Mensile, 5,70 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano
ANNO XIII - NUMERO 123 - LUGLIO 2006
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Statura d’autore A PARLARE DI FOTOGRAFIA
Sony 100 REFLEX DIGITALE (OGGI E DOMANI)
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VIAGGIO NELL’ANIMA
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ANCORA, AL FEMMINILE. In forma sostanzialmente monografica, sullo scorso numero di FOTOgraphia di giugno abbiamo presentato la Seconda edizione della Biennale Internazionale di Fotografia di Brescia. Con l’occasione, ci siamo accordati allo spirito della manifestazione, i cui Appunti per una storia della fotografia al femminile hanno sottolineato lo spessore e peso delle autrici all’interno della lunga vicenda espressiva della fotografia, dalle cui storiografie ufficiali sono per lo più escluse. A completamento, torniamo indietro di qualche anno, pochi o tanti dipende dai punti di vista individuali. Torniamo al convegno torinese del 4 dicembre 1998, che appunto affrontò e analizzò L’altra metà dello sguardo. A cura di Nicoletta Leonardi e Rosalba Spitaleri, l’incontro impegnò numerose relazioni, il cui insieme ha fornito un contributo originale sia alla ricostruzione storica sia alle metodologie di analisi della visione e dell’interpretazione. A seguire, rivisti e aggiornati dalle autrici, tutti gli interventi sono stati raccolti in modo organico in una edizione libraria, a cura di Nicoletta Leonardi, che ne ha conservato titolo e richiamo: L’altra metà dello sguardo. Il contributo delle donne alla storia della fotografia, con testi di Roberta Valtorta, Carla Cerati, Antonella Russo, Letizia Battaglia, Gigliola Foschi, Cristina Omenetto, Francesca Pasini, Lisa Parola, Giulia Caira, Marzia Migliora, Nicoletta Leonardi e Naomi Rosemblum. Confezionato con una grafica accattivante, dal punto di vista estetico, e chiarificatrice, con le note ai testi riportate in posizione comoda e utile, il saggio definisce i tratti di quella vicenda che la Biennale di Brescia ha ampliato con la sostanza delle proprie esposizioni fotografiche e dei relativi testi introduttivi, alcuni dei quali, lo ribadiamo ancora, sono assolutamente fondamentali. A completamento, L’altra metà dello sguardo raccoglie cinquantadue immagini di autrici italiane e straniere. L’altra metà dello sguardo. Il contributo delle donne alla storia della fotografia; a cura di Nicoletta Leonardi; Agorà Editrice, 2001 (via Santa Croce 0e, 10123 Torino; 011-8394962, fax 011-835973; www.libreriaagora.it, agobooks@tin.it); 136 pagine 17x24cm; 18,00 euro.
Non possono esserci pensieri complicati, e neppure negativi, nella limpida certezza di un cielo azzurro.
Copertina Esterna ed estranea al proprio percorso professionale (ma sarà poi così vero?), Scappare con l’anima lascia trasparire i tratti di una particolare meditazione interiore di Luigi Facchinetti Forlani, professionista della sala di posa. Immagini di pensiero e intimità, che compongono un poema entro le cui parole (tali diventano le fotografie) ciascuno può collocare i propri sentimenti e le proprie emozioni. Da pagina 40
3 Fumetto Dalla copertina del numero 287 del leggendario Kriminal (30 dicembre 1970), fumetto cult degli anni Sessanta e Settanta, ai tempi identificato “per adulti”, creato dalla fantastica combinazione Magnus & Bunker. Una vecchia macchina fotografica (biottica) richiama ed evoca tempi più che mai lontani e antichi
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7 Editoriale Per quanto non richieda dibattiti in contrapposizione, l’interazione con i propri strumenti tecnici è in qualche misura influente sull’esercizio fotografico. Per esempio, si stanno delineando i termini di una nuova fotografia: spontanea, da telefonino (ovvero computer multimediale)
8 Per altro, scandalizziamoci 33
Il caso delle fotografie di Hevan, figlio mai nato di Jennifer Zacconi, involontaria protagonista di un terribile fatto di cronaca nera, sollecita riflessioni sull’uso e abuso dell’immagine (e della parola) nell’ambito del giornalismo dei nostri giorni di Lello Piazza
10 Notizie Attrezzature, vicende e altre segnalazioni
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14 A partire da Barnack Una mostra di fotografie scattate da Oskar Barnack, l’inventore della Leica, inaugura la Sala Leica Cultura all’interno del restaurato Castello dei Pico a Mirandola, che verrà gestito dal qualificato Gruppo Fotografico Leica
18 Fotografia con Barbie
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Il periodico Barbie Magazine è in edicola con macchina fotografica in allegato: per allegre e spensierate fotografie delle vacanze. Efficace sollecitazione dall’esterno di un mercato che non è analogamente stimolato dalle proprie componenti commerciali ufficiali (e preposte)
. LUGLIO 2006
RRIFLESSIONI IFLESSIONI,, OSSERVAZIONI OSSERVAZIONI EE COMMENTI COMMENTI SULLA SULLA FFOTOGRAFIA OTOGRAFIA
20 Computer multimediale
Anno XIII - numero 123 - 5,70 euro
Immagine come elemento di partenza e non arrivo; nulla avviene più senza la relativa registrazione fotografica; questa fotografia non ha sovrastrati, ma è spontanea
DIRETTORE
RESPONSABILE
Maurizio Rebuzzini
IMPAGINAZIONE Gianluca Gigante
22 Storie della vita
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REDAZIONE
Suggestivo reportage di Giuseppe Vitale. Avvincente racconto di vita e indelebili tracce di esistenza. Con stile
Alessandra Alpegiani Angelo Galantini
28 Reflex di oggi, reflex di domani
Alessandra Alpegiani Antonella Simoni
FOTOGRAFIE SEGRETERIA
La reflex digitale Sony α 100 non si esaurisce nella cronaca delle proprie caratteristiche tecniche. Rivela anche che si sta delineando un nuovo spazio tecnico della fotografia reflex dei nostri giorni (futuri) di Antonio Bordoni
Maddalena Fasoli
HANNO
33 A parlare di fotografia Camera Obscura di Abelardo Morell offre spunti per andare a parlare di fotografia (ad orizzonti allargati) di Maurizio Rebuzzini
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40 Viaggio nell’anima
Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604, fax 02-66981643; graphia@tin.it.
Meditazione intima di Luigi Facchinetti Forlani, professionista della pubblicità, esterna ai connotati del mestiere in sala di posa. Scappare con l’anima invita a un tragitto comune, oltre l’apparenza delle immagini di Angelo Galantini
● FOTOgraphia è venduta in abbonamento. ● FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano.
46 Cultura della fotografia Cinque sostanziose mostre definiscono il programma di Spilimbergo Fotografia 2006. Con ulteriori contorni
52 Ambiguità volontaria
COLLABORATO
Pino Bertelli Antonio Bordoni Luigi Facchinetti Forlani Loredana Patti Lello Piazza Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Giuseppe Vitale Zebra for You
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Campagna pubblicitaria in stile giornalistico. Equivocabile Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
54 Anello blu
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Oltre se stesse, le attuali compatte digitali Samsung NV3, NV7 OPS e NV10 danno avvio a una Nuova Visione
Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano
56 Al vertice del sistema
Rivista associata a TIPA
Evoluzione Nikon D2XS, con sensore da 12,4 Megapixel
58 Agenda Appuntamenti del mondo della fotografia
63 Il pensiero di Pino Bertelli Intervista rilasciata a Yuri D di Channel 83
15 www.tipa.com
inalmente, in presenza di questa serie di immagini, il pretestuoso dibattito attorno la mediazione della fotografia non ha alcun diritto di ospitalità. Così, a pagina 22, comincia la nostra presentazione dell’intenso e avvincente reportage che il bravo Giuseppe Vitale ha confezionato accostando tra loro mediazioni tecniche differenti, che in molti (inutili) dibattiti dei nostri giorni sono troppo spesso elevate a soggetto della conversazione. A nostro avviso, il problema, se di questo si tratta, sta altrove: non nel modo in cui ogni autore opera, ma nel senso con il quale agisce. Quindi, come spesso sottolineiamo, soggetto deve rimanere l’immagine in quanto tale, indipendentemente dalla propria mediazione tecnica. Oppure, al contrario, ragionamenti specifici sono effettivamente necessari, quando si arriva ad analizzare la dipendenza tecnica dell’espressione fotografica, sulle cui interazioni si sono espresse fior di riflessioni; due esempi, sopra tutti: Per una filosofia della fotografia, di Vilém Flusser, e Fotografia e inconscio tecnologico, di Franco Vaccari, entrambi pubblicati da Agorà Editrice, rispettivamente nel 1987 e nel 1994, con ulteriore recente ristampa 2006 (via Santa Croce 0e, 10123 Torino; 011-8394962, fax 011-835973; www.libreriaagora.it, agobooks@tin.it). Ma, in ogni caso, nessun dibattito deve essere sterile, e limitarsi a presunte contrapposizioni tecnologiche o all’elevazione di grado degli strumenti: necessari, ma mai sufficienti all’espressione creativa. Tra tutto, però, una annotazione si potrebbe alzare sopra le altre. Ci si riferisce a come e quanto certe condizioni tecniche e tecnologiche sollecitino, e a volte condizionino, l’azione fotografica, indirizzandola con le proprie soluzioni: è facile datare la nascita dell’istantanea dagli apparecchi piccolo formato portatili. In definitiva, fin dalle stesse origini della fotografia, un certo percorso storico dell’espressione fotografica va di pari passo con le condizioni tecniche della ripresa. Non lo possiamo negare, né ignorare. Però, confermiamolo, non lo vogliamo neppure promuovere di grado. Oggi, comunque, registriamo una nuova condizione dell’immagine, a partire dalla possibilità di scattare con telefonino (computer multimediale): le cui consecuzioni implicite ed esplicite danno avvio a un capitolo nuovo. Ovverosia, a un capitolo che ha contatti marginali con la storia evolutiva del linguaggio fotografico, e per questo si proietta in direzioni quotidiane e spontanee, fino a qualche tempo fa inesistenti. È il caso di parlarne, senza pregiudizi, né prese di posizione assolute, per definirne connotati e personalità. Analogamente, e tornando all’origine del nostro discorso, è il caso di riflettere anche su quanto la creatività fotografica sia subordinata alle opzioni commerciali e produttive, esaurite le quali verrebbe a mancare la materia base dell’espressione. Ma di questo parleremo più avanti. Per ora, ci basti la serena osservazione del presente e delle proprie potenziali concatenazioni. Maurizio Rebuzzini
F
Come annotiamo da pagina 20, proseguendo il cammino sull’immagine spontanea dei nostri giorni, avviato lo scorso mese, il telefonino è ormai un computer multimediale, che offre infinite e nuove proiezioni all’immagine (oltre che a tanto altro, estraneo al nostro punto di vista mirato). Inoltre, si registrano anche personalità commerciali che superano la sola e sterile sottolineatura di caratteristiche convenienze di prezzo. È il caso Nokia, azienda che presta particolare attenzione proprio all’immagine da computer multimediale.
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PER ALTRO, SCANDALIZZIAMOCI
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Il due giugno, sulla prima pagina dell’Unità, in un articolo dall’intrigante titolo Maria, aggiungi un porco a tavola, dedicato alle regole dell’educazione, Sergio Staino così ha attaccato: «Non sono uno storico della letteratura italiana e non conosco, quindi, le ragioni che spinsero un giorno Monsignor Giovanni Della Casa a stendere quel divertente pamphlet a cui deve la sua fama: mi piace pensare, però, che lo abbia scritto per disperazione, stufo e irritato per tutto quel che gli capitava intorno. E come non comprenderlo? Un invito a cena, in quei tempi lontani, deve essere stato, per un animo gentile e amante delle più elementari norme igieniche, un vero incubo. Ne inorridisco al solo pensarci: allegri bontemponi, che dopo aver orinato fuor della porta o giù dalla terrazza, rientravano alla comune mensa grattandosi la patta». Eccetera. Un po’ forte, ma comunque adatto, come chiarirò più avanti, per esporvi le mie considerazioni sulla pubblicazione in prima pagina da parte del Gazzettino di Venezia di una fotografia del cadaverino di Hevan.
IL FATTO Il fatto dovrebbe essere ancora noto, seppure la cronaca non riesca più a radicarsi, fino a diventare storia (come invece avveniva nel secondo dopoguerra, allungatosi fino ai tardi anni Sessanta: lo testimonia il successo editoriale delle raccolte periodiche dell’Europeo, appunto declinate su quei lontani decenni). Il fatto cui oggi ci riferiamo è recente. È la conclusione di una terribile vicenda di cronaca nera: Jennifer Zacconi, una ragazza incinta all’ottavo me-
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se, viene prima presa a pugni e calci , poi sepolta viva dal trentaquattrenne Lucio Niero, padre del bimbo e reo confesso dell’omicidio. Hevan è il figlio mai nato di Jennifer. Il quotidiano mette questo titolo alla fotografia: Ecco il volto dell’angioletto. Questo il testo che accompagna l’immagine: «Pubblichiamo una foto che suscita forti emozioni e sicuramente farà discutere. Ma non è certo una visione raccapricciante. Anzi, il piccolo Hevan fa tenerezza, viene voglia di prenderlo in braccio. Lo farà oggi Jenny, che sarà sepolta assieme al bimbo che tanto voleva. «Ai nostri lettori mostriamo questa foto -su richiesta e con l’esplicita autorizzazione dei genitori di Jennifer- con il massimo rispetto per la sensibilità di tutti e dopo un’attenta riflessione. Televisioni e giornali mostrano quotidianamente immagini terribili di cadaveri vittime della barbarie umana, il sangue
e la morte più o meno in diretta, purtroppo, fanno parte del corollario mediatico. «Noi, sul Gazzettino, abbiamo sempre cercato di non eccedere in dettagli truculenti, ed evitiamo di sbattere in prima pagina situazioni scioccanti. Questa regola vale anche nel caso di Hevan. La foto è bella: un neonato, vestito con il completino nuovo, che dorme». Cominciamo a dire che non si tratta di violazione della privacy: la nonna non solo è consenziente ma è la promotrice della pubblicazione. Ma mi viene difficile anche credere che al Gazzettino siano anime belle. Chiunque lavora nei giornali sa che sangue, sesso, soldi (le tre Esse maledette) sono gli argomenti che fanno vendere di più. Hevan dovrebbe essere classificato “sangue”.
ALTRI SCALPORI Non è la prima volta che la pubblicazione di un’immagine
scatena polemiche. Mi viene in mente il rifiuto di molti giornali a impaginare, nei propri reportage sull’attentato terroristico di Madrid dell’11 marzo 2004, l’immagine di un braccio mozzato che giaceva a terra, lontano dal corpo della vittima. O l’autocensura spontanea su molte delle fotografie dell’11 settembre. O il caso della straordinaria immagine, scattata da Gianni Giansanti, del cadavere di Aldo Moro nella R4. Dice, a proposito, Grazia Neri, presidente della maggiore agenzia italiana di fotogiornalismo: «La fotografia di Giansanti è cronaca, mentre le fotografie del cadavere di Moro all’obitorio, assolutamente no. Bisogna distinguere quando un’immagine è informazione, da quando è invece compiacimento». A proposito di compiacimento non si può non citare il clamoroso infortunio del Tg1 e del Tg3 che, a commento di una mastodontica operazione
COMUNQUE SIA
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omunque sia, pur condividendo e sottoscrivendo appieno l’opinione qui espressa da Lello Piazza, noi non richiamiamo la fotografia di Hevan; così come, nel settembre 2002, abbiamo analogamente omesso di illustrare, pur riferendone, la copertina di Panorama del lettino insanguinato di Samuele (caso Cogne). A proposito della legittimità di certe immagini, sottolineiamo come le politiche editoriali e redazionali dovrebbero ancora imporre quantomeno garbo (non pretendiamo più il “gusto”), oltre che rispetto, sia dei personaggi sia dei lettori. Per esempio, pur allineati al giudizio estremamente negativo e avverso sul dittatore iracheno Saddam Hussein, non abbiamo affatto condiviso la sua messa alla berlina all’indomani dell’arresto (dicembre 2003); così come abbiamo deplorato le immagini del cadavere del terrorista giordano Abu Musab al Zarqawi, trionfalmente mostrate dall’esercito statunitense all’inizio di giugno e rimbalzate attraverso tutti gli or-
gani di stampa (carta e televisione), alla maniera di come fece l’esercito boliviano con il corpo martoriato di Ernesto Che Guevara, nell’ottobre 1967. Alleggerendo i toni, ricordiamo che nell’autunno 2002 i quotidiani La Repubblica e Corriere della Sera interpretarono diversamente una fotografia di scena del film scandalo Ken Park di Larry Clark, allora presentato nella sezione Controcorrente della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (FOTOgraphia, ottobre 2002). La stessa immagine originaria venne messa in pagina in due modi diversi. In particolare, il Corriere della Sera evitò l’illustrazione diretta ed esplicita del pelo pubico dell’attrice protagonista. Però, il garbo non passa per questo (pelo), ma per altre tante considerazioni, attorno le quali il giornalismo tutto dovrebbe riflettere e incontrarsi: sia sull’uso di immagini sia su quello, altrettanto grave e responsabile, delle parole. E quanto ci sarebbe da commentare! M.R.
anti pedofilia nel settembre 2000, mandano in onda alcune fotografie di bambini seviziati e costretti in pose oscene. Il fatto costò le dimissioni sia di Gad Lerner, direttore del Tg1, sia di Rizzo Nervo, direttore del Tg3.
MA HEVAN SCANDALIZZA? Tornando alla fotografia del feto, sembra che questa sia stata rifiutata da molti giornali. Come dar loro torto? È difficile sostenere che la sua pubblicazione c’entri con il diritto di cronaca. Ma da questo, a vociare indignati per la scelta del Gazzettino, secondo me, ne passa. E mi domando: il “caso” Hevan è veramente peggio della pubblicazione della fotografia della figlia di Angelina Jolie e di Brad Pitt, che tutti volevano e che è costata agli editori qual-
che milione di euro? È forse illecito soddisfare il voyeurismo del pubblico nei confronti di un cadaverino, mentre è lecito soddisfarlo nei confronti della figlia di due attori famosi? Secondo me, no. Oltretutto, la fotografia di Hevan era veramente pudica e, se a sua nonna faceva piacere che venisse condivisa con il grande pubblico, dov’è il problema? A proposito di morale sarebbe meglio che ci preoccupassimo di cose più importanti e più gravi. Per esempio dell’ultimo libro di Aldo Busi, editore Arnoldo Mondadori, in bella vista sui banchi di tutte le librerie italiane, il cui titolo, Bisogna avere i coglioni per prenderlo nel culo, si ricollega all’attacco di Staino citato in apertura. Scandalizzati per la fotografia di Hevan? Ma per piacere. Lello Piazza
NATIONAL GEOGRAPHIC. La collaborazione tra Manfrotto e la celebre fondazione statunitense National Geographic, che pubblica l’omonimo mensile internazionale e realizza infinite iniziative mirate, comprende ora la distribuzione di prodotti fotografici appunto identificati National Geographic. Tre le linee: i treppiedi professionali Expedition e le borse e zaini Earth Explorer sono immediatamente disponibili, mentre i treppiedi Tundra saranno in commercio dal prossimo settembre. È superfluo ribadire il ruolo che il marchio National Geographic ha avuto e continua a sostenere nel campo dell’esplorazione del pianeta, peraltro documentato con straordinarie immagini, che nel corso dei decenni hanno contribuito alla sua conoscenza e fascino. Però, sono opportune alcune cifre che definiscono questa organizzazione, unica al mondo. National Geographic è un’organizzazione No Profit, e tutti i suoi ricavi sono investiti in programmi di conservazione, ricerca, educazione ed esplorazione. La National Geographic Society è stata creata a Washington nel gennaio 1888, con l’intento esplicito e dichiarato di incrementare la conoscenza della cultura geografica e «far conoscere il mondo attraverso riviste, mappe, libri, film e tutti gli altri mezzi audiovisivi disponibili». Oltre l’edizione originaria statunitense, il mensile National Geographic Magazine è pubblicato in altre ventotto lingue (italiano compreso), le cui edizioni, con una diffusione di circa ottomilioni e mezzo di copie,
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coprono tutte le nazioni del mondo. Tra i riconoscimenti ricevuti, ricordiamo il prestigioso National Magazine Award for General Excellence, ottenuto nel 2000. Inoltre, dal 1907 National Geographic ha pubblicato più di duemila libri in trentadue lingue. La collegata National Geographic Channel International è una rete televisiva nata negli Stati Uniti nel gennaio 2001 e conosciuta in tutto il mondo. Raggiunge più di duecentotrenta milioni di famiglie, in centoventisei nazioni. Ogni mese, poi, il sito www.nationalgeographic.com è visitato da oltre quattro milioni di utenti. Il catalogo generale dei prodotti National Geographic (2Mb) può essere scaricato dal sito www.bogenimaging.it. (Bogen Imaging Italia, via Livinallongo 3, 20139 Milano).
MIGLIOR UTILIZZO. E, quindi, prestazioni migliorate. È disponibile l’aggiornamento del firmware per le due reflex digitali Olympus E-330 e Olympus E-300 (rispettivamente in FOTOgraphia dell’aprile 2006 e febbraio 2005). Il nuovo firmware della E-330 permette di attivare l’autofocus anche in modalità Live Preview Macro. Inoltre, è stata perfezionata la precisione dell’esposizione di entrambe le reflex, per riprese in modalità macro e se si utilizza la misurazione spot. Le nuove versioni dei due firmware sono disponibili per essere scaricate: attivando i software Olympus Master e Olympus Studio, con la reflex collegata al computer tramite la porta USB, in connessione Internet si seleziona la funzione Aggiorna Camera dal menu Servizio Online.
Così, gli utenti E-330 e E-300 mettono a frutto i vantaggi offerti dai servizi post-vendita di Olympus. Grazie all’ultima versione del firmware, le prestazioni delle reflex digitali QuattroTerzi sono state ulteriormente migliorate, per ottenere un’esperienza fotografica ancor più gratificante. In particolare, come accennato, il firmware Olympus E-330 Versione 1.2 estende l’AF anche in Live Preview modalità B (Live Preview Macro): premendo il tasto AEL/AFL, lo specchio si abbassa e si attiva l’AF singolo prima che lo specchio ritorni in posizione, attivando il Live Preview. Quindi, il firmware Olympus E-300 Versione 1.4 assicura una migliorata precisione dell’esposizione, soprattutto nelle applicazioni in modalità macro e quando si seleziona la lettura spot. (Polyphoto, via Cesare Pavese 11-13, 20090 Opera Zerbo MI).
LUMINOSO. Oltre l’indirizzo verso la progettazione di escursioni zoom sempre più mirate, soltanto grandangolari, solo tele oppure da grandangolare a tele, da tempo il disegno ottico finalizzato alla fotografia sta concentrandosi sull’apertura relativa degli obiettivi, confortevole sia nella ripresa tradizionale su pellicola sia in acquisizione digitale di immagini. È il caso, recente, dello zoom Sigma Apo 70-200mm F2,8 EX DG Macro HSM, la cui generosa apertura relativa f/2,8 è costante su tutta l’escursione focale; diaframma minimo f/22. La variazione da 70 a 200mm è particolarmente adatta per riprese di natura e sport e, in generale, per tutte le situazioni che richiedano un teleobiettivo di alta luminosità relativa: angolo di campo da 34,3 a 12,3 gradi. Adatto sia a reflex tradizionali, sia a reflex digitali (con le quali l’escursione fa i conti con il fattore di moltiplicazione del sensore di acquisizione), mette a fuoco da 100cm, che equivalgono a un concetto di ripresa a
distanza ravvicinata di qualsiasi soggetto (appunto, “Macro” nella sigla identificatoria; ingrandimento massimo 1:3,5). Il trattamento multistrato Super Multi Coating riduce numerose aberrazioni, tra cui il flare e le cosiddette immagini fantasma. I vetri ottici a basso indice di dispersione ELD ( Extraordinary Low Dispersion) e SLD (Special Low Dispersion), compresi nel disegno di diciotto lenti in quindici gruppi, riducono le aberrazioni cromatiche. Il motore HSM (Hyper Sonic Motor) mette a fuoco automaticamente in modo veloce, preciso e silenzioso, e mantiene anche la possibilità di messa a fuoco manuale. Il sistema di messa a fuoco interna, ad alta efficienza, permette di usare il paraluce a corolla (di serie), e filtri polarizzatori circolari (diametro filtri 77mm). Lo zoom è dotato di staffa, rimovibile, per la propria collocazione su treppiedi. Accetta i moltiplicatori di focale Sigma 1,4x EX DG Apo e 2x EX DG Apo, che incrementano la variazione focale: rispettivamente, telezoom 98-280mm f/4 e 140400mm f/5,6. È disponibile in montatura per reflex Canon, Nikon e Sigma. (Mamiya Trading, via Cesare Pavese 31, 20090 Opera Zerbo MI).
SILVESTRI COMPASSO D’ORO. Il versatile banco ottico Silvestri S5 Micron (FOTOgraphia, novembre 2004 e maggio 2006) è stato incluso nel selettivo novero degli oggetti di design insigniti del prestigioso Premio Compasso d’Oro ADI. La motivazione ne sottolinea le prerogative ed esclusività tecniche: «Progettata appositamente per la fotografia digitale professionale, la macchina fotografica a banco ottico Silvestri S5 Micron coniuga i dispositivi per la correzione prospettica e l’accomodamento dei piani con l’utilizzo di sensori digitali a matrice ed è dotata di centralina per l’interfaccia con il computer. Versatile per le soluzioni di ripresa a scatto singolo o per immagini acquisite in scatti successivi preordinati, assicura la massima precisione grazie a movimenti micrometrici; mentre il lavoro ravvicinato dei piani consente l’uso di grandangolari estremi». Onore a Vincenzo Silvestri e al designer Gabriele Gargiani. A più di quarant’anni dalla propria istituzione, il Premio Compasso d’Oro rimane il maggior riconoscimento alla progettualità e alla produzione italiana, e mantiene nel mondo un’elevata considerazione, dimostrata anche dal continuo successo delle mostre della Collezione storica. Per mantenere e migliorare la capacità di questo grande evento di selezionare il meglio del design italiano, la selettiva giuria rileva in modo sistematico l’evoluzione della progettazione e della produzione nel maggior numero di settori. In questo contesto operativo è stato costituito un Osservatorio sul design, contestuale al Compasso d’Oro, con lo scopo di raccogliere e strutturare la conoscenza dei beni, con il contributo di aziende e designer. Fi-
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nalità specifica dell’Osservatorio è inoltre indagare e sollecitare in particolare quei comparti produttivi spesso poco considerati dal Premio. L’Osservatorio si avvale di commissioni di lavoro, costituite da esperti dei vari settori del design, da collaboratori di riviste specializzate, da studiosi e da critici del design. L’Osservatorio utilizza in modo privilegiato le fiere di settore per avere contatti con le industrie e reperire informazioni. Dal lavoro delle Commissioni dell’Osservatorio vengono indicati annualmente i beni più significativi, che sono poi raccolti nella pubblicazione ADI Design Index, che si offre come occasione per dibattiti e incontri sullo stato del design. Premio e attività culturale trovano così modo di stimolarsi e di promuoversi a vicenda, in quanto il Compasso d’Oro fornisce un palcoscenico alla cultura del design e l’approfondimento culturale dà al Premio motivazioni più oggettive e condivisibili. (Silvestri Fotocamere, via della Gora 13/5, 50025 Montespertoli FI; 0571675049, fax 0571-675919; www.silvestricamera.com; info@silvestricamera.com).
LETTORE MP3 DEDICATO. Nel realizzare l’i.Beat Vision DM, Trekstor si è particolarmente rivolta ai fan dei Depeche Mode. Questo lettore MP3 ha le stesse caratteristiche dell’i.beat Vision standard, cui si aggiunge un design da Playing the Angel, l’ultimo album del gruppo inglese; in più contiene Suffer Well, l’ultimo singolo della band, un video e immagini esclusive. L’involucro nero con finiture argento riporta il logo dei Depeche Mode in bianco, vicino al monitor da 1,3 pollici, mentre sul retro si trova Mr. Feather, il logotipo distintivo del gruppo in questo periodo della loro lunga carriera. Come l’i.Beat Vision di Trekstor, oltre a supportare file audio in MP3, WMA e OGG, l’i.Beat Vision DM è in grado di gestire file protetti da DRM 9 (con cui spesso vengono tutelati i file
scaricati da Internet), ma anche file video e immagini in formato Jpeg. Inoltre, è dotato di radio FM e di un registratore integrato. Un software in dotazione consente di trasformare file video in TOM, un formato proprietario di Trekstor equivalente all’MP4. (Rossi & C, via Ticino 40, 50010 Osmannoro di Sesto Fiorentino FI).
CODIFICAZIONE DIGITALE. Annunciando una nuova codificazione a 6-bit per il sistema di obiettivi Leica M, la casa di Solms conferma la strada intrapresa nell’ambito dell’acquisizione di immagini: dal dorso dedicato Digital-Modul-R per il sistema reflex Leica R (FOTO graphia, settembre 2004) agli obiettivi per lo standard QuattroTerzi (FOTOgraphia, giugno 2006)... alla prevista e prevedibile configurazione Leica M digitale, appunto, attesa entro l’anno. In questo senso, a partire dal Primo luglio, la baionetta degli obiettivi Leica M a telemetro viene dotata di un nuovo codice binario, per consentire alla imminente Leica M digitale di riconoscere il tipo di obiettivo montato. Ovviamente, questo non preclude le funzioni meccaniche originarie: tutti gli obiettivi restano utilizzabili anche con la linea degli apparecchi analogici Leica MP e M7, e con tutte le Leica M prodotte dal 1954, quando il sistema fu avviato dall’originaria M3. All’inverso, gli obiettivi di precedente produzione possono essere riadattati, a spese del proprietario, per sfruttare i van-
taggi che la nuova codificazione offre al futuro corpo macchina digitale (approfondiamo più avanti). Gli obiettivi di ogni generazione saranno compatibili con la Leica M digitale, anche senza dover essere riadattati, ma, senza modifica, non sarà possibile utilizzare le nuove funzioni di scambio informazioni dall’obiettivo al corpo macchina. La codificazione dell’obiettivo è definita “codificazione a 6-bit”, perché sei campi della baionetta vengono marchiati in bianco o nero per ottenere una cifra da “1” a “64” del codice binario. La Leica M digitale legge questa informazione a livello ottico e riconoscere l’obiettivo in uso. Oltre la migliorata qualità dell’immagine, questa tecnologia permette di raccogliere i dati di ripresa nel file d’immagine EXIF. Come accennato, quasi tutti gli obiettivi del sistema ottico Leica M possono essere adattati alla comunicazione con il corpo macchina digitale: al costo di 95,00 euro, presso il Customer Service di Leica Camera AG a Solms o presso l’analogo servizio del distributore italiano Polyphoto. Un elenco aggiornato degli obiettivi Leica M di tutti i tempi è sintetizzato sul sito Leica (www.leica-camera.com), oppure può essere richiesto all’attento Leica Info-Service (0253002209) o attraverso il canale dei rivenditori Leica autorizzati. In assoluto, l’unico obiettivo dell’attuale gamma non codificabile è il Leica Apo-Telyt-M 135mm f/3,4; in considerazione del fattore di ingrandimento1,33x, proprio del sensore di acquisizione della futura Leica M digitale, la focale 135mm si rivela inadatta alla inquadratura. (Polyphoto, via Cesare Pavese 11-13, 20090 Opera Zerbo MI).
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A PARTIRE DA BARNACK
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Recentemente restaurato, e riportato alla piena attività dall’inizio dello scorso giugno, il Castello dei Pico, a Mirandola, in provincia di Modena, segnala anche un proprio risvolto fotografico. Tra le numerose divisioni odierne, consistentemente rivolte ad attività pubbliche, si registra anche uno spazio gestito dal Gruppo Fotografico Leica, presentato come Sala Leica Cultura. In particolare, si tratta di un ampio e confortevole ambiente espositivo all’interno del quale il Gruppo si propone di organizzare e allestire mostre fotografiche affini alla propria con-
All’interno del Castello dei Pico, a Mirandola, in provincia di Modena, è allestita la Sala Leica Cultura, dove il qualificato Gruppo Fotografico Leica presenterà mostre nello spirito di una identificata raffigurazione visiva.
cezione e interpretazione dell’espressione visiva. In occasione della solenne inaugurazione del Castello è stata presentata una mostra di fotografie di Oskar Barnack, l’inventore della Leica, introduttive di un tipo di fotografia della realtà, che appunto caratterizza un identificato modo di declinare l’immagine. Concentrando altre annotazioni sul Castello dei Pico in un apposito riquadro pubblicato qui sotto, è ora il caso di soffermarsi proprio su questa idea di fotografia, alla quale la Leica ha dato impulso e concesso elementi tecnici per la propria autentica espressione. In un ambito di possibili e potenziali collegamenti tra tecnica e creatività, si possono individuare e sottolineare combinazioni inderogabili. Non intendiamo affermare che un apparecchio (marchio e/o modello) sia espressivamente migliore di altri (ci mancherebbe anche); ma non ignoriamo che l’esercizio della fotografia dipenda anche, ma non soprattutto, dalle possibilità tecniche offerte dagli strumenti. In questo senso, le praticità operative della fotografia 24x36mm, appunto nata dalla Leica (1925, la data ufficiale), stanno alla base di molta fotografia dal vero, forse di tutta: senza arriva-
IL CASTELLO DEI PICO
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estituito alla città all’inizio di giugno, il Castello dei Pico, a Mirandola, in provincia di Modena, è stato completamente ristrutturato con un intervento superiore ai venti milioni di euro (www.castellopico.it). Il Comune di Mirandola ha contribuito, acquistando una parte dei locali restaurati; il Comune gestirà, quindi, le iniziative pubbliche che vi verranno organizzate e svolte. A fronte di un proprio ulteriore contributo, la Ras Assicurazioni Mirandola ha allestito qui la sua nuova sede. La restante parte dell’intervento è stata finanziata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Mirandola, attraverso una società appositamente costituita (Mirandola Arte e cultura), che mette a reddito una parte dei locali ad uso ufficio. Il progetto di recupero, approvato nel 2001 dal Comune dopo l’autorizzazione della Soprintendenza per
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i Beni Architettonici e per il Paesaggio, ha avuto un iter relativamente breve. Il pregevole intervento è stato realizzato dalla ditta Acea Costruzioni di Mirandola e progettato da un qualificato nome dell’architettura italiana, Guido Canali, che ha firmato numerosi importanti progetti di restauro di edifici storici, come il Palazzo della Pilotta a Parma. Nel Castello, la Fondazione ha ora la sua nuova e prestigiosa sede, comprensiva di spazi adeguati per offrire ai visitatori le proprie preziose collezioni di monete, dipinti, disegni, casseforti antiche e armi: sale espositive a piano terreno, dove si trova anche il bookshop, e su tre dei quattro piani del Castello; auditorium da duecento posti; e sede del Gruppo Fotografico Leica, con annessa Sala Leica Cultura, al quarto piano.
re a ulteriori sottodivisioni di genere, il reportage fotografico come noi ancora l’intendiamo è nato proprio con gli apparecchi fotografici portatili, di piccole dimensioni e confortevole facile utilizzo. Curiosamente, le fotografie che Oskar Barnack ha realizzato nei primi decenni del Novecento, con l’apparato per pellicola 35mm a doppia perforazione autocostruito, sono anticipatorie di questa lunga stagione: è lecito e legittimo che il Gruppo Fotografico Leica le proponga al pubblico come una sorta di origine, se non già preistoria (diciamola così). Del resto, l’apparato fotografico usato da Oskar Barnack è oggi identificato UR-Leica, ovvero adotta il prefisso che in tedesco significa primitivo, primordiale (rafforzativo del concetto di originario). La storia Leica sottolinea che non si trattò di un auRituale fotografia di Gruppo (Fotografico Leica), in occasione dell’inaugurazione del Castello dei Pico, a Mirandola, in provincia di Modena, dove è stato riservato un particolare spazio ad esposizioni fotografiche, appunto realizzate e coordinate dal qualificato Gruppo. La prima mostra, di avvio o anteprima?, è stata allestita con fotografie scattate da Oskar Barnack, l’inventore della Leica, con l’apparato che si identifica come originario dell’idea, oggi definito UR-Leica.
tentico prototipo; senza approfondire eccessivamente i fatti, peraltro già raccontati (per esempio, in FOTOgraphia del luglio 2004, in subordine alla presentazione della riedizione Leica 0 Prototyp 2), ricordiamo soltanto che si trattò di un portapellicolaesposimetro che Oskar Barnack costruì per supportare prove cinematografiche dell’amico Émil Méchau. Comunque sia, questa serie fo-
tografica, salvata e custodita da Leitz-Leica, è straordinariamente preziosa. Ancora oggi, la sua testimonianza scorre su un binario doppio. Da una parte, compone un insostituibile capitolo delle origini della stessa macchina fotografica Leica; dall’altra, è certificazione originaria di un senso dell’immagine rivolto allo svolgimento della vita. In tempi recenti, queste fotografie
di Oskar Barnack hanno accompagnato una iniziativa commerciale della casa, combinata con la riedizione Leica 0 Prototyp 2 appena ricordata, appunto identificata Leica Oskar Barnack (in occasione del centovenQui a destra, due fotografie di Oskar Barnack: l'Hohenzollernbrücke di Colonia, nel primo decennio del Novecento, e un villaggio tedesco nel 1914.
Oskar Barnack accanto la sua automobile. L’inventore della Leica realizzò anche amabili istantanee, che stanno all’origine di un modo di intendere la fotografia.
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Vita quotidiana a Wetzlar, dove aveva sede la Leitz, alluvione di Wetzlar del 1920, paesaggi e persone (Master Sattler): le fotografie di Oskar Barnack sono specchio di una personalità attenta e serena.
ticinquesimo della nascita: 18792004). Oltre i consueti complementi e le necessarie certificazioni di autenticità, ogni confezione della replica Leica 0 Prototyp 2 ha incluso anche una fotografia originale di Oskar
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Barnack, stampata da negativi 24x36mm esposti con la UR-Leica su pellicola Agfa Sistan. Dieci soggetti sono stati prodotti in tiratura di cento esemplari ciascuno, per il totale di mille repliche celebrative.
Ripetiamo. Il corpus di fotografie scattate da Oskar Barnack sta in equilibrio tra la fotoricordo familiare (moglie e figli) e la curiosità di osservare la vita quotidiana di Wetzlar, dove risiedeva. Istantanee (è questa la definizione, che fa la differenza!) piene e cariche di naturalezza, che hanno dato involontariamente avvio a un genere fotografico che nel corso dei decenni si è affermato, e che nel corso del tempo ha scandito i modi e lo stile della concentrata osservazione e documentazione fotografica della vita. A parte il loro valore generale, ne annotiamo un altro mirato: tutta la serenità che traspare dalle immagini di Oskar Barnack è lo specchio di una personalità a un tempo forte di carattere e semplice d’animo. M.R.
FOTOGRAFIA CON BARBIE
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In edicola da metà giugno, il numero di luglio di Barbie Magazine si propone di restare in distribuzione per tutta l’estate. Infatti, a parte la consueta serie di argomenti rivolti al proprio pubblico, alcuni estemporanei altri ad appuntamento fisso e costante, la rivista è confezionata con una macchina fotografica in allegato. Coerente con la consuetudine della combinazione stagionale mirata, da tempo caratteristica dell’editoria periodica italiana, avviata qualche stagione fa e ormai endemica nel costume nazionale, questa unione non appartiene all’altro filone, analogamente endemico all’edicola, delle abbondanti collane monografiche di taglio artistico, letterario o geografico. La differenza è sottile, e la sua sottolineatura necessaria. Per quanto biasimata da più parti, a volte la combinazione editoriale tra rivista cartacea e oggettistica di vario genere appare mirata e consequenziale alla stessa personalità editoriale. È questo il caso, pur con i dovuti distinguo, che esprimeremo in chiusura. Per quanto richiamo artificioso, ma non certo ingannevole, la macchina fotografica di Barbie Magazine trova proprie motivazioni nel contatto redazionale con il pubblico. Due sono i richiami all’interno della rivista. Il primo, più importante, tanto da comporre i connotati dell’autentica motivazione, si trova nel risvolto di copertina, dove sono riportati fantasiosi badge di identificazione. Lo stile è quello infantile, ed è pertinente che sia così: doppio badge sagomato da ritagliare e indossare con legittimo orgoglio. In un caso, sul proprio fronte, il badge qualifica chi lo porta come Fotografa Ufficiale
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Barbie Magazine di luglio, con permanenza in edicola allungata sui mesi dell’estate, è in vendita combinata con una macchina fotografica semplificata, completa di propria custodia subacquea dedicata.
Barbie (ovviamente, ci si rivolge a un pubblico di bambine); nell’altro, si identifica una Fotografa Ufficiale delle Vacanze. In entrambi i casi, si coinvolge il pubblico in un gioco a doppio indirizzo, in andata e ritorno, con invito alla consistente e consapevole partecipazione (pagina accanto). Testuale, la presentazione dell’iniziativa: «Adesso che avete anche voi la mia macchina fotografica Fotosub... [è la personalizzazione di Barbie che parla al proprio affezionato pubblico] potete scatenarvi! Vi nomino FUV, cioè Fotografe Ufficiali delle Vacanze: ritagliate questi cartellini e appendeteli al collo con un nastrino. Ora siete pronte per immortalare i momenti più buffi, dolci e divertenti delle vostre vacanze! E poi, mi raccomando, mandatemi tante foto!». Ovviamente, la macchina fotografica in vendita combinata è estremamente semplice e semplificata: compatta senza alcuna regolazione tecnica richiesta, con messa a fuoco fissa Focus Free. Basta inquadrare e scattare, niente di più, con la sola aggiunta (dalla nostra chiave di lettura fotografica) della
confortevole e sicura ampia inquadratura di un sostanzioso grandangolare 28mm. Rifinita in rosa (ma forse i colori possono essere diversi, miscelati nella distribuzione capillare attraverso le edicole italiane), con una decorazione che richiama giornate in riva al mare, la macchina fotografica è a propria volta combinata con una custodia subacquea dedicata “per le tue foto in acqua e all’aperto!”, da cui, appunto, la identificazione Fotosub. A seguire, al centro di Barbie Magazine è stato inserito un altro supporto in cartone rigido da sagomare, per ottenere un “porta foto 3D!” (accidenti, all’insistito punto esclamativo, che sta diventando una triste usanza dell’editoria nazionale). Con semplici operazioni di piega e taglio si ottiene un portafotografie nel quale la stampa fluttua su un fondale marino, con un accattivante effetto su più piani. Prima osservazione: mentre componenti commerciali della fotografia rivelano di mal interpretare il proprio compito istituzionale, dall’esterno (da Barbie Magazine, nello specifico) arriva una concreta iniziativa a sollecitazione della fotografia. Il percorso va sottolineato, annotando che da tempo il mercato fotografico è definito da una propria proposta di offerta, peraltro scandita solo da termini tecnici che identificano le prestazioni dei singoli apparecchi. Mentre, all’opposto, Barbie Magazine interpreta la fotografia come il commercio specifico ha smesso di fare, declinando una proposta di domanda. Va al sodo, va al prodotto finale e alla relativa gratificazione personale: gioco durante le vacanze, allungato sulla partecipazione alla rivista («E poi, mi raccomando, mandatemi tante foto!») ed
Doppio badge di identificazione allegra e spensierata di Fotografa Ufficiale Barbie e Fotografa Ufficiale delle Vacanze. Da ritagliare dalla rivista e appendere al collo con un nastrino.
esteso a una galleria personale (porta foto 3D). Il conto è presto fatto: decine di migliaia di macchine fotografiche semplificate in mano a bambine; molte verranno usate, con conseguente consumo di rullini, per relativo sostanzioso servizio di sviluppo e stampa. Una sola amarezza, che abbiamo anticipato in apertura, per l’incredi-
bile economicità dell’intera iniziativa (ma non avrebbe potuto essere diversamente): rivista, macchina fotografica, custodia sub in edicola a 6,90 euro. Considerata la consecuzione dei costi produttivi nazionali (rivista, ampio cartone di supporto, cellophanatura e altro), non riusciamo a ipotizzare il costo originario della macchina fotografica, a propria volta blisterata unitamente alla
custodia subacquea dedicata. Ovvero, pensiamo che non sia più il caso di sostenere le economie di quei paesi del lontano oriente che sono economicamente convenienti in relazione alle proprie politiche interne del lavoro: che spesso impegnano bambine della stessa età di quelle che in Italia scatteranno allegre fotografie delle proprie serene vacanze estive. A.G.
COMPUTER MULTIMEDIALE
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Almeno tre sono i fattori discriminanti, che distinguono la fotografia da telefonino (strumento che stiamo per ridefinire) dall’espressione visiva fino a oggi conosciuta e codificata. Ognuno per sé, e tutti insieme appassionatamente, sono tre fattori che disegnano differenze e personalità tanto sostanziali, da comporre addirittura i tratti di una nuova strada; ovvero, una nuova fotografia, come abbiamo annotato un mese fa, avviando queste riflessioni mirate. Nei fatti: una nuova strada e una nuova fotografia in precedenza inesistenti. Uno. Come abbiamo già accennato, appunto lo scorso mese, per il telefonino con funzioni fotografiche l’immagine non rappresenta un punto di arrivo finale, ma un elemento di partenza, per future possibili trasformazioni e veicolazioni. Tanto che, d’ora innanzi, dovremo identificare questo telefonino come autentico computer multimediale: visto che la presenza fotografica è soltanto una delle tante e che la stessa fotografia si integra e dialoga con infinite altre funzioni complementari di gestione dell’immagine e dell’informazione. Una volta acquisita, l’immagine (la fotografia) è pronta e disponibile per proprie proiezioni, pressoché infinite. Per quanto la distinzione tra l’originario dagherrotipo e gli altri princìpi fotografici dell’inizio della lunga avventura (dal 1839: l’annotazione storica e culturale è inevitabile) si è basata anche sulla possibile moltiplicazione delle copie dei sistemi con negativomatrice, oggi, in parallelo, dobbiamo sottolineare come il computer multimediale, che ciascuno ha nelle proprie tasche, proietti a trecentosessanta gradi le proprie potenzialità operative e di gestione: invio e condivisione delle immagini, per quanto ci riguarda direttamente, senza alcuna soluzione di continuità. Due. La vicenda quotidiana del mondo, della vita nel mondo, è ormai potenzialmente documentabile. Cioè, nulla avviene più e nulla avverrà più senza la
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Autentico computer multimediale, il Nokia N73 offre consistenti prerogative fotografiche: obiettivo Carl Zeiss Tessar, zoom digitale 20x (video 8x), monitor VGA da 2,4 pollici (240x320 pixel), flash integrato, otturatore meccanico. A seguire, la risoluzione immagine da 3,2 Megapixel (2048x1536 pixel) può contare su connettività pratiche e versatili. Ripresa video a 1,5 fotogrammi al secondo, fino a tre ore di registrazione.
relativa registrazione fotografica. Alcuni dei più recenti fatti drammatici, dall’attentato ferroviario spagnolo alle bombe nella metropolitana londinese alla tragedia dello Tsunami, ne sono prova tangibile. Prima dell’arrivo di attenti fotoreporter, tutto è già stato fotografato dal telefonino (computer multimediale), inviolabilmente presente su ogni scena. Tre (è fondamentale!). Diversamente dalla fotografia fino a oggi eseguita da operatori attenti e consapevoli, che applicano grammatica e lessico di lunga data e concentrata coscienza specifica, la fotografia quotidiana da telefonino (computer multimediale) compone e comporrà sempre di più un racconto della vita spontaneo e immediato. Lo strumento fotografico abbinato allo svolgimento della vita, diverso da quello selezionato e portato con sé in relazione e dipendenza a una specifica volontà di osservare in termini fotografici, è e sarà sempre più guidato dall’emozione individuale, sollecitata dai personali momenti di vita. Non sarà più una fotografia di e da addetti, che pure continua la propria strada, ma una fotografia
spontanea, magari senza inquadratura, magari senza costruzione prospettica ragionata, sicuramente senza applicazione di punti e piani principali di interesse (composizione e distribuzione coerente della nitidezza e della sfocatura). Ovvero, una fotografia senza sovrastrati. In tale ambito, scandito da questi tre fenomeni coabitanti, Nokia è un’azienda che si muove meglio e più di altre. La differenza, rileviamolo, non è da poco, perché distingue un’offerta commerciale (e tecnica) passiva, che propone solo caratteristiche e prezzo, da una attiva, che sollecita e sottolinea le implicazioni di uso, tutte indiscriminatamente rivolte alla gratificazione dell’utente. Così, oltre l’indispensabile linea hardware, la filosofia Nokia include anche l’idea esplicita e dichiarata della connessione capillare, che soddisfa e appaga il desiderio latente che ciascun utilizzatore ha di condividere all’esterno la propria azione (fotografica, per quanto ci interessa direttamente). A partire dalle dotazioni presenti/futuribili dei propri telefonini (computer multimediali), Nokia dà spessore e risalto alle funzioni successive, rendendole attive e proiettandole a tutto campo. Se sono richiesti paralleli storici e culturali, propri e caratteristici del mondo fotografico cui comunque apparteniamo, che ha profonde radici indietro nei decenni (fino ai secoli), possiamo richiamare un’altra idea, che ancora più rafforza l’immagine da telefonino (computer multimediale). Senza alcuna contrapposizione, ma nella consapevolezza di percorrere un tragitto nuovo e innovativo (non alternativo alla fotografia come si intende solitamente: sia chiaro), le consecuzioni della fotografia da telefonino (computer multimediale) richiamano e assolvono antichi sogni, che stanno alle origini stesse della fotografia. Addirittura, annotiamo tali evocazioni riportate nelle parole con le quali, il fatidico 7 gennaio 1839 (!), l’astronomo e fisico francese Domi-
nique François Jean Arago, padrino dichiarato e schierato di Louis Jacques Mandé Daguerre, presentò il processo dagherrotipico all’Accademia di Francia. La nascita della fotografia, che appunto datiamo ufficialmente da quel giorno, sottolineò come la creazione automatica di immagini avrebbe consentito all’umanità di superare spazio e tempo: visualizzando luoghi lontani e testimoniando fatti svolti. Per estensione, anche questa connotazione tipica e caratteristica è oggi magistralmente reinterpretata dalla fotografia con telefonino (computer multimediale) e successive gestioni. Dopo lo scatto, con semplicità e facilità, ciascuno può condividere l’immagine estendendo all’infinito i relativi contenuti: sia indirizzati casualmente sia mirati a persone selezionate. In tempo reale, e senza strumenti aggiunti, le fotografie possono arrivare sulla rete Internet, magari attraverso i diffusi blog (il cui fenomeno sta crescendo in misura esponenziale). Ancora, senza limiti di distanza, possono essere immediatamente inviate a destinazioni prescelte, appunto annullando spazio e tempo. Per quanto questa identificata esplosione quantitativa azzeri ogni considerazione sul contenuto implicito ed esplicito della fotografia (così come fino a oggi l’abbiamo solo intesa), il conforto dei numeri identifica un fenomeno planetario che dischiude porte di rinnovate socialità. Autentico sistema aperto, quello della fotografia da telefonino (computer multimediale), che esemplifichiamo in queste pagine, è un autentico avvenimento epocale con il quale fare i propri conti: di contenuto, prima che di forma. I valori in campo sono chiari ed espliciti. Ricordiamo ancora la nostra
Con il telefonino dotato di funzioni fotografiche (computer multimediale), oggetto individuale proprio del mondo occidentale, nulla può più avvenire senza la relativa documentazione fotografica (appunto). Dai momenti particolari (scontri di piazza, qui accanto) alle emozioni personali (a sinistra), alla vita quotidiana, tutto avviene in presenza di strumenti fotografici spontanei e capillarmente diffusi.
individuazione di tre personalità sulle quali riflettere, che abbiamo appena approfondito: per il telefonino con funzioni fotografiche (computer multimediale) l’immagine non rappresenta un punto di arrivo finale, ma un elemento di partenza, per future possibili trasformazioni e veicolazioni; nulla avviene più e nulla avverrà più senza la relativa registrazione fotografica; diversamente dalla fotografia fino a oggi eseguita da operatori attenti e consapevoli, la fotografia quotidiana da telefonino (computer multimediale) compone e comporrà sempre di più un racconto della vita spontaneo e immediato. Ogni istante ci offre esempi, che si impongono alla nostra attenzione. Due, sopra tutti, per citare ancora in grande. Paradossalmente, nei giorni dell’agonia, morte e solenni funerali di papa Woityla (aprile 2005), la folla presente a Roma ha scattato più fotografie con telefonino di quante siano state scattate in tutta la precedente lunga storia della fotografia (non è vero, ma la consecuzione di cifre è forzatamente plausibile: serve al ragionamento, indipendentemente dai numeri reali). Ancora, un dato ufficiale afferma che lo scorso dicembre 2005 su un blog di grande richiamo e straordinario successo sono state scaricate ses-
santacinque milioni di fotografie. Vogliamo continuare a considerare questi valori con diffidenza? Vogliamo continuare a ignorarne il peso e spessore? Vogliamo continuare a contrapporre Megapixel ottimali a presunte non qualità di immagine (che non vuol dire proprio nulla)? Vogliamo continuare a sbandierare una altra teorica purezza di immagine? Oppure, preferiamo osservare questa socialità, con la trasparenza di un pensiero libero che ne identifichi i confini e tracci le linee conduttrici? Indipendentemente da scelte e indirizzi individuali, a ciascuno i propri, oggi l’immagine passa anche attraverso questi canali. È un’altra immagine, ne siamo consapevoli; ed è un’immagine socialmente forte e motivata. Non dimentichiamolo mai. M.R.
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inalmente, in presenza della serie di immagini che Giuseppe Vitale ha realizzato nell’ambito della Tattoo Convention di Milano dello scorso febbraio, il pretestuoso dibattito attorno la mediazione della fotografia non ha alcun diritto di ospitalità (nonostante, altrove, la materia sia tenuta in grande considerazione: e così andremo a concludere). Come testimonia la selezione raccolta in queste pagine, estratta da un insieme quantitativamente più consistente, si tratta di immagini realizzate con occhio attento e mente partecipe: che sono poi gli elementi discriminanti del racconto fotografico, ovvero dell’autentico reportage. Cioè sono immagini che riportano e rivelano: e noi affermiamo che lo fanno bene, restituendo sia clima sia atmosfera. Pur con il riguardo che si deve ai temi giornalistici di taglio alto, si tratta di fotografie realizzate nell’autentico spirito dei grandi reportage, che rispettano il senso e spirito del soggetto rappresentato, offerti all’osservatore senza alcuna petulante indelicatezza. Linguisticamente, Giuseppe Vitale ha optato per la costruzione in bianconero, accodandosi così a una lunga e nobile tradizione, che affonda le proprie radici indietro nei decenni e appartiene alla più attenta delle lezioni formali della fotografia. Questa azione tecnica va sottolineata per due ragioni, ognuna indipendente dall’altra. Anzitutto, Giuseppe Vitale ha evitato l’intromissione visiva di un colore intrigante, che identifica i connotati solo apparenti del soggetto fotografato, appunto una sequenza di corpi abbondantemente tatuati in vivacità cromatiche. Simultaneamente, ha accodato la propria azione a un reportage di lato, che arriva al dunque senza clamori né eccessi compositivi. Personalmente è questo il reportage che condividiamo, è questa la fotografia alla quale rivolgiamo le nostre preferenze; una fotografia che, come abbiamo appena annotato (e altre volte ribadito), privilegia il valore di racconto e traccia dell’esistenza. Perché ciò avvenga occorrono autori preparati e
sintonizzati, la cui intuizione venga rivolta e diretta al riconoscimento di istanti di vita, che solo la fotografia può sintetizzare in una inquadratura o in una serie di immagini omogenee. Alla resa dei conti, continuando il riferimento alla odierna serie di Giuseppe Vitale, tutto questo si concretizza in im-
Suggestivo reportage svolto su un tema particolare, in una manifestazione pubblica del mondo del tatuaggio. Declinando una grammatica nota, Giuseppe Vitale ha tratteggiato un racconto di vita, componendo indelebili tracce di esistenza. Fotografie che si manifestano con confortante trasparenza, in pertinente equilibrio formale di stile e mediazione tecnica. Anche a questo, occorre riferirsi
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STORIE D
magini che non sono la realtà (e ci mancherebbe altro), ma che questa realtà interpretano, con la forza visiva e la concentrata emozione delle relative invenzioni fotografiche dell’autore, che le costruisce applicando una particolare e attenta grammatica che dipende dal suo cuore e dalla sua mente.
Tattoo Convention, abbiamo precisato, rimarcando ciò che le immagini svelano esplicitamente. Non professionista della fotografia, Giuseppe Vitale appartiene a quella gloriosa schiera di autori che, svincolati da commissioni e incarichi, dirigono la propria concentrazione fotografica secondo intenzioni e intuizioni indivi-
ELLA VITA
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duali. Così facendo, questi autori integrano il racconto della vita annunciata, quella affrontata per professionismo, componendo i connotati di una vicenda a dir poco fantastica, che giorno dopo giorno arricchisce il patrimonio culturale e l’esperienza esistenziale di ciascuno di noi. Senza queste attenzioni mirate, e svolte con impagabile dedizione, molti capitoli della società contemporanea rischierebbero di perdersi nel dimenticatoio. Perché, diciamolo con chiarezza, e anche con un briciolo di rammarico (tanta responsabilità ne consegue), una certa memoria dipende e si basa anche sulla documentazione e testimonianza della fotografia, che conserva e allunga nel tempo istanti altrimenti impalpabili. Il particolare fenomeno del tatuaggio, che compone i connotati di un mondo a parte, che vive con regole e riferimenti propri, diversi (a volte divergenti) da quelli correnti, è stato osservato con straordinario garbo. Apprezziamo l’eleganza con la quale Giuseppe Vitale si è accostato all’argomento, evitando l’inutile schiamazzo di (pre)giudizi, ma guidato dalla sola voglia di vedere (non soltanto guardare), per capire. In questo senso, la
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macchina fotografica è una compagnia propizia, addirittura discriminante e determinante: permette di introdursi in mondi altrimenti impenetrabili, guida lo sguardo, sollecita l’attenzione, aiuta a comprendere. Ci pare di sentire il piacere che l’autore riceve dal contatto con la vita, appunto osservata con occhio fotograficamente attento. Nonostante l’annotazione possa apparire in qualche misura discordante, non c’è contraddizione nell’uso della macchina fotografica: da un lato facilita il contatto con il soggetto, dall’altro fornisce anche una necessaria distanza. Partecipe di un reportage svolto e declinato nella consapevolezza di un linguaggio definito e codificato da straordinari autori, storici e contemporanei, Giuseppe Vitale rivela di aver assimilato la lezione, prontamente interpretata con apprezzata personalità (d’autore!). Scorrendo le immagini intuiamo come nel suo agire sia guidato da ciò che lo tocca e sorprende. Le fotografie non nascondono nulla, rivelano ciò che va condiviso con l’osservatore. Non c’è una formula per scattare questo tipo di fotografie, ma ci sono i sentimenti e le sensazioni. La fotografia della vita, quale è questa di Giuseppe Vitale, si basa su un processo misterioso; una sfida senza fine. Nuove idee si schiudono costantemente e nuove possibilità espressive si rivelano a ogni passo. Ciò che identifica l’autore è proprio questo: sapersi aprire abbastanza per riconoscerle nel momento in cui appaiono, saperle portare avanti e perseguirle. Quindi, in conclusione, le fotografie si manifestano e fanno riconoscere nella propria confortante trasparenza; possono essere anche enigmatiche, ma sono sempre vive: a volte funzionano per ciò che è presente nell’inquadratura, altre volte per quanto ne è restato fuori (e lo capiamo bene). Comunque sia è alle fotografie che bisogna sempre riferirsi, annotando la loro indispensabile mediazione solo a titolo esplicativo, quando e se serve, mai elevandola oltre il valore fondamentale della comunicazione visiva. Volendolo fare, senza av-
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viarci in alcun altro dibattito inutile, registriamo che queste fotografie in bianconero di Giuseppe Vitale, interpretate in adeguati passaggi tonali e consistente contrasto, sono state realizzate con un apparecchio ad acquisizione digitale di immagini. Ripresi con Epson R-D1 dotata di obiettivi Leica (FOTOgraphia, maggio 2004), i file originari sono stati pensati in relazione alla programmata postproduzione in bianconero. Questa è grammatica, questa è sintassi, peraltro declinate da un autore che solitamente usa apparecchi Leica M a telemetro (e fa parte del selettivo Gruppo Leica). A proposito di mediazione tecnica non ci interessano altre parole. Questo è tutto: «finalmente, in presenza della serie di immagini che Giuseppe Vitale ha realizzato nell’ambito della Tattoo Convention di Milano dello scorso febbraio, il pretestuoso dibattito attorno la mediazione della fotografia non ha diritto di alcuna ospitalità». Maurizio Rebuzzini
Direttamente derivata dal precedente sistema (Minolta) Konica-Minolta Dynax, la reflex digitale a obiettivi intercambiabili Sony ␣ 100 nasce al centro di un completo sistema fotografico, già ricco e differenziato per quantità e qualità di proposta.
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nche se in tempi di cronaca non ci siamo espressi, ora è necessaria una premessa, sono obbligatorie considerazioni di fondo. A seguire, le note tecniche della Sony α 100 (Alpha), la prima reflex digitale a obiettivi intercambiabili della celeberrima casa giapponese, che entra in un mercato che fino a ieri ha osservato soltanto dall’esterno. Quando lo scorso gennaio Sony ha annunciato l’acquisizione/assorbimento dell’intera produzione fotografica Konica-Minolta ci siamo limitati a registrare un fatto, il fatto, senza ulteriori commenti pubblici, ai tempi sicuramente inopportuni (almeno dal punto di vista riflessivo e di approfondimento entro il quale esercitiamo il nostro impegno redazionale). Oggi, a fronte dell’annuncio ufficiale della prima reflex digitale a obiettivi intercambiabili siglata Sony, evidente frutto di quell’originaria combinazione aziendale e societaria, si impone una analisi in profondità. Questa azione Sony non è nuova. Lo è nel territorio fotografico, ma già in precedenza si è registrato qualcosa di analogo nel mondo della telefonia mobile, quando Sony ha incorporato il marchio e la produzione Ericsson, dando vita a una nuova identificazione tecnica e commerciale Sony-Ericsson (appunto). Finanziariamente forte, magari gratificata dalle infinite ramificazioni tecnologiche entro le quali agisce, è giocoforza per Sony allargare i propri orizzonti
commerciali, estendendosi in ogni possibile e potenziale ambito merceologico. In assenza di propria tecnologia fotografica autonoma, come è stato per la telefonia mobile (?), ha colmato il divario tecnico di mercato con l’acquisizione di un pacchetto completo, preconfezionato. Approfondendo questa consecuzione, sorge spontanea una considerazione sostanzialmente positiva, che prontamente condividiamo. Nel rispetto di sentimenti di persone e aziende coinvolte nella vicenda (soprattutto in senso negativo), non possiamo ignorare una certa positività nell’azione Sony, che con l’assorbimento di Konica-Minolta sottolinea il valore commerciale di un settore merceologico, quello delle reflex digitali a obiettivi intercambiabili, da molti osservato ormai con diffidenza e distanza. Se Sony è tanto interessata alle reflex digitali, vuol dire che vi intravede spazi commerciali di sostanziosa remunerazione finanziaria. Cioè vuol dire che, in tempi differenziati, il taglio medio-alto dell’espressione commerciale della fotografia ha modo di esprimere proprie accattivanti potenzialità. Magari, come annotato, non si tratta di un punto di arrivo, la reflex digitale così come ora l’intendiamo, ma di un trampolino in proiezione, verso interpretazioni fo-
REFLEX DI OGGI REFLEX DI DOMANI
tografiche in divenire (quando e con che collaborazioni tra aziende, che ormai non possono certo pensare in termini isolati?). Certamente, l’industria produttrice guarda avanti; e sa cosa vede: anche perché sa come arrivarci. Il problema complessivo, che non riguarda soltanto Sony, ma da oggi riguarda anche Sony, è forse quello di imparare a cavalcare, oppure trasformare, un mercato di proposta, diverso da quello di offerta, entro il quale sono maturate e si sono evolute le tecnologie fotografiche espresse dai marchi di antica tradizione, che oggi viaggiano accanto a produzioni di altra origine (elettronica soprattutto): e l’integrazione tra due pensieri commerciali, oltre che tecnologici, è ormai indispensabile all’intero mercato.
SONY REFLEX Ciò detto, la cronaca accende i propri riflettori sulla prima reflex digitale a obiettivi intercambiabili Sony. Per quanto l’originaria α 100, con sensore da dieci Megapixel abbondanti e avvincenti combinazioni tecniche a complemento, abbia evidenti debiti di riconoscenza con la precedente genìa Mi-
nolta e poi Konica-Minolta Dynax, non siamo lontani dal vero quando sottolineiamo che a tempi brevi la forbice tra passato e presente tecnologico, in proiezione futuribile, sposterà diversamente l’ago della bilancia. È scontato che a breve (?) Sony farà valere le proprie sinergie tecnologiche, intervenendo sia sulle caratteristiche tecniche, sia sulla linea produttiva, sia sulla proposizione commer-
ciale delle prossime, inevitabili reflex del sistema. Il tutto, potendo già partire con una configurazione di sostanza: sistema completo, con accessori diversificatori in quantità e qualità, entro il quale si segnala un sistema ottico estremamente differenziato, cui si aggiungono interpretazioni Carl Zeiss (che da tempo fornisce a Sony gli obiettivi per le proprie digitali a obiettivo fisso di taglio alto). E poi, in consecuzione, va sottolineato che la Sony α 100 e il relativo sistema nascono già maturi e radicati sulla lunga storia Minolta e Konica-Minolta, di cui si mantengono le compatibilità, che vanta oltre sedici milioni di obiettivi autofocus venduti in tutto il mondo.
Prima reflex digitale Sony, l’␣ 100 anticipa un programma fotografico di taglio medio-alto che in un imminente futuro esprimerà certamente particolari interpretazioni tecniche.
DOTAZIONI Infrastrutture a parte, che comunque non sono certo da sottovalutare (anzi, è addirittura vero il contra-
Acquisita la produzione Konica-Minolta, con annuncio a sorpresa dello scorso gennaio, ormai abbondantemente assimilato dal mercato, la giapponese Sony accelera la propria personalità fotografica con un imperioso ingresso nel settore delle reflex digitali a obiettivi intercambiabili. Proprio qui, lo annotiamo, si stanno concentrando le attenzioni di tanta industria fotografica, che in precedenza aveva fatto vangelo (è il caso) della proposizione in forma compatta. Non pensiamo si tratti di un punto di arrivo, entro il quale agiscono marchi di grande richiamo sul pubblico, quanto di un trampolino di lancio per future evoluzioni tecniche e commerciali. Non sappiamo di che futuro si tratti: se prossimo, oppure venturo. Ma qualcosa sta certamente per maturare 29
Oltre gli obiettivi noti, per la Sony ␣ 100, e le altre reflex che seguiranno, sono annunciati disegni Carl Zeiss.
rio), riprendendo e attualizzando soluzioni già conosciute, la Sony α 100 si presenta con un sensore di acquisizione da 10,2 Megapixel effettivi, di formato APS-C (15,8x23,6mm), dotato di filtro colori primari RGB: per immagini nitide e dettagliate, definite da
una vasta gamma cromatica e da ricche sfumature tonali. Alta sensibilità, elevata risoluzione e livelli di rumore consistentemente bassi si traducono in una accattivante riproduzione delle immagini, fino a stampe su carta di generose dimensioni. Operativamente, lo stabilizzatore ottico Super SteadyShot, incorporato nel corpo macchina, dunque esteso a tutti gli obiettivi di costruzione standard, compensa automaticamente gli eventuali movimenti involontari dell’apparecchio al rilascio dell’otturatore, regolando in tempo reale il sensore CCD di acquisizione, per offrire immagini ferme e nitide. Compatibile con tutti gli obiettivi del sistema Sony α, comprese le costruzioni ottiche specialistiche, lo stabilizzatore Super SteadyShot compensa la velocità dell’otturatore a incrementi di 23,5 step. È così possibile impostare sensibilità Iso equivalenti adeguatamente inferiori, oppure scattare in condizioni luminose avverse, senza sostanziali rischi di micromosso (dell’apparecchio). Ancora sul fronte della sicurezza di impiego e uso, si registra la dotazione di un sistema anti-polvere, che riduce al minimo l’effetto delle particelle di polvere che entrano involontariamente nel corpo macchina reflex durante la sostituzione degli obiettivi intercambiabili. Il rivestimento anti-statico del sensore CCD agisce da barriera anti-polvere, mentre la funzione vibrazione provvede a scuotere lievemen-
IN BREVE
C
onfermiamo e ribadiamo la nostra opinione. Con la reflex digitale a obiettivi intercambiabili Sony α 100 nasce una nuova divisione della casa giapponese, che manifesta concrete e tangibili intenzioni commerciali nell’ambito della fotografia di taglio medio-alto, comunque sia intenzionalmente più elevato di quello assolto e interpretato dalle configurazioni a obiettivo zoom fisso, compatte e non soltanto. A seguire, in tempi non certo dilatati, ma vicini, altre interpretazioni reflex si aggiungeranno, andando a comporre ed estendere i termini di un sistema fotografico che dichiara di voler raggiungere consistenti quote di mercato, di un mercato che pensiamo stia per esprimere una propria, imminente, evoluzione tecnica di sostanza: in questo senso, abbiamo individuato numerosi indizi che guidano le nostre previsioni. Comunque, nello stretto ambito Sony, siamo facili profeti quando pensiamo che qualcosa di nuovo si vedrà già alla prossima Photokina di fine settembre, appuntamento discriminante della tecnologia fotografica applicata. Rapidamente, riassumiamo i connotati tecnici dell’attuale Sony α 100, originaria della specie. ❯ Sensore CCD di acquisizione digitale di immagini da 10,2 Megapixel, in formato APS-C (15,8x23,6mm). ❯ Protezione anti-polvere. ❯ Stabilizzatore ottico Super SteadyShot nel corpo macchina. ❯ Dispositivo Dynamic Range Optimiser, per la corretta interpretazione cromatica. ❯ Processore Bionz, per la gestione delle immagini. ❯ Sensibilità fino a 1600 Iso equivalenti. ❯ Display a cristalli liquidi Clear Plus 230 K da 2,5 pollici, con rivestimento anti-riflesso e Clear Processing per la visione ottimale delle immagini. ❯ Innesto obiettivi Sony α (baionetta Konica-Minolta), con sistema ottico Sony G e Carl Zeiss. ❯ Mirino ottico luminoso, con schermo di messa a fuoco Spherical Acute Matte, ingrandimento 0,83x, regolazione ottica e funzione EyeStart Autofocus.
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❯ Autofocus ad alta velocità con quattro modalità di accomodamento: Single-shot AF, Direct Manual Focus, AF Automatic, AF Continuous. ❯ Ampia area AF con nove aree di messa a fuoco locali e sensore con cursore centrale. ❯ Misurazione su griglia a nido d’ape in quaranta segmenti, spot e semi-spot. ❯ Anteprima profondità di campo. ❯ Selettore one-touch delle modalità di esposizione: Auto, Program, Automatismo a priorità del diaframma, Automatismo a priorità dei tempi di otturazione, Manuale. Sei modalità scene: Ritratto, Paesaggio, Macro, Visione notturna, Tramonto, Sport/Azione. ❯ Bilanciamento del bianco: AWB (automatico) e sei modalità WB preimpostate, con correzione manuale dei colori, selezione manuale della temperatura colore, con compensazione supplementare magenta/verde in diciannove passi; impostazione personalizzabile. ❯ Scatto continuo ad alta velocità, fino a tre fotogrammi al secondo. ❯ Funzione Burst Shooting: immagini Jpeg illimitate, sei fotogrammi grezzi RAW, tre fotogrammi RAW più Jpeg. ❯ Modalità flash avanzate, quali sincronizzazione ad alta velocità, flash supplementare, funzioni wireless e pulsante di accesso diretto alla sincronizzazione sui tempi lenti. ❯ Compensazione esposizione separata flash e non-flash. ❯ Batteria di alimentazione agli ioni di Litio 1600 mAh con tecnologia Stamina, per un’autonomia di settecentocinquanta scatti con un’unica ricarica. ❯ Flash integrato più supporto, per modalità flash multiple (Wireless, Slow Synchro, Rear Synchro). ❯ Schede di memoria CompactFlash; adattatore MemoryStick Duo (in dotazione). ❯ In dotazione software di fotoritocco: Image Data Converter SR 1.1 e Picture Motion Browser. ❯ Dimensioni e peso: 94,7x133,1x71,3mm, 545g.
te il sensore a ogni spegnimento della Sony α 100, per rimuovere le particelle di polvere eventualmente depositatesi. In aggiunta, la vibrazione del sensore può essere azionata anche dal menu di setup. A seguire, si registra il nuovo processore di elaborazione immagini Bionz, che gestisce i dati provenienti dal sensore da 10,2 Megapixel, riducendo i livelli di rumore e assicurando la massima fedeltà nella riproduzione dei colori, che così risultano naturali e brillanti, ricchi di gradazione di tono e definiti da una consistente e considerevole resa dei dettagli, anche dei più piccoli dettagli. Ultimo, ma non ultimo, il dispositivo Dynamic Range Optimiser è garanzia di perfetta esposizione delle immagini, la cui resa è assicurata dalle aree più luminose a quelle in ombra, anche nel caso di soggetti particolarmente contrastati o in forte controluce. Utilizzabile nelle modalità Standard o Advanced, Dynamic Range Optimiser regola automaticamente la curva esposimetrica e i relativi livelli di esposizione, per offrire immagini naturali e adeguatamente illuminate, anche in condizioni ambientali avverse.
IN AGGIUNTA
La reflex digitale a obiettivi intercambiabili Sony α 100 è dotata di ampio display da 2,5 pollici e 230mila pixel di risoluzione. Realizzato con tecnologia proprietaria Clear Photo Plus, garantisce una restituzione visiva realistica e dettagliata delle immagini. Il rivestimento anti-riflesso e uno strato anti-abbagliamento Clear Treatment assicurano colori vivi e contrastati anche in osservazioni forte-
mente angolate e in presenza di brillanti fonti di luce diretta (per esempio, al sole). Il display di navigazione, che visualizza le impostazioni dell’apparecchio e i principali dati di ripresa, segue l’orientamento dell’apparecchio, ruotando automaticamente da orizzontale a verticale nel caso di inquadrature (appunto) verticali. Come accennato, il sistema ottico si basa sulla preesistente gamma Konica-Minolta, della quale è stato conservato l’innesto a baionetta. Oltre gli obiettivi ribattezzati Sony G, sono già annunciati disegni ottici Carl Zeiss, che replicheranno in forma digitale le configurazioni che hanno contribuito a scrivere fondamentali capitoli della lunga storia evolutiva della fotografia: Planar, Sonnar e VarioSonnar, sopra tutti. In aggiunta al flash elettronico integrato, la Sony α 100 è arricchita da una gamma di flash esterni, di varia potenza e capacità operativa, caratterizzati dal sistema di misurazione ad alta precisione ADI, tecnologia proprietaria, e sincronizzabili fino ai più brevi tempi di otturazione. Tra tutti, segnalazioni riservate per i due flash con collegamento TTL wireless e per le unità dedicate alla fotografia ravvicinata, Macro Twin e anulare. Quindi, si conferma la consistenza quantitativa e qualitativa del sistema di accessori diversificatori, dedicati a utilizzi in condizioni particolari piuttosto che indirizzati a una maggiore autonomia di uso della reflex digitale. (Sony Italia, via Galileo Galilei 40, 20092 Cinisello Balsamo MI). Antonio Bordoni
Con la reflex digitale a obiettivi intercambiabili Sony ␣ 100 prende avvio una nuova divisione della celebre casa giapponese, il cui interessamento rivela la potenziale e futuribile buona salute commerciale della fotografia di taglio medio-alto.
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gnuno, nella propria vita e nel proprio impegno, agisce come meglio crede. Speriamo soltanto che ciascuno agisca sempre per il meglio. Ciò detto, quando si lamenta che la fotografia italiana contemporanea, oltre che storica, sia poco riconosciuta e considerata a livello internazionale, e rimane a margine di una consistente espressione culturale, ma anche finanziaria, si è nel vero, così come, al contrario, si è nel falso. Per quanto l’annotazione sia veritiera nella propria espressione, la riflessione non dovrebbe essere conclusiva; invece, dovrebbe e potrebbe rappresentare un adeguato punto di partenza verso ulteriori approfondimenti e, secondo mezzi idonei e convenienti, dovrebbe costituire un invito ad agire. Infatti, se si vuole e per quanto si vuole partecipare al palcoscenico internazionale, bisogna riconoscere e accettarne le regole, gli usi e le convenzioni. Qual è la sostanziale differenza tra la fotografia italiana e quella internazionale? Per certi versi, è presto detto. Nell’ambito della proposta e proposizione d’autore, quella internazionale è una fotografia che si muove con connotati ulteriori la semplice manifestazione di se stessa, ovverosia è una fotografia che presto, subito oseremmo dire, accompagna la propria efficace espressività, materia prima insostituibile, con una consecuzione di passi e iniziative collaterali. In questo senso, gioca probabilmente male una certa giovinezza della nostra cultura specifica (per cortesia, lasciamo qui perdere la storia, il Rinascimento e le nostre profonde radici), che ancora oggi considera il gesto fotografico come momento finale (di gratificazione) e non come elemento di partenza.
Abelardo Morell: Lightbulb, 1991. Camera Obscura, fotografie di Abelardo Morell; introduzione di Luc Sante; Bulfinch Press, New York, 2004; 112 pagine 30x28cm, cartonato con sovraccoperta; 60,00 dollari. Riferendoci a questa monografia parliamo di riconoscimento internazionale dell’autore e della propria coerente cultura di immagine.
A PARLARE
DI FOTOGRAFIA Doppio binario. A partire da considerazioni sulla personalità dell’autore che intende essere così riconosciuto, esemplifichiamo presentando un affascinante progetto fotografico di Abelardo Morell: che con profonda cultura declina un linguaggio di ispirazione antica, addirittura dalle origini (e ancora prima). Oppure, rovesciamo i termini del discorso: per approdare ad aspirate personalità individuali conseguenti il lavoro fotografico d’autore. In ogni caso, anche invertendo i valori, il risultato non cambia. A parlare di fotografia
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PREISTORIA (FORO STENOPEICO E CONTORNI)
T
utte le più serie analisi sulla storia della fotografia precisano che negli anni Trenta dell’Ottocento i tempi tecnici e il pensiero scientifico e culturale erano maturi per la creazione automatica di immagini: la fotografia nasce ufficialmente nel 1839. Tanto è vero che, senza entrare in dettagli qui superflui, registriamo come più ricercatori agirono nella medesima direzione, da paesi diversi, ognuno all’oscuro degli sperimenti degli altri. Allo stesso modo, va sottolineato che il problema non stava nella formazione dell’immagine, fenomeno noto da secoli -ne stiamo per scrivere-, e neppure nell’azione della luce su identificate sostanze sensibili (fotosensibili, diciamo oggi), già verificata in precedenza e codificata. A conseguenza di tutto, allora si trattava di rendere stabile questa immagine formata dalla luce, fissandola perennemente in modo che la stessa luce non potesse più agire sulla sostanza sensibile, appunto desensibilizzata. Per questo, furono discriminanti gli studi di Sir John Frederick William Herschel (1792-1881), che nel 1819 scoprì che l’iposolfito di sodio scioglie i sali d’argento (sensibili alla luce). Il fissaggio è l’elemento fondamentale della fotografia. A proposito: allo stesso John Herschel dobbiamo anche il termine “fotografia”, da lui suggerito in una lettera del 28 febbraio 1839, indirizzata a William Henry Fox Talbot, uno degli autentici padri della fotografia. In alternativa all’eliografia di Joseph Nicéphore Niépce, John Herschel fuse le parole greche “phos” = luce e “grapho” = scrittura. Ancora, dal punto di vista ideologico, culturale, scientifico e, perché no, religioso, la fotografia dipende da un pensiero occidentale: sia privo di senso sacrale dell’immagine, sia educato sulla restituzione prospettica, figlia del Rinascimento e nipote del De architectura di Vitruvio (Primo secolo aC). Complementare all’osservazione a occhio nudo, l’oggettiva formazione dell’immagine nella camera obscura ha caratterizzato i tempi successivi al Cinquecento, quando ha aiutato il disegno e la visione dal vero. Però, la sua origine è più lontana, e dipende dalla proiezione dell’immagine che attraversa un piccolo foro, appunto foro stenopeico (dal greco “stenos opaios” = piccolo foro), che sarebbe poi stato sostituito da una lente e, successivamente, da combinazioni ottiche mirate. A questo proposito, si riferiscono sempre i soliti nomi. Nel Quarto secolo avanti Cristo, Aristotele (348-322 aC) registra che i raggi del sole che passano per una piccola apertura producono un’immagine circolare: in questo modo osserva un’eclissi di sole con una sorta di camera obscura. Un secolo prima, anche il cinese Mo Tzu (nato Mo Ti; 470-391 aC) aveva annotato lo stesso fenomeno, realizzando una propria camera obscura. Circa millequattrocento anni dopo, nel 1039, l’erudito Alhazan (Abu Ali al-Hasan Ibn al-Haytham; 965-1039) descrive il princìpio della camera obscura riferendosi ad Aristotele. A seguire, nel 1267, il monaco inglese Ruggero Bacone (1214-1294) descrive la camera obscura e l’uso dello specchio da anteporre al “forame” per raddrizzare le immagini. Annotiamo, infine, i riferimenti alla camera obscura di Petrus di Alessandria, nel 1342, e Leonardo da Vinci (14521519), che nel 1472 scopre la natura multicolore della luce e nel 1490 (o 1515) spiega il funzionamento dell’occhio, ricorrendo all’esempio della camera obscura. Nel 1521, Cesare Cesariano (1475-1543), allievo di Leonardo da Vinci, attribuisce l’invenzione della camera obscura al monaco Pafnuzio, in Egitto nel Quinto secolo; mentre la prima illustrazione della camera obscura si trova in un testo di Regnier Gemma Frisius (1508-1555), che nel 1545 commenta come l’ha utilizzata per l’osservazione dell’eclissi di sole del precedente 24 gennaio 1544 (a destra, in alto); e così agirà anche il matematico tedesco Christopher Scheiner (1575-1650), per l’eclissi del 1617. Altri riferimenti fondamentali riguardano il testo Magiae Naturalis, del 1558, di Giovanni Battista Della Porta (1535?-1615), dove è descritto il princìpio della camera obscura con foro stenopeico come ausilio al disegno. In questo modo e tale finalità la usano molti pittori per il disegno dal vero; due nomi, sopra tutti: Bernardo Bellotto (1721-1780) e Giovanni Antonio Canal, detto Canaletto (1697-1768).
Georg Brander: tavolo camera obscura, 1769. Come si può costatare, oltre le versioni spartane, la camera obscura ha avuto anche interpretazioni eleganti e raffinate, sempre in linea con i propri tempi. In ogni caso, ribadiamo che tutte le illustrazioni del passato remoto sottolineano il suo uso in ausilio al disegno dal vero: prospettiva, dimensioni e forme certe del soggetto. (in alto) Prima illustrazione di una camera obscura con foro stenopeico. È riportata in un testo del 1545 di Regnier Gemma Frisius (1508-1555), che commenta come l’ha utilizzata per l’osservazione dell’eclissi di sole del precedente 24 gennaio 1544. (al centro) Grande camera obscura portatile costruita nel 1646 ad Amsterdam da Athanasius Kircher.
A differenza, in altre situazioni geopolitiche, e a conseguenza sociali, di costume e abitudine, la presentazione di fotografie, la loro pubblicazione in volume e/o allestimento in mostra non sono (so-
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lo) momenti al culmine di un lungo processo. Per quanto rappresentino l’apogeo di un pensiero e una elaborazione progettuale, queste visibilità esterne sono sempre punto di partenza di e per
una ulteriore consecuzione, soprattutto indirizzata all’affermazione attraverso la vendita di fotografie e il riconoscimento di uno status d’autore.
ABELARDO MORELL, PER ESEMPIO Appoggiamo le nostre considerazioni su un caso fotografico illuminante e significativo, che prendiamo a esempio con il piacere, collegato, di segnalare una fantastica personalità creativa. Di origine cubana, dove è nato a L’Avana nel 1948, Abelardo Morell è stato proiettato sulla più qualificata ribalta internazionale da una recente monografia. Ovviamente, è fotografo da tempo e da anni si muove con abilità nella professione. Soltanto, annotiamolo, la consistente raccolta Camera Obscura, che Bulfinch Press di New York ha pubblicato nel 2004 in accompagnamento a una qualificata serie di mostre negli Stati Uniti, ha superato i confini nazionali: fino a sottolineare lo spessore di un progetto, che è (finalmente) arrivato fino a noi (a pagina 33). Successiva ad altre edizioni librarie sullo stesso argomento, che stiamo per approfondire, e successiva ad altre interpretazioni fotografiche pure raccolte in monografia, Camera Obscura ha il merito della visibilità e di una eccezionale scientificità redazionale ed editoriale: «La camera obscura ha un che di miracoloso, anche dopo la spiegazione razionale dei propri fondamenti ottici [...]. Ciò che Abelardo Morell ha fatto rappresenta uno stravolgimento, che trasforma un processo originariamente passivo in un’azione dinamica e visivamente coinvolgente», annota in introduzione il colto Luc Sante. Cosa fa Abelardo Morell? Applicando con sa-
AL CINEMA realizzato da Abelardo Morell, che costituisce il corpus fotografico dal quale e abbiamo composto le nostre odierne considerazioni e riflessioni, ha un preQcedentesuluantoquale cinematografico. Qualcosa di analogo alla sua Camera Obscura lo si intravede nel film Andrej Rubliov del regista sovietico Andrej Tarkovskij (1969). Nel film c’è un momento identico agli ambienti, alle stanze, ai locali che l’autore di natali cubani e formazione statunitense allestisce per poi fotografare. La cinepresa si attarda su un muro sul quale sfilano labili figure rovescie: sono i soldati tartari che, lentamente, lasciano il villaggio appena saccheggiato. Appunto, in una stanza buia, la raffigurazione rovescia è prodotta dalla toppa della serratura del portone chiuso, che agisce come autentico foro stenopeico. Seppure involontario.
pienza e cultura princìpi antichi, che stanno alla base della formazione delle immagini, dove precedono di gran lunga la loro relativa e successiva registrazione in forma fotografica (riquadro sulla pagina accanto), trasforma ambienti in camera obscura, con relativa proiezione interna delle visioni esterne, che si distribuiscono sulle pareti e le suppellettili della stanza. Quindi, con un apparecchio grande formato 4x5 o 8x10 pollici, fotografa il tutto, registrando la simultaneità della proiezione della camera obscura (con proprio foro stenopeico) nella stanza. Ovviamente, in ordine con altri momenti di cultura, i luoghi non sono mai casuali, ma tengono conto di emozioni attuali e secolari: dalle moderne città a indirizzi classici (fino alle testimonianze del Rinascimento fiorentino), dalle architetture dei nostri giorni ai palazzi della storia. Successivo a A Camera in a Room (nella collana Photographers at Work della prestigiosa SmithDa Camera Obscura di Abelardo Morell: The Empire State Building in Bedroom (New York, NY, 1994).
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ALTRO FORO STENOPEICO
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agico e controverso territorio di ricerca espresSENZA siva (non approfondiamo), alla fotografia senza obiettivo abbiamo dedicato diversi interventi redazionali, soprattutto riferiti a combinazioni tecniFOTO Q che identificate ed esperienze significative. ❯ Avenon Pinhole Air Lens. Foro stenopeico in montatura Leica a vite (39x1) e baionetta Leica M, equivalente all’inquadratura grandangolare 28mm: FOTOgraphia, maggio 1997 (e luglio 1998, in subordine ai Finney Body Cap). ❯ Finney Field 4x5 pollici. Apparecchio a foro stenopeico, con allungamento variabile per le “lunghezze foca- A li” di 40, 75, 150 e 200mm; con richiamo alla linea di box a foro stenopeico Santa Barbara 4x5, 8x10 e 4x10 pollici (panorama): FOTOgraphia, giugno 1998. della presentaCon l’occasione stenopeico Avezione del foro Lens comincianon Pinhole Air più tare uno dei mo ad affron della fotograaffascinanti temi princìpi, consifia. Accenni ai e citazioni derazioni di fondo oggi un arno e onorevoli avvia grand afico di gomento fotogr e concettuale. o interesse estetic sità biolog iche Oltre le neces iana, ci deve della vita quotid osa di più qualc pur esser e
OBIETTIVO
uella del foro stenopeivecchia, co è una storia Tandai confini sfumati. to è vero che l’inglese proRobert Rigby, che proalizza una duce e commerci per il formapria Pinhole Camera 4x5 pollici ne to di esposizio ente incorrispond (“pinhole” è il “foro stenopeiglese del nostro lontano. Introda prende la co”), affascinante e ducendo il mondo fotografica creativo della ripresa del quale al posto M6 senza obiettivo, e foro stenopeico, (che ovviament si usa il semplice precisa che «il non mantiene Robert Rigby fotograla lettura TTL princìpio della macchinapuò essedell’esposimetro). fica con foro stenopeico hità; si nell’antic L’inquadratura re individuato dei tempi. Addiè rilevabile perde nella notte testimonianze dadal mirino rittura si hanno greca classica, dello stesso tabili alla cultura o secolo apparecchio, ma è durante il Sedicesim delle autenche arriva fino che vengono costruite portatili (dal e obscure indicazion alla tiche camere fu autore di , per lo della focale eresia, della Porta latino camera obscuras) di paesaggio e ne della camera trattati di ottica ancora oggi attua-e grandangolare più usate dai pittori ricostruire la Vinci, l’invenzio a Giovanni nel De Refraction 28mm. Nel caso obscura va attribuitanato a Napoli li. Sopra tutto, di architettura per le osservazioprospettica». della Porta, di apparecchi opticens si trovano vipiù corretta fuga attraverso il Battista più ingegnosi e ni originarie sulla teoria della , Leica M Siccome la visione all’origin e nel 1535, uno dei di pensiero sta fenomeno dell’irideio a telemetro privi straordinari uomini mal cono- sione, sul foro stenopeic o e decompos delle immagini, purtroppo di queste cornici, sulla composizione della formazione della che della storia, to e non degnaluce e sulle leggi è adatto un mirino usando materiali traslucidi sciuto, sottovaluta (come giusta- zione della sua proiezione della rifrazione negli e la ano apprezzato esterno, oppure riflessione priraccogliev dal Rinasci- mente professor Cesare specchi e nelle lenti. Nessuno i si può stimare elementare, a partire dalle prime mente rilevò il come a un libretto del 1871), ma di lui aveva mostrato della in l’inquadratura Fornari mento (ovverosi pitin virtù prospettiva) i nte offuscato proprio a occhio. corpi siano visibili teorizzazioni di a tracciare gli sicurame evole fama del luce da loro diffusa. tori riuscivano così i in modo da dalla strabocch del sedicesiLeonardo. Come Nella seconda metà obscenari inquadrat propri dipinti. contemporaneo e denunciato al mo secolo, le prime camere formare le basi dei fanno riferi- Galileo accusato ne per della inquisizio Anche se molti Leonardo da Tribunale mento al poliedrico
alternative
Ripresa effettuata con il foro stenopeico Avenon Pinhole Air Lens montato su Leica
Anzitutto in o di alcun sirelazione alscure non disponevan davanti della ca- l’analisi del stema ottico. Sul un semplice mera veniva praticato consentiva procedim ento o che ottico-ch imico foro piccolissim una immagine mala formazione di (piano focale) elementa re, delle sulla parete opposta ne rettilinea gari ad uso che grazie alla trasmissioè appunto il scuole fotografi che vogliano solidificadella luce. Questo stenopeico, che princìpio del foro ha ceduto il re i concetti basilari ne della formazio nel corso dei secoli composti. delle passo agli obiettivi , non più in- automati ca di Non più necessario o il foro immagini. Dopo oggigiorn ipotizzache si può dispensabile, (ri)conquistare la re un certo gusto per stenopeico può per due motivi. pubblica ribalta
Avenon Foro stenopeico Pinhole Air Lens per Leica su Leica IIIg e M6). M (in questa ipotesi:
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è una senza obiett ivo e la fotogr afia inanti. Siccom Ancor a oggi, è i visive più affasc ismo -ma non delle trasgression nza ogni tipo di tecnic p a re esclud ere ciascu no di consid erare l’esse pura a v e ro-, perme tte quant o tale, ovvero sia la sua in di molpatria Uniti, dell’im magin e a. Dagli Stati afia oni per la fotogr espres sione estetic soluzi e divers eico. no sia foro stenop te cose, arriva pinho le, ovvero pollici senza obiett ivo: la folding Finne y Field 4x5 forme alternaComin ciamo con
che cianche se è vero un scuno può realizzare caserecforo stenopeico o vero cio, è altrettant della che i valori tecnici soobiettivo non fotografia senza così casuali. no necessariamente i piccoli fori che La differenza tra manualmente si possono praticare e idonea, adatta su una superficie una sottile lastra per esempio su con uno spillo o di metallo, bucata comunque sia con un punteruolo industrialsottile, e i fori prodotti piuttosto che mente (raggio laser sostanziale. elettroerosione) è sbavature e le Da una parte, le foratura imimperfezioni della o negativainfluiscon provvisata fotografica. mente sulla ripresaprecisione del Dall’altra, l’estrema perfetto rappreforo stenopeico certa sulla senta una base tecnica costruire ipotesi quale si possono fotografica, di qualità della ripresa te assolutamen
(pagina accanto) Da Camera Obscura di Abelardo Morell: Times Square in Hotel Room (New York, NY, 1997) e The Eiffel Tower in the Hotel Frantour (Parigi, 1999).
Da Camera Obscura di Abelardo Morell: The Chrysler Building in Hotel Room (New York, NY, 1999).
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❯ Finney Body Cap. Fori stenopeici per reflex Canon e Nikon; con richiamo a 3D-World e Avenon Pinhole Air Lens: FOTOgraphia, luglio 1998. ❯ Foto in scatola. Laboratorio fotografico degli allievi della Scuola Elementare di via Mugello e del Centro di Educazione Permanente di via Ciriè, a Milano; con richiamo a Millie Falcaro: FOTOgraphia, ottobre 1998. ❯ Camera Obscura. Collettiva dalla Biennale di Esztergon (Ungheria), proiettatasi negli appuntamenti italiani di Camera Soave e PhotoFestival-Appunti fotografici: FOTOgraphia, aprile 2002. ❯ Seven Eyes. Collettiva di fotografia stenopeica al Centro Socio Culturale di Bonate FOTO Sotto, in provincia di Bergamo: FOTOgraphia, marzo 2005.
vato (appunto) alle fotografica, alà tive di espressivit la fotografia l’interno delle quali senza obietHolga e la fotografia o per noi, e tivo (foro stenopeic anglosassopinhole nella lingua di assoluto (al centro) ne) occupano posti senza prestigio e privilegio. a infiniti ri- Ripresa in 4x5 La fotografia e che si forma foro In particolare, oltre registra l’immagin privi- pollici con un foro di Internet (territorio vo- stenopeico ferimenti nel passaggio attraverso ico, non è una minoranza che diametro microscop assoluta, ma legiato di ogni le proprie espe- alla “focale” 75mm. glia comunicare espressione estetica interpretazioni. rienze), la fotografia senza obiettiprevede infinite una affadegli alleField contare anche su L’accidentalità diffusa scontra vo può testata specializ zata: La Finney si non 4x5 pollici scinante stimenti spontanei valori tecnici più Pinhole Journal, sulle cui pagine è una folding con il rigore dei significati le esperienze espressistenopeico foro a trimestrali consolidati, ma esprime l’appunto si ba- ve sono in equilibrio con ogni sor- con allungamento autonomi, che per dei getecnica (Pinhodi osservazione variabile per le sano più sulla impulsività applicazio- ta Route 15, Box e focali” le Resource, Star sti che sulla razionale NM 88041, “lunghezz 150 1355, San Lorenzo, ne di princìpi. tanto di 40, 75, senza Tra a 369942). fotografi e 200mm. Usa; 001-505-5 Proprio la realizzata al di di altissimo livello, obiettivo istintiva, precostituito, altro materiale è l’aufuori di ogni schema di un mon- Pinhole Journal tentico portavoce rappresenta l’ossatura ha fatto bandiera do creativo che ne visiva. Ne di ogni trasgressio lo scorso abbiamo già accennato fotograalla i febbraio, riferendoc la creatività fia Holga: da tempo la strada delvisiva ha imboccato sicuramente soll’antitecnicismo, razione tecnica lecitata dall’esaspe dei nostri giorni.
idea di casualità estranee a ogni due presupposti, diffusa. Però i non sono tra loro pur tanto lontani, ntari. antitetici, ma compleme
DUE IPOTESI obiettivo, che
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nografia come il miglior libro fotosonian Institution; Wasgrafico dell’anno (!): «Abe Morell hington DC, 1995) e Abelardo Morell and the Catrasforma stanze ordinarie in camera Eye (San Diego Mu- RITORNO ALLE ORIGINI mera obscura, realizzando poi esposizioni di otto ore delseum of Photographic le visioni inverse del loro Arts; 1999), il più recente P esterno, in proiezione su Camera Obscura raccoglie in modo più compiuto ed editorialpareti e pavimenti, su mobili e suppellettili di vimente prestigioso i lavori dell’auta domestica. Le immagitore («virtuoso della camera obni che ne risultano discura», secondo Mark Singer, critico del The New Yorker), pubblipendono più da un socati in grandi dimensioni e impecgno interiore e antico, FOTO che da una moderna cabile qualità formale sulle pagine OPEICHE N TE S I N O ZI A IS V V 30x28cm del volume. fantasia. L’Empire State IMPRO Due anni fa, all’indomani della pubBuilding di New York si distende su una blicazione, American Photo ha indicato questa mo- parete, quindi gira ad angolo retto su un copriletto; il Grand Tetons appare basso-alto in una stanza d’albergo decorata con un manifesto della famosa vista di Ansel Adams dello Snake River; e tanto altro ancora, tutto da scoprire. Il lavoro di Abe Morell è costruito sullo stesso miracolo della fotografia». Anche il composto Scientific American ha commentato la raccolta (ottobre 2004): «Mentre il mondo della fotografia si muove sempre più in termini tecnici digitali, Abelardo Morell evoca in modo glorioso, e a sorpresa, le radici classiche della sua espressione creativa. Essenzialmente, il fotografo trasforma una stanza nell’interno di un apparato fotografico, entro il quale si proietta l’immagine esterna. Annerisce le finestre, lasciando una minima apertura [e realizzando, così, un vero e proprio foro stenopeico, ndr]. Per note cause ottiche, nella stanza, la debole scena esterna appare invertita alto-basso e destra-sinistra. A questo punto, con un apparecchio fotografico grande formato, Abelardo Morell registra sulla pellicola come la stanza appare; i tempi di esposizione si estendono fino a otto ore e più [attenzione: la prima fotografia considerata tale, l’eliografia Veduta dalla finestra di Gras di Joseph Nicéphore Niépce, del 1826 o 1827, richiese altrettante otSPONTANEITÀ arbitrarie,
Le diverse esperienze fotografia della lontane dai canoni vengono leziosamente perfetta, come Alterraccolte in periodicida The Maine nate View, curato s e riserPhotographic Workshop
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Campionatura ni del Cep tredici-qu attordicen ne Perma- rappresentativa di una sua precedi Educazio scatole di bi- sulla falsariga za analoga in (Centrodi via Ciriè. Entrambi i delle che sono esperien rendi una scatola riciclate tutto il dente Latina. Oggetti comu- nente) si sono avvicinat i ai trasformate scotti, mangiane è America olio o di gruppi della tecnica fotografica, state come lattine di contenuto e, quando in contenitori e fai un nissimi, cartoni di detersivi, princìpi si e misurandosi con vuota, chiudila centro conserve, di caffè e, appunto, divertendoati servizi e ritratti. Il stenopeici carta sensibile piccolo foro al è stato pri- per i si sono pre- improvvis che ottieni barattoli scatole per i biscottiuna serie di materiale, numeroso, nelle due per le animazion del coperchio: quello È a. fotografic e ti in raccolto ed esposto è una macchina concetto che sto trasforma mente è di- fotografiche a foro ste- ma il organizzat questo, in breve, Lazzarini, già rudimenta li sistemicon fogli di scuole, e successiva mostra propria e poi ventato una vera la fotografa Noris galleria Il nopeico, usati zata dalla e svolte Lazzarini alla da Noris itinerante . Sponsoriz carta sensibile. collabora trice a come parte di con ragazzi stata proposta cultura e ora Coop Lombardi L’esperienza è Diaframma-Kodak comunicaall’educaquinte classi in età scolare. un progetto dedicato free lance, ha voluto scuole mi- agli alunni delle due Elementare milane- zione ambientale, Foto in scatola re ai bambini di due originali della Scuola e agli allievi di di via Mugello lanesi, nel corso a di fotogr afia i, animati se Parlia mo ancor laborator i fotografic mmo
che vorre senza obiett ivo, appun tamenun trasfo rm a re in volta ci occua to fisso. Quest oni sosta nzialpiamo di soluzi i s a t e , r i c a v a t e v v ro p m i e ment vuote, forada scatol e e lattine carta sensicon te e “caric ate” di bambi ni imbile. Sono lavori diff e renti labopegna ti in due curati da Noris ratori fotogr afici ti alla Fonda zioespos rini, Lazza ne Corren te di M i l a n o
Due esempi di fotografie senza obiettivo realizzate nel corso dei laboratori didattici svolti a Milano da Noris Lazzarini: alla Scuola Elementare di via Mugello (a destra) e al Centro di Educazione Permanente di via Ciriè (in alto).
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to ore di posa, ndr]. Nel libro sono raccolte sessanta straordinarie visioni così composte».
PERSONALITÀ D’AUTORE Abbiamo lasciato ad altri i commenti sulle immagini di Abelardo Morell, ovviamente sottoscrivendoli. Nel nostro odierno gioco di rimandi e rimbalzi tra due argomenti annunciati -uno dipendente dall’altro, uno costruito sull’altro (a complemento della presentazione di un affascinante progetto fotografico)-, torniamo alla identificazione dell’autore. Come già appuntato, né le fotografie in quanto tali, né la successiva esposizione in mostra, né la coincidente raccolta in volume rappresentano l’arrivo del percorso di Abelardo Morell, che dal proprio sito (www.abelardomorell.net), sapientemente suddiviso per direttive di semplice individuazione e agile percorrenza, rimanda alla Bonni Benrubi Gallery di New York City, che lo rappresenta e cura la vendita delle sue impeccabili stampe (www.bonnibenrubi.com). I valori economici in campo sono consistenti. Limitiamoci ai soggetti Camera Obscura, ulteriori le altre espressioni fotografiche di Abelardo Morell: in tiratura di trenta esemplari, le stampe 20x24 pollici (circa 50x60cm) sono vendute da duemilacinquecento a quattromilacinquecento dollari (dipenderà dal numero di serie?); in tiratura di quindici esemplari, le stampe 30x40 pollici (circa 76x102cm) sono vendute da seimilacinquecento a diecimila dollari. Con l’occasione, ricordiamo che la Bonni Benrubi Gallery è uno dei più prestigiosi e qualificati indirizzi newyorkesi della fotografia. Elegante e prezioso luogo espositivo, ha in carnet fondamentali autori storici (Ansel Adams, Henri Cartier-Bresson, Robert Frank, Lewis W. Hine e altri) e rappresenta personalità di spicco della fotografia contemporanea: da Merry Alpern (FOTOgraphia, ottobre 2005) a Andreas Feininger, a Linda McCartney, a Paul Fusco, a Simon Norfolk (FOTOgraphia, giugno 2003), a Nat Fein, a Harri Kallio (FOTOgraphia, dicembre 2004). Nell’elenco c’è anche l’italiano Massimo Vitali, al giorno d’oggi uno dei più accreditati autori nazionali in proiezione planetaria (FOTOgraphia, dicembre 1995). Proprio Massimo Vitali, in combinazione con l’ubicazione newyorkese della qualificata Bonni Benrubi Gallery (41east, 57th street, tredicesimo piano), è stato involontario protagonista di una curiosa coincidenza: quando, lo scorso marzo 2005, incontrammo una giovane coppia che, seduta sulle scale della Rizzoli Bookstore (31west 57th street, simmetrica alla Bonni Benrubi Gallery, dalla Fifth Avenue), sfogliava con grande interesse la sua monografia Beach and Disco, pubblicata dal tedesco Steidl. Eccoci: mostre e monografie rivolte al grande pubblico, necessarie per stabilire la dimensione d’autore, cui faccia seguito, se queste sono le intenzioni, la vendita per gallerie. Appunto questo è il tragitto internazionale della fotografia d’autore, sul quale si devono sintonizzare i fotografi italiani che sentono di meritare tale palcoscenico. Tornando in argomento, ribadiamo il percorso
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Da Camera Obscura di Abelardo Morell: The Tower Bridge in the Tower Hotel (Londra, 2001) e Santa Croce in Office (Firenze, 2000).
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fotografico di Abelardo Morell, con relativo gallerista-rappresentante di alto livello. Ma non è ancora tutto, perché la sua biografia rivela un sostanzioso percorso universitario, con laurea in Arte (presso il Bowdoin College di Brunswick; 1977), master in Fine Arts (Yale University School of Art, New Haven; 1981) e laurea ad onorem in
Fine Arts (Bowdoin College; 1997). Attualmente, Abelardo Morell è titolare di una cattedra di fotografia al Massachusetts College of Art di Boston ed è docente a incarico presso altri istituti universitari statunitensi. Quindi, edifica la propria personalità fotografica su solide fondamenta di profonda cultura della materia fotografica e artistica. Anche questo, fa una certa differenza. Il percorso scolastico potrebbe non essere discriminante, anche se leggendo le note biografiche di molti autori contemporanei internazionali incontriamo sempre tali frequentazioni (in qualificati ordini scolastici, peraltro assenti, non soltanto latitanti, nel nostro paese). Però la cultura individuale è sempre, e comunque, richiesta. Non intendiamo la nozionistica consapevolezza di date e nomi, ma la consapevole conoscenza di consecuzioni, precedenti, espressioni e approfondimenti fotografici. Per quanto siamo disposti a spaziare in lungo e largo attorno ciò che sarebbe opportuno conoscere, saremmo inderogabili sull’idea di cultura individuale del fotografo. È una condizione necessaria, non soltanto sufficiente. E questo nostro non sarebbe un punto finale, d’arrivo; ma si propone come base di discussione, sempre per quanto può valerne la pena. Oppure, va tutto bene così. Anche per noi. Maurizio Rebuzzini
Heine/Lenz/Zizka
»Per me il fotoreportage esprime la dignità umana.«
www.leica-italia.it
Sebastiãão Salgado, fotografo, con LEICA M7 Sebastião Mani: Sebasti
VIAGGIO Realizzata da Luigi Facchinetti Forlani in tempi e con modi diversi dal ritmo della professione in pubblicità, la serie Scappare con l’anima non si esaurisce nella meditazione interiore dell’autore, ma invita l’osservatore a condividerne il percorso: le conclusioni sono individuali. È una fotografia di pensiero e intimità, che compone i versi di un poema entro le cui parole (tali diventano le immagini) ciascuno può collocare i propri sentimenti e le proprie emozioni. Incanto della fotografia, che può essere tutto questo. Oppure, nessuno si senta obbligato, può fermarsi all’apparenza della propria superficie. Va comunque bene
rofessionista della sala di posa, dove interpreta e risolve soggetti per la pubblicità, Luigi Facchinetti Forlani è specializzato in allestimenti scenici particolari, che in genere prevedono produzioni sostanzialmente complesse. Ne abbiamo scritto tempo fa, nel maggio 2000, presentando appunto la sua particolare Seduzione delle arti pratiche, come titolammo e commentammo a conseguenza. Oltre il mestiere, sempre svolto con attenzione e straordinaria capacità (buon per lui e i suoi clienti), da tempo Luigi Facchinetti Forlani sta scrivendo altri percorsi, per la cui narrazione utilizza ancora la grammatica fotografica. A settembre, la selezione Scappare con l’anima viene presentata alla Sala Espositiva Virgilio Carbonari, nel Palazzo Comunale di Seriate, in provincia di Bergamo, indirizzo curato dall’Associazione Seriatese Arti Visive (Asav, in
P
acronimo) con la collaborazione dell’Assessorato alla Cultura. Non si tratta di immagini di taglio professionale, anche se nel percorso è inclusa una sezione conclusiva di presentazione professionale (in modo che il pubblico decifri la personalità fotografica di partenza e riferimento). Diversamente, sono immagini viste e realizzate seguendo quello che l’autore precisa essere stato un «cammino del suo ritorno a casa». Anzi, più esattamente, il cammino. Differenti nella forma, rispetto le fotografie professionali, queste immagini lo sono soprattutto e di più nella propria sostanza. Sono immagini a lungo pensate, addirittura cercate e isolate dalla realtà che apparentemente le definisce. Infatti, per quanto molte inquadrature siano state realizzate dal vivo, nessuna rappresenta il soggetto raffigurato. Tutte insieme, le fotografie a prima vista “reali”, al pari di quelle esplicitamente lavorate (fino a una particolare interpretazione del trasferimento di immagine polaroid), non richiamano se stesse e il proprio soggetto, preso solo a pretesto. Tutte insieme, le fotografie di Scappare con l’anima compongono i versi di un approfondito poema.
NELL’ANIMA
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SCAPPARE CON L’ANIMA
C
ome annotato nel testo principale, il percorso espositivo di Scappare con l’anima di Luigi Facchinetti Forlani è suddiviso in sei temi consequenziali, che definiscono i momenti del «cammino del ritorno a casa» dell’autore, che assegna alle immagini compiti approfonditi rispetto la loro apparente raffigurazione. 1. Lo sguardo dell’anima liberato dalla letteralizzazione delle azioni ed esperienze quotidiane. 2. Immaginazione archetipica. 3. Luoghi cercati nella memoria. 4. Dentro le cose per un dialogo di andata e ritorno. 5. Dipingere con la macchina fotografica. Una tecnica che non trova riscontro nella fattibilità tecnologica, ma risponde a un’intenzione creativa. 6. Percorso professionale.
Cioè: non c’entra il soggetto, che pure conta, ma è sostanziale il percorso lungo il quale l’autore invita l’osservatore. Ritorno a casa, si è annotato: «questo viaggio mi conduce verso quella dimora molto lontana nel tempo, ma sempre vicina nello spazio, dove ritrovare gli archetipi che hanno determinato la mia professione», si legge nelle note introduttive all’intera sequenza di immagini,
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ognuna delle quali è, a propria volta, accompagnata da brevi parole di commento e inserita in uno dei sei capitoli che scandiscono il ritmo narrativo (riquadro qui sopra). Immagini e parole sussurrate, a dispetto di quei toni alti di voce che la nostra epoca sta vestendo di ragione: la ragione di chi grida più forte di tutti. È un viaggio dell’anima, esplicitamente richiamato nel titolo, che
l’autore condivide con il pubblico, al quale si presenta senza camuffamenti. Il discorso è diretto ed esplicito; l’evocazione è sollecitata dall’immagine allo stesso modo di come avrebbe potuto essere richiamata dalla parola, che però richiede altri tempi e spazi. Fotografo, Luigi Facchinetti Forlani si esprime con la fotografia, della quale conosce e destreggia la grammatica espressiva.
Nel tragitto, lungo il quale siamo invitati, come abbiamo appena annotato, lascia segni inequivocabili di una determinata e coraggiosa lettura dentro di sé. L’osservatore li deve raccogliere e compensare con la propria visione esistenziale, con la propria esperienza, con la propria voglia di guardarsi dentro, per vedere. «Nel cuore dell’uomo sono scavate le fondamenta della terra che
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si è promessa», annota l’autore, che consegna a una nutrita serie di immagini il compito di rappresentare questa idea, questo sogno, questo arrivo. Dunque, attimi del vero che non dipendono dalla propria apparenza manifesta. Non si cerchi conforto nella realtà, che qui non ha diritto di cittadinanza, ma si intuisca come la realtà dipende essenzialmente dall’anima che guida lo sguardo. Alla resa dei conti, la consecuzione di Scappare con l’anima di Luigi Forlani Facchinetti è tutt’altro che riposante. Non si risolve nel solo impegno dell’autore, con conseguente passività dell’osservatore, ma impone riflessioni individuali, ciascuna indirizzata nel profondo della propria anima. Oppure, è vero l’esatto contrario. Nessuno è obbligato a incamminarsi lungo un sentiero del quale non sente alcun bisogno. Allora, se così è, le immagini tornano a essere ciò che la loro superficie lascia trasparire: un aratro, un distributore di benzina all’alba, un treno che freccia nella calda luce di un rasserenante tramonto, manipolazioni pittoriche di originali fotografici (in questo caso, fini a se stesse), alberi, fiori (alcuni tanto belli e ben fotografati da... sembrare quadri: se si deve esagerare, esageriamo!). Magia e mistero della fotografia. Nell’interpretazione di abili autori, la fotografia è uno straordinario linguaggio espressivo, che offre diverse chiavi di lettura. Ognuno può raccogliere quella che preferisce: in apparenza o scavando nel profondo. L’invito di Lui-
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gi Facchinetti Forlani è esplicito, ma non intimidatorio. L’anima è sollecitata; ma si può anche lasciare perdere. In definitiva, la pace viene dallo spirito, nel modo che veniva inteso prima che troppi pensieri elaborassero complesse teorie. Si cammina per anni, poi, quando si è arrivati, si vuole condividere il percorso. Angelo Galantini Luigi Facchinetti Forlani: Scappare con l’anima. Sala Espositiva Virgilio Carbonari, Palazzo Comunale, piazza Alebardi 1, 24068 Seriate BG. A cura dell’Associazione Seriatese Arti Visive con la collaborazione dell’Assessorato alla Cultura. Dal 10 settembre al Primo ottobre; lunedì-venerdì 16,00-19,00, sabato e domenica 10,00-12,00 16,00-19,00. Catalogo con note di Luigi Facchinetti Forlani e introduzione Condividere l’anima di Maurizio Rebuzzini.
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CULTURA C
ontinuando e confermando una tradizione pluridecennale, a propria volta edificata su una storia fotografica antica, che affonda le radici indietro nel tempo (ma non nello spazio), il Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia (Craf) di Lestans, in provincia di Pordenone, ha allestito un consistente programma espositivo, una volta ancora definito da intensa personalità culturale. Il nucleo portante di Spilimbergo Fotografia 2006 si estende dal 15 luglio al Primo ottobre, date di esposizione delle tre mostre di riferimento; quindi, è affiancato da altre due rassegne direttamente collegate e include una consueta serie di eventi paralleli e coincidenti. Affrontando con piglio problematiche che stanno attraversando il dibattito italiano attorno la fotografia, il Craf ha allestito due personali di spessore e una ricerca originale, che attraversa trasversalmente l’espressione fotografica contemporanea. Nelle sontuose sale di Palazzo Tadea, Castello di Spilimbergo (in provincia di Pordenone), da tempo votate alla corretta e adeguata presentazione fotografica, sono allestite la personale di Guido Guidi La lunga posa (dalla Collezione di Italo Zannier) e Animalía, collettiva a tema di otto autori italiani; entrambe le mostre sono accompagnate da un coerente catalogo illustrativo. A seguire, la Galleria John Phillips e Annamaria Borletti di Villa Ciani a Lestans, intitolata a due personalità della fotografia che tanto hanno amato queste terre, ospita la personale La macchina per fermare il tempo del fotografo triestino Enzo Gomba. Con date diverse rispetto gli appuntamenti portanti (ripetiamo, in esposizione dal 15 luglio al Primo ottobre), completano Spilimbergo Fotografia 2006 le rassegne La Grande Guerra, dall’Archivio Storico Iconografico dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano (Palazzo Gerometta di Clauzetto, sempre in provincia di Pordenone, dal 5 al 27 agosto) e Alle Nove della sera. Friuli 6 maggio 1976 - 6 maggio 2006 (Villa Savorgnan di Lestans, fino al 27 agosto: dove è presentata dallo scorso 7 maggio, nel trentennale del terremoto, che le fotografie ricordano e rievocano). Con ordine.
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DELLA FOTOGRAFIA
gistrare momenti e sensazioni che forma fisica non Cinque sostanziose mostre: due hanno, ma solo significati da ricercare e interprepersonali e tre collettive; tre con- tare con la pazienza di chi vuol veramente capire il perché di una scelta che privilegia la parte meno temporanee e due storiche (una, superficiale di una immagine fotografica. «Questa e altre mostre sullo stesso tema, realizcirca). Cinque punti di vista sul zate negli ultimi anni, vorrebbero avere il sapore di una ricerca proustiana per ricreare la suggestione, senso attuale della fotografia e attraverso immagini e non parole, che il tempo passato possa essere ritrovato e che a capacità di resul suo valore di documento, ri- golarne la scansione possa essere una nostra risorsa; o, meglio ancora, uno stratagemma per ilcerca, espressione e linguaggio. ludersi che non è vero, che non si può, che la macchina per fermare il tempo non esiste, non sarà mai L’edizione 2006 di Spilimbergo inventata e resterà sempre la fantasia di chi non Fotografia conferma un partico- vuole che il tempo sia così inesorabile. «Resta solo la memoria che nessuno mai porlare punto di vista, equamente terà via». bilanciato tra dibattito, approfon- GRANDE GUERRA a proprio modo inviolabilmente legata aldimento e apertura di dialogo Ognuna la terra friulana entro i cui confini si svolge Spilim-
TRE MOSTRE Uno. La lunga posa è una personale del fotografo Guido Guidi, interprete emblematico della ricerca linguistica nella fotografia contemporanea internazionale. È composta da quaranta immagini, donate dallo stesso Guido Guidi a Italo Zannier, dagli anni Sessanta a oggi, tuttora conservate nella sua qualificata Collezione. Questo sostanzioso corpo di visioni e invenzioni visive rappresenta significativamente l’excursus culturale dell’affermato autore, anche nel rapporto amicale, oltre che culturale, con Italo Zannier, del quale è stato allievo al Corso Superiore di Disegno Industriale di Venezia. Due. Dopo un breve prologo con immagini di animali eseguite nell’Ottocento, la collettiva Animalía, come la precedente mostra curata da Italo Zannier, sottolinea una sintesi del lavoro espressivo e di ricerca sul tema, autonomamente compiuto da otto fotografi italiani. Non un compito assegnato, ma una selezione dai rispettivi archivi. Ognuno si esprime attraverso le proprie diverse e specifiche tipologie e ideologie fotografiche, dal realismo alla concettualità, per giungere, infine, all’invenzione digitale. Fotografie di otto autori italiani contemporanei: Antonio Biasiucci, Paolo Gioli, Armin Linke, Marco Mirè, Maurizio Orrico, Francesco Raffaelli, Fulvio Roiter e Roberto Salbitani. Tre. Così Enzo Gomba commenta la sua mostra personale: «La macchina per fermare il tempo: la magnifica invenzione di uno scienziato, che simile a un moderno alchimista s’impadronisce del segreto del divenire in cambio dell’oro; l’utopia; il rifiuto di un futuro sconosciuto; il rassicurante confronto con la memoria. «Il titolo di questa mostra è coerente con una mia personale ricerca per immagini sulla memoria, sul divenire e sulla rievocazione, che è l’essenza della fotografia, rinunciando a quanto di oggettivo c’è nella immagine stessa, per rivolgere l’obiettivo a re-
bergo Fotografia, e si concretizza l’attività dell’attento Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia (Craf) di Lestans, altre due mostre completano il cartellone della qualificata manifestazione estiva. Entrambe raccontano o testimoniano di eventi drammatici, tragici addirittura: in un caso, lo sguardo è rivolto a un lontano passato remoto; nell’altro, a un passato prossimo, osservato con occhio fotografico odierno e attuale. Realizzata con fotografie provenienti dall’Archivio Storico Iconografico dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, e allestita con ingrandimenti da negativi originari, La Grande Guerra replica a Clauzetto l’allestimento che lo scorso anno è stato esposto a Casa Morazzi di Borgo Castello, a Gori-
La lunga posa è una personale di Guido Guidi, esponente di spicco della fotografia italiana contemporanea. La mostra è composta da quaranta immagini donate dall’autore a Italo Zannier, del quale è stato allievo al Corso Superiore di Disegno Industriale di Venezia.
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SPILIMBERGO FOTOGRAFIA 2006 ❯ Guido Guidi: La lunga posa. Dalla Collezione di Italo Zannier; a cura di Italo Zannier. Palazzo Tadea, Castello di Spilimbergo, 33097 Spilimbergo PN. Dal 15 luglio al Primo ottobre; martedì-domenica, 10,30-12,30 - 16,00-20,00. ❯ Animalía. A cura di Italo Zannier. Fotografie di Antonio Biasiucci, Paolo Gioli, Armin Linke, Marco Mirè, Maurizio Orrico, Francesco Raffaelli, Fulvio Roiter e Roberto Salbitani. Palazzo Tadea, Castello di Spilimbergo, 33097 Spilimbergo PN. Dal 15 luglio al Primo ottobre; martedì-domenica, 10,30-12,30 - 16,00-20,00. ❯ Enzo Gomba: La macchina per fermare il tempo. Galleria John Phillips e Annamaria Borletti, Villa Ciani, 33090 Lestans PN. Dal 15 luglio al Primo ottobre; martedì-domenica, 10,30-12,30 - 16,00-20,00. ❯ La Grande Guerra. Dall’Archivio Storico Iconografico dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano. Palazzo Gerometta, 33090 Clauzetto PN. Dal 5 al 27 agosto; martedì-domenica, 10,30-12,30 - 16,00-20,00. ❯ Alle Nove della sera. Friuli 6 maggio 1976 - 6 maggio 2006. A cura di Gianfranco Ellero. Villa Savorgnan, 33090 Lestans. Fino al 27 agosto; venerdì 16,00-20,00, sabato e domenica 10,00-12,30 - 16,00-20,00. ❯ Premio Friuli Venezia Giulia Fotografia: Giovanni Chiaramonte, William Guerrieri e Pierpaolo Mittica. ❯ International Award of Photography: Margit Zuckriegl, curatrice della Fotografia contemporanea austriaca al Ruspertinum Museum di Salisburgo. ❯ Premio Amici del Craf: Nelda Stravisi. ❯ Workshop tenuti da Roberto Salbitani. Craf, Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia, Villa Ciani, 33090 Lestans PN; 0427-91453, anche fax; www.craf-fvg.it, info@craf-fvg.it.
Da Animalía, collettiva a tema allestita con fotografie di otto autori italiani contemporanei. Visioni di Paolo Gioli (in alto) e Marco Mirè (qui sopra).
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zia. Sono immagini emozionanti, che evocano il proprio soggetto esplicito e dichiarato, appunto momenti della Prima guerra mondiale, e che, allo stesso momento, danno spessore e peso all’Archivio dal quale provengono e dove sono conservate. E bisognerebbe riflettere sul discorso della conservazione cosciente della fotografia, con relative proiezioni pubbliche all’esterno dei luoghi istituzionali, limitati ai soli addetti. Seppure in ritardo rispetto altre realtà geopolitiche, anche in Italia si sta lentamente prendendo coscienza del valore storico delle fotografie di documentazione: ameremmo che tale consapevolezza potesse affermarsi in tempi più rapidi e con manifestazioni or-
ganizzate e svolte a ritmo sempre più serrato. Nello specifico, è obbligatoria una presentazione dell’Archivio Storico Iconografico dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano. Già alla fine dell’Ottocento, insieme ad altri documenti militari, questo importante Archivio ha cominciato a custodire un patrimonio fotografico a tema. Il corpo originario si è spontaneamente costituito con prime fotografie che Enti o singoli soldati allegavano alle proprie relazioni e ricognizioni militari. A seguire, si sono aggiunte le documentazioni ufficiali, realizzate dalle apposite Sezioni Fotografiche, la prima delle quali fu istituita nel 1896 presso la Brigata Specialisti del Terzo Reggimento Genio. Ancora, il patrimonio fotografico dell’Archivio Storico Iconografico dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano si è arricchito di donazioni e acquisizioni, come gli album della Prima Campagna d’Africa, firmati da Luigi Fiorillo, e le gigantografie degli stessi eventi, realizzate da Mauro Ledru e Giuseppe Nicotra. Con le guerre, gli utilizzi della fotografia si sono evidentemente moltiplicati. Negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale questo patrimonio fotografico è rimasto in archivio, utilizzato per soli scopi militari. Poi, alla fine degli anni Settanta, in concomitanza con lo scioglimento della Sezione Ci-
tografico non è certa; una stima approssimativa, ma realistica, ipotizza oltre mezzo milione di immagini, dalle più antiche (ritratti di ufficiali e fotografie di gruppo del fondo Giraud) alle attuali, con una singolare quantità di fotografie della fine Ottocento. La selezione di fotografie della Prima guerra mondiale raccolta nella mostra La Grande Guerra è specchio di una politica di proiezione all’esterno dell’imponente Archivio.
FERITA RIMARGINATA nefoto dell’Ufficio Addestramento, è stata avviata una catalogazione in modo da rendere pubblico tutto il tanto materiale della Fototeca, costantemente alimentata da ulteriori donazioni. La consistenza attuale di questo patrimonio fo-
Curata da Gianfranco Ellero, Alle Nove della sera. Friuli 6 maggio 1976 - 6 maggio 2006 è una mostra promossa dalla Regione Friuli Venezia Giulia, dalla Provincia di Pordenone e dal Comune di Sequals. È divisa per sezioni, riprese e riproposte nel volumecatalogo realizzato per l’occasione. Ovviamente, si tratta di una rievocazione in forma fotografica del terremoto che ha sconvolto il Friuli trent’anni fa.
La Grande Guerra è raccontata da fotografie provenienti dall’Archivio Storico Iconografico dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, che recentemente si propone al proprio esterno. (centro pagina) La macchina per fermare il tempo raccoglie una personale ricerca per immagini del triestino Enzo Gomba. Memoria e rievocazione: essenza della fotografia.
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Divisa per capitoli consequenziali, la mostra Alle Nove della sera. Friuli 6 maggio 1976 6 maggio 2006, a cura di Gianfranco Ellero, comprende la documentazione della ricostruzione, affidata agli inconfondibili stili personali di Gabriele Basilico (qui sopra) e Franco Fontana (a destra).
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Le fotografie iniziali di Ilo Battigelli, volutamente non didascalizzate, acquistano un valore simbolico, perché rappresentano la disperante fisionomia di centinaia di paesi e borgate ridotte a cumuli di macerie il 6 maggio 1976. La sequenza si conclude con immagini delle tendopoli, primo segnale di resistenza all’avversità e rinascita. Si passa poi allo straordinario reportage di Riccardo Viola, inviato dalla Società Filologica Friulana a documentare le ferite, talvolta mortali, inferte dal terremoto al patrimonio artistico e storico. Alcune delle sue fotografie, come la Madonna incolume tra le macerie a Colloredo di Monte Albano e il San Giuseppe che, nel disastro di Osoppo, sembra aver salvato il Frut, sono diventate icone di questa tragedia. Segue una sequenza di “prime pagine” dell’epoca, fornite dai quotidiani Il Gazzettino e Messaggero Veneto e dai settimanali diocesani La Vita Cattolica, di Udine, e Il Popolo, di Pordenone. Due spazi particolari sono qui riservati a Il Giornale di Indro Montanelli, ai tempi protagonista di una memorabile sottoscrizione tra i lettori, distribuita poi ai Comuni di Vito d’Asio, Tarcento e Montenars, e
al Corriere del Friuli, sul quale si legge il Manifesto sulla ricostruzione firmato da un gruppo di intellettuali il 12 maggio 1976. Si arriva poi alla sezione dedicata ai tre centri abitati del Comune di Sequals, apparentemente poco danneggiati, ma di fatto trasformati in fantasmi di pietre instabili, risorti a nuova vita per effetto di numerosi abbattimenti e ricostruzioni. Le fotografie delle vecchie case distrutte furono eseguite con criterio rigorosamente documentale da Giovanni De Giorgi; quelle di oggi da Giuliano Borghesan. Segue una sequenza di immagini dello stesso Giuliano Borghesan, colte nel sole del mattino del 7 maggio a Colle d’Arba e a Spilimbergo, una città miracolata, che, grazie ad arditi ponteggi, salvò anche il suo Duomo. Infine, la ricostruzione è stata documentata da Gabriele Basilico e Franco Fontana, che con i propri inconfondibili stili personali dimostrano come fosse inevitabile la perdita dell’aura storica anche là dove si è proceduto ai rifacimenti con rigore filologico. La mostra e il catalogo si concludono con una breve emerografia intitolata La scoperta del Friuli, la piccola antologia poetica Coròts, la bibliografia sul terremoto Libri e fotolibri e due brevi note per la Cineteca del Friuli, che partecipa all’esposizione con un video, e al Museo d’Arte della Medaglia, che ha concesso una decina di medaglie in esposizione, tratte dalla collezione di centoventi opere ispirate dal terremoto del Friuli da quarantacinque artisti di tutta l’Italia. Angelo Galantini
AMBIGUITÀ VOLONTARIA
L
Lo scorso nove giugno, giornata di avvio dei Campionati del Mondo di calcio, inaugurati dall’incontro tra la nazionale tedesca, paese ospitante, e il debole Costa Rica (risultato scontato, per la gioia di tutti), uno dei quotidiani a diffusione gratuita, ormai capillarmente distribuiti in tutte le città italiane, è stato confezionato con una sovracopertina pubblicitaria. Scomposto su tre facciate, da scoprire passo a passo, per arrivare alla fatidica conclusione, il messaggio promozionale di un marchio di scarpe da calcio è stato impaginato in modo giornalistico: fotografie, titoli e testi di accompagnamento. Ricordiamo che la data in questione, oltre il richiamo ai Mondiali, ha seguìto di qualche giorno l’esplosione dello scandalo sul calcio italiano e, paradossalmente, preceduto la vicenda del principe Vittorio Emanuele di Savoia, alla quale hanno contribuito anche fotografie presentate come compromettenti. In anticipo, il gioco pubblicitario cui ci riferiamo è stato ap-
Impaginata in maniera giornalistica, in sovraccoperta di un quotidiano a distribuzione gratuita, la sequenza pubblicitaria di un marchio di scarpe da calcio ha attirato l’attenzione presentando una vantata esclusiva su una forma di corruzione di Pelé, icona del calcio internazionale. Alla fine, si svela l’arcano: ma un’osservazione distratta si è fermata all’apparenza.
punto declinato come appena annotato: con la presentazione di immagini compromettenti per Pelé (Edson Arantes do Nascimento), forse la più leggendaria personalità del calcio internazionale, che ancora oggi resiste all’inesorabile scorrere del tempo. In prima pagina, ripetiamo in sostituzione di quella autentica del quotidiano, è stata titolata una vantata (e presunta) esclusiva mondiale: Il re sotto processo; ovverosia, Pelé catturato dal fotografo mentre gli viene consegnato un imbarazzante pacchetto. Messo in pagina come un autentico quotidiano, il messaggio continua in seconda pagina, dove una serie di immagini conferma che, in diverse occasioni, Pelé riceve un pacchetto (corruzione? tangenti?); infine, si risolve in ultima pagina, sulla quale Pelé dichiara la propria innocenza e svela che i pacchetti contengono soltanto scarpe da calcio. Bene. Nulla da eccepire. Ovvero,
poco da eccepire. Soltanto, registriamo che in situazioni ambientali diverse, per combinazione e caso in due città distanti tra loro, abbiamo assistito alle stesse scene. Senza effettivamente osservare da vicino le pagine, molte persone si sono fermate all’apparenza, a ciò che, erroneamente ma volontariamente, lasciavano intendere le parole e le immagini visibili anche da distanza, sui tavolini dei bar sui quali i giornali erano appoggiati. Tralasciando lo slittamento razzista sul tono scuro della pelle di Pelé, annotiamo che una falsa interpretazione ha fatto clamorosamente deragliare i commenti. Senza adottare le virgolette, che certificano parole dette e sentite, distinguendole dal resto del discorso, riferiamo alcuni degli eccessi dei quali siamo stati involontari testimoni: sono tutti ladri; figurati se non c’era di mezzo anche lui; è tutta colpa dell’avidità; lo dicevo io; sarà anche stato un bravo calciatore, ma non vale niente come uomo; è lui
Guangzhou (Canton), settembre 1979. Il richiamo di uno dei primi cartelloni pubblicitari della Cina dell’immediato dopo Mao ha dovuto distinguersi dalle esortazioni del Partito: appunto, «Bevete Coca-Cola», non come ordine ma su invito pubblicitario.
che ci ha fatto perdere dei Mondiali; sono tutti corrotti. Fermiamoci qui: basta e avanza. Poco da eccepire, abbiamo premesso. In effetti, salvaguardati princìpi di correttezza, etica e urbana civiltà, per raggiungere il proprio scopo istituzionale, la pubblicità ha diritto di esprimersi come meglio crede. Quindi, la personalità di Pelé non può essere uscita scalfita da una pur sostanziosa quantità di equivoci italiani (e casomai, Pelé ne è stato adeguatamente compensato). Chi può restare offesa dall’am-
biguità del messaggio pubblicitario, ripetiamo volontaria, è soltanto la comunicazione, che non ha modo, tempo né spazio per vantare diritti ed esigere contropartite. A nostro modo di vedere, dove sta il disordine? Nell’aver declinato una pubblicità prelibata, diciamola così, in un contenitore di massa, in un contenitore dalla distribuzione capillare, in un contenitore a caduta libera, che non si rivolge a un pubblico attento e selezionato nel tempo, ma spara a pallettoni: chi colpisce, colpisce; meglio la quantità di altro. Così, per contrasto, tornano in mente i colti e raffinati soggetti della incessante campagna della vodka Absolut, la cui decifrazione e identificazione richiede analoga cultura, informazione e competenza: in assenza, i richiami allestiti cadono/cadrebbero nel vuoto assoluto. Ebbene, la campagna Absolut, che in Italia si manifesta soprattutto con cartoline promozionali strategicamente distribuite, non si rivolge alla quantità, ma mira la mente di una potenziale e individuata clientela di taglio, se proprio dobbiamo dirlo, adeguatamente alto. Ne abbiamo scritto tante volte, e ora non è più il caso di allungarci sull’argomento. Però è il caso di spezzare una lancia a favore di una indecifrabile massa, che ha diritto di ricevere informazioni comunque sia corrette, li-
neari ed esplicite; ovverosia, chiare e inequivocabili. L’ironia e la satira richiedono, invece, spazi e tempi annunciati, di volontaria frequentazione. Così come, rimanendo in tema di apprezzabile trasparenza, un certo codice dovrebbe interdire spot pubblicitari interpretati da conduttori di programmi televisivi, quantomeno all’interno dei loro stessi programmi. Non è edificante ammetterlo (per loro, ma anche per noi), ma sappiamo di gente che confonde il messaggio pubblicitario, intendendolo come servizio televisivo: non promozione, ma utilità sociale. Concludiamo con un ricordo lontano, che oggi veste bene le nostre osservazioni. Tanti anni fa, a Guangzhou (Canton), ci imbattemmo in uno dei primi cartelloni pubblicitari affissi nella Repubblica popolare cinese dell’immediato dopo Mao (settembre 1979; duemila anni fa). Lo slogan lo conosciamo, e certamente non trae alcun vantaggio dalla nostra ripetizione: «Bevete CocaCola» (a sinistra). Siccome questo annuncio coabitava con le indicazioni incessantemente e ossessivamente suggerite dal Partito, sul cartellone fu aggiunta una precisazione, che distingueva lo slogan da un precetto, da un ordine, da una prescrizione da seguire alla lettera: «Annuncio pubblicitario». Tant’è. M.R. Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
ANELLO BLU pertamente, la nuova gamma di apparecchi digitali Samsung, che nasce con tre modelli ben distinti tra loro (ne stiamo per scrivere), adotta la sigla identificatoria NV, che sta per New Vision, e in italiano diventa Nuova Visione, senza modificare l’acronimo. Le rispettive e relative funzionalità sono efficaci, sia in termini tecnologici attuali, sia in proiezione immediatamente futuribile. Quindi, dotate di una linea decisamente accattivante (ottimo design), le nuove compatte della serie Samsung NV si propongono al mercato internazionale come gamma di prodotti di assoluto prestigio. Riconoscibili per un “Anello blu” che accompagna la loro livrea esteriore, sottolineano personalità e stile proiettate verso sostanziose quote commerciali di oggi, di domani e dei giorni a venire. Così, come altre volte è capitato di annotare, prima delle specifiche tecniche che definiscono i singoli modelli, a partire dai tre originari NV3, NV7 OPS e NV10, che si collocano a diversi livelli di mercato, senza interferire l’un con l’altro, ma offrendo interpretazioni effettivamente autonome, è opportuna una riflessione genera-
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le, a monte. Nello specifico, l’attuale genìa Samsung è significativa per se stessa; dopo di che, nella concretezza della relativa proposta, è altresì indicativa di un nuovo indirizzo. New Vision / Nuova Visione intende proprio questo: interpretazioni di origine fotografica, che ribadiscono solidi princìpi della fotografia (così come noi tutti l’intendiamo), e che, allo stesso momento, considerano l’imaging come elemento portante e forte di ulteriori proiezioni nella vita comune e nello spirito del costume dei nostri giorni. Tanto è vero che corre l’obbligo (inderogabile) di richiamare l’attenzione sul Premio TIPA 2006 assegnato alla compatta digitale multimediale Samsung Digimax i6 PMP (FOTOgraphia, maggio 2006): «Qualcosa di più di una compatta digitale, non soltanto qualcosa di diverso. Samsung Digimax i6 PMP è un autentico prodotto multimediale, confezionato in un elegante design di soli 18,5mm di spessore e conveniente ergonomia. Oltre le funzioni fotografiche, per sé di taglio alto, si offre come lettore Mp3, con prestazioni differenziate: si può scattare, ascoltando musica. Inoltre, nell’uso, la tecnologia ASR (Advanced Shake Reduction) riduce i pericoli del e dal mosso accidentale dell’apparecchio». Insieme altre nostre previsioni tecnologiche, che ci fanno ipotizzare che il mondo fotografico stia per essere investito da una
nuova interpretazione digitale reflex (lo annotiamo altrove, proprio su questo stesso numero), coltiviamo anche la convinzione che la fotografia sia in sostanzioso procinto di uscire dal proprio unico territorio, per entrare in un ambito di confini più larghi, nei quali declinare le proprie prerogative assieme altri istanti della socialità odierna. Quindi, non conta quanto questo c’entri con la storia evolutiva degli strumenti propriamente fotografici, che da tempo ha raggiunto una meta sostanziale; è invece discriminante che il territorio fotografico smetta di essere frequentato da soli addetti e appassionati, per diventare patrimonio comune del costume sociale dei nostri giorni: presenti e futuribili. Annotiamo questo, in anticipo sulla sua manifestazione concreta; a seguire, quando ciò avverrà, ci sarà tempo e modo di ulteriori approfondimenti e considerazioni. Per ora, basti l’ipotesi, che per tanti versi è implicita nel programma in divenire della progettazione e costruzione Samsung, che oggi si presenta con la personalità dichiarata NV: New Vision, ovvero Nuova Visione.
MULTIFUNZIONE Ciò detto, e in attesa di considerazioni a margine (piuttosto che filosoficamente discriminanti), l’attenzione si concentra sulla cronaca. Nello specifico sui valori che definiscono e identificano le nuove interpretazioni digitali Samsung, pronte per il mercato. Per quanto l’essenza di talune caratteristiche tecniche sia in qualche misura in progressione, a partire dal clamoroso riferimento principale alla risoluzione dell’acqui-
sizione digitale di immagini, la consecuzione numerica dei modelli non è così progressiva, come lo è, invece, per e in altre linee di prodotto. Sì, il passaggio dalla Samsung NV3 alla NV7 OPS alla NV10 è cadenzato; ma non è solo e soltanto una questione di prestazioni assolute, quanto di indirizzi relativi. Ogni modello si rivolge e indirizza in modo autonomo, andando a mirare particolari settori commerciali e tecnici che non hanno tratti in comune e coinvolgono diverse fasce di utenti, ognuna con personalità di utilizzo certo. La microcompatta Samsung NV3, di 17,5mm di spessore, non è definita soltanto da ridotte dimensioni e dall’esclusiva combinazione ottica a movimento interno delle lenti. In più, e ulteriormente, a partire dalla risoluzione di 7,2 Megapixel, le sue potenzialità fotografiche si abbinano alle funzioni di lettore Mp3, player multimediale, videocamera digitale e visualizzazione di testi. Dispone di altoparlanti stereo, in grado di offrire ampie e avvolgenti sonorità, e dunque si rivolge a un pubblico (giovane, è facile identificarlo) che vive a tutto campo, senza gerarchie tra i propri interessi. Limitandoci ai riferimenti fotografici, che completano una dotazione autenticamente multimediale, ricca di sostanziose prestazioni audio, video e dintorni, l’elegante Samsung NV3 è dotata di sensore CCD ad alta risoluzione da 1/2,5 di pollice e 7,2 Megapixel. Nell’uso, conferma la funzione ASR (Advanced Shake Reduction), finalizzata alla nitidezza di immagine, e offre un’escursione ottica zoom 3x, cui si
Una particolare finitura, che in ogni modello circonda l’obiettivo di ripresa, identifica la nuova gamma di apparecchi digitali Samsung NV: New Vision (Nuova Visione). Consistenti per sé, le relative e rispettive caratteristiche dei tre modelli originari NV3, NV7 OPS e NV10 non si esauriscono nel loro presente. Invece, e in analisi approfondita, sono indicative di un indirizzo tecnico e commerciale che sta per trasformare l’idea stessa di fotografia, prontamente proiettata verso crescenti fasce di pubblico potenziale somma una ulteriore possibile variazione digitale 5x (ingrandimento totale 15x). Il corpo macchina in acciaio inossidabile nero, resistente a graffi e urti, racchiude un monitor LCD da 2,5 pollici, idoneo anche alla visione in qualità TV di video Mpeg-4, a venti o trenta fotogrammi al secondo. A completamento, lo ripetiamo, si segnalano efficaci ulteriori funzioni audio e video, sia attive (registrazione), sia passive (ascolto e visione).
ALTA FOTOGRAFIA Diversamente, la compatta digitale Samsung NV7 OPS, di altri intendimenti, sottolinea presto proprie sostanziose prerogative dichiaratamente fotografiche, in una declinazione tecnica che si proietta verso l’alto. La sua sigla identificatoria precisa subito due elementi discriminanti: la presenza dello sta-
bilizzatore ottico OPS (Optical Picture Stabilizator, appunto) e la risoluzione di 7,2 Megapixel del sensore di spostamento CCD di acquisizione digitale di immagini da 1/2,5 di pollice. Volendo, la cifra Sette (NV7 OPS) potrebbe estendersi anche allo zoom ottico 7x, a propria volta dotato di funzione antivibrazione ASR (Advanced Shake Reduction, tecnologia proprietaria Samsung; OPS più ASR per una doppia garanzia contro le vibrazioni). Adeguatamente ultracompatta (20,9mm di spessore), ma con obiettivo di forte presenza fisica, la NV7 OPS ha un corpo in alluminio nero, con flash a scomparsa. Ancora, e sempre, l’anello blu di identificazione di famiglia circonda il barilotto dell’obiettivo. A parte l’insieme di prestazioni aggiuntive, per esempio dalla visionatura di filmati in qualità TV alla Pho-
to Gallery, lo zoom Schneider Varioplan si offre come autentico cuore pulsante, capace di inquadrature e composizioni appaganti in ogni indirizzo della ripresa fotografia, interpretata sempre con la concretezza delle proprie regolazioni di qualità e della combinazione con un innovativo interfaccia utente. Inoltre, la modalità di Cattura movimento permette di ottenere fino a venti acquisizioni in risoluzione VGA (1024x768 pixel), con impostazione a sette fotogrammi al secondo, oppure fino a cinquanta acquisizioni che possono essere convertite in animazioni GIF.
AL VERTICE Il sensore CCD ad alta risoluzione da 1/1,8 di pollice e 10,1 Megapixel definisce la compatta digitale Samsung NV10, che si colloca al vertice della neonata proposta tecnico-commerciale, che appunto nasce con tre modelli originari, cui altri dovrebbero fare presto seguito (facile previsione, data la rapidità delle evoluzioni di mercato dei nostri attuali tempi). Ancora ultraslim, con spessore di soli 18,5mm, si presenta con corpo in alluminio nero e flash a scomparsa. Autentica innovazione del design applicato, per la prima volta in una configurazione digitale sono presenti
pulsanti Smart Touch, per navigare rapidamente tra i menu e attraverso le funzioni di uso. Dislocati sul retro dell’apparecchio, questi pulsanti semplificano in misura considerevole le azioni attive della ripresa e passive della gestione e visione delle immagini, la cui efficacia è altresì assicurata dall’ampio monitor LCD da 2,5 pollici. Ovviamente, è presente il sistema antivibrazione ASR (Advanced Shake Reduction), che si combina con l’escursione 3x dello zoom ottico della compatta, e non mancano le prerogative salienti del sistema Samsung NV, la cui ipotesi di New Vision (Nuova Visione) sottintende una innovativa interpretazione del gesto fotografico. In particolare, sottolineiamo ancora la visione con qualità TV di video Mpeg-4, a trenta fotogrammi al secondo (VGA, da 640x480 pixel). Inoltre, la pratica funzione Photo Gallery consente di visualizzare le immagini, in modo ottimale e in ogni momento. Oltre tutto, la Samsung NV10 dispone di una alimentazione ad alta capacità e rapida ricarica. (Giliberto Fotoimportex, via Ticino 12, 50010 Osmannoro di Sesto Fiorentino FI). Antonio Bordoni
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ome la sigla identificatoria certifica e precisa, l’attuale Nikon D2XS è l’evoluzione diretta e consequenziale della ben conosciuta D2X, nata in occasione della scorsa Photokina (FOTOgraphia, novembre 2004), della quale riprende l’essenza delle caratteristiche, ovviamente reinterpretate nel senso dell’incremento delle prestazioni di impiego. Proseguendo il cammino tracciato dalla D2X, la Nikon D2XS ne condivide molte innovazioni e l’essenza del progetto. In questo senso, prima di tutto si registra il medesimo sensore d’immagine formato Nikon DX, cui la nuova configurazione abbina una gamma di funzioni ampiamente rivisitate, che ne semplificano il funzionamento, peraltro adeguatamente incrementato nelle modalità di uso. Tra le novità: mirino affinato nella resa, che agevola la composizione durante la ripresa continua in modalità High-Speed Crop; display LCD da 2,5 pollici e 230.000 pixel ad elevata risoluzione, con angolo utile di visione ampliato a 170 gradi; autonomia della batteria prolungata in misura significativa; ampia gamma di aggiornamenti firmware. Oltre al formato Nikon DX, la continuità della Nikon D2XS si valuta nell’innesto a baionetta Nikon F, condiviso da tutte le reflex Nikon, fin dalle origini (1959!). Così è assicurata la
C
completa compatibilità con la gamma di obiettivi AF Nikkor e con la famiglia in rapida espansione degli obiettivi di alta qualità DX Nikkor, appositamente calcolati per l’acquisizione digitale di immagini. Inoltre, la presenza di un sensore CMOS con ben 12,4 Megapixel, tutti effettivamente utilizzati per l’acquisizione, garantiscono una straordinaria resa dell’immagine.
NELLO SPECIFICO La capacità della Nikon D2XS di registrare immagini Jpeg o RAW da 12,4 Megapixel, fino alla cadenza di cinque fotogrammi al secondo nella modalità di ripresa in sequenza continua, assicura una adeguata velocità fotografica, con in più la possibilità di sostenere la cadenza di otto fotogrammi al secondo, grazie alla funzione High-Speed Crop, che registra una specifica porzione centrale dell’inquadratura con una risoluzione pari a 6,8 Megapixel. Nell’uso, è pratico poter selezionare l’Adobe RGB nelle tre modalità colore, per sintonizzarsi con un più ampio range cromatico, in riferimento a incarichi diversi e differenti flussi di lavoro, sempre a complemento dei file NEF. Inoltre, si ampliano anche le opzioni creative dirette in-camera, con l’aggiunta di una nuova modalità colore Bianco & Nero (sRGB). La combinazione di efficaci tecnologie proprietarie di elaborazione dell’immagine
Forte di un sensore di acquisizione da 12,4 Megapixel effettivi, la nuova reflex digitale Nikon D2XS offre una alta precisione fotografica e un’efficace velocità di risposta, per prestazioni di assoluto livello professionale con il sistema di misurazione Color Matrix 3D II assicura alla Nikon D2XS la possibilità di realizzare immagini da 12,4 Megapixel ricche di dettagli, colore e gradazioni. Il sistema di misurazione Color Matrix 3D II da 1005 pixel RGB (altro affinamento dell’attuale D2XS) è ora disponibile anche in modalità High-Speed Crop. La maneggevolezza e comodità si basano anche sui miglioramenti apportati al mirino, per agevolare la visione in HighSpeed Crop, sull’impiego di un nuovo schema cromatico, che facilità l’accesso ai menu, e su nuove opzioni di personalizzazione delle impostazioni. Allo stesso momento, si confermano la ripresa ad alta velocità, la rapidità di avvio, il ritardo allo scatto di soli trentasette millisecondi e il sistema autofocus Nikon MultiCAM 2000 a undici
aree, con nove sensori a croce (che restano attivi quando si impiega la modalità HighSpeed Crop). Insomma, tutte funzioni che permettono di concentrarsi sulla ripresa, senza distrarsi nella ricerca delle impostazioni più adatte per ottenere il risultato migliore. Cui si aggiunge, poi, l’elevata velocità di lettura/scrittura su scheda e interfaccia USB 2.0, per un rapido trasferimento delle immagini. L’ulteriore evoluzione dei
AL VERTICE
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DEL SISTEMA
menu Impostazioni Recenti aggiunge la possibilità di cancellare le impostazioni in atto o bloccarle, per prevenire modifiche accidentali. La D2XS offre anche il display dell’istogramma RGB, che consente una valutazione più accurata dell’immagine sull’ampio monitor LCD da 2,5 pollici. Si possono visualizzare istogrammi specifici per canale colore ([R] rosso, [G] verde o [B] blu) per una verifica dell’immagine immediata e più dettagliata.
SISTEMA Come componente del Nikon Total Imaging System, la Nikon D2XS è compatibile con gli obiettivi DX Nikkor, specifici per il digitale, oltre che con l’intero sistema AF Nikkor nato nell’ambito della fotografia tradizionale 24x36mm su pellicola. Inoltre, nell’impiego abbinato con i flash elettronici Nikon Speedlight SB-800, SB-600 e R1C1, la D2XS mette a particolare frutto il potenziale del Sistema di Illuminazione Creativa Nikon, offrendo prestazioni flash di elevata precisione, con il controllo i-TTL dell’emissione lampo e il supporto del sistema Nikon Advanced Wireless Ligh-
ting. Con le unità Speedlight SB-80DX e SB-50DX, la D2XS supporta il controllo flash D-TTL. La più recente batteria ricaricabile Li-ion EN-EL4a ad alta capacità, in dotazione, offre un’autonomia significativamente superiore e tutta la potenza che serve per scattare fino a tremilaottocento immagini per carica. Può essere ricaricata in qualunque momento e dispone di un pratico indicatore di livello, che mostra la carica rimanente in percentuale, il numero di scatti eseguiti dalla ricarica precedente e le condizioni complessive della batteria. La possibilità di impiego del Trasmettitore Wireless WT2/2A permette un rapido invio delle immagini, una maggior sicurezza e la compatibilità con i protocolli più recenti; mentre, tramite un computer con installato il software Camera Control Pro (opzionale), si può accedere al controllo remoto wireless LAN della D2XS. Per quanto concerne il de-
sign, la tradizionale e nota vocazione di Nikon all’eccellenza coniuga l’ergonomia con un aspetto piacevole. Grazie allo stile creato dal famoso designer industriale Giorgetto Giugiaro, la Nikon D2XS è immediatamente riconoscibile come un apparecchio della nuova generazione Nikon. La reflex è progettata per accrescere la facilità d’uso, per resistere a umidità e polvere e per una durata illimitata. Dimensioni, configura-
zione e disposizione dei pulsanti e dei comandi operativi sono stati tutti studiati per un impiego e un riscontro ottimali, in modo da minimizzare la necessità di staccare l’occhio dal mirino. A questo si aggiunge un corpo realizzato in lega di magnesio, materiale leggero quanto robusto e durevole, in grado di fornire la massima affidabilità anche nell’impiego professionale più rude. (Nital, via Tabacchi 33, 10132 Torino). A.Bor.
ALTRO ANCORA
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intetizziamo una serie di funzioni complementari della Nikon D2XS, che agevolano la creazione e gestione delle immagini e che confermano la personalità dichiaratamente professionale della sua stessa proposizione tecnica. ❯ Algoritmo di elaborazione studiato in funzione della massima qualità d’immagine. La Nikon D2XS assicura la possibilità di realizzare i file d’immagine anche di dimensioni molto ampie (sempre più spesso richieste dal mercato). Non è solo una questione di Megapixel. Per ottenere una resa elevata, in grado di far fronte alle odierne esigenze della fotografia professionale, entrano in gioco moltissime altre tecnologie coordinate e finalizzate. ❯ Trimming creativo in-camera. Nuova funzione aggiunta, il trimming in-camera permette di “tagliare” le acquisizioni RAW, Tiff o Jpeg eseguite con la D2XS, per realizzare immagini di risoluzione inferiore, compresa tra 640x480 pixel e 2560x1920 pixel. ❯ Sovrapposizione d’immagine: con cui si possono fondere file grezzi RAW (NEF) già registrati sulla scheda di memoria, per creare un nuovo file di immagine direttamente nella reflex. ❯ Supporto GPS. Con l’impiego di un cavo GPS (accessorio MC-35), insieme ai dati di ripresa di ciascuna immagine, da un dispositivo GPS esterno si possono trasferire e registrare informazioni di localizzazione, quali la latitudine, la longitudine, l’altitudine e la bussola (direzione). ❯ Trasferimento diretto senza cavi delle immagini. La Nikon D2XS supporta il nuo-
vo Trasmettitore Wireless WT-2/2A ad alta velocità, compatibile IEEE802.11b/g, dotato di protocolli aggiornati per il trasferimento immagini e di superiori caratteristiche di sicurezza. Il WT-2/2A supporta anche il nuovo protocollo PTP/IP. Inoltre, nell’impiego abbinato con il software Camera Control Pro, diventa possibile controllare la reflex dal computer in configurazione wireless. ❯ Esposizione multipla: crea una sola immagine da un numero di esposizioni successive, fino a dieci. ❯ Software Nikon PictureProject, studiato per l’impiego con la D2XS. È un’applicazione software intuitiva nell’uso e versatile, perfetta per trasferire le immagini, archiviarle, introdurvi modifiche basilari (è incluso il plug-in NEF) e organizzare la stampa. ❯ Supporto per Capture NX. Applicazione con una efficace gamma di attrezzi di assistenza. Oltre che per le immagini Jpeg e Tiff, Capture NX offre un versatile potenziale di editing per i file NEF (Nikon Electronic Format). Affinato grazie alla rivoluzionaria tecnologia U-Point, questo programma semplifica largamente la selezione di oggetti, colori o aree, supportando modifiche molto accurate a una miriade di elementi dell’immagine, pur preservando l’integrità dei dati originali. ❯ Autenticazione Immagine per proteggere l’integrità di dati preziosi. Questa nuova funzione di Nikon offre l’autenticazione dell’immagine per i file digitali. Vengono fornite indicazioni sull’eventuale manomissione dell’immagine e su ogni cambiamento apportato a data e informazioni GPS.
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uante strade deve percorrere un uomo, prima che tu possa definirlo tale?, canta Bob Dylan in Blowing in the wind. Al Viaggio, nella propria dimensione di azione, esplorazione, conoscenza è dedicata la Quindicesima edizione di Portfolio in Piazza, la consistente manifestazione di Savignano sul Rubicone, in provincia di Forlì, che si impone come uno dei più significativi appuntamenti italiani della fotografia.
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Il viaggio (in fotografia)
PIERGIORGIO BRANZI
Azione, esplorazione, conoscenza Oltre il consueto e consolidato programma, la grande novità 2006 riguarda la nascita di Savignano Immagini. Un logotipo, uno spazio e una serie di iniziative attorno la fotografia, che assorbiranno la cittadina durante tutto l’anno: laboratori, mostre e una nuova collana editoriale, che debutta già con pubblicazioni di spessore. Come annotato, il tema di Portfolio in Piazza 2006, al solito curato da Denis Curti, è particolarmente intrigante ed evocativo: il Viaggio, come metafora di vita, scoperta e apprendimento. I fotografi sono i viaggiatori del Ventunesimo secolo; attraverso immagini che testimoniano il loro passaggio in luoghi più o meno noti, ognuno si avvicina a nuove realtà, a un’umanità di cui non si conosceva l’esistenza. Perché il viaggio non è solo geografico; anzi, nell’era della globalizzazione, nessun luogo è lontano. Ma il viaggio vero, quello che resta nella mente e nel cuore, quello che cambia un’esistenza, è altro; come diceva lo scrittore
Nel nome di Giacomelli Concorso fotografico e Borsa di studio esta edizione del Memorial Mario Giacomelli, organizzato dal Circolo Fotografico Sannita per ricordare la figura del grande fotografo, scomparso il 25 novembre 2000: borsa di studio di mille euro offerta dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Morcone. In simultanea, Terza borsa di Studio Memorial Mario Giacomelli, con il patrocinio dell’Università degli Studi del Sannio di Benevento.
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«Vogliamo ricordare Mario Giacomelli premiando e segnalando fotografi ricchi di talento e di utopie, che fotografano guardando il mondo con incanto, pietà, commozione, razionalità ma sempre rispettando la persona fotografata e chi guarderà le fotografie scattate», dichiara Grazia Neri, presidente di giuria. Nel 2005, al Memorial Mario Giacomelli si è affermato il bosniaco Zijah Gafic; gli anni precedenti hanno
John Steinbeck, professionista dell’avventura, «Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone». Il viaggio diviene, dunque, il mezzo per vedere, capire, conoscere e testimoniare. La complessità del reale e l’azione dell’uomo sono messe a nudo dall’immagine, dall’avventurosa scoperta di una realtà ricca di indizi e segni, di consuetudini e curiosità. La fotografia apre alla visione. L’abitare dell’uomo e il proprio essere nel mondo si rispecchiano nell’immagine, e l’azione del fotografo appare in tutta la sua forza quando, evidente esercizio sul presente, assume il significato di un impegno conoscitivo oltre che di una attività espressiva. Portfolio in Piazza 2006: Il viaggio. 47039 Savignano sul Rubicone FC. Dal 15 al 17 settembre. ❯ Gianni Berengo Gardin: Portella della Ginestra 60 anni dopo. ❯ Piergiorgio Branzi: Incanti e altri ritratti. ❯ Francesco Radino: Inside. vinto Angela Maria Antuono (2004), ex æquo Lorenzo Castore e Loredana Moretti (2003), Vincent Delbrouck (2002) e Marco Anelli (2001). Si richiede una ricerca completa di titolo su un unico tema, composta da quindiciventi fotografie, anche in forma di file digitale. In un secondo momento, il vincitore deve fornire stampe in dimensioni adeguate all’allestimento di una mostra fotografica. Le immagini, accompagnate da un curriculum vitæ, devono essere inviate entro il 12 ottobre al Circolo Fotografico Sannita. Quota di partecipazione 15,00 euro (c/c postale 21852835,
❯ Olivo Barbieri: Cina dal 1989. ❯ Andrea Samaritani: Il colore del liscio. ❯ Eva Frapiccini: Muri di Piombo (Premio Marco Pesaresi). ❯ Alfredo D’Amato: Cocalari “Iron People” (Premio Marco Pesaresi). ❯ Silvio Canini: Un mare di silenzio (Premio Regione Emilia Romagna e Premio Provincia di Forlì-Cesena / Portfolio in Piazza). ❯ Maurizio Cogliandro: Lidia. Il cielo cade (Premio Regione Emilia Romagna e Premio Provincia di Forlì-Cesena / Portfolio in Piazza). ❯ Susanna Venturi: Yidgri - s’en sortir (a cura del Circolo Fotografico Cultura e Immagine). ❯ Parco del Rubicone: ipotesi di paesaggio (a cura della Facoltà di Architettura Aldo Rossi di Cesena). ❯ Orienti (collettiva a cura di Stefania Rossi). ❯ Pino Cacucci: Gracias México. Segreteria organizzativa, presso Vecchia Pescheria, corso Vendemini 51, 47039 Savignano sul Rubicone FC; 0541944017, fax 0541-801018; www.portfolioinpiazza.it, info@ portfolioinpiazza.it. intestato a Cosimo Petretti, via Pianello 10, 82026 Morcone BN; 0824-957042). La giuria è composta da Grazia Neri, titolare dell’omonima Agenzia, Gianni Berengo Gardin, fotografo, Roberto Mutti, critico, Maurizio Rebuzzini, direttore di FOTOgraphia, Luigi De Francesco, assessore alla Cultura del Comune di Morcone, Cosimo Petretti, presidente del Circolo Fotografico Sannita. Premiazione a Benevento, il 25 novembre. Circolo Fotografico Sannita, Casella Postale 37, 82026 Morcone BN; 0824-957042; www.cfsannita.com.
MARIO CRESCI
apallo: perla turistica della Riviera Ligure di Levante, nel Golfo del Tigullio, arco naturale noto in tutto il mondo per la straordinaria bellezza del paesaggio, che unisce Portofino a Sestri Levante, con un entroterra incontaminato, ricco di storia e cultura, che sale fino all’Appennino. Rapallo allestisce la Prima edizione di una manifestazione fotografica, che si presenta come Rapallo Fotografia Contemporanea Festival: direttore artistico Andrea Botto e direttore scientifico Mario Cresci; coordinamento Mara Granzotto. Manifestazione voluta e sostenuta dall’Amministrazione Comunale, che si propone di presentare la ricerca di autori contemporanei che guardano la realtà attraverso la fotografia, in un momento di grande rinnovamento tecnologico ed espressivo, entro il quale risul-
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ettanta immagini su un tema insolito, ma rilevante nel costume quotidiano: la barba, caratteristica maschile impregnata di simbolismo, variante a seconda delle
GIULIO SANMARTINI:
FOTOGRAFIA DI
FRANCESCO SOVILLA
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ta ancor più determinante per il fotografo recuperare il proprio ruolo sociale. Per questo, Mario Cresci (peraltro nato da queste parti, prima di itinerare per la penisola, senza soluzione di continuità dal nord al sud) è stato invitato a comporre un segno e una testimonianza importante nel territorio. Ha prodotto un lavoro che ha avuto come protagonista Rapallo, che negli anni rimarrà come patrimonio della collettività. L’affermato e noto autore, che ha dato un contributo fondamentale al dibattito culturale sulla fotografia, sia come autore, sia come docente, si è confrontato con temi come sedimentazione della memoria, segni e linguaggio, da sempre presenti e centrali nella sua poetica, qui concentrati e riuniti in una dimensione di ricordo intimo e personale. Il risultato del suo lavoro, esposto nelle sale dell’Antico Castello sul Mare di Rapallo, compone il motivo conduttore del Festival. In contemporanea, altre ricerche fotografiche di autori emergenti (Enrico Amici, Marco Citron, Danilo Donzel-
Fotografia contemporanea Prima edizione del Festival di Rapallo li, Marco Introini e Maurizio Montagna), che si sono confrontati con tematiche analoghe in altre città italiane ed europee. Esiti differenti, ma uguale attenzione alla storia e alle capacità del mezzo e identica consapevolezza nel condurre riflessioni e metodi di analisi. Autori guidati da quella imprescindibile insistenza dello sguardo che fa diventare «la scelta del fotografo prima etica che estetica, per far tornare il paesaggio al centro delle tematiche della rappresentazione», come ha annotato il compianto Paolo Costantini. Infine, in collaborazione con l’Associazione Commercianti e del Fotoclub Avis di Santa Margherita Ligure, nelle vetrine dei negozi della città sono presentate immagini di autori locali. Rapallo Fotografia Contemporanea Festival 2006. Principale sede espositiva
Castello di Mare, 16035 Rapallo GE; www.rapallofotografiacontemporanea.it, info@rapallofotografiacontemporanea.it. Dal 2 settembre al Primo ottobre. ❯ Workshop. a cura di ArtéVision, nei fine settimana di settembre si svolgono corsi teorici-pratici: Candido Baldacchino, Holga Mon Amour (due incontri 23 e 30 settembre, 24 settembre e Primo ottobre; 210,00 euro); Bruno Nardini, Cianotipia e Kallitipia (antiche tecniche di stampa; 23 e 24 settembre; 320,00 euro); Paolo Ranzani, Glamour (30 settembre e Primo ottobre; 450,00 euro); Ivo Saglietti, Reportage urbano (due incontri 23 e 24 settembre, 30 settembre e Primo ottobre; 380,00 euro). ArtéVision, Uma Franchini, via Boucheron 15bis/a, 10122 Torino; 011-5187392; www.associazionekoine.it, fotografia@ associazionekoine.it.
In barba al mondo
ombre e luci, che sono regolate sfidando i contrasti e giocando con il bianconero.
Ritratti con connotazione maschile
Francesco Sovilla: In barba al nordest. A cura di Enrico Gusella; direzione della mostra Alessandra De Lucia. Cortile Pensile di Palazzo Moroni, via del Municipio 1, 35122 Padova; 0498205651, fax 049-8205655. Dal 25 agosto al 10 settembre; 9,00-18,00.
epoche, delle religioni e delle civiltà. Come afferma Francesco Piero Franchi in L’onor del mento (non mente), «l’uomo ne fa una questione primaria d’onore e d’orgoglio, specie nelle società arcaiche: la Bibbia vieta di tagliare la barba sulle guance, ma lo si può fare in segno di lutto, tagliare la barba a qualcuno è ingiuria suprema e presso gli attuali islamisti fanatici è segno di purezza religiosa, ed è obbligatoria». Per quanto riguarda la serie di ritratti fotografici di Francesco Sovilla, sagace-
mente presentati In barba al nordest (geografico), è evidente il narcisismo che sta alla base dei soggetti, nei quali la barba occupa un ruolo di primaria importanza. Si ritrovano amici, conoscenti, anonimi, che posano felici per il fotografo e si lasciano trascinare da qualche battuta, aneddoto, risata, mentre l’autore li guarda e indaga dentro loro con il suo occhio fotografico. Per questo, nelle immagini si coglie un’essenza, il carattere, una particolarità. Inoltre, caratterizzano questi ritratti la profondità, le
A seguire 60 Festival d’autunno 60 Tempo che scorre 60 Fotografia e spettacolo 61 Risonanze affettive 61 Famiglia dell’Uomo
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esta edizione del concentrato programma fotografico che si svolge in autunno a Cesano Maderno, alle porte di Milano (FOTOgraphia, luglio 2005). Nove le mostre di Foto&Photo 2006, curate da Enrica Viganò. Nel doppio spazio espositivo del prestigioso Palazzo Arese Borromeo, Ed van der Elsken mostra i rapporti tra fotografia e opere cinematografiche, e le immagini di Alberto Garcia Alix (un cui autoritratto è simbolo di questa edizione della manifestazione, qui sotto) trasportano in un viaggio attraverso la movida spagnola. Il programma, distribuito in
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Festival d’autunno
ALBERTO GARCIA ALIX
Nove mostre, con ulteriore contorno spazi cittadini, continua con le fotografie di Eric Klemm (la natura prende il sopravvento sugli oggetti), i siti storici brianzoli di Emmanuel Mathez, le squadre di calcio amatoriali di Hans van der Meer, la retrospettiva di Mimmo Jodice (la ricerca sulla memoria storica si fa viaggio astratto, senza luogo né tempo), la mostra sui film interpretati da Alberto Sordi, la tragedia di Chernobyl visualizzata da Pierpaolo Mittica (esposta al National Museum di Kiev, per commemorare il ventennale dell’esplosione della centrale nucleare) e una selezione di Katharina Mouratidi (i no-global, movimento culturale e sociale nato nel corso dell’ultimo decennio). Accompagnano Foto&Photo 2006 consuete attività parallele: incontri, un convegno e il
Festival Off, che presenta i giovani fotografi selezionati nel corso del FotoFest di Houston. Foto & Photo 2006. Fotografia a Cesano Maderno MI; 0362-513550; www.cesanofotoephoto.it, cultura@cesano.it. Dal 23 settembre al 19 novembre. ❯ Ed van der Elsken: Long Live Me! Palazzo Arese Borromeo, piazza Borromeo; mercoledì-venerdì 15,00-18,00, sabato e festivi 10,00-18,00. ❯ Alberto Garcia Alix: Pura Vida. Palazzo Arese Borromeo, piazza Borromeo; mercoledì-venerdì 15,00-18,00, sabato e festivi 10,00-18,00. ❯ Eric Klemm: Metamorfosi. Chiesetta di Sant’Antonio e dei Santissimi Angeli Custodi, via Borromeo; martedìsabato 15,00-18,00, festivi
10,00-13,00 - 15,00-18,00. ❯Emmanuel Mathez: Brianza d’autore. Palazzina Carcano, via Garibaldi 20. ❯ Hans van der Meer: European Fields. Portici del Palazzo Arese Jacini, piazza Arese; lunedì-venerdì 10,00-12,00 15,00-18,00, sabato 10,0013,00, festivi 15,00-18,00. ❯ Mimmo Jodice: Teatro silente. Biblioteca Civica, via Borromeo 5; martedì-sabato 10,00-12,00 - 15,00-18,00, festivi 15,00-18,00. ❯ Storia di un italiano. Immagini dai film interpretati da Alberto Sordi. Cinema Teatro Excelsior, via San Carlo 20; giovedì-sabato 15,00-18,00, festivi 10,00-12,00 - 15,00-18,00. ❯ Pierpaolo Mittica: Chernobyl. L’eredità nascosta. Associazione Magister Ludi, via Dante 55; sabato 15,0018,00, festivi 10,00-12,00 15,00-18,00. ❯ Katharina Mouratidi: L’altra globalizzazione. Centro Commerciale, corso Libertà, angolo via Verdi.
Tempo che scorre Testimonianza di una antica tradizione ivive l’Opera dei pupi. Fotografie che rivelano e sottolineano una tradizione antica, appartenente a una Sicilia che (forse) sta scomparendo. Attenta ai richiami della propria terra, da tempo Iolanda Maccarrone ne ripercorre i riti, documentando quanto potrebbe non sopravvivere ai nostri attuali e controversi tempi. Con
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la coinvolgente serie Anime in Opera accende le luci della ribalta su un mondo incantato, entro il quale i pupi sono vivi e raccontano la propria storia: dal lavoro paziente dei pupari, che danno loro un corpo, alla messa in scena in teatro, dove i manianti danno loro l’anima. Lottano e tremano dentro le lucide armature, cadono, si rialzano, muoiono: diventano simbolo di questa terra. Iolanda Maccarrone: Anime in Opera. Galleria Fiaf, Sala Mostre Le Gru, corso Vittorio Emanuele 214, 95025 Valverde CT; 095802829, fax 095-7210294; www.fotoclublegru.it, segreteria@fotoclublegru.it. Dal 22 settembre al 5 ottobre.
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Fotografia e spettacolo Mostre, diaproiezioni e altro ancora ata come manifestazione estiva, e per questa soggetta ai capricci del tempo (atmosferico), da un paio di edizioni Dia Sotto le Stelle ha spostato le proprie date in avanti, acquisendo, al contempo, la confortevole ospitalità dei padiglioni di Malpensa Fiere, sempre a Busto Arsizio, in provincia di Varese. La quindicesima edizione, che conferma il fascino delle diaproiezioni su grande schermo, con conseguente straordinaria spettacolarità, è programmata per il 6 e 7 ottobre prossimi. Si attendono autori di eccel-
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lente prestigio internazionale, che animano sia la parte espositiva di contorno (sono previste quattro mostre), sia le serate audiovisuali. A complemento: workshop, corsi di fotografia, sale di posa a disposizione del pubblico e check-up gratuito per gli apparecchi fotografici Canon. Dia Sotto le Stelle 2006. Padiglioni di MalpensaFiere, 21010 Busto Arsizio VA. 6 e 7 ottobre. Andreella Photo; www.andreella.it, www.diasottolestelle.it, info@andreella.it.
Risonanze affettive Immagini di un paesaggio italiano
le, con immagini di Luigi Ghirri e testi di Gianni Celati. Contemporaneamente si fa è fatta strada l’idea di realizzare anche la mostra delle fotografie del volume, il cui iter è stato originariamente sconvolto dalla prematura scomparsa dell’autore. Negli anni a seguire, a cura di Paola Borgonzoni Ghirri, Il profilo delle nuvole è allestita in prestigiose sedi internazionali. Dopo un’elegante anteprima di Brescia, dove quarantaquattro immagini hanno dato avvio al nuovo spazio espositivo La Stanza delle Biciclette (a cura di Grazia Ippolito), tutte le centonove fotografie del libro sono ora presentate a Verona. Il percorso sottolinea l’intenzionale intreccio di fili narrativi originari, «momenti sparsi collegati da un reticolo di analogie». Una sorta di documentario «sui modi di guardare e sulle loro risonanze affettive. È un album delle cose che si
accolta in volume da Feltrinelli Editore nel 1989, la serie fotografica Il profilo delle nuvole del compianto Luigi Ghirri, prematuramente scomparso nel 1992, non ancora cinquantenne, viene ora organicamente presentata nelle prestigiose sale degli Scavi Scaligeri di Verona. La mostra, che conserva il sottotitolo originario Immagini di un paesaggio Italiano, è realizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Verona, in collaborazione con Riello Group Energy for Life e Banca Popolare di Verona. La genesi della mostra risale alla fine degli anni Ottanta. Per promuovere la conoscenza di Legnago e del territorio
padano, area nella quale la società è nata e opera, la Riello ha individuato in Luigi Ghirri il narratore capace di trasfigurare la realtà, non modificandola, ma rileggendola con acuta sensibilità. L’attenzione della Riello fu sollecitata dal lavoro che Luigi Ghirri e lo scrittore Gianni Celati stavano conducendo lungo le rive del Po, anticipato da un dettagliato servizio giornalistico. Invitando i due autori a spingersi oltre, più a nord, verso le terre bagnate dall’Adige, l’azienda ha fatto tesoro del loro forte sentimento di affetto per queste terre piatte, dagli orizzonti infiniti e mai banali, almeno per chi le sappia vedere. Da questo, come anticipato, è nato il libro Il profilo delle nuvo-
deata e coordinata dalla Fondation Cartier pour l’art contemporain di Parigi, che l’ha allestita in prima mondiale la scorsa primavera 2005, la personale di Rinko Kawauchi (classe 1972) dà risalto a una delle più forti personalità della fotografia giapponese contemporanea. Allo stesso momento, e in coincidenza Aila - The eyes the ears è anche la prima mostra personale europea dell’autrice, che alla fine dell’estate approda in Italia, alla Galleria Carla Sozzani di Milano. Rinko Kawauchi ama scoprire i dettagli del quotidiano, che spesso sfuggono agli occhi dei passanti frettolosi: un rubinetto che gocciola, la buccia tagliata di un’anguria, un cucchiaio di tapioca. Visti attraverso un raffinato sguardo d’artista, estrapolati da situazioni del tutto ordinarie, questi particolari acquistano un aspetto completamente nuovo, che ne esalta la bellezza, la poesia e l’emozione. Immagini di natura, le fotografie della serie Aila (dal turco
Famiglia dell’Uomo
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Condizione effimera dell’esistenza “aile”, che significa “famiglia”) rivelano la vita nei propri aspetti più stupefacenti, evidenziando l’infinita diversità del mondo naturale (alveari, uova di pesce, gocce di pioggia, arcobaleni) e insistendo sulla condizione effimera dell’esistenza. Gli animali, le piante, gli uomi-
ni sono rappresentati in diverse fasi della vita, dalla nascita fino alla morte. Come suggerisce il titolo, ciò che unisce gli esseri viventi in una sola famiglia è l’esperienza dell’esistere, e Rinko Kawauchi esprime perfettamente i legami tra gli esseri viventi, con immagini
possono vedere, indicate nel modo in cui chiedono di essere viste» (Gianni Celati in Il profilo delle nuvole). Luigi Ghirri: Il profilo delle nuvole. Immagini di un paesaggio italiano. Centro Internazionale di Fotografia, Scavi Scaligeri, Cortile del Tribunale, piazza Viviani, 37121 Verona; 045-8007490; www.comune.verona.it/scaviscaligeri/. Dal 7 luglio all’8 ottobre; martedì-domenica 10,00-19,00. che descrivono il rapporto dell’uomo con il regno animale, vegetale e minerale. A seguire, accompagnate da poesie dell’artista, le fotografie della serie The eyes the ears evocano suoni e immagini delicati e insoliti, come uno specchio caleidoscopico della natura che tutto rende magico. Le fotografie sono liriche, persino musicali per i suoni che evocano: lo sbattere delle ali di una farfalla, l’infrangersi delle onde, l’acqua che cade. Con queste immagini, Rinko Kawauchi trova una eco della sua voce interiore nel dolce mormorare del mondo che la circonda. Rinko Kawauchi: Aila - The eyes the ears. Galleria Carla Sozzani, corso Como 10, 20154 Milano; 02-653531, fax 02-29004080; www.galleriacarlasozzani.org, info@galleriacarlasozzani.com. Dal 10 settembre al 29 ottobre; lunedì 15,30-19,30, martedì-domenica 10,30-19,30, mercoledì e giovedì fino alle 21,00.
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IL PENSIERO DI PINO BERTELLI
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Il tuo libro Iraq. Ritratti dall’infanzia insanguinata propone, impone all’attenzione ormai anestetizzata del lettore occidentale immagini che vanno oltre gli stereotipi di certa fotografia dominante di reportage. Nelle tue immagini non c’è traccia del consueto abuso di grandangolo, lacrime e sangue. Bambini, donne e vecchi duramente segnati dalla guerra sono visti in una dimensione ritrattistica, con un afflato direi sacrale, che rifugge ogni sensazionalismo. Quali problemi ti si sono posti nel fotografare col giusto rispetto una realtà tanto drammatica? La storia della fotografia non è solo storia di prostituzioni mercantili o vaneggiamenti sull’arte come rivoluzione dell’esistenza. La sola fotografia buona è quella che possiamo vedere due volte, senza bruciarla. Per distruggere la fotografia italiana, per esempio, bastano una torcia e un Lazarillo de Tormes, nessuno si accorgerà della sua mancanza, nelle fosse comuni della società dello spettacolo. Per gli esteti di ogni forma fotografica (più inclini a “riprendere” i modelli/le modelle di Armani che i bambini affamati delle periferie invisibili della Terra) basta il disprezzo e mostrare il loro lavoro al boia di Londra. Niente sarà più giusto che dare inizio alle prossime gioiose esecuzioni e inaugurare nuove primavera di bellezza. Con in testa idee di amore e libertà tra le genti, sono andato in Iraq, Africa, Bielorussia, Brasile... in Italia per mostrare i volti dell’innocenza dei bambini, delle donne, dei vecchi che pagano con la miseria, la deflorazione, la morte i disegni di sfruttamento dell’uomo sull’uomo che i saprofiti della politica, dell’economia, della fede
Limitatamente alle nostre pagine, Pino Bertelli è riconosciuto per i severi e personali Sguardi su, che affrontano personalità della fotografia internazionale, inquadrati in e con punti di vista estranei alle soporifiche parole di convenienza proprie e caratteristiche della storiografia ufficiale. Ora proponiamo un’intervista che Pino Bertelli ha rilasciato a Yuri D di Channel 83 alla fine del 2004 (www.channel83.co.uk; pinobertelli@virgilio.it, yuri.d23@gmail.com).
orchestrano contro i popoli impoveriti. Non mi piace l’umanesimo degli entusiasti, perché non c’è nulla al mondo che l’entusiasmo degli imbecilli non sia riuscito a mortificare. I miei lavori sono contro la Guerra. Non ci sono guerre giuste, sante o umanitarie; la Guerra bruttura l’intelligenza dell’uomo. Ovunque i padroni dell’immaginario hanno fatto un deserto di morti e l’hanno chiamato pace. Chi semina pace raccoglie la pace. Le mie fotografie tendono a dire questo. Non importa quale obiettivo usare per disertare l’ordine del mercato globale della sopraffazione. Ciò che importa è dire qualcosa su qualcosa e preferibilmente contro qualcuno. Amen! E così sia. Nell’introduzione a Iraq, Simona Pari di Un Ponte Per... scrive: «Le guerre provocano morte, orrore, abominio. Le immagini della guerra sono ferite di sangue e carne. Macerie e distruzione. Insomma crateri, spaccature visibili, materiali, rotture più o meno definitive. Lo spettacolo del dolore mostra per ogni guerra corpi mutilati, facce sofferenti, vestiti lisi, icone miserande». Riguardo il tuo approccio fotografico, si può parlare di ferite interiorizzate? Scrivere con la fotografia il dolore degli altri è sempre un coinvolgimento dell’anima. Del meraviglioso della fotografia abbiamo conosciuto (quasi) soltanto la sua ombra, la strega piuttosto della fata. Il giullare di
corte e non il cavaliere errante della luna. La grande fotografia è quella che contiene il ritratto di un’epoca o è soltanto il prodotto dell’industria mediatica disseminato nei supermercati della civiltà dello spettacolo. Una società dà la misura della propria bellezza quando cancella dalle proprie leggi la parola guerra. Dopo Auschwitz e Hiroshima non c’è più bellezza (se c’è mai stata!) nella politica, nella cultura, nei credi. Abbiamo imparato a vivere imparando a uccidere, e anche la fotografia sovente è salita sulla gogna insieme all’inquisitore, al torturatore, all’assassino, non tanto per fissare nella storia un martire, un eroe o un pazzo, quanto per celebrare un genocidio. Il mio approccio fotografico -come annoti tu- è quello del disertore di ogni ideologia, frequentatore di cattive compagnie, sostenitore di criminali d’ogni universo mondo che non sia quello dell’amore di sé per l’intera umanità, che si trova accanto a quelli che hanno inzuppato i propri maglioni di sangue nelle strade della terra. Lewis Hine, August Sander, Dorothea Lange, Diane Arbus, Tina Modotti, Roman Vishniac o Sebastião Salgado, al di là delle celebrazioni mondane o scolastiche, hanno mostrato che l’arte della fotografia è nel dolore e non nei narcisismi ebeti che sovente albergano nelle transavanguardie che si qualificano/smerciano come arte. Ho molto apprezzato il tuo saggio su Diane Arbus e la sua “fotografia della diversi-
tà”. Abituato a documentare realtà quali corpi mutilati da armi, corrosi da fame e miseria, modificati dalle radiazioni nucleari, come ti poni davanti ad artisti come Orlan, Franko B, Andres Serrano e Joel-Peter Witkin, che attraverso body art e fotografia ridefiniscono un’estetica del corpo ferito, deviante, mutante? C’è in effetti molta comunanza tra i corpi feriti, deviati, mutanti che poeti, artisti, banditi di confine hanno buttato nella storia dell’arte (spesso recuperati dalla cultura della merce) con la “scrittura iconologica” di un certo numero di autori che affabulano forme diverse di fotografia sociale, poetica o situazionista e architettano teoretiche del rancore o dell’eresia in favore dell’“arte” a venire dell’uomo planetario. Nella storia di pittura, cinema, poesia, fotografia, videoarte o delle scritture eversive alla Banda Bonnot, come nella critica del sanpietrino sparsa nelle strade del Sessantotto, si sono avuti (e si avranno ancora) artisti del dissidio che hanno fatto (e faranno) dei “corpi dell’uomo”, martoriati e offesi, il principio di tutte le disobbedienze. Andy Warhol è un pezzente senza genio, costruito dai mercanti d’arte. I suoi emuli non sono che piccoli bastardi della “body art” del riciclo. Per non dimenticare: «I comunardi si sono fatti uccidere fino all’ultimo, perché anche tu possa acquistare un’apparecchiatura stereofonica Philips ad alta fedeltà» (Raoul Vaneigem). Fino a vent’anni tutti (o quasi) fanno dell’arte, poi restano i poeti e gli imbecilli. Sui volti dei bambini di Chernobyl da te fotografati si leggono i segni di una “civiltà” che sta mutilando se stessa mediante l’uso di
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una tecnologia fuori controllo, strumento di gruppi di potere senza scrupoli né visione del futuro. Che chiave di lettura daresti/vorresti fosse data a questa serie? Chernobyl è una metafora della nostra stupidità. Lo spettacolo di una catastrofe (non solo ambientale) ancora in atto e lo sarà ancora per centinaia, migliaia di anni. I bambini contaminati che ho fotografato, molti dei quali sono già morti, sono lì a testimoniare la superficialità, l’arroganza, l’ottusità dell’uomo. L’aggressione al pianeta azzurro da parte dei paesi, per così dire sviluppati, è feroce e le guerre, gli avvelenamenti, i terrorismi della società dello spettacolo non sembrano turbare né gli imbonitori
dell’economia transnazionale né i beoti proletari sindacalizzati che vanno nei “paesi esotici” a fare turismo sessuale. Violare un bambino dell’area ex-comunista, nero o thailandese costa un paio di dollari; le cubane sono più care, è roba per gli apparati di partito della sinistra, tutta. C’è un solo padrone/mercante/operaio buono, quello morto (e poi fotografato alla maniera dei passatori, con la testa su una botte). Mi chiedi la chiave di lettura che vorrei dare a questa serie? Credo che ogni forma d’arte non possa essere messa al sevizio della disobbedienza soltanto, ma piuttosto di fare di ogni forma estetica il principio di tutti i rovesciamenti di prospettiva di una società omolo-
gata nell’apparenza, nella violenza e nella sottomissione. Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini è una delle più straordinarie e agghiaccianti rappresentazioni della (ottusa) violenza del potere, di ogni potere. Il corpo è sempre stato al centro della poetica di Pasolini: vuoi parlarci dell’attualità del pensiero e della visione di questo straordinario uomo e artista, cui ti sappiamo particolarmente legato? La prima macchina fotografica l’ho avuta in dono da Pasolini, era il 1957, credo. Ho fatto con lui le prime immagini e poi “mi sono” venduto la Rolleiflex per andare con una puttana bionda che somigliava tutta alla
Marilyn Monroe di Niagara. Devo all’incontro con Pasolini, forse, l’eresia del mio sguardo sulla vita quotidiana. Pasolini è stato un corsaro del cinema e attraverso una poetica radicale dei corpi (anche in amore) ha avvertito la mutazione dei tempi e individuato gli antropofagi del potere come gli esecutori materiali della fine della cultura. Nel cinema pasoliniano, l’estetica dei corpi feriti è il viatico di ogni libertà oppressa e rivendicata: «Il corpo è una terra non ancora colonizzata dal potere» (Pier Paolo Pasolini). Prima di essere assassinato su un campetto di calcio della periferia romana da un marchettaro semianalfabeta (Ostia, nella notte tra l’uno e il due no-
PINO BERTELLI utore degli Sguardi su personalità e visioni della fotografia pubblicate da FOTO Ati scalderà graphia, Pino Bertelli è nato in una città-fabbrica della Toscana, tra Il mio corpo e Roma città aperta. Dottore in niente, fotografo di strada, film-maker, critico di cinema. I suoi lavori sono elaborati su temi della diversità, dell’emarginazione, dell’amore dell’uomo per l’uomo e per la difesa del Pianeta Azzurro come utopia possibile. È uno dei punti centrali del neosituazionismo italiano. Nel 1993, il regista tedesco Jürgen Czwienk ha girato un film-documentario sulla vita politica e l’opera fotografica di Pino Bertelli: Fotografare con i piedi. Il regista Bruno Tramontano ha realizzato un cortometraggio, Adoro solo l’oscurità e le ombre, tratto dal suo libro Cinema della diversità 1895-1987: storie di svantaggio sul telo bianco. Mascheramento, mercificazione, autenticità. Il pittore Fiormario Cilvini, ha illustrato lo stesso testo in una cartella di diciotto disegni a colori e una scultura. I suoi scritti sono tradotti in diverse lingue. L’International Writers Association (Stati Uniti) lo ha riconosciuto scrittore dell’anno 1995, per la “non-fiction”. Nel 1997 i suoi ritratti pasoliniani di “fotografia di strada” sono esposti (unico fotografo) in una mostra con sedici maestri d’arte a Villa Pacchiani (Santa Croce sull’Arno), che aveva come contenuto il tema Le figure delle passioni. È direttore responsabile della rivista di critica radicale Tracce e direttore editoriale della casa editrice Traccedizioni. Nel 1999 gli è stato conferito il Premio Castiglioncello per la fotografia. Nel 2004 ha ricevuto il Premio Internazionale Orvieto per il miglior libro di reportage: Chernobyl. Ritratti dall’infanzia contaminata. I suoi fotoritratti di strada si trovano in gallerie internazionali, musei e collezioni private. Tra le sue pubblicazioni: ❯ La rivolta situazionista, 1992; ❯ Elogio della diversità e sabotaggio della civiltà dello spettacolo. Omosessualità, handicap, follia, alcoolismo, droga, razzismo, 1994; ❯ Cinema della diversità 1895-1987: storie di svantaggio sul telo bianco. Mascheramento, mercificazione, autenticità, 1994; ❯ Della fotografia trasgressiva. Dall’estetica dei “freaks” all’etica della ribellione. Saggio su Diane Arbus, 1994; ❯ Jean Vigo 1905-1934. Cinema della rivolta , 1995; ❯ Farfallandia. La terra dell’amore blu , illustrazioni di Massimo Panicucci, 1995; ❯ Gianfranco Bertoli. Storia di un terrorista (a cura), 1995; ❯ Il circo obliquo. La terra che nessuno sa, illustrazioni di Massimo Panicucci, 1996;
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❯ L’angelo del non-dove. Encomio sull’eresia dell’amore e sulla ribellione del cuore dei ladri di sogni, 1996; ❯ Luis Buñuel. Il fascino discreto dell’anarchia, 1996; ❯ Fotografia di strada 1992-1994, 1997; ❯ Contro la fotografia. Il linguaggio sequestrato delle scimmie e l’incendio dell’impero dei codici. Teoria, pratica e messa a fuoco della scrittura fotografica, 1997; riedizione Contro la fotografia della società dello spettacolo. Critica situazionista del linguaggio fotografico, 2006; ❯ Cinema e anarchia. Nell’età della falsificazione e del conformismo sociale, 1981/1998, (3 volumi) 1998; ❯ Il pane & le rose della fotografia di strada, 1999; ❯ Crianças. Ritratti dall’infanzia brasiliana, 2000; ❯ Les incendiaires de l’imaginaire, 2000; ❯ Theorie der fotografie IV, 1980-1995, 2000; ❯ Pier Paolo Pasolini. Il cinema in corpo. Atti impuri di un eretico, 2001; ❯ Sahrawi. Un popolo esiliato, 2001; ❯ Livorno. Quartiere Venezia. Genti del Mediterraneo, 2001; ❯ Sassetta/Immagini di un paese nel cielo verde, 2001; ❯ Ginegay. L’omosessualità nella Lanterna magica, 2002; ❯ Glauber Rocha. Cinema in utopia. Dall’estetica della fame all’estetica della libertà, 2002; ❯ Chernobyl. Ritratti dall’infanzia contaminata, 2003; ❯ Della fotografia situazionista, 2004; ❯ Iraq. Ritratti dall’infanzia insanguinata, 2004. Ultimi video/film: ❯ Della natura come pena. Il carcere aperto dell’isola di Gorgona, 1994; ❯ Gianfranco Bertoli. Storia di un terrorista o La vita ancora, 1995; ❯ Delicado, (videoclip dal vivo), Saxea Saxophone Quartet, 1995; ❯ Storia di Laura. Dalla violenza all’amore, 1995; ❯ André Verdet. Lettera di un ebreo da Buchenwald, 1995; ❯ Gianna Ciao Pointer. Lettera dalla fotografia situazionista, 1995; ❯ Lettera dal ’68. Conversazione con Luciano della Mea, 1999; ❯ Sotto il cielo dell’Islam, 2000. Ha scritto i testi e curato la regia di una sorta di Canzone-teatro di strada o di stracci, che è stato portato in scena dalla Compagnia Angeli del non-dove: Le stanze del cuore, dedicato a Pier Paolo Pasolini (2001) e C’era una volta e una volta non c’era (2003).
vembre 1975), Pasolini porta a termine un’opera controversa, dura, di grande spessore eversivo, Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975). Nessuno gli perdona la «cattiveria del nuovo» (Bertolt Brecht). Dalla sacralità del miele libertario di Il fiore delle Mille e una notte (197374), Pasolini passa alla dissacrazione del fiele fascista/borghese e figura come nessuno mai, il letame del mondo. «Contro tutto questo voi non dovete far altro (io credo) che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili. Dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare» (Pier Paolo Pasolini). Nell’ultima opera pasoliniana, le colpe più gravi sono tre: nominare Dio, la madre e fare l’amore; ed è qui, in questo “credo”, che Pasolini vede il fascismo/razzismo che è alla base dell’ordinamento assurdo del mondo, e ricorda che la morale dei servi è veramente stupida, perché è la stessa morale dei padroni. Sicuramente, Luis Buñuel occupa un posto centrale nel tuo immaginario di artista e critico. È ancora possibile per l’arte offendere, tagliare, segnare occhio e visione come in Un chien andalou? Per Guy Debord la rappresentazione, lo spettacolo, si sono sostituiti alla vita; per William Burroughs l’uomo è ormai un territorio colonizzato da parole-virus e persuasione occulta. L’arte visiva può rappresentare ancora una “sacca di resistenza”, incidere sulla realtà? Luis Buñuel è stato uno dei miei “cattivi maestri”. Mi ha fulminato il cuore sulla strada del cinema eversivo come opera di poesia, fin da quando presi a tirare i sassi contro i fascisti e le scarpe in divisa, nel 1960. «In ogni film -ha detto l’aragonese-
metto dentro una morale, la mia; mai parlando bene di polizia, patria, clero, esercito». I primi film di Buñuel, Un cane andaluso (Un chien andalou, 1929, diciassette minuti), L’età d’oro (L’âge d’or, 1930, sessanta minuti), Las Hurdes/Terra senza pane (Las Hurdes/Tierra sin pan, 1932, ventisette minuti), circa tremila metri di pellicola, complessivamente centoquattro minuti di proiezione, tagliano corto con il mercato pedagogico della macchina/cinema e denudano anche l’effervescenza narcisistica di molta avanguardia (non solo) cinematografica. Un cane andaluso è l’incontro di due sogni, quello libertario di Buñuel e quello artistico di Dalí (che peraltro disconosce). Concepito dentro una morale/etica surrealista, il film ha introdotto nel cinema l’arma dello scandalo e divenuto una bestemmia contro le disuguaglianze sociali, lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, l’influenza abbrutente della religione, del militarismo e del conformismo sociale. Lo diceva per metafore. Per associazioni visive. In un montaggio serrato di grande forza espositiva. Lo scopo di Buñuel non era quello di cambiare il mondo (Marx), ma di far esplodere la società, cambiare la vita (Rimbaud). L’amore è l’ultimo pezzo di civiltà che viene bruciato. Fascismo non è obbligare a dire ma impedire di dire (Roland Barthes, forse). Gli stupidi e i tiranni sono sempre ammazzati troppo tardi. «Ma che posso io -dice Buñuel- contro i ferventi di ogni novità, anche se questa novità oltraggia le loro convinzioni più profonde, contro una stampa venduta o insincera, contro questa folla imbecille che ha trovato bello e poetico quanto, in fondo, non è che un disperato, un appassionato invito all’omicidio?». Per alcuni, l’abitudine a mangiare non ha mai significato prostituzione dell’arte. Guy Debord è stato un altro incontro clandestino della mia esistenza selvatica. Nel suo libro
La società dello spettacolo (tra i più rubati nel Sessantotto) scrive: «Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini. [...] Lo spettacolo, compreso nella sua totalità, è nello stesso tempo il risultato e il progetto del modo di produzione esistente [...] il modello presente della vita socialmente dominante», ed è subito poesia eversiva. Le opere cinematografiche di Guy Debord praticano e allargano la critica radicale della civiltà dello spettacolo: Urla in favore di Sade (1952), Sul passaggio di alcune persone attraverso un’unità di tempo piuttosto breve (1959), Critica della separazione (1961), La società dello spettacolo (1973), Configurazione di tutti i giudizi, tanto ostili che elogiativi, che sono stati finora dati sul film “La società dello spettacolo” (1975), In girum imus nocte et consumimur igni (1978) sono invettive, bestemmie, provocazioni contro tutto quanto figura la degenerazione delle forme di dominio approntate dall’uomo contro l’uomo. Qui Debord insegna che «lo spettacolo è la ricostruzione materiale dell’illusione religiosa» ed è anche la principale produzione di consenso della società moderna. Lo spettacolo è il monologo elogiativo delle proprie forche, è l’autoritratto del potere di un’epoca. «Là dove domina lo spettacolare concentrato domina anche la polizia. [...] Lo spettacolo non vanta gli uomini e le loro armi, ma le merci e le loro passioni» (Guy Debord). Siamo da altre parti rispetto alle tematiche trattate da Burroughs, Ginsberg, Gregory Corso o Jack Kerouac, autori particolari della cultura planetaria, certo, ma nella sostanza, poeti in cerca di amare e di essere amati e non importa da chi. Infatti, loro, come Bukowski, sono stati gli “arrabbiati” (se lo sono mai stati!) più recuperati dal potere dei supermercati. Sull’emancipazione dei desideri nascono i venti di tutte le li-
bertà: «Basterebbe un colpo di vento per trasformare questo delirio permesso nel più grande incendio che la storia conosca. Non conosciamo altra bellezza, altra festa che quella che distrugge l’abuso delle banalità quotidiane e dei sentimenti truccati» (Internazionale Situazionista). Ogni forma di poesia davvero grande, ri/porta all’Età dell’oro, quando nessuno era re e nessuno servo. L’amore dell’uomo per l’uomo è sempre un risorgere. Il tuo approccio alla fotografia è molto classico, nella propria freschezza e autenticità: come giudichi il crescente ricorso alla tecnologia digitale? È in corso un dibattito, spesso retorico, sulla verità dell’immagine. Non so bene cosa voglia dire “classico” e nemmeno conosco molto il termine “avanguardia”. Credo invece nell’autenticità della fotografia, cioè nella scrittura fotografica come interrogazione dell’esistente. Non è importante fotografare l’uomo, ciò che conta è fotografare come questo uomo sta al mondo. Ogni forma di comunicazione ha i propri teatri, le proprie lacrime e i propri santi. È il valore d’uso che fa di una macchina, una tecnica o un pensiero una cosa da rimbecilliti del mercato delle immagini o che mostra la passionalità degli insorti del desiderio di vivere o morire per un’esistenza meno feroce. Ingegneria genetica, intelligenza artificiale, chirurgia che ibrida corpo e chip, carne e tessuti sintetici: la condizione umana è sempre più contaminata. Una deriva o una possibilità? Ingegneria genetica, intelligenza artificiale, chirurgia che ibrida corpo e chip, carne e tessuti sintetici sono cose fuori dai miei interessi più vivi. So di certo che ogni potere, quando risparmia l’uso delle armi, volge alla scienza, anche la più spicciola, il compito di mantenerne il proprio dominio sulle genti; gli imperi farmaceutici, le cliniche, i medici, i
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luminari si sono comportati sempre bene con i campi di sterminio, non vedo perché non possano rinnovare il loro modello di società. Il cristianesimo ci ha insegnato ad abbassare gli occhi, la società dello spettacolo ha fatto del corpo e dell’anima l’impero del caos. Il crepuscolo degli uomini è nella sottomissione alle leggi e agli oracoli dell’apparenza. Tutta buona merda. Il mondo moderno sembra regredire sempre più a uno stadio “antico”, tra faide di clan tribali e terroristiche guerre preventive, verso uno scontro totale tra mondo povero e monopolizzatori delle risorse. Un HighRise (JG Ballard) trasposto in scala planetaria. C’è ancora spazio per l’individuo? Davanti alla società dei simulacri, della quale Ballard fa parte, e alla disumanità del divenire umano
ci assale il disgusto degli estremi; furiosi, siamo presi dagli eccessi di rovesciamento di prospettiva e, benché ogni avventuriero dell’anima o cacciatore di sogni porti in sé la fine del tempo degli equivoci, l’unico argomento che ci interessi sono l’assalto alla cultura e ai Palazzi d’inverno della mediocrità generalizzata. I bambini, come i poeti e gli amanti, sono i soli che hanno diritto alla parola e alla mala sorte di aver compreso che vittime e aguzzini sono la stessa gente. I terrorismi sono sempre di Stato e una faccenda da iloti della fede (musulmana, cristiana o ebraica, fa lo stesso). L’eternità della storia puzza di marcio. C’è sempre un Dio, un tiranno o un capo di Stato all’origine delle sofferenze dell’uomo. Ogni rivolta contro ogni forma di sopruso è santificata dalla banalità del vero.
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L’arte è l’apologia del Cristo/merce seduto su un letamaio. Niente più. «Una lacrima ha sempre radici più profonde di un sorriso» (Emil M. Cioran). I nostri stupori quotidiani li lasciamo ai ribelli del rancore e del disprezzo verso tutto quanto è ritenuto sacro. Per chiudere, vuoi parlarci dei tuoi progetti futuri? Non ho progetti futuri da sognare, né rimpianti sui quali naufragare. La libertà d’espressione non deve mai essere disarmata. «Ciascuno ha diritto a ricorrere a tutte le misure dissuasive. Ivi compresa la violenza, per difendere la vita contro le forze decise a distruggerla» (Raoul Vaneigem). I corsari del libero spirito dicono che non bisogna pensare, né scrivere, né sognare nella lingua dei padroni, perché lì regna la menzogna! E al-
la menzogna va tagliata la testa. Avvicinati. Prendi il mio cuore che ho sotterrato nel tuo! L’amore dell’uomo per l’uomo non è là dove si incensa, impudico, ma dove si libera dal giogo dell’apparenza e dalla sottomissione. Pensare l’amore di sé nell’amore per l’altro, è già dargli voce. Il compito più importante che ci aspetta è di costruire castelli in aria, diceva. Non dobbiamo avere timore che il nostro lavoro di lampadieri di anime insorte vada perduto. L’uovo di Durruti -prima o poi- si schiuderà, perché l’umanità intiera sta già cambiando e l’utopia possibile è già qui; come non sentire i canti di liberazione dietro i paraventi della storia che fanno eco alla critica radicale (di tutte le armi) e portano verso un mondo diverso e davvero possibile. Buona vivenza. Bella ciao... (20 volte dicembre 2004)
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