20097 San Donato Milanese MI).
TELE ZOOM. Tutta l’escursione dell’imminente SMC PentaxDA 50-200mm f/4-5,6 ED è orientata nella fotografia tele, con reflex digitali del sistema Pentax *istD e *istDs (FOTO graphia, febbraio 2005). Con il sensore solido CCD ad acquisizione digitale di immagini, la variazione di campo da 31,5 a 8,1 gradi si manifesta, appunto, nell’ambito dell’avvicinamento tele, equivalente all’intervallo da 76,5 a 306mm della fotografia tradizionale 24x36mm. Nella costruzione ottica composta da undici lenti divise in dieci gruppi, elementi ottici in vetro ED (Extra-low Dispersion), a basso indice di dispersione, contribui-
scono alla correzione ottimale delle aberrazioni proprie della fotografia con focali lunghe. (Protege - Divisione Foto, via Pratese 167, 50145 Firenze).
SITI DEDICATI. Informazioni di attualità e storiche e approfondimenti sui prodotti fotografici distribuiti da Rossi & C. di Firenze sono disponibili on line ai rispettivi indirizzi. ❯ www.rossiphoto.it, sito istituzionale di riferimento. ❯ www.konicaminoltaphoto.it, sito di collegamento all’universo fotografico del qualificato marchio giapponese, nato dalla fusione tra le produzioni originarie Konica e Minolta. ❯ www.tamrac.it, riferito all’importante gamma di borse e accessori fotografici. ❯ www.tamron.it, caratterizzato da presentazioni delle novità e analisi della gamma di obiettivi universali. ❯ www.delkindevices.it, dedicato alle novità che si susseguono nell’animato mondo dei supporti di memoria digitale. (Rossi & C, via Ticino 40, 50010 Osmannoro di Sesto Fiorentino FI).
FACILI FACILI. Le nuove compatte digitali Canon PowerShot A510 e A520, rispettivamente da 3,2 e 4 Megapixel, sono dotate di zoom ottico 4x, venti modalità di scatto, video VGA, potente flash elettronico incorporato con parabola zoom, funzioni di stampa diretta e tanti accessori opzionali per estendere la propria versatilità. Lo zoom 4x è più piccolo del 13 per cento e più leggero del 20 per cento rispetto a quello delle compatte che sostituiscono, le PowerShot A75 e A85. Nella propria costruzio-
ne, sfrutta la tecnologia Glass Moulded Optics (GMO) per migliorare la nitidezza dell’immagine. Ampliando la focale verso l’alto, lo zoom 35140mm f/2,6-5,5 (nell’equivalenza al formato fotografico 24x36mm) presenta anche un nuovo sistema di messa a fuoco più efficiente, che limita il consumo di energia. (Canon Italia, via Milano 8, 20097 San Donato Milanese MI).
FILTRI IN DIGITALE. Riferimento primario, la francese Cokin declina anche nell’ambito digitale la propria vasta esperienza nella produzione di filtri per ripresa fotografica creativa. Cinque kit sono realizzati espressamente per le reflex digitali di ultima generazione Canon, Konica Minolta, Nikon, Olympus e Pentax. Ogni kit è composto dal portafiltri con un anello adattatore e un filtro Cokin Sunset 1. Quindi, la dotazione accede all’ampia offerta di quasi duecento filtri a effetto presenti nel catalogo. Rispetto la gestione in postproduzione con software dedicati, l’uso di filtri creativi direttamente in ripresa è motivato dalla verifica immediata dei risultati sul monitor LCD di ogni reflex. (Fowa, via Tabacchi 29, 10132 Torino).
ORDINE E PROTEZIONE.
NUOVO STABILIMENTO. Per fare fronte alla crescente richiesta di attrezzature da laboratorio in catalogo, che nel 2004 ha fatto registrare un consistente incremento di fatturato del 40 per cento, Durst ha attivato una nuova area di produzione a Linz, in Austria. Questi 3000 metri quadrati raddoppiano l’area produttiva ed estendono le capacità operative. Grazie all’innovativo sistema di montaggio Kanban, con assemblaggio automatizzato su binari che consente di spostare l’attrezzatura a diversi gruppi di montaggio dislocati su tutta la superficie, Durst prevede di incrementare notevolmente la produzione di sistemi di stampa flatbed Rho, raggiungendo un quantitativo mensile di oltre venti unità. (Durst Phototechnik, via Vittorio Veneto 59, 39042 Bressanone BZ).
Preziose per i propri contenuti, le card di memorizzazione digitale debbono essere preservate dall’azione degli agenti esterni, che ne potrebbero compromettere l’efficacia ed efficienza. I contenitori Gepe Card Safe sono stati realizzati allo scopo: trasporto, sicurezza e protezione ottimale delle schede di memoria. Una particolare caratteristica di tutte le Gepe Card Safe è l’innovativo spazio MultiCard, che può essere usato per differenti tipi di scheda. Ogni configurazione ha due finestrelle di visualizzazione, sulla parte superiore e su quella inferiore, posizionate in corrispondenza della scheda, in modo da permettere di vedere quale spazio è occupato e da quale scheda. In più, la Card Safe Extreme (a quattro vani) è impermeabile e resistente alle intemperie. La gamma comprende poi la Card Safe Basic, ancora per quattro schede, la compatta Card Safe Slim, da due spazi, e la Card Safe Mini, dedicata alle memory card più piccole, che sono utilizzate da un numero sempre crescente di apparecchiature elettroniche. (Fowa, via Tabacchi 29, 10132 Torino).
IL SORRISO NELLE COSE
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Questa volta lo spazio è dato tutto (o quasi) all’ironia. Ogni tanto se ne sente il bisogno. Fotografo per professione, Maurizio Sapia, al pari di altre personalità, non ha fossilizzato l’attività fotografica nel solo ambito lavorativo, ma concede spazio a ricerche personali rivolte in spazi nei quali la professione resta esclusa. Maurizio Sapia si inoltra in territori di gioco e visioni, dove tutto è possibile, dove le dinamiche sono altre. Appassionato di arte, con particolare attenzione all’arte contemporanea, Maurizio Sapia non nega di essere stato influenzato proprio dall’arte contemporanea nella realizzazio-
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ne della particolare ricerca espressiva Nature non morte, esposta all’attenta Galleria clicArt di Milano, a cura di Enrica Viganò. «Ho iniziato a “giocare” con immagini di animali, pesci in particolare. Il gioco mi ha divertito molto, e così ho proseguito. Devo dire che mi riconosco in queste immagini, mi ci rispecchio», dice di sé l’autore, con poche parole, dirette, e senza ridondanza, essenziali come essenziali sono il suo temperamento e le sue fotografie. La serie Nature non morte contiene un aspetto fortemente ironico, al quale si affianca un carattere (appunto) essenziale e meditativo. L’autore non divaga troppo. Con la franchezza che gli è propria, e che caratterizza anche le sue immagini, tratta argomenti che si prestano a essere interpretati da diverse sfaccettature: se deve fare riflettere l’osservatore attraverso la fotografia, Maurizio Sapia propone uno spunto ironico. Parla di vicende inafferrabili, come la clonazione, rappresen-
(a sinistra) La danza e Cerniera.
(in basso) Pleased to meet you.
Piercing.
tando due “polli che si stringono la mano” (in basso); dopo un inevitabile sorriso, l’osservatore approfondisce e affronta il tema, sollecitato dalla costruzione fotografica. È una forma di linguaggio. Riducendo la composizione all’essenziale, l’autore amplia lo spazio da riservare all’ironia, che, per dirla con Italo Calvino «non è altro che la malin-
Il sindacato dei piccoli pesci.
Very hard kiss.
conia vista dall’altra parte». Così ottiene il suo risultato estetico, inteso proprio nel senso della ricerca del bello, nella concretizzazione di immagini (reali ma astratte; astratte ma reali) da appendere a una parete. Realizzate con la quiete e l’approccio di chi lavora in sala di posa, le fotografie di Nature non morte si presentano come accurati still life in bianconero (da negativo polaroid 4x5 pollici, ufficializziamolo), nei quali si fronteggiano abbinamenti bizzarri e insoliti, in una grammatica lessicale tutta personale, che entra in contatto con l’osservatore e viene decodificata attraverso l’universale bagaglio dell’immaginazione. S.dF. Maurizio Sapia: Nature non morte. Galleria clicArt, Zucchi Duomo, via Foscolo 4 (angolo piazza del Duomo), 20121 Milano; 02-439221; www.marka.it, www.zucchicollection.org. Fino al 9 aprile; lunedì 13,30 - 19,30, martedì-sabato 9,30 - 19,30.
NUDI (ORMAI) D’EPOCA
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Tra i tanti connotati che definiscono l’attuale socialità nell’epoca delle comunicazioni rapide, soprattutto veicolate attraverso la rete Internet, va sottolineato un aspetto, che fa la differenza con il passato, anche con quello più recente, non necessariamente remoto. Chi, come noi, ama il conforto dei libri, soprattutto di quelli fotografici (peraltro materia statutaria di queste pagine redazionali), apprezza e mette a frutto la possibilità di reperire informazioni senza soluzione di continuità, né restrizione geografica, né limite logistico. Così che, eccoci!, il nostro recente tragitto attraverso la rappresentazione tridimensionale si arricchisce di un nuovo, insospettato e inatteso capitolo, appunto individuato tra le maglie delle segnalazioni che circolano libere in Rete. La recente testimonianza di fotografia tridimensionale è stata avviata dal fortunoso reperimento in una bancarella di libri e giornali d’epoca del numero di Life del 17 marzo 1952. All’interno è pubblicato un servizio fotografico di David Douglas Duncan che ritrae il generale Dwight David Eisenhower, eroe del fronte occidentale della Seconda guerra mondiale, che in autunno sarebbe stato eletto trentaquattresimo presi-
Hollywood Nudes in 3-D, fotografie di Harold Lloyd; a cura di Suzanne Lloyd; Black Dog & Leventhal Publishers, 2004 (151west 19th street, New York, NY 10011, Usa); 154 pagine 26x25,5cm, cartonato, con copertina lenticolare; 24,95 dollari.
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dente degli Stati Uniti, mentre fotografa la basilica bizantina Haghia Sophia di Costantinopoli con la propria Stereo Realist: appunto apparecchio fotografico tridimensionale che negli anni Cinquanta ottenne un certo successo tecnico e commerciale negli Stati Uniti. Ne abbiamo riferito lo scorso settembre, e poi, immediatamente a seguire, sul successivo numero di ottobre abbiamo ripreso l’argomento Stereo Realist con ulteriori aggiornamenti/approfondimenti storici e aneddotici. Tre i filoni principali della vicenda: uno, le campagne pubblicitarie degli anni Cinquanta affidate a testimonial di grande richiamo popolare (il regista Cecil B. de Mille e gli attori Bob Hope, Fred Astaire e Ann Sothern, eroina delle prime sit-commedy televisive); due, la serie di ritratti che certificano la combinazione tra cinema e fotografia stereo, sempre nel senso di Stereo Realist (Humphrey Bogart in vacanza con la moglie Lauren Bacall, Richard Burton in privato e Alfred Hitchcock con la moglie Alma Reville); tre, e ultimo, la presentazione della monografia 3-D Hollywood di fotografie stereo realizzate dall’attore Harold Lloyd.
tobre, che difficilmente può/potrà essere confortata da una distribuzione libraria internazionale, capace di farla arrivare agli indirizzi a più comoda portata di mano. Da una parte, fuori dai confini statunitensi, e in realtà nelle quali i ricordi storici sono meno vincolanti (ne abbiamo parlato sullo scorso numero di febbraio, in editoriale, commentando la consecuzione di articoli che dedicammo a figure scomparse), il richiamo ad Harold Lloyd non è certo trainante. Analogamente, non possiamo ignorare come la fotografia tridimensionale sia sostanzialmente poco considerata. Infine, per quanto la carnalità del richiamo al “nudo”, cui ci stiamo per riferire, agevoli le vendite di materiali illustrati (anche newsmagazine), il nudo d’epoca non è certo editorialmente appetibile. Ergo: la nostra segnalazione, consentita da una coerente ricerca in Rete, supera barriere e confini altrimenti insormontabili. Per certi versi consecuzione (logica? prevedibile?) dell’originaria raccolta 3-D Hollywood, l’attuale selezione Hollywood Nudes in 3-D, ancora curata dalla nipote Suzanne Lloyd, completa in un certo senso la parabola fotografica di Harold Lloyd. In questo caso, la presentazione editoriale non è stereo, come è stato per 3-D Hollywood, sulle cui pagine sono pubblicate coppie di fotogrammi accostati, da osservare con visore (appunto stereo) di re-
ED ORA, I NUDI! Proprio a questo, ci riallacciamo oggi. Ricordiamo che una volta lasciato il cinema, Harold Lloyd, celebrità degli anni del muto, quando contese la scena a Charlie Chaplin e Buster Keaton, si dedicò interamente alla propria passione fotografica, e per due decenni documentò la vita dello star system hollywoodiano con apparecchi stereo. Nella citata monografia 3-D Hollywood, curata dalla nipote Suzanne Lloyd, pubblicata nel 1992 dall’editore newyorkese Simon & Schuster, sono raccolte affascinanti visioni in delicato equilibrio tra privato e pubblico. Ora, attraverso indicazioni reperite in Rete, abbiamo individuato un’altra raccolta fotografica di Harold Lloyd, pubblicata lo scorso ot-
Nudo tridimensionale realizzato da Harold Lloyd negli anni Cinquanta, pubblicato nella monografia Hollywood Nudes in 3-D. La restituzione della profondità tridimensionale si basa sull’uso degli appositi occhialini con lenti rosso-blu.
EDITORIA TRIDIMENSIONALE
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oda in stile 3D su D-Repubblica delle Donne dello scorso 16 ottobre. Richiamo in copertina e servizio interno, con effetto anaglifico tridimensionale restituito dall’osservazione attraverso i consueti occhialini verde/rosso (per l’occasione sponsorizzati Gianfranco Ferrè). A differenza di fotografie autenticamente 3D, realizzate con due apparecchi coerentemente accostati, o due obiettivi comunque sia adeguatamente distanti e accoppiati, questo servizio ha un sapore diverso. Crediamo di non essere lontani dal vero, quando ipotizziamo una postproduzione di fotografie non tridimensionali, che oggi è alla agevole portata della gestione di file digitali. Ma non è questo il problema, quanto ci preme puntualizzare che tra le proprie oggettive “miserie”, che ne hanno sempre legittimamente condizionato la diffusione di massa, la fotografia tridimensionale conserva ancora un certo buon sapore, periodicamente utilizzato dall’editoria con adeguati richiami in edicola. È il caso, per citare ancora in attualità, di Topolino, arrivato in edicola a metà gennaio con occhialini anaglifici allegati. Non riferiti ad alcuno dei fumetti del numero in questione (2566), come precisa un annuncio pubblicitario all’interno del fascicolo «gli speciali occhialini 3D [...] sono indispensabili per vedere gli effetti tridimensionali che trovate nel sito nella sezione Vita da Paperi. Inforcateli e vi troverete in mezzo a oggetti che si muovono verso di voi fluttuando e personaggi che vi sembrerà di afferrare! Entrate nella nuova dimensione di www.topolino.it». Altra citazione d’obbligo per l’edizione della raccolta Martin Mystère intitolata Il colore del mistero, che Repubblica ha distribuito in edicola a cavallo dell’anno. Come svela e rivela il titolo, all’interno sono riproposte tre avventure che approfondiscono i concetti del colore, già pubblicati da Sergio Bonelli Editore. Dell’indagine Di tutti i colori!, numero 100 della serie originaria, abbiamo ampia-
mente riferito in FOTOgraphia del marzo 2001, nell’ambito delle nostre riflessioni sul colore in fotografia (e dintorni). Ora ci soffermiamo su Lo spettro della luce, numero 200, che richiama esplicitamente tante componenti e percezioni visive: per quanto ci riguarda oggi, fino alla restituzione tridimensionale in forma anaglifica, attraverso la scomposizione volontaria tra rosso e verde/blu, da ricreare con gli appositi occhialini.
Scomposizione anaglifica rosso-blu per la restituzione visiva tridimensionale (con occhialini appositi) da Lo spettro della luce, in Il colore del mistero, album di Martin Mystère realizzato da Repubblica. Occhialini anaglifici confezionati con Topolino numero 2566 in riferimento agli effetti tridimensionali del sito www.topolino.it. D-Repubblica delle Donne del 16 ottobre 2004: moda in stile 3D in copertina e servizio tridimensionale interno.
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stituzione tridimensionale. Alternate a nudi semplicemente fotografici, senza altro effetto visivo aggiunto, le raffigurazioni di Hollywood Nudes in 3-D, con copertina lenticolare, sono tridimensionali con restituzione anaglifica, da osservare con gli appositi occhialini allegati con filtri/lenti blu e rosso (rispettivamente per l’occhio destro e sinistro). Che dire di queste fotografie? Poco, oltre la statura dell’autore, acquisita in ambiti estranei alla fotografia. Si tratta di pose ingenue, anche in relazione ai propri tempi (per lo più, anni Cinquanta), di composizioni spesso velleitarie, appesantite da una serie alternata di simbologie quantomeno elementari, di candori visivi in perfetta sintonia con gli stilemi dell’epoca, che i cultori e gli esperti possono ricondurre a testate internazionali del tipo Folies de Paris et de Hollywood e dintorni (ma non perdiamoci in questa deviazione). Considerate le frequentazioni dell’autore Harold Lloyd, che per la cro-
NUDI AUTENTICAMENTE STEREO
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ollegamento diretto e indiretto (forzato). Per due motivi, l’attuale edizione di Hollywood Nudes in 3-D richiama una simile edizione libraria di qualche anno fa. Anzitutto, le affinità con Peepshow, che sottotitola 1950s pin-ups in 3-D, riguardano i due aspetti principali dell’argomento: nudi d’epoca (anche qui, anni Cinquanta) e restituzione visiva tridimensionale, in questo caso stereo. La confezione libraria è, quindi, adeguata alla stereoscopia, con ampio visore per l’osservazione delle coppie di immagini, ricavato dalla copertina del volume. Quindi, il secondo motivo di collegamento, questa volta indiretto e forzato, è sollecitato dalle fotografie finali ci ciascuna raccolta. Hollywood Nudes in 3-D di Harold Lloyd, e Peepshow condividono la (terribile) idea dell’ultima fotografia delle rispettive selezioni, con pittata la dicitura “the end”, ovvero “fine”, sul fondoschiena di due modelle nude. Ogni commento è superfluo.
Peepshow 1950s pin-ups in 3-D; a cura di Charles Melcher; introduzione di Bunny Yeager; Edition Olms, 2001 (Breitlenstrasse 11, Postfach 233, CH-8634 Hobrechtikon Zürich, Svizzera; www.edition-olms.com, edition.olms@bluewin.ch); 96 pagine 11,5x17,5cm, cartonato, con occhiali-visore stereo nella copertina; 19,95 euro. Per Harold Lloyd ha posato anche la leggendaria Betty Page, della quale abbiamo raccontato in FOTOgraphia del settembre 1997. In questo modo, il lungo e vasto capitolo della storia fotografica di Betty Page si completa con immagini tridimensionali.
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naca fu presidente dell’associazione di fotografi stereo, prima di aprire la confezione sigillata del volume abbiamo sperato qualcosa di più. Ovvero, per esempio, non c’è nessun nudo di Marilyn Monroe, che pure compare in diverse occasioni, anche private, nella selezione originaria 3-D Hollywood. In parte, siamo personalmente compensati dalla presenza, tra le pagine, di diverse fotografie, alternativamente stereo e mono, di Betty Page, icona di una fantastica stagione (FOTOgraphia, settembre 1997; qui accanto). Ma si tratta di una questione personale, che non alza a sufficienza il tono, che rimane perso negli obblighi di un tempo mille anni lontano dalle disinvolture attuali. Alla resa dei conti è anche giusto che sia così, e nessuno di noi ha il diritto di sperare o pretendere qualcosa di diverso dai fotografi che svolgono i propri ruoli con decoro e concentrazione, senza cercare, né vantare, lacerazioni epocali e clamorose proiezioni fuori dal proprio momento. Bisogna imparare ad apprezzare la normalità, che è il confronto che stabilisce i valori delle altre genialità e creatività. M.R.
FOTOGRAFIA DELL’INVISIBILE
C
te fotografico, che è quello che proprio ci interessa. Pur estesa nel tempo, fino al prossimo autunno, la rassegna Photographie, Science, Conscience, che nella traduzione conserva la consecuzione fonetica del ricercato gioco di parole (Fotografia, scienza, coscienza), è parte integrante dell’articolato Festival Science et Cité 05, che prevede varie manifestazioni allestite su tutto il territorio svizzero, nella settimana dal 20 al 29 maggio. Nell’ambito del filo conduttore generale, che richiama e ricerca i legami tra scienza e arte, il Museo di Vevey offre l’oggettività (?)
ESO (EUROPEAN SOUTHERN OBSERVATORY)
Come si possono rapportare Scienza e Fotografia, entrambe con la Maiuscola? Quale il reale e concreto punto di effettivo contatto tra le due discipline, peraltro intuito fin dalle origini, già dal 1839? Lo approfondisce, raccontandolo con apprezzata chiarezza, il Musée suisse de l’appareil photographique di Vevey, in Svizzera. La qualificata e prestigiosa istituzione della cultura fotografica (FOTOgraphia, novembre 2004) ha allestito una dettagliata mostra a tema, che fa il punto sulla relazione tra Scienza e Fotografia, ragionando e partendo da un punto di vista educatamen-
La Nebulosa a testa di cavallo è situata in Orione, a circa millequattrocento anni luce dalla Terra. La colorazione rossa è dovuta all’emissione di idrogeno (Fotografia da Fors2 in tre esposizioni, sul telescopio 8,2-m Kueyen).
Uovo di cimice schiuso. Fotografia al microscopio elettronico a scansione, realizzata da Jean Wuest del Museo di storia naturale di Ginevra.
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della visione fotografica. Nello specifico, con la suggestiva sintesi Photographie, Science, Conscience, il Musée suisse de l’appareil photographique si concentra nel difficile compito di parlare ed esplorare la fotografia scientifica contemporanea, esperienza (espressione?) solitamente non contemplata dai tradizionali luoghi di cultura e diffusione della fotografia. Riferendoci alle immagini anticipate, che qui proponiamo a corredo, l’approccio adottato dal Museo non è pedante e serioso, come si potrebbe temere: accanto gli aspetti peculiari di documentazione e utilitarismo, la fotografia scientifica viene accolta, affrontata e guardata da un punto di vista anche estetico, che dà chiarezza e spettacolarità (perché no?) alla doverosa raffigurazione. Diciamolo chiaramente: indipendentemente dal soggetto e dalla propria valenza scientifica e documentaria, spesso queste immagini vivono di vita propria, magari in una chiave affascinantemente astratta. Annotiamolo: potere e forza del non visibile a occhio nudo. In fondo, la fotografia, qualunque sia, rappresenta pur sempre uno stimolo per provocare emozioni, attraverso l’evocazione e l’identificazione, la paura o il piacere, in una serie infinita di sensazioni soggettive. Quindi, anche l’insieme fotogra-
Nel centenario della scoperta dei Raggi X, il dottor Hans Jürgen Fischer dell’ospedale di Delémon ha realizzato immagini che rilevano le bellezze nascoste della natura.
CERN (GINEVRA PI-66954 B)
Immagine di alto valore estetico, oltre che scientifico: fotografia colorata delle tracce di particelle a idrogeno liquido nella camera stagna.
fico in mostra a Vevey risponde a un duplice richiamo, che non tradisce il compito istituzionale della fotografia. Anzitutto, quello di presentare e mostrare realtà nuove, invisibili, impossibili da vedere altrimenti. E poi, magari come conseguenza più alta, quello di avvicinare, in una visione se vogliamo scientifica, oppure immaginare o visualizzare elementi astratti, in relazione ai quali la mente può inventare visioni altre, significati nuovi. La potenza visiva della fotografia capace di definire e presentare l’infinitamente grande quanto l’infinitamente piccolo apre la strada a paesaggi surreali, a metà strada tra il vero e l’immaginario: in simultanea, sono entrambe le cose. A ciascuno il proprio sentire. Dal punto di vista prettamente
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LAUSANNE) - SV - BRAIN MIND INSTITUTE (BMI) LABORATORY OF NEURAL MICROCIRCUITRY (LNMC) DE
EPFL (ECOLE POLYTECHNIQUE FÉDÉRALE
stesso modo apre il varco per accedere a nozioni di realtà virtuale: rappresenta, perché no?, quello che non esiste; o, meglio, che esiste solo in forma visibile e tangibile perché è stato fotografato. Così, in questa visione, la collezione di fotografie scientifiche in mostra al Musée suisse de l’appareil photographique è rappresentativa della diversità degli specifici usi e applicazioni; inoltre, estende e allarga al più ampio pubblico -non necessariamente addetto- tale particolare riflessione e lettura sulla fotografia. Avvalendosi del prezioso
Dettagli di quattro neuroni ricostruiti, tre piramidali e uno inibitore fusiforme: complessità e profusione dei dendriti e degli assoni nello spazio corticale. (a destra) Affinità del rame nel campo C-terminale della proteina di prione del topo.
CLINIQUE D’OPHTALMOLOGIE DI GINEVRA
(in alto, a sinistra) Radiografia di una vipera mentre inghiotte un piccolo roditore, realizzata da H. Abgrall.
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(a sinistra) Angiografia scattata nel 1985 al fondo di un occhio affetto da tumore, durante la messa in circolo di fluoresceina, liquido di contrasto.
supporto del mondo scientifico per onorare una consistenza di risultati, e restare fedele alla propria serietà, il Museo completa l’allestimento scenico delle immagini (molte delle quali effettivamente spettacolari) con informazioni storiche sulle origini ed evoluzione di questa applicazione fotografica. A.Alp. Photographie, Science, Conscience. Musée suisse de l’appareil photographique, Grande Place 99, CH-1800 Vevey, Svizzera; 0041-21-9252140, fax 0041-21-9216458; www.cameramuseum.ch, cameramuseum@vevey.ch. Dal 13 marzo al 25 settembre; martedì-domenica 11,00-17,30, lunedì solo festivi.
EPFL (ECOLE POLYTECHNIQUE FÉDÉRALE DE LAUSANNE) - SB - ISIC - LABORATOIRE DE CHIMIE ED BIOCHIMIE COMPUTATIONNELLES (LCBC)
LOSANNA CANTONAL DE ZOOLOGIE DI
MUSÉE DEL
COLLEZIONI
scientifico, è evidente che il significato cambia: il potere della fotografia ha aumentato la possibilità della visione, consentendo di percepire e identificare l’impercettibile a occhio nudo, con tutte le conseguenze e applicazioni del caso. E, quindi, in ogni direzione verso la quale la fotografia scientifica agisce e opera, a servizio di medicina, diagnosi, tecnica, industria. Ci assumiamo la responsabilità intellettuale di affermare che, nel proprio insieme, la fotografia rappresenta la realtà e allo
FOTOGRAFIE «Qualsiasi ritratto fotografico è una rappresentazione», scrive Richard Avedon, e aggiunge: «Quello che si ha è solo una superficie impenetrabile, e bisogna lavorare con la superficie».
«Orsigna, agosto 2002. Tiziano Terzani legge Slightly out of Focus di Robert Capa, nell’edizione originale. L’emozione fa sì che la mia fotografia... non sia perfettamente a fuoco».
«Orsigna, agosto 2002. Si parla di Robert Capa e si mimano i gesti fondamentali».
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uando l’ho incontrato, Vincenzo Cottinelli aveva appena lasciato la sua vecchia professione. Ricordo che mi mostrò delle fotografie di una cara straordinaria comune amica, Grazia Cherchi [stimata e apprezzata editor e giornalista letteraria]. Grazia non era una persona facile da fotografare, perché si sottraeva istintivamente a qualsiasi celebrazione. Le fotografie di Vincenzo Cottinelli la ritraggono rilassata e riescono a evidenziare il brillio di una intelligenza acuta, anticonformista, ma nello stesso tempo con radici profonde nella cultura classica. Lei, così ritrosa, è fotografata con un sorriso indimenticabile, anche quando è ripresa con alcuni celebri amici del mondo intellettuale: se ne deduce la sua ritrosia ma anche la sua contemporaneità. Nello stesso periodo, Vincenzo Cottinelli mi presentò alcune fotografie della scrittrice Lalla Romano che la rivelano nella sua algida rigidità, ricca di cultura e conoscenza e non lontana però dalle vicissitudini che ci travagliano nella nostra esistenza. Sono seguìti anni in cui Vincenzo Cottinelli ha programmato e realizzato una serie eccezionale di fotografie di intellettuali, scattate in diverse situazioni, atmosfere, paesi. Il suo archivio è ormai un tesoro da esplorare. Se è vero che lo sguardo di una persona è il risultato della sua memoria culturale, è anche vero che per trasmettere al pubblico un ritratto in profondità di una persona occorre possedere conoscenza e cultura. Solo con questi strumenti si può scalfire la “superficie” alla quale accenna Richard Avedon. La ritrattistica fotografica è ricca di stili. Celebra-
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tiva e supermanipolata (esercito di pi.erre, truccatori, stilisti, parrucchieri), ritratti standard per archivi o news (lavoro professionale utile per l’illustrazione), istantanee familiari (nelle quali si trovano spesso fotografie eccezionali), aggressiva e superficiale tendente a celebrare lo stile più che il contenuto (Rankin, per esempio), minimalista e trendy (scattata per essere alla moda e in una falsa austerità), ingombrata e stucchevole alla fine come quella del celebre David La Chapelle. Questi stili, e altri, riempiono le pagine dei giornali e le Gallerie di Fotografia. Ma quale è lo stile di Vincenzo Cottinelli? Per me si manifesta in un modo particolare: Vincenzo Cottinelli, conoscitore delle opere degli autori, ricco di letture, politicamente vibrante nella quotidianità, culturalmente disponibile all’incontro,
DI UN’AMICIZIA “innamorato” e “affascinato” dal soggetto che ha di fronte a sé (accettando il poco tempo che gli è concesso), attraversa la fascia sensibile della persona ritratta e rivela il gioco a tre della fotografia ritrattistica: il fotografo, la persona fotografata e il pubblico che la guarderà. E lo fa con occhio rispettoso: così lo vedo fotografare ad Arles o in Toscana al TPW, o a Perpignan, desideroso di sfruttare una possibilità di accesso, ma non intrusivo. Cosa vuole raccontare? Cosa vuole trasmettere? Vincenzo Cottinelli vuole rassicurare che dietro i suoi ritratti c’è una persona eccezionale, che segna la storia, che aiuta con le sue opere ad affrontare il quotidiano senza dimenticare fragilità e coraggio e che ci permette di essere un po’ “voyeurs” e ci dà
Ritrattista di scrittori, ma non solo, Vincenzo Cottinelli ha avuto il privilegio di fotografare Tiziano Terzani e i suoi familiari dal settembre 1995 a fine maggio 2004 (quando lo scrittore è mancato), in occasioni pubbliche e private, sempre nel segno dell’amicizia. Circa cento fotografie sono raccolte nella selezione Omaggio a Tiziano Terzani / Fotografie di un’amicizia, allestita in mostra e impaginata in libro edito da Vallardi. Dalla monografia, riprendiamo l’introduzione di Grazia Neri
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Per presentare su queste pagine un estratto da Omaggio a Tiziano Terzani / Fotografie di un’amicizia di Vincenzo Cottinelli, insieme all’autore abbiamo selezionato una serie di ritratti nei quali lo scrittore tiene tra le mani i propri apparecchi fotografici. A questo proposito, sulla pagina accanto e a pagina 32 sono riportate specifiche annotazioni di Vincenzo Cottinelli.
«Calcutta, marzo 1997. Al matrimonio del figlio, Tiziano Terzani scatta un primo piano degli sposi, Folco e Ana, appena saliti sul carro nuziale, prima che si mettano in movimento. Quindi, inizia il gioco dei fotografi, come una danza della macchina fotografica: la Konica di Tiziano Terzani è tenuta orizzontale e io inquadro verticale. Poi, su due auto: lo sorpasso e Tiziano Terzani incassa da gran signore».
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sicurezza. Avete in mente con quale ansia andiamo a vedere i ritratti degli scrittori che appaiono nei risvolti dei libri (purtroppo sempre di meno)? Lo stile di Vincenzo Cottinelli è conoscenza, cultura e una positiva infatuazione, che gli permette di ritrarre con una sorta di protezione affettiva le persone che fotografa. Vincenzo Cottinelli ha avuto il privilegio di fotografare Tiziano Terzani dal 1995 al 2004, restando con lui a lungo e con amicizia. Ne ha tratto questa raccolta, che a mio avviso celebra un aspetto importante della fotografia: il ricordo e la memoria. Così è riuscito a raccontarci un Terzani più intimo, ma determinato nella propria immersione nell’Oriente, avvicinandoci al suo fascino, alla sua conoscenza, alla sua storia. Personalmente ricordo un Tiziano Terzani giova-
ne, forte, ricco di determinatezza, appoggiato a una finestra del mio ufficio di via Senato 18, che mi spiega la sua illuminante decisione di andare in Cina come corrispondente dello Spiegel. Il suo abbigliamento è ancora totalmente occidentale. Nei suoi occhi scintilla la gioia di un avvenire ricco di scoperte, al quale si sta per abbandonare senza paura.
GIORNALISTA, SCRITTORE, MA ANCHE FOTOGRAFO
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ncontro Tiziano Terzani a Milano, nel settembre di dieci anni fa, per la presentazione di Un indovino mi disse. Hotel Manin, in coda dopo i giornalisti e prima di altri “fotografi di scrittori”, come ci definiscono o ci definiamo: un’etichetta che allora mi lusingava, dopo non più tanto. Non so nulla di lui, se non che è importante che io l’abbia nel mio archivio di stampine da dare all’Agenzia Grazia Neri: non c’era -per me- il digitale. In attesa del suo arrivo, sfoglio l’Indovino e penso fra me “questo assomiglia a Ryszard Kapuscinski”. Poi, all’incontro, comincio a fotografare a raffica, mentre lui, senza nemmeno vedermi, racconta di sé ai giornalisti: ne esce una sequenza dinamica, tutta mani e occhi e baffi. Poi, per gli scatti posati in giardino, percepisco subito una qualità superiore. A parte la sua gioia sincera quando lo paragono al grande “Kapu”, vedo che non ho da dirgli nulla: posa con una intensità rara e una precisione assoluta di sguardi, si diverte, collabora. Si capisce che lo fa un po’ per vanità, per “riuscire bene”, ma molto per facilitare il lavoro a me, per solidarietà, per colleganza, lo capirò tempo dopo. Qui nasce il mio ritratto più di successo, quello di lui a mani giunte che ti guarda dritto e intenso, il più venduto e il più rubato, il più usato per le copertine dei suoi libri. Quando lo vedrà settimane dopo, insieme agli altri, mi sfotterà nominandomi “fotografo alla corte di Delhi”, un modo per invitarmi a fargli visita. Tempo dopo scopro Buonanotte, signor Lenin, che era uscito nel 1992, illustrato con quarantasette sue fotografie (avrebbero meritato una qualità di stampa ben
superiore!), che non soltanto è un libro bellissimo, appassionante, avvincente, ma rivela un Tiziano Terzani fotoreporter di classe: asciutto, sobrio, essenziale. Dà l’informazione necessaria con un bianconero di composizione classica. Che stoffa! Ecco perché mi rispetta come fotografo, ecco perché collabora nel modo giusto quando lo riprendo, non senza qualche osservazione acuta su come sto operando, o addirittura suggerendo la location. Sono convinto che il suo archivio sterminato, cui ho potuto dare un’occhiata già nel 1999, quando lui cominciò a pensare di riordinarlo per farne un libro, meriterà un approfondimento, e non solo un utilizzo come fonte illustrativa di testi. Vietnam, Cambogia, Cina, Giappone, le repubbliche sovietiche in disfacimento, fino all’Afghanistan e, da ultimo, l’India: pensate un po’ che raccolto, dal 1970! Nel novembre 2002 era venuto a trovarmi a Brescia con la moglie Angela, perché presentassi loro il mio metodo (in verità assai banale) di archiviazione -cartacea e in parte digitale- di negativi e provini. Ma credo che non abbia potuto fare più di tanto per il suo archivio, perché la malattia lo ha spinto a concentrarsi sulla scrittura (e infatti ci ha dato un capolavoro come Un altro giro di giostra. Viaggio nel male e nel bene del nostro tempo). Però si sa che negli ultimi mesi, prima della morte, ha lavorato intensamente con il figlio Folco a un nuovo libro, che sarà in gran parte basato sulle sue fotografie, sulle immagini dei suoi grandi viaggi e reportage. Aspettiamo con grande curiosità. Vincenzo Cottinelli
«Firenze, fine maggio 2004. Sfogliando centinaia di fotografie scattate in trent’anni di viaggi, Tiziano Terzani lavora con il figlio Folco a un nuovo libro a quattro mani».
Trascorrono gli anni, leggo i suoi articoli e i suoi libri e ora mi ritrovo questa raccolta di fotografie ricche di interesse e di storia. George Bernard Shaw, drammaturgo inglese, aveva scritto che «Il fotografo è come un merluzzo: depone un milione di uova, perché possa schiudersene uno». In questo caso non è così. È stato difficile editare fotografie che hanno il pregio di metterci in contatto immediato con Tiziano Terzani. Sono molte e tutte hanno il pregio della grande onestà e immediatezza.
Le prime fotografie sono più timide, ma già rivelatrici della cultura e conoscenza di Vincenzo Cottinelli, e da quelle si arriva alle fotografie scattate poco prima della morte dello scrittore, che riferiscono in modo diretto, tenero ma mai dolciastro, l’accettazione -direi “vittoriosa”- di Tiziano Terzani della morte imminente. Vittoriosa perché conscia di una vita dedicata all’“altro” per rivelargli il piacere e la necessità di aprirci ad altre culture, anche se poco conosciute e con radici affondate nel passa-
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LA FOTOGRAFIA
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ccontentiamo anche la curiosità, a un tempo concreta e un poco feticistica, di sapere come e con che apparecchi fotografava Tiziano Terzani. Io l’ho conosciuto relativamente tardi, quando già, per pigrizia e comodità, aveva riposto nel cassetto le attrezzature più preziose. Ma ci sono diverse fotografie, tra cui in particolare una che si vede nei risvolti o nelle quarte di copertina delle successive edizioni di Buonanotte, signor Lenin, che rivelano la sua attrezzatura: con cinghia corta, ha al collo una Leica M2 con il Summicron 35mm, e poi, allacciata a una cinghia ben più lunga, si riconosce una Nikkormat munita di Nikkor 135mm [qui accanto]. Scelta classica dello scrittore-giornalista-reporter degli anni Settanta, “rapido ed essenziale”, che non si può permettere borse, perché ha già nello zaino la leggendaria Olivetti Lettera 22 (poi avrà il computer portatile), e ama la semplicità operativa della Leica come strumento tutto fare e la necessaria efficienza della reflex per il tele. Che Tiziano Terzani amasse la fotografia di strada e avesse lo spirito e la curiosità del vero reporter lo si capisce da quelle macchine al collo, nude, pronte all’azione. Questo combacia con il ricordo che ci fornisce Grazia Neri nel suo testo su una visita dello stesso Terzani alla sua Agenzia, allora in via Senato, prima della partenza per l’Asia: visita che significava la grande curiosità dello scrittore per la fotografia impegnata, la sua voglia di verificare in una sede e con una persona qualificatissima le grandi tematiche di attualità, e la sua disponibilità per eventuali servizi. Ho avuto comunque la fortuna di vedere Tiziano Terzani all’opera come fotografo, di fotografare insieme a lui e per lui, e di fotografarlo mentre fotografa.
Quando l’ho visto per la prima volta in azione eravamo a Calcutta, nel 1997, al matrimonio del figlio Folco con Ana. Tiziano Terzani non aveva già più con sé la Leica M3, ma usava una compatta... ingombrante più di una Leica, la simpatica automatica (ma flessibile: Program, Automatica e Manuale) Konica Hexar (autofocus e manuale, scomparsa dai cataloghi già nel 2000), con un rinomato 35mm f/2. Con la Konica Hexar in mano lo si vede nella sequenza che amo di più, quella dove lui è immerso nella folla di indiani vicino alla Casa dei Moribondi di Teresa a Kalighat, e giochiamo a fotografarci a vicenda [a pagina 30]. Un giorno cercherò le sue. Ma com’era Tiziano Terzani, quando voleva fotografare sul serio? Rapido, deciso, di pochi scatti, alla ricerca, più che della sequenza narrativa o illustrativa, dello scatto decisivo: così lo ricordo in azione a Calcutta. Ma metteva lo stesso impegno anche nelle fotoricordo ad amici o parenti, alle feste o inaugurazioni. A Firenze, in occasione di una mia mostra al Gabinetto Vieusseux, lo vidi con una strabiliante cromatissima affusolata Olympus mju Zoom. Fu quindi a Berlino nel maggio 2001, se non ricordo male, che lui mi vide armeggiare con la Ricoh GR1, della quale gli illustrai le caratteristiche, che lo affascinarono. Se ne comprò una poco dopo, in occasione di un suo viaggio negli Stati Uniti, ma mi telefonò arrabbiatissimo perché aveva inserito il datario e non riusciva più a toglierlo, e così “rovinava” tutte le foto. Diceva «Sti giapponesi, perché non scrivono istruzioni chiare (come spesso accade, la traduzione del libretto era pessima, ma anche la logica del testo era mediocre); mo’ si deve prendere il martello per togliere sto datario!». Credo che non ci sia mai più riuscito. Tiziano Terzani, oltre che una grande luce intellettuale ed etica, oltre che un amico attento e generoso, è stato per me anche un grande aiuto fotografico. Devo a lui non solo la buona riuscita dei migliori dei suoi ritratti, ma anche il coraggio di credere nella fotografia come mezzo espressivo indipendente e moderno, come testimonianza di verità, e lo stimolo a non cadere nelle mode. V.C.
to, e di tenere ben lontana la paura, inutile fantasma che ci rende ciechi verso la conoscenza. Sono fotografie che entrano nel cuore con delicatezza e una leggera ironia. Alcune svelano il mistero del silenzio. Nello scorrere degli anni, sempre più mi affascinano le fotografie del passato come necessaria memoria, testimonianza, piacere per il futuro. Nell’incantevole libro Paris et la photographie. Cent histoires extraordinaires ho avuto una conferma straordinaria del legame che intercorre tra il fotografo, la persona fotografata e il suo pubblico. Qui, tra le fotografie commentate, mostrate e analizzate, c’è il celebre ritratto di Rimbaud scattato da Etienne Carjat. L’autore fotografo, affascinato dal poeta e in lite con il suo carattere aggressivo e fantasioso, distrusse per pura rabbia due delle tre fotografie scattate. Mi domando come sarebbe stata la mia vita senza il ritratto fotografico di uno dei miei poeti preferiti. Vedo tanti giovani che leggono i libri di Tiziano Terzani e mi auguro che uno di questi ritratti di Vincenzo Cottinelli diventi una icona così leggendaria come quella di Rimbaud, e che questa raccolta in-
viti a ricordarlo con la serenità che lui avrebbe preteso dal proprio pubblico. Grazia Neri (Fotografia ritrattistica: Cultura e Conoscenza, introduzione al libro Tiziano Terzani. Ritratto di un amico) Riunita in mostra, la serie Omaggio a Tiziano Terzani / Fotografie di un’amicizia di Vincenzo Cottinelli è raccolta anche nel libro Tiziano Terzani. Ritratto di un amico, con testi di Grazia Neri (che proponiamo in queste pagine), Ettore Mo e dello stesso Vincenzo Cottinelli, ritrattista di scrittori (ma non solo), che ha avuto il privilegio di fotografare Tiziano Terzani e i suoi familiari dal settembre 1995 a fine maggio 2004. Pubblicata da Vallardi, la monografia di 132 pagine raccoglie circa cento immagini, selezionate da Grazia Neri e dall’autore con il contributo di Angela e Folco Terzani. Il libro è presentato in anteprima a Udine il 7 maggio, nell’ambito del convegno Vicino/Lontano e in occasione del primo Premio Letterario Tiziano Terzani (0432-287171). Realizzata con il contributo di Fujifilm, la mostra è programmata alla Galleria Grazia Neri, via Maroncelli 14, 20154 Milano; 02-625271, fax 02-6597839; www.grazianeri.com, photoagency@grazianeri.com. Dal 18 maggio al 10 giugno; lunedì-venerdì 9,00-13,00 14,30-18,00, sabato 10,00-12,30 - 15,00-17,00.
Prendiamo esempio dalla Visual Gallery, che ha accompagnato la merceologica Photokina dello scorso autunno, e riflettiamo al proposito. Per quanto istituzionalmente potrebbe credersi esente, l’industria fotografica ha il dovere (diritto?) di porsi anche il problema di una coerente diffusione della cultura dell’immagine. Affiancandosi con personalità autonoma, anche di intenti, al mondo culturale vero e proprio, l’industria fotografica porterebbe un contributo che non si inaridisce nell’etereo delle parole, ma al quale -siamo convinti- conseguano proficue sinergie anche nell’ambito commerciale. Dare per avere. Dare e avere per essere. Dare, avere e essere per consacrare un discorso di immagine che ha debiti di riconoscenza sia con gli strumenti sia con le relative applicazioni Leica M3 nera di Elliott Erwitt, con tracce di consumo decennale, inserita nell’allestimento scenico della personale Magic Hands, nell’ambito della Visual Gallery 2004, coerente con la Photokina. In attesa di approfondire lo stretto legame tra strumenti e linguaggio della fotografia, un chiaro ed esplicito richiamo a Tecnica e Creatività.
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ltre urgenze, altre priorità, hanno orientato la nostra relazione dalla Photokina di Colonia, appuntamento discriminante dell’intero mondo fotografico (per come stiamo per ragionare, non soltanto di quello merceologico), soprattutto verso l’analisi tecnica degli strumenti: per il vero, protagonisti assoluti della manifestazione, prima di altro fieristica. Come abbiamo annotato in cronaca, sullo scorso numero di novembre, il resoconto tecnico è oggi diverso da quelli che sono stati stilati in anni precedenti. Infatti, nonostante la coincidenza delle apparenze e delle ufficialità formali, quelle che
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definiscono -appunto- lo svolgimento della Photokina, l’intero mercato fotografico (e non solo questo) è stato talmente stravolto nei propri princìpi da non consentire più visioni isolate, marchio per marchio. In coincidenza, come ognuno è consapevole, e come è stato anche annotato, nel corso degli ultimi anni è altresì cambiata la veicolazione delle notizie (a partire dai tempi reali di Internet), tanto da aver modificato (addirittura mortificato?) l’originario significato e concetto di “novità”. Ecco perché -e qui concludiamo la premessa riferita alla tecnica della fotografia, magari lunga, ma sicuramente necessaria-, nella nostra relazione appe-
TECNICA E
Contemporary Art from China è una panoramica sulle tendenze espressive che si stanno manifestando in una società in clamorosa e rapida trasformazione, all’indomani degli anni del maoismo, che dal punto di vista visivo furono caratterizzati dall’onda lunga del realismo socialista di origine sovietica. Sperimentazioni, linguaggi e rappresentazioni che si rivolgono soprattutto alla fotografia d’arte, e che rivelano insospettabili (fino a ieri) capacità di sogno ed evocazione. (Chi Peng: Sprinting Forward-2, 2004).
na ricordata non ci si è tanto soffermati su singole espressioni tecnologiche, quanto sul senso complessivo di taluni collegamenti fenomenologici individuati: dalla prepotente ri/proposizione di interpretazioni 24x36mm a telemetro (Voigtländer, Zeiss Ikon, Leica) alla consistente attenzione al design dei produttori di compatte digitali (Olympus, Pentax), alle interpretazioni reflex per l’acquisizione digitale di immagini in duplice proiezione (Hasselblad, Mamiya e poi Canon, Konica Minolta, Nikon, Olympus e Pentax). Uniche eccezioni Silvestri Micron e Nikon F6, ciascuna forte di una propria spiccata personalità tecnica e ideologica, proiettata sull’intero settore.
VISUAL GALLERY
Così che, eccoci, in occasione della cronaca sulla e dalla Photokina 2004 abbiamo soltanto accennato a Visual Gallery, fantastico programma culturale di contorno, che ha scritto un eloquente ed energico capitolo, niente affatto complementare ma di protagonismo assoluto, sebbene in chiave accostata, ma non subalterna, al palcoscenico tecnico della fiera. Le riflessioni conseguenti, le considerazioni a tema e tante altre osservazioni non si esauriscono con il solo svolgimento temporale della manifestazione. Ecco perché qui torniamo sull’argomento. Con tre premesse fondamentali.
CREATIVITÀ
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UNDICI MOSTRE (E PIÙ)
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on ce ne vogliano le altre esposizioni allestite nell’ambito della Photokina: i già menzionati programmi di Photofaircologne (diciassette mostre a cura di gallerie fotografiche) e DGPh auf der Photokina (tre mostre, a cura dell’associazione dei fotografi professionisti tedeschi), cui va aggiunta la variegata selezione Blende, risultato del concorso rivolto al grande pubblico, che matura appunto nei giorni e all’interno della fiera. Non ce ne vogliano, se le nostre odierne osservazioni sul rapporto potenzialmente positivo tra cultura e industria fotografica, peraltro proiettato in prospettive a tutto campo, si focalizza sulla Visual Gallery. In trasposizione, quanto rileviamo può essere esteso ad altre tante combinazioni analogamente propositive (nella propria sostanza diverse, perché più variegate, della semplice contribuzione in forma di sponsor a manifestazioni ed esposizioni locali: altro discorso). E comunque, questa analisi a freddo, oltre la cronaca, non intende riferirsi agli avvenimenti in quanto tali, ma alle proprie consecuzioni e personalità, da prendere eventualmente a esempio e campione. Come accennato, la Visual Gallery coerente con la Photokina 2004 (www.visualgallery.de) ha presentato sedici mostre di spessore, nel proprio complesso testimonianza di aspetti e tendenze dell’attuale linguaggio fotografico, cinque delle quali risultato di concorsi internazionali (a pagina 38). Il taglio alto rivela presto sia la competenza dei curatori, sia la capacità di dare un’immagine positiva e propositiva della fotografia applicata, sì da sollecitare interessi nel pubblico e, perché no?, sì da affezionare al discorso fotografico, magari con atteggiamenti consapevoli sul mercato (non nascondiamoci dietro l’idea di una cultura soltanto astratta). ❯ Presentata dal settimanale Stern, che subito rivela anche fantastiche alleanze e collaborazioni, la personale Mortals di Anton Corbjin ha puntualizzato la personalità fotografica di un autore che si è prepotentemente presentato alla ribalta internazionale con un linguaggio applicato forte e diretto: soprattutto ritratti a uso editoriale (illustrazioni, in gergo), capaci di rivelare l’anima dei personaggi oltre la semplice raffigurazione dell’aspetto esteriore. Di grande stile, per esempio, i ritratti di Stephen Hawking, il celebre fisico-filosofo condannato su una sedia a rotelle (e non solo questo), e quello sensorialmente più leggero dell’attore Johnny Depp, capaci di stare accanto a ritratti sperimentali, declinati in senso prettamente concettuale (pagina accanto). ❯ Paese e cultura emergente nel panorama dell’arte moderna, oltre che in altre socialità più o meno quotidiane, la Cina ha sollecitato una collettiva di sette autori, realizzata in collaborazione con la Alexander Ochs Galleries Berlino / Beijing. Appunto, Contemporary Art from China è una panoramica sulle tendenze espressive che si stanno manifestando in una società in clamorosa e rapida trasformazione, all’indomani degli anni del maoismo, che dal punto di vista visivo furono caratterizzati dall’onda lunga del realismo socialista di origine sovietica. Sperimentazioni, linguaggi e rappresentazioni che si rivolgono soprattutto alla fotografia d’arte, e che rivelano insospettabili (fino a ieri) capacità di sogno ed evocazione (a pagina 34). ❯ Della selezione dei reporter di guerra dell’Agenzia VII, presentata da Visual Gallery con un accattivante allestimento scenico, che ha esaltato sia la drammaticità sia l’umanità delle immagini, abbiamo ampiamente riferito all’inizio dello scorso anno, in occasione dell’esposizione italiana agli Scavi Scaligeri di Verona, intitolata Inviati di guerra (FOTOgraphia, febbraio 2004). Una sola annotazione aggiuntiva, in relazione all’appuntamento di Colonia, in un ambito scandito su tempi fotografici diversi e complementari, con il reportage rappresentato da una propria componente, quella degli inviati di guerra, ancora tristemente d’attualità nel mondo contemporaneo (pagina accanto). ❯ A cura di Leica Camera AG, Magic Hands di Elliott Erwitt è una ennesima rivisitazione d’archivio, dal quale sono state esattamente isolate immagini a tema, nelle quali il gesto della mano risulta particolarmente significativo. Dell’ironia visiva dell’autore tutti sanno, o dovrebbero sapere, e questa ulteriore selezione conferma la sua capacità di vedere ciò che solitamente si guarda soltanto (a pagina 38). ❯ Diversamente dalla serie fotografica di Robert Huber e Stephan Vanfleteren (Elvis & Presley, agli Scavi Scaligeri di Verona a fine 2001; FOTOgraphia, no-
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vembre 2001), che si sono fotografati a vicenda in un lungo viaggio attraverso gli Stati Uniti, nei panni di “The Pelvis”, Elviswho di Peter Badge e Johann Zambryski indaga il Mito attraverso una incessante sequenza di sosia fotografati da Peter Badge. Somiglianze fisiche con Elvis Presley, inevitabili appariscenti costumi di scena e atteggiamenti fisici in ricordo di una stagione ancora palpitante in luoghi canonici dell’America. A completamento, Johann Zambryski ha realizzato immagini rielaborate analogicamente, basate su riproduzioni di fotografie originali di Elvis. ❯ Puro e autentico reportage di documentazione, declinato nel rigore di un bianconero classico, arricchito da un allestimento imponente (basato su cornici almeno impegnative). Voodoo di Alberto Venzago è esattamente ciò che il titolo subito rivela: viaggio di dieci anni, affianco al potente sacerdote africano Mahounon, attraverso i riti magici di culture antiche, nel rigoroso stile dell’illustrazione geografica colta (a pagina 39). La mostra è stata accompagnata dal documentario sperimentale Voodoo - Mounted by the Gods, realizzato in collaborazione con Wim Wenders. ❯ Evoluzione di un percorso personale avviato nel 1983, i recenti Portraits (ritratti) di Kris Scholz declinano un linguaggio fotografico che si riconduce a lezioni classiche della pittura, con richiami espliciti e dichiarati al Rinascimento italiano. Posture, abbigliamenti, sguardi che si perdono in lontananza sono ereditati da antiche rappresentazioni, rivisitate in composizioni fotografiche nelle quali il soggetto si delinea chiaro ed evidente su fondi (aggiunti) sfocati, mossi ed evanescenti (a pagina 40). ❯ Doppio il ritmo volontariamente scandito dalle combinazioni di Lebenszeit (La durata della vita) attraverso i cui accostamenti, il tedesco Walter Schels pone l’accento su affinità esteriori, fisionomie individuali, di atteggiamento facciale piuttosto che di espressione vera e propria, tra ritratti di neonati (da un bambino di un solo giorno di vita) e ritratti di persone anziane, non soltanto mature. Evidenziata da un allestimento scenico forte di autentiche gigantografie che cadono dall’alto del soffitto, l’analogia del dittico è spesso inquietante, e non si ferma, nella mente e cuore dell’osservatore, ai soli tratti fotografici della similitudine (a pagina 40). ❯ Fantastico balzo indietro, per modo di dire: gli ingrandimenti di generose dimensioni di Venezia - Camera obscura di Günter Derleth esaltano la forza visiva, comunicativa e rappresentativa implicita nell’esposizione fotografica con foro stenopeico. Atmosfere che ciascuno richiama dai propri sogni si materializzano sulla superficie sensibile, con un trasporto che affonda le proprie radici nelle stesse origini della vita, evocata da una colta interpretazione fotografica (a pagina 41). ❯ Visivamente accattivante, 1170 mal in 80 Stunden (millecentosettanta volte in ottanta ore) è un progetto dell’associazione BFF di fotografi professionisti, regione di Stoccarda, che rischia di contrarsi su se stesso, rimanendo ancorato alla sola apparenza dei millecinquecento ritratti accostati in un allestimento scenico che non lascia trasparire la sostanza dietro la propria forma prepotente. Certamente non è solo un gioco, una texture, come appare nell’unica stampa lunga centottanta metri, ma non è facile approfondirlo. Soprattutto per il pubblico generico, soprattutto per chi è estraneo al percorso e ai connotati specifici del linguaggio fotografico (a pagina 38). ❯ Nel proprio itinerario internazionale, la rassegna dei vincitori dell’Euro Press Photo Awards, organizzato e svolto da Fujifilm, ha portato alla Visual Gallery la consistenza della propria attenta osservazione del fotogiornalismo di cronaca, sport, natura e design/architettura, i quattro temi della recente edizione 2004 (FOTOgraphia, maggio 2004). Con l’occasione ribadiamo la propositiva combinazione tra industria fotografica produttrice e applicazione del linguaggio visivo. In un momento nel quale si lamenta una recessione totale e complessiva, Fujifilm offre un segnale di senso opposto, addirittura controtendenza, continuando ad affrontare la materia fotografica a tutto campo: sia per i propri riferimenti commerciali immediati, sia verso i risvolti culturali e promozionali che esulano dallo specifico del marchio e dei prodotti, per approdare alla Fotografia in senso lato e globale.
Una: per nostro solito non ci soffermiamo mai su accadimenti fotografici conclusi, come è appunto Visual Gallery; in genere ne diamo notizia anticipata, in modo da sollecitare la partecipazione individuale. Però ci sono casi nei quali, come è in questo caso, l’approfondimento non si limita ai termini temporali dello svolgimento, quanto alla sostanza dell’avvenimento (come sono le relazioni giornalistiche all’indomani di un incontro sportivo). Per intenderci, come è per le puntuali e attente relazioni da Paris Photo (FOTOgraphia, aprile 2003, marzo e dicembre 2004) e da Visa pour l’Image (FOTOgraphia, settembre 2001 e dicembre 2003), ancora una volta vogliamo annotare il senso e significato dei contenuti. Appunto a giochi conclusi. Due: ogni nostra declinazione non è mai autoconclusiva, né tantomeno lamentevole. La voglia di vedere, capire e condividere si allunga sull’ipotesi concreta di offrire a chi di dovere e potere spunti per meglio agire nei propri ambiti, sempre che questo sia in qualche modo e misura possibile. Tre: anche se diffidiamo di facili parole, usate spesso solo per se stesse, oggi ci riferiamo a un’idea di “cultura” (appunto uno dei termini che vorremmo fossero usati con maggiore parsimonia). Comunque, non intendiamo mai una cultura astratta e teorica, oltre che soltanto vuotamente nozionistica, quanto una cultura attiva, trascinante, quotidiana, capace di parlare alla gente, facendosi capire per coinvolgere.
QUANTITÀ Come abbiamo ricordato nell’ambito della relazione dalla Photokina 2004 (in FOTOgraphia dello scorso novembre), in occasione della fiera merceologica internazionale della fotografia sono organizzati eventi culturali integrativi. Forti e qualificati da proprie personalità di taglio sostanzialmente alto, questi momenti sono sì dipendenti dal contenitore Photokina, ma non sono certamente in subordine, vivono autonomamente. E qui sta la prima considerazione: che sottolinea come certi appuntamenti culturali abbiano bisogno di un richiamo altro e di un appoggio dal mondo commerciale per poter esprimere appieno i propri contenuti, che in differenti circostanze, appunto prive di tale combinazione, potrebbero risultare come svuotati o impoveriti. In un rapporto paritetico, di rispettive e relative relazioni, dalla cultura fotografica al commercio, e anche viceversa. Da anni, in autunno si svolge a Colonia l’Internationale Photoszene Köln, che negli anni pari si assomma alla Photokina (fiera merceologica con cadenza, appunto, biennale). La diciassettesima edizione 2004, combinata con la fiera merceologica, ha presentato ottantadue appuntamenti fotografici di diverso peso e taglio: trenta mostre allestite in musei e gallerie ufficiali (tra le quali la prestigiosa retrospettiva James Abbe: Shooting Stalin al Museum Ludwig), ventotto esposte in sedi di istituzioni pubbliche, tre realizzate all’interno di indirizzi culturali e diciassette in spazi alternativi. A completamento, i restanti quattro programmi sono stati autenticamente tali: Photofaircologne (diciassette mostre in Photo-
kina a cura di gallerie fotografiche); POC in Town (workshop e incontri a tema); DGPh auf der Photokina (tre mostre all’interno della Photokina, a cura dell’associazione dei fotografi professionisti tedeschi: personali di Will McBride, Premio Salomon 2004, e Daido Moriyama, Kulturpreis 2004, e collettiva dell’associazione DGPh-Deutsche Gesellschaft für Photographie); e l’articolata Visual Gallery, ancora all’interno della Photokina (sedici mostre, tra personali e collettive, cinque delle quali passerelle dei vincitori di concorsi internazionali; pagina accanto e a pagina 38). E a queste, in particolare, ci riferiamo. Da due edizioni della Photokina, a fronte di un adeguamento a individuate esigenze del pubblico, la Visual Gallery si riallaccia idealmente all’originaria Sezione Culturale, organizzata dal qualificato Fritz Gruber, personaggio di spicco della cultura fotografica contemporanea, che fino alla metà degli anni Ottanta aveva accompagnato l’esposizione merceologica. Ricordando anni lontani, tornano alla mente straordinari programmi espositivi che hanno sistematicamente fatto il punto sul linguaggio fotografico applicato, oppure proposto nuovi indirizzi. A caso: nel 1974 abbiamo avuto il primo contatto con i coniugi Bernd e Hilla Becher, che a seguire si sono affermati nel mondo internazionale della fotografia d’arte, e, nella stessa edizione, abbiamo goduto di una esaustiva retrospettiva sull’immagine in movimento sequenziale, allestita con fantastica competenza (dalle lanterne magiche ai primi esperimenti di Eadweard Muybridge, dalle rappresentazioni di Marcel Duchamp al futurismo di Giacomo Balla); nel 1984 furono indagati gli aspetti discriminanti della professione, con parti-
Presentata dal settimanale Stern, la selezione Mortals di Anton Corbjin ha puntualizzato la personalità di un autore che si è presentato alla ribalta internazionale con un linguaggio applicato forte e diretto: ritratti a uso editoriale, capaci di rivelare l’anima dei personaggi oltre la semplice raffigurazione dell’aspetto esteriore.
Inviati di guerra dell’Agenzia VII è stata presentata da Visual Gallery con un accattivante allestimento scenico, che ha esaltato sia la drammaticità sia l’umanità delle immagini. (Lauren Greenfield: Addestramento di soldatesse, Parris Island, South Carolina, 2002).
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CINQUE PREMI
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inque delle sedici mostre della Visual Gallery 2004 hanno riunito le immagini vincitrici in altrettanti qualificati concorsi internazionali ❯ Il sedicesimo BFF Promotion Award & Reinhart Wolf Award, riferito alle migliori tesi di laurea nel settore fotografico, ha dato visibilità a ricerche espressive contemporanee, soprattutto rivolte a una sorta di introspezione fotografica, segno evidente dei nostri tempi attuali. ❯ Lo stesso, con leggero spostamento a lato, si può rilevare per i risultati del Gold by 66 BFF Junior Members, pure attento alle espressioni della fotografia di giovani autori, che osservano con occhio partecipe, ma anche critico, la vita quotidiana. ❯ Per quanto il Kodak Young Talent Award 2002-2004, ancora panorama della fotografia giovane, ribadisca l’attenzione per le manifestazioni dell’esistenza, dalla vita di tutti i giorni alle stridenti contraddizioni della società, fino alle tragedie di paesi coinvolti in guerre e conflitti laceranti, la personale di Pep Bonet, vincitore del Kodak Award for Young Photographers 2002-2004, si proietta in un maturo fotoreportage di spessore. Già
(in basso, a destra) 1170 mal in 80 Stunden (millecentosettanta volte in ottanta ore) raccoglie millecinquecento ritratti accostati in un allestimento scenico che non lascia trasparire la sostanza dietro la propria forma prepotente.
presentato e commentato in FOTOgraphia dello scorso aprile 2004 (con intervista di Lello Piazza all’autore), Faith in Chaos - La Sierra Leone dopo il conflitto racconta ciò che raramente si legge sui giornali: cioè la verità su fatti che riguardano quegli uomini miserabili che non interessano i media occidentali e la pubblicità, perché non consumano né, probabilmente, consumeranno mai. Lo scenario è quello della Sierra Leone alla fine di dieci anni di una delle più sanguinarie guerre civili del secolo. Pep Bonet ha elaborato la propria storia attorno la solidarietà umana e sociale, quel sentimento che tiene in piedi l’anima dell’uomo come lo scheletro ne regge il corpo. ❯ Infine, Bollywood Dreams di Jonathan Torgovnik, presentato in Italia nell’ambito di Foto & Photo 2002 (a Cesano Maderno, in provincia di Milano), ha concluso il lungo tragitto espositivo di Visual Gallery con una visione leggera. Affermatosi nella selezione The Emerging Artist, è un reportage sull’industria indiana del cinema, che si sta proiettando, con i propri inconfondibili stilemi, sul panorama sociale internazionale (a pagina 41).
colare attenzione alle edizioni librarie delle più qualificate monografie d’autore e dei più significativi calendari illustrati; il 1968, sull’onda lunga di una socialità in trasformazione, testimoniò gli aspetti del reportage sociale; mentre è del 1972 la disamina attenta dell’espressione fotografica nel proprio complesso, dagli esperimenti originari all’avventura, dalla creatività applicata al reportage di indagine, dall’universalità del linguaggio alle donne viste da donne.
QUINDI, CULTURA A cura di Leica Camera AG, Magic Hands di Elliott Erwitt è una ennesima rivisitazione d’archivio, dal quale sono state esattamente isolate immagini a tema, nelle quali il gesto della mano risulta particolarmente significativo. (Richard Nixon e Nikita Krusciov, Mosca, 1959).
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Ma non è solo un problema quantitativo, anzi è esattamente vero il contrario: è qualitativo. Qualitativo per se stesso e qualitativo dell’incontro fertile, dinamico, attento, concreto tra cultura e impresa. Ovviamente l’industria in sé non ha compiti, né obblighi culturali. Però, nel concreto, sono anche i mezzi economici che l’industria può utilizzare che servono alla promozione e veicolazione della cultura. Nello specifico della fotografia, la Visual Gallery può essere a pieno diritto definita evento espositivo top del salone merceologico, suo naturale complemento, sua intelligente appendice (a un tempo pulsante di vita propria come direttamente collegata con le passerel-
le tecnologiche). Dal 28 settembre al 3 ottobre, in coincidenza di date con la Photokina, nel centrale padiglione 7, su una superficie espositiva di quasi quattromila metri quadrati, tra personali e collettive sono state allestite sedici mostre, in cui sono stati esposti i lavori fotografici di centocinquantatré autori. Lo abbiamo già conteggiato, ma la ripetizione si impone: l'afflusso di visitatori ha superato le aspettative. Hanno visitato la Visual Gallery circa centoventimila persone, centodiecimila delle quali migrate dai padiglioni merceologici della Photokina. Ciò significa che quasi il settanta per cento degli oltre centosessantamila visitatori registrati alla Photokina hanno sfruttato non solo la possibilità di informarsi sull’offerta attuale di tecnologie e applicazioni per la produzione e l’elaborazione di immagini, ma si sono interessanti anche all’eccezionale parte espositiva del salone. Ecco qui la combinazione tra cultura e industria, l’una collegata all’altra, l’una necessaria all’altra, l’una sollecitante dell’altra, l’una capace di dare senso compiuto all’insieme tecnologico dell’altra. Anche se lo abbiamo sempre pensato, e spesso scritto, ora lo urliamo a grande voce (pur deprecando i toni di voce alti): questa combinazione tra strumento fotografico e
fotografia è oggi più utile e necessaria che mai. Infatti, casualità di mercato a parte, proprio al giorno d’oggi assistiamo a una dicotomia commerciale quantomeno curiosa. L’attuale tecnologia digitale non può essere venduta nei negozi fotografici ad apparecchi spenti, ma ha bisogno di visualizzazioni sollecitanti, che possono arrivare anche (e forse soprattutto) dalle espressioni culturali della stessa fotografia. Di questo deve fare tesoro il mondo commerciale. Tanto è vero che un personaggio al di sopra di ogni sospetto, per proprio incarico ufficialmente demandato a trovare e realizzare sinergie (anche di mercato, soprattutto di mercato), si è espresso con chiarezza, sottolineando le consecuzioni proprie
dallo strumento fotografico al suo uso, e dall’immagine al commercio. Gerard Goodrow, direttore del settore commerciale Arte & Cultura della Koelnmesse, direttore di ArtCologne e curatore di Visual Gallery, ha annotato che l’enorme successo riscosso delle mostre fotografiche conferma che le stesse contribuiscono in modo decisivo all’ambiente unico del World of Imaging, autodefinizione da tempo adottata dalla Photokina. Ovviamente, va sottolineata ancora l’attenzione scientifica degli organizzatori, che hanno allestito un programma fotografico di tutto rispetto e composto un insieme culturale che si proietta in avanti nel tempo. Accanto a nomi storici, autori emergenti rappre-
Autentico reportage di documentazione, declinato nel rigore di un bianconero classico, Voodoo di Alberto Venzago è un viaggio di dieci anni, affianco al potente sacerdote africano Mahounon, attraverso i riti magici di culture antiche, nel rigoroso stile dell’illustrazione geografica colta.
RICHIAMI ESPLICITI
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ttenzione, quando annotiamo che i possibili programmi culturali promossi dall’industria fotografica, se non già sollecitati, debbano soprattutto combinarsi con propri appuntamenti istituzionali, sì da farne da traino (la Visual Gallery con la Photokina e le mostre a Milano e Roma per l’italiano PhotoShow), individuiamo anche percorsi visivi diversi da quelli del mondo culturale vero e proprio. In particolare, oltre i rapporti consueti di sponsorizzazione a eventi, l’industria ha spazi autonomi d’azione nell’individuazione e presentazione di percorsi fotografici nei quali la combinazione tecnica possa essere sottolineata. A conseguenza, ci si deve rivolgere al pubblico con richiami espliciti, che mettano in primo piano l’oggetto fotografico.
In questo senso annotiamo la sequenza di immagini-simbolo della manifestazione Foto & Photo, che si svolge a Cesano Maderno, in provincia di Milano, della quale abbiamo recentemente presentato l’edizione dell’autunno 2004 (in FOTOgraphia dello scorso settembre). Senza mancare al proprio indirizzo culturale, Foto & Photo ha sempre certificato la propria personalità, appunto fotografica, attraverso sintesi che hanno dato spazio e visibilità all’oggetto fotografico: 2001, Federico Fellini con Leica e Leicavit (fotografia di Franco Pinna dalla personale Anteprima Block-Notes di un fotografo); 2002, bambini con proprie macchine fotografiche (fotografia di Giancolombo dalla personale Europa anni Cinquanta); 2003, autoritratto di Alexandre Rodchenko con Leica (se non ricordiamo male, dalla selezione Le stagioni della fotografia russa, dalla Collezione della Moscow House of Photography); 2004, Duane Michals, uno dei fotografi più importanti dell’avanguardia statunitense, in contrapposizione speculare con Joel Grey: uno fotografa l’altro (fotografia appositamente realizzata per l’occasione).
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Dal Reinhard Wolf Award 2004, una visione di Thomas Bak. (in alto, a destra) Portraits di Kris Scholz declina un linguaggio fotografico che si riconduce a lezioni classiche della pittura, con richiami dichiarati al Rinascimento italiano. (al centro) Attraverso gli accostamenti di Lebenszeit (La durata della vita), Walter Schels pone l’accento su affinità esteriori e fisionomie individuali tra ritratti di neonati e ritratti di persone anziane. (a destra) Dal Kodak Young Talent Award 2002-2004, gli emozionanti autoritratti di Stephanie Sabatier.
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sentano il termometro del sentire internazionale e dei movimenti delle nuove espressioni visive, il cui tracciato configura oggi le tendenze in divenire. Per esempio, si annota la presenza forte di giovani fotografi artisti cinesi, che si affacciano ora sul palcoscenico internazionale: segnale dei tempi attuali (in copertina e a pagina 34). Individuando un motivo conduttore, Visual Gallery ha dato spazio alle ricerche espressive che hanno come territorio di indagine l’Uomo: da quelle intimistiche di Bianca Radziwanowska, con i suoi ritratti inquietanti di volti appiattiti da un uso esasperato del flash elettronico frontale, affiancati ognuno a un ambiente congeniale alla persona raffigurata (dal Reinhard Wolf Award 2004; pagina accanto), e Stephanie Sabatier, che usa se stessa per descrivere visivamente l’emozione di pensieri, osservazioni e sensazioni (dal Kodak Young Talent Award 2002-2004; qui a destra), a quelle immaginifiche, oniriche e a dirla tutta fortemente angoscianti di Thomas Bak (ancora dal Reinhard Wolf Award 2004; qui sopra). E lo stesso filo conduttore dell’Uomo si può attribuire anche al reportage sulle paraolimpiadi, con il quale il greco Yannis Behrakis si è affermato nella selezione Sport del Fuji Euro Press Photo Awards (ex-æquo con il danese Lene Esthave; FOTOgraphia, maggio 2004) e ai reportage sociali che osservano le contraddizioni del nostro mondo: dalla situazione socio-economica in Sierra Leone fotografata da Pep
Bonet (FOTOgraphia, aprile 2004) all’Iraq insanguinato di Yannis Kontos (ancora dal Fuji Euro Press Photo Awards) alla Bosnia di Ron Haviv dell’Agenzia VII (FOTOgraphia, febbraio 2004).
CON GARBO Ovviamente, non ci debbono essere gerarchie. Nessuna delle due componenti, quella culturale e quella commerciale, deve considerarsi primaria, o andare a incassi fuori tempo (e spazio). La combinazione deve essere assolutamente e inderogabilmente paritetica. Ciascuno tragga beneficio dalla contribu-
Affermatosi nella selezione The Emerging Artist, Bollywood Dreams di Jonathan Torgovnik, presentato in Italia nell’ambito di Foto & Photo 2002 (a Cesano Maderno, in provincia di Milano), è un reportage sull’industria indiana del cinema, che si sta proiettando, con i propri inconfondibili stilemi, sul panorama sociale internazionale.
zione, senza stabilire alcuna scala di valori. Tanto è vero che, continuando a fare riferimento al luminoso (oltre che lungimirante) esempio della Visual Gallery, è giocoforza annotare che l’industria fotografica ha fatto a meno della propria combinazione culturale, appunto mandando in pensione l’originaria Sezione Culturale, in anni nei quali ha legittimamente considerata la concreta possibilità di camminare da sola. Onore al merito: i secondi anni Ottanta e tutti i Novanta sono stati tempi nei quali il traino tecnologico è stato tale da consentire questa presentazione in solitario. Nessun rimpianto, nessun rimprovero, ma la sola certificazione e testimonianza convinta che, potendolo fare (non soltanto credendo di poterlo fare), l’industria fotografica lo ha fatto: per bene e per il proprio bene. Tanto di cappello. Quando la stessa industria ha colto i sintomi di una possibile flessione, è tornata a cercare partner che potessero darle benefico lustro: non ci scandalizziamo per questo. E, allo stesso tempo, annotiamo come la combinazione sia stata sintonizzata con correttezza da entrambe le parti. La Visual Gallery è stata organizzata da Bilder.Bilder eV, associazione creata nel 2002 dai promotori della Photokina-Koelnmesse GmbH e Prophoto GmbH allo scopo di promuovere la fotografia. Riprendendo il filo del discorso, in relazione alla combinazione paritetica, annotiamo che la Visual Gallery è stata allestita nei padiglioni fieristici della Photokina con grande garbo ed efficace scenografia, sia congeniale alla corretta presentazione delle opere fotografiche esposte sia degna della propria consecuzione ambientale con le sfavillanti scenografie degli stand tecnici. Guidati da Thomas Schriefers e coordinati dall’ospitante Koelnmesse, gli studenti del corso di studi Corporate Architecture della Facoltà di Architettura dell’Accademia Tecnica di Colonia hanno progettato una concezione espositiva armonica e ingegnosa. Nel concre-
to, e senza inutili voli pindarici, che avrebbero potuto sovrastare le mostre fotografiche (autentico e inviolabile soggetto), tramezzi mobili disposti a raggiera hanno creato una cornice particolare per la presentazione delle immagini e al tempo stesso una struttura adattata elegantemente al padiglione espositivo a semicerchio. Il particolare allestimento è risultato assolutamente ordinato con la successione di immagini presentate, la cui vastità di rappresentazione è stata efficacemente salvaguardata. Tanto che, visitando la mostra, siamo stati subito accolti da una coerente compresenza di generi fotografici diversi, dagli scatti di autori storici alle più attuali forme espressive del sentire contemporaneo, nessuno invadente sull’altro. E questo si deve alla competenza degli organizzatori e allestitori insieme. In un percorso espositivo fluido, non ci sono stati stridori; anzi la simultaneità della combinazione di generi fotografici diversi ha favorito e sollecitato il confronto diretto, offrendo un’occasione di chiarezza e stilizzazione del panorama fotografico mondiale. In conclusione: fotografie per vendere (strumenti della) fotografia, con coerenza e chiarezza di intenti. Cultura abbinata all’industria senza subordini e per il reciproco benessere. Alessandra Alpegiani e Maurizio Rebuzzini
Dal Reinhard Wolf Award 2004, ricerca visiva di Bianca Radziwanowska. Ritratti inquietanti di volti appiattiti da un uso esasperato del flash elettronico frontale, affiancati ognuno a un ambiente congeniale alla persona raffigurata. (in alto, a sinistra) Gli ingrandimenti di generose dimensioni di Venezia - Camera obscura di Günter Derleth esaltano la forza visiva, comunicativa e rappresentativa implicita nell’esposizione fotografica con foro stenopeico.
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ome un grande osservatorio puntato sulle vicende del mondo, raccontato con la forza implicita ed esplicita della comunicazione visiva, anche quest’anno, come accade da quarantotto stagioni, la World Press Photo Foundation di Amsterdam ha accolto migliaia di fotografie che hanno partecipato a quello che a ragion veduta è considerato il più importante premio di fotoreportage e giornalismo internazionale. Appunto, il World Press Photo: appuntamento molto atteso dagli addetti ai lavori, e non solo da loro. L’interesse per la fotografia giornalistica si sta sempre più diffondendo anche tra un pubblico di osservatori e fruitori più vasto, che sono poi gli utenti effettivi dell’informazione, in questo caso selezionata e inquadrata per tematiche prestabilite. Forse dovremmo domandarci le ragioni di tale fenomeno. La spettacolarità e verità della Fotografia
Inevitabilmente, le più appariscenti fotografie premiate al World Press Photo sottolineano le tragedie del mondo. È un prezzo da pagare alla cronaca che diventerà Storia: straordinario occhio testimone, come abbiamo già avuto modo di sottolineare in altre occasioni, a questa precedenti. Ancora una conferma
World Press Photo of the Year 2004 e primo premio Spot News: Arko Datta (India), Reuters: Woman mourns relative killed in tsunami (Cuddalore, Tamil Nadu, India, 28 dicembre).
UN ANNO di fotogiornalismo
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(solita maiuscola volontaria), lucida nella propria fissità, è ancora un elemento forte, apprezzato se non addirittura (ri)cercato, capace di mantenere il confronto con altri mezzi di informazione contemporanei, nella propria sostanza tragicamente effimeri, quali Internet, dirette televisive, antenne satellitari, e quant’altro fa a gara per offrire cronaca in tempo reale. Se sentiamo il bisogno o l’istinto di continuare ad affidarci ancora alla fotografia per nutrire le nostre conoscenze, per forgiare un senso critico, per vivere l’attualità (che si proietta avanti
Primo premio Portraits Stories: Adam Nadel (Usa), Polaris Images: Darfur portraits.
WORLD PRESS PHOTO 2005 (FOTOGRAFIE DEL 2004)
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pprodato alla quarantottesima edizione, il World Press Photo ha raggiunto due record: 4266 fotografi, provenienti da centoventitré paesi, e 69.190 fotografie pervenute. Quindi, un’altra constatazione di servizio: per la prima volta è stato esplicitamente richiesto di inviare immagini in forma digitale. Da una parte, possiamo supporre una praticità logistica per la giuria selezionatrice, dall’altra non passi in secondo piano che, comunque sia, nel corso degli ultimi anni la presenza digitale è andata sempre più crescendo: nel 2002, il 57 per cento delle immagini inviate fu in formato digitale; nel 2003 salì al 69 per cento; e la scorsa edizione 2004 raggiunse l’80,7 per cento. A parte altre praticità oggettive, tanta omogeneità in un evento di portata mondiale è un sintomo (e/o un dato di fatto) da non sottovalutare nelle considerazioni sull’evoluzione delle tecnologie fotografiche, della fotografia in generale, dei propri strumenti e propri linguaggi. Al World Press Photo 2005, per fotografie scattate e pubblicate nel 2004, sono stati premiati cinquantanove fotografi, provenienti da ventiquattro paesi. La giuria ha riunito: Diego Goldberg (Argentina; presidente), fotografo; Peter Bitzer (Germania), direttore di Laif Photos & Reportagen; Giovanna Calvenzi (Italia), photo editor di Sportweek; Nikos Economopoulos (Grecia), fotografo dell’Agenzia Magnum Photos; Per Folkver (Danimarca), photo editor di Politiken; Daniel Glückmann (Spagna), direttore dell’Agencia Cover; Alberto “Bullit” Marquez (Filippine), fotografo dell’Associated Press; Juda Ngwenya (Sudafrica), fotografo dell’Agenzia Reuters; Swapan Parekh (India), fotografo; Kathy Ryan (Usa), photo editor di The New York Times Magazine; Mark Sealy (Inghilterra), direttore di Autograph-ABP; Maggie Steber (Usa), fotografa; Alfred Yaghobzadeh (Iran), fotografo dell’Agenzia Sipa Press. Segreteria: Stephen Mayes (Inghilterra), direttore Art+Commerce Anthology. World Press Photo of the Year 2004, ovvero Fotografia dell’anno: Woman mourns relative killed in tsunami (Cuddalore, Tamil Nadu, India, 28 dicembre) di Arko Datta (India) dell’Agenzia Reuters (a pagina 43). Con la stessa immagine, il fotografo indiano ha vinto anche il primo premio nella sezione Spot News; si tratta effettivamente di una fotografia dalle caratteristiche di cronaca, che riprende un momento drammatico, relativo al disastro causato dallo tsunami alla fine dello scorso dicembre, tragico avvenimento che ha inevitabilmente acceso i riflettori del fotogiornalismo internazionale (come fu per l’11 settembre 2001). Il fotografo argentino Diego Goldberg, presidente di giuria, l’ha definita «una vera fotografia di cronaca, caratterizzata da un forte punto di vista del fotografo»; mentre la statunitense Kathy Ryan, photo editor di The New York Times Magazine, l’ha delineata come «un’immagine insieme grafica, storica e assolutamente emozionale». Spot News: 1) Arko Datta (India), Reuters [a pagina 43]; 2) Shaul Schwarz (Israele), Corbis [pagina accanto]; 3) Juan Medina (Argentina), Reuters; menzione d’onore) Daniel Aguilar (Messico), Reuters. Spot News Stories: 1) Dean Sewell (Australia), Oculi/Vu; 2) Yuri Kozyrev (Russia), Time Magazine; 3) Geert van Kesteren (Olanda) per Newsweek Magazine. General News: 1) J.F. Diorio (Brasile), Jornal O Estado de São Paulo; 2) David Robert Swanson (Usa), The Philadelphia Inquirer [pagina accanto]; 3) John Moore (Usa), The Associated Press. General News Stories: 1) James Hill (Inghilterra), The New York Times; 2) Paolo Pellegrin (Italia), Magnum Photos per Vanity Fair; 3) Paolo
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Woods (Olanda), Anzenberger. People in the News: 1) Kristen Ashburn (Usa), Contact Press Images; 2) Paul Vreeker (Olanda), Reuters; 3) Shaul Schwarz, (Israele), Corbis. People in the News Stories: 1) Christopher Morris (Usa), VII per Time Magazine [pagina accanto]; 2) Ami Vitale (Usa), Getty Images; 3) Carol Guzy (Usa), The Washington Post. Sports Action: 1) Bob Martin (Inghilterra), Sports Illustrated; 2) Lars Moeller (Danimarca), BT; 3) Jonathan Ferrey (Usa), Getty Images. Sport Action Stories: 1) David Burnett (Usa), Contact Press Images per Time Magazine; 2) Donald Miralle Jr (Usa), Getty Images [a pagina 47]; 3) Al Bello (USA), Getty Images. Sports Features: 1) Adam Pretty (Australia), Getty Images; 2) José Jimenez-Tirado (Porto Rico); 3) Renée Jones (Usa), Star Tribune. Sports Features Stories: 1) Daniel Silva Yoshisato (Peru), France Presse; 2) Miriam Dalsgaard (Danimarca), Politiken; 3) Qiu Yan (Repubblica popolare cinese), Wuhan Evening News. Contemporary Issues: 1) James Nachtwey (Usa), VII per Time Magazine; 2) Shoeb Faruquee (Bangladesh), Drik Picture Library; 3) Alessandro Di Gaetano (Italia), Polaris Images. Contemporary Issues Stories: 1) Michael Wolf (Germania), Laif Photos & Reportagen per Stern; 2) Jodi Bieber (Sudafrica) NB Pictures per Amnesty International/MSF; 3) David Høgsholt (Danimarca); menzione d’onore) Peter Granser (Austria), Laif Photos & Reportagen. Daily Life: 1) David Guttenfelder (Usa), The Associated Press; 2) Krisanne Johnson (Usa), per U.S. News & World Report [a pagina 46]; 3) Trent Parke (Australia), Magnum Photos; menzione d’onore) Seamus Murphy (Irlanda), AWP per Newsweek e The New York Times Magazine. Daily Life Stories: 1) Jan Grarup (Danimarca), Politiken/Rapho per Geo Germania [a pagina 46]; 2) Jonas Bendiksen (Norvegia), Magnum Photos; 3) Mickaël Troivaux (Francia), 4/3 Asso. Portraits: 1) Francesco Zizola (Italia); 2) Inez van Lamsweerde e Vinoodh Matadin (Olanda) per The New York Times Magazine; 3) Brent Stirton (Sudafrica), Getty Images per Global Business Coalition Against Aids. Portraits Stories: 1) Adam Nadel (Usa), Polaris Images [qui sopra]; 2) Nina Berman (Usa), Redux Pictures per Mother Jones; 3) Isabel Muñoz (Spagna), Vu per El País Semanal. Arts and Entertainment: 1) Tommaso Bonaventura (Italia), Agenzia Contrasto; 2) Alfred Seiland (Austria), The New York Times Magazine; 3) Joe O’Shaughnessy (Irlanda), Connacht Tribune. Arts and Entertainment Stories: 1) Lars Tunbjörk (Svezia), Vu per Libération; 2) George Georgiou (Inghilterra), Panos Pictures, 3) Marcello Bonfanti (Italia). Nature: 1) Jahi Chikwendiu (Usa), The Washington Post; 2) Pierre Holtz (Senegal), Reuters; 3) Eric Travers (Francia), Sipa Press. Nature Stories: 1) Carsten Peter (Germania), National Geographic Magazine [a pagina 46]; 2) Patrick Brown (Australia), Panos Pictures; 3) Ingo Arndt (Germania), per Geo Germania.
nel tempo), allora la fotografia stessa ricopre un grande significato, e un Premio di tanta levatura ne è testimonianza e conferma. Che lo si voglia o no, una fotografia mette ognuno di fronte a se stesso e alla propria epoca e coscienza. Quando la osserviamo siamo soli, non abbiamo scappatoie con la nostra intimità e interiorità. La fotografia non dice mai cosa dobbiamo pensare: pensiamo e basta. La fotografia non si muove, è lì, in tutta la propria presenza, autoritaria e imperiosa quanto basta per essere guardata. La fotografia non ha bisogno di muoversi: risiede lì la propria forza. La fotografia non pretende... ottiene.
zionate e premiate sono organizzate in una mostra finale, che in Italia è presentata contemporaneamente in due appuntamenti simultanei. Con il contributo di Canon Italia, World Press Photo: Fotografia e giornalismo (le immagini premiate nel 2005) è esposta alla Galleria Carla Sozzani di Milano e al Museo di Roma in Trastevere. Come tradizione, il premio è diviso in dieci categorie tematiche, ognu-
Secondo premio Spot News: Shaul Schwarz (Israele), Corbis: Young looter (Port-au-Prince, Haiti, 27 febbraio).
PREMIO CON MOSTRA L’attualità è fatta di momenti, pochi o molti in successione; e infatti diversi momenti sono raccontati dai fotoreportage premiati al World Press Photo. La tragicità inevitabile di scatti fotografici testimoni di brutture (a scelta tra le tante dei nostri tempi) si alterna a visioni e racconti di un’attualità più morbida, alle volte commovente. Infatti, il significato del World Press Photo, che arriva al grande pubblico attraverso la mostra delle fotografie vincitrici, allestita in numerose città del mondo, si concretizza presto anche in una sorta di documento storico, organizzato in un unico racconto fotografico capace di far ri-vivere gli eventi cruciali del nostro tempo. Come noto, il World Press Photo è assegnato ogni anno da una giuria composta da esperti accreditati del settore giornalistico e fotogiornalistico internazionale, che selezionano le migliaia di immagini inviate da tutto il mondo, scattate l’anno precedente (quindi, oggi ci riferiamo allo scorso 2004) da fotoreporter di agenzie, quotidiani e riviste, pubblicate sulla stampa internazionale, dove hanno documentato e illustrato gli avvenimenti in cronaca. L’abbiamo appena annotato: le immagini sele-
Secondo premio General News: David Robert Swanson (Usa), The Philadelphia Inquirer: U.S. soldier in ambush (Iraq, 6 aprile).
Primo premio People in the News Stories: Christopher Morris (Usa), VII per Time Magazine: George W. Bush re-election campaign.
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WORLD PRESS PHOTO FOUNDATION
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reata nel 1955, la World Press Photo Foundation (www.worldpressphoto.nl) è un’istituzione internazionale indipendente per il fotogiornalismo, che ha base in Olanda e opera senza fini di lucro. Scopo principale della Fondazione è l’organizzazione del Premio annuale e della relativa mostra, ma anche la possibilità di riunire i più bravi fotogiornalisti del mondo e farli discutere sui principali temi di attualità, avvicinando nazioni diverse. Questo è reso possibile dall’indipendenza della Fondazione, efficace ponte tra le persone e le nazioni. Al proposito, ogni anno la premiazione viene preceduta da due giorni di proiezioni e seminari sulla fotografia, con l’intervento di esperti di settore. Un’occasione, questa, che permette a fotografi, photo editor e giornalisti provenienti da tutto il mondo di incontrarsi per discutere il presente e futuro del fotogiornalismo. Dal 1994, la World Press Photo Foundation propone un’iniziativa di alto contenuto formativo: il Joop Swart Masterclass, corso gratuito di perfezionamento per fotografi giovani, selezionati da una giuria di esperti del settore. Il corso è tenuto in autunno a Rotterdam da insegnanti qualificati in diverse discipline del fotogiornalismo.
(in alto) Primo premio Nature Stories: Carsten Peter (Germania), National Geographic Magazine: Inside tornadoes.
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na delle quali prevede le sottocategorie delle immagini singole e dei reportage completi (stories); per ogni categoria sono indicati tre autori più eventuali menzioni d’onore (a pagina 44). In chiusura, una annotazione di servizio. Per regolamento della World Press Photo Foundation, la tutela delle immagini selezionate è fondamentale e irrinunciabile. Tanto che tutte le fotografie presentate in mostra non subiscono né possono subire alcuna censura o limitazione all’esposizione al
(pagina accanto, al centro) Primo premio Daily Life Stories: Jan Grarup (Danimarca), Politiken/Rapho per Geo Germania: Roma in Slovakia. (pagina accanto, in basso) Secondo premio Daily Life: Krisanne Johnson (Usa), per U.S. News & World Report: Old German Baptist girl plays basketball (Ohio).
Secondo premio Sports Action Stories: Donald Miralle Jr (Usa), Getty Images: Olympic Games portfolio.
pubblico. A tale scopo, ogni esposizione è controllata da un rappresentante della stessa World Press Photo Foundation, che verifica l’applicazione dell’inviolabile princìpio. A questo proposito, personalmente esprimiamo una nostra opinione positiva e favorevole al rigore con il quale viene salvaguardato il diritto di cronaca e quello d’autore, qualunque sia l’intensità dell’immagine e dell’eventuale contenuto scomodo che contiene. Sara Del Fante
World Press Photo: Fotografia e giornalismo (le immagini premiate nel 2005). Catalogo pubblicato da Contrasto (www.contrasto.it). ❯ Galleria Carla Sozzani, corso Como 10, 20154 Milano; 02-653531, fax 02-29004080; www.galleriacarlasozzani.org, info@galleriacarlasozzani.com. Dal 4 al 29 maggio; lunedì 15,30-19,30, martedì-domenica 10,30-19,30, mercoledì e giovedì fino alle 21,00. A cura dell’Agenzia Grazia Neri. ❯ Museo di Roma in Trastevere, piazza Sant’Egidio 1b, 00153 Roma; 06-5816563; www.comune.roma.it. Dal 5 al 29 maggio; martedì-domenica 10,00-20,00. A cura dell’Agenzia Contrasto.
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Annette Schreyer Miglior Portfolio al Premio Canon Giovani Fotografi 2004: «Per la capacità di aver raccontato con efficacia una serie di vicende drammatiche, senza aver tralasciato importanti elementi compositivi. Per aver rinunciato alla retorica in virtù di uno sviluppo progettuale indirizzato alla ricerca dei soggetti».
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isultati alla mano, che rivelano un accattivante panorama della fotografia emergente in Italia, la più recente edizione 2004 del Premio Canon Giovani Fotografi conferma quanto abbiamo già annotato gli scorsi anni. Estranei a condizionamenti e forti di convinzioni senza (ancora?) compromessi, i giovani fotografi guardano la vita con occhio libero e attento. In definitiva, l’alta qualità, non soltanto formale, delle immagini vincitrici è specchio di un corrispondente e originario alto livello dei partecipanti tutti, che sicuramente hanno messo in imbarazzo la giuria, statutariamente indirizzata a giudizi assoluti e unici. Bravi, veramente, i giovani fotografi che hanno conquistato il Premio, affermandosi tra centinaia di opere, tutte estremamente valide, con un livello qualitativo di anno in anno sempre crescente (al pari del-
la crescita quantitativa: all’edizione 2004 sono stati registrati trecentosessantacinque partecipanti, con quattrocentoventisei lavori). E questo fatto non può che rallegrare chi di fotografia vive, ne scrive, la pratica, ne fa ogni giorno oggetto di analisi e pensiero. Il Premio Canon Giovani Fotografi, che nel 2004 ha raggiunto la settima edizione, svolge una funzione discriminante nella socialità della fotografia. Infatti, oltre i contributi economici, i vincitori ottengono un tutore che li accompagna per un anno nel mondo professionale, introducendoli tra le pieghe e logiche di un mondo non facilmente decifrabile da soli; appunto, il tutore offre un supporto concreto, presentando i vincitori nel mondo professionale e prendendosi cura di seguirli durante i primi passi. Quindi, si tratta di un Premio istituzionalmente significativo e rappresentativo, che riconosce le difficoltà di approccio pro-
Ancora, la settima edizione del Premio Canon Giovani Fotografi sollecita una doppia considerazione. Da una parte, ribadisce un impegno della celebre industria fotografica oltre i propri compiti istituzionali, fino al concreto e tangibile sostegno di autori all’alba del proprio percorso professionale; dall’altra, l’insieme delle fotografie vincitrici, selezionate tra una partecipazione ampia per quantità e qualità, rivela i connotati espressivi di una generazione attenta e partecipe alla vita. Efficacemente osservata e raccontata con la Fotografia fessionale per un giovane, seppur dotato di talento; non è poca cosa colmare il vuoto, spesso discriminante (se non determinante), che separa come un baratro la fine degli studi dalla carriera lavorativa. Canon, che può vantare l’orgoglio di tale successo, continua nel proprio indirizzo rivolto ai giovani, confermando un’edizione 2005 del proprio Premio, una volta ancora articolato nelle ormai tradizionali quattro sezioni: Portfolio, Progetto, Portfolio Digitale e Borsa di Studio (a pagina 51). Ancora, la giuria assegnerà un ulteriore quinto premio speciale, che offre una frequentazione a uno dei corsi fotografici del
differenziato programma Toscana Photographic Workshop (TPW; FOTOgraphia, maggio 2004).
VINCITORI 2004 La giuria 2004 del Premio Canon Giovani Fotografi è stata presieduta da Denis Curti, direttore dell’Agenzia Contrasto (Milano), autentica anima del Concorso. Hanno fatto parte della giuria Paola Bergna, photo editor di Gente, Alessandra Chiarello, di Bondardo Comunicazione, Chiara Mariani, photo editor del Magazine del Corriere della Sera, Franco Achilli, graphic designer, Sandro Parmiggiani, direttore di Pa-
TALENTI DA SOSTENERE
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Miglior Portfolio Digitale a Eva Frapiccini «Per aver saputo elaborare un progetto coerente e omogeneo. Per la capacità di rappresentare il disagio interiore di molti, passando attraverso il tema dell’autoritratto». Autoritratto per rappresentare un possibile o probabile disagio interiore di molti.
lazzo Mariani di Reggio Emilia, e Maurizio Rebuzzini, direttore di FOTOgraphia. Al solito eterogenea e al tempo stesso complementare, per visioni fotografiche autonome quanto coesistenti in un insieme alla fine omogeneo, la giuria ha espresso indicazioni che alla resa dei conti compongono un panorama significativo del-
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la giovane fotografia italiana contemporanea. Il Miglior Portfolio è andato a Annette Schreyer «Per la capacità di aver raccontato con efficacia una serie di vicende drammatiche, senza aver tralasciato importanti elementi compositivi. Per aver rinunciato alla retorica in virtù di uno sviluppo progettuale indirizzato alla ricerca dei soggetti» (a pagina 48). Ritratti di ragazze madri con il proprio figlio in braccio fanno percepire un retrogusto di amarezza, di vicende presumibilmente anche drammatiche; ma sono immagini pulite, schiette e tranquille, che esprimono se stesse senza retorica. Annette Schreyer ha dato enfasi ai soggetti e basta. Questa la forza, sapendo padroneggiare significativamente elementi compositivi fondamentali, che contribuiscono alla sintassi del linguaggio fotografico. Nella sezione del Portfolio Digitale si è affermata Eva Frapiccini «Per aver saputo elaborare un progetto coerente e omogeneo. Per la capacità di rappresentare il disagio interiore di molti, passando attraverso il tema dell’autoritratto» (in questa pagina). Raffigurazione e rappresentazione care a molti altri autori contemporanei e non (per esempio cara anche a me!). La serie fotografica di Eva Frapiccini manifesta un’indagine molto intima: in ogni composizione si identifica più o meno chiaramente l’immagine dell’autrice-soggetto, presenza inquieta, resa fantasma dai toni sfumati e inafferrabili applicati alla ricerca. Emiliano Mancuso si è imposto nella sezione Progetto «Per la capacità di raccontare in modo diretto e chiaro. Senza indugi, l’autore entra nella storia seguendo una trama di forte impatto visivo, che coinvolge l’osservatore» (pagina accanto). All’interno del reportage, l’autore svolge il tema prefissatosi (aspetti dell’Italia meridionale) con una visione anche intimistica, capace di esprimere un forte e coinvolgente valore introspettivo. Fedele all’argomento, quanto distante da retorica e manierismo, Emiliano Mancuso ha realizzato il proprio racconto fotografico caricando il soggetto di evidente qualità espressiva. Crude realtà sono affrontate in sintassi poetica, tale da sintonizzarsi con situazioni eteree, quasi di materia inconsistente. Lo stile narrativo è diretto e proiettato verso l’esterno. Osservando queste immagini si ha l’impressione di guardare un pensiero, si intuiscono sensazioni, si condividono emozioni. (Attenzione, più che per le altre sezioni del Premio, l’attuale selezione di immagini di Emiliano Mancuso presentate in queste pagine -giocoforza limitata- è in qualche mi-
IN PROIEZIONE: 2005
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onfermate le quattro (cinque) sezioni del Premio Canon Giovani Fotografi, con termine di partecipazione al 30 novembre 2005: Canon Italia SpA, Premio Giovani Fotografi, via Milano 8, 20097 San Donato Milanese MI. Le opere devono essere inedite; si può concorrere a più sezioni o alla stessa con opere diverse. Il bando di concorso è disponibile presso gli istituti di fotografia, le scuole d’arte, i negozi di fotografia e sul sito www.canon.it, oppure può essere richiesto direttamente a Pronto Canon: 02-82492000. Portfolio (per autori nati dopo il Primo gennaio 1972): da dieci a quindici fotografie in stampe tra 18x24cm e 30x40cm oppure su CD-Rom (non sono ammesse diapositive). Viene richiesto un breve testo che presenti il lavoro e dia indicazioni di lettura (massimo una cartella dattiloscritta di circa millecinquecento caratteri). Premio di 4000 euro e tutore. Portfolio Digitale (per autori nati dopo il Primo gennaio 1972): da dieci a quindici immagini ottenute mediante elaborazione creativa al computer. Si suggerisce di proporre progetti visivi che tengono conto di elementi di postproduzione e del trattamento creativo in digitale delle immagini. Viceversa, le immagini di origine tradizionale dovrebbero essere proposte in altre sezioni del Premio. Registrazione su CD-Rom in formato Jpeg a 72dpi. Viene richiesto un breve testo che presenti il lavoro e dia indicazioni di lettura (massimo una cartella dattiloscritta di circa millecinquecento caratteri). Premio di 2500 euro e tutore. Progetto (per autori nati dopo il Primo gennaio 1972): progetto fotografi-
co da ultimare; da dieci a quindici fotografie in stampe colore o bianconero oppure su CD-Rom (non sono ammesse diapositive). Viene richiesto un breve testo che presenti il lavoro e dia indicazioni di lettura (massimo una cartella dattiloscritta di circa millecinquecento caratteri); sono altresì abbinabili disegni, illustrazioni, provini fotografici e quanto possa essere ritenuto utile per comprendere le valenze progettuali del lavoro. Premio di 2500 euro e tutore (la cifra è destinata a finanziare lo svolgimento e completamento del progetto stesso). Borsa di Studio (per autori nati dopo il Primo gennaio 1975): da dieci a quindici fotografie in stampe tra 18x24cm e 30x40cm oppure su CD-Rom (non sono ammesse diapositive). Viene richiesto un breve testo che presenti il lavoro e dia indicazioni di lettura (massimo una cartella dattiloscritta di circa millecinquecento caratteri). Data la particolarità della sezione, rivolta a chi intende approfondire lo studio della fotografia, viene richiesto di specificare il tipo di iniziativa didattica che si intenderebbe frequentare: scuole in senso tradizionale, ma anche esperienze didattiche con fotografi professionisti, stampatori, laboratori, studi. Premio di 2500 euro e tutore. Infine, tra tutti i partecipanti, la giuria seleziona un quinto vincitore, premiato con l’iscrizione gratuita a un workshop TPW (Toscana Photographic Workshop). Presieduta da Denis Curti, direttore dell’Agenzia Contrasto (Milano), la giuria 2005 è composta da Roberto Stringa, Fondazione del Corriere della Sera, Marco Anelli, fotografo, Stefano De Luigi, fotografo, Daniela Scibè, photo editor, Marco Vacca, fotografo, Gabriele Ren, degli Scavi Scaligeri di Verona. Emiliano Mancuso ha prevalso nella sezione Progetto «Per la capacità di raccontare in modo diretto e chiaro. Senza indugi, l’autore entra nella storia seguendo una trama di forte impatto visivo, che coinvolge l’osservatore». All’interno del reportage, l’autore svolge il tema prefissatosi (aspetti dell’Italia meridionale) con una visione anche intimistica, capace di esprimere un forte e coinvolgente valore introspettivo.
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Guia Besana parteciperà a una sessione dell’attuale stagione del Toscana Photographic Workshop. Si è segnalata al Premio Canon Giovani Fotografi con una rivisitazione fotografica di luoghi antichi di simboli e memoria umana, luoghi evocativi da secoli appartenenti alla vita dell’Uomo.
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sura depistante dell’insieme, che andrebbe considerato nella propria totalità e completezza). Borsa di Studio a Francesca Pisoni «Per la sensibilità visiva e la delicatezza del racconto. Per la freschezza e l’originalità della storia. Per la capacità di aver utilizzato il linguaggio del colore in armonia con il contenuto» (a destra). Francesca Pisoni vince con una storia in armonia con la vita. Delicate istantanee ritraggono bambini, ora in esterni, ora in un interno, ora in un gruppo familiare. Presumibilmente una famiglia. Sembra senza tempo. Potrebbe essere nomade, così come straniera, ma nell’essenza della quale ci possiamo ritrovare tutti. Nelle immagini è più evidente un linguaggio fotografico vicino al reportage, ma rinnovato in una fresca e più nuova visione nella quale il colore è senz’altro protagonista opportuno.
Infine, Guia Besana parteciperà a una sessione dell’attuale stagione del Toscana Photographic Workshop. Si è segnalata al Premio Canon Giovani Fotografi con una rivisitazione fotografica di luoghi antichi di simboli e memoria umana, luoghi evocativi da secoli appartenenti alla vita dell’Uomo (a sinistra). Luoghi rurali, una stalla, galline, affrontati con piglio moderno, dall’ironico al disincantato. Soggetto semplice, ma appunto per questo ingannevole: si presta a interpretazioni visive scontate. Guia Besana non si è lasciata ammaliare, è rimasta se stessa.
ALTRE CONSIDERAZIONI Prima di altre conclusioni o osservazioni, una nota parallela, che tale non è. Quattro dei cinque vincitori dell’edizione 2004 del Premio Canon Giovani Fotografi sono donne. Senza approdare a inutili sessismi, peraltro fuoriluogo, è opportuno rilevare come lo sguardo femminile, per troppi anni rimasto lontano dalla ribalta fotografica italiana, sia uno degli ele-
menti che qualificano l’attuale linguaggio. E percentuali analoghe si registrano negli incontri e corsi di fotografia che si svolgono nel nostro paese. Per concludere, sopra le altre una osservazione si impone con evidenza: tra i lavori premiati nelle cinque sessioni del Premio Canon Giovani Fotografi prevale una linea espressiva che sempre più spesso si ritrova negli approcci fotografici contemporanei. Esaurite stagioni vicine/lontane altrimenti indirizzate, risolte contraddizioni nei termini e nei fatti, l’odierna indagine fotografica è sempre più rivolta verso l’interno, verso l’intimo. Confermiamo: se in precedenti stagioni fotografiche, neanche molto lontane, primeggiarono immagini rivolte verso l’esterno, indice di temi sociali o di lettura collettiva, il fenomeno attuale predilige un nuovo utilizzo del mezzo fotografico per rappresentare il sé. Ne risultano immagini la cui forza evocativa è dentro l’individuo, non fuori. Sono immagini nelle quali ci si specchia, portano la voce di un proprio
intimo, dei propri luoghi, interiori e non, la propria casa, i propri pensieri. A questo proposito ribadiamo quanto siano tante le ricerche espressive che hanno come soggetto e oggetto l’autoritratto. Come sempre è accaduto nella storia della rappresentazione visiva, non solo fotografica, è evidente che la ricerca di linguaggi nuovi ha sempre corrisposto, e tuttora corrisponde, a un bisogno di trovare mezzi espressivi congeniali a un altrettanto nuovo sentire; non si tratta solo del desiderio (pur lecito) di sovvertire regole stantie. E allora, si può dedurre che si sente un forte bisogno di indagare, di intromettersi in un territorio un poco tabù, tradizionalmente escluso dai valori fotografici. Si sente il bisogno di dare valore a se stessi? Forse. Non con sguardo narcisistico, come risulterebbe facile e gratificante fare, piuttosto nel bisogno di riconoscere la presenza di propri momenti interiori, trasparenti o oscuri, estatici o inquietanti. Rappresentarli per poterli “guardare”. Alessandra Alpegiani
Borsa di Studio a Francesca Pisoni «Per la sensibilità visiva e la delicatezza del racconto. Per la freschezza e l’originalità della storia. Per la capacità di aver utilizzato il linguaggio del colore in armonia con il contenuto». Storia in armonia con la vita. Delicate istantanee ritraggono bambini, ora in esterni, ora in un interno, ora in un gruppo familiare. Presumibilmente una famiglia. Sembra senza tempo.
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ELEMENTI FORTI D’ISLANDA
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Come una terra immaginata, l’Islanda delle fotografie di Mario Vidor mostra se stessa, pulita, senza orpelli, pura, con la leggerezza e complessità (strano binomio) di tutti gli elementi naturali di cui porta l’anima. Tremilaquattrocentocinquanta chilometri raccontati in palpitanti immagini raccolte in un libro, Iceland 3450 appunto, pubblicato da Canova Edizioni. È un racconto; il racconto di un viaggio, anche se può apparire riduttivo affrontarne l’analisi soltanto in questi termini. In un doppio binario, Mario Vidor ha ripercorso i tan-
ti chilometri: nella propria dimensione/accezione reale, al cammino fisico si sovrappone il cammino immaginifico che l’autore realizza con gli occhi e l’obiettivo. Un viaggio parallelo al viaggio, un racconto che è altro/stesso viaggio. L’immagine che è racconto. Lo stile narrativo cui l’autore si affida per il proprio racconto di e per immagini, appunto, è solo in parte quello peculiare della fotografia di paesaggio: c’è altro, c’è un qualcosa di inafferrabile e più libero. La maestosità delle proprie visioni, interpretate con l’uso del
mezzo fotografico in modo ineccepibile, non nasconde una più intima esperienza che non segue percorsi preordinati, piuttosto rin-
Aldeyjarfoss.
Cascata di Kolugljufur.
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Iceland 3450, 119 fotografie di Mario Vidor; testi di Roberto Mutti; Canova Edizioni, 2004; via Luzzatti 10, 31100 Treviso (0422-262397, fax 0422-433673; www.canovaedizioni.it, redazione@canovaedizioni.it); 200 pagine 30x24cm, cartonato con sovraccoperta; 40,00 euro.
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Solfatara nella zona di Leirhnjúkur.
(pagina accanto, dall’alto) Cavalli al pascolo. Laguna di Jökulsarlón. Il Geysir a Geysir.
corre il volo libero delle emozioni. Così le immagini di Mario Vidor affrontano direttamente l’osservatore non con delicato impatto, ma con un’esplosione virulenta di sensazioni, senza però sconfinare in uno stucchevole eccesso di spettacolose proposte visive: sono immagini che seducono con la forza aggressiva degli elementi della natura, puri, allo stato primordiale. Elementi così vicini all’uomo, eppure tanto lontani, elementi di cui cia-
scuno porta lontane paure e attuali attrazioni. L’osservatore è messo di fronte alla primordialità della Terra e dell’Uomo (che lo si voglia o meno), nel perenne equilibrio tra il proprio indissolubile appartenerne e il contraddittorio impulso ad allontanarsene. Abile interprete, Mario Vidor si esprime in un linguaggio fotografico che dà risalto ai colori, forti e brillanti, affrontati e utilizzati con naturalezza e sfrontatezza nella abili-
tà di passare repentinamente dalla visione d’insieme alla descrizione ravvicinata del particolare, del dettaglio. Pur nella complessità di vedute, spesso l’autore adagia le proprie visioni in uno spazio di profondità che (ap)pare infinito. Ci si perde. Si avverte il bisogno di orizzonte, e lo ci cerca con l’occhio per appoggiarsi, per cercare proporzioni più consuete, dimensioni e equilibri visivi effettivamente estranei alla reale vastità di spazi. A.Alp.
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eclinata nell’ambito professionale, con attenzioni rivolte anche al pubblico non professionale che richiede prestazioni di taglio alto, a partire dall’originaria D1 del 1999 la genìa di reflex digitali Nikon ha sistematicamente raggiunto configurazioni tagliate a misura, che la casa giapponese ascrive al proprio rapporto privilegiato con gli utenti e le relative richieste ed esigenze espresse (a domanda, gli utenti rispondono e chiedono). L’attuale versione Nikon D2HS è quindi caratterizzata da una capacità di scatto continuo a otto fotogrammi al secondo, per un massimo di cinquanta acquisizioni consecutive, a 4,1 Megapixel effettivi. Nell’insieme, la D2HS eredita le più pertinenti qualità fotografiche delle reflex precedenti, incorporando al contempo tecnologie e innovazioni introdotte a partire dalla più recente configurazione reflex
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digitale D2X, presentata alla scorsa Photokina (FOTOgraphia, novembre 2004). Questo insieme di funzionalità esclusive garantisce caratteristiche di velocità, risposta, risoluzione e maneggevolezza che contribuiscono a fare della Nikon D2HS la soluzione ideale per chiunque operi nel settore del fotogiornalismo e della fotografia di sport, nel cui ambito si fa apprezzare anche il design ergonomico, basato su quello appositamente creato per la nuova generazione di reflex Nikon da Giorgetto Giugiaro, designer industriale di fama internazionale.
RESA DIGITALE Il perfezionamento del circuito integrato specifico per l’elaborazione d’immagine assicura migliori gradazioni nelle variazioni graduali di colore, determinante per soggetti quali il cielo azzurro, che presenta variazioni tonali quasi impercettibili nella gamma dei
blu. Inoltre, la reflex digitale Nikon D2HS supporta il profilo colore sYCC, disponibile in molte delle stampanti di ultima generazione, che assicura la riproduzione di una gamma più ampia di colori per la stampa di dati Jpeg, ri-
spetto il convenzionale profilo colore sRGB. La D2HS incorpora una combinazione di tecnologie per l’elaborazione delle immagini e la misurazione Color Matrix 3D II migliorata con nuovi algoritmi originariamen-
IN SINTESI Sensore JFET LBCAST 23,3x15,5mm da 4,26 milioni di pixel totali, 4,1 Megapixel effettivi Sensibilità Da 200 a 1600 Iso equivalenti Memorizzazione NEF (RAW a 12 bit senza compressione o RAW con compressione senza perdita), compatibile con Exif 2.21, DCF 2.0 e DPOF (Tiff-RGB senza compressione o Jpeg con compressione) Supporti di memorie CompactFlash Card (CF) Tipo I e II e Microdrive Modalità di ripresa Fotogramma singolo [S]: passaggio al fotogramma successivo dopo ogni scatto; Sequenza rapida [CH]: otto fotogrammi al secondo (scatti consecutivi fino a cinquanta Jpeg o quaranta RAW:NEF); Sequenza lenta [CL]: da uno a sette fotogrammi al secondo; Autoscatto: temporizzazione selezionabile; Blocco dello specchio reflex in posizione sollevata Bilanciamento del bianco Automatico (ibrido con sensore CCD da 1005 pixel, sensore d’immagine LBCAST e sensore esterno di luminosità ambiente); Manuale (sei impostazioni con regolazione fine); Premisurato (cinque impostazioni); Temperatura colore in kelvin (selezionabile tra trentun valori diversi); WB Bracketing (da due a nove fotogrammi, regolazione degli intervalli a passi di 10, 20 o 30 Mired) Autofocus TTL a rilevazione di fase con modulo autofocus Nikon Multi-CAM2000 (campo di rilevazione da -1 a +19 EV, in equivalenza 100 Iso)
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Messa a fuoco AF singolo [S]; AF continuo [C]; Manuale [M]; Focus Tracking ad attivazione automatica in base al movimento del soggetto, nelle modalità “S” e “C”; Area AF selezionabile tra undici aree; Blocco AF Selezione area AF AF ad area prefissata; AF dinamico con Focus Tracking e Lock-on; AF dinamico con priorità al soggetto più vicino; AF dinamico a gruppi Misurazione esposimetrica Gli obiettivi Nikkor D e G supportano la misurazione Color Matrix 3D II con il sensore CCD a 1005 pixel, mentre gli altri obiettivi AF Nikkor con CPU incorporate supportano la misurazione a matrice (gli obiettivi privi di CPU richiedono l’immissione manuale dei dati relativi); Misurazione ponderata centrale (75 per cento della sensibilità di misurazione concentrato nel cerchio di 8mm di diametro), in riferimento a cerchi di 6, 10 o 13mm di diametro al centro del fotogramma o lettura media sull’intero fotogramma; Misurazione spot (cerchio di 3mm di diametro, circa il 2 per cento dell’intero fotogramma; la posizione di misurazione può essere collegata all’area di messa a fuoco, se si utilizzano obiettivi Nikkor con CPU incorporata) Otturatore A tendina sul piano focale con scorrimento verticale e controllo elettronico, da 30 secondi a 1/8000 di secondo e posa B; sincronizzazione X fino a 1/250 di secondo Alimentazione Batteria ricaricabile EN-EL4 agli ioni di Litio (11,1V CC); caricabatterie rapido MH-21; alimentatore a rete EH-6 (opzionale) Dimensioni e peso 157,5x149,5x85,5mm, 1070g
SOPRATTUTTO IN RAPIDITÀ
te elaborati per la reflex D2X, grazie ai quali è possibile acquisire immagini ricche di dettagli, colore e caratterizzate da una più ampia gamma tonale, in risposta alle esigenze di chi scatta fotografie d’azione. A questo proposito, va ricordato il meccanismo di scatto a risposta istantanea, con un ritardo quasi impercettibile di soli 37ms, nonché l’implementazione perfezionata del sistema di messa a fuoco automatica a undici aree, che consentono all’utente di concentrarsi sui valori concreti della ripresa, anziché doversi dedicare alle impostazioni più adatte per ottenere i migliori risultati possibili. L’ampio monitor LCD da 2,5 pollici è caratterizzato da una risoluzione superiore da 232.000 pixel, per una visione nitida e stabile di immagini e informazioni. La visualizzazione di istogrammi è stata
migliorata, mentre nuove forme di istogrammi RGB agevolano una rapida, facile e precisa conferma dell’esposizione specifica dei singoli canali colore.
CONSISTENZA Inclusa nel sistema Nikon Total Imaging, la reflex digitale professionale D2HS è compatibile con l’ampia gamma di obiettivi DX Nikkor esclusivamente digitali, nonché con la gamma di obiettivi Nikkor AF di qualità superiore, utilizzabili sia per la fotografia tradizionale 24x36mm sia per l’acquisizione digitale con sensore CCD (rapporto di equivalenza 1,5x). Quando è utilizzata con i flash elettronici SB-800 o SB600, la Nikon D2HS incrementa il potenziale del sistema CLS (Creative Lighting System, ovvero Sistema di Illuminazione Creativa), offrendo il controllo flash i-TTL e il
supporto per le dotazioni Nikon di illuminazione avanzata senza cavi. La reflex digitale Nikon D2HS è compatibile con il nuovo trasmettitore wireless WT-2/2A IEEE802.11b/g, che garantisce una più rapida trasmissione delle immagini, nonché opzioni avanzate di sicurezza e compatibilità con i più recenti protocolli, senza contare la possibilità di controllare la reflex a distanza senza cavi, da un computer dotato di software Nikon Capture 4 release 4.2.1 (opzionale). Naturalmente è previsto il supporto per il trasmettitore wireless WT1/1A, originariamente elaborato per la reflex D2H. Un’altra funzionalità ereditata dalla recente Nikon D2X è il supporto per i dispositivi GPS, collegabili tramite il nuovo cavo MC-35 (accessorio opzionale), che consentono di includere nei dati della ripresa informazioni quali latitudine, lon-
L’evoluzione tecnologica Nikon D2HS puntualizza proprie doti e caratteristiche di velocità di uso, precisione e praticità operativa nell’ambito dell’acquisizione digitale di immagini
gitudine e altitudine al momento dello scatto. A corredo della Nikon D2HS viene fornito PictureProject, un’applicazione software di facile utilizzo per la gestione, l’editing e la condivisione di file immagine. (Nital, via Tabacchi 33, 10132 Torino). Antonio Bordoni
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ntrambi progettati per garantire la massima qualità di immagine quando usati con la nuova reflex digitale Konica Minolta Dynax 7D (FOTOgraphia, dicembre 2004), i nuovi Konica Minolta AF Zoom 17-35mm f/2,8-4 (D) e Konica Minolta AF Zoom 28-75mm f/2,8 (D) avviano una nuova generazione di obiettivi a doppio intendimento: appunto, sono finalizzati alla proiezione sul sensore digitale, pur essendo adeguati anche alla fotografia tradizionale 24x36mm, con le numerose reflex del differenziato sistema Dynax. Il primo è uno zoom di alta luminosità relativa, con escursione focale grandangolare 17-35mm; l’altro passa dalla visione adeguatamente grandangolare al confortevole av-
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vicinamento medio tele 2875mm. Inoltre, in relazione a attuali tendenze della progettazione ottica, entrambi sono progettati e costruiti con una particolare attenzione anche al disegno circolare del diaframma, che realizza una sfocatura morbida con proficua resa dei dettagli e distribuzione ottimale dell’intensità luminosa nelle aree non a fuoco dell’inquadratura/composizione fotografica. In codice, si tratta di quello che viene definito Bokeh, termine che deriva dal giapponese, e indica ciò che è strettamente contrapposto a quanto è nitido, limpido, chiaro, confacente, adeguato. È un concetto che, come molti altri nella cultura giapponese, presuppone una complementarietà; vale a dire, nella valutazione globale, assume la stessa importanza di ciò cui si
contrappone (ne dovremmo riparlare, riprendendo magari un pertinente approfondimento di Francesco Rosato, pubblicato nel qualificato Magazine Leica 2/2004 dello scorso giugno). Un codificatore della distanza incorporato assicura, quindi, misurazioni flash ADI (Advanced Distance Integration) della massima precisione. Quando vengono usati sulla reflex digitale Konica Minolta Dynax 7D, i nuovi zoom 17-35mm e 28-75mm forniscono ulteriori informazioni sul calcolo della distanza di messa a fuoco, che vengono appunto utilizzate
In leggera sovrapposizione focale, due nuovi zoom Konica Minolta danno avvio alla generazione di obiettivi progettati anche con attenzioni digitali, in relazione alle esigenze e necessità della recente reflex a obiettivi intercambiabili Dynax 7D
per perfezionare le prestazioni del flash elettronico e per la massima precisione nell’esposizione, sia quando si usa il flash incorporato, sia quando sono collegate unità flash esterne e indipendenti della famiglia PF 5600HS(D), PF 3600HS(D) o 2500(D). (Rossi & C, via Ticino 40, 50010 Osmannoro di Sesto Fiorentino FI). A.Bor.
Uno DIETRO L’ALTRO IN CIFRE Tipo Focale corrispondente con sensore digitale Angolo di campo Scala diaframmi Disegno diaframma Costruzione ottica Schema ottico A fuoco da Diametro filtri Dimensioni e peso
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Konica Minolta AF Zoom 17-35mm f/2,8-4 (D) Konica Minolta AF Zoom 28-75mm f/2,8 (D) Zoom AF per fotografia 24x36mm e acquisizione digitale di immagini 25,5-52,5mm Da 104 (17mm) a 63 gradi (35mm) Fino a f/22(17mm) - f/32 (35mm)
42-112,5mm Da 75 (28mm) a 32 gradi (75mm) Fino a f/32 Circolare a sette lamelle
14 elementi in 11 gruppi Comprende un elemento in vetro AD (dispersione anomala) e tre elementi asferici 30cm; messa a fuoco interna 77mm 83x84,5mm, 430g
16 elementi in 14 gruppi Comprende tre elementi in vetro AD (dispersione anomala) e quattro elementi asferici 33cm; messa a fuoco interna 67mm 73x94mm, 510g
fficialmente, i termini commerciali di vendita della nuova reflex digitale Canon Eos 350D, entry level nel sistema, che sostituisce l’originaria Eos 300D (FOTOgraphia, ottobre 2003), prevedono tre possibili confezioni. Il solo corpo macchina viene proposto a una cifra inferiore la soglia dei mille euro, visivamente ed emozionalmente discriminante; e poi, per un centinaio di euro in più, è previsto il kit con lo zoom standard EF-S 1855mm f/3,5-5,6; quindi, con altri duecento euro di maggiorazione, c’è il kit con lo stesso obiettivo combinato con un ulteriore zoom di escursione focale consecutiva e conseguente EF 55-200mm f/4,55,6 II USM. Ovviamente, come sempre, le cifre esatte sono svincolate dai listini ufficiali, e dipendono dalle politiche di vendita dei singoli fotonegozianti: ma l’ordine dei valori è comunque questo. Così, dopo aver avviato con la Eos 300D la stagione delle reflex digitali a obiettivi intercambiabili di prezzo attorno i mille euro, alla quale si sono ormai accodati tutti i marchi del settore, Canon accelera ancora, imponendo un passo tecnologicamente cadenzato. Facili profeti, confermiamo le osservazioni con le quali accompagnammo la presentazione dell’originaria Canon Eos 300D, nel citato numero dell’ottobre 2003, quando richiamammo l’attenzione sulla consecuzione indotta nei consumi fotografici, appunto sollecitati dalla costruzione reflex: obiettivi, prima di altro, e
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accessori a seguire. Quindi, ribadiamo come il mercato tutto abbia bisogno e debba fare tesoro di tali e tante opportunità, tecniche e commerciali allo stesso momento.
VALORI La nuova reflex digitale a obiettivi intercambiabili Canon Eos 350D offre prestazioni digitali professionali, o quasi, a un prezzo accessibile a molti. È dotata di caratteristiche che la pongono a un livello tale da soddisfare anche il professionista, a cominciare dalla risoluzione di otto Megapixel, ottenuta con l’impiego di un nuovo sensore CMOS formato APS-C, il quarto elaborato da
Canon negli ultimi venti mesi, che mette a frutto le visioni della linea di obiettivi Canon EF (che coprono il fotogramma fotografico 24x36mm) e Canon EF-S, più compatti, leggeri ed economici, adatti solo alla combinazione con il sensore digitale di dimensioni inferiori. Per il suo prezzo opportunamente contenuto, la Canon Eos 350D si rivolge sia a coloro che acquistano una reflex digitale per la prima volta, sia a chi possiede già una reflex analogica e vuole passare al digitale, sia al professionista che desidera ampliare il proprio corredo digitale con un secondo o terzo corpo macchina. In questo senso si fan-
Come da aspettative, oltre che programmi prevedibili, prosegue il cammino Canon avviato con l’originaria Eos 300D. L’attuale reflex digitale Eos 350D conferma l’indirizzo verso un pubblico potenzialmente ampio, avvicinato da prestazioni tecniche adeguate, proposte a un conveniente prezzo di vendita/acquisto
no apprezzare la possibilità di scatto in sequenza rapida a tre fotogrammi al secondo, per quattordici acquisizioni Jpeg consecutive, il processore Digic II, la registrazione simultanea di file Jpeg e RAW, la gamma di sensibilità da 100 a 1600 Iso equivalenti e l’istantaneo tempo di accensione di soli 0,2 secondi.
INNOVAZIONI Rispetto la Eos 300D, la nuova reflex digitale Canon Eos 350D vanta il nuovo processore di segnale Digic II, appena citato, che incrementa potenza e velocità, riducendo i consumi di energia. Quindi, si segnala il sistema di misurazione della luce lampo E-TTL II, per migliorare la precisione dell’esposizione con il flash, grazie anche all’elaborazione del dato della distanza di messa a fuoco dell’obiettivo. Ancora, tre modalità di messa a fuoco automatica: scatto singolo, inseguimento e automatismo tra i due. La velocità di scrittura della scheda di memoria è tre volte e mezzo più rapida e l’interfaccia USB è stata implementata alla versione 2.0 High Speed, per un trasferimento delle immagini significativamente più veloce. Quindi, peculiarità per gli specialisti (e per chi ha memoria di dotazioni meccaniche del passato, ormai remoto), è stato anche re-introdotto il blocco in alto dello specchio reflex, per minimizzare le vibrazioni dell’otturatore ai tempi lunghi o all’elevato ingrandimento del soggetto inquadrato (teleobiettivi e macro). Ultimo, ma non ultimo, è prevista la sincronizzazione flash sulla se-
LUNGO la
conda tendina, per scie luminose in notturna più naturali. Affascinante complemento di uso, la modalità bianconero, ereditata dalla dotazione Eos 20D (FOTOgraphia, febbraio 2005). In particolare si segnala la possibilità di simulare filtri virtuali al posto di quelli reali posizionati davanti all’obiettivo, che oltretutto ne ridurrebbero la luminosità. Come è noto (o dovrebbe essere noto), nella fotografia bianconero, in questo caso digitale, l’uso di filtri migliora la qualità delle immagini, influendo sul contrasto e la separazione dei toni che potrebbero confondersi tra loro nella restituzione in valori analoghi di grigio.
BASSO RUMORE Nel nuovo sensore CMOS è stata riprogettata la sede dei pixel, per migliorare la capacità di isolare ogni carica residua dopo che il pixel è stato azzerato. Questa è poi sottratta dall’esposizione per sopprimere ogni rumore con distribuzione casuale. Ovviamente, i miglioramenti
MACRO DEDICATO essa a fuoco ravvicinata, fino al rapporto 1:1 al natuM rale, per la famiglia ottica Canon EF-S dedicata alla sola copertura del sensore digitale di dimensioni inferiori al fotogramma fotografico 24x36mm: al momento, Eos 20D, Eos 300D e Eos 350D. In equivalenza, il nuovo Canon EF-S 60mm f/2,8 Macro USM ha un angolo di campo pari alla focale fotografica 96mm (circa 24 gradi di visione), quindi ripropone in formato digitale le prestazioni dell’apprezzato EF 100mm f/2,8 Macro USM, con il quale condivide il motore USM, per una messa a fuoco rapida e silenziosa. Un nuovo algoritmo migliora, quin-
nella qualità di immagine sono particolarmente evidenti con le esposizioni lunghe e ad alta sensibilità, soprattutto nella resa delle superfici uniformi. Il basso rumore della seconda generazione di sensori CMOS garantisce immagini nitide da 100 a 1600 Iso equivalenti. Le brillanti prestazioni della nuova Canon Eos 350D dipendono anche dal processore Digic II, lo stesso presente nelle reflex digitali professionali Eos1D Mark
di, la velocità e precisione dell’autofocus, il cui accomodamento parte da 20cm. Costruzione ottica di dodici lenti in otto gruppi, con sistema di messa a fuoco interno a tre gruppi flottanti, che non modifica fisicamente la lunghezza dell’obiettivo e non fa ruotare la lente anteriore, in modo da posizionare correttamente sia i flash anulari (tipo Canon MT-24EX e MR-14EX) sia i filtri polarizzatori. Per una messa a fuoco ancora più ravvicinata, e relativo rapporto di riproduzione superiore all’1:1 (1x, al naturale), si possono usare i tubi di prolunga EF 12 II e EF 25 II.
II e Eos-1DS Mark II (FOTO graphia, giugno 2004; premio TIPA 2004). Come già riferito, Digic II è un microprocessore di seconda generazione elaborato interamente da Canon con il compito di gestire i complessi algoritmi richiesti per immagini della massima qualità. Sovrintende tutte le funzioni chiave, dalla resa del colore al bilanciamento del bianco, all’autofocus; e la sua potenza fa sì che, nonostante la mole di operazioni che deve svolgere, la reflex sia sempre estremamente reattiva. Come accennato, la messa a fuoco può essere selezionata su tre posizioni: One Shot, per la messa a fuoco a scatto singolo; AI Servo, per la messa a fuoco predittiva di soggetti in avvicinamento, fino a 50km/h e fino a dieci metri (con obiettivo EF 300mm f/2,8L IS USM); e AI Focus, che sceglie automaticamente tra le due impostazioni in base al movimento del soggetto. Per una messa a fuoco ancora più flessibile, è possibile selezionare i punti AF sia con il pulsante a cro-
strada
ce sia con la tradizionale ghiera principale. La messa a fuoco completamente manuale è sempre disponibile con tutti gli obiettivi EF, anche senza disinserire quella automatica; grazie al nuovo schermo Precision Matte, che consente una visione più brillante dell’immagine nel mirino, la messa a fuoco manuale è ancora più accurata.
CARATTERISTICHE La Canon Eos 350D impiega lo stesso sistema di lettura della luce della precedente Eos 300D: un sofisticato TTL a trentacinque aree. I tre metodi di lettura (valutativo, parziale e ponderato al centro) sono ora selezionabili manualmente. Sono disponibili sia la compensazione dell’esposizione, sia l’esposizione a forcella con incrementi di mezzo stop o un terzo di stop. L’otturatore offre tempi di otturazione da 30 secondi pieni a 1/4000 di secondo, più posa B e sincro X a 1/200 di secondo. Lo slot di memoria supporta schede CompactFlash Tipo I e II, oggi disponibili con capacità fino a 2Gb. Sette preselezioni del bilanciamento del bianco più una posizione personalizzata e la compensazione a forcella di più/meno tre stop assicurano che i colori siano esattamente quelli reali. (Canon Italia, via Milano 8, 20097 San Donato Milanese MI). A.Bor.
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Nel centro storico di Milano, a due passi dal Duomo, il piÚ grande negozio Canon d’Italia
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Nel bordello senza muri della fotografia, Man Ray rappresenta il profanatore di regole, il disertore di dogmi, l’occhio anarchico della surrealtà che fa a pezzi ciò che circola nel mondano d’autore degli anni Venti e Trenta, sostenuto all’epoca dalla rivista Camera Work di Stieglitz e dai suoi epigoni. Alfred Stieglitz è il mito storico più diffuso nella fotografia insegnata; e pensare che una sola opera di Lewis Wickes Hine, Jacob August Riis, Paul Strand o Diane Arbus fa tabula rasa di tutta la sua magnificenza fotografica, adatta più ai circoli della “buona borghesia” americana che alla radicalità dell’iconografia sociale, della quale si è anche occupato (e male). Un solo esempio: la fotografia Terza classe (tanto citata nei corsi di fotografia applicata o nei libri di storia dell’immagine fissa) è un insulto per i migranti di ogni terra, e non uno sguardo di affrancamento e solidarietà verso popoli alla deriva dalle miserie dei propri governi. Ciò che interessava Alfred Stieglitz (dice lui stesso della sua fotografia) sono le linee del fumaiolo, le bretelle di un uomo nell’ombra e i cappelli di paglia delle donne in prima classe; la fame, la paura, la fine della dignità, il buon samaritano della fotografia li lascia ai pezzenti schiacciati dal suo obiettivo sul fondo della stiva. Alfred Stieglitz, l’esteta della “povera gente”, andrebbe buttato ai pesci, insieme alla sua fotografia, s’intende. Così, un po’ per gioco e un po’ per mostrare che dalla “fotografia artistica” non nasce niente e dalla “fotografia di strada” sbocciano i poeti della disobbedienza.
UN MAESTRO DELLA LUCE Emmanuel Radnitsky (Man Ray) nasce a Philadelphia il 27 agosto 1890; la famiglia si trasferi-
MAN RAY
sce a Brooklyn (New York) nel 1897, e nel 1913 il giovane Emmanuel abita nella comune anarchica di Ridgefield, nel New Jersey. Nel 1914 lascia perdere il suo nome e assume lo pseudonimo di Man Ray, con il quale passa alla storia radicale della fotografia. I suoi studi sono irregolari. Diserta ogni insegnamento istituzionale e invece della scuola frequenta il circolo anarchico
ca per l’Europa, va a Parigi. Qui pubblica la prima raccolta dei Rayographs, inizia a fare fotografia di moda, ritratti di amici, sperimentazioni. Sbarca il lunario, gioiosamente. Nel 1923 dirige il film Retour à la raison. Si affianca agli artisti Dada, entra nel movimento surrealista, collabora alla rivista La Révolution Surréaliste e si occupa di scenari teatrali. Nel 1929 esce un piccolo album di
Il surrealismo si è riconosciuto per la prima volta nello specchio nero dell’anarchia. André Breton Francisco Ferrer (rivoluzionario spagnolo fucilato per attività sovversive contro lo Stato: era stato il fondatore della Scuola Moderna, una nuova pedagogia scolastica fondata sulla fine di ogni autoritarismo degli insegnanti e lasciata libera alla fantasia dei ragazzi, più tardi ampiamente copiata). Nel 1915 (negli Stati Uniti), Man Ray fa la conoscenza di Marcel Duchamp e Francis Picabia, fonda la rivista proto-dadaista The Ridgefield Gazook e allestisce la prima esposizione personale di dipinti e disegni alla Daniel Gallery di New York City. Nel 1919 dà vita alla rivista d’arte TNT (che è l’acronimo della dinamite). Nel 1921 collabora (come organizzatore) a una esposizione di fotografie con Alfred Stieglitz. Non hanno proprio gli stessi interessi per la demistificazione dei “segni” culturali imperanti e nemmeno si intendono sull’inutilità dell’avanguardia artistica permessa e sostenuta da galleristi, critici, operatori del settore. Man Ray è di un’altra pasta creativa, lascia tutto e si imbar-
fotografie erotiche, corredato con le poesie di Louis Aragon e Benjamin Péret. È ormai un “maestro della luce”, che ha rotto con tutti i “santini” di fabbricazione e riproduzione dell’immaginario fotografico. I corsari della visione liberata, come Man Ray, hanno messo in discussione le certezze dei valori stabiliti e mostrato che i possessori della storia sono anche gli aguzzini di ogni forma di bellezza (non solo di popoli interi). Per Man Ray l’arte non era da nessuna parte, se non nell’esperienza di ciascuno. «Man Ray è appunto l’artista che dipingeva per non dipingere, che fotografava per non fotografare, che creava per non creare, ma per permettere agli altri di viaggiare nella profondità della propria opera verso una meta imprevedibile. L’arte non è nell’immediatezza, ma in questo futuro, che tutti gli uomini dovranno un giorno raggiungere, dopo un lunghissimo cammino, è una meta e un bagliore, ma soprattutto uno stimolo a superare i confini delle verità convenzionali» (Janus).
La forza etica/estetica di Man Ray è di avere fatto dell’arte della fotografia qualcosa che va contro l’arte della mediocrità. La fotografia non nasce dentro la macchina fotografica, ma nell’occhio anarchico del fotografo (profanatore di ogni regola), sempre. L’uomo fotografico è l’“uomo che dice no!” all’alfabetizzazione della fotografia mercantile e riacquista l’irriverenza dello sguardo. L’uomo fotografico rovescia il sapere degli schiavi e si identifica con gli emarginati, i senza voce, gli oppressi. L’uomo fotografico usa gli strumenti della comunicazione (non solo fotografica) per porre fine alla menzogna, alla colonizzazione, alla violenza e si affranca a quelli che vedono e sostengono la rinascita, la speranza, l’insorgenza dei popoli impoveriti. Ancora, l’uomo fotografico si affranca ai “quasi adatti”, che dissipano le proprie esistenze come viatico verso una società più bella e più giusta. In questo senso, Man Ray è stato fautore di un pensiero libertario tra i più audaci del Novecento. La sua scrittura a/fotografica eversiva si è fatta portatrice di indecenze indicibili, sovente sprezzanti, che cantavano il “non visibile” come “colpo di mano” con ciò che era concepito e vissuto come “realtà”; la sua opera tutta è un canto atonale alla lingua dominante e una sorta di “ferita caustica” della quotidianità, che ha perturbato i sonni dell’ordine stabilito.
LE FOTOGRAFIE D’AFFEZIONE La filosofia anarchica di Man Ray sborda nelle provocazioni affabulative che dissemina nei cieli svaligiati dell’arte. I suoi lavori sono una specie di “album di famiglia”, composto di nudi contaminati, frammenti di im-
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magini, tracce di luce che vogliono «sostenere l’espressione lirica dei desideri comuni», diceva. Certo è che molte fotografie di Man Ray esprimono in/direttamente i desideri dell’autore, le emozioni, le grida di rivolta contro gli scranni perbenisti delle ideologie e i sacrari (menzogneri) delle fedi. La poetica eversiva di Man Ray (la pittura a strappo, l’acquerello su carta vetrata, la fotografia solarizzata) dequalifica il tempo storico nella quale nasce e si afferma. Le sue opere non datano un secolo, lo denudano e accendono i falò estetici dei secoli a venire, non solo nell’arte. Man Ray irride l’origine della fotografia come gioco borghese di metà Ottocento e si chiama fuori da tutte le banalità del mercimonio d’arredamento a venire. Man Ray non è (solo) un fotografo, è un “creatore di immagini” e, come sappiamo, anche gli “oggetti d’affezione”, sculture, interventi, collage da lui stesso fotografati, diventano icone importanti per comprendere il suo percorso di “artista maledetto”. La Vénus restaurée (1936), il Self-Portrait (1931) o Book-binding (1953) contengono quello che l’artista chiamava il “senso comune del mistero”: «Mistero: quella era la parola chiave che mi stava a cuore. Tutti amano il mistero, ma a tutti piace anche la soluzione del mistero. E io cominciavo dalla soluzione» (Man Ray). Ci sono più meraviglie in un bicchiere di vino di quante ce ne sono tra la terra e il cielo. A Parigi, Man Ray intreccia le proprie passioni con quelle di André Breton, Jacques Rigaut, Louis Aragon, Paul Eluard, Theodore Fraenkel, Philippe Soupault, Francis Picabia, Tristan Tzara. Le sue fotografie diventano “cose d’arte”, “pezzi” di una surrealtà, sovente amara, altre volte invisa, tuttavia sempre folgorati da una bellezza ereticale senza uguali. Non importa molto sapere come scopre i Rayogrammes e nem-
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meno se è stato il primo a fare della fotografia senza macchina fotografica un gesto di comunicazione artistica; ciò che vale è l’insolenza dell’immaginario liberato che usciva dalla sua camera oscura (poteva essere il cesso di un albergo, quello di un amico o del proprio studio). Nel Dictionnaire abrégé du Surréalisme si legge: «Rayogramma: fotografia ottenuta grazie alla semplice interposizione dell’oggetto tra il materiale sensibile e la fonte luminosa. Prese nel momento di un distacco visuale, durante periodi di contatto emozionale, queste immagini sono l’ossidazione dei residui, fissati da fenomeni luminosi e chimici, degli organismi viventi». Man Ray si muove in molti campi artistici e non cede mai alla propria morale di “fuori gioco”. Rimane sempre se stesso, impone se stesso: dalla fotografia di moda ai nudi, dalle copertine di riviste ai volumi di poesie, ai ritratti di artisti o personaggi della “crema aristocratica” parigina che sfilano davanti alla sua macchina fotografica. Pittori, musicisti, scultori come Constantin Brancusi, Salvador Dalí, Henri Matisse, Alberto Giacometti, Georges Bracque, Yves Tanguy sono fotografati (in ritratto) alla maniera della marchesa Casati (1935), e poi il conte di Baumont, i visconti di Noailles, l’Aga Khan. E come la pittura, estremamente personale, intima, tattile, anche la fotografia di Man Ray conserva quel senso dell’ironico e del sarcastico non sempre compreso dalla critica e nemmeno dal pubblico. Il ritratto di Constantin Brancusi (1933), l’accendino firmato “Man Ray” o il nudo di spalle con i segni del violino sulla schiena, Le violon d’Ingres (1924), senza menzionare la stupenda serie di volti maschili e femminili, esprimono un’età della fotografia del desiderio che non appartiene a nessuna categoria se non a quella amabile del cuore. Anche il cinema minimale,
surreale, epifanico di Man Ray (Retour à la raison, Le Cœur à barbe, Emak Bakia, L’étoile de mer o Les mystères du château des Dé), contiene le stesse poetiche degli “oggetti d’affezione”, fotografie, Rayogrammes o dipinti: figura il rovesciamento dello sguardo nel quale Man Ray indica le strade di diserzione e la contaminazione della civiltà contemporanea. Non cerca l’approvazione generalizzata, ma lo scandalo come sorriso acido di fronte all’immondizia dell’arte prostituita. Insieme a Max Ernst, Alexander Calder, Marcel Duchamp e Fernand Léger, il suo apporto al film di Hans Richter Dreams That Money Can Buy (Sogni che il denaro può comprare; Usa, 1947) non è di poco conto; e questo film, che è una sorta di antologia dei postulati del Dadaismo e del Surrealismo, resta uno dei più radicali attacchi contro la mortificazione dell’intelligenza. Quando le armate di Hitler conquistano la Francia, Man Ray fugge a New York, poi si stabilisce a Hollywood. Vive di pittura, fotografia, conferenze; in una di queste osserva: «Il problema del progresso, di ciò che sia buono o non lo sia, in arte, domina ogni discorso. Nessuno ha mai l’idea che la pittura [la fotografia, il cinema, la letteratura, l’utopia radicale di sognare un mondo diverso] possa essere un piacere, come bere o mangiare. Certo, ho sentito dire più volte una frase del tipo: Non ne so nulla di arte, ma so che questo mi piace. Il che, in realtà, vuol significare: Amo solo ciò che conosco. Da cui viene la conclusione: Ho paura ad amare ciò che non conosco, potrei anche sbagliare». I franamenti della pubblicistica superficiale, la schedografia scolastica o gli eccidi della critica prezzolata sono tutti in queste parole. Nel 1951, Man Ray torna a Parigi, sperimenta la fotografia a colori, un sistema nuovo che non consente la riproduzione ma opere uniche e allora lo abbandona. Come Walter Benja-
min, non vedeva l’arte come appropriazione esclusiva di una parte della società, quella ricca. Qui si aprirebbe un baratro di interpretazioni. Certo, non è giusto che il valore di un’opera d’arte sia in mano a pochi mercanti, galleristi o trafficanti in tutto: sono loro a determinare il prezzo di un “prodotto dell’ingegno” (non il valore vero) e fanno la fortuna di un artista quanto di un cretino. Forse non è meno brutto e volgare deputare ai supermercati lo smercio di opere d’arte alla stregua di verdure e detersivi. Comunque, l’assassinio delle “belle arti” è sempre auspicabile. Man Ray lavora a dipinti, fotografie, “frammenti” d’arte con in testa le lezioni di Paolo Uccello e Leonardo da Vinci. Usa fotometri, caleidofotoregistratori, fototecniche più disparate e dice che «la fotologia è superiore alla pittura. È più varia. La resa pecuniaria maggiore. Gli devo la mia fortuna. In ogni caso, un fotometrico anche mediocremente esercitato può, al monodimanofoto, osservare un numero maggiore di colori di quanto non capiti al più abile pittore, nello stesso tempo, con lo stesso strumento. Grazie ed esso ho potuto dipingere tanto. L’avvenire è dunque della filofotia». Di là dalle affermazioni tecniche di Man Ray, in pittura, come in fotografia, l’artista riesce a liberarsi del passato e a deridere tutto quanto è l’“immacolata concezione dell’arte”, non tanto nell’opera compiuta, quanto nel processo e nel rapporto tra “pezzo d’arte” e vita corrente. Man Ray muore a Parigi nel 1976. I suoi “oggetti d’affezione”, realizzati nei più diversi cammini artistici (pittura, fotografia, cinema, teatro, scultura, grafica) hanno influenzato in maniera continuativa, anche se sovente completamente errata, non soltanto il modo di fare arte ma anche quello di vedere l’uomo che divelte i saperi codificati del proprio tempo. Pino Bertelli (25 volte febbraio 2005)
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