Mensile, 5,70 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano
ANNO XIV - NUMERO 128 - FEBBRAIO 2007
Edwin H. Land LA FOTOGRAFIA È IMMEDIATA Polaroid SX-70 LA PIÙ BELLA!
21 FEBBRAIO 1947-2007 DA SESSANT’ANNI POLAROID
non è
venduta in edicola. Per averla
hai una sola
possibilità: sottoscrivere l’abbonamento annuale. 12 numeri 57,00 euro
in
Solo abbonamento
Compilare questo coupon (anche in fotocopia), e inviarlo a: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano MI (02-66713604, fax 02-66981643; graphia@tin.it)
Abbonamento a 12 numeri (57,00 euro) ❑ Desidero sottoscrivere un abbonamento a FOTOgraphia, a partire dal primo numero raggiungibile ❑ Rinnovo il mio abbonamento a FOTOgraphia, a partire dal mese di scadenza nome
cognome
indirizzo CAP
città
telefono MODALITÀ DI PAGAMENTO
fax
❑ ❑ ❑
Allego assegno bancario non trasferibile intestato a GRAPHIA srl, Milano Ho effettuato il versamento sul CCP 28219202, intestato a GRAPHIA srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano Addebito su carta di credito ❑ CartaSì ❑ Visa ❑ MasterCard
numero data
provincia
firma
scadenza
ANCORA VALENTINA. Il prolifico fenomeno italiano degli allegati da edicola, ufficialmente in vendita abbinata a un quotidiano o settimanale, ma ufficiosamente acquistabili a parte, sta spaziando in lungo e largo. Neanche a dirlo, rappresentano ormai un mercato a sé stante, considerevolmente remunerativo, appetitoso per un’editoria nazionale alla continua ricerca di scorciatoie commerciali estranee all’approfondimento della propria materia istituzionale. Senza soluzione di continuità, attraverso il capillare circuito delle edicole si vendono libri di ogni genere, che non si venderebbero in libreria: dalla narrativa alla poesia, dalle enciclopedie ai fumetti, dalle monografie d’arte alle passerelle geografiche. Ce n’è per tutti i gusti e per ogni pubblico potenzialmente richiamabile. E i numeri, ovvero le tirature, superano di gran lunga le cifre proprie della più tradizionale distribuzione libraria. Come si intuisce, siamo personalmente contrari a questo tipo di commercio, ma la nostra opinione conta poco, se non niente addirittura; e il mondo editoriale sottolinea la consistenza della fatidica “ultima cifra, in basso a destra”, che nei bilanci aziendali rappresenta il guadagno. Finché dura! Poi, se ne inventeranno di nuove: l’importante è sempre la scorciatoia. Comunque, ci preme sottolineare che il Corriere della Sera, quotidiano a orientamento e diffusione nazionali, ha avviato una collana di fumetti di Valentina, l’affascinante personaggio creato dal compianto Guido Crepax (FOTOgraphia, settembre 2003). Confermando quanto appena annotato, questa nuova veste editoriale, con conseguente sistematica promozione, equivale a una distribuzione quantitativamente più estesa rispetto le edizioni originarie, rivolte a un pubblico specializzato: e questo ci fa piacere, sia nel ricordo di Guido Crepax, sia per la diffusione del fumetto d’autore. Secondo programmi annunciati, gli albi di Valentina del Corriere della Sera non seguono la cronistoria ai tempi scandita dalle edizioni Milano Libri (successivamente Rizzoli - Milano Libri). In ogni caso, ricordiamolo ancora, Valentina è una fotografa, dunque le sue avventure presentano numerosi passaggi affini alla nostra materia, come certifica esplicitamente la copertina del secondo volume, liberamente elaborata dal frontespizio dell’originario Valentina con gli stivali, del 1970.
Curiose coincidenze: due edizioni di Time Magazine (da pagina 19), due autori in sintonia (Gudrun Thielemann e Urs Bernhard, da pagina 24), doppia versione Hasselblad H3D-22 e H3D-39 (da pagina 58) e doppia ricorrenza di Gianni Mario (settant’anni all’anagrafe e cinquanta di professione, da pagina 62).
Copertina
35
Personalmente, consideriamo la Polaroid SX-70 del 1972 una delle più attraenti ed eleganti macchine fotografiche della Storia (in assoluto): perfetto connubio tra forma e contenuto. Per questo, la eleviamo a simbolo e richiamo visivo dei sessant’anni di fotografia immediata Polaroid, conteggiati dalla presentazione pubblica del 21 febbraio 1947. A contorno, l’inevitabile riferimento alla personalità di Edwin H. Land: l’uomo che ha inventato la fotografia a sviluppo immediato. Da pagina 34
3 Fumetto
20
L’originaria Polaroid Model 95, venduta a partire dal novembre 1948, è menzionata in una striscia del fumetto The Saint, pubblicata su diversi quotidiani statunitensi nel 1949: per certo, sul New York Herald Tribune e sulla Pittsburgh Post-Gazette. Protagonista delle avventure di The Saint è Simon Templar, personaggio inventato nel 1928 da Leslie Charteris (1907-1993), che ha dato vita a numerose novelle, protrattesi fino al 1963, trasformate anche in telefilm (con l’interpretazione di Roger Moore) e film (regia di Phillip Noyce; Usa, 1997). Dal settembre 1948 al settembre 1961 (altre fonti datano 1962), The Saint è stato anche un fumetto, originariamente disegnato da Mike Roy, autore della tavola comprensiva di questa citazione Polaroid Model 95, e poi da John Spranger; sempre su sceneggiatura di Leslie Charteris
7 Editoriale Due considerazioni in parallelo: necessità di riferirsi alla fotografia senza separare la tecnica dalla creatività e poi, ancora, approfondimento della combinazione con gli attuali materiali e processi di stampa. Ancora, dalla tecnica di base alla creatività dell’espressione
58
8 Parole di fotografia A volte, si scrive di fotografia senza competenza
10 Notizie Attrezzature, vicende e altre segnalazioni
45
14 Competenza commerciale L’esperienza di PhoxGolem: gruppo di acquisto fotografico
. FEBBRAIO 2007
RRIFLESSIONI IFLESSIONI,, OSSERVAZIONI OSSERVAZIONI EE COMMENTI COMMENTI SULLA SULLA FFOTOGRAFIA OTOGRAFIA
16 Un paesaggio ritrovato
Anno XIV - numero 128 - 5,70 euro
Ricerca espressiva di Alessandro Vicario: A Demonte e in Valle Stura sulle tracce di Lalla Romano
DIRETTORE
IMPAGINAZIONE
19 Due volte Time Magazine In rapida consecuzione due edizioni da collezione: la particolare segnalazione del personaggio del 2006 (tutta da scoprire) e le migliori fotografie dell’anno
RESPONSABILE
Maurizio Rebuzzini Gianluca Gigante
REDAZIONE
61
Angelo Galantini
FOTOGRAFIE Rouge
SEGRETERIA
24 Ancora occhio quadrato
Maddalena Fasoli
Due autori svizzeri: Gudrun Thielemann e Urs Bernhard. Solida fotografia attuale, declinata con la consapevolezza di composizioni (Rolleiflex) che appartengono alla radicata consecuzione del linguaggio visivo
34 Sessant’anni!
HANNO
26
21 febbraio 1947 - 2007: la fotografia a sviluppo immediato compie sessant’anni. Una delle invenzioni fondamentali del nostro tempo, che supera i confini del solo mondo fotografico. Celebrazione di lato, con sottolineature: Edwin H. Land e Polaroid SX-70 di Maurizio Rebuzzini
Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604, fax 02-66981643; graphia@tin.it. ● FOTOgraphia è venduta in abbonamento.
45 Dopo la guerra Rigorosa documentazione di Karl Hugo Schmölz della distruzione di Colonia, piegata dai bombardamenti alleati della Seconda guerra mondiale. La vita riprende, dopo la guerra e nonostante la guerra di Angelo Galantini
53
52 Sguardo d’arte Franco Vaccari. Col tempo: esposizioni in tempo reale, fotografie, film, video, video-installazioni, 1965-2007 in mostra a Milano, fino al prossimo tredici maggio
58 Full frame Doppia versione Hasselblad H3D-22 e H3D-39 con sensore full-frame di grandi dimensioni 36x48mm di Antonio Bordoni
COLLABORATO
Urs Bernhard Pino Bertelli Antonio Bordoni Loredana Patti Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Gudrun Thielemann Zebra for You
● FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano. ● A garanzia degli abbonati, nel caso la pubblicazione sia pervenuta in spedizione gratuita o a pagamento, l’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e in suo possesso, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi della legge 675/96. ● FOTOgraphia Abbonamento 12 numeri 57,00 euro. Abbonamento annuale per l’estero, via ordinaria 114,00 euro; via aerea: Europa 125,00 euro, America, Asia, Africa 180,00 euro, gli altri paesi 200,00 euro. Versamenti: assegno bancario non trasferibile intestato a Graphia srl Milano; vaglia postale a Graphia srl - PT Milano Isola; su Ccp n. 28219202 intestato a Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; addebiti su carte di credito CartaSì, Visa, MasterCard.
29
● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti. Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano
60 Restauro garantito Scanner dedicati HP Scanjet G4010 e Scanjet G4050
Rivista associata a TIPA
62 Biografia per immagini Diario illustrato di Gianni Mario, tra vita e professione
65 Robert Doisneau Sguardi su un cacciatore di immagini. Con poesia di Pino Bertelli
39 www.tipa.com
Infinite possibilità
E-System. La gamma di obiettivi digitali per tutte le esigenze. Oltre le convenzioni: una fotocamera versatile, proprio come sei tu. Grazie allo standard QuattroTerzi è possibile utilizzare non solo obiettivi Olympus E-System, ma anche obiettivi degli altri par tner QuattroTerzi. Per immagini ancora più pulite, il filtro di rimozione della polvere protegge il sensore ad ogni cambio di obiettivo. Sei pronto, in ogni condizione. www.olympus.it.
L’impossibile e oltre.
traordinaria e affascinante disciplina (scienza, espressione artistica e altro ancora), la fotografia consente diversi punti di vista e osservazione. Nonostante questo, soprattutto in Italia, si è affermata una drastica divisione tra tecnica e immagine, separate in propri campi autonomi e referenziali. Ufficialmente, non ci sono punti di contatto: da una parte agisce chi si occupa di strumenti, dall’altra chi prende in considerazione l’espressione fotografica. A volte, in occasioni pubbliche annunciate, il mondo commerciale, quello che sovrintende la vendita degli strumenti, e da questa (e questi) dipende, si avvale di immagini spettacolari per richiamare l’attenzione dei consumatori potenziali. Altre volte, dalla stessa voce sentiamo soltanto le cifre che certificano i soli valori tecnici. Oggigiorno, questa spaccatura è quotidianamente alimentata da una evoluzione tecnologica tanto rapida da esaurire in sé i tempi di possibili riflessioni e approfondimenti. L’inseguimento di cifre in crescita esponenziale, che definiscono la qualità teorica nei rispettivi parametri fondamentali, dà poco spazio all’analisi di come e quanto l’attuale aspetto tecnico della fotografia possa proiettarsi nella confezione, gestione, veicolazione delle immagini: dalla comunicazione (fotogiornalismo, e non solo) all’espressione creativa individuale (gesto artistico o intenzione analogamente artistica). Personalmente, non consideriamo quello della tecnica fotografica argomento fine a se stesso e limitato alla consecuzione delle proprie soluzioni. Diversamente, abbiamo sempre proiettato le condizioni tecniche basilari verso le proprie sistematiche applicazioni: appunto, nel senso dell’immagine. Siamo fermamente convinti dello stretto legame che lega l’evoluzione tecnica dei mezzi (e materiali!) all’evoluzione dello stesso linguaggio fotografico: dalle origini. Su questa linea di pensiero, ci rammarica che le visioni retrospettive della storia della tecnica fotografica si limitino, per lo più, alla cronologia sistematica degli apparecchi. Raramente si prende in considerazione l’evoluzione dei materiali sensibili, che ha influito maggiormente sull’applicazione e uso della fotografia, dall’originario dagherrotipo al collodio umido, alla gelatina al bromuro. Ma non è soltanto una questione di storia e anni lontani: la diversificata situazione attuale imporrebbe propri temi. Al giorno d’oggi, tra le infinite componenti dell’odierna era digitale, si dovrebbe parlare anche di supporti, materiali e processi di stampa (in laboratorio o in proprio, secondo intenzioni), la cui pertinente combinazione dà forma definitiva alla fotografia. Nel farlo, non sarebbero ammesse divisioni tra tecnica e creatività, ma dovrebbero essere sottolineate le inevitabili consecuzioni. In definitiva, per quanto le educazioni e propensioni individuali di chi parla e scrive di fotografia guidino le relative visioni, auspichiamo integrazioni, dialogo e confronti tra esperienze culturali diverse. La frenetica ricerca dei singoli alberi morti, che pure inquinano il cammino, non dovrebbe mai far perdere di vista il bosco rigoglioso. Maurizio Rebuzzini
S
William Henry Fox Talbot: Lace (1840, circa); 23x18,8cm; Collezione The Museum of Modern Art, New York, Usa. Disegno fotogenico su carta salata (carta sensibilizzata alla luce con sale da cucina).
7
PAROLE DI FOTOGRAFIA
L
Lo scorso dicembre, abbiamo pubblicato un intervento di Giuliana Scimé, nota e accreditata critica e storica della fotografia, relativo a una consistente quantità (e qualità) di incongruenze redazionali di una improbabile Storia della fotografia, infarcita di errori, inesattezze e storpiature. Abbiamo ricevuto numerose testimonianze di plauso. Attraverso i mezzi oggi a disposizione, dalla comunicazione telefonica alla posta elettronica alla posta tradizionale, incondizionatamente tutti si sono allineati con quanto rilevato da Giuliana Scimé. Addirittura, qualcuno ha aggiunto altro, ha allungato la serie delle rilevazioni. Alla resa dei conti, è un problema: e riveliamo subito perché. Al contrario di quanto sottolineato da Giuliana Scimé, condiviso dalla redazione, e sul quale si sono allineati in molti, dai motori di ricerca in Rete si accede a una certa sequela di lodi del volume incriminato, sicuramente presentato a titolo generico, in quanto Storia, da recensori che non si sono presi la briga di leggerlo e analizzarlo seriamente: soprattutto, sono stati pedestremente ripresi i termini elogiativi (immancabilmente elogiativi) del comunicato stampa di presentazione. In questo modo, chi ne ha scritto lodandone inesistenti qualità ha fatto un pessimo servizio, che può trarre in inganno i propri lettori e referenti. Quindi, oltre la gravità del libro in quanto tale, pubblicato senza adeguata attenzione scientifica e redazionale e senza alcun rispetto per la materia trattata (come se la fotografia non meritasse le stesse attenzioni editoriali di ogni altra scienza e/o discipli-
8
na), annotiamo anche la pericolosità di chi aggiunge scelleratezza all’infamia originaria, sostenendo un racconto e una narrazione privi di competenza specifica. Per quanto siamo vicini alla fotografia, che è nostro territorio esistenziale prima che professionale, speriamo che tanta approssimazione le venga riservata in esclusiva: tanto da far male e uccidere, questo è il caso, solo il buon gusto e il piacere della conoscenza; nulla di più. Cioè, ci auguriamo che i testi di discipline più discriminanti sullo svolgimento della vita, per esempio da quelli di medicina a quelli di ingegneria, vengano curati con altra (maggiore) attenzione e competenza. Tanto da coltivare la conoscenza delle relative materie, nell’assoluto rispetto per la vita altrui. Però, con amarezza, ci rammarica constatare come spesso la fotografia sia terra di niente e nessuno, ovvero terra di tutti: ognuno dice la sua, in disprezzo alla competenza a farlo. Con taglio alto, ci viene alla mente un capitolo del fantastico saggio di Marshall Mac Luhan Gli strumenti del comunicare (Il Saggiatore, 1967), intitolato per l’appunto La fotografia. Il bordello senza muri (capitolo XX, pagina 201), nel quale sono prese in considerazione molte delle contraddizioni della percezione e considerazione della fotografia (non necessariamente queste alle quali ci stiamo riferendo ancora oggi). In sintonia, riprendiamo un’espressione che coniammo oltre trent’anni fa per le pagine di Photo 13, stuzzicante mensile presso il quale abbiamo iniziato il nostro personale cammino giornalistico. Scrivemmo che “al mondo, molte persone credono di sa-
per fare almeno tre cose: fotografare, scrivere di fotografia e andare a cavallo. Ahimè, solo il cavallo protesta”. Questa volta, protesta anche la fotografia, inorridita da un inaudito cattivo trattamento. A seguire, questa vicenda sollecita almeno altre due considerazioni. Uno. Nella propria positività, oltre che legittimità, in un certo senso, lo scalpore suscitato dall’intervento di Giuliana Scimé ha relegato in piani successivi altri argomenti pubblicati sul medesimo numero di dicembre. Soprattutto ci riferiamo alla presentazione della stessa Giuliana Scimé dell’ottima riedizione di Il messaggio dalla camera oscura di Carlo Mollino, che, passando dal 1949 -anno di pubblicazione originaria- al 2006, ha conservato inalterato il proprio valore, imponendosi tra le più affascinanti storie della fotografia (questa volta autenticamente competente: AdArte, via Manara 6, 10133 Torino; 01119715289, anche fax; info@ adartepublishing.it; 12 illustrazioni a colori e 323 illustrazioni in bianconero; 448 pagine 24,5x34cm, cartonato con sovraccoperta; 130,00 euro). Citiamo dalla approfondita presentazione di Giuliana Scimé: «La prosa di Carlo Mollino, fluida ed armoniosa, di poesia rara, aggancia come leggere le pagine di un narratore di superba maestria linguistica. La trama del “romanzo fotografia” è più coinvolgente di un best seller, con la delizia, appunto, di questa scrittura ricchissima di espressioni e vocabolario, mai ripetitiva, mai incorrendo in cadute banali. A volte il lessico di Mollino, nella scelta dei termini -ed ama riferimenti e metafore auliche- risente del tempo, però, in questa nostra
epoca di comunicazione linguistica dai ritmi sincopati e dalla povertà espressiva, ci aiuta a recuperare la “bellezza perduta”. E proprio sulla bellezza, d’immagine, si fonda tutta l’analisi di Carlo Mollino. Non è una bellezza estetizzante, e vuota, ma il profondo senso del bello che, in termini contemporanei, potremmo tradurre in perfetta sintesi di forma e contenuto». Due. Nella propria simultanea negatività fonetica e di contenuto, ancora una volta altrettanto legittima, i termini dell’intervento di Giuliana Scimé hanno avviato una consecuzione estremamente positiva: quella dell’acceso dibattito sulla materia. Oltre le connivenze dalle mille motivazioni, che hanno guidato le lodi delle improbabili recensioni cui ci siamo appena riferiti (completamente fuori luogo), la competente disamina di una Storia della fotografia condita di errori e orrori ha avviato altre e ulteriori riflessioni su presunte decadenze del nostro mondo. E lo scambio di opinioni e considerazioni è soltanto benefico: dà spessore alla materia e, allo stesso momento, arricchisce il pensiero e l’esperienza di chi vi partecipa. Del resto, di decadenza della fotografia si è parlato in ogni epoca, a tutte le latitudini e per infiniti riferimenti. Basti pensare che già nel 1888 (!), l’arrivo sul mercato dell’originaria Box Kodak, la prima macchina fotografica autenticamente a disposizione di tutti, non solo di una sparuta schiera di addetti ed esperti, fece insorgere qualche purista contro l’uso di apparecchi fotografici portatili. Soprattutto si contestò il princìpio secondo il quale “tutti possono scattare fotografie”
(non necessariamente, “essere fotografi”). In quei momenti, la facilità di uso della Box Kodak fece la differenza, consentendo la nascita del fenomeno della fotografia di massa così come ancora oggi lo conosciamo: cominciò allora l’autentico hobby fotografico, con relativa conservazione accurata delle stampe. Una volta sviluppata la pellicola flessibile caricata nella Box Kodak, le copie su carta venivano esposte per contatto, alla luce del sole, in appositi laboratori creati a Rochester, antesignani degli attuali laboratori conto terzi di sviluppo e stampa (FOTOgraphia, giugno 2004): appunto “You Press the Button We Do the Rest” / “ Voi schiacciate il bottone, noi facciamo il resto”. E questo fece, appunto, parlare di “decaden-
za della fotografia”, la stessa che qualcuno evoca oggi contrapponendo le tecnologie digitali “impure” alla lunga tradizione della fotografia con pellicola sensibile alla luce, e relativi processi chimici di gestione e trasformazione. Purtroppo, altri declini e altre degenerazioni della fotografia sono latenti e incombono su di noi. Soprattutto se e per quanto dovessero passare sotto silenzio mostruosità come l’orrifica Storia della fotografia che ha innescato la querelle (della quale omettiamo scientemente i dati di identificazione: ma sappiamo tutti di cosa stiamo parlando). La voglia e il coraggio di insorgere sono indispensabili alla dignità della fotografia, alla quale riconosciamo il sacrosanto diritto di essere trattata con competenza e conoscenza. M.R.
TRENTA MILIONI. Canon ha celebrato il trentamilionesimo obiettivo EF, innesto lanciato vent’anni fa con la prima reflex Canon Eos originaria. Questo dato si confronta anche con la quantificazione, aggiunta e complementare, di dieci milioni di obiettivi con innesto EF prodotti negli ultimi cinque anni. La baionetta EF ha trasformato la fotografia reflex nel 1987, quando sostituì i classici leveraggi meccanici tra corpo macchina e obiettivo con contatti elettrici, inserendo altresì un motore per la messa a fuoco automatica all’interno dell’obiettivo. Nonostante le continue evoluzioni dei sistemi di messa a fuoco, delle tecnologie di stabilizzazione dell’immagine, delle lenti e dei materiali che le costituiscono, delle guarnizioni contro le intemperie e altre modifiche che nel corso degli anni si sono succedute, l’innesto a baionetta EF è rimasto inalterato. Ogni obiettivo EF è compatibile con qualsiasi reflex Canon Eos finora prodotta, comprese tutte le nuove reflex digitali Eos. L’attuale catalogo Canon offre più di cinquanta obiettivi EF, con lunghezze focali che vanno da 14 a 600mm e una gamma di interpretazioni specialistiche (macro, decentrabili e basculabili, fish-eye e teleobiettivi con stabilizzatore di immagine incorporato). I fotografi professionisti hanno a disposizione ventidue focali della serie L, caratterizzate da elementi ottici speciali, guarnizioni contro gli agenti atmosferici e una costruzione di alta qualità. La pietra miliare costituita da trenta milioni di obiettivi EF si
10
aggiunge ai milioni di obiettivi Canon FD prodotti anteriormente al 1987 e sostituiti con l’introduzione dell’innesto EF. A questi bisogna poi aggiungere le decine di milioni di obiettivi che equipaggiano le compatte e le videocamere Canon, nonché l’ampia gamma di obiettivi TV broadcast. L’evoluzione ottica e progettuale degli obiettivi Canon, la cui storia fotografica comincia con interpretazioni a telemetro (Kwanon del 1934 e Hansa Canon del 1937), è efficacemente descritta da una serie di tecnologie da primato: primo obiettivo intercambiabile commercializzato con motore a ultrasuoni USM ( ora impiegato nella maggioranza degli obiettivi EF); primo disegno ottico con elemento asferico in un obiettivo intercambiabile per reflex, introdotto per eliminare le aberrazioni sferiche che riducono nitidezza e contrasto negli obiettivi convenzionali; introduzione della fluorite (UD e Super UD) in obiettivi intercambiabili per reflex, per correggere le aberrazioni cromatiche; primi obiettivi intercambiabili a incorporare lo stabilizzatore di immagine IS (lo stabilizzatore IS è ora incorporato in dodici obiettivi EF); prima e ancora unica produzione fotografica a incorporare un elemento ottico diffrattivo DO in un obiettivo intercambiabile per reflex (utilizzando la diffrazione al posto della rifrazione come primo stadio di messa a fuoco della luce, il Canon EF 400mm f/4 DO IS USM e l’EF 70-300 f/4,5-5,6 DO IS USM producono una eccellente qualità di immagine, pur essendo più leggeri e piccoli di obiettivi convenzionali con prestazioni analoghe); primo zoom 10x (EF 35-350mm f/3,5-5,6L USM); maggiore lunghezza focale di grande apertura (EF 1200mm f/5,6L USM). Seguendo l’avanzamento nella tecnologia delle reflex, gli obiettivi EF continuano a evolvere. Il profilo delle lenti e il rivestimento Super Spectra sono
impiegati per prevenire l’insorgere di riflessi dannosi all’interno dell’obiettivo, favoriti dai sensori presenti nelle reflex digitali, con superficie a specchio molto riflettente. L’innesto EFS è stato realizzato per trarre vantaggio dai sensori compatti di reflex come Eos 350D e Eos 30D, dando il via a una nuova serie di obiettivi compatti, leggeri e di alta qualità. (Canon Italia, via Milano 8, 20097 San Donato Milanese MI).
DIALOGO ESPOSIMETRICO. Le applicazioni delle tecnologie digitali approdano anche alla misurazione fotografica della luce. Evoluzione della propria gamma di vertice, la linea di esposimetri Sekonic L758 si presenta come la prima, e unica, che dialoga con il computer: unità L758D (base), L758DR (con trasmettitore wireless) e L758Cine (per cinematografia). Tramite un collegamento USB, gli esposimetri digitali si allineano a stazioni Windows e Apple-Mac, per fornire precise misurazioni della luce, finalizzate alla ripresa con apparecchi digitali. I tre Sekonic L758 sono dotati di software dedicato che, una volta installato, permette loro di dialogare con il computer, da cui si mettono a pieno frutto le rispettive caratteristiche e potenzialità. Inoltre, lo stesso software consente di creare diversi profili di esposizione a seconda delle esigenze individuali e delle impostazioni del sistema fotografico in uso. In particolare, si possono creare profili personalizzati di esposizione, basati sul range dinamico del sensore. Nelle proprie applicazioni, gli esposimetri leggono la luce ambiente e flash, con misurazione incidente e/o riflessa. La scala di riferimento è programmabile per incrementi di lettura di mezzo stop o un terzo di diaframma. L’esposimetro Sekonic L758DR è altresì dotato
di modulo wireless incorporato, che attiva i flash elettronici in remoto, senza cavi. Infine, la gamma include l’esposimetro dedicato Sekonic SE L758Cine, che misura la luce riferendola a cadenze cinematografiche da uno a mille (!) fotogrammi al secondo. (Bogen Imaging Italia, via Livinallongo 3, 20139 Milano).
POTENZA E STILE. La compatta Olympus µ 1000 combina assieme stile, design e prestazioni di taglio alto. Da un lato, il sottile corpo macchina in metallo trasmette un’inconfondibile sensazione di qualità e non passa di certo inosservato. Dall’altro, la µ 1000 è la prima compatta digitale della famiglia che infrange la barriera dei dieci Megapixel. Inoltre, come tradizione del proprio sistema, è configurata per affrontare qualsiasi situazione, con una costruzione impermeabile che la protegge dagli agenti esterni avversi. Quindi, la tecnologia BrightCapture, ora disponibile anche in modalità video (640x480 pixel a trenta fotogrammi al secondo, con audio), assicura efficaci visioni a luce ambiente, anche in condizioni di scarsa luminosità. L’escursione zoom 3x f/2,8-
4,7, equivalente alla variazione focale 35-105mm della fotografia 24x36mm, e l’ampio monitor da 2,5 pollici da 230.000 pixel definiscono una operabilità agevole, guidata da operazioni e regolazioni adeguatamente semplificate, entro l’ampia gamma da 64 a 1600 Iso (a 6400 a tre Megapixel). Venti programmi predefiniti facilitano l’impostazione automatica in una diversificata serie di situazioni. Una specifica funzione di Stabilizzazione dell’Immagine Digitale compensa l’eventuale mosso causato da movimenti involontari durante lo scatto. (Polyphoto, via Cesare Pavese 11-13, 20090 Opera Zerbo MI).
VERO MACRO. Nel disegno di dieci lenti in nove gruppi del nuovo Sigma Macro 70mm f/2,8 EX DG, un’alternanza di lenti a basso indice di dispersione (SLD,
Special Low Dispersion, nel codice interno) e lenti ad alto indice rifrattivo è finalizzata alla più pertinente correzione ottica delle aberrazioni proprie e caratteristiche della ripresa a distanza ravvicinata. Infatti, l’obiettivo si propone come autentico macro, per inquadrature fino al rapporto limite 1:1, ovverosia al naturale: da 25,7cm. Per questo, anche la messa a fuoco è indirizzata, con sistemi flottanti interni che si adattano alle diverse distanze di accomodamento. Configurato sia per reflex tradizionali 24x36mm, sia per re-
flex ad acquisizione digitale di immagini (sui cui sensori, di dimensioni inferiori, l’angolo di campo originario di 34,3 gradi si riduce all’equivalenza con la focale 105mm), il Sigma Macro 70mm f/2,8 EX DG è dotato di un limitatore dell’escursione di messa a fuoco, che rende più rapida la regolazione della distanza di ripresa. Scala dei diaframmi fino a f/22, diametro filtri 62mm; in montatura fissa per reflex Canon, Nikon, Pentax, Sigma e Sony (Minolta e Konica-Minolta). (Mamiya Trading, via Cesare Pavese 31, 20090 Opera Zerbo MI).
PHOTOSHOP DEDICATO. Da metà febbraio è disponibile la release originaria Photoshop Lightroom 1.0, software indirizzato e rivolto alla fotografia professionale, elaborato sulla scorta di indicazioni fornite da oltre cinque-
centomila beta tester (fotografi professionisti). Nello specifico, permette di importare, gestire e presentare grandi volumi di immagini digitali, semplificando e riducendo sensibilmente le fasi passive del lavoro. Diverso e non alternativo al programma originario di raffinata amministrazione delle immagini, Photoshop Lightroom vanta una ricca dotazione di funzionalità innovative, che razionalizzano il flusso di lavoro della fotografia digitale. Discriminanti sono i moduli Library e Develop, che si affiancano alle caratteristiche basilari Sli-
BIANCO E NERO laboratorio fotografico fine - art solo bianco & nero
UMICINI GIOVANNI VIA VOLTERRA 39 - 35143-PADOVA
PH. & FAX 049 720 731 e-mail : gumicin@tin.it
11
deshow, Print e Web. Nel modulo Library, nuovi strumenti avanzati per la ricerca di parole chiave aiutano a filtrare immagini residenti all’interno di raccolte di grandi dimensioni; il pannello di dialogo per l’importazione dei file è flessibile, con consistenti possibilità di scelta circa la collocazione degli stessi file. Quindi, il nuovo Key Metadata Browser fornisce un accesso rapido, con un rinnovato sistema di classificazione e valutazione dotato di etichette colorate e di un sistema accetta/rifiuta, che ordina e recupera le fotografie ancora più velocemente. Tra le novità del modulo Develop, gli strumenti Virtual Copies e Snapshot aiutano a presentare più versioni della medesima immagine, offrendo totale libertà di scelta senza la confusione dovuta al salvataggio di più versioni fisiche della stessa fotografia. Photoshop Lightroom sfrutta la tecnologia Adobe Camera Raw per supportare oltre centocinquanta formati Raw nativi, oltre a Jpeg e Tiff, in modo da riunire in un unico workflow la conversione Raw. Dopo essere stati importati, i file possono essere convertiti in formato Dng (Digital Negative) o rinominati e suddivisi per cartella o data. Ricordiamo che Dng è un’iniziativa di settore che punta a creare un formato di file universale per risolvere gli attuali problemi di flusso di lavoro e archiviazione, eliminare gli ostacoli all’adozione di nuovi apparecchi fotografici e garantire ai fotografi professionisti l’archiviazione sicura delle proprie immagini e la costante accessibilità anche nell’evoluzione delle tecnologie di imaging digitale. (Adobe Systems Italia, Centro Direzionale Colleoni, viale Colleoni 5, Palazzo Taurus A3, 20041 Agrate Brianza MI).
STABILIZZAZIONE PER QUATTRO. L’efficace zoom Canon EF 70-200mm f/4L IS USM è il primo obiettivo intercambiabile dotato di stabilizzazione di immagine estesa a quattro stop: si scatta a 1/15 di secondo
12
con il rigore formale proprio e caratteristico del più breve 1/250 di secondo con obiettivi non stabilizzati. Nel concreto, antitetico all’uso del treppiedi (!), si offre per la fotografia d’azione a mano libera, estesa a condizioni luminose critiche: luce ambiente oppure situazioni dipendenti da tempi di otturazione convenientemente allungati, o valori di diaframma chiusi. L’indirizzo esplicito si rivolge alla fotografia di natura, come anche al reportage. Adeguatamente compatto, 172mm di lunghezza per 760 grammi di peso, dispone di una lente alla fluorite e due in vetro UD a basso indice di dispersione. Messa a fuoco da 120cm, con autofocus USM rapido e silenzioso, come si conviene a uno zoom della gamma professionale Canon L. Alternativa tecnica al già conosciuto EF 70-200mm f/2,8L IS USM, si allinea agli zoom professionali EF 17-40mm f/4L USM e EF 24-105mm IS USM f/4L, ad apertura relativa costante sull’intera escursione focale. (Canon Italia, via Milano 8, 20097 San Donato Milanese MI).
LUCE SOLARE. Dotato di efficace lente di Fresnel, il dispositivo Flooter consente di regolare l’emissione luminosa entro l’ampia escursione da 15 a 80 gradi. Si utilizza con torce flash Broncolor, a generatore o monotorcia, ed estende il proprio utilizzo a tutta la fotografia in sala di posa, senza soluzione di continuità dalla figura allo still life, alla ripresa di oggetti di grandi dimensioni. In pratica, riproduce un effetto di illuminazione solare, con pertinente controllo sia della propria potenza luminosa sia della distribuzione di luce sul soggetto. (Mafer, via Brocchi 22, 20131 Milano).
SEMPRE PIÙ FINEPIX. Evoluzione consequenziale della precedente FinePix S9500, la reflex digitale a obiettivo zoom fisso Fujifilm FinePix S9600 offre prestazioni e caratteristiche ovviamente incrementate: sensore Super CCD da nove Megapixel, sensibilità da 80 a 1600 Iso equivalenti, zoom ottico Fujinon 10,7x, funzionamento ultrarapido. Grazie alla tecnologia Fujifilm Real Photo Processor, l’ampia gamma di sensibilità consente di ottenere immagini di alta qualità in qualsiasi condizione di illuminazione. Inoltre, l’impostazione della sensibilità su valori Iso elevati elimina le sfocature causate dall’instabilità dell’apparecchio e dai movimenti del soggetto. Lo zoom Fu-
jinon 10,7x, con escursione focale equivalente alla variazione 28-300mm della fotografia 24x 36mm, integra elementi asferici che garantiscono la pertinente correzione di ogni aberrazione residua. La raffinata impostazione manuale della focale assicura la massima accuratezza nella composizione dell’immagine. Sostanziali, le innovazioni: più nitidezza e maggiore risoluzione, grazie al miglioramento degli algoritmi di elaborazione delle immagini; risoluzione incrementata e nitidezza migliorata, per un livello qualitativo che soddisfa anche gli utenti più esigenti; display LCD da due pollici e 235.000 pixel, orientabile e osservabile da ogni angolazione; Le dimensioni del display LCD sono aumentate rispetto alla FinePix S9500; sistema Intelligent Flash, per un’illuminazione omogenea del primo piano, con sfondo nitido e correttamente esposto, che si abbina alla sensibilità Iso equivalente; messa a fuoco automatica estremamente veloce (oltre il quaranta per cento rispetto la configurazione precedente), con movimento senza ritardi in ogni condizioni luminosa. In dotazione, il software Fujifilm Hyper Utility HS-V2, per la conversione dei file grezzi Raw. Modalità di registrazione di video a trenta fotogrammi al secondo, con audio e con possibilità di zoom manuale. (Fujifilm Italia, via dell’Unione Europea 4, 20097 San Donato Milanese MI).
COMPETENZA COMMERCIALE
N
Nonostante il duro confronto con le realtà quotidiane del commercio fotografico italiano, e delle proprie componenti, rimaniamo convinti che le forme di associazionismo siano positive e opportune. A conti fatti, sulla carta e in teoria, permettono a ogni categoria professionale di affrontare le proprie rispettive problematiche da posizioni sostanzialmente più favorevoli, rispetto quelle alla portata dei singoli. Ripetiamo: sulla carta e in teoria. Perché poi, nella pratica, molti associazionismi si esauriscono in se stessi, causa soprattutto l’incapacità manageriale dei propri quadri, o presunti tali. Recentemente, abbiamo avuto modo di incontrare e osservare da vicino l’esperienza commerciale di PhoxGolem, che, nei diversi momenti scanditi dai tempi del mercato, si definisce “i professionisti dell’immagine” e “le tue foto(grafie) la nostra passione”. Guidato da Carlo Soci, negoziante romagnolo di vasta esperienza e radicata consapevolezza fotografica, PhoxGolem si offre come (unico) gruppo di acquisto fotografico in Italia, diffuso su tutto il territorio nazionale. Fa parte di un consistente network internazionale, che riunisce duemilacinquecento punti di vendita, in undici paesi europei: a conti fatti, sono cifre che quantificano e identificano il più forte e affermato gruppo di acquisto fotografico al mondo. In Italia, oltre cento negozi associati, ognuno con la propria identità individuale e personalità propria, dispongono di una vasta offerta di prodotti fotografici, proposti con competenza e offerti a prezzi di acquisto particolarmente convenienti. Allo stesso momento, le attrezzature fotografiche vendute dai negozianti PhoxGolem sono coperte da una particolare assicurazione contro furto, scippo e rapina, valida un intero anno dall’acquisto, e arrivano a estendere fino a quattro anni le garanzie ufficiali delle singole case distributrici. Non mancano, ovviamente, promozioni e iniziative stagionali, che si concretizzano in
14
Il meeting d’autunno dei soci PhoxGolem, gruppo di acquisto fotografico, diffuso su tutto il territorio italiano, ha sottolineato componenti commerciali che si proiettano verso il più efficace servizio ai clienti.
ulteriori convenienze d’acquisto: ogni dettaglio e l’elenco dei negozianti sono puntualmente riportati sul sito www.phoxgolem.it. Abbiamo avvicinato questa esperienza fotografica giusto in occasione di un appuntamento commerciale discriminante: il rituale meeting d’autunno dei soci, organizzato e svolto a metà novembre in doppia proiezione sul periodo natalizio e sulle iniziative di inizio d’anno. Il meeting si è tenuto a Rimini, sede del gruppo e, comunque sia, geografia centrale raggiungibile da ogni località del paese. A parte le questioni gestionali interne, che non riguardano la proiezione esterna dei negozianti Phox Golem, vanno segnalati due momenti particolari dell’incontro, che danno valore al concetto stesso di associazionismo: due momenti che proiettano la professionalità dei soci all’esterno, andando a migliorare e solidificare quell’idea di professionalità della quale trae beneficio il cliente finale. E questo sottolineiamo. Anzitutto, registriamo la presenza di Canon Italia, che ha dettagliatamente commentato il senso di una serie di innovativi atteggiamenti commerciali, proiettati verso la più solida presentazione al pubblico (consumatore) delle proprie linee di prodotti: non soltanto questioni economiche, seppure da queste sempre si parte o a queste di deve inevitabilmente arrivare, ma pertinente combinazione con adeguate preparazioni tecniche, a supporto delle esigenze, necessità e richieste del cliente. Nello specifico, Enrico Foglia e Arianna Antonini di Canon Italia hanno
equilibratamente focalizzato le componenti commerciali e quelle tecniche della linea di prodotti distribuiti. E questa consapevolezza dei singoli negozianti, acquisita in un serrato dibattito chiarificatore, non può che fare bene all’intero mercato. Quindi, a seguire, tre interventi di giornalisti di settore hanno approfondito tematiche e problematiche parallele, di lato, analogamente proficue anche nella conduzione dell’attività commerciale quotidiana. Roberto Bonin, presidente del qualificato cartello dei Giornalisti Specializzati Associati, Gsa in sigla, e Valerio Pardi, esponente di spicco dello stesso gruppo, con vasta e consolidata esperienza nel mondo fotografico, hanno vivisezionato l’essenza del commercio quotidiano della fotografia. Due i termini fondanti della loro visione: l’andamento del mercato, osservato attraverso i volumi di vendita nazionale (e in confronto internazionale), con puntualizzazione delle inevitabili linee di tendenza; e poi la personalità del punto vendita, così come è percepito dal cliente. Due materie presentate con tanta e tale quantità e qualità di dati e osservazioni, da offrire preziosi elementi di riflessione individuale. Che poi si traduce in una inevitabile crescita dell’intero commercio, sollecitato dall’evoluzione dei propri singoli componenti. Infine, tra colore, costume e altro ancora, Maurizio Rebuzzini, direttore di FOTOgraphia, presente al meeting PhoxGolem esattamente in questa veste, si è mosso tra filosofie di fondo del commercio della fotografia e motivazioni sostanziali. Qual è l’idea di fondo? Semplifichiamo e banalizziamo: che il commercio fotografico deve fare tesoro della particolarità culturale, estetica e gratificante dell’esercizio stesso della fotografia, hobby non passivo ma attivo, preziosa testimonianza che non si esaurisce nel solo momento originario, ma si proietta avanti nel tempo. Anche questo dovrebbe essere un plus del nostro commercio. A.Bor.
UN PAESAGGIO RITROVATO
C
Con Un paesaggio ritrovato, che subito specifica, in sottotitolo, A Demonte e in Valle Stura sulle tracce di Lalla Romano, Alessandro Vicario (classe 1968) torna sulle tracce della grande scrittrice, scomparsa nel 2001. Allestita in mostra e riunita in un volume omonimo, questa serie fotografica si propone e offre come ideale continuazione e completamento della precedente ricognizione Paesaggi d’assenza. Sulle tracce di Lalla Romano (pubblicato nel 2004 da Edizioni Le Ricerche di Locarno ed esposto in gallerie svizzere e italiane), della quale non a caso riprende l’essenza del sottotitolo. Soggetto e fonte di ispirazione di Paesaggi d’assenza furono gli interni domestici della casa milanese di Lalla Romano. Dopo i quali, in questa nuova indagine, Alessandro Vicario rivolge la propria attenzione ai luoghi dell’infanzia della scrittrice, in particolare al suo paese natale Demonte, in Valle Stura, nel cuneese: paesaggi, atmosfere, colori che esercitarono un’influenza decisiva nella formazione della sensibilità di Lalla Romano scrittrice e pittrice. Ancora, le fotografie di Alessan-
16
(a sinistra) Demonte, torrente Cant dal ponte sulla strada per Festiona («C’era una rispondenza fra il vento e lo scroscio del Cant, entrambi erano un fluire inesauribile» Lalla Romano).
Demonte, esterno dell’Albergo Europa («Alle lettere “Albergo d’Europa” erano intrecciate viole e margheritine gigantesche. La sproporzione mi aveva sempre imbarazzata» Lalla Romano).
dro Vicario non si limitano a documentare, ma creano una naturale continuità poetica con la scrittura di Lalla Romano. La mostra è uno degli eventi promossi dal Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Centenario della Nascita di Lalla Romano, istituito dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali sotto l’Alto Patronato del presidente della Repubblica Italiana. Come rilevato, in combinazione è pubblicato un volume-catalogo, edito da Weber & Weber (Torino), a cura di Antonio Ria, con testi di Gigliola Foschi, autorevole e qualificata critica della fotografia, dello studioso di letteratura Giovanni Tesio e dello stesso Alessandro Vicario. Le relazioni tra la scrittura di Lalla Romano e le immagini sono ampiamente esaminate nei contributi pubblicati. Come annota Giovanni Tesio (Lalla Romano e Alessandro Vicario o la “penombra” delle affini-
tà): «Alessandro Vicario non cerca corrispondenze reali, ma la più enigmatica strada delle affinità». E Gigliola Foschi sottolinea (Gli inizi ricominciano sempre): «Il lavoro di Alessandro Vicario dà vita a una sorta di interazione mimetica con la scrittura di Lalla Romano, a un proseguimento della sua poetica trasfigurata in termini visivi». Antonio Ria cuce insieme (Il ritmo dei ritorni): «Alessandro [Vicario] è “tornato in un paese dove non era mai stato”, perché prima l’aveva “visitato in sogno”, cioè nella dimensione del desiderio e della invenzione poetica». In mostra è esposta una selezione delle quarantotto immagini a colori pubblicate in catalogo, tutte abbinate a citazioni di Lalla Romano. Quindi, alcune immagini di Alessandro Vicario sono accostate a fotografie scattate dal padre della scrittrice, Roberto Romano, all’inizio del Novecento. A.G.
Demonte, esterno della casa nella quale alloggiava il custode del Castello («Una vaga paura incombeva dall’alto, dalla casa del custode, alla quale non ci si avvicinava» Lalla Romano). Alessandro Vicario: Un paesaggio ritrovato. A Demonte e in Valle Stura sulle tracce di Lalla Romano. A cura di Antonio Ria e Alberto Weber. Con il patrocinio dell’Associazione Amici di Lalla Romano, del Comune di Demonte (Cuneo) e della Comunità Montana della Valle Stura. Galleria Weber & Weber, via San Tommaso 7, 10122 Torino; 349-3649360; alberto.weber@libero.it. Dall’8 febbraio all’8 marzo; martedì-sabato 16,00-19,00.
Nel Vallone dell’Arma («La montagna era per me -come per la mammala bellezza» Lalla Romano).
DUE VOLTE TIME MAGAZINE
A
A fine 2006, ieri l’altro, la cronaca di costume si è ampiamente occupata del classico numero con il quale, ogni dicembre/gennaio, dal 1927, il settimanale statunitense Time Magazine identifica e indica il fatidico personaggio dell’anno (in origine, declinato come “l’uomo dell’anno”, oggi politicamente scorretto). Nel corso di ottant’anni, diverse personalità internazionali sono state insignite del prestigioso titolo, che comunque guarda in casa propria -Stati Unitipiù che rivolgersi al palcoscenico planetario: basta scorrere l’elenco delle assegnazioni, dalle origini, che pubblichiamo a pagina 21, che tra l’altro sottolineano l’operato di tutti i presidenti della Repubblica. L’attenzione della cronaca di costume, cui ci siamo richiamati, è stata sollecitata soprattutto, o forse soltanto, dalla originalità del personaggio dell’anno 2006... che siamo tutti noi: “You”, certifica il settimanale datato 25 dicembre 2006 / Primo gennaio 2007, intendendo la vita nell’epoca informatica, visualizzata da un monitor di computer specchiato: nel quale ciascuno può riflettersi, per riconoscersi, appunto, come “personaggio dell’anno” (qui accanto). Telegiornali, giornali radio e quotidiani hanno sottolineato la particolarità grafica/formale della copertina, precisamente occupata da una superficie specchiata riflettente. Molti si sono limitati alla forma, sottolineando la sola particolarità della messa in pagina; altri, pochi per la verità, hanno approfondito l’argomento, entrando nello specifico della segnalazione. Lasciamo a chi di dovere ogni considerazione sociale inevitabilmente collegata. Da parte nostra, ci permettiamo di leggere questa attribuzione anche come una sorta di scorciatoia, non soltanto di deviazione dalla retta via. Infatti, siamo sinceri, al giorno d’oggi è assolutamente disagevole, se non impervio, leggere e analizzare lo svolgimento quotidiano dell’esistenza, soprattutto se e quando si vuole
attuale tempo. Certo, viviamo in un epoca caratterizzata da molta informatica, della quale siamo spettatori e protagonisti allo stesso momento (e quindi siamo stati considerati personaggio dell’anno 2006); ma, al contempo, non vorremmo passare sotto silenzio l’azione e opera di chi, con coraggio, dedizione e sacrificio fa tanto per reagire agli orrori della vita attuale, aiutando soprattutto il prossimo (e sono loro che avrebbero meritato la segnalazione di Time Magazine, al posto nostro).
SGUARDO INDIETRO
“Personaggio dell’anno” (2006) di Time Magazine: “You”. Ovvero, tutti noi che viviamo nell’epoca informatica, adeguatamente visualizzata da un monitor di computer specchiato: nel quale ciascuno può riflettersi, per riconoscersi, appunto, come “personaggio dell’anno”.
isolare dal mucchio una personalità meritevole di onori (oppure oneri: il personaggio dell’anno non è necessariamente di valore positivo). Per cui, alla resa dei conti, questo “You” sacrifica un poco del proprio indiscutibile valore all’altare delle convenienze e della non presa di posizione di fronte agli orrori del nostro
In passato, a partire dall’originaria segnalazione di Charles Lindbergh del 1927, per la cronaca a tutt’oggi il più giovane ad aver ricevuto la distinzione di Time Magazine, tutto è stato anche più semplice: di qui stavano i buoni, di là gli altri (non necessariamente i cattivi). Il 20 maggio 1927, la prima trasvolata aerea dell’Atlantico, dal Roosevelt Field di New York a Parigi, unì idealmente l’America all’Europa, aprendo la strada a un mondo nuovo: trentatré ore e mezzo di volo con il leggendario Spirit of St. Louis. Il venticinquenne Charles Lindbergh (1902-1974) è stato un autentico pioniere. Dopo di lui, il settimanale Time Magazine si è mosso tra politica internazionale, stabilità nazionale, scienza, spettacolo e società.
ATTRAVERSO LO SPECCHIO
A
vvincente soluzione grafica, che in talune relazioni giornalistiche è prevalsa sui contenuti della segnalazione redazionale, la superficie specchiata della copertina di Time Magazine del 25 dicembre 2006 / Primo gennaio 2007 rimanda a chi tiene la rivista tra le mani. Tutti noi, che ci riflettiamo nel monitor, siamo i personaggi dell’anno 2006: noi, nell’epoca informatica. Questa interpretazione grafica non è originale, e forse neppure ambiva ad esserlo. Già altre pubblicazioni, periodiche piuttosto che libri, l’hanno adottata in copertina. Tra le diverse segnalazioni possibili, una si distingue dalle altre. Specchiata è la copertina di The Face of the Century, uno dei volumi realizzati e pubblicati sulla lunga volata di fine secolo (Do Publishing; 1999; www.dosurf.com). La monografia raccoglie cento ritratti realizzati dal fotografo inglese Julian Germain a persone nate negli anni che vanno dal 1899 al 1999 (appunto). E poi, indipendentemente dal proprio anno di nascita, ognuno entra a far parte della raccolta specchiandosi in copertina.
19
Una volta ancora, con immancabile rammarico e tristezza, registriamo che le fotografie significative dell’anno, sia nella sintesi di Time Magazine, sia in ogni altra raccolta, sono sempre fotogiornalismo di guerra, con il proprio contorno di distruzione e dolore.
Nove anni dopo, nel 1936, la prima donna personaggio dell’anno è stata Wallis Warfield Simpson, moglie di re Edward VIII del Regno Unito, che l’undici dicembre 1936 abdicò il proprio trono giusto per questo matrimonio con una donna divorziata (!). Invece, il trentaduesimo presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt è stato nominato addirittura tre volte: nel 1932, 1934 e 1941 (una in meno delle sue quattro presidenze consecutive). Nel frattempo, nel 1938, in stretto anticipo sulle devastazioni della Seconda guerra mondiale, che nell’agosto 1939 sarebbe stata innescata dall’espansione del Terzo Reich, il personaggio dell’anno di Time Magazine fu il capo del nazismo Adolf Hitler, che il dodici marzo dello stesso 1938 aveva palesato la propria volontà di espandere i confini nazionali annettendo l’Austria (Anschluss). Immediatamente dopo, due riconoscimenti al leader sovietico Stalin: 1939 e 1942. Comunque, prima dell’odierno “You” dell’era informatica, vanno registrate altre deviazioni di percorso, con assegnazioni a gruppi di persone o oggetti. Nel 1966, in anticipo sui sommovimenti sociali internazionali di fine decennio, fu nominata la generazione dei giovani del tempo:
20
appunto, “Twenty-five and Under” (venticinquenni e anche meno). Nel 1982, il computer fu il primo oggetto a ricevere la distinzione, seguìto, un decennio dopo, dal peacemaker (1993). E poi, segnaliamo ancora i combattenti americani (dalla Seconda guerra mondiale al fronte coreano; 1950) e i soldati americani (in epoca di Iraq; 2003), la popolazione ungherese che si oppose all’invasione sovietica (1956), gli scienziati statunitensi (1960), la classe media americana (1969), le donne americane (1975), il programma ecologista Endangered Earth (1988) e i whistleblower (i temuti accusatori, che dalla Rete denunciano le malefatte del mondo; 2002). Alla fine del 1999, al fatidico cambio di decennio/secolo/millennio, il fisico Albert Einstein è stato celebrato come personaggio (personalità) del Novecento (a pagina 22). Per esplicita dichiarazione del settimanale, il pensiero di Albert Einstein e le sue visioni scientifiche si sono imposte sul filo di lana. In dirittura di arrivo, c’erano anche le candidature del leader indiano Gandhi, profeta della non violenza (Mohandas Karamchand Gandhi, 1869-1948; personaggio dell’anno nel 1930), e di Franklin Delano Roosevelt, unico presidente de-
Dalla copertina di Time Magazine del 18 dicembre, una Leica M3 consumata dall’uso, altresì completa di leva aggiuntiva per il riavvolgimento semplificato della pellicola esposta, richiama l’edizione speciale nella quale sono raccolte le fotografie più significative del 2006.
gli Stati Uniti ad aver servito il proprio paese per più di due mandati, imponendosi in quattro turni elettorali successivi -1932, 1936, 1940 e 1944-, e rimanendo in carica dal 1933 alla sua scomparsa, avvenuta il 12 aprile 1945: dodici anni che hanno traghettato l’America dalla Depressione all’impegno militare sui fronti del Pacifico, dell’Africa e dell’Europa.
ANCORA TIME Una settimana prima del numero di fine anno, datato al 25 dicembre 2006 / Primo gennaio 2007, Time Magazine è arrivato in edicola con l’edizione del 18 dicembre,
a propria volta speciale. Nello specifico, dedicata alle migliori fotografie del 2006: e questo ci coinvolge più direttamente. Prima di tutto, rileviamo che l’argomento non è richiamato da una immagine, ma da una macchina fotografica, palesemente tale e riconoscibile come tale: una Leica M3, adeguatamente consumata dall’uso (con leva aggiuntiva per il riavvolgimento semplificato della pellicola esposta: nota feticistica).
È questo un argomento che ci appartiene, convinti come siamo che quando la presentazione e promozione dei programmi fotografici è rivolta al più ampio pubblico (generico) debba necessariamente riferirsi e richiamarsi all’inconfondibile richiamo visivo dei propri strumenti o, quantomeno, dei propri elementi distintivi. La visualizzazione di una fotografia, un’immagine, non sarebbe diversa da tutto quanto ci circonda, e dunque
non è riconoscibile come identificazione “fotografica”. Inascoltati, ma non è questo il problema, e neppure è un problema, ci siamo già espressi in questo senso riferendoci, per esempio, ai programmi culturali promossi, sostenuti e sollecitati dall’industria fotografica, in coincidenza con i propri appuntamenti istituzionali. Ribadiamo e confermiamo: rivolgendosi al pubblico generico, sono indispensabili richiami espliciti, che mettano in
PERSONAGGIO DELL’ANNO (DI TIME MAGAZINE) 1927 1928 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939 1940 1941 1942 1943 1944 1945 1946 1947 1948 1949 1950 1951 1952 1953 1954 1955 1956 1957 1958 1959 1960 1961 1962 1963 1964 1965 1966
Charles Augustus Lindbergh Walter P. Chrysler Owen D. Young Mohandas Karamchand Gandhi Pierre Laval Franklin Delano Roosevelt Hugh Samuel Johnson Franklin Delano Roosevelt Haile Selassie Wallis Warfield Simpson Chiang Kai-Shek (e moglie) Adolf Hitler Stalin Winston Leonard Spencer Churchill Franklin Delano Roosevelt Stalin George Catlett Marshall Dwight David Eisenhower Harry Truman James F. Byrnes George Catlett Marshall Harry Truman Winston Leonard Spencer Churchill I combattenti americani Mohammed Mossadegh Elizabeth II Konrad Adenauer John Foster Dulles Harlow Herbert Curtice La popolazione ungherese Nikita Krushchev Charles De Gaulle Dwight David Eisenhower Gli scienziati statunitensi John Fitzgerald Kennedy Papa Giovanni XXIII Martin Luther King Jr Lyndon B. Johnson Generale William Childs Westmoreland La generazione “Twenty-Five and Under”
1967 1968 1969 1970 1971 1972 1973 1974 1975 1976 1977 1978 1979 1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006
Lyndon B. Johnson Gli astronauti William A. Anders, Frank Borman e James A. Lovell La classe media americana Willy Brandt Richard Milhous Nixon Richard Nixon e Henry Kissinger John J. Sirica Re Faisal Le donne americane Jimmy Carter Anwar Sadat Deng Xiaoping Ayatullah Khomeini Ronald Reagan Lech Walesa Il computer Ronald Regan e Yuri Andropov Peter Ueberroth Deng Xiaoping Corazon Aquino Mikhail Sergeyevich Gorbachev Il programma ecologista Endangered Earth Mikhail Sergeyevich Gorbachev George Bush e George W. Bush Ted Turner Bill Clinton Il peacemaker Papa Giovanni Paolo II Newt Gingrich David Ho Andy Grove Bill Clinton e Kenneth Starr Jeff Bezos George W. Bush Rudolph Giuliani I whistleblower I soldati americani George W. Bush Bill Gates, Melinda Gates e Bono You
21
primo piano l’oggetto fotografico. Poi, ovviamente, servono altre ulteriori intelligenze e capacità collegate e combinate. Cioè, non si deve realizzare nulla di banale, o banalizzante, ma confezionare un richiamo che sia adeguatamente accattivante, coinvolgente e, perché no?, di profilo alto, il più alto possibile: come è il caso, riconosciamolo, della raffinata evocazione dell’edizione di Time Magazine, cui stiamo riferendoci (a pagina 20). In questo senso, ripetiamo un’opinione che abbiamo già espresso, ma la ripetizione serve. Una volta ancora, e una di più, annotiamo la convincente sequenza di immagini-simbolo della manifestazione Foto&Photo, che si svolge a Cesano Maderno, in provincia di Milano, in autunno (la più recente segnalazione in FOTO graphia dello scorso settembre 2006). Senza mancare né venir meno all’indirizzo culturale perseguito, Foto&Photo certifica sempre la propria personalità culturale ed espositiva, appunto fotografica, attraverso sintesi che hanno dato spazio e visibilità all’oggetto fotografico: 2001, Federico Fellini con Leica e Leicavit (fotografia di Franco Pinna dalla personale Anteprima Block-Notes di un fotografo); 2002, bambini con proprie macchine fotografiche (fotografia di Giancolombo dalla personale Europa anni Cinquanta); 2003, autoritratto di Alexandre Rodchenko con Leica (dalla selezione Le stagioni della fotografia russa, dalla Collezione della Moscow House of Photography); 2004, Duane Michals, uno dei fotografi più importanti dell’avanguardia statunitense, in contrapposizione speculare con Joel Grey: uno fotografa l’altro (fotografia appositamente realizzata per l’occasione); 2005, James Natchwey mentre fotografa una scena di guerra (di David Turnley, per gentile concessione di Corbis/Contrasto); 2006, accattivante e fascinoso autoritratto dello spagnolo Alberto García-Alix (dalla personale Pura Vida, in collaborazione con l’Instituto Cervantes). Dopo di che, il riferimento alle migliori fotografie del 2006 è imbarazzante, così come lo sono sempre i commenti che accompagnano l’assegnazione annuale dei prestigiosi World Press Photo. Tragicamente, il
22
PERSONAGGIO DEL SECOLO (DI TIME MAGAZINE) lla fine del 1999, con l’appetitosa occasione di camAblicazioni bio simultaneo di decennio, secolo e millennio, le pubdi tutto il mondo hanno evidenziato la straordinarietà del momento irripetibile (altri ne riparleranno tra mille anni). Molte hanno proposto bilanci epocali, stilando elenchi di personaggi, avvenimenti, invenzioni, scoperte e immagini rappresentative del secolo e millennio trascorso (non necessariamente fotografiche). Nell’occasione, anche FOTOgraphia confezionò una propria edizione speciale: dicembre 1999. Ognuno a proprio modo, in molti rivolsero le proprie attenzioni al secolo (e millennio) appena trascorso, osservandolo dai punti di vista di storia, arte, scienza, costume: cento nomi per cento anni, oppure novantanove per far la rima con 1999 (solo pochi si sono lanciati nell’oneroso compito di “potere della fotografia di congelare il momento”, per consegnare la cronaca alla Storia, è sempre più indirizzato alla registrazione, documentazione e visualizzazione di guerre e tragedie: a partire dai combattimenti in Iraq, questo è giusto il motivo conduttore della selezione 2006 di Time Magazine. A conseguenza, anche le nostre parole sono ripetitive nella propria ossessiva ostinazione. Al giorno d’oggi, il fotogiornalismo che segna l’epoca che stiamo vivendo, appunto proiettandola avanti nel tempo, è spesso registrazione tragica, non soltanto drammatica. Effettivamente rappresentative dei fatti dell’anno presi in esame, al pari delle indicazioni del World Press Photo, anche queste fotografie del 2006 compongono le tessere di un mosaico di dolori, sopraffazioni, violenze, calamità, lutti e rovine: sia di ordine naturale, sia in relazione alle tante guerre che insanguinano la nostra attuale epoca. Per quanto quello del fotogiornalismo sia un “occhio testimone”, come è stato più volte annotato, isolata dal ritmo dei giorni che si susseguono e limitata alla sottolineature delle fotografie dell’anno, tra le qua-
individuarne mille per i mille anni del secondo millennio). Per Time Magazine, cui rivolgiamo le nostre attuali attenzioni alla luce dei due recenti speciali di fine 2006, il “personaggio del secolo” è stato Albert Einstein, il cui pensiero non si è esaurito tra i confini della propria disciplina, la fisica, ma si è filosoficamente disteso sulla Vita. A questo proposito, come in un cerchio che si chiude, la rivista statunitense ha rivitalizzato una antica combinazione tra scienza e filosofia, che in passato definì l’idea stessa di cultura, da Talete a Pitagora, a Fermat (e tanti altri ancora). In tempi a noi più vicini, a partire dalle proprie specifiche competenze scientifiche, Albert Einstein ha restituito il senso della grande avventura degli uomini alla ricerca della verità nascosta dietro i numeri e le leggi della natura.
31 dicembre 1999: per la copertina dell’edizione speciale di fine anno, decennio, secolo (e millennio) di Time Magazine è stato utilizzato il ritratto di Albert Einstein (1879-1955) realizzato da Philippe Halsman nel 1947.
li, quest’anno danno un certo respiro le immagini dei Mondiali di calcio della scorsa estate (peraltro evocati anche in copertina), la testimonianza di Time Magazine, come quelle di ogni altra analoga iniziativa editoriale, in forma di rivista o libro-strenna, diventa affermazione di un mondo dai connotati terribili. A questo punto, se ancora servisse farlo, dovremmo riflettere sul valore e senso del fotogiornalismo del dolore (di guerra, soprattutto). Certamente, la fotografia non ha poteri taumaturgici: non può compiere miracoli, né modificare (al meglio) la vita. Poche fotografie, prese a sé, hanno avuto il potere di sconvolgere gli animi e influire sullo svolgimento dei fatti. Nel proprio insieme, però, le fotografie del dolore possono influire sulle coscienze di molti. Per questo non deve venir meno l’impegno di quei fotoreporter capaci di farci pensare. Per questo dobbiamo continuare a pensare, magari anche arrabbiandoci e ribellandoci. Per questo, anche se con dolore personale, dobbiamo continuare a pubblicare e guardare queste immagini. Con la pietà per i soggetti, nella speranza che il loro sacrificio non sia stato inutile. M.R.
GUDRUN THIELEMANN: TERRACE, RED CABIN; SWEDEN
ANCORA OCCHIO
24
Visioni a lungo pensate e meditate. Solida fotografia attuale, declinata con la consapevolezza di composizioni che appartengono alla radicata consecuzione del linguaggio visivo. Con abilità e intelligenza, Gudrun Thielemann e Urs Bernhard costruiscono le proprie serene osservazioni nel rigoroso ed elegante spazio quadrato dell’intramontabile Rolleiflex biottica. Espressività di una rappresentazione inviolabilmente fotografica
URS
BERNHARD:
MARCIAPIEDE
QUADRATO
25
GUDRUN THIELEMANN: KITCHEN; MUNICH
GUDRUN THIELEMANN: BATHROOM; MUNICH
GUDRUN THIELEMANN: BED; ITALY GUDRUN THIELEMANN: BATHROOM; ITALY
26
S
vizzeri di nascita, da tempo Gudrun Thielemann e Urs Bernhard vivono in Svezia. Non sono soltanto fatti loro, ma ne riferiamo perché siamo convinti che l’espressione creativa individuale, in questo caso fotografica, si basi anche su una miscela di condizioni e scelte esistenziali. Come dire che la fotografia di ricerca, estranea alle commissioni di lavoro e a queste complementare, è specchio fedele dell’anima dell’autore. In Svezia, Gudrun Thielemann e Urs Bernhard vivono un’esistenza scandita da tempi dilatati e alleggeriti, congeniali alla loro fotografia, che si esprime di conseguenza: straordinaria coincidenza tra vita e (ancora) fotografia, fantastico elemento distintivo della loro stessa vita.
Ognuno per conto proprio e ciascuno con spiccata individualità, i due autori compongono le rispettive visioni nell’ordine formale dell’inquadratura osservata e costruita sul vetro smerigliato sei-per-sei (centimetri), usando la Rolleiflex biottica di antichi natali. Alla recente Photokina di Colonia, loro stampe di generose dimensioni sono state allestite nello stand della neocostituita Franke & Heidecke, produzione fotografica che ha ripreso l’originaria identificazione della fine degli anni Venti. Giusto questa doppia serie di immagini, formalmente divisa tra il colore di Gudrun Thielemann e il bianconero di Urs Bernhard, ha scandito senso del presente che fa tesoro della propria storia. Nella proiezione verso tecnologie futuribili, af-
GUDRUN THIELEMANN: BED; STOCKHOLM
frontate con un’ottima interpretazione digitale (Rolleiflex Hy6: ne abbiamo riferito lo scorso novembre), Franke & Heidecke edifica la propria personalità commerciale su una tradizione di spessore, ricca di straordinarie e gloriose vicende che hanno tratteggiato alcuni dei termini espressivi dello stesso linguaggio fotografico. Efficace e felice combinazione tra tecnica e creatività, nella quale l’espressione creativa mette appunto a fantastico frutto le potenzialità implicite ed esplicite degli strumenti, la fotografia ha consistenti debiti di riconoscenza con la propria mediazione. Come sottolineano le pacate osservazioni visive di Gudrun Thielemann e Urs Bernhard, la consapevole visione della Rolleiflex biottica avvia la declinazione di un
particolare linguaggio espressivo, legato a connotati estetici di una fotografia guidata soprattutto dal cuore. Senza posporre la capacità degli autori, che sta sopra tutto -sempre e comunque-, annotiamo la loro intelligente applicazione di una consecuzione fotografica controllata e guidata con convinta raffinatezza, eleganza e, ribadiamo, eloquenza creativa. Nel convinto e consapevole uso della Rolleiflex, tutti gli elementi tecnici si miscelano per creare una evidente serenità formale: composizione su vetro smerigliato quadrato, visione dall’alto, atteggiamento necessariamente riflessivo. Ai propri antichi tempi in perenne conflitto ideologico con i connotati propri del 24x36mm (Leica e Contax, pure tra loro in antagonismo), tra le mani di
27
GO
READY TO BERNHARD:
URS
fotografi particolarmente dotati e aperti, alla cui genìa appartengono Gudrun Thielemann e Urs Bernhard, recentemente la Rolleiflex biottica ha avviato una nuova stagione di intensa espressività fotografica. Tanto che anche in questa sede è opportuno registrare la stretta attualità tecnica delle moderne Rolleiflex biottica, certamente favorita dall’incontro con autori contemporanei (tra i quali, Gudrun Thielemann e Urs Bernhard sui quali abbiamo acceso i nostri riflettori): Rolleiflex 2.8 FX, con Zeiss Planar 80mm f/2,8, Rolleiflex 4.0 W, con Schneider Super-Angulon 50mm f/4, e Rolleiflex 4.0 FT, con Tele-Xenar 135mm f/4. A parte altre finalità del fotogramma quadrato 6x6cm, ci riferiamo in modo particolare a una rinnovata dimensione posa-
28
ta, ponderata, meditativa e attenta della fotografia. In questo senso, il rapporto formale con la Rolleiflex biottica non è affatto secondario. Due le esplicite componenti convenzionali. Uno. Nell’ambito del legame tra lo strumento tecnico e il linguaggio fotografico che ne consegue, la Rolleiflex biottica rientra nella famiglia, cui abbiamo già accennato, degli apparecchi medio formato con composizione e inquadratura su vetro smerigliato. La divisione in ipotetiche categorie di condizionamento tecnico del lessico fotografico è scandita da passaggi presto individuati: macchina fotografica portata all’altezza dell’occhio, uso del treppiedi, composizione su vetro smerigliato, cerimonia del grande formato fotografico (nella quale confluiscono il punto di ap-
ABGERISSEN BERNHARD:
DÖRRHANDTAG
URS
BERNHARD:
URS VETROCIELO BERNHARD:
PORTE BERNHARD:
URS
materiali. Tra i tanti possibili, quello della biottica Rolleiflex è uno dei casi più evidenti. Come rivela l’intelligenza fotografica di Gudrun Thielemann e Urs Bernhard non si tratta tanto di usare la biottica Rolleiflex per riproporre apparenze che appartengono a un mondo e a un periodo ormai lontani. Invece, nella coscienza del nostro tempo, delle esperienze individuali e della cultura fotografica dei nostri giorni, propongono un moderno sguardo inviolabilmente Rolleiflex. Non è certo operazione da poco, visto che, al giorno d’oggi, tante ingerenze tecnologiche hanno modificato i termini stessi del racconto fotografico. Fino ad alterare certi valori caratteristici della propria espressività compositiva. Maurizio Rebuzzini
DE L’ATELIER
URS
poggio fisso, il vetro smerigliato e i rituali dell’esposizione e dello châssis). Nella successione, che procede dalla dinamicità espressiva dell’istantanea verso una immagine posata solennemente statuaria, la biottica Rolleiflex sta giusto nel mezzo, potendo vantare sia una confortevole praticità d’uso sia una evidente meticolosità compositiva. Due. Non possiamo ignorare un palese garbo estetico, sottinteso nelle funzionalità e sequenze di uso della Rolleiflex, con gli atteggiamenti imposti dalla disposizione dei propri comandi operativi. Con questo, ammettiamo che in diverse occasioni l’uso dell’attrezzatura fotografica, con tutte le proprie componenti assolutamente razionali, si accompagna anche con un certo piacere delle forme e dei
29
La fotografia a sviluppo immediato, una delle invenzioni fondamentali del nostro tempo, che supera i confini del solo mondo fotografico, compie sessant’anni.Ancora si impongono le considerazioni sulla magia dell’immagine che crea se stessa, sia nelle applicazioni quotidiane sia nella fantastica proiezione verso la colta fotografia d’autore (arte e contorni) Simbolo stesso dell’avvenimento, il celebre ritratto di Edwin H. Land che mostra la prima fotografia pubblica a sviluppo immediato (pagina accanto) è ricavato da una inquadratura totale della presentazione del 21 febbraio 1947.
34
ieci anni dopo la celebrazione dei primi cinquant’anni Polaroid, ricordati nel febbraio 1997, la ricorrenza dei sessant’anni cambia la propria declinazione. Infatti, nei recenti dieci anni appena trascorsi, la tecnologia fotografica è stata stravolta da interpretazioni e soluzioni che hanno dato avvio a una nuova era, che per semplificazione identifichiamo come digitale. In definitiva, sono stati dieci anni che hanno completamente stravol-
D
to ogni precedente equilibrio, avviando una serie di evoluzioni tecniche e, a conseguenza, operative. Molte delle precedenti certezze sono evaporate, se ne sono affacciate di nuove e la fotografia nel proprio complesso ha compiuto balzi in avanti più consistenti di quanti abbiano scandito i decenni precedenti. La rivoluzione digitale, riconosciamolo, ha rovesciato tutto, introducendo nuovi parametri tecnici e commerciali. E poi anche sociali: discorso diverso, da affrontare in tempi e modi adeguati. Quindi, l’attuale anniversario 21 febbraio 19472007 impone una riflessione che soprattutto ponga l’accento su come la fotografia a sviluppo immediato sia stata una delle grandi invenzioni del nostro tempo, e una invenzione discriminante dal punto di vista dell’evoluzione tecnologica della fotografia, con fantastiche proiezioni e consecuzioni nel costume e nel modo complessivo di intendere l’immagine. Ancora oggi, la stessa fotografia a sviluppo immediato, così particolare e autonoma nella propria espressione, continua a ribadire e affermare un insieme di singolarità assolute, sia nelle proprie peculiari applicazioni quotidiane (professio-
SESSANT’A
nali e non), sia nelle interpretazioni di quegli artisti che fanno gesto, segno, significato dell’immagine pronta una manciata di secondi dopo lo scatto e, anche, del valore della copia unica. Tutte queste sono considerazioni che appartengono al fantastico cammino del linguaggio fotografico e all’affascinante storia di un pensiero visivo che nel corso dei decenni si è manifestato in opere che appartengono alla cultura contemporanea e alla socialità dei nostri tempi.
STORIA: DAL 1947 21 febbraio 1947 - 21 febbraio 2007: la fotografia a sviluppo immediato compie sessant’anni. Titolare del brevetto sul filtro polarizzatore, da cui l’identificazione di fabbrica, e a capo sia della divisione commerciale sia dei laboratori di ricerca della Polaroid Corporation, Edwin H. Land (1909-1991) presentò la fotografia a sviluppo immediato, pronta cinquanta secondi dopo lo scatto, con una dimostrazione a sorpresa. Riservata alla stampa e a un ristretto gruppo di addetti, la presentazione avvenne la sera di venerdì 21 febbraio 1947, nel corso dell’assemblea invernale dell’Optical Society of America, al newyorkese Hotel Pennsylvania. Un coinvolgente racconto di quella serata, condizionata da una bufera di neve che rischiò di mandare tutto all’aria, è riportato nella biografia di Land, appunto Edwin H. Land e la Polaroid (Sperling & Kupfer Editori, Milano, 1989), compilata da Peter C. Wensberg, che lavorò alla Polaroid Corporation per ventidue anni, arrivando alla carica di vicepresidente esecutivo (edizione originale: Land’s Polaroid - A company and the man who invented it; A Peter Davison book, Houghton Mifflin Company, Boston, 1987), che proponiamo in estratto in queste pagine. Due sono le leggende sull’origine dell’idea di fotografia a sviluppo immediato. Una chiama in causa Jennifer, la figlia di Edwin H. Land, che durante le feste di Natale del 1943, a Santa Fe, dopo una sessione di riprese fotografiche (con Rolleiflex), avrebbe candidamente domandato al padre «Perché non posso vederle ora?». L’altra è antecedente di diciassette anni, e risale ai tempi in cui Edwin H. Land viveva a New York, dove ebbe due visioni-intuizioni: appunto quella della fotografia istantanea, che avrebbe affrontato più avanti, e quella della polarizzazione della luce, che lo impegnò subito nel laboratorio che allestì in un seminterrato sulla Cinquantacinquesima West. Lo studio della fotografia a sviluppo immediato è durato circa cinque anni, suddivisi in due periodi. Dall’inizio del 1944, per tre anni si sono svolte
ANNI!
VENERDÌ 21 FEBBRAIO 1947
A
l di sopra del brusio dell’atrio affollato si poteva sentire la bufera. L’Hotel Pennsylvania era pieno come un uovo. Grande, poco confortevole e arredato modestamente, il Pennsylvania, che una volta era tra i migliori alberghi di Midtown dalla Penn Station all’angolo della Trentatreesima, all’altezza della Settima Avenue, contava solo sul commercio dell’abbigliamento. Nei periodi di stasi dell’abbigliamento ospitava spesso piccole convention, come quella della Optical Society of America, i cui seicentocinquanta membri la sera del 21 febbraio si trovavano già nell’albergo o stavano cercando di arrivarvi per la sessione invernale. Land era nell’atrio, in mezzo a una folla rumorosa e impaziente in attesa dell’ascensore. Il giorno prima era partito da Boston sul Merchants Limited. Il mondo, là fuori, era diventato un caos. Una bufera di neve minacciava la sua carriera, i suoi piani, la sua società e il futuro che aveva scrupolosamente costruito pezzo per pezzo durante i tre anni e mezzo precedenti. [...] Lungo la Settima Avenue imperversava la peggior bufera degli ultimi sei anni che, come il Merchants Limited, travolgeva nel proprio cammino persone, taxi, autobus e tutto ciò che non era saldamente ancorato al terreno. La radio annunciava che la bufera aveva causato fino a quel momento sei morti. L’atrio del Pennsylvania, saturo di umidità, non avrebbe po-
35
1974 nel resto del mondo. In questa occasione, arrivò il tributo del prestigioso e autorevole settimanale Life: copertina del 27 ottobre 1972, sulla quale Edwin H. Land, raffigurato con l’originaria Polaroid SX-70, è presentato come «A Genius and his Magic Camera». Ovvero, “Un genio e la sua magica macchina fotografica” (a pagina 39): la fascinosa Polaroid SX-70, che personalmente consideriamo una delle più attraenti ed eleganti macchine fotografiche della Storia, perfetto connubio tra forma e contenuto (in copertina e a pagina 41). Le evoluzioni di quell’originario progetto sono oggi presenti sul mercato in interpretazioni differenziate, sempre per pellicola a colori autosviluppanti, per fotografie immediate pratiche e utili nella vita quotidiana ed emozionanti nell’interpretazione di una vasta schiera di autori contemporanei, tra i quali annoveriamo con orgoglio l’italiano Maurizio Galimberti, in proiezione espressiva internazionale (FOTOgraphia, maggio 1995, marzo 2000 e settembre 2000).
Polaroid Model 95: primo apparecchio per fotografia a sviluppo immediato, commercializzato dal 26 novembre 1948 presso il grande magazzino Jordan Marsh di Boston, all’incrocio tra Washington e Summer street. L’originaria Polaroid Model 95 era venduta a 89 dollari e 75 centesimi; la pellicola Type 40, per otto fotografie seppia, a 1,75 dollari. La copia immediata 7,3x9,6cm, su supporto 8,3x10,8cm dai bordi frastagliati, si sviluppava in sessanta secondi all’interno dell’apparecchio.
(pagina accanto) Ritratto del trentasettenne Edwin H. Land, realizzato nel 1946 con pellicola a sviluppo immediato sperimentale. Land posa davanti all’ingresso del suo laboratorio di Osborne street, a Cambridge.
EDWIN H. LAND
le ricerche segrete che hanno portato alla presentazione pubblica dell’inizio del 1947, appena ricordata; la prima immagine sperimentale fu ripresa a soli tre mesi dall’avvio del progetto. Riferendoci alla cronologia storica, ricca di date e innovazioni (tra le quali citiamo la leggendaria Swinger del 1965 e la fotografia immediata a colori del 1963), il grande salto in avanti si concretizzò con l’annuncio della pellicola integrale a colori autosviluppanti, presentata all’inizio del 1972 e commercializzata dal 1973 negli Stati Uniti e dal
La personalità di Edwin H. Land, l’inventore della fotografia a sviluppo immediato, è stata autenticamente magnetica, in sintonia con il proprio valore scientifico. Afferma Peter C. Wensberg, autore della biografia, dalla quale riproponiamo ancora oggi, come già facemmo dieci anni fa (ma la ripetizione è opportuna), il racconto della sera del 21 febbraio 1947 (da pagina 35): «Quando lo si incontrava, la prima cosa che si notava erano gli occhi. Solo in un secondo tempo si osservavano gli altri lineamenti. Gli occhi erano l’uomo». Densa di inquadramenti storici e filosofici e ricca di avvincenti dietro-le-quinte, Edwin H. Land e la Polaroid è esattamente ciò che il sottotitolo promette: La storia di un grande inventore e di un colosso industriale. Come precisato in introduzione, argomenti del libro «sono la Polaroid e Land, nel pe-
VENERDÌ 21 FEBBRAIO 1947 tuto accogliere un’altra persona. Scienziati e giornalisti intirizziti dal freddo e bagnati fradici assediavano impazienti il banco della reception, tormentavano i fattorini, si affollavano al bar e litigavano con il capo-cameriere nella sala da pranzo. Il gruppo di persone che si trovava davanti agli ascensori aspettava sempre più spazientito. Uno dei quattro ascensori era fuori servizio ed erano passati quindici minuti da quando le porte dell’ultimo si erano aperte. Preoccupato dal fischiare del vento, pochi minuti prima, Land era uscito attraverso la porta girevole e aveva percepito la violenza della bufera. La natura era crudele e indifferente. La neve, trascinata come una massa bianca oltre il tendone dell’albergo, si ammassava contro le cassette della posta e i segnali delle fermate degli autobus, senza dar segno di smettere. Alle quattro del pomeriggio, la strada era buia come in piena notte e al di là della strada si distinguevano a malapena le imponenti colonne dei Baths of Caracalla. Land era molto preoccupato per la sorte del camion che, partito da Cambridge, trasportava l’attrezzatura indispensabile per la dimostrazione di quella sera. Se fosse stato in ritardo o addirittura non fosse arrivato, no, non poteva nemmeno prendere in considerazione un simile disastro. Era stato proprio Howie Rogers a decidere di partire con il camion quel pomeriggio. Land si pentì amaramente di non avergli
36
detto di prendere il treno. Howie poteva non farcela e lui aveva bisogno della sua presenza. Nel giro di due ore si sarebbe trovato sull’orlo del precipizio e voleva il sostegno dei suoi uomini. Erano il suo pubblico più importante. Per mesi si era preparato con loro a quella serata: la dimostrazione era stata provata cento, duecento volte, perfezionandone a ogni ripetizione lo svolgimento, le parole e l’effetto drammatico, finché le ultime venti prove erano state tutte uguali tra loro. Aveva bisogno del supporto del pubblico davanti al quale aveva messo in scena un’intera stagione di rappresentazioni notturne. Aveva disperato bisogno di loro quella sera! [...] Bill McCune e Otto Wolf erano arrivati con Land il giorno prima, giovedì, con parte delle macchine fotografiche, le luci, la pellicola e gli strumenti. Dopo averli controllati, avevano montato l’apparecchiatura nella piccola camera d’albergo di Land, avevano fatto una prova, avevano trovato un cortocircuito nei collegamenti del motore elettrico che faceva avanzare i rulli di sviluppo. Erano occorse diverse ore per riallacciare i fili e alla fine avevano provato tutto un’altra volta. [...] Assieme a Maxfield Parrish Jr, Otto aveva supervisionato non solo le modifiche apportate alla macchina fotografica 8x10 pollici, che sarebbe stata il pezzo forte della dimostrazione di quella sera, ma anche quelle della 4x5 pollici Speed Graphic, la classica macchina dei reporter che sarebbe stata usata come appoggio. Otto conosceva
riodo compreso tra il 1926 e il 1982, quando la società e l’uomo erano inseparabili, praticamente indistinguibili». Quella di Edwin H. Land è stata soprattutto la vita di una mente, ed è più che ovvio che la sua figura giganteggi ancora pure sull’attuale sessantesimo anniversario dallo storico annuncio della fotografia a sviluppo immediato, la sera del 21 febbraio 1947, all’Hotel Pennsylvania di New York. Mancato il Primo marzo 1991, all’età di quasi ottantadue anni (era nato il 7 maggio 1909), Edwin H. Land è stato l’ultimo dei geni, in una società che ormai inquadra qualsiasi intuizione in programmi manageriali e di ricerca d’équipe. Arrivato da un’epoca romantica, riuscì a cavalcare i tempi moderni con una personalità scientifica e aziendale più che unica, fino a inventare nuovi modi di intendere la fotografia e l’impegno personale, che facevano il paio con un accattivante modo di intendere la vita. “Polaroid” è un termine coniato nel 1934 da Clarence Kennedy, un professore dello Smith College amico e consulente di Land. All’inizio, designava il primo prodotto commerciale della neocostituita azienda, un materiale polarizzante sintetico di plastica; successivamente, fu attribuito alla società creata da Edwin H. Land. A posteriori, “Polaroid” è risultata una scelta felice, e nel corso del tempo ha finito per indicare una serie di apparecchi fotografici e una gamma di pellicole; inoltre, e con onore, l’identificazione “Polaroid” fa parte del vocabolario internazionale dei prodotti e del commercio. Tanto più che il termine “polaroid” (minuscolo), inteso come sinonimo di fotografia a sviluppo immediato, può addirittura essere declinato come sostantivo; e questo lo consideriamo un grande riconoscimento: dal nome proprio al nome comune. Ancora, vanno ricordate alcune espressioni inserite da Edwin H. Land nelle proprie relazioni agli azionisti o in testi per riviste scientifiche. Scrittore scrupoloso («niente di ciò che Land ha affidato alla
VENERDÌ 21 FEBBRAIO 1947 ogni vite, ogni molla dei due apparecchi e nel reparto prototipi della Polaroid, che lavorava in un’aura di segretezza superiore a quella delle loro attività in tempo di guerra, aveva progettato e realizzato le unità di sviluppo della pellicola per entrambi. Bill McCune, un ingegnere automobilistico proveniente dalla General Motors, era stato anche lui coinvolto con Otto nella progettazione del prototipo della macchina fotografica Polaroid. Esistevano già diversi rozzi modelli dell’SX-70 nel retrobottega del reparto [attenzione, “SX-70” fu la sigla in codice dello studio della fotografia a sviluppo immediato; dunque, non si tratta del successivo primo sistema integrale a colori autosviluppanti degli anni Settanta, la cui denominazione fu appunto un omaggio a questo progetto originario; ndr]. [...] Nella Georgian Room stavano sistemando le sedie attorno a tavoli da dodici, mentre il tavolo principale veniva accostato alla parete più corta della sala. Due piccoli tavolini e quattro sedie erano stati lasciati in un angolo per la dimostrazione di Land. Il personale dell’albergo avrebbe terminato il suo lavoro verso le 17,45. Gli invitati avrebbero cominciato ad arrivare poco prima delle 19,00, in tempo per una cena informale. Se il camion fosse giunto in orario, Land, McCune e Wolf avrebbero avuto un’ora di tempo per scaricare e portare dentro l’attrezzatura, montarla, ripassare le procedure ancora una volta, se ce ne fosse sta-
to il tempo, e raggiungere le proprie postazioni: Land al tavolo principale, McCune, Wolf, Eudoxia Muller, Meroë Morse, David Grey e Howie, se fosse arrivato in tempo, a quello dei partecipanti di minore riguardo. Arrivò l’ascensore e ne uscirono almeno quattro persone in più rispetto alla capienza indicata. Incurante della calca, Land accantonò i propri pensieri, con la speranza che Bill e Otto tenessero d’occhio il passare del tempo. Avrei dovuto tenerli qui con me, pensò. [...] Il dottor Max Herzberger e la dottoressa Mary Warga presentarono una relazione delle loro recenti visite ai laboratori ottico-spettroscopici in Inghilterra e Francia, in particolare della Réunion d’Opticiens di Parigi, nella quale avevano rappresentato la Optical Society of America. [...] Il fotografo del New York Times non aveva trovato particolarmente interessanti Herzberger e Warga e non era rimasto colpito dalla relazione sulle ultime invenzioni europee nel campo dell’attrezzatura per registrare gli spettri infrarossi, come del resto non lo interessavano le celebrità della Réunion d’Opticiens. Era pronto a uccidere per un drink. Aveva camminato, o meglio corso, da quando la forza del vento lo aveva costretto al trotto, lottando per restare in piedi dall’IRT all’Hotel Pennsylvania. Le sue scarpe erano fradice e il suo impermeabile, gettato su una pila di cappotti, cappelli e calosce, zuppo. Stava già tramando la propria vendetta nei confron-
37
Annunci pubblicitari Polaroid delle origini. Da Modern Photography dell’agosto 1949, una pubblicità informativa del processo di sviluppo immediato. Quindi, due testimonianze della fine degli anni Cinquanta: il jazzista Louis Armstrong, fotografato da Bern Stern, e la pittrice Grandma Moses, in occasione del suo centesimo compleanno (celebrato anche da Time Magazine e Life; l’artista è mancata nel 1961, a centoun anni).
carta ha avuto qualcosa di meno della sua totale concentrazione», precisa Peter C. Wensberg), Edwin H. Land è stato anche un grande istrione, capace di calcolare l’effetto delle proprie affermazioni. Ne segnaliamo tre: «Non c’è problema che non possa essere risolto usando il materiale presente nella stanza», «Tutto ciò che vale la pena di fare, vale la pena di essere fatto all’eccesso» e «Il presente è il passato che morde nel futuro».
AL CINEMA Citazioni cinematografiche di Polaroid, estrapolate dalla mostra Fotografia & Cinema. Fotogrammi celebri, a cura di Maurizio e Filippo Rebuzzini, allestita alla Galleria Grazia Neri di Milano fino al 28 febbraio, e dall’inedito saggio che approfondisce l’argomento. È inevitabilmente Polaroid tra le mani dell’attrice Hearther Graham, nei panni di Brandy “Rollergirl”, in Boogie Nights - L’altra Hollywood (Boogie Nights, di Paul Thomas Anderson; Usa, 1997): decadenza del-
la società americana, attraverso le vicende che ruotano attorno il mondo della pornografia. Libera ispirazione alla vita di John Holmes, con naturale e inevitabile contorno di fotografia a sviluppo immediato (diciamo, da polaroid a “pornolaroid” e contorni). Polarock, ovviamente “rock”, sono le macchine fotografiche a espulsione automatica della stampa a sviluppo immediato nei due I Flintstones e I Flintstones in Viva Rock Vegas (The Flintstones e The Flintstones in Viva Rock Vegas, di Brian Levant; Usa, 1994 e 2000), trasposizioni cinematografiche dei celebri cartoni animati della prolifica coppia Hanna & Barbera (conosciuti in Italia come Gli antenati ). Nel primo film, una fantasiosa Polarock è usata da Wilma Flintstone (l’attrice Elizabeth Perkins), moglie di Fred Flintstone (John Goodman); nel secondo, dalla fotografa di Rock Vegas (l’attrice Beverly Sanders). Fotoricordo polaroid alle Cascate del Niagara, nella seconda avventura cinematografica dell’unico supereroe che arriva dallo spazio (Superman II,
VENERDÌ 21 FEBBRAIO 1947 ti del redattore fotografico della notte, che gli aveva rifilato quel maledetto incarico quando aveva timbrato il cartellino del turno notturno. Che bello scherzo! Un gruppo di barbe uscite dal campus di un college che se la spassavano a New York con pollo alla panna e insalata Jell-O. Persino le donne avevano la barba ai suoi occhi inveleniti quando passò in rassegna la Georgian Room, dove quattrocento convitati applaudivano educatamente Duffendack mentre spazzolavano i piatti del dessert. Il fotografo del Times aveva tuttavia notato con leggero stupore che era presente un certo numero di suoi colleghi: Herb Nichols, capo fotografo del Christian Science Monitor ; un reporter dell’Associated Press; uno di Life, tutti con la propria attrezzatura fotografica. Sembravano annoiati quanto lui e come se stessero aspettando qualcosa che giustificasse la loro presenza sul posto o cercando l’occasione buona per andarsene al bar, in redazione o a casa. Il fotografo decise che il servizio su quel circolo accademico di cucito giustificava un’altra ora. Forse si sarebbe fatto vedere qualcuno che valeva la pena fotografare. Notò che alcuni reporter se ne stavano vicino alla porta sul fondo della stanza soffocante a guardare senza alcun interesse i tre grandi lampadari, le dorature ormai screpolate e il vasellame segnato del pranzo. Troppo lontani per attirare la loro attenzione senza mettersi a propria volta in mostra, decise, e così si allungò sulla sua sedia e chiuse gli occhi.
38
Duffendack si alzò per introdurre il successivo intervento. Un nome perfetto per il presidente di questo gruppo, pensò l’uomo del Times non appena il maestro delle cerimonie si sedette lasciando la parola a un giovane imberbe che si alzò tra sporadici applausi. La sua faccia da bambino si atteggiò in un torvo sorriso di ringraziamento, poi cominciò a parlare con voce bassa e monotona, mentre il fotografo sentiva che il divino sonno stava per sopraffarlo. Gli avrebbe concesso un’altra mezz’ora, poi se la sarebbe svignata, a costo di camminare sui tavoli per andarsene di lì. Mentre stava scivolando nel sonno, la sua mente registrò la parola macchina fotografica. Aprì un occhio. L’oratore stava dicendo che la fotografia era sempre stata il suo hobby. Se ne era occupato durante la guerra, quando lavorava sui missili guidati per la Marina. «Io non so molto di fotografie», disse con indovinata modestia. Il completo tre pezzi grigio scuro e la banale cravatta a righe diagonali gli conferivano l’aspetto più di un vicedirettore di banca che di uno scienziato ottico. I suoi occhi, tuttavia, tradivano modi gentili. La sua bocca sorrideva, la sua voce era serena, ma i suoi occhi erano mortalmente seri. «Ma, come tutti gli hobbisti, ho letto molto della storia della fotografia, soprattutto per quanto riguarda gli esperimenti di Fox Talbot.» Poiché non sapeva chi fossero né Fox né Talbot, il fotografo cominciò di nuovo a sonnecchiare, ma si risvegliò non appena l’oratore scese dal podio e
1972) OTTOBRE
LIFE (27 1972) GIUGNO
Invece, in L’uomo dei sogni (Field of Dreams, di Phil Alden Robinson; Usa, 1989) per un attimo è inquadrato il tabellone segnapunti del Fenway Park, dove giocano i Boston Red Sox, con evidente il logotipo di uno degli sponsor cittadini: Polaroid, appunto. Rispettivi dialoghi in rimbalzo, identici nella sostanza dei propri singoli riferimenti, allineano due film assolutamente autonomi. In entrambe le sceneggiature, incontriamo lo stesso richiamo alla campagna
TIME MAGAZINE (26
di Richard Lester; Gran Bretagna, 1980). Nei panni del timido Clark Kent, Superman (Christopher Reeve) freme perché ha percepito di dover intervenire per salvare una vita. Ci mancherebbe altro. Nella serie televisiva del tenente Colombo, ampiamente replicata in Italia, seconda avventura della quarta stagione, Una mossa sbagliata (Negative Reaction, di Alf Kjellin; Usa, 1974) ha come protagonista un fotografo professionista, che uccide la moglie dopo averne inscenato il (falso) rapimento. L’abile investigatore, tratteggiato dall’impagabile Peter Falk, smaschera Paul Galesko, con il volto di Dick Van Dyke, agendo su due piani. In quello psicologico, fa leva sull’orgoglio professionale del fotografo (sulla cui pista viene avviato da una polaroid rintracciata sul luogo del delitto, scartata perché imperfetta nell’inquadratura e distribuzione della luce); in quello pratico e giudiziario, tende un tranello basandosi sul rovesciamento proditorio di una inquadratura fotografica, di fronte alla quale l’assassino si smentisce da sé. Insomma, orgoglio e pregiudizio. Nella sostanza, la coincidenza Colombo-polaroid si allunga sulla sceneggiatura di Senza via di scampo (No Way Out, di Roger Donaldson; Usa, 1987), nel quale la paziente ricostruzione computerizzata di una debole matrice polaroid a colori (al negativo) è uno degli elementi chiave del film. In un intreccio di coincidenze e forzature di carattere politico, questo minimo dettaglio esistenziale del rapporto intimo tra l’allegra Susan Atwell (Sean Young) e l’ufficiale di Marina Tom Farrell (Kevin Costner) è finalizzato alla copertura dell’omicidio della ragazza, commesso dall’amante ufficiale David Brice, segretario alla Difesa (Gene Hackman). Mentre le indagini proseguono febbrili, abilmente pilotate dallo staff dell’alto funzionario, sui monitor dei computer dei servizi segreti avanza inesorabile la ricostruzione della fotografia. Dato il carattere del film, spionaggio e thriller con finale a sorpresa, non è il caso di rivelare nulla di più.
VENERDÌ 21 FEBBRAIO 1947 attraversò la stanza dirigendosi verso un angolo dove erano stati sistemati un vecchio tavolo di quercia circondato da tre sedie di metallo e un paravento aperto. Intervennero due uomini a piegare il paravento, scoprendo una grande macchina fotografica fissata a un treppiedi fiancheggiato da riflettori. Il fotografo del Times si preparò a battersela. L’amico si accingeva a scattare delle fotografie di quelle barbe. Recuperò la valigia contenente la sua attrezzatura e si diresse verso la porta. Land si sedette di fronte alla macchina fotografica. Aspetta un momento: sta per scattare una fotografa a se stesso. L’uomo del Times interruppe la sua fuga mentre venivano accesi i riflettori, uno dietro la macchina fotografica, l’altro alla destra di Land. Questi continuò a parlare, a descrivere al pubblico, che in parte si era alzato per vedere meglio, che cosa stava facendo. Recuperò una peretta di gomma collegata all’otturatore con un sottile tubo ad aria. Contorse il viso in un lieve sorriso mentre schiacciava la peretta e nella stanza si sentì chiaramente il clic dell’otturatore. «Ora accendo il motore elettrico che guida i cilindri di sviluppo», disse. Herb Nichols del Monitor si avvicinò e fotografò la scena. Accanto a Land e alla grande macchina fotografica c’erano parecchi uomini e donne, la cui espressione, mentre lo guardavano, andava dallo stupito allo scettico. Un altro fotografo sollevò la macchina e scattò dall’angolo opposto, prendendo Nichols sullo sfondo, dietro Land. An-
che Nichols aveva un’espressione stupita. Land stette a guardare un timer da camera oscura con una grande lancetta dei secondi posato sul tavolo davanti a lui. «Cinquanta secondi», disse con una voce così tirata che gracchiò. Otto Wolf aprì la lucente camera di metallo non lavorato collegata alla parte posteriore color mogano della bella, vecchia Deardorff e con un coltello separò due fogli di carta grandi come un foglio da lettera, ben appiccicati tra loro. Li tese a Land, che era ancora seduto, lo sguardo fisso all’occhio della macchina che guardava alle sue spalle. Otto gli porse nuovamente il sandwich di carta; lui lo prese e si volse a guardare la Graflex del fotografo del Monitor. L’espressione intenta, seria, la bocca non più sorridente, ma tirata in una linea diritta. Guardami, dicevano i suoi occhi, ma non parlò. Guardami. La sala era silenziosa. Guardami. Separò i due fogli con un leggero crepitio e li mise davanti alla macchina fotografica di Nichols, che immediatamente reagì. La stanza fu percorsa da un ansito meravigliato. Land teneva nella mano destra una lucida fotografia di se stesso, il viso solo appena più piccolo del naturale. La sinistra, appoggiata sul tavolo, stringeva l’immagine negativa della stessa faccia tranquilla colta dal suo stesso schiacciare il pulsante proprio mentre il sorriso svaniva. La scena restò immobile per un attimo, poi l’inviato del Times rovesciò la sua sedia tuffandosi verso Land, tenendo alta la macchi-
39
VENERDÌ 21 FEBBRAIO 1947 na fotografica, travolgendo ospiti e camerieri. In un attimo Land fu circondato da fotografi e giornalisti che urlavano perché ripetesse, spiegasse, si mettesse in posa, si alzasse. Lui non fece niente di tutto ciò. Sorrise nuovamente a Otto, stavolta un sorriso beato di gioia e liberazione. Aspettò che Duffendack liberasse lo spazio davanti al tavolo, in modo che la sala potesse vederlo di nuovo. Quando la calma fu ristabilita, Land ripeté l’operazione accompagnato dal continuo crepitare dei flash. Questa volta l’epilogo fu immortalato da tutti i fotografi presenti. Land ripeté le due espressioni con straordinaria accuratezza. La tranquilla immagine del suo viso nella sua stessa fotografia accanto alla ammaliante sfida degli occhi che esigevano l’attenzione delle macchine fotografiche dei giornalisti. Tenendo la sua fotografia vicino al viso, mostrava due uomini separati da un grande avvenimento, il vecchio Land e il nuovo Land. Tra loro una apparizione, la manifestazione dell’esperienza intuitiva di tre anni prima a Santa Fe, che gli aveva offerto quello che cercava da tutta la vita: un campo tutto suo, un territorio che lui solo poteva abitare, dominare, governare. Non apparteneva all’uomo della fotografia, all’uomo tranquillo, serio, pensieroso. Apparteneva al giovane stregone che teneva in alto l’immagine magica, lo sciamano i cui occhi guardavano ardenti la macchina fotografica. In un magico istante Land aveva reinventato la fotografia, la sua società e se stesso.
40
Mai una nascita fu così vividamente registrata. La fotografia apparve sulla rivista Life una settimana dopo a pagina piena, una delle classiche fotografie di quel decennio, in seguito ristampata in ogni retrospettiva fotografica degli Anni Quaranta e Cinquanta. Comparve il mattino successivo sulla prima pagina della seconda rubrica del New York Times, insieme con l’articolo di una colonna di William Laurence, più parole di quante il Times riservasse quel giorno alle battaglie, alle elezioni e alla morte dei grandi uomini. Comparve sulla prima pagina del Rochester Democrat and Chronicle, dove fu vista con un misto di emozioni dal management e dai dipartimenti della Eastman Kodak, nella città dove aveva sede la società. Comparve su giornali e riviste di tutta America e in quasi tutta la stampa mondiale. La fotografia istantanea ebbe gloria immediata. In una sola immagine era tutto spiegato, tutto detto, tutto mostrato dell’uomo e del processo. Quella sera era stata ripetuta e fotografata più e più volte, finché non c’era più stato dubbio che tutti i fotografi presenti l’avessero fotografata, fotografata proprio come Land l’aveva recitata. La sessione del pranzo informale dell’assemblea invernale della Optical Society of America degenerò in un ricevimento. Howie Rogers, che era arrivato appena prima del pranzo, subito dopo il camion con l’attrezzatura, aprendosi la strada sul Merrit Parkway bloccato dalla neve; Bill McCune, Otto Wolf, Meroë Morse e David
pubblicitaria statunitense che ha legato il volto dell’attore inglese sir Laurence Olivier al marchio Polaroid, del quale fu testimonial di prestigio per la fotografia a sviluppo immediato nei primi anni Settanta. In La febbre del sabato sera (Saturday Night Fever, di John Badham; Usa, 1977), centralinista presso una agenzia pubblicitaria di New York City, Annette (Donna Pescow) racconta al fidanzato Tony Manero (John Travolta) di aver ricevuto, durante la giornata, un famoso attore: (circa) «Non so come si chiama, ma è l’attore della pubblicità Polaroid». In sintonia, un passaggio coincidente in Last action hero - L’ultimo grande eroe (Last Action Hero, di John McTiernan; Usa, 1993). Proiettando in classe il film Amleto (Hamlet, regia e interpretazione di Laurence Olivier; Gran Bretagna, 1948), l’insegnante certifica agli allievi la qualità dell’attore protagonista, appunto noto al grande pubblico per gli annunci commerciali del sistema Polaroid SX70, il primo e l’originario a colori autosviluppanti.
laroid: all’occhio per lo scatto e mentre attiva lo sviluppo immediato della fotografia (attenzione: ricordiamo che Eisenhower fu anche fotografo stereo; FOTOgraphia, settembre 2004). Dal 1954, la promozione commerciale del sistema Polaroid fu abbinata al seguìto Tonight Show di Steve Allen, all’epoca uno dei programmi televisivi statunitensi di maggior successo di pubblico. In seguito, a partire dai primi anni Sessanta, per gli annunci stampa furono coinvolti noti fotografi professionisti, testimonial di prestigio, tra i quali il celebre Bert Stern. In quelle messe in pagina, furono altrettanto autorevoli i personaggi fotografati, a propria volta e loro pure testimonial: tra i tanti, ricordiamo i ritratti del jazzista Louis Armstrong (a pagina 38), del regista Alfred Hitchcock e del pittore Salvador Dalí. Nel 1965, per il lancio della Swinger, macchina fotografica semplificata per sole polaroid bianconero, furono usate le gambe di un’allora anonima assistente di un fotografo:
ANEDDOTI (CIRCA) Molti sono gli aneddoti sulla vita e l’opera di Edwin H. Land, puntualmente riportati nella coinvolgente biografia di Peter C. Wensberg, che sottolinea anche la particolare amicizia che legò Land ad Ansel Adams, consulente aziendale dal 1948 alla sua scomparsa, nel 1984, e le loro escursioni fotografiche insieme. Altrettanti sono gli aneddoti sui prodotti. Su questi ci soffermiamo, a partire dalla gratificante menzione dell’originaria Polaroid Model 95 in una striscia di The Saint, fumetto sceneggiato da Leslie Charteris e disegnato da Mike Roy, pubblicato nel 1949 (in dettaglio, a pagina 3, con successiva visualizzazione completa e commento dettagliato in Sommario, a pagina 4). Quindi, segnaliamo che nel 1955 un quotidiano della Pennsylvania pubblicò due ritratti del presidente Dwight D. Eisenhower con Po-
(pagina accanto) Percorso della luce al mirino reflex della Polaroid SX-70 e sulla pellicola integrale a colori autosviluppanti.
Personalmente, consideriamo la Polaroid SX-70 del 1972, commercializzata negli Stati Uniti dal 1973 e nel resto del mondo dal 1974, una delle più attraenti ed eleganti macchine fotografiche della Storia: perfetto connubio tra forma e contenuto. Oppure, come annotato in Memorabilia del settembre 1996, forma ed estetica della fotografia. Ancora: funzionalità della forma.
VENERDÌ 21 FEBBRAIO 1947 Grey a turno scattarono fotografie agli ospiti con la Speed Graphic, mentre Land dava dimostrazioni del processo con una piccola serie di cilindri appoggiati sul tavolo. I giornalisti si affollavano attorno a lui. Ogni tanto la grande 8x10 pollici scattava, riprendendo Land con la testa china mentre maneggiava i cilindri. Più volte gli chiesero quando sarebbe stata sul mercato e quanto sarebbe costata. «Occorreranno diversi mesi prima di poterlo dire». La negativa di carta veniva buttata via? «Sì, ma possiamo produrre una negativa su pellicola che può essere usata per fare altre stampe». «Combinazioni di pellicole e di formulazioni chimiche differenti forniranno un’ampia gamma di velocità, contrasti e altre caratteristiche fotografiche». Sorrise a Laurence e disse: «I nuovi processi sono di per sé adattabili ai raggi X, alla fotografia a colori e al cinema». Tutte le penne scrivevano in gran fretta sui blocchi. Howie sobbalzò, fin troppo consapevole delle torreggianti vette che avrebbero dovuto essere scalate per raggiungere il colore. Land indicò una delle immagini sparpagliate sul tavolo davanti a lui, sulla quale compariva solo la cima della sua testa e la punta delle dita. Rise e disse: «Questa è una delle fotografie più significative fatte questa sera. Illustra un punto molto importante. Se una fotografia non vi soddisfa, il nuovo processo vi permette di rifarla», la parola fu sottolineata, «immediatamente, correggendo l’errore. Sa-
pete che potete avere una fotografia perfetta subito. Non sarete mai più delusi». Il processo fu ripetuto più volte. Nessuno restava deluso. La gente si ammassava accanto ai fortunati che erano stati fotografati. Ma già si discuteva la differenza tra i verbi. Queste fotografie non erano “fatte”, l’immagine non era registrata, mandata a un laboratorio o portata in una camera oscura per essere sviluppata, fissata e stampata, poi rimandata forse al proprietario del viso in questione, o forse no. Queste fotografie erano “prese”, poi restituite al soggetto; tutto il processo di posa, esposizione, attesa e risposta era condiviso sia dal soggetto sia da chi prendeva la fotografia. Era una esperienza nuova, un nuovo piacere. Ogni volta che Land faceva scattare l’otturatore della Speed Graphic o della grande Deardorff, la luce, fornita alla prima da un flash, alla seconda da proiettori, entrava attraverso l’obiettivo e ricadeva sulla pellicola, cedendo la sua energia ai cristalli di alogenuro d’argento che ne rivestivano la superficie. Questa energia faceva sì che all’interno di alcuni cristalli si formassero pochi atomi di argento metallico; più luce cadeva su un punto della pellicola, più atomi di argento venivano creati. Una volta sviluppati, i cristalli di alogenuro contenenti argento puro ridiventavano neri. Così le aree più luminose dell’immagine, per esempio la fronte di Land, dopo lo sviluppo erano le più nere. Le zone nere della scena, come gli occhi
41
Il film Il favoloso mondo di Amélie ( Le fabuleux destin d’Amélie Poulain, di Jean-Pierre Jeunet; Francia e Germania, 2001) racconta una delicata storia d’amore, alla quale la fotografia offre propri contributi particolari: ne abbiamo scritto nell’ottobre 2005, anteponendo la poesia della fiaba alla combinazione fotografica. Due sono le relazioni fotografiche del film: la principale è con la fototessera da cabina automatica e quella marginale, ma neppure poi tanto, è con una sequenza di polaroid. Parliamone. Nel proprio intento di cambiare in meglio le vite altrui, Amélie suggerisce al padre il potere terapeutico dei viaggi, utili per risollevarsi dalle malinconie che lo stanno abbattendo. Inascoltata, rapisce il nanetto da giardino che è l’unico “amico” e confidente del padre, incarica una hostess che viaggia per il mondo di fotografarlo in ogni città nella quale fa scalo e di spedirgli le polaroid. Singolare e simpatico ruolo di riflessione conferito alla fotografia istantanea. In effetti, quando il nanetto torna a casa, l’azione ha una propria funzione positiva sulle riconsiderazioni della vita che il padre di Amélie si trova a fare.
Ali MacGraw, che poi sarebbe diventata attrice (in Love Story, del 1970, la sua interpretazione più nota) e moglie di Steve McQueen. La Big Shot del 1971, apparecchio a fuoco prefissato per ritratto, fu resa famosa da Andy Warhol. Mentre per la SX-70, la prima con pellicola integrale a colori autosviluppanti, ripetiamo le menzioni alla copertina di Life del 27 ottobre 1972 e alla pubblicità televisiva statunitense con testimonial di pregio e prestigio: sir Laurence Olivier. Aggiungiamo, quindi, la segnalazione della copertina di Time Magazine del precedente 26 giugno, con un ritratto di Edwin H. Land realizzato da Alfred Eisenstaedt, incorniciato nella sagoma caratteristica della copia polaroid (a pagina 39).
Nel successivo 1975, la pubblicità televisiva dell’evoluzione SX-70 Model 3 fu invece affidata al volto dell’attrice Candice Bergen, che l’anno dopo cedette il passo a Alan Alda, con il quale iniziò la promozione commerciale degli apparecchi semplificati, che dal 1977, per oltre quattro anni, furono poi pubblicizzati dalla coppia Mariette Hartley e James Garner. Infine, all’inizio degli anni Ottanta, sempre negli Stati Uniti, la pellicola integrale a sviluppo rapido Time-Zero fu affidata alla simpatia dei Muppets. Ancora, in una presentazione ufficiale in Vaticano, nel 1974, la fotografia autoespulsa dall’apparecchio, che si sviluppa alla luce, emozionò papa Paolo VI. La leggenda vuole che il papa avrebbe esclamato «È un miracolo»; così ne riferì l’allora direttore della comunicazione Polaroid Italia, Giuseppe (Peppo) Mojana, creando appunto la leggenda. Ma oggi, come allora, siamo scettici; anzi, non ci crediamo proprio. Sempre in Vaticano, nel 1979 fu realizzata una straordinaria documentazione e rilevazione fotografica della Trasfigurazione di Raffaello con materiali polaroid sperimentali e particolari, a partire dalla fantastica dotazione 50x60cm, che negli anni a seguire è stata usata da fotografi di tutto il mondo (a metà degli anni Ottanta, per un mese intero, numerosi professionisti e artisti italiani si alternarono sul set allora allestito ai 117 Studios di Milano: stagione indimenticabile). La stessa documentazione capillare Polaroid 50x60cm ha accompagnato anche il restauro dell’Ultima cena, di Leonardo da Vinci (FOTOgraphia, marzo 2003). La campagna fotografica relativa al più recente restauro, promosso dalla Soprintendenza ai Beni artistici e storici di Milano e curato da Pinin Brambilla Barcilon, si è rifatta al rilevamento dell’opera dell’inizio del Novecento: tagli, inquadrature e combinazioni. La rilevazione scientifica Polaroid, con la fantastica apparecchiatura per fotografie 50x60cm a sviluppo immediato, ha aggiunto il colore. Ma, soprat-
VENERDÌ 21 FEBBRAIO 1947 e le sopracciglia, venivano registrate sulla pellicola da cristalli non esposti, quindi non diventavano nere durante lo sviluppo. Questa immagine latente, nella quale i valori della luce e del buio erano invertiti, era la negativa. La fotografia convenzionale effettuava lo sviluppo mediante l’immersione della negativa in un agente chimico, in genere l’idrochinone, in una camera oscura perché altra luce non potesse avere effetto sull’impressione in alogenuro d’argento della scena originale. Dopo lo sviluppo, la negativa veniva immersa in una soluzione di iposolfito di sodio, che scioglieva i cristalli non esposti e non sviluppati e li eliminava. Infine, la negativa veniva fissata e fatta asciugare. Per produrre una fotografia utilizzabile, si doveva ripetere il processo in una camera oscura, esponendo un foglio di carta fotosensibile attraverso la negativa, per rovesciare l’immagine rovesciata e la stampa che ne risultava, cioè una vera rappresentazione della scena originale, doveva essere nuovamente sviluppata, fissata, lavata e fatta asciugare. Land realizzò la sua magia in un modo nuovo e ingegnoso. Utilizzò l’argento, che di norma veniva eliminato dall’iposolfito durante il lavaggio, l’argento che rappresentava le zone scure della scena, per formare le aree scure della stampa. Tutti i prodotti chimici necessari per il processo di sviluppo, l’idrochinone e l’iposolfito, più qualche altro, si trovavano in una gelatina morbida come il burro, incapsulata in un con-
42
tenitore sigillato, che Land chiamava il guscio. A ciascun foglio di carta positiva da stampa era attaccato un guscio. Dopo che la macchina fotografica aveva esposto alla luce della scena la carta negativa fotosensibile, i due fogli venivano accoppiati, faccia a faccia, dai cilindri di sviluppo e uscivano pressati insieme, come due asciugamani da una asciugatrice a pressione. Mentre passavano tra i due cilindri di acciaio, il guscio si rompeva e le sostanze chimiche viscose si distribuivano in modo uniforme tra loro su tutta la superficie comune. Il successo del processo dipendeva completamente dalla precisione del sistema di distribuzione delle sostanze chimiche: dalle superfici assolutamente lisce dei due cilindri; dalla pressione accuratamente regolata tra loro; dalla quantità esattamente dosata del reagente necessaria per coprire la superficie comune alla negativa e alla positiva senza omettere un angolo o trabordare oltre i margini. Quando entravano in contatto con i due fogli, le sostanze chimiche cominciavano a lavorare velocemente. L’idrochinone trasformava i cristalli di alogenuro d’argento esposti in argento sulla negativa. L’iposolfito raccoglieva in una soluzione i cristalli non esposti che, invece di essere eliminati dal lavaggio, si trasferivano con elegante precisione sulla positiva, dove l’argento depositava l’immagine positiva. Così Land produceva simultaneamente negativa e positiva. La soluzione di sviluppo svolgeva due funzioni: fissava i grani di argento esposto
tutto, ha permesso un’indagine scientifica al naturale. Infatti, tutte le fotografie sono state riprese con rapporto 1:1, che ha evitato la creazione di distorsioni che avrebbero potuto manifestarsi in fase di ingrandimento e sviluppo di fotogrammi di dimensioni inferiori. La documentazione Polaroid è stata effettuata in tempi diversi, in fasi successive del restauro. Infine, segnaliamo che nel 1985 Polaroid realizzò una particolare confezione imbustata della diapositiva 4x5 pollici, da esporre con il proprio châssis
545, che evitava l’uso dei comuni châssis in formato. L’idea ebbe versioni successive Kodak e Fujifilm. La storia Polaroid, come ogni storia di spessore, è infinita. Così come lo sono le sue particolari applicazioni. Non andiamo oltre. Ci sarebbe tanto da dire e scrivere (per esempio, diapositiva 35mm e cinema a passo ridotto, sempre a sviluppo immediato), ma ora ci limitiamo all’augurio di un felice compleanno. Sessant’anni portati bene. Maurizio Rebuzzini
L’ultimo dei geni. Edwin H. Land ha impersonificato la creatività intellettuale al servizio dell’invenzione scientifica: profetiche intuizioni e ammirevoli sogni hanno tratteggiato magistrali termini di una personalità tra le più alte e nobili del Novecento. Celebri e appassionati sono stati i suoi studi, soprattutto indirizzati alla colorimetria e alla percezione visiva. Nel campo fotografico, nel quale ha agito con coerente e costante concretezza (anche imprenditoriale), Edwin H. Land ha studiato e realizzato lo sviluppo immediato delle immagini. Scienziato e inventore, Edwin H. Land è stato anche definito “sognatore”: per la straordinaria fantasia delle proprie intuizioni e per il pionierismo della sua scienza.
VENERDÌ 21 FEBBRAIO 1947 sulla negativa e sviluppava l’argento non esposto nella soluzione di iposolfito sulla superficie della positiva. L’iposolfito faceva da ponte, depositando i cristalli non esposti dalla negativa alla positiva, finché l’immagine era completamente formata dagli ioni contenuti. Alla dimostrazione all’Hotel Pennsylvania tutto il processo richiese soltanto cinquanta secondi. Una volta separate, la positiva apparve praticamente asciutta, mentre l’immagine negativa, non più utile nella sua versione di carta e leggermente umida, si sarebbe rapidamente asciugata per l’esposizione all’aria. Land decise di non parlare degli altri elementi chimici contenuti nel guscio. Disse soltanto che le immagini color seppia, attentamente esaminate e generalmente ammirate dai fotografi professionisti per la qualità dei toni e la mancanza di grana, non sbiadivano e che i test avevano dimostrato che erano resistenti come le stampe convenzionali. La stampa si gettò ai piedi di Land. Il Times definì “rivoluzionaria” la macchina fotografica “a un solo stadio”. Oltre a tre sottotitoli, a un diagramma in sezione, a un’intera colonna di testo e all’elettrizzante fotografia di Land che dava inizio all’era della fotografia istantanea, pubblicò uno straordinario editoriale titolato La macchina fotografica fa il resto sulla pagina dei commenti della stessa edizione. Il titolo giocava sul famoso slogan della Kodak: “Voi schiacciate il pulsante, noi facciamo il resto”. «Tutto ciò sembra così semplice», scriveva l’esperto del Times, «che,
come il solito, ci meravigliamo che non sia stato fatto prima... Nel normale sviluppo e fissaggio, l’argento delle aree non esposte va perso, eliminato con il lavaggio. Proprio questo argento ora forma una positiva che esce dalla macchina quando si gira il pomello. Non c’è niente di simile in tutta la storia della fotografia». Il redattore del National Photo Dealer, la rivista commerciale dei negozianti di ottica e dei laboratori di sviluppo, intitolò la propria cronaca Una bomba nella fotografia?. Dopo qualche frase sul potenziale impatto che l’invenzione di Land poteva avere sull’industria della fotografia, mise in guardia i suoi preoccupati lettori: «Non possiamo ripetere l’errore dei fabbricanti di ghiaccio, che tentarono di eliminare dal mercato il frigorifero elettrico cercando di dimostrare la superiorità del ghiaccio». William Laurence [del New York Times], che di solito quando vedeva il futuro sapeva riconoscerlo, quella sera, osservando attentamente Land nell’atto di staccare la prima fotografia a sviluppo immediato, si era appoggiato all’indietro un attimo, gli occhi al soffitto, e ridendo aveva detto: «Ora tutto quello che ci serve per l’edizione del mattino è un redattore di didascalie incorporato». Peter C. Wensberg Da Edwin H. Land e la Polaroid (Capitolo 1 - La Optical Society. New York, 1947; Capitolo 2 - La fotografia. New York, 1947); Sperling & Kupfer Editori, Milano 1989.
43
DOPO
La memoria è legata più ai sensi che alla ragione. A sessant’anni di distanza dalla propria attualità, una rigorosa e partecipe documentazione delle devastazioni dei bombardamenti alleati su Colonia, in Germania, conferma il valore e senso della fotografia: che estende avanti nel tempo i significati impliciti della propria educata rappresentazione. Con il lessico della fotografia di architettura, proprio territorio professionale, e in un sussurro, il tedesco Karl Hugo Schmölz ha costruito una rilevazione visiva capace di sottolineare due momenti esistenziali immediatamente conseguenti. Non solo queste macerie sottolineano il senso della vita spezzata dalla guerra, ma danno respiro alla vita che riprende dopo la guerra e nonostante la guerra
LA GUERRA Spanischer Bau.
(in alto) Groß Sankt Martin.
45
Opernhaussopra. (in alto) Altermarkt.
46
ensiamo all’attualità, richiamando fotografie lontane nel tempo e, in questo caso, anche nello spazio. Nel dicembre 2004 evocammo le distruzioni dei bombardamenti su Milano, dell’agosto 1943. Scattate da Franco Rizzi, fotografo per passione, e commentate dal figlio Sandro, che le ha raccolte e ordinate, queste immagini compongono una testimonianza viva e palpitante del dolo-
P
re. Non il combattimento della guerra, ma le sue consecuzioni sulla popolazione civile. La selezione 60 Years of Peace, sessant’anni di pace (titolo originario 60Jahre Frieden!), allestita nell’ampio boulevard dell’ingresso Nord della Fiera di Colonia, nei giorni della scorsa Photokina (FOTOgraphia, novembre 2006), si sintonizza sulla medesima lunghezza d’onda, sollecitando la riflessione individuale contro la guerra e le sue ine-
FIGLIO D’ARTE ato a Weissenhorn il 6 ottobre 1917, Karl Hugo Schmölz è Narchitettura. stato avviato alla fotografia dal padre Hugo, fotografo di È l’autore delle fotografie dei bombardamenti di Colonia, durante la Seconda guerra mondiale, presentate in queste pagine, in estratto dall’esposizione 60 Years of Peace, sessant’anni di pace, allestita nell’ambito della scorsa Photokina (FOTOgraphia, novembre 2006), definite da una rigorosa visione, appunto costruita sulla sua esperienza professionale, cominciata nel 1938, alla morte del padre. A propria volta attento, abile e intelligente fotografo di architettura, è rimasto felicemente se stesso anche nella rigorosa documentazione della distruzione di Colonia, piegata dai bombardamenti alleati degli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale. Le sue sono fotografie sussurrate, non urlate, che raggiungono la mente e il cuore dell’osservatore, senza necessariamente passare dalla pancia. Oltre le considerazioni espresse nel corpo centrale dell’attuale intervento redazionale, ripetiamo le puntualizzazioni su una fotografia che testimonia l’orrore della guerra applicando stilemi espressivi lontani dalla fotocronaca ed estranei al fotoreportage. Non è mai discriminante il come, ma il perché; a distanza di oltre sessant’anni, ancora oggi queste visioni non lasciano indifferenti, ma coinvolgono in riflessioni individuali. Come abbiamo scritto, e lo ripetiamo ancora, la memoria è legata più ai sensi che alla ragione. E i nostri sensi sono confortevolmente sollecitati e indirizzati: alla vita spezzata dalla guerra; alla vita che riprende dopo la guerra e nonostante la guerra.
vitabili distruzioni. Idelogicamente diversa da quella di Franco Rizzi, cui ci siamo appena riferiti, la documentazione dei bombardamenti alleati su Colonia del tedesco Karl Hugo Schmölz è coincidente nella propria proiezione in avanti nel tempo, dagli istanti dello scatto fotografico -peraltro esegui-
Sankt Aposteln. (in alto) Gürzenich.
47
Ribattezzata 60 Years of Peace, in relazione al pubblico internazionale cui si è rivolta, dopo le esposizioni originarie, svolte nell’ambito delle solenni celebrazioni del sessantesimo anniversario dalla fine della Seconda guerra mondiale (1945-2005), 60Jahre Frieden! è stata proposta anche a ridosso di uno degli ingressi della scorsa Photokina di Colonia (settembre 2006). Scattate da Karl Hugo Schmölz su lastre 18x24cm, le fotografie della distruzione di Colonia, piegata dai bombardamenti alleati, sono state presentate in ingrandimenti di generose dimensioni, realizzati da Schirwon Visuelle Medien. A cura di Wim e Maurice Cox, che rappresentano l’archivio, con consistenti contributi locali, a partire dalla German-Dutch Society, nella persona del suo direttore Jean Möhring.
Historisches Rathaus.
48
to con rigoroso formalismo professionale (altra distinzione d’obbligo)- alla nostra osservazione, a oltre sessant’anni di distanza. L’esposizione alla Photokina, ripetiamo a ridosso di uno dei quattro ingressi cardinali della fiera (Nord,
gli altri a Sud, Est e Ovest), percorsi da migliaia di visitatori internazionali, è stata visivamente grandiosa. Ingrandimenti di cinque-sei metri di base hanno restituito tutta la severità visiva delle impeccabili riprese su lastra (in vetro) grande formato 18x24cm.
La rappresentazione della tragedia, passa quindi anche attraverso la concentrata narrazione di un fotografo professionista, specializzato nell’architettura, capace di comporre inquadrature apparentemente distaccate, addirittura cliniche, che nella propria real-
tà danno spazio e tempo all’emozione e alla convinta partecipazione dell’osservatore. Queste di Karl Hugo Schmölz non sono fotografie di guerra che colpiscono la pancia, per arrivare poi alla mente e al cuore di chi le guarda. Non è un reportage d’istinto e azione, come è molto fotogiornalismo dei nostri giorni (troppo?), ma una fotografia che percorre altri binari, per raggiungere il medesimo scopo: quello della sottolineatura ragionata di un orrore, dell’orrore della guerra e delle sue distruzioni. È stato detto che il reportage sarebbe un genere fotografico facile, perché raccoglie uno scorrimento naturale dell’esistenza, così come si manifesta e svolge. Pur non convinti, non entriamo qui in merito a questa delicata questione. Tanto più che le immagini di Karl Hugo Schmölz raccontano la vita, una certa tragedia della vita, senza dipendere dal lessico del reportage, ma avendo debiti di riconoscenza, incredibile!, con la convenzionalità estetica ed etica di altra fotografia: ripetiamo, quella di architettura, che non corre il rischio di essere etichettata come facile o banale. Impeccabili nella propria costruzione, a partire dalla composizione su vetro smerigliato grande formato 18x24cm, con meticolosa proiezione del soggetto (a testa in giù), esaltate nell’allestimento scenico di ingrandimenti di generose dimensioni e straordinaria nitidezza (pagina precedente), queste di Karl Hugo Schmölz sono tra le vi-
Sankt Gereon. (a sinistra) Rathausturm.
49
Stapelhaus. (in alto) Erzbischöfliches Palais.
50
sioni più implacabili della Seconda guerra mondiale, oltre che, per estensione, della guerra nel proprio tragico complesso: una guerra che non impegna più soltanto gli eserciti, ma travolge tutto e tutti, infierendo sull’esistenza, spezzando vite, sconvolgendo speranze. Sono immagini sussurrate; fotografie non urlate, proposte in modo pacato. Non si tratta soltanto di osservare le macerie, elemento principale ed esplicito dell’inquadratura, quanto, più nel profondo, di respirare l’ansia di questi lontani momenti. Del resto, siamo profondamente convinti che la memoria sia legata più ai sensi che alla ragione: e di questo stiamo parlando, e a questo stiamo riferendoci. Magica nella propria evidenza, addirittura oltre le
intenzioni originarie del proprio autore, in un’area fisicamente circoscritta ma emotivamente sconfinata, la fotografia ha il potere di racchiudere infinite storie, non necessariamente esplicite, non obbligatoriamente universali. Volendolo, ognuno ha modo di leggerne di proprie individuali. Per quanto oggettivamente precisa, tanto da riprodurre con medesima diligenza e puntualità tutto quanto appare entro il campo visivo dell’obiettivo, la fotografia esprime addirittura qualcosa di più, forse anche di meglio. L’occhio non vede allo stesso modo tutto quanto gli si presenta davanti: è il cervello che seleziona, stabilendo gerarchie e dipendenze. Attraverso la fotografia, che registra senza interferire, la realtà definisce se stessa, liberando la riflessione individuale che, ancora e immancabilmente, si orienta verso direzioni e approfondimenti personali. Ribadiamo, perché la ripetizione si impone: la memoria è legata più ai sensi che alla ragione. La memoria visiva delle devastazioni dei feroci bombardamenti su Colonia, in Germania, degli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale, che hanno raso al suolo la città, risparmiandone soltanto l’antico Duomo, è affidata soprattutto a queste immagini di Karl Hugo Schmölz, attento fotografo che ha finalizzato la propria impeccabile creatività applicata alla testimonianza nel tempo. A distanza di sessant’anni abbondanti, ancora oggi da queste immagini si alza lieve ma implacabile l’alito della vita spezzata, alla quale consegue la ripresa della vita. Dopo la guerra, nonostante la guerra. Angelo Galantini
al centro
della fotografia
tra attrezzature, immagini e opinioni. nostre e vostre.
SGUARDO
D ’ A RT E T
VIAGGIO - TRIP LUCIDO; NEUE GALERIE, GRAZ, 1975
52
PHOTOMATIC D’ITALIA; 1972-74
L’intenso, prolifico e sostanzioso percorso artistico di Franco Vaccari è raccolto in una imponente retrospettiva che si allunga su quattro decadi, a partire dalla metà degli anni Sessanta. Senza indugi, titolo esplicativo: Franco Vaccari. Col tempo: esposizioni in tempo reale, fotografie, film, video, video-installazioni, 1965-2007, allo Spazio Oberdan di Milano, dal quattordici febbraio
itolo lungo, lunghissimo. Almeno quanto è distesa sui decenni l’azione e l’opera dell’autore, uno dei più significativi artisti contemporanei, che dalla metà degli anni Sessanta ha incentrato la propria ricerca su tre tematiche fondamentali: l’utilizzo degli strumenti mass mediatici, quali la fotografia, il film e il video; l’accento sulle specifiche condizioni contestuali, ovvero spaziali, temporali e corporee, dell’esperienza; il costante riferimento allo spazio pubblico e alla città. Allestita nelle qualificate sale dello Spazio Oberdan di Milano, Franco Vaccari. Col tempo: esposizioni in tempo reale, fotografie, film, video, video-installazioni, 1965-2007 è una completa retrospettiva su un lungo cammino espressivo, che dal nostro particolare e mirato punto di vista osserviamo soprattutto per due azioni/intenzioni che si completano una con l’altra. Prima, però, confermiamo e ribadiamo la nostra completa estraneità redazionale alle declinazioni dichiaratamente e specificamente artistiche della fotografia. Sulla distanza e differenza tra la fotografia che esprime il proprio linguaggio e il linguaggio della fotografia trasportato nell’arte, abbiamo accennato lo scorso ottobre, a margine della presentazione di una personale di Andres Serrano. In estratto, giusto per stabilire i termini e confini del discorso: «Prima o poi, chissà dove, quando e con chi, oltre che perché, bisognerà pur affrontare un certo dibattito attorno la fotografia, per arrivare a distinguere definitivamente il proprio linguaggio espressivo (fotografia per se stessa e in se stessa) dall’espressione artistica che parla e agisce con la fotografia (concettuale e non soltanto). Non si tratta tan-
VENEZIA, 1972 DI
BIENNALE QUESTE PARETI UNA TRACCIA FOTOGRAFICA DEL TUO PASSAGGIO;
LASCIA SU
to di stabilire gerarchie, ci mancherebbe altro, quanto di identificare il senso dell’immagine, che risponde e si riferisce a un ambito, piuttosto che a un altro. A ciascuno, il proprio. [...]».
COMMODUS;
TELEOGRYLLUS
Ciò detto, il percorso espressivo di Franco Vaccari è tratteggiato, oltre che definito, da una duplicità fotografica che ci preme sottolineare e rilevare, appunto partendo da un osservatorio diverso da quello proprio dell’arte: non certo divergente, ma comunque autonomo. L’azione fotografica di Franco Vaccari non impiega il solo temperamento fotografico, ponendolo al servizio del proprio gesto artistico. In intensa coincidenza, l’autore prende dalla fotografia almeno quanto rimanda e restituisce al suo stesso linguaggio espressivo (della fotografia). Diciamola così. Per quanto riferita all’ambito propriamente artistico, entro il quale Franco Vaccari agisce e il cui dibattito arricchisce, la sua opera ha influenzato anche il pensiero propriamente fotografico, che ne ha fatto altrettanto prezioso tesoro. A differenza di altre espressioni d’arte che si concretizzano in forma fotografica, quella di Franco Vaccari è artistica (con tutte le relative implicazioni) almeno quanto è anche fotografica. Tanto che, ricordiamolo, Franco Vaccari ha sempre accompagnato l’attività artistica con la riflessione teorica. Per quanto riguarda direttamente la nostra materia di riferimento principale (ma non esclusivo), da quasi trent’anni il suo Fotografia e inconscio tecnologico contribuisce in misura sostanziosa e approfondita al dibattito teorico sulla fotografia (dopo la pubblicazione originaria del 1979, due edizioni successive 1994 e 2006: prefazione di Roberta Valtorta; Agorà Editrice [via Santa Croce 0e, 10123 Torino; 011-8394962, fax 011-835973; www.libreriaagora.it, agobooks@tin.it]; 144 pagine 12x20,5cm, con sovraccoperta; 20,00 euro). Ha annotato Viviana Conti: «Franco Vaccari non espone momenti d’arte, ma sottoespone o sovraespone momenti di vita; spettatore e insieme attore di un film neorealista italiano, partecipe di un “realismo concettuale” che non cessa di esibire la pro-
1967
DALLA E ALLA FOTOGRAFIA
pria attitudine a contagiarsi di realtà. La sua biografia in nulla assomiglia a quella degli altri artisti, il suo curriculum è il quotidiano, le sue pubblicazioni un diario della mente e dell’occhio, scritto dal reale e leggibile come un passo di Aragon, l’autore che mai ha cessato di esercitare il proprio fascino su Franco Vaccari». In sintonia, le rilevazioni di Roberto Maggiori (da www.exibart.com), che riconduce e riporta al territorio della fotografia. In estratto: «Parallelamente alle ricerche di Ugo Mulas, dalla fine degli anni Sessanta si fanno strada le operazioni concettuali di Franco Vaccari, che fa della fotografia lo strumento pratico e teorico della propria ricerca. Franco Vaccari (1936) risolve in maniera razionale il problema della riproduzione oggettiva nei ritratti, lo stesso problema che si era posto anche Ugo Mulas: “Quando si fa un ritratto a una persona, si può assumere un’infinità di atteggiamenti verso questa persona e farle assumere un’infinità di atteggiamenti verso chi fotografa. Non c’è ritratto più ritratto di quello dove la persona si mette lì, in posa, consa-
53
La ricerca espressiva di Franco Vaccari è tangente a diverse aree: quella che ne esprime meglio il senso potrebbe essere
54
LASCIA SU PHOTOMATIC D’ITALIA; 1972-74
DALLE FOTOTESSERE
QUESTE PARETI UNA TRACCIA FOTOGRAFICA DEL TUO PASSAGGIO;
BIENNALE
DI
VENEZIA, 1972
VIAGGIO - TRIP LUCIDO; NEUE GALERIE, GRAZ, 1975
pevole della macchina e non fa altro che posare. Invece, quando si dice che si vuole essere naturali non s’intende essere naturali verso se stessi, ma essere naturali verso la macchina, cioè verso il fotografo, come per ingannarli” (Ugo Mulas, 1973). Di più, Franco Vaccari perfeziona il discorso di Ugo Mulas in due punti: primo, elimina dalla fotografia l’“atteggiamento” di chi fotografa, eliminando per l’appunto l’operatore stesso; secondo e conseguenza del primo punto, rimuove l’atteggiamento condizionato che il soggetto ha nei riguardi del fotografo. «Naturalmente stiamo parlando della famosa operazione dell’artista modenese, dell’Esposizione in tempo reale n.4: lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio. Quest’operazione, che consiste in una cabina automatica per fototessere installata in una stanza, sulle cui pareti campeggia il titolo dell’operazione stessa tradotto in quattro lingue, è un invito al ritratto “fai da te”: in mostra alla Trentaseiesima Biennale di Venezia del 1972. Partendo dalla considerazione che ognuno vede ciò che sa, eliminando il proprio “fare materiale” (la propria percezione dell’inquadratura, con conseguente possibilità di intervento sulla ripresa), Franco Vaccari epura l’immagine dalla propria interpretazione, sollevando il soggetto da ogni influenza e soggezione, lasciandolo così libero di interpretare qualsiasi ruolo o di essere semplicemente se stesso . In ogni caso, la posa è spontanea, rivelatrice della volontà di partecipare al fatto. Infatti, gli spettatori della mostra si auto-espongono (nella triplice valenza del termine) diventando essi stessi gli oggetti reali, prelevati concettualmente dall’autore, su cui porre l’attenzione e le interrogazioni riguardo al processo che li ha portati lì. [...]». A cura di Vittorio Fagone e Nicoletta Leonardi, l’attuale Franco Vaccari. Col tempo: esposizioni in tempo reale, fotografie, film, video, video-installazioni, 1965-2007 è una mostra promossa dalla Provincia di Milano, in collaborazione con l’Associazione a.titolo: al prestigioso Spazio Oberdan di Milano, dal quattordici febbraio. Come annotato, è una retrospettiva dell’autore modenese, che raccoglie una selezione delle esposizioni in tempo reale, delle installazioni, delle videoinstallazioni, dei film, dei video e dei libri realizzati nel lungo e prolifico arco di tempo specificato.
DA MODENA A KLENOVÀ (CON TUTTI E CINQUE I SENSI + UNO); KLENOVÀ, 1999 VENEZIA, 1980 DI
CODEMONDO; BIENNALE BUIO, NEBBIA PADANA, SUONI, LUCI; TRANSMEC GROUP, CAMPOGALLIANO, 2005
definita realismo concettuale. Il tema della traccia e il fotografico sono due costanti che attraversano tutto il suo lavoro. Franco Vaccari non ha usato la fotografia per produrre immagini mimetiche, analogiche, ma come impronta di una presenza, come segnale, come sintomo, come traccia fisica di un esserci. Le numerose esposizioni in tempo reale, che l’artista ha realizzato a partire dal 1969, sono un rilevante episodio del concettualismo. Ingrediente fondamentale delle esposizioni in tempo reale è il coinvolgimento diretto dell’osservatore nella realizzazione di interventi spesso effimeri e provvisori, nei quali l’artista, da produttore unico e originale, si trasforma in colui che innesca un evento senza necessariamente controllarne gli esiti. L’opera si sviluppa in relazione al modo in cui il pubblico la recepisce e reagisce, contribuendo a determinarne il significato. Opere aperte e corali, realizzate sia dentro i confini istituzionali dell’arte sia direttamente nel tessuto urbano, le esposizioni in tempo reale invitano chi è coinvolto nell’operazione a interrogarsi sulla propria identità sociale e sulle dimensioni pubbliche e private dell’esperienza. Esempi tra i più emblematici della strategia estetica adottata da Franco Vaccari sono la già ricordata Esposizione in tempo reale n.4 e la successiva Esposizione in tempo reale n.5, rispettivamente intitolate Lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio (1972) e Photomatic d’Italia (1972-1974). Invitato ad esporre alla Biennale di Venezia del 1972, Franco Vaccari ha collocato una cabina automatica per fototessere nella sala assegnatagli all’interno del
Padiglione Italia. La cabina automatica per fototessere, oggetto di strada e uso quotidiano, destinato alla produzione di immagini multiple, standard e di poco costo, viene spostata all’interno di un prestigioso spazio espositivo [sull’argomento, rimandiamo all’approfondimento in FOTOgraphia dell’ottobre 2005, dove il fenomeno della fototessera è stato os-
55
TRANSMEC GROUP, CAMPOGALLIANO, 2005 (2) NEBBIA PADANA, SUONI, LUCI;
BUIO,
co e liberatorio di riappropriazione degli spazi del quotidiano e di rottura dei confini autoreferenziali dell’arte. Dopo l’esposizione in tempo reale della Trentaseiesima Biennale veneziana, Franco Vaccari ha spostato l’operazione dallo spazio circoscritto della galleria d’arte a quello diffuso della strada. In Photomatic d’Italia, l’artista ha utilizzato per un intero anno un migliaio di cabine automatiche sparse per l’Italia, accessibili ventiquattro ore su ventiquattro. All’interno di ciascuna, ha collocato un richiamo (fittizio) per la ricerca di volti per la realizzazione di un film, invitando gli utenti a ritrarsi e a lasciare una striscia di proprie fototessere in una scatola metallica appositamente collocata nelle cabine. Offrendo a coloro che accettano il gioco uno spazio privato, da gestire in modo autonomo, immerso nello spazio pubblico, l’artista ha nuovamente proposto un momento di autocoscienza. Angelo Galantini
servato da punti di vista diversi, quanto convergenti]. Con questa operazione originaria, finalizzata alla critica al sistema dell’arte e ai canoni estetici collegati, il mezzo di produzione meccanica, e dunque tutt’altro che autoriale, di ritratti formato francobollo diviene fonte di serie eterogenea di immagini che si accumulano sulle pareti espositive tradizionalmente destinate ad accogliere opere uniche di grandi autori. L’artista ha rovesciato la modalità di produzione e la finalità d’uso della fototessera, che da immagine destinata ai documenti di identità, e dunque soggetta alle logiche dell’individuazione e alla sorveglianza, viene trasformata in strumento ludi-
56
Franco Vaccari. Col tempo: esposizioni in tempo reale, fotografie, film, video, video-installazioni, 1965-2007. A cura di Vittorio Fagone e Nicoletta Leonardi. Mostra promossa dalla Provincia di Milano, in collaborazione con l’Associazione a.titolo. Spazio Oberdan, viale Vittorio Veneto 2, 20124 Milano; 02-77406300; www.provincia.milano.it/cultura. Dal 14 febbraio al 13 maggio; Martedì-domenica 10,00-19,30, martedì e giovedì fino alle 22,00. ❯ Sono previste conferenze di critici e studiosi, oltre che dell’artista stesso. Gli interventi verranno raccolti in un volume a cura di Nicoletta Leonardi. ❯ Volume monografico Franco Vaccari, Esposizioni in tempo reale / Exhibitions in real time; testi in italiano e inglese di Renato Barilli, Valerio Dehò, Vittorio Fagone e Nicoletta Leonardi; Damiani Editore, 2007 (via Zanardi 376, 40131 Bologna; 051-6350805, fax 051-6347188; www.damianieditore.it, info@damianieditore.it); 250 pagine, 160 illustrazioni a colori.
57
A
nnunciata in occasione della scorsa Photokina di Colonia, all’inizio di autunno, è sul mercato la configurazione digitale di vertice Hasselblad H3D, reflex professionale derivata dal medio formato con sensore da 48mm, identificato come “full-frame”. Nel concreto, questa dotazione identifica una rinnovata strategia interamente digitale del celebre marchio, che si manifesta in un momento nel quale l’attuale direzione commerciale e tecnica dà altresì senso, spessore e valore alla lunga e radicata storia Hasselblad. Annotazioni parallele a parte, che comunque servono a definire percorsi e identificare mete, dal punto di vista prettamente tecnico e tecnologico è
chiaro ed evidente come l’attuale Hasselblad H3D stabilisca e affermi una propria posizione privilegiata nel segmento della fotografia professionale. Nello specifico, la H3D si presenta e offre come tangibile risultato della strategia con la quale Hasselblad declina nuovi livelli di flessibilità fotografica e qualità dell’immagine. Rispetto le reflex digitali derivate dal piccolo formato 24x36mm, la configurazione medio formato raggiunge parametri tecnici di classe superiore. Inviolabilmente maggiore è la risoluzione, così come sono ottimali la resa cromatica e la restituzione dei dettagli: almeno quanto, in un recente passato, ha sempre distinto il fotogramma 6x6cm da pellicola a rullo 120/220 da quello 24x36mm da pelli-
cola 135. Ma, forse, in termini digitali le differenze sono ancora più sostanziose. Discorso che andrebbe affrontato e approfondito, al di là delle terribili semplificazioni dei nostri giorni attuali. Analogamente, la dotazione digitale reflex medio formato integrata propone qualcosa di diverso rispetto i dorsi digitali abbinati ad apparecchi fotografici tradizionali, nati per la pellicola fotosensibile. In questo senso, prima di altro, l’Hasselblad H3D segnala l’efficacia della propria tecnologia proprietaria Dac (Digital Apo Correction) e la funzionalità UltraFocus. Quindi, in combinazione, l’area full-frame 36x48mm del sensore di acquisizione digitale di immagini offre il controllo totale nella composizione dell’immagine, estesa anche
all’inquadratura grandangolare del nuovo 28mm, che nasce insieme all’apparecchio.
PROFESSIONALE Ciò detto, va annotato come la fotografia professionale dell’attuale/futuribile era digitale stia (finalmente!) avvicinandosi alle distinzioni che hanno sempre scandito i propri tempi tecnici. Oggi più che mai sono indispensabili i ritmi che hanno sempre contraddistinto le diverse applicazioni professionali, a partire dalla dotazione tecnica più adatta alla corretta rappresentazione del soggetto specifico: sia dal punto di vista del proprio contenuto, sia anche da quello dell’inevitabile forma. Così, è opportuno distinguere le configurazioni digitali in un modo quantomeno analogo a quello che ha sem-
Doppia versione Hasselblad H3D-22 e H3D-39, per rispettivi ventidue e trentanove Megapixel di risoluzione. Configurazione originariamente digitale, che conferma la vocazione del celebre marchio, comunque proiettata e orientata alla fotografia professionale di alta qualità
58
FULL FRAME
pre caratterizzato le finalità professionali della fotografia, dalla registrazione degli svolgimenti rapidi della vita (assolta con dinamicità dal fotoreportage, e relative macchine fotografiche dedicate) alla meditata costruzione di immagini controllate in ogni proprio dettaglio: dalla forma al contenuto, con apparecchi (di altro tipo) convenientemente configurati. Per definire i parametri essenziali di un’immagine di qualità ottimale, Hasselblad ha elaborato il proprio standard Star Quality. In genere, nella fotografia digitale, la risoluzione o il numero di pixel sul sensore vengono genericamente percepiti come fattori fondamentali, dai quali dipende la qualità dell’immagine; invece, ci sono altri parametri che hanno un effetto simile o anche maggiore: nitidezza, definizione dei minimi dettagli, colore e presenza minima di difetti. In questo senso, l’Hasselblad H3D vanta soluzioni e interpretazioni idonee: stiamo per parlare di risoluzione e confermiamo i concetti di nitidezza (conseguenti alle configurazioni Ultra-Focus e Dac), minimi dettagli (propri dell’interpolazione a scatto singolo), colore (Hasselblad Natural Color Solution) e minima presenza di difetti (per sistematica riduzione delle interferenze digitali). L’attuale Hasselblad H3D è disponibile in due versioni: Hasselblad H3D-22 e Hasselblad H3D-39, che offrono rispettive acquisizioni digitali di immagine con risoluzione di ventidue o trentanove Megapixel, specificata nelle relative sigle alfa-numeriche. Al momento si tratta delle massime risoluzioni raggiungibili, su un sensore di immagine grande più del doppio di quelli in dotazione alle reflex piccolo formato. La (doppia) Hasselblad H3D si avvale di un efficace motore digitale UltraFocus, che stabilisce un nuo-
sensore. A questo, si aggiunge la tecnologia proprietaria Dac (Digital Apo Correction, ovvero Correzione Apocromatica Digitale delle aberrazioni di colore e della distorsione delle immagini), che finalizza in modo ottimale la vantata qualità ottica degli obiettivi del sistema HC: nel concreto, si raggiunge un eccellente livello di nitidezza e risoluzione, con una perfetta definizione dei pixel.
A COMPLEMENTO
vo standard di nitidezza dell’immagine. Per una regolazione estremamente precisa della messa a fuoco automatica, parametro originario e discriminante di ogni successivo e ulteriore discorso di ni-
tidezza e qualità, le informazioni sugli obiettivi e sulle esatte condizioni di acquisizione vengono inviate al motore digitale, prendendo in considerazione il disegno dell’obiettivo e le specifiche ottiche del
Per il sensore full-frame 36x48mm dell’Hasselblad H3D è stato disegnato un nuovo grandangolare 28mm a indirizzo specificamente digitale (a sinistra). Ovviamente, l’obiettivo mette convenientemente a frutto i vantaggi delle funzionalità Ultra-Focus e Dac. Quindi, la versatilità di impiego si basa anche sulla disponibilità di accessori finalizzati al migliore assolvimento di ogni condizione di uso. Per esempio, in alternativa al mirino diretto a livello dell’occhio, si segnala un nuovo mirino a pozzetto per reflex H, visualizzato qui accanto, ereditato dalla lunga storia Hasselblad V: strumento di composizione che consente di mantenere il contatto visivo diretto con il soggetto, particolarmente utile nella fotografia di figura (moda, soprattutto) e ritratto. Tre opzioni per la memorizzazione delle immagini: su card CF e nell’Hasselblad Image Bank (unità da 100Gb, con velocità di scrittura fino a 60Mb al secondo), tramite FireWire o cavi dedicati con comandi di acquisizione estesi. Infine, si segnala che per le precedenti configurazioni Hasselblad H1D e H2D (FOTO graphia, novembre 2004 e giugno 2006) è disponibile un piano di upgrade alla H3D. (Fowa, via Tabacchi 29, 10132 Torino - www.hasselblad.com, andrea.mariani@hasselblad.dk). Antonio Bordoni
59
S
canner fotografici per definizione certa e inequivocabile, le due nuove unità HP Scanjet G4010 e Scanjet G4050 segnalano subito e presto proprie discriminanti tecniche, che li collocano in una categoria (sottocategoria) particolare, oltre che operativamente efficace. Anzitutto, sottolineano la propria capacità della gestione digitale a sei colori a novantasei bit, che già significa molto, non soltanto qualcosa. Quindi, discriminante che fa l’autentica differenza, sono specificamente configurati per il restauro fotografico: trasformano in digitale vecchie stampe fotografiche, diapositive e negativi senza tralasciare alcun dettaglio. Con ordine. I nuovi scanner fotografici HP Scanjet G4010 e Scanjet
G4050 sono dotati della nuova tecnologia HP che suddivide l’immagine in sei colori (rosso, arancio, giallo, verde, ciano e blu), ottenendo una scansione più realistica e intensa rispetto a quelle realizzate con i tradizionali scanner a tre colori. Ciascuno dei sei colori viene campionato a sedici bit per pixel, in modo da restituire immagini a novantasei bit adeguatamente ricche di dettagli, in file con risoluzione di ben 4800x9600dpi. Proprio questa innovazione tecnica, applicata a due unità di costo contenuto, indirizzate al più ampio pubblico, ma rivolte all’intero mondo della fotografia, senza soluzione di continuità fino agli intendimenti professionali, permette di convertire stampe fotografiche, diapositive e negativi in convenienti file digitali dai co-
lori vivaci, dai quali realizzare ristampe di eccellente qualità formale: sia su carta sensibile (con processi tradizionalmente chimici), sia attraverso sistemi a getto di inchiostro. Allo stesso tempo, l’insieme delle tecnologie HP Real Life consente di correggere difetti endemici, come gli occhi rossi nei ritratti realizzati con flash elettronico diretto, ripristinare i colori sbiaditi e far risaltare i dettagli delle aree scure (nello specifico, ricorrendo alla funzione Adaptive Lighting). Per agevolare chi utilizza risoluzioni elevate, senza peraltro sacrificare la qualità complessiva, è stato elaborato l’algoritmo HP Adaptive Sharpening, introdotto per la prima volta su questi nuovi scanner fotografici Scanjet G4010 e Scanjet G4050. Per quanto, in passato, gli algoritmi stan-
RESTAURO GARANTITO
dard hanno tenuto esclusivamente conto del grado di nitidezza della scansione, oggi il nuovo HP Adaptive Sharpening ne considera anche la risoluzione; questo comporta un notevole miglioramento del grado di nitidezza ogniqualvolta si esegue una scansione ad alta risoluzione.
PULIZIA Non è ancora tutto, seppure è già molto. Oltre le prestazioni propriamente digitali, gli scanner fotografici HP Scanjet G4010 e Scanjet G4050 offrono anche funzioni supplementari, specificatamente dedicate alla proficua e opportuna gestione degli originali in lavorazione. Nello specifico, ci si riferisce alla conveniente rimozione di polvere e graffi, inevitabilmente presenti su negativi e diapositive datate. Nell'hardware dei rispettivi sistemi operativi sono presenti azioni di correzione e pulizia di superfici danneggiate (dal tempo e dall’incuria). I due nuovi scanner fotografici HP Scanjet G4010 e Scanjet G4050 sono dotati di una particolare funzione integrata nell’hardware, ribadiamo, per la rimozione della polvere e dei graffi, che elimi-
Indirizzati al più ampio pubblico, i nuovi scanner fotografici HP Scanjet G4010 e Scanjet G4050 sono soprattutto dedicati al restauro di vecchie fotografie: stampe, negativi e diapositive. Punto tecnologico di congiunzione tra passato (?) e presente, indicano una strada che dovrebbe essere consistentemente affrontata anche in ambito professionale. Seppure, annotiamolo subito, nonostante la propria sostanziale economicità, questi due scanner prevedono già anche lavorazioni di pellicole professionali. Appunto
60
na automaticamente questi difetti prima di creare il file immagine. La tecnologia funziona attivando la scansione in due passaggi: il primo avviene tramite la normale lampada (Ccfl), per raccogliere le informazioni sull’immagine, il secondo con un Led a infrarossi, che crea una mappa delle aree contenti difetti da rimuovere (polvere e/o graffi). Quindi, gli appositi algoritmi provvedono a ricreare le informazioni ripulite, affinché l’immagine digitale torni a essere come nuova, pronta per stampe di qualità.
ORIGINALI Entrambi gli scanner fotografici HP Scanjet G4010 e Scanjet G4050 sono finalizzati all’acquisizione di ogni tipo di pellicola: diapositive e negativi. In particolare, alla maniera degli scanner di fascia professionale, sono stati preordinati canali preferenziali e dedicati a emulsioni spe-
cifiche, come il leggendario Kodachrome, dalla struttura colore assai esclusiva (FOTOgraphia, dicembre 2005), oppure il diffuso Ektachrome. Nel dettaglio, lo scanner fotografico HP Scanjet G4050 è dotato di un piano di scansione Tma (Transparent Materials Adapter) in grado di acquisire fino a sedici diapositive piccolo formato 35mm intelaiate, oppure trenta negativi 24x36mm in striscia, o diapositive e negativi medio formato e grande formato, fino al 13x18cm. Invece, l’unità HP Scanjet G4010 prevede l’adattatore Tma integrato: per cinque diapositive o sei negativi 35mm alla volta. In entrambi i casi, ogni serie di originali dispone di proprie guide di collocazione sicura. Con originali opachi, si registra una acquisizione rapida e
veloce di stampe in formato 10x15cm (fino a un massimo di quattro alla volta) e salvataggio automatico in file singoli, senza bisogno di ritagliare e ristabilire le proporzioni originali delle immagini. Grazie al piano di scansione in formato Uni A4 (21x29,7cm), con orientamento verticale e coperchio regolabile, si possono realizzare scansioni di documenti di diverso formato e acquisire oggetti tridimensionali. Quattro tasti semplificano il lavoro dei due scanner foto-
grafici in maniera intuitiva e automatica: Scan (scansione), Scan Film (scansione pellicola), Copy (copia), Scan to Pdf (acquisizione e invia a Pdf). A seguire, i software HP Photosmart e HP Photosmart Share includono pratiche funzioni dedicate che consentono di organizzare, modificare, condividere e salvare le scansioni. È previsto il supporto per il nuovo applicativo Windows Vista. (HP / Hewlett-Packard Italiana, via Di Vittorio 9, 20063 Cernusco sul Naviglio MI). A.Bor.
[[[ LJRIX MX /,%5, ', )272*5$),$ '$ 78772 ,/ 021'2 , PLJOLRUL YROXPL GL IRWRJUD¿D GHJOL HGLWRUL LWDOLDQL H LQWHUQD]LRQDOL LQ YHQGLWD SHU FRUULVSRQGHQ]D H RQOLQH
9PJOPLKP .9(;0: PS *H[HSVNV /-
$ISTRIBUZIONE SH NYHUKL SPIYLYPH KP MV[VNYHMPH
DQWRORJLH JUDQGL PDHVWUL IRWR VWRULFD IRWRJUD¿D FRQWHPSRUDQHD UHSRUWDJH PRGD QXGR ULWUDWWR VWLOO OLIH QDWXUD SDHVDJJLR H DUFKLWHWWXUD HWQRORJLD IRWR GL YLDJJLR IRWRJUD¿D GLJLWDOH IRWR VSRUWLYD FLQHPD PXVLFD GDQ]D H WHDWUR VDJJLVWLFD H FULWLFD PDQXDOLVWLFD ULYLVWH DEERQDPHQWL D ULYLVWH LQWHUQD]LRQDOL OLEUL IRWRJUD¿FL GD FROOH]LRQH
+) 'LVWULEX]LRQH &DVHOOD 3RVWDOH 9HUFHOOL WHO ID[ H PDLO KI GLVWULEX]LRQH#KIQHW LW
BIOGRAFIA PER IMMAGINI
D
Doppia celebrazione simultanea. In occasione del settantesimo compleanno, che coincide con cinquanta di professionismo in fotografia, cinema e televisione (Primo gennaio 1937-2007), Gianni Mario si racconta nella monografia Immagini di una vita. Tra vicende private e impegni fotografici, affidato a una coincidenza di parole e fotografie, il racconto è lineare e consequenziale: dagli anni della guerra ai primi approcci con il mestiere, appreso sul campo, come accadeva nei decenni scorsi, ricchi di entusiasmo oltre che caratterizzati da ampi margini d’azione (che, ahinoi, mancano alla vita professionale dei nostri giorni). In particolare, si segnala che il giovane Gianni Mario impara i rudimenti e qualcosa di più presso l’immancabile fotografo di paese. Appena diciannovenne, nel 1956, fa parte del pool di fotografi ufficiali accreditati alle Olimpiadi invernali di Cortina d’Ampezzo. L’anno dopo è assunto dal prestigioso Giuseppe Ghedina, leggendaria figura della fotografia italiana, il cui indirizzo di Cortina era già allora un riferimento internazionale del sofisticato jet-set, che da quegli anni animò le stagioni invernali ed estive della celebre località delle Dolomiti italiane (ricordiamo che a Cortina d’Ampezzo è anche ambienta-
ta la prima avventura cinematografica della lunga serie della Pantera rosa di Blake Edwards: appunto, l’originario film La pantera rosa, con Peter Sellers, David Niven, Claudia Cardinale, Capucine e Robert Wagner). Soprattutto, per il fotografo Gianni Mario è cronaca rosa: dal set di Addio alle armi, di Charles Vidor, la cui sceneggiatura dal romanzo di Ernest Hemingway prese avvio sulle nevi di Misurina, agli spettacoli allo Stadio del Ghiaccio (straordinario fu il concerto dei Platters, al culmine della propria fama musicale), fino ai personaggi contesi dalle pagine patinate dei settimanali popolari; in ordine sparso: Giorgio Albertazzi e Anna Proclemer, Brigitte Bardot, Ira von Fürstenberg e il conte Nicolò Donà delle Rose, Rock Hudson, Vittorio De Sica, John Huston, l’onorevole Aldo Moro, Dalida, Gian Marco Moratti con l’allora moglie Lina Sotis. Incredibilmente, Gianni Mario abbandona presto questo terreno dorato e remunerativo. Inquieto, lascia Cortina per l’avventura nel fotogiornalismo. Ventiduenne, parte per Milano, dove avvicina una fotografia diversa, che deve essere sempre pronta ad affrontare le vicende della vita quotidiana, non necessariamente rosa. Dopo due anni presso
Giro d’Italia 1963: Gianni Mario realizza un filmato della corsa, che ancora oggi è considerato autentico capostipite del genere.
Immagini di una vita, biografia illustrata di Gianni Mario, tra privato e mestiere: settant’anni all’anagrafe e cinquanta di fotografia, cinema e televisione; The Imagine Studio, 2006 (via Engels 4, 20153 Milano; 02-48204244; www.giannimario.it, info@ giannimario.it); 130 pagine 30x23cm; 98,00 euro.
62
la rivista boyStile, come caposervizio della moda, nel 1962 entra nell’Agenzia Olympia di Vito Liverani e Walfrido Chiarini. Ancora cronaca rosa, con attenzione al firmamento del cinema italiano (Virna Lisi, Walter Chiari, Vittorio Gassman, Alberto Sordi), ma anche tragedie: terremoto di Skopje, in Macedonia (luglio 1963), e Vajont (ottobre 1963). Quindi, fotografia di sport al seguito del Giro d’Italia (1963), nella cui occasione realizza anche filmati di cronaca in sedici millimetri, che sono stati montati in un film documentario che è considerato autentico capostipite del genere. E poi, cronaca: con il curioso siparietto di uno scontro automobilistico evitato per poco con l’auto del presidente statunitense John F. Kennedy, ospite a Villa Serbelloni, a Bellagio, sul lago di Como (giugno 1963). Sono anni eroici e ricchi di fermento sociale: per l’Agenzia Farabola, Gianni Mario fotografa la swinging London della metà degli anni Sessanta, definita dalle personalità musicali dei Beatles e Rolling Stones, oltre che dai numerosi e colorati movimenti giovanili antesignani delle rivolte di fine decennio (di tutt’altra natura, spessore e consistenza). Al ritorno in Italia, Gianni Mario lascia la fotografia, per il cinema e la televisione. In proprio produce il servizio televisivo speciale Il Piave cinquant’anni dopo, che apre le porte di una nuova dimensione professio-
nale. Per il centro TV di Milano coordina una serie di trasmissioni di punta della Rai, da Teleset alla Tv dei ragazzi, a Tuttilibri (trecento puntate) e gestisce dirette sportive e la messa in onda dei telegiornali. Promotore dell’Associazione Registi
Gianni Mario: racconto di vita tra cronaca rosa, fotogiornalismo e un curioso “incidente sul lavoro”, evitato fortunosamente.
Radio Televisivi, per anni ne è segretario nazionale. Sempre in Rai, dalle trasmissioni culturali passa alla rivista e varietà: prima con una successiva serie di speciali, poi con la regia di programmi di punta. Sono questi gli anni di quattrocento puntate di Un’ora per voi, con Corrado, immediatamente seguiti dal passaggio a Tele Montecarlo, chiamato da Paolo Limiti, direttore artistico e autore dei programmi dell’emittente: oltre cinque-
cento, le puntate di Paroliamo, il quiz condotto da Lea Pericoli. Dal 1973 titolare di Imagine Studio, che da trent’anni abbondanti produce documentari industriali, negli anni Novanta Gianni Mario trasforma il proprio mestiere, avviando una nuova era digitale. In particolare, è recente, ma anche radicato indietro nei decenni, il suo interesse pubblico per la conservazione del parco di San Siro, che ospita l’Ippodromo e le strutture collegate. A.G.
R
ROBERT DOISNEAU
Robert Doisneau è un maestro della fotografia di strada. La fotografia “umanista” di Robert Doisneau si avvolge in quella sensibilità visiva che gli è propria e va a cogliere -oltre il banale e l’ordinario- le condizioni di povertà e i disagi a vivere di una società. La leggerezza dello sguardo di Robert Doisneau emerge in ogni fotografia; senza troppe enfatizzazioni estetiche, mostra che l’immaginario è nel reale, e fotografare significa comporre l’inquadratura, scrivere con la luce e le ombre, andare oltre la posa; dunque, mostrare che la macchina fotografica non è soltanto l’occhio della storia (come avrebbe affermato Mathew B. Brady), ma la sintesi di un dolore o di una gioia. La fotografia mercantile è un’altra cosa. È una protesi della società dello spettacolo, che cela o tradisce l’effetto devastante della fotografia nella domesticazione sociale. La summa della “fotografia ideale”, come apologia dell’ottimismo un po’ beota, si ha nella monumentale mostra The Family of Man: trecento immagini selezionate da Edward Steichen per il Museum of Modern Art di New York, nel 1955. Come è noto anche ai fabbricanti di francobolli falsi, Edward Steichen era un fotografo mediocre e un esteta di basso profilo creativo. Dunque, non poteva che organizzare un grande spettacolo di massa, che con la fotografia popolare o d’impegno civile non aveva molto a che fare. Non è un caso se dalla mostra furono esclusi due tra i più grandi fotografi del Novecento, Walker Evans e Paul Strand [rispettivamente, Sguardi su in FOTOgraphia del novembre 2003 e maggio 2004]. Però, tutto sommato, per quanto riguarda le esclusioni di Edward Steichen, non fu una grave perdita: il cu-
ratore è stato un sollazzatore di creme intellettuali troppo false per essere anche vere. Le immagini, anche le più autorevoli, sono cadute in generalizzazioni sovente imbarazzanti, e l’insieme di quella cosa che è stata definita “l’ultima e la più grande mostra fotografica di tutti i tempi” ha tradito le intenzionalità sociali dalle quali partiva, e ha finito per esaurirsi in una baracconata per turisti della fotografia. Amen! E così sia.
IL VAGABONDO DELLE PERIFERIE Sbrighiamo le ufficialità schedografiche su Robert Doisneau. Nasce povero il 14 apri-
trando nell’Atelier Ulmann. Allo stesso momento, dal 1931, collabora con lo scultore e pittore André Vigneau, come operatore fotografo, e realizza servizi fotografici in proprio: nel 1932, vende le sue prime fotografie al L’Excelsior. Nel 1934, è assunto come fotografo industriale alle Officine Renault di Boulogne-Billancourt. Però, il lavoro fisso non fa per lui. A Robert Doisneau piace vagabondare per le periferie di Parigi, stare a contatto con le genti umili o estreme o singolari che incontra per la strada. Dopo cinque anni di ritardi e assenze ingiustificate (finalmente,
«Robert Doisneau. La nostra amicizia senza frontiere si perde nella notte dei tempi. Ricordo con affetto e nostalgia la sua risata maliziosa e piena di umanità, le sue battute folgoranti per arguzia e profondità. Mai un luogo comune, ogni volta una sorpresa. Ma la sua modestia, la sua costante bontà e il suo amore per tutte le creature vivranno per sempre nella sua opera» Henri Cartier-Bresson le 1912, a Gentilly (Val-de-Marne), alle porte di Parigi. Nel 1925, si diploma come incisore-litografo all’École Estienne di Parigi. Esordisce nella fotografia pubblicitaria nel 1929, en-
dice lui) la Renault lo licenzia. Nel 1939 comincia a collaborare con l’agenzia Rapho, fondata da Charles Rado, nella quale entrerà a tutti gli effetti nel 1946, rimanendovi per tut-
ta la vita. Continua a fotografare nei quartieri poveri della città delle luci, dei caffè e del libero amore. Dopo la guerra (che lo impegna in fanteria), illustra il libro di Maximilien Vos Les Nouveaux Destins de l’intellegence française. Lavora anche per l’agenzia Alliance Photo e inizia a collaborare con Pierre Betz, editore di Le Point. Nel 1947, gli riconoscono il Premio Kodak; due anni dopo firma un contratto con Vogue. Con testo di Blaise Cendrars, presso l’editore Seghers, pubblica la raccolta fotografica La Banlieu de Paris (1949). A seguire, le sue peregrinazioni fotografiche sono raccolte in Sortilèges de Paris (con testo di François Cal, edizione Arthaud, 1952), Les Parisiens tels qu’ils sont (testo di Robert Giraud e Michel Ragon, edizione Robert Delpire, 1954) e Istantanés de Paris (introduzione di Blaise Cendrars, edizione Arthaud, 1956): primi titoli di una lunga serie di monografie che si sono succedute nei decenni a seguire, arrivando fino alle più recenti edizioni dei nostri giorni (e altre ancora ne verranno pubblicate). Nel 1956, gli viene conferito il Premio Niépce. I servizi negli Stati Uniti e in Unione Sovietica lo rendono noto anche oltre i confini degli addetti ai lavori. Con François Porcile, nel 1974 realizza il cortometraggio Le Paris de Robert Doisneau. Nel 1979, partecipa al film di François Moscowitz Trois jours, trois photographes (con Jean-Loup Sieff e Bruno Barbey). Negli anni Ottanta partecipa a diverse trasmissioni televisive, dove ottiene un certo elegante successo. Robert Doisneau scompare, ultraottantenne, il Primo aprile 1994. Lascia in eredità alle nuove generazioni di fotografi (e alla gente “semplice”) il proprio sogno, quello di avere
65
dato alla fotografia quella dignità e quel valore che in molti calpestano, o nemmeno conoscono. Non gli mancava un’insolente ironia libertaria: «Non c’è dubbio, ero nato per fare il castellano. Mi ci vedo proprio bene, a percorrere i viali del parco accompagnato dal mio precettore, con l’unica preoccupazione di rendere indolore la trasfusione del sapere. Ma il destino ha voluto altrimenti: non avevo nessun castello, e così ho dovuto tirarmi su le maniche e mi sono ritrovato a fare il fotografo» (Robert Doisneau). La sua scrittura fotografica conserva uno stile e un’intelligenza insoliti. Nelle immagini di Robert Doisneau, rubate alla periferia parigina, c’è un’estetica del profondo che smentisce le sciocchezze teoriche sulla “fotografia come finestra”, dispensate per anni da un narciso senza ritegno né talento come Minor White. Noi siamo tra quei fotografi che non desiderano “revisionare le proprie abitudini visive”, né, tantomeno, vorremmo andare a lezione da un coglione estetizzante che della fotografia ha visto soltanto il mondano e mai il dolore. Non desideriamo ascoltare qualcuno che abbia scritto o teorizzato sulla fotografia, più di quanto ha fotografato. La fotografia dice qualcosa su qualcosa (o contro qualcuno) o non è niente.
UN CACCIATORE D’IMMAGINI Robert Doisneau si fa fotografo negli anni Trenta. Come sappiamo, la cultura ufficiale, non solo di allora, vede la fotografia soprattutto come pubblicità, pornografia o propaganda. La poesia non è merce da vendere nei supermercati o sistemare nelle gallerie del simulacro d’autore (si fa per dire). Il fotografo parigino va incontro a ogni forma di ostilità e incomprensioni. Dà al linguaggio fotografico quella bellezza selvatica e quel valore documentale che sono gli “attrezzi” scomodi a ogni forma di sapere e di potere. «Quando ho iniziato io -ha annotato Robert
66
Doisneau-, nel migliore dei casi il fotografo era un ingegnoso dilettante, la cui attività era tollerata, a patto che ci si accontentasse di restare ai margini delle vere corporazioni. Quanto ai Signori della Cultura Ufficiale, quelli non scherzavano: bastava accennare alla fotografia che li si poteva vedere, dimentichi delle antiche contese, formare quadrato e marciare compatti». Il fotografo parigino si è calato dentro tutto quanto figurava la vita quotidiana e, infatti, è riuscito a esprimere un’iconografia della bellezza e una consapevolezza della realtà di un’estetica popolare che rappresentava un’umanità “minore”, senza celebrarla. Robert Doisneau fotografa Parigi, ma Parigi si trascolora in mondo. I suoi scatti sono freschi, innovativi, attraversati da una filosofia libertaria che possiamo ritrovare soltanto nelle opere di Henri Cartier-Bresson, Brassaï o André Kertész. Sono immagini gravide di amorevolezza, tenerezza, accoglienza: in un flusso di sentimenti incrociati, sbaragliano il convenzionale e il conforme. Nella fotografia randagia di Robert Doisneau, l’atto libero dello sguardo e della trattazione dei soggetti dà inizio a una catenaria “casuale” di segni, dove la coscienza dell’artista è sempre coscienza di qualcosa che ha a che fare con l’intuizione di un reale che può essere anche altro da quello che è caduto nella macchina fotografica. In questo senso, i “corpi sognanti”, che Robert Doisneau ruba all’abituale e al disconosciuto, sono restituiti allo splendore del vero. A sfogliare con attenzione le fotografie di quel tempo -Banlieue la nuit (1947) e quelle dedicate ai bambini, La dent (1956), Les Frères (1934), Les petits enfants au lait (1932)non è difficile comprendere che in quelle immagini c’è un elogio della piccola gente, degli ultimi, degli emarginati della società. Con uno sguardo straordinario rivolto alla ribellione giocosa dei bambini, specialmente. Più
d’ogni altro fotografo dell’infanzia amata (anche nella miseria senza rimedio), Robert Doisneau ha fotografato i bambini come “piccoli principi”, per ricordare ai grandi che sono stati bambini una volta (ma pochi se ne ricordano). Per quanto riguarda i “celebri baci” -Le baiser de l’Hôtel de Ville, Baiser blottot e Baiser valsé, fabbricati nel 1950-, ne avremmo fatto volentieri a meno. Non ci piacciono i baci di Robert Doisneau, non perché sono costruiti (come del resto sono costruite le celebri icone di Robert Capa, La morte del miliziano, e Joe Rosenthal, La bandiera americana issata sull’isola di Iwo Jima). Non ci piacciono quei baci perché l’atmosfera è evidentemente falsa, da cartoline postali o poster per adolescenti. Come ci interessano poco la produzione per Vogue e altre commissioni pubblicitarie di Robert Doisneau. Siamo invece interessati e affascinati dalla visione eroica per le periferie. Qui la sua scrittura fotografica diventa un fatto personale, quasi privato. «Un fotografo animato dal solo bisogno di registrare quello che lo circonda, non aspira a ottenere risultati economici e non si pone i limiti di tempo che ogni produzione professionale comporta» (Robert Doisneau). Una fotografia del desiderio, dunque. Robert Doisneau non è stato solo il poeta delle periferie (o un “pescatore d’immagini”, come lui stesso amava definirsi), il suo fare-fotografia riluce di rispetto e complicità con chi non aveva voce e subiva le bastonature dell’indifferenza. Nelle sue fotografie da marciapiedi, ogni attrattiva della spettacolarità è eliminata e i soggetti sono posti al centro dei significati etici ed estetici della fantasia visuale, emozionale. L’immagine è tutto e tutto finisce in un’immagine. Le fotografie del mercimonio m’importano meno del fuoco che le brucia. L’immagine del succes-
so non finisce mai di lavarsi nell’acqua putrida del profitto. La “cattiva strada” della fotografia non prostituita alle leggi del mercato, Robert Doisneau l’ha presa presto. Per non morire da idiota, questo cacciatore d’immagini è andato per periferie come si va a raccogliere fiori di campo e lì ha scoperto la sua arte. Se leggiamo alla rinfusa le sue fotografie, ci coglie la commozione e la gioia per tanta minuta bellezza. È difficile non amare, profondamente, opere come il gruppo di ragazzini ripresi di spalle che pisciano nei gabinetti e uno di loro ha un piccione bianco in testa (1964)... o l’uomo grasso con la bombetta, seduto in un parco di Parigi (1961)... o i partigiani francesi in armi (1944) o, più ancora, la giostra del signor Barré sotto la pioggia (1955). In queste immagini è condensata l’intera opera di Robert Doisneau. Il contenuto è intessuto nella forma e c’è una rigorosa organizzazione delle superfici, delle linee e dei valori fissati sulla pellicola. La sua integrità della visione s’identifica con il ritmo delle cose reali che gli sono cadute negli occhi. La poetica fotografica di Robert Doisneau si coagula nelle sue parole: «Un centesimo di secondo di qua, un centesimo di secondo di là, messi uno dietro l’altro, non faranno mai più di uno, due, tre secondi rubati all’eternità». L’innocenza fotografica di Robert Doisneau è un canto alla vita, che s’innalza contro i saperi istituiti, senza far dimenticare le colpe dei quali sono i portatori. L’innocenza è come l’esistenza dell’infanzia perduta, non s’impara che tra le braccia dell’amore. Se la gente si accorgesse della fame di bellezza e verità che c’è ai quattro venti della Terra, ci sarebbe la rivoluzione dell’intelligenza e della fantasia nelle strade. Pino Bertelli (Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 16 volte dicembre 2006)