FOTOgraphia 117 dicembre 2005

Page 1

Mensile, 5,70 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano

ANNO XII - NUMERO 117 - DICEMBRE 2005

.

Oggi e domani I FOTOGRAFI DEL FUTURO

Ricoh GR Digital COMPATTA GRANDANGOLARE

KODACHROME


. non è venduta in edicola. Per averla hai una sola possibilità:

sottoscrivere l’abbonamento annuale.

12 numeri

.

in

57,00

euro Solo

abbonamento

Compilare questo coupon (anche in fotocopia), e inviarlo a: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano MI (02-66713604, fax 02-66981643; graphia@tin.it)

.

Abbonamento a 12 numeri (57,00 euro) ❑ Desidero sottoscrivere un abbonamento a FOTOgraphia, a partire dal primo numero raggiungibile ❑ Rinnovo il mio abbonamento a FOTOgraphia, a partire dal mese di scadenza nome

cognome

indirizzo CAP

città

telefono MODALITÀ DI PAGAMENTO

fax

❑ ❑ ❑

e-mail

Allego assegno bancario non trasferibile intestato a GRAPHIA srl, Milano Ho effettuato il versamento sul CCP 28219202, intestato a GRAPHIA srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano Addebito su carta di credito ❑ CartaSì ❑ Visa ❑ MasterCard

numero data

provincia

firma

scadenza



TELEVISIONE D’OGGI Ci sono un sacco di trasmissioni che ci fanno vedere della gente che parla di questo o di quello, e così anche la fatica di parlare del mondo creato dai creatori di immagini viene tolta dalle spalle degli spettatori: adesso c’è altra gente incaricata di parlarne al loro posto. E così si viene estraniati tre volte, dalla vita. Ed McBain (da Date una mano all’87° Distretto) SGUARDI INDIETRO. Coinvolta dalla nonna paterna Paulina del Valle, Aurora del Valle scopre il mondo della fotografia. A cavallo del Novecento, in una California più cosmopolita che mai, dà una doppia lettura ai “ritratti in seppia” che le dischiudono un mondo passato: realtà visibile, emozioni nascoste e sentimenti segreti. Ancora una saga famigliare raccontata da Isabel Allende, una delle voci più significative della narrativa contemporanea in lingua spagnola, questa volta con sapiente combinazione fotografica. Proprio la fotografia ha il compito di aprire porte che altrimenti sarebbero rimaste chiuse per sempre. Pubblicato da Feltrinelli, nella collana Universale Economica, successiva all’edizione originaria nella collana I Narratori, Ritratto in seppia visualizza la propria combinazione fotografica immediatamente in copertina. Il ritratto ambientato di Marcia Lieberman (autrice con base a San Francisco) è in completa sintonia con il titolo: in un tono delicato e sfumato, che evoca proprio l’idea del viraggio seppia, una eterea figura femminile è in posa davanti a un apparecchio fotografico, sfocato in primo piano, cui è collegata attraverso uno scatto pneumatico a distanza.

117 (numero 117): mi ricorda Karim

Non siamo così veloci a capire come crediamo. Per lo più, selezioniamo ciò che sentiamo, per ascoltare soprattutto ciò che vogliamo sentire (e spesso chi ci sta attorno ci dice proprio “ciò che vogliamo sentire”). Sentiamo soltanto quello che possiamo ragionevolmente aspettarci che gli altri ci dicano; e quando capita qualcosa di diverso, il nostro cervello gira come un disco sul piatto prima che la puntina faccia presa.

Copertina

36

Celebrazione del Kodachrome, straordinaria diapositiva che ha tracciato indelebili connotati di un’epopea fotografica e di un’era sociale: soprattutto negli Stati Uniti, e poi, per caduta, in tutto il mondo. In un momento nel quale molto sta cambiando, trasformando i valori e i connotati stessi della fotografia e della propria proiezione sul costume (oltre che sulla tecnologia), una sentita ri/evocazione con testimonianze e omaggi d’autore. Ne scriviamo da pagina 38

3 Fumetto Dettaglio dalla copertina di Cronaca nuda dell’agosto 1988, fumetto “per adulti” di una antica stagione: ovviamente, l’episodio Turpe ricatto è declinato in chiave fotografica. Tristemente, e senza alcuna fantasia, il motivo conduttore è esattamente quello di sempre: fotografie intime con relativo turpe ricatto. Appunto

29

7 Editoriale Soprattutto in relazione all’informazione fotogiornalistica ci si interroga spesso sul margine d’azione degli autori: in che modo e misura è possibile e lecito che intervengano sui propri soggetti, al fine di focalizzare e realizzare una adeguata comunicazione visiva? Per estensione forzata, arbitraria e provocatoria ci riferiamo a una scenografia cinematografica, peraltro richiamata su questo numero: ma è solo un rimando pretestuoso

8 A partire da Walker Evans

SUL CAMPO

Da una parte, segnaliamo una mostra esposta a Roma, che verrà poi riproposta a Milano e Firenze. Dall’altra, riflettiamo sulla stampa con sistemi tecnologici attuali

lle nove di sera l’albergo era diventato una sorta di quartier generale. Erano arrivati altri due Acronisti. Uno scriveva il suo articolo a un tavolo in fondo alla scala. Ogni tanto un fotografo scendeva dalla sua camera. «Non avrebbe dell’alcol a novanta gradi? Ne ho assolutamente bisogno per far asciugare le pellicole... Il cane è venuto benissimo!... Dice che c’è una farmacia qui vicino?... Chiusa?... Non importa...». Da Il cane giallo, di Georges Simenon; Le inchieste di Maigret ; Adelphi Edizioni, Milano 1995

M.R.

12 Notizie

24

Attrezzature, vicende e altre segnalazioni

17

Una Argus C2 è sintonizzata sul clima Art Deco del film Sky Captain and the World of Tomorrow. Con finalino Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

17 L’ultimo scatto


. DICEMBRE 2005

RRIFLESSIONI IFLESSIONI,, OSSERVAZIONI OSSERVAZIONI EE COMMENTI COMMENTI SULLA SULLA FFOTOGRAFIA OTOGRAFIA

21 Un’estate al mare

Anno XII - numero 117 - 5,70 euro

Raccolta fotografica di Luigi Tazzari, che, con garbo e partecipazione, racconta il rito delle vacanze estive sulla costa romagnola: ritmo, colori ed efficace linguaggio

DIRETTORE

RESPONSABILE

Maurizio Rebuzzini

IMPAGINAZIONE Gianluca Gigante

REDAZIONE

24 Il senso della Storia

Alessandra Alpegiani Angelo Galantini

In combinazione espositiva, lo statunitense Leonard Freed e l’italiano Piergiorgio Branzi raccolgono gli anni Cinquanta del nostro paese: la lezione di Piergiorgio Branzi

27 Oggi e domani

FOTOGRAFIE

57

HANNO

32 A volte, tornano La vera novità è la Caplio R3, ma la compatta digitale Ricoh GR Digital (di nicchia) richiama una storia nobile di Antonio Bordoni

Alla luce di considerazioni pratiche, che mandano in pensione il Kodachrome (sarà poi vero?), rievochiamo i valori di questa fantastica diapositiva: con testimonianze di Maurizio Rebuzzini

47

● FOTOgraphia è venduta in abbonamento. ● FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano.

Coinvolgente mostra (e volume-catalogo) del bresciano Piero Vistali (1922-2001), attento e singolare fotografo del reale, attivo tra gli anni Cinquanta e Sessanta di Vincenzo Cottinelli

● A garanzia degli abbonati, nel caso la pubblicazione sia pervenuta in spedizione gratuita o a pagamento, l’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e in suo possesso, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi della legge 675/96.

51 Fotografia ambientale 40

Olympus E-500: il sistema digitale QuattroTerzi avanza di Antonio Bordoni

Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano

10

Appuntamenti del mondo della fotografia

64 Ernest James Bellocq Sguardi su un bastardo dell’immagine denudata di Pino Bertelli

● FOTOgraphia Abbonamento 12 numeri 57,00 euro. Abbonamento annuale per l’estero, via ordinaria 114,00 euro; via aerea: Europa 125,00 euro, America, Asia, Africa 180,00 euro, gli altri paesi 200,00 euro. Versamenti: assegno bancario non trasferibile intestato a Graphia srl Milano; vaglia postale a Graphia srl - PT Milano Isola; su Ccp n. 28219202 intestato a Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; addebiti su carte di credito CartaSì, Visa, MasterCard. ● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti.

57 Cogli l’attimo

60 Agenda

COLLABORATO

Pino Bertelli Antonio Bordoni Piergiorgio Branzi Franco Canziani Vincenzo Cottinelli Sara Del Fante Marco Moggio Loredana Patti Lello Piazza Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Luigi Tazzari Zebra for You Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604, fax 02-66981643; graphia@tin.it.

46 Momenti di neorealismo

Significativo successo di ObiettivoUomoAmbiente, che ha indicato le linee di concentrati approfondimenti della fotografia di informazione: giornalismo e dintorni di Lello Piazza

SEGRETERIA Maddalena Fasoli

Due monografie si arrogano (?) il diritto di sentenziare sull’immediato futuro dell’espressione fotografica: coraggio e capacità di proiettare in avanti il presente di Alessandra Alpegiani

38 C’era una volta il Kodachrome

Alessandra Alpegiani Antonella Simoni

21



arallelamente a tanti altri dibattiti sulla fotografia, una questione scorre via quasi di contorno. Pur rappresentando una controversia sostanziale, non è mai affrontata come soggetto esplicito di alcuna discussione, ma fa capolino tra le pieghe degli incontri che affrontano il valore informativo del fotogiornalismo. Ci riferiamo all’atteggiamento del fotografo di fronte al proprio soggetto: a parte applicare la sostanza del proprio linguaggio (inquadratura, composizione e colpo d’occhio), già per se stessa fonte di possibili mistificazioni visive, il fotografo può (deve?) intervenire sulla realtà, al fine di renderla adeguatamente leggibile? Responsabilità non da poco! Il fotografo deve effettivamente attendere il momento irripetibile, oppure può anche provocarlo, creando le condizioni affinché questo si verifichi davanti al proprio obiettivo? Essenzialmente, è una questione discriminante, ed è legittimo che solleciti la contrapposizione di due schieramenti opposti: uno a favore e l’altro contrario. Personalmente, siamo combattuti. Da una parte, vorremmo che gli avvenimenti significativi di questo mondo si verificassero in presenza di attenti fotografi, pronti a informare tutti. Dall’altra, intuiamo che alcuni interventi individuali possono aiutare il senso e ruolo informativo della fotografia (del giornalismo). Se servisse farlo, potremmo anche sottolineare che l’intervento sulla realtà presuppone un’alta coscienza da parte dei fotografi, che debbono essere consapevoli di agire al fine di rendere il linguaggio diretto ed esplicito, ovvero comprensibile. Non debbono ingannare l’osservatore, ma accompagnarlo nella lettura. Però, ammettendo la possibilità di intervento da parte del fotografo, si introduce una variabile difficilmente controllabile. Forse, si tratta di un rischio che potrebbe valere la pena correre: sempre che si vada verso l’informazione e non la disinformazione (ma chi stabilisce la direzione o il confine?). Senza ombra di dubbio, si tratta di definire il ruolo documentario e informativo del fotogiornalismo, da distinguere dalle manifestazioni di altri generi fotografici, dalla moda alla pubblicità, verso i quali il pubblico è già allertato. Da una parte il racconto della vita, dall’altro le finzioni annunciate. Tanto che, in altri ambiti non ci scandalizzano le eventuali manomissioni sceniche. Per esempio, la vicenda delle poche pose residue a disposizione della giornalista-fotografa protagonista del film Sky Captain and the World of Tomorrow, delle quali riferiamo da pagina 17, è visualizzata da un numeratore che indica le cifre “2” e “1”. Si tratta di una licenza scenografica, perché l’originaria Argus C2, usata nel film, è dotata soltanto del classico contafotogrammi meccanico additivo (non sottrattivo) standard: peraltro identificabile nelle inquadrature ravvicinate. Il contatore numerico è stato esplicitamente aggiunto per una comunicazione diretta e chiara. Nulla cambia. Interventi simili, analogamente finalizzati, sono legittimi nel fotogiornalismo? Maurizio Rebuzzini

P

Il contatore numerico sulla Argus C2 della fotografa protagonista di Sky Captain and the World of Tomorrow (da pagina 17) è stato aggiunto per rendere comprensibile al pubblico la condizione di pochi scatti a disposizione: due e uno. Il contafotogrammi originario è quello meccanico, al proprio tradizionale posto: in alto, a destra del corpo macchina. Per estensione forzata, arbitraria e provocatoria è questo un esempio di informazione resa evidente e accessibile a chiunque. Il fotogiornalismo deve fare altrettanto? Può fare altrettanto?

7


A PARTIRE DA WALKER EVANS

A

In secondo luogo, che stiamo per considerare discriminante, apprezziamo lo spessore e l’intenzione della particolare selezione, che presenta immagini di Walker Evans lavorate in tempi recenti, con tecniche di stampa attuali. E questo è un discorso da approfondire, riferendoci in particolare all’ottimo testo che introduce la mostra, commentandone l’ideologia, saggiamente riportato nel catalogo allestito per l’occasione. (Allo stesso momento, approfittiamo dell’opportunità per sottolineare ancora che, per quanto la fotografia abbia vita formalmente autonoma, le riflessioni sul proprio insieme, che compongono la materia delle introduzioni alle mostre e/o alle raccolte monografiche, sono spesso ricche di significato, nell’eloquenza dei propri contenuti: solido complemento da non sottovalutare mai). Qual è la discriminante tra questa esposizione e altre, dello stesso Walker Evans, che abbiamo avuto modo, occasione e privilegio di visitare

Cucina di casa colonica ( Farmer’s Kitchen oppure Burroughs Family Cabin; Hale County, Alabama, 1936).

Insegna di negozio di arredamento nei pressi di Birmingham ( Furniture Store Sign near Birmingham oppure Billboard, Birmingham; Alabama, 1936).

LIBRARY OF CONGRESS

E

MARTSON HILL EDITIONS (3)

Almeno due sono i motivi per i quali dobbiamo essere grati ai Fratelli Alinari di Firenze, che hanno promosso e reso possibile l’itinerario italiano della mostra Walker Evans. Argento e Carbone: fino all’8 gennaio al Museo di Roma; dal 18 gennaio a fine febbraio alla Galleria Carla Sozzani di Milano; quindi, a seguire, al Mnaf (Museo Nazionale Alinari della Fotografia), in piazza Santa Maria Novella di Firenze (ex complesso delle Leopoldine, di fronte alla basilica), che inaugura tra febbraio e marzo. Anzitutto, è fin scontato, la prima riconoscenza riguarda la possibilità, peraltro rara nel nostro paese, di incontrare da vicino l’opera di questo grande autore, tanto determinante sull’intera storia del linguaggio fotografico: ne abbiamo scritto tante volte, e qui confermiamo, rimandando alla presentazione di una nuova edizione italiana di Sia lode ora a uomini di fama (in FOTOgraphia del febbraio 2003) e, soprattutto, all’autorevole Sguardo su di Pino Bertelli, pubblicato in FOTOgraphia del successivo novembre 2003.

8

(a partire dalla straordinaria retrospettiva, allestita all’inizio del 2000 dal Metropolitan Museum of Art di New York, con prezioso catalogo, e riproposizioni successive al San Francisco Museum of Modern Art e al Museum of Modern Art di Hudson)? Appunto quella di mettere sul tavolo l’argomento discriminante della stessa fisicità, diciamola così, della fotografia. Il curatore John T. Hill, collega di Walker Evans all’università di Yale e suo esecutore testamentario, ha compiuto un’opera sulla quale è doveroso soffermarsi, per proiettare le sue considerazioni e il suo modus operandi all’interno di tutto l’ampio contenitore della fotografia contemporanea. L’energico testo con cui introduce la selezione Walker Evans. Argento e Carbone risponde con chiarezza, oltre che apprezzata sinteticità, a una vasta serie di interrogativi di contenuto, attorno i quali da tempo si parla e dibatte, seppure spesso a sproposito e altrettanto frequentemente per soli pregiudizi. Consapevole di ciò che ha realizzato, John T. Hill proietta l’inevitabile mediazione tecnica e formale verso i contenuti dell’immagine, fino alla propria proiezione lessicale (a un tempo, con consecuzione sociale e culturale). Affermazione, riferita alle immagini esposte in mostra: «Tutte queste stampe fotografiche sono specifica-


mente una rielaborazione a partire da negativi originali. È un’interpretazione ideale da parte dell’artista o di un tecnico di fiducia». E qui cominciano le considerazioni relative alla gestione attuale di negativi realizzati indietro nei decenni: nello specifico, da Walker Evans; in generale, il discorso può essere allargato a tutta la fotografia storica. John T. Hill sa bene di cosa sta parlando, e cita i casi di altri autori: Paul Strand e Ansel Adams, ricorda, hanno specificamente dato il proprio assenso a stampare le loro immagini a titolo postumo, invitando a conseguenza verso nuove riflessioni sul proprio lavoro, ovviamente sollecitate e determinate dalle inevitabili evoluzioni tecnologiche dei mezzi, e accettando di non sottrarsi al giudizio dei posteri. Al contrario, Brett Weston ha formalmente bruciato i propri negativi. Quindi, approfondendo l’argomento alla luce dell’attuale selezione di opere fotografiche di Walker Evans, «la stampa di questi lavori di Evans pone problemi di carattere critico. [...] La tecnologia digitale impiegata [eccoci!] si presta a un’alterazione volontaria, lasciando spazio alla creatività, che osa sostituirsi al processo chimico basato su un’emulsione ai sali d’argento». Come richiama il titolo, selezione dei principali lavori dell’autore, soprattutto concentrata sulla partecipazione progetto di documentazione della

Farm Security Administration (dal giugno 1935 alla fine della successiva estate 1936), Walker Evans. Argento e Carbone presenta una loro cosciente e consapevole trasformazione attraverso vari processi di stampa, comprendenti, oltre i supporti tradizionali ai sali d’argento, la fotoincisione, la stampa litografica e la rilievografia, fino alle rielaborazioni digitali al nerofumo. Ci sintonizziamo con il curatore, quando osserva come la musica classica sia solitamente veicolata

Ufficio Postale ( Post Office; Sprott, Alabama, 1936).

STAMPE D’AUTORE

O

ltre le considerazioni sulle stampe allestite in mostra, che compongono la materia sostanziale del nostro attuale intervento redazionale, la rassegna Walker Evans. Argento e Carbone offre altri spunti di riflessione in relazione alla serie di stampe in edizione limitata e numerata, realizzate con l’occasione dell’itinerario espositivo italiano. Si tratta di otto soggetti stampati da negativo originario su carta di cotone: tiratura numerata a mano da 1 a 140 (esclusiva per Alinari), con timbro a secco del curatore della mostra e della stessa stampa delle copie. Gli otto soggetti, peraltro esposti anche in mostra, sono: uno, Case e cartelloni pubblicitari (Houses and Billboards; Atlanta, 1936); due, Bottega di barbiere in una città del Sud (Barber Shop, Southern Town oppure Street Scene, Vicksburg, Mississippi; 1936) [a pagina 10]; tre, Ufficio Postale (Post Office; Sprott, Alabama, 1936;) [qui so-

pra]; quattro, Espositore di foto automatiche (Penny Picture Display; Savannah, 1936) [a pagina 10]; cinque, Venditori sul ciglio della strada nei pressi di Birmingham (Roadside Stand near Birmingham; 1936) [a pagina 10]; sei, Cucina di casa colonica (Farmer’s Kitchen oppure Burroughs Family Cabin; Hale County, Alabama, 1936) [pagina accanto]; sette, Autofficina alla periferia di una città del Sud (Garage in Southern City Outskirts; 1936); otto, Insegna di negozio di arredamento nei pressi di Birmingham (Furniture Store Sign near Birmingham oppure Billboard, Birmingham; Alabama, 1936;) [pagina accanto]. Singola stampa, 150,00 euro; quattro stampe (soggetti a scelta), 500,00 euro; collezione completa di otto stampe, 900,00 euro. Fratelli Alinari, largo Fratelli Alinari 15, 50123 Firenze; 055-23951, fax 0552395230; circosta@alinari.it.

attraverso registrazioni digitali, non certo ascoltata da strumenti originari d’epoca. Allo stesso modo, si ha spesso l’opportunità di leggere nuove traduzioni dei classici della letteratura, ampiamente apprezzate e lodate. Però, per quanto «per propria natura, le arti visive si prestino meno a questo tipo di rielaborazione intenzionale», non possiamo non prendere atto dell’evoluzione tecnologica e delle relative conseguenze. A patto di essere accompagnati, se non già guidati, da operatori abili, esperti e coscienti, ovvero da stampatori con alto grado di competenza e impegno, abbiamo da fare i nostri attuali conti estetici e di contenuto con tutto questo. Oltre che esemplare, nella propria realizzazione attuale, per tanti versi il caso di Walker Evans è stato in qualche modo semplificato (magari favorito?) da un insieme di atteggiamenti tipici e caratteristici del carismatico autore, che attribuiva pesi e valori realistici a ciascuna componente dell’intero processo visivo della fotografia. Anzitutto, autentico bibliofilo, «Walker Evans considerava il libro il mezzo più idoneo a presentare e guidare la “lettura” della propria opera». Tanto che in prefazione all’epocale Sia lode ora a uomini di fama, l’autore dei testi James Agee annota: «Questo è un libro soltanto

9


10

MARTSON HILL EDITIONS (3) E

LIBRARY OF CONGRESS

per necessità. Più seriamente, è un’impresa di esistenza umana in atto, in cui il lettore è non meno centralmente coinvolto degli autori e di coloro di cui gli autori raccontano». Ma già eravamo stati avvertiti: «Per ogni tentativo da parte degli editori, o altri, di travestire o in qualsiasi altro modo di rendere accattivante questo volume, gli autori sentono l’obbligo di esprimere il proprio rincrescimento, la propria intensa disapprovazione e, in quanto osservatori in attesa di nuove contribuzioni, la propria compiacenza» (sempre da Sia lode ora a uomini di fama). Quindi, estraneo al fascino o attrazione della camera oscura, che pure ha frequentato in proprio, tornando al catalogo dell’odierno Walker Evans. Argento e Carbone, «Walker Evans si rese conto sin dall’inizio che poteva affidare a qualcun altro quel lavoro di routine [l’interpretazione della stampa] e che si sarebbe accontentato del risultato. Se da un lato prediligeva la stampa di alta qualità dei suoi lavori, dall’altro aveva capito che i risultati che aveva in mente non erano alterati dai limiti imposti da un cliché a mezzatinta imprecisato o da un processo di stampa mediocre. Il suo lavoro non dipendeva da una ricerca mirata a creare un’atmosfera, un idillio, nel tentativo di catturare l’immagine “definitiva”». Ciò detto, e approfondito, non si deve credere che l’operazione espositiva di Walker Evans. Argento e Carbone sia in alcuna misura approssimativa. Anzi, è esattamente vero il contrario. Tutto quanto è stato fatto non ha bisogno di giustificazioni, e le parole introduttive sono solo a commento e di motivazione. Infatti, coscienti che tutti i nuovi media influiscano sulla voce e sul timbro, «una scala tonale più ampia e un controllo più accurato dei valori sono i due strumenti più significativi offerti dalla tecnologia digitale». Ancora, e più specificamente, «quei dati che sarebbero difficilmente conservabili all’estremità chiara e scura di una gradazione, nel caso di impiego di emulsioni [da stampa] ai sali d’argento, diventano ora più accessibili. La musica non cambia, ma alcune note impercettibili ora si possono udire più distintamente». (E a parte segnaliamo anche un’iniziativa Alina-

Venditori sul ciglio della strada nei pressi di Birmingham ( Roadside Stand near Birmingham; 1936).

Espositore di foto automatiche ( Penny Picture Display; Savannah, 1936).

ri parallela alla mostra: serie di stampe in edizione limitata e numerata). L’ultima parola spetti, quindi, alle immagini in esposizione, che sottolineano una particolare stagione fotografica di Walker Evans: quella che ha influenzato generazioni successive di fotografi “dal e del vero”. A seguire, dagli spunti complementari offerti dalla produzione di questa mostra, sui quali ci siamo soffermati e che abbiamo sottolineato, si

Bottega di barbiere in una città del Sud ( Barber Shop, Southern Town oppure Street Scene, Vicksburg, Mississippi; 1936).

tragga doverosa esperienza e conoscenza dell’attuale stato dell’arte fotografica. Opportunamente, John T. Hill richiama una citazione che calza a pennello e che dovrebbe essere tenuta sempre presente ogni volta che si prende in esame ogni tipo di produzione fotografica (e non soltanto): «Una traduzione non è una traduzione [...] se non trasmette la musica della poesia insieme alle parole» (John M. Synge, 1907). In chiusura, a margine di tutto e in separazione da niente, una nota finale. Riguarda la competenza senza soluzione di continuità tra forma e contenuto che caratterizza tanta critica e saggistica statunitense della fotografia (comunque sia, tanta critica e saggistica esterna al nostro mondo italiano). Invece di parole anche auliche a volo alto, tanto alto da essere spesso etereo, questa critica e saggistica sa declinare in coincidenza, corrispondenza e consecuzione di intenti la mediazione tecnica con l’espressività. E questa, che andrebbe approfondita in tempi e luoghi adatti, è una condizione non da poco. Anzi! M.R. Walker Evans. Argento e Carbone. Selezione dai principali lavori dell’autore con loro trasformazione attraverso processi di stampa attuali, fino alle rielaborazioni digitali al nerofumo. Catalogo a cura di John T. Hill; Edizione Alinari, 2005 (largo Fratelli Alinari 15, 50123 Firenze; 055-23951, fax 055-2382857; www.alinari.it, editorial@alinari.it); 70 illustrazioni; 64 pagine 25x25cm; 20,00 euro. ❯ Galleria Museo di Roma, Palazzo Braschi, piazza san Pantaleo 10, 00186 Roma; 06-67108346; www.museodiroma.comune.roma.it, museodiroma@comune.roma.it. Fino all’8 gennaio 2006; martedì-domenica 9,00-19,00 (25 dicembre e Primo gennaio chiuso). ❯ Galleria Carla Sozzani, corso Como 10, 20154 Milano; 02-653531; www.galleriacarlasozzani.org, info@galleriacarlasozzani.com. Dal 18 gennaio a fine febbraio; lunedì 15,30-19,30, martedì-domenica 10,30-19,30, mercoledì e giovedì fino alle 21,00. ❯ Mnaf - Museo Nazionale Alinari della Fotografia, piazza Santa Maria Novella, 50123 Firenze (ex complesso delle Leopoldine, di fronte alla basilica). Dopo la primavera 2006.



RAPIDAMENTE. Nell’ambito del vasto ed eterogeneo sistema di treppiedi Manfrotto si segnalano anche le particolari combinazioni con le relative teste di sostegno, supporto e movimento di apparecchi fotografici e telecamere. Oltre le teste a movimenti indipendenti e le dotazioni particolari, con regolazioni fini a cremagliera oppure morbide con frizioni fluide, si registra la consistente offerta di teste a sfera che consentono e assicurano la rapidità della sistemazione dell’apparecchio e la compattezza della propria configurazione. In particolare, le teste a sfera sono congeniali nelle situazione nelle quali il movimento dell’apparecchio debba essere libero in ogni direzione: dalla fotografia di sport al ritratto, dal reportage sul campo alla fotografia di paesaggio, e altro ancora. Nell’ambito delle configurazioni a sfera si segnala la particolare versione Manfrotto 322RC2, con possibilità di blocco/sblocco istantaneo a leva, che può essere unita al comando elettrico o meccanico dell’apparecchio fotografico. (Bogen Imaging Italia, via Livinallongo 3, 20139 Milano).

AZIENDALE. Produttore leader di torce professionali e di valige di protezione con sistema Protector, con filiale europea a Barcellona, Peli Products ha riorganizzato il proprio Ufficio Vendite: tre promozioni e due nuovi incarichi. Già Manager Vendite Europa, Paul Bates

12

diventa Direttore Vendite Europa, Medio Oriente e Africa; Ignasi Pérez diventa Business Development Manager per il settore governativo e militare; Cristina Escarrà è il nuovo Rappresentante Vendite Regionali Europa (Spagna, Italia, Grecia e Portogallo). Due nuovi ruoli: Peter Marc, Manager Vendite Regionali Europa, focalizza il proprio interesse sull’Europa dell’Est, e Nabil Assaf è il Rappresentante Vendite Regionali per il Medio Oriente e il Nord Africa. Nello staff Peli da tre anni, in qualità di Coordinatore Vendite, Cristina Escarrà (in basso, a sinistra) seguirà ora le attività commerciali in Spagna, Italia, Grecia e Portogallo. Oltre a gestire la distribuzione di prodotti già esistenti, si occuperà anche di attivare nuovi rapporti commerciali in diversi mercati consumer. Referente principale per il mercato italiano, Cristina Escarrà è forte di una formazione scolastica in business internazionale; parla correntemente italiano, spagnolo, portoghese e inglese. (Peli Products; 003493-4674999, fax 0034-934877393; estefania@peli.com).

FINEPIX DI VERTICE. Risoluzione di nove Megapixel, con sensore Super CCD HR da 1/1,6 di pollice, zoom ottico 10,7x, con avvio all’ampia inquadratura grandangolare 28 millimetri (fino all’avvicinamento tele 300mm, in equivalenza alla fotografia 24x36mm), ulteriore zoom digitale 2x, per un ingrandimento totale 21,4x, elevata sensibilità: i valori tecnici della nuova compatta digitale Fuji FinePix S9500 Zoom quantificano una configurazione di taglio alto, con prestazioni fotografiche di vertice. A seguire, si segnala la tecnologia Real Photo, già impiegata nella FinePix F10 (FOTOgraphia, giugno 2005), rinomata per l’eccezionale qualità dell’immagine. L’uso di questa tecnologia consente di far convivere l’alta sensibilità e la qualità dell’immagine utilizzando tempi di otturazione elevati: con

la sensibilità estesa da 80 a (ben) 1600 Iso equivalenti, Real Photo limita il “disturbo”, garantendo una grande nitidezza. Ovviamente, la presenza della tecnologia RP è particolarmente utile quando si effettuano riprese con lo zoom alla massima focale. Altre preziose funzioni aumentano il piacere di fotografare e soddisfano anche le esigenze più elevate: zoom manuale, display LCD orientabile da 1,8 pollici, istogramma dinamico e possibilità di impostare un’ampia scelta di funzioni automatiche e manuali. La FinePix S9500 Zoom vanta anche una funzione video di elevata qualità: VGA, a trenta fotogrammi al secondo. Ancora, si segnala la modalità Anti-Blur, che imposta automaticamente la sensibilità ottimale rispetto le condizioni di ripresa, fino a 800 Iso equivalenti, in modo da eliminare l’effetto mosso dell’apparecchio o del soggetto. (Fujifilm Italia, via dell’Unione Europea 4, 20097 San Donato Milanese MI).

DI LARGHE VEDUTE. Il sistema ottico Pentax-DA delle reflex digitali della famiglia *istD, recentemente approdata alla configurazione *istDL (FOTO graphia, settembre 2005), si arricchisce della più ampia visione dello zoom estremo

SMC Pentax-DA 12-24mm f/4 ED AL [IF]. Compatto e leggero (84x87,5mm, 430g, diametro filtri 77mm), offre una variazione focale con prospettiva ultragrandangolare esasperata: da 99 a 61 gradi sul sensore di acquisizione digitale di immagini 23,5x15,7mm (pari all’escursione 18,5-37mm della fotografia 24x36mm). Oltre il cerchio immagine limitato alla copertura del sensore CCD, lo zoom vanta un progetto ottico di tredici lenti in undici gruppi, con un elemento ED a basso indice di dispersione e due elementi asferici, finalizzato alle particolari esigenze della fotografia digitale. L’autofocus è rapidamente convertibile alla messa a fuoco manuale, sempre con accomodamento da trenta centimetri. (Protege - Divisione Foto, via Dione Cassio 15, 20138 Milano).

FOTOGRAFIA E MUSICA. Anticipata sul nostro scorso numero di ottobre, in subordine alla reflex Pro815, la compatta digitale Samsung Digimax i50 MP3 offre una combinazione inedita di fotografia e musica: risoluzione di cinque Megapixel e lettore MP3. Dimensioni estremamente contenute (da record: solo 17,3mm di spessore in elegante corpo in acciaio inox), zoom ottico 3x e ampio display LCD da 2,5 pollici (210.000 pixel), con elevata qualità di visione. Oltre le dotazioni fotografiche, la compatta digitale Samsung Digimax i50 MP3 consente di inserire nella memoria file audio MP3, per ascoltare in ogni momento la propria musica preferita. Per questo, l’apparecchio è equipaggiato con auricolari stereo Hi-Fi, e tra le funzionalità della sezione audio fa spicco la possibilità di riprodurre i file con diversi tipi di equalizzazione (classica, rock, pop, jazz). Il design propone linee semplici ed eleganti, nella classica finitura silver. Semplice da usare, la Samsung Digimax i50 MP3 presenta una versatile dotazione


Prospettive piĂš ampie. Puro divertimento.

28mm

200mm

La memoria ha molteplici prospettive e la nuova Caplio R3 aiuta a catturarle tutte. Con il suo zoom ottico wide 7,1x 28-200mm, può inquadrare una scena intera o avvicinare il soggetto fino a riprendere i dettagli dell’espressione del viso. E con 5.13 megapixels e il dispositivo Ricoh di Correzione delle Vibrazioni le immagini sono sempre dettagliate, nitide ed incredibilmente chiare, da qualunque prospettiva.

fotografia.digitale@ricoh.it


Profoto Pro-B2 L’innovazione dei flash a batteria tecnica; in particolare, undici modalità di ripresa assicurano risultati perfetti in tutte le situazioni ambientali. C’è anche la possibilità di riprendere video-clip nello standard MPEG-4 e si segnala una pratica docking station, che consente di ricaricare l’accumulatore Li-Ion e, nello stesso tempo, di caricare e scaricare file dal computer. (Giliberto Fotoimportex, via Ticino 12, 50010 Osmannoro di Sesto Fiorentino FI).

SPAZI ADEGUATI. Per trasportare e proteggere consistenti e articolate dotazioni fotografiche dei nostri giorni, che ormai spaziano dai diversi corpi macchina con propri obiettivi e accessori all’indispensabile computer, oltre i relativi sistemi di alimentazione, servono borse spaziose e opportunamente ordinate. Le configurazioni Kata si distinguono proprio per la razionale organizzazione dello spazio: una coerente serie di scomparti consente accessi indipendenti, per non svuotare la borsa ogni volta che si cerca una batteria o un cavetto. In base alle proprie dimensioni, le borse sono adatte a corredi sistematicamente differenziati. Quindi, tutte sono predisposte con cinghie per il trasporto del treppiedi e per combinarsi con l’agile carrello Insertrolley. (Bogen Imaging Italia, via Livinallongo 3, 20139 Milano).

MJU IN DOPPIO. Due nuove configurazioni Olympus µ Digital, rispettivamente 600 e 800, spingono ancora in avanti la consi-

14

stenza di prestazioni fotografiche dell’affascinante sistema, in pertinente equilibrio tra concreti valori operativi e confortevole design. La Olympus µ Digital 600 da sei Megapixel dà il meglio di sé nell’oscurità. Grazie alla tecnologia proprietaria BrightCapture, il monitor da 2,5 pollici permette di vedere e fotografare soggetti in condizioni di luce quattro volte inferiori a quelle richieste dalle dotazioni convenzionali. Sono presenti anche modalità di scatto particolari, che esaltano ancor di più le immagini notturne e regalano risultati eccellenti utilizzando al meglio la poca luce. Dotata di zoom ottico 3x (equivalente all’escursione 35-105mm della fotografia 24x36mm), l’Olympus µ Digital 600 ha un corpo macchina impermeabile in metallo, disponibile in tre colorazioni.

Ovviamente, l’identificazione Olympus µ Digital 800 certifica la risoluzione da otto Megapixel. In un elegante corpo macchina, robusto e impermeabile, disponibile in blu scuro lucido o argento, sono inserite sostanziali funzioni innovative in grado di offrire un’elevata libertà espressiva. Lo zoom ottico 3x, equivalente alla variazione 38-114mm, e la risoluzione di otto Megapixel consentono acquisizioni ad alta definizione, previsualizzate e riproposte sull’ampio monitor da 2,5 pollici. La tecnologia proprietaria HyperCrystal permette di osservare l’immagine anche con una elevata angolazione, sempre con una nitidezza straordinaria, anche in pieno sole. In unione alla tecnologia BrightCapture, esalta notevolmente la visione ma anche la ripresa nelle situazioni e condizioni di luce scarsa. (Polyphoto, via Cesare Pavese 11-13, 20090 Opera Zerbo MI).

Efficace generatore flash da 1200Ws con doppia alimentazione: alla corrente di rete e a batteria!

Per l’uso in location, la batteria di alimentazione offre Fino a 200 lampi a piena potenza Elevata velocità di ricarica: da 0,04 a 1,8 secondi Breve durata del flash, per congelare i movimenti del soggetto: da 1/2200 a 1/7400 di secondo Regolazione della potenza su un’estensione di 8 f/stop (da 1200Ws a 9Ws), con variazioni da 1/2 o 1/10 di stop Distribuzione simmetrica o asimmetrica (con un rapporto di 2:1) della potenza selezionata sulle due prese flash Lampada pilota fino a 250W Lampada pilota continua o a tempo Collegamento radio (ricevitore opzionale), che elimina la necessità di cavi di sincronizzazione

Il generatore Profoto Pro-B2 è integrato al versatile sistema Pro-7. Accetta tutte le torce flash Pro-7, standard o speciali, incluse le ProHead (con lampada pilota da 250W), ProRing (anulare) e ProTwin (da 2400Ws, per il collegamento a due generatori). Inoltre, progettata esclusivamente per il Pro-B2, la torcia Pro-B Head è leggera e portatile (10x22cm, 1,8kg), in modo da integrarsi perfettamente nel concetto di massima libertà operativa.


www.adimaging.it

info@adimaging.it

A/D imaging srl, viale Sabotino 4, 20135 Milano 02-58430907, fax 02-58431149 • www.adimaging.it • info@adimaging.it



F

L’ULTIMO SCATTO

Fotografo coprotagonista di Era mio padre, sulla cui componente di morbosa necrofilia abbiamo riflettuto lo scorso novembre, sullo schermo l’attore Jude Law ha incrociato la fotografia in altre due recenti occasioni, entrambe del 2004. Anzitutto, in Closer è uno scrittore che, uscito da una crisi creativa, incontra la fotografa Anna Cameron, interpretata da Julia Roberts. Quindi, registriamo una consistente componente fotografica in Sky Captain and the World of Tomorrow, di Kerry Conran, del quale ci occupiamo oggi. Tutto svolto in toni ombrosi, che

Citazione cinematografica di classe: in Sky Captain and the World of Tomorrow, la giornalista Polly Perkins (Gwyneth Paltrow) usa una Argus C2 per documentare i clamorosi avvenimenti che stanno sconvolgendo New York.

Muovendosi coraggiosamente tra i giganteschi robot-killer, Polly Perkins fotografa la loro implacabile marcia per le Avenue di New York.

da un originario bianconero sfumano in un sofisticato viraggio seppia, per approdare infine a un colore comunque sia cupo, il film riprende e ripropone i connotati formali del fumetto (di Alex Raymond?) dal quale trae ispirazione. Anche la sceneggiatura, che vale una definizione in equilibrio tra fantascienza, thriller e fantasy, ha debiti di riconoscenza con il fumetto statunitense di metà Novecento, soprattutto nelle proprie visioni apocalittiche e nelle proprie soluzioni individuali (l’intrepido eroe che salva il mondo), con tanto di uso di armi speciali (pistole a raggi, piattaforme aeree segrete e contorni). Tra tanta fantasia da fumetto d’avventura, il film esordisce con una citazione che vale la pena sottolineare, prima di affrontare la

In una situazione fotografica concitata, Polly Perkins rischia di perdere la propria Argus C2, che finisce in un tombino: la recupera a fatica e non senza pericolo.

componente fotografica della vicenda, che è poi quella che, come il solito, ci interessa di più, se non già soltanto. Sky Captain and the World of Tomorrow inizia con l’arrivo a New York del dirigibile Hindenburg III proveniente dall’Europa, che attracca al pennone dell’Empire State Building, che in origine fu previsto proprio per questo. Se non che, il sei maggio 1937, con l’esplosione in atterraggio dell’Hindenburg (nave volante sostenuta da duecentodiecimila metri cubi di idrogeno) finì l’epoca dei dirigibili. Comunque, la combinazione visiva tra l’Empire State Building e il Radio City Music Hall, che entra presto in scena, delinea e definisce la scenografia Art Deco del film, che si allunga, eccoci!, alla 35mm Argus C2, in produzione dal 1938 al 1942 (il film è appunto ambientato alla fine degli anni Trenta): citazione di buon garbo. La macchina fotografica è tra le mani della giornalista Polly Perkins (l’attrice Gwyneth Paltrow), ex fidanzata di Joseph “Sky Captain” Sullivan (appunto l’attore Jude Law), l’intrepido asso dell’aviazione americana chiamato a risolvere i portentosi avvenimenti che stanno sconvolgendo il mondo, invaso da giganteschi robot-killer, che fanno la loro originaria comparsa tra le Avenue di New York, prima di dilagare in tutto il pianeta. (Altra annotazione sul film: grazie agli effetti speciali, negli ultimi minuti, Laurence Olivier, morto nel

1989, appare sotto forma di ologramma nei panni del dottor Totenkopf: il malvagio scienziato che vuole distruggere la Terra). Sky Captain e Polly Perkins volano in Nepal, dove hanno scoperto essere localizzato il quartier genera-

17


Immancabile Argus C2, scenograficamente elegante nel proprio spartano design a spigoli vivi, in sintonia con il clima Art Deco del film Sky Captain and the World of Tomorrow.

le della cospirazione. La giornalista ha già fotografato i robot-killer per le strade di New York, in una concitata sequenza durante la quale ha anche rischiato di perdere la propria macchina fotografica, finita in uno scarico stradale dell’acqua piovana (sequenza a pagina 17). Sky Captain è perplesso di fronte all’attaccamento della giornalista alla propria macchina fotografica: «Come mai tieni tanto a quella stupida macchina fotografica?», domanda. La risposta sottolinea il sentimento che ancora lega i due e ribadisce i toni avventurosi della sceneggiatura: «Me l’hai re-

18

Ogni volta che Polly Perkins pensa di scattare per comporre il reportage degli straordinari avvenimenti cui assiste, si trattiene per non sprecare le ultime residue pose del rullino.

galata tu... Non ricordi neanche, vero? Quando tu volavi con i volontari americani a Nanchino e io coprivo l’evacuazione a Shanghai». Fatto sta, che al primo impatto con le macchinazioni del terribile Totenkopf, la giornalista deve abbandonare precipitosamente il proprio bagaglio, rullini compresi. E qui si delinea il particolare motivo conduttore della combinazione fotografica di Sky Captain and the World of Tomorrow, al solito puntualizzata dalla concentrata sequenza di fotogrammi identificati e isolati da Filippo Rebuzzini, che presentiamo in queste pagine. Ogni volta che Polly Perkins punta l’obiettivo sugli avvenimenti eccezionali ai quali assiste (dall’arrivo di mostri giganteschi all’atterraggio di fortuna su una piattaforma aerea segreta), alla fin fine desiste per risparmiare gli scatti: ha soltanto due fotogrammi ancora in macchina, e dunque si trattiene in attesa di qualcosa che sia ancora più clamoroso («Che fai, non fotografi?»; «Mi restano soltanto due scatti, ancora. Chi sa cosa ci aspetta ancora»). Addirittura, durante una corsa precipitosa spreca involontariamente un fotogram-


IN-OUT

ma: «Mentre correvamo, ho fotografato il suolo. Mi resta soltanto uno scatto, adesso. Solo uno scatto!». Polly Perkins alza la Argus C2 per fotografare l’astronave nella quale i robot stanno caricando coppie di animali da salvare dalla distruzione della Terra (moderna Arca di Noè); ma desiste ancora. Sky Captain è perplesso: «Credi davvero di trovare qualcosa di più importante di tutte le creatu-

re della Terra che vengono trasferite in coppia all’interno di un’astronave?». Ovviamente, Sky Captain salva il mondo, distruggendo l’astronave e il centro di controllo del perfido Totenkopf. Qui il film si rischiara finalmente in un colore solare, che rappresenta l’alba di una nuova era. Polly Perkins punta il suo obiettivo e sullo schermo si visualizzano le sue inquadrature: esplosione dei la-

Tutto è finito (in bene). Polly Perkins si rilassa e riserva l’ultimo scatto a disposizione al ritratto dell’eroe (peraltro amato). Ma! «Il copriobiettivo». Fine.

boratori dove è stata consumata la nefasta macchinazione, sole che sorge dal mare e altre idilliache visioni. È l’ultimo scatto: ecco che la Argus C2 inquadra il ritratto di Sky Captain, amato salvatore. «Polly, tu!». «Va bene... Non occorre che tu dica nulla». «Il copriobiettivo». Fine. M.R. Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

L’AZIONE IN PUGNO

322RC2 TESTA RAPIDA A SFERA

CARATTERISTICHE TECNICHE:

LA NUOVA 322RC2 È UNA RIVOLUZIONARIA TESTA FOTOGRAFICA A SFERA CHE UNISCE LA VELOCITÀ AL CONTROLLO. IL SUO SISTEMA D’IMPUGNATURA DINAMICA È IL COLLEGAMENTO PIÙ EVOLUTO FRA VOI E LA FOTOCAMERA, PER POSIZIONARE, INCLINARE, BLOCCARE E RILASCIARE CON PRECISIONE, SICUREZZA, RAPIDITÀ E CON UNA SOLA MANO.

ALTEZZA 10,3cm PORTATA MASSIMA 5kg PESO 0,7kg

MOVIMENTO PANORAMICO DI 360° INCLINAZIONE LATERALE -3° +90° INCLINAZIONE FRONTALE -90° +90°

LA RIDOTTISSIMA ALTEZZA MANTIENE IL PESO DELLA FOTOCAMERA PROSSIMO AL CENTRO DI GRAVITÀ DEL TREPPIEDI PIASTRA A SGANCIO RAPIDO CON FERMO SECONDARIO DI SICUREZZA CONTROLLO FRIZIONE REGOLABILE SECONDO IL PESO DELLA FOTOCAMERA LIVELLA A BOLLA INCORPORATA, DESIGN ERGONOMICO, CORPO IN MAGNESIO IMPUGNATURA POSIZIONABILE A DESTRA, SINISTRA O IN VERTICALE

Manfrotto è distribuito in esclusiva da:

Bogen Imaging Italia MOVIMENTO PANORAMICO

INCLINAZIONE FRONTALE

INCLINAZIONE LATERALE

PULSANTE DI SCATTO REMOTO OPZIONALE 322RS

Via Livinallongo, 3 20139 Milano Tel. 02 5660991 Fax 02 5393954 www.bogenimaging.it info@it.bogenimaging.com


studiotto firenze

Molti s’innamorano al primo scatto con l’Anti-Shake. Perché la nuovissima Dynax 5D* coniuga semplicità d’uso ed altissima tecnologia assicurando una qualità eccezionale delle immagini anche in condizioni critiche. Infatti l’esclusiva tecnologia Anti-Shake (Antivibrazione) impedisce la sfocatura ed il mosso anche quando si scatta con poca luce, con focali lunghe o con poca stabilità. A tutto sovrintende il sistema CxProcess™ III che elabora l’immagine ad alta velocità per rendere al massimo il dettaglio e i colori sempre più fedeli.

6.1 megapixel Reflex digitale a ottiche intercambiabili Sistema Anti-Shake (Antivibrazione) integrato AF Full-Time a 9 sensori / 8 zone Grande monitor LCD da 2.5 pollici Scatto continuo 3 fot./sec Compatibilità con tutti gli obiettivi Minolta serie AF. *Dynax 5D include nella versione kit il nuovo obiettivo AF DT Zoom 18-70mm/3.5-5.6 D.

ESIGETE GARANZIA ROSSI & C. SPA

PER UN’ASSISTENZA QUALIFICATA E RICAMBI ORIGINALI DIRECT LINE 055 32 31 41 www.konicaminoltaphoto.it info@rossifoto.it


UN’ESTATE AL MARE

R

MARINA DI RAVENNA

Raccolte in monografia da Minerva Edizioni, le fotografie con le quali il ravennate Luigi Tazzari racconta (ha raccontato) i riti delle vacanze estive sulla costa romagnola sono anche allestite in una mostra itinerante “negli stessi luoghi”: a giugno, sono state esposte ai Chiostri della Fondazione Oriani di Ravenna, a cavallo dell’anno sono programmate a Palazzo Bellini di Comacchio, in provincia di Ferrara, quindi, a seguire, andranno a Rimini. In un mondo curiosamente “globalizzato”, nel quale anche le identificazioni culturali più lecite tendono a essere proditoriamente abbattute, questa localizzazione ci appare assolutamente affascinante e degna di nota. In questa dimensione, la riflessione sociale non corre lontana, distante dai più legittimi individualismi, ma si concentra su se stessa.

RIMINI

«La fotografia di Angelo Mereu non è virtuale, ma concreta e solida: appunto raccolta su un supporto che è parte integrante del procedimento e della costruzione dell’immagine. In relazione alle proprie intenzioni, l’autore interviene sul file originario, grezzo e semplice, con alterazioni volontarie di tono/colore e nitidezza».

21


AQUAFAN (RICCIONE)

22

«L’incessante ritmo di colori vivaci e inquadrature ravvicinate, personalità di un linguaggio diretto, compone l’essenza di una rilevazione che non si esaurisce al momento dello scatto di Luigi Tazzari, ma prosegue nel rapporto con le singolarità degli osservatori».

PUNTA MARINA

Il rito della vacanza estiva, che in Romagna manifesta una delle sue più consolidate evidenze (quantomeno formali, ma non soltanto), è spesso osservato dalla fotografia. L’occhio è altrettanto spesso critico e non mediatore; perlopiù si sovrappone alla realtà, per scansare a lato il senso concreto della raffigurazione: a favore, soprattutto, di una rappresentazione preconcetta. Chi frequenta, come a noi è dato di fare, l’insieme della fotografia italiana d’autore ha incontrato molte di queste visioni, diciamolo cattedrattiche, che fanno della severa critica di luoghi e manifestazioni la propria bandiera, e motivo d’essere. A differenza, e finalmente!, Luigi Tazzari non propone un saggio preconfezionato (appunto severo nel proprio sguardo), ma un racconto, anche partecipe, di quello che effettivamente e realisticamente è un’autentica Estate al mare. Nell’insieme di queste immagini, inevitabilmente particolari nell’evidenziazione visiva dei soggetti, si percepisce il senso stesso della ritualità della vacanza. La particolarità espressiva di Luigi Tazzari è subito rivelata e svelata: condivide ciò che osserva, senza comporre pregiudizi. Ogni osservatore, dalle pagine della monografia piuttosto che nell’esposizione degli originali fotografici, si sintonizza secondo proprie

Un’estate al mare, fotografie di Luigi Tazzari; testi di Eraldo Baldini e Roberto Mutti; Minerva Edizioni, 2005 (via Due Ponti 2, 40050 Argelato BO; 051-6630557, fax 051-897420); 112 pagine 30x24cm, cartonato con sovraccoperta; 29,00 euro.

intime intenzioni e non è necessariamente indotto a pensarla come l’autore, che si tiene discosto. Alla fin fine, l’incessante ritmo di colori vivaci e inquadrature ravvicinate, personalità di un linguaggio diretto, compone l’essenza di una documentazione che non si esaurisce al momento stesso dello scatto, ma prosegue nel rapporto con le singolarità dei singoli osservatori (lo ribadiamo). In questo senso, se bisogna attribuire meriti ulteriori, l’abilità fotografica di Luigi Tazzari sta proprio nella sua forza ideologica. Non si è lasciato intimorire dall’esuberanza del soggetto, né dai relativi inevitabili stereotipi. Ha raccon-

tato ciò che è, e non ciò che altri fotografi hanno preconfezionato (inducendo altresì la lettura verso strade preordinate), con la benefica chiarezza di un linguaggio esplicito, che lascia ciascuno di noi (osservatori) libero nelle proprie consecuzioni e deduzioni. Per come la vediamo e sentiamo, questa è autentica fotografia d’autore: fotografia non asservita, e dunque fotografia della vita. A ciascuno, la propria. A.G. Luigi Tazzari: Un’estate al mare. Palazzo Bellini, via Agatopisto 5, 44022 Comacchio FE; 0533-315810. Dal 10 dicembre al 10 gennaio 2006; lunedì-sabato 9,00-12,30 - 15,00-18,00.



IL SENSO DELLA STORIA

S

Sguardi contrapposti sull’Italia degli anni Cinquanta. Per un mese, da metà novembre e metà dicembre, il qualificato Istituto Italiano di Cultura di New York, al 686 della centrale Park Avenue, ospita (ha ospitato: trascorsi i tempi dell’annuncio preventivo, ne dobbiamo riferire in sintesi) una rassegna in due tempi coincidenti, che ha combinato assieme visioni di due autori estremamente diversi tra loro. Tema comune, come anticipato, l’Italia dei decenni scorsi, in un esame, se di questo si tratta, a due voci: dell’ita-

liano Piergiorgio Branzi, esponente di spicco di un linguaggio nato e cresciuto nel nostro paese, e dello statunitense Leonard Freed, della prestigiosa agenzia Magnum Photos. Appunto: Italia / Italy. Pochi i tratti in comune ai due autori, anagraficamente coetanei, ma linguisticamente indipendenti, e forse addirittura lontani. Piergiorgio Branzi e Leonard Freed hanno agito ciascuno per sé, ciascuno percorrendo la propria esperienza visiva. Ne conseguono due sguardi estremamente diversi, due angola-

L’abito da sposa, Napoli (1957).

La casa del palombaro (1954).

Spiaggia a Senigallia (1958).

24

zioni di ripresa, due diverse culture proiettate in una sottile assonanza di approccio con una realtà sociale, quella dei primi anni di un controverso dopoguerra, che oggi sappiamo identificare come determinante per la storia sociale del nostro paese. Il tema comune è stato osservato autonomamente: la partecipazione viva e palpitante di Piergiorgio Branzi si incontra, nella combinazione ora allestita, con il sostanziale occhio clinico di un fotografo americano. Possiamo dire che, insieme, queste due visioni completano un sostanziale cerchio espressivo. Da una parte ci sono le manifestazioni, certamente significative, di superficie (quelle che si presenta-


no all’osservatore venuto da lontano); dall’altra c’è la sostanza di una profonda trasformazione economica del paese, che da una diffusa indigenza contadina sta affacciandosi rapidamente a un esaltante (?) sviluppo sociale e culturale, che solo i protagonisti diretti possono aver percepito nella propria complessità. Allo stesso momento, anche il linguaggio fotografico è in trasformazione. Quello di Leonard Freed è già affrancato su stilemi internazionali e giornalistici; quello partecipe (ribadiamo!) di Piergiorgio Branzi segue lezioni e riflessioni che proprio in quegli anni coinvolgono la fotografia italiana tutta, certamente sintonizzata su valori espressivi e voglie di visione totalmente diversi. Proprio su queste occorre ancora oggi soffermarsi, per individuare gli elementi, e non soltanto le tracce, di un concentrato dibattito, che in quegli stessi anni Cinquanta trasformò la sola estetica della fotografia (appartenente a precedenti esperienze visive) in un efficace strumento di osservazione e decifrazione della vita, dell’esistenza. In questo senso, è significativa la fotografia di Piergiorgio Branzi, al pari di quella di altri individuati autori del tempo, che da quel tempo si sono proiettati in avanti. Tra le mani di questi autori, la fotografia italiana passò dalla sapiente sola combinazione di toni e composi-

zioni all’energica e sicura ricerca di significati. Dopo mezzo secolo, questa consapevole fotografia di strada conserva inalterati i propri valori originari. In queste immagini, e appunto qui ci attardiamo soltanto su una eloquente e indicativa se-

Maniscalco a Matera (1955).

Vicolo a Napoli (1955).

lezione di Piergiorgio Branzi, non si legge soltanto il tempo che fu, ma si colgono le radici di una mutazione sociale (antropologica?), alla quale questa ottima visione fotografica porta il proprio indiscutibile contributo. Tra i tanti, è questo uno dei compiti primari della fotografia. Almeno di quella svolta e realizzata da autori capaci di cogliere nel profondo e di individuare il senso stesso della Storia. M.R.



S

enza sfociare nell’esterofilia, sorge spontaneo l’elogio di quelle culture, vicine alla nostra sia per geografia sia per processo storico sostanzialmente equivalente, che per diversi (e misteriosi?) motivi trattano la fotografia con un tempo, una cadenza e uno stacco che ci fanno arrancare per mantenere il (loro) passo. E spesso non ci si riesce neppure. Constatazione e premessa d’obbligo, che nasce dalla consultazione di due pubblicazioni, una inglese e l’altra francese, diverse nel proprio genere, ma allineabili

OGGI

Parafrasando: di domani, non c’è certezza. Dunque, esprimersi oggi in visione futuribile è azione e pensiero di coraggio e lungimiranza. Diversamente dai percorsi della fotografia italiana, sempre più spesso ancorata a se stessa e a certezze (storiche) assolute, altrove c’è chi ha forza e coraggio di lanciarsi in avanti. Come è il caso, emblematico e sintomatico allo stesso momento, di due pubblicazioni a tema: reGeneration e Qu’est-ce que la photographie aujourd’hui?

E DOMANI reGeneration - 50 photographers of tomorrow; testi di William A. Ewing, direttore del Musée de l’Elysée di Losanna, Nathalie Herschdorfer e Jean-Christophe Blaser; Thames & Hudson, 2005; 224 pagine 23,5x27cm; 29,50 euro.

Qu’est-ce que la photographie aujourd’hui?; BeauxArts Magazine, 2003 (Tour Montparnasse, 33 avenue du Maine, F-75755 Paris Cedex 15; 0033-1-56541234, fax 0033-1-45383001); 194 pagine 22x28,5cm; 23,60 euro.

per la riflessione che stiamo per compilare. L’ambizioso sottotitolo di 50 photographers of tomorrow, ovvero cinquanta fotografi di domani accompagna e certifica la monografia reGeneration, pubblicata dall’attenta Thames & Hudson di Londra, nobile casa editrice inglese che alla fine del secolo/millennio ha celebrato i propri primi cinquant’anni di vita (FOTOgraphia, dicembre 1999).

Si tratta del volume-catalogo dell’imponente mostra allestita all’autorevole Musée de l’Elysée di Losanna, in Svizzera, con elaborati prodotti e inviati dalle scuole di fotografia di tutto il mondo (alle seguenti pagine 28 e 29). In fase preparatoria, sono state invitate tutte le scuole del mondo; dal 23 giugno al 23 ottobre, in esposizione sono stati presentati i lavori di chi ha risposto all’invito. Dall’Ita-

27


Samatha Bass, Usa (1971), Yale University School of Art (Usa) e Vassar College (Usa): Chicken Head; New York, 2003.

Keren Assaf, Israele (1978), Bezalel Academy of Art and Design (Israele), School of Visual Arts (New York) e School of Art Camera Obscura (Israele): Senza titolo; Israele, 2002.

Miklos Gaál, Finlandia (1974), University of Art and Design (Helsinki) e Högskolan för Fotografi och Film (Svezia): Swimming Lesson #5; 2004.

28

lia: CFP Centro Riccardo Bauer di Milano, Fabrica di Catena di Villorba, in provincia di Treviso, e Fondazione Studio Marangoni di Firenze. Comunque, chiusi i battenti dell’allestimento espositivo originario, dopo il quale è stato avviato anche un itinerario internazionale (a Milano, alla Galleria Carla Sozzani, da metà novembre all’undici dicembre), l’edizione libraria di reGeneration offre una consistente panoramica di duecentodiciotto immagini, appunto realizzate da cinquanta fotografi giovani, che si prevede e prospetta proiettati verso future/imminenti affermazioni professionali. In generale, e quindi anche all’interno di identificati ambiti, per quanto ci riguarda quello fotografico, è complesso e arduo parlare del presente, azzardando visioni e opinioni orfane della distanza necessaria che serve per sedimentare e rendere nitida la visione globale. Quindi, e a conseguenza, è estremamente coraggioso ipotizzare addirittura il futuro, sempre in chiave di espressività fotografica, non solo azzardato. Ma evidentemente c’è chi lo fa e chi propone, con il tono calibrato di chi osa, la freschezza di visioni, di autori, di fotografie nuove: lo affermiamo al-

la luce di quanto offerto dalla monografia alla quale ci riferiamo e dalla quale abbiamo preso spunto. Non vogliamo entrare nel merito del giudizio o dell’analisi, ovvero del contenuto espressivo delle fotografie dei cinquanta giovani: potremmo anche dire la nostra, ma non sarebbe questo il punto. In effetti, vorremmo esprimere una nostra convinta perplessità su alcuni aspetti di questa vantata “fotografia di domani”, ma le nostre sarebbero soprattutto parole e opinioni “generazionali”, peraltro non supportate dal necessario distacco, non solo temporale, con l’ostentata innovazione. Sull’onda lunga di recenti scuole di pensiero sociale e azione fotografica, è sicuramente preponderante un’attenzione intimistica di molti autori, alle volte tanto forte e assoluta da confondere, fino a compromettere la comprensione della comunicazione, fino a non consentire di capirne il linguaggio. Così come, allo stesso momento, è rilevabile una sostanziale assenza di fotografia di reportage, almeno all’interno di questi percorsi didattici, con quanto ne potrebbe conseguire in futuro per la conoscenza del presente. Del tutto assente, quindi, la fotografia di moda, fino a qualche tempo fa modello privilegiato e riferimento per tanta scolarità della fotografia (e così è ancora in

LA FONDAZIONE NSM VIE

N

sm Vie è una fondazione francese che prende il proprio nome dalla filiale di assicurazione vita della banca Nsmd: in accordo con la linea della casa madre, si impegna nel sostenere gli artisti che operano nel futuro dell’immagine. Nella sentita convinzione che l’arte è sempre all’avanguardia delle sensibilità, delle percezioni e delle evoluzioni, la stessa arte rappresenta l’elemento che più di altri vibra e reagisce a tutti i segnali del mondo in movimento. Con i significati conseguenti che questo comporta, non è cosa da poco investire il proprio credo in tale eterea materia. Dal 1997, la Fondazione raccoglie e colleziona fotografie contemporanee e video che si riferiscono per la maggior parte a rappresentazioni della figura umana attraverso una nutrita serie di ritratti e autoritratti. In questo modo, Nsm Vie esprime la dedizione alla creatività contemporanea e la salda volontà di costruire un patrimonio per il futuro; ma non è in secondo piano l’intento di dare il proprio contributo per la causa dell’arte. Allargare il proprio campo visivo per comprendere meglio il mondo.


Italia). Ma, ribadiamo, non è questo il punto. Indipendentemente dai riferimenti impliciti, che richiedono altro tipo di analisi, nello specifico di reGeneration, e non soltanto di questo, ciò che ci preme rilevare e considerare è proprio la volontà (capacità?) di guardare avanti, con il rischio che comporta, ma anche con la leggerezza del tempo che trova (si può anche sbagliare il tiro), che nella nostra esperienza o Eva Lauterlein, Germania (1977), École d’arts appliqués (Vevey): From the series chimères; 2002-2004.

Chih-Chien Wang, Taiwan (1970), Concordia University (Canada) e Chinese Culture University (Taiwan): Orange Basket. From the series Object; 2003.

Marla Rutherford, Usa (1978), Art Center College of Design (Usa) e Boston University (Usa): Abandoned Housewife; 2005.

29


Bernd e Hilla Becher: Détail d’une usine pétrochimique; 1992 (51x62cm; proprietà degli autori).

Anne Deleporte: ID Stack; 1992 (6x5x3cm; Collezione Nsm Vie).

Henri Cartier-Bresson: Leonor Fini; Parigi, circa 1932-1933 (Magnum Photos).

Tracey Moffatt: Something More #1; 1989 (105x150cm; Collezione Helga de Alvear, Madrid).

30

abitudine tutta italiana, non mettiamo mai in pratica. Infatti, per quanto sul nostro territorio si stiano anche moltiplicando iniziative culturali fotografiche, dai momenti di incontro a manifestazioni di più largo respiro, si continuano a celebrare soprattutto autori già affermati, con conseguente (coincidente?) garanzia di successo, appunto delegata a queste presenze immortali. La strada culturale a rischio, diversa dalla continua riproposizione dei soliti nomi, è invece territorio affascinante e intrigante. Non dà garanzie, è vero, ma se ben affrontata e ben svolta ha modo di aprire la mente a possibilità espressive nuove e innovative, può offrire spunto per l’avvio di nuove epoche. Su analoga scia, anche se con ponderazione e tono diversi, consideriamo l’elegante rassegna francese Qu’est-ce que la photographie aujourd’hui? (in traduzione Cos’è la fotografia oggi? ; in questa pagina), curata da BeauxArts Magazine: monografia del 2003 con sapore di volume fotografico, promossa dalla banca francese Nsmd e dalla propria fondazione Nsm Vie, che sostiene in una lunga tradizione la valorizzazione del patrimonio dell’arte contemporanea, dando impulso all’innovazione di nuovi mezzi d’espressione, compresa appunto la fotografia (riquadro a pagina 28). Un attento punto sulla contemporaneità, potremo definirlo. Tanto è vero che, senza parafrasare, con tono diretto che sconcerta, il titolo Cos’è la foto-

grafia oggi? si annuncia come programma. Ancora una volta registriamo una disinvolta presentazione del presente in proiezione futuribile, anche se, in questo caso, il lasso di tempo che contraddistingue il presente è piuttosto esteso. Affiancati e presentati con stile, opere e autori eterogenei: da coloro che portano la viva espressione della contemporaneità più prossima a quelli che hanno già dato il proprio contributo alla Fotografia (autori del livello di Henri Cartier-Bresson, Helmut Newton, Irving Penn). L’odierno punto in comune tra le due esperienze editoriali europee, originariamente indipendenti, è stabilito dal nostro esplicito intento di sottolineare i propositi coincidenti, in base ai quali ciascuna affronta, discute e considera l’attuale stato dell’arte e dell’espressività in fotografia. Se la Storia ha il merito di aiutare a leggere e comprendere il presente, bene, ringraziamola; ma non fermiamoci su quanto già ci ha svelato. Dobbiamo saper intuire la Storia futura tra le pieghe delle cronache odierne. Alessandra Alpegiani


Epson® e UltraChrome™ K3 sono marchi registrati di Seiko Epson Co.

Purtroppo, nessuna rivista è in grado di mostrare l’impatto di una stampa con tre gradazioni di nero.

Finalmente potrai ottenere da una stampante digitale fotografie in bianco e nero come quelle realizzate in camera oscura. Il nostro nuovo sistema di inchiostri UltraChrome™ K3 utilizza addirittura tre gradazioni di nero. Il risultato è un maggior numero di sfumature, per immagini in bianco e nero o a colori incredibilmente dettagliate e che dureranno tutta una vita. Vuoi verificarlo di persona? Chiama il numero verde 800-801101 per sapere dove puoi vedere Epson Stylus Pro 4800. Per informazioni www.epson.it


Per quanto, nell’ambito dell’offerta Ricoh, la vera novità tecnica di mercato sia rappresentata dalla Caplio R3, la simultaneità con la configurazione GR Digital sollecita la nostra particolare inversione dei fattori: come dovrebbe, il risultato non cambia er mille motivi, non certo solo personali, ci mancherebbe altro, ci occupiamo dell’affascinante interpretazione Ricoh GR Digital, ben consapevoli che il mercato è e sarà altrimenti interessato: le potenzialità commerciali della Caplio R3, della quale riferiamo a parte, sono sostanziosamente maggiori di quante possano essere iscritte alla dotazione GR Digital, compatta digitale di nicchia che si riconduce a una storia della quale abbiamo vissuto le tappe fondamentali. E da questo partiamo. Come specifica immediatamente la sigla identificativa, appunto “GR”, la nuova compatta digitale Ricoh riprende i connotati tecnici, oltre che esteriori, della genìa delle compatte fotografiche avviate nel 1996, quasi dieci anni fa, dall’interpretazione GR1 con 28mm f/2,8 di alta qualità formale (premio TIPA; FOTOgraphia, settembre 1997), successivamente evolutasi al proprio interno (con versioni successive GR1S e GR1V) ed esterno: con la dotazione GR21, con ipergrandangolare 21mm f/3,5 (premio TIPA; FOTOgraphia, settembre 2001). Dell’efficacia di questa compatta abbiamo scritto tante volte, e sappiamo che una identificata schiera di professionisti della fotografia, soprattutto fotoreporter, non manca di averla nella propria borsa (e qui richiamiamo una citazione sopra tutte: quella dello scrittore Tiziano Terzani, ricordato in FOTO graphia dello scorso marzo). A parte, ancora, ci soffermiamo su una particolare combinazione Ricoh GR1S, assemblata per la ripresa fotografica stereoscopica, a

P

La Ricoh GR Digital ha un corpo macchina in lega di magnesio. Dimensioni estremamente compatte: 107x58x28mm (170g di peso).

32

propria volta rappresentativa di una accattivante vitalità tecnica del progetto.

COMPATTA DIGITALE Da tanta e nobile storia, nasce l’attuale compatta digitale Ricoh GR Digital, che conferma l’originario indirizzo di qualità, e commercialmente di nicchia


La compatta digitale Ricoh GR Digital riprende l’estetica e le prestazioni che furono della fantastica GR1, e versioni successive, per pellicola 35mm. Configurazione digitale da 8,13 Megapixel, obiettivo equivalente al grandangolare 28mm (più aggiuntivo ottico per 21mm) e analoghe raffinatezze qualitative.

(d’alta classe). Senza tema di smentita affermiamo che si tratta di una compatta digitale a indirizzo professionale, rivolta a quegli utilizzatori che apprezzano le doti dell’inquadratura vigorosamente grandangolare. Infatti, in rapporto al sensore CCD di acquisizione digitale di 1/1,8 pollici, con risoluzione di 8,13 Megapixel effettivi, l’obiettivo fisso 5,9mm f/2,4 della Ricoh GR Digital è equivalente alla visione 28mm della fotografia 24x36mm a pellicola (e poi c’è anche un convertitore dedicato per la foca-

le equivalente 21mm). Il disegno ottico retrofocus, di sei lenti in cinque gruppi, replica le caratteristiche dei grandangolari per apparecchi reflex: utilizza una lente concava anteriore e una lente convessa davanti al sensore CCD. Nello schema sono quindi presenti due lenti asferiche in vetro e una lente in vetro a basso indice di dispersione. In un corpo macchina in lega di magnesio di soli 25mm di spessore (107mm di larghezza e 58mm di altezza; 170g di peso), oltre il sensore e l’obiettivo,

A VOLTE

TORNANO

33


L’ampio monitor LCD da 2,5 pollici (210.000 pixel) della Ricoh GR Digital offre la visione reale del cento per cento del campo inquadrato; al caso, sono riportati i riferimenti per l’inquadratura in rapporto 3:2, che riprende le proporzioni del fotogramma tradizionale 24x36mm.

le vantate e promesse alta risoluzione e qualità si basano anche sull’utilizzo di un nuovo algoritmo di elaborazione delle immagini, un basso rumore delle immagini (con tempi di esposizione lunghi, fino a tre minuti di posa, il calore è mantenuto ai minimi livelli) e una ridotta aberrazione cromatica, accompagnata a una fedele riproduzione dei colori e dei toni e a una pertinente correzione della distorsione. In particolare, il nuovo GR Engine si presenta e offre come efficace sistema di elaborazione delle immagini, con ricca e naturale riproduzione della gradazione dei colori e con forte riduzione del rumore: tra l’alto, realizza una elaborazione supplementare sui pixel adiacenti, per linee curve morbide e naturali. Queste caratteristiche si traducono in un risultato elevato, sia al centro sia ai bordi dell’area immagine, come hanno rivelato severi test MTF (Modulation Transfer Function), standard di misurazione del contrasto e della risoluzione usato per valutare la qualità d’immagine. La Ricoh GR Digital vanta un elevato potenziale di riproduzione dei dettagli, con una superba definizione. Il basso contenuto di rumore dà efficace continuità nelle aree scure, consentendo la registrazioni di toni e gradazioni naturali e riducendo l’effetto “blurring” e le distorsioni.

VALORI OPERATIVI Oltre il generoso monitor LCD da 2,5 pollici (210.000 pixel), con visione reale del cento per cento del campo inquadrato, la Ricoh GR Digital può disporre di mirino esterno GV-1 di alta luminosità. Il mirino arriva all’angolo di campo estremo dell’aggiuntivo ottico ipergrandangolare 21mm (in equivalenza) GW-21, e al proprio in-

34

terno riporta la delimitazione di campo 28mm (sempre in equivalenza). Analogamente, sono riportati i riferimenti per l’inquadratura in rapporto 3:2, che riprende le proporzioni del fotogramma tradizionale 24x36mm. Come accessori supplementari, sono disponibili anche un paraluce sagomato GH-1, un flash elettronico esterno, il cavo per lo scatto a distanza e un set di filtri. Operativamente, si segnala un intervallo di scatto di 1,7 secondi. Le immagini possono essere acquisite in diverse combinazioni di risoluzione e compressione, sia in formato RAW sia in Jpeg (anche simultaneamente). Dal punto di vista propriamente fotografico, annotiamo che gli automatismi di esposizione (Program, a priorità dei diaframmi e a priorità


TRE DIMENSIONI!

T

ecnica di ripresa con scarsa fortuna commerciale, addirittura nulla, quella della rappresentazione tridimensionale è una visione che periodicamente propone affascinanti soluzioni, quantomeno dal punto di vista estetico, formale e, perché no, ingegneristico. Anche per puntualizzare che sappiamo bene di cosa stiamo parlando, ricordiamo lo zoom Vivitar Q-Dos dei primi anni Novanta, che produceva sovrapposizioni in anaglifo direttamente in ripresa. Cosa sia l’immagine tridimensionale è presto detto. Un sistema visivo che separa e distingue l’osservazione dell’occhio destro da quella del sinistro, per ricostruire nel cervello la profondità, appunto tridimensionale, del soggetto. In fotografia ciò equivale a dover riprendere due fotogrammi opportunamente separati -e non entriamo in superflui dettagli tecnici-, da osservare, successivamente, con appositi sistemi. L’anaglifo, cui ci siamo appena riferiti e che abbiamo annotato in diversi tempi (il più recente dei quali in occasione della presentazione della monografia Hollywood Nudes in 3-D di Harold Lloyd; FOTOgraphia, marzo 2005), si basa sul calibrato sdoppiamento rosso/verde (o blu) dell’immagine. Lo stereo, invece, dipende da appositi visori ottici di immagini accostate (ne abbiamo approfondito nel maggio 1999, riferendoci alla sovietica Sputnik per fotogrammi 6x6cm). Una particolare combinazione realizzata dal tedesco Gilde, peraltro fantastico progettista di efficaci apparecchi 6x17cm e dintorni, prevede la combinazione di due Ricoh GR1S per la ripresa stereo, con winder di avanzamento automatico della pellicola / delle pellicole dopo lo scatto. Sulla staffa si collocano le compatte, i cui obiettivi di ripresa sono opportunamente distanziati di 76mm; un sistema di scatto collegato consente di esporre due fotogrammi simultaneamente e una livella permette di te-

ta da Franco Canziani e Marco Moggio di Castiglione Olona, in provincia di Varese, ai quali dobbiamo anche la ripresa stereo esemplificativa. L’informazione redazionale si conclude, quindi, con i riferimenti a Gilde System-Kamera-Technologie, Kirchplatz 6, D-31737 Rinteln, Germania (0049-5751-7887, anche fax; www.gilde-kamera.de, gilde@gilde-kamera.de).

Sulla staffa Gilde, due Ricoh GR1S sono posizionate per la ripresa stereo. Gli obiettivi sono allineati e distanziati di 76mm, la livella semplifica la tenuta in orizzontale e i due pulsanti di scatto sono comandati simultaneamente.

Un dispositivo meccanico semplice, quanto efficace, comanda lo scatto simultaneo delle due Ricoh GR1S adibite alla ripresa stereo.

nere in orizzontale l’intero apparato. A seguire, la coppia di immagini può essere gestita secondo necessità, per la ricostruzione tridimensionale: stereo, con sistemi ottici di visione, oppure anaglifica, con appositi occhialini filtrati in rosso e verde (o blu). Attenzione: la staffa Gilde non vincola le due Ricoh GR1S alla sola fotografia stereo. Le singole compatte possono essere sempre rimosse a piacere; il loro posizionamento stereo è prefisso da un inserimento a slitta con collocazione prestabilita, vincolata e obbligata. La nostra odierna documentazione della particolare dotazione tecnica è stata realizzaPer una efficace restituzione stereo degli scatti è determinante l’accoppiata di riprese in orizzontale. Per questo è opportuna la collocazione strategica di una livella di controllo.

Sulla staffa Gilde, la collocazione delle due Ricoh GR1S finalizzate alla fotografia stereo non è fissa. Le compatte possono essere rimosse e alloggiate a piacere, ricollocandosi sempre in posizione prestabilita.

35


PER UN PIÙ AMPIO PUBBLICO

O

vviamente, e come abbiamo puntualizzato nel corpo centrale di questo intervento redazionale, diversamente dalla GR Digital di nicchia, la compatta digitale Ricoh Caplio R3, in finitura argento o nera, si rivolge e indirizza al più ampio pubblico fotografico. Dotata di zoom 7,1x 4,6-33mm f/3,3-4,8, con esordio alla visione grandangolare equivalente 28mm, fino all’avvicinamento tele 200mm (sempre in riferimento alla fotografia 24x36mm), la Caplio R3 offre sofisticate prestazioni ottiche. Il particolare progetto Double Retracting Lens System consente a una parte del gruppo ottico di sporgere dal corpo quando l’obiettivo è chiuso, in modo da limitare lo spessore della compatta (a soli 26mm). Una sofisticata funzione di correzione delle vibrazioni, basata sul metodo proprietario Ricoh di spostamento del CCD, rileva i movimenti eccessivi della Caplio R3 e, per controbilanciare, accomoda il sensore nella direzione opposta. La modalità Macro consente di scattare da un centimetro, con regolazione automatica sulla focale ottimale. Quindi, è disponibile la correzione delle distorsioni prospettiche, attraverso un algoritmo proprietario che rileva automaticamente le forme trapezoidali nelle immagini e

Il mirino esterno GV-1 di alta luminosità arriva all’angolo di campo estremo dell’aggiuntivo ottico ipergrandangolare 21mm (in equivalenza) GW-21, e al proprio interno riporta la delimitazione di campo 28mm (sempre in equivalenza).

36

dei tempi) possono essere sostituiti dalla regolazione manuale dei valori, sempre con tre modalità di misurazione della luce: multiarea (su duecentocinquantasei punti), spot e prevalenza al centro (in tutti i casi, è possibile una compensazione da più a meno due stop, per terzi di diaframma, e il bracketing di tre scatti con variazioni di mezzo stop in più e meno). In condizioni standard, l’autofocus su nove aree accomoda da 30cm; in Macro, si può mettere a fuoco da 1,5cm. In alternativa, messa a fuoco manuale. Il bilanciamento del bianco è automatico oppure dedicato (con riferimenti dalla luce naturale a diverse fonti di luce artificiale), e si possono impostare sensibi-

le corregge in rettangoli: soggetti quali lavagne, documenti o tabelle ripresi da qualsiasi angolazione possono essere corretti in modo che appaiano come inquadrati di fronte. Il sensore CCD da 5,13 Megapixel e il sistema proprietario di elaborazione delle immagini Smooth Imaging Engine consentono acquisizioni ad alta definizione, anche nel rapporto dimensionale 3:2. La Ricoh Caplio R3 è dotata di ampio display LCD da 2,5 pollici, sul quale, durante la riproduzione, è possibile visualizzare contemporaneamente dodici immagini.

lità da 64 a 1600 Iso equivalenti (per la registrazione RAW fino a 800 Iso), con la consueta progressione al sistematico raddoppio. Registrazione di immagini fisse o filmati video su SD Card, con memorizzazione standard oppure ingrandita, fino ai 4x dello zoom digitale incorporato. Interfaccia USB 2.0. (Mamiya Trading, via Cesare Pavese 31, 20090 Opera Zerbo MI). Antonio Bordoni



C’era una volta il


L’evoluzione tecnologica dei mezzi e strumenti della fotografia comporta anche dolorose perdite e relative rinunce. Sebbene le notizie ufficiali certifichino che la pellicola Kodachrome è ancora disponibile (sarà poi vero?), ormai i processi di trasformazione litografica non sono più in grado di trattare in modo adeguato questa particolare diapositiva. Tra testimonianze e omaggi, una sentita rievocazione Kodachrome, di Auro Montanari; prefazione di Franco Fontana; Damiani Editore, 2003; 144 pagine 27x36cm, cartonato con sovraccoperta; 29,90 euro.

egno dei tempi? Inevitabile consecuzione? Sentenza fatale? Come spesso diciamo, a ciascuno la propria considerazione. La base della notizia è presto riferita: con gli strumenti operativi di ultima generazione, finalizzati soprattutto alla gestione di altro tipo di originali fotografici, i fotolitisti, ovvero i professionisti della scansione a uso stampa litografica, non sono più in grado di lavorare in modo adeguato la diapositiva Kodachrome, che per decenni, nei decenni scorsi, ha definito uno dei sinonimi assoluti di alta qualità del colore fotografico. Probabilmente, i giorni sono contati (?!) anche per altri materiali fotografici, sia opachi (stampe) sia trasparenti (diapositive); e questa annotazione sul Kodachrome è soltanto l’anticipazione di una evoluzione ineluttabile e inarrestabile, quantomeno nelle proprie manifestazioni più evidenti. Cosa sia (sia stato, ormai) il Kodachrome è presto detto: la diapositiva per eccellenza per una nutrita schiera di professionisti di primo piano, a partire da quelli di natura e paesaggio. Tanto è vero che, leggenda neanche troppo metropolitana (?), pare che per molto tempo, fino a pochi anni fa, l’autorevole National Geographic Magazine, autentico riferimento d’obbligo, non abbia accettato altra diapositiva dai propri fotografi. A parte la versione per cinematografia a passo ridotto, che per lunghi decenni ha alimentato i laboratori Kodak di trattamento di tutto il

S

Lago Inle, 2001.

mondo, l’autentico Kodachrome 35mm è stato quello da 25 Asa di sensibilità (non ancora Iso). La versione da 64 Asa è stata sempre considerata con riserva, per non parlare dei 200 Iso di più recente configurazione e della confezione a rullo 120, arrivata nella seconda metà degli anni Ottanta. Ora, a fronte del fatto che il Kodachrome sia di difficile selezione litografica (qualcuno dice ormai “impossibile”), e che dunque se ne debba in qualche modo e misura celebrare la fine (ma sarà poi così?), è opportuna una riflessione che ne ripercorra l’inconfondibile stile e segno fotografico.

Las Vegas, 1978.

Kodachrome

39


West Side Highway, New York, agosto 1956 (fotografia di Charles Rotkin).

Jackie Robinson (dei Brooklyn Dodger), 3 marzo 1953 (International News Photos).

Groucho Marx, circa 1945 (fotografia di Weegee).

ELOGI. SOPRATTUTTO ELOGI

Kodachrome: The American Invention of Our World 1939-1959; a cura di Els Rijper; Delano Greenidge Editions, 2002; 232 pagine 23,7x30,5cm; 29,95 dollari.

40

I fotografi di moda hanno amato il Kodachrome per il suo “corpo”. Quelli di natura hanno sempre apprezzato la sua “profondità”. In assoluto, tutti i fotografi sono stati attratti dal suo “smalto”, ovvero dalla sua capacità di riprodurre i colori così come gli occhi li vedono. Ufficialmente, i colori Kodachrome sono stati definiti “reali” e “naturali”, anche se poi le immagini Kodachrome hanno sempre presentato valori cromatici scartati significativamente a lato: come testimoniano le monografie statunitensi alle quali stiamo per riferirci, da consultare in originale (lo consigliamo, perché le nostre riproduzioni litografiche non possono mantenerne il sapore primitivo). Guardando una diapositiva Kodachrome, ci si rende presto conto dei segreti della sua definizione e grana finissima. Tenendo il lato dell’emulsione rivolto alla luce, quello opaco, si osserva un’immaginecolore in sostanziale rilievo. La superficie della diapositiva sembra quasi una lastra di stampa. Le aree opache indicano le aree dove si sono formati i colo-

ranti durante il processo di sviluppo. Invece, dove non ci sono coloranti, la diapositiva Kodachrome è estremamente sottile (da mezzo a due terzi dello spessore di altre pellicole); questa sottigliezza è una delle ragioni della sua particolare ed esclusiva nitidezza. Dove si sono formati, i coloranti Kodachrome sono diversi da quelli amorfi di ogni altra diapositiva. Sono coloranti duri, cristallini, chimicamente forti, che si depositano in modo particolare e autonomo attorno i granuli d’argento, contribuendo a mantenere la grana estremamente fine, pressoché inesistente. Tra l’altro, annotazione niente affatto secondaria, proprio questi coloranti sono alla base di una fantastica stabilità cromatica nel tempo: la diapositiva Kodachrome


Americans in Kodachrome (1945-1965); a cura di Guy Stricherz; Twin Palms Publishers, 2002; 120 pagine 30,5x25,4cm, cartonato con sovraccoperta; 60,00 dollari.

Ted & Ned, Deansboro, New York, 1953 (fotografia di George L. Smith).

le (argomento e considerazione inesistente quando il Kodachrome è stato studiato e realizzato).

GRADITE TESTIMONIANZE

attraversa i decenni senza deperimenti di colore. Tutto questo si deve a un progetto particolare, che comporta un trattamento di sviluppo analogamente particolare (che fino all’inizio degli anni Ottanta, o giù di lì, era realizzato esclusivamente da laboratori Kodak; tanto è vero che fino allora le pellicole Kodachrome, fotografiche o cinematografiche a passo ridotto, venivano vendute con la formula del “trattamento incluso”, ovviamente prepagato). La pellicola vergine non contiene copulanti-colore; è una pellicola a base di alogenuro d’argento fotosensibile, per tanti versi analoga/identica al comune bianconero. Il colore viene depositato, strato per strato, attraverso successive fasi di sviluppo. In origine, nella seconda metà degli anni Trenta, l’intero processo durava tre ore e mezzo; in tempi più recenti si è ridotto a trentasei minuti, pur dipendendo da una lunga catena e mantenendo un elevato tasso di inquinamento potenzia-

Rimandiamo a un apposito riquadro, pubblicato qui sotto, una sintesi tecnica Kodachrome, riassunta per sommi capi. Proseguendo nella celebrazione della fantastica diapositiva, ci incamminiamo invece verso la presentazione di monografie dedicate, che ne hanno volontariamente celebrato le particolarità fotografiche, quindi anche espressive, peraltro richiamate addirittura nel motivo Kodachrome, scritto dal cantautore statunitense Paul Simon nel 1973, che ha avuto un proprio momento magico il 12 settembre 1981, durante il celebre concerto di Simon & Garfunkel, che richiamò al Central Park di New York mezzo milione di spettatori (a pagina 43): «Kodachrome, ci danno quei colori luminosi / Ci danno i verdi delle estati / Ti fanno immaginare che il mondo sia un giorno di sole / Ho una Nikon, amo scattare fotografie / Quindi, mama, non togliermi il mio Kodachrome». Per quanto l’avvincente raccolta Bound for Glory, nel senso di Destinati al successo (?), sia a tutti gli effetti una sorta di passerella Kodachrome, nella propria scaletta di America in Color 1939-43 (dalla Fsa/Owi Collection, The Library of Congress; Harry N. Abrams, New York, 2004), lo spessore culturale e ideologico di questa monografia va assolutamente oltre la nostra attuale finalizzazione redazionale. Per questo i suoi particolari colori, appunto Kodach-

First Television, Port Byron, Illinois, 1950 (fotografia di Leota Hull).

NASCITA DEL KODACHROME

B

asandosi su precedenti studi sul colore, la pellicola Kodachrome fu realizzata da due chimici con la passione comune della musica: Leopold Mannes (1899-1964) e Leopold Godowsky Jr (1900-1983, figlio del celebre virtuoso del piano), violinista uno e pianista l’altro (qui sotto). Ufficialmente, il Kodachrome viene annunciato il 15 aprile 1935 e nasce nel formato cinematografico 16mm; la diapositiva 35mm per fotografia arriva nell’autunno 1936. Dopo un primo risultato di pellicola a due strati, uno sensibile al rosso-arancio e l’altro al blu-verde, che registrava non solo colori specifici ma anche miscele (1933), Leopold Mannes e Leopold Godowsky Jr approdarono al procedimento a tre colori che, come tutti i ve-

ri procedimenti pratici di fotografia a colori, dipende dalla divisione nei propri tre componenti rosso, verde e blu-violetto. La pellicola che sarebbe diventata il Kodachrome, con evoluzioni di sostanza nel corso dei successivi decenni, presenta tre strati di emulsioni bianconero sovrapposti. Lo strato più vicino al supporto della pellicola è sensibile alla luce rossa, quindi c’è uno strato-filtro e un altro strato sensibile alla luce verde; ancora uno strato-filtro e lo strato superiore sensibile alla luce blu-violetto. Dalle note originarie dei due chimici (musicisti): «Quando si registra una immagine con questa pellicola, i tre componenti della luce vengono automaticamente separati all’interno degli strati emulsionati. Le immagini nei tre strati vengono prima sviluppate come le normali pellicole bianconero e poi, attraverso una serie di trattamenti successivi, le immagini vengono trasformate in positivi formati dai coloranti. Tutti i sali d’argento vengono rimossi, e l’immagine conclusiva consiste di tre immagini a colori sovrapposti». Tutto qui. Semplice a dirsi.

41


noi italiani solo canzoni, appunto, per gli americani anche pertinenti periodi storici). In questo senso, l’identificazione kodachrome, che scriviamo per la seconda volta in minuscolo, elevandola a sostantivo (non più prodotto), è stata addirittura discriminate di quella pittura statunitense iperrealista, che ebbe il proprio apice all’inizio degli anni Settanta. Per diritto di anagrafe ricordiamo ancora bene la straordinaria esposizione Iperrealisti americani Realisti europei, allestita alla Rotonda di via Besana, a Milano, nell’autunno 1974. In quell’occasione, pittori del calibro e della statura di Alex Colville (classe 1920), Robert Cottingham (1935), Don Eddy (1944), Richard Estes (1936) e Ralph Goings (1928) fecero esplicito richiamo all’origine fotografica delle proprie opere e all’intensità cromatica del kodachrome (ancora in minuscolo); per esempio, Robert Cottingham ebbe a dichiarare che «prendo una parte della composizione con la macchina fotografica e poi rientro in casa e faccio degli schizzi da queste foto. Decido quel che è superfluo e quel che c’è da aggiungere».

SAPORI DEL TEMPO (DI UN TEMPO) Cartello da negozio del 1944, dove sono visualizzati esempi in dimensioni reali delle stampe Kodak Minicolor ricavate da diapositiva Kodachrome.

(pagina accanto) Diapositiva Kodachrome del 1939, i cui colori sono rimasti inalterati anche dopo sessantasei anni. In origine era parte di una serie di confronti con le pellicole Dufaycolor (archivi dei Laboratori di Ricerca Eastman Kodak).

42

rome, non possono diventare soggetto, ma rimangono qualificante complemento oggetto. Invece, tre monografie a tema, una delle quali italiana, sono autenticamente Kodachrome, ovvero Kodachrome, come certificano i relativi titoli. Rispettivamente: Kodachrome: The American Invention of Our World 1939-1959 (a cura di Els Rijper; Delano Greenidge Editions, New York, 2002), Americans in Kodachrome (1945-1965; a cura di Guy Stricherz; Twin Palms Publishers, Santa Fe, 2002) e Kodachrome (monografia di Auro Montanari; Damiani Editore, Bologna, 2003). Le differenze tra le tre raccolte sono evidenti, e addirittura certificate nei rispettivi titoli. Le due selezioni americane sono retrospettive e per tanti versi storiografiche: elevano il Kodachrome a sapore e simbolo di un’epoca (addirittura un’epopea fotografica); invece, il volume italiano è monografia d’autore, che si richiama al Kodachrome come connotato e riferimento privilegiato, oltre che forte, del colore fotografico. A conseguenza, anche se accomunate da una evocazione comune e condivisa, le tre edizioni si discostano nei contenuti; quantomeno le due statunitensi, nella propria sostanza coincidenti, percorrono una strada autonoma. Il loro punto di vista storico, che diventa filo conduttore di una narrazione consequenziale, si proietta sul colore kodachrome forte di una socialità nazionale, interna, che ha modo di capirne immediatamente la relazione, come una sorta di autentica informazione. In questo senso, traslando a lato, possiamo esprimere un parallelo con quella cinematografia, sempre statunitense, che utilizza una volontaria e ricercata sequenza di motivi musicali per stabilire il passaggio degli anni, lo svolgimento del tempo, il susseguirsi delle epoche (si pensi, a questo proposito, alla successione delle canzoni con le quali sono scanditi gli anni di Forrest Gump: per

Rispettivamente illustrate con immagini di fotogiornalismo (interno e internazionale) e apparenti fotoricordo, le due monografie statunitensi Kodachrome: The American Invention of Our Word 1939-1959 e Americans in Kodachrome (1945-1965) raccontano l’epopea di una nazione che, in assenza di storia remota, eleva a Storia una cronaca sostanzialmente recente (alle precedenti pagine 40 e 41). In questo, più e meglio che altrove, la fotografia svolge un ruolo discriminante. Non possiamo rimproverarli per questo, né per la cronaca alzata di spessore, né, tantomeno, per la finalizzazione dell’immagine fotografica, soprattutto alla luce dell’efficacia delle retrospettive che vengono periodicamente realizzate e prodotte sulla scorta di diverse sollecitazioni: queste due oggi considerate, tra le tante possibili. Per quanto valutiamo reali e naturali i colori kodachrome (e insistiamo con il minuscolo), non possiamo sorvolare sull’evidente saturazione di tono e alta cromaticità delle rispettive restituzioni: sia in proiezione (per quanto possiamo ricordare), sia sulle pagine delle due monografie additate. Si tratta esplicitamente di un sapore d’epoca, che negli Stati Uniti viene definita “The Kodachrome Era”, che anche a noi (non americani, non cresciuti con i loro riferimenti culturali e sociali) trasmette il senso di un momento passato e di riti che datiamo indietro nei decenni. Probabilmente, le attuali riproduzioni litografiche hanno forzato un poco la mano e accentuato al limite del possibile questi gusti. Probabilmente no. Fatto sta che l’insieme di queste pagine crea un’atmosfera visiva di assoluto proprio fascino autonomo. Possedendo, come possediamo, tali riferimenti, e anche senza conoscere i rispettivi titoli, potremmo facilmente affermare che si tratta di immagini kodachrome, senza temere di essere in alcun modo smentiti. (A questo proposito, come abbiamo già annotato, non garantiamo che la relativa riproduzione sulle pagine della rivista, stampate con


CHE MUSICA!

A

lla pellicola Kodachrome, che negli Stati Uniti è un autentico cult (che ha addirittura influenzato l’interpretazione dei colori della pittura iperrealista degli anni a cavallo tra i Sessanta e Settanta), il cantautore americano Paul Simon ha dedicato una canzone, appunto intitolata Kodachrome. Lanciato nel 1973, il motivo ha vissuto un proprio momento magico nel 1981, durante il

When I think back on all the crap I’ve learned in highschool It’s a wonder I can think at all Though my lack of education hasn’t hurt me much I can read the writings on the walls

celebre concerto al Central Park di New York, quando Simon & Garfunkel cantarono davanti a mezzo milione di spettatori (12 settembre). In quell’occasione, Kodachrome fu inserita in scaletta, accanto alle armonie che hanno segnato i secondi anni Sessanta: The Sound of Silence, Bridge Over Troubled Water, Mrs Robinson, The Boxer, Old Friends e altre ancora.

Kodachrome (di Paul Simon, 1973) Quando ripenso a tutte le inutilità imparate a scuola È meraviglioso che io possa pensare a tutto questo Comunque capisco che la poca cultura non mi ha alterato Posso e so leggere le scritte sui muri

(coro) Kodachrome, they give us those nice bright colours They give us the greens of summers Makes you think all the world’s a sunny day, oh yeah I got a Nikon camera, I love to take a photograph So mama don’t take my Kodachrome away

(coro) Kodachrome, ci danno quei colori luminosi Ci danno i verdi delle estati Ti fanno immaginare che il mondo sia un giorno di sole Ho una Nikon, amo scattare fotografie Quindi, mama, non togliermi il mio Kodachrome

If you took all the girls I knew when I was single Brought ’em all together for one night I know they’d never match my sweet imagination Everything looks worse in black and white

Se tu prendessi tutte le ragazze ho incontrato quando ero single Se tu le mettessi insieme per una notte Io so che non risveglierebbero mai la mia dolce immaginazione Tutto appare meno chiaramente in bianconero

(coro) Mama don’t take my Kodachrome away, mama don’t take my Kodachrome away Mama don’t take my Kodachrome away Mama don’t take my Kodachrome, mama don’t take my Kodachrome Mama don’t take my Kodachrome away Mama don’t take my Kodachrome and leave your boy so far from home Mama don’t take my Kodachrome away Mama don’t take my Kodachrome, whew whew, mama don’t take my Kodachrome away.

(coro) Mama non togliermi il mio Kodachrome, mama non togliermi il mio Kodachrome Mama non togliermi il mio Kodachrome Mama non togliermi il mio Kodachrome, mama non togliermi il mio Kodachrome Mama non togliermi il mio Kodachrome Mama non togliermi il mio Kodachrome e fai andare il tuo ragazzo lontano da casa Mama non togliermi il mio Kodachrome Mama non togliermi il mio Kodachrome, mama non togliermi il mio Kodachrome.

inchiostri ormai standardizzati su altri parametri, possa conservare integro il sapore originario). Diversamente, e con apprezzata autonomia, il bolognese Auro Montanari ha reso omaggio alla pellicola Kodachrome intitolandole (dedicandole?) una propria efficace monografia d’autore, che in edizione libraria si avvale di una prefazione di Franco Fontana, straordinario cantore del colore fotografico («Come diceva Rustin: le menti più pure e pensose sono quelle che amano il colore», inizia il suo testo). Annota e certifica Auro Montanari: «Questo libro è un omaggio a una pellicola che ormai sta scomparendo dal mercato, rivoluzionato dall’introduzione di nuovi prodotti digitali. Kodachrome, sviluppato e prodotto dalla Kodak nel 1935, è il nome di un film sensibile capace di fornire, per trasparenza, riproduzioni con colori brillanti e stabili nel tempo. Tutte le immagini riprodotte in questo libro sono tratte da diapositive Kodachrome; non ho fatto ricorso a filtri, né a montaggi, né a effetti speciali» (in apertura, sulla doppia pagina 38 e 39). Per quanto Paul Simon (con Art Garfunkel) abbia potuto esortare la propria madre a non togliergli il suo Kodachrome (qui sopra), l’evoluzione del mercato ha stabilito altrimenti. Maurizio Rebuzzini

43


Fabio Santagiuliana

pubblicitaria all’Istituto d’Arte di Padova, volontariamente interrotto

Vicentino, classe 1953,

per entrare, a sedici anni, in uno studio

Fabio Santagiuliana segnala

professionale di Vicenza indirizzato

un percorso scolastico

alla fotografia industriale.

originario nella sezione Grafica

Nel 1973 si è messo in proprio, concedendosi, successivamente, un anno di pausa per affiancare

Specializzato nella fotografia di moda e dei

sone. Per i clienti (soprattutto agenzie di

tuale gestione digitale dell’immagine. Al

prodotti accessori, dall’occhiale ai cosme-

pubblicità, ma anche aziende dirette) si oc-

computer e ai relativi programmi applica-

tici, Fabio Santagiuliana lavora nella foto-

cupa dell’intero ciclo produttivo dell’imma-

tivi sono demandate le lavorazioni e post-

grafia di figura; non realizza still life, ma fo-

gine. Il suo approccio visivo e di contenu-

produzioni di rifinitura delle immagini: mo-

tografa esclusivamente persone e con per-

to si estende dal concept della comunicazione alla sua stessa realizzazione. La sua originaria abilità con il bianconero, interpretato in accattivanti toni e coinvolgenti inquadrature, si è proiettata nell’at-

A / D i m a g i n g s r l • v i a l e S a b o t i n o 4 , 2 0 1 3 5 M i l a n o • 0 2 - 5 8 4 3 0 9 0 7,


Oliviero Toscani in qualità di assistente.

dell’immagine e la regia

Proprio questa esperienza è risultata

della composizione.

determinante nella sua formazione

Ovviamente, a conseguenza,

professionale, cambiando radicalmente

Fabio Santagiuliana si è indirizzato

il suo approccio con la costruzione

nel settore della moda e, più in generale, della fotografia di figura.

derna e attuale interpretazione operativa

realizzare per ottenere il risultato prefis-

Da quindici anni, l’illuminazione in sala di

ereditata dalla camera oscura degli scorsi

sato. È soprattutto interessato all’aspet-

posa è composta da unità flash Profoto.

decenni. Da anni, Fabio Santagiuliana ese-

to creativo del processo fotografico, che

Recentemente, la dotazione di ripresa si

gue e controlla l’intera postproduzione: in

ricerca e persegue in ogni incarico, an-

è arricchita di un dorso digitale Leaf Ap-

proprio e avvalendosi di collaborazioni spe-

dando sempre a privilegiare la qualità

tus 22, utilizzato su reflex medio formato

cializzate per gli interventi più complessi.

della propria fotografia.

Contax 645, con le quali da tempo foto-

Pensa alla realizzazione di ogni lavoro,

grafa con piena soddisfazione.

sapendo in anticipo quello che andrà a

Di base a Vicenza, Fabio Santagiuliana lavora con clienti nazionali e internazionali. www.fabiosantagiuliana.com.

f a x 0 2 - 5 8 4 3114 9 • w w w. a d i m a g i n g . i t • i n f o @ a d i m a g i n g . i t


MOMENTI DI

46


NEOREALISMO A lle origini del neorealismo in Lombardia, consistente retrospettiva di Piero Vistali, precursore del neorealismo italiano, attento e singolare fotografo del reale attivo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, è occasione per dare corpo all’emozione suscitata dalle infinite gradazioni di colore-non colore, nonché occasione per considerare l’opera di un significativo autore. Interpretando il quotidiano con una penetrante veemenza visiva, appunto propria di una osservazione neorealista del mondo, lo sguardo di Piero Vistali è stato parte di un modello espressivo storicizzato, che si è ripetuto, moltiplicato e riproposto anche attraverso aggregazioni autonome e spontanee, delle quali lo stesso autore bresciano è stato parte viva. Dal volume-catalogo che accompagna la mostra antologica, riprendiamo il testo introduttivo di Vincenzo Cottinelli, Le origini di un impegno e le ragioni di una scelta, che ripercorre le tappe della fotografia di Piero Vistali, inserendola nel proprio contesto storico. A.Alp.

ei primi anni Sessanta, la comune passione per la forza narrativa e la capacità di espressione poetica del bianconero cementava un piccolo sodalizio di fotografi: il gruppo Tre Archi. Si organizzavano mostre collettive e rassegne nazionali (tra le quali due volte il Premio Brescia). Ne erano membri autori come Piero Vistali, Giuseppe Palazzi, Eros Fiammetti, Arturo Crescini e Vincenzo Cottinelli [che qui testimonia in prima persona], per citare i più assidui, che perseguivano una fotografia colta, impegnata, in sintonia con i tempi e perciò sorretta dalla volontà di opporsi alla «ideologia dei circoli sempre più evidentemente condizionati -per dirla con Italo Zannier- dalla competitività fotoamatoriale dopolavoristica e lontani ormai dall’impegno culturale». I propositi di allora continuano e si rinnovano ancora oggi con Il biancoenero - Associazione per la fotografia, nato sulla scia del Tre Archi e dei suoi fondatori. Lo dimostra una intensa attività espositiva: le collettive di maggio e dicembre 1997 e del febbraio 2002; quella del maggio 2003 (Brescia, un mondo); la successiva del febbraio 2004 (Storie, Memorie, Visioni ).Nel novembre 2002, la grande mostra del bianconero di Giuseppe Palazzi (1895-1994), con immagini di rara bellezza e intensità e un grandissimo successo di pubblico. Nel 2003, con il Circolo Fotografico Sannita e l’Agenzia Grazia Neri, la collettiva dei

N

Il bianconero fotografico come visione estrema, come culto, ma anche, e a ragione, come ricercato strumento capace di forza espressiva ineguagliabile, dove il racconto di momenti e istanti è destinato a passare per via diretta all’anima: mostra e volume-catalogo del bresciano Piero Vistali (1922-2001) 47


reporter vincitori e segnalati al Memorial Mario Giacomelli (Marco Anelli, Vincent Berg, Vincenzo Cottinelli, Vincent Delbrouck, Wolfgang Müller, Alessandro Rizzi, Klavdij Sluban, Homer Sykes, Gaël Turine). Si è poi organizzata la personale di Domenico Parigi con i suoi Ritratti e autoritratti. Oltre a pubblicare il libro Giuseppe Palazzi tra poesia e neorealismo, l’Associazione ha dato consulenza al volume di fotografie storiche Montisola, l’isola che

48


Piero Vistali: Alle origini del neorealismo in Lombardia. Sala dei Santi Filippo e Giacomo, via delle Battaglie 61, 25122 Brescia; 030-43018. Dal 10 al 30 dicembre; martedì-domenica 15,30-19,30. A cura di Il biancoenero - Associazione per la fotografia, via delle Battaglie 16, 25122 Brescia; 030-3773269; www.vincenzocottinelli.it, v.cottinelli@alice.it. Il catalogo è arricchito da saggi critici di Nino Dolfo e Fausto Lorenzi; Grafo Edizioni, 2005 (via Maiera 27, 25123 Brescia; 030-393221; www.grafo.it); 87 fotografie in bianconero stampate in bicromia; 108 pagine 22x22cm; 18,00 euro.

VINCENZO COTTINELLI

c’è di Fiorello Turla. Personalmente, i soci del gruppo hanno pubblicato otto libri fotografici in bianconero e realizzato decine di mostre personali in Italia e all’estero. Giuseppe Palazzi, nel disegno culturale dell’Associazione, ha rappresentato il primo progetto di indagine sulle radici della fotografia bresciana, basato sulla ferma concezione della fotografia come testimonianza di realtà. Non a caso la mostra di Giuseppe Palazzi, più noto come fotografo di raffinato estetismo anche a colori, ha messo in evidenza i suoi lavori in bianconero su temi sociali e sul paesaggio disegnato dal lavoro dell’uomo. Il secondo progetto, che si concretizza questo dicembre, dedicato al caro, indimenticabile Piero Vistali (1922-2001), è coerente con la linea fin qui seguita dall’Associazione, che vede in lui il portavoce di una sorta di “realismo etico”. L’opera di Piero Vistali è poco nota a Brescia: è certamente ricordata dai più anziani fotoamatori, ma non dal vasto pubblico di appassionati di fotografia. Paradossale, perché Piero Vistali spicca negli annali della Fiaf per i suoi prestigiosi trascorsi di fotografo premiato in tutto il mondo e le sue stampe vintage sono ambìta preda di autorevoli gallerie di New York; e proprio quest’anno una sua stampa originale è stata esposta nella grande mostra AnniCinquanta a Palazzo Reale di Milano, tra quelle dei massimi maestri italiani e stranieri. Perciò, a quattro anni dalla sua scomparsa, merita di essere riproposto al pubblico italiano con adeguato risalto espositivo e di catalogo. Piero Vistali è stato Maestro e compagno di strada, negli anni Sessanta e Settanta, degli accaniti “bianconeristi” del gruppo Tre Archi, che abbiamo sopra ricordato come nucleo fondatore dell’attuale Associazione, alle cui prime riunioni l’autore bresciano ha fatto in tempo a partecipare. “Per il pane”, Piero Vistali ha lavorato tantissimo anche col colore a iniziative editoriali pregevoli sul tema del territorio bresciano, ma negli anni Cinquanta e Sessanta è stato soprattutto un neorealista dal bianconero forte e asciutto, con in più una salda visione etica nella scelta dei temi, espressivi di dolore, tenerezza, solidarietà, dignità, attaccamento al lavoro e all’ambiente, senso della famiglia (lui che, insieme alla sua Lisetta, era stato atrocemente colpito dalla perdita del figlio Franco). Piero Vistali, insomma, è stato un Maestro di una fotografia civile, universale, da Family of Man, pur nella chiara impronta lombarda dei costumi e dei paesaggi, che gli derivava dalla sua grande, istintiva attenzione al concreto, al territorio, alle forme locali del lavoro. Piero Vistali era generoso e disordinatamente prodigo: gli interessava l’atto creativo dell’istantanea azzeccata, che viveva poi -se del caso- una breve stagione di vita espositiva e di riconoscimenti internazionali. Ma il suo archivio è fluttuante e

precario: come un grande artista inquieto ha dissipato, più che conservato, negativi e stampe. Perciò di questo suo bianconero resta pochissimo nelle scatole rimaste al figlio Diego. Da notare che, a parte i bei libri commissionati, realizzati a colori, per rappresentare la propria identità, Piero Vistali ha lasciato solo un libro fuori commercio, edito privatamente e in clandestinità poco prima di morire, quasi un testamento agli amici: e qui ha raccolto solo le sue fotografie in bianconero di tema etico e paesaggistico. Perciò il nostro lavoro è stato concentrato, nel suo archivio, da un lato a recuperare le stampe vintage rimaste, per offrire il sapore originario della lavorazione artigianale del “laboratorio Vistali”, dall’altro a ritrovare i negativi per farne ristampe di qualità. In questo inizio secolo, così turbolento per i destini dell’umanità e così scosso anche nel piccolo recinto della fotografia dalla svolta digitale, l’opera di Piero Vistali ci tocca profondamente per la saldezza dei valori raccontati, la chiarezza del linguaggio e la genuinità dei mezzi utilizzati. Vincenzo Cottinelli

49



FOTOGRAFIA AMBIENTALE A

mpiamente presentata e commentata in FOTOgraphia dello scorso luglio, in adeguato anticipo temporale sullo svolgimento, la diversificata rassegna ObiettivoUomoAmbiente, a Viterbo dal 23 settembre al 9 ottobre, ha decisamente mantenuto le proprie promesse/premesse, realizzando una originale combinazione tra scienza e fotografia. Ufficialmente definita Prima Biennale Internazionale di Fotografia e Dibattiti tra Scienza e Cultura è venuta meno soltanto a questa quantificazione: paradosso e volontaria provocazione. Da visitatori, con frenetico e appagante itinerario tra le diverse sedi espositive allestite in città, tutte in luoghi di grande efficienza, efficacia e fascino (chi più, chi meno, in relazione ai palazzi e sale ospitanti), ci siamo disinteressati della quantificazione, per l’appunto “Prima Biennale”. Simultaneamente, in base a un richiesto coinvolgimento personale in alcuni incontri fotografici, non accantoniamo un certo nostro pessimismo esistenziale, che ci fa diffidare delle misurazioni temporali assolute. Volendo assolutamente aver modo di godere di una Seconda, Terza, Quarta, Quinta... edizione, e non poniamo limiti in avanti, siamo scaramantici. Lo scorso autunno, a Viterbo, il diversificato e qualificato programma di ObiettivoUomoAmbiente si è svolto fin troppo bene, e dunque in senso propiziatorio pensiamo a una prova generale ben riuscita, cui far seguire ulteriori rappresentazioni: appuntamento a Viterbo in settimane d’autunno degli anni dispari (a meno che non vengano modificate le date, peraltro meteorologicamente favorevoli).

Lo svolgimento di ObiettivoUomoAmbiente, a Viterbo lo scorso settembre-ottobre, sollecita, e quasi esige, note a commento. Da una parte si conteggia un significativo successo di pubblico; dall’altra si annota come anche nel nostro paese siano possibili, e non soltanto probabili, concentrati programmi di fotografia applicata: la linea discriminatoria passa per l’intelligenza delle intenzioni. Tra l’altro, in una selezione combinata di fotografia a servizio della scienza, oltre che della conoscenza, si è tenuta a battesimo una definizione che deve entrare nel dizionario della comunicazione visiva. La “fotografia ambientale” (environmental photography) rappresenta una magica pozione di dolce e agro, come è sempre la vita dell’uomo 51


Da Viaggio negli Islam nel mondo di Abbas (Magnum Photos / Contrasto).

Emanuele Coppola durante le riprese subacquee per il documentario sulla foca monaca: Parco Marino Sporadi Settentrionali, Grecia, Mar Egeo.

Scimmia urlatrice (Alouatta palliata), Barro Colorado Island, Panama (fotografia di Christian Ziegler).

52

FRANCESCO DI DOMENICO / PANDA PHOTO

(pagina precedente) Shanghai: il rapido sviluppo della città lascia talvolta effimere tracce di un mondo che scompare, per lasciare spazio ai nuovi grattacieli (fotografia di Antonio Digaetano).

OLTRE LA SUPERFICIE

Come sottolinea il curatore Lello Piazza, nel riquadro pubblicato sulla pagina accanto, nel proprio insieme le mostre fotografiche che hanno composto il programma espositivo di ObiettivoUomoAmbiente sono iscrivibili in una definizione che ne rivela l’anima esplicita. Possiamo affermare che a Viterbo, a cavallo tra la fine di settembre e l’inizio dello scorso ottobre, sia ufficialmente nato un genere di fotografia cui è stato fatto manifesto riferimento: “fotografia ambientale” (environmental photography), che deve assolutamente entrare nel variegato dizionario della Fotografia (Maiuscola). «La fotografia ambientale se lo merita, perché rappresenta una magica pozione di sweet and sour, dolce e agro, come è sempre la vita dell’uomo. Per questa qualità, le mostre di Viterbo sono riuscite a incantare il visitatore, offrendogli, da una

parte, il dolce della bellezza della natura e delle grandi realizzazioni dell’uomo (biodiversità, animali, paesaggi immaginari, foreste pluviali, fondali dell’Antartide, tombe di Luxor, isola di Pasqua, beni dell’Unesco), ma ricordandogli, dall’altra, l’agro dei terribili disastri umani (vanishing, l’inferno ex-sovietico, il riscaldamento globale, i bambini del mondo)». E qui sta una questione niente affatto secondaria, né minore. Non temiamo di essere smentiti, quando annotiamo che la componente specificamente fotografica di ObiettivoUomoAmbiente abbia realizzato, per la prima volta in Italia, un programma espositivo a tema perfettamente coordinato e sintonizzato. Per quanto ci siano anche state mostre d’autore, nell’accezione che solitamente si dà a questa identificazione, nessun allestimento è stato visto e considerato per se stesso, ma ogni istante fotografico è stato assorbito e conteggiato come parte di un insieme. Magari qualcuno può dissentire sull’argomento, dal quale può pure prendere le distanze. Però, al contempo e certamente, nessuno può ignorare la perfetta e pertinente sincronizzazione, fino a ventinove mostre, ciascuna parte di un tutto (la parte, si dice, per il tutto). Quindi, è esatto, vero, autentico e sacrosanto, riferendo ancora annotazioni di Lello Piazza, che ha il merito e onore di aver preordinato e realizzato il programma, «il valore giornalistico della fotografia». Per quanto alcuni operatori, noi tra questi, possa anche essersi attardato su alcuni esercizi di stile di profondo spessore linguistico, il grande pubblico delle mostre fotografiche di ObiettivoUomoAmbiente, quei quindicimila visitatori che compongono una consistente massa, non si è fermato alla superficie delle immagini, ma ha considerato l’essenza delle relative rappresentazioni. Ciò a dire, il pubblico non si è fermato né limitato alla estetizzazione della fotografia, ma è approdato ai relativi contenuti, alla rispettiva autentica comunicazione (come sempre dovrebbe essere).


DALL’INTERNO (MA NON TROPPO)

D

iamo letteralmente i numeri che quantificano il successo di ObiettivoUomoAmbiente (non soltanto il suo svolgimento), variegata rassegna che si è presentata come Prima Biennale Internazionale di Fotografia e Dibattiti tra Scienza e Cultura: quindicimila visitatori delle mostre fotografiche, cinquemila partecipanti alle conferenze, mille spettatori alle Rai Teche, tremila visitatori della Casa Ecologica. Le cifre che descrivono la partecipazione del pubblico alle ventinove mostre fotografiche allestite per ObiettivoUomoAmbiente, a Viterbo dal 23 settembre al 9 ottobre scorsi, suggeriscono una serie di aggettivi che riguardano il raro verificarsi di eventi: imprevedibile, inattesa, insperata, miracolosa. Questa partecipazione merita invece di essere definita straordinaria. E non casuale. Avevamo infatti preparato accuratamente gli elementi chiave del suo successo: la qualità giornalistica ed estetica delle fotografie esposte e lo scenario di elevato valore scientifico garantito dall’università della Tuscia, in cui tutto è nato e stato progettato. Due elementi, fotografia e scienza, che si sono incontrati felicemente a Viterbo e per la prima volta in Italia. Ne parlo brevemente, soprattutto del primo. Vorrei innanzitutto cogliere l’occasione di questo successo per battezzare ufficialmente il genere di fotografia cui abbiamo fatto riferimento, la “fotogra-

fia ambientale” (environmental photography). Mi piacerebbe che, a conclusione dalla Prima edizione di ObiettivoUomoAmbiente, questa definizione entrasse saldamente nel ricco dizionario dell’arte di scrivere con la luce. La fotografia ambientale se lo merita, perché rappresenta una magica pozione di sweet and sour, dolce e agro, come è sempre la vita dell’uomo. Per questa qualità, credo, le mostre di Viterbo sono riuscite a incantare il visitatore, offrendogli, da una parte, il dolce della bellezza della natura e delle grandi realizzazioni dell’uomo (biodiversità, animali, paesaggi immaginari, foreste pluviali, fondali dell’Antartide, tombe di Luxor, isola di Pasqua, beni dell’Unesco), ma ricordandogli, dall’altra, l’agro dei terribili disastri umani (vanishing, l’inferno ex-sovietico, il riscaldamento globale, i bambini del mondo). Queste mostre sono state di altissimo livello, con cinque fotografi, Alessandro Digaetano, Antonin Kratochvil, Frans Lanting, Norbert Wu, Francesco Zizola, premiati in alcune edizioni del World Press Photo, uno dei più ambìti e prestigiosi riconoscimenti del fotogiornalismo internazionale, e altri “grandi”, tra cui molti italiani che non trovano solitamente spazio nelle manifestazioni internazionali. Vorrei citare, in particolare, la mostra secondo me più poetica, dedicata alle lingue che si estinguono,

PER ADDETTI (?) Dopo di che, a parte l’insieme degli appuntamenti prettamente scientifici, ObiettivoUomoAmbiente ha programmato anche incontri fotografici a tema che, per quanto ufficialmente indirizzati ancora al più ampio pubblico, hanno richiamato prima di altri una identificata schiera di addetti. Pochi monologhi, forse nessuno: gli oratori che hanno animato le definite Conversazioni impossibili del trenta settembre, Primo e due ottobre hanno duettato con un pubblico partecipe, confermiamo soprattutto composto di addetti, che ha contribuito a quello scambio di opinioni ed esperienze che oggi è più necessario che mai. Soprattutto riferendoci a temi quali il flusso di lavoro digitale, piuttosto che il copyright fotografico o la sintonia tra fotografia e ambiente, non si tratta tanto di ascoltare una sola relazione, ma di contraccambiare punti di vista, in maniera tale che ciascuno si arricchisca di contributi altrui ed esterni, senza alcuna gerarchia nel dare per ricevere, ricevere avendo anche dato. Certamente, il livello delle Conversazioni impossibili, per le quali avrebbe forse calzato meglio un aggettivo meno assoluto, magari sarebbe bastato “improbabili”, è stato alto. E nella propria statura, debilitante; almeno per me. Infatti, sono state conversazioni stimolanti e vive, come raramente se ne realizzano nel nostro piccolo mondo fotografico italiano, sempre più chiuso in se stesso e poco dis-

che è particolarmente piaciuta al pubblico. L’abbiamo progettata in modo che ogni immagine fosse cullata da brevi melodie appositamente scritte, intrecciando note e brani di parlato, da un musicista israeliano basato a Londra, Dov Waterman. Non è mio il compito di illustrare il secondo elemento del grande successo di ObiettivoUomoAmbiente, cioè la presenza protettrice e garante dell’Università, i convegni scientifici, le personalità presenti, che sono stati fondamentali. Ne lascio ad altri la narrazione. Ma prima di concludere voglio ribadire l’importanza del felice incontro tra scienza e fotografia e augurargli lunga vita. Lello Piazza (curatore di ObiettivoUomoAmbiente) PS. Ci terrei ad aggiungere una breve considerazione che ho volutamente tralasciato nel mio intervento, perché ne avevo già parlato più volte a Viterbo, in tutte le occasioni che ObiettivoUomoAmbiente mi ha offerto: il valore giornalistico della fotografia. Tra le tante forme che questo camaleonte della comunicazione può assumere, quella giornalistica è sicuramente quella che prediligo, forse solo perché, a mio modo di vedere, le valutazioni dei lavori fotogiornalistici sono meno soggetti ai capricci e agli egocentrismi dei critici. L.P.

ponibile al vero e reale incontro con l’esterno (a partire dai pomposi programmi paraprofessionali o professionali, che finiscono per esaurirsi nell’ignoranza degli organizzatori). Qui sta l’autentica differenza. Senza sovrapporsi a nulla e nessuno, ma mettendosi autenticamente “a disposizione”, l’organizzatore Lello Piaz-

Rito della Lila, la più importante e spettacolare cerimonia dei Gnawa del Marocco (fotografia di Stefano Torrione).

53


SETTECENTOSETTANTASETTE FOTOGRAFIE

V

entinove mostre hanno composto il corpo fotografico di ObiettivoUomoAmbiente, a Viterbo dal 23 settembre al 9 ottobre scorsi, che si è quindi completato con una serie di incontri-proiezioni serali con alcuni degli autori e con una concentrata serie di Conversazioni impossibili a tema. Nel proprio insieme, le mostre e i corollari hanno in qualche modo tenuto a battesimo un identificato genere di fotografia, cui gli organizzatori hanno fatto riferimento: la “fotografia ambientale” (environmental photography). A conclusione dalla Prima edizione di ObiettivoUomoAmbiente, questa definizione deve entrare saldamente nel ricco dizionario dell’arte di scrivere con la luce. Cinque le tematiche affrontate da ventisette esposizioni d’autore o collettive: Ambiente, Uomo, Risorse, Natura e Patrimonio Culturale. Quindi si è arrivati a ventinove mostre con due ulteriori esposizioni collegate; in totale sono state esposte settecentosettantasette fotografie. ❯ AMBIENTE (centosettanta fotografie) • Terra in fiamme: il riscaldamento globale del pianeta, di Gary Braasch (trenta fotografie). Lavoro importante e unico da cui emerge la conferma che il rapido e distruttivo cambiamento del clima è già in atto, e non è semplicemente una teoria da verificare. • La memoria perduta dell’isola di Pasqua, di Stéphane Compoint / Grazia Neri (venti fotografie). Gli archeologi, e in particolare l’italiano Giuseppe Orefici, la cui ultima campagna di scavi risale al 2001, hanno svelato i segreti dei moai, i colossi di pietra della civiltà Rapa Nui, che vegliano sull’isola di Pasqua da secoli. Con immagini suggestive viene ricreata la magica atmosfera di questa isola mitica, che mille diverse leggende volevano colpita da una misteriosa maledizione. Oggi sappiamo che l’isola di Pasqua non è stata distrutta da maledizioni ma da una catastrofe ecologica [qui sotto]. • Paesaggi immaginari, di Franco Fontana (trenta fotografie). Risultato di una creazione realizzata al computer, componendo pezzi di immagini classiche di paesaggio: non riproducono dunque luoghi reali, ma mondi che esistono solo nella mente dell’artista che li ha creati. • Se la Terra diventa l’inferno, di Gerd Ludwig / Grazia Neri (trenta fotografie). Immagini brutali, che tali devono essere perché narrano due storie: quella di una violenza consumata distruggendo l’ambiente di vastissime zone dell’ex Unione Sovietica e quella della terribile vendetta che l’ambiente ha poi rivolto contro l’uomo [FOTOgraphia, luglio 2005]. • Acqua dalle viscere del deserto, di Daniele Pellegrini (trenta fotografie). Le Oasi dell’Algeria da un progetto delle Nazioni Unite e dell’Università della Tuscia. Le oasi del Sahara algerino sono come isole che emergono dal letto di grandi fiumi sotterranei coperti da un vasto mare di sabbia. • Dove il mondo scompare, di Antonin Kratochvil / VII / Grazia Neri (trenta fotografie). Lungo viaggio, iniziato sedici anni fa, e proseguito nell’inferno del mondo. Le fotografie ritraggono luoghi generalmente per noi invisibili, perché raramente i mass media si occupano di loro. Laggiù tutto è appeso a un filo. Sono appese a un filo la vita degli uomini che ci vivono, la vita dell’ambiente dove vivono, la vita del fotografo che documenta. Laggiù niente tornerà come prima:

le guerre, tra nazioni o tra etnie, l’inquinamento, la ferocia o l’ingordigia dell’uomo sono passati come un rullo compressore. ❯ UOMO (duecentoventiquattro fotografie) • Viaggio negli Islam del mondo, di Abbas / Magnum Photos / Contrasto (novantanove fotografie). Lungo, completo e irripetibile reportage che per sette anni ha portato il celebre autore attraverso il mondo islamico. Spinto dal desiderio di comprendere e mostrare le tensioni interne, presenti in ogni società musulmana, ha evidenziato i conflitti esistenti tra le istanze politiche, che cercano ispirazione in un cammino mistico, e la voglia di modernizzazione evidente all’interno delle diverse realtà del mondo islamico. Alla mostra è associato il libro Viaggi negli Islam del mondo (Contrasto, 2002) [a pagina 51]. • Quashqai: i pastori erranti delle steppe della vecchia Persia, di Pablo Balbontin (venti fotografie). Viaggio di un fotografo che predilige l’approfondimento antropologico e culturale, che inizia a sud di Shiraz, capitale della provincia Fars, culla dei gradi poeti persiani, e termina a nord dell’Iran, tra le montagne. Transumanza di due famiglie Quashqai, Arabcharpanlou e Alamdarlou, che tutti gli anni, a marzo e aprile, spostano le proprie greggi percorrendo quasi ottocento chilometri. • Ai confini del mondo, di James Whitlow Delano / Grazia Neri (trenta fotografie). Immagini suggestive, scattate in bianconero e poi stampate con una speciale tecnica che permette di riprodurre i soggetti come se fossero avvolti in una atmosfera di sogno. Tecnica particolarmente indicata per un viaggio ai confini del mondo. • L’uomo e il senso di Dio, di Andrea Pistolesi (venti fotografie). Dalla venerazione della montagna sacra o del paesaggio infinito fino ai complessi rituali delle grandi religioni, l’uomo ha percorso un lungo cammino nel proprio rapporto con il più grande dei misteri che accompagnano l’umanità: Dio. • Gnawa: la danza e il furore dell’estasi, di Stefano Torrione (venticinque fotografie). Sequenza intera di un rito della Lila ripreso a Marrakesh nel 2004. La Lila è la cerimonia più importante e spettacolare dei Gnawa del Marocco, musicisti e danzatori che praticano una complessa liturgia che riattualizza il sacrificio primordiale e la Genesi dell’universo [a pagina 53]. • Né quelque part / Born Somewhere, di Francesco Zizola (trenta fotografie). Immagini commoventi, realizzate nell’arco degli ultimi tredici anni in ventisette paesi. Con civile e profonda sensibilità, Francesco Zizola, uno dei più bravi fotogiornalisti italiani, ha girato il mondo per documentare le condizioni in cui vivono i bambini dell’uomo, coloro che dovrebbero avere nelle loro mani il futuro del nostro pianeta. ❯ RISORSE (centocinque fotografie) • Anche le lingue si estinguono, di più autori (quindici fotografie). Come gli esseri viventi, le lingue si estinguono. A volte si estinguono perché il popolo che la parla si estingue, ma altre volte le parole si spengono senza che gli uomini che le pronunciavano debbano sparire dalla faccia della Terra. • Insetti a colazione, pranzo, cena, di Peter Menzel / Grazia Neri (trenta fotografie). Entomofagia, un’abitudine alimentare che in Occidente rappresenta quasi un tabù, mentre in Asia, Africa, Oceania e America Latina è anco-

za ha anteposto il compito assegnatogli, e accettato, alla propria persona. Invece di stare sul palco in bellamostra di sé, come troppo spesso abbiamo visto in Italia, nel corso di altri eventi analoghi, si è fatto da parte per lasciare la scena alla Fotografia, in quanto tale e attraverso le testimonianze dei propri protagonisti, offerti alla curiosità e interesse del pubblico: relatori alle Conversazioni e autori alle proiezioni-incontro della sera (altro momento fotografico di straordinaria grandezza). Non annoto tutto questo per far piacere a un amico (e Lello Piazza, me malgrado, mi è amico), ma

54


ra praticata da milioni di persone. La ragione? Nutrizionale. Si pensi, per esempio, che per soddisfare il fabbisogno calorico di un uomo occorrono tremila grammi di gamberetti contro i soli cinquecento di termiti alate. • Pianeta petrolio, di Paolo Woods (venti fotografie). Classico reportage fotogiornalistico di inchiesta sull’industria del petrolio. Dal lavoro è stato tratto un libro (Un monde de brut, Seuil, 2003; edizione italiana Pianeta petrolio, Il Saggiatore, 2004) con testi dei giornalisti francesi Serge Enderlin e Serge Michel. Dodici paesi in quattro continenti, dalle gelide steppe della Siberia agli infuocati deserti iracheni, alla ricerca dei punti nodali di produzione e di smistamento del greggio. • L’oro trasparente: il problema dell’acqua, di Peter Essick (trenta fotografie). Tema drammaticamente di attualità, svolto con mano lieve e felice. Già oggi, sia per uso civile nelle città, sia per l’agricoltura, l’uomo sta pompando acqua dal sottosuolo in quantità superiore a quella che può ridepositarsi in modo naturale nelle falde. • Il Sole (dieci fotografie Nasa dal satellite Soho/Solar & Heliospheric Observatory e di fenomeni naturali di autori rappresentati dall’agenzia Corbis). Nel corso degli ultimi anni, la possibilità di eseguire riprese da satellite ha permesso di realizzare immagini spettacolari delle grandi esplosioni solari e della realtà fisica intorno alle macchie. ❯ NATURA (centotrentotto fotografie) • Biodiversità, di Frans Lanting / Grazia Neri (trenta fotografie). La biodiversità rappresenta la ricchezza più straordinaria della Terra, unico pianeta dell’universo che, allo stato delle conoscenze, è in grado di ospitare esseri viventi. Attraverso un intricatissimo processo evolutivo, la vita si è manifestata in una miriade di forme diverse. E questa diversità è la migliore garanzia per la sua sopravvivenza. • Il labirinto magico della foresta pluviale, di Christian Ziegler (trenta fotografie). Immagini scattate all’interno del progetto A magic web, finanziato dal prestigioso Smithsonian Tropical Research Institute e durato quindici mesi, raccolto in omonima monografia. Tutte le immagini sono state riprese sull’isola di Barro Colorado a Panama, la foresta tropicale più studiata del mondo, dove si fa ricerca naturalistica da un secolo [a pagina 52]. • Sotto il ghiaccio antartico, di Norbert Wu (cinque fotografie). Una visione fulminante: solo cinque immagini di fondali del Continente Antartico, che rivelano una vita inaspettata, piena di colori e di forme fantasmagoriche. Autore un fotografo cinese, naturalizzato statunitense, specialista dei mari ghiacciati. • Il dodo e l’isola di Mauritius. Incontri immaginari, di Harri Kallio (venti fotografie). Straordinario lavoro che, attraverso la fantasia e la fotografia, riesce in una impossibile operazione di resurrezione. Fino a trecentocinquanta anni fa sull’isola di Mauritius viveva tranquillo un piccione gigante, il dodo, che sarebbe poi diventato famoso in tutto il mondo grazie alle Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie. Tra il 1662 e il 1693, dopo l’arrivo dei primi colonizzatori, iniziò una caccia senza tregua al dodo, che cessò solo quando finirono i dodo. Purtroppo questo uccello viveva solo lì; così, passando attraverso l’apparato digerente dell’uomo, un’altra specie si è estinta. Oggi il dodo è tornato virtualmente a Mauritius [FOTOgraphia, dicembre 2004].

per assolvere una volta ancora e una di più il compito di informazione che spetta a queste pagine. L’amico è tale in altre manifestazioni delle rispettive esistenze; l’amico non ha bisogno di questo. Ma l’informazione fotografica deve sapere di ObiettivoUomoAmbiente, oltre le cifre ufficiali che ne definiscono, quantificandolo, il successo. L’informazione fotografica deve essere confortata nell’apprendere che quando l’intelligenza si sovrappone ad altri interessi temporali, anche in Italia è possibile allestire programmi fotografici densi di contenuto e significato, capaci di richiamare e sollecitare il pubblico, come

• La foca monaca: una sfida per il futuro, di Emanuele Coppola / Panda Photo (venti fotografie). Le immagini di foca monaca (Monachus monachus), una specie che negli anni Settanta veniva descritta dagli esperti come fatalmente condannata a sparire dal Mediterraneo, rappresentano una documentazione unica al mondo su un mammifero marino indicato come in grave pericolo di estinzione dall’Uicn (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura). Gli esemplari superstiti sono infatti ormai meno di quattrocento [a pagina 52]. • Natura virtuale, di Tim Fitzharris (trenta fotografie). Immagini digitali, alcune gustose e inverosimili, altre truffaldine proprio perché assolutamente false ma irriconoscibili: con questa inquietante galleria, l’autore statunitense, grande fotografo della natura, diverte e ammonisce sulle potenzialità degli strumenti legati al computer. • Tsunami: Dies irae (tre fotografie AFP/Grazia Neri). Un biblico giorno dell’ira di Dio: si muove il fondo del mare e nell’oceano si alza un’onda gigantesca che spazza la Terra e gli uomini. Tre fotografie per ricordare. ❯ PATRIMONIO CULTURALE (sessanta fotografie) • Morte e rinascita di Shanghai e Pechino, di Alessandro Digaetano (dieci fotografie). Terzo premio nella categoria Contemporary Issue del World Press Photo 2005, le immagini sono state scattate in Cina, a Pechino e Shanghai: « Le città mi sono sempre apparse come entità viventi, con segni particolari, rughe, cicatrici che raccontano vita, storia e segreti dei propri abitanti, non solo di quelli che appartengono al mondo presente, ma anche di quelli del mondo passato. In Cina ciò che più mi ha colpito non è tanto che stia scomparendo uno stile di vita, ma che vengano cancellati anche pezzi di città a questo legati» [a pagina 51]. • I tesori di Luxor, di Sandro Vannini (venti fotografie). Lavoro straordinario, ai limiti dell’impossibile, di un autore italiano che si può ritenere uno dei grandi specialisti mondiali di fotografia archeologica in Egitto. Con l’ausilio di una speciale attrezzatura, di propria progettazione, sta realizzando una preziosa catalogazione iconografica dei tesori di Luxor, le tombe magnifiche della Valle dei Re e della Valle dei Nobili. • I siti protetti dall’Unesco e i problemi del turismo, di Stefano Amantini, Massimo Bolchi, Guido Cozzi e Franco Barbagallo / Agenzia Atlantide (trenta fotografie). L’elenco dei beni sotto la protezione dell’Unesco include ottocentododici siti, di cui i naturali sono centosessanta, i culturali seicentoventotto e quelli sia naturali sia culturali ventiquattro, situati in centotrentasette stati (www.unesco.org). ❯ In combinazione (ottanta fotografie) • Focus on Your World, a cura di Unep (United Nations Environment Programme/Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) e Canon (cinquanta fotografie). Immagini dal Concorso fotografico internazionale realizzato con il dichiarato scopo di sensibilizzare il pubblico a contribuire alla tutela del mondo che ci circonda. • Scavi egiziani tra Diciannovesimo e Ventesimo secolo (trenta fotografie). Ingrandimenti da negativi su lastra di vetro di vari formati, da 6x9 a 18x24cm, fortunosamente e sorprendentemente ritrovati all’inizio del 2005 in Egitto. Collezione di fotografie dei siti archeologici intorno al Cairo scattate da fotografi egiziani tra il 1875 e il 1930.

anche di stimolare gli addetti. L’informazione fotografica non deve ignorare quanti e quanti contributi al processo di crescita individuale sono ancora latenti tra gli operatori del settore. Fare sì che non rimangano latitanti è un dovere irrinunciabile, come ha rivelato il civile e concentrato svolgimento di ObiettivoUomoAmbiente, una Prima edizione (magari una prova generale) anticipatoria di una genìa che già intravediamo brillante, una edizione (indipendentemente dalla quantificazione) sulla quale prendere misura per stabilire concreti e reali parametri d’azione fotografica. E magari non soltanto fotografica. M.R.

La genesi e la creazione dei Moai, le statue giganti dell’Isola di Pasqua, è avvenuta sulle pendici del vulcano Rano Raraku (fotografia di Stéphane Compoint / Grazia Neri).

55


Avanti anni luce...

è considerato, nel mercato ...nella qualità, nella versatilità Multiblitz fotografico mondiale, il marchio più innovativo dei generatori da studio. Con Multiblitz e nella convenienza. i professionisti possono ottenere il tipo di illuminazione desiderato, in tutte le gradazioni, da molto dure a molto morbide: con rapidi e precisi cambi di parabola, di bank diffusori, con potenza regolabile in continuo oppure velocissimi lampi in successione. La manegevolezza e la robustezza sono senza confronti.

E PER FARVI CONOSCERE MEGLIO IL MONDO MULTIBLITZ ECCO 4 KIT PROFESSIONALI A CONDIZIONI SUPER CONVENIENTI! KIT DIGI-X LOCATION (250 W) composto da: • 2 Digi-X KPL 220V 200W • 2 parabole argento 16 cm • 2 stativi small 3 sez. • 1 borsa prokit 2/4/6

€ 295,00 (iva esclusa)

KIT PRO-X LOCATION (set 2 /1000) composto da: • 2 Pro-X KPL 1000W 220V • 1 borsa ecokit • 2 stativi small 3 sez. • 2 alette per Pro-X

€ 375,00 (iva esclusa)

KIT COMPACTLITE 2 (set c/borsa) composto da: • 2 Compactlite flash • 2 parabole per ombrello • 1 borsa ecokit • 2 ombrelli diffusori bianchi 70 cm • 2 stativi

€ 595,00 (iva esclusa)

composto da: • 2 Profilux 400 • 1 parabola per ombrello • 1 softbox multirec 60x100 • 1 ombrello diffusore bianco 70 cm • 2 stativi • 1 borsa prokit 2 / 4 /6

€ 975,00 (iva esclusa)

Distribuito da:

unionfotomarket ®

e

GRAPHICArt Lodi

KIT PROFILUX 400 NL


La reflex digitale Olympus E-500, che accresce il sistema QuattroTerzi della casa giapponese, avviato con l’originaria E-1 e proseguito con la configurazione E300, ribadisce quel princìpio di utilizzo che si basa sulla rapida registrazione del momento fuggente, che non ritorna più

COGLI

L’ATTIMO otografia nitida e pulita è la parola d’ordine del sistema reflex digitale Olympus E, avviato con l’originaria E-1 (FOTOgraphia, luglio 2003; premio TIPA 2003), proseguito con la successiva E-300 (FOTOgraphia, febbraio 2005), e ora approdato alla configurazione E-500. È difficile, in fotografia, ma non soltanto in fotografia, avere una seconda chance per immortalare un momento. Carpe diem. Passato il momento, quel che è fatto è fatto, e non ritornerà più. La nuova Olympus E-500 si offre e propone agli amanti della fotografia che non scendono a compromessi con la qualità, che pretendono sempre affidabilità totale e immagini di qualità superlativa, anche nelle condizioni più difficili o polverose. Una volta ancora e una di più, oltre le proprie altre prerogative di uso e versatilità, il sistema reflex digitale QuattroTerzi sottolinea così il dispositivo anti-polvere Supersonic Wave Filter, esclusivo di

F

Olympus, che assicura immagini esenti dal problema “particelle di polvere e sporco”: nel caso della configurazione E-500, fedelmente acquisite in qualità da otto Megapixel dal sensore CCD Full Frame

Transfer “high performance”. La specifica costruzione telecentrica degli obiettivi -ne abbiamo già parlato, approfondendo il concetto dei raggi immagine che arrivano sostanzialmente perpendicolari

alla superficie del sensore, e ne riflettiamo ancora in un apposito riquadro pubblicato qui sotto- è appositamente finalizzata alle esigenze peculiari dell’acquisizione digitale. Gli obiettivi dedicati, non recuperati dalla fotografia tradizionale su pellicola, restituiscono immagini di assoluta nitidezza e omogeneità, quanto di insuperata luminosità e fedeltà cromatica, fino agli angoli e ai bordi del campo inquadrato. A seguire, oltre un design ergonomico e una disposizione dei comandi confortevole e di pratico utilizzo, la reflex digitale

RIBADIAMO: QUATTROTERZI ome sottolineato in diverse occasioni, a questa preceCtonomo denti, lo standard digitale QuattroTerzi è un progetto audi Olympus che ha impegnato soprattutto la progettazione ottica, che è stata radicalmente trasformata e finalizzata alla proiezione dell’immagine sul sensore solido CCD, ovvero alle esigenze e necessità digitali, oggettivamente diverse dalla proiezione ottica standard sulla pellicola. In pratica, l’interpretazione digitale QuattroTerzi non dipende più da aggiustamenti e disagi qualitativi causati e determinati dall’impiego di obiettivi di origine fotografica (tradizionale, analogica, argentica: diciamola come più ci piace), non certo disegnati per la più opportuna combinazione con il sensore digitale. Problematiche quali la riduzione della copertura ottica degli obiettivi grandangolari, la risoluzione insufficiente su tutto il campo o la vignettatura periferica sono inevitabili quando si usano obiettivi fotografici in ambiente digitale. Il sistema Olympus E rispetta le specifiche definite dal nuovo standard QuattroTerzi, che codifica il tipo e diametro dell’innesto degli obiettivi, come anche le dimensioni del sensore e la distanza tra la flangia e lo stesso sensore, finalizzandoli alla massima qualità formale dell’acquisizione digitale.

Queste specifiche, stabilite senza compromessi, non consentono solamente di rendere gli obiettivi intercambiabili tra loro e compatibili al corpo macchina, ma li modellano sulle esigenze e necessità delle reflex digitali. I sensori solidi CCD QuattroTerzi ricevono la luce trasmessa e proiettata dall’obiettivo con la massima accuratezza. Dopo di che, bisogna anche considerare che risultati di livello professionale non si ottengono solo grazie alla quantità dei pixel. Diversamente dalla maggior parte delle reflex digitali, le Olympus E-1, E-300 e E-500, novità dell’ultima ora, utilizzano sensori CCD Full Frame Transfer (FFT): sensori specificamente progettati e costruiti per l’acquisizione digitale di immagini in alta qualità. Paragonati ai sensori interlacciati, i sensori CCD FFT di Olympus si distinguono per una più ampia area del pixel, con fotodiodi più grandi e trasmissione ottimale. Questo permette di elaborare più elettroni; allo stesso momento, è inoltre possibile ottenere un conveniente rapporto tra segnale e rumore, combinato a un’ampia gamma dinamica. Il risultato finale beneficia di una latitudine di esposizione più estesa, maggiori dettagli nelle aree immagine e una maggiore e conveniente riduzione del rumore di fondo.

57


a obiettivi intercambiabili E-500 vanta un efficace e brillante display da 2,5 pollici HyperCrystal ad elevata definizione, che consente una visione delle immagini in generose dimensioni direttamente sul retro dell’apparecchio. La nuova reflex del sistema digitale Olympus E integra, ancora, un doppio slot per memory card, che può accogliere sia CompactFlash sia xDPicture Card. Incredibilmente compatta e leggera, si propone come compagna ideale in viaggio e nel reportage.

AFFIDABILITÀ Per ogni fotografo, la qualità delle immagini è una priorità imprescindibile. La Olympus E-500 promette di rispondere efficacemente. Con l’integrazione del Supersonic Wave Filter, autentico cavallo di battaglia e vantato plus del sistema, è risolto il problema della polvere che si deposita sul sensore al cambio degli obiettivi, sporcando le immagini. Una certa differenza la fa, quindi, il sensore di acquisizione sensore CCD Full Frame Transfer da otto Megapixel, combinato con pratici e versatili software di gestione dell’immagine. Il classico design a pentaprisma, vicino all’ammiraglia E-1 e distinto dall’interpretazione del percorso ottico della E-300, conferisce alla reflex digitale Olympus E-500 un impatto visivo professionale, tipico delle più affermate reflex tradizionali. Ovviamente (dal sistema argentico OM), le dimensioni del corpo macchina sono adeguatamente contenute, tanto da essere definibili compatte, in una combinazione ergonomica che ha fatto della maneggevolezza e praticità di uso un proprio credo: 129,5x94,5x 66mm, 435g. Il menu di gestione fotografica della ripresa include ventuno modalità scena pre-impostate, per le situazioni operative più ricorrenti. Alternativamente, le modalità di ripresa tradizionali (automatismo

58

Program completo, automatismi a priorità dei tempi o dei diaframmi e regolazione manuale dei valori) offrono una sostanziale libertà creativa e la concreta consapevolezza di poter disporre della giusta impostazione per ogni condizione di luce. La misurazione esposimetrica Digital ESP può essere convertita dalla lettura totale con prevalenza al centro alla selezione spot. Un sensore AE a quarantanove aree di lettura e un sistema di misurazione alle alte e basse luci conferisce un rigoroso controllo esposimetrico. La Olympus E-500 integra inoltre la funzione AE Lock, per una personalizzazione individuale. Quindi, per le condizioni ambientali che lo richiedono (e consentono), si può contare sul pratico ausilio del flash elettronico incorporato.

CONFERME E NOVITÀ Il collaudato processore di immagini TruePic Turbo ribadisce una riproduzione dei colori fedele e realistica, quindi aggiunge risoluzione e contrasto, oltre a velocizzare le varie funzioni dell’apparecchio. La registrazione in sequenza consente l’acquisizione rapida di due scatti e mezzo al secondo in qualsiasi formato. Se si utilizzano schede di tipo “high-speed media”, come le SanDisk Extreme III SDCFX, nei formati Jpeg HQ (1/8) e SQ le immagini possono essere registrate fino al completamento della capacità della memory card. Un ulteriore punto di forza della E-500 si basa sull’ampio monitor LCD da 2,5 pollici HyperCrystal, che con i suoi 215.250 pixel consente di visualizzare le immagini scattate in maniera estremamente nitida e dettagliata, con una osservazione chiara fino a un angolazione di 160 gradi. Le immagini visualizzate possono essere ingrandite fino a 14x, per verificarne velocemente anche il più piccolo particolare, in maniera dettagliata e in qualsiasi

condizione di luce, persino sotto l’illuminazione solare diretta. Nel monitor LCD ha sede anche il generoso e versatile pannello di controllo, semplice da gestire e guidare, dettagliato e intuitivo, attraverso cui si impostano le diverse funzioni operative dell’apparecchio. L’attuale reflex digitale a obiettivi intercambiabili Olympus E-500 è disponibile in quattro kit di acquisto: con battery pack ricaricabile BLM-1 e caricabatteria BCM-2; con zoom 17,5-45mm f/3,5-5,6

(equivalente all’escursione 3590mm della fotografia tradizionale 24x36mm), battery holder LBH-1 e tre batterie CR-123; con zoom 14-45mm f/3,5-5,6 (28-90mm), battery pack ricaricabile BLM-1 e caricabatteria BCM-2; con zoom 14-45mm f/3,5-5,6 (28-90mm), zoom 40-150mm f/3,5-4,5 (80300mm), battery pack ricaricabile BLM-1 e caricabatteria BCM-2. (Polyphoto, via Cesare Pavese 11-13, 20090 Opera Zerbo MI). Antonio Bordoni

SISTEMA OTTICO OLYMPUS E utti gli obiettivi digitali Zuiko del sistema Olympus E sono progettati per le Tstandard migliori prestazioni delle reflex digitali che si basano, e baseranno, sullo QuattroTerzi. Sono obiettivi disegnati sul princìpio della costruzione ottica telecentrica, ereditato da applicazioni scientifiche: che consente alla luce di raggiungere il sensore solido CCD con raggi pressoché perpendicolari alla propria superficie. È questo un requisito essenziale dell’acquisizione digitale di immagini, indispensabile per ottenere immagini dai colori perfetti, oltre che nitidezza e luminosità estese a tutto il campo. Assieme all’elevata risoluzione degli obiettivi, i raggi immagine paralleli, e perpendicolari alla proiezione, garantiscono che il sensore riceva i dati con la massima precisione, raggiungendo così il massimo delle proprie potenzialità tecniche. Inoltre, grazie al dialogo dedicato, gli obiettivi trasferiscono al software della reflex ogni informazione su eventuali aree d’ombra o distorsioni ottiche da correggere, in modo da raggiungere risultati sempre perfetti. Una ulteriore sostanziale caratteristica discriminante dello standard Quattro Terzi consiste nelle dimensioni compatte dei propri elementi e, nello specifico ottico, nel peso relativo degli obiettivi, peraltro tutti di elevata luminosità relativa. Attualmente il sistema Olympus E offre undici obiettivi e ne annuncia altri cinque; e poi ci sono un conveniente moltiplicatore di focale 1,4x Zuiko Tele Converter EC-14, particolarmente dedicato alle costruzioni ottiche tele, e un tubo di prolunga Zuiko Extension Tube EX-25 per il 50mm Macro (di 25mm; ingrandimento massimo 0,98x, equivalente all’inquadratura al naturale 1:1). In ordine (tra parentesi sono indicati i valori equivalenti sul formato fotografico 24x36mm, fattore di moltiplicazione 2x dal sensore digitale Quattro Terzi 17,4x13,1mm): ❯ Zuiko Digital ED 7-14mm f/4 (14-28mm); ❯ Zuiko Digital E 11-22mm f/2,8-3,5 (22-44mm); ❯ Zuiko Digital ED 14-35mm f/2 (28-70mm) [disponibile nel 2006]; ❯ Zuiko Digital E 14-45mm f/3,5-5,6 (28-90mm); ❯ Zuiko Digital E 14-54mm f/2,8-3,5 (28-108mm); ❯ Zuiko Digital E 17-45mm f/3,5-5,6 (34-90mm) [disponibile nel 2006]; ❯ Zuiko Digital 18-180mm f/3,5-6,3 (36-360mm) [disponibile dalla primavera 2006]; ❯ Zuiko Digital ED 35-100mm f/2 (70-200mm); ❯ Zuiko Digital E 40-150mm f/3,5-4,5 (80-300mm); ❯ Zuiko Digital ED 50-200mm f/2,8-3,5 (100-400mm); ❯ Zuiko Digital ED 90-250mm f/2,8 (180-500mm); ❯ Zuiko Digital ED 8mm f/3,5 Fisheye (16mm) [disponibile dal gennaio 2006]; ❯ Zuiko Digital E 35mm f/3,5 Macro (70mm) [disponibile dal gennaio 2006]; ❯ Zuiko Digital ED 50mm f/2 Macro (100mm; massimo ingrandimento 0,51x, equivalente all’inquadratura 1:2); ❯ Zuiko Digital ED 150mm f/2 (300mm); ❯ Zuiko Digital ED 300mm f/2,8 (600mm).


FRANCO ROSSELLINI E IL PRODUTTORE

MARIA CALLAS CON

MEDEA (1969): PIER PAOLO PASOLINI SCENA DAL SET DI

FUORI

RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINI Nel trentennale della scomparsa FOTOGRAFIE DI SCENA E FUORI SCENA DI MIMMO CATTARINICH DAI SET DEI FILM DI PIER PAOLO PASOLINI Atmosfere e suggestioni che rivelano l’animo e lo spirito di uno dei più geniali intellettuali italiani, la cui personalità e influenza non si sono concluse con le date della sua vicenda terrena.

Da metà dicembre Mostra e presentazione del Calendario 2006


Mediterranea

romossa dalla Provincia di Bari, con il patrocinio dell’Assessorato al Mediterraneo, Pace e Attività Culturali della Regione Puglia, organizzata dalla Pinacoteca Provinciale di Bari, e curata da Clara Gelao, Mediterranea propone oltre duecentocinquanta visioni di riconosciuti autori di spicco della fotografia contemporanea, che hanno interpretato il tema (ricercato) della mediterraneità. Per propria naturale vocazione geografica, Bari è un identificato punto di contatto tra differenti componenti sociali e culturali e, nella propria assoluta unicità di porta verso l’Oriente, si offre come “luogo eccellente” per la costruzione di un efficace con-

P

60

fronto artistico incentrato sul tema del Mediterraneo. La Pinacoteca della Provincia di Bari si fa promotrice di questo progetto, con l’intento di ridefinire e illustrare la complessità di quest’area geografica, scoprendone gli aspetti più segreti, avanzando ipotesi per nuove configurazioni, percepibili nell’immediatezza dei gesti e nella varietà dei percorsi. Il Mediterraneo, un mare chiuso che unisce le coste di paesi simili, ma anche diversi per cultura, tradizioni, spiritualità, oggetto da secoli di un’iconografia abusata, che lo ha visto per lo più come stereotipo di bel sole e bel mare, ha assunto oggi, a seguito dei più recenti avveni-

OLIVO BARBIERI

menti, connotazioni ben diverse e talvolta drammatiche, pur conservando tuttora il ruolo di luogo classico della memoria. Attraverso le fotografie di Mimmo Jodice, Guido Guidi, Bernard Plossu, Antonio Biasucci, Carmelo Buongiorno, Olivo Barbieri, Mario Cresci, Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin, Ferdinando Scianna, Nikos Economopoulos e altri autori contemporanei, la rassegna legge e interpreta i luoghi, il mito, la storia, l’arte e il dramma con una visione nuova e particolare. Si valorizza la forza linguistica della fotografia nell’ambito dell’arte contemporanea e se ne sottolinea il ruolo di veicolo di assoluta completezza per ricerche tematiche. Catalogo pubblicato da Federico Motta Editore, a cura di Clara Gelao, con testi e contributi critici di Giovanna Calvenzi, Franco Cassano, Giovanni Chiaramonte, Salvatore Ciccone, Diego Mormorio, Bernard Millet, Raffaele Nigro, Antonella Pierno e Roberta Valtorta. Mediterranea. Collettiva di autori contemporanei, a cura di Clara Gelao; coordinamen-

MIMMO JODICE

GIANNI BERENGO

GARDIN

FERDINANDO SCIANNA

Luoghi, mito, storia, arte e dramma

to di Cosmo Laera, con la consulenza di Antonella Pierno. Pinacoteca Provinciale, via Spalato 19, angolo Lungomare Nazario Sauro, 70121 Bari; 080-5412421; pinacotecaprov.bari@tin.it. Dal 18 dicembre al 5 febbraio 2006; martedì-sabato 9,30-18,30, domenica e festivi 9,00-13,00 (Natale, 26 dicembre e Primo gennaio chiuso).

A seguire 62 Memorial Giacomelli 62 Photo&Digital Expo 62 Nature silenziose 63 Spazi esistenziali 63 Sguardo femminile 63 Senza titolo



Memorial Giacomelli Al fotografo bosniaco Zijah Gafic

ndetto dal Circolo Fotografico Sannita di Benevento per ricordare la figura del grande fotografo, scomparso

I

onfermando l’alternanza con Milano, dove il PhotoShow si svolge in anni dispari, la fiera merceologica della fotografia si propone a Roma dal 18 al 20 marzo 2006 (sabato, domenica e lunedì), con l’inedita identificazione di Photo&Digital Ex-

C

il 25 novembre 2000, il Memorial Mario Giacomelli è arrivato alla propria quinta edizione. Composta da Grazia Neri, titolare dell’omonima Agenzia (presidente di giuria), Paola Riccardi, dell’Agenzia Grazia Neri, dal fotografo Gianni Berengo Gardin, dal critico Roberto Mutti e da Sandro Iovine e Maurizio Rebuzzini, rispettivamente direttori dei periodici Il Fotografo e FOTOgraphia, la giuria ha aggiudicato il premio al fotogra-

fo bosniaco Zijah Gafic, per un reportage a colori sul dopoguerra in Cecenia. Di questo lavoro, la giuria ha sottolineato soprattutto il rigore narrativo e la capacità di mettere in evidenza le conseguenze della guerra nella quotidianità, attraverso il filtro soggettivo dei sopravvissuti alla tragedia. Ancora, è stata apprezzata una progettualità che rivela consapevoli intenzioni comunicative. Allo stesso tempo, la giuria

po: percorso commerciale attraverso le ultime tecnologie dell’immagine. Manifestazione di riferimento per il settore fotografico, la rassegna si ripresenta all’appuntamento nella Capitale con la dichiarata intenzione di ripetere il successo dell’edizione di Roma 2004, che segnalò la presenza di oltre trecento espositori e quarantamila visitatori, a testimonianza di un mercato vivo e palpitante. Nella tradizionale fiera di

Photo&Digital Expo

Nature silenziose In Svizzera: personale di Flor Garduño rentadue fotografie di grandi dimensioni, diciotto delle quali inedite, in stampa giclee al carbone, su supporto in carta cento per cento, antiacido. Nature silenziose, personale dell’autrice di fama internazionale Flor Garduño, inaugura il nuovo Spazio Officina e il nascente Polo delle arti e della cultura di Chiasso. Come è noto, da anni Flor Garduño, nata in Messico nel 1957, risiede nel Canton Ticino, dove ha portato il proprio bagaglio culturale e le proprie radici latine.

T

62

ha segnalato altri due lavori presentati in concorso, che hanno suscitato vivo interesse e partecipe apprezzamento: Giovanni Del Brenna, con un lavoro a colori su Tokyo, per la contemporaneità di un linguaggio capace di andare oltre gli stereotipi legati al tema; e Andrea Dapueto, con il saggio fotografico intitolato Dream, per la capacità di raccontare con semplicità una storia che, partendo dalla quotidianità, si eleva a valore simbolico. Circolo Fotografico Sannita, via Pianello 10, Casella Postale 37, 82026 Morcone BN; 0824957042; www.cfsannita.com, cosimo.petretti@virgilio.it.

L’attuale Nature silenziose è una nuova produzione, che evidenzia la ricerca più recente del percorso artistico dell’autrice. Un linguaggio fotografico poetico e dolente che nasce, essenzialmente, dall’interiorizzazione del dolore e dalla perdita delle radici e dell’identità non solo nei paesi dell’America latina, ma più in generale nell’uomo contemporaneo. La ricerca espressiva di Flor Garduño affonda le radici nel fervido clima culturale pieno d’originalità e forza creativa del Messico di Manuel Alvarez

A Roma: fiera merceologica a marzo primavera, aziende rappresentative del mondo dell’immagine, del video e della fotografia presentano le propri novità a operatori professionali e appassionati. Inoltre, come di consueto, una serie di eventi e mostre fotografiche completa il programma.

Photo&Digital Expo. Fiera di Roma, padiglioni 22, 23, 24, 9 e 15; www.photodigitalexpo.it. Dal 18 al 20 marzo 2006; 10,00-19,00. Publifiere, via Giordano Bruno 1/2, 48022 Lugo RA; 054524679, fax 0545-900043; info@publifiere.it.

Bravo (del quale è stata allieva e assistente) e di Tina Modotti, oltre che di quello, ricco di valenze simboliche, di Frida Kahlo e Diego Rivera. Catalogo pubblicato da Gabriele Capelli Editore di Mendrisio, Svizzera; testi di José Maria Espinasa e David Streiff; 32 fotografie in tricromia; 96 pagine 16,5x2 4cm; 40,00 Franchi svizzeri.

CH-6830 Chiasso, Svizzera; 0041-91-6950914, fax 004191-6950918; www.chiasso.ch, cultura@chiasso.ch.

Flor Garduño: Nature silenziose. Spazio Officina, via Dante Alighieri 4, CH-6830 Chiasso, Svizzera. Fino all’8 gennaio 2006; mercoledìvenerdì 15,30-19,30, sabato e domenica 10,30-12,30 15,30-19,30. Comune di Chiasso, Ufficio cultura, via Dante Alighieri 3b,

❯ In contemporanea: selezione di fotografie inedite di Flor Garduño della serie Flor alla Galleria Cons Arc, via Borromini 2, CH-6830 Chiasso, Svizzera; 0041-91-6837949, fax 0041-91-6829043; www.consarc-ch.com, galleria@consarc-ch.com. Lunedì-venerdì 9,00-12,00 - 14,00-18,30, sabato 9,00-12,00.


vrappone alla natura strutture e costruzioni sempre diverse nel tempo e negli spazi. Sono anche rappresentazioni cariche di solitudine e attesa. Volume-catalogo pubblicato da Schirmer/Mosel; introduzione di Roberta Valtorta e saggio critico di Maik Schlüter (in inglese e italiano); 24 immagini; 64 pagine; 25,00 euro.

Spazi esistenziali In una rappresentazione “documentaria” rtista fotografa, tra le più note a livello internazionale, la tedesca Candida Höfer (classe 1944) si presenta al Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo, alle porte di Milano, con una serie di immagini dichiaratamente recenti, realizzate dal 2004 all’attuale 2005: fotografie di musei, alberghi, memoriali pubblici, spazi multifunzionali e teatri a Dublino, Zurigo, Praga, Parigi e in diverse città della Spagna e del Sudamerica. Appunto: Fotografie 2004-

2005, che presenta in Italia una esponente di spicco di quella che è nota come “scuola di Düsseldorf”, edificata attorno la figura di Bernd Becher, nella quale si riconoscono anche Thomas Struth, Thomas Ruff e Andreas Gursky. L’opera di Candida Höfer è un’instancabile indagine su luoghi nei quali comunità di persone si sono ritrovate e si ritrovano, e nei quali si coagulano i significati della storia culturale. Antropologa dello spazio vissuto, l’autrice è una ri-

ell’ambito della rassegna Sguardo femminile, in svolgimento da tempo, Annamaria Belloni (classe 1964) presenta i propri Ritratti. Annota Laura Salvini: «Dalla rottura improvvisa di ogni “dato” conosciuto, luogo o persona, di ogni realtà spontanea, prende forma questa sequenza di ritratti-non ritratti, lavorati dal colore e dalla luce fino a essere restituiti alla propria essenza, e luoghi-non luoghi. I modelli fotografati spesso sono amici, a propria volta allontanati e ripuliti da ogni traccia di quotidianità, e ritrasmessi come personaggi astratti irreali; lo stesso procedimento viene utilizzato con i luoghi conosciuti o a volte appena intravisti, concepiti come passaggi intermedi verso dimensioni magiche e incerte. «Soggetti che sono giunti a un grado di trasformazione fi-

nale cui non è possibile aggiungere nulla, che hanno trovato in questa metamorfosi fiabesca, in questa staticità perfetta, una felice prigionia. L’immobilità incantata in cui questi modelli e questi luoghi sono immersi, o da cui emergono, crea un effetto estraniante, una sospensione del senso, in cui ogni dettaglio si rispecchia enigmaticamente

Sguardo femminile

Senza titolo

portanti accademie del nord Italia, e in particolare tre qualificati centri di formazione artistica: Fabrica, centro di ricerca e comunicazione gruppo Benetton di Treviso; Far, Fondazione Antonio Ratti e il suo Corso Superiore di Arte Visiva di Como; Iuav, facoltà di design e arti di Venezia. Sono stati individuati diciassette giovani artisti internazionali: Federica Angioletti, Blu e Ericailcane, Carlos Casas e Saodat Ismailova, Nemanja Cvijanovic, R‰ di Martino, Michael Fliri, Andrea Nacciarriti, Namiko Kitaura, Kensuke Koike, June Pak, Antonio Rovaldi, Zachary Swenson, Nikola Uzunovski, Nico Vascellari, Fabio Viale. Ogni artista presenta una o più opere, molte delle quali inedite, che attraversano tutti i mezzi di espressione contemporanei.

N

Nell’arte visiva ntitled è un progetto espositivo nato dall’esigenza di operare una ricognizione sul panorama della giovane arte contemporanea. La definizione “senza titolo” della collettiva, ideata e curata da Alessio Ascari e Edoardo Bonaspetti e organizzata da Agalma Eventi, allude alla finalità centrale: segnalare e rendere visibili potenzialità, processi in atto, percorsi artistici non ancora necessariamente conclusi, e dunque in attesa di una dichiarata e pubblica definizione, di un “titolo”. La ricognizione di Untitled ha coinvolto alcune tra le più im-

U

cercatrice che parla dell’interiorità del mondo costruito dagli uomini attraverso la fotografia, utilizzata nella purezza di un raffinato stile documentario. In queste fotografie grandiose c’è un costante interrogarsi su chi sia questo abitante della Terra che so-

Candida Höfer: Fotografie 2004-2005. Museo di Fotografia Contemporanea, Villa Ghirlanda, via Frova 10, 20092 Cinisello Balsamo MI; 02-6605661; www.museofotografiacontemporanea.org. Fino al 12 marzo 2006; martedì-domenica 10,00-19,00, giovedì 10,00-23,00.

Ritratti di Annamaria Belloni in ogni dettaglio, e ogni ritratto in quello successivo». Annamaria Belloni: Ritratti. Café Aroma Photogalerie, Hochkirchstraße 8, D-10829

Berlin, Germania; 0049-307825821; www.cafe-aroma.de, info@cafe-aroma.de. Fino al 30 gennaio 2006; dalle 18,00, sabato dalle 14,00, domenica dalle 11,00.

FEDERICA ANGIOLETTI

A

Il catalogo pubblicato da Postmedia Books, con testi di Angela Vettese e dei curatori Alessio Ascari e Edoardo Bonaspetti, riporta tutte le immagini delle opere in mostra e gli apparati biografici degli artisti. Untitled. A cura di Alessio Ascari e Edoardo Bonaspetti. VenturaXV, Via Ventura 15, 20134 Milano; 02-83241876; www. untiledproject.it, info@untitledproject.it. Fino al 21 dicembre; martedì-domenica 11,00-20,00.

63


ERNEST JAMES BELLOCQ

N

Nelle storie della fotografia, anche le più accreditate (come quella di Beaumont Newhall, per esempio), non si parla di E.J. Bellocq (Ernest James), e anche nella saggistica, specie quella italiana, questo bastardo dell’immagine denudata non è tenuto in grande considerazione. Ci basta l’amorevolezza e la lungimiranza con la quale ne scrive Susan Sontag [introduzione a Bellocq. Photographs from Storyville, the Red Light District of New Orleans; Jonathan Cape, 1996]. Le notizie su Bellocq sono parche, quando non sono infondate. Gli addetti ai lavori lo citano, ma nessuno (o quasi) lo ama. Noi lo stimiamo senza riserve. Ci piacciano quelle puttane che fotografava, con istintivo senso del piacere, a New Orleans, nel 1912: sono riprese in grande pregio estetico; sembrano madri di famiglia, quanto le madri di Brassaï o di Diane Arbus appaiono puttane. «La tua fotografia è, per chi sa veramente vederla, una registrazione della tua vita», diceva Paul Strand. Ogni fotografia è un “autoritratto”, dunque. La fotografia non solo contiene il respiro di un’epoca, ma ne dà anche un’interpretazione.

DELLA FOTOGRAFIA DI BORDELLO A partire da come si affabula una fotografia, si comprende da che parte stai. Infatti, fotografare vuol dire appropriarsi di qualcosa che sta di fronte alla macchina fotografica e stabilire una relazione con quanto è scippato al reale. Si può amare il soggetto trattato (come Bellocq) o usarlo come monito o propaganda di repressione sociale (come i corpi ammazzati dei comunardi, allineati nelle casse di legno, in “bella posa” per i fotografi della polizia parigina o per le “carte de

64

visite” di André Adolphe Eugène Disdéri, nel 1871). Il fotografo custodisce lo sguardo, come il muto la parola; l’uno e l’altro sono depositari dell’invisibile, dell’indicibile, custodi e passatori del vero. Diciamolo subito: la scrittura fotografica di Bellocq non ha niente a che fare con altre “visioni del corpo”, catechizzato nel “nudo d’artista” alla maniera di Alice Boughton, Clarence H. White, Émile Joachim Costant Puyo, Alfred Stieglitz, Anne W.

pornografiche di anonimi autori, quelle della fotografia giudiziaria o i ritratti di puttane con i cazzi in bocca che sorridono ai propri clienti mostrano spesso una cura, un’attenzione, una pratica dello sguardo che “buca” l’immediato e il consueto. Ci sono dei dagherrotipi di nudo ripresi a metà dell’Ottocento rimasti insuperati. La donna (con la maschera o senza) assume spesso un atteggiamento altero, quasi a sfidare, con il proprio corpo spogliato o profanato, le

«Di che nazionalità siete?» «Ubriacona» «Allora siete cittadino del mondo». Dialogo dal film Casablanca Brigman o Alice Austen. Né, tantomeno, Bellocq è affascinato dalle abbacinazioni (non importa se omosessuali) del “segno” che compongono l’elencario fotografico di Wilhelm von Gloeden, Thomas Eakins, Gustave Le Gray o Julien Vallou De Villeneuve. Questi sono piccoli esercizi di estetica “nobiliare” o, quantomeno, operazioni simboliche (molto citate, sovente a sproposito, o cucite addosso all’artista da critici, galleristi, docenti universitari), che “usano” la fotografia come mimesi di un’arte che è puro kitsch o falsificazione di una realtà violata o predata o semplicemente estetizzante e quindi inoffensiva, che ha molto a che vedere con la propria sessualità e poco riguarda la fotografia. La fotografia di bordello ha maestri indiscussi, qualche volta illustri, come insegnano la Storia della fotografia pornografica di Ando Gilardi [Bruno Mondadori, 2002] o Le lacrime di Eros di Georges Bataille [Bollati Boringhieri, 2004]. Le immagini

convenzioni sociali. Il ritratto di una ragazzina prostituta (Marietta, detta “del Frate”), firmato da Ludovico Tuminello alla metà dell’Ottocento (che possiamo vedere nella Storia della fotografia pornografica di Ando Gilardi), è un capolavoro assoluto della fotografia di bordello, e sotto un certo taglio costruttivo, plastico, scritturale resta tra le figurazioni più notevoli della ritrattistica d’ogni tempo.

IL BASTARDO DELLA FOTOGRAFIA E.J. Bellocq è nato (a New York, forse) nel 1873 ed è scomparso nel 1949, lasciando dietro di sé una scia di mistero e meno di cento fotografie che lo alzano a maestro dell’immagine nuda, ma non profeta (come viene di solito letto) di quell’elementare versione pornografica consumata ovunque, perfino nelle case del proletariato che gioca in Borsa insieme ai propri padroni (i ricavi, le debite conoscenze e ladrerie non sono le stesse, s’intende). Non è che la fotografia

pornografica ci stizza, né va a solleticare i nostri pruriti sessuali insoddisfatti; l’iconologia pornografica di banale “cattività” ci annoia quanto il discorso sui piani finanziari di un primo ministro in parlamento. L’erotismo che brucia il cuore e muove le passioni è un’altra cosa, come la verità politica tradita o camuffata s’incendia nelle pieghe dell’esistenza o lì muore. Il salotto immaginifico del (divin) marchese de Sade [Donathien-Alphonse-François], Il giardino di Afrodite di Franz von Bayros, le piccole scene amorose di Pierre Louys, i tropici osceni di Henry Miller o le bambine incantate di Lewis Carroll ci commuovono fino alle lacrime o al sorriso più complice. In principio era l’amore, poi soltanto i limiti trasgrediti secondo i codici e i saperi dei valori permessi. Il trionfo della seduzione fa parte delle soluzioni terminali (come la merce, i sacramenti o l’olocausto) e nei godimenti subliminali che invoca c’è l’eccedenza della produzione. La congiura dei segni è completa. L’oscenità di tutto ciò che è consumabile in fretta e a poco prezzo marca anche un avvenire senza limiti, dove tutto è possibile perché niente è vero. Di Bellocq, il bastardo della fotografia. Pare abbia lavorato dal 1895 al 1940, in qualità di fotografo commerciale. Non c’importa molto se poi questo sia vero, quello che conta è il pacco di lastre fotografiche che ha lasciato a qualcuno e poi sono finite nelle mani di Larry Borenstein. Nel 1966, il fotografo Lee Friedlander acquista le immagini di Bellocq. Sono ottantanove ritratti di prostitute di Storyville, il quartiere a luce rossa di New Orleans. Lee Friedlander le stampa con particolare attenzione per una mostra organizzata dal MoMA di


AL CINEMA (E IN DVD)

D

ella personalità di E.J. Bellocq ci siamo già occupati circa dieci anni fa, nel marzo 1996, quando accostammo le raffigurazioni cinematografiche di Margaret Bourke-White (Candice Bergen in Gandhi, di Richard Attenborough; Gran

Totalmente sconosciuto in vita, E.J. Bellocq (18731949) deve la propria acquisita notorietà a Lee Friedlander, noto e celebrato fotografo americano, esponente di spicco della corrente della nuova oggettività affermatasi a partire dagli anni Sessanta: prima negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo. Proprio Lee Friedlander scoprì il lavoro di Bellocq, e nel 1966 acquistò ottantanove lastre in vetro di ritratti di prostitute e allestì la rassegna retrospettiva intitolata Storyville Portraits esposta al Museum of Modern Art di New York nel 1970. Il ben realizzato catalogo, pubblicato in quella occasione, è a tutti gli effetti l’unico libro che consegna E.J. Bellocq alla storia della fotografia: sulle sue pagine, trentaquattro ritratti sono preceduti da un eccellente testo critico, che val la pena sottolineare. Si tratta infatti di una discussione improbabile ma possibile. Alla maniera delle indimenticate Interviste impossibili radiofoniche dell’inizio degli anni Settanta, in questo testo libero è stato ipotizzato un dibattito che non ha mai avuto luogo nella realtà. Lee Friedlander ha immaginato di parlare con personaggi diversi, completamente slegati tra loro, ma prossimi alla parabola esistenziale di Bellocq: due fotografi, uno scrittore, tre suonatori di jazz e una prostituta dell’inizio del Novecento, soggetto di molti ritratti di Bellocq, dicono la loro sull’argomento. I materiali oggettivi sui quali Lee Friedlander ha costruito l’ipotetica discussione sono stati ampiamente manipolati, mescolati e cambiati nella propria sequenza originaria. In ogni caso, le intenzioni e le opinioni dei partecipanti sono state rispettate. Del resto, Lee Friedlander non è certo all’oscuro del sottile legame che unisce ogni autore alle proprie immagini. Tant’è che quando parla della vicenda Bellocq precisa anche l’attenzione con la quale lui stesso ha condotto l’intera operazione. Dalla prefazione al catalogo di Storyville Portraits: «Larry Borenstein ha un istinto eccezionale per circondarsi di cose belle e rare. [...] Tra i suoi tesori c’erano anche le lastre di Bellocq. [...] «Nel 1966 gli chiesi di vendermele, o di prestarmele per far realizzare delle stampe di buona qualità. Acconsentì a vendermele, e io le imballai per portarle a casa, dove le avrei fatte stampare. «Scoprii ben presto che non avrei potuto utilizzare il mio solito processo di stampa, poiché le lastre non rispondevano bene alla carta al bromuro. La gamma tonale era eccessivamente limitata, anche stampando con la gradazione più morbida. Dopo alcune ricer-

Bretagna, 1982), Weegee (Joe Pesci in Occhio indiscreto, di Howard Franklin; Usa, 1992) e, appunto, E.J. Bellocq (Keith Carradine in Pretty Baby, di Louis Malle; Usa 1978). Riprendiamone il testo.

che, scoprii una tecnica di stampa popolare attorno all’inizio del secolo, basata su una carta chiamata P.O.P. (Printing Out Paper), che possedeva una caratteristica insita di auto-mascheratura. Secondo questo metodo, le lastre venivano esposte a contatto della carta a una luce diurna indiretta per un tempo che andava da tre ore a sette giorni, in funzione della densità della lastra e della qualità della luce. Quindi la carta veniva sottoposta a un bagno di viraggio al cloruro di oro. Fissaggio e lavaggio erano quelli convenzionali, ma dovevano essere effettuati con grande attenzione, data la fragilità dell’emulsione. «Questo metodo, perseguito con pazienza e olio di gomito, mi ha permesso di ottenere una serie completa di ottantanove stampe tali quali io pensavo dovessero essere. Non avendo mai visto stampe fatte da Bellocq stesso, sono stato obbligato a seguire il mio gusto personale nella stampa, e spero che questo non sia in contrasto con le intenzioni di Bellocq». [Nota: oltre questa originaria edizione di Storyville Portraits (The Museum of Modern Art, New York, 1970), è oggi disponibile una preziosa riedizione di altro pregio delle stesse immagini: Bellocq. Photographs from Storyville, the Red Light District of New Orleans, con introduzione di Susan Sontag, pubblicata da Jonathan Cape nel 1966 (84 pagine 28,5x30,5cm, cartonato con sovraccoperta)]. Fotografo commerciale che ha lavorato a New Orleans a cavallo della Prima guerra mondiale, E.J. Bellocq ha probabilmente esteso la propria intera parabola professionale tra il 1895 e i primi anni Quaranta, fotografando soprattutto motori e turbine per navi. Le ottantanove lastre di ritratti di prostitute del quartiere di Storyville furono rinvenute nel suo studio dopo la sua morte. Sono state datate al 1912 circa. Per quanto è dato sapere, questo fondo costituisce l’unico frammento del suo lavoro che sia sopravvissuto. Ed è il materiale visivo sul quale il regista francese Louis Malle si è basato per costruire la storia raccontata in Pretty Baby, suo primo film americano del 1978. La vicenda è appunto ambientata a Storyville, quartiere a luce rossa di New Orleans; e tutto ruota attorno la figura di una dodicenne Brooke Shields, la cui inconsistenza recitativa è seconda solo alla povertà del film. Migliore è la presenza sullo schermo di Susan Sarandon, che interpreta una delle prostitute che vengono ritratte da un evanescente Bellocq: interpretato da un Keith Carradine uguale a se stesso (come sempre), ma questa volta in ordine con le esigenze di

copione, al quale serviva una figura eterea che facesse da spalla alla ragazzina offerta al voyeurismo popolare (Carradine è comunque fisicamente diverso da Bellocq, descritto da chi l’ha conosciuto come un “nano idrocefalo, ignorato dalla gente” [come annota anche Susan Sontag nell’introduzione all’edizione libraria del 1996 già citata]). Per quanto le fotografie originali di Bellocq siano risultate utili alla scenografia, bisogna annotare che Pretty Baby deve la propria sceneggiatura alle Memorie di una maîtresse americana di Nell Kimball (pubblicate in Italia da Adelphi). I dialoghi del film e il sapore che condisce tutte le piccole storie di casino sembrano uscire direttamente dalle pagine del libro. Ma a noi interessa la figura del fotografo. «Mi chiamo Bellocq. Sto cercando madame Livingstone; mi può ricevere?...». «Sì accomodi pure, monsieur Bellocq. [...] Santo cielo, lei è nel luogo sbagliato monsieur. La nostra attività non è comprare...». «Madame, forse conosce il mio nome... Faccio fotografie, nel quartiere, da molto tempo». «[...] Solo che non è l’ora giusta. Le mie ragazze dormono tutte a quest’ora. Lavorano fino a tardi, sa. Sono le dieci del mattino, monsieur...». «Ho bisogno della luce del sole. Questa è l’ora migliore per me... Quella signorina lì andrebbe bene». «Io gestisco un buon bordello all’antica, monsieur! E lei è troppo scalcagnato per me! Fotografie?... Di che diavolo di roba si tratta?... Io non ricevo gente dai gusti strani. Se cerca qualcosa di diverso, le assicuro che può trovarne fin che ne vuole, qui a New Orleans». «Madame, la prego, non mi parli di New Orleans! Sono vissuto qui tutta la vita!». «Le domando scusa, monsieur». «Sono disposto a pagare la sua perdita di tempo». «Gradisce un bicchierino di essenzia?». «Madame, la luce... Vorrei approfittarne...». «Ah, già, la luce; avevo dimenticato. Vada pure dalla nostra Happy. È molto brava, sa; farà tutto quello che lei vorrà». [...] «Dica, vuole che mi spogli adesso?...». «No, no... Lei mi piace così com’è». «Mi vuole così?... Spettinata, nemmeno lavata?!?!...». «Sì, sì. Grazie». Insomma, alla fin fine, la fotografia è approdata al bordello. Che sia da interpretare come una simbologia? Come un segno? M.R.

65


BIANCO E NERO laboratorio fotografico fine - art solo bianco & nero

UMICINI GIOVANNI VIA VOLTERRA 39 - 35143-PADOVA

PH.& FAX 049 720 731 e-mail : gumicin@tin.it

New York nel 1970, ed è subito poesia. La bellezza di molte di queste icone del peccato è imperdonabile. Qui il godimento visuale non è un cerimoniale finemente estetico soltanto, è un’energia etica che cerca il proprio fine nella regalità dell’anima maculata da un quotidiano non proprio bello, forse. A leggere oltre la posa -la ragazza quasi accucciata su una specie di amaca, che guarda con malinconia il fotografo, lasciando la propria nudità ad esprimere la fanciullezza smarrita; o quella con la maschera nera e le calze nere che si abbandona sul divano, in una visione erotica senza ritegni; o, più ancora, quella di bianco vestita, avvolta in una pelliccia bianca e seduta su uno sgabello come una regina della stradasi colgono i ricami, le trame, i canti di favole sessuali liberate di ogni orpello contrattuale. Detto in altro modo, la risolutezza dell’inquadratura, la sapienza della luce o la tenerezza palpabile del fotografo sono specchio di un momento di grazia, che lascia negli occhi di chi vuole la bellezza estrema dell’opera d’arte. La scrittura fotografica di Bellocq dispiega lo straordinario in ogni ritratto e il risultato tecnico ed espressivo è inusuale anche ai tempi nostri. Bellocq si avvicina alle ragazze discinte con insolente semplicità e mostra anche un certo coinvolgimento con i soggetti ripresi. C’è, però, accoglienza, comprensione, partecipazione e non sappiamo, o forse non c’importa sapere, se il fotografo era non solo il confidente, l’artista o il cliente di quelle puttane che fissa sulle lastre in modo sublime. Il suo fare-fotografia va al di là del commercio o della gratitudine sessuale, e si colloca fuori dalle sollecitazioni voyeuristiche, desideranti o pattuite che gli vengono attribuite. Bellocq è un nichilista morale o filosofo di un paganesimo da scomunica, in aperto contrasto con la dittatura dell’ordinario. In margine all’intolleran-

za o all’indifferenza generalizzata, elabora una ritrattistica fotografica di alto valore esegetico, e a leggere in profondità le sue belle puttane si riconosce la gaia scienza di liberazione di un immaginale che è cruda verità e incredibile amore per la “diversità” o, più semplicemente, per vite di donne perdute che restituiscono amore a uomini più perduti di loro. L’opera di un fotografo ha senso solo se è fatta “contro” l’impero delle regole. Il conformismo uccide ogni forma di creatività e finisce per annientare la poesia, come la vita di un uomo. Le fotografie seduttive di Bellocq distruggono ogni ordine divino e fanno dei corpi desideranti la fine di tutte le ortodossie e i clericalismi imposti dalla formazione spirituale dei legittimi poteri. «L’interrogazione crea. La risposta uccide» (Edmond Jabès). La Fotografia è morta nel mercimonio e per la risposta servente, alla quale si è genuflessa per trenta denari e un posto in società. La fotografia bastarda di Bellocq non vuole essere tollerata, ma sostenuta o rifiutata. Si tollera quello che si detesta o non si ama. Quando lo si considera pericoloso alla morale corrente, si avvolge nel silenzio paludato, si celebra nei chiostri degli affari o s’incarta nella museografia del vuoto a perdere. Fare di un filosofo un bandito è tipico delle chiese, delle sinagoghe o dei governi occidentali; i mercanti e i cerimonieri in ogni cosa vengono dopo. Il tempo della fotografia sta tutto in uno sguardo, e in questo senso la fotografia di Bellocq si spalanca sul tramonto degli oracoli e mostra che c’è grandezza solo nella poetica dell’oblio. Conquistati dalla bellezza dell’opera di Bellocq, vogliamo ricordare ancora che c’è un tempo per seminare e un tempo per falciare. Lo stesso tempo della Fotografia nella quale respira l’eternità. Pino Bertelli (30 volte settembre 2005)


xää\Ê«Õ â >Ê i ½ >} i Ì }À>wÊiÊ À Û >ÌiÊ `>Ê «>ÀÌ Vi iÊ ` Ê « ÛiÀiÊ Ê >Ãà >Ê Ì `iââ>Ê ` } Ì> i¶Ê >VV iÊ` Êë ÀV Ê Ê ½iÃV ÕÃ Û Ê ÌÀ Ê-Õ«iÀà VÊ7>Ûi¶Ê >} ÊÃi «ÀiÊ `>ÊÀ Ì VV>ÀiÊ ÊÎx°äääÊÛ LÀ>â Ê> ÊÃiV ` Ê«iÀÊ«Õ ÀiÊÕ Ê

Ê`>ÊnÊ Ê ` Ê« Ýi ¶Ê ÊÌiÊ >ÊÃVi Ì>°Ê xääÊ" Þ «ÕÃÊ -ÞÃÌi ]ÊV «>ÌÌ>ÊiÊ i}}iÀ>]Ê

Ê Þ«iÀ ÀÞÃÌ> Ê`>ÊÓ°x»ÉÈ°{V ]ÊÌiV } >Ê+Õ>ÌÌÀ /iÀâ ÊiÊ> « >Ê}> >Ê` Ê L iÌÌ Û Ê `i` V>Ì Ê <1 "Ê / °Ê 6 à Ì>Ê Ê Ã Ì Ê ÜÜÜ° Þ «Õð Ì°Ê -Vi} Ê Ê ÌÕ Ê À V À` ° xää



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.