FOTOgraphia 118 febbraio 2006

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Mensile, 5,70 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano

ANNO XIII - NUMERO 118 - FEBBRAIO 2006

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CINQUANT’ANNI


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SPERANZA Nel frattempo, bevi alla mia salute; e pensaci su. Io continuerò a tenerti d’occhio. Ricordati che la speranza è una cosa buona, Red, forse la migliore delle cose, e le cose buone non muoiono mai. Continuerò a sperare che questa lettera ti trovi, e ti trovi bene. Il tuo amico, Peter Stevens Stephen King (da Le ali della libertà) AMBROGINO D’ORO. La Medaglia d’Oro di Benemerenza Civica viene assegnata dal Comune di Milano a personalità che si sono distinte nella città. La cerimonia di consegna avviene la mattina di Sant’Ambrogio (sette dicembre), protettore della città, da cui la definizione gergale di “Ambrogino d’oro”. Nella recente sessione dello scorso dicembre 2005 sono state assegnate cinque Medaglie d’Oro alla memoria (tra cui l’ex sindaco degli anni SessantaSettanta Aldo Aniasi, lo sfortunato esploratore Ambrogio Fogar e l’intellettuale Leo Longanesi, nel centenario della nascita), una Grande Medaglia d’Oro (all’Istituto dei Ciechi, nel centenario dalla fondazione) e venticinque Medaglie d’Oro. Tra queste, si segnala quella attribuita a Vito Liverani (Vitaliano all’anagrafe), attuale titolare di Fotocronache Omega (che organizza anche un Premio annuale per la fotografia di sport; FOTOgraphia, febbraio 2001, febbraio 2002, febbraio 2003 e febbraio 2004). Pioniere della fotografia di sport, con cinquantennale collaborazione con le maggiori testate italiane e internazionali, Vito Liverani (a sinistra nella fotografia, mentre riceve l’onorificenza dal sindaco Gabriele Albertini) ha cavalcato stagioni che si sono susseguite, affrontando di volta in volta a viso aperto le innovazioni, sia di stile sia tecniche e tecnologiche. La motivazione dell’Ambrogino ne ha sottolineato personalità e valore: «[Vitaliano Liverani] Fa parte della vasta cerchia di “milanesi d’adozione” che hanno fatto grande questa città. Giuntovi dalla Romagna ancora bambino, inizia la sua attività di fotocronista ad appena dodici anni nello studio fotografico Baratelli. Diventerà una leggenda della fotografia sportiva [di sport], collaborando con diverse testate giornalistiche, fino ad approdare alla “Gazzetta dello Sport” e fondare la mitica agenzia Olympia. Negli anni Ottanta, l’esordio di un’altra avventura: nasce Fotocronache Omega, ennesima creatura di un grande professionista, preciso e scrupoloso, soprattutto generoso nell’insegnamento ai giovani talenti».

Da una parte ci sono i discorsi concentrati sulla Fotografia (cultura, fenomenologia, storia e tanto altro ancora); dall’altra il mercato sta esprimendo intenzioni diverse, a proprio modo legittime (?). Però, se si vuole coltivare e mantenere il senso di un mondo, di una socialità cui corrispondono anche termini commerciali in proiezione, non bisogna ignorare, né sottovalutare, le componenti complementari: cultura, fenomenologia, storia e tanto altro. La capacità di pensare e riflettere sulla Fotografia dipende da molti fattori; tra questi si consideri proprio l’approfondimento tematico (che caratterizza le nostre pagine). Come allo specchio tutto sembra più vicino di quanto sia, nella vita il Passato non mantiene le distanze di sicurezza e viaggia a un passo da noi. Siamo ciò che eravamo, e più le cose cambiano meno cambiano, a meno che non cambiamo noi nel profondo del nostro essere. Sempre, e comunque.

Copertina 55

Cinquant’anni del World Press Photo, indiscutibilmente il più significativo, autorevole, prestigioso e ambìto premio del fotogiornalismo internazionale. Con l’occasione delle celebrazioni dell’importante tappa (1955-2005) riflettiamo sulle prospettive attuali e futuribili del giornalismo visivo. Testimonianza di Lello Piazza dai giorni e luoghi dei festeggiamenti ufficiali, con contorno di dibattiti a tema. Da pagina 30

3 Fumetto 19

Consueto dettaglio da una cartolina illustrata degli anni Trenta (?). Fotoricordo infantile durante una tranquilla gita in montagna (lontana nel tempo, oltre che nello spazio). Visioni antiche, che non hanno alcun riscontro nella vita attuale, altrimenti frenetica, effimera e, perché no?, con meno sorrisi compiacenti

7 Editoriale

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Ancora un riferimento al World Press Photo, a margine del corposo intervento redazionale pubblicato da pagina 30. Qui si sottolinea l’aspetto tragico delle testimonianze visive dei fotografi che vengono premiati ogni anno: fino a comporre un inquietante casellario dei nostri tempi. Ci piaccia, o meno

8 Carl Koch: un pioniere Alla fine dello scorso anno è mancato Carl-Hans Koch, generalmente chiamato solo Carl Koch: geniale inventore cui si deve il sistema grande formato Sinar, a partire dall’originaria Norma della fine degli anni Quaranta

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10 Notizie Attrezzature, vicende e altre segnalazioni


. FEBBRAIO 2006

RRIFLESSIONI IFLESSIONI,, OSSERVAZIONI OSSERVAZIONI EE COMMENTI COMMENTI SULLA SULLA FFOTOGRAFIA OTOGRAFIA

16 (Scianna) Allo specchio

Anno XIII - numero 118 - 5,70 euro

Dodici tavole mensili di Ferdinando Scianna per il Calendario Epson 2006: riflessioni d’autore

DIRETTORE

IMPAGINAZIONE

19 Sulla scena del delitto

Gianluca Gigante

REDAZIONE

Nel film Il collezionista di ossa, tra le mani dell’attrice Angelina Jolie compare una Kodak monouso: eccola qui Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

22 Immagini del dolore Esaurite le date della mostra di Reggio Emilia, la selezione Il volto del dolore sopravvive nell’ottimo volume-catalogo

Alessandra Alpegiani Angelo Galantini

FOTOGRAFIE

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Alessandra Alpegiani Antonella Simoni

SEGRETERIA Maddalena Fasoli

HANNO

Alla ricerca del tempo (passato): i Frammenti domestici di Alessandro Vicario percorrono un tragitto intimo

30 Celebrazione World Press Photo

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● FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano.

A un anno dalla loro scomparsa, due monografie, le prime postume, confermano e continuano l’epopea fotografica di due significativi autori: Playboy Helmut Newton e Woman in the Mirror di Richard Avedon di Alessandra Alpegiani

● A garanzia degli abbonati, nel caso la pubblicazione sia pervenuta in spedizione gratuita o a pagamento, l’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e in suo possesso, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi della legge 675/96.

49 Lucca Anno Zero

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L’attesa reflex digitale Nikon D200: soprattutto risoluzione di 10,2 Megapixel, ma tanto altro ancora. Con efficacia di Antonio Bordoni

Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano

58 Agenda Appuntamenti del mondo della fotografia

Sguardi su un brigante di confine: di notte, sulla strada di Pino Bertelli

● FOTOgraphia Abbonamento 12 numeri 57,00 euro. Abbonamento annuale per l’estero, via ordinaria 114,00 euro; via aerea: Europa 125,00 euro, America, Asia, Africa 180,00 euro, gli altri paesi 200,00 euro. Versamenti: assegno bancario non trasferibile intestato a Graphia srl Milano; vaglia postale a Graphia srl - PT Milano Isola; su Ccp n. 28219202 intestato a Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; addebiti su carte di credito CartaSì, Visa, MasterCard. ● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti.

55 Alta classe

64 Weegee

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41 Ancora Newton e Avedon

Avviato a fine anno, LuccaDigitalPhotoFest si propone come appuntamento fotografico annuale di prestigio e concreta attenzione. I contenuti nella dovuta forma di Maurizio Rebuzzini

COLLABORATO

Pino Bertelli Antonio Bordoni Sara Del Fante Loredana Patti Lello Piazza Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Alessandro Vicario Zebra for You

26 Tracce di vita

Osservazioni e considerazioni sul fotogiornalismo in occasione dei cinquant’anni del più qualificato e prestigioso premio del fotoreportage internazionale: con annotazione delle quarantasette World Press Photo of the Year, dalle origini (1955-2005) di Lello Piazza

RESPONSABILE

Maurizio Rebuzzini

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orld Press Photo: riferimento mitico, non soltanto primario, del fotoreportage. Ogni anno, da cinquant’anni, come celebriamo e certifichiamo su questo stesso numero, da pagina 30, il fotogiornalismo internazionale si incontra e si specchia nella giuria del prestigioso Premio, preziosa testimonianza dei nostri giorni. La selezione annuale è divisa in numerose categorie, che nel proprio insieme vivisezionano il giornalismo visivo di una lunga stagione. Per ogni suddivisione ci sono diversi riconoscimenti progressivi, fino alla segnalazione costante e coerente di una considerevole quantità di immagini, il cui insieme identifica (come da intenzioni) l’anno trascorso. Quindi, tra tutte le fotografie inviate alla Fondazione che organizza e svolge il Premio, ogni anno ne viene scelta una, indicata come World Press Photo of the Year, ovverosia fotografia dell’anno. In teoria, la Wppy può essere selezionata all’interno di ogni categoria prevista, spaziando dal giornalismo d’attualità alla più pacata riflessione documentativa, alla scienza, allo sport e alla vita quotidiana. In teoria! Però, come puntualizza l’incessante sequenza dei cinquant’anni (per quarantasette edizioni), che abbiamo riunito nelle pagine centrali di questo numero, con apertura su quattro facciate, dopo qualche tentennamento iniziale da tempo la World Press Photo of the Year è un’immagine tragica, non soltanto drammatica. Effettivamente rappresentativa di un fatto discriminante dell’anno preso in esame, ogni dodici mesi, la Wppy finisce per comporre le tessere di un mosaico di dolori, sopraffazioni, violenze, calamità, lutti e rovine: sia di ordine naturale (come è stato per lo tsunami del più recente 2005, per fotografie scattate nel precedente 2004), sia in relazione alle tante guerre che insanguinano la nostra attuale epoca (dal Vietnam al Kosovo, dall’Africa all’Iraq c’è solo l’imbarazzo della scelta). Per quanto quello del fotogiornalismo sia un “occhio testimone”, come è stato più volte annotato, isolata dal ritmo del proprio svolgimento annuale completo e limitata alla sola fotografia dell’anno, la testimonianza del World Press Photo diventa affermazione di un mondo dai connotati terribili. A questo punto, se ancora servisse farlo, dovremmo riflettere sul valore e senso del fotogiornalismo del dolore (di guerra, soprattutto). Certamente, la fotografia non ha poteri taumaturgici: non può compiere miracoli, né modificare (al meglio) la vita. Poche fotografie, prese a sé, hanno avuto il potere di sconvolgere gli animi e influire sullo svolgimento dei fatti. Nel proprio insieme, però, le fotografie del dolore possono depositarsi sulle coscienze di molti. Per questo non deve venir meno l’impegno di quei fotoreporter capaci di farci pensare. Per questo dobbiamo continuare a pensare, magari anche arrabbiandoci. Per questo, anche se con dolore personale, dobbiamo continuare a pubblicare e guardare queste immagini. Con pietà per i soggetti, nella speranza che il loro sacrificio non sia stato inutile. Maurizio Rebuzzini

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Cinquant’anni separano queste due immagini, rispettivamente prima World Press Photo of the Year per fotografie scattate nel 1955 (Mogens von Haven, Danimarca; Circuito Volk Mølle, Randers, Danimarca, 28 agosto 1955: incidente durante una gara di motocross) e più recente assegnazione 2005, per fotografie scattate nel 2004 (Arko Datta / Reuters, India; Cuddalore, Tamil Nadu, India, 28 dicembre 2004: donna piange un congiunto ucciso dallo tsunami). Nel corso dei decenni, il World Press Photo si è affermato come “occhio testimone” dei nostri tempi, puntualizzando soprattutto l’aspetto tragico dell’esistenza.

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CARL KOCH: UN PIONIERE

Figura fondamentale della storia moderna della fotografia professionale, il fondatore della Sinar Carl Koch è mancato alla fine dello scorso anno. A lui si deve sia il progetto originario della Sinar Norma (accanto alla quale è qui raffigurato), con la quale è iniziata un’epopea, sia quello della Sinar-p, il primo apparecchio a banco ottico con regolazioni di basculaggio geometriche e ragionate.

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Capostipite della produzione fotografica Sinar, che fondò all’indomani della Seconda guerra mondiale, lo svizzero Carl-Hans Koch, generalmente chiamato solo Carl Koch, è mancato lo scorso 23 dicembre, a ottantanove anni di età. Ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmente, e frequentarlo in diverse occasioni, quando la fotografia grande formato a banco ottico era al proprio apice tecnico e commerciale. Con lui ho condiviso opinioni e riflessioni in pertinente equilibrio tra l’assolvimento prospettico e compositivo della fotografia e l’apporto operativo degli strumenti professionali (per lo still life in sala di posa e la ripresa industriale). Ovviamente, sempre in riferimento e relazione alle sue intuizioni, presto trasferite e trasportate sui suoi progetti: l’originaria Sinar Norma della fine degli anni Quaranta e la successiva Sinar-p (con relative evoluzioni in avanti negli anni) dell’inizio dei Settanta.

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In particolare, ricordo bene una conviviale serata a Schaffhausen, dove approfondimmo insieme il concetto discriminante degli assi di basculaggio asimmetrici della Sinar-p giacenti sul piano focale, cui corrisponde un uso ragionato e finalizzato dell’apparecchio grande formato a corpi mobili, nella propria configurazione a banco ottico. Addirittura, tornammo indietro nel tempo, fino all’originaria Sinar Norma. Commentammo assieme che anche se si era trattato di un banco ottico estremamente semplificato (prima di essere definito da una completa modularità, che dall’inizio degli anni Cinquanta fece la sostanziale differenza tecnica, imponendosi all’attenzione generale del mercato), prevedesse già rotazioni di basculaggio finalizzate a un impiego concentrato e non casuale dei movimenti di accomodamento: per l’adeguato controllo della prospettiva e dell’estensione ottimale della nitidezza

Due momenti delle origini della produzione Sinar, avviata da Carl Koch alla fine degli anni Quaranta: partecipazione alla Photokina dell’aprile 1951 e presentazione della modularità ed efficacia dell’innovativa Norma a un gruppo di commercianti giapponesi.

sull’intero campo inquadrato (o, al contrario, della propria volontaria e consapevole contrazione). Quella sera di oltre vent’anni fa, nei primi anni Ottanta, scattai una serie di fotoricordo dell’incontro, soprattutto relative alla sua spiegazione con disegni e opportune


schematizzazioni (qui accanto). In archivio, conservo ancora le sue annotazioni tecniche autografe, che trovano riscontro pratico nella combinazione di movimenti successivi del piano focale grande formato, che oggi visualizziamo qui a centro pagina. Ora il dovere impone note che vadano oltre i soli sentimenti personali, che in questi casi devono lasciare presto il posto alle ufficialità.

CARL KOCH: SINAR Fotografo di terza generazione, nel 1947 il trentunenne Carl-Hans Koch subentrò al padre Hans-Carl, scomparso prematuramente, nell’attività professionale avviata dal nonno a Schaffhausen, all’estremo nord della Svizzera, sul confine con la Germania. Membro attivo del comitato centrale dell’Union Suisse des Photographes e membro della commissione di esperti per l’esame di diploma, a quei tempi Carl Koch divideva il proprio tempo lavorativo tra la conduzione del negozio-studio, specializzato nel ritratto e nella fotografia di panorama, e la progettazione di un apparecchio grande formato che fosse più pratico e agevole di quelli allora in commercio. In questo senso, i primi brevetti depositati datano al 1947, e il sistema Sinar fu avviato nel successivo 1948; all’inizio l’acronimo stava per “Studio INdustria ARchitettura”, dalla seconda metà degli anni Ottanta identifica “Studio Industria Natura Architettura Riproduzione”. Per una decina di anni, Carl Koch continuò a scomporsi tra l’attività professionale vera e propria e la neonata produzione fotografica. Soltanto nel 1958, le esigenze industriali ebbero il sopravvento, e Carl Koch cedette lo studio (rilevato dall’assistente Rolf Wessendorf, che ancora oggi è attivo a Schaffhausen), per dedicarsi completamente alla produzione e commercializzazione degli apparecchi Sinar. Da qui, superiamo molteplici dettagli, e datiamo l’edificazione della fabbrica di Feuerthalen, sull’altro lato del Reno, al 1968, in tempi di Sinar-p, la prima espansione dell’edificio alla metà dei Settanta e il terzo ampliamento alla fine degli Ottanta. Sempre impresa a conduzio-

Inizio anni Ottanta. Durante un conviviale incontro con Carl Koch affrontammo assieme i valori tecnici della disposizione dei corpi mobili in relazione alle condizioni del soggetto inquadrato. Per quanto semplificato nella propria costruzione, già l’originario banco ottico Sinar Norma poteva essere usato applicando princìpi geometrici discriminanti: quali la rotazione di basculaggio attorno l’asse ottico (in due tempi successivi).

ne familiare, dalla seconda metà degli anni Settanta la Sinar è passata sotto la direzione di Hans-Carl Koch, figlio di Carl, che successivamente è stato affiancato dal proprio figlio Carl-Hans, oggi a capo dell’azienda: un Koch della quinta generazione di una delle più antiche stirpi fotografiche svizzere.

INNOVAZIONE Mancato a fine dello scorso anno, Carl Koch era nato il 5 marzo 1916. Da tempo si era ritirato nei Grigioni, a Bad Ragaz, con la moglie Hill. Oggi Carl Koch va celebrato come una delle personalità fondamentali

della moderna tecnologia fotografica applicata. Non sappiamo prevedere quanto del suo valore resterà impresso nel futuro del nostro quotidiano, ormai edificato soprattutto sulle esili affermazioni del moderno marketing, che tutto vede e a poco provvede. Però sappiamo quanto tanto c’è nel nostro presente di un passato che a conti fatti ci ha arricchiti un poco tutti. Carl Koch è stato uno di quei personaggi di statura, che incarnano in sé la genialità del semplice, o la semplicità del geniale. Le sue realizzazioni tecniche hanno rappresentato la più clamorosa e autentica svolta nella fotografia professionale moderna, che è diventata tale -moderna- anche grazie alle sue intuizioni. Soprattutto, dobbiamo ricordare che l’impronta Koch-Sinar ha modificato ogni precedente concetto di apparecchio grande formato, che grazie alla Norma originaria soltanto dall’inizio degli anni Cinquanta può declinare i concetti di modularità ed efficienza a tutto campo. Dopo la Norma, è stato progettato messo a punto uno straordinario apparecchio a corpi mobili con movimenti razionali di basculaggio. Invece delle rotazioni di basculaggio casuali, la Sinar-p e in subordine anche la semplificazione Sinar-f adottarono regolazioni geometriche ragionate, tutte finalizzate al massimo e più proficuo controllo dell’estensione della nitidezza del soggetto inquadrato. Per quanto la Sinar Norma originaria avesse già stabilito concetti innovativi, la nuova era della fotografia grande formato fu avviata, dalla fine degli anni Sessanta, con il progetto Sinar-p dell’asse di basculaggio asimmetrico giacente sul piano focale, da cui sono poi nate le evoluzioni meccaniche Sinar p2, Sinar e(lettronica) e Sinar x, e da qui sono state elaborate le attuali configurazioni per l’acquisizione digitale di immagini. Lasciando perdere altri infiniti dettagli, quale quello dell’otturatore centrale universale dietro il piano anteriore porta obiettivo, basta questa sequenza di innovazioni per stabilire la dimensione di Carl Koch e il proprio peso sulla fotografia professionale dei nostri tempi. Maurizio Rebuzzini

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ATTENZIONE AI FALSI. Alcune produzioni fotografiche sono incappate nell’attuale dilagante fenomeno delle falsificazioni, che solitamente nascono nei paesi orientali a basso reddito e costi di produzione estremamente contenuti. In particolare, sono stati segnalati treppiedi e stativi che richiamano le forme esteriori e i connotati delle linee Manfrotto e Gitzo. A volte si tratta di autentiche copie, uguali soltanto nella forma e non nella sofisticazione delle prestazioni, altre volte sono autentiche contraffazioni (anche di marchio). Ovviamente, ci si deve sempre riferire alla serietà commerciale dei propri fornitori, diffidando di acquisti in situazioni e condizioni non controllate, se non già, addirittura, irregolari. In ogni caso, confermiamo che i prodotti Manfrotto e Gitzo sono sempre accompagnati dalla garanzia del distributore italiano Bogen Imaging: due anni per le vendite a privati e un anno per le forniture professionali, cui si può aggiungere un’ulteriore estensione di altri tre anni registrando il proprio acquisto ai siti dedicati www.manfrotto.com e www.gitzo.com. (Bogen Imaging Italia, via Livinallongo 3, 20139 Milano). ALTRA PICCOLA CARD. La nuova versione delle memory card di massima compattezza

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(25x20x1,7mm), progettate in combinazione da Olympus e Fuji, Olympus xD-Picture Card High Speed Tipo H nasce con memoria di 512Mb. È stata realizzata utilizzando un’avanzata tecnologia high density e raggiunge una velocità di scrittura fino a due o tre volte superiore rispetto le xD-Picture Card originarie. Questa configurazione risponde agli attuali tempi tecnologici, che annotano una risoluzione sempre crescente degli apparecchi digitali e relative funzioni di registrazioni sempre più avanzate, che appunto richiedono supporti di memoria analogamente più veloci e con una maggiore capacità. Inoltre, inserendo nel software Olympus Master il codice ID fornito nella confezione delle xD-Picture Card Tipo H si accede alle funzioni Art e 3D. Le immagini realizzate con gli apparecchi digitali Olympus possono essere rispettivamente elaborate con effetti pittura a olio, acquerelli e disegni animati (utilizzando la funzione Art) e restituzione tridimensionale (utilizzando la funzione 3D; visualizzata a sinistra). In combinazione, le xD-Picture Card stanno per raggiungere la capacità di 8Gb e per le xD-Picture Card High Speed Tipo H è già prevista l’imminente dotazione da 1Gb. (Polyphoto, via Cesare Pavese 1113, 20090 Opera Zerbo MI).

Inoltre, sono disponibili pratiche custodie per MP3 da braccio o cintura, in materiali molto resistenti. Le custodie permettono di proteggere il lettore da urti, umidità e sporco. (Mamiya Trading, via Cesare Pavese 31, 20090 Opera Zerbo MI).

ANCHE SPOT. Oltre le misurazioni della luce incidente e riflessa, prontamente trascodificate in corrispondenti valori di apertura di diaframma e tempo di otturazione (con priorità a scelta), piuttosto che di cadenza cine (nel caso del riferimento alla ripresa cinematografica), l’esposimetro Sekonic SE L558 offre anche la valutazione selettiva spot, con angolo di

PER MP3. Il titanico sistema di accessori universali Hama, che compone una offerta estremamente differenziata (per quantità e qualità di proposte), si estende ancora, con una linea dedicata allo standard MP3: custodie, caricatori da rete e da auto con prese USB e casse. I piccoli lettori MP3 consentono di portare la musica ovunque, con comodità. Per incrementare le possibilità di utilizzo, Hama propone due caricatori compatti con attacco USB: uno per la ricarica tramite l’accendino dell’auto e l’altro tramite una qualsiasi presa di corrente.

SU TRE GAMBE. Letteralmente, Walkstool è lo sgabello che cammina, che si presenta come uno dei compagni fidati del fotografo: dalla sala di posa alle location in esterni. È uno sgabello a tre gambe che si chiude su se stesso, come i treppiedi e gli stativi, e si apre con semplicità. Disponibile in diverse altezze e larghezze (proporzionali), è utile sia per il proprio scopo principale di sgabello sul quale sedersi sia per agire da supporto per appoggiare attrezzature fotografiche particolarmente ingombranti e pesanti (prima di altro, pensiamo alla reflex con potente teleobiettivo o analogo zoom a escursione tele), alle quali dotazioni offre un sostegno sicuro e stabile. (Gruppo BP, via Cornelio Tacito 6, 20137 Milano).

lettura di un solo grado. Per questo, l’esposimetro è dotato di obiettivo di puntamento e visione, con pertinente indicazione dell’area di lettura. Ovviamente, il Sekonic SE L558 legge e misura sia la luce continua sia la luce flash. Una dotazione tecnica di nove canali di memoria può essere finalizzata a comparazioni luminose, piuttosto che alla valutazione media o mirata di letture multiple. (Bogen Imaging Italia, via Livinallongo 3, 20139 Milano).

APIF. Come specifica la definizione, dell’associazione di categoria Apif (Associazione Produttori e Importatori Fotoprofessionali) fanno parte aziende fotografiche commerciali a indirizzo professionale. Con cadenza annuale, l’Associazione organizza la fiera specializzata itinerante Click-Up, la cui più recente edizione si è svolta lo scorso ottobre a Catania. A fine anno, come da statuto, è stato eletto in nuovo Consiglio Direttivo dell’Associazione, che tra i propri compiti ha l’organizzazione della prossima sessione espositiva, la ventitreesima dalla costituzione. Il nuovo Consiglio Direttivo è formato da Ruggero Marini (Aproma), Massimo Baldini (Rossi &C), Alberto Capozzi (Condor Foto), Claudio Bosatra (Mamiya Trading) e Marinella Gori (Canon Italia). Presidente, è stato confermato Ruggero Marini. (Apif, segreteria, via Cantello 8, 21050 Clivio VA; 0332-816788, fax 0332816816; www.click-up.it).


Epson® e UltraChrome™ K3 sono marchi registrati di Seiko Epson Co.

Purtroppo, nessuna rivista è in grado di mostrare l’impatto di una stampa con tre gradazioni di nero.

Finalmente potrai ottenere da una stampante digitale fotografie in bianco e nero come quelle realizzate in camera oscura. Il nostro nuovo sistema di inchiostri UltraChrome™ K3 utilizza addirittura tre gradazioni di nero. Il risultato è un maggior numero di sfumature, per immagini in bianco e nero o a colori incredibilmente dettagliate e che dureranno tutta una vita. Vuoi verificarlo di persona? Chiama il numero verde 800-801101 per sapere dove puoi vedere Epson Stylus Pro 4800. Per informazioni www.epson.it


A PROTEZIONE. Produttore di schede di memoria e innovativi prodotti per l’acquisizione e gestione digitale delle immagini, Delkin presenta la nuova linea di schermi protettivi eFilm Pop-Up per monitor LCD, che agiscono anche come schermi anti riflesso. Robusti e leggeri si applicano (e rimuovono) facilmente e proteggono il prezioso monitor LCD degli apparecchi digitali in posizione chiusa. Aperti, in posizione operativa, garantiscono una migliore visione del display sotto la luce del sole. La prima serie di undici schermi eFilm Pop-Up si adatta alla linea di reflex e compatte digitali attualmente presenti sul mercato. A seguire, Delkin si propone di essere pronta per ogni ulteriore apparecchio presentato, entro trenta giorni dalla propria commercializzazione. Gli schermi Pop-Up sono costruiti in plastica anti urto, che si richiude sul monitor LCD cui vengono applicati. Sono disegnati specificatamente per ogni singolo modello di apparecchio e si agganciano e rimuovono (eventualmente) in un attimo. Sono disponibili tre famiglie di schermi PopUp Shade: professionali, reflex digitali e compatte. Sono disponibili sia modelli a scatto sia con adesivo, entrambi in due varianti di colore, silver e nero, per abbinarsi all’apparecchio digitale. (Rossi & C, via Ticino 40, 50010 Osmannoro di Sesto Fiorentino FI).

IN ALTO. Le nuove attuali configurazioni del sistema di pantografi e supporti a sospensione Iff, con relativi binari di scorrimento per il pertinente posizionamento in sala di posa, confermano la praticità della luce fissata in alto, che evita la disposizione e l’ingombro di stati-

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vi a terra. Il sistema aereo è adatto sia a illuminatori in luce continua, sia a torce flash, con collegamento a generatori di potenza (nel caso dei monotorcia, bisogna tenere conto della reale accessibilità al pannello di comando e regolazione, solidale alla stessa torcia flash). I supporti ad allungamento prevedono collocazioni via via preordinate, mentre i più versatili pantografi consentono di regolare in ogni istante e senza limiti la sistemazione del punto luce. A riposo, i pantografi Iff si riducono ad appena 45cm di ingombro, mentre nell’uso consentono sistemazioni di impiego che arrivano a due, tre o quattro metri di allungamento, bloccandosi sempre alla posizione raggiunta. Una identificata serie di elementi complementari consente il montaggio e fissaggio dei binari a soffitto (rotaie) anche su superfici irregolari. (Bogen Imaging Italia, via Livinallongo 3, 20139 Milano).

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da 80Gb e di ampia compatibilità con i file in formato RAW. È la più recente configurazione tecnica della pluripremiata gamma di Multimedia Storage Viewer di Epson (anche premio TIPA; FOTOgraphia, maggio 2005). La potente memoria di ben 80Gb è adatta e congeniale al proficuo backup di immagini acquisite digitalmente e l’ampio monitor è ideale per il controllo e la gestione delle immagini trasferite. La risoluzione di 640x480 pixel del monitor da 3,8 pollici permette di visualizzare immagini luminose e ad altissima definizione, con una qualità estremamente alta. Inoltre, la tecnologia Epson Photo Fine LCD assicura un’anteprima delle immagini nitida e fedele. Infine, l’LCD ad alta densità offre una concentrazione di pixel molto elevata, per immagini più chiare e definite anche nei minimi dettagli e un rendimento luminoso e cromatico superiore. Gli 80Gb di autonomia consentono di memorizzare fino a diciottomila immagini da sei Megapixel ciascuna, così da non correre mai il rischio di rimanere senza spazio disponibile durante un servizio fotografico.

Trasferimento diretto da memory card CompactFlash (CF) e Secure Digital (SD) e successivo possibile passaggio alla memoria del computer tramite porta USB 2.0, oppure stampa diretta attraverso unità dotate di medesima porta USB. Si possono memorizzare e visualizzare immagini RAW e Jpeg, rivedere video digitali nei formati Motion Jpeg e Mpeg4 e ascoltare file audio in formato MP3 e AAC. (Epson Italia, via Viganò De Vizzi 93-95, 20092 Cinisello Balsamo MI; Nital, via Tabacchi 33, 10132 Torino).

STILE DI VITA. Realizzato dalla casa editrice che da decenni cura la testata di riferimento del commercio fotografico italiano, quel Foto-Notiziario che lo scorso gennaio ha celebrato sessant’anni di pubblicazioni, Digital Life Style è una nuova rivista che si occupa della materia annunciata, parlandone in maniera accattivante. Il mensile si rivolge a un pubblico multiforme, che interpreta l’universo della tecnologia digitale con spirito di dialogo e condivisione della propria passione. La rivista prende atto che non si tratta più di sola tecnologia e finalizzazione delle intenzioni, ma di autentico “stile di vita”, legato alle applicazioni pratiche quotidiane delle versatili tecnologie dei nostri giorni. In questo senso, raccolti nell’edizione di oltre cento pagine mensili, gli argomenti principali identificati (che si annunciano in continua evoluzione) riguardano proprio i vari aspetti della quotidianità digitale, con una marcata preferenza per il tempo libero e l’intrattenimento: fotografia, video, musica, visual art, giochi, viaggi, sport, domotica, internet, telefonia, cinema, Tv, benessere, luoghi “cult”. Il che si traduce in una molteplicità di soggetti, per articoli con contenuti multilivello che spaziano ad ampio raggio. (Digital Life Style, Gruppo Editoriale Mediaspazio, via Melloni 17, 20129 Milano; 02718341, fax 02-714067; www. fotonotiziario.it, www.extendedmedia.it, www.tuttodigitale.it).


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(SCIANNA) ALLO SPECCHIO

G

Giovane di anagrafe, tanto quanto lo è l’interpretazione digitale della stampa fotografica, il Calendario Epson si è già affermato e imposto per il rigore delle proprie scelte, che ogni anno si soffermano su una significativa personalità dell’espressione fotografica italiana contemporanea. Un poco di storia, per chiarire, confermandola, questa rilevazione discriminante. Partita con Giorgio Lotti (autore del 2001), la serie dei Calendari Epson è nata per celebrare sul campo, e nel concreto, le prerogative della stampa a getto di inchiostro. Un fantastico autore, vale la spesa sottolinearlo, del quale si conosce e riconosce la maestria della combinazione dei colori all’interno dello spazio fotografico, è stato scelto per mettere in adeguata evidenza l’insieme delle caratteristiche che formano e compongono un discorso di “qualità” formale. Appunto ribadito dalle tavole del Calendario. Una volta imboccata questa strada, il percorso successivo è stato assolutamente naturale: Franco Fontana e Mario De Biasi (FOTOgraphia, dicembre 2002), altri due autentici maestri della fotografia italiana contemporanea, oltre che del colore fotografico, hanno

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Allo specchio: Praga, 1991 (gennaio).

Allo specchio: Lisbona, 1998 (marzo).

fornito le immagini per le tavole del 2002 e 2003. Così è giocoforza annotare che Epson celebra se stessa nello stesso momento in cui dà peso, visibilità e passerella d’onore alla più solida fotografia italiana d’autore. Personalità confermata con le edizioni 2004 e 2005 di Giovanni Gastel (FOTOgraphia, dicembre 2003) e Mimmo Jodice, prima interpretazione in rigoroso bianconero (d’autore!). Eccoci all’edizione 2006, intitolata Allo specchio. L’originale sguardo di Ferdinando Scianna, il cui valore fotografico non ha più bisogno di presentazioni, si rivela qui in una moltiplicazione di immagini, ora in bianconero, ora a colori. Alla maniera di altre interpretazioni, altre selezioni all’interno della propria vasta produzione fotografica, tra le quali ricordiamo Dormire, forse sognare del 1997, anche l’attuale serie di dodici soggetti di Allo specchio si sofferma su una componente comune, che è appunto la cosciente presenza di un elemento di riflessione (riverbero fisi-

co) all’interno dell’inquadratura. Al centro delle immagini c’è, dunque, lo specchio; e ogni specchio aggiunge alle immagini una dimensione diversa, come un prolungamento spaziale o temporale, una sorpresa. Specchio come apertura spaziale, in gennaio, dove quello che pare un varco che si apre su un nuovo vano, nel monocromatico intersecarsi di linee di una scalinata, si rivela poi essere il riflesso di uno specchio in un interno di Praga (qui sopra). Specchio come fonte di bellezza, in marzo (a sinistra), quando dal preciso delinearsi di cornici di una finestra incastonata nello smagliante verde smeraldo di una porta, le figure femminili appaiono solo come semplici effigi, in uno scorcio di Lisbona. Ancora, specchio come testimone narrante di una realtà già eterna, ancorché mutevole in quanto frammento riflesso, perché impreziosita dalla cornice intarsiata, in un mercato di Bagheria (luglio); o specchio come moltiplicar-


si della realtà, in dicembre (pagina accanto), quando le facciate policrome del Battistero e del Duomo di Firenze si scompongono come in un caleidoscopio. In introduzione, anticipatoria della serie di dodici tavole mensili: «Prima o poi, la realtà deve fare i conti con se stessa. E attraverso uno specchio la nostra percezione diviene estranea e rarefatta, come se il nostro sguardo fosse intimidito da un’immagine che non corrisponde più alle aspettative. Gli specchi di Ferdinando Scianna aggiungono alle immagini una dimensione diversa, come un prolungamento spaziale o temporale, una sorpresa. A volte elementi puramente decorativi e a volte veri e propri testimoni narranti, i frammenti riflessi sono sempre un momento fondamentale di ciascuna fotografia. Un momento, diremmo, di riflessione». In questo caso, non più riverbero fisico ma autentica meditazione e pensiero.

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Oltre i contenuti, la forma (come spesso sottolineiamo, abito conforme e mediazione da non sottovalutare). Come per le precedenti edizioni, anche le tavole del Calendario Epson 2006, illustrate dalla serie Allo specchio di Ferdinando Scianna, ribadiscono i valori della propria produzione sostanzialmente artigianale, che puntualizza l’innovazione tecnologica e di alta perizia della stampa digitale: nuova frontiera della tecnologia, che si propone come interprete preciso e coerente delle scelte stilistiche di un maestro della fotografia contemporanea. In una raffinata veste grafica di grandi dimensioni, firmata come nelle precedenti edizioni da Trait d’Union, sono presentate stampe 20x30cm (su supporto 40x40cm) realizzate da FonteGrafica, che ha curato la realizzazione del Calendario: per la tiratura di milletrecento esemplari, quindicimilaseicento stampe originali prodotte da ink jet

Allo specchio: Firenze, 1986 (dicembre).

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SULLA SCENA DEL DELITTO

C

Certamente, Il collezionista di ossa (titolo italiano dell’originario The Bone Collector del 1999) non è il miglior film dell’attore Denzel Washington, Oscar 2001 per Training Day. Altrettanto certamente, il film ha però il merito di aver affermato definitivamente la personalità cinematografica di Angelina Jolie, coprotagonista della vicenda, che al solito noi osserviamo dal punto di vista squisitamente e solamente fotografico. Il dovere di cronaca, prima dell’approfondimento della combinazione con la fotografia, territorio che sottolineiamo, puntualizzandolo, nella sequenza mirata dei nostri interventi redazionali a tema (sempre supportati da fotogrammi abilmente isolati da Filippo Rebuzzini), si completa con le attribuzioni di rito. Il collezionista di ossa è un film diretto dall’australiano

Nel proprio sopralluogo, l’agente Amelia Donaghy si imbatte in una condizione nella quale deve fare in modo che le proprie fotografie siano utilizzabili scientificamente.

L’agente di Polizia Amelia Donaghy (l’attrice Angelina Jolie) si muove sulla scena del delitto con una monouso Kodak. Siamo nelle sequenze iniziali del film Il collezionista di ossa, nelle quali si delineano i termini della vicenda.

Phillip Noyce (che nella pellicola si riserva un cameo alla Hitchcock, come anonimo e ininfluente cliente di una libreria antiquaria), su sceneggiatura di Jeremi Iacone, dal romanzo omonimo di Jeffery Deaver (1997). Angelina Jolie interpreta la poliziotta del dipartimento di New York City Amelia Donaghy, che entra nella vicenda rispondendo a una chiamata radio. La segnalazione originaria riguarda un bambino spaventato, che si è rivolto alla Polizia senza entrare in dettagli. Vicina al luogo da dove il bambino ha chiamato, l’agente Amelia Donaghy va in suo soccorso lungo un binario secondario, di collegamento, della linea ferroviaria Amtrak. Qui, incontra il bambino (Chris; nel cast Christian Veliz), che senza aprire bocca le indica un’area poco distante. Avvicinatasi, l’agente individua prima dita di una mano che sbucano dal terreno; smuovendo sassi e detriti porta alla luce un volto e, quindi, sulle traversine dei binari, intravede altri segni/indizi di un delitto. Questa è esattamente la condizione da cui parte la narrazione cinematografica, che porta l’agente Amelia Donaghy a collaborare strettamente con il noto criminologo forense Lincoln “Linc” Rhyme (l’attore Denzel Washington), paralizzato a letto a seguito di un precedente attentato terroristico. Insieme, i due risolvono un intricato caso di raccapriccianti omicidi, perpetuati a Manhattan da un serial killer (che per l’appunto si richiama a un fantomatico “collezionista di ossa”), che lascia dietro di sé una lunga scia di messaggi sulla scena di ogni crimine, che gli investigatori sono chiamati a interpretare e decifrare. La fotografia ha un ruolo sostanzialmente secondario, tale da non essere elevata a autentica coprotagonista (come abbiamo invece annotato in altre occasioni analoghe, a questa precedenti). Tutto si risolve in pochi istanti, e altrettanto avare battute, all’inizio del film, quando l’agente di polizia Amelia Donaghy arriva sulla scena del delitto e si ren-

de presto conto che la pioggia potrebbe alterare gli indizi e il messaggio in codice lasciato dall’omicida. Con prontezza di spirito, coinvolge il piccolo Chris, abilmente responsabilizzato: «Ho un compito per te», gli dice. «È importante. Ti do i soldi; devi andare a comperare una di quelle macchine fotografiche da poco... sai di quelle usa e getta. Bravo, più presto che puoi». Con una monouso Kodak, inconfondibile nelle proprie finiture giallo caldo, l’agente Amelia Donaghy (l’attrice Angelina Jolie, ribadiamo) scatta una serie di fotografie della/sulla scena del delitto (così come vediamo fare in tanti altri film e telefilm a tema; a partire dalla serie cult CSI, nella duplice versione Las Vegas, originaria, e Miami, cui dovrebbe fare seguito una ulteriore am-

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Serve un riferimento dimensionale certo, per poter decifrare in modo corretto le tracce sulla scena del delitto. Si fa di necessità virtù: l’agente cerca una banconota da un dollaro, da inserire nella propria inquadratura.

bientazione a New York). Facendo di necessità virtù, non manca la sistemazione di una banconota da un dollaro accanto a un’impronta sul terreno, finalizzata alla restituzio-

Posata accanto all’impronta sul terreno, la banconota da un dollaro (di dimensioni conosciute) fa da riferimento certo per la successiva ricostruzione delle dimensioni dell’impronta trovata sulla scena del delitto.

ne dimensionale del soggetto (qui sopra). Ovviamente, la piccola monouso svolge bene il proprio compito, nonostante gli addetti ed esperti sappiano che le sue possibilità tecniche non sono proprio mirate alla fotografia a distanza sostanzialmente ravvicinata. Piccola e ininfluente alterazione dal vero (reale) che si è concessa la sceneggiatura cinematografica. Da parte nostra, al solito e come sempre, rileviamo il compiacimento per una garbata citazione: monouso Kodak Solo un rammarico, se proprio

vogliamo esprimerlo. È lo stesso di sempre: riguarda la disattenzione, distrazione e non partecipazione di chi di dovere (ci riferiamo all’industria fotografica nel proprio complesso), che mai fa tesoro di questi coinvolgimenti, che senza la nostra puntualizzazione finirebbero in un dimenticatoio senza sbocco. Invece, la sostanza della socialità della fotografia, cui teniamo molto, si edifica anche con queste sfumature e graziosità. M.R. Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini



IMMAGINI DEL DOLORE

E

Esposte in due sedi ravvicinate, a Palazzo Magnani di Reggio Emilia e Palazzo dei Principi di Correggio, nella stessa provincia, cinquecento immagini hanno documentato gli ambienti e la vita all’interno degli ospedali psichiatrici: fotografie distribuite sull’arco di cento anni. Dall’inizio di novembre fino allo scorso 22 gennaio, la rassegna Il volto della follia. Cent’anni di immagini del dolore ha offerto una panoramica esaustiva di un fenomeno quantomeno controverso, al quale, in tem-

pi e con intendimenti diversi (spesso contrastanti) la fotografia ha dato commossa testimonianza, ma anche complice avvallo e protezione (occorre dirlo). Curata da Sandro Parmiggiani per la Provincia di Reggio Emilia e il Comune di Correggio, in collaborazione con il Centro di Documentazione di Storia della Psichiatria, la mostra è stata realizzata con il sostegno di Fondazione Pietro Manodori, CCPL Reggio Emilia, e Interacciai Reggio Emilia. Il percorso espositivo, che esprime una pietas e una commossa partecipazione e solidarietà, è stato diviso in quattro sezioni. Nella prima, Memorie dalla “città dei matti”, sono state presentate le fotografie scattate, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, ai ricoverati nel San Lazzaro di Reggio Emilia, il grande manicomio alla periferia della città, che arrivò a ospitare più di duemila persone, e quelle che hanno documentato la vita e gli ambienti di questa “città della follia” (qui

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sopra e a sinistra). Tanto sostanzioso corpo è stato preceduto dalle iconografie fotografiche da La Salpêtrière (1876-1877; ai tempi dipendenza psichiatrica dell’Hôspital général de Paris), presenti nella Biblioteca del manicomio reggiano, e seguito dalle immagini che Vasco Ascolini ha scattato negli ultimi anni nei luoghi, ormai vuoti e desolati, dei manicomi italiani, con le relative memorie di sofferenze e dolore (pagina accanto). Ancora all’interno di questa sezione sono stati collocati cinque dipinti di grandi dimensioni (240x180cm e 180x100cm), rielaborazioni pittoriche su base fotografica di volti di ricoverati al San Lazzaro (in alto, a destra), espressamente eseguiti per l’occasione da Giovanni Sesia sull’onda delle proprie originarie Questioni di memoria, realizzate a partire da lastre di vetro dell’archivio di un manicomio lombardo dei primi del Novecento. Ci spiace soltanto annotare la mancanza, in questo panorama introduttivo, della concreta e particolare testimonianza di Emilio Tremolada, che nel 1981 realizzò toccanti e coinvolgenti immagini per una storia della psichiatria, raccolte anche in mostra e nel corrispondente catalogo Una perfezione manicomiale. Si trattò di un lavoro fotografico anticipatorio di altre e successive visioni sul medesimo passato, che raramente, occorre ammetterlo, si sono espresse con altrettanta convinta partecipazione.

Ritratto realizzato per la compilazione dei registri dei degenti al San Lazzaro, redatti in ordine cronologico di ingresso e completi dei dati di identificazione del malato e della diagnosi. Sono stati recuperati due album, rispettivamente datati 1904 e 1905-06, contenenti fotografie scattate da Emilio Poli alla fine dell’Ottocento e successivamente da Giovanni Morini. Gruppo di donne degenti al San Lazzaro di Reggio Emilia fotografate nel 1892 (circa) da Emilio Poli, guardarobiere presso la stessa istituzione, cui si deve una lunga serie di immagini dall’interno delle mura. (in alto, a destra) Rielaborazione pittorica su base fotografica dall’album dei ricoverati al San Lazzaro (240x180cm), realizzata da Giovanni Sesia.

Quindi, a seguire, I manicomi svelati ha presentato immagini riprese, dalla metà degli anni Sessanta, all’interno dei manicomi italiani da vari fotografi, tra cui Luciano D’Alessandro (pagina accanto), Gianni Berengo Gardin (a pagina 24), Carla Cerati (ancora a pagina 24), Uliano Lucas, Ferdinando Scianna, Gian Butturini e Raymond Depardon, che con il proprio lavoro hanno sollecitato la sensibilità sul problema dell’esclusione e delle condizioni di vita delle persone rin-

Il volto della follia. Cent’anni di immagini del dolore; a cura di Sandro Parmiggiani; Skira, 2005 (Palazzo Casati Stampa, via Torino 61, 20123 Milano; 02-72444-1, fax 02-72444219; www.skira.net, skira@skira.net); 434 illustrazioni; 432 pagine 24x28cm, cartonato con sovraccoperta; 60,00 euro.


Dalla serie realizzata da Vasco Ascolini nei luoghi vuoti e desolati di ex manicomi italiani, densi delle memorie di antiche sofferenza, due visioni: ospedale psichiatrico di San Lazzaro, Reggio Emilia (1996) e ospedale psichiatrico di Roma (1998).

cia, da Bruno Cattani, Marcello Grassi e Kai-Uwe Schulte-Bunert (a pagina 24). Ed è stato presente un sesto dipinto di Giovanni Sesia, oltre i cinque allestiti nella prima sezione: una ulteriore rielaborazione pittorica su base fotografica, a partire da una delle immagini di Bruno Cattani (ancora a pagina 24). Il percorso si è chiuso con la quarta sezione Prigioni e rifugi, nelle terre del mondo, realizzata in collaborazione con Enrica Viganò, nella quale sono stati riuniti reportage realizzati in cinque paesi per documentare sia le condizioni disumane in cui tanti internati sono ancora tenuti sia i tentativi di dare risposte “civili” al

Fotografie riprese nel 1965 da Luciano D’Alessandro nel manicomio Materdomini di Nocera Superiore, in provincia di Salerno.

chiuse nei manicomi. Riviste oggi, dopo le antiche presentazioni originarie, soprattutto in monografie fotografiche di grande impatto visivo, non soltanto per l’epoca, queste fotografie conservano ancora la propria personalità di partenza. Con il proprio avvicinamento pietoso ai soggetti, così diverso dalle documentazioni dei decenni precedenti, alcune delle quali presentate nella prima sezione Memorie dalla “città dei matti”, ribadiscono il clima di impegno sociale che caratterizzò quella fantastica stagione, nella quale ognuno si proiettava sulla vita per influire sulle scelte “politiche”

dell’esistenza. Ognuno lo faceva con i propri mezzi e le proprie competenze, per esempio con la fotografia (appunto!). Protagoniste della terza sezione, Al di là delle mura, tra le persone, sono state fotografie scattate dopo l’approvazione della Legge Basaglia (1978) e la chiusura dei manicomi italiani, che documentano i tentativi, spesso difficili, di dare risposte alternative al problema dello squilibrio psichico, con particolare attenzione ai volti di chi vive questa situazione e ai luoghi, ormai abbandonati, degli ex-manicomi, alla ricerca di tracce di presenze umane, attraverso le immagini di Uliano Lucas, Roberto Salbitani, Enzo Cei, Philippe Tournay, John Darwell, Giordano Morganti, Marco Fantini, e Ilaria Turba. In questa sezione sono state allestite anche le immagini scattate nell’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia, ora di proprietà della Provin-

problema dello squilibrio psichico: manicomio di Joqueri, Brasile (Claudio Edinger); ospedale psichiatrico René Vallejo, Cuba (Adam Broomberg e Oliver Chanarin); manicomio di Leros, Grecia (Alex Majoli; a pagina 24); sezione speciale dell’ospedale per persone con disturbi psichici di Stoccolma, Svezia (Anders Petersen); e manicomio di Kaohsiung, Taiwan (Chien-Chi Chang). Chiusi i battenti dell’esposizione, all’interno della quale sono stati anche proiettati film e documentari sull’argomento e si sono svolti incontri a tema, l’imponente e delicata raccolta di documenti visivi è riunita in un efficace e ricco volumecatalogo pubblicato da Skira. Oltre la selezione delle immagini, presentate nella medesima cadenza e sequenza della mostra emiliana, e gli immancabili apparati, la monografia Il volto della follia. Cent’anni di immagini del dolore è impreziosita da una sostanziosa serie di contri-

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Dalla sezione Al di là delle mura, tra le persone, fotografia di Bruno Cattani scattata all’interno dell’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia nel 2004 e relativa interpretazione pittorica di Giovanni Sesia (2005; 150x100cm).

buti che affrontano sia la condizione manicomiale sia la combinazione con e della fotografia. In tutto, quindici saggi di approfondimento di alto valore. Proprio il volume, che sopravvive nel tempo all’esposizione degli originali fotografici (della quale, per oggettivi condizionamenti temporali, non abbiamo potuto dare tempestiva segnalazione), allunga in avanti l’influenza della commovente sequenza del Volto della follia, che si propone come consistente analisi del valore fondamentale della fotografia, che è appunto quello di attestare il presente verso il futuro, in modo che il passato non sia solo tale, passato, ma innegabile esistenza. Come abbiamo spesso annotato, e anche accennato in apertura, la fotografia è sempre libera e trasparente, a disposizione delle intenzioni di chi la applica.

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(a sinistra) Ospedale Psichiatrico di Parma. Fotografie del 1968 di Gianni Berengo Gardin e Carla Cerati. (in basso, a sinistra) Ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario, Reggio Emilia: fotografia di Kai-Uwe Schulte-Bunert (2005) dalla sezione Al di là delle mura, tra le persone.

Nello specifico dell’argomento: da tragico casellario antropometrico a toccante testimonianza. Senza soluzione di continuità? M.R.

Condizione manicomiale oggi. Dal reportage di Alex Majoli all’interno del manicomio dell’isola greca di Leros (1999), uno dei cinque presentati nella sezione Prigioni e rifugi, nelle terre del mondo. Alex Majoli ha registrato il cammino che ha ridato libertà ai reclusi di Leros, dove nel 1990 è arrivata la filosofia di Franco Basaglia.


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A

TRACCE DI VITA

Alla ricerca del tempo (passato). Protagonista di Frammenti domestici tra memoria e oblio è la casa, ricettacolo di memorie e affetti, riverbero dell’anima dei propri abitanti, anche quando costoro se ne sono andati. Ispirandosi a queste considerazioni, Alessandro Vicario (classe 1968) ha fotografato due abitazioni ormai pressoché spoglie, perché private della persona che vi ha vissuto: la nonna Jole, di recente scomparsa, con cui ha trascorso parte della propria vita. In due tempi distinti, nel 1999 nel bilocale milanese in via Sant’Abbondio 11 e nel 2000 e 2001 nell’appartamento toscano di via Solferino 80, a Chian-

(in basso, a sinistra) Pavimento dell’ingresso, via Solferino 80, Chianciano; 2000 e 2001 (100x120cm). (al centro) Schienale della sedia della nonna in cucina, via Sant’Abbondio 11, Milano; 1999 (32x40cm).

Porta d’ingresso, via Sant’Abbondio 11, Milano; 1999 (25x2cm). Parete della cucina a sinistra della porta-finestra del balcone, via Sant’Abbondio 11, Milano; 1999 (128x102cm).

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ciano, in provincia di Siena, l’autore è entrato in queste case prossime a cambiare definitivamente aspetto e le ha osservate come un corpo che reca ancora incise le tracce del vissuto della nonna amata. Su una parete dipinta di celestino scorge l’impronta di un quadro, che è stato appena tolto; sulla porta di ingresso nota che il tempo ha quasi stampato nel legno il cognome della nonna. Mosso dal desiderio di fissare ogni ricordo, realizza una serie di frammenti visivi, dove ogni cosa viene ripresa in modo frontale e rigoroso, conservandone le stesse dimensioni. Espressione di una moderna pietas e nate da una sincera urgenza emotiva, le immagini trasformano ogni elemento di queste case (le pareti, i resti dei vecchi mobili, i pavimenti di graniglia) in presenze “emozionali”, che superano l’aspetto autobiografico. Le immagini invitano a immaginare le antiche presenze nei luoghi e si propongono come una riflessione sulla memoria e gli affetti, sul tempo che si deposita tra le pareti domestiche e dentro di noi. Dal testo critico Fotografie della

memoria e della prossimità della curatrice Gigliola Foschi: «Notizie e immagini che si moltiplicano le une sulle altre fino a cancellarsi dentro un vortice confuso e senza sosta. Volti che ci parlano ma rimangono indifferenti, pronti a sparire in un lampo dalla nostra memoria. Rumori di fondo che si ampliano fino a nascondere ogni brandello di silenzio. La nostra società avanza fragorosa, come protesa a inghiottire il passato, le esperienze sedimentate nel tempo, i piccoli ricordi, gli affetti che non si traducono in utilità. Eppure mai come oggi molta arte contemporanea -come se fosse attraversata da un tenace desiderio di resistenza- insiste sul ricordo, s’impegna a far riemergere il passato, a ricavare spazi di silenzio in cui riudi-


re il brusio delle cose, anche quelle in apparenza più insignificanti. Dentro il cerchio magico e protettivo di questa arte, i rumori e la fretta sembrano banditi, il tempo sospeso. Qui trovano nuovamente spazio domande antiche e inattuali: “Come possiamo affrontare la perdita di una persona amata? Come possiamo conservare il ricordo della sua vita dopo la morte?”. «Alessandro Vicario si pone proprio questi interrogativi e scopre che le tracce materiali legate alla vita della nonna amata, da poco scomparsa, presto svaniranno: la casa di Milano, dove ha passato gli ultimi suoi anni, tra breve verrà venduta e subentreranno nuovi inquilini; mentre la vecchia casa di villeggiatura di Chianciano, nella quale Alessandro aveva trascorso lunghi mesi estivi assieme alla nonna, verrà a propria volta presto ristrutturata, imbiancata e ripulita. Così, prima che sia troppo tardi, Alessandro Vicario rientra nelle due case ormai spoglie,

prive di quasi tutti i mobili, ma non delle tracce di una vita e del tempo depositate sulle pareti domestiche, sui pavimenti, sugli stipiti delle porte. Con attenzione e pazienza osserva oggetti, segni, ombre, prima parzialmente nascoste dall’uso. [...] Nel silenzio ovattato della casa deserta fotografa con cura meticolosa queste piccole tracce di un’esistenza amata, nel tentativo ostinato di fissare ogni ricordo, ogni traccia del suo vissuto». In mostra, un particolare allestimento espositivo evoca in modo essenziale le stanze delle due case riprese da Alessandro Vicario. La sequenza di Frammenti domestici tra memoria e oblio si propone come percorso nel quale, a partire dalle fotografie allestite, lo spettatore è invitato a immaginare gli interni fotografati e a compiere un viaggio nel tempo della memoria: stampe a colori montate al vivo su supporto rigido, nelle quali il soggetto è riprodotto a grandezza naturale.

Via Solferino 80, Chianciano; 2000 e 2001: finestra della camera mia e della nonna, (157x117cm); e pavimento della camera mia e della nonna, sotto la finestra (55x69cm; in alto).

Catalogo edito da Gruppo Immagine: a cura di Gigliola Foschi; testi di Mariadele Conti, Gigliola Foschi, Roberto Signorini e Alessandro Vicario. A.G. Alessandro Vicario: Frammenti domestici tra memoria e oblio. A cura di Gigliola Foschi. Centro Arti Visive Pescheria, corso XI settembre 184, 61100 Pesaro; 0721-387651, 0721-387652; centroartivisive@comune.pesaro.ps.it. Fino al 19 febbraio; martedì-domenica 17,30-19,30.

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Federico Cedrone

dall’età di tre anni, trasferitosi a Firenze alla fine degli studi, Federico Cedrone

Classe 1968, nato a Salisbury,

ha seguìto le orme del padre Danilo,

in Rhodesia (attuale Harare, capitale

fotografo. Dopo un periodo iniziale

dello Zimbabwe), dove i genitori

al suo fianco, in un momento di grande

dirigevano una farm, cresciuto a Roma

fervore e cambiamenti nell’ambito della fotografia professionale, si è stabilito a Milano, per lavorare negli studi

Sulla solida base della doppia esperienza

derna e accattivante idea di rappresenta-

punto di vista, offrendogli nuovi stimoli per

originaria, prima affianco del padre Dani-

zione fotografica della moda). Nel 1996,

ricercare un linguaggio fotografico ancora

lo, subito a seguire nelle sale di posa Edi-

un anno dopo l’incontro con Cristiana, sua

più personale e un nuovo modo racconta-

moda, Federico Cedrone si è orientato nel

compagna di vita, si attiva la collaborazio-

re atmosfere leggere e sognanti, vicine al

mondo della moda, indirizzandosi allo still

ne con Elle Decor, che permette a Fede-

suo stato d’animo e alle sue emozioni.

life e al ritratto (straordinarie interpretazio-

rico Cedrone di approfondire la propria

Questa è la chiave interpretativa del lavo-

ni, profondamente trasformate proprio

predisposizione (e passione!) per l’arreda-

ro fotografico di Federico Cedrone, che

dalle redazioni di Donna e Mondo Uomo,

mento e l’architettura.

spesso riguarda i propri scatti per decifra-

sulle cui pagine patinate è nata la più mo-

Tra pubblico e privato (nel 1997 nasce Bianca e l’anno dopo Matilde), si alternano eventi che cambiano profondamente il suo

A / D i m a g i n g s r l • v i a l e S a b o t i n o 4 , 2 0 1 3 5 M i l a n o • 0 2 - 5 8 4 3 0 9 0 7,


fotografici di Edimoda, la leggendaria

la possibilità di raccogliere

casa editrice di Donna e Mondo Uomo,

tali testimonianze, potrebbero raccontare

due testate che hanno radicalmente

l’evoluzione e trasformazione

trasformato la fotografia di moda.

dell’illustrazione redazionale

In quelle sale di posa, che se esistesse

e pubblicitaria, ha lavorato fianco a fianco con i più grandi fotografi di moda del momento.

re esattamente il proprio stato d’animo.

le; dall’interazione di soggetti animati con

scrivano un’atmosfera particolare, o un

Attualmente collabora sia con redazioni di

oggetti o/e ambienti all’uso del computer

racconto avvincente. Dopo aver sperimen-

moda e arredamento, sia con clienti diretti.

per creare combinazioni grafiche che esal-

tato ogni tipo di pellicola e formato di ri-

Dal punto di vista espressivo, Federico Ce-

tino le caratteristiche del soggetto.

presa, dal 35mm alle piane 20x25cm, dal-

drone ha attraversato fasi alterne e spes-

In stretta attualità, la sua ricerca punta sul-

l’emulsione polaroid alla diapositiva, inter-

so sovrapposte: dalla descrizione dei sog-

la creazione di un racconto attraverso una

pretata anche con le infinite possibilità dei

getti disegnati e avvolti da un bianco as-

immagine o una serie di immagini che de-

trattamenti di sviluppo modificati, si muo-

soluto all’esaltazione di forme, materie e

ve ora nell’universo digitale. Sulla sua Has-

trame tramite riprese ravvicinate, tagli gra-

selblad H1, il dorso digitale Leaf Aptus 75

fici e l’applicazione della sfocatura zona-

ha appena sostituito il precedente Valeo 22. Per la gestione, immancabile il Macintosh G5 Dual Processor. www.cedrone.it.

f a x 0 2 - 5 8 4 3114 9 • w w w. a d i m a g i n g . i t • i n f o @ a d i m a g i n g . i t


Nick Ut (Wppy 1972), Anthony Suau (Wppy 1987), David Burnett (Wppy 1979) e Larry Towell (Wppy 1993).

C

elebrazione. Un corposo volume di quattrocento pagine (circa), Things As They Are, che racconta cinquant’anni di fotogiornalismo, la mostra omonima curata con amore e competenza da Christian Caujolle, un piccolo album, Fifty Years World Press Photo, con le quarantasette fotografie che hanno vinto il primo premio dal 1955 (il World Press Photo non è stato assegnato in tre occasioni, nel 1959, 1961 e 1970), un film-documentario, Looking for an Icon, e una serie di francobolli commemorativi emessi delle Poste Olandesi rappresentano le preziosità preparate dallo staff del World Press Photo per celebrare il proprio importante compleanno: cinquant’anni dalla creazione della Foundation, che nei decenni si è affermata come riferimento principale e d’obbligo del fotogiornalismo internazionale. Ma, si sa, i compleanni non si festeggiano da soli. Così, perché la festa fosse più grande, da tutto il mondo sono stati invitati ad Amsterdam un centinaio di personaggi che lavorano e operano nel fotogiornalismo.

PICCOLA CRONACA Tutti arrivano già per l’ora di pranzo, venerdì sette ottobre. Il meeting point è una grande hall con terrazza che dà sul porto di Amsterdam, in una parte nuova della città, dove costruzioni semplici e razionali, che si affacciano su strade disegnate dagli alberi, caratterizzano un intelligente progetto urbano di espansione. Per arrivare, abbiamo preso il tram numero 10, uno dei tanti tram bianchi e blu che portano dappertutto con rapidità, e adesso siamo seduti a lunghi tavoli. L’atmosfera è assolutamente informale. Si mangiano sandwich con tonno, cipolle, pollo e formaggio. Il vino, bianco e rosso, è francese. L’acqua, liscia o frizzante, olandese. Di fronte a me c’è David Turnley, per due volte vincitore del World Press Photo, nel 1988 e 1991 (come il giapponese Kyoichi Sawada, che ha vinto nel 1965 e 1966, e James Nachtwey, che è stato premiato nel 1992 e 1994). David Turnley ha vinto anche il Pulitzer nel 1990. Al mio fianco, Grazia Neri, grande star della fotografia, Elena Ceratti, dello staff dell’Agenzia Grazia Neri, e Chiara Mariani, photo editor del Magazine del Corriere della Sera. Tra i pochi altri italiani in giro, è doveroso citare Roberto Koch, patron dell’Agenzia Contrasto.

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CELEBRAZIONE WORLD PRESS










Impaginati in chiave fotogiornalistica, stile magazine, i dieci francobolli olandesi della serie commemorativa dei cinquant’anni di World Press Photo, da trentanove centesimi ciascuno, propongono una selezione di immagini premiate nel corso dei decenni. L’emissione filatelica è anche riunita in una cartellina di presentazione, comprensiva di elementi aggiuntivi e di complemento.

Questa conversazione sul futuro del fotogiornalismo è l’unico neo di tutto il finesettimana, ma il livello torna alto la sera di sabato, quando viene presentato il breve film-documentario Looking for an Icon, preparato dalla televisione olandese idtV con il patrocinio della World Press Photo Foundation. Nel film, che dura cinquantadue minuti e che dovrebbe essere distribuito nelle sale cinematografiche del mondo intero (sarà poi vero o possibile?; comunque è stato già realizzato il DVD), vengono intervistati photo editor, fotografi e storici della fotografia, come John G. Morris, Oliviero Toscani, Fred Ritchin, Charlie Cole e David Turnley. Il tema svolto è: perché un’immagine diventa un’icona? Le risposte sono varie. «Perché è un simbolo dell’ideologia occidentale, l’eroe individuo che può vincere una guerra, la lotta di Davide contro Golia», dice David Perlmutter dell’università di Washington, riferendosi espressamente alla fotografia di Charlie Cole del ragazzo di fronte ai carri armati in piazza Tiananmen. «Perché non contiene troppa informazione», sostiene invece Geoffrey Batchen, professore di storia della fotografia all’università di Sidney; «Deve essere semplice e non prestarsi a un vasto campo di interpretazioni». «Perché è un oggetto che puoi tenere tra le mani e continuare a guardare, e non un’immagine televisiva», annota Frank Fournier, autore della fotografia che vinse il WPP nel 1985, nella quale si vede Omayra Sanchez, la bimba di dodici anni rimasta imprigionata nei detriti generati dall’eruzione del vulcano Nevado del Ruíz, in Colombia, che morì dopo sessanta ore di agonia. «Perché rappresenta un pezzo della storia dell’uomo», afferma perentoriamente Oliviero Toscani. «Perché più se ne parla e più viene pubblicata, più resta impressa nella memoria», dice il fotografo argentino Diego Goldberg, presidente della giuria del World Press Photo nel 2004. La risposta evidentemente non è unica, perché ogni fotografia diventa un’icona per motivi che sono specifici suoi e ogni storia è diversa da un’al-

TRENTA E QUARANTA

D

ieci e venti anni fa, il World Press Photo, approdato oggi ai cinquant’anni di premi al fotogiornalismo internazionale, ha celebrato i propri trenta e quarant’anni con rispettive edizioni librarie retrospettive. A differenza dell’attuale Things As They Are, che riflette proiettandosi sulle decadi attraversate (ripetiamo: approfondiremo sul prossimo numero di FOTOgraphia), Occhio testimone - World Press Photo: trent’anni di storia (a cura di Robert Pledge, con testi di Furio Colombo, per la collana La fotografia vista da, diretta da Daniela Palazzoli; Bompiani, 1988) e This Critical Mirror (a cura di Stephen Mayers, introduzione di Sebastião Salgado; Thames & Hudson, 1996) hanno concentrato le proprie attenzioni al solo svolgimento del Premio, estendendo le proprie visualizzazioni alle fotografie vincitrici delle diverse sezioni dello stesso World Press Photo. «Il miracolo delle fotografie, della fotografia in generale, è che possono essere trasmesse a chiunque senza bisogno di una traduzione. Sono la più pura espressione dell’umanità, il suo linguaggio universale e il suo specchio critico. Dobbiamo cercare di non sfuggire a ciò che vediamo riflesso in questo specchio. Dobbiamo accettarlo e rispettarlo, in modo da poter prendere parte all’evoluzione della società, e al suo processo di cambiamento», annota Sebastião Salgado nell’introduzione a This Critical Mirror. «Le immagini scattate a partire dal 1956 e raccolte negli archivi della World Press Photo Foundation -continua Sebastião Salgado- ricostruiscono una parte della storia del mondo negli ultimi quattro decenni. Sollecitano domande importanti, tanto semplici quanto ovvie, nella mente di coloro che le osservano. Ognuno a proprio modo, noi fotografi fungiamo da collegamento tra diverse parti della Terra. Il nostro lavoro ci porta in luoghi dove gli altri non possono andare, affinché noi possiamo mostrare ciò che gli altri non potrebbero altrimenti vedere. Il fotoreporter è lo specchio critico del mondo». Diciamolo: uno specchio che riflette più di quello che appare. Della gente, le fotografie mostrano solo aspetti evidenti, che ciascuno di noi può vedere e toccare: il corpo. Invece i pensieri, le emozioni, la felicità e l’angoscia non stanno sulla superficie della stampa, sulla pagina del giornale. Apparentemente invisibili, apparentemente fuori dalla portata della macchina fotografica finiscono per delinearsi in quelle immagini che più di altre non si esauriscono con la sola parvenza dei fatti. Per questo, osservando le fotografie del fotogiornalismo ciascuno di noi può approfondire la visione della vita.

tra. La conclusione è lasciata a ognuno di noi. Alla fine della proiezione, riaccese le luci in sala, comincia la solita baldoria con vino e musica assordante, che spesso chiude, ahimè, questo tipo di manifestazioni. Lasciate che concluda affermando, da vecchio marpione della fotografia, che queste di Amsterdam sono state due giornate fantastiche, che riconciliano con l’ingrato lavoro di redazione. Sicuramente sono occasioni in cui si riesce a far bottino di saggezza. Molta di questa saggezza ti penetra dentro e non è facilmente definibile. Altra, invece, si riesce a esprimere in poche parole, come questa definizione che non ricordo più neppure dove l’ho sentita: “La fotografia non è mai verità, ma un oggetto fisico che è quasi verità. Noi usiamo questi oggetti per cercare di capire quale realmente possa essere la verità”. Lello Piazza

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FRANCESCO SINCICH Il paese dei Somali

Francesco Sincich, antropologo, collabora da anni con la Graffiti, attraverso l’Associazione Culturale Ghazala di Genova, per la realizzazione di Mostre Fotografiche con scopi umanitari. È attualmente impegnato in missioni antropologiche per Mèdecins Sans Frontières. Le fotografie di questa Mostra si riferiscono, appunto, a una di queste missione in Somalia, svoltasi nel 2003 a Marere e Galkayo. Fotografie di uomini, donne, bambini di un paese rimasto per tredici anni senza governo, che cerca faticosamente di uscire da una delle più tragiche “guerre dimenticate” degli ultimi decenni.

Sabato 25 - 02 - 2006

Workshop di Roberto Rocchi Franco Marocco Arpad Kertesz

Per iscrizioni telefonare al numero 06 5344764


ANCORA NEWTON E AVEDON A un anno dalla loro scomparsa, due monografie confermano e continuano

l’epopea fotografica di due significativi autori. Con costruzione e intendimenti diversi, e senza punti oggettivi in comune, Playboy Helmut Newton e Woman in the Mirror di Richard Avedon sono raccolte che danno merito ai rispettivi modi di intendere l’immagine. Da una parte, una dichiarata rivisitazione d’archivio; dall’altra, una consistente esplorazione retrospettiva Playboy Helmut Newton; presentazione di Hugh M. Hefner, introduzione di Walter Abish, postfazione di Gary Cole; Mondadori, 2005; 160 fotografie; 176 pagine 22,8x30cm, cartonato con sovraccoperta; 35,00 euro. Woman in the Mirror, fotografie (1945-2004) di Richard Avedon; presentazione di Norma Stevens, saggio di Anne Hollander; Harry N. Abrams, 2005; 125 fotografie bianconero e 10 a colori; 248 pagine 28x35,5cm, cartonato con sovraccoperta; 65 dollari.

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Da Amanti ( Loving Ladies); febbraio 1977 (inedito); modelle Sylvie Bernard e Prunellia Favaron. Da Al vostro servizio (At Your Service); agosto 1993 (inedito); modella Eva Tettamanti.

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A

rrivate simultaneamente in libreria, Playboy Helmut Newton e Woman in the Mirror di Richard Avedon sono due monografie d’autore che impongono subito una propria considerazione coincidente, che le accomuna. In stretti termini temporali, si tratta delle prime edizioni librarie postume dei due grandi fotografi contemporanei, entrambi mancati nel 2004, a pochi mesi di distanza uno dall’altro (in un anno nel quale sono scomparse otto figure significative del firmamento fotografico internazionale, come approfondito in FOTOgraphia dello scorso febbraio 2005; oltre i due fotografi appena ricordati, su cui stiamo per soffermarci: Henri Cartier-Bresson, Susan Sontag, Francesco Scavullo, Eddie Adams, Carl Mydans e George Silk). Così che, i due volumi finiscono per essere definiti quantomeno da un minimo comune denominatore indissolubile, che sollecita una prima considerazione iniziale. Altre, individuali e singole, a seguire. La domanda che ci si pone subito non è né polemica né intrigante, come potrebbe apparire a

una lettura sfalsata, a una lettura non sintonizzata. Non speciosamente, ma per schiettezza e trasparenza intellettuale ci si può domandare fino a che punto i due autori sarebbero stati d’accordo su queste edizioni che, guardacaso, rappresentano una evidente e dichiarata rilettura d’archivio (anche se il caso Avedon, come stiamo per vedere, è assolutamente diverso da quello Newton). Da una parte, amaramente, si potrebbe essere in qualche modo pessimisti. Indipendentemente dal valore e contenuto delle singole opere, non necessariamente di queste due soltanto, che prendiamo a pretesto, si potrebbe pensare che “una volta che sei morto, è questa la fine che fai”... tra mani altrui. Dall’altra, non è lecito pensarla soltanto in questo modo. Ovvero, è più legittimo, sacrosanto addirittura, ragionare nei termini che, una volta esaurita la propria parabola esistenziale, ciascun artista (non solo fotografo) si consegna inevitabilmente alla Storia, alle letture e riletture, alle riedizioni. Così che, è conveniente, coerente e onesto stabilire la linea demarcatoria, filologica addirittura, tra ciò che l’autore ha potuto controllare in proprio e quanto viene realizzato all’indomani della sua scomparsa, dove possono anche trovare ospitalità allestimenti del tipo “il meglio di”. Ecco, quindi, il senso stesso di due prime edizioni postume, che raccolgono e raccontano fotografie d’archivio (inevitabilmente d’archivio) di Helmut Newton e Richard Avedon, riunite secondo intenzioni dei curatori di turno (con un distinguo essenziale nel caso di Avedon). Prese le doverose distanze con quanto si limita al solo sfruttamento di emozioni, popolarità e richiami (e non ci pare che i titoli di Helmut Newton e Ri-


ALTRO PLAYBOY (CINQUANT’ANNI)

E

splicitamente riferito, Playboy Helmut Newton sollecita la segnalazione di altre edizioni librarie che sintetizzano, ciascuna a proprio modo, la lunga parabola editoriale del celeberrimo mensile statunitense. Soprattutto in tempi recenti, ci sono stati titoli che hanno raccolto e raccontato le tappe di una vicenda avviata nell’inverno 1953. Tra questi, merita una segnalazione particolare Il libro delle Playmate, pubblicato in italiano dall’editore tedesco Taschen, autentico omaggio alle ragazze Centerfold, quelle che ammiccano dal paginone centrale, senza veli e cariche di malizia (384 pagine 22,8x30cm, cartonato con sovraccoperta; FOTOgraphia, settembre 1999). Quindi, sottolineiamo che a scadenze temporali canoniche, il mensile Playboy si è sistematicamente autocelebrato. Prima del recente cinquantenario del dicembre 2003, al quale stiamo per riferirci, ci sono state le tappe dei dieci, quindici, venti, venticinque, trenta e quarant’anni, raggiunti i quali, il numero di gennaio dei relativi anni è stato confezionato con edizioni speciali. In generale, ogni fascicolo ha ripercorso la propria storia, andando a ufficializzare aneddoti e cifre statistiche, che hanno composto anche il corollario di rispettive ulteriori, consistenti edizioni librarie. In questo senso, sorvolando su un antecedente The Playboy Book - Forty Years (General Publishing Group, 1994; 368 pagine 22,8x30cm, cartonato con sovraccoperta), vanno ricordate tre iniziative legate e collegate ai cinquant’anni della testata, raggiunti nel dicembre 2003. Rispettivamente: The Playboy Book - Fifty Years (a cura di Gretchen Edgren; Taschen, 2005; 480 pagine 22,8x30cm, cartonato con sovraccoperta; 29,90 euro), Playboy - 50 anni in fotografia (a cura di Jim Peterson; Mondadori, 2005; 240 pagine 22,8x30,5cm, cartonato con sovraccoperta; 49,00 euro) e l’edizione di Playboy del gennaio 2004, appunto intitolata Fiftieth Anniversary Issue. Ognuna con proprio taglio, le tre pubblicazioni celebrano il cinquantenario, non dimenticando la segnalazione di note parallele e arricchendosi della riproposizione delle copertine e dei paginoni centrali che si sono susseguiti.

The Playboy Book Fifty Years; a cura di Gretchen Edgren; Taschen, 2005; 480 pagine 22,8x30cm, cartonato con sovraccoperta; 29,90 euro. Playboy - 50 anni in fotografia; a cura di Jim Peterson; Mondadori, 2005; 240 pagine 22,8x30,5cm, cartonato con sovraccoperta; 49,00 euro. Edizione speciale di Playboy del gennaio 2004, esplicitamente definita e dichiarata Fiftieth Anniversary Issue.

Da Le Newton girls; luglio 1998.

chard Avedon oggi considerati rispondano a questo, magari quello di Newton un poco sì), dobbiamo rispettare e affrontare con chiarezza e serenità ogni rivisitazione a tema proposta.

PLAYBOY HELMUT NEWTON Confortato da un’edizione italiana, Playboy Helmut Newton è esattamente questo: una selezione di fotografie che il celebre autore, uno dei più significativi fotografi del Ventesimo secolo, ha realizzato per la celebre testata, che a cavallo tra il 2003 e 2004 ha raggiunto e festeggiato il proprio cinquantenario: meta ragguardevole, già anticipata in FOTOgraphia del luglio 2003, sulla quale ci soffermiamo ancora un poco oggi (qui sopra). Manco a sottolinearlo, si tratta di meticolose visioni, nell’inconfondibile stile che ha caratterizzato un’intera parabola esistenziale, fotograficamente definita da una attenta costruzione dell’immagine, nella quale splendide donne sono protagoniste di audaci fantasie erotiche. La selezione di Playboy Helmut Newton com-

prende centosessanta fotografie, in forma di reportage di moda o di esplicito erotismo visivo, realizzate per Playboy, ovviamente, nell’arco di quasi trent’anni. Nel proprio insieme, e all’inter-

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La modella Dovima con Emilien Bouglione e un clown; abito di Givenchy; Cirque d’Hiver, Parigi; agosto 1955. I modelli Suzy Parker e Robin Tattersall; abito di Griffe; Folies-Bergère, Parigi; agosto 1957. Donna per strada; Harlem, New York; settembre 1949.

no della vasta ed eterogenea produzione fotografica di Helmut Newton, sono rappresentazioni sostanzialmente personali e particolari, soprattutto diverse dai nudi patinati, spesso irreali, altrettanto spesso teorici nella propria perfezione formale, che solitamente è possibile trovare sulle pagine della rivista statunitense, così determinante

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nella socialità fotografica contemporanea. In una idea, la visione che Helmut Newton dà dell’erotismo, a un tempo esplicito e surreale, rimane sua, rimane d’autore. Sia nella costruzione, sia nella consecuzione di autentici racconti per immagini (con un proprio inizio, svolgimento e, spesso, sorprendente conclusione), la fotografia erotica di Helmut Newton ha pochi tratti in comune, addirittura nessuno (forse), con gli stilemi asettici di Playboy, grazie ai quali, va detto, la testata ha scavalcato il ristretto confine di pubblicazione “per soli uomini”, per approdare a socialità e costumi di più ampie intenzioni e fruizioni. Come è stato annotato e certificato, mettendo in scena un mondo immaginario, debitore tanto a richiami letterari e cinematografici quanto a una sorta di rivissuto voyeurismo infantile, Helmut Newton ha creato uno straordinario e voluttuoso universo onirico, certificato da questa stessa raccolta di immagini a tema. La consecuzione delle immagini è scandita dal ritmo di singole serie complete di immagini, rimpaginate nella propria forma editoriale ma fedeli all’editing originario (annotazione niente affatto secondaria), presentate in confortevole successione temporale. Si parte con il bianconero di 200 Motel, che specifica, come fu nella pubblicazione dell’agosto 1976, Ovvero, come ho trascorso le vacanze estive: per la precisione in Florida, nelle Keys da Key Largo a Key West, nel 1973. In un certo senso di decenni anticipatoria delle Yellow Press, con le quali, all’indomani del Duemila, Helmut Newton rivelò esplicitamente la propria passione per la fotografia giudiziaria (antropometrica e di Polizia), si tratta di una sequenza nella tradizione di Lolita, che meriterebbe una propria collocazione autonoma nella lunga e variegata storia evolutiva del linguaggio fotografico, inserendosi in una posizione privile-


giata tra le fotografie ricostruite, di un non reale che dal reale trae ispirazione e spunto.

CIÒ CHE È LECITO Ovviamente, la cadenza temporale dell’insieme delle fotografie di Helmut Newton ha un altro valore, un altro riferimento, che è proprio quello degli anni di realizzazione e/o pubblicazione, con quanto le singole date rappresentano dal punto di vista del costume e del “pubblicabile”. Infatti, il tema dell’erotismo visivo non può prescindere dal clima sociale e dallo slittamento temporale del concetto di ammissibile e lecito, appunto vincolato non tanto al percorso autonomo del linguaggio fotografico, quanto a quello della società e del relativo costume. Precisare oggi che in un recente passato, al-

la luce del sole, ci si sono stati tempi e momenti nei quali certa rappresentazione fotografica ha dovuto tener conto della propria ammissibilità (o inammissibilità), può apparire grottesco: eppure è stato così. A parte le circolazioni clandestine, per le quali non sono mai esistiti limiti e confini, forme di censura esplicita o implicita si sono conformate al “comune senso del pudore” (ricordiamo che per esprimere certi concetti, a metà degli anni Sessanta, il massimo all’allusione sessuale consentita sono state le “figlie senza voglie, voglie senza sbagli, sbagli senza figli” di Quella cosa in Lombardia dell’eminente poeta Franco Fortini, messe in musica da Fiorenzo Carpi e cantate da Enzo Jannacci, Milly e Laura Betti). Dunque, tornando a Playboy Helmut Newton, dopo l’originario 200 Motel del 1976, appena ricordato, a un tempo leggero, alto, ma anche concretamente esplicito (ribadiamo, nello spirito di Lolita), si passa alla Moda della collezione primavera-estate 1977, pubblicata sul numero di maggio della testata, con protagonista la modella Mary Ella Rhodes: soprattutto evocazioni d’atmosfera. Quindi, avanti ancora, incontriamo Nastassia Kinski di Senza veli (originariamente Kinski Exposed, maggio 1983): seducenti visioni in equilibrio tra raffinati bianconeri e colori solari. Quindi, Bambole vere, con modelle acconciate e rap-

L’attrice Katherine Hepburn; New York; marzo 1955. La cantante Janis Joplin; New York; agosto 1969. Rose Fitzgerald Kennedy, madre del presidente John F. Kennedy; Hyannisport, Massachusetts; settembre 1976.

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breve e leggera presentazione di Hugh M. Hefner, concrete e approfondite sono poi l’introduzione dello scrittore Walter Abish e la postfazione di Gary Cole, direttore della fotografia di Playboy dal 1975: due scritti non proprio critici, ma adeguatamente diligenti.

RICHARD AVEDON

La pianista Mitsuko Uchida; New York; febbraio 2003.

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presentate alla maniera delle bambole gonfiabili dei pornoshop (marzo 2002), Donna grande Donna piccola, con la provocatoria combinazione (dimensionale, ma non soltanto) di Brigitte Ariel e Roanne Rogers (agosto 1977) e Amanti (Loving Ladies, febbraio 1977) anticipano la serie degli inediti. E poi la raccolta di Playboy Helmut Newton ripercorre, a completare, l’intero arco di trent’anni. Non servono altri commenti, per dare senso e spessore all’incessante ritmo dei servizi realizzati dal prolifico autore. Casomai, ci consentiamo una nota di costume per la presenza di Kimberley Conrad nel servizio delle Helmut’s Angels del maggio 1988. A seguire, Kimberley Conrad, già Miss gennaio 1988, sarebbe stata cover girl nell’agosto 1988, playmate dell’anno (1988) sul numero di giugno 1989 e signora Kimberley Conrad Hefner dopo il suo matrimonio con l’editore (di Playboy) Hugh M. Hefner. Per finire con le note di dovere, annotiamo che l’edizione di Playboy Helmut Newton, pubblicata in Italia da Mondadori, si completa con tre testi di accompagnamento. Immancabile è una

Prima raccolta postuma di fotografie di Richard Avedon, Woman in the Mirror è anche la prima selezione d’archivio attribuita alla The Richard Avedon Foundation, costituita all’indomani della scomparsa del grande fotografo, mancato a San Antonio, in Texas, il Primo ottobre 2004. Si tratta di una selezione postuma soltanto per consecuzione di date, perché, come annota Norma Stevens, per vent’anni a fianco del fotografo e ora direttrice della Fondazione, Richard Avedon ha iniziato a lavorare a questo particolare progetto editoriale nel 2002, quando ipotizzò di dare un senso compiuto, non soltanto cronologico, a una identificata serie di ritratti femminili (il suo soggetto preferito: dalla moda alla posa, oltre qualche istantanea), realizzati a partire dal 1946. Conti alla mano, Woman in the Mirror raccoglie quindi quasi sessant’anni di fotografia, fino ai più recenti scatti datati 2004. Cosciente del proprio stato di salute, nei mesi precedenti la sua scomparsa, a ottantun anni di età, Richard Avedon aveva dato chiare ed esplicite istruzioni per l’edizione della monografia, sia che lui fosse ancora in vita, sia che fosse mancato: «E questo è il suo libro», annota Norma Stevens. In effetti è un libro di Richard Avedon a tutti gli effetti, perfettamente in linea e sintonia con i titoli che l’hanno preceduto, e che compongono una bibliografia estremamente parca nella quantità, quanto concreta e sostanziale nei contenuti: da Observations (1959) a In the American West 1979-1984 (1985), An Autobiography (1993) e Evidence: 1944-1994 (1994). Lo è nello stile della messa in pagina, ed è già un connotato, così come lo è nello stilema della riproduzione comprensiva dei bordi identificatori della pellicola piana grande formato (soprattutto 8x10 pollici, o forse soltanto), ma soprattutto lo è nel garbo e materialità della costruzione fotografica, una delle più efficaci, dirette e affascinanti della recente storia evolutiva del linguaggio fotografico. Si tratta di un volume avvincente, per il quale debbono spendere parole critici di adeguata visione, e capacità di visione, che si inserisce in una posizione di prestigio e alto valore all’interno della più selettiva bibliografia storica della fotografia, tra quei tot volumi (una volta stabilita una quantità limite) fondamentali e significanti. Certamente, nella bibliografia di Richard Avedon sta convenientemente e meritatamente accanto ai titoli appena citati. Insomma, in un’idea diretta ed esplicita, si tratta di una monografia autorevole, da non lasciarsi sfuggire. Alessandra Alpegiani


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O

tto mostre d’autore realizzate con la collaborazione di Grazia Neri e Elena Ceratti, che presentiamo più avanti, e la selezione completa del World Press Photo 2005, relativa alle fotografie scattate nel precedente 2004; cinque suggestive sedi espositive, con relativi avvincenti allestimenti scenici; immancabile lettura dei portfolio, affidata a Grazia Neri, Elena Ceratti, Massimo Vitali e Lello Piazza; serata di gala, con consegna di Premio (al fotografo americano, di origine canadese, Douglas Kirkland); tavola rotonda di approfondimento di tematiche fotografiche, con la qualificata partecipazione dei fotografi Gianni Berengo Gardin e Pino Ninfa e del professor Vittorio Fagone, direttore scientifico della Fondazione Ragghianti. In estrema sintesi, sono questi i termini che hanno definito il Primo LuccaDigitalPhotoFest, manifestazione foto-

GEORG GERSTER (2)

Specializzato in servizi scientifici e fotografie aeree, lo svizzero Georg Gerster ha partecipato a LuccaDigitalPhotoFest con affascinanti Vues Aeriennes, convenientemente distribuite in sale successive della Galleria del Baluardo San Paolino.

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P

remiato con il Primo LuccaDigital PhotoFest Award, Douglas Kirkland ha animato la serata di gala del LuccaDigitalPhotoFest con una proiezione che ha ripercorso cinquant’anni della propria straordinaria parabola fotografica. In una serata pubblica di grande successo, sia per partecipazione sia per emozioni, sullo schermo si è alternato lo star system internazionale. A ogni personaggio, Douglas Kirkland ha riferito aneddoti e notizie di contorno di affascinante complemento. Autentico affabulatore, per quasi due ore ha tenuto incollato alle proprie poltrone il numeroso pubblico intervenuto. Più dei soggetti, per se stessi di eccezionale richiamo, è stato discriminante proprio il suo caloroso e appassionato racconto, elemento fondamentale di una straordinaria serata. Tra le pieghe di molta leggerezza (e non avrebbe potuto essere altrimenti), non sono mancate note apprezzabili soprattutto, o forse soltanto, dagli addetti: «Sono stato fortunato; ho avuto una vita bella; attraverso il mio lavoro ho potuto vivere situazioni privilegiate, osservando dall’interno situazioni fantastiche e conoscendo persone di grande umanità».

ANDREA PACELLA / ATAF

ANDREA PACELLA / ASSOCIAZIONE TOSCANA ARTI FOTOGRAFICHE (3)

PROIEZIONE PUBBLICA

LUCCA ANNO


RON HAVIV / VII / GRAZIA NERI (2)

Primo LuccaDigitalPhotoFest per dovere di numerazione, a tutti gli effetti si è trattato di una sorta di numero Zero, di prova generale sul campo, per verificare l’attuabilità di un progetto (o sogno?) e l’effettiva possibilità di accoglienza dei luoghi, che si sono rivelati all’altezza della situazione. Anzi, in fase di consuntivi, è proprio su questo che è opportuno soffermarsi. Infatti, non si tratta tanto di commentare una manifestazione svolta, alla maniera delle cronache dello sport, quanto di puntualizzarne l’efficacia fotografica, che ha proiettato le intenzioni sulla realizzazione, le ipotesi sulla realtà. E su questo intendiamo riflettere.

ANDREA PACELLA / ATAF

MICHAEL ACKERMAN / GRAZIA NERI

grafica che si propone per una cadenza annuale. Organizzato dall’Associazione Toscana Arti Fotografiche (Ataf) in collaborazione con il Comune di Lucca, con numerose contribuzioni, sia di contenuto (a partire dall’impegno di Elena Ceratti dell’Agenzia Grazia Neri, riconoscimento d’obbligo), sia in forma di sponsor, questo appuntamento si è allungato dal cinque novembre al quattro dicembre scorsi, con focalizzazioni preordinate per l’inaugurazione ufficiale delle mostre, appunto sabato 5 novembre, serata di gala, sabato 19 novembre, lettura di portfolio, sabato e domenica 19 e 20 novembre, e tavola rotonda, sabato 26 novembre.

ZERO

Ci sono premesse affinché Lucca DigitalPhotoFest, avviato con una Prima edizione a fine anno, prosegua il proprio cammino con un benefico rigore. Una adeguata combinazione tra forma e contenuto, che ha dato risalto e visibilità ai valori fotografici presentati, è la base per eventi fotografici successivi da declinare con adeguata consistenza di intenti. Facili profeti, prevediamo successive edizioni di fantastica attenzione all’espressione fotografica contemporanea (ma non solo?)

(al centro) Fiction di Michael Ackerman è una serie composta di immagini cupe, dolorose, intrise di materia e oscurità, sospese in un tempo avvolgente, che evocano la sofferenza della condizione umana. Mossi, sfocati, sfatti, i volti ritratti ricordano quelli dei quadri di Francis Bacon. Sequenze di immagini che, in modo simile alla fotografia di Robert Frank, si fondono osmoticamente l’una all’altra in libere associazioni, in uno stesso tessuto narrativo e interpretativo. Testimonianza di un fotografo da anni impegnato sui fronti di guerra e su temi di intensa attualità, Road to Kabul racconta il recente conflitto afghano. Per la realizzazione di questo reportage, Ron Haviv ha vissuto due mesi accanto ai soldati dell’alleanza del Nord, fino alla liberazione di Kabul. Le immagini che ne ha riportato raccontano la guerra, ma anche la speranza. Descrivono le tensioni dei combattenti, l’attesa degli attacchi, il percorso verso l’espugnazione della capitale; insieme tracciano il ritratto di un paese di straordinaria bellezza, di un popolo degno e fiero, di una natura prorompente. In contrapposizione visiva, una di fronte all’altra, le serie Fiction di Michael Ackerman e Road to Kabul di Ron Haviv sono state presentate all’interno del Baluardo di San Regolo sulle Mura Urbane, con una scenografia particolarmente efficace.

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ANDREA PACELLA / ATAF ANTONIN KRATOCHVIL / GRAZIA NERI (2)

Per quanto, nel proprio insieme e complesso, la fotografia sia un esercizio e un’espressione (visiva) autonoma e indipendente, che non avrebbe bisogno di altri sostegni, non possiamo mai ignorare la combinazione concreta con i propri supporti e mezzi di fruizione. Anzi, più direttamente e specificamente, non dobbiamo, né vogliamo, trascurare l’inevitabile mediazione della quale la fotografia non può fare indiscutibilmente a meno. Fatto salvo il valore fotografico delle opere, e ci mancherebbe altro, come per le edizioni librarie si parla (e scrive) anche di messa in pagina e qualità di riproduzione, per l’esposizio-

ANDREA PACELLA / ATAF (2)

La chiesa sconsacrata di San Romano di Lucca ha ospitato Urlo Bebop: dieci trasformazioni del volto di Allen Ginsberg, con le quali Luciano Bobba fa rivivere il grande poeta della Beat generation in una forma visiva che riprende il senso del suo poema.

LUCIANO BOBBA

FORMA E CONTENUTO

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ne in mostra si deve considerare e valutare sia la qualità formale dell’allestimento scenico, sia l’efficacia dell’editing (appunto) espositivo. Già sullo scorso numero di dicembre 2005 abbiamo avuto modo di commentare quanto ObiettivoUomoAmbiente di Viterbo, dal 23 settembre al 9 ottobre, abbia egregiamente assolto la propria proiezione istituzionale verso il grande pubblico, attirato e coinvolto in un programma di mostre a tema, precisamente richiamato. Su una linea di intenzioni diverse, LuccaDigitalPhotoFest ha spostato altrimenti il proprio baricentro, ponendo l’accento non tanto sul complessivo, quanto sulla successione di mostre d’autore: ognuna per sé e tutte insieme a formare un evento, un coinvolgente festival. Grazie a luoghi di esposizione particolarmente efficaci e accattivanti, dalle sontuose sale di antiche ville patrizie alla spartanità di spazi nudi (quanto ricchi e trasudanti di storia), le mostre di LuccaDigital PhotoFest sono state incorniciate in allestimenti di straordinario fascino. In sintonia, le scenografie di


delle Mura, il Baluardo di San Regolo sulle Mura Urbane e la Galleria del Baluardo San Paolino hanno rispettivamente ospitato le personali Fiction di Michael Ackerman e Road to Kabul di Ron Haviv (San Regolo; a pagina 49) e Vues Aeriennes di Georg Gerster (San Paolino; a pagina 48). Nei due casi, pannelli perimetrali e pannelli centrali hanno accolto la serie di immagini adeguatamente incorniciate e valorizzate. Ancora: forma a favore del contenuto e in sua dipendenza. Con tempi autonomi, in concentrazione logistica ma adeguata distanza e autonomia espositiva, i ritratti dello star system di Legends di Douglas Kirkland, Urlo Bebop di Luciano Bobba (FOTOgraphia, febbraio 2005) e Sopravvivere di Antonin Kratochvil sono state presentate all’interno dell’Auditorium di San Romano (in questa doppia pagina). Tre scenografie distinte, tre impaginazioni diverse, ognuna finalizzata e rispettosa dei relativi contenuti espressivi. E qui ci concediamo una nota parallela per la fantastica cornice di Urlo Bebop, che pure avevamo già apprezzato nell’originaria esposizione di inizio anno alla Galleria Il Torchio - Costantini Arte Contemporanea, e che a Lucca ha goduto di una cornice formale da urlo (appunto!; pagina accanto). Infine, altre lodi e ulteriori consistenti apprezzamenti per le sale della Casermetta dei Balestrieri sulle Mura Urbane, che ha ospitato la combinazione di Paradiso di Lorenzo Castore e Fast Forward di Lauren Greenfield (a pagina 52).

contorno e supporto hanno dato efficace risalto alle immagini presentate. Come spesso diciamo, la forma per il contenuto. E la forma, sia chiarito subito, non è mai secondaria. Magari non è primaria, né fondamentale; ma discriminante, sì. Parliamone. Le fastose sale del piano nobile della fantastica Villa Bottini, perfettamente restaurate nel proprio antico splendore, hanno accolto i pannelli espositivi delle immagini premiate e segnalate alla selezione del World Press Photo 2005 (a pagina 53). Senza paragoni, perché ciascuna personalità ha diritto e dovere di esistere ed esprimersi, per quanto abbiamo potuto visitare altri allestimenti della stessa mostra, l’accompagnamento di Villa Bottini e l’energia di una serie di discreti e adeguati pannelli espositivi hanno consentito una visione consequenzialmente coinvolgente, con una consecuzione di immagini addirittura avvincente (pur nella tragica drammaticità di cruenti cronache internazionali, tema dominante, principale addirittura, del World Press Photo, come riflettiamo anche nell’editoriale di questo stesso numero). Analogamente, su una base addirittura diametralmente opposta, quantomeno nella forma apparente dei luoghi, tre mostre d’autore sono state allestite in spazi all’interno delle mura medievali che circoscrivono l’area urbana monumentale di Lucca. Collegati tra loro dalla Passeggiata

ANDREA PACELLA / ATAF

DOUGLAS KIRKLAND / GRAZIA NERI (2)

INTENZIONI ASSOLTE Da tali premesse, che non sono state soltanto promesse, LuccaDigitalPhotoFest si proietta ora verso un tragitto che iscriverà questa manifestazione autunnale nel ristretto e qualificato novero dei più convincenti appuntamenti della fotografia (ne siamo convinti, oltre che consapevoli). Con concretezza, lo scenario di una città di tanta storia ha accolto l’espressione fotografica, facendole da contorno e ricevendone in cambio fantastico profilo (non soltanto asettico ornamento). La simbiosi è stata paritetica, tanto che ci si può esprimere in termini di città-salotto per l’arte fotografica.

(pagina accanto) Reportage sul dolore dell’uomo in diversi paesi del mondo (Angola, Zaire, Venezuela, Guatemala, Cuba, Zimbawe, Mongolia), sofferenza, povertà, condizioni di vita estreme, con sguardo particolare alle condizioni dell’infanzia, Sopravvivere di Antonin Kratochvil è stato allestito in un ampio salone dell’Auditorium di San Romano.

Canadese di origine, da cinquant’anni Douglas Kirkland fotografa lo star system internazionale, nel quale è stato proiettato da uno storico servizio realizzato con Marilyn Monroe, qualche mese prima della sua tragica scomparsa ( FOTOgraphia, dicembre 2002). In occasione dell’edizione originaria della manifestazione fotografica di Lucca, che ha utilizzato un suo ritratto di Audrey Hepburn per il proprio richiamo (qui accanto), gli è stato conferito il Primo LuccaDigitalPhotoFest Award, con relativa serata di gala con proiezione pubblica dei suoi lavori (a pagina 48). L’esposizione Legends, dalla quale isoliamo i ritratti di Audrey Hepburn e Marcello Mastroianni, ha presentato una significativa serie di personaggi dello spettacolo internazionale, scenograficamente impreziositi da un avvolgente allestimento nell’Auditorium di San Romano.

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LORENZO CASTORE / GRAZIA NERI (2)

Fast Forward di Lauren Greenfield è il risultato di un viaggio di quattro anni nel mondo della gioventù di Los Angeles: fugacità dell’esperienza giovanile e perdita precoce dell’infanzia.

una collaborazione fattiva e propositiva. Una nota particolare in più, ci sia concessa, per segnalare lo straordinario impegno personale di Jessica Di Costanzo e Susanna Ferrari, che hanno abilmente tenuto le fila di una organizzazione dai mille risvolti. A questo punto sorge spontanea una considerazione. In un mondo che troppo spesso è stato costellato da eventi effimeri, LuccaDigitalPhotoFest propone un temperamento stabile, che si è respirato all’interno degli allestimenti espositivi e negli incontri di contorno, tra i quali va segnalata la calda accoglienza e partecipazione pubblica e politica del sindaco di Lucca Pietro Fazzi: partecipazione autentica, non solo aleatoria. Perciò, i passi successivi della manifestazione debbono tener conto di quanto si sta palesando all’interno del contenitore fotografico dei nostri giorANDREA PACELLA / ATAF

Combinazione espositiva alla Casermetta dei Balestrieri sulle Mura Urbane di Lucca: Paradiso di Lorenzo Castore con Fast Forward di Lauren Greenfield.

A seguire, immaginiamo e ipotizziamo che le edizioni successive a questa prima esperienza, anno Zero, possano evolversi verso riflessioni a tema (speriamo di no), piuttosto che continuare nello scenario più ampio di eterogenee espressioni del linguaggio visivo. La combinazione di fine 2005 ha dischiuso le porte a una panoramica estremamente coinvolgente, a un tempo rivolta al più ampio pubblico (attirato dal reportage come dal ritratto, dalla fotografia di documentazione ma anche dalla ricerca) e indirizzata agli addetti (richiamati da un programma ricco di autori internazionali di primo piano). La formula è risultata efficace, quanto opportuna: ben orchestrata dall’Associazione Toscana Arti Fotografiche (nelle persone di Enrico Stefanelli, Andrea Pacella, Roberto Evangelisti, Jessica Di Costanzo e Susanna Ferrari) e da Grazia Neri e Elena Ceratti, che hanno offerto

LAUREN GREENFIELD / GRAZIA NERI (2)

(al centro) Il progetto di Lorenzo Castore si intitola Paradiso, come uno dei romanzi più importanti della letteratura cubana, di José Lezama Lima. Il paradiso -concetto, astrazione, luogo della mente- si trova sulla Terra, a ogni angolo, nella vita, nel momento in cui si comprende la nostra natura infima e la nostra suprema grandezza.

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ANDREA PACELLA / ATAF

Nell’ambito del programma LuccaDigitalPhotoFest, la selezione completa del World Press Photo 2005, relativo a fotografie scattate nel precedente 2004, è stata allestita nelle sontuose sale del piano nobile di Villa Bottini, ottimamente restaurate. Una cornice e un allestimento scenico che hanno dato adeguato risalto all’incessante serie di immagini, consentendone una visione e fruizione particolarmente avvolgente.

ARKO DATTA / REUTERS

ni, nel quale programmi a tema si alternano a significative mostre d’autore, e nel quale si dovrebbe riflettere sull’essenza e anima della stessa fotografia. Ovvero, nulla dovrebbe essere più lasciato al caso. Tutto dovrebbe rispondere a princìpi scientifici quantomeno coscienti: mostre d’autore?, con quanto comporta nella selezione delle opere e presentazione degli ingrandimenti (vintage? stampe attuali? stampe didattiche con tecnologie digitali?); autori storici o proposte d’avanguardia?; visioni retrospettive o sintesi d’attualità?; espressioni gene-

SHAUL SCHWARZ / CORBIS

World Press Photo of the Year 2004. Arko Datta (Reuters), India. Cuddalore, Tamil Nadu, India, 28 dicembre: donna piange un congiunto ucciso dallo tsunami.

Secondo premio Spot News Singles. Shaul Schwarz (Corbis), Israele. Port-au-Prince, Haiti, 27 febbraio: bambino fugge dopo un saccheggio a un importante centro commerciale.

rali e generiche della fotografia? (dalla moda al reportage, dal paesaggio alla scienza, dalla pubblicità alla cronaca); oppure visioni concentrate? In una parola, la fotografia può essere tanta, ma anche il contrario di se stessa. Semmai lo fosse mai

stato, ormai non è più tempo per una fotografia soltanto apparente. Oggi più che mai sentiamo il bisogno di idee, prese di posizione, coraggio di scelte. In una parola, di autentica competenza di immagine. Maurizio Rebuzzini

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nticipata da un passaparola informatico, degno erede delle chiacchiere che da sempre accompagnano la nascita delle reflex Nikon (un tempo analogiche/argentiche, oggi invariabilmente digitali), la reflex digitale a obiettivi intercambiabili Nikon D200 è ufficialmente approdata sul mercato internazionale a cavallo dell’anno. In Italia, se ne è vista qualcuna nei giorni immediatamente precedenti la kermesse commerciale di Natale (riferimento merceologico obbligato), e a seguire dall’inizio del nuovo anno le forniture sono state consistenti e continue, tanto da spostare l’ago dei conteggi a favore della nobile casa giapponese, da tempo in sostanziosa concorrenza tecnica con il colosso, pure giapponese, Canon. Come da attese e (facili) previsioni, la Nikon D200 offre una consistente e potente gamma di funzioni d’uso, presentandosi come reflex di collegamento tra il mercato più ampio e le sofisticazioni a indirizzo professionale: e la sigla numerica allaccia appunto le diverse interpretazioni e proposizioni del differenziato sistema digitale Nikon.

A

SOSTANZA Il valore discriminante, che per uso comune sovrasta ogni altro ulteriore dettaglio, riguarda la risoluzione. La Nikon D200 è dotta di sensore CCD di acquisizione digitale di immagine Nikon DX da 10,2 Megapixel effettivi, ai quali corrisponde una straordinaria fedeltà fotografica, con dimensioni di acquisizione di 3872x2592 pixel. È così ga-

rantita la possibilità di ingrandimenti di consistenti dimensioni e una sostanziale libertà di reinquadratura della composizione originaria. Il sensore ad alta efficienza può essere regolato per sensibilità da 100 a 1600 Iso equivalenti, e fino a 3200 Iso equivalenti in modalità Hi-1. Progettata e costruita con il dichiarato intento di spostare in avanti le prestazioni dell’acquisizione digitale di immagini, la Nikon D200 combina un robusto corpo macchina e funzioni avanzate a una apprezzabile (e apprezzata) semplicità di utilizzo, cui fa da contraltare una solida e consistente qualità di immagine. Nel concreto e specifico, la nuova configurazione D200, che a breve dovrebbe mandare in pensione qualche modello di più antica militanza tecnica e commerciale (antica? nell’ordine di una manciata di mesi! così richiede ed esige il mercato fotografico dei nostri giorni), riassume e conferma i tratti distintivi e qualificanti della gamma di reflex digitali Nikon. Ovviamente, l’attualità progettuale della Nikon D200 si concretizza in possibilità

operative in crescita esponenziale. L’insieme della vasta gamma di tecnologie proprietarie Nikon si presenta ricco di sofisticate funzionalità, caratteristiche fotografiche di alto livello, prestazioni incrementate, versatile gestione dell’immagine (in acquisizione e acquisita) e notevole velocità e risposta allo scatto. In questa chiave, la Nikon D200 è appunto una reflex digitale a doppio indirizzo dichiarato ed esplicito: adatta ai professionisti come anche ai non professionisti della fotografia, che desiderano mettere a frutto le infinite possibilità operative del definito Nikon Total Imaging.

COSTRUZIONE Come richiedono le nuove direttive progettuali, la Nikon D200 si presenta con un corpo macchina in lega di magnesio, a un tempo leggero e robusto, oltre che resistente agli utilizzi anche in condizioni ambientali avverse; a questo proposito si registra l’adozione di un sistema sigillante avanzato, che protegge la re-

Per quanto la risoluzione di 10,2 Megapixel effettivi sia per se stessa discriminante, le prestazioni fotografiche della nuova reflex digitale Nikon D200 segnalano soluzioni e configurazioni che non dovrebbero passare in subordine. Efficace dotazione che si rivolge e indirizza sia all’impiego professionale sia a operatori non professionisti, conferma l’essenza di quello spirito tecnologico Nikon che combina efficienza con semplicità e praticità di uso

ALTA CLASSE

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flex dall’umidità e dalla polvere, rendendola appunto idonea all’uso in condizioni atmosferiche limite e difficili. L’otturatore integrato a doppia lamina incorpora un meccanismo perfezionato di bilanciamento dello specchio reflex, testato per oltre centomila cicli. Inoltre, è stato progettato e realizzato un nuovo oculare in gomma di generose dimensioni, che contribuisce a rendere ancora più ergonomico il design della reflex. Oltre quaranta impostazioni personalizzate, di facile richiamo e semplice utilizzo, consentono di adattare la Nikon D200 a una identificata serie di situazioni fotografiche preordinabili. Attraverso il mirino reflex si ha una visione adeguata del campo abbracciato dall’obiettivo di ripresa: confortevole ingrandimento 0,94x e copertura del 95 per cento dell’inquadratura. Quindi, l’ampio monitor LCD da 2,5 pollici ad alta risoluzione è configurato per l’osservazione in ogni condizione di luce, con angolo di visione fino a 170 gradi in ogni direzione. Le immagini acquisite possono essere previsualizzate con ingrandimento fino al quattrocento per cento, in mo-

do da controllare i minimi dettagli della ripresa. Il pannello superiore di controllo e gestione è di grandi dimensioni (le maggiori, nell’attuale ampia offerta merceologica di reflex digitali di ogni categoria e prezzo). Si possono verificare numerosi valori operativi, tra cui la modalità di ripresa impostata, lo stato di carica delle batterie di alimentazione, informazioni sulla capacità di memoria residua della scheda, visualizzazione con reticolo, tempo di otturazione e valore di apertura del diaframma. Una innovativa colorazione differenziata dei menu orienta e guida l’osservazione, semplificata e resa veloce anche dall’adozione di simbologie e descrizioni intuitive.

AUTONOMIA Una nuova batteria ricaricabile agli ioni di Litio EN-EL3e ad elevata autonomia è sufficiente per acquisire fino a milleottocento immagini con una sola carica; una volta esaurita, la batteria si ricarica in sole due ore e mezza. In ogni momento, è possibile controllare lo stato della batteria mediante un sistema di indicazione del livello di carica in tempo rea-

SENZA CAVI

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lash Remote Wireless SB-R200 è un flash elettronico senza cavi specifico per il sistema reflex Nikon, presentato unitamente alla digitale D200. Idealmente, e nel concreto, si completa con il Commander Flash Wireless SU-800, un elemento in grado di controllare fino a tre gruppi di flash secondari wireless compatibili con i-TTL: oltre la nuova unità, nell’ambito del sistema Nikon CLS (Creative Lighting System), il Commander controlla i livelli di emissione luminosa degli SB-800 e SB600. Di fatto, si tratta di un sistema di illuminazione lampo elaborata per fornire una serie di operazioni multiflash e flash senza cavi per riprese ravvicinate. Il Flash Remote Wireless SB-R200 ha un Numero Guida 14 (a 200 Iso di sensibilità) e può essere collegato alla ghiera frontale dell’obiettivo mediante anello di fissaggio SX1, oppure collocato accanto alla reflex con lo stativo AS-20 in dotazione. È disponibile una confezione kit per l’illuminazione ravvicinata: Commander Flash Wireless SU-800, due Flash Remote Wireless SBR200, anello di fissaggio SX-1, adattatore per il massimo posizionamento ravvicinato SW-11, set di filtri colore SJ-R00, diffusore SW-12, pinza di fissaggio regolabile SWC1. In alternativa, se si utilizza come comando flash l’elettronico incorporato nelle reflex Nikon D200, Nikon D70S e Nikon D70, è disponibile un altro kit privo dell’unità SU-800.

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le, visualizzato nel menu. In alternativa, un battery pack MBD200, opzionale, offre una capacità di ripresa aggiuntiva con sei comuni batterie AA oppure due batterie EN-EL3a. La risposta della Nikon D200 è particolarmente efficace ed energica: 0,15 secondi tra accensione e scatto, cinquanta millisecondi di ritardo dello scatto e centocinque millisecondi di oscuramento del mirino. In sequenza rapida, si possono acquisire fino a cinque fotogrammi al secondo, fino a trentasette immagini in formato Jpeg (Normal) oppure ventidue in formato Nef compresso (Raw). L’autofocus Multi-Cam 1000, di recente progettazione, è estremamente flessibile: offre un sistema di rilevazione AF a undici aree di grande precisione ereditato dalla serie Nikon D2, nonché l’autofocus a sette aree ampie, per una messa a fuoco accurata di soggetti in movimento. Ancora, si replica la misurazione Color Matrix 3D II, che garantisce un’esposizione ottimale mediante l’applicazione di una tecnologia proprietaria elaborata per il sensore Nikon RGB da 1005 pixel di esposizione/misurazione Color Matrix. A ogni scatto, questo sistema valuta sette parametri simultaneamente, come luminosità, colore, contrasto, area di messa a fuoco e distanza di ripresa. Per calcolare il valore finale in modo rapido e accurato, i dati ottenuti sono istantaneamente confrontati con un database incorporato di oltre trentamila scene reali. L’immagine acquisita dal sensore CCD formato Nikon DX, da 10,2 Megapixel effettivi, viene elaborata ad alta velocità in raffinate gradazioni di colore. Un nuovo filtro ottico low-pass contribuisce alla riduzione di effetti moiré, aberrazione cromatica (o fringing) e scostamenti cromatici. Per un controllo più accurato è possibile verificare la saturazione e le alte luci dello scat-

11X ABBONDANTI

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isegnato appositamente per le reflex digitali Nikon, con sensore di acquisizione di dimensioni inferiori al fotogramma 24x36mm, nelle proprie dimensioni compatte, il nuovo AF-S DX VR Zoom-Nikkor 18-200mm f/3,5-5,6G IF-ED offre un’escursione 11,1x. Dotato di sistema di stabilizzazione avanzato VR (Vibration Reduction), due lenti in vetro ED a basso indice di dispersione, tre lenti asferiche e motore SWM (Silent Wave Motor), vanta una variazione di campo equivalente all’escursione 27-300mm della fotografia argentica 24x36mm (riferimento sempre d’obbligo).

to in modo molto semplice, grazie agli istogrammi RGB visualizzati sul monitor LCD da 2,5 pollici. Allo stesso tempo, la gestione delle immagini si avvale di funzioni di correzione estese a nitidezza, contrasto, colore, saturazione e tonalità cromatica, con selezioni Normale, Soft, Più satura, Ritratto e Bianconero. Come tutte le reflex digitali Nikon, la D200 conferma la propria completa compatibilità con il sistema: obiettivi AF Nikkor (sia DX Nikkor sia obiettivi privi di CPU), flash elettronici e accessori. Infine, la Nikon D200 è dotata di terminale di sincronizzazione per i flash da studio, del supporto GPS per registrare i dati geografici dello scatto e di funzioni wireless per l’acquisizione e il trasferimento delle immagini. (Nital, via Tabacchi 33, 10132 Torino). Antonio Bordoni



Germania di oggi Punti di vista e prospettive attuali esempio, è andata alla ricerca di memorie e ricordi sbiaditi; Jordis Antonia Schlösser documenta le demolizioni e gli smantellamenti in due città industriali, Halle-Neustadt e Garzweiler; Ute Mahler si è fatta ispirare dalla nuova vitalità degli anziani; Annette Hauschild racconta la domenica dei tedeschi. Il senso e gli esiti del progetto hanno motivato Christina Weiss, delegata del Governo Federale per la cultura e i media, a patrocinare la mostra Neueinstellung: «Le fotografe e

alla seconda metà dell’Ottocento, in Europa si comincia a parlare di “giapponismo”, che si manifesta con l’accettazione di motivi figurativi orientali. In un momento storico nel quale la ricerca di una naturalità perduta e di luoghi incontaminati diventa un’esigenza fondamentale per l’uomo, travolto dalla rivoluzione industriale, il “giapponismo” è solo uno degli aspetti dell’arte, accanto al primitivismo e all’e-

Antico Giappone (1860-1885)

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UTE MAHLER

ollettiva dell’agenzia fotografica tedesca Ostkreuz, rappresentata in Italia dall’Agenzia Grazia Neri. Neueinstellung offre uno sguardo molteplice sulla situazione attuale della Germania. Commissionato da Ostkreuz ai propri fotografi in occasione dei quindici anni di attività dell’agenzia, e realizzato in collaborazione con il Goethe-Institut, è un progetto di documentazione che racconta la Germania di oggi attraverso punti di vista e prospettive differenti. Sibylle Bergemann, per

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i fotografi hanno cercato di capire, osservando con precisione e sensibilità. Il risultato è una cronaca che offre più domande che risposte: il senso della patria e l’essere straniero, il gusto della vita e la paura del futuro, l’idillio e i propri enigmi, le sfaccettature in ciò che è comune, il celato nell’evidenza».

Ostkreuz: Neueinstellung. Galleria Grazia Neri, via Maroncelli 14, 20154 Milano; 02-625271, fax 02-6597839; www.grazianeri.com, photoagency@grazianeri.com. Fino al 24 febbraio; lunedì-venerdì 9,00-13,00 - 14,3018,00, sabato 10,00-12,30 14,30-18,00.

Raffinate rappresentazioni fotografiche dell’Ottocento sotismo, che manifestano, appunto, la necessità di una fuga verso l’altrove, verso mondi lontani e sconosciuti. Presto la fotografia, al seguito di dilettanti e professionisti, invade l’oriente. Ciò che ne risulta è il ritratto di una società quasi avul-

sa dal tempo, che lentamente si apre alla cultura occidentale senza tuttavia manifestarne ancora segni evidenti. La selezione In Giappone 1860/1885 propone immagini di Felice Beato, fotografo tra i più noti dell’Ottocento, che a partire dai primi anni Sessanta del secolo si trasferì in Giappone, dove visse per più di vent’anni. In quegli stessi anni operava, sempre in Giappone, il barone Raimund von Stillfried, le cui opere, prevalentemente ritratti in studio con fondali neutri, pongono l’attenzione sull’interiorità e i costumi sociali dei suoi soggetti. Tra gli assistenti del barone, Kusakabe Kimbei, altro fotografo in mostra, che avviò un proprio studio a Yokohama e presto diventò famoso per le proprie immagini meticolosamente composte che ritraevano i costumi tipici del Giappone. Classiche e allo stesso tempo minuziose vedute panoramiche, eredi della dettagliata iconografia delle stampe giappo-

nesi, mostrano scene di vita quotidiana dove si respira il ritmo lento di un paese ancora rurale. I colori, in queste immagini come in tutte quelle esposte in mostra, sono quelli delicati della pittura ad acquarello. In Giappone 1860/1885. Nepente Art Gallery, via Volta 15, 20121 Milano; 02-29008422; www.nepente.com, gallery@ nepente.com. Fino al 18 febbraio; martedì-sabato 15,0019,30 e su appuntamento.

A seguire 60 Progetto latente 60 Trent’anni 60 Ed è subito fotografia 61 In palmo di mano 61 Cinfestival 61 Approfondimenti 61 Sulla strada (ancora) 62 Tra moda e fantascienza 62 Riflessione poetica 62 Troppocorti



Progetto latente Misteriosa pagina del cinema italiano merciale Cinecittàdue e da Cinecittà Studios, la mostra Tazio Secchiaroli: G. Mastorna, opera incompiuta comprende cinquanta fotografie, scelte anni fa dallo stesso autore, e un ristretto numero di immagini inedite. È il racconto di un episodio ormai mitico per il cinema italiano: la giornata in cui, nella sede dell’Istituto Luce, a Cinecittà, Federico Fellini realizzò le prove per Il viaggio di G. Mastorna detto Fernet, un film che pensò e rielaborò per anni, ma che non vide mai la luce, sembra

a causa di una funesta premonizione fatta al regista dal parapsicologo torinese Rol. Federico Fellini è alle prese con la sua sceneggiatura più segreta e misteriosa, legata a proprie esperienze psicoanalitiche, e Marcello Mastroianni è l’attore protagonista designato: un G. Mastorna, violoncellista dagli occhi azzurri, smarrito e frastornato che cerca di assecondare i sogni e gli incubi più reconditi del regista. Tazio Secchiaroli colse l’atmosfera sospesa che aleggia sul set del film che non sarà mai por-

Ed è subito fotografia

Di ribalta editoriale

un libro di fotografie pubblicate sulle più qualificate testate nazionali e internazionali, che racconta un fantastico percorso professionale. Grandi ritratti e affascinanti fotografie di moda testimoniano sia la costante vitalità creativa dell’artista, sia l’evoluzione dell’editoria, i mutamenti del gusto e l’avvicendarsi dei protagonisti sulla scena mediatica dagli anni Settanta. Con molti esemplari unici e vintage, l’esposizione è occasione per entrare in vivo contatto con il percorso creativo di Toni Thorimbert. Diviso in due sezioni, dalla carrellata cronologica alla visualizzazione delle messe in pagina originarie, il libro è arricchito da contributi critici di Giovanna Calvenzi, Maria Luisa Frisa e Filippo Maggia, curatori anche della mostra, Andrea De Carlo, Giusi Ferrè, Paolo Pietroni, Greg Pond, Bruna Rossi e Lorenzo Jovanotti.

eporter, ritrattista e oggi affermato fotografo di moda e art director, Toni Thorimbert raccoglie e celebra trent’anni di fotografia per i giornali. Carta stampata, che si richiama ai quotidiani, settimanali e mensili con cui l’autore ha collaborato, è una mostra e

Toni Thorimbert: Carta stampata. Nepente Art Gallery, via Volta 15, 20121 Milano; 02-29008422; www.nepente.com, gallery@nepente.com. Dal 23 febbraio al Primo aprile; martedì-sabato 15,0019,30 e su appuntamento.

uasi a riproporre un set naturale, per la prima volta sono esposte nel luogo che le ha viste nascere le fotografie realizzate da Tazio Secchiaroli (1925-1998) nel 1966, durante un particolare momento della vita artistica di Federico Fellini. Curata da David Secchiaroli, patrocinata dall’Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Roma, promossa dal Municipio X, dall’Associazione dei Commercianti del Centro Com-

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Trent’anni

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tato a termine. Unico fotografo presente, convocato dal regista, ha lasciato un corpus di immagini nelle quali si percepisce tutta la tensione e complicità tra regista e attore. Accompagna la mostra il volume omonimo pubblicato da Enzo Sellerio Editore, con una introduzione di Vincenzo Mollica e una nota di David Secchiaroli. Tazio Secchiaroli: G. Mastorna, opera incompiuta. A cura di David Secchiaroli. Cinecittàdue Arte Contemporanea, Centro Commerciale Cinecittàdue, viale Togliatti 2, 00173 Roma; 06-7220910, fax 067220891; direzione@cinecittadue.com. Fino al 19 febbraio; lunedì-sabato 10,30-19,30.

Interpretazioni polaroid della natura ngrandimenti di grandi dimensioni da originali polaroid. Impressioni fotografiche di paesaggi, ma anche di foglie e fiori che, riportate su carta artistica con l’avvincente tecnica del trasferimento di immagine, assumono il gusto tipico delle immagini senza tempo dei padri della fotografia. Con la selezione dei propri Polaroid, Paesaggi, Polagrammi, il toscano Carlo Braschi propone una visione scartata a lato della realtà, appunto osservata con particolare occhio fotografico, che privilegia l’evocazione e permette all’animo dell’osservatore di proiettarsi per proprie emozioni individuali e autonome. In questo senso, non è fuori luogo, e neppure eccessivo, il richiamo ai padri della fotografia, a un tempo nel quale l’immagine fotografica è stata soprattutto declinata come fantastica scoperta di nuove visioni, nuovi modi di vedere, innovativi sentimenti.

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Gli stessi nei quali ciascuno può immergersi grazie alla magia di delicati polaroid abilmente realizzati, allestiti in un ambiente denso di storia e cultura: una volta ancora, forma e contenuto. Carlo Braschi: Polaroid, Paesaggi, Polagrammi. Caffè delle Giubbe Rosse, piazza della Repubblica 1314r, 50123 Firenze. Dall’11 febbraio al 10 marzo.


In palmo di mano STUDIO AZZURRO

Parole e immagini da telefonino

isultato di una collaborazione creativa avviata da Nokia tra intellettuali, poeti, scrittori, musicisti e artisti visivi, tappa dell’iniziativa Nokia Connect to Art, Artesto è un progetto/mostra ideato e curato da Lorella Scacco e Marianne Viglione. Avviato nel

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Cinfestival I vincitori in Rete ll’interno del sito della rivista online www.nonsolocinema.com è stata allestita

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2004, Connect to Art si propone di portare “l’arte nel palmo della mano” e di trasformare il telefono cellulare in uno strumento di sperimentazione per gli artisti. In questo spirito, Artesto è un insieme di parole e immagini trasmesse attraverso il display del cellulare; la sua proposta nasce dall’identificazione di alcuni messaggi chiave, moti e stati della mente relazionati ai temi della sensibilità, della traspa-

renza e della passione. Philippe Daverio, Erri De Luca, Carlo Freccero, Alda Merini, Mogol e il gruppo musicale Subsonica sono gli esperti invitati a identificare e creare dei messaggi chiave. Nella mostra sono esposte opere degli artisti italiani Bianco-Valente, Botto & Bruno, Globalgroove, Antonio Rovaldi, Studio Azzurro e ZimmerFrei, che hanno creato raffigurazioni visive legate ai messaggi, e una

la WebGallery delle fotografie dei vincitori della Sesta edizione del concorso fotografico Il Cinfestival In&Out: Geometrie in architettura. L’intero calendario è pubblicato sul sito www.archcinefoto.it.

Sulla strada (ancora)

ArchCineFoto; 338-3186633.

Approfondimenti Online della fotografia innovato nei contenuti, www.nuovaarnicaeditrice.com è il sito di Nuova Arnica Editrice, che ospita anche le iniziative dell’omonimo Centro Studi. Uno degli elementi portanti dell’indirizzo è costituito dalla bibliografia sul fotogiornalismo, completa di aggiornamenti relativi all’editoria periodica e a quella

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selezione dei precedenti progetti internazionali. Volume pubblicato da Skira Editore: corredato con testi delle curatrici e contributi di Eero Miettinen, direttore di Nokia Design, Alessandro Lamanna, Amministratore Delegato di Nokia Italia, e Juha Hemànus, Nokia Concept Designer.

monografica. Nello stesso spazio vengono anticipati i contenuti di FotoDossier, la testata mirata alle problematiche della fotografia contemporanea, che sta per affrontare il tema della “pornotax”. Un repertorio aggiornato tratta le recenti novità registrate nel rapporto fotografia e privacy, mentre una rassegna sulle nuove immissioni librarie nella biblioteca di redazione della rivista costituisce un aggiornamento sulla recente uscita di importanti titoli. La news letter inaugura la rubrica “Il pensiero fotografico”, aperta alle riflessioni dei visitatori. Nuova Arnica Editrice, via dei Reti 19a, 00185 Roma, 064441611, anche fax; www.

Artesto, nell’ambito di Nokia Connect to Art; a cura di Lorella Scacco e Marianne Viglione. La Triennale di Milano, viale Alemagna 6, 20121 Milano; 02-72434241, fax 0289010693. Dal 21 febbraio al 19 marzo; martedì-domenica 10,30-20,30.

Autore del Gruppo Mignon ontinuano le personali dedicate ai singoli componenti del qualificato Gruppo Mignon affinché, come vuole Walter Rosenblum, siano riconosciute le singole individualità di ciascuno. Angelo Tassitano è uno dei fondatori; nel corso degli ultimi anni ha esposto in mostre personali e partecipato a diverse rassegne internazionali, tra cui il Festival di Fotografia ad Arles in Francia. Scrive di Angelo Tassitano il critico Fausto Raschiatore: «La sua scrittura fotografica ha una particolare peculiarità: è dotata di forza espressiva, personalità, ed esprime narrativamente momenti intensi, efficaci, poetici, al di là dell’ottima stampa e dei valori tonali, sempre estremamente curati. È forte il legame tra ambiente descritto e i soggetti in esso collocati. Il feeling è totale, coinvolgente. I racconti di Angelo Tassitano sono costruiti con armonia: ogni immagine è un capitolo di un lungo e straordinario romanzo. In esso la trama chiaroscurale si fonde nella dimensione più intima dell’autore, all’interno un quadro com-

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plesso e articolato nel quale sono coniugati in modo coerente e speculare, sentimenti profondi, temi affrontati e specificità del contesto osservato». Mostra promossa dalla Fondazione Vincenzo Stefano Breda, a cura di Carlo Silvestrin; catalogo con prefazione di Angelo Maggi; multivisione a cura di Parallelo Mutivisioni. Angelo Tassitano. Museo di Villa Breda, via San Marco 219, 35020 Ponte di Brenta PD; 049-8935600; www.mignon.it, info@mignon.it. Dall’12 febbraio al 12 marzo; martedìsabato 15,30-19,30, domenica 10,00-12,00 - 15,30-19,30.

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dal regista Luca

resieduta Tra moda e fantascienza PGuadagnino, la giuria della Troppocorti

Visioni fotografiche di Peter Lindbergh

eter Lindbergh è uno dei più affermati e corteggiati fotografi di moda dei nostri giorni. Ha firmato due edizioni del Calendario Pirelli (1996 e 2002) e creato avvincenti immagini per le collezioni degli stilisti Armani, Donna Karan, Jill Sander, Prada e Calvin Klein. Il suo stile inconfondibile, tra la realizzazione onirica e la documentazione cruda, gli ha permesso di realiz-

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zare ritratti unici di modelle e attrici. Visioni è pensata e prodotta a misura dello spazio espositivo Forma. Nella sala grande è allestita una serie di ritratti femminili. Nella prima sala di ingresso, piccola e raccolta, è presentato Invasion: un progetto personale attraverso il quale l’autore immagina un’invasione di alieni, che sconvolge, elettrizza ma anche affascina un ipotetico mondo non poi così lontano dal nostro. Volume pubblicato da Contrasto, introdotto da una testimonianza-poema di Wim Wenders. Peter Lindbergh: Visioni. Forma - Centro Internazionale di Fotografia, piazza Tito Lucrezio Caro 1, 20136 Milano; www.formafoto.it. Fino al 26 marzo; martedì-domenica 11,00-21,00, giovedì fino

seconda edizione di Troppocorti, Concorso Sony Recording Media per cortometraggi, rivolto a giovani talenti potenziali del cinema italiano, ha individuato tre opere vincitrici. Primo classificato: Cuore di cane di Diego Lazzarin: «Si premia l’originalità dei mezzi utilizzati e ancor più lo sforzo creativo. Il corto è stato realizzato dal nulla, l’intera opera nasce dalla creazione personale del regista, che ha materialmente realizzato tutto, dai figurini ai bozzetti, dallo storyboard alle musiche. Abbiamo inoltre apprezzato le musiche che sono state inserite in perfetta sinergia con le immagini. In soli dodici minuti, Diego Lazzarin è riuscito a ricreare una struttura narrativa compiuta». Secondo classificato: Tutto in un momento di Alberto Coletta: «Si premia l’uso originale del documentario per la realizzazione di un cortometraggio. Infatti, l’idea e il taglio scelto sarebbero potuti essere quasi scontati, visto il gran-

de utilizzo che se ne fa oggi. L’originalità dell’opera nasce invece dalla scelta dei momenti più importanti delle tre storie che sono state condensate con precisione e competenza per raccontare, senza interventi esterni, le stesse». Terzo classificato: Ali di sangue di Nicolantonio Mucciaccia: «Ciò che maggiormente ci ha colpito di questo corto è stato l’utilizzo del mezzo audiovisivo come forma d’arte per raccontare una storia senza apparentemente ricorrere a una trama vera e propria. Molto è stato lasciato alle immagini e alle musiche, scelte, tra l’altro, in modo assolutamente appropriato per il ritmo del corto. La dimensione introspettica e evocativa ha fatto il resto».

Mimmo Jodice: Light. A cura di Valerio Dehò in stretta collaborazione con l’autore, per la Galleria d’Arte Moderna di Bo-

logna. Villa delle Rose, via Saragozza 228-230, 40135 Bologna. Fino al 26 febbraio; martedì-domenica 14,00-19,00.

Concorso Sony

Sony Italia, via Galileo Galilei 40, 20092 Cinisello Balsamo MI; troppocorti@eu.sony.com.

Riflessione poetica spetto inesplorato del lavoro di uno dei più autorevoli fotografi italiani contemporanei: la fotografia a colori. Light, mostra e volume, presenta un inedito Mimmo Jodice, la cui espressività è sostanzialmente riconoscibile per una particolare e personale declinazione del bianconero. Le attuali fotografie raccolte nel volume Light mostrano paesaggi ed elementi naturali, reperti archeologici, come oggetti comuni: un grande archivio, costruito in oltre quarant’anni di attività, che offre uno sguardo inedito sulla poetica dell’autore, dalla riflessione sulla classicità e lo spirito dell’antica cultura mediterranea all’in-

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dagine sulla realtà sociale napoletana e meridionale. Mimmo Jodice usa soggetti e linguaggi diversi per dare più intensità alle proprie visioni del mondo e renderle capaci di penetrare intimamente nella sensibilità di chi entra in contatto con la sua opera, affidandosi al richiamo di memorie collettive. Il libro e la mostra danno ordine a questo catalogo di esperienze, ordinate in un percorso che sottolinea una ricerca di dialogo tra presente e passato. Monografia pubblicata da Damiani Editore; testi di Valerio Dehò e Walter Guadagnini; 110 fotografie; 144 pagine 24x28cm; 45,00 euro.

NAPOLI, 1993

Un inedito Mimmo Jodice: a colori



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Weegee, come è noto anche ai magazzinieri del Museum of Modern Art di New York e all’ultimo gallerista, che lo ignora perché poco smerciabile, è lo pseudonimo di Arthur Fellig, uno dei più grandi fotografi delle periferie metropolitane: nato a Zloczew, nel territorio dell’impero austroungarico (ora Polonia), il 12 giugno 1899. A poco più di dieci anni, il ragazzo, i fratelli e la madre si trasferiscono negli Stati Uniti, e si ricongiungono al padre, prima venditore ambulante di terraglie, poi rabbino (è qui che il nome di battesimo Usher viene cambiato in Arthur). Nel Lower East Side di New York, dicono i biografi col tanfo del lamento accademico, conduce una vita povera, ai limiti della sopravvivenza. Come tanti immigrati fa ogni tipo di lavoro e, in qualche modo, comincia a scattare fotografie per le strade di New York. Guadagna poco, ma fare fotografie è meno faticoso che spalare il carbone nelle stive delle navi o raccogliere stracci sui marciapiedi. Collabora con studi fotografici commerciali e apprende il mestiere, svolgendolo. A ventiquattro anni lavora per l’agenzia fotogiornalistica Acme Newspictures come tecnico di camera oscura, prende lezioni di violino e di notte si conquista sul campo, cioè nella strada, il soprannome di Weegee (è la traduzione fonetica di Ouija, una tastiera collegata a una tavoletta per la scrittura automatica, che permetterebbe di ottenere messaggi telepatici e quindi di predire il futuro, si scrive in ogni biografia weegeeniana; per una minoranza di disertori del conforme o dissimulatori del disordine costituito, è una specie di grido di battaglia dei pel-

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WEEGEE

lerossa, ma forse è solo una millanteria umoristica presa troppo sul serio). Dopo il 1935, Weegee diventa fotografo freelance e inizia a frequentare i quartieri pericolosi di New York; di notte sintonizza la sua radio con quelle della Polizia di Manhattan e i suoi reportage divengono veri denudamenti della realtà e del costume newyorkese. Weegee (che si autodefinisce The Famous, ovvero il famoso, come riporta e certifica sul

sono in grado di distruggere nelle proprie banalità mercantili, ed è il caso di Weegee. Weegee non è stato un “collaboratore” della polizia (come sovente è scritto), ma un poeta del limite, uno dei maestri (non sempre riconosciuto) della storiografia fotografica del Novecento, un artista che ha inventato un modo di fotografare la realtà e il dolore dell’esistente. La fotografia diretta, spoglia, nuda di Weegee ha figurato le illusioni, le miserie o le

«Se la fotografia non è buona, vuol dire che non eri abbastanza vicino». Robert Capa proprio credit alle stampe bianconero che consegna) è presente in ogni luogo, coglie il crimine sul fatto e la sua Speed Graphic 4x5 pollici, armata di flash, illumina il sangue versato sotto le mille luci della “grande mela”. Muore di tumore alla gola il 26 dicembre 1968, a New York.

DELLA FOTOGRAFIA DI NERA La fotografia di Weegee si chiama di “nera” perché, di notte, registra la cronaca più cruda e cruenta della città; ma il suo sguardo esce da questo stereotipo e si colloca oltre l’immediato e la ripetizione. E Weegee s’inventa anche il modo di illuminare la scena. Usa il flash portatile in modo diretto (come in anni successivi avrebbe fatto anche Diane Arbus), e le ombre profonde e le luci sparate sul destino di tante tragedie diventano la sua cifra stilistica. Ci sono fotografie e autori che nemmeno il cinematografo, la televisione o la fototelefonia

violenze malcelate del “sogno americano”. Quell’uomo corpulento, con immancabile sigaro in bocca e Speed Graphic tra le mani, non era affetto da pietismo di cronaca o dall’estetica del miserabilismo “nobiliare” di molti colleghi (che dopo di lui faranno del crimine un gioco estetizzante); la sua arte segnava la decadenza di una nazione e, più ancora, il disfacimento di una civiltà che prometteva spettacolo per tutti e galere, manicomi e polvere da sparo per i cattivi (come nella macchina/cinema). Le immagini di Weegee hanno suscitato appellativi come “moralmente discutibili” o “perverse”: vero niente. Anche ricondurre il suo stile alla fotografia candid (rubata, scattata di nascosto) è riduttivo, quanto è farsesco parlare di luce alla “Rembrandt” ogni volta che il soggetto (non solo di Weegee) è in piena luce ed è preso o ritagliato su uno sfondo nero. La fotografia di strada di Weegee si dispiega dentro

un’estetica “espressionista” o, meglio, un’affabulazione dei corpi che raccontano le ombre e le luci di una bellezza mortale che è tragedia e candore insieme, una visione radicale della realtà che esorta a tentazioni o riscritture di eventi, dove il tempo incanaglito del presente emerge nei volti dei violenti, quanto dei violentati. Weegee era un pessimista gaio. Le sue fotografie, infatti, hanno uno spessore etico ed estetico di notevole drammaticità e, nel contempo, si aprono a ironie e giudizi di estrema durezza sull’intera società americana. I suoi lavori sono però altro dalla fotocronaca di “nera” o, almeno, si discostano dalla fotosegnaletica poliziesca o dalla fotocronaca di costume. Riguardo l’opera di Weegee, qualcuno ha parlato di “fotografia d’azione”: ancora, vero niente. Fotografia “rubata” è certo, mai estromessa da una morale sanguigna, che vedeva il fotografo indifferente alla tragicità del momento. Non è nemmeno vero che Weegee fotografava il “fatto senza alcun tipo di interpretazione”, semmai è vero il contrario. Nei piccoli crimini o in ammazzamenti e ingiustizie più grandi, Weegee coglieva frammenti di cruda realtà e le sue immagini invitano a riflettere sull’apparenza, tutta cinematografica, roba da divi di Hollywood, e sulle contraddizioni di un mondo falso, quanto lucente, che non andava sostenuto ma aiutato a crollare.

DELLA FOTOGRAFIA NUDA La fotografia nuda di Weegee è codificata in una lingua propria, una specie di “idoletto” iconografico che racconta un mondo in un’immagine. È vero, ma non sempre, che «soltanto nel momento in cui l’im-


magine diventa essa stessa capace di raccontare un avvenimento in una serie di fotografie, mentre il testo si riduce a semplici didascalie, ha inizio il fotogiornalismo» (Gisèle Freund); e Weegee è tra i padri fondatori di questa poetica. L’audacia quanto la sensibilità, l’insolenza quanto il disincanto, la genialità quanto l’amorevolezza per l’epifania del dolore o della crudeltà gli permisero di comprendere ciò che era importante nella fotografia di “nera”: arrivare per primo sul luogo del delitto, documentare e vendere ai giornali. Weegee non è mai stato “famoso” o idolatrato, come spesso si legge nei resoconti delle riviste specializzate o nelle schedature degli storici. Pagava anche i poliziotti (un’abitudine consolidata in ogni “arma”, e continua a esistere all’interno d’ogni civiltà dei consumi, specialmente), e i solerti tutori dell’ordine gli riferivano sul momento gli omicidi che avvenivano nel Bronx, a Manhattan o a Wall Street (quartiere nascente di criminali in doppiopetto). Entrava anche ad Harlem, territorio di neri e tomba irrispettosa (non sempre a torto) di molti bianchi. Il giornalismo americano non esplose con Weegee, ma con lui uscì dall’infanzia avventurosa della cronaca disegnata, o ebbe la regalità epica dovuta alla maestria di un brigante di confine. La fotografia che conta si rivela là dove la bellezza, come il dolore, sconfigge l’inautentico, l’improprio o il banale. «La verità si manifesta solo dando luogo alla non-verità, cioè come aver-luogo del falso, esposizione della propria intima improprietà» (Giorgio Agamben): in fotografia, in filosofia e dappertutto. A leggere le immagini di Weegee (con proprietà di mezzi e attenzione non viziata da legacci con i valori e le morali correnti) c’è da restare quanto meno allibiti della loro grandezza formale ed etica visionaria dell’ingiustizia sociale.

Il suo lavoro non è solo popolato di delitti efferati, galere, incendi, interni di bar malfamati; ci sono ritratti di gente che attraversa clandestina la notte (anonima e indistinta, come i contrabbandieri attraversano mari, fiumi e monti in punta di dogana) e lasciano sulla lastra sensibile di Weegee le proprie insubordinazioni o solitudini, quanto le proprie cattività o sofferenze. Così vediamo il verduraio e il suo cavallo sotto la neve, il travestito che esce con le gambe nude dal cellulare, ubriachi sui marciapiedi, puttane nei bar, scioperi, e poi ancora morti ammazzati, linciaggi giovanili, pestaggi della polizia, superstiti di incendi: tutti accomunati da una sorta di deriva fotografica di ineguagliabile forza evocatrice e dissipatrice, allo stesso momento. La dualità formale di Weegee mostra che l’immagine fotografica è sempre più che un’immagine: è il luogo o il segno di un avvenimento, di un taglio sublime tra il sensibile che emerge dalla fotografia e il reale che muore nella storia che racconta, tra la copia che rigetta e la realtà che denuda. Le migliaia di persone che guardano in macchina (in quella di Weegee), nella meta/fotografia Coney Island, 28 luglio 1940, quattro del pomeriggio (in alcune monografie, la stessa immagine, a volte proposta in uno scatto leggermente diverso, ma coincidente, è datata 22 luglio), non somigliano proprio a “un campo di girasoli”, come è stato scritto, ma sono specchio dell’anomia concentrazionaria, consumistica, spettacolarizzata della nascente società di massa. Ci sono delle fotografie di Weegee di una bellezza estrema, e a guisa di “corpi della risorgenza” si tengono tra le mani e negli occhi come angeli messaggeri, profezie di dolori incolmabili, fatti recapitare ai colpevoli mai confessi di tante colpe. Stiamo parlando di Critica di due abbonate alla Me-

SIMIL WEEGEE

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uando Occhio indiscreto arrivò sugli schermi italiani se ne parlò molto. Siccome poi tutto cade sempre più precipitosamente nel dimenticatoio, all’indomani del proprio momento di gloria e di notorietà, la vicenda cinematografica a sfondo fotografico si è presto esaurita in se stessa. La locandina dell’epoca e la confezione della videocassetta [oggi DVD] non ammettono equivoci. Non ci si può sbagliare, anche se non si arriva alla scritta di richiamo: “Omicidi. Scandali. Crimini. Non è importante su cosa punta l’obiettivo, lui scatta solo delle foto...”. Non c’è alcun dubbio: si tratta della messa in scena di un reporter anni Quaranta sullo stile di Weegee, il celebrato fotografo di cronaca nera newyorkese che nella propria autobiografia didascalizzò un mandato di pagamento di Time relativo alla fotografia di due assassinati come “L’omicidio è il mio business” (Weegee by Weegee; Ziff-Davis Publishing Company; New York, 1961). Così come l’originale Weegee-Arthur Fellig, anche il cinematografico Bernzy (Leon Bernstein) si muove nel sottobosco newyorkese: in una città violenta nella quale ogni notte si rinnova la sfida della vita, e dove il valore dell’esistenza non supera i tre dollari a cadavere con cui i giornali di nera pagano ogni fotografia di morti ammazzati. Sullo schermo, un ottimo Joe Pesci replica bene modi, gesti e atteggiamenti nei quali ognuno di noi è disposto a individuare il leggendario Weegee, a partire dall’immancabile sigaro tra i denti, anche quanto il mirino della Speed Graphic è portato all’occhio. Cediamo la parola a Weegee, dalla cui autobiografia ricaviamo qualche riga significativa: «L’altro tabloid, il Daily Mirror, era un giornale anticonformista. Distrattamente lasciavo intendere a Manny Elkins, il picture editor, che avevo appena venduto una serie al News. Allora la voleva anche il Mirror, perché i due giornali erano come cane e gatto e si facevano una concorrenza spietata. All’inizio della mia collaborazione con il Mirror, mi era capitato di vendergli una foto e di vederla pubblicata il giorno dopo anche su Journal-American. Avevo chiesto a Elkins: “Come mai?”. Mi aveva risposto che anche Journal-American era un giornale della Hearst. Allora gli avevo fatto notare il timbro sul retro della stampa, “Foto: Weegee The Famous. Per singola pubblicazione”, e gli avevo scucito altri cinque sacchi. [...] «Gli affari andavano a gonfie vele. Mi sentivo in gran forma. I giornali cominciavano a dipendere da me per la fornitura del materiale. Un bell’omicidio per notte più un incendio e magari una rapina con ostaggi mi bastavano a procurarmi la pancia piena tutti i giorni, oltre alla confortevole sensazione di un gruzzolo in tasca». M.R. (da FOTOgraphia, marzo 1996)

tropolitan Opera (del 1943; titolata anche Critica. Mrs. George Washington Kavanaugh e Lady Peel), Capodanno da Sammy’s nel Bowery (sempre del 1943) e Estate nel Lower East Side (1937). Come sappiamo, Critica è la raffigurazione di due miliardarie e di una povera donna che le guarda con disgusto (quanto il fotografo); Capodanno è il ritrat-

to di un nano in mutande, ubriaco, con in testa, un po’ di traverso, il cappellino con scritto “1943”; Estate nel Lower East Side raffigura un gruppo di ragazzi gioiosi che giocano felici in strada, sotto la pioggia di una colonnina antincendio violata. Tre fotografie molto diverse tra loro, tenute insieme da una malinconia struggente per l’ingiustizia (Critica), la so-

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litudine (Capodanno) e l’innocenza dell’infanzia vissuta (Estate), che segnano le abrasioni della vivenza sul corpo sociale, quanto i desideri esauditi o non confessati, che annunciano il giorno dove gli uomini giudicheranno i propri errori e riprenderanno il tempo perduto per la riscoperta del meraviglioso e dello straordinario che sono alla base della comunità che viene. La prima raccolta di fotografie di Weegee, Naked City, pubblicata nel 1945, lo rese grande (edizione originaria Essential Books; riedizioni Da Capo Press del 1975 e 1985). Vogue lo accolse sulle proprie pagine. Il Museum of Modern Art di New York gli acquistò diverse fotografie. Nel 1948, Jules Dassin gira un buon film poliziesco, preso dal titolo e dalle immagini del libro di Wee-

gee, che gli fa anche da consulente (un cameo: sul set del film si aggirava anche uno strano fotoreporter inviato da Look Magazine, poi maestro del cinema d’autore, Stanley Kubrick: a volte i geni s’incontrano [ricordiamo che, in seguito, a metà degli anni Sessanta, Stanley Kubrick ingaggiò Weegee come fotografo di scena per il suo Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb, in Italia tradotto letteralmente in Il dottor Stranamore, ovvero come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba, come abbiamo ampiamente commentato in FOTOgraphia dell’aprile 2004]). In The Naked City, Jules Dassin esprime una visione documentaria della metropoli di non poco valore, anche se l’impianto del film resta con-

forme alle regole industriali del poliziesco. Il direttore della fotografia (William H. Daniels) fu premiato con un Oscar, meritatamente. Il film c’incastrava poco con il libro di Weegee; soprattutto, era tratto da un racconto di Malvin Wald e sceneggiato dallo stesso scrittore e da Albert Maltz (che poi sarà accusato di essere comunista e incluso nella lista dei proscritti di Hollywood dal missionario del “buon costume” americano, senatore Joseph McCarthy, presidente della famigerata Commissione per le attività antiamericane e responsabile delle cosiddette “liste nere”, contenenti i nominativi di presunti simpatizzanti comunisti, che inaugurò una stagione di “caccia alle streghe” nella “fabbrica dei sogni” puritana e fascista, sostenuta da delatori del calibro di Walt Disney, Gary Cooper e Elia Kazan). Weegee fece qualche particina in film minori, e molte fotografie scattate sotto il sole della California furono raccolte nel volume Naked Hollywood (1953). Un libro, in vero, che dice molto della maestria fotografica di Weegee, sovente sarcastica e irriverente anche con i semidei dello star system, ma che non raggiunge la compiutezza espressiva dell’originario Naked City. Non siamo interessati a parlare delle caricature fotografiche di personaggi pubblici o della politica, che molto hanno divertito la critica sinistrorsa; restano un’iconografia grossolana, che nulla o poco hanno a che vedere con l’arte caustica di questo ex-venditore di caramelle e ferrotipista ambulante. È significativo riconoscere invece a Weegee una certa forza espressiva nei piccoli cortometraggi (in 16mm) che ha realizzato: Weegee’s New York (1948; colore, venti minuti), Cocktail Party (1950; bianconero, cinque minuti) e The Idiot Box (1965; bianconero, cinque mi-

nuti) sono autentiche incursioni nel documentario contaminato, una catenaria di immagini vigorose, mai banali, che si sottraggono alla fragilità delle storie. [Per la combinazione Weegee-cinema non si può ignorare il film Occhio indiscreto di Howard Franklin (The Public Eye; Usa, 1992), nel quale l’attore Joe Pesci ricalca la personalità di Weegee, una cui identificata e attribuita serie di immagini scorre sullo schermo sotto i titoli di testa; riquadro a pagina 65]. La scrittura iconografica di Weegee, come quelle dei grandi masnadieri della storiografia per immagini, contiene e rappresenta l’intera umanità, documentata, storicizzata nei corpi, nei gesti, nell’atipicità dell’innaturale e, proprio come nei dagherrotipi, nelle “carte de visite”, nella ritrattistica epopeica dei randagi della fotografia, le “visioni surreali” di Weegee diventano icone della realtà colta sul fatto, evento, accadimento, accidente di qualcosa che non c’è più, ma che risorge nello svelamento di una società sopravvissuta al nichilismo, quanto alla cattiva coscienza di sé. La fotografia che culmina nel canto di lode, nella santificazione del nome o nella sacralità della forma non vale niente. La fotografia che mette fine alla pretesa dominazione del gusto e del senso sociale (come quella di Weegee, per esempio) si fa levatrice di un nuovo corpo di umanità. La fotografia dell’autentico comincia là dove l’immagine rivela il proprio destino. La fotografia nobile o della deriva è senza padrone, e nella sua sorgività libertaria fa del libero uso di sé il princìpio d’ogni struccatura del potere in carica. Discorso sulla fotografia, anche: non c’è nulla nel grande mercato della fotografia che l’entusiasmo dell’imbecille non riesca a degradare. Buona visione. Pino Bertelli (4 volte dicembre 2005)


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