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ANNO XII - NUMERO 115 - OTTOBRE 2005
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Merry Alpern VOYEUR D’ARTE
Samsung Pro815 E REFLEX SIA
DA AMÉLIE ALLA VITA FOTOTESSERE E CONTORNI
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TRE AMICI. Lo stravolgimento di tutto quello che è stato il fantastico mondo della fotografia, così come molti di noi l’hanno conosciuto, è tale che anche la depliantistica ha subìto profonde trasformazioni. Nella propria sostanza è stata surclassata sia dalla rapidità con la quale le novità si inseguono, sia da rinnovati concetti di comunicazione, che non prevedono riflessioni e approfondimenti. Nessuna nostalgia, in questa rilevazione, ma soltanto la serena osservazione di una realtà e una condizione ormai definitive, non soltanto assodate, con le quali oggigiorno si convive. Ciò detto, quando si mettono in ordine gli scaffali della libreria, oppure in altri momenti privati, possono capitare tra le mani testimonianze del passato remoto, che fa piacere incontrare: per se stesse, anzitutto, e per quanto rappresentano, in subordine. Che dire, quindi, dell’opuscoletto, piccolo nelle dimensioni (32 pagine 12,5x17,5cm) ma sostanzioso nei contenuti, con il quale, in un lontano passato remoto, la tedesca Ernst Leitz di Wetzlar (oggi Leica Camera di Solms) ha promosso l’idea degli obiettivi intercambiabili? Le date sono clamorose; si torna all’aprile 1936, ovvero agli albori della fotografia piccolo formato 24x36mm. Dipende dai punti di vista personali; a scelta individuale, l’approccio di Tre Amici conversano sugli obbiettivi intercambiabili Leica può essere considerato diretto ed esplicito, oppure “a giro lungo”, per perifrasi. I tre amici, che ovviamente alla fin fine si incontrano su considerazioni fotograficamente positive, sono: «il dilettante, Gustavo, che lavora sempre con un apparecchio di formato grande, un 10x15cm; il principiante leichista, Adalberto, che ha acquistato da poco una Leica; il leichista, Lodovico, che da molti anni lavora con la Leica, ed alla quale, dichiara, resterà sempre fedele». Il dialogo è serrato e, riconosciamolo, competente: basti pensare che tra le molte considerazioni a favore di Leica vengono citati i lavori di Paul Wolff, pioniere del piccolo formato fotografico, del quale presso le librerie antiquarie potrebbe essere ricercata una fantastica monografia illustrata del 1939, Meine Erfahrungen mit der Leica (ovvero Le mie esperienze con la Leica). La lettura è piacevole, sempre che ci si predisponga con lo spirito giusto: ascoltare per conoscere e capire un mondo che non c’è più, le cui radici sono però essenziali per tutto il discorso sull’immagine, in delicato e inviolabile rapporto tra tecnica e creatività. M.R.
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Il segreto di una bella fotografia non è da ricercarsi esclusivamente nel mezzo impiegato (analogico o digitale), bensì nella capacità di sfruttarne a pieno le potenzialità. Giuseppe Maio (da Fotografia digitale reflex)
Copertina Combinazione di fotogrammi da un film cult che fa ampio uso della fotografia. Il favoloso mondo di Amélie è una delicata storia d’amore (e di sogno), con la fotografia sullo sfondo: apparentemente soprattutto fototessera, ma anche qualcosa di più. Da pagina 24, parole di Alessandra Alpegiani con sostanzioso contorno di immagini (fotogrammi in sequenza, a cura di Filippo Rebuzzini)
3 Fumetto 38
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Dettaglio da una tavola di Walter Molino, pubblicata da Grand Hôtel del Primo agosto 1964: «Frank Sinatra, come a tutti è noto, non ha mai avuto simpatia per i fotografi, anche se lui stesso si diletta di fotografia. Spesso è sceso con loro a vie di fatto. Da qualche tempo, egli ha però adottato un sistema più innocuo, lancia contro di essi dei petardi che, esplodendo per terra con grande fragore, ottengono quasi sempre il risultato di metterli in fuga impauriti. Giorni fa, il cantante è ricorso a questo sistema in una centralissima via di New York, provocando un certo panico non solo tra i “paparazzi” ma anche fra i passanti. Frank è stato ammonito dalla polizia»
7 Editoriale Da file digitali, stampa fotografica in proprio, oppure -ed è sicuramente meglio- con servizio conto terzi: ma, comunque, copie standard e ingrandimenti su carta
8 Ixus: dall’APS al digitale Tra tecnologia e design di un progetto fotografico Canon di sostanza, arrivato al ragguardevole traguardo commerciale di dieci milioni di apparecchi venduti
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10 Notizie Attrezzature, vicende e altre segnalazioni
16 Icone della Fotografia Photo Icons, appunto, affronta la storia della fotografia dietro le immagini: con punto di vista competente
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Creata e diretta dall’italiano Tommaso Lombardo, The House of Portfolios è una produzione newyorkese di alto artigianato: eleganti abiti per la fotografia
. OTTOBRE 2005
RRIFLESSIONI IFLESSIONI,, OSSERVAZIONI OSSERVAZIONI EE COMMENTI COMMENTI SULLA SULLA FFOTOGRAFIA OTOGRAFIA
24 Tempi duri per i sognatori
Anno XII - numero 115 - 5,70 euro
L’insieme dei tanti e diversi momenti fotografici del Favoloso mondo di Amélie, film cult, disegna i tratti di una delicata storia d’amore e di vita, che porta alla ribalta il sogno, che dà spazio alla speranza di Alessandra Alpegiani Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
28 Una serena drammaticità
DIRETTORE
IMPAGINAZIONE Gianluca Gigante
REDAZIONE
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Visioni di una Roma senza Tempo, ma non priva di spazio e temporalità, che Antonio Ioli ha realizzato applicando l’efficace linguaggio visivo dell’inquadratura panorama di Angelo Galantini
50 Messaggeri del colore
Maddalena Fasoli
HANNO
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Due doppie raccolte fotografiche di Vincenzo Marzocchini riuniscono una diversificata serie di nudi femminili
56 E reflex sia 20
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58 Su verso il cielo In attesa delle consistenti novità Canon d’autunno, la versione Eos 20Da dedicata alla fotografia astronomica
Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano
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Appuntamenti del mondo della fotografia
65 Lewis W. Hine Sguardi su un fotografo dell’ingiustizia (e denuncia) di Pino Bertelli
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53 Nudi diretti (espliciti?)
60 Agenda
COLLABORATO
Pino Bertelli Antonio Bordoni Sara Del Fante Antonio Ioli Vincenzo Marzocchini Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Antonella Simoni Zebra for You Barbara Zonzin Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604, fax 02-66981643; graphia@tin.it.
Ottobre, mese degli angeli. Barbara Zonzin ha composto una galleria di proprie interpretazioni esposta a Verona
Oltre la famiglia di compatte digitali Digimax, al top di gamma si colloca la reflex Samsung Pro815 di Antonio Bordoni
FOTOGRAFIE SEGRETERIA
Da utilitaristica necessità a fenomeno di costume e sociale. Lungo tragitto, retrospettivo e di attualità, che approda alle espressioni d’arte e al giornalismo di Maurizio Rebuzzini
Due intriganti serie fotografiche di Merry Alpern spiano tra le pieghe della vita quotidiana: Dirty Windows e Shopping sono ora proposte nel mondo dell’arte di Alessandra Alpegiani e Maurizio Rebuzzini
Alessandra Alpegiani Angelo Galantini Rouge
34 La vituperata fototessera
44 Voyeur d’arte
RESPONSABILE
Maurizio Rebuzzini
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enza troppi preamboli, è opportuno riflettere sulla labilità o concretezza dell’immagine: a ciascuno la propria visione. Una delle problematiche attuali riguarda una sorta di latenza della stessa fotografia. Tra i comportamenti indotti, quello dell’immagine digitale immediatamente condivisa attraverso il monitor del proprio apparecchio è affascinante, oltre che appagante (almeno per i protagonisti).Tra gli stessi comportamenti conseguenti, quello dell’immagine che rimane in forma soltanto apparente è devastante. E su questo ci soffermiamo. Travolta dalle quantità, l’attuale fotografia digitale rischia l’invisibilità. Infatti, uno degli elementi concreti della stessa fotografia si è sempre manifestato nella propria trascrizione su carta, supporto effettivamente condivisibile senza limite di tempo, spazio e mediazione. Nella propria evoluzione sociale, disegnata dalla progressione degli strumenti, la fotografia di largo consumo è passata attraverso diverse fasi. Tutte vincolate ai costi, allargandosi a macchia d’olio verso fasce di pubblico sempre più vaste (attirato da economie via via favorevoli e semplificazioni di uso), queste fasi sono slittate dai pochi scatti a lungo pensati ai tanti scatti senza impegno. Ancora ieri l’altro i costi della fotografia analogica sono stati discriminanti. Oggi, le potenzialità digitali inducono a credere di non avere costi aggiuntivi e poter scattare a raffica senza alcun pensiero. Basta considerare che le capacità di memoria delle attuali card consentono autonomie estese a centinaia di scatti! Ma la fotoricordo è altro. Non è soltanto qualcosa di latente nella memoria di un computer. Il ricordo ha sempre e comunque bisogno di una stampa su carta. Magistralmente, in questo senso, al giorno d’oggi si hanno diverse possibilità. Almeno due: la stampante in proprio e il servizio conto terzi (è lo stesso dei tempi della camera oscura domestica). Qualcuno le disegna in contrapposizione, ma non è vero e neppure giusto. Non si tratta tanto di pensare in termini di alternativa o dualismo, ma di potenzialità alle quali attingere in relazione alle proprie necessità. Per quanto si possa credere che la stampa in proprio sia agevole e conveniente, i conti smentiscono questa ipotesi. Per qualità, convenienza e rapidità per le copie standard e gli ingrandimenti il servizio conto terzi (negoziante o laboratorio) è insuperabile. In combinazione, la stampante domestica è utile quando e per quanto si vogliono attivare personalizzazioni e lavorazioni che presuppongono l’applicazione di una propria creatività (come è stato per la camera oscura domestica). Alla resa dei conti, la conclusione è chiara. Non si perda il gusto e senso della stampa fotografica, e neppure si abbandoni il classico “album di famiglia”: dai tanti scatti, si selezionino le fotoricordo significative da stampare in copie colore standard. Allo stesso momento si coltivi, volendolo, il gusto e senso della copia particolare, della stampa impegnativa: appunto da realizzare (magari) in proprio. Maurizio Rebuzzini
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«Quel che si dice un album di famiglia», esclama Amélie mentre sfoglia e tiene tra le mani il dossier perso dal personaggio che nel film cult (appunto Il favoloso mondo di Amélie; da pagina 24) recupera le fototessere scartate dalle cabine automatiche.
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IXUS: DALL’APS AL DIGITALE
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Canon ha venduto la sua decimilionesima Ixus: un traguardo tecnico e commerciale di tutto rispetto. L’occasione è opportuna per ripercorrere l’evoluzione del design della famiglia, autentica icona della fotografia dei nostri controversi giorni (tali, soprattutto in senso tecnologico). Agli albori, le Canon Ixus si sono proposte nello sfortunato formato fotografico APS, nato (forse) male e mai cresciuto come si pensava e sperava all’origine (FOTOgraphia, aprile 1996).Comunque, all’interno di un’offerta tecnica quantomeno confusa, che poche e individuate case fotografiche hanno saputo interpretare anche nel senso dell’innovazione del design, le Ixus si sono subito segnalate per uno stile inconfondibile e incondizionatamente votato a una svolta di tempi e modi della fotografia rivolta al più ampio pubblico. Spesso si discute su quanto la forma sia subordinata all’efficienza (forma e contenuto, secondo antiche lezioni d’arte, a partire dalle teorizzazioni di Vasilij Kandinskij e dell’italiano Bruno Munari), o quanto un oggetto sia bello quando e per quanto è funzionale (estetica della funzionalità, nelle doppie pagine di Memorabilia, che abbiamo pubblicato dal giugno 1996 al dicembre 1998). In ordine, le Canon Ixus sono stati esempi chiari e lampanti, per quanto non unici in fotografia, di efficace tecnologia all’avanguardia, che si sposa perfettamente con un
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design elegante: proporre e desiderare una macchina fotografica (anche) per la propria forma non significa necessariamente comprare un oggetto tecnologicamente inadeguato. Realizzata nel 1996 per l’Advanced Photographic System (APS), l’originaria compatta Canon Ixus si è presentata con un affascinante design, firmato da Yasushi Shiotana: una forma semplice con un motivo circolare, elemento che caratterizzerà l’intera gamma Ixus. Le linee pulite e semplici della compatta furono accolte con entusiasmo dal mercato. Secondo ricerche di settore, nonostante gli uomini rimanessero (e rimangono ancora) gli acquirenti più numerosi di oggetti fotografici, la Ixus ha cominciato presto a stuzzicare il gusto delle donne, in età compresa tra i venti e i trent’anni. Tenendo in considerazione questo dato, Canon lanciò sul mercato la versione Ixus II, con la forma e motivo circolare caratteristici, in una costruzione ancora più compatta.
DESIGN DA ICONA La famiglia Ixus ha continuato a evolversi, e quando le compatte digitali iniziarono ad affacciarsi sul mercato, il suo design si discostò dall’originaria fotografia analogica APS. La prima Ixus digitale disponeva di 2,1 Megapixel, mantenendo le caratteristiche formali che ormai si erano segnalate e imposte come sinonimo di Ixus: l’aspetto e il cerchio, che le valsero il riconoscimento come accessorio trendy (orribile idea: ma valutazione personale). Nel momento in cui appariva, le proprie dotazioni tecniche la segnalavano e consacravano come una delle migliori compatte digitali del mercato. La gamma Canon Digital Ixus è stata continuamente perfezionata, arrivando ad evolversi nella Ixus 400, che, mantenendo la forma e il motivo circolare caratteristici, ha introdotto un ulteriore ammorbidimento delle linee: un’interpretazio-
Recentemente introdotta sul mercato internazionale, la compatta Canon Ixus 700 conferma le discriminanti tecniche ed esteriori della propria genìa: risoluzione di 7,1 Megapixel e design caratteristico e riconoscibile.
ne che si è rapidamente trasformata in un design classico. Con gli spigoli più arrotondati e una finitura cromata del cerchio attorno l’obiettivo, il design addolcito ha contribuito ad esaltare la forma ancora più compatta dell’apparecchio. Hisakazu Shimizu, designer di Digital Ixus 400, ha dichiarato che il nuovo modello ha interpretato appieno il concetto di “aspetto fresco ed elegante”. Dal momento in cui è stata lanciata, in tutto il mondo sono state vendute oltre un milione e settecentomila Canon Digital Ixus 400.
ESPLOSIONE DIGITALE Nel proprio insieme, il mercato degli apparecchi è in continua crescita. Paul Withington, Research Manager Periferico Europeo di IDC, ha riferito che «in Europa occidentale, il 2004 è stato un anno eccezionale per il mercato della fotografia digitale, che ha conosciuto un tasso di crescita pari al 58 per cento sul 2003, che pure era stato commercialmente remunerativo. Nel corso del 2004, il totale delle vendite di tutti i marchi ha superato venticinque milioni di unità (apparecchi digitali da un Megapixel e oltre)».Secondo la ricerca dell’autorevole IDC, istituto di marketing, 38,4 milioni di abitanti dell’Europa occidentale (il 24,4 per cento della popolazione) lo scorso anno possedevano una macchina fotografica digitale, e il tasso di penetrazione è destinato a crescere ancora nel corrente 2005.
Per il terzo anno consecutivo, Canon è stato leader assoluto del mercato degli apparecchi digitali, con una quota pari al 16,8 per cento nell’Europa occidentale. La domanda di apparecchi dal design accattivante, che abbraccino eleganza e tecnologia, si fa sempre più forte. Recentemente Canon ha venduto la sua decimilionesima Digital Ixus: una cifra davvero sbalorditiva. Quando è stata lanciata la primissima Digital Ixus, ne sono stati venduti cinquecentomila modelli nel corso del primo anno. Nel 2004 questo numero è cresciuto costantemente fino a 3,3 milioni. Qual è il prossimo passo? Dal lancio, si sono susseguite quindici versioni di Digital Ixus. La più re-
cente configurazione è stata presentata in questi ultimi mesi: si tratta della Digital Ixus 700, il fiore all’occhiello della linea, che dimostra ancora una volta di aver fatto un passo avanti nel design. Pur mantenendo la forma e il motivo circolare, la nuova compatta esprime il concetto di “curva perpetua”, evidenziando ulteriormente i suoi bordi curvilinei. La Digital Ixus 700 è un altro esempio nel quale la forma di una macchina fotografica riesce quasi ad offuscare la propria qualità. Ma non è vero: i due concetti si sposano in armonia di intenti. La gamma Canon Digital Ixus ha vinto diversi premi, sia per il design sia per la tecnologia. L’Eisa 1996-1997 certificò che Ixus è «incredibilmente piccola, ma perfettamente concepita», e la premiò con l’European APS Camera of the Year. Nel 2001, l’autore-
vole TIPA (Technical Image Press Association) ha definito Digital Ixus V Best Digital Consumer Camera (FOTOgraphia, settembre 2001) e, più recentemente, la Digital Imaging Website Association (DIWA) ha attribuito la medaglia d’oro a Digital Ixus 40 (FOTOgraphia, settembre 2005). Nel 2004, il marchio Ixus di Canon è stato nominato Cool Brand europeo da CoolBrands, Olanda, per il proprio stile e appeal, oltre che per le funzioni e la qualità dell’immagine. Parlando del futuro di Digital Ixus, il designer Hisakazu Shimizu dichiara: «Proprio come abbiamo fatto fino ad ora, vogliamo creare design forti, nuovi e innovativi». Antonio Bordoni
Foto Aldo Castoldi
Con una risoluzione di tre Megapixel, la Canon Ixus i5 (realizzata in diversi colori) afferma i connotati di un design particolarmente accattivante: indirizzato e rivolto alle più ampie fasce di pubblico.
Mai uno qualunque
valerio@bigano.it
Ogni decisione importante va ben ponderata. Per il fotografo, la validità delle scelte viene messa alla prova ogni giorno e spesso non viene concessa una seconda possibilità. Occhio e creatività sono fondamentali, ma per garantire il risultato tutto deve essere sotto controllo e nulla può essere lasciato al caso, soprattutto nelle riprese digitali. Quantum vi propone un potente sistema di illuminazione e alimentazione compatto e versatile; a tutt’oggi l’unico progettato per la fotografia digitale e al passo con l’evoluzione tecnica delle fotocamere. E allora? Quantum o uno dei tanti?
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ANTI-SHAKE COMPATTO. La compatta digitale Konica Minolta Dîmage X1 offre qualità di immagine, funzioni e design. Il sensore CCD di acquisizione, da otto Megapixel, si combina con la tecnologia Anti-Shake nata con le reflex digitali Dynax 7D e Dynax 5D (FOTOgraphia, settembre 2005). Ancora, lo zoom ottico 3x integrato e l’ampio monitor da 2,5 pollici sono racchiusi in un corpo macchina si soli 19,4mm di spessore, dall’elegante guscio metallico, con comodi bordi arrotondati, in finitura silver satinata o a specchio rosso o canna di fucile. Si possono acquisire fotografie fino a 3264x 2448 pixel, per stampe in alta qualità fino al formato Uni A3 (29,7x42cm). Come annotato, per la prima volta la tecnologia Anti-Shake approda a una compatta digitale della serie "X": l’obiettivo si sposta insieme al sensore CCD, per compensare i micromovimenti dell’apparecchio e ottenere acquisizioni nitide. In condizioni di scarsa illuminazione non c’è bisogno di utilizzare il flash, e questo riesce a rendere al meglio l’atmosfera originaria. L’Anti-Shake funziona anche durante la registrazione di filmati in formato VGA. Lo zoom ottico 3x non fuoriesce dal corpo macchina; ha una lunghezza focale 7,7-23,1mm f/3,5-3,8 (equivalente all’escursione 37-111mm nel formato fotografico 24x36mm). Sommato allo zoom digitale 4x si ottiene un ingrandimento totale 12x. Sul retro campeggia un display/monitor LCD da 2,5 pollici, protetto da una copertura in acrilico e dotato di retroilluminazione regolabile, per le situazioni di luce intensa. L’esclusiva tecnologia di elaborazione dell’immagine CxProcess III riduce al minimo il rumo-
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re e riproduce le immagini con la stessa naturalezza con cui l’occhio percepisce la scena reale. Per la messa a fuoco ravvicinata, fino a 10cm dal soggetto, la Dîmage X1 dispone di una funzione Macro automatica. Selezionando la modalità Super Macro si possono effettuare scatti fino a 5cm. Infine, segnaliamo che la Dîmage X1 è la prima digitale Konica Minolta ad essere corredata di una Unità Multifunzione: utile base su cui posizionare l’apparecchio per ricaricare le batterie o per il collegamento con il computer o il monitor televisivo. (Rossi & C, via Ticino 40, 50010 Osmannoro di Sesto Fiorentino FI).
DVD. Canon entra nel mercato delle videocamere digitali in formato DVD con due nuovi modelli innovativi: DC10 e DC20. Il supporto DVD si è ormai imposto come standard, grazie alla penetrazione commerciale dei lettori, ai vantaggi che offre per la facile memorizzazione e fruizione dei filmati e alle indubbie superiorità che questa tecnologia comporta (accesso rapido ai vari punti del filmato, durata virtualmente eterna e assenza di usura). DC10 e DC20 rompono gli schemi rispetto le tradizionali videocamere Mini DV Canon, non solo per la diversa tecnologia che incorporano, ma per il rivoluzionario design dalle forme arrotondate, che riprendono le dimensioni del supporto DVD. Dotate di un corpo in alluminio dalle linee particolarmente pulite e raffinate e con uno spessore di appena quarantasette millimetri, si distinguono per la propria compattezza ed eleganza. Possono essere facilmente riposte nella borsa o nella tasca.
AMPIE PROSPETTIVE. L’e-
Rispettivamente, le Canon DC10 e DC20 sono dotate di sensore di 1,3Mp e 2,2Mp e permettono di registrare sul supporto DVD le riprese e le fotografie nel momento stesso in cui sono effettuate. Sono le prime videocamere DVD ad essere compatibili con lo standard PictBridge, per una completa libertà di stampa. (Canon Italia, via Milano 8, 20097 San Donato Milanese MI).
SEMPRE OPTIO. Con la configurazione Optio 60, la gamma di compatte digitali Pentax approda alla risoluzione di sei Megapixel effettivi, sempre interpretati nella tradizionale consecuzione di prestazioni e semplicità di uso. Un esempio tangibile di questa filosofia, che si rivolge sia a un pubblico esperto sia ai neofiti, è la pratica modalità Semplice, che lascia all’utente la libertà di concentrarsi sul soggetto mentre la Optio 60 si occupa di impostare automaticamente tutti i parametri di ripresa. La compatta offre anche l’ulteriore vantaggio di un ampio monitor LCD da due pollici, combinato con un mirino ottico a immagine reale. I sei Megapixel e lo zoom ottico 3x offrono risoluzione, nitidezza e versatilità. Inoltre è prevista la combinazione con lo zoom digitale 4x, per un ingrandimento complessivo 12x. (Protege Divisione Foto, via Pratese 167, 50145 Firenze).
stremo Zuiko Digital ED 8mm Fisheye f/3,5 arricchisce di nuove frontiere fotografiche il pianeta digitale Olympus (corrispondenza alla focale 16mm del formato fotografico tradizionale 24x36mm). Destinato alle reflex del sistema E (al momento definito dalle configurazioni E-1 e E-300; FOTOgraphia, luglio 2003 e febbraio 2005) esprime un angolo di campo con diagonale di 180 gradi. Le incredibili prospettive delle immagini realizzate sono quelle caratteristiche degli obiettivi fish-eye. Le inquadrature macro sono possibili da una distanza di appena due centimetri dalla lente frontale (tredici centimetri dal piano immagine), e la qualità dell’immagine è garantita dall’integrazione di una lente ED ed elementi ottici “multi-strato”. Oltre alle particolari finiture che lo proteggono da polvere e agenti atmosferici avversi, tanto da consentirne l’impiego in ogni condizione ambientale, lo Zuiko Digital ED 8mm Fisheye f/3,5 è adatto alla custodia subacquea (accessorio opzionale), che dischiude le porte a nuovi e insoliti orizzonti fotografici, in immersione ovviamente, dove l’esasperazione ultragrandangolare “a occhio di pesce” assicura emozionanti prospettive. Con l’Olympus E-300 e l’apposito scafandro, le riprese subacquee possono raggiungere un angolo di campo di 153 gradi con la qualità e affidabilità del sistema reflex digitale dello standard QuattroTerzi. (Polyphoto, via Cesare Pavese 11-13, 20090 Opera Zerbo MI).
Profoto Pro-B2 L’innovazione dei flash a batteria
PER PORTATILI. Oltre le consuete caratteristiche di trasporto sicuro, con imbottiture a prova di urto, e dotazioni complementari, per documenti, penne, bloc-notes e tanto altro ancora, la valigetta Visor Classic offre qualcosa in più. Una visiera a tre piegature svolge un doppio compito: da una parte permette la migliore visione del monitor in luce ambiente, dall'altra limita l'osservazione dello stesso monitor all'utilizzatore del computer portatile, per esempio impedendone la visione ai vicini in treno (opportuna discrezione ed educazione). La valigetta, in robusto tessuto con supporto rigido imbottito, è disponibile in misure per computer portatili con monitor da dodici, quindici e diciassette pollici; rispettivamente, dimensioni esterne 26x 33x5,4cm, 27,3x40x5,4cm e 30x44,5x5,4cm. (Gruppo BP, via Cornelio Tacito 6, 20137 Milano).
SUBAQUEE. Rispettivamente dedicate alle compatte Nikon Coolpix 4600 e 5600 e Coolpix 5900 e 7900, le custodie subacquee Fantasea CP-6 e CP-7 proteggono in immersioni fino a quaranta metri di profondità. Il design ergonomico e compatto, i pulsanti esterni (che permettono la perfetta gestione di tutte le funzioni operative) e la praticità di chiusura rendono semplice e funzionale l’utilizzo degli apparecchi. (Nital, via Tabacchi 33, 10132 Torino).
SEMPLICE QUALITÀ. Compatta digitale con corpo in alluminio e ampio monitor/display da 2,5 pollici, che combina una sostanziale facilità di utilizzo con la qualità offerta dal sensore CCD di acquisizione da sei Megapixel effettivi. La
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Pentax Optio S60 dispone di uno zoom ottico 3x SMC 5,817,4mm f/2,6-4,8, con escursione focale equivalente alla variazione 35-106mm della fotografia 24x36mm (sei lenti in cinque gruppi, con due lenti a doppia superficie asferica). Tra le caratteristiche principali si segnala una ghiera delle modalità per una scelta rapida e intuitiva, attraverso la quale si può selezionare tra sei opzioni, cui si aggiungono la ripresa di filmati, la possibilità di registrazione vo-
cale e una serie di effetti digitali complementari. In particolare, la modalità Selezione automatica è ideale per i principianti. Basta attivare la posizione Auto select per attivare tutti gli automatismi di ripresa, fino ai parametri ottimali per quanto riguarda il bilanciamento del bianco, l’area AF, la misurazione esposimetrica e la sensibilità. (Protege - Divisione Foto, via Pratese 167, 50145 Firenze).
ALTE PRESTAZIONI. Reflex digitale a obiettivo fisso, la Konica Minolta Dîmage Z6 presenta dotazioni tecniche particolarmente sofisticate ed efficaci: sensore CCD da sei Megapixel, zoom ottico ad ampia escursione 12x (più zoom digitale 4x, per ingrandimento complessivo 48x), sistema Anti-Shake, Rapid AF. Il tutto, con un vantato ridotto consumo energetico, fino a circa duecentoquaranta scatti con comuni batterie AA alcaline, fino a quattrocentoventi con batterie ricaricabili Ni-Mh. Ovviamente, il sistema Anti-Shake a compensazione del CCD è lo stesso adottato sulle reflex Dynax 7D e Dynax 5D (FOTOgraphia, settembre 2005); le sue funzioni sono particolarmente effica-
Efficace generatore flash da 1200Ws con doppia alimentazione: alla corrente di rete e a batteria!
Per l’uso in location, la batteria di alimentazione offre Fino a 200 lampi a piena potenza Elevata velocità di ricarica: da 0,04 a 1,8 secondi Breve durata del flash, per congelare i movimenti del soggetto: da 1/2200 a 1/7400 di secondo Regolazione della potenza su un’estensione di 8 f/stop (da 1200Ws a 9Ws), con variazioni da 1/2 o 1/10 di stop Distribuzione simmetrica o asimmetrica (con un rapporto di 2:1) della potenza selezionata sulle due prese flash Lampada pilota fino a 250W Lampada pilota continua o a tempo Collegamento radio (ricevitore opzionale), che elimina la necessità di cavi di sincronizzazione
Il generatore Profoto Pro-B2 è integrato al versatile sistema Pro-7. Accetta tutte le torce flash Pro-7, standard o speciali, incluse le ProHead (con lampada pilota da 250W), ProRing (anulare) e ProTwin (da 2400Ws, per il collegamento a due generatori). Inoltre, progettata esclusivamente per il Pro-B2, la torcia Pro-B Head è leggera e portatile (10x22cm, 1,8kg), in modo da integrarsi perfettamente nel concetto di massima libertà operativa.
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via Ticino 40, 50010 Osmannoro di Sesto Fiorentino FI).
BORSE PER CD. Pratiche, fun-
ci quando si selezionano le focali tele più spinte, con le quali si possono usare tempi di otturazione sistematicamente più lunghi, nell’ordine di due o tre stop oltre i valori standard. Oltre al Rapid AF, la Konica Minolta Dîmage Z6 offre un tempo di avvio veloce e un intervallo di scatto ridotto. La modalità Cattura Progressiva scatta e salva gli ultimi dieci fotogrammi in continuo, a 1,8 fotogrammi al secondo. Tutte le funzioni attive e passive sono visualizzate sul’ampio monitor da due pollici, utilizzabile anche per l’inquadratura. (Rossi & C,
zionali, moderne e giovanili, le borse porta CD Hama Jelly sono disponibili in tre differenti modelli per contenere trentadue, sessantaquattro o novantasei CD. Sono realizzate in colori blu e arancio trasparente; chiuse a cerniera su tre lati, permettono la veloce estrazione dei CD contenuti. Realizzate in PVC, quindi materiale ad alta resistenza, al
proprio interno sono dotate di copertine antistatiche per contenere CD o DVD. (Mamiya Trading, via Cesare Pavese 31, 20090 Opera Zerbo MI).
TANTA LUCE. Da usare esclusivamente con gli ombrelli riflettenti di grandi dimensioni Para FB, la torcia Broncolor Ringflash P si colloca lungo l’asse ottico di riflessione e consente la messa a fuoco dell’effetto luminoso. A diretta conseguenza, come è ovvio, la regolazione dell’angolo di riflessione produce differenti illuminazioni, per effetti di luce perfettamente controllabili. In riferimento alle torce Pulso G standard si ottengono emissioni sostanzialmente più distribuite e, dunque, più soffici. Per la previsualizzazione del lampo da 3200Ws, la torcia dispone di lampada pilota alogena a basso voltaggio da
200W. In misurazione incidente, con l’ombrello riflettente Para 170 FB, di 170cm di diametro, a quattro metri di distanza e per 100 Iso di sensibilità, si ottengono valori limite da f/90 e quattro decimi a f/45 e quattro decimi, a f/32 e sette decimi, rispettivamente riferiti alle diverse regolazioni del fuoco. Soprattutto adatta per la fotografia di figura e situazioni in location, la torcia Broncolor Ringflash P si configura anche per la fotografia di still life. (Mafer, via Brocchi 22, 20131 Milano).
ICONE DELLA FOTOGRAFIA
T
Tra i tanti modi di raccontare la storia evolutiva del linguaggio fotografico, ricca di mille e mille sfumature, il tedesco Hans-Michael Koetzle ne ha scelto uno che si distingue per originalità. Ma non è questo il pregio discriminante del suo concentrato saggio Photo Icons - The story behind the pictures (purtroppo solo in inglese, oltre che in tedesco), che l’attento Taschen di Colonia pubblica nell’ambito dei titoli celebrativi del proprio venticinquesimo (1980-2005). Frutto di una selezione meticolosa e personale, quella di Hans-Michael Koetzle non è una semplice cronologia di date e avvenimenti, che pure si sono susseguiti, ma è una raffinata e colta visione sottotraccia. Invece di dilungarsi sulla sequenza soltanto temporale dei fatti, l’au-
(in basso, a destra) Poeta e altro, Gerard Malanga è stato uno dei più attenti testimoni della Factory di Andy Warhol. Ennesima riproposizione commentata dell’ultima sessione fotografica di Marilyn Monroe, abilmente capitalizzata da Bert Stern.
Photo Icons - The story behind the pictures, di Hans-Michael Koetzle (in inglese); Taschen, 2005 (distribuzione: Inter Logos, strada Curtatona 5j, Località Fossalta, 41100 Modena; 059-418811, fax 059-418789; www.books.it, commerciale@books.it); 352 pagine 15,5x21,7cm, cartonato con sovraccoperta; 9,99 euro.
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tore ha individuato punti focali a proprio modo di vedere rappresentativi dell’insieme, ovvero rappresentativi dell’intera vicenda nel proprio complesso. In definitiva, è questa la chiave rivelata dal sottotitolo The story behind the pictures, ovvero la storia dietro le immagini. Nella successione (dal 1827 al 1991) non conta tanto l’avvicendarsi di date, quanto la palese manifestazione di fatti fotografici significanti, sia per l’ambito propriamente fotografico, sia per la relativa proiezione sulla società e il costume, ovvero sulla Storia. Con la forza delle proprie opinio-
ni, Hans-Michael Koetzle ha selezionato una consecuzione di elementi discriminanti, oltre che rappresentativi, e li ha commentati, ripetiamolo in duplice proiezione: verso l’evoluzione del linguaggio espressivo e verso lo svolgimento più ampio della vita. In pratica, conservando una successione temporale, a partire dalla originaria Vista dalla finestra a Le Gras di Joseph Nicéphore Niépce (1826-27), universalmente riconosciuta e identificata come la prima fotografia riuscita, Hans-Michael Koetzle ha indicato e percorso una serie di tap-
TRENTASEI CASI
C
ompletato da una prefazione e da una apprezzata bibliografia conclusiva, nella quale sono indicate le monografie più rappresentative degli autori presentati, Photo Icons - The story behind the pictures di Hans-Michael Koetzle (in inglese) racconta le vicende di trentasei casi fotografici, proiettati nella Storia evolutiva del linguaggio visivo e nella storia più in generale. ❯ Nicéphore Niépce: View from the Study Window, 1827 (la prima fotografia riuscita, riconosciuta e identificata come tale). ❯ Louis-Jacques-Mandé Daguerre: Boulevard du Temple, 1838 (la prima fotografia [dagherrotipo] nella quale compare la figura umana). ❯ Eugène Durieu / Eugène Delacroix: Nude from Behind, circa 1853 (inizia la grande avventura del nudo in fotografia). ❯ Duchenne de Boulogne: Contractions musculaires, 1856 (la fotografia finalizzata alla ricerca scientifica). ❯ Auguste Rosalie Bisson: The Ascent of Mont Blanc, 1862 (la fotografia al seguito di una spedizione alpinistica). ❯ Nadar: Sarah Bernhardt, circa 1864 (il ritratto in sala di posa; indagine della personalità interiore). ❯ François Aubert: Emperor Maximilian’s Shirt, 1867 (Messico: fine di un impero nella raffigurazione di una camicia con evidenti tracce di un attentato; ispirazione per la pittura di Edouard Manet). ❯ André Adolphe Eugène Disdéri: Dead Communards, 1871 (dal fotografo che ha “democratizzato” il ritratto, una cruda rappresentazione dei morti della Comune di Parigi). ❯ Maurice Guibert: Toulouse-Lautrec in His Studio, circa 1894 (nell’intimità di un grande artista, simbolo del proprio tempo). ❯ Max Priester / Willy Wilcke: Bismarck on his Deathbed, 1898 (il grande statista, cui si devono le tracce dell’Europa contemporanea, sul letto di morte). ❯ Heinrich Zille: The Wood Gatherers, 1898 (carretti di legna: storia antica?). ❯ Karl Blossfeldt: Maidenhair Fern, circa 1900 (visualizzazione di fiori e piante con doppia maestria: fotografica e botanica). ❯ Alfred Stieglitz: The Steerage, 1907 (anticipazione di quella che sarebbe diventata la fotografia della nuova obbiettività nelle immagini dei passeggeri di terza classe in traversata atlantica). ❯ Lewis Hine: Girl Worker in a Carolina Cotton Mill, 1908 (alle origini di quella documentazione visiva del lavoro minorile che convinse il Congresso a
modificare le leggi sul lavoro [su questo stesso numero: Sguardo su di Pino Bertelli; da pagina 65]). ❯ Jacques-Henri Lartigue: Grand Prix de l’Automobile Club of France, 1912 (il giovane Lartigue alle prese con la metafora della velocità e della tecnologia del proprio tempo). ❯ August Sander: Young Farmers, 1914 (dal grande e ambizioso progetto Uomini del Ventesimo secolo, un esempio significativo di un modo di mettere in posa la realtà). ❯ Paul Strand: Blind Woman, 1916 (più antropologia che giornalismo, nell’interpretazione di un autore cui non interessa l’attimo fuggente ma la storia dei propri soggetti, da dove vengono e cosa rappresentano). ❯ Man Ray: Noire et blanche, 1926 (in questi ultimi tempi, ne abbiamo tanto scritto -a marzo e giugno-: indefinibile, disorientante e irriverente personaggio del Ventesimo secolo, trasversale a fotografia, pittura, scultura e altre forme d’arte, che si colloca in un panorama storico fertilissimo di idee e pulsante di innovazioni). ❯ André Kertész: Meudon, 1928 (per tanti versi, alle origini poetiche di quella fotografia di strada che poi si manifesta in molteplici sfumature e personalità). ❯ Robert Capa: Spanish Loyalist, 1936 (ancora il miliziano, ancora una riflessione su una vicenda che la storia della fotografia si trascina da decenni [per lo più, con motivazioni e posizioni inutili]; un doveroso e apprezzato chiarimento; a pagina 18). ❯ Dorothea Lange: Migrant Mother, Nipomo, California, 1936 (una icona del Novecento in una analisi originale per punto di vista e taglio; se ne sentiva il bisogno). ❯ Horst P. Horst: Mainbocher Corset, 1939 (moda? è soltanto moda? l’autore del testo offre una inattesa chiave interpretativa, da non sottovalutare; a pagina 18). ❯ Henri Cartier-Bresson: Germany, 1945 (tra immagini più note e rappresentazioni meno viste, un occhio sul disfacimento di una nazione, dilaniata da una guerra che non ha risparmiato la popolazione civile, sconvolgendone gli animi). ❯ Richard Peter sen: View from the Dresden City Hall Tower, 1945 (ancora le distruzioni della guerra; ancora domande cui trovare risposta). ❯ Robert Doisneau: The Kiss in Front of City Hall, 1950 (incredibile: c’è altro da dire sul celeberrimo bacio fotografato da Robert Doisneau; inattesi approfondimenti e nuove osservazioni, tra riferimenti
storici e considerazioni di fondo; a pagina 18). ❯ Dennis Stock: James Dean on Times Square, 1955 (altre immagini, oltre quelle più note; e poi una contestualizzazione giornalistica su uno dei Miti del nostro tempo). ❯ Robert Lebeck: Leopoldville, 1960 (la fotografia che fece il giro del mondo, accompagnata dall’intero reportage: l’aggressione a Re Baldovino, come simbolo di una condizione razziale nei caldi momenti del proprio culmine sociale). ❯ Bert Stern: Marilyn’s Last Sitting, 1962 (già fiumi di inchiostro sono stati consumati per raccontare la vicenda dell’ultima sessione fotografica di Marilyn Monroe prima della sua prematura e controversa scomparsa; cosa altro aggiungere?; pagina accanto). ❯ René Burri: Che, 1963 (per quanto l’icona di Ernesto Che Guevara sia un’altra, e non stiamo qui a ripeterci, la sequenza fotografica di René Burri ha il grande e indiscutibile merito di presentare l’uomo, più del mito; fantastica galleria di ritratti; a pagina 18). ❯ Gerard Malanga: Andy Warhol and The Velvet Underground, 1966 (poeta e tanto altro ancora, Gerard Malanga è stato uno dei più attenti testimoni dall’interno della Factory; oggi le sue immagini sono rivitalizzate dalla nostalgia dei nostri recenti tempi, che ha prodotto una identificata lunga serie di titoli retrospettivi; pagina accanto). ❯ Barbara Klemm: Leonid Brezhnev, Willy Brandt, Bonn, 1973 (prima visita ufficiale di un leader sovietico in Germania, dalla fine della Seconda guerra mondiale; implicazioni politiche dietro una semplice fotografia di reportage). ❯ Helmut Newton: They’re Coming!, 1981 (dalla serie dei definiti “grandi nudi”, con relativo redazionale su Vogue, una immagine è presa a simbolo e metafora della nuova consapevolezza femminile; anche in copertina del volume Photo Icons). ❯ Sandy Skoglund: Revenge of the Goldfish, 1981 (una finestra sulla fotografia d’arte: argomento principe dei decenni a cavallo del Millennio). ❯ Robert Mapplethorpe: Lisa Lyon, 1982 (il più discusso fotografo degli anni Ottanta, prematuramente scomparso nel 1989, con una delle sue più presentabili rappresentazioni del corpo). ❯ Joel-Peter Witkin: Un Santo Oscuro, 1987 (autore che fa del macabro uno stile raffigurativo, elevato ai più alti ranghi e livelli della fotografia d’arte). ❯ Sebastião Salgado: Kuwait, 1991 (emblematico reportage, per tanti versi lontano da crude drammaticità, che chiude una carrellata storica e pone interrogativi; tante le domande, per risposte in attesa).
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Celebre e appassionata sequenza fotografica di Ernesto Che Guevara, realizzata da René Burri nel 1963. Una volta ancora, il Miliziano di Capa. La fantastica fotografia di moda di Horst P. Horst: inimitabile.
pe a proprio modo di vedere ideologicamente espressive. Non una storia che esaurisce l’esauribile (ammesso, e non concesso che questo sia anche possibile, e che le altre storie questo facciano), ma una storia disegnata unendo puntini apparentemente autonomi, ma collegabili, quindi collegati. Per fare questo, Hans-Michael Koetzle analizza non un insieme di fotografie, né una consecuzione di autori; invece, per ognuno degli autori scelti si sofferma su una sola immagine emblematica e da questa parte per e con il suo racconto (elenco completo a pagina 17).
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(in alto, a sinistra) Altro da aggiungere al leggendario bacio dell’Hotel de Ville di Robert Doisneau: testimonianza del primo utilizzo in cronaca (in un numero di Life del 1950).
Ciò detto, va sottolineato il pregio del lavoro di ricerca e documentazione, arricchito da testimonianze di prima mano e da combinazioni che (finalmente!) inquadrano le singole immagini in propri contesti realistici. Nessuna fotografia è trattata a sé, come elemento asettico di una nonstoria (errore che troppo spesso si commette: già ne abbiamo scritto), ma tutte sono, come si dice, contestualizzate. Un esempio, tra i tanti possibili, riguarda il mitico Le baiser de l’Hôtel de Ville (Il bacio dell’Hotel de Ville, 1950) di Robert Doisneau. È lo spunto per presentare l’autorevole autore francese, ma il raccon-
to non è teorico e, addirittura, si completa con la presentazione delle pagine di Life del 1950 dove la fotografia fu pubblicata per la prima volta, all’interno di un ampio servizio (di Robert Doisneau) sullo scambio di effusioni/baci a Parigi (in alto, a sinistra). Analogamente, ogni altra immagine commentata da Photo Icons è trattata e presentata allo stesso modo, nella propria contemporaneità prima della proiezione storica: fotografie in quanto tali, prima di diventare icone. La trattazione di Hans-Michael Koetzle è a dir poco competente, tanto che ne consegue un racconto avvincente (che ci piacerebbe meritasse la traduzione in italiano: mercato librario permettendo). Come accennato, le scelte sono individuali e quindi non necessariamente condivisibili: ognuno di noi ne avrebbe sicuramente fatte di diverse. Ma questo del personalismo è un merito e valore che non va sottovalutato. Anzi, è esattamente vero il contrario: soprattutto oggi, in epoca di “politicamente corretto”, nella quale ancora pochi scelgono e indicano vie. In un mondo nel quale i più si limitano a seguire e accontentare il branco, ben vengano quelle voci che si elevano non per il tono, ma per i contenuti. A.G.
FORMA PER CONTENUTI
U
Uno degli indirizzi di spicco della fotografia newyorkese, con proiezione internazionale, è localizzato in pieno Photo District, che a Manhattan definisce e identifica quella vasta area cittadina di massima concentrazione di studi, laboratori, negozi e servizi complementari alla fotografia professionale: tra la Lexington e la Seventh Avenue, da una parte, e dalla 32nd alla 16th street, dall’altra. Al 52west della 21st street ha sede The House of Portfolios, che produce artigianalmente e commercializza i portfolio più desiderati e apprezzati dai professionisti di tutto il mondo, sia della fotografia sia degli universi che si muovono attorno le relative applicazioni, dalla moda alla pubblicità, all’editoria. Titolare di The House of Portfolios è Tommaso Lombardo, ormai Thomas, siciliano di nascita, newyorkese convinto. Convinto e soddisfatto di vivere e lavorare in un paese che lo ha accolto con garbo e gli ha dato modo e possibilità di esprimere appieno le proprie capacità di lavoro. Per quanto sempre legato alle terre di origine, tanto da seguire con analoga passione il campionato italiano di calcio (che arriva a New York con trasmissioni satellitari) e le partite degli amati Yankees (che nell’attuale Terzo millennio ripetono le gesta di quei leggendari giocatori che hanno scritto la storia del baseball: da Babe Ruth a Joe DiMaggio, da Yogi Berra a Lou Gehrig, a Mickey Mantle), Tommaso Lombardo è cosciente e consapevole di essere ormai americano a tutti gli effetti. Il suo quotidiano, che si estende alla famiglia, impreziosisce la sua vita come, allo stesso tempo arricchisce una società capace di assorbire e fare tesoro delle visioni ed esperienze individuali, estese a quel fantastico movimento della gente che sta alla base del mondo contemporaneo, così come lo conosciamo e intendiamo. Ovviamente, The House of Portfolios non ha voce in capitolo sui
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Realizzati con raffinato e alto artigianato, i portfolio di The House of Portfolios sono mitici: vanto di chi li produce e qualificato biglietto da visita per chi li presenta. La linea produttiva è estremamente differenziata, sia per confezione sia per dimensioni; immancabilmente in materiali diversi, dalla stoffa al vinile, alla pelle.
L’italiano Tommaso Lombardo, Thomas per i clienti internazionali, a destra, mentre impacchetta il portfolio di un fotografo tedesco, è titolare di The House of Portfolios, prestigiosa produzione che non si esaurisce all’indirizzo newyorkese, ma si proietta nel panorama planetario della fotografia professionale.
Portfolio Book e Flap Folio Book, con chiusura di sicurezza, sono album che raccolgono i fogli mobili nei quali i professionisti collocano le proprie immagini di presentazione, in originale fotografico oppure stampa litografica da rivista.
Contenitori con maniglia, caratterizzati da robuste spallette perimetrali, i Presentation Case e Case / Book Combo si aprono a libro e presentando due vani sulle proprie facciate. La versione Slim Folio si completa con un dispositivo di trattenimento di fogli mobili, alternativi ai fogli singoli laminati.
contenuti, ma si limita alla forma, all’involucro e abito di quei portfolio che compongono la vetrina di presentazione dei professionisti. La prima domanda, che sorge spontanea in relazione all’alterazione evidente degli equilibri, recentemente compromessi dalla precipitosa e scompigliata trasformazione tecnologica delle modalità di produzione fotografica, votata all’impiego esaltato di tecnologie digitali, riguarda evidentemente la sopravvivenza dello stesso portfolio di presentazione. In questo senso, Tommaso
Lombardo è chiaro ed esplicito. Annota che da qualche tempo gli vengono richieste anche tasche per contenere CD-Rom o DVD (neanche tante sono le richieste in questa direzione), ma che l’essenza del portfolio è quella di sempre, quella che conosce da quando, ormai trent’anni fa, è entrato nel settore (The House of Portfolios l’ha fondata nel 1990). In definitiva, precisa, il professionista deve sempre mostrare in forma concreta ciò che ha realizzato: stampa fotografica, piuttosto che testimonianza di pubblicazione.
Realizzati con raffinato e alto artigianato, i portfolio di Tommaso Lombardo sono mitici, vanto di chi li produce e qualificato biglietto da visita per chi li presenta. La linea è estremamente differenziata, sia per confezione sia per dimensioni. Alla base dell’offerta c’è il classico Portfolio Book, album nel quale vengono raccolti i fogli mobili (rigorosamente in materiali d’archivio, “acid free” senza acidi) dove i professionisti collocano le proprie immagini di presentazione, in originale fotografico piuttosto che stampa litografica da rivista (in alto, a sinistra). Disponibili in materiali diversi, dalla stoffa al vinile, al cuoio (pelle), al metallo o plexiglas, sono realizzati in dimensioni crescenti da 13x18cm a 45,5x61cm. La copertina può restare anonima, oppure si può far incidere il proprio nome o logotipo (che può essere inciso su tutti i portfolio e confezioni della preziosa offerta di The House of Portfolios). Per estensione, la versione Flap Folio Book è sostanzialmente identica, con in più una chiusura di sicurezza (in alto, al centro). I Presentation Case e Case / Book Combo sono contenitori con maniglia, caratterizzati da robuste
Clam Shell è un’autentica conchiglia, soprattutto indirizzata a edizioni preziose (e così impreziosite) di stampe, originali piuttosto che laminate. Derivate sono le versioni Four Walled Clam Shell with Flap, che presenta un vano destro a quattro pareti e dispone di chiusura di sicurezza, Full View Clam Shell, con vano destro a quattro angoli, e Square Folio, in sole dimensioni quadrate di 30,5 e 35,5cm di lato.
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In una sola dimensione, 29x42,5cm, HOP Express Mailer è una scatola adatta alle spedizioni postali, in relazione agli standard statunitensi.
spallette perimetrali. Si aprono a libro, presentando due vani sulle proprie facciate. Indifferentemente, possono trasportare uno o più Portfolio Book, piuttosto che contenere una consistente serie di immagini laminate (a New York non mancano certo i laboratori di finissaggio delle fotografie). Ancora materiali diversi e dimensioni da 20,4x25,5cm a 45,5x61cm (a pagina 21). La versione Slim Folio, sempre con maniglia e nelle stesse dimensioni e finiture, è sostanzialmente derivata: si completa con un dispositivo di trattenimento di fogli mobili, alternativi ai fogli singoli laminati (ancora a pagina 21). Clam Shell è un’autentica conchiglia, oppure scatola di raffinata manifattura, soprattutto indirizzata a edizioni preziose (e così impreziosite) di stampe, originali piuttosto che laminate. I clienti principali annoverano prestigiose istituzioni museali e qualificate gallerie, che così conservano o commercializzano le proprie produzioni. Per quanto altre finiture siano economicamente convenienti, la Clam Shell in pelle non ha eguali: dal 20,4x25,5cm al 45,5x61cm. Derivate sono le versioni Four Walled Clam Shell with Flap, che presenta un vano destro a quattro pareti e dispone di chiusura di sicurezza, Full View
Two-Section Portfolio è il contenitore originariamente preordinato per contenere due distinti album interni, per la cui sagomatura sono previste infinite sfumature e dimensioni interne.
Annunci pubblicitari che The House of Portfolios pubblica sulle testate specializzate statunitensi.
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Clam Shell, con vano destro a quattro angoli, e Square Folio, in sole dimensioni quadrate di 30,5 e 35,5cm di lato (in sequenza, a pagina 21). In una sola dimensione, 29x 42,5cm, e nella stessa gamma di finiture, HOP Express Mailer è una scatola adatta alle spedizioni postali, in relazione agli standard statunitensi (che non hanno alcuna coincidenza con il servizio/disservizio che si respira nel nostro paese; in alto, a sinistra). In ultimo, solo per dovere di sequenza, Two-Section portfolio è il contenitore originariamente preordinato per contenere due distinti album interni, per la cui sagomatura sono previste infinite sfumature e dimensioni interne (qui sopra). Dimensioni esterne da 20,4x25,5cm a 45,5x61cm e solite finiture in stoffa, vinile, similpelle e cuoio. Al caso, per la protezione al trasporto di ogni portfolio sono previste borse in cordura o nylon. (The House of Portfolios, 52west 21st street, New York, NY 10010, 001-212-2067323, fax 001-212-6332247; www.houseofportfolios.com). M.R.
TEMPI DURI PER I SOGNATORI
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Quel che si dice un album di famiglia. Immagini sostanzialmente casuali, ammesso e non concesso che il Caso esista, prese a pretesto per un racconto delicato e coinvolgente. Il favoloso mondo di Amélie, film francese del 2001, usa l’elemento fotografico, al quale riserviamo la nostra particolare e mirata attenzione, come substrato poetico per raccontare la Vita. Celebratissimo e innovativo film di Jean-Pierre Jeunet, Il favoloso mondo di Amélie, traduzione letterale dell’originario Le Fabuleux destin d’Amélie Poulain (Francia/Germania, 2001) è una delicata storia d’amore, con la fotografia sullo sfondo. Ma l’occasione vera di questo racconto (che riteniamo una delle volte in cui l’esperienza cinematografica ha dato il meglio di sé) è quella di parlare di sogni. Già... di sogni. Con chiari riferimenti alla psicanalisi, trattati con sottile e divertente ironia, sottende, a chi sa vedere e soprattutto a chi ci si riconosce, il complesso argomento della psicologia infantile, ricca di sogni, potenzialità, rivelazioni, ma, ahimè, troppe volte offesa, non capìta, troppo ingombrante, capace di far tremare di paura -per la propria imponenza- la nostra saccente e ottusa adultità. Non ci ricordiamo noi stessi bambini o ci fa paura farlo: è già questo elemento concettuale, un richiamo muto alla fotografia, nella propria funzione di ricordo? Ed ecco arrivare questo angelo un po’ strambo, nelle vesti di una graziosa fanciulla poco più che ventenne (Amélie Poulain, magistralmente
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Con una Kodak Instamatic, nella propria infanzia Amélie fotografa le nuvole raffiguranti evidentissime forme di animali, visione inaccessibile agli adulti.
Folgorante è l’incontro di Amélie con il curioso personaggio che recupera le fototessere scartate presso le cabine automatiche (sullo schermo Mathieu Kassovitz, affermato regista). Il tema della fototessera è il motivo conduttore della trama del Favoloso mondo di Amélie.
e magicamente interpretata dalla giovane Audrey Tautou), dall’infanzia non capìta, non vissuta, vessata, durante la quale amava fotografare con una Kodak Instamatic le nuvole raffiguranti evidentissime forme di animali, visione inaccessibile agli adulti. È rimasta fanciulla nell’anima. Ha i sogni ancora intatti. Anzi vive la vita come un perenne sogno. Per una serie di circostanze, in un momento preciso della propria esistenza, inizia a dedicare la propria vita alla felicità altrui, a rendere felici gli altri. È forse solo un modo come un altro per non vedere le proprie, di sofferenze. La vita di Amélie è fatta di solitudini, abitudini strane, piccoli piaceri e voluttà minime che la vita sempre offre ma non tut-
ti ce ne accorgiamo. Un elogio eloquente al gesto di infilare la mano in un sacco pieno di lenticchie, al gusto voluttuoso di rompere con il dorso del cucchiaino la crosta del crème caramel. Chi di noi ha avuto il coraggio di ammette tale intimo gusto, lasciandosi dietro tutte le regole del bon ton e infischiandosi di quello che gli altri si aspettino da noi? Chi ha questo coraggio, come Amélie è destinato a essere un po’ solo, non capito. Ma può capitare di incontrare persone come noi. Ed è folgorazione. È qui che fa il proprio ingresso la fotografia, come gioco portante della struttura del film: un album di fotografie composto con le immagini di sconosciuti scartate dalle cabine
Nel gioco dei rimandi, Amélie lascia un messaggio scritto dietro una immancabile fototessera.
Recuperato l’album smarrito dal misterioso raccoglitore di fototessere scartate, Amélie scopre un mondo insospettabile quanto affascinante, un autentico “album di famiglia” che condivide con il saggio “uomo di vetro”.
per fototessere automatiche nelle stazioni della metropolitana parigina, raccolte con paziente dedizione da un misterioso personaggio (interpretato da Mathieu Kassovitz, regista che ama anche recitare; tra i
suoi film ricordiamo L’odio, del 1995, e I fiumi di porpora, del 2000). Amélie lo osserva mentre traffica sotto una di queste cabine, nell’intento di recuperare le fotografie scartate. Quando i loro sguardi si in-
crociano, il suo cuore comincia a battere. Forse è folle come lei. Lo insegue quando lui, mosso da un improvviso motivo, comincia a correre all’inseguimento di qualcuno (che poi reincontreremo e ritroveremo in tutto il film), e raccoglie il famoso album, che il ragazzo smarrisce senza accorgersene nella fretta della corsa. «Quel che si dice un album di famiglia», esclama Amélie mentre lo sfoglia e lo tiene tra le mani come si terrebbe un tesoro prezioso. Ma quale famiglia? Lei che praticamente non ne ha avuta. (Ancora una annotazione di costume: in una affascinante scena, una delle fototessere dell’album, che poi Amélie restituirà includendo propri ritratti, si anima. Il volto e la recitazione è di Ticky Holgado, cantante rock con significative frequentazioni del cinema, che qui inserisce una partecipazione di gusto e garbo. Straordinaria maschera, Ticky Holgado, già vicino al cantante Johnny Hallyday e voce del gruppo Ricky James & les Plastiqueurs, è mancato nel gennaio 2004, a cinquant’anni, sconfitto dal tumore che gli fu diagnosticato nel 1992). Comincia così, in un barlume di speranza e di contemporaneo ti-
ALTRE FOTOTESSERE CINEMATOGRAFICHE
P
er la serie dell’arte di arrangiarsi, in Così parlò Bellavista di Luciano De Crescenzo (1984), oppure in Il mistero di Bellavista (1985), non ricordiamo bene, ma non importa, c’è un simpatico quadretto elaborato attorno una cabina di fototessere. Raccontiamolo. Un (apparente) passante si intromette quando un cliente si avvicina alla cabina per farsi le fototessere, appunto. Sostituisce la sua banconota stropicciata, da mille lire (!), con una linda: «le ha stirate mia moglie, ieri sera», precisa: è indispensabile per il buon funzionamento del sistema automatico. Quindi, pettina il cliente, gli mette in ordine gli abiti e gli dà consigli per una buona posa. Concluso l’iter degli scatti successivi, quando il cliente esce, si qualifica come “regista”, e tanto recita la scritta sulla visiera del berretto che nel frattempo ha indossato, e chiede una contribuzione per il servizio effettuato.
Ancora, altra cabina di fototessere è presente nel Lungo addio di Robert Altman (The Long Goodbye, 1973), ennesima avventura dell’investigatore privato Philip Marlowe, che dalle pagine di Raymond Chandler viene aggiornato in una vicenda contemporanea. Straordinaria è l’interpretazione di Elliott Gould, che i critici hanno definito una delle sue migliori performance, e impagabile il canto funebre di un personaggio e un genere che l’abile Robert Altman confeziona con amore e calda partecipazione. Ma questa è tutt’altra vicenda, soltanto cinematografica. L’attenzione fotografica è invece per la cabina per fototessere curiosamente installata nella stazione di Polizia, che viene usata per le rituali segnaletiche degli arrestati: fronte, profilo destro e sinistro, in una sequenza di scatti successivi con relativo cambio di posa.
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Quella delle polaroid del nanetto viaggiatore è una delle note fotografiche parallele alla trama principale del Favoloso mondo di Amélie. È anche una delle più significative.
In veste di caratterista, il cantante rock Ticky Holgado anima una delle fototessere del mitico “album”.
more, un gioco di appuntamenti, inseguimenti, puntelli, teoricamente per riconsegnare al legittimo proprietario il proprio album, ma in fondo per il desiderio di incontrarsi finalmente tra persone affini, riconoscersi e non essere più soli. Difficile operazione. Quando è il momento di fare i conti con le proprie paure profonde, tutto è lecito con noi stessi, e così Amélie preferisce perpetuare il gioco della fantasia il più a lungo possibile; la realtà le ha sempre fatto paura, ma arriva per
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(in basso, a destra) Fototessere degli interpreti nei titoli di coda del film. Materializzazione dell’anonimo personaggio onnipresente nell’album delle fototessere scartate.
tutti il momento di doverla considerare, e, forse, non sempre è terribile come ce la si aspetta. Amélie è intimamente turbata da questo suo stato interiore, ma, forse proprio per non volerlo vedere, continua nel sano intento di cambiare in meglio le vite altrui: quella del padre, per esempio, personaggio isolato quanto ombroso e lamentoso, che ha per unico amico un nanetto da giardino, al quale dedica le sue esclusive attenzioni; anche quelle che sarebbero toccate alla figlia. Amélie, priva di rancore nonostante tutto, che da tempo suggerisce al padre il potere terapeutico dei viaggi per risollevarsi dalle proprie malinconie e mai da quest’ultimo preso in considerazione, organizza il rapimento del nano, incaricando una hostess che viaggia per il mondo di fotografarlo in ogni città e di spedire le polaroid al padre. Singolare e simpatico ruolo di riflessione conferito alla fotografia, istantanea questa volta. In effetti avrà la sua funzione positiva, quando il nanetto tornerà a casa, sulle riconsiderazioni della vita che il padre di Amélie si troverà a fare. Così, nel numero sempre crescente di soddisfazioni sui successi delle felicità altrui, e nell’ormai troppo prolungato gioco al rintracciarsi reciprocamente tra lei e il protagonista maschile, Amélie si ritrova sempre più piegata su se stessa, sempre più vicina alla resa dei conti: vuole incontrare il ragazzo che le ha sconvolto la vita, ma ne teme la delusione. Ad accelerare le cose è la scoperta dell’identità del misterioso personaggio il cui volto impassibile compare molte volte sull’album, attraverso fototessere scattate in diverse stazioni della metropolitana e gettate via, nonostante si tratti di scatti ben ese-
guiti: è proprio colui che viene inseguito di corsa dal protagonista quando, nelle prime sequenze del film, smarrisce la sua preziosa raccolta (e qui manteniamo il dovuto silenzio, per non sciupare l’effetto della sceneggiatura). Nella smania di comunicare la scoperta, di incontrare il ragazzo e la relativa paura, Amélie viene a propria volta aiutata e indotta alla giusta scelta da un altro importante personaggio del film: il vecchio e saggio “uomo di vetro”. Finalmente anche lei ha la propria dose di felicità, ha affrontato la realtà, e non è detto che nella vita vera non ci possa essere spazio per la magia. Forse non a caso il filo conduttore della trama narrativa è la fotografia, capace di essere realtà pur non essendola, pur essendo la propria rappresentazione. Non raffigurazione, proprio rappresentazione. E la differenza è sostanziale. Alessandra Alpegiani Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
A
ffrontato in tante occasioni, quello dell’impegno dei fotografi non professionisti è un discorso sempre più discriminante e pressante. Lo è soprattutto oggi, alla luce di tanto/troppo disincanto tecnico e tecnologico, che sta minando le fondamenta, un tempo solide, di un consistente approccio fotografico. Come spesso abbiamo avuto modo di annotare, e la ripetizione è opportuna, forse d’obbligo, la storia della fotografia italiana non professionale è ricca di scoperte significative e momenti di grandezza (forse) insospettabili. Il fatto è che nel nostro paese, tra professionisti e non professionisti non si può tracciare un confine culturale netto, perché proprio la fotografia non professionale ha sempre aiutato a scrivere pagine di grande valore, sia nella storia della fotografia, sia in quella del costume sociale. Un caso esemplare, oltre la grande scuola della fotografia di strada, cui tanti autori si dedicano con passione e concentrato impegno, è quello del romano Antonio Ioli, che si esprime con strumenti e mediazioni classiche. Per lo più, la sua è una fotografia di concentrazione e raccoglimento, che richiede procedimenti fotografici conseguenti. In genere, usa apparecchi grande formato, per il cui approfondimento tecnico e culturale ha frequentato i celebrati Santa Fe Workshop, in New Mexico (FOTOgraphia, novembre 2001). Alternativamente, applica i linguaggi espressivi impliciti nella combinazione con visioni fotografiche di particolare personalità prospettica. Attraverso il mirino sei-per-diciassette, su pellicola a rullo 120, ha osservato la propria città, Roma, restituendone un’immagine niente affatto stereotipata, addirittura estranea alle conven-
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Visioni di una Roma senza Tempo, ma non priva di spazio e temporalità, che Antonio Ioli ha realizzato applicando un linguaggio visivo capace di passare per linea diretta all’osservatore. L’inquadratura panorama sei-per-diciassette, magari necessaria e di certo non sufficiente, è un tramite espressivo che risponde alle concentrate lezioni di quelle composizioni a lungo meditate e rifinite che rifiutano la casualità dei nostri momenti
UNA SERENA
DRAMMATICITÀ zioni più consolidate. Quindici soggetti sono stati raccolti in volume da De Luca Editori d’Arte, che li ha pubblicati con una rivelatrice introduzione di Filippo La Porta, curatore dell’opera. Leggiamo: «Da dove provengono queste fotografie? Da un passato archeologico, troppo carico di memoria storica, stendhalianamente insostenibile? O da un futuro post-atomico e rag-
gelato, quasi non più abitato da umani [...] A Roma, come fra l’altro ci ricordano queste immagini, la Storia diventa Metafisica e le rovine stesse si cristallizzano in una eternità corrusca». La serie delle quindici fotografie di Una serena drammaticità congela un Tempo che può essere qualsiasi Tempo, privo di riferimenti e sospeso in una eternità che colpisce simultaneamente
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La monografia Una serena drammaticità raccoglie l’intera serie di quindici fotografie di Roma realizzate da Antonio Ioli in un proprio particolare e concentrato tragitto espressivo. A cura di Filippo La Porta, con sua introduzione, il volume è stato pubblicato da De Luca Editori d’Arte nel 2003 (via Ennio Quirino Visconti 11, 00193 Roma; 06-32650712, fax 06-32650715; www.delucaeditori.com, libreria@delucaeditori.com): 40 pagine 30x24cm; 35,00 euro.
le sfere emotive e quelle razionali, dal cuore al cervello dell’osservatore. Quella di Antonio Ioli è una applicazione fotografica sulla quale soffermarsi e dalla quale partire per ulteriori considerazioni sul potere, valore e contenuto implicito ed esplicito dell’immagine. Il passo è cadenzato, il ritmo volontariamente rallentato, il pensiero raccolto. Non sono fotografie da consumare in fretta e furia, come si esaurisce tanta vita dei nostri attuali convulsi giorni, ma visioni da assaporare in ricercata lentezza. Torna alla mente una delle lezioni del tedesco Reinhart Wolf, autore affrettatamente messo da parte dalla critica e storiografia internazionale, che accompagnava le proprie immagini (inquadrature a lungo meditate) con riflessioni teoriche sugli
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strumenti e il significato del gesto fotografico. Riferendosi all’uso di apparecchi grande formato, lui che ha fotografato le cime dei palazzi di New York, dalla cima di altri palazzi, in otto per dieci pollici (FOTOgraphia, dicembre 2001), affermava che «rappresenta una forma di resistenza agli automatismi che caratterizzano sempre di più la fotografia contemporanea: una tacita protesta contro la casualità, in favore di inquadrature a lungo meditate e accuratamente rifinite». Non è soltanto una questione di dimensioni, neppure di ritualità (vetro smerigliato, châssis, volet). Come ben si esprime Antonio Ioli nelle proprie visioni sei-per-diciassette (centimetri) è soprattutto una educazione visiva. Ciò che si comprende nel foto-
gramma, e il modo nel quale lo si include, è specchio dell’anima. Di un’anima che dall’autore trasmigra per via diretta all’osservatore. È autentica fotografia: comunicazione per immagini. Angelo Galantini
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Riccardo Marcialis
fotografico, hanno qualificato le scelte professionali di Riccardo Marcialis.
Designer d’arredamento, art director
Attraverso la combinazione
pubblicitario e giornalista (dal 1980):
e integrazione di punti di vista
esperienze che, dal punto di vista
differenti, quanto coincidenti, ha sempre posto la sua attenzione sul piano delle esigenze del committente, privilegiando
Curiosamente, Riccardo Marcialis non ha
Per un periodo di tempo, ancora sotto l’in-
chiuso le porte della pubblicità.
mai considerato il proprio lavoro dal punto
fluenza della precedente esperienza di art
Ha sempre avuto una buona committen-
di vista di fotografo: e questo atteggiamen-
director, mediante l’uso di focali lunghe,
za estera (Spagna, Francia, Stati Uniti,
to lo ha portato a violare e violentare, più o
accostamenti cromatici e composizioni
Giappone, Corea, Ucraina, Romania), che
meno consapevolmente, molti canoni del-
“squilibrate” ha ottenuto immagini che
assolve con una forza creativa, professio-
la fotografia accademica. Così agendo, ha
hanno distinto i suoi lavori, offrendogli una
nale e imprenditoriale edificata su una ef-
imposto un proprio inconfondibile stile, per-
considerevole posizione nel mondo della
ficace ed efficiente logistica: novecento
fettamente riconoscibile e riconosciuto.
fotografia professionale.
metri quadrati distribuiti organicamente in
Il trampolino di lancio dell’editoria gli ha
aree di ricevimento (uffici, sala riunioni),
consentito di comporre un sostanzioso portfolio, che a propria volta gli ha dis-
A / D i m a g i n g s r l • v i a l e S a b o t i n o 4 , 2 0 1 3 5 M i l a n o • 0 2 - 5 8 4 3 0 9 0 7,
il contenuto della comunicazione, rispetto
indiscussa e indiscutibile,
la forma, sempre interpretata in relazione
risale a una considerazione del 1975.
a una forte educazione estetica.
Perlustrando il panorama
L’indirizzo privilegiato alla fotografia
della fotografia specialistica,
di “food”, nel cui ambito
notò una certa latitanza di fotografi
Riccardo Marcialis è un’autorità
di “food”, e così ha indirizzato la propria professionalità.
lavoro (trecentocinquanta metri quadrati di
gliori risultati possibili. Ha sempre favori-
l’originario sistema di elaborazione foto-
sale di posa, cinquanta di cucina, venti
to la “luce”, come vero strumento, e in
grafica Immaginator.
metri cubi di dispensa e altri venti di cel-
subordine il resto. Il primo computer
L’avvento del sistema digitale in fotogra-
la frigorifera) e svago (biblioteca tutto food
(Tryumph Adler) risale a circa trent’anni fa
fia gli ha sconvolto la vita. In meglio. Gli ha
e duecento metri quadrati di solarium).
(interfaccia zero, linguaggio Basic e “strin-
dato un’autorità, ma anche responsabili-
Oltre il lavoro in studio, Riccardo Marcialis
ghe” intere per fare un minimo movimen-
tà, sulle sue immagini, che prima ovvia-
viaggia per reportage di ristoranti, alberghi,
to). Quindi, è stato tra i primi a lavorare
mente non aveva. Dal punto di vista crea-
locali particolari, chef e personaggi.
tivo, tecnico e legale.
Ha sempre scelto con accuratezza le pro-
Attualmente, lavora con dorsi digitali
prie dotazioni tecniche, finalizzate ai mi-
Leaf Cantare e Valeo, applicati ad apparecchi grande formato a banco ottico. www.marcialisgroup.com.
f a x 0 2 - 5 8 4 3114 9 • w w w. a d i m a g i n g . i t • i n f o @ a d i m a g i n g . i t
P
roprio su questo stesso numero, da pagina 24, ripercorriamo l’atmosfera poetica di un film nel quale la fotografia svolge consistenti ruoli narrativi. In particolare, oltre altre combinazioni fotografiche, Il favoloso mondo di Amélie è in qualche modo e misura confezionato attorno la tematica della fototessera da cabina automatica pubblica. Lo spessore di questo abbinamento è forte e deciso, tanto da comporre una delle chiavi interpretative del film, al cui insieme offre suggestivi spunti di introspezione. Rimanendo in tema, che è poi quello sul quale ci concentriamo oggi, si registrano anche altri casi cinematografici caratterizzati dall’apparizione della cabina per fototessere; per lo più si tratta di presenze rapide, modeste e fugaci, sulle quali non vale la pena soffermarsi. Per non scantonare del tutto, ricordiamo ancora e soltanto uno dei titoli della serie Bellavista di Luciano De Crescenzo (metà anni Ottanta), nel quale si visualizza l’invenzione del mestiere di “regista” della fototessera: che è colui che staziona nei pressi di una cabina automatica, pronto a fornire biglietti di banca in ottimo stato («li ha stirati mia moglie, ieri sera», è la spiegazione esplicita, così come la citiamo a memoria), adatti all’automatismo di pagamento, disponibile a dare una sistemata al soggetto e a curare l’espulsione delle fototessere dopo il processo di sviluppo e stampa. Ovviamente, in cambio di una mancia. Oggi accendiamo i riflettori sulla fototessera perché abbiamo avuto modo di registrare una serie di fatti relativi che debbono essere in qualche modo ricondotti a un significativo minimo comune denominatore, quantomeno del costume, ma forse di una sorta di socialità della fotografia contemporanea, con proiezione anche nell’intenzione artistica e nel fotogiornalismo. Il percorso si annuncia lungo, differenziato, ma certamente avvincente. Mal considerata per tanto tempo, la fototessera sta recentemente vivendo una propria particolare stagione: colorata in toni alti e bassi (in alternanza). Non pensiamo che questo cambio di rotta sia merito del citato Favoloso mondo di Amélie, che casomai ne è una registrazione, ma annotiamo una certa convergenza di manifestazioni; ognuna per proprio conto, ognuna a insaputa delle altre, si sono
Analisi di una sostanziale trasformazione culturale. Da semplice e utilitaristica necessità, la fototessera diventa fenomeno di costume e sociale; e poi, ancora, ne registriamo espressioni d’arte e sconfinamenti nel fotogiornalismo dei nostri giorni 34
concretizzate idee riguardo la fototessera (parente stretta della fotografia segnaletica, altro capitolo degno di attenzione), che oggi censiamo e mettiamo in ordine per offrire all’insieme una contestualizzazione di significato, rappresentativa di un fenomeno che merita di essere annotato e sottolineato.
MAGICA CABINA Dovendo individuare un momento di passaggio, di transizione tra l’indifferenza diffusa e un certo protagonismo della fototessera, richiamiamo prima di altro due affascinanti monografie fotografiche, entrambe pubblicate negli Stati Uniti, rispettivamente nel 2002 e 2003. In Hilhaven Lodge, il secondo dei due titoli che richiamiamo, il regista e produttore hollywoodiano Brett Ratner, classe 1969, ha raccolto una consistente sequenza di strisce di fototessere scattate dai/ai suoi ospiti con una cabina automatica installata in casa sua. Mentre il discriminante e fondamentale Photobooth di Babbette Hines presenta una avvincente lunga serie di fototessere anonime, ma più spesso autentici autoritratti, realizzate con cabine automatiche, appunto Photobooth negli Stati Uniti. A nostro personale, educato e competente avviso, questa edizione è la selezione per antonomasia che traccia una autentica linea di confine, al culmine di un movimento che in America è particolarmente florido e vivace: il volume merita una considerazione a sé, e ne riferiamo a parte (a pagina 41). Però, per il nostro percorso è determinante il forte richiamo visivo dei soggetti di Brett Ratner, che con il suo libro si esprime con un tono di voce più alto, dunque più penetrante. Brett Ratner, del quale in Italia conosciamo soprattutto i due capitoli della serie Rush Hour (appunto: Rush Hour - Due mine vaganti, del 1998, e Colpo grosso al Drago rosso - Rush Hour 2, del 2001), vive nella villa che fu di Ingrid Bergman durante la Seconda guerra mondiale e di Kim Novak negli anni successivi, appunto Hilhaven Lodge, a Hollywood. Qui ha installato una vecchia cabina per fototessere in bianconero, direttamente derivata dall’originario progetto di Anatol Josepho, l’immigrato siberiano al quale si attribuisce la paternità
LA V
FOTO
della cabina automatizzata per fototessere (1925). Ed è proprio nella cabina che si siedono e posano gli illustri amici di Brett Ratner (qui sotto). Il gioco è intrigante. Personalmente ricordo che, nel mio piccolo, nella seconda metà degli anni Settanta (in un’altra vita), io stesso avevo approntato una Polaroid con la quale realizzavo il ritratto bianconero di tutti i visitatori, amici, ospiti che transitavano per la mia casa/studio di allora. Ma lo spessore di quanto fatto da Brett Ratner, e raccolto nella monografia Hilhaven Lodge, è ben superiore, di altra alta statura. Soprattutto va considerata la consecuzione operativa indotta, che in-
fluisce sul risultato visivo, sia dal punto di vista estetico, sia per il proprio contenuto. Agendo con una cabina automatica per quattro fototessere in rapida successione si crea un sostanzioso rapporto attivo tra il soggetto e la propria autoraffigurazione. Lo possono testimoniare, certificandolo, tutti coloro i quali non hanno resistito alla tentazione di fare altrettanto, almeno una volta nella propria vita, quantomeno facendo solo le boccacce all’obiettivo, accomodandosi in una delle tante cabine automatiche, strategicamente dislocate nelle stazioni ferroviarie, in prossimità di luoghi di grande passaggio o vicino agli uffici comunali che rilascia-
Beatrice entra in una cabina automatica per realizzare una fototessera. Non è a conoscenza della sequenza di quattro lampi in successione. Prima posa, che Beatrice crede anche l’unica: sorriso di circostanza (per il vero, un poco forzato). Il flash diretto la spaventa: seconda posa sostanzialmente terrorizzata. Da qui all’autentico panico, fissato dal terzo flash. Quindi, fuga precipitosa, con relativa quarta posa vuota.
Da Hilhaven Lodge, fototessere interpretate di Brett Ratner, regista e produttore, Dino e Martha (Schumacher) De Laurentiis, produttori, Elisha Cuthbert, attrice, Paris Hilton, attrice, e Phil Stern, fotografo.
ITUPERATA
OTESSERA
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PARATA DI DIVI
P
osando nella cabina automatica per fototessere bianconero, con quattro scatti in rapida sequenza, ogni frequentatore della casa del regista e produttore hollywoodiano Brett Ratner ha mimato particolari sceneggiate, secondo l’estro del momento. A differenza delle fotografie ufficiali di questi divi del cinema contemporaneo, i giocosi autoritratti risultano sinceri e diretti nella propria espressione: nessuna cura delle luci, ma implacabile flash diretto, e, soprattutto, nessuna sessione di trucco. La serie raccolta nella monografia Hilhaven Lodge comprende la striscia di quattro pose di una lunga serie di personaggi dello star system statunitense: Michael Jackson, Britney Spears, Colin Farrell, Heath Ledger, Heidi Klum, Shaquille O’Neal, Chris Tucker, Kim Cattrall, Jackie Chan, Dino De Laurentiis, Clive Davis, Aaliyah, Edward Norton, Salma Hayek, Quincy Jones, Ralph Fiennes, Rod Stewart, Val Kilmer, Liv Tyler, Harvey Keitel, Jay-Z, John C. Reilly, Russell Simmons, Nicolas Cage, Sean “P. Diddy” Combs, Jack Osbourne, Paris Hilton, Tommy Hilfiger, Tony Shafrazi, Mariah Carey, Matthew McConaughey, Chelsea Clinton, Rebecca Gayheart,
Franco Vaccari: Esposizione in tempo reale n.4: lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio, Trentaseiesima Biennale di Venezia (giugno-ottobre 1972).
Due dei testimoni dell’intensa campagna promozionale con la quale furono lanciati gli Studio Express Polaroid: fototessera nei fotonegozi in contrapposizione alle cabine automatiche. L’esortazione Chi tira fuori il meglio di te in un minuto? venne visualizzata anche con Pinocchio, che diventa un bambino ordinato, e il ranocchio delle favole, che si trasforma in principe (azzurro?).
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Norman Lear, Philip Seymour Hoffman, Robert Downey Jr, Bridget Fonda, Danny Elfman, Phil Stern, Brooke Shields, Danny DeVito, Don Cheadle, Elisha Cuthbert, Gina Gershon, Joy Bryant, Jude Law, Naomi Watts e altri ancora. Hilhaven Lodge; Photo Strips by Brett Ratner; introduzione di Robert Evans; PowerHouse Cultural Entertainment, 2003; 175 fotografie; 216 pagine 17x26cm, cartonato; 45,50 euro (Books Import, via Maiocchi 11, 20129 Milano; 02-29400478, fax 02-29515254).
no documenti di identità. E in questo senso, richiamiamo l’attenzione sul caso particolare, che raccontiamo a sé, a pagina 34 (35). Avviando l’analisi di un certo odierno protagonismo della fototessera, in qualche modo databile dalle edizioni librarie di Hilhaven Lodge e Photobooth, ci colleghiamo direttamente alla relazione implicita ed esplicita con l’apparato fotografico della cabina automatica, che influisce sulla mimica del soggetto, che a propria volta condiziona e determina addirittura l’espressione visiva. Storicizzando il fenomeno, torna alla mente un episodio italiano di una quindicina di anni fa, o forse più. Non garantiamo per l’autenticità di quanto
stiamo per riferire, che raccontiamo così come ci è stato narrato ai tempi. Protagonista della vicenda fu una ragazza che aveva bisogno di soldi. Nella protezione (?) di una cabina automatica per fototessere realizzò una serie di proprie fotografie intime (quanto intime, non possiamo certificarlo), che poi cercò di vendere ai passanti. Ricordiamo che tutto si sarebbe svolto all’interno di una stazione ferroviaria (di Trento?), dove la ragazza venne intercettata dalle forze di Polizia e arrestata. Questo episodio richiama un’altra edizione libraria del 1992, di fotografie realizzate nel precedente 1981. Pur esplicito nel proprio titolo, Photomatons pornographiques vanta una proiezione nel mondo dell’arte visiva. Le serie di quattro pose in sequenza illustrano atti sessuali manifesti e senza alcun sottinteso, che gli autori intendono come performance artistica (?!). Su questo abbiamo già avuto modo di dire la nostra, e qui ribadiamo soltanto una inviolata e assoluta perplessità su tale concetto di arte visiva, che non sappiamo riconoscere e distinguere dal semplice esibizionismo senza altre patenti. Comunque, l’odierna classificazione di Photomatons pornographiques, del quale su queste pagine non testimoniamo alcun esempio, rientra nella fenome-
nologia della cabina automatica che si proietta in avanti, oltre l’assolvimento del proprio compito istituzionale di fototessera per documenti.
FRANCO VACCARI Approdando all’identificazione artistica della fototessera, nel cui ambito non consideriamo certamente le Photomatons pornographiques appena ricordate, il richiamo d’obbligo è per l’italiano Franco Vaccari, classe 1936, che all’inizio degli anni Settanta realizzò un’opera significativa e discriminante. Dal giugno all’ottobre 1972, la sua Esposizione in tempo reale n.4: lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio, in sala personale alla Trentaseiesima Biennale di Venezia, fu folgorante (pagina accanto). Da una nota critica di TusciaElecta, arte contemporanea nel Chianti: «Tangente a diverse aree, in particolare al concettualismo, dopo un precoce interesse per la poesia visiva, dal 1969 il modenese
Franco Vaccari applica una fondamentale riflessione sui linguaggi dei nuovi mezzi di comunicazione, da quello fotografico a quello televisivo. La fotografia, in particolare, è per l’artista strumento per eccellenza, sia di documentazione sia di autonoma espressione artistica. Franco Vaccari partecipa attivamente al dibattito e alla scena artistica italiana anche con attività di laboratori, quindi a stretto contatto con gli artisti più giovani. La riflessione critica dell’artista prende le mosse da un’indagine sullo strumento della macchina fotografica, con l’introduzione, in un famoso testo [Fotografia e inconscio tecnologico; Agorà Edizioni, 1994], del concetto di “inconscio tecnologico” [appunto]. «Il rapporto con la “macchina” è un momento
Allestita a Milano tra la fine del 1978 e l’inizio del 1979, Fotografia: professione, mito e responsabilità ha rappresentato una fondamentale riflessione esistenziale e di contenuti sul mestiere, curata dall’Afip (Associazione Fotografi Italiani Professionisti). Tra realtà e sogno, nella sezione Composit e fototessere le non curate fototessere delle modelle furono combinate con loro ritratti per la moda e pubblicità (realizzati da Franco Bottino in contesti di straordinaria attenzione alle luci, al trucco e alla posa).
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genere, a volte da lui stesso provocati». Alla Biennale, nella sua sala personale, Franco Vaccari installò, appunto, una cabina automatica per fototessere, usata dal pubblico per una esposizione progressiva di opere. Da un’intervista di Franco Vaccari rilasciata a Paolo Giuliani il 24 marzo 2003. Domanda: «Dal 1969 comincia ad avvicinarsi alle tecnologie e ai nuovi mezzi di comunicazione, la fotografia e il video. Con le Esposizioni in tempo reale inventa un nuovo modo di fare arte, una nuova concezione, mostrando nel “tempo reale” il costruirsi dell’opera stessa. Come sono nate queste opere e in particolare, la più famosa, quella presentata alla Biennale di Venezia del 1972?». Franco Vaccari risponde e spiega: «Sarebbe un po’ lungo da raccontare. Mi limiterò a dire che quando ho sentito l’esigenza di battezzare quello che stavo facendo con la formula “esposizione in tempo reale” i termini allora di moda erano: istallazione, azione, environment, happening; nessuno di questi termini era però in grado di riflettere la struttura dei miei lavori. In questi c’era un grado in più di libertà legato al “feedback” o “controreazione”, che permette di aprirsi al caso in modo sostanziale. Il progetto, realizzato poi alla Biennale di Venezia del 1972, risaliva al 1970, quando doveva essere attuato per la grande mostra Arte & Critica ’70, ma l’allora sindaco della città lo bloccò. È stato meglio così».
IL MEGLIO DI TE Realizzata nel 1997 per conto del Comune di Mariano Comense, in provincia di Como, dai Laboratori di Fotografia della Sezione Grafica Pubblicitaria dell’Istituto Statale d’Arte di Giussano (professore Attilio Mina), la monografia Identità racconta di Mariano in fototessera nelle immagini dei Tagliabue Fotografi 1960-1968. La combinazione delle fototessere in successione rappresenta un autentico Caleidoscopio della memoria, attraverso il quale la cittadina si osserva nei volti “ufficiali” dei propri abitanti. Sottolineiamo che la copertina è comprensiva di una lastra originaria d’epoca 10x15cm, che rivela la scomposizione del negativo in quattro.
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centrale nel percorso di Franco Vaccari, che, capovolgendone la visione “umana” e dominatrice dello strumento vissuto come pura estensione delle facoltà percettive, si dichiara a favore di una integrazione tra la struttura profonda (inconscio tecnologico) propria della fotografia, connessa con una struttura “superficiale” guidata dall’uomo. «La ricordata Esposizione in tempo reale n.4: lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio segna l’inizio di una serie di operazioni -le esposizioni in tempo reale- attraverso le quali Franco Vaccari ha utilizzato il video e la fotografia per documentare in diretta accadimenti di diverso
Rientrando nei canoni propri e caratteristici della fototessera, ancora due sono le annotazioni d’obbligo. La prima, che può essere estesa a tutta la fotografia in posa consapevole (non solo in sala di posa), riguarda la voglia e volontà dei soggetti di apparire al meglio di se stessi, accomodandosi prima di presentarsi all’obiettivo: azione del “regista” del citato Bellavista di Luciano De Crescenzo; non azione dei protagonisti della serie Hilhaven Lodge, che entrano in cabina senza sessioni di trucco né con l’ausilio di illuminazioni compiacenti (ma flash diretto); gesto spontaneo di chi viene puntato da un obiettivo. La seconda, si riferisce al Tempo, trascorso il quale il ritratto/fototessera può assumere altri valori aggiunti. Sul fronte del “meglio” va ricordata una fantastica campagna Polaroid della seconda metà degli anni Ottanta, quando la competizione commerciale nell’ambito della fototessera contrapponeva l’asetticità della cabina automatica al servizio professionale dei fotonegozianti, che appunto operavano con la fotografia a sviluppo immediato polaroid. A favore di questo, inventando l’identificazione Studio Express Polaroid (con richiami evidenti sul punto vendita), la filiale italiana avviò una intensa campagna conoscitiva: affissioni stradali e promozioni mirate. Sui concetti di “Scopri la tua vera identità” e “Ecco la prova che in un solo minuto può cambiare tutto”, per gli Studio Express vennero realizzati richiami estremamente efficaci. Due sopra tutti, uniti dalla comune esortazione (headline?) Chi tira fuori il meglio di te in un minuto?, furono visualizzati da efficaci testi-
moni: Pinocchio tiene tra le mani la fototessera di un bel bambino ordinato e il ranocchio delle favole la fototessera di un principe (a pagina 36). Dalla bellezza della vita reale alla proverbiale astrazione della fototessera, per molti sinonimo di brutto ritratto, si arriva a una delle esposizioni allestite dall’associazione di categoria Afip (Associazione Fotografi Italiani Professionisti), ai tempi riferimento qualificato e prestigioso. All’interno dell’ampio contenitore Fotografia: professione, mito e responsabilità, all’autorevole Rotonda di via Besana a Milano, dal 15 dicembre 1978 al 28 gennaio 1979, La fototessera fu uno dei capitoli dell’approfondimento. Ma, tornando a quei lontani giorni, ancora più significativa fu la sezione Composit e fototessere, nel cui contesto le non curate fototessere delle modelle furono contrapposte a loro ritratti per la moda e pubblicità (realizzati da Franco Bottino, maestro della fotografia di beauty, in sessioni professionali di straordinaria attenzione alle luci, al trucco e alla posa). Come dire, e forse fu detto: realtà e sogno (a pagina 37). Poi, c’è il Tempo. E qui corre l’obbligo ricordare una monografia realizzata nel 1997 per conto del Comune di Mariano Comense, in provincia di Como, dai Laboratori di Fotografia della Sezione Grafica Pubblicitaria dell’Istituto Statale d’Arte di Giussano (cui vanno attribuiti l’ideazione, il progetto grafico, l’impaginazione e la stesura dei testi di accompagnamento; professore Attilio Mina). Segnalataci da Maria Teresa Citterio di Giussano, in provincia di Milano, Identità sottolinea subito il proprio indirizzo: Mariano in fototessera nelle immagini dei Tagliabue Fotografi 1960-1968 (con negozio in via Ripamonti 37). Come sottolinea il testo introduttivo, la combinazione delle fototessere in successione rappresen-
ta un autentico Caleidoscopio della memoria, attraverso il quale la cittadina osserva se stessa nei volti “ufficiali” dei propri abitanti. A margine, ma neppure poi tanto, dopo aver sottolineato lo spessore dei testi di accompagnamento, osserviamo che la monografia (pagina accanto) si arricchisce di una fantastica copertina, in cartone rigido argentato, all’interno della quale è collocata una lastra originaria d’epoca 10x15cm, che rivela la scomposizione del negativo in quattro pose distinte, presentate all’obiettivo di ripresa in tempi successivi con un sistema di scamottaggio. (A questo proposito, richiamiamo ancora la paternità di André Adolphe Eugène Disdéri, che a metà dell’Ottocento ridusse drasticamente i costi di produzione del ritratto, proprio scomponendo la lastra originaria in quattro pose. Riducendo il formato di esposizione, creò il ritratto definito carte de visite. Contro i circa cento franchi di un ritratto “d’autore”, per venti franchi Disdéri consegnava ai propri clienti dodici fotografie).
REPORTAGE Su un certo “abuso” e cattivo uso di fototessere potremmo dire molto. Ci limitiamo a osservare che in altre realtà geografiche, Stati Uniti soprattutto, i personaggi pubblici si sottopongono a sessioni di ritratto, rivolgendosi spesso ad affermati autori. A differenza, molti personaggi pubblici italiani usano la semplice fototessera per presentarsi sulla scena: nelle monografie aziendali, sulla guida del Parlamento, in campagna elettorale. Però, sulla scorta di altre intenzioni o necessità, in tempi a noi vicini la fototessera (e dintorni) è salita agli onori di qualificati reportage e richiami giornalistici primari. Due copertine dell’edizione mensile di Life sono
Due copertine dell’edizione mensile di Life sono state antesignane dell’attuale rivisitazione della fototessera. Agosto 1995: a un anno dalla scomparsa di Jacqueline Kennedy, rievocazione con collegamento al marito, presidente John F. Kennedy, attraverso una serie di tre fototessere da cabina. Estate 1996: numero speciale sulla generazione dei boomers, visualizzato con ventiquattro fototessere semi-adolescenziali dei personaggi, recuperate dalle rispettive partecipazioni al Club di Topolino.
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L’edizione libraria Taliban raccoglie i fotoritratti di guerriglieri talebani recuperati dal reporter Thomas Dworzak dell’agenzia Magnum Photos in uno studio fotografico abbandonato di Kandahar, Afghanistan, quartier generale del teorico dell’integralismo Mullah Omar (Trolley Books, 2003; 65 fotografie; 128 pagine 15x20cm, cartonato; 25,00 euro). I contesti delle pose, che rivelano l’immagine che i guerriglieri avevano di sé, sono sconcertanti: immancabile presenza di armi, vistose colorazioni, fondi di alpi svizzere. Soli o in gruppo, sono assassini che hanno lasciato una paradossale annotazione della propria presenza.
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state antesignane dell’attuale rivisitazione della fototessera, soprattutto nel senso di Photobooth statunitense, cui è dedicata l’omonima monografia di Babbette Hines, citata in apertura e approfondita sulla pagina accanto. Nell’agosto 1995, a un anno dalla scomparsa, Life dedicò la propria copertina a Jacqueline Kennedy, la moglie del presidente ucciso a Dallas nel novembre 1963, nata Bou-
AUTENTICO FENOMENO
A
ttenzione: proprio così; non “fenomeno autentico”, che sarebbe altro. Quello della fototessera, soprattutto da cabina automatica, che si allunga sull’autoritratto, si sta delineando come “autentico fenomeno”, con tanto di riferimenti ormai d’obbligo in Rete: segnaliamo la community che si incontra in www.photobooth.net, la testimonianza di espressioni attuali, con anche intenzioni creative, di www.andreascher.com/photobooth, e la specializzata Wade’s Photobooth Gallery, con relativo sito www.photobooth.org. In ogni caso, come annotiamo nel corpo centrale dell’attuale lungo e sostanzioso intervento redazionale, la concreta affermazione del fenomeno, oppure la propria traccia di partenza, si deve alla fondamentale e discriminante monografia Photobooth di Babbette Hines. A parte la consistente galleria di immagini, efficacemente non cronologiche (che noia, altrimenti), che occupano l’insieme delle pagine del volume, sono significativi i testi a commento (in inglese): colta è la prefazione di Lawrence Weschler e autenticamente approfondita è la ricostruzione dell’autrice, che parte da considerazioni ed esperienze personali, per allungarsi sulla storia della cabina automatica, fino alle relative implicazioni sociali ed estetiche. Di fatto, con una trattazione a dir poco esemplare, Babbette Hines identifica e sottolinea la cifra stilistica del fenomeno, in quanto tale e nella propria attuale declinazione artistica, andandolo a iscrivere nel lungo processo dell’evoluzione stessa del linguaggio visivo. Del resto, la sua eccellente attenzione al costume fotografico è lodevole, oltre che invidiabile, soprattutto dal punto di osservazione italiano, totalmente ripiegato su se stesso, privo della benché minima serenità di intenti. Titolare di una accreditata galleria, Babbette Hines rivolge la propria riflessione ai fenomeni del costume fotografico, tra cui la cabina automatica, osservato come anche noi vorrem-
mo personalmente fare, e purtroppo non troviamo né terreno fertile, né terreno da fertilizzare, né riceviamo adeguato credito. La galleria Found: Photo (620 Moulton Avenue, Studio 204, Los Angeles, CA 90031, Usa) si presenta in un affascinante sito, www.thefoundphoto.com, ricco di tutti gli indirizzi verso i quali si rivolge. Non ci guida e indirizza solo un interesse e gusto personale, ma qui trovano degna ospitalità tutti i fenomeni quotidiani che definiscono l’aspetto autenticamente sociale della fotografia: dalle istantanee familiari alla presenza dell’apparecchio fotografico nell’inquadratura, dall’album alla fotoricordo. Questa sì è Storia sociale! Photobooth; di Babbette Hines; prefazione di Lawrence Weschler; Princeton Architectural Press, 2002; 224 pagine 15x20cm, cartonato con sovraccoperta; 19,95 dollari.
vier. Il collegamento a John F. Kennedy è stabilito da una serie di tre fototessere da cabina, che la coppia realizzò nei primi momenti della propria frequentazione (a pagina 39). A parte il richiamo giornalistico a una vantata esclusività (le fotografie private di Jack e Jackie innamorati, mai pubblicate in precedenza), lo strillo di copertina è collegato e intrigante: «I have never met anyone like her. Do you want to see what she looks like?»; ovvero «Non ho mai incontrato nessuno come lei. Volete vedere a cosa assomiglia?» (John F. Kennedy descrive Jacqueline Bouvier, 1953). A seguire, l’estate successiva, Life realizzò un numero speciale sulla generazione dei boomers -i nati nell’epoca del “baby boom”, dal 1946 al 1964-, andando a presentare cinquanta personaggi influenti sulla storia contemporanea degli Stati Uniti. A parte altre considerazioni, che abbiamo approfondito in un tempestivo intervento redazionale (FOTOgraphia, settembre 1996), nell’odierno contesto sottolineiamo la copertina costruita con ven-
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L’attentato di Hebron del 20 agosto 2003 è stato presentato dal londinese The Times con una fotoricordo familiare dell’attentatore suicida Raed Abdel Misk: «Ritratto di un padre di famiglia che ha massacrato bambini».
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tiquattro fototessere semi-adolescenziali dei personaggi, ascoltate bene... recuperate dalle rispettive adesioni al Club di Topolino! Alcuni sono riconoscibili; altri sono autentiche sorprese. Alcuni nomi sarebbero prevedibili, nel proprio riferimento al Club, altri meno. Tra gli insospettabili, riconoscibili o meno (a pagina 39), citiamo: Spike Lee, John Belushi, Hillary Clinton, O.J. Simpson, Bill Clinton, Madonna, Steven Spielberg, Steven Jobs, Michael Jackson, Bill Gates, Michael Jordan, Karen Silkwood, Stephen King, Oliver Stone. Al presente della fototessera nel giornalismo registriamo, infine, un caso clamoroso e un altro rappresentativo di una possibile genìa. Con ordine. Assolutamente singolare è la raccolta di fotoritratti di guerriglieri talebani, recuperata dal reporter Thomas Dworzak dell’agenzia Magnum Photos in uno studio fotografico abbandonato di Kandahar, Afghanistan, quartier generale del teorico dell’integralismo Mullah Omar. L’ha trovata entrando in città assieme alle truppe vittoriose, che ha seguìto per conto del mensile New Yorker. L’insieme dei ritratti rivela l’immagine che i guerriglieri avevano di sé e avrebbero voluto esternare, indipendentemente dalle oscurantiste imposizioni religiose dei propri capi. I contesti sono sconcertanti; a parte l’immancabile presenza di armi, soprattutto il famigerato Kalashnikov, le vi-
stose colorazioni artificiose danno risalto ai fondi di alpi svizzere, con tanto di immancabili chalet, e alle tinte grigie e marroni ufficialmente proibite. Soli o in gruppo, sono assassini fuggiti di fronte all’avanzata del nemico, lasciano una paradossale annotazione della propria presenza. Che, appunto, diventa consistente materia di reportage, raccolto anche nel volume Taliban (a pagina 40). A conclusione di un lungo percorso, sulla medesima lunghezza d’onda annotiamo il caso del londinese The Times del 21 agosto 2003. All’indomani di una terribile esplosione a Hebron, che causò la morte di venti civili, cinque dei quali bambini, l’attentatore suicida Raed Abdel Misk viene presentato attraverso una fotoricordo familiare, parente stretta della fototessera. Sopra il volto sereno e sorridente dell’attentatore con i braccio i due figli Moumen e Samir, apertamente citati nell’articolo (in barba alle leggi etiche e deontologiche di tutela dei minori: a patto che il loro colore sia quello giusto), il titolo è esplicito: «Ritratto di un padre di famiglia che ha massacrato bambini» (qui sopra). Le vie del giornalismo, al pari di quelle della vita, sono infinite. Così come lo sono quelle della fototessera, dalla propria originaria dimensione utilitaristica all’autoritratto, all’arte, alla cronaca. Maurizio Rebuzzini
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P
oco nota in Italia, dove continuiamo a girare attorno una schiera nota di nomi nazionali e internazionali (sempre più gli stessi), la newyorkese Merry Alpern (classe 1955) è un’autrice che si sta affermando nel mercato mondiale della fotografia espressiva. Curiosamente, il mondo dell’arte, quantomeno quello che include la fotografia nei propri orizzonti, sta dando peso e spessore a due serie fotografiche di Merry Alpern nate e realizzate con intendimenti visivi originariamente estranei alla ricerca pura. Questo, per distinguere le fotografie di Merry Alpern dall’insieme della fotografia appositamente subito concepita e creata già per una propria unica collocazione artistica. La definizione e identificazione delle due serie di Merry Alpern, alle quali stiamo per riferirci, dipende dalle intenzioni ed esperienze individuali. Si possono collocare all’interno del fotogiornalismo, come anche in altri ambiti, fino a intendimenti sociali e sociologici, magari retaggio degli studi in sociologia (appunto) dell’autrice. Entrambi datati nella seconda metà degli anni Novanta, i due lavori che oggi accostiamo sono stati raccolti in volume dall’autorevole Scalo Verlag di Zurigo, illuminata casa editrice attenta alle espressioni contemporanee della fotografia (già l’abbiamo scritto: è un editore da seguire con profonda concentrazione; FOTOgraphia, aprile 1997): scattate nel 1993-94, le fotografie di Dirty Windows sono state pubblicate nel 1995 e quelle di Shopping, del 1997, nel 1999. Come abbiamo esordito, tempisticamente estranei all’attualità delle riprese, come anche a quella delle edizioni librarie, riflettiamo oggi su questi due progetti alla luce della recente affermazione nel mercato del collezionismo e dell’arte delle fotografie di Merry Alpern, rappresentata dalla prestigiosa Bonni Benrubi Gallery di New York (41east 57th street, tredicesimo piano; www.bonnibenru-
Originariamente realizzate con altre intenzioni e finalità espressive, due serie fotografiche della newyorkese Merry Alpern sono oggi ben quotate nel mondo dell’arte. Punto in comune di Dirty Windows e Shopping, raccolte in volume da Scalo Verlag, è un identificato voyeurismo fotografico. In successione, parliamo di fotografia e di propria proiezione nell’arte e collezionismo. Per concludere con richiami cinematografici al piacere e bisogno (anche morboso) di contemplare attraverso la mediazione di uno strumento tecnico
VOYEUR D’ARTE
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SGUARDI INDISCRETI
Con una videocamera occultata nella borsa della spesa, Merry Alpern ha osservato l’universo femminile attraverso i riti dello shopping, da cui il titolo della relativa monografia. Ora queste immagini sono quotate nell’ambito della fotografia artistica.
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bi.com). [Attenzione: la distinzione tra le gallerie fotografiche di New York si basa anche sull’indirizzo. A Chelsea, come fino a qualche anno fa a SoHo, è oggi localizzata e centralizzata la massima quantità di gallerie moderne; nei quartieri alti, come è l’area della Cinquantasettesima strada, hanno sede le gallerie internazionalmente più rinomate e affermate. Per esempio, allo stesso civico 41east, che corrisponde al Fuller Building, si trovano anche la Howard Greenberg Gallery e la Katharina Rich Perlow Gallery].
Diversi da ogni punto di vista fotografico Dirty Windows (in raffinato bianconero, ripreso con sistemi tradizionali) e Shopping (in etereo colore, da fotogrammi video) condividono la propria essenza. Entrambi i lavori sono stati realizzati gettando sguardi indiscreti e nascosti sulla vita altrui. Come abbiamo titolato, si tratta di una forma di voyeurismo che si manifesta attraverso strumenti di visione ottica: macchina fotografica con teleobiettivo, nel caso di Dirty Windows, e telecamera nascosta nella borsa della spesa, in quello di Shopping. Per Dirty Windows, finestre sporche (non nel senso igienico, ma in quello di “indecente”), Merry Alpern ha fotografato da un loft di amici, a un piano alto di un palazzo del Financial District di New York, dirimpetto a un sexy club di bassa categoria e dubbie frequentazioni. Puntando il teleobiettivo sulla finestrella di un gabinetto, ha sistematicamente registrato una clamorosa serie di incontri e intrallazzi: scambi di denaro, sesso rapido, passaggi di sostanze stupefacenti e altri traffici del tipo. Sia l’azione dei soggetti ripresi, ignari e loro malgrado, sia quella della fotografa sono ugualmente al limite della legalità. A differenza, l’operazione fotografica è almeno decente; oltre che coinvolgente ed emozionante: sia sfogliando le pagine della monografia, sia nella visione degli originali fotografici (impeccabilmente stampati in 20x16 pollici / 50,8x40,6cm,
prodotti in edizioni limitate di trenta esemplari e venduti a tre-quattromila dollari ciascuno). Simile nelle conclusioni, ma profondamente diversa nello svolgimento e realizzazione, Shopping è una serie fotografica che l’autrice dichiara essere stata sollecitata dalla propria patologica frequentazione di negozi e magazzini di abbigliamento. Qui, Merry Alpern ha agito armata di una videocamera occultata nella borsa della spesa. Il panorama che ne ha ricavato è quello di un universo femminile osservato con occhio a dir poco cinico: donne di tutte le età (e taglie) tra banchi di esposizione, pochi, e camerini di prova, la maggior parte. Anche in questo caso, potremmo censurare l’etica di questa azione fotografica su e con soggetti altrettanto ignari e inconsapevoli. Però, alla resa dei conti, ahinoi, la forza e il vigore di queste immagini sono tali da farci soprassedere sull’autentica violazione dell’esistenza altrui (in galleria, ingrandimenti 20x24 pollici / 50,8x61cm, 1500 dollari). In fondo, Merry Alpern non ha (avrebbe?) fatto nulla di male. O no?
ESPRESSIONE VISIVA A questo punto, prima di continuare e arrivare all’essenza del nostro commento, è doverosa una precisazione. Personalmente, apprezziamo le fotografie di Merry Alpern. Egoisticamente, non siamo stati inquadrati dalla sua impietosa visione, e quindi possiamo accostare le sue immagini con il consueto distacco intellettuale. Ok: sono indiscutibilmente fotografie di grande valore. Soprattutto la serie di Dirty Windows merita un proprio spazio di prestigio nella storia evolutiva del linguaggio fotografico. È un lavoro di spessore, che dà lustro alla fotografia nel proprio insieme (tra l’altro, se la me-
moria non ci inganna, ricordiamo anche che la monografia avrebbe meritato una prestigiosa segnalazione; forse ad Arles, o altrove: ma questa è un’altra storia, o forse un capitolo della stessa). Le fotografie di Merry Alpern ci piacciono e coinvolgono. Però! Però una domanda ci sorge spontanea. È una domanda che si ripete spesso, quantomeno ogni volta che si affronta il discorso della fotografia d’arte, della fotografia che non si esaurisce in utilizzi professionali (dal giornalismo alla pubblicità, al catalogo, alla moda), ma si proietta nel collezionismo. Ecco la domanda: per quanto alcuni stilemi del professionismo finalizzato possano coincidere con un gusto visivo generale e generalizzabile, altri ci paiono contraddittori. Spieghiamoci. L’insieme delle fotografie di tanti autori-poeti (come è una riconosciuta scuola francese: Henri Cartier-Bresson, Willy Ronis, Robert Doisneau, Edouard Boubat) non si esaurisce certo nell’utilizzo primario e originario. Altrettanto pensiamo di molta fotografia di moda, apprezzata e apprezzabile individualmente anche al di fuori della propria collocazione e finalità di partenza. Quindi, rimaniamo perplessi quando il mondo dell’arte fa proprie fotografie di reportage (tanto per esemplificare) dalle tinte forti. Per esempio, in una prestigiosa galleria newyorkese abbiamo visto in vendita ingrandimenti clamorosi (per dimensione) di crude fotografie
Dirty Windows raccoglie fotografie che Merry Alpern ha realizzato dal piano alto di un palazzo del Financial District di New York. Puntando il teleobiettivo sulla finestrella del gabinetto di un sexy club di bassa categoria e dubbie frequentazioni, ha sistematicamente registrato una clamorosa serie di incontri e intrallazzi.
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ne e propone per la forza devastante di un pugno nello stomaco (molte volte, fine a se stesso). Nonostante tutto, tra i tanti possibili, il caso delle fotografie di Merry Alpern ci pare sintomatico ed emblematico.
VOYEUR
Dirty Windows, di Merry Alpern; Scalo Verlag, 1995 (Schifflände 32, CH-8001 Zurich, Svizzera; 0041-44-2610910, fax 0041-44-2619262; www.scalo.com, info@scalo.com); 110 pagine 24x29,5cm, cartonato con sovraccoperta; 39,95 dollari.
Shopping, di Merry Alpern; Scalo Verlag, 1999; 158 pagine 24,5x22cm, cartonato con sovraccoperta; 55,00 euro. (Books Import, via Maiocchi 11, 20129 Milano; 02-29400478, fax 02-29515254).
della guerra in Vietnam di Larry Burrows, certamente grande fotoreporter. La domanda si precisa: sono fotografie da appendere a parete? qualcuno si appende veramente in salotto un corpo sanguinante, devastato da bombardamenti? oppure si tratta di soli investimenti finanziari, garantiti dal mercato e dai mercanti? Lo stesso, per estensione, riguarda proprio Merry Alpern: c’è una forma di collezionismo fotografico che contempla l’apprezzamento di una fuggitiva fellatio clandestina o di una casalinga che prova una vestaglia in camerino? Ovvero: questo collezionismo, che effettivamente esiste, è tale perché il mercato garantisce l’investimento monetario, o è tutto farina del proprio sacco? Del resto, siamo consapevoli che la fotografia d’arte, che nasce con questo intendimento, non è certo sempre accomodante con le proprie rappresentazioni. Anche qui, non ci sono campi di fiori sbocciati al sole, ma spesso e volentieri i soggetti sono truculenti e provocatori. Per quanto molta arte visiva contemporanea sia introspettiva e diaristica (la vita interiore dell’autore), altrettanta arte contemporanea si impo-
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Con questo, consideriamo risolto l’aspetto galleristico della vicenda, che ha lasciato solo domande in sospeso (a monte delle quali certifichiamo di non aver alcuna prevenzione per l’arte contemporanea, ma solo per talune proprie manifestazioni, come già annotato nell’editoriale del giugno 2003, all’indomani della rassegna d’arte MiArt). A seguire, non possiamo ignorare l’affinità che unisce e definisce i due lavori fotografici più noti e conosciuti di Merry Alpern. Già l’abbiamo annotato, si tratta di forme evidenti ed esplicite di voyeurismo. Addirittura, si approda a quella scopofilia, che si manifesta con il bisogno morboso di contemplare, anche/soprattutto attraverso la mediazione di uno strumento tecnico, quali sono quelli cinematografici e fotografici. In questo senso si possono registrare clamorosi precedenti messi in scena dal cinema, per propria natura strumento di “contemplazione”. Una citazione d’obbligo, prima di quella conclusiva, che a giro tondo tornerà alla fotografia, è per il leggendario L’occhio che uccide di Michael Powell (Gran Bretagna, 1960). Qui, addirittura, la cinepresa è strumento di morte, usata anche per riprendere il terrore delle vittime che si rendono conto di ciò che sta succedendo. Metafora sull’arte della visione, l’opera di Powell è anche un geniale saggio sul cinema come voyeurismo, in questo caso arricchito di necrofilia e scopofilia. Prima di Powell, nel proprio periodo americano, un altro celeberrimo regista inglese ha messo in scena le complesse relazioni che legano l’apparecchio fotografico alla voglia di guardare, ovverosia spiare (attività nella quale lo stesso Alfred Hitchcock si dilettava). Ecco quindi che un fotoreporter immobilizzato da un incidente sul lavoro usa il teleobiettivo per scrutare nell’intimità degli appartamenti di fronte al suo. Ambientato al Greenwich Village di New York, quando era ancora un’area povera, La finestra sul cortile del 1954 è più che un classico: addirittura un cult, sia per gli amanti del film giallo, sia per chi si occupa di fotografia, sia per i cinefili. Infatti il film si segnala anche per particolari scelte tecniche, tra le quali spicca la scenografia unica, che impone allo spettatore di guardare tutto dal punto di vista del protagonista: James Stewart che scopre un assassinio e che resiste a una aggressione difendendosi a colpi di flash a lampadine, che accecano il pur coriaceo Raymond Burr (il televisivo Perry Mason e Ironside). Note di cronaca spicciola: all’inizio del film sul tavolo si intravede una Speed Graphic, o similare, mentre per le sue osservazioni a distanza James Stewart usa una Exakta reflex con teleobiettivo Kilfitt. Alessandra Alpegiani e Maurizio Rebuzzini
MARCO BUONOCORE
Natura, sguardi e momenti DAL 30 SETTEMBRE AL 29 OTTOBRE Così come in una grande orchestra, ogni piccolo elemento partecipa al mantenimento di un’unica armonia. E l’essere umano?
Sabato 29 - 10 - 2005
Workshop di Roberto Rocchi Franco Marocco Arpad Kertesz
Per iscrizioni telefonare al numero 06 5344764
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ante le opinioni al proposito. C’è chi le chiama coincidenze, chi destino o fato. Io preferisco dire che niente avviene per caso [prendiamola larga: da Caso e necessità di Publio Cornelio Tacito, in Annales, VI, 22, a Il caso e la necessità di Jacques Monod, pubblicato da Mondadori in edizioni successive, a partire dal 1970]. Quando una serie di avvenimenti portano a pensare assiduamente a un solo argomento, vuol dire che è tempo di curiosare dentro questo tema, vedere, capire, domandare. È stato così che ho iniziato a interessarmi a quelle figure, divenute onnipresenti, chiamate angeli. Un particolare stato emotivo personale ha favorito l’evolversi di una ricerca espressiva, che in un primo momento poteva
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Ottobre, mese degli angeli. Barbara Zonzin, fotografa veronese, sta componendo una galleria di interpretazioni dell’angelo, che viene anticipata in una collettiva a tema, insieme a sculture e gioielli. Guidata da approfonditi studi, compila rappresentazioni in equilibrio tra visioni fantastiche e concretezza della raffigurazione fotografica
MESSAGGERI DEL COLORE
MESE DEGLI ANGELI
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li Angeli di Barbara Zonzin sono esposti a XX.9.12 Gallery Studio, via Venti settembre 12, 37129 Verona; www.xx912.it, xx.9.12@virgilio.it: dal 2 al 30 ottobre; mercoledì-domenica 16,00-20,00. Durante il mese, nel quale si celebrano gli angeli, le fotografie sono inserite in una mostra collettiva, che si completa con sculture di Raffaella Robustelli e gioielli e simbologie di Alessandra Passerini. A completamento, sono programmati interventi che affrontano il denominatore comune degli angeli. Dettagli e programma completo al sito della galleria; in estratto: Daniela Campagnola, Angeli protagonisti del Trecento (7 ottobre) e Angeli antichi (14 ottobre); Susanna Benetton, presentazione Thetahealing (8, 28, 29 e 30 ottobre); Riccardo Mauroner, Angeli nella letteratura. Rilche e Kafka (21 ottobre).
sembrare insignificante, ma che, proseguendo, si è rivelata piena di spunti e sorprese. La prima persona che mi parlò di angeli (definisco con un’unica parola il vasto e complesso argomento, troppo per essere spiegato ora, che racchiude gerarchie, simbologie, definizioni, religioni a molto altro) fu Alessandra Passerini, pittrice e amica, che da anni si interessa della loro simbologia per portarla su tela o trasformarla in gioielli. Mi raccontò di alcuni vecchi libri trovati per “caso”, che ancora oggi troneggiano sugli scaffali della sua libreria. Mi disse che loro, gli angeli, sono attorno a noi, ci parlano e proteggono; discutibile, ma molto romantica affermazione. Anch'io, tra i miei libri, ho ritrovato un volume illuminante: Incontro con l’Angelo di Gianni Franceschini, attore e pittore veronese che ha dedicato un’intera serie di opere agli angeli. Siamo amici da qualche anno, e in un incontro richiesto e sollecitato mi ha raccontato la sua esperienza con un angelo, vissuta in prima persona. E poi le riviste di moda, i libri fotografici, i video musicali... tutto mi ha offerto spunti per pensare agli angeli. Delle due, una (o entrambe): o tutti ne stavano parlando troppo, o io ero l’unica a non averlo ancora fatto. Ho ascoltato e assecondato la mia parte più infantile (o creativa o istintiva, che dir si voglia), e mi sono buttata a capofitto in quella che possiamo definire angelologia: soprattutto libri di preghiere e volumi di storia dell’arte, sui quali studiare le caratteristiche degli angeli. Ho scoperto come ogni cultura religiosa li rappresenti in maniera diseguale e che le loro ali non sono mai viste candide, ma piuttosto colorate; ancora, il loro legame con la Cabala e come poterli contattare nel proprio ruolo di protettori e custodi. Sono suddivisi in gerarchie, ognuna con proprio colore specifico. Sono partita da questo per iniziare a dar forma al mio progetto fotografico, cioè a dar vita a un angelo che nella propria essenza rappresenti simultaneamente una forma autoritaria ma benevola di potere: oro, argento, indaco, blu, rosso, arancio, giallo, violetto, verde. Sono anche i colori dell’arcobaleno, le fasi colorate che si attraversano durante il rilassamento di certe pratiche orientali e i colori che ho utilizzato per dipingere il mio studio fotografico a Verona: per non scordarmi mai che la luce è fatta di colori e che ogni colore racchiude un’emozione, che le emozioni fanno fortunatamente parte della nostra vita quotidiana, siano esse positive o negative. Questo progetto mi ha fatto incontrare i miei personali “angeli custodi”, quali Cristina Ironci, truccatrice, che ha aderito e collaborato con entusiasmo e creatività, interpretando tutti gli allestimenti scenici in maniera impeccabile, Martina Poiana, artista e grafica, che mi ha dato validi suggerimenti dentro e fuori le fotografie, e tutti gli amici che hanno posato e poseranno per me. Barbara Zonzin
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NUDI DIRETTI
( ESPLICITI? ) S
ulla fotografia di nudo si sono versati fiumi di inchiostro, che hanno alimentato infinite espressioni dell’interpretazione visiva del corpo, soprattutto femminile, ma in identificati casi anche maschile. Parrebbe che non ci sia altro da aggiungere, per un capitolo e manifestazione della fotografia frequentata da numerosi autori celebrati e da una sostanziosa schiera di autori non professionisti, svincolati da incarichi per riviste, monografie a tema o pubblicità (che fa, o ha fatto, grande utilizzo del nudo femminile per promuovere una infinità di prodotti). La distinzione tra nudo e pornografia è spesso fuori luogo, perché è andata a individuare aprioristicamente, dando paternità artistica non tanto alla raffigurazione del nudo, quan-
Due doppie raccolte fotografiche di Vincenzo Marzocchini riuniscono una diversificata serie di nudi femminili: oltre la pertinente lezione espressiva, sottolineata da gesti fotografici declinati con competenza (dall’infrarosso alla composizione, alla sfericità fisheye), registriamo il coinvolgimento con femminilità reali e dirette. Appassionanti
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una approfondita ricerca sul rapporto tra fotografia e letteratura (appunto La fotografia stenopeica, pubblicata in edizione propria, e Letteratura & Fotografia. Scrittori poeti fotografi, con la Casa Editrice Clueb; in FOTOgraphia dell’aprile 2004 e aprile 2005); la seconda ospitando una seducente riflessione sul valore implicito della fotografia a foro stenopeico (La lentezza stenopeica; FOTOgraphia, giugno 2004). Nelle proprie convinte raffigurazioni del nudo femminile, qual è il valore aggiunto, il merito stilistico del cofanetto Infrared & the natural dreams (due volumi autonomi: Ghiribizzi e Forme oniriche), pubblicato da Campanotto Editore nel 2000, e Mela e Morfosi, altri due volumi autonomi, raccolti in cofanetto (Mela & Morfosi ) e pubblicati in proprio nel 2003? Presto rilevato e annotato: quello di essere serenamente ciò che anticipano e promettono di essere. In entrambi i casi, l’autore Vincenzo Marzocchini non esce dal seminato, né richiama con inviti falsi. In ogni caso, il suo gesto, il suo segno è diretto ed esplicito, almeno tanto quanto lo sono, nella concretezza delle singole immagini, le sue visioni, delle quali propone la condivisione. Quindi, improvvisamente, della fotografia di nudo scopriamo che c’è altro da dire, scrivere, annotare to alla statura dell’autore. Così assume autorevolezza contemporanea quell’aforisma di Oscar Wilde, sempre lui, che distingue in modo netto l’artisticità dalla pornografia, passando appunto per il riconoscimento dell’autore. In sintesi, si vorrebbe artistico quanto fatto da un proprio amico e pornografica la stessa realizzazione di autore non conosciuto, non frequentato. Dopo di che, in termini attuali, possiamo liquidare in fretta la mera rappresentazione dell’atto sessuale, così come la raffigurano i periodici “per soli adulti” e, oggigiorno, i siti esplicitamente pornografici. Ma è un altro discorso, che non ci interessa, né coinvolge. Per quanto riguarda il nudo in sé, nella propria declinazione non professionale, ancora a distanza di tempo dalla propria raccolta in volume (volumi, in questo caso) sono significative due raccolte di Vincenzo Marzocchini, cultore della fotografia che si alterna tra la ripresa (e ne stiamo per parlare) e la riflessione teorica: e ne abbiamo già riferito in almeno tre occasioni. La prima e la terza, segnalando, rispettivamente, le pubblicazioni di un concentrata cronaca e storia della fotografia stenopeica e di
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Mela & Morfosi, due volumi in cofanetto, fotografie di Vincenzo Marzocchini, 2003 (Vincenzo Marzocchini, via Traversigne 13, 33015 Moggio Udinese UD; 0433-51639; laurabasso@libero.it); 36 e 36 pagine 15x15cm, cartonati; tiratura limitata per collezionisti. Infrared & the natural dreams, due volumi in cofanetto (Ghiribizzi e Forme oniriche), fotografie di Vincenzo Marzocchini; Campanotto Editore, 2000 (via Marano 46, 33037 Pasian di Prato UD; 0432-699390, fax 0432-644728; www.camapanottoeditore.it, edizioni@campanottoeditore.it); 102 e 96 pagine 17x24cm; 38,73 euro.
e riflettere. Prima di tutto, le osservazioni si concentrano sull’azione propriamente fotografica di Vincenzo Marzocchini, che declina un linguaggio visivo diretto, per nulla ammiccante. I suoi nudi, tema costante delle quattro raccolte, per quanto riunite in due edizioni librarie, sono esattamente tali: nudi femminili proposti e offerti senza ritrosia, né turbamento, tanto che non può assolutamente conseguirne alcun imbarazzo. Per realizzarli ha applicato diverse lezioni del linguaggio fotografico, edificato attraverso la convinta e consapevole mediazione tecnica. Non dilunghiamoci troppo, perché il tempo stringe e le osservazioni da riportare sono altre: Vincenzo Marzocchini è padrone dei propri mezzi espressivi, che applica con apprezzata capacità. Alternativamente, e secondo necessità, comunica facendo buon uso delle evocazioni proprie e caratteristiche del bianconero all’infrarosso (soprattutto in Forme oniriche e Ghiribizzi della raccolta Infrared & the natural dreams; a proposito, perché l’abuso di lingua inglese, quando l’italiano Infrarosso e i sogni naturali avrebbe colto ugualmente nel segno?), piuttosto che di tagli decisi alla composizione (nei Ghiribizzi), e anche dei rimandi di specchi inclusi nell’inquadratura (Morfosi) e della costruzione fotografica fisheye (ancora Morfosi ). Personalmente, ci sentiamo estranei alla combinazione nudo-mela, proprio e caratteristico, di Mela; ma, tant’è, è un discorso assolutamente personale, che si esaurisce in se stesso. Nella propria libertà espressiva, Vincenzo Marzocchini ha realizzato una convincente serie di nudi femminili. Affascinanti nel proprio insieme e in relazione all’indipendenza da vincoli precostruiti e precostituiti. Sono nudi diretti, richiami reali di vita, tanto quanto realistiche sono le sue modelle: seconda riflessione d’obbligo. Piene di vita, concrete, niente affatto eteree (come invece sono quelle dei nudi della moda e pubblicità), queste modelle non raffigurano mondi inesistenti, fatti di infinite sessioni di trucco, ma rappresentano una evidente femminilità, questa sì coinvolgente. Quasi si vorrebbe possedere fisicamente queste donne, che Vincenzo Marzocchini ha composto in inquadrature niente affatto segreganti, e che loro hanno convincentemente condiviso. Questa di Vincenzo Marzocchini non è certo una fotografia che può essere definita erotica, oggi che per erotismo si intende l’inutile e insolente raffigurazione di anatomismi espliciti. Però è una fotogra-
fia di sogno, come lui stesso certifica (i natural dreams/sogni naturali e le Forme oniriche). Eccezionali sono i suoi corpi veri (!) offerti con solare complicità. Che bello poter amare queste donne, prese dalla vita di tutti i giorni e offerte alla dimensione onirica della speranza. Angelo Galantini
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la produzione fotografica giapponese si è proiettata sul mercato/mondo internazionale. Nel farlo, l’industria orientale ha punto nel vivo un orgoglio produttivo europeo, che per qualche tempo si è creduto inattaccabile, irraggiungibile, intoccabile. Giorno dopo giorno, all’originario Giappone si sono successivamente accodate altre realtà produttive nazionali, nel cui ambito si consideri la coreana Samsung, una cui odierna combinazione tecnica ha sollecitato questo nostro attuale lungo giro di premessa.
IERI E OGGI In quei lontani anni, che ricordiamo sia per testimonianza diretta (non tutti, sia chiaro), sia per conoscenza indiretta, l’Europa fotografica osservò l’emergente industria orientale con superficialità e supponenza, rimanendo soprattutto concentrata su se stessa e le proprie radicate controversie. Lo scontro è stato titanico, oltre che privo di sbocchi: ogni contendente e tifoso rimase della propria opinione. Per fede, più che sulla base di effettivi riscontri oggettivi, due fazioni contrapponevano i sostenitori della qualità ottica Carl Zeiss a quelli di scuola Leitz/Leica. A complemento, nelle diatribe si inserirono anche le famiglie ottiche Schneider, che però si muovevano in altri campi della fotografia, nei quali l’incontro/scontro si ma-
Colpo maestro di Samsung, produzione che spazia in diversi ambiti della tecnologia attuale, tra i quali spicca l’impegno con la fotografia digitale. Oltre la famiglia di compatte Digimax, con le proprie novità d’autunno, al top di gamma si colloca la reflex Pro815: la prima reflex digitale (a obiettivo zoom fisso) di Samsung
E REFLEX SIA ogliamo vederla anche così: un poco per vivacizzare, neanche troppo provocatoriamente, ma con serena connivenza, il mondo della fotografia chiacchierata; un altro poco per confermare,
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certificandole, sia la nostra anagrafe, sia la nostra convinta, consapevole e radicata frequentazione dello stesso mondo della fotografia, non soltanto chiacchierata. In piena era di alta tecnologia applicata, nello specifico all’acquisizione digitale di immagi-
ni, una particolare interpretazione tecnica della fotografia richiama sapori di storie antiche, di vicende lontane. La rievocazione, se di questo si tratta (anche), è precisa, e torna indietro nei decenni, fino a quell’immediato dopoguerra all’alba del quale
nifestò nei confronti di Rodenstock. In tutti i casi, il fronte si compattava quando si trattava si certificare la superiorità tedesca: Carl Zeiss da Oberkochen, Leitz da Wetzlar, Schneider da Kreuznach e Rodenstock da Monaco. A distanza di decenni, al-
l’alba di un altro secolo (addirittura millennio), la fotografia digitale, inesorabilmente di origine e fondamenta orientali, ritorna a quei lontani tempi riproponendo i termini quasi esatti delle stesse antiche discussioni. Le configurazioni digitali Sony di classe alta sono dotate di obiettivi Carl Zeiss (recentemente adottati anche dalla nuova classe di telefoni cellulari Nokia con funzioni fotografiche!), quelle Panasonic di obiettivi Leica e... ora Samsung propone la combinazione con Schneider.
REFLEX! Certo, bisogna annotarlo: prima dell’attuale zoom di ampia escursione 15x, ne stiamo per riferire, Schneider ha già abbondantemente frequentato la fotografia digitale in forma
compatta, non soltanto Samsung. Ma l’attuale Varioplan Zoom 7,2-108mm f/2,2-4,6 della reflex Samsung Pro815 è tutta un’altra questione. Nella propria prima configurazione digitale reflex, Samsung ha fatto le cose in grande, magari proprio a partire dalla dotazione ottica, la cui generosa e abbondante escursione focale equivale alla variazione 28-420mm della fotografia tradizionale 24x36mm (riferimento d’obbligo). Le capacità di visione dello zoom si combinano con l’alta risoluzione di otto Megapixel effettivi (su 8,3 Megapixel totali) del sensore CCD di acquisizione da 2/3 di pollice. Dopo l’acquisizione e memorizzazione, l’immagine può essere ulteriormente ingrandita con zoom digitale da 1x a 4x o da 1x a
10x, in subordine alle proprie dimensioni elettroniche. Il mirino elettronico LCD TFT da 0,44 pollici (235.000 pixel) è alternativo alla visione dell’ampio display/monitor da 3,5 pollici (ancora 235.000 pixel) collocato sul retro. Ancora, la reflex digitale Samsung Pro 815, sostanzialmente compatta (132x86,9x53mm), è la prima configurazione fotografica che propone anche un secondo monitor di visione e controllo sulla parte superiore del corpo macchina: 1,44 pollici, da 115.000 pixel, con anteprima selezionabile. L’autofocus a nove punti multi-focusing accomoda da dieci centimetri (grandangolare 7,2/28mm) e da un metro e mezzo (tele 108/420mm) in condizione standard, da dieci a cinquanta centimetri (grandan-
DIGIMAX IN PARATA
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ltre la reflex Pro815, le novità digitali Samsung registrano una ampia serie di compatte Digimax di fascia media, che si inseriscono sia nelle competizioni tecniche sia nelle categorie di design (FOTOgraphia, novembre 2004).In sintesi: Digimax A402 da quattro Megapixel, con zoom 4x; Digimax A50 da cinque Megapixel, con zoom ottico 3x, zoom digitale 5x e monitor da 2,5 pollici; Digimax A55W da cinque Megapixel, con zoom 4,8x che esordisce alla focale equivalente 28mm e monitor da 2,5 pollici; Digimax i50mp3 ultrasottile da cinque Megapixel, con zoom ottico 3x, zoom digitale 5x, monitor da 2,5 pollici e lettore MP3 incorporato; Digimax i5 ultrasottile da cinque Megapixel, con zoom ottico 3x, zoom digitale 5x e monitor da 2,5 pollici; Digimax L50 (elegante design ultrapiatto) da cinque Megapixel, con zoom ottico 2,8x, zoom digitale 4x e monitor da 2,5 pollici; Digimax L55W da cinque Megapixel, con zoom ottico 3x che esordisce alla focale equivalente 28mm, zoom digitale 4x e ampio monitor da 2,5 pollici.
golare) e da un metro e mezzo a tre metri (tele) in selezione dedicata Macro, e da tre a cinquanta centimetri (grandangolare) e da cinquanta a cento centimetri (tele) in Super Macro. L’otturatore meccanico ed elettronico è dotato di tempi da un secondo a 1/4000 di secondo (da trenta secondi a 1/4000 di secondo in modalità meccanica). Alle equivalenze di 50, 100, 200, 400 e 800 Iso, l’esposizione può essere AE programmata, AE a priorità dei diaframmi, AE a priorità dei tempi oppure manuale; sempre con la possibilità di compensare entro l’intervallo da più a meno due Valori Luce, per incrementi di 1/3 EV.
DIGITALE Con un’ampia gamma di modalità di ripresa, e relative combinazioni con possibili sequenze rapide (fino a dieci fotogrammi al secondo alla qualità di un Megapixel), la Samsung Pro815 opera in spazio colore sRGB e Adobe RGB. Può essere impostata per particolari effetti cromatici, comprensivi di registrazione bianconero, seppia, al negativo e con contrasto controllato, e dispone di raffinati bilanciamenti del bianco: Automatico, Luce diurna, Nuvoloso, Fluorescente H, Fluorescente L, Tungsteno, Personalizzato 1, Personalizzato 2, Regolazione temperatura colore. Su scheda CompactFlash (attualmente disponibile fino alla capacità di 4Gb) si registrano immagini fisse in formato Jpeg (DCF), Exif 2.2, Dpof 1.1 e filmati Avi, con audio Wav. In editing, sono semplificati i primi interventi di taglio, ridimensionamento e rotazione. Con interfaccia USB 2.0, la Samsung Pro815 è PictBridge compatibile. In dotazione ha i software di archiviazione e gli applicativi Digimax Master e Digimax Viewer. (Giliberto Fotoimportex, via Ticino 12, 50010 Osmannoro di Sesto Fiorentino FI). Antonio Bordoni
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ebbene riservata all’astrofotografia, o fotografia astronomica, la reflex digitale Canon Eos 20Da, derivata dall’originaria Eos 20D (FOTO graphia, febbraio 2005), può essere usata anche per la fotografia convenzionale. Quando si fotografano soggetti quotidiani, un filtro all’infrarosso permette di ottenere prestazioni simili alla Eos 20D. Però, a tutti gli effetti, si tratta di una dotazione tecnica estremamente finalizzata, appunto configurata per soddisfare le esigenze della fotografia astronomica. La Canon Eos 20Da si differenzia dalla Eos 20D per importanti dotazioni tecniche, come la possibilità della visione diretta sul monitor e il nuovo filtro passabasso, posizionato di fronte al sensore CMOS da 8,2 Megapixel, che assicura immagini più nitide e contrastate dei fenomeni astronomici, come le diffuse nebulose rossastre. Il particolare filtro passa-basso permette la trasmissione di luce con lunghezza d’onda di 656nm, nota come H Alpha, o lunghezza d’onda Ha, pari a un fattore 2,5 in confronto alla Eos 20D standard. «La Eos 20Da è il risultato dell’impegno di Canon verso le specifiche esigenze del mercato astrofotografico», ha annotato Mogens Mølgaard Jensen, vicepresidente esecutivo dell’area Consumer Imaging di Canon Europa. «Così come la Eos 20D offre ai professionisti e ai non professionisti la libertà digitale, la versione dedicata Eos 20Da offre agli astronomi appassionati una nuova libertà fotografica, fornendo un modo più facile ed economico per fotografare il cielo».
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IN PROPRIO Mentre le tradizionali reflex digitali non dispongono di visione diretta sul
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monitor LCD di quanto sta riprendendo l’obiettivo, a causa della presenza dello specchio reflex e dell’otturatore, la Eos 20Da risolve il problema bloccando lo specchio in alto e aprendo l’otturatore per mostrare una visione ingrandita del soggetto sul proprio monitor LCD da 1,8 pollici. Ovviamente, questa prerogativa è effettiva solo in condizioni di visione nottur-
na, e non può essere applicata in piena luce, nella fotografia quotidiana. Per assicurare una messa a fuoco nitida, la porzione centrale dell’immagine può essere ingrandita di cinque volte sul monitor (quattro per cento dell’area immagine) o dieci volte (un per cento dell’inquadratura). La modalità di visione attraverso il monitor può anche essere sfruttata colle-
gando un visualizzatore esterno, come un televisore, all’uscita video della Eos 20Da. Oltre ad essere compatibile con tutti gli obiettivi del sistema ottico Canon EF e EF-S2, che comprende anche una linea di teleobiettivi stabilizzati, la Eos 20Da può essere collegata a un telescopio, mediante un anello a T opzionale. Considerato lo specifico campo privilegiato di utilizzo,
SU VERSO IL CIELO Canon ha realizzato la versione reflex digitale Eos 20Da, derivata dall’originaria Eos 20D, dedicata alla fotografia astronomica. Sulla consistente base delle caratteristiche già conosciute, si segnala l’aggiunta di prestazioni tecniche adeguatamente finalizzate
magari l’unico campo di impiego (è un’opinione personale, un consiglio), la Eos 20Da dispone di un efficace sistema di riduzione del rumore con le lunghe esposizioni, ottenuto incorporando un sistema specifico di controllo del sensore CMOS. La funzione personalizzata di riduzione del rumore consente di scegliere tra una gamma di sensibilità da 100 a 3200 Iso equivalenti. Per il resto, la finalizzata Eos 20Da mantiene le medesime caratteristiche della Eos 20D da cui deriva, come il processore Digic II a basso rumore, il sistema di messa a fuoco automatica a nove punti, il pieno controllo manuale, la velocità di scatto in sequenza pari a cinque fotogrammi al secondo e la capacità di registrare immagini RAW, Jpeg e RAW più Jpeg simultaneamente. Per ridurre le vibrazioni all’inizio dell’esposizione prolungata, sono presenti le funzioni di autoscatto e blocco dello specchio in alto. La reflex è dotata anche di un display superiore retroilluminato per una semplice messa a punto delle impostazioni al buio.
SOFTWARE Dedicata alla fotografia astronomica, la reflex digitale Canon Eos 20Da è fornita con il software Canon Eos Solution Disk 9.1, comprendente Eos Viewer Utility 1.2, Eos Capture 1.2 e PhotoStitch 3.1, oltre a Canon Digital Photo Professional 1.6 e Adobe Photoshop Elements 2.0 per elaborazioni delle immagini più in profondità. In particolare, Eos Capture 1.2 è un’applicazione di controllo a distanza della reflex quando è collegata a un computer; consente di automatizzare sequenze di scatto e scaricare immagini al computer. Mentre il nuovo software di elaborazione delle immagini Digital Photo Professional 1.6 offre un’alta velocità di gestione di file RAW senza perdita di dati (lossless) e assicura una visualizzazione delle miniature
in tempo reale e l’immediata applicazione delle variazioni alle immagini. Comprende anche una vasta gamma di funzioni di editing per immagini RAW, Jpeg o Tiff, che danno un controllo totale su molte variabili, come il bilanciamento del bianco, la gamma dinamica, l’esposizione e la tonalità colore. Le immagini Jpeg possono essere registrate secondo gli spazi colore sRGB o Adobe RGB, mentre l’applicazione Digital Photo Professional 1.6 supporta gli spazi colore sRGB, Adobe RGB e Wide Gamut RGB. Il profilo colore ICC viene automaticamente inserito alle immagini RAW convertite in Tiff o Jpeg, per permettere una riproduzione più fedele dei colori nelle applicazioni software che supportano i profili ICC, come Adobe Photoshop. L’elaborazione dei parametri che hanno subìto modifiche viene eseguita contemporaneamente e non sequenzialmente, incrementando l’efficienza nei casi in cui si applichino numerose variazioni alla stessa immagine.
ACCESSORI DEDICATI Per supportare le esigenze della fotografia astronomica, diffusa più di quanto i non esperti (noi tra questi) possano supporre, Canon offre una linea completa di accessori opzionali compatibili con la reflex digitale dedicata Eos 20Da. Prima di tutto, per il controllo temporizzato dell’otturatore e per ridurre le vibrazioni sono previsti due controlli a distanza: il Timer Remote Controller TC-80N3 e il Remote Switch RS-80N3. Quando la reflex è collegata a un telescopio, potrebbe risultare difficoltoso comporre l’inquadratura osservando dall’oculare: il mirino angolare C3 si collega facilmente all’oculare della reflex (ap-
punto) e consente di regolare l’angolo di visione oltre ad offrire un ingrandimento di 2,5 volte, che facilita la visione. Per aumentare la durata della batteria standard di alimentazione, l’impugnatura
BG-E2 contiene due pacchi di batterie al Litio, oppure ospita sei batterie AA grazie al dispositivo BM-E2 a corredo. La Eos 20Da è fornita a corredo di un adattatore CA ACK-E2, per l’utilizzo con l’alimentazione elettrica a rete. (Canon Italia, via Milano 8, 20097 San Donato Milanese MI). A.Bor.
ntrambi rappresentati dall’Agenzia Grazia Neri di Milano, due autori si sono imposti nella selezione Attenzione Talento Fotografico Fnac 2005: Matteo Insolera e Emiliano Mancuso. Le relative mostre sono rispettivamente presentate negli spazi espositivi Fnac di Milano e Napoli. Indocina: tramonto degli ideali di Matteo Insolera racconta le contraddizioni di un oriente che guarda con insistenza a Ovest. Vietnam e Cambogia: due paesi in pieno boom economico che ricorda scene degli anni Quaranta italiani (con
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Talenti Fnac / 1 Matteo Insolera espone a Milano tanto di scooter). Ma quello che viene recepito è forse solo la punta d’iceberg della nostra cultura. Britney Spears e Francesco Totti sono idoli venerati al pari dei saggi della tradizione buddista, in un sincretismo che può stordire il visitatore. Ma tutto può convivere in città come Saigon e Phnom Penh: le bandiere di propaganda comunista e i megaschermi pubblicitari, i
Talenti Fnac / 2 Emiliano Mancuso espone a Napoli ipetiamo: entrambi rappresentati dall’Agenzia Grazia Neri di Milano, due autori si sono imposti nella selezione Attenzione Talento Fotografico Fnac 2005: Emiliano Mancuso e Matteo Insolera. Le relative mostre sono rispettivamente presentate negli spazi espositivi Fnac di Napoli e Milano. Terre di Sud di Emiliano Mancuso (anche Premio Canon Giovani Fotografi 2005 nella sezione Progetto; FOTO graphia, marzo 2005) prende avvio dalla crisi della Fiat, ufficialmente datata al Primo ottobre 2002. L’azienda torinese comunica le cifre della cassa
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MOSTRE
integrazione e l’elenco degli stabilimenti destinati alla chiusura, tra cui quello di Termini Imerese, in provincia di Palermo; e inizia la rivolta. L’intera storia del Sud d’Italia, dall’unificazione, si è disposta davanti agli occhi del fotografo: una famiglia piemontese e la Sicilia, un Sud rivoltoso e insieme clientelare, il problema del lavoro e il ricatto sociale della criminalità organizzata, lo spettro dell’emigrazione, la scelta tra lo sviluppo locale e un’industrializzazione forzata ma portatrice di benessere. Da questa vicenda è nato un progetto fotografico sul
Foto Service Reale. Corso Umberto I 68-72, 80038 Pomigliano d’Arco NA; 081-8038700; www.errestampa.it, www.fotoservicereale.it, www.errestampa.it, info@errestampa.it. Lunedì-sabato 9,0013,00 - 16,00-19,20. ❯ Luciano Masini: I riti settennali di Guardia Sanframundi. Dal Primo al 13 ottobre. ❯ Maria Di Pietro: Natura. Dal 15 al 27 ottobre. ❯ Rino Buonanno: Yemen. Dal 29
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casinò e i templi buddisti, giovani intenti allo struscio e cyclo trainati da disperati. Città che ricordano le atmosfere di Blade Runner, stratificate su più livelli. Quello più basso, la strada, appartiene agli ultimi arrivati: le masse di contadini attratte come falene dalle luci della metropoli, grazie a quella scatola dei sogni che è la televisione, immancabile presenza Mezzogiorno, che nell’epoca della “globalizzazione” si trova ancora a fare i conti con i vecchi termini della “questione meridionale”: l’eterno essere in bilico tra sviluppo e sottosviluppo, crocevia di potenzialità culturali ed economiche e di immobilismo e rassegna-
ottobre al 10 novembre. ❯ Antonella D’Angelo: Natura: giochi, forme e linguaggi. Dal 12 al 24 novembre. ❯ Donato Longarzo: Sosta nella memoria - Archeologia contadina del XX secolo. Dal 26 novembre all’8 dicembre. Ferdinando Fasolo: Fotografie di strada. Associazione Ricreativa Culturale Galluzzo, Aula Consiliare, Palazzo Podestà, via del Podestà 161, 50124 Galluzzo FI; 055605978; www.mignon.it, info@mi-
in ogni capanna nella giungla o palafitta di campagna. Matteo Insolera: Indocina: tramonto degli ideali. Galleria Fnac Milano, via Torino, angolo via della Palla, 20123 Milano; 02-869541. Fino al 30 ottobre; lunedìsabato 9,00-20,00, domenica 10,00-20,00. zione, insieme centro e periferia della storia italiana. Emiliano Mancuso: Terre di Sud. Galleria Fnac Napoli, via Luca Giordano 59, 80129 Napoli; 081-2201000. Fino al 26 ottobre; lunedì-domenica 10,00-21,00.
gnon.it. Dal 2 al 14 ottobre; giovedì e sabato 16,00-19,00, domenica 10,00-12,00. Catalogo con prefazione di Walter Rosenblum. Membro dell’Associazione Culturale Mignon, insieme a Giovanni Umicini, Walter Rosenblum e Giampaolo Romagnosi, singolari maestri della Street Photography, Ferdinando Fasolo ne incarna pienamente gli intenti: insegue nella scena quotidiana la bellezza, lo stupore, indaga l’indifferenza, la banalità e l’emarginazione, nel tentativo di scoprire e mettere insieme
Verso il Tibet Monografia di sentimento
ell’ambito di Immagimondo 2005, fiera del viaggiatore che si svolge presso lo spazio Lariofiere di Erba, in provincia di Como, dal 21 al 23 ottobre, viene presentato il libro fotografico Friendship highway... ver-
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so il Tibet, di Giovanni Mereghetti: ampia e coinvolgente monografia che racconta in maniera velata e discreta il percorso spirituale che porta verso la purezza dell’anima del popolo tibetano. Da Katmandu a Lhasa,
un percorso di quasi mille chilometri, muovendosi attraverso un affascinante itinerario fatto di immagini in bianconero ricche di sfumature e contrasti, sguardi diretti e sinceri, privi di retorica, verità nascoste. Un documento non manipolato, autentico: il Tibet del Terzo millennio. Realizzato in collaborazione con la Casa del Tibet di Votigno di Canossa (Reggio Emi-
lia) e la Provincia di Lecco, il volume è pubblicato da Bertelli Editori di Trento. Giovanni Mereghetti: Friendship highway... verso il Tibet; Bertelli Editori, 2005 (0461-822402; www.lineagraficabertelli.it, editori@lineagraficabertelli.it). Presentazione: domenica 23 ottobre a Immagimondo 2005, Lariofiere, 22036 Erba CO.
Bianconero nella Storia orsi di stampa bianconero, nel laboratorio professionale f.45 di Milano; insegnante, il titolare Beniamino Terraneo, a propria volta attento autore. Il programma prevede lezioni base di camera oscura, approfondimenti per la stampa fine art e presentazione di antiche tecniche di stampa. I partecipanti possono scegliere uno o più corsi. ❯ Corso base di stampa bianconero: 7, 8 e 9 ottobre. Per fotografi che intendono approfondire l’esperienza di camera oscura con lezioni pratiche di stampa su
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carta a contrasto variabile. ❯ Il rigore della stampa fine art: 14, 15 e 16 ottobre. Chi già possiede nozioni di base apprende le tecniche della stampa baritata ai sali d’argento a contrasto variabile, in particolare per la fotografia artistica fine art. Indebolimento locale, asciugatura e spianatura archival. ❯ Corso base di stampa bianconero: 29, 30 e 31 ottobre. ❯ Il rigore della stampa fine art: 4, 5 e 6 novembre. ❯ Stampa al Platino: 11, 12 e 13 novembre. Applicazione fotografica di alto impe-
«situazioni completamente scombinate tra loro in modo armonico». Marco Lanza: La sfilata. In collaborazione con l’Agenzia Marka. Galleria clicArt, Zucchi Duomo, via Foscolo 4 (angolo piazza del Duomo), 20121 Milano; 02-439221; www.marka.it, www.zucchicollection.org. Dal 4 ottobre al 19 novembre; lunedì 13,30-19,30, martedì-sabato 9,30-19,30. Con monografia Marka Magazine per clic Art. Quotidiano andirivieni di gente, persone isolate e quasi imbal-
BENIAMINO TERRANEO
A cura di Beniamino Terraneo (f.45)
gno e straordinaria qualità. ❯ Tecniche di ripresa dell’Ottocento: 18, 19 e 20 novembre. Corso pratico che affronta le tecniche di Calotipo, Ambrotipo, Ferrotipo e Collodio umido, tutt’ora utilizzate da fotografi statunitensi di rilievo. ❯ Viaggio alle radici della fotografia: dal 24 al 27 novembre. Al Fox Talbot’s Mu-
seum (Inghilterra), dove sono conservati i primi esperimenti fotogenici della storia, appunti e lettere di uno dei pionieri della fotografia. Si approfondiscono le conoscenze tecniche di ripresa e stampa dell’Ottocento (Calotipo, Ambrotipo, Collodio umido, Collodio secco) , inventate e sperimentate con successo da William Henry Fox Talbot. f.45, via Carlo Torre 15, 20143 Milano; 02-58101682; www.beniaminoterraneo.com; fotof45@virgilio.it.
A seguire 62 Sognando di volare 62 Fotografi fotografati 63 Sentimenti fotografici 63 Il Terzo occhio
samate nel proprio spontaneo e inconsapevole passaggio davanti a un fondale bianco, opportunamente posizionato.
po Mignon, attento alle espressioni della fotografia di strada. Immagini capaci di sottolineare sia il dettaglio sia l’insieme, realizzate con rigore intellettuale.
Giampaolo Romagnosi. Antologica di fotografie inedite. Museo di Villa Breda, via San Marco 219, 35020 Ponte di Brenta PD; 0498935600; www.mignon.it, info@mignon.it. Dall’8 al 23 ottobre; martedì-sabato 15,30-19,30, domenica 10,00-12,00 - 15,30-19,30. Ottanta fotografie, per la maggior parte inedite, fedeli alla filosofia del Grup-
Galleria Tina Modotti. Piazza Montessori 25, 80011 Acerra NA; fax 081-8850793; piero.borgo@libero.it. ❯ Vincenzo Cesare Vacchio: Personale. Dal 9 al 15 ottobre. ❯ Concorso a tema libero. Opere premiate e segnalate. Dal 23 al 29 ottobre. ❯ Sonia D’Angelo: Le fontane di
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Sognando di volare In un bianconero poetico ed evocativo gni anno, a fine estate, nella piccola città costiera di Begnor Regius, nell’East Sussex, in Inghilterra, si incontrano e radunano inventori che condividono un fantastico sogno: quello di volare per almeno cento metri con un mezzo proprio. Nata a Selsey Bill in forma autonoma, la manifestazione dei Birdmen rappresenta oggigiorno un fenomeno, che richiama ventimila persone, la stragrande maggioranza delle quali semplice pubblico di contorno.
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Dod Miller (classe 1960) ha realizzato una intensa serie di immagini che rivelano, sottolineandola, la leggerezza del sogno di volare che si manifesta ancora oggi sulla scorta di visioni ancestrali che appartengono all’Uomo. In puro stile britannico, a un tempo distaccato ma sostanzialmente partecipe, tanto da essere coinvolgente, Dod Miller ha composto un divertente e ironico percorso fotografico, raccolto in una mostra esposta in Italia in due tempi successivi: prima alla Galleria Grazia Neri di Milano (nella sede dell’Agenzia che lo rappresenta nel nostro paese), poi a Bolzano (FOTO graphia, settembre 2005). Dod Miller: Birdmen. ❯ Galleria Grazia Neri, via Maroncelli 14, 20154 Milano; 02625271, fax 02-6597839; www.grazianeri.com, photoagency@grazianeri.com. Dal 19 ottobre al 20 novembre; lunedì-venerdì 9,00-13,00 14,30-18,00, sabato 10,0012,30 - 15,00-17,00. Con il contributo di Nikon (Nital). ❯ Muflone Rosa, via della Roggia 22, 39100 Bolzano. Dal 5 al 31 dicembre; 9,0023,00. A cura del Circolo Fotografico Tina Modotti; cfmodotti@virgilio.it.
Napoli. Dal 6 al 12 novembre. ❯ Armonia ed estetica del nudo femminile. Opere premiate e segnalate al Concorso fotografico nazionale. Dal 20 al 26 novembre. Circolo Fincantieri Trieste. Sala Mostre Fenice, Galleria Fenice 2, Primo piano, 34125 Trieste; www.geocities.com/SoHo/Gallery/7444, sciroppa@libero.it. ❯ Raul Iacometti: Ai confini del mare. Dal 19 ottobre al 4 novembre. Nell’atmosfera solitaria di spiagge deserte o poco popolate,
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Fotografi fotografati Galleria composta da Michel Auer ento ritratti di fotografi datati indietro nei decenni, realizzati nella prima metà degli anni Ottanta, tanto è vero che la serie comprende anche volti di fotografi che nel frattempo sono venuti a mancare. La ripresa di questo lavoro, già raccolto nel contenitore The International Encyclopaedia of Photographers from 1839 to the Present (due volumi del 1985 e CD-Rom del 1997), è sollecitata dalla realizzazione di un sito dedicato, in costituzione. Allo stesso momento, i cento ritratti stanno per essere riuniti nel volume Photographers Encyclopaedia Portraits (224 pagine; Editions M+M, rue du Couchant, CH-1248 Hermance, Svizzera). Da cui, l’allestimento espositivo di Vevey Michel Auer Photographer (FOTO graphia, settembre 2005), che verrà riproposto alla Maison
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alle prime luci di un mattino invernale, oppure in quelle tiepide e leggere di un tardo pomeriggio primaverile, la sottile malinconia dell’autore si trasforma in immagini di grande impatto emotivo. ❯ Mauro Gambicorti: Transumanza in Val Senales. Dal 16 novembre al 9 dicembre. Ogni anno in Val Senales si consuma l’antico rito della transumanza. A metà giugno, quando sulle malghe dell’arco alpino la neve si è ormai disciolta, per migliaia di pecore inizia una lunga, faticosa marcia ver-
Européenne de la Photographie di Parigi nel 2007. Munito di Leica M2 e Summicron 50mm f/2, Michel Auer ha realizzato i ritratti durante le interviste e gli incontri, in sessioni molto naturali e informali, ma ricche dell’espressività propria di ciascun autore, ognuno bravo a interpretare se stesso. Michel Auer Photographer (ritratti di cento fotografi contemporanei, incontrati fino alla prima metà degli anni Ottanta). Musée suisse de l’appareil photographique, Grande Place 99, CH-1800 Vevey, Svizzera; 0041-21-9252140, fax 0041-21-9216458; www.cameramuseum.ch, cameramuseum@vevey.ch. Dal Primo ottobre al 26 febbraio 2006; martedì-domenica 11,00-17,30, lunedì solo festivi.
so pascoli più ricchi e sicuri. Sguardi sulla città. Museo del Tessile, via Volta 6-8, 21052 Busto Arsizio VA. Dal 22 ottobre al 13 novembre; martedì-domenica 16,00-19,00. Composta da cento immagini realizzate da fotografi dell’Associazione, Sguardi sulla città. Busto vista dai fotografi di Click Art’s offre una significativa lettura del paesaggio cittadino (nella provincia di Varese), che compone il primo fondo di immagini contemporanee dell’Archivio.
LUCA MARIA PATELLA
Di Luca Maria Patella & Rosa Foschi
Il Terzo occhio Coinvolgente indagine sui sensi ell’ambito del modenese Festivalfilosofia sono allestite due iniziative complementari, culturalmente ed emotivamente intriganti. La selezione fotografica di Melina Mulas Il Terzo occhio. I Lama del Tibet: l’antica saggezza di Nalanda si accompagna con Cittadellarte dell’artista contemporaneo Michelangelo Pistoletto. La simultaneità dei due eventi, esposti negli spazi della Galleria Civica di Modena, richiama gli espliciti intendimenti del tema di questa edizione di Festivalfilosofia: i sensi. Prodotta con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, la mo-
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INCONTRI
teratura e dell’arte. Il suo non è però un citazionismo reliquiario; i personaggi sono inseriti in nature morte, ironiche e colte.
Sentimenti fotografici
ROSA FOSCHI
uindici immagini dei due artisti, a cura di Luigi Meneghelli. Luca Maria Patella, rappresentante di rilievo delle arti visive degli ultimi trent’anni, svolge una incessante ricerca passando attraverso numerosi media espressivi sperimentali, dalla pittura all’installazione, dalla fotografia al libro, senza mai perdere il contatto con una profonda matrice estetica e poetica. Rosa Foschi, sua moglie, anche poetessa, espone opere che citano i grandi della let-
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stra di Melina Mulas presenta sessanta immagini bianconero scattate in tempi diversi come testimonianza dei volti dei Lama buddisti. L’imponente lavoro di ricerca, iniziato quattordici anni e fa e terminato nel 2002, ha avuto come guida nientemeno che il Dalai Lama, che ha orientato l’autrice verso i maestri più rappresentativi e l’ha aiutata a raggiungerli attraverso l’India, il Sikkim, la Francia, l’Austria, il Nepal, la Svizzera e l’Italia (FOTOgraphia, settembre 2005). Protagonista della mostra è senz’altro la rappresentazione dell’antica tradizione spirituale tibetana, sopravvissuta
Etna Photo Meeting. Grand Hotel Bonaccorsi, via Pirandello 2, 95030 Pedara CT. 8 e 9 ottobre. ❯ Mostre: Ivano Bolondi (Autore dell’Anno Fiaf 2005); Vincitori Portfolio al Raduno 2004 (Crisafi, Chiarenza, Geraci, Strano); Gabriele Rigon; Elena Martynyuk; Pippo Cucinotta (portfolio realizzato sulle potenzialità paesaggistiche e non del Porto di Catania). ❯ Audiovisivi: Settima Serata Nazionale Audiovisivi Fiaf; proiezioni
e trasmessa nella propria integrità mediante l’insegnamento, la severa disciplina e un profondo attaccamento alle radici. La caparbietà dei maestri, rifugiati in esilio dopo la conquista del Tibet da parte della Cina nel 1959, si manifesta nei loro ritratti, nei quali non manca, come elemento forte, lo sguardo: quello che ognuno di noi rivolge all’esterno e quello che riceviamo.
Dilloaipatella.it. Sentimento, pensiero e pulsione nell’opera fotografica. A cura di Luigi Meneghelli. Heart Gallery, via San Giovanni in Valle 19, 37129 Verona; 0458035290; www.heartgallery.it, info@heartgallery.it. Dall’8 ottobre al 31 dicembre; venerdì-domenica 16,00-20,00 e su appuntamento. e festivi 10,30-18,00 (25 e 26 dicembre e Primo gennaio 2006 15,00-18,00). Catalogo 5 Continents Editions.
Melina Mulas: Il Terzo occhio. I Lama del Tibet: l’antica saggezza di Nalanda. Galleria Civica di Modena, Palazzo Santa Margherita, corso Canalgrande 103, 41100 Modena; 0592032911, fax 059-2032932; www.comune.modena.it/galleria. Fino all’8 gennaio 2006; martedì-venerdì 10,3013,00 - 15,00-18,00, sabato
a cura di Vanni Andreoni. ❯ Portfolio: quinta edizione di Portfolio Insieme. ❯ Workshop di nudo, a cura di Gabriele Rigon, con la collaborazione di Domenico Santonocito e Enzo Gabriele Leanza. ❯ Editoria Fiaf: con apposito stand di presentazione delle monografie pubblicate. Gruppo Fotografico Le Gru, via Nuova 32, 95025 Valverde CT; 095524187, fax 095-7210294; www.fotoclublegru.it, segreteria@fotoclublegru.it.
WORKSHOP
Matrimonio e Ritratto. Seminario di aggiornamento professionale, indirizzato ai fotografi professionisti, organizzato dal laboratorio professionale Adriatica Colorfoto unitamente a Kodak Professional: Hotel Villa Picena, 63030 Colli del Tronto AP; dal 20 al 23 novembre. Coordinati da Dino Cappelletti, tre docenti affrontano e svolgono i temi: Valeria Gelosini, Vittorio Battellini e Virginio Giberti. Dino Cappelletti, 347-7116638.
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LEWIS W. HINE
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La fotografia muore di fotografia, sovente. Le diatribe sull’arte e la fotografia interessano solo quelli (e sono tanti) che non comprendono l’estrema miseria nella quale si trova una larga parte del genere umano e fanno finta di non vedere chi preme il tallone delle guerre sui Sud della Terra. Questi fotografi, critici, storici dipingono l’immondezzaio dell’esistenza nei luoghi deputati e fanno del mercimonio il diritto alla parola. A molti di loro è sconosciuta la tenerezza e bellezza dei cuori in amore. Non si rendono conto quanto importa, alle costellazioni, il profumo del biancospino (alla maniera di Victor Hugo). Lo scrive bene il filosofo della lanterna: «Giobbe sedeva sul letame di un mondo pastorale, bastante alla sua solitaria umiliazione, le nostre città siedono in fondo a una voragine di letami di cui resta indecifrabile la figura. Sopraelevate, teatri, metropolitane, arene di calcio, chiese, vaticani, cremlini, minareti: tutto là dentro, in un miasma denso che sconcerta l’analisi, virulenza che il catalogo dei componenti non basta a spiegare, perché la sua origine è più profonda, l’essenza di tanta materia inferocita è immateriale e il suo volto “ama nascondersi”» (Guido Ceronetti) nelle cloache dei segni massmediatici (fotografia, cinema, televisione, telefonia, carta stampata, giochi a premi, l’educazione dei bambini, il lavoro sindacalizzato, la gestione dei migranti, la “pietà” riparatrice del volontariato, la cultura dei grandi magazzini, la guerra telematica). Morire ad occhi aperti è la tendenza di massa. Vivere senza bavagli comporta l’esilio o la dissociazione. Un’epoca che si voglia decisamente spettacolarizzata, e nel contempo fautrice di terrorismi istituzionali o religiosi, è incapace di apprezzare il di-
ritto alla collera o, quantomeno, alla diserzione dall’impero dei sogni imposti.
DELLA FOTOGRAFIA DEL LETAME Le scritture fotografiche, da sempre, sono al servizio del più armato. Le immagini “uccidono” soltanto coloro che sono oggetto di dolore e arricchiscono i possessori della ragione dominante. L’autenticità, il candore, la verità sono le spezie con le quali gli operatori del settore sostengono genocidi, povertà, vessa-
grafia magniloquente che lo frantuma e lo rende digeribile a tutti nell’ora del telegiornale, nelle gallerie d’arte o nei musei del mondano. La favola della disumanità dei poveri, dei selvaggi, dei terroristi, degli schiavi che si ribellano l’hanno inventata gli aguzzini del potere economico, politico, i mercanti d’armi. Gli artisti autentici preservano i propri sentimenti, bruciano le loro passioni, innaffiano i loro desideri al fuoco della poesia e portano ai quattro angoli della Terra la
In arte la fotografia va uccisa. Fratel Luther Blissett zioni dell’uomo sull’uomo; e i cucinieri del sapere sanno bene che fotografare un bambino ammazzato dai fucili “amici” (quelli che esportano democrazia e libertà) suscita comprensione e riconoscimenti per entrare in società, danzando sulla testa degli ultimi. In questo senso, molti fotografi, specie quelli attenti alle richieste del mercato, sono dei veri e propri fucilieri e la loro medaglia al valore poggia su quanto sangue (africano, indiano, arabo, latinoamericano, ceceno o semplicemente povero) hanno fotografato con gusto plastico. La fotografia sì fatta è parte dello spettacolo del quale si nutre e del valore di scambio della propria nullità. A leggere a ritroso la fotografia legata a teologie di liberazione non sospette possiamo incontrare autori di grande spessore etico, che hanno fatto della creazione individuale il risveglio del desiderio di vivere tra liberi e uguali. Uno di questi poeti della fotografia dell’ingiustizia è Lewis Wickes Hine (1874-1940), sociologo con l’inclinazione per la verità non prostituita ai codici dominanti. Orribile non è l’iconografia dell’orrore, ma la sceno-
“compassione” dolente dei senza diritti e la gioia libertaria di chi non l’ha mi avuta.
LA VISIONE DELL’UTOPIA La fotografia di protesta di Lewis W. Hine nasce dai bassifondi, dalle periferie, dalle povertà già scavate dalla fotografia di Jacob A. Riis [FOTOgraphia, settembre 2005] e denuncia, senza timore d’essere inviso al potere, le situazioni di sfruttamento che bambini, operai, contadini subivano per arricchire una minoranza che faceva del “sogno americano” qualcosa che funzionava solo nel cinema hollywoodiano. Fotografare significa “comporre” o, meglio ancora, fare della macchina fotografica uno sguardo della storia. L’illusione del consenso corre col sangue in prima pagina e, siccome la fotografia «corteggia la morte» (Susan Sontag), tutto ciò che cade in una fotografia è anche un messaggio che unisce la memoria del passato alle sensazioni del presente. Le fotografie hanno sull’immaginazione contemporanea non solo l’autorità che un tempo aveva la carta stampata, ma sono divenute ponti, schegge, ordinamenti del
sistema nervoso con quanto attiene al comportamento sociale. Lewis W. Hine, com’è consolidato, inizia a fotografare intorno al 1903 (era nato nel 1874). Insegnava nella Ethical Culture School di New York (una scuola per i lavoratori, fondata da Felix Adler nel 1877) e le lezioni si basavano su un’etica religiosa umanistica, che sosteneva la dignità, il valore e la creatività degli uomini di ogni razza, religione e strato sociale. Tra il 1904 e il 1921, Lewis W. Hine lavora per conto del National Child Labor Committee (del quale era presidente lo stesso Felix Adler), un ente fondato nel 1904 da cittadini impegnati a salvare i bambini dallo sfruttamento padronale. Le prime immagini di Lewis W. Hine sono subito importanti, abrasive, per non dire audaci. Per cinque anni (19041909) raccoglie o raffigura gli immigranti che arrivavano sulle banchine di Ellis Island e le sue fotografie mostrano che molta di quella gente affamata, stracciata, piena di pidocchi, che sbarcava dalle stive delle navi, non apparteneva agli “scarti” dell’Europa, ma sarebbero stati i futuri costruttori di una diversa America, forse. La via per arrivare al cuore della fotografia come punto di vista documentato passa attraverso il coraggio di dire “no!” ad ogni forma d’ingiustizia sociale. Al fondo della fotografia di denuncia di Lewis W. Hine c’è una visione dell’utopia che rimanda non tanto alla scoperta di una nuova vivenza tra gli uomini, quanto alla responsabilizzazione della collettività di fronte alle violazioni dei diritti più elementari dell’uomo. La libertà non è un privilegio che spetta alla classe dominante, né un codice di condotta intrusiva sulla quotidianità del più svantaggiato. L’utopia espressa da Lewis W. Hine nel-
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le proprie fotografie è una difesa della libertà d’espressione appassionata e allo stesso tempo l’indignazione di un poeta contro l’imperio della disumanità. La fotografia errante di Lewis W. Hine scopre mondi, scoperchia tutto quanto è nemico delle idee e disvela la responsabilità dei potenti nella devalorizzazione dei propri precetti di socialità omologata. Lo spirito libero del fotografo, del giornalista indipendente, del sociologo non addomesticato lo porta ad attraversare il “grande paese” e raccogliere i volti, i corpi, i gesti di braccianti stagionali, immigranti, bambini schiavizzati nelle fabbriche. Spesso, Lewis W. Hine corredava le fotografie con commenti salaci, come questo del febbraio 1911 dal South Carolina: «Nove di questi bambini, dagli otto anni in su, vanno a scuola mezza giornata, ma sgusciano ostriche per quattro ore prima della scuola e per tre ore dopo la scuola nei giorni feriali, e di sabato dalle quattro antimeridiane al primo pomeriggio (Maggiori Canning Co.)». Le ostriche, s’intende, erano destinate ai “palati fini” della “buona borghesia” montante. Le immagini di Lewis W. Hine non sono destinate a durare nel tempo perché traboccano di
contenuti, ma perché sono elaborate in un’estetica compiuta, sovente persino goduta. Basta leggere con attenzione e stupore Gruppo di strilloni, scattata a mezzanotte sul ponte di Brooklyn col lampo al magnesio (1909), Piccola operaia in un cotonificio della Carolina (1909), Ragazzi addetti alla rottura del carbone, all’interno di una miniera (1909), Famiglia italiana in cerca del bagaglio perduto; Ellis Island (1905; un capolavoro), o Preston De Costa, fattorino quindicenne, n.3 per il Bellevue Messenger Service, San Antonio, Texas (1913) per comprendere che la fotografia di denuncia di Lewis W. Hine andava oltre l’intenzionalità documentaria dalla quale partiva, per arrivare a testimoniare non solo le condizioni inumane nelle quali versavano molti americani, specie immigranti, e non di rado i suoi “eroi proletari” divenivano icone e percorsi di difesa sociale. La fotografia etica di Lewis W. Hine onorava il lavoro dell’uomo e deprecava lo sfruttamento dei padroni e le menzogne dei politici. Nel corso degli anni Trenta gli fu sempre più difficile trovare lavoro, e nemmeno Roy Stryker, il capomastro della Farm Security Administration, lo volle tra i suoi fotodocumentaristi. Nel
1930 fotografò la costruzione dell’Empire State Building, ma nell’ambiente era ormai ritenuto fuori moda, un “cane sciolto”, un artista inadeguato e superato; la sua critica dell’industrializzazione e della standardizzazione conteneva risposte radicali che nessuno voleva vedere, né riusciva a liquidare con facilità. Non è nemmeno vero che Lewis W. Hine aveva «riplasmato la propria arte alla luce dell’estetica meccanicistica prevalente nella pittura e nel design durante gli anni Venti» (Ian Jeffrey). L’estetica eversiva di Lewis W. Hine, a differenza di molte immagini timbrate con l’aura dell’impegno sociale, spaccava il rito, privilegiava la rottura col “pensiero unico mercantile” e frantumava i simboli falsi della società dello spettacolo. La scrittura fotografica di Lewis W. Hine è una fioritura di conoscenze metalinguistiche, e ha molto a che fare con la filosofia della differenza che ritroviamo in Jean-Paul Sartre, Theodor W. Adorno, Walter Benjamin, Maurice Blanchot e nulla, o quasi, l’affranca alla ritrattistica (spesso istituzionalizzata) della FSA di Roy Stryker. Lewis W. Hine si chiama fuori dell’iconografia della sofferenza che fa tanto “tiratura” popolare.
Sapeva che fotografare significa inquadrare, prendere la mira, escludere; la sua affabulazione fotografica non evoca, mostra. L’innocenza non fa spettacolo, il suo martirio sì. La fotografia, tutta la fotografia, o si trascolora in critica del presente o è apologia e propaganda del banale istituzionalizzato. Non c’è bellezza nel dolore amplificato e ridotto a intrattenimento cine/televisivo. Le fotografie di W. Eugene Smith, Don McCullin, Sebastião Salgado o Lewis W. Hine mostrano che la crudeltà e l’umana barbarie può essere fermata e non moltiplicata. Anche se la cultura massmediatica sta recuperando personaggi della negazione (Pierpaolo Pasolini), immagini di guerra (il miliziano di Capa), simboli dei movimenti rivoluzionari planetari (il “Che”) e li riduce a magliette, mutande o marche di sigari cubani, la desolazione della fotografia può essere denunciata e disertata. In questo senso e sotto ogni taglio, le scritture fotografiche di Lewis W. Hine risplendono di grazia poetica e sotto ogni taglio di lettura restano icone che contengono la possibilità di lottare per un mondo migliore. Pino Bertelli (26 volte luglio 2005)
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