FOTOgraphia 116 novembre 2005

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Mensile, 5,70 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano

ANNO XII - NUMERO 116 - NOVEMBRE 2005

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Horizon S3 Pro PANORAMICA CON STILE

Per spie e per gioco SENZA ALCUNA SOMIGLIANZA

ROBERTO FRANCOMANO DAL CAMION


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EMERGENCY. Arricchito da citazioni d’autore, in pagine affiancate con fotografie che illustrano il tema della solidarietà (e le parole sono declinate nella stessa direzione), in libreria è arrivato un consistente volume dedicato alla lunga e nobile esperienza di Emergency. La raccolta è due volte consistente, e scusateci una certa scortesia nell’accostamento: a prima vista è fisicamente consistente (le seicento pagine compongono uno spessore di ben 5,5cm, compresa la copertina cartonata) e, quindi, è inviolabilmente consistente nei propri contenuti, sia fotografici (di venticinque autori collettivamente indicati in apertura; non professionisti, ma medici, infermieri, logisti e «quanti in questi anni sono stati le mani di Emergency») sia scritti (uno dei quali riportiamo qui a lato). Dalla prefazione di Emergency, la cui nota identificazione grafica “E” campeggia e troneggia in rosso sul fondo nero della copertina: «In queste pagine, gli occhi di chi ha colto queste immagini diventano gli occhi di chi le sfoglia, chiudendo un circolo ideale che congiunge l’agire quotidiano di Emergency a quanti, in questi anni, lo hanno reso concretamente possibile attraverso il proprio sostegno». Non parole vuote, non parole tanto per dire, ma determinata dichiarazione di intenti e riconoscimento di tante/tutte paternità. La solidarietà, la disponibilità verso gli altri, nello specifico verso i meno fortunati e più bisognosi del pianeta, al di là delle sole intenzioni teoriche, è uno degli elementi discriminanti della nostra attuale vita sociale. Per quanto infinite azioni “politiche” promuovano presunte proprie buone volontà e intenzioni, per la cui attuazione si combattono guerre (orrore!), l’azione di Emergency cerca di porre rimedio agli inevitabili danni causati dal modo in cui al giorno d’oggi si contabilizza la libertà (presunta). L’evidente malafede delle guerre, che non calcolano (?) i danni che provocano, sia nella propria azione presente, sia nelle consecuzioni inevitabili, è in qualche modo e misura rivelata anche dalla solidarietà di chi, come Emergency, effettivamente dà senza nulla chiedere in cambio o in contropartita. Quindi, come ci si attende, i diritti dell’edizione libraria sono devoluti a Emergency, a sostegno della propria attività di concreta (e lei pure “consistente”) solidarietà nel mondo. Emergency; Piccola Biblioteca Oscar, Mondadori, 2005; 600 pagine 15,5x16cm, cartonato; 20,00 euro.

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Mi rifiuto di accettare l’idea che l’umanità sia incatenata con nodi tragicamente indissolubili alla notte senza stelle del razzismo e della guerra, al punto che l’alba luminosa della pace e della fratellanza non possa mai diventare realtà. Credo che perfino nell’attuale imperversare dei colpi di cannone e dei sibili dei proiettili ci sia ancora speranza in un domani più luminoso. Martin Luther King (da Emergency; edizione Mondadori)

Copertina Richiamo principale, di sostanza, per l’avvincente e coinvolgente serie fotografica Dal Camion, con la quale Roberto Francomano di Monfalcone si è affermato all’ottava edizione di Portfolio in Villa. L’anno prossimo, secondo programma, l’intero reportage verrà raccolto in monografia; nel frattempo, ha iniziato il proprio tour di esposizioni, nell’ambito di manifestazioni pubbliche della fotografia italiana. Emozionante racconto “dall’interno” di una identificata esperienza esistenziale, che presentiamo e commentiamo da pagina 28

3 Fumetto 55

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Dettaglio dalla copertina di Raffica di diamanti, di Tim Sullivan, Segretissimo Mondadori numero 894 del 15 gennaio 1981. Ambientata nella 47th street di New York, la via dei gioiellieri, la vicenda si svolge in equilibrio tra criminalità comune ed eversione politica; al solito, per quanto ci interessa, con contorno fotografico di sottofondo. Appunto evidenziato in copertina

7 Editoriale Un nuovo atteggiamento da parte della componente commerciale del mondo fotografico sottolinea come l’intero nostro mercato stia (finalmente) affrontando programmi a più confortevole scadenza. Speriamo tanto di non sbagliarci; speriamo di non essere i soliti entusiasti ottimisti

8 Fotografia e Resistenza Una mostra fotografica (e un libro) di Oliviero Toscani, direttamente Sant’Anna di Stazzema - 12 agosto 1944 I bambini ricordano, porta a riflettere ancora sull’uso civile o di resistenza della fotografia. Senza parafrasi di Pino Bertelli

10 Notizie Attrezzature, vicende e altre segnalazioni

14 Per piccoli still life 57

Illuminatori per fotografia digitale e configurazioni per sala di posa proposti da Tokina Hong Kong


. NOVEMBRE 2005

RRIFLESSIONI IFLESSIONI,, OSSERVAZIONI OSSERVAZIONI EE COMMENTI COMMENTI SULLA SULLA FFOTOGRAFIA OTOGRAFIA

17 Una casa, tre fotografie

Anno XII - numero 116 - 5,70 euro

Ancora fotografia di Angelo Mereu dal telefono cellulare (Nokia); ancora interpretazione di grande personalità

DIRETTORE

IMPAGINAZIONE

20 Tre dimensioni sotto vetro

Gianluca Gigante

REDAZIONE

Looxis: particolare finitura fotografica attivata e realizzata dalla tedesca Vitro Laser di Minden

22 Morbosa necrofilia

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Alessandra Alpegiani Angelo Galantini

FOTOGRAFIE Alessandra Alpegiani Antonella Simoni

Un certo modo di intendere la fotografia: dal film Era mio padre alla narrazione del romanzo Nove Miglia Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

SEGRETERIA Maddalena Fasoli

HANNO

28 Dal Camion Roberto Francomano ha realizzato un emozionante racconto fotografico in presa diretta dalla/della sua vita di Maurizio Rebuzzini

34 Senza alcuna somiglianza

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Carrellata di camuffamenti fotografici, non certo esaustiva, in equilibrio tra annotazioni storiche e segnalazioni di costume: dalle mimetizzazioni al gioco. E contorni di Angelo Galantini

● FOTOgraphia è venduta in abbonamento. ● FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano.

Affascinante e significativa monografia di Timothy Greenfield-Sanders, ritrattista statunitense di alto profilo di Alessandra Alpegiani

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48 Ancora (vera) panoramica L’attuale versione Horizon S3 Pro interpreta con rigore la fotografia (tradizionale) orbicolare a obiettivo rotante

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La monografia inglese The World’s Most Photographed non va oltre il proprio richiamo originario. E delude

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60 Agenda Appuntamenti del mondo della fotografia

65 Margaret Bourke-White Sguardi su una aristocratica interprete della verità di Pino Bertelli

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57 Ancora pieno formato La reflex digitale Canon Eos 5D conferma la soluzione tecnica del sensore CMOS da 12,8 milioni di pixel di Antonio Bordoni

COLLABORATO

Pino Bertelli Antonio Bordoni Sara Del Fante Roberto Francomano Angelo Mereu Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Zebra for You Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604, fax 02-66981643; graphia@tin.it.

42 Occhio discreto

54 Copertina ingannevole

RESPONSABILE

Maurizio Rebuzzini

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Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano



ortunatamente, ma forse la fortuna non c’entra affatto, dal mondo commerciale della fotografia stanno arrivando buoni segnali di attenzione alla materia, come da tempo non ne ricevevamo. Non si tratta di chiedere all’industria nel proprio insieme qualcosa di diverso da ciò che le compete, quanto di rilevare come, dopo periodi di sostanziale confusione, si stia tornando ad affrontare tematiche senza l’assillo di visioni apocalittiche. Per quanto gli equilibri siano cambiati, soprattutto rispetto le condizioni di anni addietro, bisogna annotare e riconoscere che per molto tempo non si sia fatto quasi nulla per rimediare. Perché questo è successo? Per dirla con un economista di rango, che ha così riflettuto sui massimi sistemi del nostro mondo, siamo stati soltanto stupidi e miopi? Non si sbaglia mai a rispondere che lo siamo stati. Oggigiorno, sull’onda lunga di tanti fatti, possiamo anche giustificare alcune miopie e qualche non-fare con un alibi: il mercato. È il mercato -ci viene spiegato- che con i propri automatismi provvede a tutto. Guai a far intervenire la nostra “mano visibile”, annota Giovanni Sartori sul Corriere della Sera dello scorso tre settembre. Per quanto le riflessioni conseguenti si riferiscano a valori grandi dell’economia, a partire dall’impennata del costo del petrolio, le parole di Giovanni Sartori possono vestire a misura anche il piccolo micro-macrocosmo del commercio fotografico. Trascritta, la sintesi è lineare: «la concorrenza di mercato è uno strumento insostituibile per la determinazione dei costi e dei prezzi. Senza mercato, un sistema economico diventa anti-economico. Ciò detto, il Mercato non è un meccanismo salvatutto». Infatti, spesso il guaio è che il mercato “vede corto”, che non ha progettualità. Il che lo rende inidoneo, e controproducente, nell’affrontare il futuro. Ora, tradotti nel commercio fotografico, questi concetti fotografano (gioco di parole voluto) una situazione vissuta, che alcuni sostanziosi indizi danno per superata. Infatti, negli ultimi mesi, pensiamo ignari uno dell’altro, diversi distributori nazionali hanno espresso propositi non più declinati al solo prezzo di vendita, che spesso è stato elaborato soprattutto per riferimento alla concorrenza (all’esterno di quel processo di mercato che dal prezzo arriva alla concorrenza; invece, dalla concorrenza si è spesso approdati al prezzo), ma con concreti valori tecnici e funzionali dei propri prodotti, per conseguenza collocati ad adeguati prezzi di vendita e acquisto. Questa inversione non è poca cosa, anzi è addirittura vero il contrario. Rivela come gli operatori non stiano più pensando al solo presente, ma si proiettino in avanti. Sicuramente è sintomo di maturità (dell’era tecnologica digitale) ed è un autentico e sano atteggiamento commerciale, che sottolinea come l’intero mercato della fotografia stia affrontando programmi a più confortevole scadenza. Speriamo di non sbagliarci, di non essere soltanto i soliti entusiasti ottimisti. Maurizio Rebuzzini

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Per la presentazione della nuova reflex digitale Olympus E-500, che ingrossa le fila del sistema QuattroTerzi (ne riferiremo sul prossimo numero), sono state usate parole che nel corso degli ultimi tempi erano andate perse: concretezza tecnica in combinazione con consapevolezza commerciale. È questo che, in definitiva, definisce il concetto di mercato, così come è lecito e legittimo che sia e si manifesti.

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FOTOGRAFIA E RESISTENZA

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Una mostra fotografica (e un libro) di Oliviero Toscani, Sant’Anna di Stazzema - 12 agosto 1944 - I bambini ricordano, porta a riflettere ancora sull’uso civile o di resistenza della fotografia (in esposizione al Chiostro della Cattedrale di Sant’Antimo di Piombino, in provincia di Livorno, fino allo scorso 10 ottobre). Il linguaggio fotografico corrente, analogico o digitale fa lo stesso, è un percorso di creazione dell’illusione del consenso. Le immagini sono uno strumento per rendere “reali” e commestibili gli orrori delle guerre di colonizzazione, del petrolio o di religione; e i privilegiati della dis/umanità occidentale si possono permettere anche di guardare al telegiornale i genocidi in diretta, con il ritratto del “Che” appeso tra la gondola di Venezia e un armadio Ikea. I mass-media, come sappiamo, non mirano al cuore dell’ingiustizia, ma alla perpetuazione della merce. Lo spettacolo è il loro circo, ma i pagliacci hanno le armi e a pagare sono sempre le popolazioni più impoverite.

DELLA FOTOGRAFIA CIVILE La sacre certezze del mercato globale puzzano di sangue innocente e la messinscena della fotografia, specie la più consumata, mostra i disastri di una civiltà eretta sul sangue di Caino. Il dolore dei poveri, le atrocità razziali, le mattanze che intere popolazioni hanno subìto per secoli restituiscono altri terrorismi, altre paure, altre violenze; e non servono più appelli alla pace, proclami di vendetta, piogge di bombe o campi di sterminio: la pace si fa con la pace e chi semina pace raccoglie la pace. Il sangue in “prima pagina” è una recita, e nemmeno i servizi cine-televisivi più impegnati resistono all’urto dell’indifferenza generale. La fotografia, poi,

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che è una “lingua bastarda”, compromessa con le mitologie dell’ordine dominante e destinata a tutti, non teme di interpretare la devastazione di una donna stuprata o di un bambino morto per fame. Non dimentica nemmeno di documentare i decessi di massa nei Sud della Terra (le armi con le quali vengono commessi sono fabbricate e smerciate dai paesi più sviluppati, che siedono al tavolo dell’Onu): le “buone novelle” fanno sempre piacere. La fotografia, dunque, celebra la distruzione e la morte. Al posto di un passato che muore, mette il futuro già in decomposizione. Auschwitz e Hiroshima non pare abbiano insegnato nulla all’ordito della politica. Gli spazi commerciali si moltiplicano sul numero dei morti ammazzati, per fare sì che l’economia si trasformi in impero mondiale. I nuovi schiavi sono i produttori dell’ottanta per cento di ciò che il venti per cento dell’umanità consuma per sostenere il proprio benessere. La democrazia fotografica sta al giogo, e già dalle prime immagini pubblicate sui giornali (1880), la sola cosa che i fotografi sembrano avere capito bene è leccare il culo ai loro padroni: in cambio di una manciata di dollari e un po’ di briciole di notorietà caduta dalle tavole degli empi, s’intende. Non hanno mai compreso che «si ottiene molto di più da un ricco prendendolo a pugni, che dandogli la mano» (Louis Scoutenaire). Non si tratta di essere scettici sulla bontà dei padroni dell’immaginario, ma eretici d’ogni eresia.

OLIVIERO TOSCANI. I BAMBINI RICORDANO Oliviero Toscani, passatore della fotografia non addomesticabile, racconta una strage che molti vorrebbero scordare e altri cancellare dall’armadio degli

orrori: Sant’Anna di Stazzema 12 agosto 1944 - I bambini ricordano. Fotografo oltre il convenzionale mercantile e il banale d’autore, Oliviero Toscani appronta una catenaria di ritratti splendidi, tagliati, forti, come la fotografia italiana non è abituata a fare, né comprendere. Le immagini sono realizzate senza particolari accorgimenti tecnologici, si tratta di stupendi primissimi piani in bianconero, che guardano non solo in macchina, ma “bucano” il momento della ripresa e, come nella grande ritrattistica sociale, depositano nel “sudario” iconografico dell’autore la propria anima. In quelle icone malinconiche e in qualche modo “surreali”, Oliviero Toscani affabula un incrocio di sguardi, e in quegli occhi, in quella pelle antica ci sono anche i “corpi” simbolici dei loro familiari assassinati nella piazza del paese il 12 agosto 1944. La tragedia, la paura, i ricordi delle uccisioni sono evocati attraverso quei volti statuari e nelle testimonianze, quasi frammenti di diario, riportati in dialetto toscano, che fanno rivivere il tremore di quel giorno senza un filo di retorica o di pietismo: quei “bambini”, ormai vecchi, sostengono la difesa dei valori della libertà, della democrazia e della pace. «Mi parlavano mentre li fotografavo, e i loro occhi raccontavano più del-

le loro parole» (Oliviero Toscani). Le immagini di resistenza di Oliviero Toscani riconducono la fotografia sui banchi della storia, e l’autore non teme di fare né dietrologia né altro che ricordare un eccidio commesso dai nazi-fascisti nell’Italia che si stava liberando da venti anni di dittatura. Era il tempo della speranza, quando uomini, donne, giovani d’ogni inclinazione politica presero le armi e andarono alla macchia per conquistare non solo rosse primavere di bellezza, ma anche dare vita a una nazione fondata sulla democrazia. Il fatto: «Il 12 agosto 1944, le SS tedesche (e collaborazionisti fascisti) compirono uno dei più feroci delitti della storia italiana: la strage di Sant’Anna di Stazzema. Sotto il fuoco della 16. SS-Panzergrenadier-Division “Reichsführer-SS” caddero cinquecentosessanta civili, in gran parte donne e bambini, sfollati in quella zona per sfuggire ai bombardamenti. Nel 1970, a Stazzema è stata consegnata la Medaglia d’Oro al Valor Militare e la Regione Toscana ha proclamato Sant’Anna Centro regionale della Resistenza. Qui, nel 2000, è stato istituito il Parco Nazionale della Pace, come centro di iniziative culturali per la diffusione degli ideali di pace e fratellanza tra i popoli». [A complemento. Almeno duemila persone, grosso modo il venti per cento di tutte le vittime civili delle stragi naziste in Italia, furono assassinate nel corso di poco più di due mesi, nell’estate 1944, dagli uomini di una singola divisione tedesca: la 16. SS-Panzergrenadier-Division “Reichsführer-SS”. Le sue stragi colpirono quasi esclusivamente donne, bambini e anziani a Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Vinca, le Fosse del Frigido, Valla, Massaciuccoli, Bergiola Foscalina, Bardine di San Te-


renzo, Massa e molti altri episodi tra rappresaglie, rastrellamenti, rapine, saccheggi e stupri. L’unità che perpetrò quei crimini portava il nome “Reichsführer-SS”, titolo del quale era insignito Heinrich Himmler, il comandante in capo dell’“ordine nero” nazista: tra le quaranta divisioni tedesche presenti in Italia era quella più caratterizzata dall’adesione agli ideali nazisti. I suoi battaglioni erano composti da soldati di appena diciassette-diciotto anni, reclutati nelle zone rurali della Germania e dell’Austria. Ma era anche una unità multietnica, con un’alta percentuale di giovani provenienti dalle comunità di lingua tedesca dei Balcani, insieme ad alsaziani, italiani e alcuni croati, belgi, danesi e olandesi. I suoi quadri erano composti in gran parte da desperados politici, nazisti tedeschi e austriaci della prima ora. Molti di questi uomini avevano servito per lunghi periodi nella divisione SS “Totenkopf”, legata all’apparato che gestiva i lager. Non solo il suo comandante, il generale SS Max Simon, ma anche numerosi ufficiali, come Walter Reder, che si macchiò della strage di Marzabotto, provenivano dalle formazioni di sorveglianza dei campi di Dachau, Buchenwald o Sachsenhausen. Alcuni di questi uomini avevano preso parte alle prime fucilazioni in massa in Polonia, alle uccisioni nella Francia del Nord e alla distruzione del ghetto di Varsavia nel 1943. Altri ancora avevano prestato servizio in formazioni coinvolte nella “pulizia etnica” nell’Europa dell’Est. Fu il caso di Anton Galler, appunto responsabile della strage di Sant’Anna di Stazzema, ma anche di Karl Gesele e Helmut Looss, che uccise millesettecento tra civili ed ebrei in Unione Sovietica]. Oliviero Toscani ha fotografato quelli che all’epoca della strage erano bambini di età compresa tra i due e i dodici anni, scampati alla furia dei criminali nazi-fascisti. È stato un notevole “cacciatore d’ombre”, ha avuto la capacità di cogliere una forte dignità

popolare, e nella frontalità augustea dei sopravvissuti sborda anche la memoria di una bruciatura storica troppo presto dimenticata o celata nei revisionismi di regime. Non è però un’iconografia della sofferenza, quella fotografata da Oliviero Toscani, e nemmeno della restaurazione del

e solo la narrazione di sé. Agostino, il berbero, Proust o Montaigne, dicevano “è qualcosa che nel tempo diventa storia del mondo”. Nelle parole dei sopravvissuti si avverte un senso di vuoto profondo e le lacrime versate per il ricordo dei propri cari, degli amici, dei conoscenti; nel

È deplorevole per l’educazione della gioventù che i ricordi sulla guerra siano sempre scritti da gente che la guerra non ha ammazzato. Louis Scutenaire tempo perduto: c’è una sacralità della coscienza in queste immagini, una risorgenza del ricordo o una seminagione di storie insanguinate che riguardano l’intera comunità della pace. La scrittura fotografica di Oliviero Toscani è comunque ereticale. L’origine dalla quale parte è sempre trascolorata in altro, e nella sua ritrattistica è disseminata la bellezza e rapacità di una “razza umana” che non merita essere difesa. «Fotografare non significa solo inquadrare, e inquadrare vuol dire escludere» (Susan Sontag); scippare la realtà all’ordine delle cose è un atto di accusa o la decostruzione di saperi (compreso quello fotografico) che continuano a perpetuare le assurdità delle guerre con altre genuflessioni. Fuori dal coro, Oliviero Toscani rompe l’indecenza dello spettacolo fotografico e riesce a fare di un evento spaventoso un atto d’amore. Le facce e le microstorie raccolte da Oliviero Toscani si leggono come un film di carta, un sentiero di pannelli che compongono un non-luogo della memoria, fissata tra il nero della notte delle armi e il rosso del sangue versato. I nomi dei morti, le biografie, le frasi che legano tra loro questa specie di “album di famiglia” fanno sovente commuovere, tuttavia mostrano che non c’è retorica nel dolore vero

contempo, anche l’orgoglio di coloro che non hanno dimenticato, né vogliono dimenticare. «Le cose che si dimenticano possono ripetersi» (Primo Levi).

I “vecchi bambini” di Oliviero Toscani non solo ricordano, ma ci guardano! e sembrano dire: per la libertà, come per l’amore, non ci sono catene! I veri insorti dell’esistenza amorosa sono sempre passati per il silenzio o per i camini. A leggere in profondità la scrittura fotografica di Oliviero Toscani, non solo qui, non è difficile scorgere la denuncia della crudeltà umana e dell’umana barbarie; ricordare con pudore è un atto etico e un valore poetico. L’arte senza bavagli è l’unico Paese senza frontiere dove l’amore dell’uomo per l’uomo non è un obbligo, è una necessità. Il pane si spezza, non si taglia, dicevano i briganti di confine. La fotografia, quando è grande, esprime il ritratto di un’epoca. Pino Bertelli (15 volte settembre 2005)


IN COLLEGAMENTO. Come noto, l’ampio sistema Manfrotto non si limita alle sovrastrutture della sala di posa e dintorni (dagli stativi ai treppiedi), ma include anche soluzioni intermedie per il completo ed esteso controllo delle infrastrutture a contorno del set fotografico. In questo senso si segnala la nuova serie di morsetti universali Manfrotto LP, MP, MP Slimper per cinema e spettacolo, adatti per strutture e per posizionare luci e accessori di ogni genere (fino a 500kg, con certificazione TÜV). Grazie al nuovo design e alla struttura a nido d’ape, gli Eye Coupler (per tubi da 42 a 52mm) si distinguono dalle precedenti serie LP/MP per maggiore leggerezza, a parità di robustezza e portata, conformazione ergonomica e sicura e fermo in apertura, per trasformare il morsetto in gancio. Sono disponibili in differenti modelli, completi di codoli, spigot filettati e non, anelli e ulteriori altri terminali per uso universale. (Bogen Imaging Italia, via Livinallongo 3, 20139 Milano).

POTENZA DI LUCE. Dedicato alle reflex Pentax autofocus, sia tradizionali, a partire dalla Z-10, sia digitali, della gamma *istD, il flash elettronico AF540FGZ vanta una generosa emissione luminosa, quantificata nel Numero Guida 54, ai consueti riferimenti tecnici, peraltro specificato nella sua stessa sigla identificativa. La potenza lampo si combina con una parabola zoom automatica (in abbinamento agli obiettivi delle serie FA, FA-J, DFA e DA) e una estesa varietà di

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funzioni evolute, tra le quali si segnalano l’automatismo PTTL, la sincronizzazione del lampo con tempi di otturazione rapidi e il controllo automatico PTTL senza cavi (wireless). Tra le caratteristiche supplementari si segnala la nuova posizione “Digitale” sulla scala di conversione delle lunghezze focali della parabola zoom (che copre dalla visione grandangolare 24mm all’avvicinamento tele 85mm della fotografia 24x 36mm), che esprime la corrispondenza al sensore delle reflex digitali, di dimensioni inferiori al fotogramma 24x36mm. La torcia flash dispone di angolazioni regolabili da meno 10 a 90 gradi in verticale e fino a 180 gradi in orizzontale. Un diffusore grandangolare incorporato estende la copertura di campo all’angolo di visione del grandangolare spinto 20mm (sempre della fotografia 24x36mm). Il pannello Catch Light serve per dare l’effetto di riflesso luminoso sulle pupille del soggetto, anche eseguendo ritratti in lampo riflesso (bounce flash). Possibilità di alimentazione esterna con accumulatore opzionale TR Power Pack II. (Protege - Divisione Foto, via Pratese 167, 50145 Firenze).

ALTRE CINQUE. Apprezzato sistema di compatte digitali, ai primi posti nelle vendite in Italia, Nikon Coolpix si arricchisce di cinque nuovi modelli, che confermano sia l’indirizzo verso soluzioni tecniche di prestigio sia verso interpretazioni di accattivante design. Le due Nikon Coolpix P1 e P2 sono le prime compatte digitali con Wi-fi integrato. La fotografia wireless è diventata ormai un “oggetto del desiderio” imperdibile e le Coolpix P1 (disponibile in finitura black e silver) e Coolpix P2 offrono la libertà di scattare, trasferire e stampare immagini ovunque, con qualità e ad alta velocità. La Coolpix P1 presenta una risoluzione da otto Megapixel (5,1 Megapixel per la Coolpix P2), un obiettivo

Zoom-Nikkor 3,5x, con escursione equivalente alla variazione 36-126mm della fotografia 24x 36mm, e un ampio monitor LCD da 2,5 pollici per una visualizzazione agevolata. Inoltre, le Nikon Coolpix P1 e Coolpix P2 dispongono anche della modalità Auto a priorità dei diaframmi, per un maggiore controllo manuale degli scatti. La Nikon Coolpix S4 unisce elevate prestazioni (sensore CCD da sei Megapixel) all’ergonomica versatilità del corpo macchina (rotazione dell’obiettivo di 270 gradi). A garanzia di immagini di alta qualità, lo zoom ottico Nikkor 10x vanta un’escursione equivalente da 38 a 380mm. Il design seducente e all’avanguardia della Coolpix S3 (erede del progetto avviato con le originarie S1 e S2), disponibile nelle finiture bianco, nero e silver, si accompagna con ac-

cattivanti caratteristiche tecniche: sensore CCD di acquisizione digitale da sei Megapixel, ampio e luminoso monitor LCD da 2,5 pollici e potente obiettivo a escursione interna Zoom-Nikkor ED 3x 35105mm (equivalenti). Quindi, la nuova “piccola” della famiglia, la Coolpix L1, si presenta con un sensore CCD da 6,2 Megapixel, un potentissimo zoom ottico 5x (equivalente a 38-190mm) e un monitor LCD da 2,5 pollici. Come ogni altra compatta della serie, la Nikon Coolpix L1 presenta la funzione D-Lighting (che “salva” acquisizioni altrimenti sottoesposte), la modalità AF con priorità sul volto (che rileva automaticamente la presenza di volti nell’inquadratura, sui quali applica una messa a fuoco nitida), l’Advanced Red Eye Reduction (che corregge automaticamente il fastidioso effetto occhi rossi, per risultati piacevoli e naturali), e la funzione Blur Warning (che avverte ogni volta che uno scatto è stato disturbato da vibrazioni dell’apparecchio, offrendo la possibilità di rieseguirlo con la stessa inquadratura). Ancora: finitura black o silver. (Nital, via Tabacchi 33, 10132 Torino).

BILANCIAMENTO. Innanzitutto, il kit Lastolite Ezy Balance permette un accurato bilanciamento del bianco, per sfruttare al meglio e rapidamente le potenzialità della fotografia digitale. Quindi, oltre al bianco sono disponibili tre densità di grigio: neutro 18 per cento e poi una tonalità più chiara e una più scura di mezzo stop, con mira serigrafata per agevolare l’autofocus.


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Profoto Pro-B2 L’innovazione dei flash a batteria Bloccando l’esposizione misurata sui fondi grigi si ottiene uno scatto perfetto. Il kit Lastolite Ezy Balance è composto da due pannelli singoli a doppia faccia, per quattro superfici totali. Sono disponibili tre dimensioni, di 30, 50 e 75cm di lato. (Bogen Imaging Italia, via Livinallongo 3, 20139 Milano).

PICCOLE DIMENSIONI. La borse della serie Hama Caseman si presentano molto compatte. Pratiche nella propria costruzione, sono dedicate ad apparecchi fotografici (digitali piuttosto che tradizionali) di piccole dimensioni. Sono dotate di un pratico aggancio apribile a mezzo velcro, per permettere il loro aggancio alla cintura. In tre combinazioni di colori (grigio/arancione, verde/verde, marrone/oliva) e in tre modelli: Caseman DF10, 5,5x2,5x8,5cm Caseman DF20 6x3x9,5cm; Caseman DF30 7,5x4,5x11cm. (Mamiya Trading, via Cesare Pavese 31, 20090 Opera Zerbo MI).

SUPER CARTUCCIA. Imation, azienda leader nell'offerta di supporti rimovibili per archiviazione dati, presenta una nuova cartuccia Super DLTtape II, compatibile in lettura/scrittura con i drive SDLT 600, con capacità fino a 600Gb di dati compressi e una velocità di trasferimento dati fino a 72Mb al secondo. Si tratta di una soluzione ideale per le aziende che dispongono di reti e data center che richiedono l'uso di supporti veloci e affidabili per gestire e archiviare grandi quantità di dati. Le cartucce a nastro Imation Super DLT II eccedono gli attuali standard di settore e vantano una costruzione particolarmente robusta, per proteggere più efficacemente i dati. Con una capacità nativa fino a

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300Gb (600Gb compressi), in un formato estremamente ridotto, le cartucce a nastro Imation Super DLT II sono ideali per l'impiego in ambienti sia standalone sia automatizzati. La cartuccia Super DLTtape II è in grado di effettuare operazioni di lettura/scrittura accuratamente precise, grazie alla presenza di servotracce ottiche che contribuiscono ad assicurare una superiore capacità storage e un migliore allineamento traccia/testina. (Imation, Centro Direzionale Milano 2, Palazzo Verrocchio, 20090 Segrate MI).

UNA GAMBA. Il monopiede Manfrotto Neotec, codice 685B, è stato ulteriormente perfezionato. Oltre le note caratteristiche di estrema rapidità operativa, presenta sostanziali migliorie: doppio allungamento, regolazione automatica sulle due sezioni, autoblocco di sicurezza contro chiusure accidentali, impugnatura morbida per il trasporto, piedino con ventosa e pedale per bloccaggio a terra. Con quest’ultimo, ulteriore affinamento, la regolazione delle sezioni è continua e non distoglie il fotografo dall’azione della ripresa. (Bogen Imaging Italia, via Livinallongo 3, 20139 Milano).

Efficace generatore flash da 1200Ws con doppia alimentazione: alla corrente di rete e a batteria!

Per l’uso in location, la batteria di alimentazione offre Fino a 200 lampi a piena potenza Elevata velocità di ricarica: da 0,04 a 1,8 secondi Breve durata del flash, per congelare i movimenti del soggetto: da 1/2200 a 1/7400 di secondo Regolazione della potenza su un’estensione di 8 f/stop (da 1200Ws a 9Ws), con variazioni da 1/2 o 1/10 di stop Distribuzione simmetrica o asimmetrica (con un rapporto di 2:1) della potenza selezionata sulle due prese flash Lampada pilota fino a 250W Lampada pilota continua o a tempo Collegamento radio (ricevitore opzionale), che elimina la necessità di cavi di sincronizzazione

Il generatore Profoto Pro-B2 è integrato al versatile sistema Pro-7. Accetta tutte le torce flash Pro-7, standard o speciali, incluse le ProHead (con lampada pilota da 250W), ProRing (anulare) e ProTwin (da 2400Ws, per il collegamento a due generatori). Inoltre, progettata esclusivamente per il Pro-B2, la torcia Pro-B Head è leggera e portatile (10x22cm, 1,8kg), in modo da integrarsi perfettamente nel concetto di massima libertà operativa.


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A/D imaging srl, viale Sabotino 4, 20135 Milano 02-58430907, fax 02-58431149 • www.adimaging.it • info@adimaging.it


PER PICCOLI STILL LIFE

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Specializzata nell’illuminazione professionale per fotografia digitale in sala di posa, Tokina Hong Kong è una produzione che recentemente si è affacciata sul panorama internazionale; in Italia è distribuita da Gruppo BP di Milano. Il catalogo è ricco di soluzioni tecniche dedicate, tra le quali spiccano due linee di particolare personalità. Da una parte, si segnalano le plafoniere a luce fluorescente; dall’altra i definiti Mini Digital Studio Kit, indirizzati allo still life di piccoli oggetti (che visualizziamo in queste pagine). La gamma di plafoniere a luce fluorescente, tutte da 5000 kelvin, comprende sei dotazioni, distinte in relazione alla potenza luminosa e configurazione, tutte realizzate con frequenza luminosa da 20.000 a 30.000Hz, congeniale alle esigenze e necessità dei dorsi di acquisizione digitale di immagini. Particolare è la soluzione della mini doppia plafoniera a luce fluorescente FFL-4832, formata da due plafoniere da 48W più 32W (490x360x120cm), fissate assieme, ad angolo variabile. La po-

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tenza di 48W (da sei tubi accostati di 8W ciascuno) illumina il fondo, mentre quella più contenuta di 32W (quattro tubi da 8W) illumina il soggetto. Entrambe sono utilizzabili con o senza diffusore, in relazione al quale si registra una conseguente diversa emissione di luce: rispettivamente 520 e 580 Lux (la plafoniera da 32W, con e senza diffusore) e 880 e 1050 Lux (la plafoniera da 48W, ancora con e senza diffusore), con rilevazioni a un metro di distanza. Le stesse dotazioni sono quindi comprese nel sistema di plafoniere Tokina Hong Kong a luce fluorescente, di cinque unità di potenza progressiva, da 16 a 64 watt. Tutte ugualmente definite da temperatura colore costante di 5000 kelvin, le plafoniere si distinguono in due linee sostanziali, con la sigla identificativa che precisa e certifica le rispettive potenze luminose: FL-16, FL-24 e FL-32, utilizzabili solo alle relative piene potenze di 16, 24 e 32W; e poi FL-48N e FL-64, con doppia regolazione (piena potenza 48W e due/terzi di potenza 32W, la

Le due versioni di tavoli da still life portatili a valigetta (pagina accanto) si distinguono per le dimensioni dei rispettivi piani di appoggio: 43,5x29cm e 55,2x46cm.

I Mini Digital Studio Kit di Tokina Hong Kong sono disponibili in diverse versioni. I modelli MDSK-1 e MDSK-2 condividono la plafoniera a luce fluorescente sotto il piano di appoggio. Nelle rispettive dotazioni tecniche sono poi previste altre tre o due plafoniere di illuminazione.

plafoniera FL-48N; piena potenza 64W e tre/quarti di potenza 48W, la plafoniera FL-64). Alla frequenza costante da 20.000 a 30.000Hz, le cinque plafoniere esprimono coerenti intensità luminose. Al solito, riferiamoci a rilevazioni da un metro di distanza e alla doppia dotazione, con o senza diffusore aggiuntivo: plafoniera a luce fluorescente FL-16 (168x203x 30cm, da quattro tubi da 4W ciascuno, 150 e 180 Lux); plafoniera FL-24 (244x203x30cm, da quattro tubi da 6W ciascuno, 370 e 410 Lux); plafoniera FL-32 (320x203x 30cm, da quattro tubi da 8W ciascuno, 520 e 580 Lux); plafoniera FL-48N (392x400x42cm, da sei tubi da 8W ciascuno, 880 e 1050 Lux a piena potenza); plafoniera FL-64 (434x460x62cm, da otto tubi da 8W ciascuno, 1400 e 1600 Lux a piena potenza). Oltre il citato diffusore da collocare davanti alle rispettive superfici di illuminazione, le plafoniere a luce fluorescente possono essere accessoriate con alette rompiflusso, da collocare lungo i bordi orizzontali e/o verticali per governare e dirigere le relative emissioni luminose. A seguire, Tokina Hong Kong ha in catalogo una differenziata famiglia di tavoli da still life pieghevoli con


piano di perspex. Standard è la configurazione FST-1 di dimensioni

esterne 694x590x550cm, in posizione operativa. La superficie di appoggio di 590x430cm si accompagna alla sezione verticale di 590x370cm. Erede di una lunga e gloriosa genìa, che nel corso dei decenni ha espresso eterogenee soluzioni, questo tavolo di piccole dimensioni replica le caratteristiche tecniche dell’illuminazione morbida del soggetto, con possibilità di eliminazione delle ombre di appoggio con retroilluminazione (che personalmente non abbiamo mai condiviso, ma che oggi consente di risparmiare onerose sessioni di postproduzione al computer: segno inviolabile dei tempi!). Le stesse caratteristiche generali definiscono le configurazioni dei tre Mini Digital Studio Kit, ciascuno comprensivo di sistemi di illuminazione dedicati. I modelli MDSK-1 e MDSK-2 comprendono anche una plafonie-

ra a luce fluorescente collocata direttamente sotto i rispettivi piani di appoggio, appunto per l’eliminazione diretta in ripresa delle ombre di appoggio del soggetto. Il kit MDSK-1 è formato dal tavolo di still life pieghevole standard (FTS-1) e quattro mini plafoniere; il kit MDSK2 ha tre mini plafoniere. La sua derivazione MDSK-3 presenta solo le due mini plafoniere esterne; cioè è privo di mini plafoniera sotto il piano di appoggio. Infine, si segnalano due versioni di illuminazione portatile a valigetta: PSLS-5000/224 e PSLS-5000/ 248N. Entrambe le configurazioni comprendono due mini plafoniere a luce fluorescente da collocare su monopiedi telescopici che si fissano alla valigia in alluminio che, aperta, si dispone come set portatile per piccoli still life, con rispettivi piani di appoggio di 43,5x29cm e 55,2x 46cm. (Gruppo BP, via Cornelio Tacito 6, 20137 Milano). A.Bor.



UNA CASA, TRE FOTOGRAFIE

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Sul nostro recente numero (cabalistico?) Centoundici, dello scorso aprile, abbiamo sottolineato come e quanto, al giorno d’oggi, il campo fotografico sia vasto ed eterogeneo come non mai. Senza soluzione di continuità, dalle consolidate applicazioni della fotografia tradizionale con pellicola (e relativi processi di trattamento e stampa delle copie), che spazia in lungo e largo, alle potenzialità dell’acquisizione e gestione digitale di immagini, alcune coincidenti altre autonome, l’espressione visiva ha a disposizione una estesa quantità e qualità di strumenti. Ribadiamo: come mai in precedenza, al culmine di una lunga storia della produzione automatica di immagini, al giorno d’oggi si può attingere a una smisurata serie di utensili, la cui applicazione influenza, con le proprie forme, i contenuti; a volte li condiziona addirittura. Quindi, confermiamo una nostra posizione discriminante. Pur in epoca di trasformazione (annunciata), questa situazione non deve essere affrontata, e gestita, nel senso della contrapposizione tra due mondi, presentati come distinti e divergenti. Al contrario, deve essere affrontata e analizzata alla luce delle fantastiche infinite possibilità e potenzialità che questa situazione tecnologica offre all’applicazione del linguaggio visivo. Nella coscienza di una stupefacente realtà, siamo approdati a un’idea/ipotesi che abbiamo definito “liberi tutti” (FOTOgraphia, aprile 2005). Ovvero, non conta come si agisce (anche se poi conta anche), ma perché lo si fa. Ogni mezzo indirizza un linguaggio, e non è certo questione secondaria. Per questo, il ragionamento sull’Immagine (Maiuscola) non è in subordine al modo di lavoro, ma al contrario. Per certi versi, l’Immagine è tale, appunto Immagine, indipendentemente dal mezzo di propria produzione, che non deve essere altro che infrastrutturale. Semmai avesse diritto di ospitalità, l’approfondimento ha il dovere di fornire elementi di indagi-

ne, aggiungendo sia considerazioni critiche, sia valutazioni procedurali, senza dimenticare mai che il soggetto unico, non soltanto principale, rimane l’Immagine. Lo affermiamo, pur nella consapevolezza del modo nel quale i mezzi influiscano sui risultati, come abbiamo anche appena annotato. Lo affermiamo, convinti che oggi, “liberi tutti”, si possa sempre più approdare all’Immagine partendo da infiniti ed eterogenei punti di vista: senza soluzione di continuità dal foro stenopeico su raffinata pellicola bianconero, da trattare con estrema attenzione, all’istantanea spontanea e improvvisa con telefono cellulare dotato di funzione fotografica, dalla rigorosa inquadratura sul vetro smerigliato di un apparecchio grande formato otto-per-dieci (pollici, equivalenti a 20x25cm) alla sostanziale approssimazione preventiva di un modesto monitor LCD. In ogni caso, il risultato è sempre lo stesso: Immagine, che dipende soprattut-

«La fotografia di Angelo Mereu non è virtuale, ma concreta e solida: appunto raccolta su un supporto che è parte integrante del procedimento e della costruzione dell’immagine. In relazione alle proprie intenzioni, l’autore interviene sul file originario, grezzo e semplice, con alterazioni volontarie di tono/colore e nitidezza».

to dalla testa, mente (e forse anche pancia) dell’autore. Per questo, sollecitati da osservazioni che hanno accompagnato la pubblicazione di una serie di immagini di Angelo Mereu realizzate con telefonini Nokia (in FOTOgraphia dello scorso giugno), ribadiamo, confermandolo, il valore, spessore e merito del gesto fotografico del bravo e capace autore. Per farlo, concentriamo l’attenzione su una identificata altra serie di immagini di un unico soggetto, una casa di campagna, inquadrata da tre punti prospettici diversi, sempre con telefono cellulare Nokia di tecnologia recente, seppure precedente le attuali famiglie di più elevata risoluzione formale. Tre inquadrature originarie sono state trattate da Angelo Mereu con il sapore e garbo che abbiamo già sottolineato, fino ad approdare a una moltiplicata serie di copie su carta, ciascuna caratterizzata da un proprio autonomo sapore.

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Ribadiamo i modi dell’azione fotografica di Angelo Mereu, che stabilisce un fantastico punto di partenza (oppure arrivo?) di e per quel concentrato discorso sull’Immagine, che oggi può contare su infiniti e straordinari processi tecnici: tutti inderogabilmente e inviolabilmente finalizzati all’espressione visiva, al linguaggio (e non alla chiacchiera). In estratto, dalla presentazione di giugno: «Di fatto, l’applicazione di Angelo Mereu, autore capace di muoversi con disinvoltura attraverso infinite mediazioni, offre un inatteso punto di vista sulla sua fotografia con telefonino, del quale bisogna tener conto. Facendo di necessità virtù, di caratteristiche linguaggio, Angelo Mereu concilia le nuove tecnologie con l’insieme della storia evolutiva del linguaggio fotografico. [...] Angelo Mereu non si è lasciato intimidire dagli inutili discorsi sulla presunta qualità, o non qualità, delle acquisizioni di immagine, ma ne ha fatto materia e linguaggio. Per quanto le originarie ri-

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Un unico soggetto, una casa di campagna, è stato fotografato da Angelo Mereu da tre punti prospettici diversi, sempre con telefono cellulare Nokia (due soggetti in questa pagina, il terzo nella pagina precedente). Le tre inquadrature originarie sono state trattate con sapore e garbo, fino ad approdare a una moltiplicata serie di copie su carta, ciascuna caratterizzata da un proprio autonomo sapore.

soluzioni limitate non consentissero stampe di adeguata qualità formale, ha aggirato il problema affinando uno stile espressivo conciliato -e conciliante- con la più concreta esperienza fotografica. Le sue immagini sono state subito caratterizzate da un sapore particolare, dipendente dalla stampa dei file su supporti particolari: per lo più carte a mano, sulle quali la limitata quantità di pixel (informazione) dà atmosfera e contenuto. [...] «La fotografia di Angelo Mereu non è virtuale, ma concreta e solida: appunto raccolta su un supporto che è parte integrante del procedimento e della costruzione dell’immagine. In relazione alle proprie intenzioni, l’autore interviene sul file originario, grezzo e semplice, con alterazioni volontarie di tono/colore e nitidezza. [...] La natura squisita-

mente e oggettivamente fotografica [del gesto] dipende proprio dalla mediazione del mezzo e dei materiali che qualificano e definiscono, appunto, l’esercizio fotografico [...]. «È questo l’insieme che trasforma, non per magia, ma per capacità creativa e interpretativa, la raffigurazione in rappresentazione. [...] Dopo aver scattato, l’autore seziona l’oppressiva oggettività della mediazione fotografica (da telefonino) introducendo una sequenza di interventi personali. Come abbiamo puntualizzato stampa su supporti scelti all’occorrenza, poi evita l’omogeneità dei toni intervenendo sui contrasti e passaggi di colore. È tanto? No. È quello che la sua sensibilità gli impone di fare, quando interpreta l’essenza fotografica per la propria (di lui) capacità di rappresentazione». M.R.


studiotto firenze

Molti s’innamorano al primo scatto con l’Anti-Shake. Perché la nuovissima Dynax 5D* coniuga semplicità d’uso ed altissima tecnologia assicurando una qualità eccezionale delle immagini anche in condizioni critiche. Infatti l’esclusiva tecnologia Anti-Shake (Antivibrazione) impedisce la sfocatura ed il mosso anche quando si scatta con poca luce, con focali lunghe o con poca stabilità. A tutto sovrintende il sistema CxProcess™ III che elabora l’immagine ad alta velocità per rendere al massimo il dettaglio e i colori sempre più fedeli.

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TRE DIMENSIONI SOTTO VETRO

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Chiariamo subito che l’interpretazione fotografica attivata e realizzata dalla tedesca Vitro Laser di Minden, sul mercato con il marchio Looxis, ci pare più adatta a usi e costumi dell’Europa del Nord, piuttosto che alla nostra socialità italiana, solitamente distante da questo tipo di prodotti. Però, nell’ambito di una visione a tutto tondo, che non ignora le molteplici manifestazioni commerciali, la proposizione Looxis merita attenzione. Di cosa si tratti, è presto detto: di una trasformazione tridimensionale della ripresa fotografica, inserita in contenitori di plexiglas di dimensioni diverse, sagomati come soprammobili o portachiavi o altro ancora. Da una parte si possono realizzare soggetti generici di richiamo generale, come è il caso della Statua della Libertà di New York (a destra) o di altri riferimenti del turismo internazionale. Dall’altra ognuno può realizzare il proprio ritratto, magari da regalare a una persona cara. I ritratti Looxis vengono prodotti in indirizzi appositi, per lo più localizzati (nei paesi del Nord Europa) in prossimità o all’interno di centri commerciali. La sessione fotografica è rapida e la gestione del servizio semplice. Appunto, dopo il ritratto, effettuato con una apposita attrezzatura a restituzio-

ne tridimensionale (due punti di vista convergenti), la ripresa viene elaborata digitalmente e trasferita all’interno del supporto scelto (in basso, a sinistra). Niente di più, né di diverso. Dalla posa alla consegna passano pochi minuti, non più di cinque, e il servizio è in qualche modo accostabile alla fotografia. Diciamo che si tratta di una tra-

sformazione ad uso popolare, che viene proposta come fonte di reddito (per chi la realizza). Nel testimoniare, ribadiamo la nostra personale convinzione già espressa in apertura. Per quanto accattivante, ci pare una lavorazione più vicina a altri intendimenti sociali e del costume, diversi da quelli propri e caratteristici del nostro paese. Dunque, la segnalazione si intenda soprattutto riferita alla fenomenologia, da iscrivere nelle vicende parallele all’uso lineare dell’immagine. Magari, volendolo fare, da accodare alle combinazioni della fotografia nei medaglioni, nei cammei, in spille e altro ancora. (Vitro Laser, Gewerbepark Meissen 10, D-32423 Minden, Germania; 0049-71-387330, fax 0049571-3873344; www.looxis.com, info@looxis.com). A.Bor.

Gli indirizzi Looxis sono localizzati in prossimità o all’interno di centri commerciali (soprattutto nei paesi del Nord Europa). Offrono prodotti generici preconfezionati, riconducibili al souvenir, e realizzano ritratti estemporanei.

Per il ritratto da collocare all’interno di un supporto trasparente a scelta si utilizza un sistema di ripresa tridimensionale, con due punti di vista convergenti presto elaborati da un software dedicato. Documentiamo la sessione con la quale Antonio Marotta ha realizzato un portachiavi.

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MORBOSA NECROFILIA

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Nelle sale cinematografiche, prima, e in immediata successiva distribuzione privata, poi, in formato inevitabilmente DVD, lo statunitense Road to Perdition (diciamo In viaggio per Perdition, lontana località nella quale i protagonisti cercano la propria salvezza) è arrivato in Italia con l’ingannevole titolo di Era mio padre. Qualifichiamo “ingannevole” il titolo, perché nella propria declinazione è rivelatore del finale del film, nel quale il protagonista Michael Sullivan (ottimamente interpretato dal bravo Tom Hanks) muore. Certo, ognuno lo potrebbe intuire da sé, fin dalle prime inquadrature, accompagnate dalla voce narrante del figlio, che evoca ricordi e nostalgie.

L’appartamento di Harlen Maguire (l’attore Jude Law) è letteralmente tappezzato di “fotoricordo” di cadaveri, a certificazione e testimonianza della morbosa necrofilia del coprotagonista di Era mio padre.

Il fotografo Harlen Maguire soffoca il “morto” che respira ancora.

Ma un conto è il richiamo, un altro l’esplicita dichiarazione di intenti. Per restare un poco qui, prima di affrontare il film, del quale stiamo per puntualizzare, come nostro costume, la componente fotografica, il dichiarato “era mio padre” fa l’esatto paio con una analoga maldestra traduzione di Mondadori, che pubblicò come Maigret e il sergente maggiore l’originario racconto di Georges Simenon Les caves du Majestic (che per l’appunto, nella più attuale collana Adelphi è tornato tale: I sotterranei del Majestic, nei quali si consuma la vicenda delittuosa). Se in un racconto a sfondo poliziesco, come sono i romanzi del commissario Maigret, il personaggio del titolo non è vittima, non può che essere l’assassino. Dunque, che poliziesco è quello che rivela subito la propria conclusione? Ciò sottolineato, Era mio padre di Sam Mendes (Road to Perdition; Usa, 2002) è un film che contiene e presenta una particolare combinazione fotografica. Ambientata nel 1931, la sceneggiatura, ricavata da racconti originari a fumetti, è presto

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riassunta: killer al soldo del mafioso John Rooney (Paul Newman), Michael Sullivan protegge il figlio dodicenne Michael Jr (Tyler Hoechlin), involontario testimone di un omicidio commesso dal figlio del capo, Connor (Daniel Craig). In fuga dalla propria casa, dove sono già stati uccisi un altro figlio e la moglie/mamma, Michael (Mike) e Michael Jr cercano di raggiungere la tranquilla Perdition; per contratto di mafia, uno spietato killer è sulle loro tracce. Ed ecco arrivare la fotografia: nella vita di tutti i giorni, il killer è un fotografo di cronaca; entrando in scena, subito manifesta un proprio gusto necrofilo. Fotografo professionista, a copertura dell’altra redditizia attività, Harlen Maguire (interpretato dall’attore Jude Law, l’Errol Flynn di The Aviator, Dan di Closer e Gigolo Joe di A.I. Intelligenza artificiale) è un crudele necrofilo, che prova intima soddisfazione per l’immagine della morte. Lo si capisce immediatamente; come abbiamo annotato, fin dalla propria entrata in scena. Harlen Maguire sta fotografando


Siparietto tra i due momenti fotografici cruciali di Era mio padre: Harlen Maguire carica un rullo 120 in una non identificabile 6x9cm (?) a soffietto.

un cadavere, vittima di omicidio, e mentre è al vetro smerigliato della Speed Graphic su treppiedi nota che il suo “morto” respira ancora, dà segni di residua vita. Senza troppo scomporsi, lascia la postazione fotografica e si avvicina al “cadavere”, che rende definitivamente tale soffocandolo (pagina accanto).

Ecco qui, la combinazione killer-fotografia è assoluta e inviolabile. Harlen Maguire uccide per denaro, ma soprattutto uccide per poter fotografare la morte: come rivelano anche le sequenze in camera oscura e le panoramiche del suo appartamento, appunto tappezzato di “fotoricordo” di cadaveri (pagina accanto). Tanto

è che nelle scene finali, è chiaro che, individuati i due Sullivan, li ha attesi al varco preparando preventivamente la Speed Graphic, in modo da poter “immortalare” la propria opera (a pagina 24). A parte un piccolo siparietto in una tavola calda, dove Harlen Maguire incrocia per la prima volta le sue prede, che però gli sfuggono, e dove registriamo la sequenza del caricamento della pellicola a rullo 120 in una non identificabile 6x9cm (?) a soffietto (a sinistra), i momenti fotografici salienti di Era mio padre sono soprattutto, e forse soltanto, questi due. Quantitativamente sono pochi, ma contenutisticamente tanto, come sottolineano le sequenze abilmente sintetizzate e isolate da Filippo Rebuzzini, pubblicate in queste pagine. Per quanto potremmo essere tentati di iscrivere questa citazione nell’ampio contenitore della fotografia giudiziaria, antropometrica e di Polizia (capitolo affascinante, da affrontare quanto prima, anche alla luce di sostanziose monografie a tema di recente pubblicazione), si tratta di altro. Nel comportamento di Harlen Maguire non c’è la fotografia ufficiale sul luogo del crimine, come inve-

JUDE LAW, ATTORE: ALTRI INCROCI FOTOGRAFICI

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otografo (killer) necrofilo in Era mio padre, sul set l’attore Jude Law ha incrociato la raffigurazione fotografica in almeno due altre occasioni, entrambe del 2004. In Closer, di Mike Nichols, Jude Law è Dan Wolf, scrittore frustrato che nella Londra dei nostri giorni incontra Alice Ayres (Natalie Portman; Golden Globe come miglior attrice non protagonista e candidatura all’Oscar), appena arrivata dagli Stati Uniti per crearsi una nuova vita. Con l’amore, Alice trasmette a Dan anche esperienze esistenziali, che presto si trasformano in romanzo. È a questo punto che compare all’orizzonte Anna Cameron (Julia Roberts), fotografa di grido che deve realizzare il ritratto di Dan per il risvolto di copertina del suo libro (a proposito: Cameron?, in citazione/omaggio a Julia Margaret Cameron?, straordinaria figura degli anni pionieristici della fotografia). In una vicenda che è stata cinematograficamente riferita a tre generi coesistenti -drammatico, sentimentale e commedia-, si incrociano le vicende di quattro personaggi. Ovviamente, Dan è attratto da An-

na, il cui marito Larry (Clive Owen; Golden Globe come miglior attore non protagonista e candidatura all’Oscar) è a propria volta colpito da Alice. Ma questo non ci interessa, non tanto quanto le sequenze

“fotografiche” di Anna, in equilibrio tra Hasselblad su treppiedi Manfrotto, in studio con Dan (Jude Law) in posa, e Leica M6, in esterni. Anche in Sky Captain and the World of Tomorrow, di Kerry Conran, fantascienza, thriller e fantasy, al pari di Era mio padre ispirato a un fumetto (di Alex Raymond, in questo caso), Jude Law incontra la fotografia. In una oscura New York quasi senza tempo, assieme alla ex fidanzata, la giornalista Polly Perkins (Gwyneth Paltrow), nei panni di Joseph “Sky Captain” Sullivan deve salvare la città dall’invasione dei giganteschi robotkiller. Vola in Nepal, dove stana il perfido dottor Totenkopf, che ha progettato un piano di distruzione del mondo. Ovviamente, la fotografia è tra le mani di Polly Perkins, e non manca una battuta finale che fa (può fare) epoca: non la riveliamo, per non rovinare la sorpresa. In aggiunta, ringraziamo gli effetti speciali, grazie ai quali, negli ultimi minuti del film, Laurence Olivier, morto nel 1989, appare sotto forma di ologramma nei panni del dottor Totenkopf: un cammeo che fa onore alla produzione.

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ce c’è in Lo sbirro, il boss e la bionda (Mad Dog and Glory, 1993), nel quale Robert De Niro interpreta un ombroso fotografo della Polizia, appunto Wayne “Mad Dog” Dobie (ne riferiremo a breve). Nel comportamento di Harlen Maguire c’è proprio sadismo e necrofilia, esercitati attraverso la fotografia. Quindi, se un parallelo va identificato, la memoria torna facile a una combinazione, curiosamente identica, che isoliamo da Nove Miglia, poliziesco di Rob Ryan, scritto nel 2000, pubblicato in Italia nella collana popolare dei Romanzi neri del Giallo Mondadori. Rappresentativa della partecipazione della Fotografia a una socialità generalizzata, oltre lo stretto ambito degli addetti, la combinazione fotografica di Nove Miglia è estremamente affascinante. Al pari di altre presenze della Fotografia nel cinema e nella letteratura statunitensi (sebbene l’autore Rob Ryan sia inglese, nato a Liverpool), anche qui i richiami fotografici sono convenientemente colti, concentrati e competenti. Ne abbiamo ampiamente riferito in FOTOgraphia del (lontano?) febbraio 2004, e ora ci limitiamo alla sola componente di morbosa necrofilia e intima soddisfazione per l’immagine del dolore, che unisce tra loro, associandoli addirittura, i due personaggi curiosamente coincidenti. Come il cinematografico Harlen Maguire di Era mio padre, in Nove Miglia anche Vincent Wuzel è un killer che ama la fotografia. In modo identico, copre la propria attività principale con un riferimento fotografico: in questo caso di compravendita di libri fotografici e fotografie d’autore, ed è a propria volta scrupoloso collezionista. In particolare, Vincent Wuzel colleziona fotografie di morte, in subordine al fatto che lui non riesce a realizzarne di altrettanto feroci. Testuale: «Era difficile da spiegare, questo nucleo privato della sua collezione. Certo, le foto di Avedon erano belle, ma erano solo immagini. Quelle che desiderava davvero, erano gli scatti che catturavano qualcos’altro, qualcosa di sfuggente, l’interfaccia tra la vita e la morte. Le sue preferite erano quelle foto che avevano

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catturato l’istante in cui la vita abbandonava un corpo, quando ciò che era un’entità vitale, senziente, diventava una collezione di cellule morenti. «Aveva visto quell’istante diverse volte, dato che era lui quello che premeva il grilletto, gli era capitato di tenere un’arma contro la tempia di qualcuno, e di sparare, e di osservare la testa della vittima che si torceva come quella di un tacchino, e poi, il nulla. Ma accadeva sempre troppo in fretta, non riusciva mai a impedirsi di chiudere gli occhi nel momento della detonazione. E però era

Killer di professione e, allo stesso tempo, fotografo con evidenti inclinazioni necrofile, Harlen Maguire di Era mio padre si attarda al vetro smerigliato della propria Speed Graphic per contemplare il dolore e la morte.

convinto che da qualche parte ci fosse una foto che coglieva quello che lui si perdeva. Sei vivo e poi, bang, sei morto». Ecco qui, nelle proprie apparizioni in Nove Miglia, le considerazioni fotografiche di Vincent Wuzel si incrociano con la personalità di killer, appunto in un connubio necrofilo, che viene rivelato nel proprio complesso. «Vincent Wuzel si preparò un caffè e raggiunse il soggiorno per poter pensare con calma. Sul tavolo davanti a lui c’era l’album che raccoglieva i suoi sforzi personali nel campo della fotografia. Cominciò a sfogliarlo mentre la sua mente cercava di capire come affrontare quell’improvvisa crisi nella sua vita. [...] «Si fermò sulle ultime cose e fece una smorfia quando vide la foto di quel tipo disteso sul tavolo. Non tanto per la foto in se stessa, anche se era convinto che cogliesse molto bene la totale disperazione negli occhi dell’uomo. Ma per quello che era successo poi. «Lo avevano preso per strada, fuori di un bar. Con lui c’era Brownie [il cui nome è significativamente preso a prestito dall’autore Rob Ryan dalla famiglia di apparecchi fotografici Kodak Brownie], ricordava, che si era avvicinato alle spalle del tipo, gli aveva puntato una pistola alla schiena, lo aveva fatto salire nell’auto dove aspettava PD. Brownie lo aveva colpito due volte, dei colpi rapidi e potenti che lo avevano reso docile, mentre lo legavano e imbavagliavano. Lo avevano portato in quel vecchio ristorante che usavano sempre. Era chiuso da un anno, ma la cucina era ancora intatta, e lo avevano legato sul tavolo di acciaio. Quand’era rinvenuto, li aveva guardati con un’espressione supplice negli occhi. Wuzel aveva preparato la macchina fotografica, una Nikon F3, su un treppiedi, e parlava mentre lavorava, gli spiegava cosa avrebbero fatto e perché, perché a BB non piaceva essere imbrogliato. Era stato allora che aveva scattato quella foto. «“ok” ricordava di aver detto “questo è una specie di esperimento. Quando lo faremo, voglio


delle foto per fissare quell’istante. Catturarlo per la posterità”. «Il tipo aveva cominciato a divincolarsi, ma Brownie lo aveva colpito di nuovo ed era svenuto. PD gli aveva gettato addosso dell’acqua fredda. Wuzel voleva che fosse cosciente. «Brownie aveva preso una di quelle grosse lime d’acciaio che si usano per affilare i coltelli e un pestacarne. Stava per conficcare la lima nel lato sinistro del petto quando Wuzel gli aveva detto di no, più vicino al centro. Aveva preso qualche altro scatto della faccia dell’uomo, e poi aveva inserito l’apposito cavo e acceso il

Ovviamente, la conclusione di Era mio padre non è favorevole, diciamo così, al killer necrofilo Harlen Maguire. Il film dissolve sovrapponendo speranze per il futuro al tragico epilogo “fotografico”.

motore. Aveva visto che PD stava per sentirsi male, e così lo aveva mandato via, a prendere qualcosa per cena. «Brownie ci aveva riprovato, un colpo incerto che aveva costretto il corpo a inarcarsi, senza riuscire a penetrarlo. Devi colpire con più forza, gli aveva detto Wuzel. Il cuore è protetto da un sacco di membrane e ossa. Colpisci questa merda. «Brownie aveva alzato il pestacarne e lo aveva riabbassato proprio mentre il winder della macchina fotografica cominciava a girare. Wuzel era convinto che questa volta sarebbe riuscito a coglierlo, l’esatto momento della morte, l’istante esatto. Si sentirono i tessuti lacerarsi e gorgogliare quando la lima di acciaio era penetrata attraverso le membrane e le ossa e aveva trapassato un cuore gonfio di adrenalina che pulsava a una velocità tripla del normale. Una grande fontana carminio si era levata nell’aria, come se avessero trovato un pozzo di petrolio rosso. L’uomo si era contorto per un ultimo, breve istante, la schiena inarcata all’estremo. In un disperato tentativo di bloccare Brownie, era riuscito a liberare una mano dai legacci, ma poi era ricaduto indietro, il manico della lima che bucava dal suo torace. «– Merda – aveva gridato Wu-

zel. – Merda, merda, merda. «Brownie, schizzato di sangue dalla testa ai piedi, lo aveva osservato perplesso senza pronunciare una sola parola. «Wuzel aveva indicato la macchina fotografica, l’obiettivo una massa di sangue in rapida coagulazione. Era stato oscurato proprio nell’istante che Wuzel avrebbe voluto catturare. Tutta quella fatica, e per quello che era servito, avrebbero potuto benissimo sparare a quel tipo. «Chiuse l’album. Come si chiamava quell’uomo? Sì, Warren, ecco. Poveretto. Una gran brutta morte, non era neppure riuscito ad avere una foto decente. Da quel momento, Wuzel si era deciso a limitarsi ad acquistare foto; se si cercava di farlo da soli, le spese per le pulizie erano stellari». Eccola, per concludere, l’affinità (elettiva?) tra i due personaggi, originariamente separati, che abbiamo accostato per sottolineare il filo comune della morbosa necrofilia in forma fotografica. Il cinematografico Harlen Maguire di Era mio padre e Vincent Wuzel di Nove Miglia sono entrambi killer che declinano un particolare modo di intendere la fotografia, appunto come intima soddisfazione per l’immagine del dolore e della morte. M.R. Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini


Marco Locatelli

Nei primi anni Ottanta si è messo in proprio, nella natia provincia di Lecco

Classe 1950, Marco Locatelli ha avviato

(ai tempi, di Como), indirizzandosi

la propria attività all’inizio degli anni

alla fotografia in sala di posa

Settanta, come assistente in camera

per cataloghi e al reportage industriale.

oscura: ai tempi partenza d’obbligo.

Nel 1985 si è unito ad altri professionisti specializzati in arredamento e fotografia industriale.

A seguito delle esperienze maturate con

nico, con generatori Profoto, il primo dor-

duazione sia di nuove attrezzature, via via

la gestione completa della fotografia tra-

so digitale arriva nel 1995: la camera

ottimali e adatte alle esigenze del lavoro

dizionale (argentica, riprendendo una af-

oscura diventa camera chiara e ancora si

fotografico, sia, soprattutto, all’affinamen-

fascinante, oltre che corretta, terminolo-

conferma, estendendosi addirittura, il con-

to di nuove tecniche di ripresa. Si specia-

gia francese), Marco Locatelli ha affron-

trollo completo dell’immagine (una auten-

lizza nell’uso e applicazione di program-

tato con adeguato piglio e coerenza le lo-

tica discriminante per Marco Locatelli).

mi di gestione dell’immagine, a partire

giche, niente affatto distanti, dell’acquisi-

Dopo le fasi pionieristiche dei dorsi a

dall’immancabile Photoshop, e raggiunge

zione e gestione digitale di immagini. Sul-

scansione e della “scomparsa” degli

la base di un parco luci da tempo elettro-

obiettivi grandangolari, la sua continua ricerca professionale lo spinge alla indivi-

A / D i m a g i n g s r l • v i a l e S a b o t i n o 4 , 2 0 1 3 5 M i l a n o • 0 2 - 5 8 4 3 0 9 0 7,


Subito ha sentito la necessità

sia per il tradizionale trattamento

di “controllare” in proprio l’intero iter

del bianconero, sia per lo sviluppo

produttivo dell’immagine, attivando

delle diapositive, con processi standard

a conseguenza una camera oscura,

e personalizzati, per l’incremento della sensibilità nominale come per l’elaborazione cromatica dei soggetti ripresi.

sostanziosi livelli di alta qualità formale

sti internazionali, realizza un particolare

sura delle esigenze della clientela, replica la

della fotografia, che sposa con la propria

servizio, continuamente ricordato negli

dotazione di flash Profoto, a partire dalle

abilità e capacità d’autore, efficace inter-

annali del cinema: riprese diurne a Locar-

configurazioni D4R, il cui software di gestio-

prete delle esigenze delle più severe ne-

no, trasformate in visione notturna sulla

ne permette di controllare con la massima

cessità di una raffinata clientela.

base di un progetto finalizzato.

efficienza la regolazione delle luci, la loro

Per lo studio di Vittorio Storaro, magistra-

Nel 2004, un nuovo studio, sempre a mi-

precisione e costanza di emissione dei lam-

le direttore della fotografia del cinema,

pi, soprattutto nel caso di multiesposizioni.

che lavora con i più noti e qualificati regi-

Nel carnet professionale di Marco Locatelli si annoverano clienti del calibro di Philips, Vileda, De Poortere, Illva, Loctite, Mauri, Nardi, Polti.

f a x 0 2 - 5 8 4 3114 9 • w w w. a d i m a g i n g . i t • i n f o @ a d i m a g i n g . i t


R

oberto Francomano, al quale arriveremo più avanti, dopo una doverosa introduzione, è un personaggio totalmente estraneo al consueto e consolidato circuito della fotografia italiana contemporanea, che si esprime attraverso infinite manifestazioni, soprattutto estive, indirizzate e circoscritte a precisati clan e congregazioni, per lo più chiusi e inviolabili, che coesistono senza interferire né incontrarsi tra loro. In questo senso, i tracciati della fotografia italiana sono noti, e ognuno si

DAL Avvincente e coinvolgente racconto realizzato riflettendo dentro il proprio mondo. Roberto Francomano, che svolge la professione al volante di un camion, svela se stesso e la propria esistenza, osservando con suggestiva serenità momenti quotidiani di Vita, riuniti in una straordinaria sequenza di immagini. Affermatesi all’ottava edizione di Portfolio in Villa, all’inizio del prossimo anno queste fotografie saranno raccolte in monografia 28


riconduce a proprie identificazioni: chi attorno una figura carismatica, chi in subordine a interessi concreti, chi per interpretazione di casta. Un solo elemento è comune a tutta questa fotografia italiana, senza soluzione di continuità da professionale a non professionale: l’assoluta e inderogabile assenza di tratti comuni con gli altri. Ognuno è inviolabilmente incamminato lungo una strada propria, che non prevede confronti, collegamenti, scambi di opinioni ed esperienze. In questo panorama, personalmente mi muovo senza ap-

partenere a nessuna corporazione precostituita, e agisco per me stesso, magari come mina vagante o cane sciolto (a ciascuno la propria visione). Quindi, per una miscellanea di casualità, mi capita di essere anche trasversale, e frequentare, per un breve ed effimero istante, per lo più irripetibile e che non si ripete, espressioni diverse della fotografia italiana contemporanea. Proprio in questo vagare ho potuto constatare quel sottile filo comune che caratterizza e definisce ogni confraternita: sostanzialmente isolata in se stessa e referente al-

CAMION

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l’esterno soltanto per dichiarata omogeneità di intenti. All’inizio dello scorso giugno, la decima edizione dell’Internazionale di Fotografia di Pieve di Soligo, Conegliano, Susegana, in provincia di Treviso, si è accompagnata con l’ottava edizione di Portfolio in Villa, che l’organizzatore Club Fotografica ha svolto secondo i princìpi stabiliti dalla Fiaf, la Federazione Italiana Associazioni Fotografiche nella quale si riconosce e della quale fa parte (www.clubfotografica.it). Sono sta-

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to uno dei lettori di portfolio, e dopo due intense giornate di lavoro, durante le quali sono stati presentati tanti lavori e progetti fotografici estremamente eterogenei tra loro, ho fatto parte della Commissione che ha rivisto i materiali vagliati per distribuire le onorificenze e i premi previsti dal regolamento. Coordinati da Fausto Raschiatore, presidente, per l’edizione 2005 di Portfolio in Villa, oltre me, hanno operato i fotografi Beppe Bolchi e Francesco Paolo Cito e i critici Daniele De Luigi, Luigi Erba, Massimo Mussini, Cristina Paglionico e Roberto Roda. Eccoci qui. Roberto Francomano di Monfalcone, in provincia di Gorizia, classe 1957, ha vinto il Primo premio, precedendo Ettore Perazzini di Rimini (con La riviera dei sogni: «Per il piglio inedito con il quale ha letto la realtà della Rimini vacanziera») e Ivano Zanchetta di Colfosco, in provincia di Treviso (con Cattedrali del lavoro: «Per il rigore formale e la coerenza stilistica applicata alla lettura del paesaggio industriale»). A seguire, sono stati assegnati altri riconoscimenti, sui quali non abbiamo modo di soffermarci (la sede non è adatta). Già l’abbiamo scritto, ma la ripetizione è opportuna. Il vincitore del Primo premio all’ottava edizione di Portfolio in Villa, «è un personaggio totalmente estraneo al consueto e consolidato circuito della fotografia italiana contemporanea». Roberto Francomano non appartiene ad alcun gruppo, non si fa forte di alcuna complicità, non frequenta l’itinerario delle letture di portfolio, che spesso prevedono riconosciute ripetizioni e riproposizioni: alla maniera delle fotografie inviate a più concor-


DAL CAMION ercorro centomila chilometri all’anno lungo le strade d’Italia e d’Europa, Pco èisolato, protetto, chiuso in un buco di quattro metri quadrati. Questo bula mia casa, dove mangio, dormo e lavoro. Da qui vedo un mondo diverso da quello degli altri. Dal parabrezza e dagli specchi controllo quello che mi circonda, in ogni stagione dell’anno, con qualsiasi tempo. Guidando, affronto la fatica della strada, della pioggia, della neve. Di giornate gelide o nebbiose. O umide e appiccicose, quando finalmente d’estate mi fermo, ma non riesco a dormire. Sono sempre solo, inchiodato al sedile, e ho molto tempo per pensare. Come i guardiani del faro o i pastori. Nella solitudine sono teso, e la fatica del lavoro diventa un’angoscia sottile che devo allontanare. A volte, la strada ipnotizza, ti fa addormentare come un incantatore di serpenti, è un’ossessione accertarsi in ogni momento se si è davvero svegli o si sta crollando. Quando hai tremila chilometri davanti a te, c’è poco da scherzare. Ma i pensieri a volte corrono veloci. Allora mi sento bene, guardando la notte mentre gli altri sono rintanati nelle proprie case. E il mio camion diventa una finestra su un mondo grandioso, che muta sempre e passa. Un’alba, un tramonto, una montagna dietro una curva. Chi se lo aspettava! Fotografo ciò che mi emoziona e che non prevedo. La mia vita, il riflesso del mondo e quello degli altri sono tutti qui: nei centomila chilometri che percorro ogni anno lungo le strade d’Italia e d’Europa, isolato, protetto, chiuso in un buco di quattro metri quadrati. Roberto Francomano

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si, simultaneamente o in rapida consecuzione, per moltiplicare le possibilità di vittoria, segnalazione e gratificazione. Roberto Francomano, che ho avuto il privilegio e piacere di incontrare di persona, non appartiene a nulla di questo. È semplicemente se stesso e rappresenta soltanto se stesso. Formalmente sono contento che la sua vittoria si concretizzi in qualcosa di più solido e consistente delle sole onorificenze: al suo portfolio primo classificato sarà dedicata una monografia di sessantaquattro pagine (come è stato per Antonella Monzoni, vincitrice 2004; FOTOgraphia, aprile 2005) e le fotografie verranno esposte in mostra personale alla prossima undicesima edizione dell’Internazionale di Fotografia (maggio 2006) e veicolate in altre manifestazioni dello stesso tipo e impostazione (Toscana Foto Festival di Massa Marittima, in provincia di Grosseto, lo scorso luglio; Fotografia in Puglia di Alberobello, in provincia di Bari, questo novembre; Festa della Fotografia d’Autore di Castellanza, in provincia di Varese, lo scorso settembre; Fotoleggendo di Roma, il prossimo maggio 2006).

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«Per la forza, il coraggio e la volontà di osservare un mondo di lavoro dall’interno, con essenzialità stilistica e concretezza narrativa», la serie Dal Camion di Roberto Francomano si è imposta all’ottava edizione di Portfolio in Villa di Solighetto. Non so se l’autore ha svolto precedenti lavori, anche se non posso pensare diversamente, considerata la maturità di questa serie (di complessive trenta immagini); neppure so se ne svolgerà altri. Comunque, la solidità visiva ed emozionale di Dal Camion mi basta per iscriverlo nella selettiva categoria dei fotografi, non importa se professionisti o non, che hanno saputo guardare la Vita senza preconcetti, e l’hanno efficacemente raccontata per immagini. Roberto Francomano è una persona che fa onore incontrare e conoscere. È di una bellezza propria (non intendo fisicamente, che sono fatti suoi), che arricchisce chi gli sta attorno. E le sue fotografie sono in pertinente e perfetto ordine con la sua personalità. Oltre i valori formali che ne definiscono e connotano l’inevitabile lessico, sono belle, perché emotive. Belle, perché esprimono convinzioni e consapevolezze che raramente la fotografia riesce a sintetizzare. Per farlo, per compiere questo straordinario passo, che si incontra poche volte nella propria vita, occorrono autori di spessore e profonda umanità. Autori della statura di Roberto Francomano, al quale mi auguro altri possano essere grati, quanto io gli sono debitore. Maurizio Rebuzzini



Donald Duck Camera per pellicola a rullo 127. Mirino di visione e inquadratura e obiettivo nei due occhi; pulsante di scatto con la lingua al centro del becco.

Q

uando abbiamo affermato, come abbiamo avuto modo di sostenere, che l’attuale combinazione fotografica con il telefonino è determinante e discriminante, abbiamo tenuto conto della funzione e presenza sociale dello stesso telefonino nella vita quotidiana dei nostri giorni (soprattutto riferita alla genìa Nokia; FOTOgraphia, maggio e giugno 2005). Tanto è vero che, in parallelo,

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abbiamo altresì annotato che non sarebbe stato assolutamente lo stesso se le funzioni fotografiche fossero state abbinate a qualsiasi altro oggetto individuale o complemento di abbigliamento. Per dire, e lo abbiamo detto, non sarebbe stato lo stesso neppure se la fotografia fosse trasmigrata, per esempio, all’interno delle penne stilografiche e/o penne biro, per propria natura quantitativamente più diffuse, ma meno presenti nella vita di tutti i giorni:

SENZA ALCUNA


me avviene oggi con la fotografia da telefonino, ma si sono orientate altrimenti. Almeno due sono le direzioni che si possono annotare. Una è curiosa e divertente: riguarda gli apparecchi fotografici giocattolo “a forma di”; l’altra, storicamente più consistente, tanto da appartenere alla stessa storia evolutiva della tecnica fotografica, cataloga le mimetizzazioni a uso spionistico e contorni. Parliamone, invertendo l’ordine dei fattori.

CAMUFFAMENTI (MIMETIZZAZIONI) Storicizzato e classificato in maniera parziale, quello dei camuffamenti è un capitolo latente della storia evolutiva degli strumenti della fotografia. Infatti si limita soltanto ai casi ufficialmente noti e riconosciuti, non potendo attingere alle realizzazioni che certamente ancora oggi sono in dotazione agli agenti dei servizi segreti di tutto il mondo e in uso nel mondo dello spionaggio industriale. La base di tanta miniaturizzazione, Minox e contorni, è certa, così come sono conosciute altre configurazioni del passato remoto. Totalmente oscuro è il presente, sicuramente vitalizzato dalle possibilità implicite nell’acquisizione digitale di immagini, svincolata dalle dimensioni di ingombro fisico della pellicola tradizionale. A conti fatti, per quanto ridotta possa essere, la pellicola fotosensibile è comunque operativamente più limitante di un sensore di acquisizione abbinato a una card di memorizzazione. Una dozzina di anni fa, sull’onda lunga del disfacimento dei paesi socialisti, sul mercato internazionale del collezionismo e antiquariato fotografico arrivarono consistenti quantitativi di mimetizzazioni fotografiche in dotazione agli agenti del disciolto Kgb, il servizio segreto dell’ex Unione Sovietica, piuttosto che delle analoghe Intelligence dei paesi dell’Est (la tedesca orientale Stasi sopra tutti). In particolare ricordiamo una microcamera base che poteva essere occultata all’interno di bottoni di abiti civili o divise militari, nel paraurti delle automobili e in altri

almeno nel confronto diretto con l’ormai immancabile e indispensabile telefono cellulare. Però, a ben vedere, non è del tutto vero. Cioè è vera la rilevazione, ma non è vero che la fotografia non si sia già abbinata ad altri oggetti della vita. Soltanto, eccoci, le intenzioni furono diverse. Tutte le precedenti estensioni della fotografia oltre i propri strumenti canonici non si sono proiettate verso la completa diffusione e massificazione, co-

Les appareils photographiques d’espionage, di Michel Auer e Eaton S. Lothrop (Éditions Epa, 1978; 176 pagine 26,5x28cm, cartonato con sovraccoperta), è la più completa storiografia a tema. Fuori catalogo da tempo, è reperibile agli indirizzi dell’antiquariato bibliografico.

Ben lontano dall’essere esaustiva (non è questa la nostra intenzione), una carrellata di camuffamenti fotografici si muove in equilibrio tra annotazioni storiche e segnalazioni di costume. Senza soluzione di continuità, passiamo dalla linea evolutiva degli apparecchi fotografici, nel cui ambito si annota il capitolo delle mimetizzazioni, alla giocosa curiosità di semplici (?) giocattoli

A SOMIGLIANZA

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La Photo-Cravate del parigino Edmond Bloch (1890) è un elegante esempio di apparato fotografico camuffato: sei lastre quadrate di 23mm di lato sono caricate in un dispositivo nascosto sotto la stoffa. (Da Histoire illustrée des appareils photographique, di Michel Auer). (in basso, a destra) In Totò, Vittorio e la dottoressa (di Camillo Mastrocinque, 1957), la coppia di investigatori privati Michele “Mike” Spillone (Totò) e Johnny (Agostino Salvietti) nasconde sotto il cappello la macchina fotografia delle indagini e il flash collegato.

Disegni esplicativi della confezione e uso dei cappelli all’interno dei quali furono collocati sistemi fotografici. Sostanzialmente contemporanee, le interpretazioni di M.J. de Neck (1888) e dei viennesi K.F. Jekeli e J. Horner (1891) utilizzarono, rispettivamente, autentici apparecchi fotografici a lastre per esposizioni 5x5cm e 8,5x10cm o 9x12cm.

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anfratti potenzialmente strategici. Però, ribadiamo, questo tipo di catalogazione è off limit: non è accessibile all’informazione generale, seppure di settore. Ciò che invece si conosce è quanto ha ormai assunto sapore storico, che è un valore contro il quale nulla e nessuno può esercitare alcuna forma di censura preventiva o coercizione. In questo senso è esemplare la storiografia a tema compilata da Michel Auer (FOTOgraphia, settembre 2005) e Eaton S. Lothrop: Les appareils photographiques d’espionage, Éditions Epa, 1978 (176 pagine 26,5x28cm, cartonato con sovraccoperta; a pagina 35). Così come è efficace la cronologia sintetizzata sul sito www.photogallery.it, che dà spazio anche all’altro capitolo che stiamo per trattare, delle macchine fotografiche giocattolo, in gergo “toy cameras”. Dato lo spessore di questo indirizzo, ne riferiamo in dettaglio a parte (a pagina 39); qui riportiamo soltanto la presentazione della directory Le fotocamere camuffate e le microcamere: «Alla fine dell’Ottocento dilaga nel mondo anglosassone la moda degli investigatori privati: sono gli anni in cui nasce il personaggio di Sherlok Holmes, fanno sensazione le imprese dell’agenzia Pinkerton e una delle parole più alla moda è “detective”. In questo contesto nascono le macchine fotografiche camuffate, non a caso chiamate detective. Questo nome identifica in particolar modo le macchine fotografiche a forma di parallelepipedo rivestito di pelle, che, discostandosi molto dalla forma tipica della macchina fotografica, potevano essere scambiate per innocue valigette [...]».

ACCESSORI UOMO Volutamente ignoriamo un insieme di curiosità temporalmente più vicine, seppure datate indietro nei decenni, che potrebbero farci registrare apparati fotografici nascosti in cinture (per esempio, quella realizzata dal berlinese Walter Talbot nel

1915, nota dal 1929, per esposizioni 25x25mm), in accendini (quali l’Echo-8, venduto anche come Europco-8, che in Vacanze romane del 1953 è usato dal “giornalista” Gregory Peck/Joe Bradley per fotografare di nascosto Audrey Hepburn/principessa Anne - “Anya Smith”), in scatole di fiammiferi (mille esemplari per pellicola 16mm costruiti da Kodak nel 1943), in orologi da polso (come la Steineck A-B-C del 1949, per otto pose 3x4mm su pellicola piana circolare di 25mm di diametro), in orologi da taschino (Kurt Steiner, nel 1939), all’interno di falsi libri (due citazioni: Scovill & Adams, New York 1892, e stereoscopica Photo-Bouquin dell’inizio del Novecento), in anelli da uomo e donna e ancora tanto altro. Allo stesso tempo, soprassediamo sulla pagnotta dentro la quale Virgil Starkwell (Woody Allen, anche regista del film) nasconde in modo ridicolo una cinepresa con la quale effettua un sopralluogo prima di una rapina in banca in Prendi i soldi e scappa (dall’originario Take the Money and Run del 1969). Quindi, ci concentriamo su mirati esempi di camuffamenti storici eclatanti, affascinanti anche per la propria apparenza. Passerella d’onore per la Photo-Cravate, ideata dal parigino Edmond Bloch nel 1890 (lo stesso dell’appena citata Photo-Bouquin, occultata in un libro). Prodotta da Charles Dessoudeix, utilizzava sei lastre quadrate di 23mm di lato, caricate in un dispositivo a rotazione nascosto sotto la stoffa. Alternativamente, ogni lastra da esporre si presentava all’obiettivo a forma di gioiello, al centro della stessa cravatta/foulard (in alto, a sinistra). L’intero l’apparato propriamente fotografico pesava circa trecento grammi. Del tutto analogo, il cappello fotografico ha avuto infinite interpretazioni. Vale la pena segnalarne due, sopra tutte, delle quali si conservano i disegni esplicativi. In moda d’epoca, quello di M.J. de Neck del 1888 avvolgeva un autentico apparecchio fotografico a lastre 5x5cm, con scorrimento a scamottaggio. Di poco successivo, tanto da essere considerato contemporaneo, quello dei viennesi K.F. Jekeli e J. Horner del 1891 consentiva esposizioni 8,5x10cm oppure 9x12cm (tutt’altro che miniaturizzate), e richiedeva di essere tenuto in orizzontale, perché l’obiettivo era collocato alla sommità (entrambi in basso, a sinistra).


Quotato da venticinquemila a trentacinquemila sterline a una sessione d’asta della londinese Christie’s dell’agosto 1995, il Photorevolver del francese Enjalbert (1882) alloggiava dodici lastre 40x40mm all’interno del tamburo. L’obiettivo 60mm f/9 è all’interno della canna.

A memoria, segnaliamo che in Totò, Vittorio e la dottoressa (di Camillo Mastrocinque, 1957) l’investigatore privato Michele “Mike” Spillone (appunto, Totò) non dispone di un cappello fotografico camuffato. Più propriamente, nasconde sotto il cappello una macchina fotografica, con la quale scatta togliendoselo dal capo (il cappello): a soffietto, presumibilmente per esposizioni 6x9cm, collegata al flash a lampadine nascosto sotto il cappello dell’aiutante Johnny (l’attore Agostino Salvietti; pagina accanto).

ANCORA UOMO (?) Il bastone fotografico Ben Akiba, ideato da E. Kronke e fabbricato da A. Lehmann di Berlino nel 1903, includeva il proprio apparato nell’impugnatura: venti pose 16x20mm su pellicola in bobina. All’interno dell’impugnatura, oltre la dotazione propriamente di ripresa, c’era spazio per altre quattro bobine di pellicola di riserva (qui sopra).

Più truce è il revolver fotografico, appunto Photorevolver, del francese Enjalbert, del 1882. Replica fedele di un autentico revolver, che tale restava all’apparenza, occultava l’insieme della combinazione fotografica tra l’originario tamburo, dove trovavano alloggiamento dodici lastre 40x40mm a scamottaggio, e la canna di tiro, all’interno della quale era mimetizzato un obiettivo 60mm f/9. Nell’estate 1995, un esemplare del Photorevolver, in perfetto stato di conservazione, è stato proposto da Christie’s di South Kensington, Londra, specializzata in attrezzature fotografiche d’epoca (qui sopra): valore stimato da venticinquemila a trentacinquemila sterline. Sinceramente, questa ultima combinazione Photorevolver è in qualche modo allarmante, oltre che deviante. Personalmente non ne comprendiamo l’utilità, in considerazione del fatto che, in ogni circostanza della vita, una macchina fotografica ci pare meno inquietante, scoraggiante e pericolosa di una rivoltella. Possiamo soltanto condividere il conforto di coloro i quali hanno scoperto di essere stati fotografati (soltanto fotografati) da un’arma puntata loro contro! Esattamente all’opposto -ennesima citazione cinematografica d’obbligo- del terrore stampato sul volto delle vittime dello psicopatico Mark Lewis (sullo schermo, l’attore tedesco Karlheinz Böhm) dell’Occhio che uccide di Michael Powell (Pepping Tom, del 1960). Con la propria cinepresa, l’inquietante Mark Lewis riprendere il terrore delle vit-

(a sinistra) Ideato da E. Kronke all’inizio del Novecento, il bastone fotografico Ben Akiba nascondeva l’apparato fotografico nella propria impugnatura: venti pose 16x20mm su pellicola in bobina. (Da Histoire illustrée des appareils photographique, di Michel Auer). Instamatic con finiture Mickey Mouse e Donald Duck in combinazione (Helm Toy Corporation, New York, 1978 circa). Kodak Pocket Instamatic con richiami a Mickey Mouse.

Mickey Mouse Camera per caricatori Instamatic, con innesto per cuboflash (1972 circa).

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Mucca Foto promozionale della linea Nestlé Frùttolo del 1999-2000. I frutti disseminati sul fianco occultano l’obiettivo di ripresa e il mirino di inquadratura. Macchine fotografiche 35mm a forma di lattina di bibita. Complete di flash elettronico, prevedono la predisposizione dell’obiettivo di ripresa.

PER GIOCO (!)

Variante derivata dalle macchine fotografiche 35mm a forma di lattina di bibita, con diversa identificazione e identico princìpio di uso.

All’origine delle macchine fotografiche a forma di lattina di bibita c’è la classica Coca-Cola, per caricatori Pocket Instamatic (Tizer Company, 1978).

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In modo e misura analoghi a quello dei camuffamenti fotografici a uso spionistico, seppure per motivi totalmente diversi, il capitolo degli apparecchi fotografici giocattolo, quelli “a foggia e forma di”, è ben lontano dal poter essere codificato e classificato per intero. A parte qualche caso ufficiale, peraltro sporadico, quali sono state anche recenti combinazioni rivolte ai genitori per i propri bambini (pensiamo a Polaroid, e in particolare al rivestimento con l’effige del lupo Taz), per lo più questo è un mondo che non si riferisce necessariamente al tragitto fotografico lineare, ma ne sfiora spesso i confini e bordi. Quindi, a testimonianza fenomenologica riportiamo una rapida e limitata segnalazione di quanto abbiamo a portata di mano, reperito nel capace contenitore di una affascinante collezione privata. Pochi i commenti, e rappresentativo il casellario (dal quale escludiamo volutamente il capitolo autonomo delle varianti delle monouso, che fa storia a sé). Ribadiamo, nulla di esaustivo, ma solo una indicazione di percorso possibile, peraltro preso in considerazione anche dal sito www.photogallery.it, già citato, che ha time che si rendono conto di ciò che sta succedendo, una volta che individuano la lama del coltello coassiale alla gamba del treppiedi alzata e puntata alla loro gola. (Attenzione, per quanto non servirebbe sottolinearlo in questa sede, metafora sull’arte della visione, il film-cult di Michael Powell è anche un geniale saggio sul cinema come voyeurismo, in questo caso arricchito di necrofilia e scopofilia: il bisogno morboso di contemplare, anche attraverso la mediazione di uno strumento tecnico, quali sono quelli cinematografici e quelli fotografici).


Giocattolo: Pokémon Camera 35mm confezionata nell’ambito del merchandising dei cartoni di grande successo commerciale. Ancora per caricatori Pocket Instamatic è la macchina fotografica a forma di aeroplano, promozionale delle linee aeree Icelandair.

una apposita directory. A corollario, ricordiamo che molti altri siti vantano di occuparsi di macchine fotografiche giocattolo, intendendo però la più consistente fenomenologia Holga e dintorni (a partire da FOTOgraphia del febbraio 1998). La passerella d’onore spetta alla Donald Duck Camera per pellicola a rullo 127, prodotta dalla Walt Disney negli anni Sessanta (Paperino; a pagina 34). Nell’uso, Paperino va tenuto di traverso: il suo occhio destro funge da mirino, mentre l’obiettivo è collocato in asse sull’occhio sinistro. Per lo scatto, si agisce sulla lingua che sta al centro del becco: sedici pose 3x4cm. Coincidente è la Mickey Mouse Camera, per caricatori Instamatic, con innesto per cuboflash (Topolino, dell’inizio degli anni Settanta; a pagina 37). Il capitolo dei celebri personaggi di Walt Disney è particolarmente prolifico, e ci limitiamo a un paio di altre segnalazioni a tema: la Kodak Pocket Instamatic con richiami a Mickey Mouse (ancora a pagina 37) e l’Instamatic con finiture Mickey Mouse e Donald Duck in combinazione (Helm Toy Corporation di New York, 1978; sempre a pagina 37). Analogamente curioso è l’involucro fotografico per pellicola standard 35mm occultato nella sagoma caratteristica della mucca Frùttolo, oggetto promozionale Nestlé di qualche anno fa (e con la stessa finitura c’era altro: per esempio una radiolina portatile). Nella Mucca Foto l’obiettivo e il mirino a scomparsa sono occultati dietro i frutti disseminati sul fianco della mucca stessa (pagina accanto). A seguire, è stato fiorente l’ampio e lungo capitolo delle macchine fotografiche a forma di lattina di bibita, a partire da una originaria Coca-Cola, che fa quasi storia a sé: per caricatori Pocket Instamatic (Tizer Company, 1978; qui accanto). Per uscire dallo scontato, testimoniamo le versio-

(pagina accanto) Pocket Instamatic (110) a forma di ruota.

ni per pellicola 35mm in foggia di birra Splügen, generica Lemon-Cola, 7Up, Pepsi e birra Budweiser (pagina accanto). Tutte con avanzamento a molla, dalla testa della stessa lattina, là dove è simulato lo strappo per l’apertura, prevedono la col-

Il lupo Taz per caricatori Pocket Instamatic 110.

WWW.PHOTOGALLERY.IT

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ra le sue consistenti segnalazioni fotografiche, il sito www.photogallery.it propone una directory dedicata alla Storia della macchina fotografica, a propria volta suddivisa in ulteriori sotto directory a tema: La “camera obscura”: la fotocamera prima della fotografia; Le fotocamere di Niépce, Daguerre e Talbot; Le fotocamere da studio e da campagna; La stereoscopia; Kodak Pocket Folding No 0: la fotocamera tascabile per i fotoamatori; Le fotocamere a lastra per fotoamatori esigenti; Leica: il cambiamento radicale; Una storia a parte: le fotocamere russe; Le origini della visione reflex; Rolleiflex: la biottica per antonomasia; Exakta: la rinascita della reflex; Cnopm [Sport] e Kine Exakta: le prime reflex 35mm; Dopo la guerra: la seconda generazione di reflex 35mm; Nikon F: la nascita della reflex moderna; Olympus OM System: la rivoluzione in piccolo formato; Pentax ME-F, Konica FS-1, Minolta 7000: la nascita della reflex autofocus in tre passi; Le fotocamere camuffate e le microcamere: il necessaire per spie, guardoni e timidi; Toy-cameras: giocattoli per bambini e collezionisti; Una storia parallela: la chimica della fotografia. A parte la sottolineatura dei due capitoli che affrontano le vicende dei camuffamenti e delle macchine fotografiche giocattolo, analizzate nel nostro odierno intervento redazionale, rispettivamente Le fotocamere camuffate e le microcamere: il necessaire per spie, guardoni e timidi e Toy-cameras: giocattoli per bambini e collezionisti, annotiamo come il punto di vista di www.photogallery sia personale e competente. Ci appassiona la particolare osservazione della storia evolutiva della macchina fotografica, con la quale (particolare visione) ci sentiamo in sintonia.

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Confezioni Barbie, con pellicola 35mm allegata e Dragon Ball Z, con filtri ad effetto. Due allegati da edicola, con macchina fotografica giocattolo: Le magie di Buffy e Barbie. Macchina fotografica Chicco. Macchina fotografica per pellicola 35mm a forma di “313”, la celebre spider di Paperino. Macchina fotografica Pocket Instamatic occultata all’interno di un sacchetto di patatine McDonald’s.

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locazione/liberazione dell’obiettivo di ripresa collegato al flash elettronico incorporato. Assolutamente identica è, quindi, la combinazione con l’Original Gourmet Drinks (a pagina 38). Per gli appassionati di automobili, si segnala una Pocket 110 a forma di ruota (antecedente gli attuali dibattiti sulla fornitura di pneumatici per la Formula Uno; a pagina 38). Pure per caricatori Pocket Instamatic è la macchina fotografica a forma di aeroplano, promozionale delle linee aeree Icelandair (a pagina 39). Mentre, avviandoci alla fine del percorso (che, ribadiamo, potrebbe proseguire ancora a lungo, ma non è il caso), la più recente Pokémon Camera, per pellicola 35mm, confezionata sull’onda lunga del successo dei celebri cartoni, è ricordata solo per accennare al glorioso capitolo degli autentici giocattoli, nel quale si potrebbe includere una miriade di finiture (a pagina 39). Limitandoci al minimo indispensabile, ricordia-

mo: il lupo Taz per caricatori Pocket 110 (a pagina 39); la confezione Barbie, con pellicola 35mm allegata; la confezione Dragon Ball Z, con filtri ad effetto; due allegati da edicola, rispettivamente Le magie di Buffy e Barbie, ancora (tutte in questa pagina); e la macchina fotografica Chicco (qui accanto). Più particolare, perché ci riporta a una sorta di camuffamento, piuttosto che alle semplici finiture esteriori delle macchine giocattolo appena ricordate, che conservano le proprie forme originarie, è la macchina fotografica occultata all’interno di un sacchetto di patatine McDonald’s, del 1997: ancora per caricatori Pocket Instamatic (qui accanto). Da Paperino, con il quale abbiamo cominciato, a Paperino, con cui concludiamo segnalando la 35mm occultata nella celebre “313” (trecentotredici), la spider a colori vivaci (rosso, giallo, azzurro) del simpatico personaggio dei fumetti. Scorrendo, l’auto si separa in due pezzi (qui sopra) e lascia libero il pulsante di scatto all’interno della ruota anteriore destra. Angelo Galantini



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ersiste nel tempo una arcana forza, che fa del ritratto un genere fotografico intramontabile: tentazione e frequentazione di tante generazioni di autori, sia professionisti, sia non professionisti. In stretto ordine temporale, ne è preziosa testimonianza l’opera del fotografo statunitense Timothy Greenfield-Sanders raccolta in volume, in edizione italiana e inglese, da Skira Editore: Face to Face, che sottotitola, precisandone anche i termini temporali, Ritratti scelti 1977-2005. (La medesima selezione fotografica è stata esposta in originale al Palazzo Paolo V di Benevento, dal 28 agosto al successivo 28 settembre). In assoluto, la cernita e raccolta di immagini distribuite su un lasso di tempo tanto esteso, allungato su tre decadi discriminanti del linguaggio fotografico contemporaneo, è un’operazione difficile; ma nello specifico caso, i ritratti di Timothy Greenfield-Sanders rivelano un filo conduttore impercettibile e vivo, che lega le rappresentazioni alla propria filosofia portante: e ne emerge l’armonia fluida con cui le stesse rappresentazioni (e la loro filosofia) si concedono (e concede) allo sguardo dell’osservatore.

OCCHIO

DISCRETO Ritrattista statunitense di alto profilo, Timothy Greenfield-Sanders irrompe nel panorama della fotografia italiana con una straordinaria monografia, che riunisce tre decadi del suo lavoro. Pubblicata da Skira Editore, Face to Face. Ritratti scelti 1977-2005 è una selezione che si afferma tra le raccolte fotografiche più significative, e dunque significanti, del nostro tempo

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Richard Meier, architetto; 2004 (fotocolor 8x10 pollici).

(pagina accanto) Nicole Kidman, attrice; 1991 (fotocolor 6x6cm). Vanessa Redgrave, attrice; 1997 (polacolor 20x24 pollici).

Davanti all’obiettivo hanno posato e campeggiano volti e figure di personaggi conosciuti, raffigurati con una sorta di volontario immobilismo (apparente). È lo stile di Timothy Greenfield-Sanders, nato a Miami Beach nel 1952, approdato al professionismo fotografico con un rigoroso percorso didattico: laurea in Storia dell’arte alla Columbia University di New York, città dove da tempo risiede e lavora, corsi all’American Film Institute di Los Angeles e diploma di specializzazione in Belle Arti. Ogni soggetto, in piedi, frontale, oppure seduto sulla medesima sedia, la sua, precisamente, non ha che da rappresentare se stesso. L’autore non chiede altro ai propri soggetti: l’immagine, la composizione si forma da sola. Come abbiamo annotato, genere mai estinto, con il quale si sono misurati grandi interpreti della foto-

Face to Face. Ritratti scelti 1977-2005, fotografie di Timothy Greenfield-Sanders; a cura di Demetrio Paparoni e Gianni Mercurio; testi di Mimmo Paladino, Demetrio Paparoni, Fernanda Pivano, Gianni Mercurio e Arturo Schwarz; colloquio di Ida Parlavecchio con Timothy Greenfield-Sanders; Skira Editore, 2005 (Palazzo Casati Stampa, via Torino 61, 20123 Milano; 02-72444-1, fax 02-72444219; www.skira.net, skira@skira.net); edizione italiana e inglese; 224 pagine 24x28cm, cartonato con sovraccoperta; 42,00 euro.

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Bill Murray, attore; 2004 (fotocolor 8x10 pollici).

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grafia, quello del ritratto, affrontato e sviscerato in modi e visioni personali, riesce a essere una certezza iconografica dalle sfaccettature infinite, tante quante sono le sfumature del guardare. La stessa avventura della fotografia, se vogliamo datarla, nel

lontano 1839, ha avuto inizio con il ritratto. Dal momento che si è rivelata una possibilità tanto prossima alla riflessione nello specchio, ma al contempo così lontana, nulla è stato più lo stesso. Nella propria frenesia (o sgomento) del ri-conoscersi, l’uo-


ANCHE IN GRUPPO

S mo ha trovato nella fotografia una propria raffigurazione, o meglio una propria rappresentazione: ha trovato un mezzo che diversifica l’identità dall’identificazione. E non ha più smesso di rappresentarsi. Tornando alla peculiarità della parabola espressiva di Timothy Greenfield-Sanders, magistralmente raccolta in volume da Skira Editore, occorre annotare che l’autore si dedica al ritratto con la devozione e il tempo di un pittore antico. È dal nostalgico obiettivo montato su una arcaica Fulmer & Schwing da terrazza del 1905 (acquistata nel 1978 per cinquanta dollari), che Timothy Greenfield-Sanders forma le proprie visioni, su un vetro smerigliato di generose dimensioni 11x14 pollici (circa 28x35cm; a pagina 46), che a volte “riduce” all’8x10 pollici (20x25cm) e alterna al 20x24 pol-

ulla copertina della monografia Face to Face. Ritratti scelti 1977-2005, l’autore Timothy Greenfield-Sanders si presenta in autoritratto bianconero (stampa a contatto da negativo 11x14 pollici/28x35cm; a pagina 43). Quindi, prima della incessante sequenza di ritratti in posa di personaggi della vita pubblica statunitense, non necessariamente di ribalta, nelle prime pagine del libro, precedendo i concentrati testi a commento (prezioso valore aggiunto alle immagini) sono pubblicati quattro affascinanti gruppi, tre attribuiti a fotocolor 8x10 pollici (20x25cm) e uno a stampa colore da negativo 11x14 pollici (28x35cm). In ordine: Whitney American Century Group (1999) riunisce una qualificata serie di artisti contemporanei, tra i quali si riconoscono numerosi fotografi (un nome, sopra tutti: Richard Avedon); Blues Musicians at Radio City Music Hall (2003) è esattamente ciò che dichiara di essere; Brooklyn Artists in the Brooklyn Museum (2004) testimonia il nuovo orgoglio della vasta area di New York, troppo spesso considerata in subordine a Manhattan, ma non è così vero; infine, Agnes Gund with Museum of Modern Art Artists (2002) è un omaggio all’autorevole presidentessa del MoMA, dal 1991, National Medal of Arts nel 1997.

Daniel Libeskind, architetto; 2005 (fotocolor 8x10 pollici). Keith Haring, artista; 1986 (stampa a contatto da negativo bianconero 11x14 pollici). Lou Reed, musicista; 2003 (fotocolor 8x10 pollici).

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Toni Morrison, scrittrice; 2002 (fotocolor 8x10 pollici). John Malkovich, attore e regista; 2003 (fotocolor 8x10 pollici). Gore Vidal, scrittore; 2003 (fotocolor 8x10 pollici).

Backstage dalla serie di ritratti di pornostar, realizzati da Timothy Greenfield-Sanders con l’immancabile Fulmer & Schwing in legno, da terrazza, del 1905, utilizzata al proprio pieno formato 11x14 pollici o con dorso riduttore 8x10 pollici (rispettivamente, 28x35 e 20x25cm).

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PORNOSTAR

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er quanto alcuni dei ritratti di pornostar realizzati da Timothy Greenfield-Sanders siano proposti anche sulla consistente monografia Face to Face. Ritratti scelti 1977-2005, pubblicata da Skira Editore, occorre annotare che l’intera serie è a propria volta riunita in volume: appunto, XXX 30 Porn-Star Portraits (Bulfinch Press; New York / Boston, 2004; 144 pagine 25x30cm, cartonato con sovraccoperta). La combinazione è presto svelata: doppio ritratto, vestito e nudo, in pagine affacciate.

lici (50x60cm) della fotografia immediata polaroid. Non gli interessa l’attimo fuggente, ma il limitato (o esteso) tempo della posa: tutto accade in quel momento prolungato. O non accade. All’autore, e questa è la sua autentica forza, non interessa inventare una forma fotografica. Timothy Greenfield-Sanders si dedica con sapiente minuziosità a ricercare sempre la sintonia dei colori o del bianconero, la perfezione dell’incarnato, la forza sottile dei toni e dei contrasti. Gli basta e serve la perfezione della qualità cromatica, come anche l’intransigenza della scala completa dei grigi. Se è vero che in fotografia un attimo può essere decisivo (ed è vero), è altrettanto vero che nella creazione di un’immagine, a volte, la riflessione, il Tempo, il pensiero decretano la differenza. Scusate se è poco. Alessandra Alpegiani



S La più recente configurazione Horizon S3 Pro offre prestazioni fotografiche incrementate; soprattutto si annota una doppia gamma di tempi di otturazione: da 1/8 di secondo a un secondo pieno e da 1/30 a 1/250 di secondo, in combinazione con la scala dei diaframmi da f/2,8 a f/16. Le nuove finiture esteriori arrotondate sono state disegnate dal distributore italiano Vincenzo Silvestri. La confezione di vendita della Horizon 202 comprende anche l’impugnatura, che aiuta a tenere le mani lontane dalla visione a 120 gradi dell’obiettivo rotante, e un kit di tre filtri (UV, ND 2x e verde 2x), che possono essere riposti all’interno della stessa impugnatura.

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oprattutto oggi, in tempi nei quali esuberanti proiezioni tecnologiche (digitali) inducono distrazioni e disattenzioni di sostanza, è necessario che si esprimano voci capaci di osservare con competenza e cognizione di causa la mediazione tecnica dell’estetica fotografica. Infatti, come abbiamo osservato in tante altre occasioni, la legittima evoluzione tecnologica estende le proprie influenze anche sul costume, la socialità e la base formale dell’esercizio della fotografia. Oltre quanto è legittimo e positivo, perché utile e innovativo, si manifesta anche un aspetto invece opposto e contrario, che cancella con un solo colpo di spugna decenni di sostanziose considerazioni e consecuzioni, niente affatto secondarie. Ovvero, oltre i concreti e opportuni fatti tecnici, che hanno diritto di ospitalità e sono degni della massima attenzione, l’era digitale induce molti (troppi) ad annullare l’insieme delle tappe evolutive che si sono susseguite, e sulle quali si è edificata la convinzione di un linguaggio visivo applicato. A questo proposito, ribadiamo che, indipendentemente dal supporto sul quale si raccoglie l’immagine e dal quale la si proietta verso i propri utilizzi, il percorso creativo si basa sempre e comunque sulla corretta applicazione di princìpi formali inviolabili, piuttosto che sulla loro volontaria e cosciente trasgressione. Prospettiva e composizione, prima di tanto altro, sono ancora e sempre le discriminanti del linguaggio fotografico applicato, nella propria trasformazione dalla semplice raffigurazione (ottica) alla ricercata rappresentazione (estetica e di contenuto).

OBIETTIVO ROTANTE

ca è la ripresa fotografica con obiettivo rotante, che espone il proprio fotogramma in sistematica visione orbicolare; panorama è invece la volontaria limitazione forzata delle proporzioni del fotogramma dai propri rapporti originari (nell’ordine standard di 2:3, 4:5 e similari), comunque esposto con prospettiva centrale e visione angolare centro-bordi. La definizione panorama è adeguata agli apparecchi fotografici 24x36mm che possono ridurre il formato di ripresa all’inquadratura 12 o 13x36mm, ai dorsi o agli adattatori 24x54mm degli apparecchi medio formato 4,5x6 e 6x6cm, ai magazzini portapellicola 6x12 e 6x17cm e alle macchine fotografiche di pari dimensioni (nel cui ambito includiamo l’Hasselblad XPan e XPan II 24x65mm; FOTOgraphia, ottobre 1998 e giugno 2003). In tutti i casi, formati a parte, si tratta sempre di fotografia inquadrata e composta con rapporto 1:2 o 1:3 tra i lati del fotogramma, ribadiamo ripresa con prospettiva centrale e visione angolare centro-bordi. A differenza della fotografia panorama, l’autentica fotografia panoramica non si esaurisce nella sola apparenza del fotogramma accelerato, che pure la caratterizza. La visione panoramica dipende invece dalla rotazione dell’obiettivo e dunque si basa su una diversa idea prospettica: non più periferica centro-bordi, ma sistematicamente perpendicolare al punto di vista. Tutto il campo inquadrato, cioè tutto il campo fotografico abbracciato dall’obiettivo, è osservato con una visione sistematicamente ortogonale alla porzione di film esposto in rapida successione.

La più attuale configurazione Horizon S3 Pro interpreta e applica i più coerenti princìpi base della fotografia panoramica, che distinguiamo dalla semplice inquadratura panorama. In fretta, panorami-

ANCORA ( V E R A) PANORAMICA


ANCORA HORIZON

Per diritto di anagrafe, noi frequentiamo la fotografia panoramica da molto tempo. Tanto da (saper) iscrivere l’attuale configurazione tecnica Horizon S3 Pro, costruita in Russia, nella propria linea evolutiva, avviata nella seconda metà degli anni Sessanta con l’originaria Horizont (ai tempi sovietica), prodotta in 49.849 pezzi dal 1967 al 1973 (fonte ufficiale dalla fabbrica di Krasnogorsk), a propria volta derivata dalla antesignana FT-2 del 1958-1965, sempre per pellicola 35mm, seppure diversamente interpretata (FOTOgraphia, maggio 1994). Distribuita da Silvestri Fotocamere (via della Gora 13/5, 50025 Montespertoli FI; 0571-675049, fax 0571-675919; www.silvestricamera.it), l’odierna Horizon S3 Pro è la continuazione diretta della precedente 202 (FOTO graphia, maggio 1997); nello specifico, ne replica la sostanza delle caratteristiche tecniche, riunite in un corpo macchina agevolmente più moderno e attuale, il cui design è stato curato proprio dal distributore italiano Vincenzo Silvestri, cui si debbono anche fantastiche interpretazioni della fotografia professionale in medio e grande formato, tradizionale e digitale, fino al recente banco ottico S5 Micro (FOTO graphia, novembre 2004). Erede attuale di un efficace e concreto progetto fotografico radicato nei decenni, la Horizon S3 Pro è una panoramica a obiettivo rotante per pellicola 35mm in comuni caricatori 135, esposta in fotogrammi 24x58mm, che declina con maestria il lessico della visione orbicolare. L’inquadratura a 120 gradi lungo l’orizzonte racchiude e manifesta capacità narrative che aspettano solo di essere applicate.

Erede di una lunga genìa, avviata con l’originaria Horizont del 1967, che a propria volta segnala radici ancora più profonde indietro nel tempo (ne riferiamo), l’attuale versione Horizon S3 Pro interpreta la fotografia panoramica tradizionale a obiettivo rotante con un rigore formale e di uso che ancora oggi sa fare, può fare, e sicuramente fa la differenza. Quantomeno, tra l’essere e il solo apparire

Il formato di ripresa 24x58mm è esposto mediante rotazione orbicolare controllata dell’obiettivo: ventidue o ventitré pose 24x58mm con il rullino 135 da 36 pose 24x36mm (e poi, quindici panoramiche con il rullino 135/24 pose, dodici con il rullino 135/20 pose e si sconsiglia l’uso del rullino 135/12 pose, con cui si possono riprendere soltanto sette fotografie panoramiche). Il fotogramma 24x58mm è caratterizzato da un rapporto di 1:2,4

La restituzione panoramica della Horizon S3 Pro non si basa su una visione centrale e periferica, propria di obiettivi grandangolari, ma sul percorso orizzontale dell’obiettivo rotante rispetto la pellicola, curva sul suo fuoco. Con soggetti lineari, soprattutto se inquadrati da vicino, questo comporta un arrotondamento cilindrico delle geometrie originarie, che diventa andamento curvo, concavo o convesso, quando l’inquadratura è fuori bolla.

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La Horizon S3 Pro espone pellicola 35mm in comuni caricatori 135 (fotogramma 24x58mm). La pellicola va caricata facendo attenzione al percorso obbligato. Il film si deve disporre sul proprio semicerchio, che ha come raggio la lunghezza focale dell’obiettivo orbicolare, il cui centro di rotazione coincide con l’asse nodale.

tra i propri lati. Pur nella propria sostanziale accelerazione, si tratta di una dimensione formale agevole, assai pratica anche nell’utilizzo editoriale: riprodotte su pagine di rivista o libro, le fotografie panoramiche Horizon conservano la spettacolarità implicita della visione orbicolare lungo l’orizzonte. Le stesse dimensioni 24x58mm sono quindi anche agilmente gestibili nei termini consueti del negativo e della diaposiRaffigurare 120 gradi di soggetto è congeniale a molta fotografia, che riesce a essere descrittiva dei luoghi in modo più coinvolgente di quanto non possa farlo la comune visione centro-bordi, anche nella propria configurazione ipergrandangolare. Altro è, infatti, l’obiettivo rotante, che spazia sinistradestra come fa, in visione diretta, l’occhio.

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PROFONDITÀ DI CAMPO

L’

obiettivo MC 28mm f/2,8 MG della Horizon S3 Pro è collocato su montatura rotante attorno l’asse nodale. Ha un angolo di campo verticale di 45 gradi, che si combina con la visione orizzontale di 120 gradi, appunto ottenuta mediante la rotazione panoramica. L’obiettivo è accomodato sulla distanza iperfocale, di massima estensione della profondità di campo fino all’infinito. Diaframma Profondità di campo f/2,8 da 5,5m all’infinito f/4 da 3,9m all’infinito f/5,6 da 2,9m all’infinito f/8 da 2,0m all’infinito f/11 da 1,5m all’infinito f/16 da 1,0m all’infinito

tiva, trattati con procedimenti fotografici standard: ingranditore e diaproiettore adatti al 6x6cm, all’interno del quale sta il formato panoramico 24x58mm (a proposito: il catalogo Gepe comprende anche telaini 7x7cm mascherati per la diapositiva panoramica 24x58mm; e comunque, con le diapositive, si deve sempre avvertire il laboratorio che si tratta di fotografie panoramiche, da non tagliare e intelaiare come i comuni fotogrammi 24x36mm).

TEMPI E DIAFRAMMI L’obiettivo di ripresa della Horizon S3 Pro, su montatura rotante attorno l’asse nodale, ha un angolo di campo verticale di 45 gradi, che si combina con la visione orizzontale di 120 gradi, appunto ottenuta mediante rotazione panoramica. L’obiettivo MC 28mm f/2,8 MG, riprogettato rispetto le precedenti versioni, è accomodato sulla distanza iperfocale, di massima estensione della profondità di campo fino all’infinito: da 5,5m alla massima apertura relativa f/2,8, da 3,9m a f/4, da 2,9m a f/5,6, da 2m a f/8, da 1,5m a f/11 e da un metro a f/16. Il tempo di otturazione, che nello specifico possiamo definire anche tempo di esposizione del fotogramma panoramico, è regolato dall’opportuna combinazione tra l’apertura della fessura dell’otturatore meccanico a tendina e la velocità di rotazione dell’obiettivo. Più che per altre caratteristiche operative, quale il mirino fisso immediatamente sopra l’obiettivo, la nuova Horizon S3 Pro rappresenta una evoluzione sostanziale della antica Horizont proprio in relazione alla estesa gamma dei tempi di otturazione/esposizione. Mentre la Horizont disponeva di una unica velocità di rotazione, combinabile con quattro aperture dell’otturatore (sei, quattro, due e un millimetro, per conseguenti tempi di esposizione di 1/30, 1/60, 1/125 e 1/250 di secondo), l’attuale Horizon S3 Pro è dotata di un commutatore che consente di selezionare due diverse velocità di rotazione, una rapida e una lenta: rispettivamente 0,6 secondi e cinque secondi complessivi, per la visione panoramica totale a 120 gradi lungo l’orizzonte. La com-

binazione delle due velocità di rotazione con le quattro dimensioni della fessura dell’otturatore consente di disporre di una estesa gamma di tempi, identificati sull’apposito selettore da un riferimento cromatico evidente (qui sotto): da un secondo pieno a 1/8 di secondo alla rotazione lenta (selettore giallo); da 1/30 a 1/250 di secondo alla rotazione rapida (selettore bianco). Disporre di una estesa scala di tempi di esposizione, comprendente anche le pose più lunghe, è utile sia per affrontare condizioni ambientali di scarsa luminosità, sia per poter impostare valori chiusi di diaframma, necessari per l’estensione ottimale della profondità di campo, in relazione al citato accomodamento ottico in iperfocale, sintetizzata anche qui a sinistra.

TRA LE MANI In teoria, le riprese panoramiche Horizon S3 Pro non rischiano il mosso, così come lo si riferisce alla fotografia tradizionale. Siccome l’esposizione del fotogramma 24x58mm avviene per scansione continua senza soluzione di continuità, anche i tempi di esposizione/otturazione lunghi agiscono solo in misura parziale sulla porzione di campo sistematicamente inquadrata. In teoria, però. Perché si deve considerare che la minimizzazione del mosso classico si abbina alla potenziale comparsa di un effetto di strisciato, appunto dipendente dall’eventuale movimento incontrollato dell’apparecchio fotografico durante la rotazione completa, soprattutto durante la rotazione lunga di cin-

que secondi (per corrispondenti tempi di otturazione da 1/8 di secondo a un secondo pieno). Ovviamente non possiamo esprimerci solo nel senso di difetto, quanto invece si deve puntualizzare che

L’uso della Horizon S3 Pro a obiettivo rotante corrisponde a quello di ogni altro apparecchio fotografico 35mm. L’unica attenzione, peraltro implicita nelle proprie regolazioni, riguarda l’impostazione a otturatore carico dei tempi di otturazione e del diaframma. I diaframmi da f/2,8 a f/16 si combinano con otto tempi: da 1/8 di secondo a un secondo pieno, alla rotazione lenta dell’obiettivo (selettore sul riferimento giallo; 1/8 di secondo a f/8, nella nostra simulazione), e da 1/30 a 1/250 di secondo, alla rotazione rapida (selettore sul riferimento bianco; 1/60 di secondo a f/5,6, nella nostra simulazione).


Se indesiderato, l’arrotondamento caratteristico della visione panoramica può essere minimizzato, o addirittura evitato, scegliendo un punto di vista opportuno, che equilibri in prospettiva le parti vicine e lontane al punto di ripresa. In questo modo si applica anche un sostanzioso respiro visivo, efficacemente descrittivo del soggetto che si presenta davanti all’apparecchio fotografico.

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un certo mosso volontario e arbitrario può anche essere finalizzato a effetti fotografici di apprezzabile personalità, sui quali tempo addietro ci siamo già soffermati, pubblicando esempi del fotografo di moda Stéphane Sednaoui e del fotografo statunitense di sport John Zimmerman (FOTOgraphia, marzo 1996).

PANORAMICA La visione panoramica della Horizon S3 Pro, che dipende dalla rotazione orbicolare dell’obiettivo di ripresa, è di per sé otticamente precisa e pertinente. Non si basa su una visione centrale e periferica di obiettivi di ampio angolo di campo, quanto dal percorso orizzontale dell’obiettivo rispetto la pellicola, curva sul suo fuoco (effetto solo parzialmente riscontrabile attraverso il luminoso mirino di inquadratura). A conseguenza, la fotografia panoramica rappresenta su un piano (bidimensionale) un campo originariamente distribuito lungo l’orizzonte. In molti casi, con soggetti lineari inquadrati da punti di vista sostanzialmente vicini, questo comporta un arrotondamento cilindrico più o meno evidente delle geometrie originarie (che nulla ha in comune con la deformazione periferica dell’ampio

angolo di campo degli obiettivi grandangolari; a pagina 49). Il fenomeno è tanto maggiore, quanto più è breve la distanza di ripresa; se tale distanza, al contrario, è molto grande, per esempio in paesaggi ampi, l’immagine non sembra più arrotondata. Se indesiderato, l’arrotondamento caratteristico della visione panoramica può essere minimizzato, o addirittura evitato, scegliendo un punto di vista/di ripresa opportuno. Per esempio, si deve evitare la monotonia dell’arrotondamento centrato sul fotogramma, cioè dell’arrotondamento bilaterale simmetrico dell’immagine, interrotto a destra e a sinistra dai bordi estremi del fotogramma: con l’occhio dell’osservatore che va e viene sull’inquadratura senza trovare un ritmo visivo che lo interessi. Come sempre in fotografia, e come troppo spesso qualcuno dimentica, anche nell’applicazione pratica della ripresa panoramica i rimedi visivi sono affidati alla fantasia e abilità del fotografo. Il più comune (rimedio) consiglia la scelta di soggetti al possibile privi di elementi comunque paralleli: è su questi che la Horizon S3 Pro arrotonda. Il più efficace (rimedio, sempre) sta nel trovare angolazioni che pongano le parti laterali del soggetto vicine al punto di ripresa, in modo che sul fotogramma vengano riprodotte grandi più o meno come le parti centrali (in questa pagina). Tutto ciò è forse noioso, ma può anche essere una consistente sfida allo strumento. Le ragioni per accettare di buon grado le caratteristiche estetiche della fotografia panoramica Horizon S3 Pro sono molte e molto serie. La prima è di ordine informativo: è evidente che in non pochi casi la possibilità di descrivere -seppure in maniera arrotondata- 120 gradi di soggetto fa piuttosto comodo. Il campo naturale di applicazione di questa possibilità è l’architettura e ancor di più la fotografia urbanistica. Per esempio, si possono realizzare immagini assolutamente descrittive (a pagina 50), quali l’inquadratura di una piazza insieme alle due o tre strade che vi confluiscono radialmente (ancora in questa pagina). Quindi non possiamo ignorare esperienze fotografiche meno utilitaristiche, quali quelle di autori con alto tasso di creatività applicata. Maurizio Rebuzzini


COPERTINA INGANNEVOLE

C

Come spesso accade, e come altrettanto spesso si annota, è soprattutto una questione di punti di vista e prospettive individuali. Esposta alla londinese National Portrait Gallery fino allo scorso 23 ottobre, la selezione The World’s Most Photographed, curata da Robin Muir e realizzata dalla Bbc, l’autorevole rete televisiva nazionale inglese, ha espresso valori propri elevati allo status di “assoluti”. In questo senso, il titolo e richiamo sono perentori; traduciamo: i più fotografati al mondo! Senza indecisioni, “i più”, laddove molti di noi avrebbero potuto essere meno drastici e quantificare “tra i più fotografati al mondo”. Forse, volendo scomodare valori storici e richiami antichi, potremmo iscrivere tanta supponenza nello spirito, mai sopito, del colonialismo inglese. Forse, non occorre andare tanto indietro, e basta annotare la voglia e il coraggio di essere assoluti, invece che relativi, di imporre il proprio come il pensiero, e non già un pensiero, un’opinione, ma l’opinione. A parte queste dietrologie, che tutto sommato lasciano, loro pure, il tempo che trovano, la selezione The World’s Most Photographed ha più meriti latenti di quanti sia riuscita ad

1926: Greta Garbo in una immagine promozionale della propria casa cinematografica di Hollywood, con indicazione di reinquadratura per la stampa (Fotografia di Don Gillum).

1963: Audrey Hepburn in costume di scena sul set di My Fair Lady con Cecil Beaton.

1931: Gandhi in visita a una fabbrica tessile del Lancashire (Collezione Vithalbhal Jhavert).

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esprimere ufficialmente. Diciamolo subito, è quantomeno aleatorio considerare i dieci personaggi pubblici presentati, che riassumiamo a parte, in un apposito riquadro pubblicato sulla pagina accanto, come “i più”, anche perché la quantità di immagini e ritratti che riguardano altre personalità è sicuramente superiore. Tanto per dire, pensiamo alla lunga carriera dei Rolling Stones, tratteggiata anche da una infinita serie di sessioni fotografiche, in sala di posa piuttosto che location, o alla parabola esi-

Accattivante sia nella propria composizione, sia nella serie di immagini presentate, a nostro personale giudizio la copertina di The World’s Most Photographed è ingannevole del proprio contenuto, che non dà adeguato risalto al materiale fotografico presentato (per non ribadire ancora la nostra totale perplessità per l’assoluto, declinato su una serie di personaggi non certo discriminanti dal punto di vista della propria iconografia). La monografia è stata realizzata dalla divisione Publications della National Portrait Gallery, che ha ospitato l’omonima mostra fotografica (St Martin’s Place, London WC2H 0HE, Inghilterra; 0044-20-73060055, fax 0044-20-73060058; www.npg.org.uk): 200 pagine 23,5x28cm, cartonato con sovraccoperta; 43,50 euro.

stenziale di molti protagonisti dello star system, perennemente bersagliati dai flash della cronaca. [Attenzione, tanti sono i ritratti pubblicati in monografie a tema, piuttosto che d’autore, che per quanto riguarda i citati Rolling Stones, come per altre stelle del firmamento musicale internazionale, abbiamo spesso ipotizzato che abbiano passato più tempo in sala di posa che in quella di incisione, quasi che l’essere fotografati fosse la loro attività principale]. Dopo aver segnalato The World’s Most Photographed per la spocchiosa presunzione del proprio titolo, conservato nell’edizione libraria, curata dalla divisione Publications


1954: James Dean a New York con la propria Rolleiflex (Fotografia di Roy Shatt).

I TOP TEN (?)

C 1955-1956: da una fotografia attribuita a William V. Robertson, con relativa cartolina postale, copertina di un album Rca Victor, annuncio pubblicitario di Heartbreak Hotel e servizio giornalistico di Cabaret magazine (agosto 1955).

della stessa National Portrait Gallery di Londra, replichiamo il nostro disappunto anche per la monografiacatalogo. Non sappiamo com’è, né come sia stato possibile, ma nonostante il prezioso materiale iconografico a disposizione, affascinante in stretta relazione con la notorietà pubblica dei soggetti (che accresco-

ome annotato nel corpo centrale di questo intervento redazionale, The World’s Most Photographed ha l’arroganza di indicare un assoluto: appunto quello dei personaggi più fotografati del mondo. Per quanto potremmo anche invidiare questa forza, oppure ammirare chi ha voglia di esprimersi senza riserve, soprattutto oggi, in un’epoca di sottili distinguo e lunghi giri di parole vuote e inutili, non condividiamo minimamente né l’indicazione delle dieci personalità, né -tantomeno- la presunzione della posizione espressa, assolutamente lontana dal vero, tanto distante da una concentrata analisi della realtà della fotografia contemporanea. Per dovere di cronaca, comunque, precisiamo chi sono (sarebbero), secondo il curatore Robin Muir, del quale abbiamo avuto modo di apprezzare altre competenze, le dieci figure che si impongono nella storia della fotografia come soggetti privilegiati: la regina Vittoria (1819-1901), il Mahatma Gandhi (1869-1948), Adolf Hitler (1889-1945), Greta Garbo (1905-1990), John F. Kennedy (1917-1963), Marilyn Monroe (1926-1962), Audrey Hepburn (1929-1993), James Dean (1931-1955), Elvis Presley (1935-1977) e Muhammad Ali (1942; l’unico ancora vivente).

no il valore di qualsiasi istantanea), l’insieme appare piatto e noioso. Raramente un libro fotografico dei nostri tempi è sprofondato così in basso, tanto da far passare quasi in se-

conda battuta l’arroganza del titolo. La copertina no! La copertina è affascinante e avvincente, ricca di combinazioni fotografiche ammorbidenti: dalla Rolleiflex di Sam Shaw riflessa nello specchio da trucco di Marilyn Monroe alle pose della famiglia Kennedy e di Audrey Hepburn, in gustose stampe a contatto 6x6cm (e poi, sul retro, Elvis Presley e la regina Vittoria). Delle due, una. O la copertina del libro è ingannevole, perché riveste un contenuto che poi non mantiene le premesse promesse; oppure fa storia a sé. Diffidando degli assoluti, non ci esprimiamo in questo senso, lasciando il quesito in sospeso, oppure la risposta ad altri. A.G.

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Sabato 26 - 11 - 2005

MICHELA DE FILIO

Michela De Filio, venticinquenne romana, si appassiona di fotografia nel 2003. Nel novembre 2004 si iscrive alla Scuola Permanente di Fotografia Graffiti, frequentando inizialmente un corso di fotografia generale e seguendo successivamente un iter formativo personalizzato, attraverso il quale consegue anche un Master in Ritratto. Da questo autunno collabora con il Nemamiah Studio di Pavona (Roma), dove si dedica all’elaborazione digitale di servizi fotografici.

Manuela vista da me

Con Manuela vista da me è alla sua seconda mostra.

Workshop di Roberto Rocchi Franco Marocco Arpad Kertesz

Per iscrizioni telefonare al numero 06 5344764


ubito i valori tecnici discriminanti e qualificanti: sensore digitale CMOS di seconda generazione a pieno formato 35,8x23,9 millimetri, risoluzione di 12,8 Megapixel, robusta struttura in lega di magnesio con peso limitato a soli 810 grammi (152x113x75mm,

S

ni, secondo corpo d’appoggio, maneggevole e versatile. Il prezzo sostanzialmente abbordabile, la rende quindi adatta anche ai non professionisti di impegno, che magari arrivano all’acquisizione digitale di immagini al culmine di esperienze fotografiche di alto livello. Nello specifico, la Canon Eos 5D è la prima

più tenui gradazioni tonali e mantenimento dell’angolo di campo originario degli obiettivi 24x36mm. A cinque anni dal primo sensore CMOS adottato dalla Eos D30 (FOTOgraphia, settembre 2000), l’attuale è il quinto sensore CMOS progettato da Canon. Equivalente nelle dimensioni al fotogramma fotografico

SOPRATTUTTO

Estremamente reattiva, la reflex digitale Canon Eos 5D, con slot per schede di memoria SD, è pilotata dallo stesso processore Digic II presente nella serie professionale Eos-1D. Protetta da un robusto corpo in lega di magnesio, è dotata delle nuove preselezioni Picture Style e

ANCORA PIENO

FORMATO due terzi il volume e il peso della Eos-1Ds Mark II), sequenza rapida a tre scatti al secondo fino a sessanta acquisizioni Jpeg alla massima risoluzione, accensione istantanea in soli 0,2 secondi. La nuova configurazione Eos 5D, che estende la gamma di reflex digitali Canon professionali, completa e integra la dotazione della serie Eos-1D / Ds / Ds Mark II: oltre che dotazione autonoma per diverse applicazio-

reflex digitale con sensore a pieno formato di dimensioni e prezzo contenuti.

QUINTO CMOS Il sensore CMOS da 12,8 Megapixel assicura immagini di alta qualità, adatte a ingrandimenti fino al 40x60cm, con ampia gamma dinamica, definite da adeguata restituzione delle

24x36mm, offre un angolo di campo completo, al quale si abbina un pertinente controllo della profondità di campo. In combinazione, il sensore è accompagnato dallo stesso circuito di riduzione del rumore di seconda generazione, già utilizzato nella Eos-1Ds Mark II, premio TIPA 2005 (FOTOgraphia, maggio 2005). La gamma di sensibilità si estende da 100 a 1600 Iso equivalenti, e può essere ulteriormente allargata fino a 50 o 3200 Iso equivalenti. Gli ampi pixel da 8,2µm consentono la registrazione di una gamma dinamica maggiore, che coglie anche le più piccole gradazioni tonali nelle ombre, nei toni medi e nelle alte luci.

La reflex digitale Canon Eos 5D, indirizzata sia all’utenza professionale sia al non professionismo di taglio alto, conferma la soluzione tecnica del sensore CMOS di seconda generazione: 12,8 Megapixel, in dimensioni corrispondenti al tradizionale fotogramma fotografico

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dispone di un nuovo monitor LCD ad alta risoluzione da 2,5 pollici e un’autofocus a nove punti, con sei punti invisibili che aiutano a migliorare le prestazioni di inseguimento del soggetto. Ancora: compatibilità con il trasmettitore senza cavi WFTE1; modalità personalizzabili, per il richiamo rapido delle impostazioni preferite; interfaccia USB 2.0 Hi-Speed, per veloci trasferimenti di dati; e otturatore con estesa gamma di tempi, da 30 secondi a 1/8000 di secondo, con sin-

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cro X a 1/200 di secondo. La misurazione esposimetrica della luce prevede diverse opzioni: valutativa su trentacinque zone, vincolata al punto di messa a fuoco attivo; semispot centrale (otto per cento dell’area visibile nel mirino); spot centrale (tre e mezzo per cento del mirino); spot sul punto AF attivo; multispot con memorizzazione e media tra letture multiple (fino a otto); media pesata al centro.

CONTROLLI Le nuove impostazioni Picture Style semplificano il controllo della qualità dell’immagine attraverso l’apparecchio. La configurazione di base consente di ottenere immagini Jpeg immediatamente utilizzabili, senza bisogno di intervenire in postproduzione. Le preselezioni Picture Style possono essere considerate come differenti tipi di pellicola, con diverse caratteristiche. All’interno di ogni preselezione, si ha il controllo su nitidezza, contrasto, tonalità e saturazione: Standard, per immagini vivaci e nitide che non richiedono interventi; Ritratto, con at-

tenzione ai toni e alla saturazione; Paesaggio, per cromatismi verdi e blu più incisivi, con una decisa nitidezza per dare enfasi al soggetto; Neutro, ideale per la postproduzione; Faithful, che regola i colori per sintonizzarli con quelli del soggetto, quando si scatta con una temperatura colore di 5200 kelvin; Monocromatico, per riprese in bianconero con possibile simulazione degli effetti di una serie di filtri colorati (giallo, arancio, rosso e verde) e di identificati viraggi (seppia, blu, porpora e verde). Inoltre, tre impostazioni personalizzabili consentono di creare altrettante variazioni degli stili presenti nella reflex o di installarne di nuovi, scaricabili anche dal sito web Canon. La nuova funzione Picture Style sostituisce l’elaborazione interna delle immagini, precedentemente controllata dalle impostazioni dei parametri e delle matrici colore. I Picture Style sono anche supportati dal software fornito: Digital Photo Professional e RAW Image Task. Per una migliore visione delle immagini e della leggibilità dei menu, la Canon Eos 5D è dotata di un ampio e luminoso monitor LCD ad alta risoluzione da 2,5 pollici (230.000 pixel), con visione anche in luce diretta.

AUTOFOCUS Il sistema autofocus è stato rinnovato, con nove punti AF e sei punti AF invisibili, posizionati all’interno del cerchio di misurazione spot. Questi punti entrano in funzione quando la Eos 5D è impostata su AF AI Servo con il punto centrale attivo, e sono automaticamente usati dal circuito per migliorare le prestazioni di inseguimento del soggetto (messa a fuoco predittiva). Una nuova funzione consente di memorizzare le impostazioni correnti e assegnarle alla posizione C (camera settings) sulla ghiera delle modalità di scatto. Ciò permette di passare rapidamente tra due differenti impostazioni. Quindi, modalità di esposizione, sensibilità Iso, modalità AF, velocità di scatto, Picture Style, bilanciamento del bianco e funzioni personalizzate possono essere tutte memorizzate nelle impostazioni personalizzate. Ci sono ventun funzioni personalizzate con cinquantasette impostazioni definibili dall’utente, per dare modo di configurare la reflex secondo il loro metodo di lavoro preferito. (Canon Italia, via Milano 8, 20097 San Donato Milanese MI). Antonio Bordoni



Giovani artisti emergenti opo il grande successo di Londra, Parigi e Mosca, si registra l’edizione italiana del progetto Hype Gallery, che inaugura a Milano il 7 novembre (dall’otto per il pubblico). In uno spazio espositivo di duemilacinquecento metri quadrati, presso Assab One, all’interno di un antico edificio industriale, la galleria offre a giovani artisti visivi emergenti italiani l’opportunità di esporre le proprie opere. Promosso da HP (Hewlett Packard), il progetto europeo Hype supporta l’industria grafica e creativa con soluzioni e tecnologie d’avanguardia. In particolare, si rivolge a giovani artisti, creativi, registi, fotografi e studenti. Oltre l’originaria collaborazione con la Na-

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tional Gallery di Londra, si registra la presenza in numerose iniziative artistiche e fotografiche, tra le quali va citata la sostanziosa partecipazione al Foto Festival di Arles, in supporto al celebre fotografo Douglas Kirkland. Hype è un concetto di esposizione innovativo, che si apre con un immenso spazio vuoto. Dall’inaugurazione, lo spazio sarà progressivamente riempito con opere di giovani creativi provenienti da tutta Italia. Chiunque può partecipare ad Hype ed esporre come un artista. Non sono previste limitazioni alla creatività: occorre soltanto che l’opera abbia un qualche legame con le lettere “H” e “P” e che sia “politicamente corretta”. Hype Gallery

MARCO SAMORÈ: HOTEL PARADISO

In una galleria assolutamente dinamica

è un contesto dinamico, dove le opere cambiano continuamente: non appena lo spazio espositivo si esaurisce, i primi lavori depositati lasciano il posto agli ultimi arrivati e vengono pubblicati sul sito della mostra. Per informazioni e invio opere: Hype Gallery, presso Publicis, via Riva Villasanta 3, 20145 Milano; www.hypegallery.it.

Tina Modotti: sempre lei La sua vita: tra fotografia e cinema

egli ultimi anni, la personalità di Tina Modotti è stata sempre più al centro dell’interesse di pubblico e critici, fino ad essere innalzata tra i più importanti fotografi del Novecento. L’attuale Omaggio, realizzato da Solares Fonda-

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zione Culturale, ricostruisce la sua straordinaria vicenda artistica ed esistenziale: emigrante dal Friuli, attrice di teatro e cinema in California, fotografa nel Messico post-rivoluzionario degli anni Venti e protagonista delle vicende del movimento comunista di quegli anni in Messico, Unione Sovietica, Spagna, Germania. L’evento si snoda in una mostra fotografica corredata da proiezioni cinematografiche. La mostra fotografica è articolata in quattro sezioni: Tina in California, comprendente fotografie private scattate da Edward Weston e una serie di ritratti e di fotografie “pubblicitarie” eseguite da amici e fotografi californiani; Tina a Hollywood, costituita da sequenze fotografiche, fotografie di scena e materiale

pubblicitario dei film interpretati dall’artista; Tina in Messico, con fotografie di Edward Weston e Tina Modotti, dagli still life dei primi anni fino alle immagini di maggior impegno politico; Tina in Europa, comprendente le fotografie realizzate in Germania e alcune copertine di riviste. Tina Modotti. Gli anni luminosi. Galleria delle Colonne, largo Otto marzo 9b, 43100 Parma; 0521-964803, fax 0521-925669; www.solaresonline.it, info@solaresonline.it. Dall’8 novembre al 6 gennaio 2006; lunedì-venerdì 9,30-13,00 - 15,30-18,30, e tutte le sere di apertura del Cinema Edison d’essai (adiacente alla Galleria) negli orari previsti dalla programmazione. ❯ Proiezione del documenta-

Esposizione: Hype Milano, presso Assab One, via Assab 1, 20132 Milano. Dall’8 al 27 novembre; 11,0015,00 - 17,00-21,00. ❯ Hype Workshop for Professionals, dedicato ai temi della gestione della ripresa fotografica e della teoria e tecnica del colore: 21 novembre, 9,00-12,30 (workshop@hypegallery.it). rio di Silvano Castano Que viva Tina! (Francia, 2004): Cinema Edison d’essai; 8 novembre, 20,30. Interviene lo scrittore Pino Cacucci, autore del romanzo biografico Tina, edito da Feltrinelli. ❯ Proiezione di The Tiger’s Coat di Roy Clement (Usa, 1920), film muto interpretato da Tina Modotti: Cinema Edison d’essai; 15 novembre, 21,15.

A seguire 62 Parlandone 62 Attraverso il mondo 62 Occhi di Scena 2005 63 Saggezze dell’Umanità 63 Diesel Wall


Avanti anni luce...

è considerato, nel mercato ...nella qualità, nella versatilità Multiblitz fotografico mondiale, il marchio più innovativo dei generatori da studio. Con Multiblitz e nella convenienza. i professionisti possono ottenere il tipo di illuminazione desiderato, in tutte le gradazioni, da molto dure a molto morbide: con rapidi e precisi cambi di parabola, di bank diffusori, con potenza regolabile in continuo oppure velocissimi lampi in successione. La manegevolezza e la robustezza sono senza confronti.

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In labirinto

otografie digitali, light box e una scultura mettono in scena l’attuale stupore di fronte alla difficoltà di reinventare se stessi stando a cavallo tra il reale e il virtuale. Protagonisti delle opere sono giovani donne e giovani uomini persi nel labirinto di un mondo apparentemente perfetto. Talkin’bout… è ripreso dal titolo di due ballate, una di Bob Dylan e l’altra di Tracy Chapman. A monte di questo lavoro, Occhiomagico si è posto una serie di interrogativi: La realtà è insufficiente o

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econda edizione del Festival Internazionale di Fotografia dello Spettacolo, allestito a San Miniato, in provincia di Pisa (FOTOgraphia, giugno 2004). A cura di Massimo Agus e Cosimo Chiarelli, Occhi di Scena presenta esposizioni collettive e quattro personali: Angelo Novi per Pier Paolo Pasolini, Francesco Galli, Pierpaolo Pagano e Mauro Minozzi. ❯ Omaggio a Pasolini, a trent’anni dalla morte (2 novembre 1975), in due sezioni: La poesia del cinema: Pasolini regista, a cura di Pier Marco Santi, propone manifesti, locandine e materiali di complemento che documentano quindici anni di cinema italiano (dal 1960 al 1975); Angelo Novi, un fotografo per Pasolini, a cura di Andrea Mancini, è composta da trecento immagini di Angelo Novi (1930-1997), uno dei suoi fotografi di scena, tra i

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scontata o addirittura banale, a volte insostenibile? Dove trovare sollievo? Dove cercare il luogo d’incontro delle nostre amarezze? Come soddisfare il desiderio di essere unici in una società massificata? Attraverso lo schermo! Lo schermo che offre due possibilità: trasmettere scenari sempre più simili alla realtà e nello stesso tempo ripararci dai pericoli che potrebbero presentarsi. Attraverso lo schermo, immagini luccicanti di nuovi Miti, di nuovi mondi, apparentemente sovrapponibili al nostro, producono uno spostamento che Paul Virilio definisce “Realtà Stereoscopica”.

Attraverso il mondo I viaggi di Giancarlo Zuin ettanta fotografie ripercorrono la carriera artistica del padovano Giancarlo Zuin, classe 1936, e raccontano i suoi viaggi attraverso i sentieri dell’Occidente e le Terre d’Oriente: Tibet, Thailandia, Birmania, India, Kashmir, Cina, Nuova Guinea. Through the World è un’indagine sul mondo, che investe ogni sua sfaccettatura, culturale, estetica e geografica. Dalla disposizione dell’autore nasce una fotografia che legge la realtà naturale e osserva le proprie interazioni con l’uomo, passando dalla documentazione etnografica alla ricerca antropologica. L’occhio attento scruta il paesaggio che lo circonda, lungo il quale coglie il momento per l’inquadratura definitiva che resta tale fino alla stampa.

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Occhiomagico: Talkin’bout… A cura di Luca Beatrice. Galleria Costantini Arte Contemporanea, via Crema 8, 20135 Milano, 02-58318325, anche fax; www.iltorchio-costantini.com, iltorchio@fastwebnet.it. Dal 17 novembre al 17 dicembre; martedì-sabato 10,00-13,00 - 15,3019,30, lunedì 15,30-19,30.

Occhi di Scena 2005 Festival di Fotografia dello Spettacolo più grandi del cinema italiano. ❯ Francesco Galli: Il Ponte dei Venti. Personale documentazione dell’esperienza teatrale condotta da molti anni da Iben Nagel Rasmussen dell’Odin Teatret. ❯ Pierpaolo Pagano: Circostanze. Serie completa del progetto sul circo, vincitore ex-equo del concorso Occhi di Scena 2004. ❯ Mauro Minozzi: Patch Adams / Miloud - Eroi del

SIMONE DONATI

Parlandone

nostro tempo. L’esperienza parallela dei due celebri clown, impegnati nel progetto di portare il sorriso in luoghi di sofferenza e di disagio (FOTOgraphia, dicembre 2004). ❯ Scuola Estiva di Fotografia Teatrale 2005. Selezione dei lavori realizzati dai venti partecipanti alla sessione didattica, diretta da Massimo Agus con corsi tenuti da Maurizio Buscarino, Silvia Lelli, Roberto Masotti, Marco Caselli Nirmal e Massimo D’Amato. ❯ La luna è azzurra. Il Teatro di Figura a San Miniato. Vetrine dei negozi del centro, appuntamento estivo con il Teatro di Figura a San Miniato: tanti piccoli teatri collocati ne-

Giancarlo Zuin: Through the World. Mostra promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e Spettacolo - Centro Nazionale di Fotografia, a cura di Enrico Gusella; direzione Alessandra De Lucia. Museo Civico di piazza del Santo, piazza del Santo 12, 35123 Padova; 049-8751105, fax 0498204545. Fino 27 novembre; martedì-domenica 10,00-13,00 - 15,00-18,00. gli spazi del tracciato urbano. ❯ Occhi di Scena 2005: I vincitori del concorso: Enrico Bartolucci, Á côté du Cirque de Demain” (vincitore exequo); Simone Donati, Io sto bene (vincitore ex-equo); Sandra Mazzoni, Son... ora (segnalata); Luciano Paselli, Il sapore dell’acqua (segnalato); Riccardo Lorenzi, Arto incontra Jodorwski e si eleva nel blue (segnalato); Sandra Nastri, Senza Titolo (segnalata). Occhi di Scena 2005. Secondo Festival Internazionale di Fotografia dello Spettacolo. Centro per la Fotografia dello Spettacolo, Teatrino dei Fondi, via Zara 58, 56020 Corazzano San Miniato PI; 0571-462825, fax 0571-462700; centrofotografia@teatrinodeifondi.it. Fino al 6 gennaio 2006; martedìvenerdì feriali 15,00-18,00, sabato, domenica e festivi 10,0013,00 - 15,00-18,00.


ispondo, ergo sono di Carla Cardinaletti, terza opera vincitrice della Seconda edizione del concorso Diesel Wall, è stata esposta sul muro di via Pioppette a Milano, nei pressi delle Colonne di San Lorenzo, il 13 ottobre e vi rimarrà fino all’inizio del prossimo gennaio. L’autrice ha ideato due monosillabi a caratteri cubitali, riproducenti la l’affermazione SÌ e la negazione NO. Attraverso un sistema elettronico a pulsante, ogni passante

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può illuminare una o l’altra delle due parole, rendendo così il muro interattivo. Annota Carla Cardinaletti «Ho voluto conferire al muro la possibilità di rappresentare chi vorrà interagire. Chi è disposto a mettersi in gioco, a porsi delle domande, può schiacciare un bottone e palesare la propria risposta, scegliendo di illuminare il SÌ piuttosto che il NO. La domanda non è importante, la domanda ha il diritto di rimanere nella testa e nel cuore di chi la formula. Ciò

Saggezze dell’Umanità All’aperto: ventiquattro ore su ventiquattro ull’onda del successo ottenuto dalla mostra La Terra Vista dal Cielo di Yann Arthus-Bertrand, allestita lo scorso 2004, nella stessa suggestiva scenografia nel centro di Milano (via Dante e piazza Cordusio), Anua (Associazione per la Natura, l’Uomo, l’Ambiente) e Atrium Comunicazione e Ambiente hanno allestito un’altra spettacolare esposizione all’aperto: Saggezze dell’Umanità di Olivier e Danielle Föllmi. Nato per esaltare l’immensa ricchezza delle culture del mondo e mettere in risalto come si intrecciano tra loro senza conoscere frontiere, il progetto associa le immagini di Olivier Föllmi a citazioni scelte con grande sensibilità da Danielle Pons Föllmi, ricercatrice in scienze umane. Raccolta in due monografie, Offerte e Saggezze (Edizioni L’Ippocampo), la serie è strutturata

MEDITAZIONE

MATTUTINA SULLE RIVE SACRE DEL

GANGE

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in un percorso di sei tappe, dal 2003 al 2009, che faranno emergere le sei principali Grandi Culture del mondo, individuate con la collaborazione di importanti storici e accademici: India, Africa, America Latina, Estremo Oriente, Medio Oriente, Europa. Nel 2010, la conclusione del progetto sarà coronata da un importante libro e una mostra. Olivier e Danielle Föllmi: Saggezze dell’Umanità. Esposizione all’aperto a Milano, lungo la via Dante e piazza Cordusio; fino al 24 dicembre (www.saggezze.com, infomostra@saggezze.com); ventiquattro ore su ventiquattro. Cento gigantografie 180x 120cm, illuminate individualmente di notte; in piazza Cordusio, panoramiche 3,60x 1,20cm in rotazione; testi e pensieri di importanti saggi abbinati alle immagini.

Diesel Wall Opera sul muro che fa la differenza per il muro è la risposta. Il muro diventa così il nostro specchio; permette di rispondere senza pudore alle nostre domande, che rimangono silenziose e protette. Visualizzare la nostra risposta illuminata permette di viverla, di prenderne le distanze e dà la possibilità di farci vedere dagli altri, di esserci. Rispondo, ergo sono». Evento urbano ideato per avvicinare all’arte contemporanea un numero sempre maggiore di persone, il premio di arte temporanea Diesel Wall si rivolge ai nuovi talenti, dando loro la possibilità di esprimersi attraverso una

installazione su una parete esterna di trecentosessanta metri quadrati. L’edizione del premio, patrocinata dal Comune di Milano, ha ricevuto più di milleduecento progetti. Carla Cardinaletti: Rispondo, ergo sono. Terza opera Diesel Wall, via Pioppette, Colonne di San Lorenzo, 20123 Milano. Fino al 13 gennaio 2006.



MARGARET BOURKE-WHITE

I

Il fascino del pericolo o la bellezza aristocratica dello sguardo sono al fondo dell’opera fotografica di Margaret Bourke-White. Le sue immagini hanno traversato un’epoca, e tra celebrazioni del suo genio e solitudini della propria esistenza randagia, Margaret Bourke-White ha eretto fortune economiche, sfasciato matrimoni e dato alla storiografia fotografica sia eccessi dello stile (i grandi lavori commerciali) sia lo stile del dolore davanti agli altri (le immagini della dignità dei poveri americani o i resti degli ebrei nei campi di sterminio nazisti). «Non c’è crimine più grande della guerra» (Susan Sontag) o dell’indifferenza. Sbrighiamo le solite necessità biografiche. Margaret BourkeWhite nasce nel 1904 a New York (la radice paterna è ebraica; per non avere scomodità razziali, l’originario cognome Weiss viene trasformato in White); muore all’età di sessantasette anni (1971), al termine di vent’anni di lotta estenuante contro il morbo di Parkinson (sembra il nome di un profumo). Nel mezzo ci stanno le collaborazioni con le riviste Fortune e Life, la fotografia pubblicitaria, i reportage nel Sud contadino degli Stati Uniti, quelli a seguito delle truppe americane in Europa, i lavori in Unione Sovietica, Italia, India, Sud Africa, Corea. Questa insolente e magnifica donna non si lascia sfuggire ciò che è necessario fotografare. Scrive bene e accompagna le proprie fotografie con parole e commenti coinvolgenti e spesso pungenti.

IL FASCINO DELLA VERITÀ In alcuni libri, come Shooting the Russian War (1942) e Halfway to Freedom. A report on the New India (1949), si coglie la sensibilità per la diversità, la povertà, il disagio che la muove, in profondità. L’aneddoto di Mar-

garet Bourke-White sulla celebre fotografia di Gandhi con arcolaio (1946; nemmeno poi tanto compiuta, ma significativa) è di quelli che piacciono agli storici, quanto ai dilettanti in tutto della fotografia. Il Mahatma, uomo spiritoso, le disse che ci sarebbe voluta calma per prendere la sua persona, e intanto la invitò a imparare a usare l’arcolaio. La fotografa ricorda così quell’esperienza: «Se volete fotografare un uomo che fila, prima di tutto dovete riflettere un po’ perché

te e sparse ai quattro angoli del pianeta, restituiscono la loro antica regalità alle popolazioni sottomesse dai colonialismi d’ogni epoca. Amen e così sia! Non ci interessa la mitologia sulla donna rampante nell’alta finanza di New York o la predatrice di uomini sposati (come la storia con il romanziere Erskine Caldwell, che poi diventa uno dei suoi mariti lasciati). Né c’importa elencare le migliaia di chilometri che questa singolare donna ha

Ogni cosa, nella fotografia, dovrebbe contribuire alla descrizione [...]. La buona fotografia è un processo di sfrondamento, una questione di scelta raffinata. Margaret Bourke-White egli fili. La comprensione, per un fotografo, è importante non meno degli apparecchi che usa. [...] Nel caso di Gandhi, l’arcolaio era pregno di significato; per milioni di indiani era il simbolo della lotta per l’indipendenza, che Gandhi stava conducendo con successo». Fin tanto che il sorriso di un utopista sboccia nell’indifferenza dei popoli inciviliti, la Terra sarà salva. La disobbedienza civile, le tecniche della non-violenza, gli scioperi della fame (ripresi dalle rivolte plebee dell’Irlanda ottocentesca, quando, per farsi riconoscere e onorare dalla nomenclatura giuridica, gli insorti si lasciavano morire di fame sulla soglia di casa del nemico: l’odore nauseabondo dei loro corpi in disfacimento faceva eco a rivendicazioni sociali più vaste) e le sollevazioni popolari di Gandhi escono da quell’arcolaio, da secoli di angherie e soggezioni: rimaste invendica-

percorso nel mondo con la macchina fotografica o quali vestiti alla moda indossasse. Siamo invece affascinati dal senso d’indipendenza e dal coraggio mostrato da un maestro della fotografia quale è stata, di fronte al successo come alla dimenticanza. La vita eccentrica di Margaret Bourke-White, fuori del cerchio della socialità convenzionale, la porta ad avere affezioni politiche non proprio comode, e in piena epoca maccartista le fioccano accuse di comunismo. Risponde con un reportage sulla guerra in Corea teso a celebrare il patriottismo americano (e non è certo uno dei suoi lavori migliori). Diventa ricca e famosa, lavora per i grandi complessi industriali e la pubblicità; negli anni Trenta riesce ad andare perfino nell’Unione Sovietica stalinista a fotografare l’industrializzazione del “dopo rivoluzione” (edificata anche con dollari americani).

Che faccia un lavoro molto retribuito o si occupi della condizione sociale degli ultimi, segue sempre il proprio detto: «L’amore per la verità, requisito numero uno per un fotografo». Sa bene che ci sono nugoli di tecnici senza talento creativo e pochi poeti della fotografia della bellezza.

DELLA BELLEZZA ARISTOCRATICA DELLO SGUARDO

La fotografia è la testimonianza di una presenza: indica l’autenticità delle cose o le depone nel discorso confezionato del santuario mercantile. La fotografia, lo dice perfino Edward Weston (che di estetica fotografica se ne intendeva, anche se a noi i suoi peperoni e i nudi di donne sulla sabbia non ci sono mai piaciuti), «costituisce il mezzo per captare il momento, ma non un momento qualsiasi, bensì il momento importante, il momento unico tra tutti, nel quale il soggetto è pienamente importante, il momento della perfezione che viene una volta e non si ripete». Infatti, quando Edward Weston fotografa Tina Modotti, nuda come una biscia al sole sul terrazzo della loro casa in Messico, rende questo momento un gigante rispetto altri esteti dell’immagine “colta”, come Alfred Stieglitz, Edward Steichen, Clarence H. White, Holland Day, Demachy, Heinrich Kühn, Wilhelm von Gloeden; qui la fotografia, anche la più compiuta, corteggia la bellezza dei corpi, ma è la morte del peccato e del perdono per i “quasi adatti” che canta. La fotografia è fatta del tessuto del quale sono fatti i nostri sogni. Le scritture visive di Margaret Bourke-White vanno a cogliere la pregnanza della verità e la surrealtà delle forme, al di là delle codificazioni dalle quali parte. A leggere le immagini industriali degli anni Venti, o dei grattacieli

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dei Trenta, non è difficile scorgere la forza dell’inquadratura, la cura delle luci, il taglio audace, che rendono la fotografa americana all’altezza espressiva di Albert Renger-Patzsch, Karl Blossfeldt o Aleksandr Rodčenko. Ma, a differenza di questi straordinari interpreti della realtà profanata a colpi d’ironia e cantori del rovesciamento di prospettiva da una società rovesciata, le immagini di Margaret BourkeWhite restano materiche e lasciano negli occhi i giochi e i temi di un’infanzia interminabile. Del tutto straordinaria, ci sembra la ritrattistica che riguarda la povera gente, i bambini nelle baracche, gli alluvionati del Kentucky in fila per il pane. Le immagini dei campi di sterminio nazisti contengono una grazia e una pietà che vanno oltre l’annientamento di un popolo: sono icone dell’ingiustizia, e que-

gli occhi affilati di speranza, scampati alle atrocità della guerra, sembrano contenere il monito che tutto ciò non avvenga mai più! Non sarà così. Il dogma del neoliberismo è questo: la legge imprigiona e la politica uccide. Alla maniera di san Paolo: «Non uniformatevi al mondo presente, ma trasformatevi continuamente nel rinnovamento della vostra coscienza». È lo spirito per l’utopia possibile (l’amore dell’uomo per l’uomo) che ci rende liberi. L’iconografia trasversale di Margaret Bourke-White tocca momenti etici alti e le citazioni della grande fotografia sociale di Walker Evans, Dorothea Lange o Ben Shahn non sono impertinenti: anche se a Walker Evans, autore, con James Agee, di uno dei libri più belli del fotogiornalismo (Sia lode ora a uomini di fama, 1941 [FOTOgraphia, feb-

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braio 2003]), proprio non piaceva quella ragazza vestita bene, che metteva in posa i contadini americani per cogliere l’estrema povertà della loro esistenza. La filosofia di queste immagini del disastro economico dell’America contadina e proletaria andava oltre il motto di Life: “Vedere la vita, vedere il mondo”. Margaret Bourke-White non fa vedere soltanto la vita di un uomo, ma come vive quest’uomo, in questo mondo. La creatività della fotografia e la propria abdicazione alle vetrine del mercato poggia (anche) sul grido di sdegno di Walter Benjamin: «Il mondo è bello» e l’arte è riproducibile e consumabile da tutti. Il simulacro al posto della creazione autentica. La forca in cambio della poesia. Theodor W. Adorno, Max Horkheimer, Herbert Marcuse, o l’ultimo dei Mohicani, avevano compreso a fondo il valore dell’immagine, quanto il sopruso della polvere da sparo; sapevano che il valore illusorio dell’immagine (fissa, cinematografica, televisiva) è una gogna, e il lettore, il fruitore, il lacchè sono i destinatari passivi di ogni forma del comunicare. Comunicare fa male. La coscienza creativa e la creazione conoscitiva sono i soli percorsi di autoliberazione dalla visualizzazione planetaria di domesticazione sociale. Il rovescio dell’arroganza o la bellezza aristocratica dello sguardo di Margaret BourkeWhite non lascia spazio a rivisitazioni critiche, né a giudizi estetici poco approfonditi: «la sua autorità di fotografa e autrice di sé si fonda su un patto, inteso come luogo dell’equilibrio tra il detto e il non detto, tra il mostrato e il non mostrato», affermano le curatrici della sua autobiografia Portrait of Myself (1963). Alla maniera di Robert Capa, Walker Evans o Robert Frank (nello splendore delle loro differenze), Margaret BourkeWhite lavora su un’iconografia che sborda dalla foto-documentazione e dal rapporto to-

pologico o geografico, tipici dei fotografi della Farm Security Administration. La personalità culturale di Margaret Bourke-White sfugge all’epica, quanto alle necessità elettorali del New Deal di Franklin Delano Roosevelt, e dentro una visione molto personale va a fissare sulla pellicola frammenti di vita quotidiana non esenti di messaggi metonimici che lasciano addosso l’amarezza di una situazione sociale disperata: come La fila per il pane durante le alluvioni a Louisville, Kentucky, del 1937, in piena Depressione, presa sotto il cartellone promozionale dell’opulenza americana a venire, visualizzata da una retorica famiglia felice all’interno di un’auto (mamma, papà, figlio, figlia e cane, tutti sorridenti, anche il cane). Insieme a quelle di Dorothea Lange, Ben Shahn e Walker Evans, le sue fotografie di ambiente contadino, raccolte in You Have Seen Their Faces (1937), sono alla base della scrittura cinematografica del John Ford di Furore (The Grapes of Wrath, 1940), quanto della letteratura popolare (un po’ dandy) di Erskine Caldwell di La via del tabacco (1932; sceneggiato per John Ford nel 1941). La fotografia d’impegno civile di Margaret Bourke-White è qualcosa che travalica il fatto estetico, e nella propria compiutezza formale o nella visualità atonale alla cultura fotografica corrente individua, senza gridare, precise responsabilità istituzionali, culturali, ideologiche di guerre, vessazioni, violenze, delle quali si è fatta testimone, non sempre compresa. La fotografia soggettiva di Margaret Bourke-White stimola il risveglio dello sguardo e lo porta verso una reattività altra della coscienza critica, verso una foto-interpretazione dell’esistenza senza santi né eroi, che partecipa all’ingiustizie della Terra, rivendica le condizioni di “vivenza” e il rispetto dei diritti più elementari dell’umanità intera. Pino Bertelli (22 volte settembre 2005)




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