FOTOgraphia 126 novembre 2006

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Mensile, 5,70 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano

ANNO XIII - NUMERO 126 - NOVEMBRE 2006

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Visa pour l’Image EDIZIONE 2006 IN CRONACA

Irriducibili HORSEMAN 3D SILVESTRI FLEXICAM

PHOTOKINA 2006 IL PRESENTE PROSSIMO FUTURO


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ERAVAMO GIOVANI. Entrambi particolarmente interessati agli aspetti della fotografia professionale, con specifico riguardo alle vicende tecniche del corretto e consapevole utilizzo degli apparecchi a corpi mobili (semplifichiamo in “grande formato”), all’inizio degli anni Ottanta, per qualche stagione, con Bruno Palazzi curammo l’edizione bimestrale di Foto-Notiziario Professionale, testata mirata e indirizzata. Firmavamo in condirezione, e ci fotografammo in coppia (qui sotto: lui a destra, io a sinistra, in mezzo un apparecchio cinese da terrazza). Allora, lui poteva già vantare una solida esperienza redazionale, avviata più di vent’anni prima sulle pagine di Progresso Fotografico di Rodolfo Namias, cui fece seguito il lungo percorso di Nuova Fotografia, della quale fu editore e direttore con Fabio Consiglio. Io avevo un curriculum più contenuto, cominciato nel 1973 con Clic e proseguito con Photo 13 e altre successive collaborazioni. Ci univano tanti argomenti e altrettante visioni, ci separavano le passioni non fotografiche: io non ne avevo/ho, lui poteva condividere il suo entusiasmo per i treni in miniatura con Claudio Russo e Franco Polizzi. Io ascoltavo i loro discorsi, pur non partecipandovi; però, in una parabola esistenziale, da un domicilio con finestra sui binari della Stazione Centrale di Milano, ho permesso loro affascinanti visioni dal vivo, delle quali hanno saputo amabilmente approfittare: altri tempi. Bruno Palazzi l’ho incontrato la prima volta alla conferenza stampa di presentazione della Polaroid SX-70, l’originaria per pellicola integrata a colori autosviluppanti. Giornata confusa della primavera 1974, alla quale si riferiscono molti aneddoti. Tra i quali, non manca la sagace ironia con la quale Ando Gilardi, allora condirettore di Photo 13 assieme a Roberta Clerici, commentò l’arrivo di Bruno in sala, al quale, per gioco, attribuiva l’edizione dell’omonimo dizionario della lingua italiana. Bruno ci ha lasciati in una tiepida giornata di inizio ottobre. M.R.

Anticipiamo una considerazione che andremo ad approfondire più avanti, in uno dei prossimi numeri. Per certi versi contraddicendo una legittima ipotesi a monte, FOTOgraphia è una rivista di tante parole, speriamo mai troppe, e non molte immagini, per lo più presentate in dimensioni modeste. Dalle pagine mancano le presentazioni in forma di portfolio, e si dà sempre peso soprattutto alla riflessione sulla fotografia. Per esempio, anche in questo numero, non visualizziamo le fantastiche fotografie presentate a Visa pour l’Image dello scorso settembre e riduciamo al minimo indispensabile altre passerelle fotografiche, altrettanto degne d’attenzione. In fondo, non per giustificazione, ma a motivazione, pensiamo che sia più legittimo affrontare temi e tematiche, piuttosto che limitarci al compiacimento estetico. È un ruolo che ci siamo assegnati da soli, e che definisce la nostra presenza nel mondo della fotografia. Senza falsa modestia, siamo coscienti del valore e spessore dell’originalità dei punti di vista e profondità delle riflessioni. Sulla fotografia, senza soluzione di continuità.

Copertina 16

Dalla Photokina 2006, della quale riferiamo da pagina 40, isoliamo una novità che non incide su alcuno degli attuali equilibri tecnologici della fotografia: dal presente proiettati al futuro. Bella e poetica, come ci piace, l’Horseman 3D dà l’addio definitivo alla pellicola 35mm, per la quale riprende un antico sogno inespresso (e sfortunato): quello della fotografia tridimensionale in forma stereo Fotografia di Franco Canziani

3 Fumetto Da Fuga impossibile, avventura di Johnny Hazard (di Frank Robbins; in italiano, Johnny Azzardo: terribile!) databile alla metà degli anni Cinquanta, nella quale il protagonista incontra il fotoreporter Snap Hunter

7 Editoriale 43

Dietro-le-quinte dalla Photokina 2006, argomento oggi inevitabile, per sottolineare ancora il valore delle persone, prima di quello (eventuale) delle tecnologie applicate. Merito e onore agli irriducibili, che offrono al mercato interpretazioni arricchenti, delle quali andiamo fieri

8 C’è Modo e maniera La nuova linea di treppiedi Manfrotto Modo è rivolta al più ampio pubblico: maniera per allargare il mercato Fotografie di Enrico Fontolan

11 Il primo film (inchiesta) 8

Diretto e girato da Marcello Mencarini e Barbara Seghezzi, Nuovi comizi d’amore è il primo lungometraggio interamente realizzato con telefonino dotato di funzioni video (nello specifico, Nokia N90)


. NOVEMBRE 2006

RRIFLESSIONI IFLESSIONI,, OSSERVAZIONI OSSERVAZIONI EE COMMENTI COMMENTI SULLA SULLA FFOTOGRAFIA OTOGRAFIA

14 Sì e no, Diane Arbus

Anno XIII - numero 126 - 5,70 euro

Nelle sale da fine ottobre, il cinematografico Fur. Un ritratto immaginario di Diane Arbus è esattamente questo: tanta immaginazione. Privo di quei richiami fotografici che si erano sperati, è il racconto di un’ossessione esistenziale Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

DIRETTORE

IMPAGINAZIONE Gianluca Gigante

REDAZIONE Angelo Galantini

FOTOGRAFIE

16 Ritorno a Lucca

Rouge

SEGRETERIA

Edizione 2006 del LuccaDigitalPhotoFest, avviato lo scorso anno con un programma considerato prova sul campo (numero Zero): mostre, incontri e premi

22 Quell’Undici settembre 2001-2006: a cinque anni dal devastante abbattimento delle Torri gemelle di New York, la monografia Aftermath di Joel Meyerowitz visualizza i primi istanti di Ground Zero

Maddalena Fasoli

HANNO

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26 Storie dal Congo Intenso reportage sociale di Andrea Frazzetta da una Terra africana nella quale si concentrano stridenti contraddizioni: in mostra alla Galleria Grazia Neri di Milano di Joshua Massarenti

33 Sulla strada per Perpignan

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COLLABORATO

Pino Bertelli Antonio Bordoni Franco Canziani Enrico Fontolan Joshua Massarenti Marco Moggio Loredana Patti Lello Piazza Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Zebra for You Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604, fax 02-66981643; graphia@tin.it. ● FOTOgraphia è venduta in abbonamento.

Lo svolgimento di Visa pour l’Image in un racconto personale, ricco di annotazioni e libere osservazioni di Lello Piazza

● FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano. ● A garanzia degli abbonati, nel caso la pubblicazione sia pervenuta in spedizione gratuita o a pagamento, l’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e in suo possesso, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi della legge 675/96.

40 Il presente prossimo futuro Dalla Photokina 2006 rileviamo indicazioni che non sono soltanto tecnologiche (anzi, queste scorrono via leggere, nella propria cronaca distribuita in sedici pagine a seguire). Soprattutto è una vicenda di atmosfera e clima. Come pure di persone, visioni e sogni. Un concentrato sguardo di lato rivolto al mercato di Maurizio Rebuzzini

● FOTOgraphia Abbonamento 12 numeri 57,00 euro. Abbonamento annuale per l’estero, via ordinaria 114,00 euro; via aerea: Europa 125,00 euro, America, Asia, Africa 180,00 euro, gli altri paesi 200,00 euro. Versamenti: assegno bancario non trasferibile intestato a Graphia srl Milano; vaglia postale a Graphia srl - PT Milano Isola; su Ccp n. 28219202 intestato a Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; addebiti su carte di credito CartaSì, Visa, MasterCard.

57 Redditività certa Nessuna parola vola alto. Ma, più concretamente, si pensa in termini di gestione professionale dell’attività fotografica. Polaroid Digital MiniPortrait per fototessere di Antonio Bordoni

RESPONSABILE

Maurizio Rebuzzini

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● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti. Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano

Rivista associata a TIPA

61 Agenda Appuntamenti del mondo della fotografia

64 Lisette Model Sguardi sull’umanità universale della fotografia di Pino Bertelli

51 www.tipa.com



utto come previsto, o quasi (tutto). Per quanto avessimo già preventivato una Photokina 2006 di taglio sostanzialmente alto, comunque estranea e lontana dai termini che in passato (soprattutto remoto) avevano tracciato percorsi tecnologici in divenire, non ci eravamo immaginati tanta e tale concretezza tecnologica: ne riferiamo in dettaglio da pagina 40, e completeremo la panoramica sul prossimo numero di dicembre, affrontando questioni, diciamola anche così, parallele e fiancheggiatrici. Come sempre, ancora e anche oggi le rilevazioni in cronaca sono guidate da impressioni personali, magari influenzate da disposizioni intime (lo confessiamo subito). Rapidamente, la principale sensazione di fondo. Come previsto, non sono più tempi di indicazioni ed espressioni tecnologiche che stabiliscono tendenze e/o tracciati, ma di prodotti che, pur valendo per se stessi, si proiettano in un insieme commercialmente omogeneo e compatto. Quasi si fossero passati parola, e magari è anche così, con il complesso delle proprie novità, che accrescono l’offerta dei rispettivi cataloghi, tutti i produttori hanno detto e non detto. Ovvero, hanno presentato oggetti che conservano la personalità del presente, in attesa di una prevedibile imminente evoluzione successiva: quella “Terza generazione” digitale della quale riferiamo esplicitamente nell’analisi dalla Photokina 2006. Essenzialmente, si tratta di registrare soprattutto un clima, un’atmosfera, che sta attraversando positivamente l’intero mercato e mondo fotografico. E di questo dobbiamo fare tesoro: sia dal punto di vista puramente tecnico, sia per quanto riguarda le inevitabili proiezioni sul mondo dell’immagine, che è ciò che effettivamente conta e, tutto sommato, interessa. Anche per questo, ma non solo per questo, la nostra personale visione, ribadiamo «influenzata da disposizioni intime», continua a osservare anteponendo le persone e personalità al tutto. Detto ciò, eleviamo a simbolo l’Horseman 3D, dedicandole addirittura l’odierna copertina e anteponendo la sua presentazione alla consistente quantità di notizie e novità segnalate (a pagina 40). Questa configurazione saluta la pellicola 35mm con apprezzata solennità, alla quale si somma e aggiunge l’irriducibile personalità tecnica del suo progettista Yoshiyuki Akutagawa (alla cui figura accostiamo quella dell’italiano Vincenzo Silvestri). Per certi versi potrebbe sembrare che la Horseman 3D volti le spalle al futuro, ma non è esattamente così: intendiamola e apprezziamola per la sua celebrazione del lungo percorso fotografico della pellicola fotosensibile, esaltata in una interpretazione stereo che sta sopra le parti. Del resto, come intravisto in molte altre vicende, non è assolutamente necessario che lo sguardo dal presente al futuro faccia tabula rasa della storia e del passato. Anche la Photokina 2006 è stata costellata di richiami datati, a partire dal riconoscimento delle proprie origini: perché non è il caso di buttare via nulla. Consistenti fondamenta garantiscono giusto solidità agli edifici. Maurizio Rebuzzini

T

Yoshiyuki Akutagawa è un fotografo e designer. In combinazione di intenti, ha progettato una interpretazione stereo sulla base dell'Hasselblad XPan, da lui disegnata per Fuji (Fujifilm TX-1). Sul mercato come Horseman 3D, scompone l’originaria visione Panorama 24x36mm in una coppia di fotogrammi con restituzione tridimensionale.

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C’È MODO E MANIERA

S

Subito la definizione. Modo è la nuova linea di treppiedi Manfrotto, che si distingue immediatamente dalla lunga linea evolutiva della famiglia. Per la prima volta, infatti, l’indirizzo è dichiaratamente rivolto al più ampio pubblico, che si estende ben oltre i riferimenti di competenza e consapevolezza fino a ieri assolti dall’insieme dei treppiedi della conosciuta produzione italiana, ormai leggendaria in tutto il mondo. Per quanto, a partire dallo storico Triminor, altri treppiedi Manfrotto di costruzione leggera e semplificata, sia in alluminio sia in carbonio, abbiano esteso i propri orizzonti oltre l’impegno professionale, assolti questi da dotazioni adeguatamente declinate, gli attuali Modo vanno

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addirittura oltre. Non soltanto, si rivolgono ai fotografi non professionisti, ma puntano direttamente alla consistente massa della fotoricordo e della fotografia familiare. Ovverosia, propongono la propria praticità, comodità di uso, leggerezza di trasporto, combinate con efficacia di sostegno, a tutta la fotografia quotidiana svolta con apparecchi anche (o forse soltanto) compatti. In linea e accordo con l’attuale offerta di mercato, sovrabbondante di compatte digitali vendute in sostanziose quantità e videocamere adeguatamente portatili, i treppiedi Manfrotto Modo offrono un punto di appoggio/ripresa stabile e sicuro, per una eterogenea ma realistica serie di situazioni e condizioni proprie e caratteristiche della fotografia quotidiana (fotoricordo, soprattutto). In condizioni di scarsa luminosità, nella ripresa con autoscatto, ai prolungati tempi di otturazione... è assicurata una esposizione nitida e priva di mosso o sfuocato. Presentati in una anteprima pubblica di tutto rispetto, visualizzata in questa pagina, in piazza della Signoria di Firenze, in prossimità di straordinarie mete del turismo internazionale, nella propria semplicità di uso (fotografico e video) i treppiedi Modo riassumono in sé idee, tecnologie, studi ed esperienze provenienti dal produttore leader nel settore e da molteplici collaborazioni con affermati professionisti. Ripetiamo e ribadiamo: i treppiedi (e monopiede) Manfrotto Modo sono facili da usare, pratici in ogni funzione e versatili. Dotati di particolare testa Hybrid Ball Head a movimento libero, sono indifferentemente adatti all’uso con apparecchi fotografici e videocamere. La famiglia Modo prevede e include anche un esclusivo zainetto, appositamente progettato per il trasporto del treppiedi, entro il quale si possono distribuire ulteriori elementi, confortevolmente collocati in appositi vani: dalla macchina fotografica o video-

Indirizzati a un pubblico di largo consumo, i treppiedi Manfrotto Modo sono stati presentati in una anteprima in piazza della Signoria, a Firenze. Turisti e passanti sono stati coinvolti in efficaci dimostrazioni sul campo.

camera al telefonino, dal lettore Mp3 agli oggetti personali. Alla partenza, Modo offre due diversi treppiedi a cinque allungamenti, con gambe a tre aperture angolari (Modo Maxi, 0,98kg di peso, regolabile in altezza da 43,5 a 150,5cm; Modo Mini, 0,87kg di peso, regolabile in altezza da 36,5 a 114,5cm), il monopiede Modo Mono (0,29kg di peso, regolabile altezza da 39 a 145,5cm) e lo zainetto dedicato Modo Bag. Insomma, Modo è la maniera per avvicinare ampie fasce di pubblico potenziale, in un discorso fotografico che ha sempre bisogno di sollecitazioni e proposte intelligenti. La parola, come sempre, passa ora al commercio, ovvero alla capacità, voglia e volontà di chi sta a contatto quotidiano con i clienti: discorso ampio, dai mille risvolti. (Bogen Imaging Italia, via Livinallongo 3, 20139 Milano) A.Bor. Fotografie di Enrico Fontolan


SONDAGGIO EUROPEO TIPA 2007 Una grande ricerca tra i lettori delle trentun riviste associate alla TIPA (Technical Image Press Association) in dodici paesi europei. Straordinaria occasione per affermare chi siamo all’industria fotografica. 01 Le mie informazioni sui prodotti fotografici le ottengo regolarmente da (sono possibili più risposte) 1 Riviste di fotografia 2 Riviste di computer 3 Riviste di tecnica varia (fotodigitale/video/audio) 4 Dal mio negoziante 5 Alle fiere specializzate 6 Dai dépliant dei prodotti 7 Da Internet Comunque mi fido di più della fonte numero ........

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02 Scatto fotografie ❏ Da professionista ❏ Da utente professionale (libero professionista: architetto, designer, altro) ❏ Da non professionista (semi-professionista) 03 Soprattutto, lavoro nei seguenti campi (sono possibili più risposte) ❏ Fotogiornalismo ❏ Fotografia di viaggio ❏ Fotografia artistica ❏ Ritratto ❏ Fotografia di documentazione tecnica (per esempio, assicurazione) ❏ Fotografia industriale ❏ Fotografia scientifica ❏ Fotografia commerciale e pubblicitaria ❏ Altro 04 Per le mie esigenze fotografiche acquisto sempre ❏ Dal negoziante di fiducia In negozi discount ❏ Per corrispondenza/on-line ❏ Sul mercato dell’usato ❏

05 Per la stampa delle mie fotografie analogiche ❏ Stampo in proprio su carta fotografica Stampo in proprio su altri supporti (non carta fotografica) Mi rivolgo al negoziante o laboratorio di fiducia ❏ Uso il servizio postale ❏ Le ordino a servizi di stampa on-line Le ordino attraverso altri servizi ❏

digitali

❏ ❏ ❏ ❏ ❏

06 FOTOgraphia pubblica dieci numeri all’anno (ed è in solo abbonamento postale) Ne leggo ........ numeri all’anno Questa è la prima volta che la leggo

07 Ottengo FOTOgraphia In abbonamento La acquisto in libreria Come saggio promozionale La leggo quando altri l’hanno già letta La leggo al Fotoclub o in Biblioteca o a Scuola

❏ ❏ ❏ ❏ ❏

08 Oltre a me, altre ........ persone leggono FOTOgraphia 09 Di ciascun numero di FOTOgraphia leggo Tutte o quasi tutte le pagine Circa tre quarti della rivista Circa la metà della rivista Circa un quarto della rivista Solo alcune pagine della rivista

spesso

di rado

mai

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10 Sfoglio o leggo ogni numero di FOTOgraphia circa ........ volte 11 Leggo ogni numero di FOTOgraphia per un totale di ........ minuti

La TIPA - Technical Image Press Association ha indetto un sondaggio tra i lettori delle trentun riviste europee associate. Già in passato, la TIPA ha svolto diversi sondaggi tra i lettori europei per fornire all’industria fotografica le opinioni di un gruppo di utenti qualificati. Nell’attuale fase di cambiamento, l’industria fotografica desidera conoscere l’orientamento degli utenti leader, per cui la vostra partecipazione a questo sondaggio è molto importante. L’anonimato è garantito, perché la parte del questionario indicata dal tratteggio (con compilazione facoltativa dei dati personali) sarà ritagliata all’arrivo, prima dell’elaborazione delle risposte. Fanno parte di TIPA trentun riviste fotografiche europee associate: Photo Video Audio News (Belgio); Réponses Photo e Chasseur d’Image (Francia); Inpho, Photographie, PhotoPresse, ProfiFoto, Photo Hits e Digit! (Germania); Photographos e Photo Business (Grecia); Digital Photo, Practical Photography, Professional Photographer e Which Camera? (Inghilterra); Fotografia Reflex e FOTOgraphia (Italia); Foto, Fotografie, Fotovisie, P/F - Professionele Fotografie e Digitaal Beeld (Olanda); Foto (Polonia); Foto/Vendas Digital (Portogallo); Photomagazin (Russia); Arte Fotografico, Diorama, Foto/Ventas, FV/Foto-Video Actualidad e La Fotografia Actual (Spagna); Fotointern (Svizzera).


12 Giudico FOTOgraphia in questo modo FOTOgraphia è Un’importante rivista di fotografia Fonte di ispirazione (riflessione) Di grande aiuto pratico Molto attendibile e competente Dà ottimi consigli per acquistare attrezzatura Dà ottimi consigli per acquistare accessori Rende il mercato fotografico più trasparente Se FOTOgraphia non ci fosse, mi mancherebbe

16 Mi riconosco nelle seguenti definizioni da completamente vero a non vero

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❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏

❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏

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da completamente vero a non vero

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Mi fa piacere dare consigli sulla composizione Trasmetto le mie conoscenze ad altri nei workshop Do importanza alle opportunità creative del computer Ho dato consigli ad altri per i loro acquisti fotografici 17 Leggo la pubblicità che appare su FOTOgraphia sempre ❏ spesso ❏ di rado

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mai

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18 Per me, la pubblicità che appare su FOTOgraphia 13 La mia attrezzatura consiste in ........ Macchine fotografiche analogiche, delle quali ........ reflex ........ Macchine fotografiche digitali, delle quali ........ reflex ❏ Scanner piano ❏ Stampante di qualità fotografica

da completamente vero a non vero

Ha un valore informativo Mi ha spinto a fare un acquisto

14 Lavoro Nel mio studio fotografico Con il mio laboratorio analogico (camera oscura) Con mie postazioni digitali

❏ ❏ ❏

15 Nei prossimi ventiquattro mesi intendo acquistare Reflex 35mm Apparecchio medio formato Apparecchio digitale fino a 6 Megapixel Apparecchio digitale oltre 6 Megapixel Reflex digitale Supporti di memoria Obiettivi intercambiabili Treppiedi Film scanner Scanner piano Stampante fotografica Videoproiettore Esposimetro Software di ripresa dell’immagine Software di gestione dell’immagine Illuminazione da studio

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19 Informazioni personali Sono: Maschio ❏ Femmina ❏ Ho ........ anni La mia attuale occupazione Dipendente Libero professionista / Freelance Assistente / Tecnico specializzato Studente / Stagista Pensionato Altro

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I miei studi Licenza media Maturità (liceale/tecnica) Laureato / Livello universitario

❏ ❏ ❏

La disponibilità mensile netta di tutta la mia famiglia è ❏ Tra 3000,00 e 3499,00 euro Inferiore a 1000,00 euro Tra 1000,00 e 1499,00 euro ❏ Tra 3500,00 e 3999,00 euro Tra 1500,00 e 1999,00 euro ❏ Tra 4000,00 e 4499,00 euro Tra 2000,00 e 2499,00 euro ❏ Superiore Tra 2500,00 e 2999,00 euro ❏

❏ ❏ ❏ ❏

INVIARE IL QUESTIONARIO ENTRO IL 15 DICEMBRE

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IL PRIMO FILM (INCHIESTA)

D

Diretto da Marcello Mencarini e Barbara Seghezzi e prodotto da Emage, a tutti gli effetti, cronologici e ideologici, Nuovi comizi d’amore è il primo lungometraggio interamente girato con un telefonino cellulare. È un film documentario ispirato ai Comizi d’amore di Pier Paolo Pasolini, che nel 1963 attraversò l’Italia con una troupe cinematografica tradizionale, intervistando gli italiani circa le loro idee in materia sessuale. Analogamente, e in collegamento diretto, la scorsa estate 2005, Marcello Mencarini e Barbara Seghezzi hanno registrato cosa è cambiato rispetto quarant’anni fa. Personalmente, siamo teorici del delicato e consistente rapporto che collega il linguaggio al proprio mezzo (tecnico), in fotografia prima di altro, ma nell’ambito più generale della comunicazione visiva. A conseguenza, non ignoriamo un sostanziale valore di fondo che definisce, qualificandola, l’attuale esperienza, che si allunga su novantatré incessanti minuti di parole e rilevazioni sul rapporto individuale con la sessualità (e non è in discussione, né dibattito, l’argomento, quanto, più concretamente, la realizzazione). In definitiva, l’azione di Marcello Mencarini e Barbara Seghezzi, profeti dei nuovi mezzi di comunicazione, a partire dal rapporto potenziale tra telefonino e immagine, al quale riservano le pagine dell’attento Makadam (cartacee e virtuali www.makadam.it), hanno declinato in attualità la dirompente azione che il celebrato Pier Paolo Pasolini realizzò all’alba degli anni Sessanta (meno leggendari di quanto si possa credere oggi, basandosi sulla fragilità dei ricordi individuali). In un’epoca e tempo nei quali cinema e televisione non potevano pronunciare certi termini e affrontare determinati argomenti, il sesso sopra tutto, il compianto intellettuale-regista affrontò un tema sostanzialmente evitato. A distanza di decenni, che poi sono secoli di pensiero, i registi Marcello Mencarini e Barbara Se-

ghezzi raccolgono il testimone e rispondono con chiarezza e prontezza a una domanda di stretta attualità: come sono cambiati gli imbarazzi in materia di sesso, nell’epoca di Internet, transessualismo esibito, omosessualità sbandierata e apparente libertà di espressione?

VIDEOFONINO È risultata determinante e qualificante proprio la mediazione di un mezzo identificato e particolare, qual è il telefonino con funzione video. Addirittura, il videofonino ha consentito un avvicinamento complice con i soggetti, evitando la barriera di sovra-

strutture complesse, alla resa dei conti depistante. E qui, subito, occorre una precisazione. Infatti, bisogna tener conto di come e quanto la presenza di un fotografo o videoperatore modifichi la sostanza degli avvenimenti, sempre e comunque. Possiamo dire che prima del telefonino, con tutte le proprie implicazioni sociali e di contenuto (ne abbiamo già riflettuto, e ancora lo rifaremo), la lunga storia del linguaggio visivo ha espresso e offerto soprattutto immagini comprensive del mezzo: sia nel caso della fotografia del reale sia in quello della ricostruzione creativa volontaria e consapevole. Cioè non si

Primo lungometraggio girato con un telefono cellulare, ispirato ai Comizi d’amore di Pier Paolo Pasolini (1963), Nuovi comizi d’amore è stato diretto da Marcello Mencarini e Barbara Seghezzi. Novantatré minuti, con sottotitoli in inglese (www.nuovicomizi damore.com, info@nuovicomizi damore.com).

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I REGISTI

O

peratore cinematografico nei primi anni Settanta, dal 1979 al 1985 Marcello Mencarini ha collaborato con L’espresso come fotogiornalista. Nel 1988 è entrato nello staff del RadiocorriereTV, nel quale è rimasto fino al 1996. Dal 2000 coordina Emage, struttura videogiornalistica e laboratorio multimediale dell’Agenzia Grazia Neri (cui è attribuita la produzione dell’attuale Nuovi comizi d’amore, primo film interamente girato con un telefono cellulare). Dal 2002 è direttore di Makadam, la prima comunità italiana di video e fotografie realizzate con il telefonino, e dal 2005 di Makadam TV. Dopo studi di recitazione teatrale e cinematografica, Barbara Seghezzi si è diplomata in regia alla scuola di Cinema di Milano (1998). Nel luglio dello stesso anno è stata aiuto regista di Fernando Arrabal per il documentario Borges, una vita di poesia. A cavallo del Duemila ha scritto sceneggiature di cortometraggi, come Paco e Chico, Seminammorbidente e I feel like a bottle, e documentari, come L’arte del mandala e Il dottor Stranamore: storie di fine millennio. Nel 2000 è stata videogiornalista nello staff di MY-TV, la prima televisione via Internet, e nel 2001 è entrata nello staff di Emage.

tratta mai di immagini nude e pulite, ma di immagini-con-strumento (macchina fotografica o cinepresa/videocamera). Siamo sinceri, la presenza del mezzo, la sua ingombrante visibilità (e non solo la capacità di finalizzarlo al linguaggio visivo) altera gli atteggiamenti del soggetto. A differenza, rileviamolo e riveliamolo, la profonda naturalezza del telefonino non interferisce nella realizzazione dell’immagine. Come possiamo sottolineare, mentre gli apparecchi fotografici e cinematografici edificano una sorta di separazione con l’avvenimento, il telefonino consente una autentica partecipazione e condivisione, quasi complicità. Con un telefonino Nokia N90, d’attualità nell’estate 2005, quando sono state realizzate le riprese (nel frattempo, registriamo le evoluzioni N93 e N95, quest’ultimo presentato alla recente Photokina 2006; su questo stesso numero, a pagina 55), Marcello Mencarini e Barbara Seghezzi hanno applicato un asciutto stile di inchiesta giornalistica, magistrale nel proprio risultato. In questo senso, riferendoci al lungometraggio, ovverosia al film documentario, i due registi/operatori non hanno selezionato a tavolino il proprio campionario di soggetti, adeguandoli a una qualsiasi intenzione prefissata, ma li hanno scelti con spavalda spontaneità sulla ba-

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se di sensazioni leggere (le stesse che nei Promessi sposi di Alessandro Manzoni guidano Lorenzo Tramaglino tra le strade di Milano, quando deve rivolgersi ai passanti sulla via). Nello scorrere dei minuti, le storie raccontate e gli ambienti evocati compongono un casellario significativo per l’assoluta profondità dei contenuti. Appunto merito del telefonino, che non si è eretto a barriera, Nuovi comizi d’amore è un autentico specchio dei nostri tempi. E questo valore, consentitecelo, non è certo da poco. Anzi, è addirittura vero l’esatto contrario! Nella nostra veste, dal nostro punto di vista estraneo alle rilevazioni e conclusioni di carattere sociale (almeno in riferimento all’argomento esplicito della sessualità al giorno d’oggi), non ci soffermiamo sui contenuti, ma restiamo alla forma. Chi volesse approfondire in proprio, può farlo a partire dalla Rete, dove non mancano commenti e richiami specifici, e dalla quale si può anche scaricare il film in diversi formati: www. nuovicomizidamore.com.

PERCHÉ TELEFONINO Annotano i registi Marcello Mencarini e Barbara Seghezzi: «Affascinante e rivoluzionario girare un film con un telefonino. Non pesa, non è invadente [lo abbiamo appena annotato], è facile da usare, costa poco. Ma, soprattutto, è stato avvincente realizzare un film senza il rigore, la disciplina, le ansie e le tensioni che animano le produzioni cinematografiche tradizionali. Noi non

SCHEDA

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irato con un telefono cellulare Nokia N90 (al quale sono succedute le configurazioni consequenziali N93 e N95), Nuovi comizi d’amore è stato pensato per una distribuzione cinematografica e televisiva. Come annotato nel testo, il film è anche disponibile on line in diversi formati. Primo lungometraggio girato con un telefono cellulare, ispirato ai Comizi d’amore di Pier Paolo Pasolini (1963), Nuovi comizi d’amore è stato diretto da Marcello Mencarini e Barbara Seghezzi. Cento italiani di diversa età, provenienza geografica, estrazione sociale hanno parlato di sessualità. Sound design di Lorenzo Sanvito, graphic design di Luca Siano, Web engineer Cristian Pozzer. Novantatré minuti, con sottotitoli in inglese (www.nuovicomizidamore.com, info@nuovicomizidamore.com).

avevamo convocazioni, orari per lo shooting, ordini del giorno, gruppi elettrogeni, cestini per la pausa pranzo e permessi da richiedere, a parte le liberatorie da far firmare. Abbiamo girato nei ritagli di tempo, durante pranzi e cene, al mare, nei mercati rionali, proprio come potrebbe fare chiunque [appunto!]. Senza dover rendere conto a produttori ansiosi e senza i condizionamenti e gli obblighi che un progetto commerciale comporta». Ancora: «Siamo partiti da un’idea, e ci siamo limitati ad azionare la camera del cellulare quando ne avevamo voglia e quando la situazione e i personaggi incontrati sembravano adeguati. Senza premeditazione e senza l’obbligo di chiudere la giornata con un numero minimo di scene realizzate. Il telefonino ci ha aiutati proprio nel nostro racconto, realizzato in modo autonomo ed estraneo a codici prestabiliti. Il telefonino è risultato fondamentale. Era sempre nelle nostre tasche, facile da usare e sufficientemente performato da non richiedere stativi, accessori, direttori della fotografia e una troupe al seguito. È stato sempre usato il microfono interno in dotazione; l’illuminazione è quella naturale e solo poche volte siamo ricorsi a una minitorcia tascabile a Led, del costo di pochi euro». Ecco la natura del linguaggio, l’immediatezza del film, lo spessore delle riprese. Nessuna delle interviste raccolte è stata censurata; nel film si usano termini che normalmente in tv vengono cancellati o coperti da un bip; è stato rispettato il linguaggio originario degli intervistati; sono state mantenute le incertezze ed espressioni crude dei soggetti. A parte la completa estraneità dei registi a vincoli esterni, bisogna assolutamente rilevare come questo film si basi sull’espressività implicita della spontaneità indotta. Ovvero, ribadiamolo, della spontaneità favorita dall’assenza di sovrastrutture di separazione, non soltanto fisica, tra autore (autori) e protagonisti. Infatti, le funzioni visive del telefonino, fotografia e video, permettono di partecipare all’azione, non soltanto di registrarla. E su questo, varrà la pena discutere ancora, magari già dal prossimo dicembre. M.R.



SÌ E NO, DIANE ARBUS

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Presentato e lanciato con grande clamore, tanto da inaugurare il Primo Festival del Cinema di Roma, venerdì tredici ottobre, una settimana prima di arrivare ufficialmente nelle sale, dal venti ottobre, Fur ha richiamato l’attenzione dei media prima di altro, e soprattutto, per la protagonista Nicole Kidman, attrice da prima pagina nella cronaca rosa internazionale. Su un’altra lunghezza d’onda, il mondo fotografico è invece attirato dalla trama annunciata, peraltro sottolineata nel titolo completo, che specifica Un ritratto immaginario di Diane Arbus: a tutti gli effetti, una delle figure determinanti della fotografia contemporanea. Morta suicida il ventisei luglio 1971 (con i polsi tagliati, nella vasca da bagno vuota), Diane Arbus è certamente una autrice con la quale ogni possibile storia della fotografia deve fare i propri conti, condividendone la visione ossessiva, oppure prendendone le distanze, ma mai ignorandola. Come la sua vita, anche la morte di propria mano è stata controversa. Tra le tante annotazioni che sono state riferite, attribuite ad amici e fotografi a lei vicini (avanti tutti, Richard Avedon), c’è sempre la mancanza di messaggio di addio o spiegazione, fatto salvo un biglietto che la fotografa Lisette Model, che le fu accanto negli ultimi momenti, asserisce di aver ricevuto, e del quale si è sempre rifiutata di divulgarne il contenuto. Prima fotografa (statunitense) ad aver varcato i confini che trent’anni fa tenevano la fotografia distante e separata dall’espressione dell’arte, con una personale allestita alla (allora) selettiva Biennale di Venezia, dove nel 1972 rappresentò (postuma) il proprio paese, Diane Arbus si impose all’attenzione internazionale nel 1967, partecipando con trenta immagini alla fantastica selezione New Documents, presentata al Museum of Modern Art di New York, con la quale il curatore John Szarkowsi stabilì i termini della nuova fotografia contemporanea (nella col-

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Diane Arbus, assistente in sala di posa del marito Allan, che avviò la loro professione comune (più di quanto il cinematografico Fur lasci intendere). Fotografia commerciale e pubblicitaria con banco ottico Sinar 13x18cm, che nel film è visualizzato anche dalla parte del vetro smerigliato.

lettiva, anche Lee Friedlander e Garry Winogrand). Secondo Patricia Bosworth, che ha compilato una approfondita biografia, appunto Diane Arbus. Una biografia (cui stiamo per riferirci, a proposito del cinematografico Fur; Serra e Riva Editori, 1987), quella esposizione fu «un trionfo, che rese celebre Diane Arbus, ma ne accelerò anche il declino emotivo; l’artista temeva che la propria opera fosse fraintesa e, soprattutto, soffriva le nuove aspettative che il successo generava intorno a lei» (come stiamo per vedere, in quanto fraintendimento, l’attuale Fur è in pole position).

IL FILM Firmato dal regista Steven Shainberg, che quattro anni fa è stato acclamato per la direzione dell’affascinante Secretary, nonostante il richiamo esplicito, l’attuale Fur. Un ritratto immaginario di Diane Arbus è un film niente affatto fotografico. Infatti, per quanto Patricia Bosworth, appena citata, sia tra i co-produttori della pellicola, la sceneggiatura di Erin Cressida Wilson non ha alcun debito di riconoscenza con la sua Biografia ufficiale, che Rizzoli ha appena ripubblicato, in coda allo stesso film, con

un nuovo titolo più appetibile per un pubblico di taglio consapevolmente pettegolo: Diane Arbus. Vita e morte di un genio della fotografia (350 pagine 14x21,5cm; 18,50 euro; con fascetta esterna aggiuntiva “Da questo libro il film Fur con Nicole Kidman”, ingannevole nel proprio richiamo). Semmai, rileviamolo, Fur. Un ritratto immaginario di Diane Arbus si limita, non soltanto attarda, sull’ossessione della fotografa per i definiti “freaks”, soggetto esplicito, addirittura unico, della sua concentrata parabola visiva. Se proprio vogliamo, il film descrive la formazione dell’espressione artistica (fotografica) di Diane Arbus, indipendente dall’avvio di una professione nell’ambito della moda e pubblicità a fianco del marito Allan [per la cronaca, Allan Arbus lasciò la fotografia commerciale, per intraprendere una carriera di attore: lo troviamo soprattutto in serie televisive, con marginali apparizioni sul grande schermo]. Nata Nemerov, nel 1923, in una ricca famiglia ebrea di New York, proprietaria della catena di pelliccerie Russek’s, fondata dal nonno materno emigrato dalla Polonia nel 1880, Diane Arbus ha vissuto sulla propria persona le ansie e contrad-


dizioni di una generazione (e su questo tema, rimandiamo anche ai diari di Susan Sontag, ordinati dopo la sua scomparsa [FOTOgraphia, febbraio 2005], anticipati da La Repubblica dello scorso quindici ottobre, nei quali torna ossessivamente la condizione di intellettuale ebrea newyorkese; altri tempi, altra gente, altro clima, altre capacità di riflessione esistenziale). In particolare, più esplicitamente di come raccontato nella Biografia, il film sottolinea la ribellione interna a una condizione perbenista familiare e ai relativi obblighi di casta. Dopo di che, dovere di botteghino a parte, siamo personalmente stupiti dalla scelta di Nicole Kidman: ci saremmo aspettati una Diane Arbus meno fascinosa, meno leggera e più compresa nella propria angosciosa esasperazione.

FREAKS Ripetiamolo, Fur. Un ritratto immaginario di Diane Arbus è meno fotografico di quanto lo sono (state) precedenti sceneggiature incentrate sulla figura di fotografi veri o presunti: non è il caso ripetere un elenco che abbiamo più volte compilato, e che sarà tema di una sintesi fotografica esposta alla Galleria Grazia Neri da metà del prossimo gennaio 2007. Se vanno cercati riferimenti letterari, bisogna andare alla bibliografia dei titoli sui “freaks”, i fenomeni fisici le cui anomalie sono state messe a frutto nei circhi e spettacoli itineranti di fine Ottocento e inizio Novecento. Ricordiamo che “freaks” è un termine che ha diversi significati, tra i quali il riferimento che la cultura statunitense underground ha coniato per coloro i quali non si adeguano alle regole della società (cosiddetta) civile. Nel proprio intendimento originario, indica persone con particolari mostruosità e deformità fisiche, tali da collocarle in contesti estranei alla vita sociale quotidiana. Etimologicamente, ci si riferisce al film Freaks del

FOTOGRAFE AL CINEMA

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roppo spesso considerate in misura relativa dalle storie della fotografia, molte autrici al femminile hanno tracciato tratti e connotati fondamentali nell’evoluzione del linguaggio visivo. Su tutto questo, e altro ancora, hanno riflettuto gli Appunti per una storia della fotografia al femminile della Seconda edizione della Biennale Internazionale di Fotografia di Brescia (FOTOgraphia, giugno 2006). Poche anche le fotografe donna nel cinema, dove peraltro non abbondano neppure esponenti maschili. L’apparizione sullo schermo della prima figura di donna fotografa, in Legittima difesa di Henri-Georges Clouzot (Quai des Orfèvres; Francia, 1947), si è accompagnata con una oscura rappresentazione di un personaggio ambiguo, amorale più che immorale e, novità per il cinema di allora, dedito ad amori omosessuali. Quindi, registriamo una doppia Margaret Bourke-White: interpretata da Candice Bergen in Gandhi (Gran Bretagna, 1982), la cui sceneggiatura include la celebre sessione di ritratto con arcolaio, e Farrah Fawcett, la cui sfortunata carriera cinematografica è stata forse compromessa dallo stereotipo fissato dalla serie televisiva Charlie’s Angels, nel film-tv Margaret Bourke-White (Central Independent Television; Usa, 1989), che in Italia viene a volte ritrasmesso come Il coraggio di Margaret (regia di Lawrence Schiller, sceneggiatura dalla biografia di Vicki Goldberg, pubblicata in Italia da Serra e Riva Editori). Tutto qui, anche perché non riesce ad andare in porto un antico progetto su Tina Modotti, per il quale le major hollywoodiane temono i riferimenti alla militanza comunista della celebre fotografa italiana che operò in California e Messico. Tina Modotti ha affascinato Madonna, che ha comperato sue fotografie, e Sandra Bullock: ma niente da fare. Ultima nota, tornando all’odierno Fur, per segnalare che nel 1984, al momento della sua pubblicazione, la Metro Goldwyn Mayer opzionò la biografia scritta da Patricia Bosworth, ma poi non la tradusse in film, per il quale aveva comunque pensato a Diane Keaton (peraltro attrice con solidi e concreti interessi fotografici); e poi, annotiamo che prima di Nicole Kidman, l’attuale produzione aveva pensato di affidare la parte di Diane Arbus a Samantha Morton, meno famosa e dunque meno spendibile al botteghino. Ultima curiosità, proprio tale: nel film, Lionel è il vicino di casa di Diane Arbus che ne risveglia le ossessioni esistenziali; nella realtà, la vicina di casa dei coniugi Arbus era l’attrice Ali MacGraw. In Legittima difesa, del 1947, Simone Renant interpreta Dora Monier, prima fotografa apparsa al cinema (personaggio ambiguo, dichiaratamente omosessuale). In Gandhi, del 1982, Candice Bergen è Margaret Bourke-White, che fotografa il Mahatma per Life.

Nella biografia di Diane Arbus [di Patricia Bosworth], ciò che emerge chiaramente è che l’ambiente artistico statunitense degli anni Cinquanta e Sessanta era tutto un pullulare di situazioni nuove ed esaltanti; anche l’ambiente fotografico era formato da intellettuali che “utilizzarono” il proprio mezzo per ricercare e indagare in profondità, come mai prima di allora era stato fatto, al di fuori degli schemi estetici, ma non solo, correnti. Da una nota di Adriano Carafòli, gennaio 1988

1932, un horror del regista Tod Browning che accese le luci della ribalta su una serie di personaggi da “corte dei miracoli” (che si ripete nell’attuale Fur). Addirittura, tornando al film e ai propri richiami, va sottolineato il fenomeno di collezione di fotografie di freaks, che nel corso dei decenni ha affascinato molti (si parla anche del leggendario illusionista Houdini). La

straordinarietà di queste raccolte si è sempre basata sulla fortunata stagione dei relativi personaggi (e usiamo i termini senza scarto di significato, seppure con doveroso rispetto). Soprattutto negli Stati Uniti, a cavallo del secolo (scorso), l’esplosione di interesse per il “teatro” fece proliferare anche numerosi circhi e spettacoli viaggianti di taglio eterogeneo. In tale clima, molte di queste

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grafiche sono arrivate fino a noi e sono state raccolte in volume. Tra le tante, citiamo l’edizione in italiano di Freaks. La collezione Akimitsu Naruyama, pubblicata da Logos (192 pagine 18x22cm; 14,95 euro). Quindi, per dovere di cronaca rileviamo che alcune delle fotografie qui presentate appaiono nella scenografia di Fur, appese alle pareti di casa del coprotagonista Lionel (l’attore Robert Downey Jr), il vicino affetto da una anomalia che fa crescere a dismisura i peli su tutto il corpo (nato a Varsavia nel 1907, Lionel Stephen Bilgraski fu effettivamente un uomo con il viso di leone che si esibì nei circhi Barnum & Bailey e Ringling Brothers: pensiamo che nel film il suo nome sia stato preso a prestito e omaggio).

FOTOGRAFIA esibizioni rappresentarono una sostanziosa fonte di guadagno per artisti di vario genere: prima di tutti gli acrobati e gli illusionisti, e in subordine, ma mica poi tanto, le persone affette da difetti fisici congeniti, che divennero attrazioni popolari. Da metà Ottocento, perfino il celebre Circo Barnum & Bailey, uno dei capisaldi nel proprio genere, ebbe un ruolo di primo piano nel favorire questa tendenza, ingaggiando e facendo esibire persone con tre gambe, ermafroditi, eccessi di peso o incredibili magri, gemelli siamesi, nani e giganti. Per tutti era guadagno: per il circo, come anche per i freaks (così sarebbero stati identificati decenni dopo). Comunque, registriamolo, l’interesse verso queste esibizioni dal vivo aumentò addirittura con la diffusione della fotografia (eccoci). Gli artisti si facevano fotografare e le fotografie, vendute come ricordo e collezionate, incrementavano la loro stessa notorietà. In questo senso, si segnala la personalità dello studio newyorkese di Charles Eisenmann, che si specializzò nella ripresa e relativo commercio: al 229 Bowery; oggi le sue albumine in formato Cabinet Card sono conservate in una sezione dedicata della Syracuse University Library. Alcune di queste collezioni foto-

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Con tutto, torniamo al film, e concludiamo. Già abbiamo sottolineato l’altro indirizzo della sceneggiatura di Fur. Un ritratto immaginario di Diane Arbus, più orientata verso le ossessioni dell’artista che sulla personalità d’autrice (fatto salvo un dialogo che conclude, quasi, la vicenda; in un campo nudisti, Diane Arbus, con Rolleiflex biottica tra le mani, incontra una ragazza: «Vuoi farmi una fotografia?», «No, non ancora»). Ora, annotiamo i momenti autenticamente fotografici della scenografia, in assenza di riferimenti in sceneggiatura. Così, in rapidità rileviamo la costante presenza di una Sinar Norma 13x18cm in sala di posa, sia a riposo sia all’opera, i momenti in cui Diane Arbus pulisce le superfici esterne degli obiettivi (della Sinar a banco ottico, che ripone in valigia, e della propria Rolleiflex biottica, dopo una sessione operativa), l’efficace presenza di giocose fotografie da cabina per fototessera nell’album di famiglia (alla maniera di quanto abbiamo commentato in FOTOgraphia dell’ottobre 2005), una prolungata sessione di camera oscura, durante la quale Allan Arbus sviluppa i rulli bianconero di Diane, e il felice attardarsi sull’inserimento del rullo 120 nella Rolleiflex biottica (felice per noi, da un punto di vista feticistico; plausibilmente si tratta di un rullo Kodak Tri-X). Ottimo, infine, il momento con-

In Fur. Un ritratto immaginario di Diane Arbus, il binomio fotografico è sempre stabilito da una Rolleiflex biottica con flash a bulbo (così tanto estetico ed estetizzante).

clusivo del ritratto a Lionel, con relativa visualizzazione quadrata bianconero a tutto schermo. Altro da puntualizzare, dopo aver nuovamente messo sull’avviso chi è stato tratto in inganno dal richiamo esplicito a Diane Arbus? Ribadiamo: Fur è un film su un’ossessione, e la fotografia non ne è protagonista, casomai ne è appoggio; e comunque, lasciatecelo dire, l’ossessione fotografica è assai noiosa. Una sola annotazione finale, alla nostra solita maniera di sempre. Più che Diane Arbus, sembra che Fur racconti dell’orrifico Joel-Peter Witkin, a ragione ritenuto il fotografo più eccessivo e provocatorio del mondo, autore di immagini di feti e cadaveri, di freaks e ermafroditi, di nani e corpi smembrati, che aspirano a documentare la bellezza del macabro, inteso come punto di passaggio dalla luce della vita al buio della morte. Tra l’altro, come già sottolineammo più di dieci anni fa, in occasione di una personale di cento opere presentate da Germano Celant al Museo d’Arte Contemporanea del Castello di Rivoli, nell’estate


Due momenti complementari della presenza di Diane Arbus accanto al marito fotografo Allan: risistemazione degli obiettivi, e relativa pulizia delle lenti esterne, dopo una sessione di ripresa (si riconoscono corpi macchina Leica e Hasselblad), e preparazione di un’Hasselblad con obiettivo grandangolare.

1995, Joel-Peter Witkin è convinto di avere una missione: far vedere agli altri qualcosa che gli fu nascosto. «Ero bambino -ricorda-, e ritornavo dalla messa assieme a mia madre, quando tre auto si scontrarono davanti a noi; rotolò ai miei piedi qualcosa che mi sembrò una palla. Era la testa di una ra-

gazza. Desiderai vederne il viso, ma fui trascinato via». E in Fur, a Diane Arbus/Nicole Kidman fanno dire qualcosa di analogo; circa «avevo promesso a mia madre che non avrei mai guardato un cadavere». M.R. Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini


RITORNO A LUCCA

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Prima di presentare il nutrito programma dell’edizione 2006 del LuccaDigitalPhotoFest, è opportuno soffermarsi su alcune cifre che hanno definito l’edizione originaria (dal 4 novembre al 5 dicembre 2005), a tutti gli effetti considerata prova sul campo, ovverosia “numero Zero”, così come abbiamo già commentato all’indomani del suo svolgimento (in FOTOgraphia dello scorso febbraio). Le otto mostre allestite, distribuite in affascinanti spazi del centro storico, hanno accolto quattromila visitatori, trecento dei quali hanno presenziato all’inaugurazione della rassegna completa del World Press Photo 2005, nelle sontuose sale del piano nobile di Villa Bottini, ottimamente restaurate. La serata di gala, con la consegna del Primo LuccaDigital Photo Award a Douglas Kirkland, ha coinvolto cinquecento partecipanti; quindi, a seguire, centoventi persone sono intervenute ai dibattiti del PhotoCafè, ottanta alla tavola rotonda con Gianni Berengo Gardin, Vittorio Fagone e Pino Ninfa e cinquanta autori hanno presentato i propri portfolio alla Lettura curata da Grazia Neri, Elena Ceratti, Massimo Vitali, Lello Piazza e Maurizio Rebuzzini. La seconda edizione del Lucca DigitalPhotoFest replica la sostanza dei contenuti confortevolmente sperimentati: dal 18 novembre al 10 dicembre, selezione di mostre fotografiche di spessore, incontri pubblici, premi e manifestazioni

South-South East di Steve McCurry (Magnum Photos) è un reportage dall’Oriente guidato dalla profonda voglia di girovagare dell’autore.

Gli Scatti d’Atleta di Alessandro Trovati (Penta Photo) rivelano che la fotografia di sport è un ossimoro: è movimento fermo, è dinamismo statico.

Da Posithiv+ di Pep Bonet (Agenzia Grazia Neri), reportage sulla terapia di cura dell’Aids.

collaterali che portano e presentano nella città toscana un consistente panorama della fotografia internazionale contemporanea. Promossa dal Comune di Lucca e dall’Associazione Toscana Arti Fotografiche (nelle persone di Enri-

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co Stefanelli, Andrea Pacella, Roberto Evangelisti, Jessica Di Costanzo e Susanna Ferrari), la manifestazione si svolge grazie a numerosi sostegni esterni, tra i quali segnaliamo Leica (Polyphoto) come main sponsor. Ancora da sottoli-


neare il particolare impegno di Grazia Neri e Elena Ceratti.

UNDICI MOSTRE L’affascinante Villa Bottini si conferma sede di valore e adeguato prestigio per le fotografie vincitrici al World Press Photo 2006, su avvenimenti del precedente anno (FOTO graphia, maggio 2006). Ribadiamo quanto già annotato, lo scorso febbraio: senza paragoni, perché ciascuna personalità ha diritto e dovere di esistere ed esprimersi, l’accompagnamento di Villa Bottini e l’energia di una serie di discreti e adeguati pannelli espositivi consentono una visione consequenzialmente coinvolgente, con una consecuzione di immagini addirittura avvincente, pur nella tragica drammaticità di cruenti cronache internazionali, tema dominante, principale addirittura, del World Press Photo (da lunedì a venerdì 10,30-13,00 e 15,30-19,30; sabato e domenica 10,30-19,30; Villa Bottini è anche sede dei workshop di LuccaDigital PhotoFest 2006; qui sotto). La personale South-South East di Steve McCurry (al quale viene consegnato il LuccaDigitalPhoto Award 2006) è esposta a Palazzo Guinigi (da lunedì a venerdì 15,3019,30; sabato e domenica 10,3019,30): «Quando per la prima volta, nel 1978, lasciai tutto per andare in India -e veramente fu un lasciare il giovane che ero, per fare una scelta che mi avrebbe segnato per sempre- avevo già visitato tutto il mondo. Ma questa volta era diverso. Questa volta avevo imbracciato la macchina fotografica determinato a far sì che, in un modo o nell’altro, desse un senso a questa profonda voglia di girovagare che si era impadronita di me». Nella stessa sede, la video installazione Fughe: omaggio a Fernando Pessoa di Gabriele Croppi e gli Scatti d’Atleta di Alessandro Trovati. Gabriele Croppi sintetizza il proprio lavoro come «una ricerca che, postulando il mondo immaginario come sola verità, ricorda un poco a tutti la nostra drammatica condizione di uomini contemporanei, costretti alla simulazione e all’artificio». Le immagini di Alessandro Trovati dimostrano che la fotografia di

World Press Photo of the Year 2006: Finbarr O’Reilly, Canada, Reuters; Mamma con il suo bambino in un centro di emergenza per la distribuzione di cibo a Tahoua, nel nordovest del Niger.

sport è un ossimoro: è movimento fermo, è dinamismo statico. La contrapposizione visiva di mostre, e comunque la concentrazione di più allestimenti allo stesso indirizzo, è una delle personalità espositive di LuccaDigitalPhoto Fest, felicemente avviata e sperimentata alla Prima edizione 2005 (anno Zero). Quindi: due mostre all’interno del Baluardo di San Regolo sulle Mura Urbane e tre negli accoglienti locali dell’Ex Manifattura Tabacchi [nella quale sono nate insuperabili interpretazioni del leggendario Toscano, ndd]. Là dove lo scorso anno sono state visivamente contrapposte le serie Fiction di Michael Ackerman e Road to Kabul di Ron Haviv, appunto al Baluardo di San Regolo sulle Mura Urbane, una particolare scenografia accoglie altrettante due straordinarie personali di alto tasso fotogiornalistico (da lunedì a vener-

ANCHE WORKSHOP ❯ Steve McCurry: Workshop con Steve McCurry. Il reportage interpretato da uno dei più grandi fotografi del National Geographic; 2 e 3 dicembre. ❯ Roberto Tommasi: Stampa Fine Art digitale. Tecniche di acquisizione e stampa digitale; 8, 9 e 10 dicembre. ❯ Ivo Saglietti: Paesaggio sociale e fotogiornalismo. Due modi diversi e uguali per raccontare per immagini; 8, 9 e 10 dicembre. ❯ Pino Ninfa: In viaggio con la musica. Viaggio in terre vicine e lontane, con le proprie sensazioni e con un denominatore comune: la musica; 9 e 10 dicembre. ❯ Alessandro Trovati: Scatti d’Atleta. La conquista dell’attimo nella fotografia di sport; 9 e 10 dicembre.

dì 15,30-19,30; sabato e domenica 10,30-19,30): Ivo Saglietti (Premio Taf, offerto da Olympus/Polyphoto la sera di gala del due dicembre) espone le sconvolgenti Stragi del Sabato Sera e Pep Bonet (FOTOgraphia, aprile 2004) presenta Posithiv+. Stragi del Sabato Sera: ogni anno, in Europa si registrano centomila morti per incidenti stradali. Un numero impressionante di questi incidenti coinvolge migliaia di giovani, che, appena usciti dalle discoteche, muoiono per l’alta velocità combinata con il consumo di alcolici e droghe. Posithiv+: il virus dell’Hiv rappresenta un disastro planetario. È altamente insidioso e distrugge individui, famiglie, comunità intere. L’Aids è una malattia sulla quale la ricerca si è attivata con un impegno e un’alacrità senza precedenti; tuttavia non è ancora stata individuata una cura. All’Ex Manifattura Tabacchi, un viaggio tra natura, sua alterazione e manifestazioni dell’esistenza (da lunedì a venerdì 15,30-19,30; sabato e domenica 10,30-19,30): Eye to Eye di Frans Lanting (straordinaria carrellata di immagini di animali selvaggi), Lethal Legacy: pollution in the former USSR di Gerd Ludwig (distruzione dell’ambiente in vaste zone dell’ex Unione Sovietica; copertina FOTOgraphia, luglio 2005) e Nero Tango di Pino Ninfa (non solo una danza, ma forma espressiva di una comunità e relazione tra i sessi). Ancora: In the Camps (trentun campi di concentramento nazisti) di

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Erich Hartmann, al Baluardo di San Paolino sulle Mura Urbane (da lunedì a venerdì 15,30-19,30; sabato e domenica 10,30-19,30), e Fotografi di Scena - Accademia del Teatro alla Scala: La Scena dell’Immagine, al Centro P.O. Provincia di Lucca e Antiquari di Lucca di via del Battistero (da lunedì a venerdì 9,00-13,00; martedì e giovedì anche 15,00-17,30).

COINVOLGIMENTO Fulcro del LuccaDigitalPhotoFest si conferma la Live-Area nel loggiato del Palazzo Pretorio, in piazza San Michele: punto di informazioni a orario continuato. All’interno è previsto il PhotoCafè, centro di incontri e dibattiti settimanali, a cura di Roberto Evangelisti, alle 17,00: 26 novembre, La creatività fotografica

nell’era digitale; 3 dicembre, Raccontare e raccontarsi per immagini; 10 dicembre, Una fotografia meditata: il paesaggio. Al Centro Culturale Agorà, si svolgono due sessioni di Lettura dei portfolio: 2 dicembre (15,00-18,00) e 3 dicembre (9,00-12,00) con Grazia Neri, Elena Ceratti e Maurizio Rebuzzini; 9 dicembre (15,0018,00) e 10 dicembre (9,00-12,00) con Maria Teresa Cerretelli, Luciano Bobba e Giovanna Calvenzi. Quindi, confronti, riflessioni e dibattiti: spazio alla fotografia parlata. All’Auditorium di San Romano, il 2 dicembre, alle 10,00, è programmata una proiezione per le scuole: Le stragi del Sabato Sera, dall’omonima mostra di Ivo Saglietti, alla presenza dell’autore, di rappresentanti delle Forze dell’Or-

Argomento scabroso quello di Ivo Saglietti (Zeitenspiegel / Prospekt). Stragi del Sabato Sera è esattamente quello e quanto il titolo rivela.

La distruzione ambientale nei territori dell’ex Unione Sovietica nello sguardo attento di Gerd Ludwig (Agenzia Grazia Neri), che compone la serie Lethal Legacy: pollution in the former USSR.

Eye to Eye di Frans Lanting (Agenzia Grazia Neri): straordinarie visioni di animali in libertà.

Video istallazione Fughe: omaggio a Fernando Pessoa di Gabriele Groppi: la drammatica condizione di uomini contemporanei, costretti alla simulazione e all’artificio.

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dine e con la testimonianza diretta di un sopravvissuto. Il 9 dicembre si svolge la tavola rotonda sul tema del Photoeditor: professione, obiettivi, iniziative e attività, a cura del Grin (Gruppo Redattori Iconografici Nazionali): alla Chiesina del Centro Culturale Agorà, alle 10,30. Incontro-dibattito con Maria Teresa Cerretelli, photo editor di Class, Giovanna Calvenzi, photo editor di Sport Week, Roberta Reineke, photo editor di Rolling Stone, Marco Capovilla e Renata Tardani. Proiezioni di Gianni Berengo Gardin, Gabriele Basilico e Ferdinando Scianna. In una serata di gala, con presentazione dei fotografi ospiti d’onore e proiezione, all’Auditorium di San Romano, il due dicembre (alle 21,30) vengono consegnati due premi. Steve McCurry riceve il LuccaDigitalPhoto Award 2006 e Ivo Saglietti il Premio Taf, offerto da Olympus/Polyphoto. Angelo Galantini LuccaDigitalPhotoFest 2006. Dal 18 novembre al 10 dicembre: mostre, incontri, dibattiti, workshop, lettura portfolio, premi. Associazione Toscana Arti Fotografiche; 0583-5899215, fax 0583-217321; www.luccadigitalphotofest.it, info@luccadigitalphotofest.it.



QUELL’UNDICI SETTEMBRE

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Nel settembre 2002, primo anniversario dell’attacco terroristico al Word Trade Center dell’11 settembre 2001, sono state pubblicate diverse monografie fotografiche a tema. Allo stesso tempo, non sono mancati saggi e approfondimenti politici della tragica vicenda. Dopo di che, l’abbattimento delle Torri gemelle, alla cui fotografia in cronaca abbiamo dedicato spazio e riflessioni sul nostro numero del dicembre 2001, è entrato a far parte di una sorta di consuetudine sociale. Qui, ora, non sconfiniamo in considerazioni politiche conseguenti, fino alla controversa guerra in Iraq e dintorni: il nostro non è certamente spazio adeguato a tanto e tale approfondimento (e neppure le nostre opinioni meritano attenzione pubblica: meglio lasciar parlare chi ha effettivamente qualcosa da dire al proposito). Soltanto, ci consentiamo una annotazione leggera a margine: attiriamo l’attenzione su come la data dell’undici settembre sia risultata discriminante in tutta la società statunitense, andando addirittura a influire sulle sceneggiature cinematografiche e televisive. Ma questa, come spesso annotiamo, è tutta altra questione. Quell’undici settembre, è tornato di attualità pubblica in occasione del quinto anniversario (si sa, le ricorrenze si basano anche su previste cadenze temporali: anniversario, cinque anni, dieci anni e via via verso il ventennale, i venticinque anni e ancora avanti). La fotografia, al solito e per propria natura, ha partecipato alla celebrazione. In particolare, va segnalata l’imponente edizione di Aftermath: quattrocento immagini di Joel Meyerowitz, a tutti gli effetti uno dei più noti e affermati autori contemporanei, al quale si riconduce quel linguaggio del colore ponderato che ha fatto scuola in tutto il mondo (Italia compresa, dove è diventato motivo stilistico distintivo del movimento del definito Nuovo paesaggio, che dagli anni Settanta e Ottanta si è esteso in avanti, arrivando fino a noi). Prima dell’analisi

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dell’argomento, peraltro ovvio (Aftermath, nel senso di conseguenza spiacevole), occorre proprio soffermarsi su questa fotografia di Joel Meyerowitz, il cui profondo contenuto si basa su una identificata e dichiarata mediazione tecnica. Anche a Ground Zero, sulle rovine e macerie di quelle che furono le Torri gemelle di New York, appunto soggetto esplicito di Aftermath, il bravo e attento Joel Meyerowitz ha applicato i canoni formali e compositivi del proprio linguaggio fotografico. E per questo, occorre rilevarlo, è stato anche aspramente biasimato e censurato da certa critica che -a nostro personale modo di vedere- ha clamorosamente confuso i termini del discorso. Limitandosi a giudicare il dito che indica la luna, questa critica ha contestato l’approccio fotografico di Joel Meyerowitz, coerente con se stesso e la propria concezione dell’immagine. Insomma, mentre per altri soggetti il riflessivo uso del grande formato 8x10 pollici è stato elevato a valore e significato, sulle rovine delle Torri è stato considerato cinico e crudele. Non siamo assolutamente d’accordo, perché non pensiamo che la mediazione fotografica (necessaria, mai sufficiente) abbia altro ruolo che quello di portare alla costruzione di immagini. In linea di massima, non esiste un modo di fotografare irrispettoso, quando sollecite e premurose sono le intenzioni dell’autore. Scattando con Deardorff 8x10 pollici (folding in legno di straordinario valore estetico: e sono altri fatti; Memorabilia, in FOTOgraphia del maggio 1998), Joel Meyerowitz ha espresso la propria concezione della fotografia, senza interferire con il doveroso rispetto che il soggetto merita, sempre e comunque. Però, probabilmente, la questione non riguarda tanto il modo di lavorare di Joel Meyerowitz, facile bersaglio di una critica che ha saputo usare termini capaci di far presa sui pensieri semplici, quanto la concessione che l’allora sindaco di New

25 settembre 2001. Guardando a est, visione panoramica dal World Financial Center.

York City Rudolph Giuliani gli accordò: esaurite le urgenze della cronaca, unico fotografo con accesso continuativo al luogo dell’attentato. Tanto che, le fotografie di Joel Meyerowitz sono dilatate nel tempo, dalla fine di quel tragico settembre per otto mesi successivi. In un momento nel quale anche il cinema d’autore è arrivato a raccontare a proprio modo quella vicenda (a partire dall’attuale World Trade Center di Oliver Stone), la serie fotografica di Joel Meyerowitz impone il senso e valore dell’immagine fissa: ribadiamolo, concentratamente costruita su un vetro smerigliato di dimensioni generose e declinata con evidente e avvincente partecipazione emotiva. Prima di tutto, del fotografo autore; in conseguenza, dell’osservatore che sfoglia con ritmo individuale le pagine di Aftermath.


Nell’insieme delle immagini, già presentate in una mostra itinerante, non si legge soltanto commozione, che pure forma il collante dell’intera serie, ma anche una certa non celata rabbia. Del resto, annotiamo anche questo, Joel Meyerowitz ottenne il permesso di attardarsi su Ground Zero, e di tornarvi per sessioni fotografiche successive, al culmine di una sorta di battaglia con le autorità politiche di New York, che consideravano il luogo “scena del crimine”. A favore del fotografo si espressero anche i lavoratori impegnati nell’area, e ora queste fotografie compongono una preziosa testimonianza storica sul terribile evento e sulle sue conseguenze (appunto, aftermath). Racconta Joel Meyerowitz: «Per me, la “mancanza di fotografie” significa “mancanza di storia”, e in quel momento trovai il mio ruolo a Ground Zero; ho lavorato per creare un archivio fotografico per gli abitanti di New York: qualcosa che potesse descrivere in tutti i propri agghiaccianti dettagli l’impatto della devastazione sull’a-

rea sud di Manhattan». Nell’introduzione a Aftermath, lo stesso fotografo precisa e approfondisce il pensiero: «Quando mi recai sul posto ero come un estraneo, un osservatore impegnato a preservare il ricordo, ma con il tempo ho cominciato a sentirmi parte inte-

grante di quello stesso immane lavoro di cui ero testimone. [...] Ho documentato le conseguenze del disastro per tutti quelli che non hanno potuto essere là, ma questo libro è dedicato a quelli che c’erano» (oltre ottocento persone: operai edili, poliziotti, vigili del fuoco, saldatori,

24 ottobre 2001. Tra i detriti, guardando a ovest.

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28 ottobre 2001. Un vigile del fuoco depone fiori alla base del Building 4.

ingegneri, gruisti e volontari). In otto mesi, Joel Meyerowitz ha scattato oltre ottomila fotografie (certamente non tutte in 8x10 pollici, ma una sostanziosa parte sì), mille delle

Aftermath, fotografie di Ground Zero di Joel Meyerowitz. Phaidon, 2006 (www.phaidon.com); 400 illustrazioni; 304 pagine 27,5x38cm, cartonato con sovraccoperta; 75,00 euro.

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quali sono state donate al Museum of the City of New York, dove faranno parte del costituente World Trade Center Archive, che, come tutti gli archivi e collezioni del Museo, sarà a

26 ottobre 2001. Sono stati rinvenuti altri cinque corpi.

disposizione pubblica per studi, ricerche e pubblicazioni (1220 Fifth Avenue, New York, NY 10029; 001212-5341672; www.mcny.org). Questo suo progetto è stato svolto in completa autonomia, ma anche solitudine fotografica. Infatti, non è stato possibile costituire un collettivo di fotografi sull’esempio di quanto fu fatto per la testimonianza visiva della Depressione degli anni Trenta, con la divisione fotografica della Farm Security Administration (pietra miliare della storia della fotografia). Oggi, l’edizione libraria di Aftermath, sulle cui ampie pagine sono raccolte quattrocento illustrazioni, riprodotte in generose dimensioni, si offre e propone come opera storica, che rappresenta con grande sensibilità e forza la straordinaria impresa di rimozione delle rovine e ricostruzione dell’area dove sorgevano le Torri gemelle, abbattute dal terrorismo internazionale (?): sono stati scavati due milioni di tonnellate di detriti, e ora Ground Zero si presenta come spazio completamente libero da macerie, venti metri sotto il livello stradale. Unica testimonianza fotografica allungatasi in avanti nel tempo, oltre le cronache in diretta, la monografia si accompagna con racconti su uomini e avvenimenti. Il volume è attribuito sia all’autore delle fotografie Joel Meyerowitz, sia all’appena citato World Trade Center Archive. A.G.



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eccese di nascita, classe 1977, formazione culturale in arte e architettura (con laurea al Politecnico di Milano), Andrea Frazzetta è un fotografo dell’ultima generazione che riprende e ripropone un impegno sociale che fu caratteristico di stagioni del recente passato. Il suo è un reportage declinato come strumento di scoperta e racconto. In termini attuali e con un linguaggio diretto ed esplicito, proprio delle ultime maturazioni della fotografia del reale, Andrea Frazzetta osserva e testimonia le vicende del mondo contemporaneo, offrendone una visione che dal presente si consolida per la propria concreta documentazione visiva verso e nel futuro. Da fine novembre, per un mese e mezzo abbondante, la Galleria Grazia Neri propone il concentrato reportage Elikia. Storie dal Congo, che Andrea Frazzetta ha realizzato nel gennaio di quest’anno, in collaborazione con l’organizzazione italiana Cesvi (ne riferiamo a parte, a pagina 28). All’alba delle prime elezioni democratiche nel paese, come certifica il titolo, le fotografie di Andrea Frazzetta rivelano aspetti di vita quotidiana del Congo. Pre-

Dalla sezione Bambini-stregoni della serie Elikia. Storie dal Congo, di Andrea Frazzetta, in mostra alla Galleria Grazia Neri di Milano. Riuniti in centri di accoglienza, ogni anno, durante le feste natalizie, i ragazzi di strada organizzano uno spettacolo teatrale.

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❯ Congo, le prime elezioni democratiche (Kinshasa). La Repubblica Democratica del Congo è a un bivio. Dopo un decennio trascorso tra guerre e crisi umanitarie è giunto il momento delle prime elezioni pluraliste nella storia del paese. Vi sono due possibilità: o superare gli ostacoli e proseguire tra mille difficoltà sul cammino della pacificazione; o ripiombare nell’inferno del conflitto civile. Tra il 1998 e il 2004, in Congo si è combattuta la più feroce delle guerre contemporanee: la cosiddetta Prima guerra mondiale africana, che ha coinvolto ben nove paesi e un groviglio di ribelli stranieri e milizie locali. Per fermare questa logica di violenza, nel 2000 è nata la Monuc, missione Onu per il Congo, che nel corso degli anni si è vista attribuire una infinità di compiti, l’ultimo dei quali, decisivo, riguarda il supporto logistico e umano all’attuale regime di transizione per l’organizzare di elezioni legislative e presidenziali [per le presidenziali del trenta luglio, è stato previsto un ballottaggio definitivo a fine ottobre]. È così nata la Cei, la Commissione Elettorale Indipendente, fondata e presieduta da Apollinaire Malumalu, quarantacinque anni, sacerdote cattolico con studi in Francia, già anima di organizzazioni della società civile nel Nord Kivu. Sulle sue spalle sono riposte le speranze dell’intera nazione. Ma anche della comunità internazionale, che nelle elezioni ha investito ben quattrocentoventidue milioni di dollari. ❯ Radio Okapi (Kinshasa). In Africa, l’informazione vale quanto un sacco di riso da consegnare nel più remoto campo profughi del mondo. Si rivela cruciale quando un paese affronta una delicatissima transizione politica, per non parlare delle fasi post-conflitto. Di sicuro, se indipendente, neutra e imparziale, l’informazione può rompere la logica monopolistica di paesaggi massmediatici obsoleti. Questa è la convinzione della Fondation Hirondelle, un’organiz-

sentata da testi di Joshua Massarenti (riproposti qui di seguito) e divisa in sei sezioni tematiche, la selezione affronta e visualizza un significativo campionario esistenziale e sociale, mostrando situazioni che sembrano volgere in una prospettiva positiva di cambiamento: religione, strutture sanitarie, mondo lavorativo (nello specifico è documentata l’attività di Radio Okapi, una radio libera a grandissima diffusione, riferimento per tutto il paese). Nell’ambito del reportage complessivo di Andrea Frazzetta, il capitolo sulle strutture sanitarie documenta nel particolare e dettaglio il lavoro del Cesvi, dal 2001 attivo a Kinshasa con un programma di lotta all’Hiv/Aids basato sul supporto di Cellule di Accompagnamento Psico-Sociale a favore delle persone colpite dal virus. Accompagnate da attività di sensibilizzazione, si svolgono inoltre iniziative culturali e campagne di informazione, oltre a un concreto e tangibile aiuto alimentare alle famiglie. Il commento di Joshua Massarenti alle sei sezioni di Elikia. Storie dal Congo precisa i termini sociali del reportage di Andrea Frazzetta, fotografo dell’Agenzia Grazia Neri, realizzato, come abbiamo accennato, lo scorso gennaio. A.G.


Reportage sociale di Andrea Frazzetta, capace di osservare e testimoniare le vicende del mondo contemporaneo con una visione che dal presente si consolida per la propria concreta documentazione visiva verso e nel futuro. Introdotte da Joshua Massarenti, da fine novembre, sei sezioni complementari in mostra alla Galleria Grazia Neri di Milano

STORIE

DAL CONGO

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Studio centrale di Radio Okapi, a Kinshasa (dall’omonima serie fotografica di Andrea Frazzetta). Esperienza di uomini e, soprattutto, di donne che in Congo affermano con coraggio la propria emancipazione e libertà.

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zazione non governativa impegnata dal 1995 a promuovere progetti radiofonici in zone di conflitto endemico o in contesti politici dissuasivi per le politiche di sviluppo. Da Radio Agatashya a Radio Okapi, passando per Star Radio (Liberia) e Radio Blue Sky (Kosovo), l’intendimento in crisi umanitarie è sempre lo stesso: consegnare informazioni imparziali alle popolazioni civili vittime di un conflitto e favorire il ritorno alla pace. Ma come garantire imparzialità e indipendenza sotto il fuoco incrociato di un regime repressivo e gruppi ribelli armati fino ai denti e pronti a tutto? Come costruire il dialogo e la pace con cittadini divisi da guerre e carestie? Queste le sfide cui Radio Okapi deve rispondere nella Repubblica Democratica del Congo, un paese grande quanto l’Europa occidentale e afflitto dal più devastante dei conflitti armati contemporanei (secondo l’International Rescue Committee, quasi quattro milioni di morti tra il 1998 e il 2004). Creata nel febbraio 2002 da un partenariato tra la Fondation Hirondelle e le Nazioni Unite, Radio Okapi è diventata in pochi mesi una delle radio più ascoltate del paese. Soprannominata “la radio dei congolesi” (ma anche “la radio che dice la verità”), Radio Okapi sta traghettando il Congo verso la pace. Forte di uno studio centrale (Kinshasa), otto stazioni regionali, una ventina di trasmettitori Fm e tre ripetitori in onde corte, l’emittente copre la quasi totalità del territorio congolese, diffondendo ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette, rigorosissimi programmi di informazione, che comprendono notiziari veicolati in francese e nelle quattro lingue nazionali del paese (lingala, swahili, tshiluba e kikongo).

Protagonisti di questo successo, e di questo servizio fotografico, sono i giornalisti, i dj e i tecnici congolesi (un centinaio in tutto) disposti a sfidare i rischi di un mestiere pericolosissimo nel contesto bellico. Grazie a loro, Radio Okapi è diventata l’unico strumento di diffusione di massa delle informazioni, soprattutto a fronte della scarsa presenza delle televisioni e della bassissima divulgazione dei giornali. Le trasmissioni avvengono sia dalla sede, dove ministri e politici stessi sono usi intervenire, sia attraverso troupe mobili che lavorano in strada, in mezzo alla gente. Questa storia fotografica racconta la loro esperienza, la professionalità e l’indipendenza di questi uomini e, soprattutto, di queste donne, che in un paese culturalmente arretrato come il Congo, riescono con coraggio ad affermare la propria emancipazione e libertà. ❯ Dottori africani contro l’Aids (Kinshasa). I dati sulla diffusione dell’Aids delineano in Africa un grande disastro. Dei quaranta milioni di malati stimati sull’intero pianeta, oltre il settanta per cento sono nell’Africa sub-sahariana. Inoltre, in Congo, come in gran parte dei paesi del continente, c’è una grande difficoltà nella stima delle reali dimensioni del fenomeno. Basti pensare che l’ottanta per cento del sangue custodito negli ospedali non è testato. E che la maggior parte degli ospedali, fuori dalla capitale, non ha la corrente elettrica e quindi non ha la possibilità di conservare correttamente il sangue. I sieropositivi riconosciuti come tali sono emarginati socialmente, vengono abbandonati dalle famiglie, perdono il lavoro. In questo contesto stanno però nascendo realtà positive, professionisti e associazioni impegnati a fronteggiare la malattia con l’intento di portare a


compimento un vero e proprio cambiamento culturale e sanitario. I dottori congolesi hanno dato vita alla sperimentazione delle Cellule di Accompagnamento Psico-Sociale, nell’ambito del progetto avviato dall’organizzazione italiana Cesvi: strutture piccole e flessibili, capaci di rispondere ai bisogni dei pazienti. Una strategia vincente in un paese ostacolato da una burocrazia lenta e farraginosa. Le Cellule sono composte interamente da un’équipe africana, costituita da un medico specializzato, due assistenti sociali e un contabile, e si avvalgono, inoltre, di numerosi volontari, familiari delle vittime e sieropositivi che si impegnano, in prima persona, soprattutto per il sostegno e l’aiuto psicologico degli altri malati. A Kinshasa, quattro équipe sono collegate con altrettanti ospedali generali della città. Le Cellule organizzano attività di informazione sul territorio focalizzate sulle malattie sessualmente trasmissibili, l’Aids e la tubercolosi. Inoltre garantiscono i servizi ospedalieri e domiciliari ai malati. A oggi, circa quattromila persone sono registrate nelle Cellule, tra queste moltissime neomamme che hanno potuto contare sul trattamento a base di nevirapina in grado di salvare i propri neonati. ❯ Nel paese dei cattolici neri (Repubblica Democratica del Congo). Milletrecento parrocchie, cinquemila sacerdoti, trenta milioni di fedeli sparsi ai quattro angoli di un paese grande quanto l’Europa occidentale. Questi i dati impressionanti che contraddistinguono la comunità cattolica della Repubblica Democratica del Congo, la più numerosa del continente africano assieme a quella nigeriana. Ma anche la più potente. Dalla seconda metà del Diciannovesimo secolo, la Chiesa cattolica ha coperto, nel bene e nel male, un ruolo sociale e politico insostituibile nella storia contemporanea congolese. Dal colonialismo alla guerra civile degli anni Novanta, passando per l’era ubuesca del dittatore Mobutu, il Congo deve in parte la propria salvezza all’estenuante attivismo sociale di sacerdoti, suore e missionari impegnati a farsi carico di milioni di persone spinte ai margini della società. Non a caso, le chiese fungono da luogo di aggregazione sociale per eccellenza. Chi le frequenta, quindi, non lo fa soltanto per pregare. Ma anche per raccogliere le ultime informazioni del villaggio, partecipare alla distribuzione di farmaci e viveri consegnati dall’ong di turno, frequentare corsi di alfabetizzazione, cantare a squarciagola durante messe interminabili, votare sì o no al referendum costituzionale per via dell’assenza di seggi elettorali nel proprio comune di residenza. O, più semplicemente, festeggiare la Madonna. Di sicuro, il mondo cattolico congolese è una realtà variopinta, sospesa tra speranze spesso disilluse per una vita migliore e la miseria profonda di uno stato sull’orlo del precipizio. ❯ Bambini-stregoni (Kinshasa). La Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire) è tra i paesi più estesi e popolosi dell’Africa: grande sette volte l’Italia, ospita cinquantasei milioni di abitanti. La maggioranza è cristiana, ma sono assai diffuse le pratiche animistiche. La mortalità infantile è al centoventotto per

mille, il trentadue per cento della popolazione è analfabeta e l’aspettativa di vita è di cinquantun anni. In questo quadro si inserisce un fenomeno agghiacciante: quello dei bambini-stregoni, giudicati responsabili di disgrazie e per questo allontanati dalla comunità, abbandonati in strada o sottoposti a pratiche violente di “purificazione”. Nella sola Kinshasa (la capitale) ci sono più di trentamila ragazzini costretti a sopportare il destino riservato agli “indemoniati”. In città, metà degli abitanti ha meno di vent’anni; e proprio i più piccoli sono sempre più spesso accusati di stregoneria. Un’accusa dalla quale è impossibile difendersi, una vera disgrazia, che cambia la vita già difficilissima di questi ragazzini. Spesso sono gli stessi genitori a cacciare di casa i figli, giudicati, senza appello, un maleficio. Sono i “figli maledetti del Congo”, a volte addirittura messi al rogo. In questo tragico scenario qualcosa sta però cambiando. Nel quartiere più povero di Kinshasa, Matete, da circa dieci anni sono nati quattro centri di ac-

La serie fotografica Nel paese dei cattolici neri di Andrea Frazzetta sottolinea la presenza e il valore della Chiesa in Congo.

Preparativi per una festività in equilibrio tra tradizione e cambiamento.

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COOPERAZIONE E SVILUPPO

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ermiamo l’Aids sul nascere è un progetto avviato nel piccolo ospedale Saint Albert in Zimbabwe dal Cesvi (che significa cooperazione e sviluppo), organizzazione umanitaria laica e indipendente, fondata a Bergamo nel 1985. Cesvi opera in tutti i continenti, per affrontare ogni tipo di emergenza e ricostruire la società civile dopo guerre e calamità; avvia e conduce progetti di lotta alla povertà, attraverso iniziative di sviluppo sostenibile, facendo leva sulle risorse locali e sulla mobilitazione delle popolazioni beneficiarie. Dal 2001, l’organizzazione è fortemente impegnata nella lotta all’Aids nell’Africa australe, dove molte future mamme sono sieropositive senza saperlo e rischiano di trasmettere al proprio bambino il virus Hiv. Il progetto Fermiamo l’Aids sul nascere si concretizza in diverse attività: oltre un programma di prevenzione e assistenza alimentare e psicologica alle mamme, una terapia farmacologia, per ridurre la trasmissione del virus dalle mamme sieropositive ai neonati; creazione di strutture di accoglienza e lotta all’esclusione sociale per gli orfani dell’Aids; supporto all’assistenza medica per i malati di Aids (accesso alle cure con farmaci antiretrovirali); promozione di campagne educative e di

In Congo sono attive numerose sette religiose, che coinvolgono i propri fedeli in convegni quotidiani, indetti con richiami espliciti: «Questa sera grande preghiera, il nostro canto si ergerà sino in cielo. Accorrete. Sarà presente anche Dio. E ci saran miracoli».

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prevenzione con il coinvolgimento della popolazione e delle istituzioni locali. In Zimbabwe, negli ultimi quattro anni, il Cesvi ha ottenuto consistenti risultati: ventiduemila donne sono state sottoposte al test Hiv e seguite con appoggio psicologico durante gravidanza, parto e allattamento e duemila bambini sono fuori pericolo di contagio. Inoltre, sono stati formati millequattrocento operatori sanitari e oltre duecentomila persone sono state sensibilizzate sul tema dell’Aids e sulle modalità di prevenzione. L’intervento Cesvi è oggi attivo in sette ospedali e diciassette cliniche rurali dello Zimbabwe e poi in Sudafrica e Congo. Il primo bambino nato sano da una mamma sieropositiva in Zimbabwe, che si è sottoposta al programma del Cesvi, si chiama Takunda (in lingua shona “Abbiamo vinto”). Oggi ha cinque anni ed è un bambino sano, simbolo dell’Africa che non si rassegna ai pregiudizi e che con aiuti umanitari si organizza, si mobilita e sconfigge la malattia. Per donazioni: Conto Corrente Postale 772244 intestato a Cesvi, specificare la causale “Fermiamo l’Aids sul nascere”; 800-036036; www.cesvi.org.

coglienza per ragazzi di strada, gestiti da volontari di diversa nazionalità, missionari, educatori congolesi. In questi centri, i bambini hanno un letto, un pasto e la possibilità di andare a scuola e compiere attività creative, come la musica e il ballo. Ogni anno, i ragazzi dei centri organizzano uno spettacolo teatrale, durante le festività natalizie. In questa occasione i bambini rivedono i propri genitori. L’obiettivo degli educatori è infatti quello di reinserire i ragazzi nel proprio nucleo familiare. In questa giornata, gli educatori hanno la possibilità di parlare con i genitori, raccontare, cercare di fare capire. E i ragazzi ritrovano fratelli e parenti e mettono in scena le proprie storie e i balletti organizzati apposta per questa occasione. Fino allo spettacolo più importante, la rappresentazione del Natale, i bambini vestono i costumi che hanno preparato da mesi. E per un’ora non ci sono più la strada e la fame, ma pescatori e pastori erranti, re, regine, e angeli. ❯ Sarà presente anche Dio. E ci saran miracoli (sette religiose a Kinshasa). Dio è nero. E nero fu suo figlio. In questo credono i kibanghisti, seguaci di Simon Kimbango, predicatore africano e nuo-

vo messia, morto martire nelle carceri dei coloni belgi, negli anni Sessanta. I Kibanghisti sono la setta religiosa più importante del Congo, una piccola superpotenza dotata anche di un’emittente televisiva e radiofonica. Ma è solo il vertice di un iceberg; il fenomeno delle sette è dilagante in tutto il paese e in particolar modo nella capitale, Kinshasa. Ma oltre che religioso questo è un fenomeno sociale e di costume. Le miriadi di sette disseminate per la città lo testimoniano. Ve ne sono almeno due o tre per ogni via e aggregano ogni sera centinaia di adepti in un turbinio di preghiere, danze e canti. I gruppi evangelici nascono spontaneamente, con una dinamica paragonabile a quella che in Europa genera i gruppi rock o, meglio ancora, a quella che negli States dà vita ai clan hip-hop. Sicuramente paragonabile ne è l’impatto sulle masse e l’organizzazione. Un mattino il leader del gruppo si sveglia, dopo aver ricevuto in sogno l’illuminazione, con l’impellente bisogno di diffondere la rivelazione. Dà vita così a un primo nucleo di adepti, che si allarga a macchia d’olio. Viene costruita una chiesa dentro un capannone e si dà inizio alla divulgazione e alla predica. Nascono così l’“Armata dell’Eternità” o gli “Evangelici del monte di Sion”. Ogni setta un nome, ogni setta una specializzazione. C’è chi prega per la salute, chi per l’amore, chi per i soldi. Per ogni richiesta, una risposta. E ogni sera, un convegno cui non si può mancare, come rammentano i volantini distribuiti copiosi in tutta la città: «Questa sera grande preghiera, il nostro canto si ergerà sino in cielo. Accorrete. Sarà presente anche Dio. E ci saran miracoli». Joshua Massarenti Andrea Frazzetta: Elikia. Storie del Congo. Galleria Grazia Neri, via Maroncelli 14, 20154 Milano; 02-625271, fax 02-6597839; www.grazianeri.com, photoagency@grazianeri.com. Dal 30 novembre al 15 gennaio 2007; lunedì-venerdì 9,00-13,00 - 14,30-18,00, sabato 10,00-12,30 15,00-17,00. Mostra realizzata in collaborazione con Cesvi e con il supporto di Boehringer Ingelheim.




SULLA STRADA PER PERPIGNAN S

ono qui che mi scervello su cosa scrivere di Visa pour l’Image, che si è tenuta, come sempre, a Perpignan, in Francia, la prima settimana di settembre. È l’imbarazzo del cronista che si sente ogni anno in dovere di annunciare la scoperta di un nuovo linguaggio, l’incontro con un novello fenomeno del reportage, una brillante riflessione sul fotogiornalismo. In realtà, tutto cambia molto lentamente e, da un anno all’altro, gli sconvolgimenti che permettono di scoprire nuovi tesori sono molto rari. Per fortuna, anche in assenza di novità che riguardino i massimi sistemi, ogni anno la cronaca quotidiana di Visa è una piacevole sorpresa. Rispetto le edizioni precedenti cambiano gli aneddoti, le mostre che si vedono, le proiezioni cui si assiste. E, come ogni anno, le conclusioni sono sempre le stesse: Visa vale assolutamente il viaggio e i fotografi,

Annotazioni personali, che non si esauriscono in questo, da Visa pour l’Image, fondamentale appuntamento annuale del fotogiornalismo internazionale. Tra chiacchiere, mostre, proiezioni e premi, la traccia continua di un mondo dai riferimenti professionali pubblici sempre più inquietanti. Nessuna risposta, qualche domanda e osservazioni completamente libere

Proiezione in memoria di Marc Grosset, ex patron dell’agenzia Rapho, mancato recentemente, all’età di quarantanove anni.

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La mostra dedicata ai trent’anni di Contact, al Couvent des Minimes. (pagina accanto, in alto) Jean-François Leroy, direttore di Visa pour l’Image, al Grand Prix Canon de la Femme Photojournaliste. (pagina accanto, in basso) Il palcoscenico dello spazio delle proiezioni al Campo Santo.

se non ci fossero, bisognerebbe inventarli. Perciò, il mio racconto di Visa pour l’Image 2006 sarà (è) la cronaca del mio viaggio. Bisogna sapere che, se si va a Perpignan in macchina (secondo me il mezzo migliore), partendo da Milano ci sono da percorrere poco più di ottocento chilometri. Il viaggio dura circa sette ore. Questa edizione è la diciottesima, ma la sua missione rimane quella di sempre: fare in modo che il fotogiornalismo mantenga il ruolo e l’importanza che gli competono, senza rimanere schiacciato dall’informazione tv, da altri media o da scelte editoriali antidemocratiche. Ritorniamo al viaggio in auto, che rappresenta per me la prima parte importante di Visa. Varrebbe la pena andare a Perpignan solo per il viaggio (naturalmente se si va in automobile), perché sette ore rappresentano un’occasione rara per parlare di fotogiornalismo con qualche amico che viaggia con me, altrettanto impegnato nel settore. Si parte di mercoledì, quest’anno era il sei settembre. I problemi “epocali” di cui si dibatte sono i soliti: budget per la fotografia sempre più ridotti (nonostan-

PREMI DALL’ITALIA

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spirati a una sostanziale affermazione di Cornell Capa, «Sono fotografi impegnati. Prendono posizione. Sono persone che volevano mostrare le cose che bisognava cambiare [...] su cui si doveva riflettere» (da The Concerned Photographer, Grossman Publishers, 1968), nell’ambito di Visa pour l’Image, il sei settembre a Perpignan sono stati assegnati i premi F e F25, promossi Forma, Centro Internazionale di Fotografia di Milano, nato da un’idea della Fondazione Corriere della Sera e dell’Agenzia Contrasto, e da Fabrica, Centro di Ricerca sulla Comunicazione del Gruppo Benetton. Il premio F, di ventimila euro, è stato vinto da Jessica Dimmock, con un progetto dal titolo Nono Piano, sul consumo dell’eroina a New York. Il premio F25, una borsa di studio della durata di un anno presso il Dipartimento di Fotografia di Fabrica, riservato a autori under Venticinque, è andato al sudafricano Mikhael Subotsky, per un lavoro sul sistema penitenziario del suo paese. Oltre al presidente, il fotografo Tom Stoddart, hanno fatto parte della giuria Mary Anne Golon, picture editor di Time Magazine, Marloes Krijnen, direttore del Foam Museum di Amsterdam, Gianluigi Colin, art director del Corriere della Sera, e Enrico Bossan, direttore del Dipartimento di Fotografia di Fabrica.

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te i risparmi consistenti di pellicola e fotolito, resi possibili dalle tecnologie digitali), rapporti con il direttore, crisi dei media. Questa volta c’è un elemento in più: l’inchiesta dell’Economist, letta qualche giorno prima, che racconta delle difficoltà sempre maggiori che i giornali hanno, sia nella pubblicazione delle notizie, sulle quali è sempre più pesante l’intervento di coloro che gestiscono la pubblicità, sia nella vendita di copie (può essere che questo ultimo fatto dipenda proprio dalla cattiva qualità dell’informazione?). A bordo, oltre a Chiara Mariani, photo editor del Magazine del Corriere della Sera, c’è un giovane fotografo italo-americano, ventotto anni, gradevolissimo, Guy Calef, padre calabrese e madre di New York, dell’agenzia WPN, rappresentato in Italia da Grazia Neri. Guy racconta dei mesi in Afghanistan, dell’Iraq e della sua futura esperienza in Etiopia. Mi ricorda mio figlio, che fa un lavoro meno pericoloso; mi ricorda i figli di tutti, tra i venti e i trent’anni, alla ricerca ingrata e faticosa del proprio futuro. Così, sette ore non sembrano sette, e il tempo è volato quando si parcheggia davanti all’Hôtel Pams, per l’accredito. L’organizzazione di Visa è quasi perfetta, e non si fanno più quelle lunghe code cui eravamo abituati anni fa. Consiglio: se volete andarci, accreditatevi prima per posta elettronica (mail@2e-bureau.com), richiedendo il modulo da compilare. Solo così troverete il vostro badge, cinquanta euro, già pronto. Lì, al Pams, si rincontrano i primi amici: hi, how are you, salue, inglese e francese sono le lingue dominanti, ma ci sono tanti italiani, ciao, ciao, qualche spagnolo, hola. Alla sera ci sono le proiezioni, che rappresentano per me la seconda parte importante di Visa. Sono fantastiche e avvengono nel vecchio Campo Santo, accanto alla Cattedrale. Sette giganteschi e invisibili proiettori digitali sparano sullo schermo le fotografie sapientemente scelte da Jean-François Leroy, direttore della manifestazione. Le immagini che si susseguono a ritmo incalzante, scandito da una efficacissima musica, sempre la stessa da anni, e da un commento pertinente e telegrafico, sono molto grandi, alcune addirittura enormi, oltre dieci metri di larghezza. Per ottenere questo risultato, ciascun proiettore invia solo una parte del fotogramma (da un terzo a mezzo), e occorre una attenta sincronizzazione affinché i vari segmenti di immagine collimino perfettamente. Quest’anno le proiezioni sono state dedicate all’Africa: guerre, epidemie, siccità, tentativi di evoluzione verso una società moderna; all’ambiente, minacciato dai naufragi delle petroliere; alla moderna emarginazione dell’uomo dal mondo del lavoro; alla guerra di Spagna settant’anni dopo; a Chernobyl vent’anni dopo; alle catastrofi naturali: Katrina e terremoto in Kashmir; alle guerre in Israele, Palestina, Iraq, Libano, Afghanistan; alla nuova, mostruosa ferrovia che stanno costruendo dalla Cina al Tibet; all’America Latina; a una retrospettiva su Stalin, curata da Marc Grosset, eccetera, eccetera, senza un attimo di respiro. È come se, quan-


GIURIA VISA D’OR lenco dei photo editor che fanno parte della giuria internazionale che propone la scelta di canELellodidati per il Visa d’Or News e Visa d’Or Magazine, in rigoroso ordine alfabetico di testata. Piazza Airone Italia

do arriva la notte, il demone dell’informazione aprisse un terribile vaso di Pandora e rovesciasse il proprio contenuto sull’enorme schermo del Campo Santo. Per forza, poi, alcuni vanno in piazza a bere birra fino alle quattro del mattino. A partire da giovedì, le proiezioni sono anche occasione per presentare al pubblico i vincitori dei premi in palio (riquadro a pagina 36). Per riuscire a entrare al Campo Santo occorre fare una coda di una cinquantina di metri. Se si arriva al cancello quando le tribune sono già piene, o dopo le dieci meno un quarto, non lasciano più entrare. Si può allora utilizzare l’impianto di proiezione differita, allestito in piazza davanti alla Cattedrale: non è come essere al Campo Santo, anche se la qualità è la stessa. Solo l’atmosfera è meno intensa. Il terzo motivo per cui considero importante Visa sono le mostre, poco meno di trenta, allestite in spazi straordinari. Mi limito a citarne alcune. Quella che ha celebrato i trent’anni dell’agenzia Contact, preparata da Robert Pladge, uno dei guru mondiali del fotogiornalismo, è stata allestita con un’idea geniale: in mezzo alla sala, su enormi pannelli, sono state presentate le provinature dei servizi da cui erano tratte le fotografie ingrandite, appese alle pareti. Unico neo, nessuna didascalia di sorta per queste provinature. La seconda mostra da citare rappresenta un ottimo esempio di collaborazione tra fotografi. Nelle prime ore che hanno seguìto il distruttivo impatto dell’uragano Katrina su New Orleans, tra i molti fotografi che si sono precipitati lì ce ne sono stati quattro che si conoscono bene: Thomas Dworzak e Paolo Pellegrin di Magnum Photos, Kadir van Louhizen e Stanley Greene di Vu. I quattro si sono associati e hanno prodotto un lavoro nel quale le

Andrew Popper Olivier Querette Barbara Clément Carmelo Caderot Jose Maria Conesa Joan Sanchez Xavier Jubierre Jean-François Dessaint Cyril Drouhet Rudiger Schrader Monica Rettschnick Sylvie Rebbot Ruth Eichhorn Nick Hall Susan Glen Dan Torres Gail Fisher Michel Philippot Magdalena Herrera David Griffin Daphné Angles Michelle McNally Kathy Ryan Elisabeth Biondi James Wellford Pierre Langlade Romain Lacroix Andreina de Bei Jimmy Colton Volker Lensch Candice Temple Michelle Stephenson Mary Ann Golon Pepe Baeza David Friend Frédérique d’Anglejan Marc Simon Joe Elbert Tom Kennedy Martine Dupuis Brigitte Huard Colin Jacobson Michael Rand

Business Week Ca M’Intéresse Elle El Mundo El Mundo - La Revista El Pais El Periodico L’Express Figaro Magazine Focus Frankfurter Allgemeine Zeitung Geo Geo The Independent Magazine The Independent On Sunday Libération Los Angeles Times Le Monde 2 National Geographic Magazine National Geographic Magazine The New York Times The New York Times The New York Times Magazine The New Yorker Newsweek Nouvel Observateur Paris Match Sciences et Avenir Sports Illustrated Stern The Sunday Times Time Magazine Time Magazine La Vanguardia Vanity Fair VSD VSD The Washington Post The Washington Post on line

Usa Francia Francia Spagna Spagna Spagna Spagna Francia Francia Germania Germania Francia Germania Gran Bretagna Gran Bretagna Francia Usa Francia Francia Usa Francia Usa Usa Usa Usa Francia Francia Francia Usa Germania Gran Bretagna Usa Usa Spagna Usa Francia Francia Usa Usa Francia Francia Gran Bretagna Gran Bretagna

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I PREMI DI PERPIGNAN

T

re Visa d’Or : per le News, i Magazine e la Presse quotidienne. Questi premi sono riconoscimenti simbolici e non comportano una gratificazione economica. Per i primi due c’è una giuria internazionale (riquadro a pagina 35), i cui voti determinano una ristretta lista di nominati. Quest’anno, per il Visa d’Or News sono stati nominati: Thomas Dworzak (Magnum Photos), per il suo lavoro sull’uragano Katrina; Shaul Schwartz (Getty Images), per un reportage sulla evacuazione dei coloni da Gaza; e Bruno Stevens (Cosmos), per le sue fotografie sulla siccità nel Corno d’Africa. Per il Visa d’Or Magazine sono stati nominati: Todd Heisler (Rocky Mountain News / Polaris), per il suo lavoro Final Salute sul rientro dei corpi dei soldati americani morti in Iraq; Jérôme Sessini, che si è dedicata all’immigrazione dal Messico agli Stati Uniti; Bruno Stevens (Cosmos), per il colera in Angola; e Tom Stoddart (Getty Images), per Chernobyl. Il vincitore di ciascuno di questi due premi è scelto da una giuria ristretta che si riunisce a Perpignan. Il Visa d’Or Magazine è andato a Todd Heisler, Paolo Pellegrin (Magnum Photos), Stanley Greene (Vu), Kadir van Louhizen (Vu) e Thomas Dworzak (Magnum Photos) firmano il loro libro sull’uragano Katrina.

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mentre quello delle News è stato vinto da Shaul Schwartz. A seguire, il Visa d’Or Presse quotidienne è stato assegnato a Sergio Caro, di El Periodico de Catalunya, per un lavoro sulla migrazione dall’Africa all’Europa. Sono assegnati altri tre premi. Il Jeune Reporter della città di Perpignan, di ottomila euro, riservato ai giovani, è andato a Tomas von Houtryve, per il suo lavoro sulla guerriglia in Nepal. Il nome del vincitore scaturisce dai voti della giuria internazionale già citata. Poi c’è il premio Care, assegnato al miglior reportage di contenuto umanitario. Quest’anno il vincitore è stato Hazel Thompson (agenzia Eyevine) per il suo lavoro sui bambini nelle prigioni filippine, cui sono andati ottomila euro. Infine, la sesta edizione del Grand Prix Canon de la Femme Photojournaliste, assegnato da una giuria composta da membri di Canon Francia e della Association de Femmes Journalistes (AFJ), ha visto primeggiare Véronique de Viguerie (World Picture Network), sulla base della presentazione di un progetto da realizzare e del proprio curriculum. Anche questo premio è di ottomila euro.

fotografie sono state presentate con la firma unica del gruppo. Ne è scaturita una denuncia dolorosa e indimenticabile delle terribili carenze dell’amministrazione Bush nei soccorsi alla città. Una terza mostra che voglio citare è quella dedicata al lavoro di Gerd Ludwig su Chernobyl vent’anni dopo. Fotografie impeccabili, piene di pathos e partecipazione, realizzate per National Geographic dal grande fotografo tedesco [copertina di FOTOgraphia del luglio 2005]. Infine, una menzione particolare la merita la re-

trospettiva dedicata al fotografo francese Henri Huet, che è morto nel 1971 in Laos nel crash dello stesso elicottero in cui rimase ucciso un altro famoso reporter, Larry Burrows. Le sue fotografie della guerra del Vietnam, realizzate per l’Associated Press, sono superlative. Per concludere. Perché è importante Perpignan? Quanto già scritto dovrebbe bastare, ma qualcosa va aggiunto: lì si possono incontrare, in carne e ossa, i fotografi. Lello Piazza



Sara Dominici, 31 anni, architetto: creativa, innamorata della fotografia, alla sua prima esperienza con il Nikon Life Team. Il Messico l’ha catturata. E lei ha catturato il Messico, con la sua nuova Nikon D80.

L'ottica a corredo Nikkor AF-S DX 18-70 mm è la

a

compagna ideale per il reportage di viaggio, la sua gamma

m

focale permette di realizzare paesaggi e ritratti con la stessa

L

elevata qualità.

m

Inoltre con il mio nuovo obiettivo tele Nikkor AF-S

p

VR 70-300 mm completo la gamma delle focali, così

i

Un duro anno di lavoro, mille appuntamenti, giornate in

anche il soggetto più lontano sarà a portata di mano!

L

cantiere a seguire i lavori, disegni, progetti… ma finalmente

Talvolta bastano pochi elementi, semplici forme, per generare

q

le vacanze sono arrivate.

immagini ricche di fascino. Importante è far lavorare la propria

d

Ad ospitarmi sarà la terra del sole e dei colori: il Messico.

fantasia, mettere la creatività al servizio delle capacità tecniche;

L

Il viaggio è lungo, così colgo l’occasione per mettere a punto

un pizzico di passione e tutto prende forma.

p

la mia compagna di viaggio: la nuova Nikon D80.

Grazie alla velocità dell’autofocus ed al fulmineo

a

Sarà lei il diario, la tela su cui dipingerò i magnifici ricordi

motore AF-S delle mie ottiche, nulla mi sfugge: gli

i

di questo tanto sospirato viaggio. Controllo la carica della

animali, il movimento dei bambini… ora ogni

i

batteria, formatto le card e inizio ad addentrarmi nel suo

situazione è “a fuoco”.

p

menù. Colorato, facile, intuitivo. La sua forma, il suo

Giorno dopo giorno, il mio viaggio prende forma; la praticità,

e

design: tutto è estremamente ergonomico.

la versatilità di utilizzo e la velocità della mia compagna

h

Con le doppie ghiere posso variare i tempi e i diaframmi

mi permettono, scatto dopo scatto, di congelare indelebilmente

s

senza distrarmi dall’inquadratura, il mirino luminoso mi

il sorriso dei bambini, le geometrie delle case, spiagge

p

informa costantemente su tutti i parametri di scatto.

paradisiache, fiori di incredibile bellezza e i colori dei manufatti

m


artigianali. Premetto di non essere una fotografa professionista,

ma sono proprio soddisfatta dei risultati.

La sera in hotel riguardo gli scatti nell’ampio e luminoso

monitor LCD; con la funzione zoom osservo i minimi

particolari, i colori sono davvero saturi e anche

il dettaglio è perfettamente inciso.

La cosa sbalorditiva è che con la Nikon D80 posso,

qualora sia necessario, migliorare le immagini

direttamente “on camera”.

La libertà di scatto del digitale amplia veramente le mie

possibilità, l’immediatezza dei risultati e la sicurezza di portare

a casa ciò che voglio. E’ la prima volta che mi sento realmente

in piena sintonia con una macchina fotografica, l’estrema

intuitività delle funzioni mi rende padrona delle sue

potenzialità e permette di esaltare la mia creatività

e il desiderio di fotografare divertendomi. Nikon D80

ha una risposta ad ogni esigenza e il suo completo

sistema di ottiche, flash e accessori rende davvero

possibili risultati che credevo appartenessero solo al

mondo dei fotografi professionisti.


In ordine assolutamente sparso, con la sola gerarchia della passerella d’onore all’Horseman 3D (peraltro anticipata addirittura in copertina), in queste pagine annotiamo una serie di novità tecniche presentate in occasione della Photokina 2006. Le brevi note di segnalazione sono inframmezzate a rilevazioni complementari, di contorno. A partire dal prossimo numero di dicembre, approfondiremo sia argomenti tecnici sia considerazioni parallele e aggiuntive: sempre nello spirito della curiosità e della benefica sollecitazione del mercato.

Torniamo alla relazione dalla Photokina 2004, quando, in chiusura di passerella, non visualizzammo un prototipo realizzato da Yoshiyuki Akutagawa, fotografo e designer (in queste rispettive vesti: FOTOgraphia, luglio 2000 e marzo 1999). Due anni fa, non eravamo autorizzati a rivelare l’essenza di questa derivazione su base Hasselblad XPan (apparecchio appunto disegnato dallo stesso Yoshiyuki Akutagawa; a sinistra, riproponiamo la fotografia allora censurata). Oggi, è tutto ufficiale e attribuito: dallo scorso ventun agosto, Horseman 3D per coppie di fotogrammi stereo 24x30,5mm sull’area immagine originaria 24x65mm (inquadratura Panorama). Sono conservate le caratteristiche di uso dell’Hasselblad XPan (FOTOgraphia, novembre 1999), con il solo accomodamento della misurazione esposimetrica, indirizzata alla sottoesposizione ragionata, piuttosto che alla sovraesposizione: a tutto favore della diapositiva stereo. La coppia di obiettivi di ripresa Fujinon 38mm f/2,8 (disegno Tessar di quattro lenti in tre gruppi) è distanziata su una congeniale base stereo di 34mm. [Distribuzione: Silvestri Fotocamere, via della Gora 13/5, 50025 Montespertoli FI; 0571-675049, fax 0571675919; www.silvestricamera.com; info@silvestricamera.com].

Dotata di sensore CMOS da 10,1 Megapixel, dell’innovativo Eos Integrated Cleaning System (sistema integrato di pulizia) e di un monitor LCD da 2,5 pollici, la nuova Canon Eos 400D è indirizzata al più vasto pubblico. In un momento nel quale le reflex digitali rivelano un lusinghiero stato di salute, questa dotazione tecnica intende affermarsi sul mercato internazionale, acquisendo una significativa quota commerciale: ne riferiremo in dettaglio nei prossimi mesi. PHOTOKINA 2004

FRANCO CANZIANI

PHOTOKINA 2006

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Ilpresentepr ossimofuturo


Ne abbiamo già scritto: in FOTOgraphia dello scorso ottobre. La reflex digitale a obiettivi intercambiabili Nikon D80, che sostituisce la precedente serie D70, propone facilità di uso, controllo personale versatile ed esclusive funzionalità incorporate, per una fotografia accessibile a tutti. Nuovo sensore di immagine CCD in formato DX da 10,2 Megapixel, che consente di raggiungere elevati livelli di risoluzione e nitidezza nei dettagli e di garantire, allo stesso tempo, la massima libertà nell’esecuzione di ritagli creativi e efficaci ingrandimenti. Una delle sue principali novità riguarda il modulo di elaborazione delle immagini ad alta risoluzione, ereditato dalle reflex digitali professionali Nikon di ultima generazione.

Anticipata nelle settimane immediatamente precedenti la Photokina 2006, la Leica M8 è stata ufficialmente presentata nell’ambito della stessa manifestazione fieristica, alla quale ha dato il proprio imprimatur: come sottolineato, con spirito tedesco proiettato sul panorama internazionale. Continuazione della propria genìa a telemetro, la M8 conferma e ribadisce la soluzione della messa a fuoco manuale con rilevazione a telemetro. E da qui non ci si sposta. Ne abbiamo già scritto, lo scorso ottobre, e gli eventuali ulteriori approfondimenti si potranno compilare all’indomani del suo arrivo sul mercato: annunciato per la fine dell’anno, quando saranno disponibili anche i due nuovi obiettivi Leica Tri-ElmarM 16-18-21mm f/4 Asph e Leica Elmarit-M 28mm f/2,8 Asph, entrambi per fotografia analogica/argentica e digitale.

In attesa della nuova reflex digitale professionale, che dovrebbe arrivare nei primi mesi del prossimo anno, lo standard QuattroTerzi registra la configurazione Olympus E-400, che abbiamo ampiamente presentato lo scorso ottobre. Ribadiamone i valori fondamentali: costruzione estremamente compatta e sensore CCD di acquisizione da dieci Megapixel ad alta efficienza energetica, abbinato a un efficace circuito amplificatore, che annulla il rumore elettronico con notevole e apprezzata velocità operativa. In modalità rapida sono consentiti scatti in sequenza fino a tre acquisizioni al secondo, con un buffer da cinque immagini in formato grezzo RAW o fino a venti in qualità Jpeg HQ. Grazie alla compatibilità con lo standard QuattroTerzi, si dispone di una agevole flessibilità operativa, definita e disegnata dai propri elementi tecnici, oltre che da quelli di altre produzioni (anche). Confermato il filtro di rimozione della polvere (Supersonic Wave Filter), per una fotografia digitale senza problemi di depositi dannosi sul sensore, anche alla sostituzione degli obiettivi intercambiabili in condizioni ambientali difficili e avverse.

Dalla Photokina 2006 rileviamo indicazioni che non sono solo tecnologiche (anzi, queste scorrono via leggere). Soprattutto è una vicenda di atmosfera e clima. Come pure di persone. Al solito, uno sguardo di lato

O

gnuno ha i propri modi di vedere, coltivati sulla somma di esperienze individuali. Premesso questo, chiave di lettura di un riferimento che stiamo per esprimere, la relazione giornalistica dalla Photokina 2006, a tutti gli effetti l’appuntamento merceologico più importante del commercio fotografico, richiede ed esige una seconda annotazione preliminare, peraltro già anticipata nell’editoriale dello scorso settembre, antecedente le date della Fiera: a Colonia, in Germania, dal 26 settembre al Primo ottobre scorsi. Facili profeti, tanto risultano chiare ed esplicite alcune consecuzioni fondamentali dell’attuale mercato fotografico, annotammo che «tanti fattori fanno ipotizzare una Photokina diversa dalle precedenti, in relazione a quanto è cambiato il mondo della

produzione fotografica [...]. Osservazioni mirate lasciano prevedere che questa edizione della Photokina stabilirà definitivamente il nuovo assetto commerciale della fotografia, entro il quale agiscono sia produttori storici [...], sia aziende che sono arrivate in fotografia provenendo da altre identità». A conseguenza, anticipammo che «alla luce dei prodotti che ciascuno presenterà, l’analisi non dovrà limitarsi al semplice casellario, come è stato anche fatto in un passato remoto, ma individuare filosofie di fondo, che dal presente si proiettano in avanti»: appunto, il presente prossimo futuro. Ovvero: «rincorrere la novità, non sarà più la parola d’ordine della sintesi giornalistica; bensì, si dovrà andare sottotraccia, per approfondire argomenti e visioni. Le parole dovranno rivelare altre sostanze, dalle quali dipende [per quanto

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Tutti l’hanno corteggiata (anche la nuova proprietà Leica? / anche la nuova proprietà Leica!). La Rolleiflex Hy6, presentata a Photokina dalla neocostituita (neoricostituita) Franke & Heidecke, è considerata l’autentica evoluzione nell’acquisizione digitale di immagini con sistema reflex medio formato (vestita anche con livrea Sinar). Tra le sue pieghe aleggiano lo spirito e presenza Jenoptic, riferimento ormai discriminante dell’attuale personalità digitale professionale, e si profilano altre tante combinazioni, sia produttive sia commerciali e distributive. Vedremo a primavera, quando questa configurazione sarà ufficialmente lanciata sul mercato. Per ora si annotano dimensioni sostanzialmente contenute, ottimale distribuzione dei comandi operativi, efficace lettura esposimetrica e sostanziose qualifiche digitali, riferite all’apposito dorso, che verrà realizzato anche per altre dotazioni fotografiche. Ultima nota: la produzione è programmata per quattromila esemplari in quattro anni.

più ci interessa] la stessa espressione della fotografia: sia in termini professionali sia nell’ambito dell’applicazione privata (concentrata all’espressione di un linguaggio creativo, piuttosto che declinata nella semplice fotoricordo)». Effettivamente, è stato così. Tanto che la sequenza di novità tecniche non ha diritto di ospitalità in quanto tale -elenco senza spirito né anima-, ma nel proprio insieme serve a comporre i tratti di una personalità che non è soltanto tecnica e/o tecnologica, ma definisce e identifica i connotati di uno spirito con il quale dobbiamo incontrarci e confrontarci. Il richiamo è evidente, e la nostra registrazione giornalisticamente obbligata. Qualsiasi viaggio nella vita, se non fosse intrapreso per ragioni umane e con comprensione e amore, sarebbe un viaggio asso-

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Il qualificato e prestigioso Maco, produttore di pellicole bianconero, sul mercato con marchio Rollei, ha tradotto in numerose lingue un testo originario dell’italiano Gerardo Bonomo, pubblicato in Tutti Fotografi dello scorso giugno. L’estratto di otto pagine ha riproposto integralmente un dettagliato e approfondito articolo sull’emulsione Infrared, arricchito da adeguate illustrazioni d’appoggio. Abbiamo rintracciato e recuperato le traduzioni in inglese, tedesco, olandese, polacco e russo; e pensiamo che ce ne debbano essere anche altre.

Dalla copertina del catalogo 2006/07 dei Professional Photo Supports, Manfrotto lancia il proprio sostegno al Charity Project del fotografo indiano Sudharak Olwe a favore dei lavoratori che, tra molteplici disagi, curano le strade e gli edifici di Bombay. All’interno del catalogo, sulle pagine finali Educational, oltre i riferimenti alla propria produzione, numerose pagine sono dedicate e riservate alla presentazione del progetto, sulla cui essenza torneremo quanto prima.

lutamente inutile. Parliamo sempre di qualcosa che vale la pena ricordare, dal momento che la tecnologia trasforma in realtà antichi sogni. La fonte della tecnologia applicata è quella stessa fonte che alimenta la vita e l’evoluzione dell’esistenza. Così facendo, alimenta anche la nostra immaginazione e i sogni di tutti noi. Caldeggiamo, quindi, il superamento di ogni barriera che (altrimenti) chiude/rebbe la nostra esistenza.

CITTÀ INVISIBILE (?) Ecco dunque che, come abbiamo esordito, «ognuno ha i propri modi di vedere, coltivati sulla base della somma di esperienze individuali». La Photokina 2006, con tutte le proprie manifestazioni palesi e indicazioni conseguenti, ci è apparsa con i conno-


Il primo giorno della Photokina si è svolta la cerimonia di premiazione dei TIPA Awards 2006: assegnati a trentaquattro prodotti, per altrettante merceologie (FOTOgraphia, maggio 2006). La segnalazione dei qualificati e prestigiosi premi TIPA, attribuiti dall’autorevole associazione di categoria di riviste europee di fotografia (della quale, dall’Italia, facciamo parte assieme a Fotografia Reflex), scompone il mercato nei propri differenziati indirizzi tecnici, che ogni anno richiedono considerazioni sempre più dettagliate. Quindi, all’interno dei padiglioni espositivi della Photokina 2006, sul lungo Boulevard di collegamento Nord-Sud, passaggio obbligato di e per tutti i visitatori, è stata allestita una accattivante esposizione dei trentaquattro prodotti fotografici premiati.

Nell’ambito delle numerose e significative novità di casa, dalla stampa all’archiviazione, dalla scansione a innovative combinazioni di inchiostri, alla videoproiezione professionale e domestica, la stampante Epson Stylus Pro 3800 si segnala per le generose dimensioni delle copie, fino al formato Uni A2 (42x59,4cm). Allo stesso tempo, l’unità, che adotta la tecnologia UltraChrome K3 (premio TIPA 2006; FOTOgraphia, maggio 2006), segnala un ingombro sostanzialmente contenuto, adatto a ogni ambiente di lavoro. Una volta ancora, sottolineiamo che la tecnologia applicata agli inchiostri a pigmenti UltraChrome K3 si presenta e offre come nuovo standard nel settore fotografico fine art e delle prove colore. La novità degli inchiostri Epson UltraChrome K3 a otto colori è rappresentata dai tre inchiostri neri, oltre alla gamma degli inchiostri a colori, per stampe a colori e in bianconero di alta qualità. I tre inchiostri neri offrono gradazioni più neutre nelle stampe in bianconero e a colori, con risultati che riproducono fedelmente le sfumature della carnagione, requisito indispensabile per i fotografi professionisti. Il terzo inchiostro nero, il Nero Light Light, consente di migliorare le gradazioni della scala di grigi e ottenere sfumature più omogenee e morbide.

tati di alcune delle Città invisibili di Italo Calvino. Rientrati dalla Photokina, mettendo ordine tra tante impressioni e sollecitazioni (che del resto avevamo preventivato), nella mente si sono affollati innumerevoli richiami (ribadiamo individuali). Due sopra tutti: le descrizioni che Italo Calvino fa di Tamara, nell’ambito di Le città e i segni, e Fedora, tra Le città e il desiderio. Da Le città e i segni. 1: «L’uomo cammina per giornate tra gli alberi e le pietre. Raramente l’occhio si ferma su una cosa, ed è quando l’ha riconosciuta per il segno d’un’altra cosa [...]. Tutto il resto è muto e intercambiabile; alberi e pietre sono soltanto ciò che sono. Finalmente il viaggio conduce alla città di Tamara. Ci si addentra per vie fitte d’insegne che sporgono dai muri. L’occhio non vede cose ma figure di cose che significano altre cose».

Confermando il verde come emblema della propria tradizione, per rafforzare l’identità del marchio, Fuji Photo Film Co ha annunciato l’introduzione di un nuovo logotipo aziendale (fotografato da Erwin Parth, presidente Fujifilm Italia, all’ingresso Sud della Photokina 2006; qui sotto). A partire dal Primo ottobre, Fujifilm ha assunto una nuova struttura di holding, appunto Fujifilm Holdings Corporation, che gestisce le strategie dell’intero Gruppo, incluse le due principali società operative: Fujifilm Corporation e Fuji Xerox Co. Fujifilm entra così nell’era della sua “Seconda fondazione”, caratterizzata da una serie di riforme strutturali e da una attenta politica di investimenti in Ricerca e Sviluppo, che si è concretizzata anche nell’attivazione di fusioni e acquisizioni, e nel potenziamento di settori chiave, quali Attrezzature Medicali, Life Sciences, Sistemi di Stampa Office, Arti Grafiche e prodotti ad alta tecnologia, come materiali per schermi a pannello piatto, componenti elettronici ed apparecchiature ottiche.

Da Le città e il desiderio. 4: «Al centro di Fedora, metropoli di pietra grigia, sta un palazzo di metallo con una sfera di vetro in ogni stanza. Guardando dentro ogni sfera si vede una città azzurra che è il modello d’un’altra Fedora. Sono le forme che la città avrebbe potuto prendere se non fosse, per una ragione o per l’altra, diventata come oggi la vediamo. In ogni epoca qualcuno, guardando Fedora qual era, aveva immaginato il modo di farne la città ideale, ma mentre costruiva il suo modello in miniatura già Fedora non era più la stessa di prima, e quello che fino a ieri era stato un suo possibile futuro ormai era solo un giocattolo in una sfera di vetro». La fotografia dei nostri giorni, che si è specchiata nella inequivocabile passerella della Photokina 2006, è una e tutte le città in-

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Il più lungo teleobiettivo al mondo! Il Carl Zeiss Apo Sonnar T* 1700mm f/4 in baionetta Hasselblad (203FE) è indirizzato alla più esclusiva fotografia naturalistica. Un progetto ottico ardito, che si concretizza in una costruzione di 25kg di peso. Per la sua costruzione sono stati applicati innovativi sistemi di assemblaggio delle lenti, ereditati dai progetti dell’ottica astronomica e scientifica, oltre che dalle esperienze maturate nell’ambito della massima risoluzione della fotografia dallo spazio e satellitare. Quindici lenti, divise in tredici gruppi, garantiscono una nitidezza sorprendente, certamente non alla portata degli utilizzatori non professionisti.

visibili di Italo Calvino. In particolare, ribadiamo, è Tamara («Raramente l’occhio si ferma su una cosa, ed è quando l’ha riconosciuta per il segno d’un’altra cosa [...]. L’occhio non vede cose ma figure di cose che significano altre cose»), così come è Fedora («In ogni epoca qualcuno, guardando Fedora qual era, aveva immaginato il modo di farne la città ideale, ma mentre costruiva il suo modello in miniatura già Fedora non era più la stessa di prima»).

OGGI E DOMANI Per tutto questo, e per altro ancora, al giorno d’oggi i prodotti, le novità in quanto tali sono l’ultimo dei problemi, semmai dovessero costituire un problema. Più e diversamente che nei precedenti decenni della lunga storia evolutiva della tecnologia fotografica,

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Prosegue il programma reflex digitale di Sigma, la cui attuale SD14 (evoluzione delle precedenti SD9 e SD10; FOTOgraphia, giugno 2002 e febbraio 2004) conferma il sensore di acquisizione digitale Foveon X3, nella attuale versione da quattordici Megapixel, in dotazione anche alla nuova compatta DP1. Ricordiamo che il sensore Foveon X3, premio TIPA 2002 per la tecnologia innovativa, consente a ciascun pixel l’acquisizione di tutti i colori allo stesso tempo. La tecnologia si basa sul fatto che il sensore assorbe selettivamente la luce in funzione della propria lunghezza d’onda, con le frequenze più lunghe che penetrano più profondamente negli strati rispetto a quelle più corte.

Premio TIPA 2006 nella categoria della miglior pellicola fotografica, con l’emulsione invertibile Fujichrome T64 Professional, la giapponese Fujifilm si candita alla prossima sessione degli Award 2007 con la diapositiva Fujichrome Provia 400X Professional (che mantiene ancora viva l’attenzione sull’evoluzione chimica della fotografia): sono annunciate un’eccellente saturazione dei colori e una stabilità di immagine perfezionata, nonché una grana più fine (uno dei massimi livelli di grana ultrafine, con una granularità RMS pari a 11, paragonabile a quella delle attuali pellicole di 100 Iso di sensibilità, con le quali allinea il proprio livello di saturazione). Pertanto, la nuova Fujichrome Provia 400X Professional può essere utilizzata in situazioni di ripresa eterogenee, dal giornalismo agli eventi sportivi, dalla moda al paesaggio e natura.

pochi prodotti -o forse nessun prodotto- sono oggi significativi di se stessi; quanto, nel proprio insieme complessivo, tutti in comunione sono rappresentativi di un’epoca, un mondo e un modo di intendere e declinare la creazione e gestione delle immagini. Tra l’altro, nell’attualità digitale dei nostri giorni, torniamo a una ipotesi che abbiamo già ventilato in altre occasioni: possiamo definire e datare “Seconda generazione” quanto esprime il mercato odierno. Così facendo, conteggiamo il tempo nel quale le case fotografiche sono approdate alle reflex digitali a obiettivi intercambiabili di costo abbordabile (visto e considerato che gli attuali sette-otto-novecento euro non hanno reali rapporti di parentela con gli antichi un milione e quattrocento/ottocentomila lire, che sarebbero apparsi in forma visiva più allarmante).


Impegnata su molteplici fronti della stampa in forma digitale, fino alla tiratura delle unità Indigo, indirizzate alle arti grafiche, ma congeniali anche al laboratorio fotofinishing conto terzi (FOTOgraphia, marzo 2006), Hewlett-Packard ha attivato un diversificato programma di qualificate testimonianze di uso, che comprende anche i fotografi della celeberrima agenzia Magnum Photos. In particolare, sono sottolineate le combinazioni tra stampante, inchiostri e supporti, sia in interpretazione colore, sia in restituzione nei calibrati toni del raffinato bianconero. Con tutto, non mancano vicende quotidiane, con stampanti di grandi e medie dimensioni, a diverso indirizzo. Si segnala la nuova HP Photosmart Pro B9180 da tavolo, per copie fino all’Uni A3+ (32,9x 43,8cm; premio TIPA 2006): otto inchiostri Vivera a resa rapida, per ventotto copie bianconero al minuto o ventisei a colori. Rispetto la corrispondente configurazione precedente, la produttività aumenta del trenta per cento, conservando le affermate prerogative di resa qualitativa, stabilità nel tempo e dialogo con i profili delle stazioni computer.

Anticipato all’inizio dell’estate, il rinnovato programma digitale di Samsung è ufficiale e definitivo. Come già annotato, in FOTOgraphia dello scorso luglio, le prerogative dei tre modelli originari NV (New Vision, ovvero Nuova Visione) non si esauriscono nel proprio presente. Invece, l’essenza delle digitali Samsung NV3, NV7 OPS e NV10 è indicativa di un indirizzo tecnico e commerciale che sta per trasformare l’idea stessa di fotografia, prontamente proiettata verso crescenti fasce di pubblico potenziale. Ricordiamo che la microcompatta Samsung NV3, da 7,2 Megapixel, include funzioni di lettore Mp3, player multimediale, videocamera digitale e visualizzazione di testi. Quindi, la configurazione Samsung NV7 OPS sottolinea presto proprie sostanziose prerogative dichiaratamente fotografiche, in una declinazione tecnica che si proietta verso l’alto: stabilizzatore ottico OPS (Optical Picture Stabilizator) del sensore, risoluzione di 7,2 Megapixel e zoom ottico 7x, a propria volta dotato di funzione antivibrazione ASR (Advanced Shake Reduction, tecnologia proprietaria Samsung). Infine, al vertice, 10,1 Megapixel di risoluzione identificano la compatta digitale Samsung NV10. Autentica innovazione del design applicato, per la prima volta in una configurazione digitale sono presenti pulsanti Smart Touch per navigare rapidamente tra i menu e attraverso le funzioni di uso. Ovviamente, è presente il sistema antivibrazione ASR (Advanced Shake Reduction), che si combina con l’escursione 3x dello zoom ottico.

Da cui, come abbiamo già lasciato trasparire in precedenza, stiamo attendendo l’inevitabile “Terza generazione”, che è sicuramente allo studio di più produttori: non ciascuno per sé, badate bene, ma sicuramente collegati tra loro in una qualche forma di consorzio. Infatti, non è più tempo di viaggi isolati e solitari, quanto di concreti percorsi comuni. Se ci dovessimo porre la domanda su quando questa “Terza generazione” irromperà sul mercato internazionale, come pure se ci venisse posta, avremmo due risposte certe, che però non assicurano nulla e non fissano date ineluttabili. La concretizzazione della “Terza generazione”, sicuramente in un avanzato stadio di progettazione congiunta, lo ribadiamo, dipende soprattutto dai prossimi andamenti di mercato: finché le reflex digitali continuano a

In coincidenza con il centesimo anniversario della nascita del fondatore (19062006; FOTOgraphia, aprile 2006), è stata lanciata una pubblicazione rivolta alla fotografia professionale, che subentra alla storica testata Forum (rispetto alla quale spende un valore storico irrinunciabile). Presentando lavori di fotografi selezionati e descrivendo in che modo agiscono, Victor (by Hasselblad) si propone come fonte privilegiata di ispirazione. Periodicità trimestrale e sito di appoggio www.victorbyhasselblad.com; 30x38cm, 13,00 euro; abbonamento annuale 39,00 euro.

segnare e segnalare gli attuali incrementi di vendita (più sessantasei per cento in volume, nel periodo agosto 2005-luglio 2006 rispetto i dodici mesi precedenti: 83.461 apparecchi contro 50.387 [fonte GfK]), non c’è convenienza né interesse a rimuovere le acque. Dopo di che, seconda risposta, oppure annotazione, vorremmo introdurre una variabile: potrebbe anche esserci chi, pur in floridità di mercato, brucia i tempi e anticipa tutti. Però le cifre attuali sono ufficialmente confortanti, per quanto, comunque, gli incrementi nei volumi di vendita si accompagnino con la stazionarietà dei fatturati: si vendono più oggetti (compatte e reflex digitali), che, allo stesso momento, costano sistematicamente di meno. Ancora agosto 2005-luglio 2006 sui dodici mesi precedenti (sempre fonte GfK): in volume, più quin-

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Primo sistema reflex digitale con sensore di acquisizione full-frame da 48mm. Con questa configurazione, l’Hasselblad H3D articola una risposta di qualità nel mondo della fotografia professionale, entro il quale agiscono e si manifestano contraddizioni tecniche e tecnologiche che andrebbero chiarite. È probabile che i tempi siano maturi per questo, e quindi, oltre tornare debitamente sulle soluzioni operative dell’apparecchio, bisognerà anche avvicinare questioni e vicende infrastrutturali di identica fondamentale importanza. Rispetto le reflex digitali high-end, derivate da apparecchi 35mm, la H3D vanta una risoluzione estremamente superiore (nelle dotazioni H3D-22 e H3D-39, rispettivamente da ventidue o trentanove Megapixel), colori e rendering dei dettagli migliori e una nuova scelta di mirini, per una composizione creativa dell’immagine. Rispetto ai dorsi digitali, offre una qualità dell’immagine con un più alto livello di dettaglio e nitidezza effettiva, grazie alla tecnologia Hasselblad Dac (Digital Apo Correction) e ai progressi della sua nuova funzionalità Ultra-Focus. Il concetto full-frame della H3D assicura il controllo totale nella composizione dell’immagine, e con il nuovo obiettivo 28mm consente di realizzare visioni grandangolari su un sensore di acquisizione digitale 36x48mm.

dici per cento nella vendita di compatte; in valore stesse identiche cifre (quindi, almeno meno quindici per cento nei prezzi medi degli apparecchi); e il già segnalato più sessantasei per cento della quantità di reflex digitali si accompagna con un incremento di “solo” il quarantatré per cento dei fatturati. Altrettanto confortanti sono le merceologie, anche se nulla vale o può più sperare di valere quanto l’antica redditività della pellicola, con relative copie colore, sulla quale vivevano e mangiavano un poco tutti: dal produttore ai negozianti, ai laboratori di trattamento (ognuno con relativi e conseguenti alti livelli occupazionali). Scordiamoci quegli anni, durante i quali in troppi hanno capito poco o nulla: allora più impegnati a piangere, che a decifrare il mercato e le proprie possibili proiezio-

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La neonata gamma di reflex digitali Pentax K, che riprende una identificazione alfabetica particolarmente fortunata nella lunga storia della nobile casa giapponese (FOTOgraphia, settembre 2006), si accresce della versione Pentax K10D: 10,2 Megapixel, Shake Reduction (SR), per l’eliminazione del mosso involontario, e Dust Removal (DR), per la rimozione della polvere eventualmente depositatasi sul sensore di acquisizione.

Tra i tanti obiettivi che arricchiscono l’offerta ottica della casa, in una profusione di soluzioni zoom di diverso orientamento, sui quali torneremo quanto prima, isoliamo l’affascinante Sigma 8mm f/3,5 EX DG: fisheye a immagine circolare sia sul fotogramma 24x36mm sia nell’area di acquisizione digitale, di agevole apertura relativa (diaframma minimo f/22) e confortevole messa a fuoco da soli 13,5cm. L’angolo di campo (piatto) di 180 gradi si avvale di lenti a basso indice di dispersione SLD (Special Low Dispersion), che assicurano la correzione ottimale, all’interno di un disegno di undici lenti divise in sei gruppi. In montatura fissa Canon, Nikon, Pentax, Sigma e Sony (Konica-Minolta).

ni e implosioni (cultura italiana del piagnisteo: piaga non ancora risanata). Scordiamoci quei lussi e impegniamoci per mettere a (buon) frutto ciò che c’è, lasciando perdere ciò che non c’è più. Senza moralismi, senza proclami, l’invito è rivolto agli operatori commerciali, perché la salute di un mondo dipende dalle condizioni di ciascuna componente. E la proiezione del benessere individuale è benefica al collettivo: dal commercio alla cultura dell’immagine, verso la quale ciascuno di noi (da e su queste pagine) rivolge le proprie predilezioni e simpatie, oltre che i propri interessi di conoscenza e civiltà. Non c’è esaltazione in questo che stiamo scrivendo, ma entusiasmo. Ovvero, non si tratta di riflessi di stupidità umana, ma riflessi dell’intelligenza (non stiamo parlando di noi, sia chiaro):


Resistente all’acqua, polvere e urti. L’aspetto inconsueto della Ricoh Caplio 500G Wide ha queste motivazioni di fondo, cui si aggiungono le prestazioni digitali e fotografiche: zoom 3x che esordisce dalla visione grandangolare 28mm equivalente (nota distintiva della famiglia Caplio), risoluzione di 8,13 Megapixel, slot per memory card Secure Digital e cinque livelli di registrazione.

La nuova struttura aziendale Mamiya Digital Imaging Co, ufficialmente avviata il Primo settembre (FOTOgraphia, maggio 2006), continua il cammino intrapreso nell’ambito della fotografia digitale medio formato professionale, che si basa sulla configurazione Mamiya ZD, con relativo dorso di acquisizione utilizzabile anche da altri sistemi (FOTOgraphia, novembre 2004). Oltre quanto già disponibile dal sistema fotografico 645, riutilizzabile nel mondo digitale, arrivano due nuove interpretazioni ottiche: Mamiya AF 28mm f/4,5 e Mamiya AF 75-150mm f/4,5. Equivalente ai 17mm e 20mm della fotografia 24x36mm (rispettivamente nell’uso fotografico e in quello digitale), dotato di lenti asferiche, il grandangolare si propone per la più ampia visione digitale angolare: 102 gradi sul fotogramma 4,5x6cm e 94 gradi con il dorso di acquisizione ZD; a fuoco da 35cm. Allo stesso momento, il compatto zoom medio tele offre una visione da 60 a 25 gradi (per fotografia 4,5x6cm) e da 44 a 23 gradi (con il dorso digitale SD), per equivalenze focali con le variazioni 47-93mm e 54-108mm della fotografia 24x36mm.

quella stessa intelligenza che è ansia di normalità e che, spostandosi dalla combinazione tecnica alla relativa applicazione, sa che la creatività non è implicita in alcun mezzo, ma esplicita nell’azione. E a questo indirizziamo ogni nostra considerazione. Per completare l’annotazione merceologica, la deviazione merceologica, registriamo ancora la crescita esponenziale nell’offerta di strumenti infrastrutturali all’immagine digitale: stampanti professionali e non (in relative interpretazioni), chiostri per la semplificazione del servizio conto terzi, storage viewer per la gestione ottimale del flusso individuale di lavoro, card e supporti di memoria infiniti, carte e inchiostri a profusione. Per tanti motivi, di tutto questo scriviamo poco, probabilmente troppo poco (e chiediamo scusa), lasciando al commercio il compito di sottolinearne le pe-

Due digitali Fuji nella categoria delle reflex a obiettivo zoom fisso, che alle origini si identificavano come “bridge”, ponte tra le compatte semplici e le reflex a obiettivi intercambiabili. La Fujifilm FinePix S6500fd è la prima digitale dotata di tecnologia hardware “Face Detection”, che permette di identificare i volti e di finalizzare le impostazioni di scatto in soli 0,04 secondi. Con il sensore Super CCD da sei Megapixel di sesta generazione, la tecnologia Real Photo Processor II, una sensibilità da 100 a 3200 Iso equivalenti e uno zoom ottico Fujinon 10,7x (con escursione pari alla variazione 28-300mm della fotografia 24x36mm), questa configurazione si rivolge a un target di fotografi esigenti e concentrati. A seguire, la digitale Fujifilm FinePix S9600, consecuzione della precedente FinePix S9500, offre le prestazioni dello zoom ottico Fujinon 10,7x (ancora 28300mm), del sensore Super CCD da nove Megapixel, della sensibilità da 80 a 1600 Iso equivalenti e di una rapida risposta allo scatto. Il controllo del mosso, efficacemente eliminato, si basa sull’impostazione automatica della sensibilità su valori Iso convenienti, ai quali corrispondono regolazioni di scatto di tutta sicurezza. Al solito, ne riparleremo.

culiarità operative e i potenziali benefici d’uso. Forse, o sicuramente, sbagliamo: se così è, porremo presto rimedio.

IL LUNGO ADDIO (?) Torniamo sui binari della relazione giornalistica dalla Photokina 2006. Citandoci addosso, dobbiamo richiamare la relazione dalla scorsa Photokina 2004 (FOTOgraphia, novembre 2004), quando individuammo lo spirito di un’epopea progettuale e costruttiva, alla quale ci sentiamo particolarmente vicini e legati, nella personalità di Vincenzo Silvestri, in Fiera con la propria configurazione S5 Micron: dotazione tecnica, che abbiamo approfondito recentemente (FOTOgraphia, maggio 2006), che ha definitivamente concluso l’iter della costruzione a banco ottico, con cor-

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Gradito ritorno. Il concreto e consistente interesse che sta premiando la fotografia argentica medio formato 6x6cm, soprattutto in forma tecnica biottica, ha consentito la rinascita della Rolleiflex Tele, che, come le riedizioni/rielaborazioni 2.8 FX e 4.0 W (una con Zeiss Planar 80mm f/2,8 e l’altra con grandangolare Schneider SuperAngulon 50mm f/4), vanta praticità tecniche e di uso più versatili delle Rolleiflex originarie dei decenni scorsi, specialmente nella misurazione TTL della luce. In particolare, la nuova Rolleiflex 4.0 FT, definizione ufficiale della biottica “Tele”, è dotata di Tele-Xenar 135mm f/4 con messa a fuoco sostanzialmente ravvicinata: da 150cm, contro i due metri e mezzo del passato.

Registriamo una certa ripresa di “luce” negli obiettivi fotografici, da tempo avviati verso le più ardite combinazioni zoom, cui giocoforza corrispondono sacrifici dal punto di vista della luminosità relativa. Già abbiamo annotato la disponibilità di due classici della gamma ottica Carl Zeiss, ora realizzati anche in montatura a baionetta Nikon F: Zeiss ZF Planar T* 50mm f/1,4 e Zeiss ZF Planar T* 85mm f/1,4 (FOTOgraphia, settembre 2006), cui si stanno aggiungendo focali grandangolari e costruzioni Macro. Quindi, Zeiss sta per fornire obiettivi anche al sistema reflex digitale Sony α 100 (FOTOgraphia, luglio 2006): nell’ambito dei “luminosi”, segnaliamo gli Zeiss ZA Planar T* 85mm f/1,4 e Zeiss ZA Sonnar T* 135mm f/1,8 (a pagina 51). Quindi, è la volta del Canon EF 50mm f/1,2, il superluminoso della serie L. Con l’occasione, ricordiamo che la famiglia ottica Canon L riunisce una gamma di obiettivi professionali esclusivi, progettati e realizzati per soddisfare le necessità degli utilizzatori più esigenti. In sintonia con la resistenza alle intemperie delle reflex Eos-1, l’EF 50mm f/1,2 è sigillato con una guarnizione O-Ring, per prevenire infiltrazioni di polvere o umidità e continuare a scattare anche in condizioni climatiche avverse. EUGENIO MARTORELLI

Alla propria produzione di apparecchi grande formato standard (dal 4x5 all’8x10 pollici, ovvero dal 10x12cm al 20x25cm; e poi al 20x24 pollici/50x60cm), lo statunitense Keith Canham ha aggiunto configurazioni per inquadratura panorama, con rapporto accelerato tra i lati: 4x10, 8x20 e 12x20 pollici, rispettivamente traducibili in 10x25cm, 20x50cm e 30x50cm. Ovviamente, sono disponibili opportuni châssis portapellicola piana (da ritagliare dalle dimensioni standard: www.canhamcameras.com). Per gli interessati: dal 27 giugno al Primo luglio prossimi si svolge la Quinta View Camera Magazine Large Format Photo Conference, a Louisville, negli Stati Uniti (www.viewcamera.com).

pi mobili finemente regolabili nelle proprie posizioni operative. E l’ha concluso, l’iter, con un fantastico colpo di coda, che ha consegnato alla Storia (Maiuscola d’obbligo e volontaria) una delle interpretazioni più efficienti ed efficaci di tutte e di tutti i tempi. Probabilmente “la” più efficiente ed efficace, per quanto il nostro punto di vista possa avere valore assoluto e definitivo. Oggi, a distanza di due anni, replichiamo e confermiamo quell’originaria visione, ribadendo una volta ancora come più che ai prodotti ci si debba sempre rivolgere e riferire alle persone. Consultando più riviste di settore, pubblicate in questi stessi giorni, da ogni relazione dalla Photokina 2006 si possono leggere impressioni diverse: da ciascuna (rivista) la propria. Nell’insieme, novità su cui soffermarsi non mancano, e ciascuno può eleggere la

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propria preferita, in relazione al personale modo di intendere e vivere la fotografia; ed è un gioco che potremmo persino (provocatoriamente) proporre, compilando un elenco dettagliato, con voci da spuntare: ognuno per sé, in base ai propri personali indirizzi fotografici. Ma no, non lo facciamo! Al solito, e promuovendo ancora la genialità individuale, come sempre, noi scartiamo a lato, ribadendo comunque il ruolo di un giornalismo (il nostro) che osserva la tecnologia in modo da agire a favore del mercato. In tutto questo, eleviamo a simbolo della Photokina 2006, assegnandole la passerella d’onore, la configurazione Horseman 3D, progettata e disegnata da Yoshiyuki Akutagawa, fotografo e designer del quale abbiamo avuto già modo di ribadire le personalità: nel luglio 2000 abbiamo presentato i suoi sguardi fo-


Eccellente e nobile artigianato di Monaco, con proiezioni in Ucraina, Hartblei ha avviato le proprie combinazioni fotografiche basandosi su obiettivi e corpi macchina medio formato Kiev. Ancora su meccanica d’oltrecortina (una volta si diceva così), è ora la volta di tre disegni ottici Carl Zeiss, proposti in montatura decentrabile e basculabile: in baionetta reflex 35mm per riprese fotografiche 24x36mm oppure per acquisizioni digitali: Planar 80mm f/2,8, Makro-Planar 120mm f/4 e Distagon 40mm f/4. Per ora, la segnalazione; a seguire, nei prossimi mesi, la presentazione dettagliata.

Oltre la reflex QuattroTerzi Lumix DMC-L1 (FOTOgraphia, settembre 2006), il programma digitale Panasonic continua nella direzione delle compatte digitali, in forma semplice e reflex con obiettivo zoom fisso (bridge). In questo ambito, si segnala la versatile Panasonic Lumix DMC-FZ50 da 10,1 Megapixel, con innovativo controllo della sensibilità Iso equivalente e con zoom ottico 12x Leica DC Vario-Elmarit 7,4-88,8mm f/2,8-3,7 (di escursione focale equivalente alla variazione 35-420mm della fotografia 24x36mm), dotato di sistema di stabilizzazione d’immagine Mega OIS (Intelligent Image Stabilizer). Evoluzione consequenziale della precedente DMCFZ30, l’attuale configurazione presenta il processore d’immagine LSI Venus Engine III, che rende possibile registrare ad alta sensibilità un’immagine alla massima risoluzione (fino a 1600 Iso equivalenti).

tografici dall’alto e nel marzo 1999 abbiamo sottolineato la sua collaborazione professionale con Fujifilm, per la quale ha disegnato l’insieme degli apparecchi professionali. Appunto da uno di questi deriva l’attuale Horseman 3D, elaborata sulla base della Fujifilm TX-1, che in Europa conosciamo come Hasselblad XPan: doppio formato 24x36mm e 24x65mm su comune pellicola 135 (FOTOgraphia, novembre 1999). In versione di prototipo, quella che oggi è identificata come Horseman 3D (in copertina di questo stesso numero), apparve in forma riservata alla scorsa Photokina 2004: non autorizzati a rivelarne l’essenza, due anni fa censurammo la sua raffigurazione (nell’ambito della relazione dalla Fiera: visualizzazione in FOTOgraphia del novembre 2004, ribadita oggi a pagina 40). Apparecchio

Ancora Lomowall e Lomografia. L’avvincente movimento fotografico, originariamente nato attorno la compatta sovietica Lomo (FOTOgraphia, settembre 1998), si è sistematicamente allargato e differenziato. Si scatta anche con apparecchi a obiettivo fisheye semplificato, a obiettivi multipli in sequenza rapida e con panoramica a obiettivo rotante. In tutti i casi, è confermata la socializzazione e condivisione delle immagini, in un clima e spirito di grande entusiasmo e in un mondo che si relaziona, dando così tanto beneficio all’intero discorso della fotografia: e su questo si dovrebbe riflettere, una volta accantonati gli inutili sovrastrati che appesantiscono ogni considerazione e riflessione, anche di carattere commerciale.

stereo elaborato sulla base del corpo macchina Hasselblad XPan (confermiamolo), consideriamo la Horseman 3D l’addio definitivo alla pellicola 35mm: se deve morire, che muoia così, con dignità e guardando in faccia il presente che si confronta con la Storia e si specchia nel futuro (al quale pare, peraltro, volgere le spalle: ma non è poi così vero). Per questo celebriamo la fantastica Horseman 3D nello splendore e apoteosi di una applicazione di nicchia (a dir poco), che non ha mai avuto adeguata considerazione nell’ambito della lunga storia evolutiva della fotografia. Per quanto possiamo personalmente amare la raffigurazione tridimensionale, in questo caso stereo, alla quale abbiamo peraltro riservato numerose annotazioni (che non è il caso richiamare ancora), non possiamo ignorare come la fotografia 3D sia sempre

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L’innovativa serie Leaf Aptus S comprende tre nuovi dorsi ad acquisizione digitale di immagini, che si caratterizzano per la straordinaria velocità e l’ampliamento esponenziale delle possibilità applicative. Leaf Aptus 75S (trentatré Megapixel; 48x36mm), Leaf Aptus 65S (ventotto Megapixel; 44x33mm) e Leaf Aptus 54S (ventidue Megapixel; 48x36mm) sono in grado di fornire straordinarie velocità di acquisizione, da 0,8 secondi per fotogramma o settantacinque fotogrammi al minuto (il 54S). Nello specifico, sono state raddoppiate la velocità del processore CCD e la dimensione del buffer, per espandere le possibilità di ripresa. Inoltre, i dorsi Leaf Aptus S sono allineati alla nuova tecnologia di scheda SanDisk CompactFlash Extreme IV, per riprese portatili. I dorsi sono altresì compatibili con il recente standard Firewire 800, per il trasferimento dati fino a 800Mb al secondo, con livelli di sensibilità che arrivano fino a 800 Iso equivalenti. In attesa di approfondimenti futuri, annotiamo che, primi al mondo, questi dorsi Leaf Aptus S adottano uno schermo tattile a cristalli liquidi integrato in formato 6x7cm.

rimasta ai margini di processi evolutivi che ne hanno amabilmente ignorato le potenzialità implicite e il fascino visivo. Ma non è questo il problema attuale, ammesso che di problema possa anche trattarsi. Quanto, in occasione della recente Photokina 2006, di confermare, come già annotato, il valore delle persone. L’anima che aleggia al di sopra e di fianco agli oggetti della fotografia. Proprio da queste persone, Yoshiyuki Akutagawa dell’Horseman 3D, come anche Vincenzo Silvestri della S5 Micron (e di tanto altro ancora), possiamo solo imparare. Non importa cosa ciascuno di noi impari da loro. Di certo, ognuno impara qualcosa di positivo, forte e inviolabile: che può fare soltanto bene all’esistenza individuale e all’affermazione complessiva del mondo entro il quale tutti insieme operiamo.

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Altre cinque nuove Nikon Coolpix, sulle cui specifiche dovremo tornare: due nella gamma “L”, acronimo di Life, e tre nella serie “S” (Style). Per ora, il rapido elenco: Coolpix L5 e L6 (6 e 7,2 Megapixel), e poi Coolpix S7C, S9 e S10 (7,1, 6 e 6 Megapixel). Tutte complete di zoom digitale aggiuntivo 4x, ognuna offre escursioni zoom proprie, dalle variazioni più contenute, equivalenti 38-114 e 38-116mm delle Coolpix S9 e L6, all’ingrandimento 10x da 38 a 380mm della Coolpix S10. Quindi, diversa dotazione di sensibilità, fino a 400 e 600 Iso equivalenti le Coolpix L5 e L6, e fino a 400, 800 e 1600 Iso, rispettivamente, le Coolpix S9, S10 e S7C.

Sebbene utilizzi una identificazione mutuata dalle più attuali tecnologie digitali, la definizione Lensbaby 2.0 non indica la seconda release di una vicenda virtuale, bensì distingue il gruppo ottico a due lenti dell’obiettivo in montatura mobile (di gomma), con accomodamento elastico della messa a fuoco e possibile inclinazione libera (basculaggio?) rispetto il piano focale: per effetti di sfocatura parziale volontaria e controllata. L’Original Lensbaby è identico, con costruzione ottica a una sola lente. La stessa focale circa 50mm è realizzata anche nella nuova versione Lensbaby 3G (due lenti, come il 2.0), obiettivo dotato di blocco delle posizioni di messa a fuoco e inclinazione, con eventuali aggiustamenti finali micrometrici. I tre obiettivi Lensbaby (ovvero Lensbabies) dispongono di diaframmi mobili per le aperture da f/2,8 a f/8 (Original), da f/2 a f/8 (2.0) e da f/2 a f/22 (3G): in montatura fissa per ogni reflex 35mm e digitale (!). Ne riparleremo quanto prima (figuratevi, se ci lasciamo perdere una ghiottoneria come questa).

Yoshiyuki Akutagawa è un irriducibile. E noi vorremmo tanto potergli assomigliare. Anche solo un pochino.

TRA LE PIEGHE Per quanto, come appena annotato, ognuno possa concentrare la propria attenzione e il proprio interesse su elementi particolari (individuati in merceologie e applicazioni affini alla propria personalità fotografica), ci sono elementi sovrastanti che incombono sull’intero mercato, indipendentemente dagli indirizzi individuali. Sopra tutto, registriamo l’acquisizione da parte di Leica del pacchetto di maggioranza delle azioni della svizzera Sinar. All’indomani di controverse vicende aziendali della casa di Solms, che nell’arco di un anno ha completamente stravolto il


Dal piazzale dell’ingresso Nord della Fiera di Colonia, che nella propria nuova struttura prevede quattro ingressi autonomi, identificati con i punti cardinali, durante i giorni della Photokina 2006, a orari prestabiliti, sono partiti gli Eos Discovery Tour. Un pullman a due piani, con inequivocabili identificazioni Canon, ha toccato i luoghi turistici della città, consentendo ai viaggiatori di provare sul campo le prestazioni operative dalla nuova reflex Eos 400D (a pagina 40).

La collaborazione tra Zeiss e Sony, avviata con le forniture di obiettivi per le compatte digitali, si estende al sistema ottico per la reflex Sony α 100 (FOTOgraphia, luglio 2006), al quale è riservata la gamma di obiettivi Zeiss ZA. All’avvio, tre focali, due fisse e una zoom: Zeiss ZA Planar T* 85mm f/1,4, il classico per ritratto, con copertura completa del fotogramma fotografico 24x36mm; Zeiss ZA Sonnar T* 135mm f/1,8, rapido teleobiettivo con copertura 24x36mm; Zeiss ZA Vario-Sonnar T* DT 16-80mm f/3,5-4,5, zoom versatile e compatto, finalizzato alla fotografia digitale con sensori di dimensioni inferiori al fotogramma fotografico 24x36mm. Attenzione: la copertura del fotogramma 24x36mm consente l’uso di questi Zeiss ZA anche con reflex Minolta e Konica-Minolta del più recente passato.

proprio assetto societario e tecnologico/produttivo, fino ad approdare alla configurazione Leica M8 digitale (anticipata in FOTOgraphia dello scorso ottobre) e ad allestire un diversificato programma digitale, comprensivo dell’adesione allo standard reflex QuattroTerzi, questo ulteriore movimento finanziario ha creato parecchio rumore. Le ipotesi sono tante, almeno quanti sono/potrebbero essere gli intrecci che traspaiono: ci sono di mezzo interessi bancari, sui quali non sappiamo esprimerci, ma anche combinazioni tecnologiche. In particolare, l’ago della bilancia passa attraverso Jenoptic, precedente azionista Sinar di riferimento, che agisce sul mercato rimanendo tra le quinte. Per esempio, il sensore di acquisizione digitale della Leica M8 è l’affermato Kodak ISS, che, in altra configurazione tecnica, accompa-

Negativo colore a grana fine, eccezionale resa dei toni dell’incarnato, colori accesi e brillanti, nitidezza per stampe a colori di efficace acquisizione a scanner. Ribadendo considerazioni che da tempo (sempre?) accompagnano la presentazione di pellicole fotografiche, la gamma Kodak Professional Portra rinnova l’impegno della casa gialla nel campo della fotografia chimica, alla quale offre, pensiamo, l’emulsione definitiva, distinta nelle interpretazioni 160VC, 160NC, 400VC, 400NC e 800. Le cifre sottintendono la sensibilità delle pellicole (35mm, rullo 120 e 220 e piane dal 4x5 pollici all’8x10 pollici), gli alfabetici VC e NC sottolineano l’orientamento verso colori Vividi e Naturali.

gna le più qualificate ed efficaci interpretazioni digitali professionali (apparecchi medio formato e dorsi intercambiabili); ma il software di gestione è sempre più spesso Jenoptic, a propria volta dotazione discriminante del mondo digitale professionale. Jenoptic sta anche dietro la configurazione medio formato Hy6 (a pagina 42), che dovrebbe arrivare sul mercato soprattutto con il marchio Rolleiflex (nel portafoglio della neocostituita Franke & Heidecke, produzione fotografica che riprende l’originaria identificazione della fine degli anni Venti: una volta ancora e una di più, ritorno al futuro). E proprio questa medio formato digitale è stata una delle autentiche regine della Photokina 2006, corteggiata da tutti, avvicinata da molti. Il prototipo presentato a Colonia dovrebbe arrivare presto sul mercato; ma

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Duplice versione del flash elettronico Metz Mecablitz 58 AF-1 Digital: una dedicata alle reflex digitali Canon e l’altro alle reflex digitali Nikon, delle quali conserva ogni simulazione e funzione lampo. Tecnologia a due riflettori, gestione dell’energia ad alta prestazione, misurazione flash plurizona AF di ultima generazione, sistema di riflettori completamente orientabili, funzioni speciali, interfaccia USB per l’update del software via Internet (il primo flash compatto ad alte prestazioni con tale connessione). Grazie all’elevato Numero Guida 58 (a 100 Iso e focale 105mm), può essere usato anche per il flash indiretto. Senza cavo, è guidato dai sistemi di controllo remoto Canon E-TTL e Nikon i-TTL. Copertura dalla visione grandangolare 18mm (formato digitale ridotto rispetto il fotogramma 24x36mm).

con quale identificazione ufficiale? Pensiamo soprattutto Rolleiflex, ma non ci stupiremmo se venissero utilizzati altri marchi di altrettanto richiamo (Sinar è/sarà uno di questi). Anche i movimenti finanziari e tecnologici hanno dato manforte a una centralità tedesca della Photokina 2006, che ha ribadito la propria internazionalità, declinando al contempo un legittimo orgoglio nazionale, proiettato verso le geografie planetarie. Del resto, proprio il rafforzamento di una certa germanità, respirata tra i padiglioni e individuata in molti indizi (la cui quantità statistica equivale a una prova concreta), afferma la centralità della stessa Photokina rispetto altre manifestazioni fieristiche della fotografia: a partire dallo statunitense PMA, con il proprio pragmatico valore di centro di affari (compra/vendita e nulla di più).

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Il consistente nuovo indirizzo digitale di Leica, che fa della M8 la propria bandiera, si diversifica in ulteriori interpretazioni. La Leica Digilux 3 è una reflex digitale a obiettivi intercambiabili che aderisce allo standard aperto QuattroTerzi, avviato e sollecitato da Olympus: mirino ottico e visione dell’immagine in tempo reale su monitor, grazie alla tecnologia Live MOS. Ancora, risoluzione di 7,5 Megapixel e obiettivo standard Leica D Vario-Elmarit 1450mm f/2,8-3,5 Asph (equivalente alla variazione 28-100mm della fotografia 24x36mm; FOTOgraphia, giugno 2006). Quindi, si annotano due compatte digitali di taglio alto. La Leica D-Lux 3 è dotata di zoom equivalente 28-112mm con stabilizzazione ottica, dispone delle inquadrature in rapporto 16:9, 3:2 e 4:3 e ha una risoluzione di dieci Megapixel. La reflex a obiettivo zoom fisso Leica V-Lux 1 (35-420mm) conferma la stabilizzazione ottica e fa valere dieci Megapixel di risoluzione e una generosa apertura relativa f/2,8-3,7.

Al solito, come abbiamo puntualmente registrato anche nel corso delle precedenti edizioni, la Photokina di Colonia sollecita l’interesse della stampa tedesca non di settore. Questa volta segnaliamo Focus, che addirittura riserva la propria copertina alla Fiera, e SFT, rivista di tendenza, che prende spunto dall’appuntamento espositivo per fare il punto sulla tecnologia fotografica dei nostri giorni (richiamo di copertina): ampio il servizio interno, che si allunga su sessanta pagine.

Con l’edizione 2006, attraverso l’impegno e presenza di produttori/espositori e l’efficienza dell’ente organizzatore (la Koelnmesse, che ha saputo tesaurizzare lo spostamento in nuovi padiglioni di straordinaria efficacia), la Photokina ha ribadito come il proprio appuntamento biennale non sia soltanto vicenda di tecnologie, peraltro non contrapposte, ma di azione a favore e beneficio di un intero mercato. La Photokina è anche persone, incontri, clima e atmosfera a completa e assoluta celebrazione della fotografia. Quindi, ogni novità non è stata significativa di se stessa, come pure è stata, ma ha composto accattivanti tessere di un mosaico complessivo che identifica una merceologia, un’epoca e, addirittura, un’epopea: quella della fotografia che si presenta al commercio convinta delle proprie potenzialità implicite.


Produzione fotografica che ha aderito allo standard reflex digitale QuattroTerzi, avviato da Olympus, la giapponese Sigma propone una propria gamma di obiettivi dedicati. Quattro nuove combinazioni ottiche si aggiungono alle sette già da tempo disponibili, e accrescono il sistema originario Zuiko Digital (FOTOgraphia, ottobre 2006), cui si sono allineate anche ulteriori proposte Leica. Ricordando ancora l’equivalenza 2x con le focali della fotografia 24x36mm, rapidamente: Sigma 24mm f/1,8 EX DG Aspherical Macro (angolo di campo 48,5 gradi, dieci lenti in nove gruppi, a fuoco da 18cm, sistema Dual Focus), Sigma 1850mm f/2,8 EX DC Macro (angolo di campo da 62 a 24,4 gradi, quindici lenti in tredici gruppi, lenti a basso indice di dispersione SLD e ELD [Special Low Dispersion e Extraordinary Low Dispersion], a fuoco da 20cm), Sigma Apo 135-400mm f/4,5-5,6 DG (angolo di campo da 9,2 a 3,1 gradi, tredici lenti in undici gruppi, una lente asferica e tre a basso indice di dispersione SLD, a fuoco da 200 e 220cm) e Sigma Apo 300-800mm f/5,6 EX DG HSM (equivalente alla variazione 600-1600mm della fotografia 24x36mm, autofocus HSM, angolo di campo da 4,1 a 1,5 gradi, diciotto lenti in sedici gruppi, due lenti a basso indice di dispersione ELD, a fuoco da 600cm).

CON L’IMMAGINE

Cresce la gamma di obiettivi Zeiss ZF in montatura a baionetta Nikon F. Dopo gli originari Zeiss ZF Planar T* 50mm f/1,4 e Zeiss ZF Planar T* 85mm f/1,4 (FOTOgraphia, settembre 2006), arrivano i grandangolari Zeiss ZF Distagon T* 25mm f/2,8 e Zeiss ZF Distagon T* 35mm f/2, entrambi a messa a fuoco manuale. Il primo è un grandangolare spinto, che offre il massimo delle prestazioni nella fotografia di architettura, nel paesaggio e nel reportage di viaggio. Il Distagon T* 35mm è un grandangolare versatile e luminoso, ideale nel reportage fotogiornalistico e nelle riprese in luce ambiente. Gli obiettivi ZF coprono il pieno formato 24x36mm (per il quale sono completi di forcella di accoppiamento agli esposimetri delle reflex Nikon e Nikkormat più lontane) e sono disegnati per offrire la nota qualità d’immagine Zeiss anche nell’acquisizione digitale di immagini. A seguire, nei primi mesi del prossimo anno, arriveranno altre due interpretazioni, finalizzate alla fotografia a distanza ravvicinata, ancora definite da una generosa apertura relativa: Zeiss ZF Makro-Planar T* 50mm f/2 e Zeiss ZF Makro-Planar T* 100mm f/2, con elemento ottico flottante, per la ripresa fino al rapporto al naturale, 1:1.

Per farlo, la fotografia tecnica e commerciale si è anche basata sulla coerente presentazione di immagini: sia a contorno della manifestazione nel proprio complesso (anche se la Visual Gallery di quest’anno ci è parsa debole nei contenuti e inconsistente nelle proposizioni: a differenza dello spessore registrato in occasione della scorsa edizione 2004, commentata in FOTOgraphia del novembre 2004 e approfondita il marzo successivo). Finalizzate in relazione alle relative personalità tecniche, le rassegne fotografiche allestite negli stand sono state tutte vigorose e adeguatamente indirizzate: all’esercizio della fotografia, piuttosto che alla passerella di sistemi e supporti di stampa. A completamento, come tradizione, l’intera Colonia è stata co-

In una situazione nella quale la comunicazione alla stampa avviene ormai attraverso informazioni trasmesse tramite CD, e a volte Dvd, oppure posta elettronica, soltanto la tedesca Linhof è rimasta ancorata a una antica tradizione cartacea. Oltre i dati tecnici, tre stampe a colori visualizzano le novità della celebre casa di Monaco: Master Technika 3000, più recente versione della storica costruzione folding grande formato, proiettata verso il digitale, Adattatore decentrabile per la Technorama 617 e configurazione decentrabile Technorama 617 S III.

involta nell’Internationale Photoszene: quest’anno settanta mostre fotografiche, tra spazi pubblici (a partire dal prestigioso Museum Ludwig) e gallerie private! Non sappiamo quantificare cosa e quanto questo significhi, ma qualcosa dovrà pur voler dire. Ed è immagine anche la storia. Per cui registriamo con particolare piacere (personale) il ritorno di un marchio che ha scritto fondamentali capitoli nell’evoluzione del linguaggio. Ne abbiamo appena accennato, e ora commentiamo che la separazione aziendale tra l’identificazione “Rollei”, altrimenti e altrove indirizzata, e “Rolleiflex” ha rivitalizzato l’originaria Franke & Heidecke, binomio che dalla fine degli anni Venti tracciò indelebili percorsi fotografici, a partire dal medio formato fotografico 6x6cm su pellicola a rullo 120, con configurazione biottica. E oggi, in pieno mon-

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Il supporto di memoria compatto xDPicture Card Type M (25x20x1,7mm) arriva alla capacità di 2Gb. Utilizzando compatte digitali Olympus da otto Megapixel in modalità HQ, si possono registrare fino a mille immagini. Inoltre, sono ribadite le opzioni Panorama e 3D (anaglifo), oltre alle opzioni di trasformazione pittorica (FOTO graphia, febbraio 2006).

do digitale, nel cui ambito, come già osservato, l’imminente Rolleiflex Hy6 sottolinea propri valori discriminanti, la bandiera della composizione quadrata è tornata in mano alla stessa Rolleiflex, le cui attuali biottica sono ancora apprezzate e ricercate: tanto da segnare la ragguardevole quantità di quattrocento ordinazioni raccolte in Photokina, equamente distribuite tra la configurazione con obiettivo standard 80mm e le interpretazioni grandangolare 55mm e tele 135mm (novità dell’ultima ora; a pagina 48). In un territorio prossimo, anche la svedese Hasselblad, analogamente proiettata nel mondo digitale, per il quale ha presentato la novità tecnologica H3D, ha fatto tesoro della propria storia, rievocando la paternità di Victor Hasselblad (nel centenario della nascita; FOTOgraphia, aprile 2006), al quale ha ad-

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Dopo la Repubblica popolare cinese, diversificata in un’offerta fotografica a tutto campo, e l’arrivo sul palcoscenico internazionale dei produttori indiani, si stanno delineando i termini di ulteriori sbocchi geografici di particolare convenienza. È la volta del Vietnam: non tanto nel senso della cucina esotica, già affermata in molti paesi (per esempio, nella stessa Germania dove si svolge la Photokina), quanto del basso costo della manodopera, per produzioni fotografiche competitive sui mercati occidentali. A partire, come sempre, dalle borse.

Sostanzialmente esaurita la stagione delle “cineserie”, interpretazioni fotografiche per pellicola 35mm o Instamatic 126 spesso orientate al gioco e alla bizzarria, la Repubblica popolare si afferma per altre prerogative fotografiche. Non ci occupiamo dei plagi e delle imitazioni, territorio di altrui competenza, ma segnaliamo la gamma di reflex Phenix, l’unica proposta analogica/argentica effettivamente presente all’interno della Photokina 2006 (fatti salvi alcuni dei riferimenti storici della fotografia, a partire dalle immancabili Leica e dalle interpretazioni a telemetro Cosina/Voigtländer e Zeiss). Con montatura a baionetta degli obiettivi intercambiabili, per lo più Nikon AI, Pentax K e Minolta MD, sono disponibili reflex 35mm sostanzialmente meccaniche, che ripropongono valori tecnici del passato (ormai remoto).

dirittura intitolato una nuova pubblicazione fotografica: appunto, Victor (by Hasselblad) (a pagina 45). E che dire, infine, di Leica, la cui M8 digitale, presentata come la “prima telemetro digitale professionale”, ribadisce la propria appartenenza a una lunga genìa, della quale afferma un pedigree di valore assoluto? In una diversificata serie di interpretazioni reflex e non reflex, la combinazione tra l’attualità di una tecnologia ad acquisizione digitale di immagini e la propria vicenda storica è assunta a virtù e merito. Tanto è vero che, nota parallela, sono stati creati negozi monomarchio: il Leica Ginza di Tokyo è stato inaugurato lo scorso ventun aprile, il Leica Shop Berlin il successivo sedici giugno. In una pertinente miscela di tecnologie offerte al commercio quotidiano, che la casa di Solms oggi interpreta in una


Se ne riparlerà all’inizio del prossimo anno, ma già si deve prendere nota dell’evoluzione Fujifilm FinePix S5 Pro, reflex digitale a obiettivi intercambiabili evoluzione consequenziale del programma professionale della casa giapponese, fotograficamente impegnata su infiniti fronti, fino al fotofinishing. In anticipo, è stata già annunciata l’adozione del sensore Super CCD SR Pro a doppia tecnologia di pixel: 6,17 Megapixel S e altrettanti 6,17 Megapixel R. Quindi, è prevista la Real Photo Technology Pro, che combina lo stesso Super CCD SR Pro con l’RP Processor Pro, per acquisizioni di estesa gamma dinamica e capacità di registrazione ottimale dalle alte luci alle ombre profonde. Un adeguato filtro low-pass riduce le interferenze luminose e minimizza l’effetto moiré. Sono incrementate le capacità di registrazione e gestione del colore e della nitidezza, per sensibilità estese a 3200 Iso equivalenti, prive di rumore residuo.

Già l’abbiamo affermato in molte occasioni, e ora arriva l’attesa conferma. I discorsi sulla fotografia con telefonini dotati di obiettivo non possono fermarsi, e neppure soffermarsi, su alcuna idea di presunta non qualità formale delle acquisizioni. Per quanto questo possa anche essere un argomento plausibile, è soltanto questione di tempo, che peraltro scorre in fretta. Ecco quindi che il nuovo Nokia N95 offre una risoluzione di cinque Megapixel, che azzera le considerazioni avverse. Nel frattempo, le funzioni supplementari, ulteriori alla stessa fotografia quanto esplicitamente riferite alla sua gestione e condivisione, proiettano il telefonino verso quella dimensione di computer multimediale che abbiamo avuto già modo di rilevare. Tra le mani e in completa libertà, il telefonino del presente-futuribile è uno strumento che incorpora in sé tali e tante azioni da richiedere, al più presto, una nuova definizione omnicomprensiva. Che serva per telefonare, è ormai vicenda trapassata, che scatti fotografie e le gestisca è acquisito, che sia elemento di collegamento in tempo reale con l’intero pianeta è realtà. Da riparlarne, per sottolineare la proiezione culturale e sociale delle sue attuali infinite potenzialità. Senza soluzione di continuità.

Abilmente e agilmente indirizzato verso raffinate progettazioni meccaniche a uso e consumo delle esigenze professionali di acquisizione digitale di immagini, con dorsi a scelta individuale, il fiorentino Silvestri (altro irriducibile, nella propria concreta intelligenza fotografica) registra due novità: una sostanziale, l’altra di complemento. Silvestri FlexiCam è una configurazione a corpi mobili estremamente compatta, con banco ottico di scorrimento micrometrico dei piani anteriore porta obiettivo e posteriore focale (per il dorso digitale, appunto). Ideale per situazioni in esterno, dal viaggio all’architettura, è dotata di ampi movimenti che la rendono idonea anche allo still life in sala di posa. Raffinate regolazioni di decentramento e basculaggio, con relative posizioni di blocco sicuro, consentono di affrontare ogni soggetto e ogni condizione fotografica. Ovviamente, si possono usare tutti i dorsi digitali attualmente in commercio e ogni obiettivo medio e grande formato. Proprio sugli obiettivi è declinata la seconda nuova soluzione. Silvestri Attuator è un anello che consente di usare obiettivi Hasselblad su ogni apparecchio e sistema fotografico Silvestri, appunto. L’anello è completo delle funzioni di carica dell’otturatore centrale e scatto, che normalmente vengono svolte dai corpi macchina Hasselblad. Il cerchio di copertura degli obiettivi Zeiss/Hasselblad, di almeno 75mm di diametro, è adatto alla conveniente copertura di tutti i sensori digitali, potendo anche disporre di adeguati movimenti di accomodamento.

Appuntamento a dicembre, quando completeremo le osservazioni dalla Photokina 2006, raccontandone aspetti ulteriori, non soltanto complementari: da approfondimenti tecnici di attrezzature, cui oggi abbiamo accennato, a momenti paralleli (soprattutto in forma di immagine). E poi, anche una ulteriore nota di curiosità riguardo la fantasia di ciò che non c’è ancora e che forse mai potrà esserci: la macchina fotografica che vede nel futuro.

completa gamma digitale a tutto tondo (con configurazioni di prestigio reflex e non reflex), non è abbandonata la propria storia evolutiva, per la quale è stato istituito un Leica Collector Service. Quindi, a conclusione, il panorama fotografico internazionale, che si è manifestato nell’occasione della propria più significativa e differenziata passerella pubblica della Photokina, ribadisce un sostanzioso impegno a supporto e sostegno del relativo mercato. Lo fa indicando una sequenza convergente di visioni e iniziative, tra le quali non mancano segni di vario genere, anche complementari al soggetto tecnologico e commerciale principale (ma non certo unico). La lezione è manifesta e chiara: ci auguriamo che venga recepita e raccolta da quelle componenti nazionali che sono discriminanti sul mercato fotografico italiano,

che troppo spesso rivela timori e ansie nei confronti di quanto affianca i prodotti tecnici. Come se tutto ciò che non riguarda specificatamente gli apparecchi da vendere/comperare fosse una distrazione e non un adeguato supporto, in Italia si dà poca fiducia ai discorsi di immagine, storia e competenza. Speriamo che alla/dalla Photokina 2006 si sia compreso che, invece, i compiti di tutte le componenti che agiscono all’interno di un medesimo contenitore sono molteplici e diversi. Ciascuno a proprio modo, ciascuno per come e cosa sa fare, tutti agiamo a favore del mercato, che vorremmo ricco sia dal punto di vista finanziario sia da quello (arricchente) della cultura dell’immagine. A nostro modo di vedere e pensare, binomio indissolubile. Maurizio Rebuzzini

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REDDITIVITÀ CERTA S

ulla fototessera, che abbiamo osato definire “vituperata”, perché considerata con condiscendenza da molti (troppi), abbiamo approfondito un anno fa, sottolineandone il consistente valore nell’ambito sia del costume, sia della socialità della fotografia. Lo scorso ottobre 2005 abbiamo affrontato e analizzato il fenomeno, analizzandone le implicazioni e consecuzioni, alle quali ha fatto da contorno una sentita riflessione sollecitata dal cinematografico Il favoloso mondo di Amélie. Ora scartiamo a lato quelle considerazioni teoriche, che comunque sottoscriviamo in pieno, per presentare uno strumento oggettivamente rivolto all’aspetto primario e principale della stessa fototessera, quello della redditività professionale, cui poi seguono (casomai) tutte le altre considerazioni culturali, appunto vivisezionate un anno fa. In un panorama tecnico che ha differenziato la propria proposizione operativa, arrivando a molteplici soluzioni di taglio diverso, la statunitense Polaroid, fino a pochi anni fa solitaria interprete della fototessera, ovvero della fotografia per documenti, ribadisce lo spes-

sore e valore della propria particolare esperienza. Abbandonati i tempi della classica configurazione a quattro obiettivi con pellicola a sviluppo immediato (ma sarà poi vero, che questa operatività sia proprio stata accantonata?), Polaroid propone una configurazione estremamente pratica e agile nell’uso. L’attuale Polaroid Digital MiniPortrait, che viene spesso semplificata in Polaroid DMP (acronimo), incorpora ancora in sé tutto quanto serve, dalla ripresa alla stampa, senza bisogno di ulteriori collegamenti e combinazioni. Non servono stampanti esterne, né monitor supplementari e tantomeno piattaforme computer: in versione digitale, con la praticità delle tecnologie attuali, la Polaroid DMP replica la sostanziale linearità

Oltre i tanti discorsi sull’immagine e la fotografia in generale (teorica, culturale e di costume), che caratterizzano le nostre pagine, un momento adeguatamente pragmatico su un particolare e concreto intendimento professionale. Ancora, la fototessera è fonte di redditività commerciale per molti negozianti e studi che agiscono nel servizio conto terzi. In epoca digitale, Polaroid interpreta la fototessera replicando solidi princìpi di praticità operativa, appunto finalizzati alla più opportuna redditività di impresa degli apparecchi a quattro obiettivi accostati e pellicola a sviluppo immediato. Dispositivo “all-in-one”, tutto-in-uno, offre le prerogative operative, e i relativi van-

taggi, della gestione digitale dell’immagine e stampa termica delle copie. Non manca, rileviamolo, il controllo in anteprima del ritratto, su ampio monitor LCD inclinabile (da quasi quattro pollici, dieci centimetri), che può

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essere sottoposto all’approvazione del cliente; così come sono presenti quegli automatismi di funzione che semplificano la sessione, garantendo al contempo la più opportuna redditività: perché di lavoro professionale stiamo parlando.

IN RIPRESA L’ampio monitor LCD di verifica preventiva del ritratto è il centro operativo della Polaroid Digital MiniPortrait, con la quale si possono realizzare fototessere in formati diversi, in relazione alle specifiche tecniche dei vari documenti e di ogni nazione (non possiamo ignorare, né dobbiamo sottovalutare, che l’attuale è una avvincente società multietnica, nella quale convivono persone provenienti da paesi diversi: e il servizio conto terzi della fototessera ne deve tenere conto). Un menu di icone intuitive, di immediato riconoscimento, guida la sessione fotografica. Utilizzabile a mano libera, oppure fissata su treppiedi, diversamente da altri sistemi per fototessera, che prevedono più passaggi, replicando lo scatto fotografico tradizionale, la Polaroid DMP consente di fissare l’immagine al momento desiderato con la consueta semplice pressione di un tasto. A parità di distanza di ripresa, in relazione allo spazio fisico a disposizione in negozio, nell’area riservata a questo servizio, l’escursione 3x dello zoom autofocus di ripresa (6,2-18,6mm, nell’ambito della variazione standard-medio tele) consente di dimensionare il ritratto all’interno dell’area immagine, e quindi non richiede spostamenti o allineamenti quando si lavora con i bambini. Dotata di proprio flash elettronico incorporato, quando e se si desidera una illuminazione particolare e personalizzata, la Polaroid Digital MiniPortrait può essere anche sincronizzata con flash esterni da studio o portatili. Il tempo di

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TESTIMONIANZA

F

otografo nell’area di Boston, Massachusetts, Michael Seraderian ha moltiplicato il proprio servizio conto terzi in relazione alla crescente richiesta di fotografie per documenti, che negli Stati Uniti comprende anche le recenti direttive dell’Istituto centrale di statistica, che sta mettendo ordine e disciplina nel controverso capitolo dell’immigrazione nazionale. A conseguenza diretta, nel suo negozio ha dovuto affrontare e risolvere questioni direttamente collegate con la più opportuna operatività dei propri mezzi, sia in termini squisitamente quotidiani (legati alla redditività di impresa), sia nel senso della qualità formale, elemento fondamentale della propria proposizione fotografica, ed eventuale concorrenza in un mercato nel quale non manca certo l’offerta (per quanto la domanda sia costantemente in crescita). Per questo, analizzate le diverse opzioni tecniche a disposizione, Michael Seraderian ha attrezzato una postazione fissa con Polaroid Digital MiniPortrait, finalizzata alla realizzazione di ritratti immediati e fototessere in dimensioni diverse. La sua motivazione è esplicita: «Il sistema Polaroid DMP rappresenta un significativo e opportuno avanzamento tecnologico. Mi offre benefici significativi, quali la concreta riduzione dei costi di produzione e una (tangibilmente) migliorata soddisfazione del cliente. In uno spazio sostanzialmente contenuto, facilita rapidamente l’intero processo della fototessera. Nel commercio, il tempo è estremamente importante, ed è quindi fondamentale poter disporre di un sistema che

otturazione di 1/125 di secondo, appunto sincronizzato sia al flash elettronico incorporato sia ad eventuali unità esterne, impedisce il mosso anche nell’uso a mano libera.

IN STAMPA Unità autonoma, già l’abbiamo sottolineato, la Polaroid DMP incorpora il sistema e processo di stampa termica del ritratto, selezionabile nelle proprie dimensioni e moltiplicazioni. Sul supporto 9,7x10,4cm si possono ottenere un ritratto singolo, oppure due, quattro o sei ritratti identici accostati, con modelli di inquadratura preimpostati. Nel caso della fotografia per documento, questo consente di assolvere le richieste e necessità di ogni possibile standard ufficiale (le dimensioni della fototessera possono essere diverse da nazione a nazione e in dipendenza del documento cui sono destinate). La stampante termica alla base dell’apparecchio accoglie venticinque fogli, garantendo così una adeguata au-

in poco più di un minuto arriva a un risultato eccellente». Dal punto di vista operativo, Michael Seraderian sottolinea le prerogative dell’ampio monitor LCD da quattro pollici (dieci centimetri), condivisibile con il cliente prima della stampa. «Se il cliente ha chiuso gli occhi, oppure ha distratto lo sguardo altrove, ho modo di scattare di nuovo; quindi, potendo mostrare al cliente il proprio ritratto, la sua approvazione mi fa guadagnare tempo, senza sprecare inutilmente carta. A conseguenza, conservo inalterati i miei margini di guadagno». L’ingrandimento zoom dalla postazione standard è agevole con i bambini, dai quali si conserva una distanza operativa che non li intimorisce; così come i modelli di inquadratura preimpostati semplificano la selezione delle proporzioni di immagine richieste dalle specifiche dei diversi enti pubblici e governativi (che negli Stati Uniti sono sostanzialmente più severi che in altre parti del mondo). Ancora, Michael Seraderian rileva che la qualità della ripresa è una affermazione della sua professionalità, che si estende anche all’opportunità del ritratto singolo, che spesso sollecita altre richieste da parte dei clienti, originariamente richiamati dall’urgenza di una fotografia da documento e poi convinti a posare per ulteriori sessioni di autentico ritratto. Infine, non manca di sottolineare quanto la semplicità e flessibilità operative gli permettano di affidare lo scatto anche ai propri commessi, quando lui è impegnato altrove nel negozio.

tonomia operativa, sia nel proprio ambiente di lavoro, sia nel caso di sessioni esterne, eventualmente all’indirizzo di una azienda che richiede la preparazione di badge personalizzati in loco. A questo proposito, il sistema compatto non richiede alimentazioni supplementari, oltre il semplice collegamento alla corrente di rete. Le stampe sono realizzate in rapidità, da ottanta a novanta secondi, subito asciutte e pronte all’utilizzo immediato. La confezione C3000 di stampa comprende cinquanta fogli, divisi in due blocchi da venticinque (appunto per il sicuro caricamento dell’apposito cassetto), e la cartuccia termica corrispondente, che governa la stampa in quattro rapidi passaggi successivi: Ciano, Magenta, Giallo e rivestimento protettivo esterno. Dopo lo scatto e prima della stampa, un software incorporato consente di intervenire sul ritratto, per aggiustare i toni (o ritoccare le eventuali

imperfezioni indesiderate: dal cliente, soprattutto); in particolare, si può intervenire sui toni dell’incarnato, sulla cromaticità CMY (Giallo, Magenta, Ciano) e su luminosità, contrasto e nitidezza. La qualità formale della resa è assicurata, quindi, da una risoluzione di acquisizione di 2,1 Megapixel, adeguata alla realizzazione di ritratti a pieno formato o fototessere accostate, la cui stabilità di colore è garantita nel tempo. Operativamente, il buffer interno consente sessioni multiple, con memoria fino a tre ritratti acquisiti, in coda di stampa. Mentre la connessione USB 2.0 consente l’eventuale collegamento dedicato a una stazione computer, per la gestione d’archivio e per ogni ulteriore utilizzo del ritratto originario. In questo modo, come spesso si è sottolineato, il valore della fototessera si estende nel tempo e nell’attività del servizio conto terzi. (Nital, via Tabacchi 33, 10132 Torino). Antonio Bordoni


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tra attrezzature, immagini e opinioni. nostre e vostre.


dalla superficie delle pagine (non sempre patinate) arrivano alla sostanza e fondamento di tante altre motivazioni che hanno guidato, come anche condizionato, il fotogiornalismo italiano, dal dopoguerra ai nostri giorni. Non è tanto presa in considerazione la qualità formale delle singole testate, anche se la relativa messa in pagina sottolinea le intenzioni del giornale (e dei propri referenti di potere), quanto la collocazione delle redazioni all’interno di una informazione che -giocoforza- risponde prima di altro a interessi politici, economici e sociali. Nove sezioni: ❯ Cronaca, reportage e grafica nell’immediato dopoguerra. ❯ Il giornalismo italiano scopre la fotografia. ❯ Dall’informazione all’intrattenimento: il nuovo corso della fotografia negli anni Cinquanta. ❯ La fotografia come denuncia e libertà: i freelance degli anni Cinquanta. ❯ Una lezione inascoltata: il giornalismo totale di Le Ore e Vie Nuove. ❯ Boom economico e rotocalco: un nuovo modello di vita.

Tendenza e percorsi Fotogiornalismo in Italia (1945-2005) ❯ I fotogiornalisti della contestazione: cronaca e reportage. ❯ Creatività o omologazione? La fotografia giornalistica nell’era postmoderna. ❯ In cerca di un’identità: Milano e la fotografia dell’ultimo decennio.

CIRCA

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Il fotogiornalismo in Italia 1945-2005. Linee di tendenza e percorsi. A cura di Uliano Lucas. Museo di Storia Contemporanea, via San-

t’Andrea 6, 20121 Milano; 02-76006964; www.museidelcentro.mi.it, www.comune.milano.it. Dal 3 novembre al 7 gennaio 2007; martedì-domenica 9,30-13,00 14,00-19,30. Volume-catalogo pubblicato in collaborazione con La Stampa, con testi critici di Uliano Lucas, Tatiana Agliani, Piero Berengo Gardin, Carlo Cerchioli e Aldo Bonomi; 28,00 euro.

ALFA CASTALDI: AL BAR GIAMAICA ; MILANO,

mpiamente commentata sul nostro precedente numero di ottobre, la selezione Il fotogiornalismo in Italia 1945-2005, a cura di Uliano Lucas, ripropone a Milano la competente analisi già presentata a Torino, nell’ambito dell’Undicesima Biennale Internazionale di Fotografia, allestita dall’attenta Daniela Trunfio (settembre 2005). Come anticipato e approfondito, si tratta di una visione su sessant’anni di fotografia di informazione (e formazione?), realizzata con sapiente individuazione di Linee di tendenza e percorsi. Non una fotografia di superficie, isolata in se stessa, ma concentrata ricostruzione del fotogiornalismo in tutte le proprie componenti, nell’esplicito riferimento al relativo uso sui giornali, potere politico ed economico compreso. Ricca di oltre trecentocinquanta immagini, la sequenza espositiva non è soltanto temporale, ma è soprattutto analizzata, commentata e approfondita. Così che, insieme agli intensi testi a commento, l’allestimento risponde a una infinita serie di domande, che

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rgomento conosciuto da chi frequenta queste pagine. Dopo e oltre le considerazioni che riportiamo periodicamente, a partire da titoli individuati piuttosto che situazioni selezionate, la consapevole presenza della fotografia all’interno di sceneggiature cinematografiche è allestita in forma di mostra. A cura di Maurizio e Filippo Rebuzzini, Fotogrammi. Fotografi e fotografia nel cinema divide in due il proprio percorso visivo, al quale si accompagna un testo, sostanzialmente svincolato, che ripercorre la fantastica fenomenologia. Da una parte, il corpus principale della mostra è costituito da immagini provenienti dall’agenzia francese Photo 12, rappresentata in Italia dall’Agenzia Grazia Neri

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Fotogrammi JOE PESCI (BERNZY, SIMIL WEEGEE) IN OCCHIO INDISCRETO / PHOTO 12

Fotografi e fotografia nel cinema

di Milano: ingrandimenti incorniciati di fotografie di scena nelle quali compare l’elemento fotografico. A completamento, stendardi di generose dimensioni (61x120cm) raccolgono e riuniscono fotogrammi da film, con sequenze tematiche complementari, che danno colore e continuità all’intero discorso. Fotogrammi. Fotografi e fotografia nel cinema. A cura di Maurizio e Filippo Rebuzzini. Galleria Grazia Neri, via Maroncelli 14, 20154 Milano; 02-625271, fax 02-6597839; www.grazianeri.com, photoagency@grazianeri.com. Dal 22 gennaio al 16 febbraio 2007; lunedì-venerdì 9,0013,00 - 14,30-18,00, sabato 10,00-12,30 - 15,00-17,00. Con il contributo di HP.

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irezione Artistica di Cosmo Laera e Gaetano Gianzi. L’edizione 2006 di Corigliano Calabro Fotografia conferma la capacità di costruire manifestazioni culturali di alto profilo, che offrono una fruizione completamente differente del turismo: in questo caso, in una delle mete più suggestive della Calabria. ❯ Mostre: al Castello Ducale, piazza Campagna 1, 87064 Corigliano Calabro CS; 0983-

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Mostre e contorni

LETIZIA BATTAGLIA

A Corigliano Calabro Fotografia 2006 81635; www.museocastellodicorigliano.it. Dal 25 novembre al 14 gennaio 2007; martedì-domenica 9,00-13,00 - 16,00-19,00. • Enrico Bossan: Volti. • Mario Dondero: Una lunga stagione. • Gianni Berengo Gardin e Antonella Monzoni: Rully: un villaggio, due sguardi. • Letizia Battaglia e Shobha: La violenza, il dolore. Cronaca siciliana. • Oreste Pipolo: Racconti di nozze. ❯ Reflexions Masterclasss 04/05. A cura di Gabriel Bauret e Giorgia Fiorio, in collaborazione con il festival Les

Imagiques di Langon, Francia. Loft Gallery, via Margherita 47, 87064 Corigliano Calabro CS. Dal 25 novembre al 14 gennaio. ❯ Film d’autore: al Teatro Valente, Centro Storico di Corigliano Calabro CS. • Oreste Pipolo, fotografo di matrimoni, di Matteo Garrone. 23 novembre, 19,00. • Letizia Battaglia. 24 novembre, 17,30. ❯ Incontri e Workshop: al Castello Ducale di Corigliano Calabro CS. • Oreste Pipolo: Racconti di nozze. 23 e 24 novembre. • Enrico Bossan. 25 novembre, 10,00.

• Mario Dondero: Gauchiste per sempre. Proiezione, 25 novembre, 16,00. • Gianni Berengo Gardin e Antonella Monzoni. 26 novembre, 10,00. ❯ Tavola rotonda: al Castello Ducale di Corigliano Calabro CS. 25 novembre, 18,00. Informazioni: Comune di Corigliano Calabro CS, Assessorato alla Cultura e Turismo; 0983-83209, anche fax; www.photomediterranea.it, info@photomediterranea.it; Associazione Culturale Corigliano per la Fotografia; 339-5699024; www.nikonclubitalia.it, info@gaeranogianzi.it. Prenotazione alberghiera: Zagara Viaggi e Turismo, 87064 Corigliano Calabro CS; 0983888001; zagara_viaggi@tin.it.

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LISETTE MODEL

Eravamo giovani, eravamo belli e siamo ormai tutti morti di brutta fotografia, anche. Nell’impero dei media, la fotografia ha un compito importante: è una puttana che non sorride, seduce. L’etica della visione non c’entra. È un’invenzione dei mercanti e dei vassalli della verità confezionata, perché la fotografia, il cinema, la televisione, la telefonia, la carta stampata, il teatro, i proclami politici, le fesserie delle religioni monoteiste, i terrorismi fondamentalisti, integralisti o dei servizi segreti delle democrazie dello spettacolo sono strumenti utili agli stati moderni per controllare, sorvegliare e punire popoli sempre più nomadi. Fotografare non significa soltanto appropriarsi di quanto si ruba a ciò che accade di fronte al fotografo: soprattutto, vuol dire circuitare, ri/produrre, plasmare l’immaginario dell’ordinario, quanto il mercimonio dell’arte. L’inventario della fotografia insegnata o più consumata ha la memoria forte. Il valore d’uso della fotografia fa sì che ogni immagine scippata alla storia svegli desideri di libertà o affoghi le emozioni (il linguaggio della vita) nel consenso generalizzato. Il resto è merda amatoriale. C’è anche una terra di nessuno, dove la fotografia insorge tra utopie irrispettose e analisi dell’esistenza, che ridà un senso all’iconografia della diserzione o d’impegno civile. Mostra semplicemente che negli “affari sporchi” del mercato globale, il “deserto cresce”. I poveri sono sempre più spossessati della propria memoria e sempre più impoveriti. I ricchi sono sempre più aggrappati agli schemi economici della produzione di massa e sempre più assassini. Qualcuno ha detto (Friedrich Nietzsche, Karl Marx, Martin

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Heidegger, Guy Debord) che non basta più trasformare il mondo, perché la società dello spettacolo integrato lo muta senza chiedere a nessuno il proprio parere; si tratta di interpretare adeguatamente i cambiamenti in atto affinché questi non sommergano il genere umano nella violenza, nella miseria e nella mediocrità.

SIA LODE ORA AI FOTOGRAFI DELLA SOCIETÀ DELLO SPETTACOLO Di Lisette Model si scrive poco, e quel poco sovente è a sproposito. Nella raffazzonata Storia della fotografia di Angela Madesani, a Lisette Model sono dedicate quattordici righe biografiche e le banalità si sprecano. Il tono è questo: «Ci dà dell’umanità una visione vera e terrificante al tempo stesso» (pagina 171). Non è la sola a seminare castronerie. Nel suo libro sul Corpo e figura umana nella fotografia, Elio Grazioli vede nella visione fotografica di Lisette Model quello che non c’è. A proposito di una sua grande immagine, Donna a Coney Island (1942), che raffigura una donna grassa sulla spiaggia, nella quale è evidente il taglio surreale e la grazia non giudicante con la quale è stata realizzata, ed è sottolineato il rapporto accidentale, fin quasi scherzoso, tra soggetto e fotografo, Elio Grazioli legge tutt’altro: «Un corpo imbarazzante, che prelude alla società del benessere e del consumo, ma che, per essere ancora una volta alla soglia della più grande tragedia del secolo, la Seconda guerra mondiale, prelude anche ad atroci e tragici contrasti» (pagina 169). Al contrario, in questa splendida fotografia, non c’è nulla di terrificante e atroce. La tragedia del secolo (ma è solo una garbata ironia) sta tutta nel-

l’imbecillità di una critica del sofà che fa dello spettacolo il cimitero del pensiero. La filosofia fotografica di Lisette Model è di quelle di non facile domesticazione: «Spesso, mi è stato chiesto cosa intendo dimostrare con le mie fotografie. La risposta è “io non intendo dimostrare proprio niente”. La macchina fotografica è uno strumento di ricerca. Noi fotografiamo non soltanto ciò che si conosce, ma anche ciò che non sarà più, e che continua a vivere nella fotografia. [...] Non scattare, finché il soggetto non ti colpisce alla bocca dello stomaco» (Lisette Model). In genere, i fotografi sono una razza di persone dedite alla superficialità, alla menzogna o alla genuflessione. Qualche volta, come nel caso di Lisette Model, riescono a esprimere una poetica della differenza che stabilisce un rapporto tra l’uomo e ciò che lo circonda. Infatti, una fotografia non è solo una fotografia, ma anche un frammento o una scheggia di conoscenza dell’umanità intera. Di per sé, la storia della fotografia non è niente. Solo una statua di marmo in un parco, buona per lo sterco dei piccioni. Il linguaggio della fotografia, invece, è il racconto di esperienze vissute. Vivere il mondo tramite la fotografia significa “sentire” -non solo disvelarel’anima del mondo. La Fotografia è nell’immaginazione, nell’immaginale, sempre sul punto di frontiera tra l’epifania e il riciclo della realtà. «L’immaginazione è un mondo interno [...], l’aspetto interno della coscienza» (James Hillman). La raffinatezza del linguaggio (non solo) fotografico nei gazebi dell’arte, della comunicazione proletaria o nei campi di sterminio di ogni guerra è una concessione di libertà autorizzata e

codificata nelle regole e nei chiasmi dei valori dominanti. Scrivere con la luce vuol dire lavorare alla destrutturazione del linguaggio mediano e sostituirlo con la visione soggettiva dell’onirico: passare dal sistema delle immagini mercantili al linguaggio del sogno e alle conseguenti iconografie del magico. Una buona fotografia permette di vedergli attraverso. Più ancora. La consapevolezza dell’esistente in ogni immagine, anche la più sbagliata, è sempre dolente o non è nulla. Non sempre la fotografia protegge la verità dell’ingiustizia: spesso l’uccide. La Fotografia può essere uno strumento di poesia e mostrare che questo non è il migliore dei mondi possibili. Si tratta di dare voce alla propria sofferenza o alla propria stupidità. Sia lode ora ai fotografi della società dello spettacolo.

L’UMANITÀ UNIVERSALE DELLA FOTOGRAFIA

Lisette Model (il cui vero nome è Elise Felic Amelie Seybert) nasce a Vienna nel 1901 (alcuni cataloghi e storie della fotografia scrivono 1906, altri addirittura 1908). Le note in calce alle sue mostre precisano una originaria educazione musicale, annotando che è stata allieva di Arnold Schönberg. Nel 1921 si trasferisce a Parigi; lascia gli studi di musica, inizia a dipingere. Incontra il pittore di origine russa Evsa Model. Si sposano nel 1936, e nel 1937 realizza una sequenza di fotografie sulla Promenade des Anglais, a Nizza. L’anno successivo sbarca a New York. Nel 1940, il Museum of Modern Art le dedica un’esposizione. Dal 1941 al 1953 collabora con Harper’s Bazaar (art director Alexey Brodovitch) ed espone a Photo League di New York. Dal 1951 al 1982


insegna fotografia alla New School for Social Research di New York. La sua allieva più importante e trasgressiva è Diane Arbus [su questo stesso numero, da pagina 11]. Nel 1955, la fotografia della tenerezza e dell’estraneità di Lisette Model entra nella mostra The Family of Man. Tra autentici capolavori e molte concessioni all’estetismo del sociale, si distingue (tra gli immortali e i randagi dell’iconologia trasversale) come uno dei più grandi poeti dell’immaginario fotografico. Seguiranno mostre in musei e gallerie di tutto il mondo. Nel 1981 le viene conferita la laurea Honoris causa di Belle Arti presso la New School for Social Research di New York (dove ha insegnato fotografia dal 1951, lo ripetiamo). Nel 1982 riceve la Medaglia della città di Parigi. Muore nel 1983 a New York. L’eroismo della visione fotografica di Lisette Model è rivolto verso l’Uomo. Nelle sue immagini c’è tutto il suo corpo e la sua anima. La sua sensibilità di esule o di apolide, forse, le ha permesso di scoprire e cantare -come pochi- il mondo nelle differenze. La scrittura fotografica che più amava e praticava era la ricerca dell’umano dietro o al fondo della vita quotidiana. Non c’interessa entrare nel merito della sua collaborazione con Harper’s Bazaar, anche se troviamo in molte di quelle “commissioni” un notevole talento compositivo; sono altri i lavori che apprezziamo profondamente e che proiettano Lisette Model tra i più significativi autori della fotografia statunitense.

VISIONE UNIVERSALE DELLA FOTOGRAFIA

Lisette Model «adopera la macchina fotografica con tutto il suo corpo e come un’appendice del suo stesso occhio. [...] Nelle mani dell’artista, la fotografia non è semplicemente un documento. La percezione si fonde con la disciplina tecnica in una simbiosi

chimica in quel momento altamente sentito che è l’esposizione. Come regola generale, io credo che quell’istante sia un momento di selezione affermativa. È inoltre così integrato con la macchina, in un modo talmente familiare, e allenato da diventare tutt’uno con il

corpo, la mente e l’occhio. Lisette Model è a proprio agio in questa triade» (Berenice Abbott, in Lisette Model / Evsa Model. New York City. Fotografie e pitture, a cura di Ziva Kraus, Ikona Gallery, 1984. Questo testo ha accompagnato la seconda mostra di Liset-

«Non conosco nessun fotografo che abbia ritratto la gente così nell’intimo come ha fatto Lisette Model. I suoi personaggi sono i bersagli diretti della visione di un artista. Possiede quell’indispensabile rapporto umano con persone delle più svariate specie e categorie. Il suo modo di vedere è energia visiva. Quando è caricato per l’azione, il suo occhio fotografico vede tutto e in profondità. Lei non indietreggia di fronte alla realtà. Le va incontro a testa alta. Preoccupandosi dell’arte, il soggetto si perde. Coinvolgendosi con il soggetto, l’arte si ritrova. Questo è Lisette Model» Berenice Abbott

te Model che Ikona Photo Gallery ha allestito a Venezia, a Palazzo Mocenigo, in collaborazione con il Comune di Venezia - Musei Civici Veneziani. Quindi, dal 13 aprile al 9 luglio scorsi, la Ikona Photo Gallery, Campo di Ghetto Nuovo a Venezia, ha dedicato a Lisette Model una terza mostra straordinaria, composta da ventidue vintage, con alcuni inediti: fotografie degli anni che vanno dal 1940 al 1954. Qui abbiamo potuto vedere la bellezza delle stampe e il grande pregio esecutivo dei neri e dei bianchi, che hanno pochi eguali ovunque si fa smercio di fotografia o nel ricettacolo spettacolarizzato della fotografia moderna). L’umanità fotografica di Lisette Model è universale. Non si avvale di stereotipi culturali, né si fossilizza su categorie certificate. La sua scrittura per immagini non aspira al successo, perché sa che il successo ha poco a che vedere con la qualità di un’opera fotografica. Per Lisette Model, la fotografia non può essere separata dal coinvolgimento sociale. Senza tanti discorsi estetici né paternità autoriali ad effetto, riteneva che il ruolo fondamentale della fotografia risiede nel suo messaggio creativo, e auspicava che i fotografi più autentici e dirottatori di ogni regola sono quelli che riusciranno ad assumersi la «responsabilità e il dovere di registrare la vera immagine del mondo» (Irina Subotic). In questo senso lavorava alla decostruzione del bello convenzionale, quanto del brutto o del “singolare” d’autore. In modo particolare, in Reflections (New York, 1940), Reflections (San Francisco, 1950) e Running Legs (Roma, 1940) vediamo una soggettività dello sguardo che trasforma la macchina fotografica in arte della visione. A leggere con attenzione le fotoscritture (ma questo vale per molta della sua opera) raccolte in Reflections 1940 NYC o Reflections 1950 NYC non è

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difficile scorgere una re-immaginazione dell’anomia metropolitana e uno stile di pensiero che travalica le figure riflesse nelle vetrine/specchi di una geografia umana lasciata alla deriva della propria indifferenza. L’aggressività, la violenza, il potere, il sadismo, il compiacente sono trattati con velata ironia e l’intera società occidentale emerge dall’ombra del proprio cadavere. I neri forti, il mosso e lo sfocato, trattati in punta di artista, l’inquadratura insolita e l’uso sapienziale del grandangolo permettono a Lisette Model di raggiungere e restituire una fantasia disorientante del comportamento e mostrare, dunque, che l’espressione del corpo è anche un’espressione dell’anima. I corpi di Lisette Model non sono ideologizzati (Leni Riefenstahl), goduti (Wilhelm von

Gloeden) o autocelebrativi (Nobuyoshi Araki). Qui l’esuberanza pretende di essere “arte”, ma ciò che vediamo è soltanto la sua simulazione. I corpi di Lisette Model non sono “modelli”, ed esprimono una “coralità dell’immagine” che travalica le classi e i generi dai quali parte. I corpi dei poveri e quelli dei potenti sono trattati alla stessa maniera. La sua estetica coglie la realtà in fragrante ed eternizza i gesti dell’uomo dentro una rappresentazione unica. Per salvare la fotografia «dai danni della moda e conferirle un valore rivoluzionario» (Walter Benjamin), basta struccare l’epoca della falsificazione e dell’impostura e fare della bellezza radicale l’inizio di tutte le disobbedienze. Minare alla radice gli immortali princìpi della morale. Farsi messaggeri delle stelle (Charles Fourier, diceva) e riat-

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tizzare la scintilla della speranza là dove la libertà di amare e di essere amati è calpestata. L’illuminazione perfetta, l’abilità della composizione, la precisione della messa a fuoco, lo splendore dei soggetti o la qualità tonale delle stampe (anche le masse di affamati della fotografia digitale non sfuggono a certe regole o inclinazioni perfezioniste o esibizioniste soltanto) non significano elaborare ed esprimere una “buona fotografia”. Spesso vogliono dire “impiccare sugli altari della tecnica le banalità del mondano”. La fotografia sgranata, tagliata male o sapientemente mossa può essere un linguaggio più alto e nobile di tutta quella raffinatezza salottiera, pseudoradicale o semplicemente estetizzante, che a partire da Alfred Stieglitz ha fatto strage tra i fotografi della spettacolarità se-

riale. La fotografia della bellezza è un atto etico, e la sua compiutezza estetica emerge quando passa da linguaggio della realtà o del sogno a discorso sul mondo. Il fare-fotografia di Lisette Model è la messa a fuoco di un temperamento. È l’elogio della fotografia come linguaggio ereticale della realtà. La sua audacia delle immagini la spinge sulle spiagge deserte dell’utopia e tra l’insistenza di ri-presa dello sconosciuto e il valore della realtà, colta nel desiderio di reinventare l’ordinario. Ribadisce che un’opera d’arte è riuscita quando sovverte le finalità tradizionali, conformiste o stupidamente d’avanguardia dell’arte. Ciascuno può vedere soltanto ciò che gli detta il cuore. Buona fotografia. Pino Bertelli (15 volte settembre 2006)


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