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ANNO XIII - NUMERO 120 - APRILE 2006
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Digitale OLYMPUS E-330 REFLEX AUTENTICA
Fotogiornalismo LE COSE COSÌ COME SONO
STEFANO RELLANDINI LO SPORT DELLA VITA
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COMUNICAZIONI Era insofferente per natura alle perdite di tempo, e più invecchiava meno sopportava le comunicazioni a distanza sotto qualsiasi forma. Detestava il telefono, odiava le segreterie telefoniche e ascoltava i messaggi il più velocemente possibile per poi cancellarli dalla propria vita, spesso prima che finissero. Considerava i walkie-talkie una rottura e la posta elettronica una schiavitù, specie quando le piombavano dal cyberspazio messaggi urgenti di perfetti sconosciuti. Judy Hammer aveva soltanto voglia di pace e tranquillità. Era arrivata a un punto nella vita in cui la gente la stancava, visto che soltanto di rado le sembrava di comunicare qualcosa di interessante. Patricia Cornwell (da L’isola dei cani) FOTOGRAFIA E PORNOTAX. Secondo il periodico FotoDossier, ci avviciniamo a Semiramide. La regina degli Assiri rese la libidine lecita nel proprio sistema legislativo (Dante, Inferno, Canto V, 52-58); il governo Berlusconi ha inserito nella legge finanziaria un’addizionale sui redditi derivanti dalla produzione e vendita di materiale pornografico. Partendo da questa premessa, nel primo numero 2006 della rivista (anno VI), Gianfranco Arciero ha analizzato le possibili ripercussioni in campo fotografico ed editoriale, ponendo interrogativi sulla linea di discrimine tra nudo, pornografia ed espressione artistica. Quindi, richiama l’opera di fotografi del passato e contemporanei, la cui produzione -in linea teoricapotrebbe, o dovrebbe, essere suscettibile di entrare nella sfera della legge.
Camminando per strada, a volte la mente partorisce delle idee. Forse non si tratta nemmeno di autentiche idee, ma di qualcosa di più vago, di semplici impressioni che, subito, si cerca di precisare. A volte bastano un fatto insignificante, un odore quasi impercettibile a farci rivivere, per una frazione di secondo, un istante della nostra vita. È una sensazione così forte, che ne siamo coinvolti totalmente e vorremmo aggrapparci a quel ricordo tanto vivo, ma un attimo dopo non ci resta più niente, non siamo neppure in grado di dire a cosa stessimo pensando. Dopo aver tentato invano di trovare una risposta ai nostri interrogativi, desistiamo. Finiamo col chiederci se non fosse la reminiscenza di un sogno antico o, chissà, di una qualche vita anteriore.
Copertina Eccellente esempio di coerenza fotografica, il bravo Stefano Rellandini, dell’Editoriale Reuters, interpreta lo sport con concentrata attenzione: dal suo svolgimento a visioni di lato. Premio Omega Fotocronache per la fotografia di sport 2006, iscrive il proprio nome in un albo che sta componendo i tratti di una vicenda espressiva e visiva spesso sottovalutata. Da pagina 40
3 Fumetto 49
Dettaglio dalla copertina di Terror Blu 102 del marzo 1981 (per la cronaca, intitolato Dominatore): fumetto per adulti, definizione ufficiale, di una stagione che si è manifestata nei decenni scorsi con connotati di volgarità gratuita, dalla quale -nonostante recenti rivisitazioni e celebrazioni- prendiamo le distanze. Ci interessa soltanto la combinazione fotografica, che ci impone di avvicinare anche ciò che vorremmo ignorare
7 Editoriale 56
Oltre l’approfondimento, che riportiamo da pagina 27, la raccolta Things As They Are sollecita altre annotazioni complementari. Ribadiamo lo spessore e valore della fantastica sintesi degli ultimi/recenti cinquant’anni di (foto)giornalismo, con un rammarico a margine
10 Con gli omaggi della casa In occasione della Leica M7 con numero di matricola tre milioni donata a Sebastião Salgado, che l’ha finalizzata a una sostanziosa iniziativa benefica, ripercorriamo la lunga storia delle Leica con numero di matricola particolare, che la celebre casa fotografica ha riservato a personalità che si sono distinte nei propri campi FotoDossier, Nuova Arnica Editrice, via dei Reti 19a, 00185 Roma, 06-4441611, anche fax; www.nuovaarnicaeditrice.com, n.arnica@flashnet.it.
36
16 Notizie Attrezzature, vicende e altre segnalazioni
. APRILE 2006
RRIFLESSIONI IFLESSIONI,, OSSERVAZIONI OSSERVAZIONI EE COMMENTI COMMENTI SULLA SULLA FFOTOGRAFIA OTOGRAFIA
20 Con i miei occhi
Anno XIII - numero 120 - 5,70 euro
Dieci immagini inedite, tratte dai recenti tre anni di ricerca di Renato Begnoni: artista che si esprime con la fotografia
23 Ancora al positivo
DIRETTORE
IMPAGINAZIONE
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Diciassettesima edizione del Premio Yann Geffroy: ex-æquo a Massimo Berruti e Jesco Denzel
Alessandra Alpegiani Loredana Patti
43
55
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52 Tra donna e natura 23
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56 Reflex autentica Reflex digitale Olympus E-330, con visualizzazione del campo inquadrato direttamente sul monitor LCD di Antonio Bordoni
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58 Celebrazione digitale Anniversary Kit Hasselblad 503CWD, nel centenario del fondatore Victor Hasselblad (1906-2006)
Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano
60 Agenda Appuntamenti del mondo della fotografia
Sguardi su un affascinante fotografo della seduzione di Pino Bertelli
COLLABORATO
Renato Begnoni Pino Bertelli Antonio Bordoni Sara Del Fante Ferruccio Giromini Omega Fotocronache Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Stefano Rellandini Antonella Simoni Zebra for You
● FOTOgraphia è venduta in abbonamento.
Immagini del recente passato, che evocano istanti dello star system. Titoli in collana Damiani Editore
65 Robert Mapplethorpe
Maddalena Fasoli
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46 La forza dell’archivio
Sex and Landscapes, in mostra fino a giugno, prima sostanziosa selezione postuma di Helmut Newton
SEGRETERIA HANNO
In monografia: Gian Paolo Barbieri, Brigitte Niedermair, Nadir e Ron Kedmi, dell’agenzia di Luigi Salvioli. Quattro avvincenti personalità della fotografia d’autore di Angelo Galantini
Stefano Rellandini, dell’Editoriale Reuters, Premio Omega Fotocronache per la fotografia di sport 2006
REDAZIONE FOTOGRAFIE
34 Oltre la moda
40 Lo sport della vita
Gianluca Gigante Alessandra Alpegiani Angelo Galantini
27 Le cose così come sono Fantastico e utile casellario del fotogiornalismo internazionale degli ultimi cinquant’anni, Things As They Are è un volume prezioso. Imperdibile di Maurizio Rebuzzini Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
RESPONSABILE
Maurizio Rebuzzini
14
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La vera storia dei migliori prodotti Photo & Imaging e dei Traguardi Tecnologici
TIPA AWARDS Gli “Oscar” dell’industria Photo & Imaging
Se vuoi conoscere quali sono i migliori prodotti fotografici, video e imaging e hai bisogno di un consiglio da esperti, dai un’occhiata ai prodotti che espongono il logo TIPA Awards. Ogni anno, i redattori di trentun riviste di fotografia e imaging leader in Europa votano per stabilire quali nuovi prodotti sono davvero i migliori nelle rispettive categorie. I TIPA Awards giudicano qualità, prestazione e valore; per questo sono i premi indipendenti del settore di cui ti puoi fidare.
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ssolutamente affascinante e volume di spessore, come annotiamo da pagina 27, Things As They Are è una raccolta di giornalismo che non si esaurisce con il solo assolvimento del proprio compito istituzionale. Compilato in occasione dei cinquant’anni del World Press Photo, il prestigioso e qualificato premio annuale al fotogiornalismo avviato nel 1955, è un repertorio di cinquant’anni di storia contemporanea, appunto narrata dall’incessante successione di fotoreportage che hanno raccontato avvenimenti significativi del mondo: sia cronache annunciate e previste, sia aspetti ordinari della vita contemporanea, sollecitati e sintetizzati dall’impegno e capacità di abili fotografi (e attenti periodici che li hanno pubblicati). Tanto e profondo materiale visivo non deve andare perduto, non si dovrebbe disperdere in quell’eccesso di informazione effimera che, in questi nostri attuali giorni, sta compromettendo la concreta riflessione e il sostanzioso apprendimento individuale e collettivo. Oltre le considerazioni espresse in presentazione e commento, ribadiamo da pagina 27, altri appunti completano l’analisi della corposa monografia, prezioso tesoro della cultura fotografica contemporanea. In primo luogo, confermiamo il nostro personale apprezzamento per le scelte effettuate dalla curatrice, selezionate all’interno di una infinita quantità di fotoreportage potenzialmente meritevoli di attenzione. Magari si sarebbe potuto scegliere altro, ma quello che è stato indicato è un percorso autenticamente legittimo, oltre che concretamente coinvolgente (però, più avanti, segnaliamo una assenza che ci ha un poco amareggiato). Soprattutto, abbiamo apprezzato l’attenzione per reportage che esulano da percorsi già in precedenza celebrati dalle storie della fotografia contemporanea, e, allo stesso momento, abbiamo gradito la sottolineatura del giornalismo pubblicato in testate originariamente orientate in altri ambiti (dall’economia alla cultura, dalla socialità alla moda, alla musica): in definitiva non sono giornalismo solo le intenzioni dichiaratamente tali, ma è giornalismo il racconto coerente della vita. Via via che si sfogliano, le pagine di Things As They Are consentono a ciascuno di soffermarsi sulla sequenza dei reportage visualizzati, tutti presentati attraverso le pagine dei periodici che li hanno originariamente pubblicati. Così facendo, si ripercorrono cinquant’anni di vita: lo abbiamo già detto, e qui lo ribadiamo una volta ancora, e una di più. Nel cammino veniamo accompagnati da una qualificata serie di autori che hanno fatto grande il fotogiornalismo, perché hanno saputo andare oltre la sola documentazione, per impegnarsi con partecipazioni individuali che hanno fatto e fanno la sostanziale differenza. Allo stesso momento, nel proprio complesso, incontriamo un fotogiornalismo che è spesso testimonianza vibrante, non statica, non distaccata, capace di colpire la testa e il cuore dell’osservatore (anche se a volte, per farlo, è costretta a passare per la pancia). Nel repertorio non mancano sorprese, a ciascuno le proprie, e sono graditi molti incontri.
A
Bisogna averlo. Questa è l’annotazione principale a commento e giudizio della raccolta Things As They Are Photojournalism in Context Since 1955, il grandioso volume pubblicato in occasione del cinquantesimo anniversario del World Press Photo, del quale approfondiamo i contenuti da pagina 27.
7
MINAMATA, 1972 NEL BAGNO;
TOMOKO
Dolorosamente non incluso nel repertorio allestito in Things As They Are, il reportage di W. Eugene Smith sul genocidio da inquinamento industriale a Minamata, in Giappone, è straordinario esempio di “impegno dell’anima” e testimonianza “con anima”. Così come si esprime Giuliana Scimé in Il Fotografo Mestiere d’Arte, dove afferma anche che «Definire fotografie le riprese di Minamata è del tutto inadeguato. Sono urla disperate di un dolore cosmico, immagini che attraverso la mente e il cuore si sono impresse sulla pellicola».
8
A questo proposito, è obbligatoria la segnalazione del servizio su un bambino delle favela che circondano Rio de Janeiro, che Gordon Parks ha composto con fotografie emozionanti, estranee alla retorica, a riprova della sua particolare umanità e capacità di sintonizzare la propria anima d’autore (in Life del 16 giugno 1961). Non è certamente un reportage dei più noti di Gordon Parks; così come, all’interno del percorso di Things As They Are, non è un passaggio discriminante. Però, nella coincidenza della scomparsa dello stesso Gordon Parks, mancato a New York lo scorso sette marzo, all’età di novantatré anni, questo contatto assume un altro valore: richiama alla mente una personalità di primo piano. Oltre tutto, i meriti fotografici di Gordon Parks si misurano anche nel suo essere stato pioniere degli afro-americani all’interno dell’establishment della fotografia e del cinema statunitensi (nel 1971 fu il primo regista nero a dirigere un film di primo piano di Hollywood, Shaft ). Raccontando cinquant’anni di giornalismo, Things As They Are ha avuto anche modo di dare spazio e visibilità ad autori che hanno scritto importanti capitoli della storia della fotografia. Non sono certo casuali, lo rileviamo, le presenze di Henri Cartier-Bresson, Walker Evans, Robert Frank, W. Eugene Smith, Diane Arbus, limitando al minimo le citazioni, accanto ai quali si esprimono anche gli italiani Gianfranco Moroldo, Tazio Secchiaroli, Letizia Battaglia e Franco Zecchin. Tra parentesi, poi, va sottolineata ancora la consistenza dei testi accompagnatori (purtroppo in inglese): sia dei saggi di introduzione e postfazione, sia delle note di presentazione delle cinque decadi nelle quali è stato suddiviso il corpo complessivo e dei singoli reportage visualizzati. Sostanzialmente, si tratta di un repertorio che dà ordine e consecuzione logica allo svolgimento dei fatti che presenta, come anche all’evoluzione espressiva della stessa comunicazione visiva, che si trasforma per propria maturazione personale e in relazione e dipendenza di influenze e pressioni esterne (una, in particolare, riguarda una certa involuzione della carta stampata nell’era della comunicazione televisiva e, più recentemente, della comunicazione in tempo reale attraverso la Rete). Ora, una nota dolente, che abbiamo segnalato qualche riga fa. Per quanto rispettiamo e condividiamo la scelta di escludere dal casellario i reportage già noti e acclamati, lamentiamo la mancanza del servizio sul genocidio da inquinamento industriale che W. Eugene Smith realizzò a Minamata, in Giappone, all’inizio degli anni Settanta. Come sottolinea Giuliana Scimé nel suo competente Il Fotografo Mestiere d’Arte (FOTOgraphia, maggio 2003), «Definire fotografie le riprese di Minamata è del tutto inadeguato. Sono urla disperate di un dolore cosmico, immagini che attraverso la mente e il cuore si sono impresse sulla pellicola». Non solo condividiamo, ma anche sottoscriviamo. Non è certo assenza da poco, ma non pensiamo si tratti di non conoscenza o sottovalutazione: quanto, proprio, nella incessante sequenza di segnalazioni, la curatrice rivela di aver optato per una strada meno battuta. Non le rimproveriamo più di tanto, e confermiamo che Things As They Are è assolutamente un libro da avere. Maurizio Rebuzzini
MINAMATA, 1972 NEL BAGNO;
TOMOKO
Dolorosamente non incluso nel repertorio allestito in Things As They Are, il reportage di W. Eugene Smith sul genocidio da inquinamento industriale a Minamata, in Giappone, è straordinario esempio di “impegno dell’anima” e testimonianza “con anima”. Così come si esprime Giuliana Scimé in Il Fotografo Mestiere d’Arte, dove afferma anche che «Definire fotografie le riprese di Minamata è del tutto inadeguato. Sono urla disperate di un dolore cosmico, immagini che attraverso la mente e il cuore si sono impresse sulla pellicola».
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A questo proposito, è obbligatoria la segnalazione del servizio su un bambino delle favela che circondano Rio de Janeiro, che Gordon Parks ha composto con fotografie emozionanti, estranee alla retorica, a riprova della sua particolare umanità e capacità di sintonizzare la propria anima d’autore (in Life del 16 giugno 1961). Non è certamente un reportage dei più noti di Gordon Parks; così come, all’interno del percorso di Things As They Are, non è un passaggio discriminante. Però, nella coincidenza della scomparsa dello stesso Gordon Parks, mancato a New York lo scorso sette marzo, all’età di novantatré anni, questo contatto assume un altro valore: richiama alla mente una personalità di primo piano. Oltre tutto, i meriti fotografici di Gordon Parks si misurano anche nel suo essere stato pioniere degli afro-americani all’interno dell’establishment della fotografia e del cinema statunitensi (nel 1971 fu il primo regista nero a dirigere un film di primo piano di Hollywood, Shaft ). Raccontando cinquant’anni di giornalismo, Things As They Are ha avuto anche modo di dare spazio e visibilità ad autori che hanno scritto importanti capitoli della storia della fotografia. Non sono certo casuali, lo rileviamo, le presenze di Henri Cartier-Bresson, Walker Evans, Robert Frank, W. Eugene Smith, Diane Arbus, limitando al minimo le citazioni, accanto ai quali si esprimono anche gli italiani Gianfranco Moroldo, Tazio Secchiaroli, Letizia Battaglia e Franco Zecchin. Tra parentesi, poi, va sottolineata ancora la consistenza dei testi accompagnatori (purtroppo in inglese): sia dei saggi di introduzione e postfazione, sia delle note di presentazione delle cinque decadi nelle quali è stato suddiviso il corpo complessivo e dei singoli reportage visualizzati. Sostanzialmente, si tratta di un repertorio che dà ordine e consecuzione logica allo svolgimento dei fatti che presenta, come anche all’evoluzione espressiva della stessa comunicazione visiva, che si trasforma per propria maturazione personale e in relazione e dipendenza di influenze e pressioni esterne (una, in particolare, riguarda una certa involuzione della carta stampata nell’era della comunicazione televisiva e, più recentemente, della comunicazione in tempo reale attraverso la Rete). Ora, una nota dolente, che abbiamo segnalato qualche riga fa. Per quanto rispettiamo e condividiamo la scelta di escludere dal casellario i reportage già noti e acclamati, lamentiamo la mancanza del servizio sul genocidio da inquinamento industriale che W. Eugene Smith realizzò a Minamata, in Giappone, all’inizio degli anni Settanta. Come sottolinea Giuliana Scimé nel suo competente Il Fotografo Mestiere d’Arte (FOTOgraphia, maggio 2003), «Definire fotografie le riprese di Minamata è del tutto inadeguato. Sono urla disperate di un dolore cosmico, immagini che attraverso la mente e il cuore si sono impresse sulla pellicola». Non solo condividiamo, ma anche sottoscriviamo. Non è certo assenza da poco, ma non pensiamo si tratti di non conoscenza o sottovalutazione: quanto, proprio, nella incessante sequenza di segnalazioni, la curatrice rivela di aver optato per una strada meno battuta. Non le rimproveriamo più di tanto, e confermiamo che Things As They Are è assolutamente un libro da avere. Maurizio Rebuzzini
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CON GLI OMAGGI DELLA CASA
L
L’aneddotica Leica è senza fine. Oltre lo specifico tecnico, si possono annotare e registrare altri tanti capitoli complementari, tra costume e socialità varie. Per esempio, il discorso sugli apparecchi celebrativi rappresenta soltanto una delle possibili osservazioni parallele, quotidianamente alimentate da una produzione che da tempo ha acquisito i connotati della leggenda (FOTOgraphia, giugno 1995). Tanto per citare in grande, alla fine del 1994 è stata realizzata una serie limitata di Leica M6 placcate in oro ventiquattro carati richiesta dal Sultano del Brunei, che si dice essere l’uomo più ricco del mondo. Complete di Summilux-M 50mm f/1,4, pure placcato in oro, di incisione con l’emblema del sultanato e di una confezione personalizzata, queste Leica M6 sono autenticamente fuori quota. Dopo di che, o in simultanea, è sempre affascinante la vicenda Leica degli apparecchi con numero di matricola particolare, che nel corso degli anni la casa produttrice ha donato a personalità del mondo politico, della scienza e della tecnica. La recente Leica M7 Titanio numero 3.000.000, che anticipa la serie dei cinquanta apparecchi celebrativi dei cinquant’anni di Leica M (FOTOgraphia, luglio 2004), è stata riservata al celebre fotografo Sebastião Salgado, nato in Brasile nel 1944. Fotogiornalista tra i più apprezza-
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Il sottile e delicato rapporto che lega, e collega, il fotografo ai propri strumenti è stato osservato da infiniti punti di vista; non ultimo da un’ipotesi di compiacente feticismo dell’oggetto. Però si è sempre trattato di parole declinate con timidezza, pudore e (addirittura) apprensione. Alla fine del 2002, la campagna internazionale Leica The Craft of Photography ha affrontato con piglio l’argomento: ha visualizzato le mani di celebri fotografi che impugnano apparecchi Leica. Sebastião Salgado, al quale è stata ora riservata la Leica M7 Titanio numero 3.000.000: (Leica M7) «Per me il fotoreportage riguarda la dignità umana».
La Leica M7 Titanio numero 3.000.000, che anticipa la serie dei cinquanta apparecchi celebrativi dei cinquant’anni di Leica M (da 3.000.001 a 3.000.050; FOTOgraphia, luglio 2004), è stata donata al celebre fotografo Sebastião Salgado, insignito per due volte del prestigioso Leica Oskar Barnack Award per la sua opera. Completa di tre obiettivi asferici, pure in montatura Titanio (Summicron-M 28mm f/2 Asph, Summilux-M 50mm f/1,4 Asph e Apo-Summicron-M 90mm f/2 Asph), in valigetta Rimowa in Titanio con interno sagomato, la combinazione è stata aggiudicata dalla casa d’aste viennese Westlicht (www.westlicht.com) alla ragguardevole cifra di novantamila euro, record assoluto per un apparecchio attuale, offerti da un collezionista tailandese. I proventi della vendita all’asta sono destinati a impiantare centoventimila alberi nella foresta pluviale brasiliana.
ti del nostro tempo, Sebastião Salgado è testimone di difficili condizioni di vita. Il suo immenso reportage sul lavoro è stato raccolto nella monografia Workers, uno dei più concentrati progetti fotografici di fine Millennio. La sua naturale affinità con i soggetti fotografati non dà mai l’impressione della condiscendenza. È solidale -in fin dei conti sta difendendo la loro causa-, ma non è mai condizionato dalla propria personale ideologia. Malgrado l’emozione investita negli scatti, il risultato finale è sempre distaccato. Sebastião Salgado, insignito per due volte del prestigioso Leica Oskar Barnack Award per la sua opera, è dotato di un occhio straordinario, fotografa folle numerose, individui, paesaggi e fabbriche con il medesimo stile indagatore e veritiero. Un esempio per le attuali generazioni del fotoreportage. Sebastião Salgado ha fatto immediatamente tesoro di questo
conio riservatogli. Ha messo in asta la Leica M7 in Titanio, con numero di matricola tre milioni, completa di tre obiettivi asferici, pure in montatura Titanio: Summicron-M 28mm f/2 Asph, Summilux-M 50mm f/1,4 Asph e ApoSummicron-M 90mm f/2 Asph. La combinazione, in valigetta Rimowa in Titanio con interno sagomato, è stata aggiudicata dalla casa d’aste viennese Westlicht (www.westlicht.com) alla ragguardevole cifra di novantamila euro, record assoluto per un apparecchio attuale, offerti da un collezionista tailandese. I proventi della vendita all’asta sono destinati a impiantare centoventimila alberi nella foresta pluviale brasiliana. In occasione di questa Leica / tre milioni, a parte riassumiamo la lunga sequenza delle Leica donate nei decenni, dalle origini (pagina accanto). A complemento, per la prima volta indichiamo i modelli Leica
anno 1925 1925 1928 1929 1931 1932 1933 1933 1935 1935 1936 1937 1941 1941 1942 1946 1949 1950 1951 1951 1952 1953 1953 1955 1955 1956 1956 1957 1957 1958 1958 1959 1960 1960 1961 1965 1965 1965 1970 1979 1979 1993 2000 2005 ????
modello Leica I Leica I Leica I Leica I Leica I (Non regolata 0) Leica II Leica II Leica III (Cromata) Leica III (Cromata) Leica III Leica IIIa Leica IIIa Leica Standard Leica IIIb Leica IIIc Leica IIIc Leica IIIc Leica IIIc Leica IIIf Leica IIf Leica IIIf Leica IIIf Leica IIIf Leica M3 (Primo tipo) Leica M3 (Primo tipo) Leica M3 (Secondo tipo) Leica M3 (Secondo tipo, Canada) Leica M3 (Terzo tipo) Leica M3 (Terzo tipo) Leica M3 (Terzo tipo) Leica M3 (Terzo tipo) Leica M2 Leica M? [9] Leica M3 (Terzo tipo) Leica M3 (Terzo tipo) Leicaflex Leica M2 Leica M3 (Terzo tipo) Leica M? [11] Leica R3 Mot (Portogallo) Leica R3 Mot (Portogallo) Leica Leica M6 TTL (Nera) Leica M7 Titanio Leica M3
possibili e potenziali, come risulta dai registri di produzione e dalle cronologie accertate, tra le quali segnaliamo la dettagliata classificazione pubblicata, in puntate successive, a partire dal numero 4/2001, da Magazine Leica, l’autorevole periodico realizzato dal distributore italiano Polyphoto per dieci anni, fino al dicembre 2004. A seguire, approfondiamo la presentazione dei singoli personaggi, alcuni dei quali, purtroppo, storicamente indecifrabili. A.Bor.
matricola 280 1.000 10.000 25.000 50.000 75.000 100.000 125.000 150.000 175.000 200.000 250.000 300.000 350.000 375.000 400.000 450.000 500.000 555.555 575.000 600.000 650.000 675.000 700.000 750.000 800.000 830.000 873.000 875.000 900.000 919.000 950.000 980.000 1.000.000 1.000.001 1.084.900 1.100.000 1.111.111 1.259.999 1.500.000 1.500.001 1.906.085 2.500.000 3.000.000 ?.???.???
donato a Conte von Zeppelin Professor Dottor Walther Schultze Dottor Hugo Eckner Sven Hedin Dottor Wilhelm Filchner Professor Auguste Piccard Professor Dottor Leo Frobenius Professor Günther O. Dyhrenfurth Leopold Godowsky Jr Leopold D. Mannes Dottor Paul Wolff Dottor Wilhelm Filchner [1] Dottor Gustav Wilmanns Dottor Wilhelm Schneider Maresciallo di Campo Erwin Rommel [2] Dottor Wilhelm Schneider [3] Richard Schirrmann Dottor Ernst Leitz II Sua Santità il Dalai Lama Professor Dottor Albert Schweitzer Professor Dottor William Beebe Professor Norman Dyhrenfurth Professor Fritz Zernike Professor Stephan Kruckenhauser Henri Cartier-Bresson [4] Cancelliere Konrad Adenauer [5] Primo ministro Pandit Nehru Philippe Tiranty [6] Philippe Tiranty [6] Edwin L. Wisherd Regina Elizabeth II d’Inghilterra [7] Fulvio Roiter [8] Dwight D. Eisenhower Dottor Ludwig Leitz Alfred Eisenstaedt Regina Elizabeth II d’Inghilterra [10] Emil Schulthess Arthur Rothstein Leopold Godowsky Jr [12] Dottor Hans Friderichs Dottor Max Kreis Professor Fritz Gruber [13] Presidente Václav Havel [14] Sebastião Salgado Bud Wichert [15]
Note alla tabella [1] In sostituzione della Leica I / 50.000, donatagli nel 1931, smarrita durante una spedizione in Asia. [2] La vicenda della Leica IIIc donata nel 1942 al Feldmaresciallo Rommel è stata complicata da fraintendimenti politici e storici. All’indomani della Seconda guerra mondiale, per prendere le distanze dal nazismo (non certo popolare ai tempi, e oggi ancora), Leitz/Leica escluse questa donazione dai propri elenchi ufficiali. Però, il protagonista di tante battaglie, dalla presa di Tobruk all’eroica strategia di El Alamein, era un mi-
litare, e non un politico. Dunque, onore al merito della Persona. [3] In sostituzione della Leica IIIb / 350.000, donatagli nel 1941, smarrita. [4] In occasione della Biennale di Fotografia di Parigi. [5] In occasione del suo ottantesimo compleanno. [6] Leica M3 / 873.000 e/o Leica M3 / 875.000 (vedere la presentazione di Philippe Tiranty, qui di seguito). [7] Corredo Leica M3 senza numero ufficiale, ma con l’incisione delle iniziali della regina; numero interno 919.000. E in alcuni testi viene segnalata anche una ulteriore Leica con numero di matricola 925.000, che ufficialmente apparterrebbe a un lotto produttivo di Leica Ig. [8] Non dono ufficiale, ma Fulvio Roiter in quanto vincitore di una selezione fotografica d’autore. [9] Ufficialmente, il numero di matricola 980.000 appartiene a un lotto produttivo di Leica M1, ma non pensiamo che al presidente degli Stati Uniti Dwight D. Eisenhower sia stata donata una Leica senza telemetro, indirizzata a impieghi tecnici e scientifici. [10] Corredo Leicaflex senza numero ufficiale, ma con l’incisione delle iniziali della regina; numero interno 1.084.900. Gli fu presentato dal primo ministro assiano Georg August Zinn durante una visita di stato. [11] Ufficialmente, il numero di matricola 1.259.999 appartiene a un lotto produttivo di Leicaflex SL. La precisazione “Leica” dovrebbe invece sottintendere un apparecchio a telemetro, nel 1970 inviolabilmente della serie M. [12] In sostituzione della Leica III / 150.000, donatagli nel 1935, smarrita. [13] In occasione del suo ottantacinquesimo compleanno. [14] Consegnata da Hanns-Peter Cohn, presidente Leica Camera AG, il 16 maggio 2000 nel Castello di Praga. Lo stesso giorno, venne inaugurata una mostra fotografica sul presidente della repubblica Ceca Václav Havel, organizzato dal distributore Amadeus di Praga. In seguito, Václav Havel ha donato l’apparecchio, con il Summilux-M 35mm f/1,4 Asph numero di matricola 4.051.036 (che richiama la data di nascita del drammaturgo e politico: 5 ottobre 1936), per un’asta benefica. [15] Non compare in alcun registro ufficiale Leica, ma Henry Mann, presidente della filiale Leitz New York, donò una Leica M3 con numero di matricola particolare (quale?) a Bud Wichert della National Geographic Society, di Washington.
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Personaggi ai quali sono stati donati apparecchi Leica con matricole particolari Conte von Zeppelin, figlio di Ferdinand von Zeppelin, costruttore tedesco di dirigibili. Professor Dottor Walther Schultze di Gießen. Dottor Hugo Eckner, fondatore e proprietario della prima compagnia aerea tedesca. Sven Hedin, esploratore svedese del continente asiatico. Dottor Wilhelm Filchner, esploratore tedesco del continente asiatico. Professor Auguste Piccard, scienziato svizzero, progettò e costruì un aerostato stratosferico raggiungendo i 16.770 metri di quota. Interessato anche alla esplorazione sottomarina, nel 1953 fece costruire il batiscafo Trieste, con il quale raggiunse la profondità di 3150 metri nel Golfo di Napoli (in questa pagina). Professor Dottor Leo Frobenius, storico ed etnologo tedesco, protagonista di numerose spedizioni nel continente africano; fu direttore del Museo Etnografico di Francoforte. Professor Günther O. Dyhrenfurth, scalatore; nel 1930 e 1934 organizzò e diresse due spedizioni sull’Himalaya. Leopold Godowsky Jr e Leopold D. Mannes, chimici statunitensi, che concepirono il procedimento Kodachrome nel laboratorio di Kodak Park, a Rochester, dopo studi sulla luce avviati negli anni della Riverdale County School. Nata nel 1935 come pellicola a colori cinematografica, già nel 1936 l’invertibile Kodachrome fu realizzata nella versione fotografica 35mm. Si trattò di una diapositiva a dir poco rivoluzionaria. Pur basan-
Annuncio pubblicitario Leica del 1931, nel quale le doti della «Piccola Camera conosciuta in tutto il mondo» sono certificate dal fatto che Leica era stata scelta da una qualificata serie di esploratori dell’epoca, tra i quali Hugo Eckner e Auguste Piccard, ai quali vennero rispettivamente donate le Leica I e Leica II con numeri di matricola particolari: 10.000 e 75.000. Auguste Piccard è autentico testimonial dell’annuncio «prima del suo volo stratosferico con la camera “Leica” nella borsa pronta».
Günther Leitz consegna la Leica IIIf con numero di matricola 600.000 a William Beebe; a destra, Henry Mann (Leitz New York).
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dosi sulla divisione della luce nei tre componenti base (luce rossa, verde e blu-violetto), il procedimento a tre colori Kodachrome era, è stato ed è ancora oggi esclusivo. Su un unico supporto, la pellicola ha tre strati sovrapposti di emulsioni bianconero. La coppia di ricercatori che elaborarono il suo progetto annotò che «Quando si registra una immagine, i tre colori vengono automaticamente separati all’interno degli strati emulsionati. Le immagini nei tre strati vengono prima sviluppate come le normali pellicole bianconero e poi, attraverso una sequenza di trattamenti, le immagini vengono trasformate in positivi formati dai coloranti». Segnalazione di costume, oltre il valore tecnico della diapositiva Kodachrome, con la quale sono stati scritti capitoli fondamentali della storia evolutiva del linguaggio fotografico (FOTOgraphia, dicembre 2005). Il 12 settembre 1981, il motivo Kodachrome, lanciato nel 1973, visse un proprio momento magico durante il celebre concerto al Central Park di New York, quando Simon & Garfunkel lo cantarono davanti a mezzo milione di spettatori. Dottor Paul (Heinrich August) Wolff, fotografo, pioniere della ripresa fotografica in piccolo formato 24x36mm (formato Leica), specializzato nel reportage industriale e giornalistico. Celebre e celebrata è la sua monografia sui giochi olimpici di Berlino del 1936, appunto Was ic bei den Olympischen Spielen 1936 sah. Dottori Gustav Wilmanns e Wilhelm Schneider, ideatori, nel 1932, dell’originaria Agfacolor, pellicola a colori a retino granulare (evoluzione di un procedimento iniziale del 1916), e della prima diapositiva a colori, successivamente commercializzata nella confortevole versione Agfacolor-Neu in caricatori 35mm da 36 pose: dal novembre 1936, per luce diurna con sensibilità di 7 Din. Maresciallo di Campo Erwin Johan-
nes Rommel, abile e scrupoloso ufficiale dell’esercito tedesco nella Prima guerra mondiale, fu un eccezionale stratega militare. A capo del Quartier generale tedesco allo scoppio della Seconda guerra mondiale, condusse personalmente la vittoriosa campagna di Francia del 1940 e, successivamente, comandò la controffensiva tedesca sul fronte dell’Africa settentrionale, dove si meritò il soprannome di “Volpe del deserto”; nel corso della Seconda guerra mondiale spaziò in diversi altri fronti, teorizzando strategie che non furono ascoltate dai politici tedeschi. Coinvolto solo marginalmente nell’opposizione militare al regime, dopo l’attentato a Hitler (20 luglio 1944) fu inquisito e, quindi, costretto a suicidarsi. Richard Schirrmann, fondatore dell’Associazione tedesca degli Ostelli della Gioventù. Dottor Ernst Leitz II, ai vertici aziendali nei primi anni Venti, assunse la responsabilità di avviare la produzione dell’apparecchio fotografico derivato dalla combinazione originaria di Oskar Barnack, storicamente definita prototipo. È una leggenda: in un momento particolare della storia Leitz, all’indomani della fine della (Prima) guerra mondiale, Ernst Leitz II non ascoltò le prudenti opinioni del proprio Consiglio di Amministrazione. Si dice che dopo una lunga riunione, durante la quale furono soprattutto messi in evidenza i rischi dell’operazione, Ernst Leitz II zittì tutti: «È mezzogiorno e mezzo, ed è ora di concludere. Ho deciso: correremo il rischio!». E uscì dalla stanza, per andare a colazione (a pagina 14). Sua Santità il Dalai Lama, ritenuto l’incarnazione del Bodhisattva Avalok Itesvara è il capo della religione buddista tibetana dal 1578, per concessione dell’Imperatore mongolo Kubilay Kan. Alla sua morte, tra i bambini nati nell’anno, il successore viene prescelto in base a segni e presagi particolari. L’attuale Dalai Lama, il quattordicesimo della discendenza, è Tenzin Gyatso, oggigiorno esule in India, al quale è stato assegnato il Premio Nobel per la Pace nel 1989. Professor Dottor Albert Schweitzer, medico, teologo protestante e musicologo francese. Docente alla facoltà di teologia di Strasburgo, organista e studioso dell’opera di Bach. Laureatosi in medicina nel 1913, si trasferì come missionario nell’Africa Equatoriale Francese (attuale Gabon), dove fondò il centro ospedaliero e lebbrosario di Lamdaréné. Premio Nobel per la Pace nel 1952.
Henry Mann (Leitz New York) e Bud Wichert della National Geographic Society, di Washington. Professor Dottor William Beebe, statunitense, zoologo ed esploratore delle profondità marine (pagina accanto). Professor Norman Dyhrenfurth, fotografo al seguito dell’esplorazione svizzera sull’Everest. Professor Fritz Zernike, fisico olandese. Separando la luce direttamente trasmessa da quella diffratta attraverso l’oggetto in esame, elaborò il metodo di osservazione al microscopio a contrasto di fase, che in microbiologia consentì di evitare l’uso dei coloranti, fatali alle cellule viventi. Premio Nobel per la Fisica nel 1953. Professor Stephan Kruckenhauser, autore di numerosi libri di fotografia. Henri Cartier-Bresson. Fotografo, e non aggiungiamo altro. Ricordiamo però che per i suoi novant’anni, l’11 giugno 1998, in una sessione d’asta da Christie’s, South Kensington, Londra, è stata battuta una Leica M6 a lui intitolata, identificata con la matricola particolare della data di nascita 22-8-1908. In confezione speciale e con finiture autonome, questa Leica M6 Henri CartierBresson fu aggiudicata a circa trentasettemila euro attuali, donati in beneficenza all’organizzazione umanitaria Les Petits Frères des Pauvres. Cancelliere Konrad Adenauer, politico tedesco, esponente del gruppo moderato-conservatore cattolico centrista; fu borgomastro di Colonia e presidente del Consiglio di stato di Prussia. Ritiratosi a vita privata dopo l’avvento al potere dei nazisti, riprese l’attività politica nel 1945. Svolse un ruolo fondamentale nel processo di formazione e sviluppo della Repubblica federale te-
desca, imprimendole un carattere spiccatamente conservatore e filoatlantico. Nel 1948-49 fu presidente del Parlamento tedesco, dal 1949 al 1963 fu il primo Cancelliere, occupando anche il ministero degli Esteri dal 1951 al 1955. Primo ministro Pandit Nehru (Jawaharlal, detto Pandit “il sapiente”), politico indiano. Dopo gli studi a Cambridge, tornò in India nel 1912 ed entrò nel Partito del congresso, schierandosi su posizioni distinte da quelle di Gandhi, del quale non condivideva l’impostazione pauperista e tradizionalista. Più volte arrestato dal regime coloniale, divenne segretario del Partito nel 1929 e vi rappresentò l’ala sinistra, socialisteggiante e favorevole all’industrializzazione del paese. Divenuto il più autorevole rappresentate del movimento indipendentista, nel 1946 fu nominato Capo del governo provvisorio che doveva preparare la transizione all’indipendenza. Il 15 agosto 1947 fu nominato primo ministro dell’Unione Indiana. Philippe Tiranty, distributore francese di Leitz/Leica, al centro di una controversa diatriba storica (o forse soltanto aneddotica), che tempo addietro sollevò clamorose prese di posizione, quantomeno in Italia (FOTOgraphia, febbraio e novembre 1995). Ricordiamo la vicenda, che a metà degli anni Novanta ha acceso un serrato dibattito a distanza tra Romolo Ansaldi di Genova e gli storici Gianni Rogliatti e Ghester Sartorius (che nel frattempo ci ha lasciati: è mancato nel settembre 1999). Nello specifico, Romolo Ansaldi rilevò presunte inesattezze contenute nel volume Il grande libro Leica di Dennis Laney (Il Fotografo Libri, Milano 1993), pe-
raltro già riportate nel testo di Leica-The First 60 Years di Gianni Rogliatti. Nel concreto, Romolo Ansaldi rivendica la proprietà della Leica M3 placcata oro numero 873.000; al contempo, nega che la Leica M3 / 875.000 sia analogamente dorata e sia stata regalata da Leitz al distributore francese Philippe Tiranty. Gianni Rogliatti ha replicato raccontando la propria versione dei fatti. Anzitutto non ha contestato nulla riguardo la M3 / 873.000 dorata di Romolo Ansaldi, però ha affermato che la M3 / 875.000 risulta ufficialmente donata a Tiranty, e si tratterebbe di un apparecchio standard, senza altre finiture aggiuntive. A confondere le acque è quindi arrivata una inaspettata testimonianza retrodatata: una fotografia, pubblicata a pagina 131 del numero cinque del compianto trimestrale Prestige de la Photographie del novembre 1978, presenta madame Tiranty con una Leica M3 dorata tra le mani, e la didascalia precisa che si tratta della discussa 875.000. Alla fine, è intervenuto Ghester Sartorius, che con il piglio che tutti gli sapevamo riconoscere ha ulteriormente approfondito la querelle. La sua parola, testuale: «La lettera pubblicata sul numero 15 di Classic Camera [rivista bimestrale dedicata al collezionismo fotografico] nella quale, su richiesta del dott. Ansaldi, la ditta Leitz ha dichiarato che “nel 1957 Ernst Leitz III rimise al signor Tiranty la Leica M3 numero 873.000”, Leica dorata “fabbricata appositamente su richiesta di Ernst Leitz III”, non fa che avvalorare quanto da me sostenuto e cioè che detta Leica non è affatto quella ufficiale che la ditta Leitz donò nel 1957 alla ditta Tiranty. «Che Ernst Leitz III, a titolo personale, abbia voluto fare omaggio al signor Tiranty, a cui, oltre che da rapporti di affari era anche legato da vincoli di amicizia, di una particolare Leica dorata fabbricata appositamente su sua richiesta è cosa, questa, che non ho mai contestato. «Ho contestato, invece, l’ostinazione di voler contrabbandare questo apparecchio per quello che, come ho già detto, la ditta Leitz e non il signor Leitz, diede in regalo nel 1957 non al signor Tiranty ma alla ditta Tiranty per meriti riconosciuti a questa ditta nell’attività di concessionaria di vendita della produzione Leitz in Francia. «E quell’apparecchio, incontestabilmente, fu una normale M3 recante il numero 875.000. Incontestabilmente,
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perché è la Leica 875.000 e non la 873.000 quella che la Leitz ha sempre riportato e continua a riportare negli elenchi ufficiali degli apparecchi donati dal 1925 al 1979 a particolari personaggi e personalità. «A parte questa prova inconfutabile, non vien da domandarsi perché proprio e soltanto alla ditta Tiranty la Leitz avrebbe riservato il privilegio di regalare una Leica d’oro e non un normale apparecchio di serie con particolare numero di matricola, così come sempre avvenuto per tutti gli apparecchi donati sia in precedenza che successivamente al 1957? Perché alla ditta Tiranty la M3 d’oro e, l’anno precedente, al cancelliere Adenauer, una comune Leica cromata, così come l’anno successivo, alla regina d’Inghilterra, una altrettanto comune M3 cromata?». Insomma, e per il nostro gusto del paradosso, ribadiamo: una storia autenticamente infinita. Edwin L. Wisherd di Washington. Regina Elizabeth II d’Inghilterra, figlia di George VI, gli succedette il sei febbraio 1952 (qui sotto). Fulvio Roiter, fotografo italiano, attivo dalla fine degli anni Quaranta. Dalla stagione del neorealismo è passato a una declinazione fotografica dai colori forti e decisi. Dwight D. Eisenhower, militare e po-
Ernst Leitz II riceve la Leica IIIc 500.000.
La regina Elizabeth II con Leica M3 (in emissione filatelica) e Leica M6.
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litico statunitense. Dopo aver diretto, nel 1942, lo sbarco alleato in Marocco e Algeria e, l’anno seguente, quello in Sicilia, il 24 dicembre 1943 assunse il comando supremo delle forze alleate, organizzando e guidando lo sbarco in Normandia (D-Day, 6 giugno 1944) e la campagna che si concluse con la resa della Germania, il 7 maggio 1945. Ritiratosi temporaneamente dalla scena pubblica, nel 1950 fu richiamato dal presidente Henry Spencer Truman e nominato comandante delle forze della Nato in Europa. Candidato repubblicano, vinse le elezioni del 1952, divenendo il trentaquattresimo presidente degli Stati Uniti, in carica per due mandati consecutivi. Dottor Ludwig Leitz, figlio di Ernst Leitz II. Dal 1925 impegnato nello studio della costruzione ottica e meccanica di precisione, studiò anche fisica, anatomia e scultura a Berlino. La combinazione tra talento artistico e capacità scientifiche lo portò ad assumere, nel 1939, la responsabilità del settore ricerca, sviluppo e brevetti di Leitz. Allievo ed esponente di una stagione tedesca di pensiero artistico/scientifico, fu promotore di una ipotesi d’arte applicata alla vita quotidiana (già elaborato all’interno della Bauhaus della repubblica di Weimar). Influenzò notevolmente la progettazione Leica del dopoguerra. Suo è il disegno e la piacevolezza al tatto della Leica M3 del 1954 e suoi sono molti brevetti che testimoniano un fantastico genio inventivo. Alfred Eisenstaedt, fotografo americano di origine tedesco-polacca (nato a Dirschau, Prussia, nel 1898), tra i padri del moderno fotogiornalismo. Nello staff di Life dalle origini, ha al proprio attivo novantadue copertine e milleottocento reportage pubblicati dal settimanale. Autore di fotografie epocali, tra le quali va citato il famoso bacio in Times Square (tra un marinaio e una infermiera), a New York, il 14 agosto
1945: V-Day, giorno della vittoria. Vincitore di numerosi premi, è altresì celebrato dallo stesso Life, che ancora gli dedica il numero speciale sulle migliori fotografie dell’anno, appunto identificato come The Eisie Issue. Emil Schulthess, fotografo svizzero, apprezzato e conosciuto per fantastici reportage di natura e paesaggio; pioniere della fotografia panoramica a obiettivo rotante, alla cui evoluzione tecnologica contribuì con la propria competenza lessicale. A questo proposito, le sue opinioni sono state fondamentali per il progetto RoundShot. Nel giugno 1950 realizzò la fantastica sequenza di ventiquattro scatti temporizzati, uno all’ora, del sole che non tramonta all’estremo nord dell’Europa, montati in un’unica visione complessiva. Arthur Rothstein, fotografo americano. Dopo la laurea alla Columbia University, nel 1935 venne assunto dalla Farm Security Administration per l’imponente campagna fotografica di documentazione degli sforzi del Governo per contrastare la Depressione, nella quale furono impegnati anche altri autori di spicco, tra i quali citiamo Dorothea Lange, Walker Evans, Carl Mydans e Ben Shan. Dopo aver organizzato l’archiviazione e le infrastrutture tecniche, per cinque anni fotografò sul campo, maturando una esperienza poi proiettata nei successivi impegni giornalistici. Dal 1940 nello staff del settimanale Look, diretto e agguerrito concorrente di Life, ne assunse la direzione fotografica nel 1969. Dottor Hans Friderichs, presidente della Società Fotografica Tedesca. Dottor Max Kreis, rappresentante della Wild Heerbrugg, che ai tempi controllava il 51 per cento della Leica, nel Consiglio di Amministrazione della società. Professor Fritz Gruber, organizzatore e responsabile della leggendaria Sezione Culturale della Photokina, fiera internazionale della fotografia che si tiene a Colonia dal 1950, alla quale si sono ispirate analoghe esperienze in altri paesi. Presidente Václav Havel, a capo della repubblica Cecoslovacca dal 1989, carica che ha mantenuto dopo il 1993 (repubblica Ceca). Drammaturgo e politico, perseguitato e più volte incarcerato per la propria attività politica di opposizione al regime socialista. Fondatore del movimento Charta 77. Bud Wichert della National Geographic Society, di Washington (a pagiA.Bor. na 13).
perché è la Leica 875.000 e non la 873.000 quella che la Leitz ha sempre riportato e continua a riportare negli elenchi ufficiali degli apparecchi donati dal 1925 al 1979 a particolari personaggi e personalità. «A parte questa prova inconfutabile, non vien da domandarsi perché proprio e soltanto alla ditta Tiranty la Leitz avrebbe riservato il privilegio di regalare una Leica d’oro e non un normale apparecchio di serie con particolare numero di matricola, così come sempre avvenuto per tutti gli apparecchi donati sia in precedenza che successivamente al 1957? Perché alla ditta Tiranty la M3 d’oro e, l’anno precedente, al cancelliere Adenauer, una comune Leica cromata, così come l’anno successivo, alla regina d’Inghilterra, una altrettanto comune M3 cromata?». Insomma, e per il nostro gusto del paradosso, ribadiamo: una storia autenticamente infinita. Edwin L. Wisherd di Washington. Regina Elizabeth II d’Inghilterra, figlia di George VI, gli succedette il sei febbraio 1952 (qui sotto). Fulvio Roiter, fotografo italiano, attivo dalla fine degli anni Quaranta. Dalla stagione del neorealismo è passato a una declinazione fotografica dai colori forti e decisi. Dwight D. Eisenhower, militare e po-
Ernst Leitz II riceve la Leica IIIc 500.000.
La regina Elizabeth II con Leica M3 (in emissione filatelica) e Leica M6.
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litico statunitense. Dopo aver diretto, nel 1942, lo sbarco alleato in Marocco e Algeria e, l’anno seguente, quello in Sicilia, il 24 dicembre 1943 assunse il comando supremo delle forze alleate, organizzando e guidando lo sbarco in Normandia (D-Day, 6 giugno 1944) e la campagna che si concluse con la resa della Germania, il 7 maggio 1945. Ritiratosi temporaneamente dalla scena pubblica, nel 1950 fu richiamato dal presidente Henry Spencer Truman e nominato comandante delle forze della Nato in Europa. Candidato repubblicano, vinse le elezioni del 1952, divenendo il trentaquattresimo presidente degli Stati Uniti, in carica per due mandati consecutivi. Dottor Ludwig Leitz, figlio di Ernst Leitz II. Dal 1925 impegnato nello studio della costruzione ottica e meccanica di precisione, studiò anche fisica, anatomia e scultura a Berlino. La combinazione tra talento artistico e capacità scientifiche lo portò ad assumere, nel 1939, la responsabilità del settore ricerca, sviluppo e brevetti di Leitz. Allievo ed esponente di una stagione tedesca di pensiero artistico/scientifico, fu promotore di una ipotesi d’arte applicata alla vita quotidiana (già elaborato all’interno della Bauhaus della repubblica di Weimar). Influenzò notevolmente la progettazione Leica del dopoguerra. Suo è il disegno e la piacevolezza al tatto della Leica M3 del 1954 e suoi sono molti brevetti che testimoniano un fantastico genio inventivo. Alfred Eisenstaedt, fotografo americano di origine tedesco-polacca (nato a Dirschau, Prussia, nel 1898), tra i padri del moderno fotogiornalismo. Nello staff di Life dalle origini, ha al proprio attivo novantadue copertine e milleottocento reportage pubblicati dal settimanale. Autore di fotografie epocali, tra le quali va citato il famoso bacio in Times Square (tra un marinaio e una infermiera), a New York, il 14 agosto
1945: V-Day, giorno della vittoria. Vincitore di numerosi premi, è altresì celebrato dallo stesso Life, che ancora gli dedica il numero speciale sulle migliori fotografie dell’anno, appunto identificato come The Eisie Issue. Emil Schulthess, fotografo svizzero, apprezzato e conosciuto per fantastici reportage di natura e paesaggio; pioniere della fotografia panoramica a obiettivo rotante, alla cui evoluzione tecnologica contribuì con la propria competenza lessicale. A questo proposito, le sue opinioni sono state fondamentali per il progetto RoundShot. Nel giugno 1950 realizzò la fantastica sequenza di ventiquattro scatti temporizzati, uno all’ora, del sole che non tramonta all’estremo nord dell’Europa, montati in un’unica visione complessiva. Arthur Rothstein, fotografo americano. Dopo la laurea alla Columbia University, nel 1935 venne assunto dalla Farm Security Administration per l’imponente campagna fotografica di documentazione degli sforzi del Governo per contrastare la Depressione, nella quale furono impegnati anche altri autori di spicco, tra i quali citiamo Dorothea Lange, Walker Evans, Carl Mydans e Ben Shan. Dopo aver organizzato l’archiviazione e le infrastrutture tecniche, per cinque anni fotografò sul campo, maturando una esperienza poi proiettata nei successivi impegni giornalistici. Dal 1940 nello staff del settimanale Look, diretto e agguerrito concorrente di Life, ne assunse la direzione fotografica nel 1969. Dottor Hans Friderichs, presidente della Società Fotografica Tedesca. Dottor Max Kreis, rappresentante della Wild Heerbrugg, che ai tempi controllava il 51 per cento della Leica, nel Consiglio di Amministrazione della società. Professor Fritz Gruber, organizzatore e responsabile della leggendaria Sezione Culturale della Photokina, fiera internazionale della fotografia che si tiene a Colonia dal 1950, alla quale si sono ispirate analoghe esperienze in altri paesi. Presidente Václav Havel, a capo della repubblica Cecoslovacca dal 1989, carica che ha mantenuto dopo il 1993 (repubblica Ceca). Drammaturgo e politico, perseguitato e più volte incarcerato per la propria attività politica di opposizione al regime socialista. Fondatore del movimento Charta 77. Bud Wichert della National Geographic Society, di Washington (a pagiA.Bor. na 13).
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FORMA E CONTENUTI. Grazie all’obiettivo “a scomparsa” e a un sistema di scatto totalmente ridisegnato, la compatta digitale Olympus µ Digital 810 da otto milioni di pixel integra caratteristiche di alto livello racchiuse in una costruzione di dimensioni estremamente contenute. La costruzione All-Weather in acciaio inossidabile assicura robustezza e protezione totale, mentre il design in argento di raffinata eleganza cattura gli sguardi più compiacenti. Come le precedenti mju digitali, anche questa µ Digital 810 integra la tecnologia BrightCapture, che assicura i migliori risultati nelle riprese con scarsa illuminazione per riprese notturne, all’aperto o all’interno di locali. Riducendo la necessità di utilizzare il flash, si ottengono immagini più naturali ricche di atmosfera. Questa tecnologia dà il proprio meglio soprattutto in condizioni di quasi assenza di luce, grazie alla visualizzazione extrabrillante delle immagini nell’ampio monitor LCD da 2,5 pollici, quattro volte più luminoso rispetto a un LCD convenzionale. Per evitare fotografie mosse, è disponibile la funzione Digital Image Stabilization Edit, che compensa significativamente i movimenti della compatta, correggendo eventuali immagini mosse. L’Olympus µ
Digital 810 dispone di memoria interna e di uno slot per xD-Picture Card standard o High Speed ad alta rapidità, con possibilità creative aggiuntive (FOTOgraphia, febbraio 2005). (Polyphoto, via Cesare Pavese 11-13, 20090 Opera Zerbo MI).
ARCHIVIAZIONE NEL TEMPO. La nuova cartuccia Imation LTO Generation 3 Worm è una soluzione non riscrivibile che risolve le crescenti esigenze di conservazione e archiviazione nel rispetto delle normative europee sul mantenimento in sicurezza dei dati. La tecnologia Worm (Write Once, Read Many) è studiata per essere impiegata con applicazioni di archiviazione chiamate ad assicurare l’immutabilità delle informazioni lungo tutto il proprio periodo di conservazione: per esempio, documenti finanziari, certificazioni o messaggi di posta elettronica. Le cartucce Worm possono essere cancellate solamente tramite smagnetizzazione volontaria (degaussing), garantendo quindi la protezione e l’immediata disponibilità a richiesta di quanto memorizzato. Con una capacità storage massima di 800Gb e una velocità di trasferimento di 160Mb al secondo, i dati riversati su nastro Worm non possono più essere alterati: si tratta dunque di una soluzione ideale per le aziende che devono memorizzare e archiviare documenti in maniera sicura, efficiente ed economicamente conveniente. La servotraccia del nastro e la memoria della cartuccia contengono informazioni di formato che la identificano “write-once” per i drive Worm compatibili LTO3. (Imation, Centro Direzionale Milano 2, Palazzo Verrocchio, 20090 Segrate MI).
ANCORA CAPLIO. Da tempo imboccata la via, la giapponese Ricoh conferma l’orientamento verso le configurazioni digitali con visione grandangolare. Lo zoom della nuova sottile Caplio R30 (26mm di spessore) vanta
un’escursione 5,7x, equivalente alla variazione 28-160mm della fotografia 24x36mm: ha appunto origine nell’inquadratura grandangolare 28mm. Versione economica della Caplio R3, dotata di zoom ottico grandangolare 7,1x (FOTOgraphia, dicembre 2005), offre eccellenti possibilità fotografiche in ogni condizione di uso, fino alla funzione macro avanzata e alla potenziata risposta rapida. Un nuovo sistema di chiusura dell’obiettivo, Double Retracting Lens System, ha reso possibile per il sottile corpo della Caplio R30. La modalità macro prevede l’accomodamento da un centimetro, con impostazione automatica della focale ottimale per la resa del soggetto inquadrato. Il tempo di risposta dall’otturatore arriva a una velocità di circa 0,09 secondi, per non perdere l’istante dello scatto. L’intervallo tra gli scatti e il tempo di avvio sono entrambi estremamente bassi, rispettivamente pari a circa mezzo secondo e 1,1 secondi per l’accensione. Combinato con lo Smooth Imaging Engine Ricoh, il sensore CCD di acquisizione da 5,13 Megapixel effettivi consente l’elaborazione ad alta velocità e la riduzione dei disturbi, per immagini chiare dai colori realistici e ad alta definizione. Attraverso un algoritmo proprietario, che rileva automaticamente le forme trapezoidali nelle immagini, si ottiene una adeguata correzione in rettangoli (nel rispetto del soggetto inquadrato). La Ricoh Caplio R30 dispone di un ampio display LCD da 2,5 pollici, che consente una visione più facile. Durante la riproduzione, è possibile visualizzare contemporaneamente dodici immagini. Mentre si controllano le immagini precedenti e succes-
Profoto Pro-B2 L’innovazione dei flash a batteria sive, è possibile separare il display in tre parti, per consentire un avanzamento e un riavvolgimento più veloci. (Mamiya Trading, via Cesare Pavese 31, 20090 Opera Zerbo MI).
MONOUSO SOLARIS. Colori vivaci e design attraente, comodità e semplicità d’uso, convenienza prestazioni adeguate: queste sono le caratteristiche che definiscono, al solito, le monouso di Ferrania Solaris in gamma differenziata. Sono tutte precaricate con pellicola Ferrania FG Plus 400 o 800 (Iso) da ventisette pose. Solaris i-Click Daylight è la dotazione semplice per fotografie all’aria aperta; Solaris i-Click Flash aggiunge un flash elettronico a rapida attivazione; mentre la colorata Solaris Basic Flash propone conveniente rapporto prezzo/qualità ed è confezionata anche in blister doppi.
Infine, Solaris Waterproof è impermeabile fino a tre metri: dotata di un comodo mirino per le riprese subacquee e di un pulsante di scatto sovradimensionato facilmente localizzabile. Ovviamente, può anche essere utilizzata in normali condizioni all’aria aperta, come in spiaggia, in piscina, in barca o sulla neve, senza dover temere che la sabbia, il sale o l’umidità possano danneggiarla. (Ferrania Technologies, viale della Libertà 57, 17014 Cairo Montenotte SV)
AMMIRAGLIA. Al vertice della serie S della famiglia di compatte digitali Canon PowerShot si colloca la S80: sensore
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da otto Megapixel, zoom ottico 3,6x con lenti UA Canon, processore Digic II e ampio display LCD da 2,5 pollici orientabile. Per la prima volta in una compatta digitale è stata introdotta la ghiera Multi Control per una rapida impostazione del menu e delle funzioni di scatto, oltre a un comodo scorrimento delle immagini in fase di riproduzione. Tra le caratteristiche avanzate, sono presenti la visualizzazione di un istogramma in tempo reale, FlexiZone AF/AE, per ottenere un’area di autofocus mobile, ventuno modalità di scatto, videoclip con audio anche in modalità XGA e un interfaccia utente potenziato. Lo zoom ottico 3,6x ha un’escursione equivalente alla variazione 28-100mm della fotografia 24x36mm, con apertura relativa f/2,8-5,3; vanta la tecnologia Canon UA (Ultra High Refractive Index Aspherical), per offrire una consistente capacità grandangolare senza aumentare le dimensioni dell’obiettivo e riducendo al contempo le distorsioni. Il diaframma a iride consente sfocature più omogenee degli sfondi. Inoltre, lo zoom digitale può portare la potenza massima fino a 14x, ottenendo così una focale equivalente 400mm. Grazie al sensore da otto Megapixel, la Canon Power Shot S80 è in grado di ottenere immagini adatte alla stampa in formato A3+ (32,9x48,3cm) senza perdita di dettaglio, e offre più libertà nell’impostare le inquadrature. L’avanzato processore d’immagine Digic II è stato adottato per aumentare la velocità e la risposta dell’apparecchio, migliorando nello stesso tempo la qualità delle acquisizioni. (Canon Italia, via Milano 8, 20097 San Donato Milanese MI).
Efficace generatore flash da 1200Ws con doppia alimentazione: alla corrente di rete e a batteria!
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CON I MIEI OCCHI
Dieci immagini inedite, tratte dai recenti tre anni di ricerca di Renato Begnoni, artista che si esprime con connotati di origine fotografica (FOTOgraphia, marzo 2002). Nella mostra Con i miei occhi, a cura di Riccardo Fai, sono esposti pezzi unici, in stampe fotografiche di grandi dimensioni, con interventi manuali a tecnica mista. Testo critico di presentazione Dinanzi al mistero, di Ferruccio Giromini, che riportiamo di seguito.
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Dinanzi al mistero, mancano le parole. A volte, anzi, manca addirittura il fiato. La sopraggiunta apnea, se prolungata, annebbia fin la vista. E, nel momentaneo capogiro, può capitare di intravedere per un attimo qualcos’altro, come in un lampo, tracce d’altra realtà, forse uno squarcio di sovrarealtà. È questa un’impressione suscitata dalle immagini di Renato Begnoni. Diciamo “immagini”, tenendoci sul vago, e non in modo specifico “fotografie”, perché tali semplicemente esse non sono, anche se possono sembrarlo a una prima occhiata. In fin dei conti né tecnicamente, né formalmente, né concettualmente. Benché realizzate con i più tradizionali procedimenti analogici, e mai digitali, sono piuttosto immagini che usano la fotografia, che partono dalla fotografia, per proseguire su strade loro, del tutto speciali. Partono dalla realtà
Presenze; 2005.
La fabbrica della luce; 2003.
L’Attesa; 2003.
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per trascenderla in modo sovrano. Sono altresì opere che partono dal figurativo per raggiungere effetti di astrazione, anche visiva oltre che concettuale. Partono dall’esteriore per significare un interiore. [...] Ti colpisce la loro ampiezza, ti penetra la loro profondità. Le riempie, paradossalmente, l’ab-
bondanza di “vuoti”. [...] Però resta evidente che l’autore è un uomo, che nella nostra realtà quotidiana vive anch’egli, e che anzi la soffre, oltre a sognarla e a ricrearla. C’è, in queste immagini, una grande coscienza del dolore, presente sulla pelle dell’umanità come un tatuaggio tribale impossibile
RICONOSCIMENTI
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Chiara, per non dimenticare Beslan; 2004.
5 marzo; 2004.
da raschiare via, presente nella vita come una maceria da sgombrare, perennemente da sgombrare, un lavoro che non finisce mai. [...] Ce lo dice il silenzio. O quell’unica nota primordiale, tesa, sorda, che riempie linearmente, infinita, il tempo. E le presenze fantasmatiche che abitano tali visioni hanno il peso della trasparenza: ovvero la purezza della semplicità nuda, del corpo elementare, solo sangue carne pelle respiro, anzi solo forma, forse solo contorno. Anime pulsanti al ritmo basico del cuore. L’innocenza del bambino, rotonda come un mantra. La bellezza della donna, metafisica. L’eroica resistenza dell’uomo, inumana. La struttura prosciugata, la più essenziale, della vita (della morte). Non si esagera se si riconosce in queste apparizioni sospese un anelito di trascendenza che dimentica dietro di sé, molto sotto di sé, la frammentazione delle diverse religioni. L’unica vera materia, qui, è l’as-
lasse 1956, Renato Begnoni è nato a Villafranca di Verona, dove vive e opera (www.renatobegnoni.it). Dopo gli studi accademici, dal 1986 si occupa professionalmente di fotografia di architettura, still life, reportage e ritratto. Al mestiere di fotografo accosta una ricerca personale, rigorosa e attenta sul linguaggio fotografico contemporaneo, esponendo in qualificate gallerie e spazi pubblici in Italia e all’estero. Ha consolidato il proprio riconoscimento internazionale attraverso partecipazioni a rassegne collettive, come la presenza alla Biennale di Venezia del 1995, nella rassegna L’Io e il suo doppio (Un secolo di ritratto fotografico in Italia 1895-1995) e all’incontro internazionale a Wroclaw (Polonia) nel 1991, nell’ambito di Nuovi spazi della fotografia Internazionale Est-Ovest. Quindi, nel 1997, ha rappresentato l’Italia come giovane artista per la fotografia contemporanea, a Vancouver, in Canada. Nel 2002 ha ricevuto il Premio Friuli Venezia Giulia per la fotografia. «La produzione di Renato Begnoni rivela un’intensa e persino sofferta riflessione sulle possibilità espressive della fotografia tradizionale, dal colore alle più attuali tecnologie, mette in luce i rapporti, ormai convenzionali, tra pittura e fotografia; in bilico tra fotografia e pittura, ma infine squisitamente e specificatamente Fotografia. Una fotografia che tende a sottrarsi alla referenzialità tradizionale, per assumere le caratteristiche del Sogno, della Fantasia, della Creatività pura. Un Sogno, quello di Renato Begnoni, che attraversa un’icona realistica come può sembrare quella della Fotografia, nel cui ambito sta suggestivamente sperimentando» (Italo Zannier). Come esponente contemporaneo, il suo lavoro è inserito nella storia della fotografia Il Fotografo Mestiere d’Arte di Giuliana Scimé (FOTOgraphia, maggio 2003): «Renato Begnoni, con l’aggiunta di particolari inesistenti, crea un’immagine come è dentro di lui e non esiste nella realtà. La realtà a volte è troppo miserevole per esprimere il mondo interiore o per visualizzare la personalissima interpretazione. La colorazione manuale è pratica antica, che Renato Begnoni recupera per raffigurare l’universo del pensiero, o meglio, per rendere tangibile lo slittamento esistente fra immagine della realtà e immagine mentale. Le sue grandi stampe sono il risultato di un paziente e raffinato intervento manuale, talmente abile che è quasi impossibile distinguere gli elementi inseriti da quelli esistenti nella ripresa fotografica [...]».
soluto: il sovrumano vero, non quello parziale confessionale che ognuno pretende migliore degli altri. Quando la crepa tra i mondi per un momento si allarga, vediamo al di là con gli occhi dell’artista, del misti-
co, del pellegrino dolente, del reietto sapiente, del genio, del folle, dell’innocente assoluto, del peccatore massimo che ha già visto tutto. Vediamo oltre quello che credevamo il tutto. Vediamo per la prima volta? Con le sue opere, una per una ma pure tutte assieme viste in progressione, come sono pensate e accostate, Renato Begnoni non ci dà risposte chiare, e gliene siamo grati. Tuttavia ci suggerisce -con sospesa buona educazione, ma insieme con vigoroso empito evocativo- una calca di importanti domande, oltre a una dolce spinta verso l’impegno sociale, e dobbiamo essergliene molto riconoscenti. Ferruccio Giromini Renato Begnoni: Con i miei occhi. Heart Gallery, via San Giovanni in Valle 19, 37129 Verona; 045-8005424; www.heartgallery.it, info@heartgallery.it. Dal 20 maggio al 30 luglio; venerdì-domenica 16,00-20,00, o su appuntamento.
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ANCORA AL POSITIVO L’italiano Massimo Berruti si è affermato ex-æquo con il tedesco Jesco Denzel all’edizione 2006 del Premio Yann Geffroy. Il suo Immigrazione in Italia è un reportage che documenta storie di avvenuta integrazione; è stato selezionato «per il suo uso innovativo del colore e per la scelta di grande attualità».
2007: DICIOTTESIMA EDIZIONE MASSIMO BERRUTI (2)
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Come è già accaduto in altre precedenti occasioni, nel 1997, 2000, 2003 e 2004, l’accreditato e autorevole Premio Yann Geffroy è stato assegnato ancora in ex-æquo tra due autori. Nel 1997 si affermarono la statunitense Liana Miuccio e l’italiana Simona Ongarelli; nel 2000, lo spagnolo Matias Costa e il tedesco Jordis Schlösser; quindi, a seguire, nel 2003 registrammo l’affermazione simultanea di Yannis Kontos e Andreas Reeg (FOTOgraphia, novembre 2003), e il successivo 2004 fu la volta degli inglesi Tim Hetherington e Aubrey Wade (FOTOgraphia, aprile 2004). Quest’anno, per l’edizione 2006, si registra l’affermazione ex-æquo ai fotografi Massimo Berruti, italiano, e Jesco Denzel, tedesco. Prima dei relativi dettagli, fino alle motivazioni espresse dalla competente giuria, ricordiamo una volta ancora i termini dell’iniziativa, istituzionalmente rivolta e indirizzata a un fotogiornalismo positivo nel contenuto, quanto nella forma. Come abbiamo ricordato in occasioni precedenti, il Premio ricorda la figura di Yann Geffroy, prematuramente scomparso nella primavera 1989. Con il Pre-
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ibadiamo: dal 1990 l’Agenzia Grazia Neri di Milano assegna un Premio annuale di fotogiornalismo in memoria di Yann Geffroy, collaboratore dell’agenzia, prematuramente scomparso all’età di ventisette anni. Il Premio lui intitolato ricorda la figura e il carattere positivo di Yann Geffroy nel proprio incontro con il fotogiornalismo internazionale. Lo fa, sottolineando ogni anno la sua intelligenza sensibile e brillante e il suo spirito ottimista e creativo. A ogni edizione, l’Agenzia forma una giuria composta dalla titolare e da dipendenti e collaboratori. La giuria sceglie il servizio che a proprio giudizio ha meglio interpretato fotograficamente, tanto nella forma quanto nel contenuto, una soluzione in positivo di un problema sociale, politico, scientifico, ecologico. In nessun caso, sono presi in esame portfolio generici o lavori che non corrispondano a tale requisito. Il Premio Yann Geffroy, che si concretizza in 1550,00 euro, è aperto a fotografi italiani e stranieri che non abbiano ancora compiuto i trentacinque anni. I fotoreportage vanno inviati all’Agenzia Grazia Neri (via Maroncelli 14, 20154 Milano; 02-625271, fax 026597839; www.grazianeri.com, photoagency@grazianeri.com) entro il 31 gennaio 2007. Si richiede un servizio di venti immagini, in bianconero o a colori, edito o inedito, accompagnato da didascalie, dati anagrafici e recapiti del fotografo. Le stampe debbono essere di dimensioni comprese tra 20x25 e 30x40cm (da 8x10 a 12x16 pollici), non montate su supporto rigido, non incorniciate sotto vetro o plexiglas. Le diapositive devono essere del formato 35mm, dotate di montatura resistente al maneggiamento e alla proiezione. Sono accettati anche file digitali in Jpeg, a una risoluzione media, corredati da provini o stampine dei soggetti contenuti.
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DALLE ORIGINI
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alla propria istituzione, il Premio Yann Geffroy ha segnalato autori e reportage che successivamente si sono imposti all’attenzione generale. Ricordiamo i vincitori, dall’edizione originaria del 1990. 1990 Didier Ruef (Svizzera), per un servizio in bianconero su East Harlem. Menzione d’onore a Armando Rotoletti (Italia), per il servizio in bianconero Sulla loro pelle, sul tema dell’integrazione razziale. 1991 Fulvio Magurno (Italia), per il servizio in bianconero Luci e ombre. 1992 Stephane Compoint (Francia), per un servizio a colori sullo spegnimento dei pozzi di petrolio in Kwait. Menzioni d’onore a Claudio Vitale (Italia), per un servizio in bianconero sulla vita dei transessuali, e a Toty Ruggieri (Italia), per il servizio in bianconero Giovani pugili a Milano. 1993 Lisa Scarfati (Italia; Contact Press Images), per un servizio a colori sull’operazione per il cambio di sesso di due transessuali a Mosca. Menzione d’onore a Lucia Calleri (Italia), per un servizio in bianconero sull’Istituto Piccolo Cottolengo di Don Orione. 1994 Gideon Mendel (Inghilterra; Network), per un servizio in bianconero sulla cultura del calcio in Zambia. Menzioni d’onore a Jean-Claude Coutausse (Francia; Contact), per il servizio a colori sulla Somalia intitolato Ritorno a Baidoa, e a Antonio Biasiucci (Italia), per un servizio in bianconero sugli indios Xavante in Mato Grosso. 1995 Mark Power (Inghilterra; Network), per il servizio in bianconero The shipping forecast (Avvisi ai naviganti), sulla vita in alcune località di rilevazione meteorologica. Menzioni d’onore a Isabella Balena (Italia), per il servizio in bianconero Via Vaiano Valle, Milano, sul tema della sopravvivenza di una realtà sociale di povertà, e a Laurence Kourcia (Francia; Rapho), per il servizio in bianconero Les Grosses, sul problema dell’obesità. 1996 Manuel Bauer (Svizzera; Lookat), per il servizio in bianconero Lost Shangrila - Escape from Tibet, che documenta il viaggio-fuga di un padre e una figlia tibetani per sfuggire alla dittatura della cultura cinese. Menzione d’onore a Seba Pavia (Italia), per il servizio a colori La Domenica, sull’impiego del tempo libero nella società industriale e post-industriale [FOTOgraphia, luglio 2003]. 1997 Ex-æquo tra Liana Miuccio (Usa), per il servizio in bianconero An italian journey, sui legami so-
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pravvissuti tra famiglie emigrate in America e i parenti rimasti in patria, e Simona Ongarelli (Italia), per il servizio in bianconero Lustando, su un evento musicale che si svolge da anni a Lu nel Monferrato, come esempio di una realtà positiva nella provincia. Menzione d’onore a Robert Hubert (Svizzera; Lookat), per il servizio Work through leisure, dedicato alla trasformazione delle miniere carbonifere della Rhur in parchi di divertimento. 1998 Markus Buhler (Svizzera; Lookat), per il servizio in bianconero Short people, dedicato ai nani e alla propria difficile integrazione come “persone normali” in una società che tende ad ignorarli. Menzioni d’onore a Michele Cazzani (Italia [FOTOgraphia, settembre 1998]), per il servizio a colori La normalità di Alvise, sulla vita di un campione sportivo disabile, e a Paolo Cola (Italia), per il servizio in bianconero Ricominciare da zero, relativo al riutilizzo creativo di un’area in disuso, a cura di un gruppo di giovani bolognesi. 1999 Giorgia Fiorio (Italia; Contact), per il servizio in bianconero I Forzati del fuoco, dedicato a una iniziativa di riabilitazione di detenuti negli Stati Uniti, addestrati a domare incendi particolarmente pericolosi. Menzioni d’onore a Michi Suzuki (Giappone), per il reportage a colori Another family, sul tema dell’integrazione razziale, e a Gael Turine (Belgio), per il servizio in bianconero Cooperativa di Ciechi nella Costa d’Avorio. 2000 Ex-æquo tra Matias Costa (Spagna), per il servizio in bianconero The Country of the lost children, che documenta segni di pace in Rwanda, e Jordis Schlösser (Germania; Ostkreuz), per il servizio in bianconero Living on the dump, su una comunità Rom in Romania. Menzione d’onore Vittore Buzzi (Italia), per un servizio in bianconero sulla pesca del tonno nell’isola di Carloforte. 2001 Teru Kuwayama (Giappone), per il servizio in bianconero Tibetan refugees, che documenta la vita di tibetani rinchiusi nei campi di rifugio, mettendo in evidenza la propria capacità e volontà di preservare e trasmettere la cultura del proprio paese ai figli nati in esilio. Menzioni d’onore a Naomi Harris (Usa), per il servizio a colori Haddon Hall - Where living is a pleasure, sulla vita degli anziani in un hotel di Miami Beach loro riservato, e a Flore Aël Surun (Brasile), per il servizio a colori Sur-vie Sous, sui ragazzi di strada rumeni che vivono nelle condotte fognarie di Bucarest. 2002 Michelle Taylor (Usa), per il servizio in bianconero e a colori Flipside, che affronta il tema
della critica situazione esistenziale giovanile e le proprie aporie nel realizzarsi, con un’ottima riuscita nella composizione tra l’opera fotografica e l’accompagnamento dei testi. Menzione d’onore a Felicia Webb (Inghilterra), per il servizio in bianconero Through Thick and Thin, che tratta il tema dell’anoressia in una prospettiva positiva e con linguaggio moderno e asciutto. 2003 Ex-æquo tra Yannis Kontos (Grecia), per il servizio in bianconero Kabul Photographers, che rileva e rivela una parte di vita tradizionale e di costume riemersa dal clima doloroso di lunghi anni di guerra, e Andreas Reeg (Germania), per il servizio a colori People with Down Syndrome, che descrive una situazione di handicap con la quale si può convivere [FOTOgraphia, novembre 2003]. Menzione d’onore a Simon Roberts (Inghilterra), per il servizio in bianconero The Gray Friars, su un gruppo di monaci che si occupa di adolescenti. 2004 Ex-æquo tra Tim Hetherington (Inghilterra; Network), per il servizio Blind School Link project, che descrive la realtà quotidiana in due scuole per ragazzi non vedenti, in Sierra Leone e nel Regno Unito, e Aubrey Wade (Inghilterra; Documentography), per il servizio a colori Chromosome 17-Rosie’s Story, che racconta la storia di una bambina di venti mesi affetta da sintomi di disordine mentale dovuti a una rara malattia cromosomica [FOTOgraphia, aprile 2004]. Menzione d’onore a Ziv Koren (Israele; Polaris Images), per il servizio Louai Mer’i, a Sergeant, is Going Home, sul difficile tema del ritorno alla quotidianità di un militare israeliano cui sono state amputate entrambe le gambe. 2005 Riccardo Scibetta (Italia), per il servizio a colori Ouragan, che documenta l’esperimento di un laboratorio teatrale all’interno dell’Istituto penale per minori Malaspina di Palermo. Menzioni d’onore a Patrick Andrade (Usa; Polaris), per il servizio Irak Olimpics, sulla squadra olimpionica irachena, e a Reto Albertalli (Svizzera), per il servizio Matrimonio Rom. 2006 Ex-æquo tra Massimo Berruti (Italia), per il servizio Immigrazione in Italia, che documenta storie di avvenuta integrazione, e Jesco Denzel (Germania), per il servizio Hanover, Eatern cape, South Africa, che evidenzia una situazione di conservazione delle tradizioni e dei legami familiari, pur in una condizione di imposta emigrazione interna a fini lavorativi. Menzione d’onore a Sohrab Hura (India), per il servizio Rozgar Adhikar Yatra: The Mouvement and its causes, che testimonia le manifestazioni pubbliche del Movimento Indiano contro la disoccupazione.
Premio Yann Geffroy 2006: menzione d’onore alla fotografa indiana Sohrab Hura, per il servizio in bianconero Rozgar Adhikar Yatra: The Mouvement and its causes, che testimonia le manifestazioni pubbliche del Movimento Indiano contro la disoccupazione («per il buon linguaggio fotografico e per aver saputo valorizzare la partecipazione femminile al movimento»).
mio, dal 1990 l’Agenzia Grazia Neri mantiene vivo il ricordo del proprio collaboratore, del suo ottimismo e della sua creatività. La cerimonia di premiazione, con attribuzione dei 1550,00 euro previsti, si è svolta il 21
marzo, nell’anniversario dell’incidente in cui ha perso la vita Yann Geffroy. Composta da Simonetta Cammellucci, Elena Ceratti, Gino Ferri, Livia Marazzi, Grazia Neri e Paola Riccardi, come abbiamo anticipato, la giuria 2006 ha assegnato il Premio 2006 ex-æquo a Massimo Berruti e Jesco Denzel. Il reportage premiato Immigrazione in Italia, di Massimo Berruti, documenta storie di avvenuta integrazione; è stato selezionato «per il suo uso innovativo del colore e per la scelta di grande attualità». Il servizio Hanover, Eatern cape, South Africa, di Jesco Denzel, si è affermato «per l’uso classico del bianconero e per aver evidenziato una situazione di conservazione del-
le tradizioni e dei legami familiari, pur in una condizione di imposta emigrazione interna a fini lavorativi». Allo stesso momento, dovendo istituzionalmente tener presente la componente “positiva nel contenuto, quanto nella forma” del fotoreportage segnalato, e per questo indirizzando le proprie scelte, la stessa giuria ha assegnato una menzione d’onore alla fotografa indiana Sohrab Hura, per il servizio in bianconero Rozgar Adhikar Yatra: The Mouvement and its causes, che testimonia le manifestazioni pubbliche del Movimento Indiano contro la disoccupazione, «per il buon linguaggio fotografico e per aver saputo valorizzare la partecipazione femminile al movimento». Il prossimo appuntamento è fissato per l’inizio del 2007, con la diciottesima edizione del Premio Yann Geffroy, del cui bando riassumiamo i termini a pagina 23. A.G.
SOHRAB HURA (2)
JESCO DENZEL (2)
Ex-æquo con l’italiano Massimo Berruti, il servizio Hanover, Eatern cape, South Africa, del tedesco Jesco Denzel, è stato indicato dalla giuria del Premio Yann Geffroy 2006 «per l’uso classico del bianconero e per aver evidenziato una situazione di conservazione delle tradizioni e dei legami familiari, pur in una condizione di imposta emigrazione interna a fini lavorativi».
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isogna averlo. Questa è l’annotazione principale, che potrebbe anche restare unica, a commento e giudizio della raccolta Things As They Are - Photojournalism in Context Since 1955, il grandioso volume pubblicato in occasione del cinquantesimo anniversario del World Press Photo, al quale ci siamo riferiti all’inizio dell’anno (in FOTO graphia dello scorso febbraio). Come anticipato in quell’occasione, quando rimandammo in avanti, oggi appunto, l’approfondimento dei contenuti del volume del quale ci stiamo occupando, la monografia è curata da Mary Panzer, storica della fotografia, ed è arricchita da una postfazione di Christian Caujolle, direttore dell’agenzia fotografica e della galleria VU (FOTOgraphia, giugno 2003), critico fotografico di fama mondiale: edizione Chris Boot, 2005; 384 pagine 23x30cm, cartonato con sovraccoperta; 68,00 euro; reperibile nelle librerie italiane specializzate. A titolo di cronaca, annotiamo ancora che, nelle celebrazioni editoriali del cinquantenario, la corposa monografia si accompagna all’album Fifty Years World Press Photo, con le quarantasette fotografie che hanno vinto il Premio dal 1955 a oggi. Riprendendo un’altra precisazione già riferita, confermiamo l’interpretazione critica del titolo, estrapolato da un aforisma tratto dall’opera The new organon or true directions concerning the interpretation of nature del filosofo Sir Francis Bacon (1561-1626), pubblicata nel 1620: «The very contemplation of things as they are, without superstition or imposture, error or confusion, is in itself more worthy than all the fruit of inventions» (La semplice contemplazione delle cose così come sono, senza superstizioni o inganni, errori o confusioni, vale di più di tutti i frutti dell’invenzione). Le sottolineature sono nostre, ad evidenziare che il casellario di Things As They Are ripercorre e interpreta cinquant’anni di fotogiornalismo all’interno di una impalcatura e struttura dichiaratamente preconcetta, nella propria onesta dichiarazione: appunto, le cose così come sono. E qui, una volta ancora e una di più, tornano alla mente due affermazioni che appartengono a pieno diritto alla storia del pensiero fotografico e sulla fotografia, che peraltro hanno considerevolmente arricchito. W. Eugene Smith, celebrato fotogiornalista, che la storia evolutiva del linguaggio espressivo con-
Fantastico e utile casellario del fotogiornalismo internazionale degli ultimi cinquant’anni, Things As They Are è un volume imperdibile (epocale addirittura? diremmo di sì). Non ci sono le condizioni per una sua possibile edizione italiana, e purtroppo non c’è neanche modo di attivare quel concreto e utile dibattito che tanta colta sintesi sollecita. Accontentiamoci, quindi, del possesso individuale. A ciascuno, come spesso diciamo, il suo sidera anche per una riconosciuta inflessibilità morale e professionale, esortava a «usare la verità come unico pregiudizio»: intendendo con questo le convinzioni individuali che condizionano comunque i gesti e le interpretazioni personali, da finalizzare a una onestà di intenti di più alta levatura. Dopo di che, siamo con Edward Steichen, che in occasione del novantesimo compleanno, nel 1969, quattro anni prima della sua scomparsa, registrò che «la missione della fotografia è quella di spiegare l’uomo all’uomo e ogni uomo a se stesso». Su queste lunghezze d’onda combinate, sintonizziamo l’essenza della passerella retrospettiva di Things As They Are, così come, in assoluto, accordiamo i princìpi del nostro stare con la fotografia.
Things As They Are Photojournalism in Context Since 1955 è stato realizzato e pubblicato in occasione del cinquantesimo anniversario del World Press Photo. A cura di Mary Panzer, storica della fotografia; postfazione di Christian Caujolle, direttore dell’agenzia fotografica e della galleria VU, critico fotografico di fama mondiale. Chris Boot, 2005; 384 pagine 23x30cm, cartonato con sovraccoperta; 68,00 euro.
LE COSE COSÌ COME SONO
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1955-1964: QUANDO GLI ILLUSTRATI SONO STATI GRANDI
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ante pagine, ampi spazi alle immagini, reportage pubblicati in misura quantomeno generosa, sia per quantità sia per qualità di presentazio-
ne. Nei tardi anni Cinquanta, in tutto il mondo, Italia compresa (si potrebbero ricordare molte testate), il panorama dei settimanali ha vissuto una
1955 Henri Cartier-Bresson The People of Russia Paris Match (qui sotto); Walker Evans Beauties of the Common Tool Fortune; Robert Frank The Congressional Fortune 1956 David Douglas Duncan Gaza Strip Collier’s; Heroes of Budapest Paris Match; Waldemar Dürst Refugees at the Swiss Border Die Woche 1957 Yuri Zhukov New York Ogonyek 1958 David Douglas Duncan Picasso at Home Paris Match; Héktor García Vallejismo Ojo; Tazio Secchiaroli La Turca Desnuda L’Espresso (qui sotto); Algerian Liberation Army Al Arabi; Rolf Gillhausen China Stern 1959 Henri Cartier-Bresson China Life; W. Eugene Smith Pittsburgh
Il reportage di Henri Cartier-Bresson dall’Unione Sovietica, successivamente raccolto in monografia, e spesso celebrato dalla Storia della fotografia, è stato originariamente pubblicato dal settimanale Paris Match, che l’ha distribuito in due numeri consecutivi, il 29 gennaio e 5 febbraio 1955. Scandaloso come oggi è difficile immaginare, lo spogliarello di Aiché Nanà al Rugantino, fotografato da Tazio Secchiaroli e pubblicato da L’Espresso del 2 novembre 1958, anticipò il clima del cinematografico La dolce vita.
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fantastica stagione. Irripetibile? I reportage raccolti in Things As They Are (Anno Fotografo Argomento Testata):
Popular Photography 1960 Robert Lebeck The King’s Sword Kristall; Shomei Tomatsu Iwakuni Chuo Koron; Peter Magubane Sharpeville Funeral Drum; Diane Arbus Vertical Journey Esquire 1961 Kishore Parekh Life in a Delhi Slum The Hindustan Times (Sunday Magazine); Gordon Parks Flavio Life; Brian Brake Monsoon Paris Match 1962 Dickey Chapelle Helicopter War National Geographic 1963 Raúl Corrales Farmer-Soldiers Cuba; Gianfranco Moroldo Dam Burst [Ecco il paese cancellato] L’Europeo 1964 The Pope Visits the Holy Land [Venite nel paese di Gesù] Epoca
INTRODUZIONE E CONCLUSIONE Ancora, da capo: bisogna averlo. Things As They Are è un ponderoso casellario su cinquant’anni di fotogiornalismo, ovvero fotoreportage, che alla resa dei conti compone una fantastica storia del giornalismo (ammesso che la linea di distinzione abbia senso di esistere ed essere sottolineata). La chiave interpretativa non è solo affascinante, come peraltro è (!), ma è addirittura legittima e inesorabilmente giusta. Pur estesa su trecentottantaquattro pagine di generose dimensioni (23x30cm), la stragrande maggioranza delle quali emozionalmente illustrate, la trattazione poteva essere ancora più lunga, tanto è sterminato il materiale visivo potenziale sul quale la curatrice ha operato. Ma non è la quantità, che alla fine fa la differenza; quanto, al solito, la qualità. E qui, la qualità non manca di certo: hanno scelto veramente bene e agito con adeguata osservazione internazionale (in questo ci discostiamo da coloro i quali, li abbiamo sentiti, hanno rilevato una insufficiente presenza italiana; non è esattamente vero: per quanto presente in misura effettivamente modesta, il fotogiornalismo italiano, di autore e testate, è presentato in modo confortevole e, soprattutto, sostanzialmente qualificato). Quindi, senza ulteriori indugi, sintetizziamo imme-
diatamente di cosa si tratta. Il richiamo Things As They Are si rivela presto nel sottotitolo Photojournalism in Context Since 1955. A dire: il fotogiornalismo nel proprio contesto, dal 1955. La datazione è obbligata, visto che si è trattato di accompagnare la celebrazione dei primi cinquant’anni di World Press Photo, qualificato e prestigioso premio annuale del fotogiornalismo internazionale, che ha appunto preso il via all’esatta metà degli anni Cinquanta. Things As They Are è ciò che rivela di essere: una approfondita carrellata sul fotogiornalismo, affidata a testimonianze in diretta. Il volume si apre con una colta introduzione della curatrice Mary Panzer (in inglese, va detto): distribuita su ventisei pagine, in pertinente equilibrio -anche formale (annotiamolo)- di parole e immagini a commento, ripercorre la storia e l’essenza ideologica del giornalismo illustrato. Testo esemplare, considerazioni approfondite e documentate, punto di vista da considerare con assoluto rispetto. A conclusione, dopo il corpo centrale sul quale stiamo per soffermarci, altrettanto profonda è la postfazione di Christian Caujolle, direttore dell’agenzia fotografica e della galleria VU, sulle quattro pagine finali del volume, immediatamente prima dei doverosi, rigorosi e dettagliati crediti (in ordine con lo spirito di corretto utilizzo delle immagini che caratterizza il mondo degli addetti).
STORIA (DI STORIE) La linea conduttrice, che qualifica e definisce la successione riunita in Things As They Are, è esemplare. L’epopea moderna e contemporanea del fo-
1965-1974: GLI ANNI DEL VIETNAM
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avolosi nel ricordo, purtroppo gli anni Sessanta non sono stati solo la gioiosa spensieratezza di una giovane generazione avida di vita e diverti-
mento. Oltre quanti ne sono stati coinvolti direttamente, la guerra in Vietnam ha condizionato lunghi anni, coinvolgendo anche il fotogiornalismo. E poi:
1965 Bill Eppridge Heroin Life; Larry Burrows Yankee Papa 13 Life; James Karales The Selma Montgomery March Look; Sonny Liston Vs Cassius Clay Sports Illustrated; Fritz Goro Prenativity Life 1966 Sergio Larrain Valparaíso Du; Lennart Nilsson Creation Realidade; Abraham Zapruder Kennedy Assassination Life (qui sotto); Ernest Cole How it Feels to be Black in South Africa The Sunday Times Magazine 1967 Mikhail Savin Arctic Soldiers Ogonyek; Roberto Salas Heroic Vietnam Cuba; Ed van der Elsken Cuba Avenue 1968 Richard Avedon The Beatles Look; Irving Penn The Incredibles Look; Don McCullin Battle for Hue The Sunday Times Magazine; Bruce Da-
togiornalismo internazionale è stata suddivisa in cinque decadi, ovviamente dipendenti dalla data di partenza fissata al 1955. Dunque dieci anni a cavallo tra i Cinquanta e Sessanta, tra i Sessanta e Settanta, tra i Settanta e Ottanta, tra gli Ottanta e i Novanta, tra i Novanta e il Duemila. Ogni decade è identificata da una propria definizione, che la qualifica e certifica (ne scriviamo più avanti); subito dopo, in doppia pagina, sono visualizzate le World Press Photo of the Year dei singoli anni (la cui successione completa abbiamo riunito nelle quattro pagine centrali che si aprono a battente sul nostro scorso numero di febbraio); quindi, a seguire, sono presentati significativi reportage realizzati e pubblicati nel corso degli stessi dieci anni presi in considerazione. Preceduto da una breve presentazione, ogni reportage è riprodotto non dal punto di vista fotografico (ovvero immagini in quanto tali), ma attraverso l’opportuna visualizzazione delle messe in pagina sui periodici che l’hanno pubblicato, rigorosamente riprodotte con visione ortogonale. Filologicamente, l’operazione è esemplare: perché non considera la sola fotografia, ma il proprio contesto originario (eccolo qui, il sottotitolo Photojournalism in Context Since 1955 ), accordando l’immagine all’interno della propria trama giornalistica. Dal punto di vista personale, noi osservatori, noi fruitori possiamo godere una passerella storica retrospettiva, che sintetizza cinquant’anni della nostra stessa vita. Hanno scelto bene, l’abbiamo già annotato; hanno attivato una giusta chiave di lettura, l’abbiamo già rilevato. Ma, soprattut-
il Sessantotto (e dintorni) e la Luna. I reportage raccolti in Things As They Are (Anno Fotografo Argomento Testata):
vidson East 100th Street The Sunday Times Magazine (qui sotto); Floris de Bonneville e Gilles Caron Biafra Paris Match; Paris Student Riots Paris Match; Claudia Andujar Prostitution in São Paulo Realidade; Philip Jones Griffiths Saigon The Daily Telegaph Magazine 1969 Bill Anders View from the Moon Life; Daido Moriyama Untitled Provoke; One Week’s Dead Life; Will McBride Siddhartha Twen; Neil Armstrong e Edwin Aldrin On the Moon Life; Ron Haeberle My Lai Life 1971 Don McCullin Siege of Derry The Sunday Times Magazine 1972 Munich Massacre Paris Match
to, e ancora, hanno rievocato fatti, momenti e cose che credevamo di aver dimenticato. Alla fine, la successione delle segnalazioni e indicazioni compone addirittura i tratti di una sorta di storia contemporanea, scandita dal ritmo della cronaca quotidiana: tra grandi fatti e significative vicende esistenziali.
A MARGINE Alcuni di questi reportage, molti siamo tentati di quantificare, sono stati successivamente raccolti in volume, in rispettive proprie forme ampliate e complete. A memoria, ne ricordiamo alcuni: la documentazione su Harlem, il quartiere nero di Manhattan, realizzato da Bruce Davidson e originariamente pubblicato dal Sunday Times Magazine nel 1968 (East 100th Street, anche mostra al MoMA di New York nel 1970; qui sotto); la straordinaria serie Valparaíso di Sergio Larrain, in monografia anni dopo l’originaria prima apparizione in Du, nel 1966; la cruda sequenza di Café Lehmitz di Anders Petersen, sul tedesco Stern nel 1979, relativa a un bar nel porto di Amburgo osservato senza giudizi ma commossa partecipazione (FOTOgraphia, dicembre 1999); l’Af-
Vicenda mai risolta, l’assassinio del presidente Kennedy è spesso affrontato dal giornalismo statunitense ( FOTOgraphia, novembre 2003): è il caso di Life del 25 novembre 1966, che, a tre anni dall’attentato di Dallas, analizza il celebre Super8 di Abraham Zapruder. Prima pubblicazione del’avvincente reportage di Bruce Davidson sul quartiere nero di New York, sul Sunday Times del 21 aprile 1968: East 100th Street, successivamente raccolto in volume e mostra (al MoMA).
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1975-1984: EROI E ANTIEROI
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ncora tanti fatti, piccoli e grandi, con proiezione planetaria. Conflitti in ogni parte del mondo, figure politiche epocali che vengono a mancare
(dallo spagnolo Franco a Mao Zedong); e anche nuovi stili di vita, con rinnovato rapporto individuale con le firme che ormai si indossano. Tante storie
1976 Hiroji Kubota Bangkok Sekai; Richard Avedon The Family Rolling Stone (qui sotto) 1978 Susan Meiselas Nicaragua The New York Times Magazine 1979 Anders Petersen Café Lehmitz Stern; Helmut Newton Berlin Vogue 1980 Letizia Battaglia e Franco Zecchin Mafia Assassination [Le foto dell’assasinio di Mattarella] L’Ora (qui sotto); Gilles Peress Iran The
Anche mostra alla celebrazione dei cinquant’anni di World Press Photo ( FOTOgraphia, febbraio 2005), i ritratti realizzati da Richard Avedon in occasione del Bicentenario sono apparsi in Rolling Stone del 21 ottobre 1976. Il toccante servizio di Letizia Battaglia e Franco Zecchin sull’assassinio dell’onorevole Piersanti Mattarella, vittima di mafia, è stato pubblicato da L’Ora di Palermo in un dossier fotografico esclusivo (7 gennaio 1980).
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da raccontare, per stabilire il segno del nuovo. I reportage raccolti in Things As They Are (Anno Fotografo Argomento Testata):
New York Times Magazine; Alain Bizos Solidarity Actuel 1981 Eugene Richards Dorrie’s Journey American Photographer; Mary Ellen Mark Falkland Road Stern; Raymond Depardon New York Diary Libération 1984 Bruce Weber Olympians Interview; Vera Lentz Soccos Massacre Konkret; Raghu Rai Bhopal India Today
ghanistan di Simon Norfolk, in El País nel 2002, successivamente edito da Peliti Associati (FOTOgraphia, giugno 2003); e, ancora, la recente retrospettiva degli anni Sessanta di Richard Avedon, sull’onda lunga dei Beatles pubblicati da Look nel 1968. Per non parlare, poi, delle monografie d’autore, con ampliamenti dei reportage giornalistici originari; un nome, sopra tutti: Sebastião Salgado. Ancora, va rilevato che il giornalismo ha spesso fatto proprie interpretazioni fotografiche di autori esterni ed estranei al fotoreportage puro. Nella successione di Things As They Are incontriamo così Irving Penn (1968), il già ricordato Richard Avedon (1968, 1976 e 2004, ultimo servizio pubblicato prima della sua scomparsa; omaggio alla sua personalità da parte di The New Yorker, il settimanale che l’aveva ingaggiato come photo editor quando aprì le proprie pagine alla fotografia; a pagina 32), Helmut Newton (1979), Bruce Weber (1984), Nan Goldin (1996) e Wolfgang Tillmans (1992). Annotiamo, quindi, che la consecuzione/fruizione giornalistica di fotografie altrimenti nate è una delle straordinarie capacità di periodici attenti alle vicende della società e del mondo; in un certo senso, ne abbiamo già accennato lo scorso ottobre, nell’ambito dell’approfondimento sulla vituperata fototessera, segnalando l’esempio della raccolta di fotoritratti di guerriglieri talebani, recuperata dal reporter Thomas Dworzak dell’agenzia Magnum Photos in uno studio fotografico abbandonato di Kandahar. A seguire, l’insieme dei reportage proposti dalla
sintesi di Things As They Are rivela anche una delle personalità proprie e caratteristiche del giornalismo, che segue avvenimenti annunciati, presta attenzione a vicende che stanno per manifestarsi, è presente là dove la vita diventa tragedia e, ancora, è capace di osservare oltre la superficie apparente, per approfondire temi latenti, cui dà visibilità. Su incarico o per indirizzo personale, i fotoreporter sono sempre attenti testimoni dell’esistenza, sapendo guardare sia l’evidenza (a partire da quella dei fatti annunciati) sia la sostanza caratteristica del vivere quotidiano, dell’ordinario. Due parole anche per i giornali. In origine soprattutto cronaca, e per questo pubblicato su settimanali di approfondimento (dopo la notizia in diretta, sui quotidiani), il fotoreportage è slittato anche sui mensili, sulle cui pagine ha preso forma di autentica e concentrata riflessione. Quindi, con piacere personale, nel casellario compilato da Things As They Are incontriamo testate leggendarie (per esempio il non dimenticato Twen, tra l’altro scuola di messa in pagina), periodici di costume e socialità (I-D, Colors, Face, Vanity Fair, Interview ), mensili di moda (Vogue, sopra tutti), mensili di musica (Rolling Stone), una significativa quantità e qualità di magazine che accompagnano attenti quotidiani (tra i quali l’italiano Sette, ai tempi settimanale del milanese Corriere della Sera) e pagine di cultura (dal già citato New Yorker al tedesco Du).
CINQUE DECADI A parte, in appositi riquadri, elenchiamo i singoli reportage considerati e inseriti nelle cinque decadi successive, a cavallo dei decenni, dal 1955. Ora è solo il caso di sottolineare la colta e mirata defini-
1985-1994: L’ORDINE DEL NUOVO MONDO
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issolvimento del blocco orientale, a volte tumultuoso e luttuoso (tanto da far riaffiorare orrori che si credevano lontani e irripetibili), altre volte
spontaneo e indolore (ma sarà poi vero?). La geografia è tanto sconvolta, da stabilire i connotati di un nuovo mondo. Oppure, e forse non è lo stesso, si
1985 Sebastião Salgado Famine in the Sahel Libération; Reza e Manoocher Deghati Iran Iraq War Libération 1987 Sebastião Salgado Serra Pelada The Sunday Times Magazine; Donna Ferrato Domestic Violence The Philadelphia Inquirer Magazine (qui sotto); Bernd Hoff Stammheim 7th Floor Tempo 1988 Alon Reininger Aids in the Usa Life; Lialia Kurznetsova Gypsies Ogonyek; Eric Valli Honey Hunters of Nepal National Geographic 1989 Patrick Zachmann Tiananmen Square [Ho visto piangere la Cina] Sette; Fall of the Berlin Wall Paris Match 1990 Mike Abrahams Ceausescu’s Legacy The Indipendent Magazine; Antonin Kratochvil Pollution in East Europe The New York Times
zione data alle stesse decadi, la cui successione temporale (delle definizioni) stabilisce i connotati dell’evoluzione dello stesso fotogiornalismo, via via trasformatosi per proprio mutamento naturale come anche per condizionamenti e influenze dall’esterno, dalla vita e dal mestiere. In libera traduzione: 1955-1964, Quando gli illustrati sono stati grandi; 1965-1974, Gli anni del Vietnam; 1975-1984, Eroi e antieroi; 1985-1994, L’ordine del nuovo mondo (Il nuovo ordine del mondo?); 1995-2004, Affermazione del fotoreporterartista. Siamo in accordo con questa cadenza, che rispecchia la realtà dei fatti e la concreta dimensioni del fotogiornalismo, nel proprio passaggio da un ruolo discriminante nella visualizzazione (documentazione? testimonianza?) dello svolgimento della vita a una attuale nuova personalità professionale, che sta caratterizzando l’odierna figura del fotoreporter, le cui immagini non assolvono solo la cronaca, ma vengono immediatamente fatte proprie da una identificata estetizzazione. A questo proposito, avvicinandoci alla conclusione, riprendiamo passi dall’intervista che il fotografo spagnolo Pep Bonet ha rilasciato a Lello Piazza due anni fa e pubblicata in FOTOgraphia dell’aprile 2004. Il tema è giusto quello del fotogiornalismo che slitta verso l’arte (cui strizza l’occhio o dalla quale è sedotto?), individuato anche da Things As They Are. Chiede Lello Piazza: «Recentemente, a Verona, visitando la grande mostra dedicata al lavoro dei fotografi della VII [Inviati di guerra; FOTOgraphia, febbraio 2004] ho avuto la sensazione di una imbarazzante estetizzazione della fotografia di guerra. Spero di sbagliarmi, e d’altra parte rifiuto l’idea che fotogiornalisti come Christopher Morris o James Nachtwey possano considerarsi più artisti che giornalisti. Ma la quasi totale assenza di didascalie alle fotografie mi ha fatto pensare che almeno il curatore della mostra fosse un po’ scivolato nella direzione dell’arte invece che in quella della testimonianza. Da questo disagio nasce la mia prima e un po’ ingenua domanda: nella fotografia news per te è più importante lavorare sullo stile o sul contenuto?».
tratta di un nuovo ordine del mondo. I reportage raccolti in Things As They Are (Anno Fotografo Argomento Testata):
Magazine; Killing the Chickens The Indipendent Magazine 1991 Gulf War Neewsweek; Philippe Bourseiller Eruption of Mt Pinatubo Daily Telegraph; Hans-Jürgen Burkard Soviet Mafia Stern 1992 Jane Evelyn Atwood Russian Women’s Prison The Indipendent Magazine (qui sotto); Daniel Schwartz Burma Du; Wolfgang Tillmans Love Parade I-D 1993 Steve McCurry Afghanistan National Geographic; Gideon Mendel Zimbabwe Aids Ward The Indipendent Magazine; Alfred Seiland New England Frankfurter Allgemeine Magazin 1994 Bruno Barbey Fès Du
Risponde Pep Bonet: «Non penso che si possano separare stile e contenuto, e per me sono importanti entrambi. E a proposito dello stile, aggiungo che per me è spontaneo; io non lo razionalizzo, semplicemente mi viene così. Inoltre, non credo più al modo tradizionale di raccontare le storie, lo trovo noioso. Il mio approccio è “non avere regole, non tenere conto delle esperienze precedenti, seguire l’istinto, ascoltare me stesso e non quelli che mi danno suggerimenti”. Mi immagino anche che il pubblico si stanchi di guardare le fotografie di un fotografo che non cambia mai il proprio stile per anni».
Anticipatoria di una lunga ricerca fotografica allungatasi negli anni, la prima serie di fotografie di Donna Ferrato sulla violenza domestica è apparsa sul Philadelphia Inquirer il 26 luglio 1987.
Ancora difficile condizione femminile: fotografie di Jane Evelyn Atwood in una prigione russa (da The Independent Magazine del 25 gennaio 1992).
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1995-2004: AFFERMAZIONE DEL FOTOREPORTER-ARTISTA
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nche il fotoreportage diventa espressione estetizzante (come pure è sempre stato, ma non in modo ufficiale e ufficializzato). Sui periodici illustrati, i
reportage sono spesso presentati come forme visive separate dai fatti che documentano, testimoniano e raccontano. Non è il palcoscenico dell’impegno de-
1995 Paul Lowe Chechnya The Indipendent Magazine 1996 [attribuzione errata: 1997] S-21 Reportage (qui sotto); Nan Goldin James is a Girl The New York Times Magazine; Stanley Greene Chechnya The New York Times Magazine;War Colors; James Nachtwey War in Europe El Mundo 1997 Martin Parr Sun Kitsch W; Times Square The New York Times Magazine; Roger Hutchings The Thatcher Era L’Express; Elaine Constantine Mosh Face 1999 Trent Parke Mt Pandemonium The Australian Magazine; Yann Arthus-Bertrand Earth from Above Geo; Rio Big 2000 Michael Nichols Megatransect National Geographic Apparsa postuma, un mese dopo la sua scomparsa, la serie di ritratti dell’attuale democrazia statunitense di Richard Avedon è stata pubblicata dal New Yorker il Primo novembre 2004. Giornalismo con i crudi (e cinici) ritratti delle vittime dei Khmer Rossi, scattati dagli stessi carnefici ( Reportage dell’aprile 1997, erroneamente datato 1996 e 1995 sulla monografia). Volti dell’11 settembre in interpretazione estetizzante: Vanity Fair del novembre 2001.
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gli anni Sessanta, e neppure suo cugino. I reportage raccolti in Things As They Are (Anno Fotografo Argomento Testata):
2001 Lukole Refugee Camp Colors; Cristina García Rodero Haiti Ritual La Vanguardia; Ad van Denderen Immigration in Europe Geo; Jonas Karlsson One Week in September Vanity Fair (qui sotto) 2002 William Albert Allard Untouchables National Geographic; This is my World Gazeta Wyborcza; Simon Norfolk Afghanistan El País 2003 Rinko Kawauchi Afghanistan Foil; Philip Blenkinsop The Hmong Time Asia; Nadia Benchallal Ramallah Fashion Vogue Hommes 2004 Israel/Palestine Days Japan; Ulrike Myrzik e Manfred Jarish Feet Stories Süddeutsche Zeitung; James Nachtwey Darfur Time; Richard Avedon Democracy The New Yorker (qui sotto) 2005 Tsunami Paris Match
Più avanti, Lello Piazza ritorna e insiste: «Quando hai cominciato come fotogiornalista, ti saresti aspettato di poter essere considerato un artista?». Da cui, la confessione: «Certamente, perché credo che sia un aspetto del mio mestiere: io cerco di cancellare i confini tra giornalismo e lavoro artistico. Non credo nell’oggettività dell’informazione. Mi piace raccontare le mie sensazioni su quello che vedo. Per far questo talvolta uso fotografie mosse o sfocate, per trascinare lo spettatore dentro l’atmosfera del luogo e fargli sentire la sofferenza o la confusione della realtà che riporto. Cosa c’è di sbagliato in questo? «Un’altra questione è parlare di etica, e perché fai quello che stai facendo, e perché fotografi quello che stai fotografando. «A me interessano le vicende che non conosco, e mi impegno nel lavoro fotografico con passione per scoprirle. Non voglio cambiare il mondo, voglio solo raccontare alla gente ciò che vedo e soprattutto mostrare loro la mia esperienza». Ma questa, identificata nell’ultima (più recente) decade dei cinquant’anni presi in considerazione dal casellario di Things As They Are, non è l’unica opinione espressa nel volume, che sollecita/solleciterebbe tante altre consecuzioni, fino a poter avviare un intenso e proficuo dibattito sull’argomento. Bisogna solo trovare i mezzi per poter raccogliere tante sollecitazioni e trasferirle in concentrato parlare di fotografia: ma non è più certo facile riuscire a farlo. Pazienza. In conclusione registriamo un certo rammarico per un’esperienza editoriale potenzialmente stimolante ed eccitante che non ha modo di proiettarsi come potrebbe, almeno in Italia. Allora, rimangono il consumo e la fruizione individuali della raccolta. Ripeto Things As They Are è un libro di rara efficacia, almeno per coloro i quali provano interesse per l’espressione del fotogiornalismo contemporaneo, osservato anche nella propria più recente e allungata evoluzione storica. Insisto, bisogna averlo. Maurizio Rebuzzini Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
1995-2004: AFFERMAZIONE DEL FOTOREPORTER-ARTISTA
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nche il fotoreportage diventa espressione estetizzante (come pure è sempre stato, ma non in modo ufficiale e ufficializzato). Sui periodici illustrati, i
reportage sono spesso presentati come forme visive separate dai fatti che documentano, testimoniano e raccontano. Non è il palcoscenico dell’impegno de-
1995 Paul Lowe Chechnya The Indipendent Magazine 1996 [attribuzione errata: 1997] S-21 Reportage (qui sotto); Nan Goldin James is a Girl The New York Times Magazine; Stanley Greene Chechnya The New York Times Magazine;War Colors; James Nachtwey War in Europe El Mundo 1997 Martin Parr Sun Kitsch W; Times Square The New York Times Magazine; Roger Hutchings The Thatcher Era L’Express; Elaine Constantine Mosh Face 1999 Trent Parke Mt Pandemonium The Australian Magazine; Yann Arthus-Bertrand Earth from Above Geo; Rio Big 2000 Michael Nichols Megatransect National Geographic Apparsa postuma, un mese dopo la sua scomparsa, la serie di ritratti dell’attuale democrazia statunitense di Richard Avedon è stata pubblicata dal New Yorker il Primo novembre 2004. Giornalismo con i crudi (e cinici) ritratti delle vittime dei Khmer Rossi, scattati dagli stessi carnefici ( Reportage dell’aprile 1997, erroneamente datato 1996 e 1995 sulla monografia). Volti dell’11 settembre in interpretazione estetizzante: Vanity Fair del novembre 2001.
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gli anni Sessanta, e neppure suo cugino. I reportage raccolti in Things As They Are (Anno Fotografo Argomento Testata):
si migliora e lo fa in grande stile
2001 Lukole Refugee Camp Colors; Cristina García Rodero Haiti Ritual La Vanguardia; Ad van Denderen Immigration in Europe Geo; Jonas Karlsson One Week in September Vanity Fair (qui sotto) 2002 William Albert Allard Untouchables National Geographic; This is my World Gazeta Wyborcza; Simon Norfolk Afghanistan El País 2003 Rinko Kawauchi Afghanistan Foil; Philip Blenkinsop The Hmong Time Asia; Nadia Benchallal Ramallah Fashion Vogue Hommes 2004 Israel/Palestine Days Japan; Ulrike Myrzik e Manfred Jarish Feet Stories Süddeutsche Zeitung; James Nachtwey Darfur Time; Richard Avedon Democracy The New Yorker (qui sotto) 2005 Tsunami Paris Match
Più avanti, Lello Piazza ritorna e insiste: «Quando hai cominciato come fotogiornalista, ti saresti aspettato di poter essere considerato un artista?». Da cui, la confessione: «Certamente, perché credo che sia un aspetto del mio mestiere: io cerco di cancellare i confini tra giornalismo e lavoro artistico. Non credo nell’oggettività dell’informazione. Mi piace raccontare le mie sensazioni su quello che vedo. Per far questo talvolta uso fotografie mosse o sfocate, per trascinare lo spettatore dentro l’atmosfera del luogo e fargli sentire la sofferenza o la confusione della realtà che riporto. Cosa c’è di sbagliato in questo? «Un’altra questione è parlare di etica, e perché fai quello che stai facendo, e perché fotografi quello che stai fotografando. «A me interessano le vicende che non conosco, e mi impegno nel lavoro fotografico con passione per scoprirle. Non voglio cambiare il mondo, voglio solo raccontare alla gente ciò che vedo e soprattutto mostrare loro la mia esperienza». Ma questa, identificata nell’ultima (più recente) decade dei cinquant’anni presi in considerazione dal casellario di Things As They Are, non è l’unica opinione espressa nel volume, che sollecita/solleciterebbe tante altre consecuzioni, fino a poter avviare un intenso e proficuo dibattito sull’argomento. Bisogna solo trovare i mezzi per poter raccogliere tante sollecitazioni e trasferirle in concentrato parlare di fotografia: ma non è più certo facile riuscire a farlo. Pazienza. In conclusione registriamo un certo rammarico per un’esperienza editoriale potenzialmente stimolante ed eccitante che non ha modo di proiettarsi come potrebbe, almeno in Italia. Allora, rimangono il consumo e la fruizione individuali della raccolta. Ripeto Things As They Are è un libro di rara efficacia, almeno per coloro i quali provano interesse per l’espressione del fotogiornalismo contemporaneo, osservato anche nella propria più recente e allungata evoluzione storica. Insisto, bisogna averlo. Maurizio Rebuzzini Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
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e : -arg e r o s o l s ti co -blu-ro n a i r o 5 vao-bianc ner nditàmpe o f o r r p are sta sore o i g magincornic di spes ggio a t r m n e o m p a5 om m i s fino s i i t ncet e veloc a g i e nuovun facil per Via della Lira, 617 31053 Pieve di Soligo (TV) - Italy Tel. centralino 0438.9065 - uff. vendite 0438.906650 www.bubolaenaibo.com e-mail: bubolaenaibo@bubolaenaibo.com
Gian Paolo Barbieri, Brigitte Niedermair, Nadir, Ron Kedmi. Quattro fotografi in monografia. Quattro professionisti rappresentati dall’agenzia di Luigi Salvioli. Quattro significative personalità della fotografia di moda dei nostri attuali giorni. Quattro visioni tra loro diverse, che compongono i tratti di un panorama che non si esaurisce nel solo assolvimento dei rispettivi incarichi. Quattro esempi che vanno oltre i relativi soggetti ivace, straordinario, intraprendente e acuto personaggio del mondo della moda, Luigi Salvioli è uno dei più attenti e colti agenti di fotografi. A un tempo partecipe e disincantato, con una apprezzata componente di ironia e autoironia, è un personaggio schietto e diretto, che non si nasconde mai dietro opinioni di comodo, ma esprime sempre con chiarezza e determinazione le proprie idee, spesso in contrasto (mai antagonismo) con l’ordine costituito. Ex modello, non ne ha interpretato gli stereotipi: elevata è la sua statura intellettuale, profondo il suo interesse per l’arte, che considera territorio separato, anche se certa fotografia (per esempio, quella di moda) sconfina presto in espressioni che hanno debiti di riconoscenza giusto con l’espressione artistica, alla quale portano pure il proprio consistente contributo visivo. In un momento discriminante della fotografia professionale (non soltanto di moda, ma anche), Luigi Salvioli ha fissato un punto di attenzione e riflessione addirittura determinante. In un volume denso di immagini, arricchito di colti testi a commento (presentati a parte, in un riquadro pubblicato a pagina 38), ha riunito quattro dei fotografi che rappresenta, offrendo un esaustivo panorama della moda dei nostri giorni, ammesso e non concesso che questa sia stata una delle sue intenzioni originarie. Tre personalità sostanzialmente giovani, chi più chi meno, sono accostate a uno degli autentici mostri sacri e maestri della fotografia di moda, quel Gian Paolo Barbieri (classe 1938) che personalmente consideriamo una delle più significative personalità internazionali, degno di scrivere il proprio nome e presentare le proprie immagini insieme ai più celebrati riferimenti (da Richard Avedon a Irving Penn, che dalla loro possono vantare un domicilio certamente più attento alla fotografia). In avvincente consecuzione di messa in pagina, ma forse anche di intenti e contenuti espressivi, dopo Gian Paolo Barbieri, nel-
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GIAN PAOLO BARBIERI
V
OLTRE LA
MODA
la raccolta Oltre la moda, si incontrano Nadir (Naldi, all’anagrafe; 1953), Brigitte Niedermair (1971) e Ron Kedmi (1959). Nella sostanza, i quattro autori, tra i più rappresentativi dell’agenzia Luigi Salvioli (www.salvioli.com), esprimono personalità profondamente diverse, che possono essere accomunate dal comune denominatore dell’originalità espressiva. Tutti convincenti interpreti della cultura visiva contemporanea, che si usa anche definire della postmodernità, il milanese Gian Paolo Barbieri, il bolognese Nadir, l’altoatesina Brigitte Niedermair e l’israeliano Ron Kedmi stem-
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perano la realtà in costruzioni sceniche di inderogabile alto spessore, che prendono la moda quasi come pretesto per andare oltre (pur assolvendone gli incarichi assegnati). A questo punto, bisogna definire la realtà, ribadendo e confermando quell’opinione personale che spesso abbiamo già riferito. Una volta ancora: la fotografia, quella di moda e tutta la
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BRIGITTE NIEDERMAIR (2)
GIAN PAOLO BARBIERI
fotografia in generale, deve trattare esclusivamente con la realtà; non c’è altra forma di comunicazione visiva che riproduca la realtà con la medesima fedeltà. Però il coinvolgimento della fotografia non si limita a questa necessità, si muove per linee espressive ben diverse. Infatti, questo debito della fotografia si esaurisce presto, perché la fotografia (quella efficace: e sono i casi che stiamo commentando) conosce, rivela e disvela una realtà che non si limita all’apparenza, e neppure si conclude con l’apparenza. La realtà rappresentata dalla fotografia è densa di emozioni, sogni, sentimenti, che dalla propria superficie piana esplodono verso l’osservatore, prontamente coinvolto in un viaggio ricco di suggestione. Quando la buona fotografia agisce sulle giuste corde, dal cuore alla mente, dall’irrazionale al razionale il tragitto è diretto. È il caso, nello specifico, della fotografia di moda dei quattro autori che Luigi Salvioli ha ordinato in raccolta monografica. Ciascuno a proprio modo, ciascuno con il proprio timbro, ciascuno con la propria personalità, ognuno esprime una cifra
NADIR (2)
QUATTRO PER QUATTRO revemente, le presentazioni dei quattro fotografi dell’agenzia Luigi Salvioli, riuniti nella raccolta Oltre la moda, avvincente monografia a tema che fa il punto su un genere fotografico ricco di interpretazioni e visioni che esplodono oltre lo specifico riferimento originario istituzionale. Gian Paolo Barbieri (Milano, 1938) ha iniziato la propria collaborazione con Vogue Italia nel 1965, realizzando la copertina del primo numero. Da qui, i servizi di moda per Vogue gli hanno dischiuso le porte di numerose e qualificate collaborazioni, per campagne pubblicitarie commissionate da stilisti di prima grandezza: Valentino, Armani, Saint-Laurent, Ferré, Versace. Nel 1978, il settimanale tedesco Stern lo ha inserito nel ristretto e selettivo novero dei quattordici fotografi internazionali che hanno creato la fotografia di moda. Sue fotografie sono conservate ed esposte in collezioni private e musei pubblici, tra i quali il Victoria and Albert Museum di Londra e il Kunstforum di Vienna. Brigitte Niedermair (Merano, 1971) ha lavorato come direttrice casting presso la casa di produzione Brw & Partners di Milano e come assistente regista per Bill Fertig e Michael Hausmann, presso la casa di produzione Bee di Milano. Nell’ambito della moda, collabora con Citizen-K, a Parigi, con Surface, negli Stati Uniti, e con acclamate agenzie pubblicitarie internazionali. Nadir (Bologna, 1953; al secolo Nadir Naldi) è professionista dal 1982. La sua fotografia è definita da un modo di narrare assolutamente originale, che all’inizio apparve tanto inconsueto da essere considerato perfino eccentrico. Gli vengono commissionati lavori da riferimenti internazionali della moda, redazioni e stilisti, dal giapponese Matsuda all’italiana La Perla. Ron Kedmi (Jaffa, 1959) ha collaborato per molti anni con le principali riviste israeliane di moda, tra le quali A.T. L’esperienza di pittore è stata fondamentale nella sua carriera di fotografo, perché gli ha insegnato la composizione del soggetto e l’uso delle luci. Nel suo lavoro ha fotografato con le più famose modelle internazionali, tra le quali Claudia Schiffer e Sharon Genish. Ama le immagini spregiudicate, e per questo a volte spinge in avanti i limiti visivi dell’interpretazione fotografica, un poco per provocazione, ma molto per divertimento e stile espressivo.
RON KEDMI
B
stilistica che non è solo questo (stile), ma è fantastica interpretazione di una missione fotografica a tutto campo: cultura di un’immagine interprete di vita, che alla stessa vita si propone. Di fatto, nella propria sequenza di fotografie e testi di presentazione, Oltre la moda si offre come palcoscenico privilegiato di discussione e dibattito. Ricco di stimoli, il volume è vibrante. Esprime un carattere che raramente si incontra nel mondo della fotografia,
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RON KEDMI
che da tempo ha imboccato altri aridi canali discorsivi che portano a nulla. Personalmente abbiamo poca dimestichezza con il mondo della moda, ed è vicenda nostra personale, ma non ignoriamo, né sottovalutiamo, come nel tempo e nella successione di personalità la sua interpretazione fotografica abbia arricchito il lungo tragitto della storia evolutiva dello stesso linguaggio fotografico. Tra altri, è il caso delle immagini raccolte e riunite in Oltre la Oltre la moda. A cura di Luigi Salvioli. Fotografie di Gian Paolo Barbieri, Brigitte Niedermair, Nadir e Ron Kedmi; rispettivi saggi introduttivi di Martina Corgnati, Tho Van Tran, Michele Chiaravella e Paola Bonini; postfazione (su Luigi Salvioli) di Rosa Farinelli. Federico Motta Editore, 2006 (via Branda Castiglioni 7, 20156 Milano; 02-300761, fax 02-38010046; www.mottaeditore.it, editor@mottaeditore.it); Collana Photo Tools; 94 illustrazioni in bianconero e 61 a colori; 320 pagine 12,5x18,5cm; 19,90 euro.
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A COMMENTO ome annotato nel corpo centrale dell’odierno intervento redazionale, Oltre Cli quattro la moda si completa con quattro (più uno) testi di presentazione: dei singofotografi Gian Paolo Barbieri, Brigitte Niedermair, Nadir e Ron Kedmi, e di Luigi Salvioli, che ha curato la raccolta in volume delle loro immagini. Non ci sono titoli identificatori, ma viene puntualizzato l’avvio del testo. Gian Paolo Barbieri è presentato da Martina Corgnati (Non c’è manifesto più efficace...), Brigitte Niedermair da Tho Van Tran (Senza dubbio...), Nadir da Michele Chiaravella (C’è una regola non scritta...), Ron Kedmi da Paola Bonini (Sinuosi corpi mutanti...) e Luigi Salvioli da Rosa Farinelli (Ho incontrato Luigi Salvioli...).
moda, titolo niente affatto casuale, realizzate da quattro autori che non limitano alla cronaca la propria personalità, che non si contentano di assolvere incarichi finalizzati (in un mercato che soprattutto questo richiede), ma spingono oltre una ammirevole capacità espressiva. Esauriti i rispettivi compiti istituzionali, molte di queste immagini sopravvivono e sopravvivranno avanti nel tempo, aggiungendo le proprie evocazioni a una lunga e affascinante storia, che è poi quella della comunicazione visiva, della fotografia, ma anche della vita. Angelo Galantini
C
ause ed effetti si inseguono e completano. La lunga storia evolutiva della fotografia è ricca di tanti esempi, che ha manifestato per sé e proiettato anche al proprio esterno. Nello specifico della fotografia di sport, alla quale Vito Liverani dell’agenzia Omega Fotocronache riserva la particolare attenzione del suo qualificato Premio a tema, si è soliti annotare come la sistematica affermazione della documentazione televisiva abbia modificato l’essenza dello specifico linguaggio applicato. Causa ed effetto, dunque: liberata dalla necessità di registrare i fatti -appunto assolta da altri mezzi di diversa personalità mediatica-, la fotografia di sport ha potuto spostare a lato la propria espressività, elevandola di valore e tono. Magari complici anche efficaci dotazioni tecniche finalizzate, a partire dai teleobiettivi di generosa apertura relativa, da tempo la fotografia di sport fa linguaggio visivo della spettacolarità del gesto atletico e dell’atmosfera che accompagna e circonda lo svolgimento delle gare. Ma non è un problema di strumenti, quanto di capacità fotografiche dei singoli autori. Come annotato, da tempo Vito Liverani ha istituito il prestigioso Premio Omega Fotocronache per la fotografia di sport, che quest’anno viene assegnato a Stefano Rellandini, dell’Editoriale Reuters, fotografo che spazia in lungo e largo attraverso diverse discipline di sport, sempre abilmente interpretate con
una maestria fuori del comune. Anche se contenuta, per motivi logici e intuitivi, la selezione di immagini di Stefano Rellandini pubblicata in queste pagine è indicativa del suo modo di lavorare e interpretare lo sport, del quale coglie sempre l’anima interiore attraverso la consapevole rappresentazione di istanti in pertinente equilibrio tra l’apoteosi del gesto atletico caratteristico e la singolarità dei passaggi intermedi. Allo stesso momento, se di questo è lecito occuparsi, la stessa fotografia di Stefano Rellandini, autore di straordinaria capacità, è significa-
Stefano Rellandini, dell’Editoriale Reuters, iscrive il proprio nome nell’albo (d’oro?) del Premio Omega Fotocronache per la fotografia di sport. Straordinario esempio di coerenza fotografica, l’autore interpreta la materia con concentrata attenzione. Ma la fotografia di sport, capitolo troppo spesso ignorato da critica e storia, non è solo cronaca di fatti. Abilmente declinata, nel proprio osservare anche a lato, la fotografia di sport compone un accattivante capitolo della socialità contemporanea
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LO SPORT DELLA VITA
tiva del genere cui appartiene e delle relative contraddizioni. Proprio l’incontro con l’abilità espressiva di Stefano Rellandini, nell’attualità del suo Premio Omega Fotocronache per la fotografia di sport, risveglia un rammarico che definisce e mortifica l’attualità della riflessione fotografica, che solitamente esclude dalle proprie considerazioni la fotografia di sport, che invece rappresenta un efficace capitolo della comunicazione visiva contemporanea. Confondendo la forma con il contenuto e applicando una ipotetica scala di valori progressiva, che suddivide il fotogiornalismo per erronee gerarchie, la fotografia di sport è solitamente ignorata sia dalla critica sia dalla storiografia, tanto da non aver modo di manifestare appieno i propri connotati esclusivi e caratteristici, piuttosto che l’essenza di una espressività che, al pari di ogni altro fotogiornalismo, non si esaurisce necessariamente con la cronaca del racconto visualizzato. In questo senso, nel proprio doppio tempo, la fotografia di Stefano Rellandini è a dir poco esemplare. Prima di tutto, ap-
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partiene a un fotogiornalismo di vertice, che è capace di raccontare gli avvenimenti con quel linguaggio diretto ed esplicito che colpisce efficacemente l’osservatore (andandone a sollecitare la partecipazione emotiva), così come, in un secondo tempo, ma allo stesso momento, iscrive la propria personalità espressiva in un registro che non si limita alla cronaca, ma si
PREMIO OMEGA stituito da Vito Liverani, titolare dell’agenzia Omega Fotocronache, il PreIratteristica mio Omega Fotocronache per la fotografia di sport è definito da una cadeterminante: non è assegnato da una giuria, ma esprime la cosciente, volontaria e forte personalità del suo ideatore, che lo gestisce completamente in proprio. Anche in questo, oltre i tanti altri meriti sempre sottolineati, sta il valore del Premio, che indica un fotografo individuato dall’occhio esperto di chi, da decenni, è in perenne equilibrio tra l’estetica della comunicazione visiva e la concreta trasposizione sulle pagine dei giornali illustrati. L’opinione di Vito Liverani, non mediata, non filtrata da altri equilibri o compromessi (tipici e caratteristici nel caso di giurie a più/tante voci), si alza sopra le parti. La certificazione di Vito Liverani è assoluta, inderogabile, invidiabile, da guardare e prendere con reverenza. Nello specifico, il Premio Omega Fotocronache per la fotografia di sport si concretizza in una scultura appositamente realizzata dal maestro Achille Guzzardella, che ha magistralmente interpretato il tema, combinando assieme l’elemento dello sport con il richiamo esplicitamente fotografico: il gesto atletico del lancio del disco, così estetico, così estetizzante, fa da base a un occhio di evidente composizione fotografica. Il Premio 2006 è assegnato a Stefano Rellandini, dell’Editoriale Reuters, martedì 2 maggio, alle 18,00, in una cerimonia di consegna nella Sala Montanelli del Circolo della Stampa di Milano, in corso Venezia 16. Ricordiamo i precedenti del Premio Omega Fotocronache per la fotografia di sport: 2001, Cesare Galimberti; 2002, Luca Bruno; 2003, Carlo Borlenghi; 2004, Ercole Colombo e Giancarlo Colombo. All’esordio, nel 2001, è stata anche indicata la fotografia di sport del secolo: il celebre passaggio della borraccia tra Gino Bartali e Fausto Coppi, fotografato da Carlo Martini al Tour del 1952.
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lo sport, fotografi del calibro di Stefano Rellandini hanno modo di esprimere valori di serenità e impegno che non appartengono al solo atleta inquadrato, ma si allungano sulla coscienza dell’osservatore, appunto richiamato e coinvolto da un’occasione di svago. Uno svago, che è effimero solo in apparenza; uno svago, che è pretesto di una realtà della quale la rappresentazio-
ALESSANDRO TROVATI
proietta oltre. Alla maniera del grande fotogiornalismo, la fotografia di sport di Stefano Rellandini supera spazio e tempo. Certo, il tema dello sport è leggero, non evoca i grandi drammi dell’esistenza (individuale piuttosto che collettiva), come per esempio fa il fotoreportage di guerra (purtroppo sempre vitale, per abbondanza di opportunità). Però, attraverso lo specchio del-
Stefano Rellandini, classe 1963, è professionista dalla seconda metà degli anni Ottanta. Dopo aver frequentato l’Istituto Europeo di Design a Milano, entra nell’agenzia Pentaphoto: prima come tecnico di camera oscura, in tempi di tante stampe in bianconero, e poi come fotografo. Sotto l’occhio vigile di Armando Trovati, dal 1988 al 1996 segue la Coppa del Mondo di sci alpino. Dal 1997 avvia una collaborazione con l’agenzia Reuters, nel cui staff entra nel 2003. Oltre lo sport quotidiano, ha fotografato quattro Olimpiadi Invernali (Albertville, 1992; Lillehammer, 1994; Salt Lake City, 2002; Torino, 2006), una Olimpiade (Barcellona, 1992), sette Campionati del mondo di sci alpino (Vail, 1989; Saalbach-Hinterglemm, 1991; Morioka-Shizukuishi, 1993; Sierra Nevada, 1996; St. Anton am Arlberg, 2001; St. Moritz, 2003; Bormio, 2005), i Mondiali di calcio Italia ’90, tre tornei internazionali di tennis (Wimbledon, 1992; Open Usa, 1992; Roland Garros, 1991) e numerosi Gran Premi di Formula Uno e motociclismo in Europa. Dal 1994, segue il Giro d’Italia di ciclismo e dal 2000 il Tour de France.
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ne fotografica, nel proprio insieme, non può fare a meno. A conseguenza, la domanda legittima, che da sempre accompagna la fotografia, riguarda proprio il senso e spessore di questa “realtà”. Infatti, la fotografia tratta esclusivamente con la realtà: non esiste altra forma di comunicazione visiva che riproduca
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la realtà con la stessa fedeltà formale. Ma, come sappiamo, l’apparenza del vero non è la sola manifestazione della realtà, che si alimenta anche di sogni, paura, emozioni, sensazioni e sentimenti. Tutto questo forma l’autentica realtà, che arriva all’osservatore anche attraverso l’apparenza (questa sì) della fotografia di sport. Magari, nella propria dimensione quotidiana, Stefano Rellandini assolve soprattutto, ma non soltanto, i propri compiti istituzionali. Lo fa applicando una personalità che permette di distinguere le sue dalle altre fotografie, in modo che la sua professione ne tragga beneficio e motivo di affermazione. Allo stesso modo, nell’applicare tanta e tale perizia, l’autore compie un passo avanti e va oltre l’assegnato. Di fatto, consegna una serie di immagini che meritano posizioni di prestigio e spessore nella lunga e differenziata storia evolutiva del linguaggio. È fotografia di sport, quella di Stefano Rellandini, e per tanto è oggi insignito di un consistente riconoscimento, ma il suo sport è anche vita, e dunque proietta oltre il proprio valore. Per la nostra personale soddisfazione e per il nostro continuo e costante arricchimento esistenziale. E non è certo poco. Maurizio Rebuzzini
A
Airports & Stars, fotografie dall’archivio Reporters & Associati; testi introduttivi di Vincenzo Mollica e Walter Veltroni; Damiani Editore, 2005; 160 pagine 21x28cm; 28,00 euro.
Elizabeth Taylor; 1962.
lzi la mano chi non ricorda la celebre scena (madre?) dell’arrivo a Roma della diva Sylvia (l’attrice Anita Ekberg), nelle sequenze iniziali della Dolce vita di Federico Fellini. Alzi la mano anche chi non ha elevato questa raffigurazione cinematografica a rappresentazione di un’epoca e un mondo, con il nugolo di invadenti fotoreporter di cronaca rosa ai piedi della scaletta dell’aereo (e proprio da questo film, tale figura di fotografo sarebbe diventata paparazzo, dal cognome dell’insistente e intrigante fotografo -interpretato dall’attore Walter Santesso-, che accompagna il giornalista Marcello Rubini-Marcello Mastroianni; FOTOgraphia, giugno 2000). A mani abbassate, tanto la richiesta originaria è pleonastica, nell’ovvietà della risposta, torniamo indietro nei decenni, a quei momenti nei quali il divismo cinematografico internazionale aveva fatto di Roma uno dei propri riferimenti di spicco. Tanto che, appunto, a corollario, nacque e proliferò una generazione di fotografi pronti a testimoniarne e certificarne i riti più appariscenti. Si possono richiamare le cronache dalla celeberrima via Veneto, come hanno già fatto abili e apprezzate ricostruzioni retrospettive, così come si può rimanere un poco più di lato, con i soli momenti di
FOTOGRAFIE D’AUTORE
G
enericamente attribuite all’archivio dell’agenzia romana Reporters & Associati, specializzata nella cronaca rosa (ma non soltanto), le fotografie raccolte nelle tre monografie a tema Airports & Stars, Caffè & Stars e Spaghetti & Stars sono state realizzate da una qualificata serie di operatori, che nel proprio insieme hanno scritto un importante capitolo della storia evolutiva del linguaggio fotografico italiano, disegnando i connotati di una stagione irripetibile. Ricordiamoli nelle proprie individualità: Francesco Alessi, Giovanni Assenza, Alfonso Avincola, Adriano Bartoloni, Franco Biciocchi, Luigi Bozzer, Bruno Bruni, Sandro Canestrelli, Roberto Carnevali, Antonio Casolini, Velio Cioni, Sergio Colombari, Guglielmo Coluzzi, Ermanno Consolazione, Antonio Cristofaro, Licio D’Aloisio, Mario Fabbi, Franco Fedeli, Gianni Girani, Lino Nanni, Paolo Pavia, Pierluigi Praturlon, Tazio Secchiaroli, Nino Serafini, Sergio Spinelli, Bruno Tartaglia, Antonio Tridici, Mario Tursi e Franco Vitale.
cronaca ufficiale. Questo è il senso delle monografie a tema che Damiani di Bologna ha avviato alla fine dello scorso 2004 con i primi due titoli di una collana, che è recentemente approdata al terzo titolo, tutto in sintonia con la visione cinematografica di Federico Fellini appena ricordata. Airports & Stars, così in inglese, per proiettarsi al mercato librario internazionale (nel quale queste immagini possono essere certamente ben accolte), è esattamente questo: una selezione di fotografie d’archivio, dal capace e affascinante archivio della romana Reporters & Associati, che ritraggono l’arrivo nella Capitale di personaggi di spicco. Soprattutto attori, ovverosia autentiche Stars, ma anche figure della politica e, più raramente, della cultura internazionale. Immancabili, le scalette d’aereo, con discesa compiacente e sorridente della stella di turno, oppure posa ad uso squisitamente e dichiaratamente fotografico; gradite sono le passeggiate sulla pista dell’aeroporto; più rare le soste al ritiro dei bagagli o per espletare le procedure burocratiche. Gli anni vanno dalla metà dei Cinquanta, alle origini di tanta e tale forma di divismo (sollecitato da testate periodiche che cominciarono allora a soddisfare il particolare appetito del pubblico), all’esordio dei Settanta, quando questo tipo di fotografia è stato messo da parte dall’intrusione di altri media (a partire dalla televisione), ma non soltanto da que-
Da cronaca a storia, quantomeno del costume, senza intenzioni gerarchiche, la Fotografia rivela tutta la propria sostanza con l’inevitabile scorrere del tempo. Accortamente raccolte in volume da Damiani Editore di Bologna, immagini del recente passato evocano istanti che non si sono esauriti nella propria originaria celebrazione dello star system, con le relative ritualità, ma si sono depositati nella socialità che è arrivata fino ai nostri giorni. Il più recente titolo sul tema degli aeroporti si aggiunge a precedenti raccolte a tema (tutto italiano?): caffè e spaghetti 46
LA FORZA
DELL’ARCHIVIO sti. Se qualcuno si prendesse la briga di compilarlo, l’elenco dei personaggi raffigurati disegnerebbe e definirebbe i connotati di un’epoca e un costume. Qualcuno può essere anche sconosciuto alle più recenti generazioni: è questo uno degli oboli che si deve pagare all’accelerazione dell’attuale divismo, vasto per quantità quanto effimero nella propria fragilità. Ma tutti insieme appartengono ormai alla storia, quantomeno a quella del costume, che hanno addirittura contribuito a compilare.
CRONACA E STORIA Sfogliando le pagine di Airports & Stars si torna indietro nel tempo, pur conservando i piedi saldamente piantati nel presente. Si ripercorrono epoche e atmosfere, che la fotografia ha saputo registrare con l’inequivocabilità dei propri connotati, capaci di congelare l’istante per conservarlo e proiettarlo in avanti. Per quanto in sintonia con i precedenti due titoli della collana illustrata, in ordine cronologico Caffè & Stars e Spaghetti & Stars, i distinguo della attuale Airports & Stars sono discriminanti. Nel proprio insieme riguardano specificamente atteggiamenti pubblici, originariamente declinati in cronaca. Quindi, appena trascorsi quegli antichi attimi, la fotografia ha esaurito il proprio com-
pito istituzionale, per attendere altre maturazioni, altre riletture (appunto questa attuale), cui offrire i termini della propria oggettività, ma anche di insospettate casualità: dalla foggia degli abiti a elementi di contorno, che hanno acquisito valori e spessore nello scorrere del tempo (come non annotare l’identificazione Lai delle Linee Aeree Italiane, antecedente la definizione Alitalia?). Quindi, a ben guardare e volendolo fare, non si può
Mario Monicelli, Carlo Mazzarella, Vittorio Gassman, Dino De Laurentiis, Nino Manfredi e Alberto Sordi; 1960. David Niven, Ava Gardner Walter Chiari, e Stewart Granger; 1956.
Jacqueline e John Fitzgerald Kennedy; 1961.
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Caffè & Stars, fotografie dall’archivio Reporters & Associati; introduzione di Vincenzo Mollica; Damiani Editore, 2004 168 pagine 21x28cm; 28,00 euro.
Chet Baker, Roma, via Veneto; 1961. Ugo Tognazzi in Venga a prendere il caffè da noi; 1970.
Marcello Mastroianni in Culastrisce nobile veneziano; 1976. Alberto Sordi e Claudia Cardinale in Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata; 1971.
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evitare di guardare direttamente negli occhi i protagonisti di questa fantastica galleria, in rigoroso bianconero con immancabile flash diretto e inquadratura per lo più quadrata (Rolleiflex, naturalmente). Per quanto consapevoli dell’obiettivo puntato, e dunque interpreti di se stessi e della propria immagine pubblica, ognuno è qui diverso dalle sessioni di posa in studio, che pure hanno consegnato i loro volti all’iconografia ufficiale, eternamente fissati nel tempo. In un certo modo ognuno è meno ufficiale di quanto vorrebbe far credere, oppure ipotizzasse di essere, e tra le pieghe di un gesto, una smorfia, un’espressione si possono cogliere infinite altre sfumature che arrivano a comporre i connotati di apprezzabili individualità e umanità. È troppo? No di certo, è Fotografia.
CAFFÈ E SPAGHETTI Come abbiamo appena considerato, confermiamo che i due primi titoli dell’affascinante collana al-
lestita da Damiani Editore con fotografie dall’archivio Reporters & Associati, ricco di immagini significative dello star system italiano e internazionale che è ruotato attorno Roma, sono oggettivamente diversi dal più attuale terzo volume Airports & Stars. A differenza, Caffè & Stars e Spaghetti & Stars hanno una base cinematografica concreta e consistente. In entrambi i casi, molte sono le fotografie di scena da set, e altrettanti i fuoriscena di connivente complicità: tra i personaggi, a favore dello scatto fotografico. Il minimo comune denominatore resta e rimane quello del senso del Tempo evocato e fissato dal-
Aldo Maccione in Carioca tigre; 1976. Alberto Sordi, David Niven e Dino De Laurentiis, fuoriscena di I due nemici; 1961. Aldo Fabrizi; 1960. Totò in Totò di notte; 1962.
la Fotografia, in origine scattata con intendimenti di cronaca, ripetiamo per assolvere compiti istituzionali di narrazione di un particolare mondo, oggi osservata con occhio a un tempo curioso e coinvolto, e magari indulgente. Il valore fondamentale, sul quale soffermarsi (non soltanto in questo spazio redazionale), è giusto quello dell’Archivio, del valore e spessore del Passato proiettato in avanti, ribadiamo proiettato verso la Storia del nostro mon-
do. Così come certo reportage è testimone delle grandi tragedie della vita (per tanti versi materia fondamentale delle selezioni annuali del World Press Photo, sulle quali ci siamo soffermati lo scorso febbraio), la cronaca rosa è testimone, non soltanto documentazione, di altri istanti analogamente significanti, seppure su un binario parallelo. In assoluto, il tempo che si deposita sulle immagini d’archivio, diciamo storiche, non trascorre mai invano. Nel proprio svolgere segna il passaggio delle epoche, alle quali la fotografia offre una propria chiave di lettura privilegiata. A patto, sempre e comunque, di volerla e poterla leggere. Dunque onore (e onere) alle riletture d’archivio che sanno declinare un linguaggio asciutto e diretto, che non sia soltanto vuota nostalgia, magari fine a se stessa. Onore ai tre titoli originari di questa collana illustrata (altri ne seguiranno?): in prima intenzione vengono celebrati i fasti di un particolare divismo del passato più o meno remoto -dipende sempre dai riferimenti anagrafici individuali-, per la cui rievocazione ci si affida anche a testi introduttivi adeguati (di Walter Veltroni, sindaco di Roma e cinefilo dichiarato e conosciuto, e Vincenzo Mollica, cantore dello star system); in dipendenza, dal nostro particolare punto di vista, pur nella finalità dei temi identificati (aeroporto, caffè e spaghetti) si dà fantastica visibilità a una identificata fotografia di cronaca verso la storia. A una fotografia che oggi possiamo anche riconoscere e certificare come “d’autore” (magari anche oltre le intenzioni originarie). A.G.
Spaghetti & Stars, fotografie dall’archivio Reporters & Associati; testi introduttivi di Vincenzo Mollica e Walter Veltroni; Damiani Editore, 2004 (via Zanardi 376, 40131 Bologna; 051-6350805, fax 051-6347188; www.damianieditore.it, info@damianieditore.it); 176 pagine 21x28cm; 28,00 euro.
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Sergio Chimenti
di arredamento, di mobili e di architettura verso i quali è stato orientato,
Qualificato rappresentante di una lunga
e nei quali ora si esprime con apprezzata
stagione fotografica, Sergio Chimenti
efficacia, da un esemplare percorso
è un professionista che agisce sia in sala di posa sia in ambientazioni e situazioni reali. Sono questi gli indirizzi della fotografia
L’esperienza originaria nello Studio Ballo
le autentiche scuole di fotografia sul cam-
no ha poi proseguito il cammino professio-
& Ballo, di Aldo Ballo e Mariarosa Tosca-
po, all’interno della quale si sono formati
nale in proprio, esprimendo personalità in-
ni Ballo, è una delle discriminanti fonda-
molti professionisti, che successivamen-
dividuali che hanno arricchito il panorama
mentali e di spessore del professionismo
te si sono affermati con attività proprie.
del professionismo fotografico italiano.
fotografico nell’ambito del design e del-
Dalla seconda metà degli anni Ottanta, Ser-
In particolare, Sergio Chimenti manifesta uno
l’arredamento (dalla fotografia di mobili al-
gio Chimenti ha seguìto quell’iter di me-
stile fotografico in pertinente equilibrio tra
l’architettura, allo still life). È stata una del-
stiere che già aveva caratterizzato altri fo-
forma e contenuto, a servizio delle più im-
tografi e che successivamente ne avrebbe
portanti firme del design e dell’arredamen-
fatti maturare altrettanti. A seguire, ognu-
A / D i m a g i n g s r l • v i a l e S a b o t i n o 4 , 2 0 1 3 5 M i l a n o • 0 2 - 5 8 4 3 0 9 0 7,
di apprendimento e maturazione.
mobili e architettura (appunto).
Originariamente, assistente
A seguire, dopo una ulteriore esperienza
nello Studio Ballo & Ballo, presso
professionale in combinazione con altri
la cui sapiente professionalità si sono
professionisti di analoga estradizione
formate generazioni successive
e formazione (Studio Bitetto Chimenti),
di fotografi, ha fatto prezioso tesoro
da tempo Sergio Chimenti ha avviato
di un’esperienza che ha codificato
una propria attività individuale.
e stabilito inviolabili princìpi della fotografia di arredamento,
to e per conto di autorevoli testate di setto-
lari che li definiscono e qualificano.
cambiata la mediazione, ma non è modi-
re (tra le quali è obbligatoria la menzione del-
Oggi, le dotazioni fotografiche tradizionali
ficato lo stile di un approccio fotografico
la rivista Interni, pubblicata da Mondadori).
si accompagnano all’acquisizione digita-
consapevole e concentrato. In questo sen-
Capace di passare dal rigore delle inquadra-
le di immagini, con il dorso Leaf Aptus 75,
so, il professionismo e le capacità foto-
ture sul vetro smerigliato grande formato del
indifferentemente applicato sul banco ot-
grafiche di Sergio Chimenti sono esem-
banco ottico alla dinamicità propria e carat-
tico piuttosto che sull’agile Hasselblad. È
plari: quello che conta è sempre e solo il
teristica di mediazioni operativamente più
risultato, la capacità espressiva di trasfor-
agili, Sergio Chimenti è un fotografo che
mare la raffigurazione in rappresentazio-
spazia dalla coerente registrazione di ampi
ne. Ovvero l’applicazione di un linguaggio
arredamenti alla sottolineatura dei partico-
visivo che affonda le proprie radici indietro nel tempo, indipendentemente dalla formalità dei mezzi impiegati.
f a x 0 2 - 5 8 4 3114 9 • w w w. a d i m a g i n g . i t • i n f o @ a d i m a g i n g . i t
TRA DONNA A
de i primi riflettori postumi su una parabola fotografica tra le più note dell’espressione visiva contemporanea. Per una sorta di pudore, l’attuale combinazione fotografica, che subito dal titolo evoca e rileva i due capitoli fondamentali e discriminanti della messa in scena, appunto sesso e paesaggi (che nella dizione inglese propongono un diverso fascino, non soltanto fonetico), è stata attribuita all’autore Helmut Newton, che avrebbe ipotizzato questo ciclo prima del fatale incidente mortale di Los Angeles. E tale precisazione, incontrata nelle note ufficiali di presentazione, sposta a lato le considerazioni sulle quali si potrebbe riflettere. Infatti, come già annotato in altre occasioni, in riferimento ad altri autori che hanno contribuito all’evoluzione della lunga storia dell’espressione fotografica, nella decifrazione di ogni parabola esistenziale conta anche la lettura critica successiva, che si attiva all’indomani della scomparsa dello stesso autore. Dopo la sua morte, dalle interpretazioni di tono delle stampe (degli ingrandimenti) alle consecuzione dei soggetti raccolti e accostati in monografie oppure mostre, tutto quanto avviene rappresenta una
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E NATURA
LEAVING LAS VEGAS; 1998
Per proprie dichiarazioni e intenzioni estraneo a ogni forma di espressione artistica, ma orientato soprattutto a un pragmatico rapporto commerciale di mestiere, Helmut Newton sfugge a molte delle correnti definizioni fotografiche. Comunque, oltre le sue intenzioni e proposizioni, sta per arrivare il tempo delle riletture. Magari a partire dall’attuale selezione Sex and Landscapes, al milanese Palazzo Reale fino a giugno
DEBRA AND RED EXTERIOR; BEVERLY HILLS, 1991
llestita in uno spazio istituzionale di grande richiamo e prestigio, quel Palazzo Reale di piazza del Duomo a Milano che riserva le proprie sale a esposizioni di taglio alto (soprattutto arte, e da tempo una certa selezionata fotografia), Sex and Landscapes è una sostanziosa selezione di novanta immagini di Helmut Newton. Viene presentata a due anni dalla scomparsa del celebre e celebrato autore, mancato il 23 gennaio 2004, all’alba di un anno durante il quale, per un crudele e bizzarro gioco del destino (cadenza bisestile, hanno annotato gli scaramantici), sono scomparsi numerosi e illustri nomi legati alla fotografia. Ne abbiamo già scritto, riflettendone nel febbraio 2005; nel corso del 2004 sono mancati sette fotografi di fama internazionale e la scrittrice-sociologa più nota nel mondo fotografico: Helmut Newton, Henri Cartier-Bresson, Richard Avedon, Eddie Adams, George Silk, Carl Mydans, Francesco Scavullo e Susan Sontag. A seguire, come annotato lo scorso febbraio, con costruzione e intendimenti diversi, e senza punti oggettivi in comune, le raccolte monografiche Playboy Helmut Newton e Woman in the Mirror di Richard Avedon possono essere conteggiate e considerate come le prime riflessioni postume sulle rispettive personalità fotografiche. Quindi, in consecuzione, almeno in Italia, la mostra Sex and Landscapes di Helmut Newton, in cartellone fino al prossimo quattro giugno, accen-
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RIVOLI; TORINO, 1998
BLONDE AND TV; MILANO, 2002
DI
CASTELLO THE READHEAD; SHERMAN OASK CALIFORNIA, 1992
decodificazione ideale da parte dei curatori dell’archivio, il cui ruolo è di grande e assoluta responsabilità, formale e di contenuto. Ma non è questo il momento di parlarne, perché Sex and Landscapes viene presentata come mostra voluta e progettata da Helmut Newton, che per la prima volta raccoglie un ciclo fotografico completo «come lui stesso l’aveva pensato». Come è noto a tutti, o almeno dovrebbe esserlo, il linguaggio espressivo di Helmut Newton è esplicitamente e continuamente definito da donne forti, tra eros e provocazione, gioco e mistero, fascino e moda, sadomasochismo e feticismo, sullo sfondo di scenari urbani e stilizzati, interni asettici o barocchi e pareti nude. A tutto questo, in mostra, si aggiungono immagini sostanzialmente inedite, per lo più ignote al grande pubblico, per il quale il legame tra Helmut Newton ed erotismo è sostanzialmente indissolubile. Quindi, lune che si specchiano nel mare, orizzonti desertici, paesaggi idilliaci. Eccola qui la combinazione, eccolo visualizzato il progetto originario «che lui stesso aveva pensato». Nell’allestimento di Sex and Landscapes ci si addentra in un mondo dalle facce contrapposte (e in contrapposizione?, questione intrigante). Una agguerrita e attenta selezione degli scatti più famosi di nudi e corpi femminili (affascinanti corpi di donna, la cui femminilità è un manifesto di erotismo, seduzione, libertinaggio d’arte, libertà e ingenuità in esplosiva miscela espressiva) si abbina a tutt’altre immagini. Infatti, lo scopriamo oggi, indipendentemente delle produzioni per la moda e la pubblicità, Helmut Newton viaggiava costantemente con la sua macchina fotografica, registrando e riprendendo tutto ciò che lo affascinava: interni, scenari urbani, marine, paesaggi, edifici sono così entrati nel prezioso patrimonio lasciato in eredità dal grande fotografo, sulla cui personalità espressiva ci si dovrà presto soffermare, senza lasciarsi forviare dalle sole apparenze della sua vasta produzione visiva. Quindi, nel concreto, Sex and Landscapes è esplicitamente questo: una mostra che accosta la più nota personalità di Helmut Newton a un suo aspetto fotografico più intimo e meno noto, offrendo al visitatore inconsuete visioni di marine cu-
pe e minacciose, onde fragorose, lunghe strade che corrono all’infinito, palazzi enigmatici, vedute aeree e insoliti paesaggi. Ne consegue e scaturisce un affascinante percorso, che alterna immagini di forte erotismo voyeuristico a vedute di paesaggi nate dalla più profonda intimità di Helmut Newton e osservate con occhio, mente e cuore partecipi. In combinazione, oltre la ricca e avvincente successione di novanta immagini, la mostra si completa con due video, che vengono presentati per la prima volta e proiettati su grandi schermi all’interno del percorso espositivo. Un’intervista di June Newton al marito e riprese di backstage rivelano aspetti fino a oggi poco noti di una straordinaria personalità della fotografia contemporanea. Soprattutto, traspare un sostanziale disincanto rispetto la propria professione, mai intesa oltre lo stretto e concreto rapporto di mestiere. La moglie annota che Helmut «Non volle mai definirsi un artista; preferiva definirsi un mercenario che affittava il proprio talento a chi pagava di più». E sulla stessa lunghezza d’onda, Helmut Newton si è anche espresso nella propria autobiografia. Fuggito dalla Germania nazista per salvarsi dalle persecuzioni razziali, cominciò a lavorare come fotografo in Australia: «Scattavo foto ovunque, ma non ho mai pensato che il mio lavoro fosse una forma d’arte. In ogni caso volevo prostituire questo talento che mi era stato dato». Angelo Galantini Helmut Newton: Sex and Landscapes. A cura di June Newton. Mostra promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano e Federico Motta Editore. Palazzo Reale, piazzetta Reale (piazza del Duomo), 20122 Milano; 02-86464430. Fino al 4 giugno; martedì-domenica 9,30-19,30; giovedì e sabato 9,30-22,30.
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fficialmente, le consecuzioni operative del sensore ad acquisizione digitale Live MOS, in dotazione alla reflex Olympus E-330, attuale e versatile interpretazione dello standard QuattroTerzi, definiscono la funzione Live View: per la prima volta visione dell’inquadratura e composizione direttamente sull’ampio monitor LCD di una reflex digitale. Questa significativa innovazione tecnica consente l’utilizzo del display LCD già in fase di ripresa, in alternativa al mirino ottico. Nei fatti, si tratta di una condizione operativa che si rivela utile e preziosa in situazioni nelle quali è opportuno un controllo complessivo del soggetto mentre si scatta: per esempio, nella fotografia di reportage o in quella di sport, oltre che in contesti nei quali la visione attraverso il mirino può risultare non semplice né comoda. Ovviamente, oltre la considerevole praticità operativa della previsualizzazione in monitor, l’innovativo sensore Live MOS è definito e caratterizzato da ulteriori parametri di qualità, efficienza ed efficacia, a partire dalla risoluzione di 7,5 Megapixel effettivi. È un sensore che offre una qualità di immagine comparabile a quella di un CCD Full Frame Transfer, ma con un assorbimento di energia considerevolmente inferiore. L’area fotosensibile, assai più ampia di quella di un sen-
U
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sore tradizionale, assicura anche una sensibilità più elevata, minore rumore di fondo e una maggiore velocità operativa, cui corrisponde una più rapida acquisizione di dati. L’Olympus E330 può acquisire fino a tre fotogrammi al secondo in sequenza veloce, che il processore di immagine TruePic Turbo
gestisce in analoga rapidità. Come la precedente E-500 (FOTOgraphia, dicembre 2005), anche questa nuova reflex digitale Olympus dispone di doppio slot di memoria, che consente l’utilizzo di schede CompactFlash e xD-Picture Card, comprese le recenti Olympus xD-Picture Card High Speed (FOTOgraphia, febbraio 2006), con funzioni creative aggiuntive e velocità di trasferimento
due-tre volte superiore. Al solito, le immagini possono essere salvate nei formati canonici Jpeg, TIFF e RAW.
AGILITÀ OPERATIVA Grazie al particolare design TTL Porro, l’Olympus E-330 alloggia due sensori di immagine separati, che consentono due
diverse modalità Live View. Nella modalità A, che scatta in Full Time Live View, viene utilizzato un sensore CCD inserito nel percorso ottico del mirino, che restituisce il 92 per cento del campo inquadrato e totale funzionalità autofocus. Nella modalità B, lo specchio viene tenuto sollevato e la vi-
sualizzazione si basa sul sensore Live MOS principale, che consente un Live View Macro con copertura del cento per cento del campo inquadrato. Questa seconda modalità si rivela effettivamente preziosa nella messa a fuoco di soggetti particolari e problematici, per esempio nella fotografia a di-
Dotata di sensore Live MOS, la reflex digitale Olympus E330 consente di visualizzare il campo inquadrato direttamente sul monitor LCD. Così il display è utilizzabile già in fase di ripresa, in alternativa al mirino ottico
REFLEX AUTENTICA
IL QUATTROTERZI AVANZA
L
anciata un paio di stagioni fa da Olympus come standard aperto, l’interpretazione digitale QuattroTerzi, elaborata attorno un particolare disegno del sensore di acquisizione e una condizione ottica inderogabile, è stata recentemente adottata da due qualificati e prestigiosi marchi internazionali, uno con profonde radici nella storia evolutiva della fotografia, l’altro con personalità fotografica più recente, ma non certo meno agguerrita. Aderiscono allo standard digitale QuattroTerzi, supportandolo con proprie interpretazioni, la tedesca Leica e la giapponese Panasonic. Ricordiamo che lo standard QuattroTerzi è stato promosso per agevolare la realizzazione di sistemi di apparecchi digitali reflex progettati e finalizzati a un utilizzo che enfatizzi le prestazioni della tecnologia digitale. Lo standard impiega un sensore di immagine di 4/3 di pollice, da cui la definizione, che rende possibile ottenere elevatissima qualità dell’immagine e assoluta versatilità, caratteristiche fondamentali per i sistemi digitali reflex, e definisce una configurazione aperta per obiettivi e relativi innesti a baionetta, al fine di assicurare la compatibilità tra corpi macchina e obiettivi prodotti da aziende diverse aderenti allo standard. Nell’autunno 2003, Olympus ha introdotto la reflex digitale originaria E-1 insieme a diversi obiettivi Zuiko Digital e accessori del neonato E-System (FOTOgraphia, luglio 2003). Da allora, al Sistema sono stati integrati i corpi macchina E-300, E-500 e E-330, ed è stata ampliata la gamma degli obiettivi Zuiko Digital, fino a includere
stanza ravvicinata. Oltre una consistente libertà d’azione, offre anche il controllo totale in messa a fuoco manuale e l’ausilio di una funzione di ingrandimento fino a 10x anche di una singola area dell’immagine visualizzata. Inoltre, sono disponibili sovrapposizioni grafiche che semplificano la pertinente composizione dell’immagine. Per meglio sfruttare la funzione Live View, l’Olympus E-330 è dotata di ampio monitor LCD da 2,5 pollici ad angolazione variabile. La visualizzazione continua del soggetto inquadrato è sempre chiara e nitida in relazione all’orientamento del display, che può essere ruotato e inclinato praticamente in qualsiasi posizione, per adattarsi e adeguarsi a ogni condizione di ripresa. L’integrazione della tecnologia HyperCrystal assicura una confortevole osservazione del monitor fino a 160 gradi di angolo visuale. Inoltre, e ancora, la funzione Live View Boost, che incrementa significativamente contrasto e luminosità del display LCD, è particolarmente utile in situazioni di scarsa illuminazione.
DOTAZIONI La vocazione e proiezione
(anche) professionale dell’Olympus E-330 è certificata dalle configurazioni che consentono di operare in modalità manuale o in totale automatismo. In esposizione sono disponibili i quattro automatismi classici, con priorità a scelta, e venti programmi di ripresa pre-impostati, cui si sommano, ancora, sette modalità creative. Per esempio, sono previste personalizzazioni per la fotografia macro, naturalistica, panoramica e subacquea, oltre a un’opzione “anti-mosso”. Un sensore AE a quarantanove aree di lettura fornisce una accurata misurazione esposimetrica, grazie anche all’ausilio di un algoritmo avanzato, con valutazione a prevalenza centrale e rilevazione spot. Quindi, si annota un controllo esposimetrico estremamente affidabile nella misurazione spot alle alte e alle basse luci. Tra le caratteristiche avanzate, l’Olympus E-330 dispone di una efficace funzione di bilanciamento del bianco, una funzione di
quindici interpretazioni realizzate esclusivamente per la fotografia digitale. Sigma Corporation ha prodotto obiettivi QuattroTerzi per la prima volta nell’ottobre 2004, e attualmente offre tre focali e ne ha pianificate altre per l’immediato futuro. L’adesione di Leica Camera AG agevolerà la diffusione dei prodotti QuattroTerzi e consentirà a una schiera sempre più crescente di utenti di godere dell’esclusivo vantaggio di utilizzare reflex e obiettivi prodotti da case diverse. Inoltre, il pregio del marchio Leica Camera AG, la cui lunga e nobile tradizione segnala una peculiare perizia nel campo dell’ottica, darà ancora maggior risalto e stimolo alla diffusione del Sistema QuattroTerzi, nel cui ambito la casa di Solms esordisce con l’originario Leica D Vario-Elmarit 14-50mm f/2,8-3,5 Asph. Allo stesso momento, Olympus Corporation (Olympus) e Matsushita Electric Industrial Co (Panasonic) annunciano reflex digitali QuattroTerzi. Le due aziende hanno definito un accordo di collaborazione per la progettazione di apparecchi a obiettivi intercambiabili conformi allo standard QuattroTerzi. I primi risultati del lavoro congiunto sono stati presentati alla convention internazionale e trade show PMA 2006, lo scorso febbraio a Orlando, in Florida. Olympus ha lanciato la E-330, reflex di recente introduzione che incorpora tecnologie elaborate in collaborazione con altre aziende, mentre Panasonic ha annunciato la realizzazione della DMC-L1, la sua prima reflex digitale.
anteprima della profondità di campo e bracketing dell’esposizione, per finalizzare al meglio l’esperienza fotografica. È inoltre possibile scattare in bianconero, con eventuale selezione di filtri colore, che riprendono e ripropongono le interpretazioni tonali tipiche e caratteristiche delle pellicole fotografiche. Come tutte le reflex ESystem (standard QuattroTerzi), l’integrazione del Supersonic Wave Filter evidenzia come il problema della polvere, che si insinua all’interno del corpo macchina depositandosi sul sensore, sia stato adeguatamente affrontato e risolto. La tecnologia brevettata dell’esclusivo dispositivo assicura la massima tranquillità
operativa, anche durante il cambio degli obiettivi. Progettato da Olympus, il Supersonic Wave Filter genera vibrazioni in grado di asportare polvere e particelle eventualmente depositatesi sul sensore, facendole precipitare su un apposita membrana. Il dispositivo, che si aziona automaticamente a ogni cambio di obiettivo, è attivabile anche manualmente. L’Olympus E-330 è commercializzata nella configurazione solo corpo o in kit con lo zoom Zuiko Digital 14-45mm f/3,5-5,6, con escursione focale equivalente alla variazione 28-90mm della fotografia tradizionale 24x36mm (Polyphoto, via Cesare Pavese 1113, 20090 Opera Zerbo MI). Antonio Bordoni
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CELEBRAZIONE
ssieme ad altri marchi storici della fotografia, che possono vantare radici che affondano indietro nei decen-
A
ni, oltre la produzione standard, in evoluzione tecnologica coerente, la svedese Hasselblad vanta una serie di apparecchi celebrativi, il cui insieme ha scandito i termini della propria particolare vicen-
da fotografica. Non è il caso di approfondire nel dettaglio (non è ormai più il caso di approfondire nulla nel dettaglio?), e basta richiamare le celebrazioni delle proprie decadi, soprattutto i venticinque e cin-
La svedese Hasselblad ricorda il centenario della nascita del fondatore Victor Hasselblad con un’edizione celebrativa in edizione limitata. L’Anniversary Kit Hasselblad 503CWD è la prima configurazione digitale ad entrare nel novero degli apparecchi fuori serie. Segno dei tempi e delle inarrestabili progressioni tecnologiche 58
quant’anni di reflex monobiettivo medio formato 6x6cm (dal sei ottobre 1948, quando l’originaria 1600F fu presentata a New York), e le certificazioni della fattiva partecipazione alle missioni spaziali della statunitense Nasa, culminate con l’allunaggio di Apollo 11 (venti luglio 1969, ventun luglio per l’Europa; FOTOgraphia, luglio 1994 e luglio 1999). Confezionato in occasione del centenario della nascita del fondatore Victor Hasselblad (8 marzo 2006), l’Anniversary Kit Hasselblad 503CWD è la prima configurazione fotografica celebrativa in forma digitale. Come precisa la sigla identificatoria, che ne riprende le definizioni originarie, si tratta di una reflex di attuale tecnologia in proiezione digitale derivata dall’Hasselblad 503CW di design classico. Combinando la solida affidabilità del corpo nero e cromato con la gamma di obiettivi (a elevate prestazioni e otturatore centrale integrato) e con le più attuali tecnologie digitali di Hasselblad, l’esclusiva 503CWD allinea l’eredità storica con l’attenzione che la casa svedese riserva alla fotografia digitale high-end. Celebrazione a parte, oppure celebrazione sottolineata, si tratta di una dotazione digitale affidabile e produttiva. Commenta Christian Poul-
PHILIPPE HALSMAN
D I G I TA L E Victor Hasselblad 8 marzo 1906 - 5 agosto 1978
sen, CEO di Hasselblad: «La fama di Hasselblad per l’eccellenza e l’alto livello di qualità si è costruita sul Sistema V [reflex monobiettivo 6x6cm]. Di conseguenza, l’Hasselblad 503CWD -strumento davvero professionale, che è totalmente compatibile con lo stesso Sistema V, che offre un notevole rapporto qualità-prezzo ed è costruito nel rispetto dei severissimi standard che sono divenuti la firma della produzione Hasselblad- rappresenta il giusto tributo al processo di design iniziato dallo stesso Victor Hasselblad negli anni Quaranta. Da appassionato di fotografia, Victor Hasselblad avrebbe amato il concetto di fotografia digitale, e nel kit 503CWD avrebbe visto la massima rappresentazione del proprio lavoro: elegante corpo
classico abbinato a una tecnologia di acquisizione digitale avanzata, che offre l’equilibrio ideale tra storia e attualità». Come consuetudine per ogni celebrazione, l’Anniversary Kit Hasselblad 503CWD è realizzato in edizione limitata di cinquecento esemplari, numerati e con incisa la firma di Victor Hasselblad. La confezione comprende l’apparecchio 503CWD con mirino a pozzetto, schermo messa a fuoco contrassegnato in modo speciale e leva di avanzamento cromata, un obiettivo Carl Zeiss Planar CFE 80mm f/2,8 e un libretto che ricorda il centenario della nascita del fondatore Victor Hasselblad. La funzionalità digitale si basa, poi, sull’impiego del dorso dedicato Hasselblad CFV (da acquistare a parte).
NELL’USO FOTOGRAFICO Ma non si tratta solo di una ricorrenza. L’Hasselblad 503CWD vanta tecnologie digitali avanzate, quali l’Hasselblad Natural Color Solution e l’Instant Approval Architecture (IAA), che si basano sull’immagine acquisita da un sensore CCD il cinquanta per cento più grande di quelli in dotazione con le reflex digitali piccolo formato (35mm). Da utilizzarsi con il software
FlexColor, l’Hasselblad Natural Color Solution assicura una conveniente e pertinente gestione del colore, capace di produrre profili finalizzati alle tonalità di soggetti diversi, e spesso in contrasto, come quelli dell’incarnato, dei metalli, dei tessuti o di altri elementi. Sulla stessa lunghezza d’onda della più pratica gestione del flusso di lavoro, l’Instant Approval Architecture (IAA) di Hasselblad semplifica la classificazione delle immagini in base ai parametri tecnici, con corrispondente visualizzazione in anteprima su un display OLED chiaro e luminoso. Spie colorate di interpretazione intuitiva (rosso, giallo o verde) facilitano il processo di selezione, dando un feedback immediato durante lo scatto. L’Hasselblad 503CWD offre più opzioni di memorizzazione: su scheda portatile Compact Flash, con Imagebank flessibile o in collegamento con comandi di acquisizione ampliati e dedicati, in relazione e dipendenza al tipo di lavoro che si sta eseguendo, in studio o in location. In sala di posa, i colori più accurati e il più alto livello di controllo possono essere ottenuti utilizzando 3F RAW (3FR), il nuovo formato di file RAW di Hasselblad. Il formato utilizza anche un metodo di compres-
sione dell’immagine senza perdita di dati (lossless) che fa risparmiare il trentatré per cento dello spazio su disco. Inoltre, il software proprietario FlexColor permette di controllare la temperatura colore e confrontare i dettagli delle immagini in sessioni multiple, per la selezione precisa delle immagini. In alternativa, i file 3FR possono essere convertiti direttamente nel formato DNG (Digital NeGative) di Adobe per i file RAW che
possono essere aperti direttamente in Adobe Photoshop CS2. (Fowa, via Tabacchi 29, 10132 Torino). A.Bor.
Fotoritratto aereo
L’Uomo
A Palermo, la Terra vista dal cielo
Per Giorgia Fiorio
elebre e celebrata esposizione del francese Yann Arthus-Bertrand, già presentata in altri allestimenti analoghi, che per tre mesi viene proposta a Palermo: una volta ancora, in esterno, con visibilità ventiquattro ore su ventiquattro (illuminata di notte). La Terra vista dal cielo è una mostra di alto contenuto sociale e ambientale, spettacolare scenografia e grande impatto pubblico e mediatico. In cinque anni, in ottanta appuntamenti, ha raggiunto oltre sessanta milioni di visitatori di quaranta paesi e cinque continenti. Nel 2004, a Milano, sono stati stimati due milioni e mezzo di visitatori; altrettanti sono previsti a Palermo, dove è allestita in uno spazio prestigioso e frequentato della città: in piazza Ruggiero Settimo, nota come fulcro commerciale e degli affari (www.laterravistadalcielo.it; www.yannarthusbertrand.com). Attraverso spettacolari fotografie scattate nel mondo intero, presentate nella mostra in imponenti dimensioni, con accompagnamento di
la mostra: «Un invito a scoprire un territorio le cui frontiere sono misurate; una comunità sociale della quale la fotografa ne circoscrive la composizione e il ruolo; […] diverse comunità di uomini attraverso il mondo».
GEYSER DEL GRAND PRISMATIC, PARCO NAZIONALE DI YELLOWSTONE, WYOMING, USA (44°26’N - 110°39’O)
C
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testi e dati di alto contenuto ambientale e sociale, continuamente aggiornati, e un gigantesco planisfero calpestabile, vengono offerte informazioni sulla Terra, in modo da sollecitare la comprensione del pianeta e la sua protezione. La mostra propone una riflessione individuale e collettiva; l’intento dell’autore è proprio questo: far prendere coscienza e sensibilizzare il grande pubblico allo sviluppo sostenibile. La mostra nasce dall’omonima monografia, diventata oggi il libro di fotografia più venduto al mondo (tre milioni di copie), tradotto in ventiquattro lingue (pubblicato in Italia da Mondadori). Yann Arthus-Bertrand: La Terra vista dal cielo. Centoventi gigantografie spettacolari (120x180cm), gigantesco planisfero calpestabile (6x12m), padiglione con proiezione continua di un documentario a tema. Piazza Ruggiero Settimo, 90139 Palermo. Dal 12 aprile al 16 luglio; ventiquattro ore su ventiquattro, con illuminazione notturna.
mmagini bianconero estratte dai molti reportage che Giorgia Fiorio ha già presentato sotto forma di libri ed esposizioni. Dalla legione straniera ai pugili, dall’India ad Haiti, le immagini riassumono il senso assoluto e l’evoluzione fotografica dell’autrice nel rapporto con La figura umana. La mostra è accompagnata da un volume-catalogo delle edizioni Braus. Annota Gabriel Bauret, curatore del-
I
Giorgia Fiorio: La figura umana. Galleria Grazia Neri, via Maroncelli 14, 20154 Milano; 02-625271, fax 026597839; www.grazianeri.com, photoagency@grazianeri.com. Con il contributo di Kodak. Dall’8 maggio al 10 giugno; lunedì-venerdì 9,00-13,00 14,30-18,00, sabato 10,0012,30 - 15,00-17,00.
Nuovo spazio espositivo Galleria fotografica a Cortina d’Ampezzo ttiva dalla metà dello scorso anno, la Ikonos Art Gallery di Cortina d’Ampezzo, in provincia di Belluno, è un elegante e concreto spazio espositivo dedicato alla fotografia d’autore. Tra le esposizioni fino oggi allestite si segnalano tre personali di Stefano Zardini, fotografo capace di passare dall’intima riflessione sui propri luoghi al colto avvicinamento di altre geografie, altri spazi, altre vicende lontane: Americani, New York City e Nient’altro che bianco (ventun immagini sulla neve stampate in grandi dimensioni, pretesto visivo per avvincenti raffigurazioni che danno tempo e modo a ciascuno di incontrarsi con il proprio spirito e animo). La Ikonos Art Gallery dà spessore alla fotografia presentata, con una impronta espositiva di taglio alto (pe-
A
raltro sottolineata dall’eleganza formale del luogo: a confezione di contenuti concreti), e con accomodamenti sintonizzati sulle più qualificate esperienze internazionali: tirature certificate, portfolio di autori, capacità critica rivolta sia alla fotografia già affermata sia alla proposizione di nuove personalità. Insomma, un indirizzo da sottolineare in agenda. Ikonos Art Gallery, Fine Art Photography, via del Mercato 1, 32043 Cortina d’Ampezzo BL; 0436-2930; ikono-
World Press Photo: Fotografia e giornalismo (le immagini premiate nel 2006). Con il contributo di Canon Italia. ❯ Museo di Roma in Trastevere, piazza Sant’Egidio 1b, 00153 Roma; 06-5816563, fax 06-5884165; www.comu-
World Press Photo Le immagini premiate nel 2006 FINBARR O’REILLY (REUTERS): WORLD PRESS PHOTO OF THE YEAR 2006
HENRY AGUDELO (EL COLOMBIANO): PRIMO PREMIO SPORT
uperata la boa dei cinquant’anni (FOTOgraphia, febbraio 2005 e su questo stesso numero, da pagina 27), il World Press Photo conferma il proprio ruolo privilegiato, oltre che autorevole, sul fotoreportage internazionale. Dalla World Press Photo of the Year, la fotografia dell’anno, alla differenziata serie di dieci categorie tematiche, la sequenza dei premi assegnati testimonia una lunga stagione, che nel corso di dodici mesi ha prodotto e pubblicato significativi fotoreportage. Al solito, avremo modo di approfondire lo svolgimento e i risultati della più recente edizione 2006, per fotografie scattate nel precedente anno, e qui annotiamo soltanto aspetti infrastrutturali. Ricordiamo e confermiamo che le fotografie vincitrici sono riunite in un volume a tema ed allestite in mostre simultanea-
S
mente itineranti in tutto il mondo. La mostra del World Press Photo rappresenta un documento storico che permette di rivivere gli eventi cruciali dell’anno. Il suo carattere internazionale, le migliaia di visitatori e l’interesse suscitato dall’evento nel pubblico, specialistico e non, sono la dimostrazione del potere che le immagini hanno di trascendere le differenze culturali e linguistiche, per raggiungere livelli alti e immediati di comunicazione. La World Press Photo of the Year è del canadese Finbarr O’Reilly, dell’agenzia Reuters: è stata scattata il Primo agosto 2005 in un centro di emergenza per la distribuzione di cibo a Tahoua, nel nordovest del Niger; mostra la mano di un bambino di un anno, denutrito, appoggiata sulle labbra della madre. Due gli italiani premiati: Massimo Mastrorillo e Paolo Pellegrin.
ne.roma.it/museodiroma/trastevere. Dal 4 al 28 maggio; martedì-domenica 10,0020,00. A cura dell’Agenzia Contrasto. ❯ Galleria Carla Sozzani, corso Como 10, 20154 Milano; 02653531, fax 02-29004080; www.galleriacarlasozzani.org, info@galleriacarlasozzani.com. Dal 6 al 28 maggio; lunedì 15,30-19,30, martedì-domenica 10,30-19,30, mercoledì e
giovedì fino alle 21,00. A cura dell’Agenzia Grazia Neri; coordinamento di Elena Ceratti.
A seguire 62 Fotografia italiana 62 Reportage (Life) 62 Riguardo le città 63 Fotoamatori Insospettabili 63 Sulle rive del Lago
Grande autore del dopoguerra mmagini conservate nell’Archivio Fotografico di Mario Finazzi (1905-2002), che la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo ha acquisito in comodato nel 2003. Mostra a cura di Maria Cristina Rodeschini Galati (direttrice d’Istituto della GAMeC) e Italo Zannier (storico della fotografia). Si tratta di uno dei pochi archivi fotografici d’autore italiano intatti nei significativi materiali che lo compongono (circa millecinquecento negativi, novecento positivi e ottocento diapositive), databili dal-
la fine degli anni Venti fino agli anni Sessanta; una produzione fotografica che culmina nel periodo del dopoguerra. Tra i materiali conservati nell’Archivio si trovano anche risultati di ricerche sul procedimento della solarizzazione su negativo, che suscitò grande interesse in campo internazionale e che ha emblematicamente caratterizzato il lavoro dell’autore. La produzione fotografica di Mario Finazzi esprime la volontà di “smaterializzare” l’immagine, di evidenziarne l’estetica, al di là del soggetto; anche nel
Reportage
significative e rappresentative dei fotografi dello staff e di celebri collaboratori della rivista, testimonianza di talento, creatività e coraggio. All’esposizione è associata una preziosa selezione di stampe vintage. Used in Life, che riprende il timbro che contrassegna sul retro le copie effettivamente usate per la pubblicazione, propone soggetti dagli anni Trenta ai Cinquanta scelti da Howard Greenberg, noto e affermato gallerista newyorkese, grande conoscitore del fotoreportage.
I
Della storia di Life accolta in un volume pubblicato da Contrasto in forma enciclopedica, la selezione Life - I grandi fotografi è ora allestita in mostra. La monografia presenta in ordine alfabetico novantanove fotografi che hanno lavorato per la celeberrima testata. Sostenuti da un’edizione di grande influenza giornalistica internazionale, nei decenni i servizi di Life hanno tracciato le linee portanti del fotoreportage, tanto che sia il volume sia la mostra si offrono e propongono come momenti fondamentali del nostro tempo, perché mettono in ordine un fenomeno espressivo tra i più significativi del processo evolutivo del linguaggio fotografico. Produzione inedita, allestita per l’occasione, la mostra Life - I grandi Fotografi presenta oltre centocinquanta immagini che hanno stabilito la linea conduttrice della rivista, tracciando al contempo anche i termini del nostro tempo. In esposizione, le immagini più
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ROBERT CAPA
❯ Life - I grandi fotografi. Dal 20 aprile al 3 settembre. ❯ Used in Life. Dal 20 aprile al 21 maggio. Forma, Centro Internazionale di Fotografia, piazza Tito Lucrezio Caro 1, 20136 Milano; 02-58118067; www.formafoto.it. Martedì-domenica 11,0021,00, giovedì 11,00-23,00.
tema del nudo, trattato con interesse, emerge l’intenzione di privare il corpo della propria materialità, appunto attraverso la tecnica della solarizzazione. Una tecnica trasgressiva, ma squisitamente fotografica, che permette di ottenere una demarcazione accentuata del disegno, ai limiti del chiaroscuro tra negativo e positivo, creando un segno “a filo di ferro”; una procedura che supera, anzi utilizza l’“errore” tecnico della sovraesposizione. Mario Finazzi definiva tale tecnica hot-line, ottenuta solarizzando in negativo e sistemandolo poi in un sandwich con il corrispondente diapositivo “a registro”, per ottenere un effetto lontano dal “verismo rappresentativo”, e che quindi espri-
ma meglio la “personalità nascosta delle cose rappresentate”. In quegli anni, tale azione tecnica esprimeva anche una tensione verso l’astrazione. Mario Finazzi. Fotografie. GAMeC - Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, via San Tomaso 53, 24121 Bergamo; 035-399528, fax 035236962; www.gamec.it. Dal 6 aprile al 28 maggio; martedì-domenica 10,00-19,00, giovedì 10,00-22,00.
Riguardo le città Ciclo di mostre sul paesaggio urbano aesaggi urbani che cambiano rapidamente e dei quali spesso non resta altra memoria, se non quella fotografica. Riguardo le città è un ciclo di mostre fotografiche a cura di Polifemo sul tema della rappresentazione della città. Se si pensa al territorio come a una entità amministrativa e all’ambiente come a una dimensione biologica, allora il paesaggio è sia un luogo sia una forma di identità: ovvero la somma di natura e memoria. E le aree urbane sono quindi il nostro habitat naturale, sono il paesaggio in cui viviamo, che quotidianamente e istintivamente trasformiamo per facilitare i nostri nuovi bisogni. Riguardo le città dà spazio e visibilità a lavori di documentazione e ricerca svolti con lo specifico intento di prendere coscienza del proprio territorio attraverso la fotografia e prevede sei mostre personali fino a giugno. Dopo Rivedute italiane (2001-2004) di Massimiliano Foscati, Olimpia (Torino)
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MARCELLO VOLPI
Fotografia italiana
di Fulvio Bortolozzo e Genova di Antonietta Corvetti, presentate a febbraio e marzo: ❯ Marcello Volpi: La città (im)probabile (Città di Castello). Dal 4 al 14 maggio. ❯ Michele Nastasi: Geografie visive (Milano). Dal 25 maggio all’8 giugno. ❯ Piccolo Gruppo Lento: Tu sei qui (Venezia). Dal 15 al 25 giugno. Riguardo le città. Fabbrica del Vapore, via Luigi Nono 7, 20154 Milano. Associazione Culturale Polifemo; 0236521349, www.polifemo.org; info@polifemo.org. Lunedì-venerdì 10,00-18,00.
Fotoamatori Insospettabili Al Centro Italiano Fotografia d’Autore (scrittore), Philippe .Daverio (critico d’arte), Federico De Roberto (scrittore), Lory .Del Santo (soubrette), Ardito Desio (geologo, esploratore), Giuseppe Dozza (ex sindaco di Bologna), Lorenzo Jovanotti (cantante), Enzo .Lattanzio (medico chirurgo), Giuseppe Lenzi (generale delle Frecce Tricolore, Dacia Maraini (scrittrice), Arturo Marchi (vescovo), Daniele Massaro (calciatore), Davide Mengacci (conduttore televisivo), Carlo Michele Mollino (architetto), Paola & Chiara (cantanti), Gianpaolo Pansa (ambasciatore), Domenico Riccardo Peretti Griva (magi-
Sulle rive del Lago Con l’occhio di Francesco Corbetta iglio d’arte, maturato accanto al padre Luigi, fotografo eclettico, Francesco Corbetta ha fatto prezioso tesoro delle proprie frequentazioni della fotografia italiana contemporanea, avvicinata in occasione di workshop e incontri a tema. In una mostra a cura di Roberto Borghi raccoglie le proprie interpretazioni di una città ricca di storia e vivace nella propria dimensione attuale, in pertinente equilibrio tra la vita quotidiana e le influenze di un turismo colto. Diciotto stampe fotografi-
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che di grandi dimensioni 70x115cm (tredici soggetti) e 150x200cm (gli altri cinque), in tiratura d’autore di tre esemplari numerati, offrono una particolare visione di Como, richiamo di una vita di Lago che proietta in avanti i connotati della propria lunga e nobile vicenda e che sta attirando lo star system internazionale. Attraverso una fotografia che l’autore stesso definisce “pittorica”, il racconto della città si esprime in apprezzato equilibrio tra architettura e reportage creativo della gente che la vive e anima. Con catalogo in mille copie pubblicato da Arte&Arte. Francesco Corbetta: Como: Città Oltre Molteplici Orizzonti. San Pietro in Atrio, via Odescalchi, 22100 Como. Dall’11 al 28 maggio; 13,00-20,00.
strato), Guido Rey (letterato, alpinista), Cesare Schiapparelli (scienziato), Gustavo Thoeni (sciatore), Elisa Toffoli (cantante), Giovanni Verga (scrittore), Lina Wertmuller (regista), Giancarlo Zucconelli (vignettista). Fotoamatori Insospettabili. Centro Italiano della Fotografia d’Autore, via delle Monache 2, 52011 Bibbiena AR; 0575-593098; www.centrofotografia.org, info@centrofotografia,org. Dal 21 maggio al 3 settembre; lunedì 15,30-18,30, martedì-sabato 9,30-12,30 - 15,30-18,30, domenica 10,00-12,30.
DAVIDE MENGACCI
antanti, scrittori, calciatori, industriali, presentatori e tutti coloro i quali sono emersi per qualità estranee al mondo della fotografia, ma come molti hanno coltivato parallelamente un’intensa passione per il linguaggio fotografico. In mostra una serie di Fotoamatori Insospettabili, che condividono una libertà espressiva, non vincolata da commissioni professionali, propria dello scatto personale. A ognuno, l’autorevole indirizzo espositivo della Fiaf, la Federazione Italiana Associazioni Fotografiche (FOTOgraphia, maggio 2005), riserva uno spazio espressivo di spessore. Espongono (in ordine alfabetico, con salti temporali significativi, ma non è questo il problema): Antonio Auricchio (industriale), Luigi Capuana
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ROBERT MAPPLETHORPE
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Robert Mapplethorpe nasce a Floral Park (Long Island, New York), il 4 novembre 1946; muore il 9 marzo 1989 a Boston, di Aids. La sua famiglia fa parte della borghesia cattolica, e l’educazione che gli viene impartita non fa per lui. A sedici anni esce di casa e va a vivere a Brooklyn. Le note biografiche dicono che tra il 1960 e il 1970 studia pittura e scultura al Pratt Institute; qui inizia a praticare la fotografia e frequenta il cinema underground. Sul finire degli anni Sessanta comincia a lavorare con i collage. Assembla scene erotiche che ritaglia dai giornali pornografici, prende a raffigurare il proprio interesse per la diversità omosessuale e a rovesciare i falsi oracoli del perbenismo di facciata (non solo) degli americani.
care l’intimità e lo spirito dei soggetti fotografati, quasi a sfidare il nichilismo mediocre della civiltà dell’immagine. Le sue fotografie «possiedono due volti: da una parte ritraggono i divi, gli eroi, le regine e i selvaggi di una costellazione umana la cui sconvolgente vi-
tica (come viene tacciato) e nemmeno l’accattone di celebrità mercanteggiate nel gazebo della crema intellettuale americana, specie. Il suo percorso espressivo è composto di personaggi più disparati: attori, pittori, cantanti, travestiti, pugili, gay, neri di Harem, scrit-
Mapplethorpe incarna una sorta di erotismo allegro. Le sue fotografie mi inducono a distinguere il desiderio greve, quello della pornografia, dal desiderio lieve,
L’ARTE DELLA PROVOCAZIONE Nel 1972, Robert Mapplethorpe impugna una Polaroid e sfregia l’arrendevolezza del quotidiano. Nei suoi tagli figurativi qualcuno ha visto l’apoteosi del sesso, le contraddizioni delle diversità omoerotiche e dell’eterosessualità incerta e lo sistema nella “fotografia di moda” (Angela Madesani, Storia della fotografia; 2005). Vero niente. Non c’entra neanche l’accostamento di Robert Mapplethorpe con la grandezza poetica di Lewis Carroll [Sguardi su in FOTO graphia del dicembre 2002] e la miseria estetizzante del barone Wilhelm von Gloeden. Robert Mapplethorpe è un fotografo dell’alterità, dell’attrazione mimetica, mai un riproduttore d’immagini della rassomiglianza, semmai del furore digressivo o dell’identità incosciente suo malgrado. Nell’esaltazione dei corpi che fissa sulla pellicola, mescola realtà e fantasia e si spinge fino a toc-
dal desiderio buono, quello dell’erotismo. Roland Barthes vacità popola e regge il cosmo newyorkese, dall’altra illustrano un mondo di esseri fantastici, venuti da un territorio lontano, con fogge e corpi mostruosi, vale e dire meravigliosi» (Germane Celant, Max. I maestri della fotografia erotica; 1985). Robert Mapplethorpe riesce a cogliere il lato profondo, la parte in ombra, il senso più nascosto di sé e ciò che restituisce alla lettura sono tracce, piste, “doppi” che si trascolorano in epifanie della provocazione e cantano la finezza di uno sguardo che eleva la fotografia ad opera d’arte. Nella storia della camera obscura, Robert Mapplethorpe non è solo il maestro dello scandalo o della devianza ero-
tori, filosofi e, all’approssimarsi della morte (annunciata), fotografa soltanto fiori, con una sensualità seduttiva e una fragilità aurorale da toccare l’anima di ogni cuore in amore. L’aveva lanciato Andy Warhol, il più futile artista del mercato mondiale del Nulla, quello che ha fatto dell’imbecillità creativa merce per una casta di privilegiati dell’apparenza (e non c’interessa sapere niente se la “bionda” più falsa e più persa di New York se lo era scopato). I migliori anni della sua vita, Robert Mapplethorpe li passa al Chelsea Hotel di New York, dove hanno vissuto artisti di più generazioni, compagno di molte muse (tra le quali Patti Smith, della quale lascia un ri-
tratto degno di Caravaggio). «Per lui nessuna cosa è troppo sordida e nessuna sfera della gerarchia sociale è inaccessibile, [...] tutto è inventato per il piacere. [...] Nulla è lasciato al caso» (Patti Smith). I cazzi, i culi, i nudi di donne e uomini che dissemina nella storia della fotografia d’autore, sono veri e propri incontri d’amore. Per Robert Mapplethorpe, in amore non esiste né perversione né sporcizia; più di ogni altro, tra gli artisti del proprio tempo, diserta l’ordine del relativismo, quanto il disordine delle idee. All’idealismo dello spettacolo feticista delle merci contrappone l’anarchia dell’amore universale e i suoi autoritratti, le scene erotiche, i fiori come metafore sessuali grondano di sensualità e bellezze senza freni, iscritte dentro un’unicità fattuale (male copiata a frotte da professionisti e amatori dell’iconografia trasversale), mai più vista nei formulari della fotografia insegnata. Nel mazzo dei suoi lavori non tutto suscita emozione, gioia o irritazione. Non ci piacciono per nulla le fotografie della campionessa mondiale di body building Lisa Lyon (1981 e 1982): sono troppo divertite, non hanno lo sguardo nella quotidianità estraniante alla quale aspirano, né si legge, come in altre più compiute, lo squarcio sublime tra il sensibile e lo straordinario, tra la copia e la realtà. Ce ne sono anche di più brutte. Come quelle di Stella Goodall (1984), Thomas and Dovanna (1986), Ann Magnussen & David Brisbane (1986), Melody and Paul Wadina (1988) o Barbara Dente (1987). Tuttavia, anche in queste immagini sorprende la visione del fotografo e la rigorosa composizione dei rapporti formali. La fotografia di Robert Mapplethorpe si situa in armonia con ciò che percepisce, e la costru-
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zione surreale o la bellezza allusiva delle sue “tracce iconiche” afferrano una singolarità del segno, dove la compiutezza è senza lamento e nella sorgività dell’amore estremo si rovescia in icone di un tempo perduto.
FOTOGRAFIA DELLA SEDUZIONE Il linguaggio fotografico di Robert Mapplethorpe raggela l’istante nella domanda e non contiene nessuna risposta che non sia la forza geometrica o l’eversione dalla colonizzazione dell’umano. Le sue immagini sono create quasi sempre in studio, ma di fronte a tanta estraniazione del soggetto scippato all’esistente si ha la sensazione di oltrepassare il limite della percezione reale. I suoi ritratti di Andy Warhol, Deborah Harry, Annamirl, Grace Jones, Lara Harris o Thomas e il gatto Amos riportano la fotografia al
centro dell’arte; e la carica omoerotica che investe molti dei personaggi fotografati è di una raffinatezza estetica che ha pochi eguali nel breviario olezzante della fotografia moderna. La fotografia di Robert Mapplethorpe seduce e si lascia sedurre. È una circolazione di scambi; una fotoscrittura d’appagamento del piacere, che si sostituisce ai rapporti di potere e sapere e disvela i templi della simulazione. «La seduzione non appartiene mai alla sfera della natura, ma a quella dell’artificio; non appartiene mai alla sfera dell’energia, ma a quella del segno e del rituale. È per questo che tutti i grandi sistemi di produzione e interpretazione non hanno mai cessato di escluderla dalla sfera concettuale; e per sua fortuna, perché proprio dall’esterno, dal profondo di questa esclusione, può continuare
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a essere l’incubo e minacciarli di rovina» (Jean Baudrillard, Della seduzione; 1997). Le figure estremizzate di Robert Mapplethorpe fanno il libero uso di sé e stracciano l’improprietà e la fantasia dei moralisti che le condannano al rogo o al silenzio. Robert Mapplethorpe non diserta le occasioni del mercimonio, ma la sua fotografia trapassa le mode e gli affari del settore. Le provocazioni omoerotiche di molte delle sue affezioni fotografiche lo posero al centro di controversie pubbliche: organizzazioni religiose e conservatrici, che insorsero contro le sue esposizioni e sovente approntarono censure e diffamazioni. Nel 1990, a un anno dalla scomparsa, il Cincinnati Contemporary Arts Center organizzò una mostra di Robert Mapplethorpe, The Perfect Moment (comprendente sette ritratti sadomaso, nemmeno troppo belli), che suscitò scandalo e indignazione e portò al processo contro il museo e il suo direttore, Dennis Barrie. L’imputazione era di induzione all’oscenità. In seguito, Dennis Barrie e il Cincinnati Contemporary Arts Center furono prosciolti da ogni accusa e la cattività fotografica (la bassa pornografia della quale era stato spesso accusato Robert Mapplethorpe) fu recuperata dai mercanti e dagli scribi. Quando la feccia incensa la sovranità dell’arte e dispensa la sua riproducibilità tecnica al popolo, preparatevi al massacro, o, peggio ancora, all’imbalsamazione di un nuovo genio. La fotografia di Robert Mapplethorpe si schiude a una filosofia della seduzione che spezza la pretesa dominazione dei generi femminile e maschile. Molte immagini travalicano anche la seminagione dell’omosessualità o dell’apologia del diverso, per andare a decodificare, decostruire, riorientare l’erotico oltre il regno dell’esibito. La pratica della seduzione che emerge dalle sue fotografie non è riferita al male, stigmatizzato secondo le rego-
le e i valori dalla società dei simulacri, né è parte di quella strategia demoniaca santificata dalle religioni monoteiste. Le fotoscritture del desiderio e delle passioni di Robert Mapplethorpe reinventano i valori della sessualità senza confini e fanno della resurrezione dei corpi la fine dei confortori sapienziali dell’ordine costituito. A scavare in profondità i fotoritratti di Robert Mapplethorpe non è difficile scorgere la fine d’ogni travestitismo; e l’omosessualità, la bisessualità, il lesbismo o l’eterosessualità si chiamano fuori dalle banalità dell’ordinario e disvelano un universo sociale esaurito. Non si tratta, però, dei concetti espressi e ripresi dalla Beat generation negli anni Sessanta (come hanno scritto in molti), né della legittimazione della creatività eretta a spettacolo seriale. C’è invece un’alfabetizzazione segnica, deritualizzata, che riconcilia l’immaginale al meraviglioso e mostra che la barbarie massmediatica, militare o terroristica, è il diritto di cittadinanza delle democrazie spettacolari. La ritrattistica di Robert Mapplethorpe riporta la figura umana fuori dalla qualunquità, e nell’erotizzazione dei corpi elabora un’ironia della seduzione che si oppone all’anatomia come destino. La sua ritrattistica segna lo spogliamento dell’uomo quanto del re. Il mondo è nudo. La disincantata seduzione delle sue fotografie è elaborata in un’estetica incantata della bellezza, che denuda l’immaginario sociale e annuncia l’autunno della fotografia in forma eversiva. In fotografia, come nella vita, nulla è supremo. Nelle immagini di Robert Mapplethorpe, come in quelle dei maestri carbonari della fotografia randagia, possiamo scorgere la comunità che viene. Qui si coniuga la liberazione della poesia vissuta con la rivoluzione della vita quotidiana. Pino Bertelli (11 volte febbraio 2006)