FOTOgraphia 112 giugno 2005

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Mensile, 5,70 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano

ANNO XII - NUMERO 112 - GIUGNO 2005

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Angelo Mereu SAPORI FORTI (CON NOKIA)

Fotografie satellitari CONFRONTO TRA DECENNI

SUL REICHSTAG SVENTOLA BANDIERA ROSSA


non è

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UN AMICO. Giorgio Bossi, fondatore e titolare di Photo Discount di Milano, indirizzo di riferimento del commercio fotografico italiano, è mancato lo scorso 20 maggio. Da allora mi perseguita un ricordo che non riesco a evocare: non mi ricordo la prima volta che che ci siamo incontrati. Sarà stato in Photo Discount; devo ipotizzare i primi anni Settanta. Ma non ricordo il momento esatto, la circostanza per la quale ci siamo avvicinati. Però, siccome da tempo do peso e significato a ogni singolo commiato, ricordo bene l’ultima volta che ci siamo visti. È stato una domenica mattina, in piazza Cordusio a Milano: lui sarebbe tornato a casa con la Metropolitana, io sarei restato in Centro. La domenica mattina, ci davamo spesso appuntamento al mercatino numismatico e filatelico che si svolge nelle vie appunto adiacenti piazza Cordusio: alle dieci, lo aspettavo in piazza e puntualmente lui risaliva la scalinata della Metropolitana con la sigaretta già in bocca. Cercava una particolare Figurina Liebig; poi, negli ultimi tempi aveva intenzione di avvicinarsi alla filatelia con tema flora e fauna. Stilavamo programmi: acquistare una guida attendibile, prendere contatto con la materia, programmare i temi da raccogliere. Tutto questo è ora sospeso, interrotto. Non sono più andato al mercatino della domenica mattina, e non so se e quando riuscirò a tornarvi. Giorgio Bossi (Claudio, per i clienti e fornitori) è stato uno straordinario professionista, con il quale il commercio fotografico ha profondi debiti di riconoscenza. Richiamiamo come Giorgio Bossi fu presentato sul primo numero di Fotografare, nel marzo 1967. Titolo esplicativo È arrivato il castigamatti, e testo conseguente: «Da mesi le persone interessate alla fotografia si preoccupano di trovare una soluzione al problema dei prezzi di listino dei prodotti fotografici. Lo sanno pure i bambini dell’asilo ormai che i prodotti fotografici hanno seguìto lo stesso corso dei televisori e dei frigoriferi. I prezzi di listino sono puramente illusori, e sono “gonfiati” rispetto ai costi al negoziante. Ormai è di dominio pubblico che una macchina fotografica, che di listino costa 100.000 lire, si compera per settanta. [...]. Un uomo d’affari milanese [...] ha deciso unilateralmente di creare una organizzazione di vendita che scavalchi i gioghi normali. Prende la merce dagli importatori (da quelli che gli fanno il prezzo più conveniente) e la vende per posta direttamente ai fotografi, scavalcando i negozianti. Questo sistema è molto coraggioso, perché è contro la prassi ormai cristallizzata, e può suscitare reazioni energiche da parte di chi vuole che lo statu quo ante sia conservato, ma ha tutta la nostra simpatia. Noi ci auguriamo che l’organizzazione Photo Discount possa servire a moralizzare il mercato». M.R.

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Prendiamo a prestito idee, da qualunque scuola provengano.

COPERTINA Colorazione della fotografia originaria di Evgenii Khaldei: la bandiera rossa issata sul Reichstag, simbolo della resa/sconfitta dell’esercito tedesco alla fine della Seconda guerra mondiale. A sessant’anni da quei giorni (1945-2005), da pagina 20 affrontiamo e approfondiamo i termini della controversia storica sull’autenticità di questa fotografia, icona del Novecento 3 FUMETTO Dettaglio dalla copertina di un fumetto giapponese che racconta le abili investigazioni di un fotografo. Certificazione Nikon FM2 con flash dedicato 7 EDITORIALE Non ci sono confini per l’applicazione creativa contemporanea. Molti sono gli strumenti fotografici a disposizione, alcuni di tecnologia semplificante. Ma non certo banalizzante. Sono sempre indispensabili le intenzioni e le capacità individuali: mente e cervello 46

8 DACCI IL NOSTRO TELEFONINO Socialità e costume dei nostri giorni, nei quali il telefonino (anche fotografico) è diventato indispensabile oggetto di uso quotidiano. Due certificazioni di partenza: dalla narrativa popolare e in una seguìta serie televisiva 10 NOTIZIE Attrezzature, vicende e altre segnalazioni

16 IL JAZZ VISTO DA DIETRO 36

Nei concitati giorni di Umbria Jazz 2005, collettiva Backstage. Il Jazz dietro le quinte, realizzata dal neocostituito Gruppo Fotografico Ambulante

18 VERA FOTOGRAFIA (ANCORA) Réponses Photo pubblica un portfolio di Gianni Berengo Gardin, sottolineandone la Vera fotografia

20 SUL REICHSTAG SVENTOLA BANDIERA ROSSA

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L’immagine-simbolo della resa di Berlino, cui consegue la resa dell’esercito tedesco e la fine della Seconda guerra mondiale (sul fronte occidentale), è una delle fotografie che da tempo alimentano una serie di distinguo da parte degli storici e del mondo fotografico. Dall’archivio della Voller Ernst Fotoagentur, una ricerca ne svela e rivela i retroscena di Maurizio Rebuzzini


. GIUGNO 2005

RRIFLESSIONI IFLESSIONI,, OSSERVAZIONI OSSERVAZIONI EE COMMENTI COMMENTI SULLA SULLA FFOTOGRAFIA OTOGRAFIA

28 PALESE CONFRONTO FOTOGRAFICO

Anno XII - numero 112 - 5,70 euro

Comparazioni di fotografie satellitari riprese a decenni di distanza, pubblicate in un atlante dell’Unep, rivelano una preoccupante alterazione all’ambiente di Angelo Galantini

DIRETTORE

IMPAGINAZIONE Gianluca Gigante

REDAZIONE

34 SAPORI FORTI Autore di piglio e personalità, Angelo Mereu interpreta la fotografia senza soluzione di continuità. Le sue più recenti opere da telefonino (Nokia) si basano su una consecuzione classica: fino alla stampa su carta

RESPONSABILE

Maurizio Rebuzzini

Alessandra Alpegiani Angelo Galantini

FOTOGRAFIE

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Rouge

SEGRETERIA Maddalena Fasoli

HANNO

40 MAGICO MAN RAY Indefinibile, disorientante e irriverente personaggio del Ventesimo secolo, Man Ray si colloca in un panorama storico fertile di idee e pulsante di innovazioni. Significativa esposizione antologica al KunstMeran/oArte di Valerio Dehò

46 FOTOGRAFIA IN FRIULI Quattro mostre, con accompagnamento di premi e laboratori didattici, confermano la vocazione alla visione a tutto tondo di Spilimbergo Fotografia. Tra presente e storia, un concreto programma estivo di Alessandra Alpegiani

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COLLABORATO

Agenzia Grazia Neri Pino Bertelli Antonio Bordoni Sara Del Fante Valerio Dehò Angelo Mereu Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Antonella Simoni Voller Ernst Fotoagentur Zebra for You Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604, fax 02-66981643; graphia@tin.it.

51 IL DOPPIO CON SCIENZA

● FOTOgraphia è venduta in abbonamento.

Codice Multiplo di Stefano Cerio: avvincente progetto in pertinente equilibrio tra fotografia e ricerca scientifica

● FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano.

54 PARIGI E L’INCANTO

● A garanzia degli abbonati, nel caso la pubblicazione sia pervenuta in spedizione gratuita o a pagamento, l’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e in suo possesso, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi della legge 675/96.

Antologica di Robert Doisneau, uno dei poeti della fotografia contemporanea. Anzi, senza tempo

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56 ANCORA NIKON Evoluzione dell’originaria D70, la reflex digitale Nikon D70s stabilisce i termini qualitativi del proprio sistema di Antonio Bordoni

● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti.

58 LUNGHI FUOCHI Due interpretazioni Sigma tutto tele: Apo 300mm f/2,8 EX DG HSM e zoom Apo 300-800mm f/5,6 EX HSM

Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano

60 AGENDA Appuntamenti del mondo della fotografia

65 EDWARD SHERIFF CURTIS Sguardo sull’uomo che dorme sul fiato di Pino Bertelli

● FOTOgraphia Abbonamento 12 numeri 57,00 euro. Abbonamento annuale per l’estero, via ordinaria 114,00 euro; via aerea: Europa 125,00 euro, America, Asia, Africa 180,00 euro, gli altri paesi 200,00 euro. Versamenti: assegno bancario non trasferibile intestato a Graphia srl Milano; vaglia postale a Graphia srl - PT Milano Isola; su Ccp n. 28219202 intestato a Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; addebiti su carte di credito CartaSì, Visa, MasterCard.

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eneralizzando, spesso si confonde la semplicità dei mezzi con la banalizzazione delle relative realizzazioni. Ma non è proprio così, anche se a volte può essere così. Il mezzo rimane sempre e comunque un mezzo: quando le sue applicazioni si riferiscono alla fantasia e creatività individuale debbono soprattutto fare i propri conti con le intenzioni e capacità (anche progettuali). Se nel nostro specifico della fotografia taluni mezzi consentono oggi di arrivare direttamente a uno scopo, senza affaticamenti o complicanze, ben vengano: ciò che conta è sempre il risultato. L’immagine. In questo stesso numero, da pagina 34, presentiamo una serie di fotografie (?) che Angelo Mereu ha realizzato con telefonino (Nokia) senza stare troppo a preoccuparsi dei contorni. Lo puntualizziamo: invece di perdersi a priori tra presunti valori e/o non valori, Angelo Mereu ha fatto di necessità virtù. In un processo autenticamente e rigorosamente fotografico, fino all’inevitabile e indispensabile stampa su carta (che carta!), ha costruito il proprio percorso linguistico ed emotivo. Può piacere o non piacere, a ciascuno il suo, ma l’operazione è nobile e significativa. Tra l’altro, abbatte all’origine i territori superflui di inutili diatribe. Ovvio che non debbano venire meno le intenzioni e le creatività individuali. L’espressione visiva rimane sempre e comunque vincolata alla propria capacità di coinvolgere, colpendo al cuore, alla mente (oppure alla pancia) l’osservatore. Relativamente a questo, confermiamo che i mezzi sono sempre e comunque infrastruttura, mai sovrastruttura, anche se un sostanzioso legame unisce il linguaggio fotografico ai propri strumenti, come abbiamo più volte analizzato e approfondito. Però, confermiamolo, “liberi tutti”, le attuali possibilità tecniche e tecnologiche consentono a ciascuno di spaziare a piacere, e secondo necessità. Giusto un mese fa, in occasione della cabalistica cadenza dei nostri primi Centoundici numeri, ci siamo posti qualche domanda. Soprattutto ci siamo interrogati sul futuro dell’immagine, immediato o a lunga distanza; abbiamo anche posto domande al mondo commerciale, asse portante e di equilibrio di mille vicende a cascata. Attendiamo risposte. In aggiornamento, lo ribadiamo: poche parole e tanti fatti. Inutile sottilizzare sul poco, o nulla addirittura, casomai si dibattano argomenti concreti (tecnici, di contenuto, sociali e derivati); meglio è agire, nella consapevolezza concreta di se stessi e delle relative/rispettive potenzialità. Oppure no? Maurizio Rebuzzini

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Ne abbiamo già riferito. Ora ricordiamo la provocazione di National Geographic dell’ottobre 1978 alla luce della presunta semplificazione dei mezzi fotografici, che non sarebbero più discriminanti sui risultati (ma non è vero!). Per quanto un gorilla ammaestrato possa usare una macchina fotografica (nello specifico Olympus OM-2), producendo qualcosa di plausibile, tra l’apparenza dell’immagine e la sostanza del linguaggio la differenza è ancora visibile e chiara.

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DACCI IL NOSTRO TELEFONINO

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Sullo scorso numero di maggio (il Centoundici della nostra sequenza redazionale) abbiamo annotato alcune delle caratteristiche che distinguono e caratterizzano i tempi fotografici verso i quali ci stiamo incamminando. Se ne parla talmente tanto, spesso a sproposito, spesso senza avere argomenti concreti per farlo, che non varrebbe la pena ribadire alcuna posizione personale riguardo l’influenza delle evoluzioni tecnologiche sulla fotografia. Dunque, non si tratta tanto di alimentare le inconsistenti fila di un dibattito che non ha ragione di essere (quantomeno nei termini nei quali viene posto solitamente, con posizioni a favore e contrarie in contrapposizione), quanto di prendere atto di realtà di fatto: incontestabili, concrete e a proprio modo addirittura influenti sulla società e il relativo costume. Per quanto a livello individuale si possa essere infastiditi da talune manifestazioni, nessuno può ignorare come il telefonino appartenga ormai alla vita quotidiana del mondo occidentale. Camminando per strada, si incontra sempre più gente che parla al telefonino; e non serve domandarsi cosa ci sarà di tanto urgente da dirsi, e neppure rievocare i tempi in cui questo non era possibile (come si faceva, allora, neanche tanti anni fa?). Tanto è vero che, lo abbiamo scritto a chiare lettere, la combinazione del telefonino con funzioni fotografiche è autenticamente discriminante. Per la prima volta, la produzione individuale di immagini è effettivamente e inviolabilmente popolare, alla portata di ciascuno, senza che esistano premeditazioni fotografiche di sorta. Delle due, entrambe. Uno: la funzione fotografica abbinata al telefonino consente l’effettiva realizzazione individuale di im-

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magini, perché l’oggetto fotografico non è discriminante ma appartiene alla vita di ciascuno (e nessuno riesce più a farne a meno!). Cioè, non si deve necessariamente uscire da casa con l’intenzione di fotografare, portandosi appresso uno strumento apposito (macchina fotografica), ma si può essere colti dalla voglia/esigenza di fotografare in ogni momento della giornata. Due: detto questo, anche se in tempi antecedenti fosse esistita la tecnologia per abbinare funzioni fotografiche ad altri elementi quotidiani della vita, nessuno di questi avrebbe avuto il peso e la diffusione capillare che oggi ha il telefonino. Per esempio, come abbiamo già rilevato, le funzioni fotografiche abbinate a una penna biro o a una stilografica non sarebbero state discriminanti, quanto invece lo sono le funzioni fotografiche abbinate, appunto, al telefonino.

SOCIALITÀ A tutti gli effetti, volente o nolente, quantomeno nell’emisfero occidentale, il telefonino è ormai un oggetto quotidiano che appartiene a tutti, nessuno escluso. Da cui, ecco il gioco delle considerazioni conseguenti: la socialità attuale non può ignorare l’esistenza e capillarità dello stesso telefonino. Per quanti altri volino filosoficamente alti, con espressioni colte, personalmente annotiamo le manifestazioni del costume e della socialità con un intenzionale taglio basso, che ci vantiamo essere -comunque sia- significativo, oltre che legittimo. Sorridiamo, quando pensiamo a come la realtà del telefonino influenzi, tanto per dire, le sceneggiature odierne del cinema, oltre che la narrazione romanzata. Insomma, stante il telefonino, bisogna tener conto non soltanto delle (statutarie)

possibilità di comunicazione continua, quanto della assoluta reperibilità individuale. Nella letteratura poliziesca, questo è addirittura discriminante. C’è stato un tempo nel quale abbiamo espresso un paradosso che aveva anche del vero: certe vicende poliziesche, nelle quali si sono distinti scrittori non italiani (statunitensi, francesi e inglesi sopra tutti), si basavano... sulla consegna della posta. In questo senso è maestro Sherlock Holmes (di sir Arthur Conan Doyle), che spesso ha giocato sul giro mattutino o pomeridiano dei postini londinesi, e inglesi più in generale. Lettere imbucate la sera, arrivavano a destinazione nelle prime ore del mattino successivo, consentendo raffinate indagini. In un paese, quale è l’Italia, dove la consegna della posta e i tempi di inoltro sono variabili, queste raffinatezze non avrebbero avuto cittadinanza. Lo stesso, con i dovuti distinguo, è per tanto cinema, che oggi non può ignorare il fenomeno del telefonino, e che a volte si sofferma, appunto, sulle relative caratteristiche: a partire dal recupero immediato dei numeri delle chiamate ricevute e fatte. Per conoscenza individuale, soltanto in un film abbiamo rilevato l’inserimento dinamico del telefonino come elemento selettivo in senso curioso, se non già bizzarro. Non importa il titolo, ininfluente sulle considerazioni che stiamo stilando, ma la vicenda: l’assassino che si avvicina di soppiatto alle spalle della vittima è smascherato dalla suoneria del telefonino che tiene in tasca! E poi, non ignoriamo come la commedia cinematografica, anche italiana, abbia attinto a piene mani dai malcostumi e maleducazioni del telefonino. Ma è tutta un’altra storia.

PARTENZE

Se vale la pena storicizzare i fenomeni sociali e le relative testimonianze, abbiamo due punti di partenza che possiamo considerare storici ed epocali allo stesso tempo (senza peraltro attribuire loro valori discriminatori). Nell’ambito della letteratura popolare, quella che non mira a passare alla storia del romanzo, ma si accontenta di assolvere compiti di sereno passatempo, fa da spartiacque L’ostaggio di Robert Crais, pubblicato in Italia da Mondadori, in prima edizione nella collana Omnibus (giugno 2002) e poi replicato come Giallo (nel settembre 2004; titolo originale Hostage, del 2001). Qual è la particolarità di questo racconto? Genericamente, quella di inserire il telefonino come elemento fortemente presente nella vicenda, anche se non fondamentale. Più nel dettaglio, quella di usare il marchio Nokia, come sinonimo di telefonino; tanto che verrebbe la tentazione di scrivere in minuscolo “nokia” (sostantivo elevato di grado e significato; un poco come ci piace declinare “polaroid” nel senso di fotografia a sviluppo immediato). L’autore Robert Crais non dice mai che il protagonista Jeff Talley, capo della polizia di una cittadina californiana dal triste passato, che vorrebbe dimenticare, usa il suo telefonino, ma, più specificamente, usa il suo Nokia (lasciamo la maiuscola, per ora). Cioè: «Talley gli diede il numero del Nokia». E poi, ciascuno, volendolo fare, si recuperi e annoti l’intera sequenza di citazioni mirate. A seguire, senza peraltro indicare marchi (attenzione, questa, che il cinema e la televisione statunitensi applicano con rigore, se e quando non esistono appositi accordi commerciali/pubblicitari), un recen-


Grande promozione estiva

Duquesne (Emily Procter) tentano di scoprire da dove sia partito il colpo che ha ucciso la guardia del corpo. Controllando le tracce di polvere da sparo e verificando la dinamica dei fatti (lo stiamo per vedere) capiscono che il colpevole non intendeva sparare a 10-Large, colpendo l’altro per sbaglio, ma che la vittima designata era proprio la guardia del corpo. Lasciamo perdere i dettagli dell’indagine, per limitarci alla segnalazione che l’analisi del luogo del delitto si basa soprattutto sulle fotografie scattate dai telefonini del pubblico. Tutti i telefonini vengono sequestrati e le fotografie scattate sono stampate per stabilire la dinamica e successione dei fatti. Siamo convinti che si tratti del primo caso cinematografico che vede protagonisti i telefonini con funzioni fotografiche. Nota parallela: nell’episodio, il personaggio di Dwayne Jackman / 10-Large è interpretato da un autentico rapper, peraltro famoso. Xzibit, vero nome Alvin Nathaniel Joiner, nato a Detroit, nel Michigan, l’8 gennaio 1974, è conosciuto come “Il giustiziere della West Coast”. È un rapper underground dalla lingua più affilata della lama di un rasoio, passato in pochi anni da mito delle periferie a venerabile icona dell’hip hop. “From-X-tothe-Z”, come lo chiamano nel giro, ha tutte le stigmate del rapper di razza: aggressivo, competitivo, tagliente e poco aperto ai compromessi. Ma questa è un’altra storia. A noi interessa solo, e non già soprattutto, che l’episodio di CSI Miami sia il primo che eleva a protagonista la funzione fotografica del telefonino, basando l’ipotetica e supposta indagine poliziesca proprio sul fatto che con il telefonino si scattano fotografie libere dei momenti individuali di emozione. Come se la fotografia serva a dare consistenza e concretezza alla propria partecipazione esistenziale, emotiva appunto. Ed è da qui che si deve riflettere. M.R.

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te episodio della seguìta serie CSI Miami, nata dall’originaria CSI ambientata a Las Vegas, può essere considerato ancora più primigenio. Si tratta della prima vicenda sullo schermo (seppure sul televisore di casa) costruita attorno le funzioni fotografiche del telefonino. L’episodio Morte apparente (in originale Rap Sheet) è stato trasmesso in prima televisiva italiana il 12 novembre scorso (10 maggio 2004 negli Stati Uniti). È identificato come “Episodio 02.22 - 46” della Seconda stagione di CSI Miami; al solito, si snoda attorno due indagini, affidate agli investigatori della Polizia scientifica della città (autori Ildy Modrovich e Corey Miller; regista David Grossman, che in precedenza aveva già diretto altri quattro episodi della serie creata da Ann Donahue, Carol Mendelsohn e Anthony E. Zuiker). Lasciamo perdere la seconda indagine, avviata dalla dottoressa Alexx Woods, medico capo della Scientifica di Miami (l’attrice Khandi Alexander), che in una cella frigorifera dell’obitorio scopre una donna ancora viva. Concentriamoci invece sull’indagine principale, che dà il titolo originario all’episodio, appunto Rap Sheet, mentre il riferimento italiano è invertito: da cui Morte apparente. Dunque, per quanto riguarda il nostro attuale riferimento al telefonino con funzioni fotografiche ci limitiamo a questa indagine. In un locale super affollato, arriva sul palco la star attesa da tutti: 10-Large, il classico rapper di colore venuto dalla strada e con più nemici che nei sul corpo. Durante la sua performance, qualcosa, però, turba il clima festoso: mentre sulla traccia della canzone riecheggiano degli spari, qualcuno spara davvero! Ma la vittima, nella sparatoria, è una guardia del corpo del rapper. Mentre la polizia trattiene tutti i presenti all’omicidio (tutti gli spettatori), il tenente Horatio Caine (interpretato da David Caruso) e l’agente Calleigh

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AGGIORNAMENTO D70. L’aggiornamento firmware che è alla base del progetto Nikon D70s (su questo stesso numero, da pagina 56) è disponibile anche per l’originaria reflex digitale Nikon D70. In particolare, l’aggiornamento firmware 2.0 prevede prestazioni migliorate per le due modalità del sistema autofocus a cinque aree, AF ad Area Dinamica e AF ad Area Dinamica con Priorità al Soggetto più Vicino. Una nuova grafica dei menu, simile a quella utilizzata dalla D70s, agevola la visione, rendendo più immediato il reperimento dei parametri cercati. Quindi, al menu PictBridge sono state aggiunte le voci di selezione formato pagina per le stam-

panti compatibili con supporto alla funzione. L’aggiornamento firmware è scaricabile dal link “Nikon Support Center” dell’area download del sito Nital www.nital.it/download/index.php. (Nital, via Tabacchi 33, 10132 Torino).

RINNOVAMENTO PENTAX. Corpo in alluminio, dimensioni ancora più contenute, ampio display da 2,5 pollici e zoom “sliding lens” definiscono l’attuale linea di compatte digitali Pentax di fascia media. Le nuove Optio S45 e Optio S55 offrono soluzioni tecniche avanzate, a prezzi di vendita particolarmente convenienti. Rispettivamente, sono dotate di sensore da quattro e cinque Megapixel effettivi; quindi, condividono tutte le altre caratteristiche qualificanti, a partire dallo zoom 3x a scomparsa, che consente di mantenere dimensioni estremamente contenute. Caratteristica forte della nuova dotazione è senza dubbio l’ampio display LCD da 2,5 pollici, che offre e assicura una confortevole visione. Il display di grandi dimensioni è senza dubbio una delle caratteristiche oggi più ricercate e apprezzate dal pubblico. Comunque, il display delle due nuove Pentax Optio S45 e Optio S55

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ta X si arricchisce di una nuova configurazione Dîmage X60, snella e ricca di funzioni. È un concentrato di tecnologia racchiuso in soli 22mm di spessore e 115g di peso. Una dotazione di qualità, con sensore da cinque Megapixel, zoom ottico integrato 3x e ampio display LCD antiriflesso da 2,5 pollici, per navigare agilmente nel menu e riguardare subito le fotografie acquisite. Disponibile in tre finiture satinate (azzurro, rosso e argento), la Konica Minolta Dîmage X60 è molto veloce. È pronta a scattare in soli cinque decimi di secondo e lo scatto è attivato in soli 0,08 secondi. L’utilizzo è semplificato dalla “Selezione Automatica Digitale del Programma in Base al Soggetto”, utile funzione per la scelta automatica della migliore modalità di scatto. Altrimenti si può scegliere manualmente tra sette modalità: Ritratti, Sport, Paesaggi, Tramonto, Ritratti Notturni, Super Macro (che permette inquadrature fino a 5cm) e Testo (innovativa funzione per acquisizioni nitide e leggibili di testi scritti). La qualità immagine è dovuta non solo alla grande risoluzione: la tecnologia CxProcess III garantisce immagini naturali e fedeli alla realtà e impedisce la formazione di grana tipica delle esposizioni lunghe. Con l’autofocus a cinque sensori e la Misurazione Multi-Segmento si ottengono sempre inquadrature nitide e con la giusta luminosità. Compatibile con lo standard PictBrige, di collegamento diretto a stampanti predisposte, la Dîmage X60 realizza anche filmati XR. (Rossi & C, via Ticino 40, 50010 Osmannoro di Sesto Fiorentino FI).

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le 6,2x, l’ingrandimento totale è pari a 18,5x, che consente di cogliere e comporre tutti i dettagli della scena inquadrata. (Fujifilm Italia, via dell’Unione Europea 4, 20097 San Donato Milanese MI).

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SISTEMA DÎMAGE. Reflex digitale a obiettivo zoom fisso, la Konica Minolta Dîmage Z5 dispone del sistema esclusivo e proprietario Anti-Shake a compensazione del CCD, che si trova nelle top di gamma Dynax 7D (FOTOgraphia, dicembre 2004) e Dîmage A200: dispositivo estremamente efficace contro le immagini mosse, soprattutto utile agli elevati livelli di ingrandimento che l’apparecchio raggiunge. La Konica Minolta Dîmage Z5 adotta l’esclusiva tecnologia di elaborazione dell’immagine CxProcess III, ed è dotata di un obiettivo GT Apo ad alte prestazioni, da tredici lenti divise in undici gruppi: zoom 12x (!) 5,83-69,9mm f/2,84,5, equivalente all’escursione 35420mm nel formato fotografico 24x36mm, cui si può sommare un ulteriore zoom digitale fino a 4x, con incrementi di 0,2x. Simultaneamente, sul mercato arrivano anche i cinque Megapixel della Konica Minolta Dîmage

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Z20: tempo di accensione rapido di mezzo secondo, risposta allo scatto in soli 0,04 secondi e dopo 1,5 secondi dall’ultimo scatto è pronta al successivo. L’esclusivo sistema Rapid AF mette accuratamente a fuoco in soli 0,3 secondi, sia in posizione grandangolare sia in selezione tele. L’ampia escursione zoom 8x 6-48mm f/3,2-3,4 (equivalente all’escursione 36-290mm nel formato fotografico 24x36mm) si combina, quindi, con l’ulteriore moltiplicazione 4x dello zoom digitale, per un possibile ingrandimento complessivo 32x; e le immagini acquisite sono gestite con l’esclusivo CxProcess III, che garantisce immagini sempre definite e colori naturali anche a pieno zoom. (Rossi & C, via Ticino 40, 50010 Osmannoro di Sesto Fiorentino FI).

GLI ZUIKO AVANZANO. Nei primi mesi dell’anno, lo zoom Zuiko Digital ED 714mm f/4 ha anticipato una consistente crescita del particolare sistema ottico dedicato alle reflex digitali standard QuattroTerzi della gamma Olympus E: dall’originaria E-1 alla recente E-300 (FOTOgra-

phia, luglio e dicembre 2003 e febbraio 2005). Per l’imminente autunno sono annunciati altri tre zoom: due ad ampia apertura relativa f/2, una volta ancora costante per tutta l’escursione focale (Zuiko Digital ED 14-35mm f/2 e Zuiko Digital ED 35-100mm f/2), e l’altro a inquadratura tele con confortevole apertura relativa (Zuiko Digital ED 90-250mm f/2,8). Al solito, le equivalenze con la fotografia 24x36mm ribadiscono il fattore di moltiplicazione 2x. Quindi, rispettivamente: 28-70mm, 70-200mm e 180-500mm. Gli zoom Zuiko Digital ED 14-35mm f/2 e Zuiko Digital ED 35-100mm f/2 sono i primi obiettivi di tale escursione focale con un’apertura relativa tanto generosa. In combinazione, conservando l’ampia apertura relativa f/2, permettono di passare dalla visione grandangolare all’avvicinamento tele (da 14 a 100mm sul sensore digitale QuattroTerzi, comparata all’escursione fotografica 28-200mm). A seguire, il terzo zoom Zuiko Digital ED 90-250mm f/2,8 offre un’analoga ampia apertura relativa, assai pratica e comoda nell’acquisizione digitale di immagini. Le potenzialità di questa superba interpretazione ottica si evidenziano maggiormente nelle condizioni, principalmente di sport e naturalistiche, nelle quali la velocità di ripresa è discriminante. (Polyphoto, via Cesare Pavese 11-13, 20090 Opera Zerbo MI).

SECONDA VERSIONE. L’incremento dell’offerta di apparecchi digitali ad alta risoluzione richiede ed esige schede di memoria sempre più veloci e di maggiore capacita. Risposta che arriva dalla nuova famiglia SanDisk Memory Stick Pro Duo Ultra II in tre capacità: 512Mb, uno e due Giga, con capacità minima di scrittura e lettura di 10Mb al secondo. Ideali con apparecchi digitali da cinque Megapi-

xel, e oltre, assecondano le rapidità di acquisizione e memorizzazione di ultima generazione. (Mamiya Trading, via Cesare Pavese 31, 20090 Opera Zerbo MI).

SEMPRE COOLPIX. Caratterizzata da un look accattivante, da un luminoso monitor LCD da 2,5 pollici, da un corpo macchina di dimensioni ridotte (appena 22mm di spessore) e da una varietà di funzioni Nikon innovative e tecnologicamente avanzate, la compatta digitale Coolpix S2 ribadisce e conferma l’attenzione anche al design, che sta definendo un particolare ambito dell’acquisizione digitale di immagini (come annotato in FOTOgraphia del novembre 2004). Il tutto, con la qualità della risoluzione di 5,1 Megapixel effettivi e dello zoom Nikkor ED 3x, con escursione focale equivalente a 35-105mm della fotografia 24x36mm. Il corpo in metallo impermeabile e il copriobiettivo a scomparsa conferiscono una particolare eleganza, e allo stesso momento offrono anche una resistenza all’acqua (a prova di schizzi, equivalente a IEC 60259 IPX4), per un confortevole uso in esterni, in condizioni ambientali anche avverse, al mare come in montagna. La Nikon Coolpix S2 dispone di una varietà di funzioni, finalizzate alla massima resa qualitativa: “D-Lighting” corregge automaticamente l’esposizione insufficiente, lasciando inalterate le aree con la giusta esposizione e aggiungendo luce e dettagli alle zone più scure; tramite la rilevazione automatica della presenza di un volto nella foto, “AF sul volto” consente una messa a fuoco nitida, garantendo la riproduzione di ritratti senza l’ag-


Grande promozione estiva

Un Imacon Flextight 848? Lo compri oggi ed inizi a pagarlo da gennaio 2006, in 24 rate a interessi zero.

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collegamento diretto USB per apparecchi digitali, lettori di card, riproduttori MP3 e memorie USB. Lo schermo è retroilluminato, con l’indicazione del nome dei file, della struttura, dello stato e del tempo di lettura. Il supporto OTG consente la copia di singoli file, di tutti i file o il backup di tutta la memoria del terminale; e poi la cancellazione dei file indesiderati, la gestione dei file sia sul disco rigido sia sul terminale senza necessità di collegamento al computer. È dotato di PhotoImpact XL SE, Ulead Photo Explorer 8.5 Basic SE e DVD MovieFactory 3 Suite (Ulead 2 Suite), per la gestione successiva dei file su piattaforma PC Windows e PC Inspector, per il recupero delle informazioni perdute. (Mamiya Trading, via Cesare Pavese 31, 20090 Opera Zerbo MI).

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giunta di eventuali contrasti; “Correzione automatica Occhirossi” rileva automaticamente il fastidioso problema causato dal flash e lo corregge digitalmente; “Avviso di mosso” interviene quando la nitidezza dell’immagine rischia di essere compromessa dal movimento accidentale dell’apparecchio. (Nital, via Tabacchi 33, 10132 Torino).

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Profoto Pro-B2 L’innovazione dei flash a batteria PROMOZIONE ESTIVA. Durst Phototechnik ha lanciato una conveniente promozione estiva Imacon 2005, che interessa gli scanner Flextight 646, 848 e 949. Valida fino al 31 agosto, l’offerta propone prezzi convenienti e competitivi e significativi altri vantaggi.

La promozione relativa all’Imacon Flextight 646 consente l’acquisto a un prezzo vantaggioso e l’utilizzo per un anno; a seguire, volendolo fare, si può sostituirlo con un dorso digitale Imacon Ixpress 132c o 528c con rimborso totale del costo sostenuto originariamente per l’acquisto del 646. Lo scanner Flextight 646 incorpora un sensore ottico CCD 3x8000, ha una risoluzione ottica non interpolata compresa tra 80 e 6300dpi, ed è in grado di gestire originali positivi e negativi di formato compreso tra il 24x36mm e il 12x17cm. Può scansire fino a 40Mb al minuto e offre file TIFF a 8 o 16 bit, con una profondità True Color a

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16 bit e una densità a 4,6 Dmax possibile in un solo passaggio. Per lo scanner Imacon Flextight 848 è stata studiata una promozione prezzo con rateazione a ventiquattro rate a interessi zero da gennaio 2006. Lo scanner Imacon Flextight 848 offre soluzioni ottiche non interpolate fino a 8000dpi, ha una profondità di colore di 48 bit, con una densità ottica da 4,8 Dmax e una velocità di scansione di 100Mb al minuto a 16 bit o 50Mb al minuto a 8 bit. Infine, l’Imacon Flextight 949 è abbinato a un computer Apple Macintosh G5 a costo zero. Lo scanner Imacon 949 (premio TIPA 2004; FOTOgraphia, giugno 2004) è assolutamente innovativo: è dotato di una fonte di luce riprogettata, per offrire una maggiore diffusione e minimizzare la visibilità della polvere, grana o graffi, riducendo così i

tempi di ritocco delle immagini. Flextight 949 offre soluzioni ottiche non interpolate fino a 8000dpi e ha una profondità di colore di 16 bit, con una densità ottica da 4,9 Dmax, realizzabili in una sola passata. Tra le sue peculiarità, una capacità di scansione fino a 200 Mb al minuto e una funzione di raffreddamento attivo comandata dal computer. (Durst Phototechnik, via Vittorio Veneto 59, 39042 Bressanone BZ; 0472-810211, fax 0472-810189; www.durst.it, dvi@durst.it).

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IL JAZZ VISTO DA DIETRO

C

C’è chi crede alla fotografia: la vive, ne fa materia per realizzare sogni di impalpabile consistenza. Ma sono sogni e, si sa, i sogni sono fatti di questo. È il loro bello, la loro magia. C’è chi ci crede a tal punto da costituire un gruppo, ambulante per di più; appunto il Gfa (Gruppo Fotografico Ambulante), nato dalla passione dei soci fondatori Giuseppe Cardoni, Luigi Loretoni, Marco Nicolini, Filippo Sproviero e Fausto Ticchioni. A un anno dalla costituzione, giusto l’estate scorsa, il Gfa dà prova di sé con un’esposizione fotografica a Perugia, città simbolo del jazz, il cui titolo non lascia spazio a dubbi. Backstage. Il Jazz dietro le quinte presenta fotogra-

Cassandra Wilson (fotografia di Filippo Sproviero).

(pagina accanto) Brad Mehldau (fotografia di Filippo Sproviero). Brad Mehldau (fotografia di Luigi Loretoni).

fie in bianconero, in forte ed evidente testimonianza di emozioni di tutti i colori. Negli intendimenti del Gruppo Fotografico Ambulante c’è la dichiarata intenzione di rivolgersi alla fotografia con un senso ampio: associare ad approfondite discussioni su temi fotografici, altrettanto accurate dissertazioni su tutto ciò che può migliorare la qualità della vita (impegno non da poco!), considerate dai fotografi del Gfa non meno discriminanti e suggestive. Provenendo da una impostazione e un modo di vedere fortemente connotato, che qualcuno definisce tipicamente “Leica” (Luigi Lore-

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Vincent Broussard (fotografia di Luigi Loretoni).

Francesco Cafiso (fotografia di Fausto Ticchioni).


IN-OUT

toni è membro del selettivo Gruppo Fotografico Leica; FOTOgraphia, maggio 2004), i cinque autori si dedicano a quella nicchia espressiva che riguarda soprattutto la fotografia di reportage, anche se per la verità questo termine va un po’ stretto alla identificazione delle loro realizzazioni. Comunque, il Gruppo guarda alla fotografia proprio come mezzo di espressione e valorizzazione del racconto. È con queste premesse e in questo contesto di intenti che è stata concepita l’esposizione di Perugia, città ormai consacrata e simbolo del jazz in Italia, in una selezione di immagini bianconero realizzate durante le più recenti edizioni di Umbria Jazz, ed esposte proprio in occasione dello svolgimento dell’edizione 2005 della stessa manifestazione musicale. Un lavoro realizzato a più mani, ma anche più occhi, più teste e più cuori, dove il sentire è

percepito attraverso la ripresa di momenti secondari, ora carichi di tensione, ora di gioiosa rilassatezza. Sono i momenti a contorno delle esibizioni ufficiali, sono il dietro-le-quinte, appunto. A.Alp. Gruppo Fotografico Ambulante: Backstage. Il Jazz dietro le quinte. Sala Lippi della Banca dell’Umbria, corso Vannucci, 06100 Perugia. In occasione di Umbria Jazz 2005, dall’8 al 17 luglio.

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VERA FOTOGRAFIA (ANCORA)

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Nel dicembre 2003, abbiamo riflettuto a proposito della clamorosa alterazione di immagine realizzata dal settimanale L’Espresso del 20 novembre, la cui copertina interpretò a fantasia l’attentato di Nassirya, nel quale sono morti diciannove italiani, tra militari e civili del nostro contingente in Iraq. In quell’occasione, come in altre precedenti e altre che sono poi seguite, abbiamo posto l’accento sull’attuale realtà della Fotografia nell’epoca della propria falsificazione tecnica (parafrasando dal celebre saggio di Walter Benjamin, che nel 1936 scrisse a proposito dell’Opera d’arte nell’epoca della riproducibilità tecnica). Complici le semplificazioni attuali, le modificazioni di immagine si moltiplicano esponenzialmente, e per di più sono a disposizione di chiunque disponga di un banale software di gestione di immagine. Ribadiamo, confermandolo: niente o poco da dire in ambiti commerciali e pubblicitari, ai quali nessuno attribuisce verità assolute. Invece, il problema si pone per il fotogiornalismo, cui -a torto o ragione (il dibattito sarebbe anche questo)- si è soliti attribuire valori di documentazione schietta e sincera. Per banalizzare e passare oltre, diciamo che gli interventi sull’immagine fotogiornalistica andrebbero cer-

tificati, magari precisando che si tratta di “ricostruzione” piuttosto che “illustrazione”: alla maniera, per intenderci, delle fantastiche tavole di Walter Molino, che dalle copertine della Domenica del Corriere è stato cantore di un tempo giornalistico ormai remoto. Comunque, all’interno delle considerazioni riguardo la vicenda L’Espresso, in FOTOgraphia del dicembre 2003, abbiamo avuto modo di citare il caso, niente affatto secondario, di Gianni Berengo Gardin, fotografo che non ha bisogno di tante presentazioni, che da tempo nei propri libri riporta una dizione che recita così: «Nessuna delle fotografie inserite nel libro è stata corretta, modificata o addirittura inventata al computer». Dunque, Gianni Berengo Gardin desidera che chi guarda le sue fotografie (d’autore) veda esattamente quello che lui ha visto, e valuti le sue scelte di ripresa e inquadratura. A seguire, lo scorso ottobre 2004, a margine della presentazione di una sostanziosa serie di monografie pubblicate dallo stesso Gianni Berengo Gardin nel corso dell’anno, abbiamo riferito del timbro che accompagna le sue fotografie, declinato nella stessa direzione. Senza entrare in altri dibattiti, che riguardano l’essenza foto-

Nell’ambito della propria presentazione redazionale, Réponses Photo ha riportato la lettera originaria con la quale Gianni Berengo Gardin ha ufficializzato la propria posizione circa la qualifica di “Vera fotografia”.

Vera fotografia: titolo in italiano con il quale Réponses Photo presenta Gianni Berengo Gardin, sottolineandone la presa di posizione.

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grafica dei nostri tempi (sui quali ci siamo peraltro soffermati sullo scorso numero di maggio), Gianni Berengo Gardin prende le distanze da tutto quanto può essere oggi possibile e legittimo (è un discorso ampio), per sottolineare la propria personalità d’autore fedele a princìpi che oggigiorno possono essere anche alterati, se non già violati. Riproponiamo la comunicazione originaria: «Cari amici, ho constatato che veniamo sempre più “imbrogliati” dalla stampa e dall’editoria con la pubblicazione di una grande quantità di cosiddette “fotografie” che andrebbero invece definite “immagini”: perché adulterate, corrette, modificate, addirittura inventate grazie al computer e a programmi come Photoshop, senza però denunciare la trasformazione. Pertanto ho deciso che d’ora in poi sul retro delle mie fotografie apporrò il timbro: “Vera fotografia” - Non corretta, modificata o inventata al computer. Questo perché chi le vede sappia che quello che riproducono è ciò che ho visto e non il frutto della mia fantasia. Firmato Gianni Berengo Gardin (10 settembre 2004)». Questa posizione, autentica presa di posizione, è stata sottolineata dal prestigioso mensile francese Réponses Photo, che ha appunto titolato (in italiano) Vera fotografia il portfolio di Gianni Berengo Gardin, pubblicato sul numero di maggio, in occasione della sostanziosa retrospettiva allestita a Parigi. La segnalazione sottolinea il senso dell’atteggiamento fotografico di Gianni Berengo Gardin, addirittura fatto proprio in un paese che solitamente evita di usare termini che non siano nella propria lingua. Ricordiamo che il “D-Day” è “Jour J” per i francesi, così come il “computer” è “ordinateur” e la “First Lady” è “Première dame”. Ma “Vera fotografia” è esattamente questo: una fotografia autentica della vita «non corretta, modificata o inventata al computer». M.R.



Berlino liberata. L’immagine-simbolo della resa di Berlino, cui consegue la resa dell’esercito tedesco e la fine della Seconda guerra mondiale (sul fronte occidentale), è una delle fotografie che da tempo alimentano una serie di distinguo da parte degli storici e del mondo fotografico. La controversa vicenda della bandiera sovietica issata sul Reichstag il 30 aprile 1945 (?) è raccontata in una mostra a tema, allestita nella capitale tedesca da Ernst Volland. Documenti originari e dettagliate analisi rivelano l’artificiosità della rappresentazione Tra le diverse versioni della bandiera issata sul Reichstag dai soldati dell’Armata Rossa all’indomani della conquista (liberazione) di Berlino, questa è considerata la fotografia ufficiale: immagine-simbolo della fine della Seconda guerra mondiale (fronte occidentale). Efficacemente documentaria, la mostra storica allestita da Ernst Volland al Deutsches Historisches Museum della capitale tedesca rievoca e ricostruisce le vicende e controversie che da decenni ruotano attorno questo scatto del fotografo sovietico Evgenii Khaldei (o Yvgeni Khaldi).

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mmagine-simbolo della conquista di Berlino da parte dell’Armata Rossa, la bandiera issata sul Reichstag, alla conclusione della Seconda guerra mondiale, nella primavera 1945 (e di date stiamo per parlare), è una delle fotografie più conosciute del Ventesimo secolo. È un’immagine che appartiene alla memoria collettiva. Questa raffigurazione occupa un posto di rilievo nella storia della fotografia; e, ovviamente, compare in ogni retrospettiva storica delle vicende del mondo e della cronologia fotografica: appunto, simbolo della conclusione della Seconda guerra mondiale (fronte occidentale; FOTOgraphia, maggio 2003). Tuttavia, da tempo il mondo fotografico riflette sulla sua autenticità. Il dibattito è antico; non riguarda solo questa fotografia, ma si estende a una identificata serie di immagini storiche, in analogo odore di non autenticità. Ora, nel corso del corrente 2005, la bandiera sul Reichstag è tornata di attualità per due motivi: uno interno alla filosofia fo-


SULREICHSTAG SVENTOLABAN DIERAROSSA tografica, l’altro storico. Dal punto di vista “fotografico” si è ripreso il caso della bandiera rossa issata sul Reichstag alla luce delle più recenti alterazioni all’immagine, che nel mondo giornalistico si stanno moltiplicando grazie alla semplicità e semplificazione dei software di gestione digitale (tra i tanti possibili, ricordiamo ancora il caso della copertina dell’Espresso sull’attentato di Nassirya; FOTO graphia, dicembre 2003). Allo stesso momento, dal punto di vista “storico”, questa fotografia è tornata d’attualità in occasione del sessantesimo anniversario della caduta di Berlino e della fine della Seconda guerra mondiale (1945-2005).

FALSO? A parte la distinzione tra falso confezionato e sceneggiatura a uso fotografico (come sono molte delle fotografie della storia: più pose che istantanee), nel caso della bandiera sul Reichstag convergono numerosi fatti. In particolare, non va sottovalutato il si-

Variante, sostanzialmente identica all’immagine ufficiale, cui può essere comparata. Le differenze sono minime e riguardano soprattutto la restituzione prospettica della scena originaria: qui l’inquadratura è più stretta, e a conseguenza la bandiera risulta più grande. Mancano anche le nubi del fumo della battaglia, presenti (aggiunte) nell’immagine ufficiale.

Tutte le fotografie pubblicate appartengono all’archivio storico della Voller Ernst Fotoagentur di Berlino, distribuito in Italia dall’Agenzia Grazia Neri (via Maroncelli 14, 20154 Milano; 02-625271; www.grazianeri.com, photoagency@grazianeri.com).

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Variante della fotografia ufficiale, con un diverso movimento della bandiera al vento. Si tratta di un montaggio, evidente ai bordi della stessa bandiera.

(a destra) Ulteriore versione, priva di fumo in città, del resto effettivamente assente una volta cessati i combattimenti per le strade. In questa fotografia, il ritocco è significativo: l’orologio al polso destro del soldato è stato letteralmente graffiato.

Dettaglio che rivela che il soldato che tiene l’asta della bandiera ha due orologi, uno per polso: imbarazzante certificazione di soprusi da parte delle truppe sovietiche d’occupazione.

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stematico adattamento alla politica quotidiana, perpetuato per decenni dai paesi socialisti, maestri della correzione e mistificazione della storia: Unione Sovietica, prima di tutti, ma anche Repubblica popolare cinese e altri (a questo proposito rimandiamo all’ottimo Il commissariato agli archivi di Alain Jaubert, pubblicato nel 1993 dalla Casa Editrice Il Corbaccio di Milano). Ricordiamo soprattutto le revisioni storiche, con cancellazione da pose precedenti di personaggi scomodi, caduti in disgrazia o indesiderati (per esempio, eliminazione di Lev Trotskij dalle fotografie dei comizi di Lenin; FOTOgraphia, aprile 2000). Ancora oggi si registrano voci che commentano la fotografia della bandiera rossa sul Reichstag, sia come falsificazione sia come ricostruzione artefatta: e a questa diatriba è dedicata una imponente mostra fotografica, allestita al Deutsches Historisches Museum di Berlino da Ernst Volland, all’interno dell’ampio contenitore di Der Kriegund seine Folgen (ovvero, La guerra e le sue conseguenze; Unter den Linden 2, D-10117 Berlin, Germania; 0049-30-203040, fax 0049-30-20304543; www. dhm.de; fino al 28 agosto). Proprio questa esposizione è ricca di documenti originali sovietici e russi, che vanno analizzati con concentrazione: allo stesso momento in cui potrebbero fare chiarezza, alcuni addirittura aumentano i dubbi e la confusione. Come annota il curatore Ernst Volland, nel corso degli anni sono state presentate numerose versioni fotografiche dell’innalzamento della bandiera rossa sul Reichstag, simili ma diverse da quella ufficiale realizzata da Evgenii Khaldei (o Yvgeni Khaldi; sulla doppia pagina 20-21); solitamente cambiano alcuni dettagli e sono differenti particolari di complemento. La variante più diffusa è sostanzialmente identica all’immagine ufficiale (a pagina 21), cui può essere comparata. Le differenze sono minime e riguardano soprattutto la restituzione prospettica della scena originaria: nella fotografia ufficiale, la

bandiera risulta più piccola, così come le persone che si intravedono sulla strada; l’inquadratura è più ampia. Ovvio pensare a due scatti diversi, realizzati da Evgenii Khaldei in successione ravvicinata. Armato di Leica (armato, è il caso di dirlo), si è arrampicato sul tetto del Reichstag alle sette del mattino del 2 maggio 1945 (e poi, la fotografia fu datata 30 aprile, giorno in cui l’Armata Rossa conquistò definitivamente Berlino); quindi è perfino scontato che abbia realizzato numerosi scatti analoghi, come -del resto- stiamo per avere conferma.

REICHSTAG Lo stesso Evgenii Khaldei ha avuto modo di raccontare e descrivere questa missione, presentandola come spontanea (e già questa ricostruzione è considerata falsa/falsificata a uso storico): «Fin dall’inizio della guerra, si parlava molto del Reichstag, simbolo del nazismo. La mattina del due maggio sono entrato nel Reichstag. Dappertutto si sentivano rumori tremendi; l’eco dei combattimenti per le strade non si era ancora spento. Un simpatico giovane soldato, mi si è avvicinato e ha commentato la bandiera rossa che tenevo in mano. Mi ha esortato a salire sul tetto del Reichstag per issarla a testimonianza della vittoria. «Il Reichstag stava bruciando. Ci siamo avvicinati alla cupola, rimanendo distanti dalle fiamme. Abbiamo fissato la bandiera su un lungo bastone, e io mi muovevo per individuare un punto di vista fotograficamente adeguato: con la bandiera in primo piano, volevo avere Berlino nell’inquadratura. Ho scattato un intero rullino di trentasei pose. Quindi, sono volato subito a Mosca con un aereo militare. La fotografia è stata pubblicata immediatamente, divenendo l’immagine ufficiale della conquista di Berlino». Perché proprio il Reichstag? Dopo l’incendio (doloso) del 1933, peraltro finalizzato alla messa al bando dei comunisti tedeschi, ingiustamente accusati, la sua ricostruzione cancellò i simboli della repubblica di Wei-


mar (1918-1933). Per i sovietici, e Stalin in particolare, la nuova imponenza architettonica simbolizzò il potere nazista. Quindi, issare la bandiera sul Reichstag, che può essere immaginato come un animale sconfitto (la Germania di Hitler), certificò la vittoria.

VARIANTI Tornando alle versioni dell’immagine, il confronto tra la fotografia ufficiale di Evgenii Khaldei e quella ufficiosa, appena ricordate, rivela una serie di interpretazioni visive finalizzate. Inizialmente, il fotografo ha drammatizzato la scena, accentuando le nubi del fumo della battaglia, tecnica peraltro frequentemente usata dai fotografi sovietici di guerra (immagine ufficiale). Quindi, si può notare un ritocco di circostanza, per cancellare uno dei due orologi ai polsi del soldato che sostiene la bandiera (pagina accanto, a sinistra), imbarazzante testimonianza/certificazione di soprusi da parte delle truppe sovietiche d’occupazione (a parte i saggi storici, il clima quotidiano della Berlino dell’immediato dopoguerra, divisa tra sovietici, inglesi e statunitensi, traspare nel romanzo Il buon patriota di Joseph Kanon, appunto ambientato nei caldi giorni dell’estate 1945). Ancora, un’altra versione, con un diverso movimento della bandiera al vento, si presenta come montaggio (pagina accanto, in alto a sinistra). Le tracce dell’intervento si riconoscono ai bordi della stessa bandiera. Tuttavia, questa ulteriore interpretazione è stata pubblicata abbastanza frequentemente. Altrettanto ritoccata appare una quarta versione, priva di fumo in città, del resto effettivamente assente una volta cessati i combattimenti per le strade (pagina accanto, in alto a destra). In questa fotografia, il ritocco è significativo, oltre che ancora evidente: l’orologio al polso destro è stato letteralmente graffiato. Comunque, data la drammaticità della raffigurazione, questo ritocco (marginale?) non attrae, né richiama l’attenzione. Nel film documentario di Marc-Henri Wajnberg del 1997 (Eugeni Khaldei, photographe sous Staline; 64 minuti), lo stesso Evgenii Khaldei commenta il ritocco: «Nell’ufficio editoriale dell’agenzia Tass, dove ho sviluppato la pellicola, un collega ha notato subito i due orologi. Immediatamente, con un ago, ne ho graffiato uno dal negativo». Un altro fatto, fino a ieri sconosciuto, rivelato dall’allestimento della mostra di Ernst Volland, è che una fotografia analoga non fa parte della serie scattata da Evgenii Khaldei, ma da un altro fotografo (a destra, in alto). Si tratta di una fotografia di Alexander Grebnev, collega di Evgenii Khaldei, lui pure sul tetto del Reichstag, negli stessi momenti. Le fotografie di Evgenii Khaldei e quelle di Alexander Grebnev sono sostanzialmente simultanee. Questo prova che almeno due operatori erano in azione sul tetto del Reichstag. E qui la vicenda pare complicarsi, oppure si complica effettivamente. È tutto un problema di date. Berlino fu conquistata dall’Armata Rossa il 30 aprile, dopo giorni e giorni di strenua difesa finale, con combattimenti strada per strada. È ovvio ipotizza-

VOLLER ERNST FOTOAGENTUR

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ostruita da Ernst Volland, con sede a Berlino, l’agenzia di distribuzione di immagini Voller Ernst Fotoagentur proietta sul mercato internazionale la serie delle proprie diramazioni. Oltre il corpo delle immagini di stock generico e generale, l’agenzia vanta due personalità fotografiche particolari: una di fotografie di carattere curioso (che strappano il sorriso a chi le osserva) e l’altra di impronta storica. Proprio l’archivio storico ha fornito l’insieme delle immagini che Ernst Volland ha raccolto e ordinato nella mostra retrospettiva sulla vicenda della bandiera issata sul Reichstag, all’interno dell’ampio contenitore di Der Kriegund seine Folgen (ovvero, La guerra e le sue conseguenze), al Deutsches Historisches Museum di Berlino fino al 28 agosto. Questo particolare archivio storico è ricco di fotografie di avvenimenti politici e sociali, a partire dagli anni Venti del Novecento. Costruito attraverso l’acquisizione ragionata e consapevole di fondi e archivi privati, individuati soprattutto sul territorio nazionale tedesco e nei paesi dell’est europeo, l’insieme è stato digitalizzato e catalogato in modo da facilitare la ricerca dei soggetti e consentire il maggior numero di collegamenti e incroci possibili. In Italia la Voller Ernst Fotoagentur è distribuita dall’Agenzia Grazia Neri (via Maroncelli 14, 20154 Milano; 02-625271, fax 026597839; www.grazianeri.com, photoagency@grazianeri.com).

Stessa situazione delle fotografie di Evgenii Khaldei, ripresa da un altro fotografo sovietico di guerra, Alexander Grebnev, lui pure sul tetto del Reichstag negli stessi momenti. Le fotografie di Evgenii Khaldei e quelle di Alexander Grebnev sono sostanzialmente simultanee. Almeno due operatori erano in azione sul tetto del Reichstag. Fotografia raramente vista: bandiera issata per certificare la vittoria, fotografata da Mark Redkin prima della ricostruzione allestita da Evgenii Khaldei, che è diventata immagine-simbolo.

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Colorazione del bianconero di Evgenii Khaldei. Non può essere altrimenti, perché i fotografi sovietici di guerra non avevano pellicole a colori.

re che la bandiera rossa sia stata immediatamente issata sul Reichstag, considerando anche la simbologia, niente affatto secondaria, del Primo maggio, giornata dei lavoratori. Per mille motivi, tra atmosferici e militari (barlume di ulteriore resistenza da parte di soldati tedeschi isolati), la bandiera originaria potrebbe/può essere volata via, tanto da rendere necessaria la ricostruzione del due maggio, peraltro favorita da una adeguata luce ambiente, congeniale alle esigenze della fotografia. In questo senso, si dovrebbe considerare come effettivamente storica, seppure di minor impatto visivo, la fotografia di Mark Redkin, antecedente quella ufficiale di Evgenii Khaldei (a pagina 23).

INTERPRETAZIONE

Prima di Evgenii Khaldei, un altro fotografo sovietico ha fotografato la bandiera rossa issata sulla cupola del Reichstag. Si presume che questa immagine, ripresa da un aereo, sia stata ritoccata. La bandiera simbolica potrebbe essere stata inserita a posteriori: mossa dal vento e in una adeguata combinazione compositiva (regola della divisione dell’inquadratura in terzi di attenzione visiva).

Evgenii Khaldei davanti al Reichstag, nel maggio 1945 (fotografia di Petrussow); nella sua casa di Mosca, nel 1993 (fotografia di Wolfgang Krolow); e insieme con Ernst Volland, davanti al Reichstag, nel 1994 (fotografia di Heinz Krimmer).

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Originalmente, la fotografia di Evgenii Khaldei è bianconero, e non avrebbe potuto essere altrimenti, considerato che i fotografi sovietici di guerra non avevano pellicole a colori. In tempi successivi, lo stesso fotografo ha colorato l’immagine, che così è stata pubblicata occasionalmente (in copertina di questo numero e qui a destra). Continuando l’esame, si deve coinvolgere un altro fotografo sovietico, Victor Tomin, che il Primo maggio ha fotografato la bandiera rossa issata direttamente sulla cupola del Reichstag (qui a sinistra). Come Evgenii Khaldei ha più volte detto a Ernst Volland, che oggi ha allestito l’imponente mostra retrospettiva di Berlino attingendo al proprio vasto archivio storico, è verosimile che questa fotografia ripresa da un aereo sia stata ritoccata. La bandiera simbolica potrebbe essere stata inserita a posteriori: mossa dal vento e in una adeguata

combinazione compositiva (regola della divisione dell’inquadratura in terzi di attenzione visiva). Appena scattata questa fotografia, Victor Tomin avrebbe fatto immediatamente rotta su Mosca, per presentare l’immagine direttamente a Stalin. La fotografia è stata subito pubblicata, e ancora oggi non è così chiaro se si tratti di una falsificazione o meno. Ci si deve basare sulle sensazioni e le pa-

EVGENII KHALDEI ubblicata dalla newyorkese Aperture nel 1997, anno della sua morte, quando fu realizzato anche il film documentario di PMarc-Henri Wajnberg Eugeni Khaldei, photographe sous Staline (64 minuti), la monografia Witness to History: The Photographs of Yevgeny Khaldei rappresenta la più completa e ricca testimonianza sull’opera fotografica dell’autore russo: uno dei tesori fotografici sovietici emerso e rivelato dalla dissoluzione dello stato socialista. Per conto dell’agenzia giornalistica statale Tass, della quale era dipendente, Evgenii Khaldei seguì l’avanzata a occidente dell’Armata Rossa, conclusasi con la conquista/liberazione di Berlino del 30 aprile 1945. L’archivio di Evgenii Khaldei è prezioso, perché osserva un fronte di guerra da un punto di vista poco noto al di fuori dei confini nazionali (e magari anche al proprio interno): esattamente all’opposto delle prospettive che hanno guidato e governato tutta la fotografia di guerra nota in occidente, dall’invasione tedesca del 1941 fino alla fine della Seconda guerra mondiale, Evgenii Khaldei ha guardato il conflitto da est verso ovest.

Curiosamente, la biografia di Evgenii Khaldei si annoda attorno le date e vicende della parabola sovietica. Nacque nel 1917, qualche mese prima della rivoluzione bolscevica. Un anno dopo, sua madre morì durante i saccheggi di un pogrom antisemita scatenato nel villaggio ucraino dove la famiglia viveva. Affidato ai nonni, è cresciuto coltivando particolari curiosità: soprattutto per i tempi e i luoghi. A undici anni assemblò una macchina fotografica, mettendo insieme una scatola di cartone e gli occhiali della nonna. Professionalmente, si è affermato con immagini celebrative dell’edificazione del socialismo, declinate con enfasi ed entusiasmo. Dopo la consacrazione personale in tempo di guerra, durante la quale si affermò come il più attento, abile ed efficace tra i fotografi sovietici al fronte, negli anni a seguire Evgenii Khaldei fu una delle vittime delle persecuzioni di Stalin contro gli ebrei sovietici. Licenziato dalla Tass, visse anni di grandi disagi e difficoltà. Ritornato al lavoro all’indomani della morte di Stalin, non venne comunque mai riabilitato. È vissuto a Mosca fino alla morte, avvenuta a ottant’anni, nel 1997.


role di Evgenii Khaldei, che non avrebbe mai discreditato un collega, data la consistente solidarietà tra i fotografi sovietici di guerra, inviolabilmente uniti dai rischi comuni corsi in numerose battaglie. Soltanto, si può tener conto del fatto che dopo la pubblicazione sulla Pravda del tre maggio, la fotografia non è più stata usata. La bandiera che è conservata nel Museo militare di Mosca non è quella issata sul Reichstag, in nessuna circostanza. Una leggenda vuole che la bandiera-simbolo dell’immagine di Evgenii Khaldei, e di quelle di Alexander Grebnev, sia in realtà una tovaglia rossa con incollata una falce-e-martello in cartone (?). Quella nel Museo riporta l’iscrizione di una piccola unità di soldati che ha partecipato alla conquista del Reichstag. È la riproduzione, di vivida colorazione rossa (qui a destra), dell’originale che la direzione del Museo dice di conservare in un deposito protetto.

INTERPRETI L’identità dei tre soldati che issano la bandiera sovietica nella fotografia ufficiale Evgenii Khaldei esige un’analisi dettagliata. L’immagine simbolizza diversi eventi di rilevanza storica: la conclusione della guerra sul fronte occidentale, con la conseguente caduta del fascismo e del nazismo, e relativa sconfitta definitiva della Germania di Hitler. I tre soldati della bandiera sono diventati eroi nazionali, e tutti i sovietici conoscono i loro nomi: Michail Jegorow, Meliton Kanataria e Konstantin Samsonow (a destra). Hanno ricevuto prestigiosi riconoscimenti di stato, fino a una pensione vitalizia. Tuttavia, Evgenii Khaldei ha rivelato che non erano loro i protagonisti della sua fotografia, bensì Alexejev Nicolaiev, Abdullhakim Ismaiilow e Leonid Gorjatschov. Cosa è successo? Ancora è fondamentale la testimonianza diretta dello stesso Evgenii Khaldei, che nelle occasioni pubbliche ha sempre avvallato la versione ufficiale, senza lasciar trasparire la propria conoscenza dei fatti. Personalità di spicco, e più capace tra i fotografi sovietici di guerra impegnati sui fronti della Seconda guerra mondiale, tanto da essere spesso definito come il “Robert Capa russo”, Evgenii Khaldei era dotato di straordinaria memoria; per esempio, ricordava nomi, località e date di tutte le sue fotografie. Quindi, conosceva la verità. Poco prima della sua morte, avvenuta nel 1997, si è aperto/rivelato a un giornalista inglese: «Immediatamente dopo aver scattato la serie fotografica della bandiera sul Reichstag sono andato a Mosca, da Stalin. Il nostro comandante-in-capo ha ricevuto le mie fotografie e la lista dei nomi dei soldati coinvolti. Dopo un lungo esame ha scelto l’immagine e, tra tutti i soldati che hanno partecipato alla conquista del Reichstag, ha indicato quali dovevano essere celebrati; gli altri sono finiti nel dimenticatoio. Ho dovuto firmare una dichiarazione che mi impegnava a mantenere il mio segreto; non avrei dovuto rivelare quanto sapevo. Sotto Stalin, questa era storia». Stalin, georgiano, indicò in un

Museo militare di Mosca. La bandiera qui conservata non è quella issata sul Reichstag, in nessuna circostanza. L’iscrizione è quella di una piccola unità di soldati che ha partecipato alla conquista del Reichstag.

compatriota georgiano il soldato che issa la bandiera, gli altri due sono russi. Alla discussione sull’identità dei soldati hanno contribuito molte voci. Tra queste, un posto di privilegio spetta a Anna Vladimirova Nikulina: in un articolo, pubblicato dal Berliner Morgenpost nell’ottobre 1994, ha sostenuto di essere stata il primo soldato a issare la bandiera sul Reichstag (qui sotto). Come in molti altri casi della storia, oltre che della storia della fotografia, questa vicenda sembra senza fine (certa). Comunque, va registrato che, al pari di altre immagini-simbolo, è stata reinterpretata in molte altre raffigurazioni. È stata dipinta a olio (a pagina 26). Illustra la copertina di un libro sulla storia di Berlino, che peraltro contiene informazioni inesatte sulla sua realizzazione e datazione. Inoltre, dobbiamo anche registrare che nei giorni di Berlino, in quei giorni di Berlino, Evgenii Khaldei organizzò e fotografò altri innalzamenti simbolici della bandiera sovietica: in cima alla Porta di Brandenburgo (a pagina 26; spesso confusa con la bandiera sul Reichstag) e all’aeroporto di Tempelhof (ancora a pagina 26). Come abbiamo già raccontato, in FOTOgraphia del maggio 2003, al Festival International du photojournalisme Visa pour l’Image, nel 1995 Evgenii Khaldei incontrò Joe Rosenthal, autore della fotografia della bandiera statunitense che viene issata sul monte Suribachi, nell’isola di Iwo Jima, dove fu combattuta una delle più feroci battaglie del Pacifico (a pagina 26). Entrambe le fotografie sono sostanzialmente costruite. Comunque, si tratta di due immagini che rappresentano simbolicamente la vittoria degli Alleati sul fronte europeo e su quello del Pacifico. (Tra parentesi, anche l’immagine di Joe Rosenthal è stata reinterpretata in infinite varianti. Oltre al monumento al National Cemetery di Arlington/Washington, che compare in numerosi film, segnaliamo: poster della pace degli anni Sessanta; pubblicità dei jeans His del 1990; poster di C.C. Beall con francobollo e annullo

Ufficialmente, Michail Jegorow, Meliton Kanataria e Konstantin Samsonow sono i tre soldati della fotografia di Evgenii Khaldei, che però ha rivelato che si è trattato di una imposizione di Stalin. I tre autentici protagonisti furono Alexejev Nicolaiev, Abdullhakim Ismaiilow e Leonid Gorjatschov (fotografia di Evgenii Khaldei).

In questo articolo, pubblicato dal Berliner Morgenpost nell’ottobre 1994, Anna Vladimirova Nikulina sostiene di essere stata il primo soldato a issare la bandiera sul Reichstag.

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I GIORNI DI MILANO

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uriosamente, più di quanto fu fatto in occasione dei cinquant’anni, nel sessantesimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale (1945-2005) si sono moltiplicate le celebrazioni e ricostruzioni storiche di quei giorni, molte delle quali hanno coraggiosamente affrontato argomenti fino a ieri volontariamente ignorati, perché imbarazzanti per qualcuno. Tra le diverse iniziative segnaliamo la mostra Memorial della Liberazione di Milano, le cui immagini sono state raccolte in un ben allestito volume-catalogo. Si tratta di una ricostruzione evocativa degli eventi dei giorni della resistenza armata e della liberazione del capoluogo lombardo, che si offre alle nuove generazioni come ricordo di un momento storico decisivo per la costruzione della nostra attuale identità. La vicenda è concentrata in soli ventun giorni, dal 18 aprile, quando Benito Mussolini rientrò a Milano per trattare la resa con i rappresentanti del Comitato di liberazione nazionale, all’8 maggio, giorno della resa definitiva della Germania. Una combinazione di immagini e parole che testimonia e rende partecipi di un momento fondante della nostra storia nazionale. Memorial della Liberazione di Milano; a cura di Giorgio Bigatti e Massimo Negri; saggi di Roberto Guerri, Massimo Negri, Paolo Zenoni, Roberto Chiarini, Paul Ginsborg, Giorgio Bigatti; con cronologia della Liberazione di Milano; Skira editore, 2005 (via Torino 61, 20123 Milano; 02-724441, fax 02-72444219; www.skira.net, skira@skira.net); 64 pagine 24x28cm; 20,00 euro.

Il sovietico Evgenii Khaldei, autore della fotografia della bandiera rossa che viene issata sul Reichstag (30 aprile 1945?), ha affermato di essersi ispirato alla bandiera statunitense issata sul monte Suribachi, nell’isola di Iwo Jima, fotografata da Joe Rosenthal (23 febbraio 1945). Nel 1995, i due fotografi si incontrarono a Visa pour l’Image, il prestigioso e qualificato Festival International du photojournalisme che ogni anno, all’inizio di settembre, richiama a Perpignan, alle pendici dei Pirenei, migliaia di addetti del giornalismo fotografico mondiale (fotografia di Tony Newitt).

Dopo la caduta di Berlino, oltre la serie sul Reichstag, Evgenii Khaldei organizzò e fotografò altri innalzamenti simbolici della bandiera sovietica: in cima alla Porta di Brandenburgo e all’aeroporto di Tempelhof.

Dalla fotografia di Evgenii Khaldei, dipinto a olio di Georg A. Campbell.

del primo giorno di emissione; francobollo da tre centesimi ricavato dalla fotografia originaria -FOTOgraphia, maggio 2000-. E poi, in tempi più recenti: simbolo dei trasmettitori Navajo, fondamentali nella guerra in Pacifico, copertina di un settimanale in lingua araba del settembre 2001 e vignetta di Vauro sul Manifesto, all’indomani dell’Undici settembre -FOTO graphia, dicembre 2001). Ironia della sorte, entrambe le immagini-simbolo della fine della Seconda guerra mondiale sono state scattate da fotografi di religione ebraica. Amara nota conclusiva. In patria, all’indomani della guerra, Evgenii Khaldei fu una delle vittime delle persecuzioni di Stalin contro il cosmpolitismo, vale a dire contro gli ebrei sovietici. Licenziato dalla Tass, visse anni di grandi disagi e difficoltà. Ritornato al lavoro all’indomani della morte di Stalin, non venne comunque mai riabilitato. Maurizio Rebuzzini (Testo basato sull’introduzione di Ernst Volland alla mostra allestita al Deutsches Historisches Museum di Berlino: volland@voller-ernst.de)

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ossiamo scomodare, richiamare infiniti riferimenti per certificare, confermandolo, il valore primario della fotografia: memoria che supera tempo e spazio. In questo senso, con la fotografia (comunque venga realizzata, e con mediazioni tecniche a scelta) ciascuno individua nel presente momenti da fissare per l’avvenire, a testimonianza di accadimenti o manifestazioni significative dell’esistenza. Lo svolgimento è poi personale: con espressioni fotografiche che spaziano dal reportage al ritratto, dal paesaggio alla

Pubblicata nell’affascinante atlante One Planet Many People (Un pianeta, molte popolazioni, molta gente), realizzato dall’Unep (United Nations Environment Programme; Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente), una concentrata serie di comparazioni tra fotografie satellitari riprese a decenni di distanza rivela una preoccupante alterazione ambientale. In questo caso, la forza della fotografia (scientifica) è palese: più e meglio di mille parole mette di fronte alla realtà. A una realtà resa drammatica dalla sostanziale oggettività propria e caratteristica della fotografia scientifica: una applicazione coerente della comunicazione visiva 28

ricerca, dalla documentazione rigorosa all’interpretazione astratta. Richiamando Shakespeare, Auggie Wren, intrigante protagonista del cinematografico Smoke, ricco di rimandi fotografici, del quale ci siamo occupati in FOTOgraphia del novembre 2003, riflette e fa riflettere proprio sul senso e valore della fotografia nel tempo e con il tempo. A questo proposito, riprendiamo il momento significativo della sceneggiatura. Paul Benjamin, scrittore in crisi di ispirazione, cliente della tabaccheria The Brooklyn Cigar Co (sullo schermo, l’attore William Hurt), guarda gli album fotografici di Auggie Wren, il tabaccaio (interpretato da un fantastico Harvey Keitel). Con un certo sconcerto, ogni volta che Paul gira pagina, appaiono sempre sei fotografie analoghe a quelle della pagina precedente. Ossessivamente, le fotografie inquadrano tutte l’angolo della tabaccheria The Brooklyn Cigar Co, lo stesso angolo tra la Terza Strada e la Settima Avenue; in alto a destra di ogni stampa c’è una piccola etichetta bianca con la data: un giorno dopo il precedente. La perplessità di Paul: «Sono tutte uguali». Sorridendo e fiero di sé, Auggie conferma: «Esatto. Più di quattromila foto dello stesso posto: l’angolo tra la Terza Strada e la Settima Avenue alle otto in punto del mattino. Quattromila giorni uno dopo l’altro fotografati con ogni sorta di tempo. Ecco perché non posso prendermi una vacanza. Devo essere là ogni mattina. Ogni mattina nello stesso posto allo stesso momento». Il dialogo si fa serrato: «Sono senza parole». «Non capirai mai se non rallenti, mio caro». «Che vuoi dire?»; semplice: «Che vai troppo in fretta. Quasi non le guardi, le fotografie». «Ma sono tutte uguali». Considerazione finale, tra filosofia della fotogra-


fia e valore espressivo: «Il posto è lo stesso, ma ogni foto è diversa dall’altra. Ci sono mattine col sole e quelle con le nuvole, c’è la luce estiva e quella autunnale. Ci sono i giorni feriali e quelli festivi. C’è la gente con cappotto e stivali e la gente in calzoncini e maglietta. Qualche volta la gente è la stessa, qualche volta è diversa. E talvolta la gente diversa diventa la stessa mentre quella di prima scompare. La Terra gira intorno al sole e ogni giorno la luce del sole colpisce la Terra con un’inclinazione diversa». «Rallentare, eh?»; certamente: «Sì, questo è il mio consiglio. Sai com’è: domani e domani e domani, il tempo scorre a piccoli passi».

celera i processi naturali, andando ad alterare equilibri originali. Nella propria tragica imparzialità visiva ed espressiva, la fotografia scientifica può documentare cambiamenti, rivelandoli con un evidenza che ha del cinico. E a questo cinismo visivo dobbiamo essere grati. Nello specifico, è questo il senso dell’inquietante atlante del mondo One Planet Many People (Un pianeta, molte popolazioni, molta gente), realizzato e pubblicato dall’Unep (United Nations Environment Programme), Programma delle Nazioni Uni-

Mar Morto (Israele/Giordania). Per decenni, quest’area è stata violentata per soddisfare le esigenze delle popolazioni crescenti sul litorale o nelle aree più prossime. Sia Israele sia la Giordania sfruttano l’acqua dei fiumi che fluiscono nel Mar Morto, compromettendo il flusso naturale. Inoltre sono stati moltiplicati gli stagni di evaporazione, nei quali si produce sale. Attualmente, è valutato che il livello dell’acqua del Mar Morto stia scendendo a un tasso di quasi un metro l’anno. Le tre fotografie satellitari, rispettivamente riprese nel 1975, 1987 e 2001, risaltano i drammatici cambiamenti avvenuti negli ultimi venticinque anni, durante i quali è tragicamente aumentata la terra arida lungo le coste.

PALESE CONFRONTO ATLANTE DEL MONDO

Trasliamo questo concetto. Con altre intenzioni, meno sottili, meno leggere, l’oggettività di certa fotografia scientifica rivela come il tempo scorra anche a piccoli passi, ma l’azione dell’Uomo ac-

FOTOGRAFICO

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Almeria (Spagna). La combinazione delle fotografie satellitari riprese a decenni di distanza rivela l’effetto di una consistente e veloce crescita agricola nella provincia di Almeria, lungo il litorale sud della Spagna. Si parte da una rilevazione che documenta un paesaggio rurale (1974), per approdare a una agricoltura intensiva a serra (aree grigie biancastre nella fotografia satellitare del 2000). In un’area di circa ventimila ettari sono state concentrate coltivazioni forzate di frutta e verdura. Dopo una serie di disequilibri, nel 2001 è stato varato un programma idrologico nazionale di ridistribuzione dell’acqua: centodiciotto dighe e ventidue progetti di trasferimento porterebbero l’acqua nelle zone di coltivazione. E poi si sta studiando una ipotesi di desalinizzazione dell’acqua marina. Staremo a vedere.

te per l’Ambiente che assieme a Canon e altri qualificati partner organizza il periodico Concorso fotografico internazionale Focus on Your World (Obiettivo sul tuo mondo), lanciato con il dichiarato scopo di sensibilizzare il pubblico a contribuire alla tutela del mondo che ci circonda (FOTOgraphia, maggio 2004). Tra i propri tanti meriti, One Planet Many People ha quello di usare in modo saggio e concentrato l’espressività della fotografia scientifica; nello specifico, fa tesoro delle visioni satellitari, in un confronto di tempo che finisce per risultare terribile: in questo caso e questa volta proprio “più di mille parole”. Come esemplifichiamo in queste pagine, le comparazioni satellitari distanti nei decenni rivelano e contrassegnano i termini reali e concreti di una veloce urbanizzazione che sta alterando (in modo irreversibile?) l’ambiente. Accostate, in confronto e contrapposizione, le fotografie satellitari dello stesso luogo, riprese a distanza di decenni, evidenziano cambiamenti ambientali drammatici e, in alcuni casi, offensivi. La sconsiderata progressione delle serre in Spagna del sud (qui sopra), l’aumento smisurato dell’allevamento del gambero in Asia e in America

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Latina (a pagina 32) e l’emersione di una gigantesca penisola nel delta del Fiume Giallo, in Cina (pagina accanto), sono visualizzate con la forza oggettiva della fotografia di pura documentazione scientifica. Accanto a immagini più convenzionali, alcune anche accondiscendenti, altre analogamente drammatiche (deforestazione in Paraguay e Brasile; estrazione forzata di gas e petrolio nel Wyoming, Stati Uniti; foreste in fumo in Africa; ritirata dei ghiacciai e del ghiaccio nelle aree montane e polari), questi complementi fotografici satellitari si arricchiscono e impreziosiscono della propria imparzialità visiva. In questo caso, complice l’oggettività della propria rilevazione fotografica, la scienza indossa quasi gli abiti della fantascienza, per definizione una letteratura anticipatoria, che gioca con un prisma temporale che le consente di evocare il domani come se fosse ieri, di aggiungere la propria voce allo struggente compianto dei secoli. La collaborazione con enti pubblici sostanzialmente insospettabili, dall’United States Geological Survey alla Nasa (l’ente spaziale statunitense), aggiunge valore formale alla passerella di immagini. Il tema/problema dell’urbanizzazione in crescita esponenziale e dell’alterazione ambientale è rivelato dalla fotografia in modo inequivocabile, sia attorno città demograficamente popolate, quali Pechino, Dhaka, Delhi e Santiago, sia in situazioni geografiche particolari: sopra tutte le aree metropolitane di Las Vegas, che è quella che è maggiormente cresciuta nei recenti venti anni (a livello mondiale; a pagina 32), e Miami, in Florida, che si allarga verso ovest, compromettendo i rifornimenti idrici delle proprie terre e mettendo in pericolo la


fauna selvatica. Ma non dobbiamo dimenticare i casi di Bucarest, Londra, Nairobi e San Francisco, sui quali l’atlante pone il proprio accento. La sintesi fotografica di One Planet Many People è meritoria. È libera e liberatoria, come altra fotografia di cui spesso ci occupiamo (non professionale, ovvero svincolata da imposizioni). Queste sintesi satellitari, contrapposte e a confronto temporale, non rispondono ai dettami di quel giornalismo di oggi per il quale le catastrofi di ogni giorno sono più che sufficienti per dimenticare quelle del giorno prima.

DALLA FOTOGRAFIA Nella presunta tranquillità delle città occidentali, potrebbe nascere un pensiero egoista verso l’involuzione del pianeta. In fondo, ci si potrebbe disinteressare della fusione del ghiaccio artico o del disboscamento di interi continenti. Però bisogna convincersi ed essere coscienti che le terribili trasformazioni della Terra sono condizionate e determinate dagli stili di vita del mondo occidentale, e dei propri relativi consumi quotidiani. Infatti, le città richiedono e bruciano enormi risorse naturali, dall’acqua agli alimenti, e poi legname, metalli e tanto altro ancora. Per non parlare, ancora, degli sprechi individuali e industriali e degli scarichi nocivi. Quindi, e nello specifico, in cosa può essere utile la visualizzazione fotografica? Il collegamento è meno sottile di come possa apparire a prima vista. È concreto e tangibile, e si basa sulla forza implicita ed esplicita dell’immagine: ribadiamo, spesso più evidente e diretta di “mille parole”. Non a caso, come osservammo undici anni fa (!), a margine delle considerazioni sull’aspetto fotografico delle missioni spaziali che culminarono

Fiume Giallo (Cina). Secondo fiume della Cina, è il corso d’acqua più fangoso della Terra. La definizione di “Fiume Giallo” si deve proprio al colore dell’acqua, causato dal forte carico di sedimento, composto soprattutto di mica, quarzo e particelle minerali. Il sedimento entra nell’acqua mentre il fiume scorre da nord. Inoltre, non manca l’intervento dell’Uomo, cui si devono ulteriori scarichi industriali, che compromettono l’agricoltura nelle aree circostanti. Comunque, i sedimenti si depositano giorno dopo giorno, alterando il corso d’acqua. Dove il Fiume Giallo fluisce nell’oceano, il delta è stato visibilmente modificato. Le due fotografie satellitari riprese nel 1979 e 2000 certificano come centinaia di chilometri quadrati di terra si siano recentemente aggiunti al litorale della Cina.

con lo sbarco sulla Luna di Apollo XI (20 luglio 1969 per il continente americano, alle 22,56 ora di New York; 21 luglio per l’Europa), possiamo pensare che nella seconda metà degli anni Sessanta un certo pensiero ecologista fu sollecitato dalle fotografie distribuite dalla Nasa. Riprendiamo dal testo originario di Piero Raffaelli (in FOTOgraphia del luglio 1994). Un anno prima dell’allunaggio, nei giorni del Natale 1968, dallo spazio arrivarono altre immagini, che si imposero nella memoria di tutti. Nel corso della missione Apollo VIII, gli astronauti si allontanarono dalla Terra tanto da poterla inquadrate tut-

PER ESEMPIO

L

a comparazione tra fotografie satellitari riprese a decenni di distanza, cuore e anima pulsante dell’atlante One Planet Many People, realizzato dall’Unep (dettagli specifici e acquisto online al sito www.unep.com), mette in drammatica evidenza le alterazioni della Terra a causa di interferenze e interventi dell’Uomo. Si possono puntualizzare mille aspetti, oltre le urbanizzazioni vertiginose citate nel corpo centrale. Limitiamoci ad alcuni esempi, significativi dell’insieme, oltre che di se stessi. In Africa, l’effetto delle guerre civili in Liberia e Sierra Leone si è esteso all’ambiente. La fotografia satellitare del 1974 rivela una adeguata forestazione, con villaggi locali opportunamente distribuiti attorno aree agricole (inserimenti grigio-chiaro in campo intensamente verde). La migrazione di centinaia di migliaia di rifugiati ha causato disboscamento diffuso: nel 2002, dal satellite è stata evidenziata l’avanzata del “grigio”. Negli ultimi decenni, la keniota Nairobi ha subìto uno sviluppo drammatico, superando i tre milioni di abitanti: città africana popolata come Johannesburg e Cairo (nel 1963, gli abitanti erano trecentocinquantamila). Questo passaggio è chiaramente descritto dalle fotografie satellitari riprese nel 1979 e dopo il Duemila: l’urbanizzazione si è scomposta verso i sobborghi esterni, invadendo il Parco Nazionale e sconvolgendo la geografia, la cui restituzione fotografica dal satellite è inequivocabilmente esplicita.

In Asia, la documentazione fotografica satellitare testimonia la tragica scomparsa della più grande foresta di palme da datteri del mondo. Lungo l’estuario dello Shatt al-Arab, tra Iraq e Iran, una volta diciotto milioni di palme si levavano al cielo: la guerra, i parassiti e altre manomissioni dell’Uomo (come faraoniche dighe e forzata dissecazione di intere aree) hanno alterato un equilibrio ecologico millenario. Le più recenti fotografie satellitari rivelano che l’ottanta per cento di quell’oasi della natura è stato cancellato per sempre, condizionando altresì la vita delle popolazioni, che ne traevano reddito e nutrimento. Il Fiume Giallo, in Cina, è uno dei corsi d’acqua più fangosi del mondo. Nella sua corsa al mare trasporta enormi quantità di sedimenti dalle zone industriali e minerarie del centro-nord. Un cambiamento notevole è evidenziato nel paragone con le fotografie satellitari del 1979 (qui sopra). Una gigantesca penisola si allunga innaturalmente nell’acqua. In Cina, quindi, l’espansione delle metropoli (la capitale Pechino conta oltre tredici milioni di abitanti) è evidenziata, nelle fotografie satellitari, a scapito delle coltivazioni agricole di un tempo neppure tanto lontano. E poi, ancora, non sono immuni da stravolgimenti le città europee, sopra tutte quelle dell’Europa orientale, ma anche quelle statunitensi. A triste certificazione che tutto il mondo è paese.

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Golfo Fonseca (Honduras). Nell’allevamento e esportazione di gamberi, l’Honduras è secondo solo all’Ecuador. L’espansione di questi allevamenti ha causato problemi ambientali e sociali. Con le proprie installazioni, che impediscono l’accesso agli estuari e alle lagune, gli allevatori di gambero hanno alterato ogni precedente ecosistema: è stata alterata l’idrologia della regione e si è compromesso l’habitat dell’altra flora e fauna. Le due fotografie dal satellite puntualizzano l’aumento indiscriminato dei poderi di gambero. In dodici anni, dal 1987 al 1999, la situazione ambientale è stata completamente stravolta dall’Uomo.

ta intera sullo sfondo nero. E poi, raggiunta l’orbita lunare, dopo aver sorvolato l’emisfero nascosto, videro e fotografarono la Terra che “sorgeva” sopra la Luna. Con questo primo controcampo, lo sguardo umano non si volgeva più verso l’infinito, bensì verso il luogo finito, lì dove c’erano le radici. Quella piccola sferetta bianca-azzurra-verdegiallina sospesa sopra il deserto lunare appariva in tutta la sua preziosa anomalia. Teschi corrosi come quelli della Luna dovevano essercene molti nel cosmo; la Terra era forse unica. Forse non si sarebbe mai visto un posto più bello. Tutti gli esploratori, Cristoforo Colombo compreso, espressero meraviglia per i nuovi luoghi scoperti. Gli astronauti Frank Borman, James Lovell e William Anders si commossero nel guardare la Terra. Il migliore luo-

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Las Vegas (Usa). È questa l’area metropolitana di più rapida crescita negli Stati Uniti e nel mondo intero. L’industria del turismo e del gioco d’azzardo sta stravolgendo un’area originariamente desertica. Nel 1950, quando fu chiaro che le leggi del Nevada avrebbero assecondato la creazione di cattedrali del gioco e divertimento, la popolazione era di poco superiore a ventiquattromila unità. Oggi, la popolazione della valle di Las Vegas arriva a un milione di persone, cui si sommano milioni di turisti perennemente e sistematicamente presenti in città. È logico supporre che le cifre si raddoppieranno ancora entro il 2015. Questa esplosione mette a dura prova ogni tipo di rifornimento, a partire da quello idrico. Le immagini satellitari comparate, dal 1973 al 2000, sono più che chiare ed evidenti: visualizzano la drammatica espansione urbana della città, con relativa proliferazione delle inevitabili infrastrutture, dall’asfalto al cemento, ai servizi per la popolazione.

go del cosmo era “home”, come poi scoprirà anche ET, l’omuncolo extraterrestre di Spielberg. Guardando la sferetta colorata si poteva immaginare che tutte le creature viventi ci potessero vivere in simbiosi (John Lennon cantava Imagine). Gli allarmi ecologici che si sarebbero diffusi negli anni seguenti erano stati preparati da quell’impressione di delicatezza: era facile immaginare che il sottile alone azzurrino potesse bucarsi. Certi slogan politici non si sarebbero espressi come progetti “globali” se non ci fosse stato quello sguardo rivolto alla Terra da lontano. “L’uso razionale delle risorse”, “il governo mondiale”, “lo sviluppo sostenibile”, “l’indipendenza tra nord e sud” e altre utopie divennero credibili perché le fotografie arrivate dallo spazio le aiutavano. Ed oggi, altre fotografie mettono ciascuno di noi di fronte ad altre evidenze. Non c’è tempo per egoismi. Impugnando queste immagini, dobbiamo urlare “Non con il mio consenso”, oppure “Non in mio nome”. È esattamente lo stesso. Angelo Galantini



Autore di piglio e personalità, Angelo Mereu interpreta la fotografia senza soluzione di continuità. Le sue più recenti opere, realizzate a partire da fotografie da telefonino (Nokia), si basano su una consecuzione classica, che prevede e richiede inviolabilmente la stampa su carta. I supporti sono scelti e identificati per meglio combinarsi con i soggetti e le intenzioni espressive di partenza. La trascrizione su rivista mortifica l’effetto originario, ma è indispensabile dare testimonianza di questa fotografia

S

iamo pronti a rivedere le nostre opinioni e idee. Quando abbiamo annotato che la libertà di fotografia indotta dalle funzioni fotografiche abbinate al telefonino (oggetto individuale, ormai indispensabile nel mondo occidentale) non apparterrebbe alla lunga storia evolutiva della fotografia, dalle origini ai giorni nostri, abbiamo inteso sottolineare che questa tecnologia applicata ha altri debiti di riconoscenza, esterni ed estranei -appunto!- alla consecuzione fo-

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SAPOR


I FORTI

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tografica. In un certo modo e senso, l’applicazione di Angelo Mereu, autore capace di muoversi con disinvoltura attraverso infinite mediazioni, sovverte questa opinione. Di fatto, offre un inatteso punto di vista, del quale bisogna tener conto, oltre le considerazioni (che comunque stiamo per fare) sulla sua fotografia con telefonino. Facendo di necessità virtù, di caratteristiche linguaggio, Angelo Mereu concilia le nuove tecnologie con l’insieme della storia evolutiva del linguaggio fotografico. Spieghiamoci. Avvicinatosi alla fotografia da telefonino fin dagli albori, con una personale frequentazione scandita al ritmo delle evoluzioni tecnologiche della linea Nokia (dal primo 7650 al successivo 3650, al 6600 fino al 7610, appena antecedente le attuali famiglie sul mercato da quest’estate), Angelo Mereu non si è lasciato intimidire dagli inutili discorsi sulla presunta qualità, o non qualità, delle acquisizioni di immagine, ma ne ha fatto materia e linguaggio. Per quanto le originarie risoluzioni limitate non consentissero stampe di adeguata qualità formale (ricordiamo che all’origine, un paio di anni fa, si pensava soprattutto alla logica dell’invio MMS a distanza, senza stampa di copie su carta), Angelo Mereu ha aggirato il problema affinando uno stile espressivo conciliato -e conciliante- con la più concreta esperienza fotografica. Le sue immagini sono state subito caratterizzate da un sapore particolare, dipendente dalla stampa dei file su supporti particolari: per lo più carte a mano, sulle quali la limitata quantità di pixel (informazione) dà atmosfera e contenuto. Per paradosso, questo suo linguaggio creato, inventato sulla scorta di una lunga frequentazione della fotografia d’autore e di qualità, non si concilia con l’incremento delle risoluzioni di acquisizione. Basta un Megapixel, e non serve altro.

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Dopo di che, diamine, la sua fotografia d’autore richiede di essere osservata e apprezzata “in originale”: la trascrizione su pagine litografiche, come sono quelle della nostra rivista, mortifica l’effetto originario, limita l’efficacia delle singole composizioni e ricostruzioni fotografiche. Quindi, nel momento stesso nel quale la fotografia da telefonino (Nokia) di Angelo Mereu riprende i termini evolutivi della storia della fotografia, andando a sottolineare la combinazione con materiali di stampa e procedimenti di trasferimento su supporto cartaceo, si discosta dal concetto originario di ripetibilità assoluta, introducendone uno nuovo di riproducibilità mirata: su materiali industriali che riprendano i termini e valori dei preziosi e raffinati supporti originari. A conseguenza, le illustrazioni pubblicate in queste pagine siano intese soprattutto dal proprio punto di vista informativo, oggettivamente scartato a lato da quello che definisce e identifica i contenuti delle singole immagini, delle singole opere. Precisato questo, e annotato il limite oggettivo della riproduzione litografica, in una tiratura che non può salvaguardare i sapori e le distinzioni originarie delle opere, rimane l’essenza di questa fotografia, che non si è lasciata intimidire, né intimorire, da presunti limiti, prontamente trasformati in linguaggio, in lessico d’autore. Manco a dirlo, per stampare come stampa, Angelo Mereu deve fare i propri conti anche con le stampanti a getto di inchiostro dei nostri giorni, standardizzate su una produzione mediamente lineare. Per far accettare alla stampante i supporti scelti, l’autore inganna qualche modo lo strumento: e questi sono fatti suoi, che diventano nostri quando godiamo dei risultati (è un poco come l’interpretazione dell’esposizione con apparecchi manuali o semiautomatici o automatici, quando si alterano le combinazioni suggerite per ottenere rappresentazioni dai toni o colo-

ri volontariamente alterati e sfalsati: per esempio, lo slittamento di sensibilità nelle fotografie al crepuscolo di Alessandra Alpegiani, presentate in FOTOgraphia dello scorso giugno 2004). Detto tutto questo, e rilevate le affinità elettive di questa fotografia, la parola passa consequenzialmente alle immagini. Nell’ambito di una produzione vasta, sia per quantità sia per qualità, ci siamo oggi concentrati su una serie di fotografie per le quali possiamo identificare il minimo comune denominatore della ripresa del vero (per cortesia, nessun richiamo alla natura). A complemento, citiamo un ulteriore fantastico insieme di immagini sulla lunga vicenda di papa Woityla, riprese dallo schermo televisivo, pubblicate da Immagini Fotopratica di giugno. Come accennato, e qui va sottolineata, l’azione di Angelo Mereu si basa su un processo fotografico completo: dalla ripresa (con telefonino Nokia 7610 e precedenti: lo abbiamo già annotato) alla stampa su carta. Cioè, la fotografia di Angelo Mereu non è virtuale, ma concreta e solida: appunto raccolta su un supporto che è parte integrante del procedimento e della costruzione dell’immagine. In relazione alle proprie intenzioni, l’autore interviene sul file originario, grezzo e semplice, con alterazioni volontarie di tono/colore e nitidezza. Indipendentemente dall’annoso e irrisolvibile dibattito sulla presunta artisticità della fotografia, in toto, bisogna prendere atto che esistono e si moltiplicano autori che usano il mezzo fotografico, qualsiasi mezzo fotografico, per ottenere forme espressive di grande ed efficace personalità. In tale senso, è curioso osservare come e quanto tali opere, come sono queste di Angelo Mereu, siano a un tempo fotografiche e non fotografiche. La loro natura squisitamente e oggettivamente fotografica dipende proprio dalla mediazione del mezzo e dei materiali che qualificano e definiscono, appunto, l’esercizio fotografico: dalla se-

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quenza di apparecchi, obiettivi, pellicole, supporti sensibili e prodotti chimici dedicati all’attuale sapiente finalizzazione del percorso digitale, a partire dalla semplificazione del telefonino. È questo l’insieme che trasforma, non per magia, ma per capacità creativa e interpretativa, la raffigurazione in rappresentazione. Dopo di che, questa fotografia d’autore di Angelo Mereu non è tale -cioè non è fotografia, paradossalmente (ma non è proprio vero)- perché rifiuta uno dei suoi assiomi: quello della replica all’infinito del soggetto rappresentato, appunto moltiplicabile a partire dal negativo o dalla matrice originaria. Spesso la fotografia d’autore è in copia unica, non ripetibile. Angelo Mereu si inserisce nell’eterogeneo filone della fotografia d’autore con una ricerca espressiva scandita su un ritmo a tempi differenziati, distinti e coincidenti. Il sottile filo che unisce le rappresentazioni (mai soltanto raffigurazioni) di oggetti, paesaggi e figure è costituito da uno stilema squisitamente fotografico. Lo sottolineiamo perché costituisce la paternità di stile che distingue e qualifica Angelo Mereu, autore di piglio e accesa personalità. Dopo aver scattato, l’autore seziona l’oppressiva oggettività della mediazione fotografica (da telefonino) introducendo una sequenza di interventi personali. Come abbiamo puntualizzato, stampa su supporti scelti all’occorrenza, poi evita l’omogeneità dei toni intervenendo sui contrasti e passaggi di colore. È tanto? No. È quello che la sua sensibilità gli impone di fare, quando interpreta l’essenza fotografica per la propria (di lui) capacità di rappresentazione. È più che incredibile, straordinario addirittura, ma alla fine le sue fotografie (da telefonino) impongono la riflessione personale. Ciascuno compia le proprie. Io le mie le ho già esternate. Maurizio Rebuzzini

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Autoritratto; stampa fotografica recente 28,2x20,2cm (su supporto 30,4x24,1cm) da negativo originale; edizione 1978 di Pierre Gassmann (courtesy Fondazione Marconi, Milano).

N

on vi è certezza sulle sue origini, né del suo esatto nome anagrafico. Man Ray nasce il 27 agosto 1890 a Philadelphia con il possibile nome di Emmanuel, dai coniugi Max e Minnie Radnitzky [o Radnitsky]. Sette anni dopo, la famiglia si sposta a Brooklyn, dove Emmanuel frequenta varie scuole e un corso di design industriale. Dopo qualche anno, nel 1911, si trasferisce; è attratto dall’ambiente artistico, frequenta la galleria di Alfred Stieglitz, la celebre 291, e l’avanguardia newyorkese, entrando in contatto con i lavori di Marcel Duchamp e Francis Picabia. Ben presto il mondo dell’accademia non lo interessa più: quello che è scontato e ripetitivo non lo riguarda, e passa a sperimentare tecniche e contaminazioni tra le arti. «Attraverso carte colorate, cominciai a sperimentare i colori dello spettro, obbedendo a una certa logica nel sovrapporre i colori primari e secondari», ha scritto nel suo celebre Autoritratto. Ma non cessa di studiare e di guardarsi attorno. Fu attratto dalla novità del cubismo e ispirato da que-

ste suggestioni; dipinge il suo primo quadro ispirato a questo movimento: Ritratto di Alfred Stieglitz [1913, olio su tela 26,7x21,6cm; oggi conservato alla Yale University Gallery, New Haven, Usa]. In ogni caso, l’arte di Man Ray resta assolutamente indefinibile, non può essere classificata come appartenente a un’avanguardia piuttosto che un’altra. Ha sposato tutte le tecniche e tutte le poetiche, restando alla fine fedele soltanto a se stesso e alla sua ricerca di un’arte che fosse intimamente gioco, stupore, ironia. Cercando di sbarcare il lunario, riesce a entrare in una casa editrice come disegnatore, e nel 1914 sposa la poetessa belga Adon Lacroix, che era conosciuta con lo pseudonimo di Donna Lecœur. La coppia va ad abitare nel New Jersey, e Man Ray ha già adottato il nome che lo ha reso celebre nel mondo e nella storia dell’arte. Nel 1915 comincia a usare una macchina fotografica; espone alla mostra Modern Movement in the American Art, dove incontra personalmente Marcel Duchamp. Due anni più tardi, in quel 1917 in cui Duchamp espone all’Armory Show Fountain, il ga-

Indefinibile, disorientante e irriverente personaggio del Ventesimo secolo, trasversale a fotografia, pittura, scultura e altre forme d’arte, Man Ray si colloca in un panorama storico fertilissimo di idee e pulsante di innovazioni. In un clima culturale pronto ad accogliere innovazioni di ogni genere e teso, come naturale conseguenza, a raccogliere l’urgenza di sovvertire le obsolete regole del passato, per proporne di nuove e dirompenti, come un inno alla vita, Man Ray è nato apposta per incorporare in sé lo spirito di quei momenti. Significativa esposizione al KunstMeran/oArte, Man Ray. magie, cui si accompagna un relativo e ben curato volume-catalogo pubblicato da Damiani Editore, dal quale riprendiamo il capitolo biografico del saggio introduttivo di Valerio Dehò, che si completa poi con ulteriori note critiche 40

Il testo di Valerio Dehò pubblicato in queste pagine è parte dell’introduzione critica al volume-catalogo pubblicato da Damiani Editore in occasione della mostra Man Ray. magie allestita alla galleria KunstMeran/oArte dall’8 luglio al 18 settembre (160 pagine 21x28cm, cartonato; 39,00 euro. Damiani Editore, via Zanardi 376, 40131 Bologna; 051-6350805, fax 051-6347188; www.damianieditore.it, info@damianieditore.it). Oltre questa prima parte (in origine The Art of Biography), il testo critico di Valerio Dehò si completa con altri tre capitoli: La “Societè Anonime - Museum of Modern Art Inc.”, Man Ray e il cinema e Eros c’est la vie. Con l’occasione, rimandiamo a un altro punto di vista, recentemente ospitato in FOTOgraphia dello scorso marzo: Sguardo su Man Ray di Pino Bertelli.


MAGICO MAN RAY binetto più famoso della storia [oggi conservato al Philadelphia Museum of Art, Usa], realizza le sue prime aerografie (pitture realizzate con l’aerografo, che affascinavano Man Ray per la somiglianza con la fotografia): Ballerina sul filo e Suicidio. Praticamente in contemporanea usa la tecnica che lo entusiasma, il cliché verre, con cui esegue un disegno su un vetro annerito, che è esposto direttamente su un foglio di carta fotografica. Fotografia o pittura? Forse qualcosa che le mette insieme e non consente più di distinguerle; un “oggetto nuovo”, per dirla alla surrealista, anche se limitato alla tecnica. Già da questo momento la direzione del lavoro di Man Ray è definita; cercherà sempre di aprire strade nuove. Il suo terreno creativo è leggero, quasi immateriale; ogni lavoro è un’idea realizzata di cui non ammette la replica: la sua poetica consiste in una continua invenzione, che magari sarà elaborata da altri artisti. Nel 1919 si separa dalla poetessa e si dedica al sodalizio con l’artista francese Marcel Duchamp in sperimentazioni artistiche, fotografiche e cinematografiche. Assieme a lui, nel 1921, pubblica il numero unico della rivista New York Dada, nella quale compare una fotografia che aveva scattato a Duchamp nelle vesti femminili del suo inventato alter ego Rrose Sélavy (agghindato con un cappellino a fascia con motivi geometrici, mentre le mani sorreggono e accarezzano una stola di volpe). Ma è deluso dalla reazione del pubblico e della critica americana; afferma che «il Dada non può vivere a New York», e si reca a Parigi con l’amico, che lo introduce nell’avanguardia artistica della capitale francese. Nello stesso periodo realizza la prima rayografia (rayogramma) e diventa fotografo nel campo della moda. Nel 1924, sulla rivista Littérature pubblica il celebre Le violon d’Ingres (che in francese significa hobby, passatempo, per richiamare l’attività post-artistica del celebre pittore neoclassico), nel quale sul-

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Senza titolo (Meret nue), circa 1933; stampa fotografica recente 30,3x23,8cm solarizzata; edizione 1978 di Pierre Gassmann (courtesy Fondazione Marconi, Milano). Femmes, 1934-1981; portfolio di ventisei fotografie stampate in trentacinque esemplari più cinque HC 33x22cm (courtesy Fondazione Marconi, Milano).

Juliet e Margaret, 1948; stampa fotografica recente 28,5x22,7cm; edizione 1980 (circa) di Pierre Gassmann (courtesy Fondazione Marconi, Milano).

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la schiena di una donna vengono sovrapposte chiavi di violino [fotografia ritoccata; otto esemplari numerati e firmati 30x24cm]. Nel contempo, le riviste di moda più importanti, come Vogue e Harper’s Bazaar, pubblicano regolarmente le sue fotografie. In Europa venne naturalmente in contatto con il profeta del surrealismo, André Breton, il cui movimento poneva il corpo femminile alla base della propria poetica visiva, perché il corpo nella propria totalità diventava il simbolo delle pulsioni erotiche più profonde e della sessualità liberata da ogni scoria di censura religiosa e borghese. Anche se dal 1923 Man Ray si dedica professionalmente alla fotografia, con particolare riferimento alla moda, prese le distanze da questa concezione di “sessualità idealizzata” e si servì del corpo come «veicolo principale del suo progetto estetico, riutilizzando lo stesso corpo ogni volta che questi

aveva una rilevanza importante nella sua vita». Nel 1925 espone con El Lissickij e Piet Mondrian a Monaco di Baviera, e alla Galleria Pierre partecipa alla prima esposizione surrealista con Jean Arp, Max Ernst, André Masson, Juan Miró e Pablo Picasso. Negli stessi anni si innamora della famosa cantante francese Kiki (al secolo Alice Prin), che diventa la sua modella preferita e sarà universalmente conosciuta come Kiki di Montparnasse [è lei la modella del citato Le violon d’Ingres]. Vive intensamente tra l’Europa e gli Stati Uniti, lavorando anche come designer; nel 1932 realizza un manifesto per la Metropolitana di Londra (London Transport), in cui, su uno sfondo buio e denso come l’universo nero, mette in relazione il logotipo della metropolitana con l’immagine di Saturno, esprimendo un significato in equilibrio perfetto e cosmico. Durante l’estate 1933, a Cadaqués incontra Salvador Dalí. Nel 1934, per lui posa l’artista Meret Oppenheim nella celebre serie di fotografie nella quale, tra l’altro, l’artista è nuda accanto a un torchio da stampa. Nel 1929 Man Ray conosce Lee Miller, ex modella passata alla fotografia, che aveva lavorato negli Stati Uniti con Edward Steichen e Arnold Genthe. Il loro sodalizio artistico e di vita diventa importante per entrambi. Lee Miller impara da Man Ray non solo le tecniche di ripresa, ma anche l’elaborazione dell’immagine in fase di sviluppo e stampa. Infatti, il fotografo lavorava molto nella ricerca del taglio ideale e originale della fotografia, intervenendo sui provini di stampa e poi realizzando la versione definitiva in laboratorio. Con la sua compagna inventa una personale e particolare tecnica di solarizzazione, sempre alla ricerca di nuove tecniche tonali. Alla fine del loro rapporto, Lee Miller continuò la sua attività di fotografa, avvicinandosi allo stile teatrale e sofisticato di Horst P. Horst, e continuando a lavorare per la moda e, durante la guerra, nel fotoreportage. Successivamente torna nel mondo dell’arte con il marito Roland Penrose, gallerista e artista, dedicandosi ai ritratti psicologici di artisti e scrittori, come Giorgio Morandi, Henry Moore, Oscar Kokoschka, Isamu Noguchi. Dal 1936 Man Ray soggiorna spesso a Mougins, località del Midi francese frequentata da Paul


Nudo, circa 1937; stampa fotografica recente 33x22cm; edizione 1981 di Pierre Gassmann (courtesy Fondazione Marconi, Milano).

Eluard, Pablo Picasso e Roland Penrose. Nel 1940 si reca a New York e Hollywood, dove conosce la sua compagna Juliet Browner, stabilendosi definitivamente a Los Angeles. Il dipinto di Max Ernst Doppio matrimonio a Beverly Hills documenta il suo matrimonio e quello di Max Ernst, nello stesso giorno, con Dorothea Tanning (1946). Dieci anni più tardi, nel 1951, Man Ray rientra a Parigi e si dedica alla fotografia a colori. Vince la medaglia d’oro per la fotografia alla Biennale di Venezia. Muore a Parigi, nella sua casa di Montparnasse all’età di ottantasei anni (nel 1976). Sulla sua tomba l’epitaffio recita «Non curante, ma non indifferente». Curioso, il destino di Man Ray e dei suoi bio-

grafi. Già nel 1930, molto precocemente, Georges Ribemont-Dessaignes pubblica la sua prima biografia, e nel 1934 James Thrall pubblica Man Ray photographs, 1920-Paris 1934. Per la sua celebre e straordinaria autobiografia bisogna aspettare il 1961. Valerio Dehò Man Ray. magie. A cura di Valerio Dehò; organizzazione Herta Wolf Torggler e Ursula Schnitzer Scherer. KunstMeran/oArte, Edificio Cassa di Risparmio, Portici 163, 39012 Merano; 0473-212643, fax 0473-276147; www.kunstmeranoarte.com, info@kunstmeranoarte.com. Dall’ 8 luglio al 18 settembre; martedì-domenica 11,00-19,00.

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Valter Maino

(classe 1962) ha avviato l’attività in proprio nel 1988: dallo still life

Un’educazione scolastica nell’ambito

alla figura, dalla pubblicità alla moda.

della grafica ha preceduto l’esperienza

Lo studio a Vicenza ha fatto tesoro

pratica come assistente presso diversi

delle evoluzioni tecnologiche

studi fotografici. Quindi, Valter Maino

che hanno coinvolto la fotografia professionale del nostro tempo. Attualmente è improntato alla sola

Ecco qui! Valter Maino, professionista vi-

nuncia alla propria passione personale. Da

Cantare sono applicati sia ad apparecchi

centino, fotografa con gioia e per gioia in

sola, questa osservazione basta per qua-

fotografici originariamente medio forma-

una personalità professionale che non ri-

lificare, quantificandolo, un fenomeno

to (per propria natura congeniali alla figu-

pressoché infinito: perché l’esercizio del-

ra), sia ad apparecchi fotografici grande

la fotografia è parte integrante del fonda-

formato a corpi mobili (la cui disposizio-

mentale (!) esercizio stesso della vita. I dorsi digitali Leaf Aptus 22, Volare e

A / D i m a g i n g s r l • v i a l e S a b o t i n o 4 , 2 0 1 3 5 M i l a n o • 0 2 - 5 8 4 3 0 9 0 7,


acquisizione e gestione digitale

acume e competenza. Oltre che con

delle immagini, con il completo

un apprezzato senso delle proporzioni.

assolvimento e controllo diretto di ogni

Ma non è soltanto questo: nella propria

fase operativa. La creatività

professione, nello svolgere incarichi

di Valter Maino si manifesta con garbo,

assegnati, Valter Maino manifesta una coinvolgente gioia fotografica, che trasmette immagine dopo immagine.

ne consente, nello still life, il pertinente

Lavora per clienti quali Banca Intesa,

land, Kronos, Montegrappa 1912, Omas,

controllo della resa prospettica del sog-

Arai, Shark, Spidi, Yukiko, Miluna, Nanis,

Bailo, Head e Cstre.

getto e della distribuzione della nitidezza

Givi, Adidas, Vagheggi, Freedom, Grun-

In sala di posa c’è soprattutto la luce, ma

sull’inquadratura). In questo modo, Valter

anche l’inquadratura e la composizione. Il

Maino affronta e assolve le committenze

fotografo controlla tutti gli elementi basi-

di agenzie di pubblicità e aziende.

lari del proprio linguaggio, fino a scrivere quella fantastica storia che non smette mai di stupire. Il suo occhio, la sua costruzione sono evidenti. L’anima dei soggetti è rivelata. Ciascuno è se stesso, e il fotografo è il poeta cantore (www.mainovalter.it).

f a x 0 2 - 5 8 4 3114 9 • w w w. a d i m a g i n g . i t • i n f o @ a d i m a g i n g . i t


C

ollaudato con efficacia e sempre crescente interesse, da quindici anni il consistente programma estivo Spilimbergo Fotografia affronta argomenti in prezioso equilibrio tra l’evoluzione storica e le esperienze contemporanee. A cura del Craf (Centro Ricerche e Archiviazione della Fotografia), l’appuntamento friulano fa parte di un ampio contenitore che valorizza, archivia, cataloga e presenta la fotografia italiana, proiettandola verso indirizzi internazionali. Proprio il contributo del Craf, che vanta collegamenti con musei e istituzioni di tutto il mondo, indirizza Spilimbergo Fotografia verso mete ampie, elevando il valore di questo festival dell’immagine, tanto che la regione Friuli Venezia Giulia è internazionalmente considerata punto di incontro autenticamente speciale. La parte espositiva di Spilimbergo Fotografia 2005 si compone di tre mostre (più una): una retrospettiva storica che accende i riflettori sull’esperienza fotografica veneziana, così influente sul linguaggio italiano dal secondo dopoguerra, una lezione d’archivio di un eclettico reporter e una rassegna sull’iconografia dello sport. Oltre i propri valori individuali, l’insieme delle tre mostre visualizza un percorso fotografico generale, al quale i tre allestimenti forniscono materia di osservazione e riflessione.

LEZIONE DI STORIA

Puntuale, l’edizione 2005 di Spilimbergo Fotografia si presenta una volta ancora ricca di iniziative che spaziano a tutto tondo: mostre, premi e laboratori didattici in equilibrio tra presente e storia. In un arco temporale che si allunga nei mesi estivi

Impegnativa esposizione allestita nelle sale di Villa Savorgnan a Lestans, La fotografia a Venezia nel dopoguerra sottolinea la centralità di particolari esperienze d’autore, alle quali si è riferito il mondo fotografico italiano del secondo dopoguerra. Dal titolo, il sottotitolo Da Ferruccio Leiss al Circolo “La Gondola” definisce gli intendimenti: attraverso significative testimonianze d’autore, si ripercorrono gli anni di una straordinaria vicenda, centrale e discriminante per la fotografia italiana (non professionale, quindi professionale), all’alba di una visione che è andata definendosi e affermandosi nel ritmo della vita quotidiana. In questa fase sono state fondamentali le istituzioni di Gruppi e Circoli e il riferimento di riviste di pensiero fo-

FOTOGRAFIA

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IN FRIULI


Due immagini da La fotografia a Venezia nel dopoguerra: Fulvio Roiter, Il platano, circa 1950; Gino Bolognini, Prime nebbie, 1951 (pagina accanto).

LABORATORI E WORKSHOP

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rogramma didattico gestito e condotto da Roberto Salbitani, trasversale alle esposizioni di Spilimbergo Fotografia 2005. ❯ Acque e corpi allo specchio: 6, 7, 8 agosto. ❯ Corso avanzato di stampa: 13, 14, 15 agosto. ❯ Fotografia come progetto: 20, 21 agosto. ❯ Fotografia al crepuscolo e di notte: 27, 28 agosto. I corsi sono ospitati nei confortevoli spazi di Villa Ciani a Lestans, vicino a Spilimbergo, in provincia di Pordenone, dove ha sede il Craf (Centro Ricerche e Archiviazione della Fotografia). Per informazioni dettagliate sulle modalità di partecipazione, sui costi di iscrizione e sulla prenotazione dei posti letto: 0635497035, 347-6634816; info@scuolafotografianatura.it.

tografico, quali Ferrania e Fotografia, nonché l’incontro con esposizioni, anche internazionali, tra le quali la grande Biennale di Fotografia a Venezia nel 1957. Proprio Venezia, centro di una fotografia italiana molto attiva, è stata palcoscenico eccezionale anche a livello internazionale. Man Ray, Albert Renger-Patsch, Werner Bischof, Henri Cartier-Bresson, Otto Steinert (Subjektive Fotografie), Edward Weston e Ansel Adams furono esposti in prima nazionale in spazi pubblici e privati veneziani. L’attuale proposta di La fotografia a Venezia nel dopoguerra tiene soprattutto conto dello spirito fotografico che si manifestò in laguna, dove operarono autentici maestri, da Ferruccio Leiss (esplicitamente richiamato nel sottotitolo) a Paolo Monti, a Fulvio Roiter e Toni Del Tin, fino a giungere a Gianni Berengo Gardin e Giuseppe Bruno. Ferruccio Leiss, uno dei riferimenti principali della moderna fotografia italiana (contemporanea), apre l’esposizione con quindici fotografie originali. La centralità di Ferruccio Leiss è discriminante. Da Milano, dove è stato tra i fondatori del Circolo Fotografico Mila-

nese, ancora oggi operante, si è trasferito a Venezia nel 1930. In seguito, contribuì alla nascita del leggendario cenacolo della “Bussola”, insieme a Giuseppe Cavalli, Federico Vender e Luigi Veronesi, che caratterizzarono la fotografia formalista del dopoguerra, in sostanziale contrasto con quella neorealista: due scuole di pensiero in vivace contrapposizione. A seguire, La fotografia a Venezia nel dopoguerra presenta e offre oltre cento fotografie degli autori della “Gondola” (in questa doppia pagina): da Paolo Monti a Ferruccio Scattola, a Fulvio Roiter, a Gianni Berengo Gardin. In sintesi, come annotato, la rassegna e il coerente catalogo, evidenziano l’apporto culturale di questi fotografi, proiettatosi avanti nei de-

Dall’antologica di Ilo Battigelli: Manhattan, 1954, e Arabia Saudita, 1948.

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Da I Volti dello Sport di Aldo Martinuzzi: Janica Kostelic, medaglia d’oro discesa libera, 2005; Damiano Cunego e Gilberto Simoni nella tappa Cles-Bormio del Giro d’Italia 2004.

cenni. Molti tra i fotografi “veneziani” del dopoguerra hanno debiti di riconoscenza con Ferruccio Leiss e la sua lezione d’artista. Creato da Paolo Monti e altri alla fine del 1947, il Circolo La Gondola ha rappresentato un filone della fotografia italiana, ribadiamo tra “formalismo” e “neorealismo”, ancora oggi vivo nel particolare mondo della fotografia d’autore.

REPORTAGE D’ANNATA La retrospettiva del poco convenzionale Ilo Battigelli, titolo della mostra, arricchisce Spilimbergo Fotografia 2005 con una visione di fotoreportage assai singolare e ricca (a pagina 47). A otto anni, il friulano Ilo Battigelli fu avviato alla fotografia dallo zio Ernesto, noto autore pittorialista che aveva partecipato alla Prima guerra mondiale come fotografo e inviato speciale presso il comando supremo dell’Esercito. Gli insegnamenti dello zio non cadono nel vuoto, visto che a sedici anni Ilo Battigelli è in Africa co-

SPILIMBERGO FOTOGRAFIA 2005 ❯ Mostre • La fotografia a Venezia nel dopoguerra. Da Ferruccio Leiss al Circolo “La Gondola”. Villa Savorgnan, 33090 Lestans PN. Dal 16 luglio al 2 ottobre; martedì-domenica, 10,30-12,30 - 16,00-20,00. • Ilo Battigelli. Antologica. Palazzo Tadea, 33097 Spilimbergo PN. Dal 16 luglio al 2 ottobre; martedì-domenica 10,30-12,30 - 16,00-20,00. • Aldo Martinuzzi. I Volti dello Sport. Villa Carnera, 33090 Sequals PN. Dal 7 agosto al 2 ottobre. • La Grande Guerra. Casa Morassi di Borgo Castello, 34170 Gorizia. Dall’11 giugno al 31 luglio; martedì-domenica 10,00-12,30 - 16,00-19,00. ❯ Premi • Friuli Venezia Giulia Fotografia, diciannovesima edizione; patrocinato dalla Presidenza del Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia. • International Award of Photography, decima edizione; patrocinato dall’Unione Industriali della provincia di Pordenone. • Gli Amici del Craf, quinta edizione; patrocinato da Graphistudio. ❯ Mostra Mercato di apparecchi fotografici e del libro di fotografia. Palestra di via Mazzini, 33097 Spilimbergo PN. 16 e 17 luglio. ❯ Laboratori con Roberto Salbitani: dal 6 al 28 agosto. Craf, Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia, villa Ciani 2, 33090 Lestans PN; 042791453, anche fax; www.craf-fvg.it, craf@cubenet.net.

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me reporter del Corriere Eritreo e a ventiquattro anni diviene fotografo ufficiale dell’americana Aramco Company, a Ras Tanura nel Golfo Persico. Personaggio singolare, ricava dalla chiglia di una nave rovesciata lo studio fotografico nello stesso luogo dove era affondata l’ultima nave corsara: da cui il nome e la fama di “Ilo il pirata”. In quel periodo la sua arte raggiunge notorietà internazionale e di lui si occupano riviste italiane e straniere, con interviste e articoli. Lasciata l’Arabia Saudita, si muove per il Medio Oriente, il Nord America e l’Europa, dove allestisce mostre fotografiche di vasta risonanza, recensite dalle più eminenti personalità nel campo della fotografia internazionale. Dopo il 1955 torna in Africa, precisamente in Rhodesia (oggi Zimbabwe), dove documenta con immagini eccezionali la nascita della diga di Kariba, realizzata dall’impresa italiana Impresit. Simultaneamente e a completamento, realizza anche una indagine fotografica sull’etnia Tonga, spostata dalle proprie terre tribali nella valle dello Zambesi per far strada alla costruzione della diga. Con queste immagini, nel 1959 si afferma al concorso di fotografia artistica istituito dal ministero degli Interni rhodesiano. Nel corso degli anni allestisce numerose mostre e riceve significativi premi, tra i quali si segnala l’affermazione alla Mostra Internazionale di New York del 1964: quattro fotografie premiate su una partecipazione di centotrentamila immagini. Nel 1968, l’Illustrated Life Rhodesian gli dedica la copertina e un ampio servizio. Nel 1970, il Rhodesia Herald rende omaggio ai suoi quarant’anni di attività, riservandogli la doppia pagina centrale. Nel 1980, la National Gallery of Zimbabwe presenta una sua antologica di trecentocinquanta fotografie. Stabilitosi definitivamente nel paese africano, ha continuato a lavorare ed esporre regolarmente alla Rhodesian Art Gallery.

QUINDI, SPORT La terza mostra di Spilimbergo Fotografia 2005 è dedicata allo sport; nello specifico: I Volti dello Sport di Aldo Martinuzzi, che dà spicco e risalto alla sintesi del gesto atletico (qui sopra). In concreto, fotografie che rivelano l’alternanza costante di attesa e attimo, pazienza e scatto, immobilità e movimento, istante ed eternità. In questa chiave, la fotografia assolve la propria rappresentazione e emozione della realtà, pur individuata in un ambito particolare del reportage. Estremamente specializzata, nel corso del tem-


po la fotografia di sport ha dovuto fare i propri conti con la documentazione televisiva, oggi in costante diretta, fino a individuare un lessico autonomo di adeguata personalità visiva. Così, la fotografia che sopravvive alle incessanti telecronache propone (deve proporre) una forza “primordiale”. È sintesi dell’attimo, del gesto. Coglie il momento della vittoria e della sconfitta. Inequivocabilmente. Aldo Martinuzzi è un fotografo di sport, di tutti gli sport, un cantore del gesto agonistico. È uno dei poeti del mito, che sopravvive all’effimero televisivo. Davanti alle immagini di Aldo Martinuzzi, di emozione, bellezza formale e semplicità, si intravedono e sussurrano racconti.

IN CONTEMPORANEA Come tradizione, il programma specifico di Spilimbergo Fotografia 2005 si accompagna con una ulteriore esposizione simultanea in una sede diversa e date sfalsate (dall’11 giugno al 31 luglio). A Casa Morassi di Borgo Castello, a Gorizia, sono esposte immagini provenienti dall’Archivio Storico Iconografico dello Stato Maggiore dell’Esercito relative alla Prima guerra mondiale: appunto, La Grande Guerra (in questa pagina). Già alla fine dell’Ottocento, insieme ad altri documenti militari, questo importante Archivio ha cominciato a custodire un patrimonio fotografico a tema. Il corpo originario si è spontaneamente costituito con prime fotografie che Enti o singoli militari allegavano alle proprie relazioni e ricognizioni militari. A seguire, si sono aggiunte le documentazioni ufficiali, realizzate dalle apposite Sezioni Fotografiche, la prima delle quali fu istituita nel 1896 presso la Brigata Specialisti del Terzo Reggimento Genio. Ancora, il patrimonio fotografico dell’Archivio Storico Iconografico dello Stato Maggiore dell’Esercito si è arricchito di donazioni e acquisizioni, come gli album della Prima Campagna d’Africa firmati da Luigi Fiorillo e le gigantografie degli stessi eventi realizzate da Mauro Ledru e Giuseppe Nicotra. Con le guerre, gli utilizzi della fotografia si sono evidentemente moltiplicati. Negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale questo patrimonio fotografico è rimasto in archivio, utilizzato per soli scopi militari. Poi, alla fine degli anni Settanta, in concomitanza con lo scioglimento della Sezione Cinefoto dell’Ufficio Addestramento, è stata avviata una catalogazione in modo da rendere pubblico tutto il tanto materiale della Fototeca, costantemente alimentata da ulteriori donazioni. La consistenza attuale di questo patrimonio fotografico non è certa; una stima approssimativa, ma

realistica, ipotizza oltre mezzo milione di immagini, dalle più antiche (ritratti di ufficiali e fotografie di gruppo del fondo Giraud) alle attuali, con una singolare quantità di fotografie di fine Ottocento. La selezione di fotografie della Prima guerra mondiale raccolta in mostra è specchio di una politica di proiezione all’esterno dell’imponente Archivio.

ALTRO ANCORA Oltre le mostre e i workshop (a pagina 47), le giornate inaugurali del programma di Spilimbergo Fotografia 2005 prevedono altri momenti. Nel dettaglio. ❯ Sabato e domenica 16 e 17 luglio; palestra di via Mazzini, Spilimbergo: Mostra mercato di attrezzature fotografiche storiche e libri. ❯ Sabato 16 luglio, 11,00: visita guidata a Graphistudio di Arba (provincia di Pordenone, a cinque chilometri da Spilimbergo). ❯ Sabato 16 luglio, 12,00: consegna del premio Gli Amici del Craf (quinta edizione), patrocinato da Graphistudio. ❯ Sabato 16 luglio, 17,30; Loggia di piazza Duomo, Spilimbergo: consegna dei premi Friuli Venezia Giulia Fotografia (diciannovesima edizione), patrocinato dalla Presidenza del Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia, e International Award of Photography (decima edizione), patrocinato dall’Unione Industriali della provincia di Pordenone. Alessandra Alpegiani

Da La Grande Guerra, mostra dall’Archivio Storico Iconografico dello Stato Maggiore dell’Esercito abbinato a Spilimbergo Fotografia 2005, due visioni della Prima guerra mondiale: soldati italiani in appostamento e devastazioni dei bombardamenti.

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Attrezzature e materiali per la fotografia digitale e professionale via Stradivari 4 (piazza Argentina 4), 20124 MILANO Tel. (02) 29405119 - Fax (02) 29406704 LunedĂŹ: 15,00-19,30 MartedĂŹ - Sabato: 9,00-12,30 - 15,00-19,30


IL DOPPIO CON SCIENZA

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Tema di ricerca fotografica singolare e affascinante, che sfuma in un territorio incerto, tra immagine artistica e scienza. Oggetto: il mondo dei gemelli, in una serie di opere fotografiche e un video realizzati da Stefano Cerio con l’inquietante (o forse solo scientifico) titolo Codice Multiplo. Il percorso espositivo allestito a Napoli, presso la Città della Scienza, è curato da Gianluca Marziani: nel dettaglio, otto ingrandimenti di grandi dimensioni (100x 120cm) e un video descrivono, o meglio rappresentano coppie di gemelli di nazionalità ed età diverse, ripresi all’interno di laboratori di ricer-

ca, che danno una particolare connotazione alle inquadrature. Proprio l’autore Stefano Cerio ha accuratamente identificato gli spazi, la cui particolarità è congeniale al messaggio e senso che le opere suggeriscono: la sua non è una riflessione tanto sul concetto di doppio, quanto sulla genetica e creazioni di esseri umani tra loro identici. E qui il gioco diventa ampio, quanto indefinibile, e pericoloso man mano che ci si avvicina al limbo nel quale le conoscenze scientifiche potrebbero essere impiegate in studi di perfezionamento della specie (argomento sempre

Il corpo portante della serie Codice Multiplo di Stefano Cerio è rappresentato da coppie di gemelli ripresi all’interno di laboratori di ricerca. L’immagine si completa, quindi, con riferimenti di carattere scientifico.

più di attualità, nell’ambito della definizione dei confini entro i quali la ricerca scientifica dovrebbe rimanere e autolimitarsi).

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GRANDEZZE. UNITÀ. CAMPIONI

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onosciuto (?) in fotografia per aver definito l’unità di misura della temperatura colore (kelvin, non grado Kelvin!), William Thomson (più noto come Lord Kelvin, appunto) ha messo a fuoco l’importanza dell’oscuro lavoro che per decenni ha impegnato un ristretto gruppo di studiosi dei problemi della metrologia. Significative le sue parole: «Io affermo che quando voi potete misurare ed esprimere in numeri ciò di cui state parlando, solo allora sapete effettivamente qualcosa; ma quando non vi è possibile esprimere numericamente l’oggetto della vostra indagine, insoddisfacente ne è la vostra conoscenza e scarso il vostro progresso dal punto di vista scientifico».

Nel proprio insieme, le opere di Stefano Cerio descrivono il rapporto tra uomo e scienza. Come sottolinea «Il mio lavoro non va contro la genetica, piuttosto mette in guardia su un suo possibile uso distorto. Quello che mi affascina, nel concetto di scientificità, è la misurazione dei valori. La scoperta scientifica diventa tale quando può essere ripetuta indefinitamente da persone diverse in condizioni uguali

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[riquadro qui sopra, a destra]. L’arte contemporanea è assolutamente il contrario: il valore diviene sempre più personale e indefinito». È il curatore della mostra Gianluca Marziani che definisce il fenomeno contemporaneo: «Arte e cultura scientifica stanno legandosi in un complesso e significativo genoma della contemporaneità. La riflessione di Stefano Cerio elabora una maniacale tensione iconogra-

Annota Gianluca Marziani, curatore della mostra Codice Multiplo: «Arte e cultura scientifica stanno legandosi in un complesso e significativo genoma della contemporaneità. La riflessione di Stefano Cerio elabora una maniacale tensione iconografica attorno a una visione anomala del corpo sdoppiato».

fica attorno a una visione anomala del corpo sdoppiato». La mostra si arricchisce di una seconda sezione alla Galleria Franco Riccardo Arti Visive, dove sono presentate altre otto immagini fotografiche, un video e un’installazione. Catalogo pubblicato da Effe Erre, con i testi di Gianluca Marziani, Martina Corgnati e Vittorio Silvestrini, docente di Fisica Generale all’Università di Napoli Federico II. S.dF. Stefano Cerio: Codice Multiplo. Città della Scienza, via Coroglio 104, 80124 Napoli; 081-7352202; www.cittadellascienza.it. Dal 19 giugno al 17 luglio; martedì-giovedì 9,00-15,00, venerdì-domenica 18,00-23,00.



PARIGI E L’INCANTO

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Sguardi defilati di piccole cose. Parigi raccontata dallo sguardo incantato di uno dei suoi più grandi cantori, Robert Doisneau, in una impegnativa mostra. Rivolgendosi al più ampio pubblico (generico), quale può essere quello richiamato all’indirizzo del milanese Palazzo Reale di piazza del Duomo, la definizione dell’autentica antologica, appunto Robert Doisneau, ha richiesto un inquietante sottotitolo, assolutamente popolare: (non inorridiscano gli esperti di fotografia e cultori dell’immagine) L’amore è... fa tesoro dell’ampiamente conosciuto Le baiser de l’Hôtel de Ville (qui sotto), scattato a Parigi nel 1950, certamente uno dei baci più famosi della storia della fotografia, tanto da essere noto anche «al più ampio pubblico (generico)». Presentata dal Comune di Milano in collaborazione con Federico Motta Editore, e con il coordinamento di Elena Ceratti dell’Agenzia Grazia Neri (che cura la distribuzione in Italia delle fotografie di Robert Doisneau), l’esposizione raccoglie centodiciannove immagini bianconero che compongono un casellario espressivo in forma antologica. Come racconta la storia evoluti-

va del linguaggio fotografico, Robert Doisneau ha assunto la propria Parigi a unità di misura di una poesia espressiva, che ha ricercato e visualizzato in ogni scatto. La Parigi in mostra è una città vera e viva: splendida e inconsueta, lontana dagli avvenimenti mondani e dalle mode. È la città della gente comune, delle periferie, degli affetti e dei piccoli accadimenti privati. Soprattutto è la Parigi dei sobborghi, dove Robert Doisneau nacque nel 1912 e nei quali ha sempre trovato “l’amore” (accodiamoci alle intenzioni “popolari” degli allestitori), per renderlo soggetto. Qui risiede l’anima nascosta della capitale francese, che si manifesta senza clamori e che definisce nel profondo l’estetica dell’autore e il suo modo di guardare direttamente negli occhi la realtà. Parigi e i parigini sono sempre stati i soggetti privilegiati di Robert Doisneau, da quando, negli anni Trenta, svincolò la propria capacità di osservazione e sintesi dai legami imposti dalle committenze, per dare alla propria fotografia rinnovato e personale valore e dignità, rivolgendosi a quei momenti intimi che non attirano altre attenzioni. In questo senso e direzione, Robert

Le ruban de la mariée (Il nastro della sposa); 1951.

Le baiser de l’Hôtel de Ville (Il bacio dell’Hotel de Ville); 1950.

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Doisneau ha orientato il proprio percorso espressivo, avviando anche una collaborazione professionale con l’Agenzia Rapho, che dal 1946 durerà tutta la vita, e che lo porta a numerose collaborazioni e contatti, da Blaise Cendrars, con il quale condivide la realizzazione del suo primo libro La banlieue de Paris (1949), a Jacques Prévert. Dopo l’interruzione della produzione fotografica professionale durante l’occupazione tedesca di Parigi, Robert Doisneau riprende a lavorare nell’immediato dopoguerra, con collaborazioni fotogionalistiche di grande prestigio e qualità. Notevole è la sua vena ritrattistica, con frequentazioni personali del vivace mondo culturale parigino (animato da figure del calibro di Raymond Queneau, Blaise Cendrars, Pablo Picasso e Georges Braque), e lucide sono le sue scelte di campo (nell’ambito fotografico si segnala la commossa testimonianza visiva della distruzione delle Halles). In tempi nei quali tali attestati hanno avuto senso, peso e valore, nel 1949 ha vinto il Premio Kodak e nel 1956 gli è stato assegnato il Premio Niépce.


Quando, sul finire degli anni Settanta, Robert Doisneau torna alla sua banlieu ha ancora energia a sufficienza per dedicarsi all’amata città, tanto che nel 1984 avvia un vasto studio, questa volta a colori, nell’ambito di un progetto sul paesaggio, sulla periferia e sulle nuove città della regione parigina. Muore nell’aprile 1994 (FOTOgraphia, maggio 1994). Lo stile di Robert Doisneau, dominato da una forte carica sentimentale, segna la storia della fotografia con la propria disponibilità e tenerezza (non soltanto visiva) verso la condizione dell’uomo nella società. Tanta e tale è la sua per-

Les enfants de la place Hébert (I bambini di piazza Hébert); 1957. Be-bop en cave (oppure, Be-bop à Saint-Germaindes-Prés; Be-bop nella cave); 1951.

sonalità fotografica, da arrivare a essere considerato il più importante rappresentante della cosiddetta fotografia umanista. Da “pescatore di immagini”, come lui poeticamente amava definirsi, risulta più che mai evidente che il suo scatto è prima di tutto un «desiderio di registrare», un bisogno privato, così come le immagi-

ni «sono spesso la continuazione di un sogno». A.Alp. Robert Doisneau. L’amore è… Palazzo Reale, piazzetta Reale (piazza del Duomo), 20122 Milano; 02-39322737. Dal 16 giugno al 25 settembre; martedì-domenica 9,30-20,00, giovedì fino alle 22,30. Volume-catalogo di Federico Motta Editore.


ffinché il fotografo sia sempre al centro dell’azione, la rapidità di esecuzione è vitale quando si deve catturare, registrandolo, un momento irripetibile. La nuova configurazione Nikon D70s, evoluzione dell’originaria dotazione D70 (FOTOgraphia, febbraio 2004; premio TIPA 2004, FOTOgraphia, giugno 2004), offre prima di altro una propria sostanziosa velocità operativa. Si attiva in soli 0,2 secondi, dopo l’accensione, e l’intervallo di attivazione dell’otturatore è altrettanto minimo, per una risposta pressoché immediata. La Nikon D70s è in grado di acquisire fino a centoquarantaquattro fotogrammi in sequenza, alla cadenza di tre scatti al secondo (in Jpeg Normal, alla risoluzione massima e scheda di memoria CompactFlash SanDisk Ultra II). La gamma dei tempi di otturazione si estende da 1/8000 di secondo a 30 secondi pieni; il flash elettronico

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incorporato, a sollevamento automatico, e i flash elettronici supplementari sono sincronizzati fino a 1/500 di secondo, in modo da consentire la massima efficacia nella combinazione fill in tra luce naturale/diurna, o luce ambiente, e illuminazione lampo. La sensibilità può essere impostata tra 200 e 1600 Iso equivalenti, sia in regolazione manuale sia in modalità automatica, appunto Iso Auto.

EVOLUZIONI

a velocizzare al massimo la compressione dei file, gestisce in modo efficace il buffer di memoria e la registrazione simultanea di file Jpeg e NEF (Nikon Electronic Format), rendendo pressoché istantanea la visione dell’immagine sul monitor LCD. Il sensore di immagine CCD formato Nikon DX da 6,1 Megapixel effettivi vanta un’ampia gamma dinamica e produce immagini da 3008x2000 pi-

Rispetto l’originaria D70, il sistema autofocus a cinque aree della Nikon D70s è stato migliorato in termini di precisione, velocità e costanza di acquisizione del soggetto e efficacia nella messa a fuoco a inseguimento. Il sistema comprende un illuminatore ausiliario AF, capace di assicurare le massime prestazioni quando le condizioni di luce si fanno più difficili. L’avanzato processore System LSI della Nikon D70s esprime una proficua vivacità e brillantezza cromatica. Oltre

Rapidità, efficacia, versatilità e automatismi diffusi sono i valori portanti e discriminanti che definiscono la nuova reflex digitale a obiettivi intercambiabili Nikon D70s, evoluzione dell’originaria D70, che stabilisce i termini operativi e di qualità di un sistema fotografico efficacemente cadenzato

ANCORA

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NIKON

xel straordinariamente nitide e dettagliate, ideali per stampe di grandi dimensioni o eventuali reinquadrature all’interno della composizione originaria. Il sistema esposimetrico Nikon Color Matrix 3D, con sensore da 1005 pixel, consente esposizioni accurate, grazie all’analisi congiunta dei dati di luminosità, colore, contrasto, area di messa a fuoco selezionata, informazione di distan-

za apparecchio-soggetto: tutti valori confrontati con il database incorporato di trentamila scene fotografiche memorizzate. Sono inoltre disponibili la misurazione Ponderata-Centrale a campo variabile e quella Spot con riferimento all’area di messa a fuoco attiva, il correttore fisso per la compensazione e la funzione auto.

AUTOMATISMI Grazie all’abbinamento del bilanciamento del bianco con le caratteristiche della luce che illumina la scena, l’intonazione cromatica delle immagini realizzate con la Nikon D70s risulta confortevolmente naturale. L’opzione Advanced Auto può gestire la maggior parte delle situazioni, ma quando si desidera un controllo più diretto sono disponibili sei impostazioni specifiche (con possibilità di regolazione fine), la pre-misurazione su campione di riferimento bianco o grigio e il bracketing WB.


RAPIDAMENTE

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ei punti principali definiscono e identificano la nuova reflex digitale Nikon D70s: Uno, sensore CCD formato Nikon DX da 6,1 Megapixel effettivi; Due, sequenza rapida di scatto fino a tre fotogrammi al secondo; Tre, ampia gamma di tempi di otturazione da 1/8000 di secondo a 30 secondi; Quattro, sistema Autofocus veloce a cinque ampie aree selezionabili; Cinque, avvio immediato in soli 0,2 secondi; Sei, ampio monitor LCD da due pollici.

Innovative opzioni di ripresa semplificano il processo fotografico. Particolare interesse riveste la possibilità di selezionare i sette Digital Vari-Program automatizzati, accessibili tramite la ghiera delle modalità, per una combinazione di controllo personale e di sofisticato funzionamento automatico che consente di ottenere i risultati cercati nelle condizioni di ripresa più critiche, oppure quando la prontezza di ripresa è elemento determinante per la riuscita dell’immagine.

INFRASTRUTTURA La nuova batteria ricaricabile Li-ion EN-EL3a, ad elevata capacità, fornisce l’autonomia sufficiente per scattare fino a duemilacinquecento immagini per carica. La Nikon D70s può essere alimentata anche con la batteria EN-EL3 (ereditata dalle Nikon D100 e D70), oppure con batterie non ricaricabili del tipo CR2, da installare nell’apposito contenitore opzionale MS-D70. I comandi sono accuratamente distribuiti, per consen-

tire un’agevole fruibilità di impiego. I menu, rielaborati sotto l’aspetto grafico, compaiono con chiarezza sull’ampio monitor LCD da due pollici, e sono accompagnati da una Guida di uso intuitivo per un riferimento immediato alle rispettive selezioni. Anche le opzioni per il comando a distanza della Nikon D70s risultano ampliate, grazie al nuovo flessibile elettrico MC-DC1 (opzionale), che aggiunge praticità e comodità d’impiego in molte situazioni di ripresa (esempio nelle esposizioni a tempo o nella fotografia a distanza ravvicinata e macro). Rimane naturalmente possibile l’attivazione a distanza senza cavi tramite il telecomando opzionale ML-L3. Una terza opzione viene fornita dal software Nikon Capture 4 (versione 4.2), utilizzabile anche per il controllo a distanza della Nikon D70s dal computer, via connessione USB. Infine, si segnalano diverse opzioni di playback, una versatile personalizzazione delle impostazioni, l’interfaccia USB per una più agevole connettività, la possibilità di stampa diretta tramite una qualsiasi stampante compatibile PictBridge e una grande varietà di altre funzioni e combinazioni del Nikon Total Imaging System: dall’ampia gamma di obiettivi Nikkor AF, AF-S e DX alle versatili prestazioni flash, ai software dedicati. (Nital, via Tabacchi 33, 10132 Torino). Antonio Bordoni

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LUNGHI FUOCHI

In un momento nel quale l’attenzione ottica manifesta palesi intendimenti rivolti soprattutto alla massima visione grandangolare, la giapponese Sigma cambia passo, cambia ritmo, proponendo due interpretazioni focali a innesto universale per reflex tradizionali e digitali di ultima generazione orientate verso un significativo avvicinamento tele. Da una parte, si segnala un 300mm di generosa apertura relativa f/2,8, dall’altra una consistente e variazione zoom 300-800mm con apertura relativa costante f/5,6 sull’intera escursione focale

SIGMA APO 300mm f/2,8 EX DG HSM Apertura minima Costruzione ottica Angolo di campo A fuoco da Ingrandimento massimo Diametro filtri Paraluce Dimensioni e peso In montatura

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f/32 (diaframma a nove lamelle) 11 elementi in 9 gruppi 8,2 gradi 250cm 1:7,5 46mm (montatura posteriore) Innesto a baionetta 119x214,5mm, 2,4kg Canon, Nikon e Sigma

SIGMA APO 300-800mm f/5,6 EX HSM Apertura minima Costruzione ottica Angolo di campo A fuoco da Ingrandimento massimo Diametro filtri Paraluce Dimensioni e peso In montatura

f/32 (diaframma a nove lamelle) 18 elementi in 16 gruppi Da 8,2 a 3,1 gradi 600cm 1:6,9 46mm (montatura posteriore) Innesto a baionetta 156,5x544mm, 5,88kg Canon, Nikon e Sigma


Sigma Apo 300-800mm f/5,6 EX HSM mantiene costante l’apertura relativa: appunto f/5,6 per tutta l’ampia escursione focale. Ancora, si segnala l’innovativo rivestimento multistrato delle lenti, che riduce adeguatamente il flare e le immagini fantasma. A seguire,

i termini qualitativi della resa fotografica sono assicurati da due lenti in vetro a basso indice di dispersione ELD (Extraordinary Low Dispersion). Il motore HSM (Hyper Sonic Motor) consente una messa a fuoco automatica veloce, silenziosa e precisa, che può essere sempre convertita alla regolazione manuale. An-

che questo potente zoom può essere combinato con i moltiplicatori di focale dedicati Apo Teleconverter 1,4x EX e 2x EX, che incrementano sensibilmente la variazione focale: 420-1120mm f/8 e 600-1600mm f/11 Sia la regolazione della

messa a fuoco, automatica piuttosto che manuale, sia la variazione zoom non modificano le dimensioni dell’obiettivo, semplificandone al possibile l’impiego in ogni condizione di uso. Un vano posteriore consente di adottare filtri di 46mm di diametro, compreso il polarizzatore circolare. (Mamiya Trading, via Cesare Pavese 31, 20090 Opera Zerbo MI). A.Bor.


etrospettiva ricca di stampe vintage di Philippe Halsman, uno dei più grandi ritrattisti del secondo Novecento, autentico maestro della fotografia contemporanea, autore di centoun copertine di Life (tra le quali citiamo ancora quella di Marilyn Monroe, pubblicata il 7 aprile 1952, qui a destra, della quale abbiamo recentemente visualizzato un backstage stereo di Harold Lloyd; FOTOgraphia, ottobre 2004). Nato a Riga, in Lettonia, nel 1906, nel 1932 avviò la sua carriera fotografica a Parigi, da cui emigrò verso gli Stati Uniti nell’estate 1940,

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Un maestro Straordinari ritratti del Novecento sull’avanzata del nazismo in Europa. Per tre decadi, dagli anni Quaranta ai Settanta, i ritratti di Philippe Halsman hanno illuminato il fotogiornalismo, soprattutto statunitense, dalle pagine patinate di Look, Esquire, Saturday Evening Post, oltre che di Life. Ha fotografato anche per la moda e la pubblicità. Nel 1958, l’allora prestigiosa e autorevole Popular Photography lo identificò come

“uno dei dieci più grandi fotografi al mondo”, insieme con Irving Penn, Richard Avedon, Ansel Adams, Henri CartierBresson, Alfred Eisenstaedt, Ernst Haas, Yousuf Karsh, Gjon Mili e W. Eugene Smith. Philippe Halsman: Sight and Insight. ArteF Galerie, Splügenstrasse 11, CH-8002 Zurich, Svizzera; 0041-438176640, fax 0041-438176641; www.artef.com, in-

fo@artef.com. Dal 10 giugno al 13 agosto; martedì-sabato 13,00-18,00.

Visa pour l’Image Gli sconvolgimenti del fotoreportage gni edizione di Visa pour l’Image, il prestigioso e qualificato Festival International du photojournalisme che alla fine di agosto richiama a Perpignan, alle pendici dei Pirenei, migliaia di addetti del giornalismo fotografico mondiale, fa i propri conti con la cronaca in proiezione storica (FOTOgraphia, dicembre 2003, luglio 2004). Ultimo riferimento d’obbligo, le devastazioni dello Tzunami della fine dello scorso anno. Per non parlare, quindi, degli effetti delle guerre dei nostri giorni, con il terribile coinvolgimento delle popolazioni civili (dalla Cecenia all’Ucraina, dall’Iraq ai numerosi conflitti africani). Quindi, il fotogiornalismo si interroga, ponendosi le inquietanti domande di sempre: cosa può fare il fotoreportage? Dove si spingono e approdano le sue possibilità di coinvolgimento del pubblico? In che termini si deve svolgere il racconto? E poi, nello specifico dei termini del mestiere, come affrontare le alterazioni professionali indotte dalle più recenti tecnologie? In particolare, come ride-

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Le cose in sé Ciò che può essere fotografato guardo trasversale, ironico e poetico insieme. Che si tratti di contesti naturali o urbani, vernacolari o esotici, ciò che più interessa lo statunitense Philip Perkis (classe 1935) è «Semplicemente vedere come una cosa è fatta: la luce, lo spazio, la relazione visiva tra le distanze, l’aria, i toni, i ritmi, la trama, i contrasti, la forma del movimento. Insomma, “le cose in sé”, non quello che potrebbero significare dopo, non socialmente, non politicamente, non psicologicamente, non

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sessualmente. Soltanto vedere. Questa è la cosa più difficile da fare, ma è tutto ciò che può essere fotografato. La macchina registra la luce emessa dalla superficie di ciò che si presenta nel suo campo visivo. Punto». Philip Perkis: Photographs. Libreria Agorà, via Santa Croce 0e, 10123 Torino; 011835973; agobooks@tin.it. Dal 28 giugno al 15 settembre; lunedì 15,30-19,00, martedìsabato 9,30-19,00.

clinare, semmai vada ridefinito, il concetto di copyright? In una cornice di mostre, incontri, seminari, proiezioni e tavole rotonde di straordinario valore e concentrazione, qualcosa si dibatterà anche tra le pieghe dei programmi ufficiali, tra i tavolini dei bar, a cena o passeggiando da un appuntamento all’altro. Visa pour l’image. Diciassettesimo Festival Internazionale di Fotogiornalismo. Perpignan, Francia. Dal 27 agosto all’11 settembre (settimana professionale dal 29 agosto al 4 settembre). 2e Bureau, 13 rue d’Aboukir, F-75002 Paris, Francia; 0033-1-42339318, fax 00331-40264353; mail@2e-bureau.com.


2003, STAZIONE

Nuova Europa Viaggio nella generazione futura to concepito per raccontare il nuovo profilo della generazione che sarà chiamata a guidare il nostro immediato futuro: i ventenni di oggi nei venticinque paesi dell’Unione Europea. Questi giovani protagonisti, con il proprio universo, sono terreno di indagine e scoperta dei fotografi che hanno partecipato al particolare viaggio: a propria volta giovani impegnati in un arco di tempo di tre mesi, durante i quali hanno confezionato visioni sulle quali riflettere.

otografo, e altro, di origine belga, da decenni residente in Italia, Claude Andreini interpreta l’immagine senza soluzione di continuità. La sua fotografia attinge a piene mani dalla partecipazione ad altre arti (a partire dagli studi di scultura all’Accademia delle Belle Arti di Liegi), e dunque compone inquadrature nelle quali l’osservazione incontra spazi che accompagnano la visione. Equilibri, forme e contrasti sono rappresentati in modo minimale, per rivelare volumi e realtà. Il tema di Metropolis è costruito attraverso l’Europa. L’opera tratta dell’assenza di

Osservazioni urbane

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Eurogeneration. Viaggio nella giovane Europa del

LORENZO PESCE (CONTRASTO): LUBIANA,

diroma/trastevere; www.eurogeneration.info. Dal 16 giugno al 2 ottobre; martedìdomenica 10,00-20,00. Catalogo pubblicato da Contrasto. natura nel tessuto urbano, però la sua vera espressività risiede nelle giustapposizioni grafiche. In sostanza, l’autore mette di fronte esattamente a ciò che intende rilevare (rivelare), creando paesaggi quasi artificiali in città solo apparentemente perfette. Claude Andreini: Metropolis. FlatFileGalleries, 217 North Carpenter, Chicago, IL 60607 Usa; 001-3124911190; www.flatfilegalleries.com. Dal 24 giugno al 19 agosto; martedì-sabato 11,00-18,00 e su appuntamento.

Undicesimo raduno fotografico

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futuro. Museo di Roma in Trastevere, piazza Sant’Egidio 1b, 00153 Roma; 065816563, fax 06-5884165; www.comune.roma.it/museo-

In composizioni minimali e rigorose

Attorno l’Etna rganizzato dal Gruppo Fotografico Le Gru di Valverde, Etna Photo Meeting è un raduno arrivato alla propria undicesima edizione. Appuntamento a Pedara, in provincia di Catania, a 610m di altitudine, sul versante meridionale dell’Etna:

OTTOBRE

rotagoniste di Milano Estate Fotografia 2004 (FOTO graphia, luglio 2004), le duecento immagini della collettiva Eurogeneration. Viaggio nella giovane Europa del futuro sono riproposte a Roma, con il patrocinio del Comune, dell’Assessorato alle Politiche Culturali e dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali. Significativo progetto che ha coinvolto quattordici fotografi continentali, ai quali si sono accodati sei giovani scrittori, che hanno corredato il lavoro coi loro testi. Prodotto dall’Agenzia Contrasto, Eurogeneration è sta-

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Grand Hotel Bonaccorsi, via Pirandello 2; 8 e 9 ottobre. ❯ Mostre • Ivano Bolondi (Autore dell’Anno Fiaf 2005). • Vincitori Portfolio al Raduno 2004 (Crisafi, Chiarenza, Geraci, Strano). • Gabriele Rigon.

• Elena Martynyuk. • Pippo Cucinotta: portfolio realizzato sulle potenzialità paesaggistiche e non del Porto di Catania. ❯ Audiovisivi: a cura di Vanni Andreoni. ❯ Portfolio: quinta edizione di Portfolio Insieme. ❯ Workshop di nudo, a cura di Gabriele Rigon, con la collaborazione di Domenico Santonocito e Enzo Gabriele Leanza. ❯ Editoria Fiaf

Gruppo Fotografico Le Gru, via Nuova 32, 95025 Valverde CT; www.fotoclublegru.it, segreteria@fotoclublegru.it.

A seguire 62 Verticale in orizzontale 62 Contro l’abbandono 62 A parlare di Arte 63 Volti in doppio 63 Foto & Photo 2005 63 Natura

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Verticale in orizzontale Visioni panoramiche di New York City otografare Manhattan rappresenta una sfida per ogni fotografo: data la fotogenicità propria e caratteristica di New York, non si sa bene se la più facile o la più difficile. La ricchezza del luogo è affiancata dall’insidia di tornare su ciò che è già stato troppo fotografato. Il toscano Luca Buti ha superato questo empasse: non interpretando ciò che incontra, ma re-interpretando quello che si è già visto nella sterminata letteratura esistente. Il risultato della ricerca visiva è raccolto in ManhattanVertical Living & Horizontal Views, mostra itinerante. La verticalità con cui si convive a Manhattan è ben reinterpretata dall’autore da una particolare, dispettosa visione orizzontale. Munito di una Noblex 35mm panoramica, a obiettivo rotante (FOTOgra-

phia, febbraio 1995 e marzo 1996), l’autore ha concepito queste visioni orbicolari come metafora di una voglia di abbracciare le grandezze (fisiche e ideologiche) di New York. Luca Buti: ManhattanVertical Living & Horizontal Views. 349-7922321; www.lucabuti.com, info@lucabuti.com. ❯ Bottega 27, via San Leonardo 27, 55100 Lucca. Dal 9 al 17 luglio. ❯ Centro storico di Montevarchi AR. Dal Primo al 10 settembre. ❯ Libreria Martelli, via Martelli 22r, 50129 Firenze. Dal 17 ottobre al 6 novembre.

Contro l’abbandono Storie di colpevoli e innocenti ncora una volta siamo di fronte alla conferma di quell’alto valore di contenuti che definisce, caratterizzandola, la storia della fotografia italiana non professionale, il cui incontro è sempre ricco di scoperte significative e momenti di grandezza (forse) insospettabili. Dal punto di vista dell’indagine la fotografia non

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professionale italiana ha sempre aiutato a scrivere pagine di grande valore, sia nella storia della fotografia sia in quella del costume sociale. È il caso, una volta ancora e una di più, della serie fotografica dell’emiliano Erik Messori, che in punta di piedi e con talentuoso pudore si è avvicinato alla realtà dei canili municipali, là dove vengono accolti (e rinchiusi) gli animali abbandonati. Il suo racconto di Vite negate è appassionato e partecipe. L’osservatore non può fingere indifferenza. Erik Messori: Vite negate. Chiesa di Pianzo Casina RE; 0522-554711; www.mediamex.it. Dal 2 al 30 luglio.

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MASSIMO VITALI: ROSIGNANO, 2004

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A parlare di Arte In senso complessivo e globale rogetto supportato da Accademia di Belle Arti di Carrara, Regione Toscana Tra Art, Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca, Provincia di Massa e Carrara, Fondazione Cassa di Risparmio di Massa Carrara, Apt Massa e Carrara, Artinformazione fornisce uno spaccato dell’attuale ricerca artistica internazionale. Con l’esplicito intento di proporsi come area dinamica, e non luogo statico di eventi, la manifestazione annuale racchiude in sé la presenza, l’elaborazione e il dibattito di tematiche inerenti l’arte e la cultura contemporanea, tra cui è inclusa la fotografia. Facendo proprio l’acronimo News (che non è il plurale di nuovo, ma etimologicamente intende una visione globale ai quattro punti cardinali, appunto North, East, West, South), Artinformazione 2 ha in cartellone seminari, workshop, convegni, una sezione espositiva ricca di ogni forma d’arte e una sezione produttiva. La manifestazione è distribuita lungo un percorso omogeneo che va da Montagnoso a Pontremoli, nella provincia di Massa, le cui architetture ospitano le attività e gli allestimenti scenici.

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Artinformazione 2. Benedetta Lanza, Apt Massa Carrara; 0585-240046; b.lanza@aptmassacarrara.it. ❯ Seminari: dal 20 luglio al 7 agosto, 20,30. Tenuti da artisti, critici e curatori di musei. ❯ Workshop: dal 20 luglio al 7 agosto; durata di tre giorni ciascuno; pittura, sound design, scenografia digitale, scultura, grafica e art direction, video. Fotografia con Massimo Vitali. ❯ Sezione espositiva • Mediterraneo. Sede da definire. Dal 24 luglio al 7 agosto; 17,30-23,00. • PinkXel: L’altra metà della visione. Conventino degli Agostiniani. Dal 20 luglio al 7 agosto; 17,30-23,00. • Danza. Dal 31 luglio al 7 agosto. ❯ Sezione produttiva • Produzione lavori site-specific. Video sulle cave di marmo di Elastic Group of Reserch. • NEWS document. Progetto 2005-2006 per fotografi, videomaker e scrittori. ❯ Sezione formazione • Giornalista e videoperatore per eventi culturali e artistici. Seminario di una settimana. • Critico della danza. Seminario di dieci giorni.


Volti in doppio Combinazione espositiva d’estate va l’intero archivio di circa settecentomila scatti.

FEDERICO PATELLANI: TOTÒ, 1948

alle collezioni del Museo di Fotografia Contemporanea di Villa Ghirlanda, a Cinisello Balsamo, alle porte di Milano, sono nate due esposizioni a tema coincidente: Volti. Nella sede istituzionale del Museo, il tema del ritratto viene presentato nella mostra Volti. Ritratti dalle collezioni: selezione di ottanta fotografie di autori italiani e stranieri del Novecento, con particolare accento sulla contemporaneità. Ben trentacinque gli autori presenti, a rappresentare diversi modi di affrontare la complessità del volto umano e insieme i molteplici codici della fotografia. Nella vicina e ampia piazza Gramsci di Cinisello Balsamo è allestita Volti. Federico Patellani e il cinema: una mostra all’aperto che presenta cinquan-

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ta immagini del grande autore, uno dei massimi esponenti della scuola di reportage italiana, del quale il Museo conser-

Foto & Photo 2005

DAVID TURNLEY: JAMES NACHTWEY IN AZIONE (CORBIS/CONTRASTO)

Ancora festival a Cesano Maderno

uinta edizione della variegata manifestazione fotografica, a cura di Enrica Viganò per l’Assessorato alla cultura del Comune di Cesano Maderno, in provincia di Milano (FOTOgraphia, settembre 2004). ❯ James Nachtwey: War. Gli eventi che più profondamente hanno segnato l’inizio del Terzo millennio: dall’attentato al World Trade Center ai conseguenti conflitti in Afghanistan e Iraq. ❯ Nina Berman, Romano Cagnoni, Giorgia Fiorio, Jonathan Torgovnik, Juan Travnik, Francesco Cito: Soldati/Soldiers. In un’era

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nella quale la guerra è tornata a essere presenza quotidiana, ci si sofferma su chi (fisicamente) fa la guerra, sull’essere umano che c’è al di là della divisa e si trova, per ragioni diverse, a combattere, uccidere, morire. ❯ Gabriele Basilico: L’esperienza dei luoghi. Paesaggio urbano contemporaneo nel delicato passaggio da età industriale ad epoca post-industriale. ❯ Raphael Navarro: Dipticos. Dittici nei quali si incontrano suggestivi paesaggi naturali e presenze umane: un mondo elegantemente ordinato, nel quale ogni elemento pare avere una rispondenza, un senso. ❯ Douglas Kirkland: Una notte con Marilyn. Rivive una delle massime icone del cinema e dell’immaginario del Ventesimo secolo. Una Marilyn Monroe evanescente, ma anche intima, donna più che intoccabile dea (FOTO

Volti. Dal 24 giugno al 9 ottobre. ❯ Volti. Ritratti dalle collezioni. Museo di Fotografia Contemporanea, Villa Ghirlanda, via Frova 10, 20092 Cinisello Balsamo MI; 026605661; www.museofotografiacontemporanea.org. Giovedì 15,00-23,00, venerdì e sabato 15,00-19,00, domenica e festivi 10,00-19,00. ❯ Volti. Federico Patellani e il cinema. Mostra all’aperto, piazza Gramsci, 20092 Cinisello Balsamo MI. graphia, dicembre 2002). ❯ Comic Photos. Tutto da ridere: quaranta immagini curiose e divertenti dell’archivio della tedesca Voller Ernst Fotoagentur, collezione più ampia al mondo di fotografia comica. ❯ Chris Jordan: Bellezza intollerabile. Monumentali fotografie a colori che indagano oltre la facciata dell’“american dream”, scavando negli effetti della società consumistica, improntata a un frenetico “usa-egetta”, attraverso montagne di barattoli e bottiglie di plastica, distese di telefonini usati, cumuli di auto pressate. ❯ Eugenio Manghi: Il paese degli orsi che danzano. Trenta straordinarie immagini che raccontano la vita quotidiana e il suggestivo paesaggio di Nunavut, il “paese degli orsi che danzano”, dal 1999 ufficialmente riconosciuta come patria del popolo Inuit. Mostra patrocinata dal FAI. Foto & Photo 2005. Fotografia a Cesano Maderno MI; www.cesanofotoephoto.it, cultura@cesano.it. Dal 24 settembre al 20 novembre. Catalogo delle mostre.

Natura Nel silenzio iuniti nell’identificazione e titolo Alberi, acqua e micromontagne - Immagini dalla natura, tre progetti fotografici del torinese Davide Carrari sono esposti in mostra. La maggior parte delle immagini è realizzata in luoghi prossimi alla città, volutamente non esotici. L’autore si immerge, osserva e percepisce nel silenzio l’atmosfera del contesto naturale. Non cerca di catturare l’istante, non serve alla sua fotografia; cerca piuttosto di trasmettere proprie sensazioni provate. L’allestimento scenico coinvolge lo spettatore con quarantacinque delicatissimi ingrandimenti bianconero trattati al Selenio, che restituiscono un’avvolgente percezione di tranquillità. Come un omaggio alla natura, Davide Carrari sintetizza il tema centrale del proprio percorso artistico: acqua, alberi e rocce sono gli elementi prediletti e accuratamente indagati. Spunto per l’approfondimento della visione, dove solo la persistenza dello sguardo ne può rivelare la direzione.

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Davide Carrari: Alberi, acqua e micromontagne - Immagini dalla natura. Progetto e allestimento di Alessia Torlo. Photoikon, via Porporati 9, 10152 Torino; 011-19508735; photoikon@photoikon.it. Fino al 31 luglio; lunedì-venerdì 14,00-18,00.

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EDWARD SHERIFF CURTIS

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La storia della grande fotografia (non solo quella celebrata, sempre in ritardo), ma soprattutto la fotografia di impegno sociale, è stata attraversata da uomini che hanno avuto negli occhi la grazia di Pascal e nel cuore la tolleranza di Voltaire. Sono loro che hanno mostrato le tracce dell’umana esistenza, la ferocità della burocrazia dell’inganno; e qualcuno è morto sul campo (Robert Capa, per tutti), per mostrare che non ci può essere nessuna felicità quando pezzi di umanità soffrono miseria o sono spazzati via da guerre del petrolio o di religione, oppure, più semplicemente, dal neocolonialismo del mercato globale. Maledette siano le guerre e le canaglie che le fanno!

L’UOMO CHE DORME SUL FIATO Edward Sheriff Curtis (18681952) non è stato solo un “etnografo” autodidatta o un fotografo d’erranze e di bellezze degli Indiani d’America (i Nativi Americani). L’eredità etica delle sue immagini è il lascito di un poeta della macchina fotografica, lo sguardo di un cacciatore di sogni, la scrittura visuale di un utopista che ha messo la propria coscienza autoriale all’attenzione delle disuguaglianze sociali e sull’urgenza di porvi rimedio. Le fotografie di Edward S. Curtis esprimono una filosofia della vita o una confessione ereticale dissipata tra le genti che erano principi di sé, signori delle acque, delle praterie, delle montagne... e hanno subìto uno dei più grandi genocidi (rimasti impuniti), celato sotto il concetto di “progresso”. Edward S. Curtis nasce nel 1868 in una fattoria vicino a Whitewater, nel Winsconsin. La famiglia si spostò poi nel Minnesota, una zona dove gli indiani, i Nativi, erano ancora

molti e Edward S. Curtis conobbe i costumi e gli usi dei Chippewa e Winnebago. La leggenda vuole che, ancora ragazzo, si costruisce una macchina fotografica e impara a sviluppare e a stampare le proprie fotografie. Intanto, le “giacche blu” compiono il massacro (donne e bambini) di Wounded Knee (29 dicembre 1890) e consegnano alla storia della civiltà di che pasta sono fatti gli uomini civili. Comunque sia i “lunghi coltelli” ne escono

primo dei venti volumi di quello che è un capolavoro della fotografia di tutti i tempi: The North American Indian [FOTOgraphia ottobre 1997 e luglio 1998]. A sostenerlo in questa impresa sono il presidente Theodore Roosevelt e il finanziere John Pierpont Morgan. In una breve presentazione all’opera, Theodore Roosevelt scrive: «Il signor Curtis [...] è un artista che lavora all’aperto [...]. Ha conosciuto da vicino molte diverse tribù delle montagne e delle pianure.

Io sono povero e nudo, ma sono il capo della Nazione. Noi non vogliamo ricchezze, ma vogliamo educare al giusto i nostri figli. Le ricchezze non ci rendono buoni. Non ce le possiamo portare appresso nell’altro mondo. Noi non vogliamo ricchezze. Vogliamo pace e amore. Makhpiya-Luta (Red Cluod - Nuvola Rossa), capo Sioux sconfitti, non solo di fronte ai crimini di guerra che hanno commesso e al tradimento dei più elementari diritti dell’uomo, ma, più semplicemente, perché i Nativi Americani dicono: «Non esiste la morte. Soltanto un cambiamento di mondi» (Seattle, capo Suquamish). Edward S. Curtis impara il mestiere a Seattle, e nel 1891 impianta lì il proprio studio. Nel 1899 partecipa come fotografo a una spedizione di scienziati in Alaska, patrocinata dal magnate delle ferrovie Edward Henry Harriman. Nel 1904 inizia a fotografare le maggiori tribù indiane, e nel 1907 pubblica il

Sa come cacciano, come si spostano, come attendono alle proprie svariate attività, sia mentre sono in marcia sia negli accampamenti. Conosce i loro guaritori, i capi e i guerrieri, i giovani e le giovani. Non ha solo osservato la loro rude esistenza all’aperto, ma, come pochi uomini bianchi sapranno mai fare, ha anche colto sprazzi della loro peculiare vita spirituale e mentale, nei cui recessi più profondi gli uomini bianchi non potranno mai penetrare». Infatti, gli Indiani d’America, i Nativi, erano abituati a non sprecare nulla e a non chiedere niente più di ciò che era ne-

cessario a vivere. Non avevano leggi scritte, né manicomi, né galere, né moneta, né religioni monoteiste; pregavano ciò che volevano e aggiungevano idee, sogni, desideri ai canti e ai credi. La loro Terra era, per così dire, il loro sangue e i loro morti l’avevano consacrata libera. Ogni volume di The North American Indian si occupa di una tribù o un insieme di tribù e l’opera è stata pubblicata in un’edizione limitata di cinquecento copie [approfondimento in FOTOgraphia dell’ottobre 1997]. I viaggi di Edward S. Curtis furono massacranti. Lavorava in condizioni al limite della sopravvivenza. Raccolse intorno sé assistenti, tecnici e interpreti per supportare il suo atlante di geografia umana con racconti tribali, favole, vocaboli, riti religiosi, pratiche mediche; entrò in empatia con le genti che vivevano su quelle terre da più di quattordicimila anni; fu anche iniziato a “Sacerdote Serpente” in una tribù Hopi. C’è da dire che molti dei suoi ritratti furono eseguiti in studio e non poche volte Edward S. Curtis aggiunse una sorta di enfatismo romantico agli “eroi” della sua ricerca. Quando The North American Indian viene chiusa è il 1930 e gli Indiani d’America, i Nativi Americani, sono già stati sterminati fino all’ultimo bambino (ne restano poco meno di trecentomila). L’impresa monumentale di Edward S. Curtis si compone di duemiladuecento fotografie (ma è solo un dato storico incerto, forse sono più di quarantamila), scattate in quasi trent’anni di frequentazione degli Indiani (dal Messico all’Alaska). MakhpiyaLuta (Red Cloud - Nuvola Rossa), Chief Joseph, Perits-Shinakpas (Medicine Crow) sono personaggi leggendari della storia indiana, non sempre de-

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scritti con il dovuto coraggio dalla letteratura di consumo, né dalla storiografia corrente; anche il cinema western hollywoodiano (a partire da John Ford) ha contribuito alla mortificazione della verità e mostrato gli indiani come selvaggi assetati di sangue e non guerrieri che hanno combattuto i predatori delle proprie terre. The North American Indian non è stata una pubblicazione popolare; furono vendute soltanto duecentosettantadue copie, dicono gli storici, ma è un vezzo da ricercatori cattedratici. Il prezzo dell’opera complessiva, venduta per abbonamento, era di tremila dollari e sembra che gli indiani abbrutiti nelle riserve del governo o i neri dei ghetti non facessero la fila alla posta per averla, prima di morire alcolizzati o di fame. Nelle fotografie dedicate agli Indiani d’America, “l’uomo che dorme sul fiato” (così gli indiani Hopi chiamavano Edward S. Curtis, per averlo visto gonfiare il materassino sul quale dormiva) ha lasciato non solo la descrizione amorevole della loro vita sociale: in quelle icone marchiate da una nobiltà selvatica senza eguali, si coglie l’anima del “Popolo degli uomini”, che si è fatto falcidiare piuttosto che perdere la propria identità e le radici dei padri.

IL CACCIATORE D’OMBRE ROSSE Gli Indiani d’America erano soliti chiamare Edward S. Curtis, “Shadow Catcher” (Cacciatore d’ombre), ed era vero. I dagherrotipisti ambulanti al seguito dei pionieri fotografarono molto gli indiani; però, ciò che più ci hanno trasmesso con le proprie immagini non sono la quotidianità semplice, fraterna e lo spirito di un popolo, ma l’estetismo accattivante, truculento o edulcorato di selvaggi impiumati o mostri scotennatori dei bianchi. Non esiste un uso buono o cattivo della fotografia, soltanto un uso insufficiente. Niente è sacro, tutto si può disvelare.

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L’iconografia del “cacciatore d’ombre rosse” mostra attenzioni emozionali, differenti visioni dell’umano e lascia trasparire comprensioni e tenerezze evidenti per i soggetti fotografati. Come pochi, Edward S. Curtis esprime una “messa in immagine” che fluttua dalla riva della percezione a quella del segno alto e taglia via la verità enfatica degli illusionisti del folclore, esplora i corpi come dolore degli altri e, meglio di qualsiasi reportage mediatico, sensazionalista o semplicemente superficiale, butta fuori dalla regione della fotografia impegnata, il “pittorialismo” storicizzato e decreta la fine del fato mercantile come spettacolo del vuoto. Basta leggere con attenzione i ritratti di Epson Unzo Owa (Mohave, 1903), Capo Geronimo (Apache, 1905), Red Wing (Apsaroke, 1908), Sitting Bear (Arikara, 1908), Eagle Child (Atsina, 1908) per poter dire che Edward S. Curtis esprime una scrittura fotografica tesa a riconciliare il “diverso” con la società. Del resto, la fotografia davvero grande non è quella che dimostra, ma quella che danza sui misteri della passione e dell’attorialità straniante; in questi percorsi creativi, la fotografia come libertà di espressione fa di un volto non solo il prodotto di una società e della propria storia ma, viceversa, ne diviene lo specchio critico. Tra il 1895 e il 1928 Edward S. Curtis entrò in contatto con più di ottanta tribù indiane; riuscì a fotografare in “intimità” i pellerossa e conferì ai propri ritratti non la “spontaneità” del privato ma la raffigurazione “impura” dell’esistere, che rovesciava i canoni dell’apparenza, fortificandola di nuovo valore sociale. Le sue immagini “minori” rientrano in quelle che possiamo definire “sociologiche” (falsi reportage, racconti dei cerimoniali, delle feste, delle fatiche ordinarie); la ritrattistica delle donne, dei bambini e dei vecchi è di quelle indimenticabili. Le fotografie di Donna Hupa

(1923), Moglie di Modoc Henry, Klanath (1903) o Donna Cheyenne (1927) enunciano la teatralità della “maschera” che cade ed emerge il senso “puro”, come lo era nel teatro antico. Il ritratto “parla”: induce a pensare e dice che non c’è altro luogo o tempo in cui si possa dire con altrettanta certezza che ci siamo già stati e abbiamo cancellato tutto questo (alla maniera di Roland Barthes). Stranamente, il lavoro di Edward S. Curtis è stato sovente relegato dagli storici a qualcosa che ha a che fare con l’arte puramente estetica, e pochi hanno compreso che al fondo di quei volti bronzei, quelle donne altere, quei bambini con gli occhi spalancati sullo stupore c’era una voce critica della realtà invisibile o della dignità violata. La poesia è sempre avanti di generazioni. È la critica radicale dei sentimenti, delle passioni, dei piaceri a guidare lo sguardo e l’affabulazione estetica. Platone, Plutarco, Tommaso d’Aquino, Tommaso Moro, Giordano Bruno, Paolo di Tarso ci ricordano che la bellezza seppellirà la cattiveria dell’uomo, perché prima ancora del diritto alla libertà di parola, alla libertà di stampa, alla libertà di culto, alla libertà di tutte le libertà viene il diritto alla libertà della bellezza. Le immagini statuarie di Edward S. Curtis non tendono a celebrare tanto il “progresso della civiltà” dell’uomo bianco, quanto a testimoniare la cancellazione di una cultura non proprio barbara. Nel 1914, il fotografo che “dormiva sul fiato” girò un lungometraggio sulla vita degli indiani della costa NordOvest, In the Land of the HeadHunters (Nel paese dei cacciatori di teste), che ebbe un certo successo e successivamente fu colorato a mano. Si basava su racconti orali, leggende, canti di quelle tribù, e con un filo di sarcasmo e una messa in scena spregiudicata della realtà ricostruita Edward S. Curtis mostrò cadute sentimentali e violenze

un poco forzate, che anticipavano la cinegrafia epica di John Ford o Raoul Walsh. Gli studiosi più acuti vedono in Edward S. Curtis un precursore del “cinema poetico”, che ha in Robert Flaherty (Nanuk l’eschimese, del 1922, e L’uomo di Aran, del 1934) il suo maestro più grande e meno amato. La fotografia-storica di Edward S. Curtis non è mai stata molto considerata dagli accademici di ogni risma; etnologi, antropologi, fotografi e registi hanno visto con sospetto questo genio della regia fotografica e sulla fattura delle sue immagini denunciavano manomissioni, tradimenti, imposture: la scrittura fotografica di Edward S. Curtis non è né documentaria, né storica, hanno detto. Lui non teneva conto nemmeno di quelli che lo sostenevano, e malgrado la costante mancanza di denaro, la perdita della famiglia (per le sue lunghe assenza da casa) e l’incriminazione per violenza contro i giudici che dibattevano il suo divorzio tirò avanti per la strada randagia della fotografia. La fotografia “realista” muta di segno in ogni epoca. La poetica del disvelamento o della decostruzione non sembra molto conosciuta anche ai fotografi della “modernità”; andare diritti all’archetipo delle cose fotografate, significa accettarne la magia; i soggetti che entrano nell’attenzione del fotografo sono parte di una relazione, di un immaginale, di una formatività fotografica che, a volte, si trascolora in epica dell’arte. Le fotografie di Edward S. Curtis sono il certificato di presenza di una nazione e dicono ciò che è stato e, più ancora, ciò che non è più. Raffigurano gli Indiani d’America nella bellezza del proprio passato e riportano la fierezza, il rispetto, il romanticismo tragico di un popolo sterminato nella grandezza liberale, ideale, libertaria della frontiera americana. Pino Bertelli (26 volte aprile 2005)


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