Mensile, 5,70 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano
ANNO XIV - NUMERO 129 - MARZO 2007
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Wppd 2007 UNA VOLTA ANCORA SENZA OBIETTIVO
Nikon Coolpix NEL DECENNALE
Segnaletiche DIVI ALLA SBARRA
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SEGNALETICHE D’ARTE. Come annotiamo a margine della presentazione della monografia Mug Shots - Celebrities Under Arrest, nella quale il curatore George Seminara ha riunito un casellario di fotografie segnaletiche di personaggi pubblici statunitensi, provenienti dai dipartimenti di polizia del paese, gli stilemi della fotografia giudiziaria sono spesso declinati in altri ambiti della comunicazione visiva. Nello specifico della fotografia segnaletica, appunto capitolo portante del più ampio contenitore della fotografia giudiziaria, oltre le citazioni in uso pubblicitario, appunto annotate a contorno del nostro intervento redazionale (da pagina 28), bisogna anche registrare la declinazione in senso e intendimento artistico. Ancora, e anche qui, le segnalazioni potrebbero essere tante, addirittura infinite. A titolo esemplificativo, ricordiamo due esempi, sopra tutti. Usando simboli o totem, l’intenzione dichiarata della statunitense Alma Davenport è la rappresentazione «di esperienze e pensieri universali». Ancora: «Ognuno di noi ha visto una persona ridere e forse anche morire. Ognuno di noi ha sognato a occhi aperti il futuro o il passato. Ognuno di noi ha avuto una madre. Le mie immagini sono il simbolo della vita di ciascuno di noi. Sono totem, simboli poetici da condividere». Un suo Totem è la figura intera di una bimba, con addosso, sopra una incerata gialla, due fotografie segnaletiche. Appunto. Nel 1963, in anticipo sulle opere e azioni artistiche che l’hanno reso famoso in tutto il mondo, Andy Warhol realizzò la serie di Thirteen Most Wanted Men, trasportando in serigrafie su tela di grandi dimensioni (122x100cm), oppure acrilici e liquitex a procedimento serigrafico di analoghe grandi dimensioni (122x101,5cm), coppie di fotografie segnaletiche di ricercati, provenienti dallo schedario dell’Fbi: criminali visti di fronte e profilo, fotografati durante loro traduzioni nel carcere giudiziario. Virtualmente dedicati al ciclo della morte, questi ritratti si basano su un gesto artistico duplice: trasposizione ingrandimento esasperato, con conseguente accentuazione del retino (purtroppo vanificato dalle inevitabili riduzioni delle presentazioni litografiche su libro o rivista, come è il nostro caso odierno), ed estrapolazione dagli archivi originari.
Chiunque si sia mai chiesto come fanno gli uccelli a volare, una foglia a dispiegarsi o che comunque si sia basato sulle proprie osservazioni per arrivare a una conclusione, è uno scienziato. La scienza fa parte della vita. (Gene Brewer; K-Pax)
Copertina
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Da Unicef Photo of the Year Award, creato da Unicef Germania, del quale riferiamo da pagina 34. Steve Liss, Usa (freelance). Menzione d’onore 2005: I loro pantaloni sono troppo grandi: Incontri con giovani detenuti. «Ho sedici anni. Se mi guardo indietro, non ho nulla di cui essere orgoglioso». Sono parole di Aurelio, prigioniero in un carcere minorile in Texas, Stati Uniti. Con le fotografie del suo reportage, combinate con toccanti conversazioni registrate, Steve Liss ha documentato il dolore e la confusione di giovani detenuti, le cui storie sono ignorate dai giornali. Attualmente, nelle prigioni statunitensi sono rinchiusi circa centotrentamila minorenni: le loro vicende individuali sono tragicamente coincidenti. Colpevoli solo di reati minori, molti sono carcerati in centri di recupero giovanile a stretto contatto con rapinatori e -addirittura!- assassini. Spesso, la convivenza produce un effetto devastante. Il fotoreportage di Steve Liss sottolinea quanto e come la prigione non sia correttiva, ma trasformi giovani disorientati in adulti criminali.
3 Fumetto Dettaglio da una cartolina postale italiana (testuale), che richiama e promuove la Festa dell’arma del genio del 13 febbraio 1905 (!). In intestazione, l’attribuzione ufficiale completa comprende anche il riferimento alla Sezione fotografica del 3° Reggimento Genio
7 Editoriale
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Un rammarico di sostanza: l’impossibilità di estendere la presentazione dei fotoreportage segnalati dal qualificato Unicef Photo of the Year, oltre quanto commentato su questo numero (da pagina 34). Considerata la capacità dei fotogiornalisti implicati di affrontare e visualizzare argomenti di spessore della vita contemporanea, si tratta di servizi che meriterebbero una profonda attenzione: immagini e parole a commento
8 Guernica: 26 aprile 1937 A settant’anni dalla tragica distruzione della città basca, approfondimento dell’indelebile icona di Pablo Picasso Andy Warhol: Ricercato No. 10 con mandato di cattura (Louis M, di fronte e profilo).
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10 Notizie Attrezzature, vicende e altre segnalazioni
. MARZO 2007
RRIFLESSIONI IFLESSIONI,, OSSERVAZIONI OSSERVAZIONI EE COMMENTI COMMENTI SULLA SULLA FFOTOGRAFIA OTOGRAFIA
15 Parametri fotografici
Anno XIV - numero 129 - 5,70 euro
L’Istat esclude la pellicola; a seguire, stime commerciali
DIRETTORE
RESPONSABILE
Maurizio Rebuzzini
18 Uno più cinquanta
IMPAGINAZIONE
Grace Kelly e la fotografia: tra storia (sua) e cinema Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
REDAZIONE
Gianluca Gigante Angelo Galantini
FOTOGRAFIE
22 Un americano a Todi In mostra: (George) Tatge a Todi. I segni del paesaggio
Rouge
SEGRETERIA
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Due vicende di costume, con propri precedenti indietro negli anni: Anna Nicole Smith e Michelle Manhart
28 Sotto i riflettori sbagliati Gustoso librettino d’annata, che riunisce le fotografie segnaletiche di personaggi pubblici statunitensi di Laura Carbonara e Maurizio Rebuzzini
34 Dalla parte dei bambini
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42 Profumo di libri 8
47 Una volta ancora, senza obiettivo
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Richiami stenopeici, in occasione del Worldwide Pinhole Photography Day 2007: domenica ventinove aprile Ricerca iconografica di Ciro Rebuzzini
Paesaggi incontaminati, osservati con partecipazione e coinvolgimento. Visione “panorama” di James Bragazzi
COLLABORATO
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L’Unicef Photo of the Year Award è un Premio riservato al fotogiornalismo che documenta la vita dei bambini di Lello Piazza
54 Naturalmente natura
HANNO
Pino Bertelli Antonio Bordoni James Bragazzi Laura Carbonara Maria Teresa Ferrario Loredana Patti Lello Piazza Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Zebra for You
24 Attorno Playboy (circa)
Doppia personalità dell’avvincente raccolta Biblioteche di Candida Höfer: noi privilegiamo quella d’autore di Angelo Galantini
Maddalena Fasoli
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● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti. Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano
58 Da dieci anni, Coolpix Sette nuove compatte digitali, nel decennale della famiglia
Rivista associata a TIPA
62 Flusso di lavoro Praticità operativa di Adobe Photoshop Lightroom 1.0
64 Nancy “Nan” Goldin Sguardi su una fotografa di notevole talento visionario di Pino Bertelli
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www.tipa.com
Infinite possibilità
E-System. La gamma di obiettivi digitali per tutte le esigenze. Oltre le convenzioni: una fotocamera versatile, proprio come sei tu. Grazie allo standard QuattroTerzi è possibile utilizzare non solo obiettivi Olympus E-System, ma anche obiettivi degli altri par tner QuattroTerzi. Per immagini ancora più pulite, il filtro di rimozione della polvere protegge il sensore ad ogni cambio di obiettivo. Sei pronto, in ogni condizione. www.olympus.it.
L’impossibile e oltre.
otografia è un contenitore ampio, all’interno del quale si manifestano diverse interpretazioni e valutazioni: a ciascuno, la propria. Tanto è vero che di fotografia si parla con infiniti riferimenti ed eterogenei richiami, che a volte hanno pochi punti di contatto tra loro: dalla storia al linguaggio espressivo, dal commercio ai valori tecnici, a emozioni individuali. Per comodità, spesso si attribuiscono anche etichette di certezza. Come si fa in cucina, dove si vuole distinguere il barattolo dello zucchero da quello del sale, molte volte anche la fotografia è classificata entro confini certi, per lo più di genere. Ognuno ha le proprie preferenze, che malauguratamente possono indurre a stabilire gerarchie, che elevano alcuni aspetti della fotografia a scapito di altri. Personalmente, siamo distanti da questo modo di vedere e giudicare, e apprezziamo la fotografia nel proprio complesso e insieme, senza soluzione di continuità. Alcuni aspetti fotografici ci piacciono più di altri, ma in generale non chiudiamo alcuna porta. Per quanto siamo consapevoli di seguire con maggiore attenzione alcune manifestazioni della fotografia, più di altre, in assoluto prendiamo atto di tutte, anche di quelle che ci lasciano sostanzialmente indifferenti, se non già addirittura perplessi. Tanto che, pur evidenziando spesso punti di vista leggeri, siamo soliti dare spazio redazionale al più concentrato fotoreportage, che qualcuno ha etichettato come “genere fotografico facile”, perché non farebbe altro che raccogliere il solo svolgimento della vita. Certamente, si può attribuire spessore ad altre creatività di personalità visiva coreograficamente più esuberante, ma -altrettanto certamente- c’è del fotoreportage che è racconto di esistenze: oggi, come pure nel lungo e luminoso cammino della storia evolutiva del linguaggio fotografico. Ora, un sostanziale rammarico. Su questo numero, da pagina 34, presentiamo l’Unicef Photo of the Year Award, che raccoglie e valuta fotoreportage di consistente profondità, nei quali i singoli fotografi autori si sono impegnati in approfondimenti di istanti della vita contemporanea, spesso tragici, genericamente ignorati dal pubblico. Sono tutti servizi di concentrata combinazione tra immagini e testi di accompagnamento. Si tratta di materiale che meriterebbe visibilità di sostanza, oltre la nostra limitata segnalazione. Si tratta di fotografia che non si esaurisce nel proprio esercizio, magari formale piuttosto che estetico, ma di fotografia che offre straordinari spunti di meditazione individuale. Di fotografia che accresce l’anima di ciascuno di noi, nella speranza di poter fare qualcosa per rimediare ai mali che accompagnano la nostra esistenza, trascurati da tanto giornalismo internazionale, ma segnalati dall’impegno personale di attenti fotogiornalisti. Molte di queste autentiche ingiustizie sono determinate dal mantenimento di uno stile di vita occidentale “a scapito di”. Purtroppo, come evidenziano le immagini di Unicef Photo of the Year Award, sempre più spesso “a scapito di bambini”. Maurizio Rebuzzini
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Da Unicef of the Year Award. Marcus Bleasdale, Gran Bretagna / Norvegia (freelance). Primo premio 2004: Darfur in fiamme, giugno 2004. Disa, nord del Darfur: una bimba aspetta il ritorno della madre. Sfollata dal proprio villaggio, bruciato durante il recente conflitto, l’unico cibo rimasto sono le bacche sugli alberi. In un’altra immagine si vedono i corpi senza vita di alcuni ragazzini appena fuori da Jijira Adi Abbe, un villaggio del Darfur occidentale, subito dopo il bombardamento effettuato dai caccia governativi. La popolazione nera di questo e altri trentaquattro villaggi della zona ha subìto una “pulizia etnica”. Dopo il bombardamento, i governativi hanno portato a termine il massacro, uccidendo duecentosessantasette persone solo a Disa. Si stima che ci siano circa ottocentomila profughi in Darfur, intrappolati a est, sud e ovest dalle truppe governative e a nord dal deserto, dove non si può fuggire, perché la sopravvivenza del bestiame e delle persone più deboli sarebbe impossibile. Nel 2004, il governo di Khartoum si è reso responsabile di una sistematica pulizia etnica, che ha creato centodiecimila rifugiati nel vicino Ciad e ottocentomila sfollati nel Darfur. (Da pagina 34).
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GUERNICA: 26 APRILE 1937
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Nella società, in generale, come anche in specifiche sue componenti, tra le quali registriamo quella della comunicazione visiva, alla quale rivolgiamo la nostra attenzione primaria, ci sono figure e raffigurazioni che hanno ampiamente superato i propri confini originari, per elevarsi a autentiche icone. Alcune sono radicate indietro nel tempo, nei secoli addirittura, altre nascono da avvenimenti più vicini, alcuni addirittura contemporanei. Le figure contorte, terribili, addolorate di Guernica di Pablo Picasso hanno le stigmate di un segno visivo che appartiene all’umanità ed è riposto nei cuori di tutti noi. La pittura di Guernica non riguarda soltanto la storia dell’arte, della quale fa pure parte, ma, più ampiamente, è componente integrante della storia contemporanea del mondo. Il prossimo ventisei aprile ricorre il settantesimo anniversario dell’evento che Pablo Picasso ha interpretato per consegnare alla Storia una testimonianza indelebile, un documento che non ammette amnesie, né rimozioni. Incredibile a dirsi, senza l’opera pittorica di Pablo Picasso, probabilmente (certamente) la distruzione di Guernica, cittadina spagnola di circa diecimi-
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Icona del Novecento, emblema e denuncia contro la guerra, Guernica di Pablo Picasso è un dipinto cubista, olio su tela in toni di bianco, nero e grigio, di 7,82 metri di base per 3,51 metri di altezza. Non certo documentazione oggettiva del fatto evocato, il quadro ricorda la distruzione della città basca di Guernica da parte dell’aviazione nazista, durante la guerra civile spagnola: 26 aprile 1937.
la abitanti, nella provincia di Biscaglia, a trenta chilometri da Bilbao, sarebbe oggi dimenticata. Così come potrebbero essere ignorate le motivazioni di quel bombardamento, del quale stiamo per riferire, e le sue conseguenze.
GUERRA DI SPAGNA Guernica è tradizionalmente considerata patria delle libertà basche e simbolo nazionale dall’indomita popolazione anticamente insediatasi ai piedi dei Pirenei. Si vuole che sotto le fronde di una quercia secolare, piantata in una sua piazza, i maggiorenti baschi fossero tenuti a giurare il rispetto delle libertà. Durante la guerra civile spagnola (1936-1939), anticamera della Seconda guerra mondiale, Guernica fu la prima città a sperimentare i drammatici effetti di un bombardamento aereo indiscriminato. Nel pomeriggio del 26 aprile 1937, Guernica venne bombardata e totalmente distrutta da stormi di aerei tedeschi della Legione Condor (Heinkel 111 e Junker 52), decollati da Vitoria, spalleggiati da alcune squadriglie italiane. Le incursioni sulla città si sono susseguite in massicce ondate, con bombe esplosive e incendiarie di alto po-
tenziale distruttivo. Duemila morti e mille feriti sono il triste bilancio di quella giornata, che risparmiò soltanto, incredibile a dirsi (forza del Caso o del Destino), la famosa quercia del giuramento e il palazzo del Parlamento basco (Casa de Juntas), che ancora oggi si ergono a simbolo di quell’evento. Per anni, il generale Franco sostenne la tesi che a distruggere la città fossero stati i repubblicani. A partire dalle responsabilità e paternità autentiche, la verità è addirittura più tragica, nella propria cinica premessa. Come ammise e dichiarò anche il famigerato Herman Wilhelm Goering, dal 1935 comandante in capo della Luftwaffe (lo stesso che successivamente, per conto di Hitler, avrebbe impartito l’ordine di preparare una “soluzione finale al problema ebraico”), si trattò di una autentica prova generale dell’aviazione nazista; testuale: «Dovevamo sperimentare gli effetti e la portata di un bombardamento aereo su una città». In previsione degli impegni nella guerra a largo raggio che il Reich stava pianificando, la Luftwaffe verificò su Guernica la tecnica dell’attacco terroristico contro una città inerme, priva di particolare significato strate-
gico ai fini della conduzione del conflitto, per piegare la resistenza del nemico. «La prima strage degli innocenti del nostro tempo», commentò l’autorevole Times di Londra. Attenzione: nell’agosto 1945, la scelta di Hiroshima e Nagasaki per le prime bombe atomiche sul Giappone fu altrettanto tecnicamente cinica. Basata più sulla valutazione a posteriori, e a tavolino, degli effetti in determinate condizioni ambientali che altro.
PABLO PICASSO La distruzione della città è il soggetto del capolavoro di Pablo Picasso, appunto Guernica, una delle icone più conosciute del pacifismo internazionale. Tragico capitolo della guerra civile spagnola, attraverso l’opera di Pablo Picasso, Guernica si solleva dalle proprie ceneri, dal sangue di fratelli mischiato nella polvere, per erigersi a simbolo tramandato di generazione in generazione: mai più! Guernica è un dipinto cubista, olio su tela in toni di bianco, nero e grigio, di 7,82 metri di base per 3,51 metri di altezza (altre fonti conteggiano 776,6x349,3cm). In origine, Pablo Picasso lavorò a una commissione del proprio governo, per una pittura murale da allestire all’Esposizione Mondiale di Parigi (luglio 1937), nel padiglione della República Española. Al lavoro dall’inizio dell’anno, l’artista spagnolo cominciò quella che sarebbe dovuta diventare la commemorazione della morte di un famoso torero dell’epoca: En muerte del torero Joselito. Quindi, a seguito degli orrori della guerra civile, sulla quale intendeva attirare l’attenzione di una distratta Europa, Pablo Picasso risemantizzò la propria opera, in modo da esprimere la tragedia di una nazione e un popolo di fronte alla strage di Guernica. Ufficialmente, il quadro è datato dal Primo maggio al 4 giugno 1937, durante il cui periodo sono storicizzate sette studi successivi, la cui documentazione visiva è conservata al Museo Nacional del Prado di Madrid, Cason del Buen Ritiro. Come rilevato, l’opera è diventata emblema e denuncia contro la guerra per l’immediatezza con la quale raffigura persone, animali ed
«L’avete fatto voi, maestro?» «No, l’avete fatto voi, con la Luftwaffe» Risposta di Pablo Picasso a un ufficiale tedesco, in visita al suo studio durante l’occupazione nazista di Parigi, alla visione di Guernica edifici straziati dalla violenza e dal caos del bombardamento a tappeto. La visione dà efficacemente il senso della disumanità, brutalità e disperazione della guerra, visualizzate attraverso la crudeltà del bombardamento di civili. Rispettando le linee generali del Cubismo, in e con Guernica Pablo Picasso rivela e sottolinea con decisione la propria opposizione ai regimi totalitari che si diffusero in Europa nel corso del Ventesimo secolo. Lo fa mediante la rappresentazione di un terribile evento bellico, alzando la voce contro l’eccidio e schierandosi dalla parte degli oppressi. L’opera non è certo una documentazione oggettiva del fatto evocato: non ci sono elementi che richiamino al luogo e al tempo; niente indica che si tratti di un bombardamento. È piuttosto una posizione contro la violenza, la di-
GUERRA E PACE
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el corridoio che introduce alla sala del Consiglio di sicurezza dell’Onu, a New York, è collocato un arazzo che ripropone Guernica. Molti sono i suoi passaggi televisivi, perché la riproduzione sta esattamente alle spalle dei relatori che incontrano i giornalisti prima e dopo le riunioni del Consiglio: quindi, viene sempre inquadrato dalle telecamere, in secondo piano. Nel febbraio 2003, nei giorni che hanno preceduto la relazione di Colin Powell, che avrebbe dovuto riferire al Consiglio di sicurezza dell’Onu in merito alle prove segrete sulle armi di distruzione di massa in possesso di Saddam Hussein, l’arazzo è stato coperto con un drappo blu. Pur dissentendone, possiamo anche immaginare l’imbarazzo dei vertici Onu, sicuramente a disagio a parlare di guerra “preventiva” di fronte a tanta testimonianza degli effetti della guerra, in assoluto. Quindi, fa più specie la giustificazione di Fred Eckhard, portavoce delle Nazioni Unite, che ha sottolineato come il misto di bianchi, neri e grigi dell’arazzo producono un «effetto di confusione visiva», come riportato nell’approfondito Guernica. Biografia di un icona del Novecento, di Gijs van Hensbergen (Il Saggiatore, Milano, 2006; pagina 382).
struzione, la guerra in generale: come nel frontone di un tempio greco, il significato assume un valore assoluto, universale. Ecco allora l’interpretazione che si può dare al toro che appare nella parte sinistra del quadro: rappresenta il Minotauro, figura mitica e simbolo di bestialità, che contribuisce proprio ad universalizzare il significato del quadro. La lampada a olio posta al centro dell’opera indica il regresso della società che segue il bombardamento e la distruzione, mentre il cavallo agonizzante simboleggia il popolo spagnolo degenerato. La violenza e la sofferenza traspaiono esplicitamente, infine, guardando, sulla destra dell’opera, la madre che grida al cielo, disperata, con il figlio senza vita tra le braccia. L’alto senso drammatico nasce dalle deformazioni dei corpi, dalle linee che si tagliano vicendevolmente, dall’alternarsi di campi bianchi, grigi, neri, che accentuano la dinamica delle forme contorte rappresentate in un’opera di grandi dimensioni, che impongono i propri contenuti con evidenza immediata. Dopo l’esposizione a Parigi, nell’estate 1937, caduto il governo repubblicano e perdurando il regime franchista, Pablo Picasso non permise che questo dipinto, uno dei suoi più famosi, venisse esposto in Spagna. Quindi, per decenni venne ospitato al Museum of Modern Art di New York; tornò in patria soltanto dopo la morte del generale Francisco Franco, avvenuta il 20 novembre 1975. Attualmente, Guernica è esposto al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid (in Santa Isabel 52), dove è stata edificata una galleria particolare e dedicata, per ospitare e presentare al meglio il capolavoro. Già isolato a parte, e in evidenza, su questa stessa pagina (in alto, al centro), ripetiamo lo scambio di battute tra un ufficiale tedesco, in visita allo studio parigino di Pablo Picasso, durante l’occupazione nazista, e l’artista. Alla visione di Guernica: «L’avete fatto voi, maestro?»; «No, l’avete fatto voi, con la Luftwaffe». E così concludiamo. M.R.
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AMPIA ESCURSIONE. Su sensori digitali di dimensioni ridotte rispetto il fotogramma tradizionale 24x36mm, lo zoom Tamron AF 18-250mm f/3,56,3 XR Di II LD Aspherical [IF] Macro offre la consistente escursione focale 13,9x, con visione dall’ampia inquadratura grandangolare al proficuo avvicinamento tele: da 6,23 a 75,33 gradi. La sua lunga sigla identificativa ne certifica l’appartenenza alla qualificata famiglia ottica Di: Digitally Integrated Design, ovverosia progettata e costruita per assolvere le particolari esigenze e necessità dell’acquisizione digitale di immagini. Allo stesso tempo, sono specificate le condizioni ottiche dell’utilizzo di lenti AD, a dispersione anomala, ed elementi asferici, che nella combinazione di sedici lenti in tredici gruppi sono finalizzati alla migliore resa qualitativa. Alla focale massima 250mm, la messa a fuoco da 45cm equivale al rapporto di riproduzione limite di 1:3,5. In montatura fissa Canon AF, Nikon AF-D, Pentax e Sony (Minolta, Konica-Minolta). (Rossi & C, via Ticino 40, 50010 Osmannoro di Sesto Fiorentino FI).
TENBA, IL RITORNO. Registrando il ritorno del marchio Tenba sul mercato italiano, dal quale le efficaci linee di borse
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fotografiche statunitensi sono assenti da tempo, non si può non ricordare ed evocare l’attenzione con la quale Francesco Bellasich (Gruppo Frabel, allora, Gruppo BP, oggi) intuì il momento di svolta introdotto da una originale interpretazione del tema. Alla fine degli anni Settanta, in un’epoca nella quale la borsa fotografica era ancorata a costruzioni antiche, ingombranti, pesanti e poco funzionali, tanto che molti professionisti si rivolgevano fuori dal settore, il newyorkese Robert Weinreb fu il primo a utilizzare materiali particolari, a partire dal Cordura: leggero, robusto, impermeabile e adatto a infinite sagomature. Siccome nulla di quanto era allora in commercio soddisfaceva le sue esigenze professionali, fotografo di natura e viaggi, Robert Weinreb (classe 1943) costruì una borsa adatta ai propri utilizzi in condizioni avverse e disagevoli, capace di resistere anche a intemperie e a un impiego particolarmente vivace. La sua borsa è stata apprezzata da colleghi, che gli hanno chiesto di poterne avere una identica. Da questo, è nata la prima serie di venti esemplari. Immediatamente dopo, anche qualificati fotonegozianti di New York (da Ken Hansen Photographic a Lens & Repro, da Adorama a B&H e Gil Ghiteman Cameras), venuti a conoscenza, ne hanno commissionate quantità per i propri clienti: con il solo passaparola,
furono realizzate oltre duemila borse. A seguire, nacque la produzione artigianale/industriale con il marchio di fabbrica Tenba: un termine tibetano, che significa robustezza, robusto, forte (dipende dalla declinazione come aggettivo o sostantivo). È una definizione suggerita da Chamba, moglie di Robert Weinreb, appunto tibetana di nascita. In assoluto, osiamo affermare che Robert Weinreb / Tenba ha avviato una nuova stagione, la nuova stagione, della borsa fotografica, così come oggi l’intendiamo. Tenba è oggi distribuita in Italia da Nital, che ha edificato una solida impalcatura di elementi complementari a contorno del marchio principale Nikon. All’avvio, la proiezione commerciale si concentra su una serie avanzata di collezioni di borse e accessori per il trasporto di attrezzature fotografiche: Shootout, Prodigital 2.0 e ProTraveller. La gamma Shootout comprende cinque capaci zaini (Photo/Laptop Backpacks), un marsupio trasformabile in borsa a tracolla (Convertible Photo Waistpack), una sacca multi-uso (Rolling Utility Duffel) e un astuccio cilindrico accessorio (Lens/Bottle Caddy). A questi seguirà a breve una completa linea di borse a tracolla, di borse foto/laptop e relativi accessori, tutti orientati all’impiego in esterni. La collezione Prodigital 2.0 è stata appositamente studiata
per i fotografi “digitali”: le borse sono caratterizzate da un’alta capacità, una efficiente organizzazione e eccellenti caratteristiche strutturali. Si tratta di una serie di borse e zaini adatti per uso e trasporto in condizioni severe di ogni tipo di attrezzatura, dal piccolo al grande formato. Lo spazio interno è completamente personalizzabile per contenere apparecchi, obiettivi, computer portatile e tutti i relativi accessori. ProTraveller sono borse da spalla, con efficace protezione dell’attrezzatura contenuta, doppio sistema di copertura e barra di rinforzo anti-torsione. Una confortevole maniglia ComfortGrip ne favorisce l’impiego, e il rivestimento in Nylon Protek, tessuto balistico impermeabile, robusto, facile da pulire, assicura una conveniente robustezza. Le fibbie di chiusura a sgancio laterale in nylon testato per cinquecento chilogrammi e componenti metallici di standard professionale sopportano carichi pesanti e forti sollecitazioni. (Nital, via Tabacchi 33, 10132 Torino).
GOLD. A sorpresa, considerati gli indirizzi tecnologici dei nostri giorni, rivolti altrove e altrimenti, Kodak presenta versioni migliorate del negativo colore 35mm Gold 100 e Gold 200, nel senso di 100 e 200 Iso di sensibilità. Come consueto, i miglioramenti all’emulsione riguardano la resa dei colori più luminosi, in stampe
che mantengono la combinazione ottimale di saturazione cromatica e la precisione e nitidezza tipiche delle due sensibilità, standard in una vasta serie di situazioni fotografiche. «Nella realtà odierna, nella quale i consumatori utilizzano
sia apparecchi digitali sia pellicole tradizionali, Kodak offre tutte le possibilità per fotografare e stampare le proprie storie», ha commentato Laurent Dartoux, Direttore Generale della divisione Film Capture di Eastman Kodak Company. «Utilizzando le nuove pellicole Kodak Gold, i consumatori possono realizzare fotografie luminose e vivide, anche con pellicole a bassa sensibilità, e in diverse condizioni di luce». Kodak Gold 100 è un negativo colore adatto a chi preferisce fotografare a bassa sensibilità e in luce diurna; la grana contenuta e la nitidezza di questa pellicola a 100 Iso sono adatte a ingrandimenti di generose dimensioni. La sensibilità più elevata della Kodak Gold 200 si allinea con le medesime caratteristiche e prestazioni, con uno stop in più di
BIANCO E NERO laboratorio fotografico fine - art solo bianco & nero
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PH. & FAX 049 720 731 e-mail : gumicin@tin.it
autonomia fotografica. (Kodak, viale Matteotti 62, 20092 Cinisello Balsamo MI).
PULIZIA. In molte condizioni è necessaria la pulizia del sensore delle reflex ad acquisizione digitale di immagini. Tutte le eventuali imperfezioni sono fatalmente registrate sul file immagine. Sia al cambio degli obiettivi, sia in particolari condizioni di utilizzo, ma anche in situazioni normali, all’interno della reflex digitale a obiettivi intercambiabili possono entrare particelle di sporco, che quindi va opportunamente rimosso. Completo di sistema di diagnosi delle condizioni del sensore, il dispositivo Delkin SensorScope consente la pulizia della sua superficie, quando e se necessaria: attraverso SensorSolution, SensorVac è lo strumento di pulizia primaria,
SensorWand quello di rifinitura. La confezione di vendita prevede elementi multipli Sensor Wand, a consumo, una opportuna custodia di protezione e trasporto e una agile guida operativa. Quindi, sono previsti kit di ricarica. (Rossi & C, via Ticino 40, 50010 Osmannoro di Sesto Fiorentino FI).
GRANDANGOLARE.
La configurazione originaria Zeiss Ikon ZI, apparecchio 35mm a telemetro con innesto Leica M degli obiettivi intercambiabili, è affiancata dalla nuova versione Zeiss Ikon SW, dedicata all’impiego di obiettivi ipergrandangolari. In una condizione operativa che può tranquillamente fare a meno della messa a fuoco, è stata completamente eliminata la combinazione mirino ottico incorporato e telemetro accoppiato, così che ne risulta un corpo macchina alleggerito e semplificato. Sempre in innesto a baionetta Leica M, la Zeiss Ikon SW è finalizzata alla fotografia 24x36mm con obiettivi grandangolari Zeiss ZM T* Distagon 15mm f/2,8, T* Biogon 21mm f/2,8, T* Biogon 25mm f/2,8 e T* Biogon 28mm f/2,8, ognuno completo di proprio mirino di inquadratura da collocare all’apposita slitta porta accessori in asse con lo stesso obiettivo. Una seconda slitta, collocata sulla parte supe-
riore del corpo macchina, è destinata al flash elettronico. Disponibile in finitura nera e silver, la Zeiss Ikon SW è automatica e manuale, con misurazione TTL e relative indicazioni esposimetriche Led. In automatismo di esposizione, in relazione all’apertura di diaframma impostata sull’obiettivo, l’otturatore elettronico si regola su tempi da 1/2000 di secondo a otto secondi pieni (con blocco dell’esposizione); in manuale, si possono impostare tempi di otturazione da 1/2000 di secondo a un secondo, più posa B e sincro flash a 1/125 di secondo. Realizzata in solida lega di alluminio, la Zeiss Ikon dispone di calotta superiore e fondello in lega di magnesio. Può essere accessoriata con la nuova impugnatura anatomica, che viene fissata attraverso la presa filettata dedicata al treppiedi. Adatta anche alla Zeiss Ikon ZI, l’impugnatura è rivestita in materiale sintetico antiscivolo. (Fowa, via Tabacchi 29, 10132 Torino).
CON COMODITÀ. Lo sgabello ripiegabile Walkstool è un originale prodotto svedese, unico nel genere. Conservando la possibilità di carico fino a duecentocinquanta chilogrammi, le sue gambe telescopiche in alluminio si estendono da quarantacinque a sessantacinque centimetri, consentendo sistemazioni adeguate e idonee sia alla ripresa fotografica da posizione comoda (con il fotografo confortevolmente se-
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duto), sia al sostegno di attrezzature fotografiche particolarmente ingombranti e pesanti: per esempio, teleobiettivi appoggiati e utilizzati con l’agibilità dell’inquadratura a mano libera e la sicurezza di un supporto sicuro. Richiuso, Walkstool occupa uno spazio minimo, inferiore a quello di un treppiedi di piccole dimensioni, e con l’apposita sacca è pratico da trasportare. Si apre e dispiega con una semplice operazione: estratti i piedini, lo sgabello è pronto e stabile su ogni tipo di superficie. Due configurazioni: Basic e Comfort. Walkstool Basic 50cm e Walkstool Basic 60cm hanno la seduta in poliestere e la parte superiore delle gambe di colore verde. La seduta è il venti per cento più ampia di un normale sgabello a tre gambe. I Walkstool Comfort (45, 55 e 65cm) sono pensati per chi vuole sedersi comodamente in ogni situazione: a bordo campo, durante una sfilata, in chiesa e nelle condizioni fotografiche che prevedono postazioni continuative. (Gruppo BP, via Cornelio Tacito 6, 20137 Milano).
RELEASE. È disponibile la release Nikon Capture NX 1.1 dell’affermato ed efficace software di gestione delle immagini. Ovviamente, la compatibilità di uso è estesa alle più recenti reflex digitali Nikon, presentate all’indomani del lancio del programma: nello specifico, Nikon D80 e Nikon D40 (FOTOgraphia, ottobre e dicembre 2006). Allo stesso tempo, Nikon Capture NX 1.1 supporta il nuovo applicativo Windows Vista e le stazioni Apple Macintosh basate su Intel. Rispetto la dotazione originaria, sono state aggiunte nuove funzioni e scelte rapide, tra le quali ne segnaliamo alcune. Per esempio, in Cartella controllata, le opzioni Sfoglia, Includi sottocartella, Avvia subito elaborazione e altro ancora migliorano il flusso di lavoro, consentendo di individuare le immagini da
sottoporre a elaborazione batch e monitorare i contenuti presenti nelle cartelle selezionate. Dopo di che, sono stati eliminati i potenziali conflitti d’azione e semplificate ulteriormente (ancora!) le azioni sulla gestione dell’immagine, sia in quanto tale sia in combinazione con processi operativi multipli. (Nital, via Tabacchi 33, 10132 Torino).
GUSCIO. La statunitense Made, che collabora con Apple e Cisco, per le quali progetta e costruisce prodotti infrastrutturali, ha ideato un guscio protettivo, che permette di attutire gli urti sia al corpo macchina reflex sia all’obiettivo. A misura e configurazione per ogni reflex di ultima generazione, Camera Armor si propone in finiture nera e grigia. Al momento, in Italia, sono disponibili le versioni per Canon Eos 400D, Canon Eos 5D, Nikon D70, Nikon D80 e Nikon D200; a seguire, sono previste tutte le altre dotazioni. Il guscio Camera Armor è semplice da applicare e non compromette l’utilizzo di alcun pulsante/funzione della reflex. (Bogen Imaging Italia, via Livinallongo 3, 20139 Milano).
PARAMETRI FOTOGRAFICI
L
L’Istat è l’Istituto Nazionale di Statistica, che si muove su due livelli coesistenti: analisi e previsione. In analisi, l’Istat agisce come osservatorio della vita, scomposta nelle proprie componenti caratteristiche, il più delle volte sintetizzate in forma di comparazioni numeriche che esprimono tendenze e proiezioni. In previsione, la stessa Istat codifica i termini delle proprie successive analisi, stabilendone i parametri di riferimento. Ciò precisato, ogni anno viene individuato e stabilito un paniere dei prezzi; così è semplificata, in gergo, la nota informativa Istat, che ufficialmente si presenta come Gli indici dei prezzi al consumo per l’anno: aggiornamento del paniere e della ponderazione. Lo scorso cinque febbraio sono stati diffusi gli indici per il 2007, completi delle informazioni su metodologie, fonti e aspetti normativi e organizzativi che caratterizzano la rilevazione statistica. Prima di arrivare ai riferimenti e richiami che riguardano specificatamente il mondo e mercato fotografico, che è poi il motivo per il quale ci occupiamo del paniere, attardiamoci ancora un poco sull’ufficialità della vicenda. La metodologia degli indici dei prezzi al consumo prevede l’aggiorna-
mento annuale sia della lista dei prodotti per i quali vengono rilevati i prezzi, l’autentico paniere, sia della ponderazione con cui i prodotti partecipano al calcolo degli indici, ovvero i pesi. L’aggiornamento annuale della composizione e ponderazione del paniere ha la finalità di mantenere nel tempo la capacità degli indici di riflettere i cambiamenti nei comportamenti dei consumatori e adeguare i pesi assegnati ai prodotti alla mutata struttura dei consumi delle famiglie.
PANIERE 2007 Nel 2007, il paniere dei prodotti utilizzato per il calcolo degli indici è composto da cinquecentoquaranta posizioni rappresentative. E qui, arriviamo al nostro particolare mercato. Rispetto l’anno precedente (2006), escono dal paniere le posizioni di (cambiando l’ordine ufficiale dell’Istat): Torta gelato, Pantofole da donna, Coperta, Cavo elettrico, Calcolatrice tascabile, Sveglia a pile, Avvocato-tariffa ordine degli avvocati... e poi, ancora (eccoci!), Apparecchio fotografico, Pellicola fotografica a colori, Sviluppo pellicola a colori, Videocassetta. Queste merceologie sono sostituite da altre. Quindi, entrano nel paniere le posizioni
COMPATTE DIGITALI (PER PREZZO) 2005 Fino a 200 euro Da 200 a 300 euro Da 300 a 400 euro Oltre TOTALE Reflex digitali
2006
Variazione
835.000 610.000 330.000 350.000 2.125.000
960.000 655.000 380.000 405.000 2.400.000
+15% +7% +15% +16% +13%
83.500
105.000
+26%
(cifre in arrotondamento; valori elaborati da rilevazioni GfK)
di: Gelati multipack, Sughi pronti, Sandali da donna, Piumino da letto, Multipresa elettrica, Riparazione moto, Visita a monumento storico, Scuola dell’infanzia, Filo interdentale, Sedili porta bambini per automobili, Assicurazione sugli infortuni... e poi, ancora (rieccoci!), Scheda di memoria per macchine fotografiche digitali, Stampa da foto digitale. Il commento ufficiale: «Ovviamente, l’eliminazione di una o più posizioni rappresentative presuppone il mantenimento di un’adeguata copertura della voce di prodotto nella quale esso o essa erano contenute da parte delle posizioni che continuano o che entrano a far parte del paniere. Ad esempio, l’eliminazione della posizione Videocassetta è stata effettuata tenendo conto sia del fatto che nella relativa voce di prodotto Supporti per registrazione suoni e immagini continuano ad essere presenti le posizioni rappresentative Supporto digitale da registrare e Compact disc, sia del fatto che per la stessa voce di prodotto è stata aggiornata la rappresentatività dei consumi delle famiglie: con l’inserimento della posizione Scheda di memoria per macchine fotografiche digitali, in sostituzione della posizione Pellicola fotografica a colori. La revisione effettuata assicura, dunque, una copertura adeguata della voce di prodotto Supporti per registrazione suoni e immagini». Ricapitolando, l’Istat manda in pensione l’apparecchio fotografico, la pellicola fotografica a colori e lo sviluppo pellicola a colori, oltre la videocassetta, reputandoli non significativi del commercio dei nostri giorni. In sostituzione, si prende atto dell’evoluzione tecnologica della fotografia, nella propria era digitale: nel paniere entrano la
scheda di memoria per macchine fotografiche digitali e la stampa da file digitale. Personalmente, abbiamo una perplessità sostanziale, soprattutto in considerazione che l’evoluzione tecnologica digitale si accompagna anche con la radicale riduzione dei prezzi al consumo, con quotazioni che variano a ritmo addirittura quotidiano. E questa condizione è certamente diversa dal precedente andamento sostanzialmente stabile della fotografia tradizionale, sulle cui rilevazioni si sono sempre potuti stilare commenti ponderati. Però, non possiamo rimproverare l’Istat di non essere consapevole dell’andamento del mercato e dei consumi, così che, diciamolo, questa esclusione della pellicola fotografica e dalla sua relativa lavorazione in laboratorio suona quasi come un epitaffio ufficiale, espresso con e da un’ufficialità della quale è obbligatorio tenere conto. Tanto più che, continuando nella lettura del documento ufficiale, nell’ambito della stessa voce di prodotto, la scheda di memoria per macchine fotografiche digitali «sostituisce la posizione rappresentativa “pellicola fotografia a colori”, in quanto più rilevante nei consumi delle famiglie». Altrettanto ufficialmente, lo stesso è dichiarato anche per il passaggio dallo sviluppo della pellicola fotografica alla stampa di fotografie digitali, che ancora «sostituisce in quanto più rilevante nei consumi delle famiglie». E l’apparecchio fotografico tradizionale se ne va, avendo «perso rilevanza nei consumi delle famiglie».
NUMERI Per quanto riguarda il mercato fotografico, entro il quale agiamo e al quale dobbiamo giocoforza riferirci, come già annota-
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to, lo spostamento delle rilevazioni statistiche dell’Istat prende atto di una effettiva condizione commerciale, nella quale gli strumenti, i materiali e i supporti dell’acquisizione e gestione digitale delle immagini stanno sostituendosi a ogni precedente condizione ed equilibrio. Le cifre che conteggiano l’attuale mercato fotografico degli apparecchi digitali, soprattutto compatte ma anche reflex (e qui sta la sostanza), registrano la continua crescita di un mercato che rivela un proprio stato di salute potenzialmente positivo. Se anche di questo si tratta, solleciteremmo gli addetti a indirizzare questi numeri verso sostanziose consecuzioni commerciali. Una fonte è autorevole per l’analisi del mercato fotografico è l’organizzazione internazionale di origine tedesca GfK (Gesellschaft für Konsumforschung), che estende le proprie rilevazioni a livello planetario, forte di capillari raccolte di dati nazionali. Lasciamo perdere l’andamento del mercato al di fuori dei nostri confini, che può avere riferimento soltanto statistico, tante sono le differenze del nostro mondo da quello degli altri paesi, seppure geograficamente prossimi. Riferendoci alle statistiche GfK Marketing Services, ci concentriamo esclusivamente sui valori italiani, con i quali ciascuno di noi fa (o dovrebbe quantomeno fare) i propri conti commerciali. Le cifre divulgate da GfK parlano chiaro, ed esprimono una serie di consecuzioni che il mercato dovrebbe cogliere al positivo e proiettare in analogo modo, per affermare princìpi commerciali solidi, concreti e lungimiranti (insistiamo su quest’idea). I valori dipendono dagli intervalli temporali che si prendono in considerazione: l’anno solare è spesso sostituito, nelle rilevazioni intermedie, dalla sequenza di dodici mesi aggiornati alla data più vicina. Ma in ogni caso, l’andamento è estremamente chiaro e definito. La sostanziale crescita del mercato fotografico,
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COMPATTE DIGITALI (PER RISOLUZIONE) 2005 2 Megapixel 3 Megapixel 4 Megapixel 5 Megapixel 6 Megapixel 7 Megapixel 8 Megapixel 9 Megapixel 10 Megapixel TOTALE
2006
149.000 743.000 680.000 426.000 64.000 42.000 21.000 2.125.000
36.000 205.000 576.000 985.000 347.000 180.000 52.000 12.000 7.000 2.400.000
Variazione -76% -72% -15% +131% +442% +329% +148% +13%
2005
2006
(cifre in arrotondamento; valori elaborati da rilevazioni GfK) Comparazione visiva tra i due anni presi in considerazione (2005 e 2006), che sottolinea lo spostamento commerciale verso le compatte digitali di maggiore risoluzione. A completamento, va annotato che questo mercato ha un proprio ulteriore riferimento nella tecnologia applicata del telefonino con funzioni fotografiche, che sta assolvendo intenzioni entry-level, diciamola anche così.
assestata attorno il tredici per cento (lo scorso 2006 rispetto il precedente 2005), registra anche due conferme coincidenti. Da una parte, dal punto di vista del prezzo, le compatte più vendute sono sempre e comunque quelle della fascia tra duecento e trecento euro di costo (oltre seicentomila compatte nel 2005, su un totale di due milioni abbondanti di pezzi: rispettivamente 610.000 e 2.125.000). Lo stesso accadde nel 2004, e
la condizione è stata confermata ancora nel recente 2006. (Attenzione: nella sintesi a pagina 15, può sembrare che la quantità maggiore sia riferita alle compatte digitali di costo inferiore a duecento euro; non è così, ma la cifra assomma più fasce di prezzo che abbiamo riunito per nostra semplificazione). Allo stesso tempo, è ribadita la riduzione di prezzo (prestazioni più alte a ogni fascia di prezzo) e sottolineato il sistematico
avanzamento delle prestazioni degli apparecchi, soprattutto delle compatte, a partire dalla risoluzione, il cui standard ha ormai superato la boa dei cinque Megapixel, affermando i sei Megapixel, in costante crescita; la risoluzione sotto i quattro Megapixel sta scomparendo, e anche tra quattro e cinque Megapixel c’è poco da fare: la crescita è nelle risoluzioni sistematicamente maggiori. A questo punto, i conti richiedono due precisazioni. La prima, riguarda l’allargamento della forbice tra quantità e valori. Per quanto le quantità di compatte digitali tenda a crescere (due milioni e quattrocentomila prezzi nel 2006 contro i due milioni e centoventicinquemila del 2005), al valore i fatturati sono addirittura stabili: nel 2006 si sono replicate le cifre della precedente stagione, anche se si vendono più compatte digitali, che costano sempre meno. La seconda rilevazione è però di ordine opposto, in un certo senso. Infatti, si sta sempre più imponendo il mercato delle reflex digitali di fascia bassa e medio-bassa, quelle rivolte e indirizzate al più ampio pubblico. Nel 2006 si è affermato un aumento del ventisei per cento sul precedente 2005 (allora furono oltre ottantamila le reflex vendute). Addirittura, se confrontiamo i dodici mesi a cavallo dell’anno, da agosto al successivo luglio, l’intervallo 2005-2006 è superiore del sessantacinque per cento su quello 2004-2005: a conferma, non solo testimonianza, della tendenza. A questo proposito, le previsioni internazionali sono estremamente chiare: nell’ambito del mercato digitale, le reflex pesano sempre di più. Erano il 2,5 per cento del totale nel 2004 e il 3,8 per cento nel 2005; sono state il 4,68 nel 2006 e si prevede che cresceranno al 5,26 per cento e 5,62 per cento nel corrente 2007 e prossimo 2008. Allo stesso tempo, il peso delle reflex sul valore economico è sostanziale: dal sedici al venti per cento del totale.
Anche le reflex digitali costano sempre meno: a un incremento del sessanta per cento delle quantità (intermedio 2005 su intermedio 2006) corrisponde un incremento del quaranta per cento abbondante del valore (stesso intervallo). Ma! Ma, a seguire, ogni reflex digitale porta con sé una consistente serie di accessori, a partire dagli obiettivi intercambiabili e dai flash elettronici dedicati, che solitamente consentono margini di guadagno superiori a quelli del corpo macchina base. Dove sta, ancora, la positività di questa situazione: comunque sia nelle cifre assolute. Infatti, a dieci anni dall’inizio dell’era digitale consumer, che possiamo datare dal 1996, la crescita del mercato può essere definita ancora sostanziosa. Negli ultimi cinque anni, sono state prodotte e vendute più
macchine fotografiche che in tutta la precedente storia della fotografia. A conseguenza, si tratta di sollecitare e indirizzare i consumi conseguenti, dalle stampe al finissaggio, in modo da conservare uno stato di salute ottimale. Non esiste una formula certa, altrimenti sarebbe facile applicarla. Ma ci sono esempi e indicazioni, quantomeno probanti. Nell’aria si respira un clima che dà spazio e visibilità all’immagine: inevitabile risultato finale dell’esercizio della fotografia. Probabilmente attraverso questa valorizzazione passa quel ragionamento che spinge verso la gratificazione di un hobby (fotografico) che, a differenza di altri, è attivo e non passivo. Di un hobby che ha modo e tempo di esprimere adeguati profitti a ciascun operatore del mercato. A.Bor.
I
UNO PIÙ CINQUANTA
In precedenza, abbiamo riservato questo particolare spazio redazionale, che da tempo manca dalle nostre pagine, alla segnalazione di libri e riviste di particolare sapore, ovviamente fotografico. Questa volta, è di scena una cartolina che, ahinoi, avremmo voluto rintracciare con un anno di anticipo, in modo da celebrarne il cinquantenario dall’edizione originaria: 1956-2006. Non avendolo potuto fare, perché il nostro ritrovamento è recente, eccoci qui a conteggiare cinquantun anni, appunto identificati e titolati come “Uno più cinquanta”, che suona leggermente meglio. Ovviamente, ciò che ha attirato la
ciata della cartolina, ulteriore a quello di regolare spedizione postale, tradizionalmente sul retro. Poi, nella decifrazione dei termini della vicenda, è sopraggiunta l’autentica scoperta aggiunta, che dà particolare senso, significato e valore (non necessariamente economico) all’insieme. Soprattutto, pensiamo a significato e valore nel senso dei tributi e contorni alla fotografia: aneddotica e dintorni.
nostra attenzione, sempre finalizzata e mirata, è la combinazione fotografica dell’immagine sulla cartolina: ritratto dell’attrice Grace Kelly con Rolleiflex biottica tra le mani (qui sotto). Il richiamo fotografico, che appartiene alla lunga e larga fenomenologia dei rimandi, ai quali prestiamo particolare attenzione (nei relativi e rispettivi riferimenti del cinema, fumetto, narrativa, filatelia e vita quotidiana), è subito risolto: appunto dall’evidenza della fascinosa Rolleiflex biottica. Immediatamente a seguire, una osservazione affrettata ha registrato con non celato fastidio quella che, a prima vista, è apparsa come intrusione indesiderata: l’annullo filatelico sulla fac-
HOLLYWOOD-MONACO
Lo spessore e valore di questa cartolina dipende dal francobollo ufficiale delle nozze di Grace Kelly con il principe Ranieri III di Monaco, con relativo annullo del 19 aprile 1956 (giusto “uno più cinquanta” anni fa), affrancato sul fronte di una edizione sostanzialmente generica, sulla quale ci soffermiamo per la combinazione con Rolleiflex biottica. Una volta ancora, significato e valore nel senso dei tributi e contorni alla fotografia: aneddotica e dintorni.
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Quello sul fronte della cartolina, che apparentemente deturpa l’inquadratura del ritratto, non è un francobollo semplice e comune, e neppure l’annullo è generico. Abbinati al ritratto a colori di Grace Kelly, appunto con Rolleiflex tra le mani, entrambi celebrano il matrimonio tra l’attrice e il principe Ranieri III di Monaco: 19 aprile 1956, per l’appunto “uno più cinquanta” anni fa. La cerimonia civile di quelle che la cronaca rosa internazionale del tempo definirono “le nozze del secolo”, fu celebrata il giorno prima, il diciotto aprile, mentre l’ufficialità del matrimonio è datata alla sontuosa cerimonia religiosa nella St. Nicholas Church, cattedrale del Principato, ripresa per la prima volta in mondovisione. Alla presenza di centinaia di giornalisti e fotografi, andò allora
S
oprattutto nelle grandi città, accanto proposte commerciali consuete o proiettate in avanti, si possono incontrare manifestazioni particolari, dense di sapore. Tra queste, le bancarelle e i negozi di libri e riviste di “seconda mano” (almeno) offrono testimonianze del passato che possono risultare preziose. Si possono ritrovare titoli andati perduti, da tempo ricercati, ma si possono fare anche scoperte originali: procedendo a caso, e avendo tempo e modo di soffermarsi per sola e semplice curiosità, magari in quel confortevole perdere tempo che può anche essere per se stesso benefico. Ecco qui, una delle nostre riscoperte d’annata.
le altre vicende della vita della coppia, che ha avuto tre figli: l’attuale sovrano Alberto II di Monaco, succeduto al padre, mancato il 6 aprile 2005, Caroline e Stefanie. Neppure riprendiamo le cronache della discussa morte improvvisa di Grace Kelly, a seguito di un ambiguo incidente stradale (14 settembre 1982). Dalla nostra consueta prospettiva mirata, attenta soprattutto alle questioni che ruotano attorno la fotografia, ci limitiamo all’attuale combinazione fotografica della cartolina della attrice e principessa con Rolleiflex tra le mani, che, comunque, sollecita un rimando connesso: altrettanto fotografico, sempre nell’ambito delle fenomenologie parallele e coincidenti, cui siamo soliti riservare particolare attenzione.
QUELLA FINESTRA
in scena una delle più sfarzose e affascinanti fiabe del Novecento: in un abito creato dalla costumista di Hollywood Helen Rose (corpetto in pizzo antico e gonna in taffettà), la ventiseienne attrice, regina del jet set, musa preferita di Alfred Hitchcock -con il quale aveva già girato Il delitto perfetto (Dial M for Murder; Usa 1954; con Ray Milland e Robert Cummings), La finestra sul cortile (Rear Window; Usa, 1954; con James Stewart) e Caccia al ladro (To Catch a Thief; Usa, 1955; con Cary Grant)-, sposò il trentatreenne sovrano di un Principato in raffinato equilibrio tra blasoni storici e mondanità contemporanea. Altri tempi, diciamolo. La cerimonia fu ignorata solo da alcune nobiltà europee, che non approvarono la salita al trono di una diva del cinema. Assenti i Windsor (del Regno Unito), i regnanti presenti si rifiutarono di fare la riverenza alla principessa Grace. Comunque, tutte queste sono soltanto doverose note di circostanza. Infatti, dal nostro punto di vista fotografico, cui vorremmo restare legati, non ci interessano questi dettagli, come pure non ci interessano
Come ha rivelato il regista Alfred Hitchcock a François Truffaut nella celebre intervista raccolta in volume (Il cinema secondo Hitchcock, Pratiche Editrice), «Prima d’ogni altra cosa -prima di essere giallo, thriller, commedia-, La finestra sul cortile è un film sul cinema e sullo spettatore. Un film su quella perversione così largamente diffusa ai giorni nostri e alla quale nessuno può sottrarsi: il voyeurismo». Aggiungiamo: è altresì un film sul cinema e sugli spettatori: tanti voyeur nascosti nel buio della sala, curiosi, morbosamente attratti da quello che accade tra i quattro lati di quella finestra illuminata. Ma non è neanche di questo che vogliamo occuparci, e neppure delle altre particolari componenti cinematografiche della pellicola, tra le quali spicca la scenografia unica, che impone allo spettatore di guardare tutto dal punto di vista del protagonista. Invece, e al solito, sottolineiamo componente fotografica del film, nel cui cast Grace Kelly è l’interprete principale femminile. Immobilizzato in casa da un incidente sul lavoro, un fotoreporter usa il teleobiettivo (Kilfitt Fern-Kilar 400mm f/5,6 su reflex Exakta) per scrutare l’intimità degli appartamenti di fronte al suo: così facendo scopre un omicidio. Ancora, alla conclusione del film, L.B. Jefferies
Ancora Grace Kelly e fotografia. In La finestra sul cortile ( Rear Window, di Alfred Hitchcock; Usa, 1954), l’attrice interpreta Lisa Carol Fremont, la fidanzata del protagonista L.B. Jefferies (James Stewart), un reporter immobilizzato in casa da un incidente sul lavoro, che scruta la vita del proprio isolato con il teleobiettivo. Intuisce un omicidio, e coinvolge nelle proprie osservazioni la fidanzata e la governante Stella (Thelma Ritter).
(l’attore James Stewart) resiste all’aggressione dell’assassino difendendosi a colpi di flash a lampadine, che accecano il pur coriaceo Lars Thorwald (Raymond Burr, noto per le serie televisive dell’avvocato Perry Mason e dell’investigatore paraplegico [Robert] Ironside). In La finestra sul cortile (Rear Window; Usa, 1954), Grace Kelly interpreta la sofisticata Lisa Carol Fremont («che non porta mai lo stesso vestito due volte»), fidanzata di L.B. Jefferies, che lo vuole convincere a lasciare il fotoreportage per la più remunerativa fotografia di moda, che gli consentirebbe un conveniente tenore di vita newyorkese. Significativo è il dialogo, dalla cui retorica prendiamo le distanze. Ma la proposizione è oggi necessaria, quantomeno dal punto di vista fenomenologico dell’immagine della fotografia, e in particolare del fotoreportage, all’esterno dei propri confini istituzionali e oltre le convinzioni dei propri addetti reali. Testuale, dal film. «Ho parlato di te tre volte nelle mie notizie mondane, oggi… e non si compera, certa pubblicità». «Ah, lo so». «Un giorno, potresti deciderti ad aprire un tuo studio personale qui». «E... e come potrei gestirlo, diciamo dal... dal Pakistan?». «Jeff, non ti sembra l’ora di sistemarti? Potresti scegliere i tuoi servizi». «Ce ne fosse almeno uno che mi va». «Fallo tu quello che vuoi». «Cioè, lasciare la mia rivista?». «Sì». «Per che cosa?». «Ma, per te stesso... per me. Potrei affidarti anche domani una dozzina di servizi... ritratti, moda...». «Eh, eh, eh». «No, non ridere. Io posso farlo». «È proprio questo che mi spaventa. Mi ci vedi tu, ad arrivare a una sfilata di modelli in jeep, con gli stivali sporchi di fango e la barba lunga di un mese? Pensi che farei effetto?». «Io invece ti vedrei molto elegante ed ammirato, in un bel gessato blu». «Oh, Lisa, smettiamola di dire sciocchezze. D’accordo?». Qui si conclude la prima scher-
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maglia. Più avanti, nella sceneggiatura, Lisa propone un’altra soluzione: se Jeff non vuole restare a New York, lei potrebbe seguirlo nei suoi reportage. Con tanta retorica del buon tempo passato, Jeff dipinge un lavoro senza confini, né certezze. Il dialogo prosegue. «Ma, che cosa ci trovi nel viaggiare da un posto all’altro facendo fotografie? È come essere un turista, in continua vacanza». «Okay, tu hai detto il tuo parere, e ne hai pieno diritto. Ora lascia che io dica il mio». «È ridicolo che [il fotoreportage] possa essere fatto soltanto
Immagine posata per la promozione e presentazione del film La finestra sul cortile. Oltre i due protagonisti, Grace Kelly e James Stewart, sul fondo si intravedono tutte le storie e vicende che il fotoreporter L.B. Jefferies scruta con il proprio teleobiettivo.
da un piccolo gruppo esclusivo di gente eletta». «Ho fatto una semplice affermazione, una vera affermazione, ma la posso avvalorare soltanto se riesci a stare zitta un momento [...]. Hai mai mangiato testa di pesce e riso? Beh, ti potrebbe succedere, se vieni con me. Hai mai provato a scaldarti in un aeroplano da carico, ad alta quota, con venti gradi sotto zero?». «Lo faccio quasi sempre, quando ho qualche minuto dopo pranzo». «Ti hanno mai sparato addosso? Ti hanno mai malmenato? Ti hanno mai aggredito a bastonate, di notte, perché hai pestato i piedi a qualcuno con il tuo lavoro? Quei tuoi tacchetti a spillo andrebbero benissimo nella giungla... e le calze di nylon... e poi la gonna da cento grammi». «Trenta». «Ancora meglio, farebbe colpo in Finlandia, prima che tu muoia congelata!». «Se c’è una cosa che so fare è vestirmi adeguatamente». «Certo, certo. Però, prova a trovare un impermeabile in Brasile, anche quando non piove. Lisa, io mi porto soltanto una minuscola valigetta, abito nel mezzo di trasporto di cui dispongo, dormo poco e mi lavo ancora meno... e, molto spesso, la roba che mangio è ricavata da bestie che quando sono vive
non oseresti neanche guardarle!». «Non essere così deliberatamente ripugnante, solo per convincermi che ho torto». «Ma, che diavolo hai capito? Sto solo cercando di spiegarti. Devi convincerti che non sei affatto adatta a questo tipo di vita... solo pochi lo sono». Basta (e avanza). Comunque, oltre altre tante evidenze scenografiche, questa è la combinazione cinematografica tra la fotografia, seppure retorica e irreale, e Grace Kelly, ulteriore il ritratto in cartolina, con Rolleiflex biottica tra le mani, dal quale siamo partiti. In chiusura, una sola altra annotazione su La finestra sul cortile, tanto per non lasciare nulla in sospeso. Annotiamo che si tratta di una sceneggiatura dinamica, il cui protagonista è una figura statica, che si trova in un’unica posizione, all’interno di una stanza, per tutto il film. È cinema allo stato puro. L.B. Jefferies (James Stewart) guarda fuori dalla propria finestra, verso il cortile: osserva. Il pubblico registra ciò che lui sta osservando, tramite le espressioni del suo volto. È autentica immagine visiva: la mobilità del volto, l’espressione, è usata come contenuto della pellicola. Tagli dell’inquadratura, primi piani, controcampo. Ribadiamo, è cinema. M.R. Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
UN AMERICANO A TODI
T
Trentasei fotografie, appositamente realizzate per la personale Tatge a Todi. I segni del paesaggio. Autore di origine e formazione statunitensi, anche se ufficialmente i natali sono diversi, classe 1951, dai primi anni Settanta George Tatge vive in Italia, appunto a Todi, in Umbria, in provincia di Perugia, sul cui territorio ha focalizzato alcune delle sue ricerche fotografiche. Al proposito, segnaliamo le raccolte monografiche Perugia. Terra vecchia, terra nuova, del 1981, con introduzione di Enzo Siciliano, e Al di là del Tiglio. Un ritratto di Todi, del 2002. E poi, immediatamente a seguire, ricordiamo che, dopo una prima mostra alla Galleria Il Diaframma di Milano, George Tatge ha esposto negli Stati Uniti e in Europa. Sue opere fanno parte di collezioni private e pubbliche, tra cui quella del Metropolitan Museum di New York, della George Eastman House di Rochester, dell’Houston Museum of Fine Arts, della Bibliothèque Nationale e della Maison Européenne de la Photographie di Parigi. Dal 1986 al 2003 è stato dirigente tecnico-fotografico della Fratelli Alinari di Firenze, per la quale ha condotto campagne fotografiche su tutto il territorio italiano, pubblicate in numerosi volumi. Rigoroso nella propria osserva-
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Oltre Quadro. Stampa al bromuro d’argento 40x58cm.
La Pineta di Montenero. Stampa al bromuro d’argento 40x58cm.
zione e visione fotografica, via via indirizzata sia al paesaggio naturale sia al paesaggio urbano, nell’attuale occasione espositiva George Tatge rivela altresì l’empatia che spesso collega e unisce l’autore con il proprio soggetto: non solo (inevitabile) pretesto espressivo, ma rappresentato con autentica partecipazione emotiva. In relazione alla particolare conoscenza diretta e prolungata, che appunto si basa sui tempi, ritmi e modi della vita quotidiana, George Tatge ha effettuato una particolare lettura in profondità del paesaggio e dei luoghi di Todi, con relativa e conseguente trasposizione in forma fotografica. Come annotato dal curatore Walter Guadagnini in presentazione critica, «l’Umbria che emerge da queste immagini è sorprendente». Raffinato e colto interprete, l’autore ha evitato ogni retorica, peraltro inevitabilmente estranea alla sua osservazione dal vetro smerigliato della Deardorff 8x10 pollici (oppure 13x18cm). Così che, rispondendo a ben altra scuola e cultura fotografica, resti-
tuisce una visione del tutto individuale, caratterizzata da una coinvolgente emotività (ribadiamo) sia nella composizione delle inquadrature sia nell’utilizzo di un bianconero fortemente espressivo. Dalle immagini emerge un paesaggio a volte grandioso, persino drammatico, a volte più lirico e intimista, nel quale la presenza dell’uomo si rivela centrale anche in assenza della figura: là dove appaiono le testimonianze artistiche del territorio, ma anche nelle composizioni all’interno delle quali si leggono e individuano le tracce di un lavoro che ha inciso, e ancora incide, sulla natura stessa del paesaggio. A.G. George Tatge: Tatge a Todi. I segni del paesaggio. A cura di Walter Guadagnini. Sala delle Pietre, piazza del Popolo, 06059 Todi PG; 075-8944148. Dal 31 marzo al 25 aprile; martedì-domenica 10,30-13,00 15,00-19,00. Mostra allestita all’interno del progetto Circuiti del paesaggio, del Comune di Todi; produzione Sistema Museo. Con volume-catalogo che riunisce e presenta le trentasei fotografie esposte, introdotte da un testo critico di Walter Guadagnini.
ATTORNO PLAYBOY (CIRCA)
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Da qualsiasi prospettiva personale si osservi l’editoria internazionale, Playboy è un mensile che si distingue drasticamente dalle testate erotiche entro la cui categoria continua a essere considerato. Pensiamo prima di tutto alla qualità formale delle fotografie presentate, che ogni mese compongono due, tre, quattro portfolio di nudi femminili interpretati in una chiave sostanzialmente alta: donne di particolare bellezza, atmosfere esclusive e raffinate,
Rapida escalation di una bionda esplosiva. In soli tre mesi, Anna Nicole Smith è passata dalla lapdance in locali di Houston, in Texas, sua città natale, dove si esibiva come Vicki (o Vickie), ai fasti (?) di Playboy: debuttante sul numero di marzo 1992, con richiamo in copertina, e subito Miss maggio 1992. Quindi, immediatamente a seguire, la sua prorompente femminilità, esaltata da una ben confezionata serie fotografica, le è valsa l’affermazione come Playmate dell’anno. Altro servizio fotografico e copertina in Playboy del giugno 1993.
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delicate e sofisticate evocazioni visive. Tanto che i nudi di Playboy finiscono per essere virtuali, in carta patinata, in un certo modo estranei alla vita quotidiana: soprattutto frutto di una palese somma di preziosi professionismi, dal trucco alla scenografia, dall’abilità fotografica alla postproduzione. Questo fa la differenza con altre raffigurazioni dozzinali di nudi femminili, assai meno ricercati, ossatura sia di tanta editoria in forma cartacea, sia della pornografia in Rete. Oltre i nudi femminili, che sono una parte relativamente contenuta del mensile, seppure continuano a essere il suo richiamo esplicito, a partire dall’immancabile invito dalla copertina, Playboy è una rivista che ospita testi di spessore: sempre con firme di giornalisti di spicco, si passa da approfondite interviste a personaggi della politica, dello spettacolo e della società alle inchieste, a
commenti in attualità. Ma non è questo che gli viene riconosciuto. Magari anche per interesse del suo padre-padrone Hugh M. Hefner, che nell’inverno 1953 vinse la sua ardita scommessa (pagina accanto e in FOTOgraphia del luglio 2003), Playboy rimane vincolata alla propria personalità più palese, evidente e facile da riconoscere: è una rivista erotica, che ogni mese presenta una adeguata qualità di ragazze nude, dalla Playmate che sorride dal paginone centrale (centerfold a tre facciate) alle comprimarie di contorno. Attenzione, però, che se si vanno cercando soprattutto nudi, ogni numero di Playboy è quantitativamente deludente: poche pagine in una fogliazione abbondante. Comunque, arrivando al tema odierno, anche se Playboy non ha bisogno di supporti esterni, che ne sostengano le edizioni mensili (ma forse è vero il contrario), alcune vi-
Anna Nicole Smith tornò sulla copertina di Playboy nel febbraio 1994, in occasione della sua partecipazione al cinematografico Una pallottola spuntata 33 1/3: l’insulto finale ( Naked Gun 33 1/3: The Final Insult, di Peter Segal; Usa, 1994), nei panni della seducente Tanya Peters, accanto al maldestro tenente Frank Drebin (l’attore Leslie Nielsen).
cende delle ragazze che vi sono apparse nude non si esauriscono con la pubblicazione in carta patinata, ma si proiettano all’esterno, travolgendo in qualche modo il costume e la società statunitense.
DUE CASI In tempi recenti, due casi hanno acceso le luci della ribalta giornalistica su Playboy: sono quelli di Anna Nicole Smith e Michelle Manhart. Con ordine. In cronaca, all’inizio di febbraio ha fatto scalpore l’improvvisa morte di Anna Nicole Smith, il cui corpo senza vita è stato trovato in una camera d’albergo in Florida (suicidio?). Come in precedenza era già accaduto ad altre avvenenti Playmate, la pubblicazione sul paginone centrale di Playboy del maggio 1992, con successiva elezione a Playmate dell’anno nel 1993 (scelta tra le dodici del 1992), proiettò Anna Nicole Smith in una sorta di star system dai colori personali. Oltre il consueto giro del mondo attraverso i club consorziati, modeste e autoconclusive furono le partecipazioni cinematografiche, limitati i passaggi televisivi. Però, rileviamolo, una istintiva abilità consentì a Anna Nicole Smith di fare tesoro di quanto regalatole dalle fortunose circostanze che le avevano permesso di lasciare i palcoscenici di lapdance nei quali si esibiva nella natia Houston, in Texas. Così che,
IN ORIGINE, MARILYN onteggiati dall’edizione originaria dell’inverno 1953, con Marilyn CancoraMonroe in copertina e su drappo rosso nel paginone centrale (non centerfold), i primi cinquant’anni di Playboy sono stati celebrati con un’edizione commemorativa del dicembre 2003, che anticipammo giornalisticamente nel luglio dello stesso anno. Sia sulla somma di un consistente insieme di vicende parallele, arricchite dalle due segnalazioni sulle quali ci siamo soffermati in queste pagine, sia per propria natura editoriale, Playboy non è soltanto una rivista genericamente erotica, ma, siamo sinceri, compone i tratti di un fenomeno sociale e di costume. Però, ricordiamolo ancora, quello che oggi appare come un luminoso cammino della testata, è frutto più di un azzardo che di una pianificazione imprenditoriale. Tanto è vero che il leggendario numero Uno avrebbe anche potuto non avere seguito, e rimanere solo e tale: Uno e basta. Playboy portò fortuna a Marilyn Monroe, ma -certamente- lei ne portò di più a Playboy. Non fosse stato per quell’affascinante nudo d’altri tempi, il sogno di Hugh M. Hefner, giovane e intraprendente editore, coetaneo dell’attrice, si sarebbe concluso con quel primo numero di una nuova rivista, appunto Playboy, mandato in distribuzione privo di data di copertina, in modo da poter recuperare gli eventuali (e previsti) invenduti da riciclare altrimenti. A favore delle vendite, la differenza la fece il famoso nudo di Marilyn Monroe, del quale negli Stati Uniti tutti parlavano ma che, causa le limitazioni legali alla distribuzione postale, non aveva ancora avuto diffusione reale: assicurarselo fu un autentico colpo di fortuna (o abilità?). Con il senno di poi, e nonostante i timori di Hugh M. Hefner, che per l’appunto non datò quel fascicolo, ipotizzandone anche un clamoroso fallimento, possiamo affermare che quel nudo garantì lo squillante successo della neonata rivista. Il numero Uno vendette più di cinquantamila copie a cinquanta centesimi l’una, e oggi, nel particolare mercato dell’antiquariato e collezionismo, una di quelle copie in buone condizioni può essere venduta fino a quindicimila euro, e forse anche di più.
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per quanto circoscritta, la raggiunta notorietà non fu effimera. Nel 1994, fece scalpore il suo matrimonio con il ricco petroliere John Howard Marshall: allora, lei aveva ventisei anni e lui ottantanove. Il matrimonio fu di breve durata: l’anno dopo lui muore (probabilmente con il sorriso sulle labbra, annotarono maliziosamente le cronache del tempo), e per Anna Nicole Smith inizia una lunga battaglia legale per l’eredità. Alla fine, dopo dieci anni di dibattiti, l’avrà vinta: un verdetto finale le assegnò ottantotto milioni di dollari (!), successivamente confermati di appello in appello fino alla Corte Suprema, lo scorso maggio. Però, nel frattempo, la vita di Anna Nicole Smith era andata disgregandosi. Il figlio ventenne Daniel è morto per overdose di metadone e la sua originaria bellezza è presto sfiorita: è arrivata a pesare sessantun chili oltre il peso forma Playboy, con aggiunta di alcolismo e dipendenza da una eterogenea serie di pasticche di vario genere. Quindi, al capolinea, la morte all’Hard Rock Hotel and Cafè, alle porte di Miami, in Florida. Nata povera il 28 ottobre 1967, l’avvenente Miss maggio 1992 di Playboy, segnalatasi anche come Playmate dell’anno nel 1993, è morta a trentanove anni, lo scorso otto febbraio. Certamente è morta ricca, altrettanto certamente è morta sola (di propria mano, è stato ipotizzato). Il suo corpo, che nel frattempo era stato riportato ad antichi splendori fisici, è stato imbalsamato a perenne memoria (di chi? per chi?). Per certi versi, in richiamo storico e
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di costume, questa tragica, attuale vicenda riporta indietro nei decenni, a una cronaca nera dell’inizio degli anni Ottanta. Già Miss agosto 1979, Dorothy Stratten fu una sfortunata Playmate dell’anno (1980): venne uccisa dal marito, geloso del regista Peter Bogdanovich, con il quale Dorothy aveva intenzione di andare a vivere. Oltre a un tributo sulla rivista, nel maggio 1981, la vicenda ha ispirato il film TV Death of a Centerfold: The Dorothy Stratten Story (di Gabrielle Beaumont; Usa, 1981), con Jamie Lee Curtis, il film Star 80, di Bob Fosse (Usa, 1983), con Mariel Hemingway, e il documentario TV Dorothy Stratten: The Untold Story (di Marshall Flaum; Usa, 1985), commissionato dall’editore di Playboy Hugh M. Hefner, montato con spezzoni di filmati storici e interviste realizzate per l’occasione, nel quale ciascuno interpreta se stesso.
IN DIVISA Sostanzialmente più leggero è il secondo caso di attualità, che riguarda il numero di febbraio di Playboy (edizione originaria statunitense). La notizia è presto riassunta: fotografata nuda per la rivista, e pubblicata in un portfolio distribuito su sei pagine, Michelle Manhart è stata congedata dall’Us Air Force, nelle cui fila aveva raggiunto il grado di sergente istruttore. Certamente, gli alti gradi delle forze armate statunitensi non hanno gradito la disinvolta sequenza di nudi espliciti, per quanto tutti in puro stile Playboy, estremamente raffinato. Però, in un paese che fa bandiera dei diritti dei propri cittadi-
Il sergente istruttore Michelle Manhart è stata congedata dall’Us Air Force per la sua apparizione sulle pagine di Playboy di febbraio. Per quanto i suoi nudi non siano stati graditi dagli alti comandi delle forze armate statunitensi, la motivazione ufficiale riguarda l’uso della divisa in situazioni estranee al proprio incarico ufficiale. Un precedente: nel 1994, accadde lo stesso all’agente della polizia di New York Carol Shaya.
ni, la procedura di congedo forzato non ha potuto riferirsi a questo, e si è basata su una rigorosa interpretazione delle regole delle forze armate statunitensi. Ufficialmente, non sono stati censurati i nudi di Michelle Manhart, quanto le fotografie introduttive, nelle quali il sergente istruttore è raffigurato nello svolgimento del proprio incarico, con indosso la regolare divisa militare. Ancora e anche qui, va ricordato un precedente analogo e parallelo. Nell’agosto 1994, uno dei servizi di nudo, complementari a quello centrale della Miss del mese, ha presentato Carol Shaya, agente dell’NYPD (il New York Police Department, reso celebre anche da serie televisive e ampie visitazioni cinematografiche). A seguito di quei nudi, già Carol Shaya perse il lavoro, anche allora perché nel servizio fotografico appariva anche con la propria divisa di ordinanza. Però le si sono aperte le porte per una carriera di modella e indossatrice. Attrice non è riuscita a diventare, sia per incapacità recitative sia a causa della ruvida parlata tipica degli agenti di New York, soprattutto di quelli che, come lei, hanno prestato servizio nei più violenti quartieri di Queens. Anche l’ex sergente istruttore Michelle Manhart potrebbe ora intraprendere altre carriere professionali, edificate sulla esuberante femminilità che ha rivelato dalle pagine patinate di Playboy: tutte doti che possono essere apprezzate meglio e più proficuamente, per lei, fuori dalle rudi gerarchie militari. A.G.
SOTTOIRI FLETTORI S B A G L I AT I ipende dai punti di vista e intenzioni. Però, per quanto la fotografia possa anche essere considerata un esercizio inutile e superfluo, non si può mettere in discussione la propria efficacia nell’ambito antropometrico e giudiziario: e su questo concordano opinioni autonome, espresse da sociologi e critici di ogni latitudine. A parte tanti altri volumi di peso scientifico o giornalistico, che affrontano la fotografia giudiziaria nel proprio insieme, approfondendone i termini, riflettiamo oggi sulla fotografia segnaletica sfogliando il pur datato, ma sempre attuale, Mug Shots - Celebrities Under Arrest (Mug, nel senso crudo e volgare di “faccia”), a cura di George Seminara: appunto, una brillante raccolta di fotografie segnaletiche di personaggi famosi, realizzate nei/dai dipartimenti di polizia statunitensi in anni successivi (St. Martin’s Griffin, 1996). Ci sono tutti, o quasi, da Jane Fonda, che negli anni Settanta mostra orgogliosa il pugno alzato in segno di protesta, alla più recente e celebre immagine di Hugh Grant, sorpreso a Los Angeles sulla sua Bmw in compagnia di una prostituta nera (Divine Brown), supina con la
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A cura di George Seminara, Mug Shots - Celebrities Under Arrest è una brillante raccolta di fotografie segnaletiche di personaggi famosi, che sono transitati per i dipartimenti di polizia statunitensi in anni successivi (St. Martin’s Griffin, 1996; 175 Fifth Avenue, New York, NY 10010; 96 pagine 21x14cm; 8,95 dollari, all’origine).
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Fin dalla propria nascita, la fotografia è stata usata anche con e per scopi giudiziari e di polizia: per esempio, per identificare e schedare i fuorilegge dell’Ottocento (argomento e pre/concetti che andrebbero approfonditi). Ancora oggi, negli Stati Uniti è fondamentale la funzione preventiva della fotografia segnaletica: chiunque venga accusato di una qualsiasi infrazione viene immediatamente registrato e fotografato di fronte e profilo (a volte, solo di fronte). In tono leggero è quanto racconta un gustoso librettino d’annata, antecedente il famigerato undici settembre (2001)
ARRESTATO IL
AL PACINO
7 GENNAIO 1961 A WOONSOCKET, RHODE ISLAND, PER DETENZIONE ILLEGALE DI ARMA DA FUOCO
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ue poliziotti del secondo turno di notte, seduti nell’auto di servizio parcheggiata a Park Avenue, in un sobborgo di Providence, Rhode Island, notarono che la stessa automobile li aveva superati più volte. L’agente William J. O’Coin Jr si avvicinò alla vettura con la sua torcia elettrica e guardò all’interno. Notò che i tre occupanti indossavano maschere e guanti neri. «Non mi dite», chiese sarcasticamente il poliziotto, «che venite da una festa di Halloween». Il poliziotto fece scendere gli uomini dall’auto. L’autista era Vincent J. Calcagni, di Rhode Island, e i suoi due passeggeri erano il diciannovenne Bruce Cohen e il ventenne Alphonse Pacino, entrambi di New York City. Una per-
ARRESTATO IL
JERRY LEE LEWIS
23 NOVEMBRE 1976 A MEMPHIS, TENNESSEE, PER STATO DI UBRIACHEZZA E DETENZIONE DI ARMA DA FUOCO
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obert H. Lloyd, una guardia notturna di Graceland, ha chiamato la polizia preoccupato per un uomo ubriaco, armato di pistola, che bloccava la porta di casa di Elvis Presley con una Lincoln Continental bianca. Due auto della polizia sono arrivate sul luogo alle 2,56 del mattino, e hanno trovato il signor Lloyd nascosto nell’ingresso della casa. Lloyd ha spiegato che l’ubriaco lo aveva minacciato con la pistola e che gli aveva manifestato le intenzioni di entrare in casa «in un modo o nell’altro». Lloyd ha anche notato che l’uomo impugnava una pistola nella mano destra.
ARRESTATO IL
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quisizione del baule della loro automobile fece trovare una pistola calibro 38 carica. I tre uomini furono portati alla stazione di polizia e registrati. Nel proprio rapporto, William J. O’Coin precisò che il signor Pacino era stato molto utile. Gli aveva spiegato che loro tre erano attori e che lui e Bruce Cohen avevano preso l’autobus da New York per andare a far visita a Vincent Calcagni, conosciuto durante il servizio militare. I ragazzi non potevano pagare la cauzione di duemila dollari e così furono incarcerati. Al Pacino rimase in prigione per tre giorni. Non c’è nessun documento che riveli se lui o gli altri siano mai stati perseguiti o giudicati colpevoli.
Cautamente, gli agenti si sono avvicinati all’auto. L’uomo nella Lincoln guardava fuori dal parabrezza. Quando i poliziotti si sono avvicinati al finestrino del lato guida aperto, hanno riconosciuto il cantante Jerry Lee Lewis, “The Killer”. La calibro 38 era appoggiata sulle ginocchia. Jerry Lee Lewis è stato fatto uscire dall’automobile e gli è stata confiscata la pistola. Gli agenti si sono subito resi conto che si reggeva ben poco in piedi, biascicava, e il suo fiato puzzava di alcool. Gli sono stati notificati i suoi diritti ed è stato arrestato per stato di ubriachezza in luogo pubblico e per detenzione di arma da fuoco.
HUGH GRANT
27 GIUGNO 1995 A LOS ANGELES, CALIFORNIA, PER ATTI OSCENI
urante il consueto giro di ricognizione, verso l’1,30 del mattino, gli agenti Teri Butterworth e Ernest Caldera del Dipartimento di polizia di Los Angeles notarono una Bmw bianca ultimo modello ferma vicino a una giovane donna. Dopo una breve conversazione (contrattazione?), lei entrò nell’auto, che, dopo poco, venne parcheggiata in una strada secondaria. Avvicinatisi, i due agenti dovettero trarre in arresto gli occupanti con l’accusa di atti osceni. Se giudicati colpevoli del reato, ognuno sarebbe stato condannato al pagamento di una multa di mille dollari e fino a un anno di carcerazione. Gli occupanti dell’automobile erano l’attore cinematografico di origine inglese Hugh Grant e la cittadina di Los Angeles Divine Marie Brown. Dopo il suo rilascio, Hugh Grant ammise pubblicamente di «aver fatto qualcosa di assolutamente insensato», e aggiunse che era dispiaciuto di aver ferito la propria fidanzata e messo in imbarazzo i suoi colleghi di lavoro. Si recò subito a Londra, proprio per spiegare l’accaduto alla sua fidanzata, la modella Elizabeth Hurley. Anche Divine Brown fu accusata di violazione della libertà vigilata per due precedenti condanne per prostituzione. I giornali sbandierarono l’imbarazzante conciliabolo di Hugh Grant con titoli a effet-
to, come “Il triste Hugh”, “Adesso Hugh è dispiaciuto” e “Hugh-miliato!”. I fotografi si affollavano attorno alla villa di Bath, in Inghilterra, nella quale l’attore e la modella vivevano. Prontamente, Divine Brown vendette la propria versione dei fatti a un giornale scandalistico di Londra per centosessantamila dollari. Hugh Grant tornò negli Stati Uniti per farsi carico delle proprie responsabilità di fronte alla stampa in occasione del lancio del suo film Nine Months. Attirando una grande attenzione, l’apparizione pubblica dell’attore giovò al film, che registrò subito cifre record nelle biglietterie. Al processo, Hugh Grant si dichiarò non colpevole. Chiese comunque scusa e si rimise al giudizio della Corte. Fu multato per millecentottanta dollari, messo in libertà sulla parola e obbligato a seguire un corso di prevenzione dall’Aids. Divine Brown si dichiarò non colpevole, asserendo di essere stata arrestata prima di aver commesso qualsiasi reato. Il procuratore di Los Angeles William Sterling chiese comunque il massimo della pena, otto mesi di reclusione. Indipendentemente dal proscioglimento giudiziario, arrivato molto tempo dopo la conclusione del processo, Divine Brown ha comunque iniziato una nuova carriera professionale come attrice.
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ALLEGRE SEGNALETICHE
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ealizzata dall’agenzia McCann-Erickson, la campagna stampa con cui, nove anni fa, la Rai promosse gli appuntamenti televisivi dei Campionati mondiali di calcio in Francia (giugno e luglio 1998) si basò sul richiamo di una serie di fotografie segnaletiche, accompagnate da testi declinati a conseguenza (qui sotto). Per sottolineare il fenomeno, che andrebbe approfondito in sedi critiche opportune (la nostra è soltanto una rapida segnalazione giornalistica), ricordiamo altri casi analoghi: fotografia segnaletica (o quasi), per la giuria dell’llford Prix du Jury 1999, della quale fece parte anche William Klein, presentata in una pagina pubblicitaria appositamente confezionata (in basso, a sinistra); fo-
tografia segnaletica in un annuncio stampa Computer Associates del 2001 (in basso, seconda da sinistra); pseudo fotografie segnaletiche di Conradin, stambecchi svizzeri di pezza coperti di peluche, per promozione turistica (inizio 2000; in basso, terza da sinistra); fotografie segnaletiche dello staff di un programma radiofonico in una pubblicità di fine 2006 (in basso, a destra). Ovviamente, tralasciamo l’immagine simbolo del film I soliti sospetti, che riunisce appunto i cinque protagonisti in posa segnaletica, perché non si tratta di stravolgimento della comunicazione, bensì di coerenza con la trama, a sfondo poliziesco (The Usual Suspects, di Bryan Singer; Usa, 1995).
faccia affondata tra le sue (di lui) gambe. La storia della fotografia giudiziaria americana, avviata nella seconda metà dell’Ottocento, è sintomatica, considerata l’estensione del territorio e il sostanziale pionierismo di molte terre. In quei tempi, i dipartimenti di polizia americani commissionavano i ritratti dei fuorilegge a esperti fotografi, che solo saltuariamente lavoravano per le forze dell’ordine. I risultati erano davvero notevoli: abiti perfetti, volti ben puliti e truccati. Questi fotografi erano interessati non tanto all’utilizzo segnaletico delle immagini, quanto alla realizzazione di raffigurazioni “artistiche”. Alla fine dell’Ottocento, la polizia statunitense iniziò ad assumere fotografi a tempo pieno, in
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modo da poter classificare i criminali secondo uno standard operativo ripetuto e ripetibile: ritratto di fronte e profilo e relativa annotazione, sul retro delle stampe, dei dati antropometrici di ciascuno (secondo i princìpi stabiliti dal criminologo francese Alphonse Bertillon, un autentico luminare in materia). Oggi, i poliziotti-fotografi prendono sul serio il proprio compito: impegnati sia all’interno dei dipartimenti sia per strada, sui luoghi degli incidenti, seguono corsi di composizione al fine di rendere assolutamente realistiche e verosimili le fotografie scattate. Sono sempre fotografi anonimi, che però arrivano a realizzare immagini destinate a diventare celebri e a fare il giro del mondo, come la se-
ARRESTATO IL
ORENTHAL JAMES (O.J.) SIMPSON
17 GIUGNO 1994 A LOS ANGELES, CALIFORNIA, PER DUE ACCUSE DI OMICIDIO DI PRIMO GRADO
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elle prime ore del mattino del 13 giugno 1994, la polizia è stata chiamata in una villa in Bundy Drive, nella zona di Los Angeles conosciuta come Brentwood. Lì, gli agenti trovarono l’orribile scena dei due corpi tremendamente sfigurati di Nicole Brown Simpson e Ronald Goldman. I figli della signora Simpson dormivano tranquillamente nelle proprie stanze. La polizia contattò immediatamente O.J. Simpson, che era in viaggio di lavoro verso Chicago, e lo informò che la sua ex moglie e un uomo erano stati uccisi nella sua casa. O.J. Simpson, celebre ex giocatore di football che aveva cominciato una carriera cinematografica [Capricorn One e Una pallottola spuntata], tornò immediatamente a Los Angeles. Capì subito che gli investigatori stavano conducendo indagini su di lui. Gli fu richiesto di presentarsi al Dipartimento di polizia di Los Angeles; invece di obbedire, O.J. Simpson abbandonò furtivamente la casa dell’avvocato, e scappò a bordo di un fuoristrada Ford Bronco bianco. L’intera nazione seguì dalla televisione l’inseguimento di O.J. e del suo
ARRESTATO IL
MICKEY ROURKE
18 LUGLIO 1994 A LOS ANGELES, CALIFORNIA, PER ABUSO MATRIMONIALE
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’attore-boxeur Mickey Rourke e la modella-attrice Carre Otis si sono incontrati durante le riprese di Orchidea selvaggia, uscito nelle sale nel 1990. La loro passione sullo schermo, li portò all’innamoramento reale e al matrimonio. Cinque mesi più tardi, la Otis fu ricoverata per depressione. Qualche tempo dopo, nel 1991, durante la lavorazione di un altro film affianco a Mickey Rourke, fu portata di gran fretta in un ospedale del New Mexico con una ferita da arma da fuoco sulla spalla. Spiegò alla polizia che non era stato suo marito a spararle, ma che era stata lei stessa che aveva spostato una borsa che conteneva una 357 Magnum e che, accidentalmente, aveva lasciato partire un colpo. Il 18 luglio 1994, il Dipartimento di polizia di Los Angeles arrestò Mickey Rourke per presunta aggressione e percosse nei confronti di Carre Otis, accuse che l’attore contestò. Durante il procedimento, la coppia si è separata, e in seguito hanno divorziato. Il dodici dicembre, un giudice californiano ha dovuto
ARRESTATA IL
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amico A.C. Cowlings, trasmesso in diretta da una emittente televisiva che era riuscita ad accodarsi alle forze di polizia. O.J. Simpson fu arrestato e accusato dei due omicidi. Per tutto l’anno seguente, gli Stati Uniti e il mondo intero assistettero a quello che i media hanno definito “Il caso del secolo”. O.J. Simpson si procurò una delle migliori squadre di legali mai messa insieme, guidata da Johnnie Cochran, che non ha mai perso una causa a Los Angeles, assieme al difensore Robert Shapiro. Nei loro ranghi entrarono anche il leggendario avvocato F. Lee Bailey, esperto di diritto costituzionale, Alan Dershowitz, docente ad Harvard, gli esperti di Dna Barry Scheck e Peter Neufeld, Bob Blaiser, famoso investigatore, Dean Ullman, presidente della California Academy of Appellate Lawyers, e Robert Kardashian, amico di Simpson. Alla fine, dopo nove mesi di dibattimento, O.J. è stato dichiarato non colpevole e rilasciato. Sono state scritte più pagine per questo caso che per ogni altro nella storia legale degli Stati Uniti.
lasciar cadere le accuse contro Mickey Rourke, dopo che Carre Otis ha smesso di cooperare con gli investigatori di Los Angeles. All’inizio del 1995, durante le settimane della moda a New York City, Carre Otis cercò di rilanciare la propria carriera di modella. Iniziarono a circolare delle voci, che si pensa siano state diffuse dalla stessa Otis, che diceva di essere infastidita dall’ex marito. Questo fece sì che Mickey Rourke fosse bandito da molti eventi di quella manifestazione. In tutti i casi, gli incontri e gli scontri della coppia, alle sfilate e alle feste, conquistarono le prime pagine dei giornali, mettendo in secondo piano anche gli stilisti. Per esempio, a un ricevimento, Mickey Rourke mandò il rapper Tupac Shakur, pure nei pasticci per un’analoga accusa di abuso matrimoniale, al tavolo della Otis con una bottiglia di champagne. A metà del 1995, Carre Otis tornò a vivere con Mickey Rourke. Dichiarò testualmente: «Siamo molto, molto felici».
JANE FONDA
3 NOVEMBRE 1970 A CLEVELAND, OHIO, PER AGGRESSIONE E PERCOSSE
’attrice Jane Fonda è stata arrestata da un agente di dogana all’Hopkins International Airport, mentre si dirigeva al Bowling Green State College per un incontro pubblico. Secondo quanto asserisce il rapporto, avrebbe avviato una scaramuccia prendendo a calci un poliziotto e spintonando l’agente di dogana verso i servizi igienici delle donne. Una perquisizione dei suoi bagagli personali fece trovare centodue fiale di plastica che contenevano cibo macrobiotico e vitamine; e poi c’erano anche dei medicinali con prescrizione medica: Dexedrine, Valium e Compazine. Dopo l’arresto, Jane Fonda è stata portata alla Cuyahoga County Jail con l’accusa federale di contrabbando di droga e l’accusa locale di aggressione a pubblico ufficiale. Citata in giudizio e rilasciata con una cauzione di cinquemila più cinquecento dollari, prima di essere liberata, l’attrice fu trattenuta nella prigione di Cuyahoga per tre ore. Lì conobbe Barbara Kahn, una diciottenne di Cleveland ar-
restata per aver turbato l’ordine pubblico durante una parata degli United Hard Hats of America. La giovane le raccontò i maltrattamenti della polizia di Cleveland, e Jane Fonda affermò che il trattamento subìto era analogo a quello riservato ai prigionieri politici. Questo incontro fu uno degli episodi che incoraggiarono la già celebre attrice, figlia d’arte, a unirsi alla lotta per i diritti delle donne e a diventare una portavoce del movimento femminista nel mondo. Nel processo degli Stati Uniti d’America contro Jane Fonda, il giudice Edward F. Fieghan della Corte municipale di Cleveland si espresse in favore dell’imputata, e tutte le accuse furono sospese quando le presunte droghe furono identificate come medicinali legalmente prescritti. La polizia locale chiese un nuovo processo, ma la richiesta fu respinta. A propria volta, Jane Fonda ritirò la sua azione legale per centomila dollari contro il Dipartimento di polizia di Cleveland per offese personali.
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JAMES BROWN
ARRESTATO IL 24 SETTEMBRE 1988 A AIKEN COUNTY, SOUTH CAROLINA, PER AGGRESSIONE, DETENZIONE ILLEGALE DI ARMA DA FUOCO, DUE CAPI DI ACCUSA PER AGGRESSIONE CON L’INTENTO DI UCCIDERE, SETTE ALTRE ACCUSE MINORI
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e persone che stavano frequentando un corso pomeridiano di sicurezza, furono sorprese di trovare James Brown, il “dio del Soul”, che passeggiava indossando un cappello da cowboy e brandendo una pistola e una doppietta. «Chi ha usato il mio gabinetto?», chiese il cantante, che aveva un ufficio nel palazzo. Quindi, James Brown ordinò a due donne di chiudere a chiave la porta del bagno e consegnargli la chiave. Subito dopo lasciò l’edificio, salì sul suo fuoristrada rosso e bianco e se ne andò velocemente. “Velocemente” non dà un’idea esatta dei fatti: praticamente, James Brown stava volando. L’auto venne notata da un poliziotto dell’ufficio della Richmond County, che lo inseguì lungo l’Interstatale 20. Quando il veicolo attraversò il confine con il South Carolina, l’inseguimento fu continuato da poliziotti di North Augusta. Gli agenti cercarono di fermare il fuoristrada sparandogli alle gomme. Anche con il veicolo malmesso, James Brown continuò la sua corsa sui cerchioni; intravisto un posto di blocco, si girò e tornò indietro verso la Georgia. Con numerose auto della polizia che lo seguivano, James Brown uscì di stra-
da, dove i cerchioni si arenarono nel terreno, e finalmente fu catturato. Il cantante non era estraneo alla legge. Aveva già subìto procedimenti: per possesso di droga, resistenza all’arresto, detenzione di pistola senza porto d’armi e tentato omicidio (di sua moglie, Adrienne Brown, che si rifiutò di testimoniare contro suo marito, facendo così cadere questa imputazione). Al processo, il giudice di Aiken County, Hubert E. Long ascoltò per molte ore le testimonianze degli amici, della famiglia, dei fan di James Brown e della sua musica, concordi nel chiedergli clemenza. Il difensore del cantante disse al giudice che «James Brown è solo un uomo che vuole comportarsi giustamente», ammettendo che «la responsabilità di giudicare non è facile». Il giudice Long avvertì la Corte che lui doveva considerare la comunità tanto quanto doveva considerare James Brown, quindi lo condannò a sei anni da scontare in penitenziario, cinque anni di libertà vigilata, con l’obbligo di un test anti droga nel primo anno, e seimila dollari di multa. Dopo due anni di prigione, James Brown è stato rimesso in libertà sulla parola dal South Caroline Parole Board.
ANCORA SEGNALETICHE
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ffini alla raccolta curata da George Seminara (Mug Shots - Celebrities Under Arrest, soggetto principale della nostra attuale segnalazione giornalistica), altre due fotografie segnaletiche accompagnano altrettante passerelle pubbliche di due personaggi statunitensi dei nostri tempi. Entrambe sono riportate sulle copertine di biografie non autorizzate, che sono poi quelle scritte senza la complicità né partecipazione del diretto interessato. Come si sa, le biografie non autorizzate indulgono sui dettagli sui quali sorvolano le biografie autorizzate: secondo i casi, a ciascuno il proprio, dalle vicende intime alla disinvoltura negli affari. Segnaliamo qui le fotografie segnaletiche di Bill Gates, padre-padrone di Microsoft, uno degli uomini più ricchi e potenti del mondo, e Bettie Page, modella cult dell’erotismo soft degli anni Cinquanta. La segnaletica del ventiduenne Bill Gates, fermato dalla polizia di Albuquerque, nel New Mexico, illustra la copertina della biografia
non autorizzata Bill Gates, titolo didascalico, pubblicata da Feltrinelli nella primavera 2000. Quella di Bettie Page è riportata a margine della copertina di The Real Bettie Page, di Richard Foster, appunto biografia non autorizzata della celebre pin up (sulla quale ci siamo attardati in diverse occasioni; FOTOgraphia, settembre 1997, marzo 2001 e maggio 2006), che nel 1997 contrastò l’edizione della biografia autorizzata Bettie Page. The Life of a Pin-Up Legend, di Karen Essex e James L. Swansond, pubblicata un anno prima. Per la cronaca, la fotografia segnaletica di Bettie Page risale al 1972, e segue di quasi vent’anni i tempi della sua gloria fotografica, culminata con il paginone centrale su Playboy del gennaio 1955.
gnaletica di O.J. Simpson, rimbalzata di giornale in giornale e ripresa anche dai notiziari televisivi. Viene loro insegnato a catturare l’attenzione con la più pura rudezza, senza tanti fronzoli. Come fa Robert De Niro, nei panni di Wayne “Mad Dog” Dobie, nella commedia cinematografica Lo sbirro, il boss e la bionda, nel quale interpreta appunto un fotografo della polizia criminale di Chicago (Mad Dog and Glory, di John McNaughton; Usa, 1993). E anche nel caso del più diretto e semplice ritratto segnaletico, non ci devono essere abbellimenti linguistici. L’immagine deve essere cruda e diretta. Quasi cinica: giusto come mettono in risalto le fotografie raccolte in Mug Shots - Celebri-
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ties Under Arrest, curiosa selezione di volti celebri. Alcuni personaggi sono stati classificati prima di diventare tali, altri sono passati per la trafila dell’arresto a carriera abbondantemente iniziata. Oggi noi rispettiamo la leggerezza di questa raccolta, che non intende essere in alcun modo scientifica oppure antropometrica, come lo sono invece altri volumi che compongono la nutrita bibliografia della fotografia giudiziaria. Conserviamo lo spirito giocoso dell’allegro casellario, che per tanti versi mette alla berlina lo star system americano, e proponiamo una selezione di ritratti segnaletici, accompagnati dal racconto dei fatti che hanno portato all’arresto dei singoli personaggi. Laura Carbonara e Maurizio Rebuzzini
Nel 2000, il comitato tedesco dell’Unicef (United Nations Children’s Fund, Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia) ha creato un evento fotografico annuale. Unicef Photo of the Year Award è un Premio riservato al fotogiornalismo che documenta le condizioni di vita dei bambini nelle situazioni tragiche di guerra, fame e povertà, ma anche nei momenti di gioco e felicità della vita quotidiana
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nicef Photo of the Year Award è il contributo che la fotografia dà per alleviare la drammatica situazione e condizione nella quale si trovano i bambini in molte parti del mondo. Per quanto, come sempre scriviamo, la fotografia non abbia mezzi per cambiare radicalmente alcuna situazione (ci mancherebbe altro), la sua particolare visione ha comunque tempo e modo per influire sulle coscienze, educare pensieri, sollecitare interventi correttivi. Se un richiamo storico può essere utile, oltre che necessario, ricordiamo ancora le fotografie che Lewis W. Hine realizzò all’inizio del Novecento per il National Child Labor Committee, ente fondato nel 1904 da cittadini statunitensi impegnati a salvaguardare e sal-
DALLA PARTE
vare i bambini dallo sfruttamento sul lavoro (presidente dell’ente era Felix Adler, che nel 1877 aveva già fondato l’Ethical Culture School di New York, una scuola per lavoratori le cui lezioni si basavano su un’etica religiosa umanistica, che sosteneva la dignità, il valore e la creatività degli uomini di ogni razza, religione e strato sociale [a firma di Pino Bertelli, Sguardo su in FOTOgraphia dell’ottobre 2005]). Proprio queste fotografie di Lewis W. Hine indussero il governo degli Stati Uniti a varare leggi a tutela dei minori. Comunque, a distanza di oltre un secolo, in molti paesi del mondo, i dati riguardanti la condizione dell’infanzia restano allarmanti. Lo scorso ventinove gennaio, l’Unicef, il ramo delle Nazioni Unite che si occupa dei problemi dei bambini nel mondo, ha
presentato l’Humanitarian Action Report 2007. Si tratta di un ennesimo grido d’allarme che riguarda le emergenze in molti paesi, dal Darfur a Haiti, dall’Eritrea alla Repubblica Centrafricana. Il direttore generale dell’Unicef, Ann Margaret Veneman, dichiara: «A causa di situazioni drammatiche, che dipendono sia da disastri naturali sia da nuove e vecchie guerre, bambini e donne continuano a pagare il proprio pesante contributo in termini di vite umane». Per il 2007, Ann Margaret Veneman chiede ai donatori seicentotrentacinque milioni di dollari, un quinto dei quali sono destinati al Darfur, dove quattro milioni di persone, di cui circa la metà sono bambini, vivono in condizioni drammatiche. Dan Toole, direttore dell’Office of Emergency Pro-
Marcus Bleasdale, Gran Bretagna / Norvegia (freelance). Primo premio 2004: Darfur in fiamme, giugno 2004. Disa, nord del Darfur: una bimba aspetta il ritorno della madre. Sfollata dal proprio villaggio, bruciato durante il recente conflitto, l’unico cibo rimasto sono le bacche sugli alberi. In un’altra immagine si vedono i corpi senza vita di alcuni ragazzini appena fuori da Jijira Adi Abbe, un villaggio del Darfur occidentale, subito dopo il bombardamento effettuato dai caccia governativi. La popolazione nera di questo e altri trentaquattro villaggi della zona ha subìto una “pulizia etnica”. Dopo il bombardamento, i governativi hanno portato a termine il massacro, uccidendo duecentosessantasette persone solo a Disa. Si stima che ci siano circa ottocentomila profughi in Darfur, intrappolati a est, sud e ovest dalle truppe governative e a nord dal deserto, dove non si può fuggire, perché la sopravvivenza del bestiame e delle persone più deboli sarebbe impossibile. Nel 2004, il governo di Khartoum si è reso responsabile di una sistematica pulizia etnica, che ha creato centodiecimila rifugiati nel vicino Ciad e ottocentomila sfollati nel Darfur.
DEI BAMBINI
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Abir Abdullah, Bangladesh (European Press Agency). Secondo premio 2004: Bangladesh: crollo di un edificio fatiscente. I soccorritori recuperano la salma di un bambino di sei anni rimasto sepolto sotto le macerie di un edificio, crollato a Shankharibazar, nei pressi della capitale Dhaka. Nell’edificio vivevano più di cento persone: diciannove morti e decine di feriti. Abir Abdullah ha documentato la vita dei bambini durante le inondazioni in Bangladesh. Nel 2004, in Bangladesh, più di venticinque milioni di persone sono state colpite dalle inondazioni.
grammes dell’Unicef, aggiunge: «Molte delle situazioni di crisi nelle quali operiamo non ricevono aiuti perché non sono al centro dell’attenzione del grande pubblico. I problemi per i bambini non possono risolversi se i media non ne parlano». Dunque, anche la
I VINCITORI
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alla creazione del prestigioso e qualificato Unicef Photo of the Year Award sono stati premiati lavori fotografici di concentrata sostanza, in linea e sintonia con gli intendimenti statutari del Premio. Pubblicata nell’agosto 2005, la monografia Children - The Future of Mankind raccoglie lo svolgimento delle prime cinque edizioni, con commenti di Günter Grass, Susan Sontag, Mario Vargas Llosa, Eduardo Galeano e Sebastião Salgado (Kinder - Die Zukunft der Menschheit, a cura di Angela Rupprecht e Ruth Eichhorn, photo editor di Geo; Gerstenberg Verlag; 200 fotografie; 176 pagine 24x29cm). I vincitori, dalle origini. ❯ 2000 Matias Costa, Spagna (vincitore in una sezione del World Press Photo; freelance; pubblicazioni in El Pais e El Mundo): Il paese dei bambini scomparsi (la guerra del Ruanda). Secondo e terzo premio e nove menzioni. ❯ 2001 Meredith Davenport, Usa (freelance; pubblicazioni in National Geographic e Guardian): Siviani, un bambino handicappato di nove anni del Costa Rica. Secondo, terzo e quarto premio e otto menzioni. ❯ 2002 Jan Grarup, Danimarca (vincitore in una sezione del World Press Photo; lavora per Politiken; pubblicazioni in Stern e Newsweek): Rifugiati della guerra in Liberia e Sierra Leone. Secondo, terzo e quarto premio e dieci menzioni. ❯ 2003 Don Bartletti, Usa (vincitore di un Pulitzer Award; lavora per lo Smithsonian Institute e per il Los Angeles Times): Enrique, l’odissea lunga diciannovemila chilometri di un bimbo del Centro America che cerca di raggiungere la madre emigrata negli Stati Uniti. Secondo e terzo premio e quattro menzioni. ❯ 2004 Marcus Bleasdale, Gran Bretagna (vincitore del Photographer of the Year Award 2004 e 3 PPP Award; freelance; pubblicazioni in The New Yorker, Time Magazine e Life): Darfur in fiamme [a pagina 34 e 35]. Secondo e terzo premio e quattro menzioni. ❯ 2005 David Gillanders, Scozia (freelance; lavora per BBC e The Herald Saturday Magazine): Yana, una bimba nelle strade di Odessa. Secondo e terzo premio e sette menzioni. ❯ 2006 Jan Grarup, Danimarca (già vincitore dell’Unicef Photo of the Year del 2002): Terremoto nel Kashmir. Secondo e terzo premio e nove menzioni.
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comunicazione, con la propria assenza, può rappresentare una minaccia per i bambini che subiscono le conseguenze di eventi tragici (innescati dagli adulti). Come anticipato, il legame di tutto ciò con la fotografia è ovvio. E assolutamente condivisibile è l’iniziativa del comitato tedesco dell’Unicef, che nel 2000 ha avviato un evento fotografico annuale, un Premio riservato ai fotogiornalisti che, con il proprio lavoro, documentano le condizioni di vita dei bambini sia nelle situazioni disperate di guerra, fame, povertà, sia in piccoli momenti di gioco e felicità della vita quotidiana: Unicef Photo of the Year Award (Premio Unicef fotografia dell’anno). Un grande esempio di fotografia al servizio dei bambini è rappresentato dal lavoro di David “Chim” Seymour (a pagina 39; Sguardo su in FOTOgraphia dell’ottobre 2006), uno dei fondatori della agenzia Magnum Photos, che nel 1948 fu incaricato dall’Unesco e dall’Unicef di documentare le loro condizioni di vita nell’Europa dell’immediato dopoguerra. Forse è questo lavoro che ha ispirato Angela Rupprecht, attuale responsabile del progetto, che insieme a Dieter Pool, capo delle pubbliche relazioni Unicef in Germania, ha progettato l’Unicef Photo of the Year Award. L’abbiamo intervistata, raggiungendola telefonicamente nella sua bella casa di Hennef, una piccola cittadina tra Francoforte e Colonia. Ciao Angela. Tutto bene? Vorrei farti qualche domanda sull’Unicef Photo of the Year Award. Posso? Sì? Come è nata questa idea? «Tutto cominciò nella primavera del 2000, quando l’Unicef Germania mi chiese se avevo qualche idea su un progetto fotografico. Sapevano delle mie competenze sia per la fotografia, sia per le pubbliche relazioni e raccolta fondi di organizzazioni non profit. La mia idea fu quella di rivolgermi ai protagonisti del fotogiornalismo internazionale, creando
«È quasi totalmente indipendente dall’Unicef. Nella giuria c’è un solo posto riservato a un suo rappresentante. Nel 2006, è stato Reinhard Schlagintweit, former president di Unicef Germania. Gli altri membri provengono sia dai media, sia dal mondo acca-
Maurício Lima, Brasile (Agence France Press). Secondo premio 2005: Le conseguenze della Guerra in Iraq. Ayad Ali Brissam Karim è nato a Baghdad, nel 1991. Nel 2003, durante la Seconda guerra del Golfo, la fattoria dei suoi genitori è stata bombardata da un elicottero statunitense. Lo zio Mohammad ha perso una gamba. La nonna Telba è stata ferita mentre tentava di aiutare Ayad. Ayad è rimasto ustionato in volto ed è diventato cieco dall’occhio destro. I danni peggiori che Ayad ha subìto sono però di natura psicologica. Sua madre dice: «Continua a porre la stessa domanda centinaia di volte al giorno e diventa aggressivo senza nessuna ragione».
LE TAPPE DELL’UNICEF
un concorso fotografico a inviti. Chi accettava la nomination, avrebbe inviato le proprie fotografie e una giuria avrebbe assegnato dei premi. Non sapevo se questa iniziativa avrebbe funzionato. Era un esperimento. Ma funzionò bene». Qual è il tuo ruolo nell’organizzazione? «Il progetto l’ho ideato io e mi occupo della sua gestione. Inoltre, mi occupo di pianificare tutte le iniziative e dei rapporti con gli sponsor relativamente all’Unicef Photo of the Year Award. Non sono coinvolta in altre attività dell’Unicef». Come viene scelta la giuria?
❯ 1946 A dicembre, l’Onu crea una speciale struttura, l’Unicef (United Nations Children’s Emergency Fund, dal 1953 United Nations Children’s Fund), per distribuire cibo, coperte e cure mediche ai bambini europei segnati dalla Seconda guerra mondiale. ❯ 1953 L’Unicef diventa una struttura permanente dell’Onu. Comincia una campagna contro la framboesia, una malattia della pelle, che colpiva milioni di bimbi anche in Europa. ❯ 1954 L’attore comico Danny Kaye diventa testimonial dell’organizzazione. Il suo film Assignment Children, sul lavoro dell’Unicef in Asia, è visto da milioni di spettatori. ❯ 1959 Viene presentata la Carta dei Diritti del Bambino. ❯ 1961 L’Unicef comincia a occuparsi anche di progetti di sostegno, per creare scuole e insegnanti nelle nazioni emergenti. ❯ 1965 L’Unicef vince il premio Nobel per la Pace. ❯ 1979 È proclamato l’Anno Internazionale del Bambino. ❯ 1981 Viene lanciata la Campagna internazionale per l’allattamento al seno. ❯ 1982 Nasce Child Survival and Development Revolution, un progetto per salvare milioni di vite in quattro semplici punti di limitato impegno finanziario: monitoraggio della crescita, terapia di reidratazione orale, allattamento al seno, vaccinazione. ❯ 1989 La Convenzione Internazionale sui Diritti del Bambino viene adottata ufficialmente dall’Onu. Nella storia dell’umanità, questa convenzione rappresenta il tratto sui diritti umani più rapidamente accettato da un grande numero di paesi. ❯ 1990 Summit mondiale per i Bambini. Convenuti a New York, i capi di Stato approvano un piano decennale di interventi. ❯ 1996 Viene presentato il Machel Report: The Impact of Armed Conflict on Children, uno studio commissionato dall’Unicef sull’impatto delle guerre sui bambini. ❯ 1998 Il Consiglio di sicurezza dell’Onu affronta il primo dibattito della propria storia sui problemi degli effetti delle guerre sui bambini. ❯ 2000 In Germania, nasce l’Unicef Photo of the Year Award. ❯ 2002 Prima sessione di lavori delle Nazioni Unite interamente dedicata ai bambini: si fa il punto sul World Summit for Children del 1990 e si stendono piani per il futuro.
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UNICEF PHOTO OF THE YEAR AWARD
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gni anno, dal 2000, l’Unicef Germania invita esperti internazionali a nominare una serie di fotogiornalisti che hanno realizzato lavori sulla vita dei bambini in momenti difficili, come anche in istanti di felicità e gioco. Una giuria scelta da Unicef Germania tra esperti del mondo della fotografia e della comunicazione valuta i lavori pervenuti. ❯ Gli scopi di Unicef Photo of the Year Award : • Utilizzare fotografia di alta qualità professionale per far crescere la consapevolezza dei problemi dei bambini che vivono in condizioni difficili; • Richiamare l’attenzione del pubblico su emergenze e guerre dimenticate; • Indicare gli interventi di aiuto necessari. ❯ Gli strumenti di Unicef Photo of the Year Award : • Utilizzo di immagini che rendono visibili le condizioni di vita dei bambini e rivelare il loro destino; • Valorizzazione della fotografia di qualità; • Premio all’impegno dei fotografi. ❯ Chi vuole raggiungere Unicef Photo of the Year Award : • Media e personaggi del mondo della politica, dell’economia e della cultura; • Il grande pubblico che si sente coinvolto dei problemi del mondo; • Gli attivisti che lavorano nelle organizzazioni umanitarie; • Insegnanti, studenti e scolari.
Alfredo D’amato, Italia (Panos Pictures). Terzo premio 2004: Il sogno di Corinna. Corinna, una bimba di cinque anni, vive a Calea Vacaresti, a sud-est di Bucarest, capitale della Romania. Ha problemi di deambulazione perché, per tutto l’inverno, è rimasta chiusa in un tugurio insieme ai suoi quattro fratelli e sorelle. Il papà è in carcere e la mamma è fuggita, abbandonandoli. L’unica persona che si occupa di loro è la nonna Eliana, la cui paura è che la polizia distrugga la baracca in cui vivono, privandoli del loro povero rifugio. In inverno, la temperatura scende fino a venticinque gradi sottozero. In Romania, i più poveri non vengono registrati alla nascita, e quindi non si possono neppure considerare cittadini del paese.
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demico: fotografi, photo editor, professori e artisti. C’è anche un posto riservato allo sponsor principale». Ecco, per fare un esempio, da chi era composta la giuria della recente edizione 2006? «Oltre al già citato Reinhard Schlagintweit, il presidente era Klaus Honnef, professore di Teoria della fotografia. Poi c’erano Sue Harnett, presidente di Citibank Deutschland, sponsor principale dell’edizione, Ruth Eichhorn, picture editor dell’edizione tedesca di Geo, Christian Pohlert, picture editor del quotidiano Frankfurter Allgemeinen Zeitung, Rolf Nobel, capo del dipartimento di fotografia dell’Università di Scienze Applicate di Hannover, esperto di documentary photography, Lutz Fischmann, segretario della Geschäftsführer Freelens e.V. di Amburgo (associazione di fotografi freelance) e Bernd von Jutrczenka, picture editor della Deutsche Presse-Agentur (Dpa). Qual è il coinvolgimento dei media in Germania e nel mondo? Per esempio, so che GeoLino [la rivista di Geo per ragazzi] è tra gli sponsor. «Per l’Unicef Photo of the Year Award, sin dal 2003,
Geo è il nostro partner ideale, sia dal punto di vista culturale sia da quello economico. Per esempio, offre il Primo premio al vincitore, che consiste nella commissione di un servizio che viene poi pubblicato dal magazine. Inoltre, Geo pubblica ogni anno un dettagliato report su tutta la manifestazione. «Non ci sono altri media tra gli sponsor. L’ufficio stampa di Unicef Germania, in collaborazione con Unicef Internazionale, fa un buon lavoro e ottiene una eccellente copertura giornalistica della cerimonia di premiazione. Naturalmente, il sito web dell’organizzazione tedesca (www.unicef.de) pubblica ogni dettaglio del Premio, visualizzando altresì i fotoreportage segnalati dalla giuria. «In Germania, stampa e televisione ci riservano un’attenzione incredibile: più di cento articoli nei principali giornali, qualche volta la copertina, le reti televisive più importanti ne parlano. Anche nei media stranieri il nostro Premio trova buona accoglienza. Quindi, sono moltissimi i siti web che ci citano: nel 2006 sono stati circa centosessanta». Ma queste manifestazioni, che succhiano denaro ed energia, aiutano davvero i bambini? «Il nostro indirizzo, che punta solo sui migliori fotogiornalisti, in grado di produrre lavori eccellenti, ha contribuito in modo determinante a far crescere nel pubblico la consapevolezza delle situazioni drammatiche nelle quali vivono i bambini nel mondo. Richiama l’attenzione internazionale su emergenze e conflitti dimenticati e aiuta a fare il punto sugli aiuti necessari. Infatti, le immagini del concorso rappresentano il modo del tutto particolare in cui i bambini fanno esperienza della vita. Mostrano le loro lacrime, i loro bronci, talvolta anche la loro felicità. Senza parole, raccontano al pubblico quello che deve sapere sui bambini. «Inoltre, la varietà di situazioni illustrate contribuisce a rendere più ampia la nostra visione del mondo. Per esempio, la mostra che abbiamo allestito all’interno della scorsa Photokina di Colonia, a fine settembre, con le più belle fotografie delle edizioni 2005 e 2006, ha offerto un incredibile panorama dei problemi dell’infanzia, dall’Iraq al Sudan, dalla Svezia alla Romania, dalla Francia agli Stati Uniti, tutto insieme, come se tutto fosse senza confini. «Come capita a ogni manifestazione internazionale, la mostra è stata visitata da uomini e donne provenienti da tutte le parti del mondo, di età compresa tra i venti e i settant’anni. Tutti, proprio tutti, hanno lasciato traccia del proprio passaggio sull’apposito album, che avevamo collocato alla fine del percorso; i commenti hanno declinato parole di partecipazione, presa di coscienza e incoraggiamento: importante, eccellente, emozionante e... grazie. «Sono convinta che i giovani sono quelli che apprezzano di più, perché sono “visualmente” più competenti, perché amano la comunicazione diretta, senza retorica, come quella che certa fotografia riesce a produrre. «Mi hai chiesto se la fotografia serve? «Pensa alla fotografia vincitrice dell’edizione 2005, del fotografo scozzese freelance David Gillanders:
Frida Hedberg, Svezia ( Pressens Bild, Scanpix). Terzo premio 2005: Ragazze e ragazzi. Il lavoro per il quale la giovane fotografa svedese Frida Hedberg ha ricevuto la nomination per Unicef Photo of the Year 2005 è pieno di partecipazione. Interessata ai vari aspetti della società, Frida Hedberg ha fotografato una festa scolastica nel villaggio di Äspered, nei pressi di Gothenburg, dove vive. Le sue immagini, piene di ironia, mostrano come bambini di sette, otto anni rimangono coinvolti dal rito di una festa scolastica danzante. La fotografia premiata, che si intitola Ragazze e ragazzi, ferma lo sguardo pieno e stupito di un ragazzino che osserva un atteggiamento fin troppo esplicito di un suo coetaneo (a sinistra, in alto).
l’immagine di Yana, una bambina di tredici anni, fotografata per le strade di Odessa, in Ucraina, dove era giunta dalla Moldova, il paese più povero di tutta l’Europa dell’Est, per fuggire dalla fame, morta di Aids a Natale di quell’anno, qualche mese dopo che la fotografia era stata scattata. Eva Luise Köhler, moglie del nostro Presidente della Repubblica e mecenate di Unicef Germania, si è così commossa nel vedere quella fotografia che si è recata a Odessa, per rendersi conto de visu di cosa succede in quei luoghi ai bambini della generazione di Yana. Per ragioni diplomatiche, probabilmente, non ha potuto dare alla missione una veste ufficiale, ma il suo coinvolgimento è stato ugualmente fondamentale per sollecitare interventi internazionali».
DAVID “CHIM” SEYMOUR allo scorso venti gennaio, fino al prossimo ventidue aprile, il George Eastman House InterDHeart.national Museum of Photography and Film, di Rochester, Usa, presenta Reflections from the Photographs of David Seymour (Chim), mostra di settanta fotografie, la maggior parte in bianconero con alcuni scatti a colori mai esposti al pubblico, itinerante negli Stati Uniti dall’estate dello scorso 2006. La mostra comprende immagini dal lavoro svolto nel 1948 per incarico dell’Unesco e dell’Unicef sulle condizioni di vita dei bambini nell’Europa del dopoguerra. Transfuga ebreo di origine polacca, David “Chim” Seymour incontra Robert Capa e Henri Cartier-Bresson a Parigi a metà degli anni Trenta. Come Robert Capa, anche Chim è sui fronti della Guerra di Spagna. Tra i fondatori dell’agenzia Magnum Photos, cade sul Canale di Suez nel 1956, falciato da una mitragliatrice egiziana [a firma di Pino Bertelli, Sguardo su in FOTOgraphia dell’ottobre 2006].
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Jacob Ehrbahn, Danimarca ( Politiken). Menzione d’onore 2004: In attesa della razione serale, Ulan Bator, 2003. Picchiati da genitori alcolizzati, che non si curano di loro, incapaci di sopportare la vita regolata di un orfanotrofio, molti bambini di Ulan Bator (Mongolia) hanno fatto della strada la loro casa. Solo saltuariamente cercano rifugio nei centri di assistenza. Il fotografo danese Jacob Ehrbahn ha pattugliato la città con unità speciali della polizia, incaricate di identificare i bambini di strada e riportarli dai genitori o negli orfanotrofi. Mediamente i bambini rimangono negli orfanotrofi una settimana, prima di fuggire di nuovo. Le stime della polizia valutano in circa un migliaio i bambini di strada di Ulan Bator, ma nessuno sa esattamente quanti siano. Nei mesi più freddi, quando la temperatura scende a meno quarantacinque gradi, molti di questi bambini trovano rifugio nel sottosuolo, dove passano le condutture del riscaldamento della città.
Al concorso possono partecipare fotografi non professionisti? «Assolutamente no». Allora, come si può partecipare? «Solo se un fotografo merita la nomination da parte di un esperto di livello internazionale. «Data l’organizzazione e l’indirizzo del Premio, non è ipotizzabile un concorso aperto a tutti. Riceveremmo migliaia di immagini casuali di bambini, che non servirebbero a nessuno. Le regole adottate garantiscono un elevato standard di qualità giornalistica dei partecipanti e favoriscono i giovani professionisti meritevoli di farsi conoscere internazionalmente». Lello Piazza
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LIBRIJE WALBURGSKERK, ZUTPHEN, OLANDA; 2003
CENTRAL CATHOLIC LIBRARY, DUBLINO, IRLANDA; 2004
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sponente di spicco di quella che è nota come “Scuola di Düsseldorf”, edificata attorno le prestigiose figure di Bernd e Hilla Becher, nella quale si riconoscono anche Thomas Struth, Thomas Ruff e Andreas Gursky, Candida Höfer (classe 1944) è una artista fotografa che ha proiettato a livello internazionale il rigore di una visione e rappresentazione fotografica che definisce un certo sapore creativo dei nostri tempi. Nell’alternanza di indirizzi predominanti, che periodicamente si susseguono e inseguono nel mondo della fotografia espressiva, da quelli soltanto nazionali a quelli trasversali a ogni confine geografico, proprio i connotati formali di questa osservazione “documentaria” sono diventati uno degli attuali stilemi caratteristici di certa fotografia contemporanea. Volendo partire da questi, in un tragitto dall’esterno all’interno, i tratti sono presto identificati e codificati. A parte le riproposizioni veicolate in altra forma utilitaristica, tra le quali la pubblicazione in rivista (per presentazione, come è la nostra attuale) o in volume (come è l’edizione libraria cui stiamo per riferirci), le opere degli autori di questa “scuola” si presentano uniformemente in stampe colore di grandi dimensioni, per lo più realizzate da negativi di medio o grande formato, ricche di passaggi cromatici, delicate nell’interpretazione dei toni, dettagliate in un contrasto adeguatamente distribuito. Per cui, come altre volte già rilevato, al pari dell’ottima messa in pagina della monografia in oggetto, anche le riproduzioni in queste pagine vengano consi-
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PROFUMO
DI LIBRI
Da una parte il soggetto esplicito: Biblioteche. Dall’altra i connotati di una raffinata e colta ricerca visiva, condotta da una artista fotografa della “Scuola di Düsseldorf”, che ribadisce il linguaggio espressivo della ripetitività dello sguardo e del gesto fotografico, via via riferiti a strutture architettoniche prese a simbolo della contemporaneità. Pur amando i libri e i relativi contorni, in questo caso straordinariamente avvincenti, tra i due indirizzi della monografia di Candida Höfer noi privilegiamo giusto l’azione della fotografia, anche se l’aspetto “turistico” può essere editorialmente più remunerativo. Ma non è questione che ci riguardi
Bernd e Hilla Becher incentrate sulle tracce e avanzi della cultura industriale in via di estinzione. Caratterizzata dalla ripetitività dello sguardo e del gesto fotografico, e non tanto dall’invenzione di un processo artistico, la loro fotografia propone una visione in forma di testimonianza, nello specifico di un momento di passaggio, e quindi identità, tra l’origine della civiltà industriale, oggi archeologia industriale, e il mondo contemporaneo: fabbriche, serbatoi d’acqua, edifici furono i primi soggetti, cui ne sono seguiti altri. Anche il rigore della fotografia di Candida Höfer dipende da elementi formali analoghi: colore, assenza di figura umana e centralità assoluta della struttura architettonica sulla quale si concentra la ricerca espressiva, presa a simbolo di un percorso concettuale a seguire. Dalla Germania, i modelli culturali di questa fotografia sono radicati e antichi. Soggetto architettonico a par-
derate per il proprio senso di documentazione fruibile da tutti. A questo proposito, la cura editoriale di Biblioteche di Candida Höfer, che stiamo per commentare, è adeguatamente impeccabile e assolutamente rispettosa delle particolari esigenze formali di questa fotografia. Invece, e diversamente, la nostra passerella antepone soprattutto l’urgenza giornalistica.
I CONTENUTI Immediatamente a seguire, sono altrettanto riconoscibili i contenuti di questa attuale oggettività visiva, della quale Candida Höfer è interprete. Per lo più si tratta di visioni ortogonali, geometricamente simmetriche nella divisione degli spazi dell’inquadratura, teutonicamente ripetitive di un ritmo visivo costante che non prevede alcuno sconfinamento dalla traccia complessiva, che collega tra loro le immagini che compongono ogni singola serie. A partire da questo, come i capiscuola Bernd e Hilla Becher (1931 e 1934, sposati dal 1961), che hanno sempre fotografato in bianconero (diciamolo per correttezza di informazione), ogni discepolo orienta la propria fotografia verso ricerche a tema. In un ultimo riferimento di stile e origine, celebri sono state le ricerche di
Biblioteche, di Candida Höfer; saggio introduttivo di Umberto Eco; Johan & Levi Editore, 2006 (via Valosa di Sopra 9, 20052 Monza MI; 039-7390330, fax 039-7390221; www.johanandlevi.com, info@johanandlevi.com); 272 pagine 24,5x30cm, cartonato con sovraccoperta; 60,00 euro.
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VAN ABBEMUSEUM, EINDHOVEN, OLANDA; 2003 (2)
L’AUTRICE
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andida Höfer è nata a Eberswalde, a nord di Berlino, nel 1944. Ha studiato cinematografia e fotografia all’Accademia d’arte di Düsseldorf, dove è stata allieva di Bernd Becher. Oggi è considerata tra i maggiori fotografi internazionali, con opere presenti in numerose collezioni museali. Esponente della “Scuola di Düsseldorf”, ha influenzato il linguaggio della fotografia espressiva contemporanea. Nel 2003, ha partecipato alla Biennale di Venezia, padiglione Germania; a cavallo tra la fine del 2005 e l’inizio del 2006, la sua prima personale italiana Fotografie 2004-2005 è stata esposta al Museo di Fotografia Contemporanea, di Cinisello Balsamo, alle porte di Milano (FOTOgraphia, dicembre 2005).
te, che è componente sostanzialmente unica, non soltanto principale, di queste ricerche, non possiamo non pensare all’opera incompiuta di August Sander, che, con i ritratti dei propri concittadini, nei primi decenni del Novecento aveva inteso catalogare il genere umano: Uomini del Ventesimo secolo.
BIBLIOTECHE In stretto ordine temporale, l’attuale edizione italiana della monografia Biblioteche di Candida Höfer segue la precedente edizione del volume-catalogo, che un anno fa accompagnò l’esposizione di sue Fotografie 2004-2005 al Museo di Fotografia Contemporanea, di Cinisello Balsamo, alle porte di Milano (FOTOgraphia, dicembre 2005). Pubblicato dalla casa editrice Johan & Levi, Biblioteche raccoglie e riunisce una particolare ricerca fotografica di Candida Höfer, che si è allungata sugli anni con ritmo alternato, a partire dalla prima metà dei Novanta. La monografia ha un doppio indirizzo. Da una parte si incammina lungo il tragitto dell’espressività della fotografia contemporanea, così come abbiamo appena sottolineato, dall’altro, all’esterno di ogni connotazione visiva specifica, appaga il gusto e piacere “turistico” di coloro i quali percepiscono e vivono il fascino, per qualcuno irresistibile, dei luoghi di lettura. Sulla cadenza di centotrentasette immagini, si passa dagli in-
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dirizzi storici a quelli moderni e si viaggia in tutto il mondo. Le biblioteche sono parte integrante dell’ampio progetto dell’autrice, che indirizza la propria ricerca e indagine visiva sui luoghi nei quali comunità di persone si sono ritrovate e si ritrovano, e nei quali si coagulano i significati della storia culturale del nostro tempo. Attraverso la fotografia, utilizzata nella purezza di un raffinato stile documentario, antropologa dello spazio vissuto, Candida Höfer è una ricercatrice che parla dell’interiorità del mondo costruito dagli uomini. Nelle sue immagini c’è un costante interrogarsi su chi sia questo abitante della Terra, che sovrappone alla natura strutture e costruzioni sempre diverse nel tempo e negli spazi. Sono anche rappresentazioni cariche di solitudine e attesa.
ANCHE TURISTICA (?) Ancora: esiste un profumo tipico, che si percepisce solo in biblioteca (oltre che nelle ben fornite librerie individuali, e parliamo con cognizione di causa). Nasce dalla coesistenza di migliaia di libri vecchi e nuovi, dalle copertine antiche rilegate in pelle, dalla carta ingiallita, che vivono fianco a fianco con le nuovissime edizioni in brossura, che sanno di pagine mai sfogliate. Questa è giusto l’atmosfera che evocano le centotrentasette immagini raccolte in Biblioteche, di Candida Höfer: a propria volta edizione libraria pregiata (quasi un trompe-l’œil), introdotta da un saggio di Umberto Eco. Spazi e indirizzi da sogno per molti, le biblioteche sono state osservate dall’autrice con il rigore clinico di una visione ossessivamente oggettiva, che abbiamo già commentato. Nello specifico, scaffali, sale di lettura, architetture di biblioteche storiche o moderne sono autentici momenti di silenzio, senza sostanziale presenza umana: ognuno ci aggiunga la propria, se ci tiene a farlo. In introduzione, nel ricordare le “sue” biblioteche di oggi e di un tempo -come la Biblioteca Nazionale di Roma della sua adolescenza, con le luci verdi sul tavolo-, Umberto Eco racconta in diciannove avvincenti punti come (non) dovrebbe essere una biblioteca. Al punto D, si legge: «Il tempo tra richiesta e consegna deve essere molto lungo». Al punto L: «L’ufficio consulenza deve essere irraggiungibile». Al punto C: «Le sigle devono essere intrascrivibili, possibilmente molte, in modo che chiunque riempia la scheda non abbia mai
BIBLIOTECA ANGELICA, ROMA; 2003
posto per mettere l’ultima denominazione e la ritenga irrilevante, in modo che poi l’inserviente gli possa restituire la scheda perché sia ricompilata».
ANCORA LINGUAGGIO Da cui si deduce che “a ciascuno il proprio libro”. Noi pensiamo che le due intenzioni possibili e potenziali dell’edizione di Bibliote-
L’EDITORE
O
ltre una divisione scientifica Johan & Levi Science, che pubblica monografie di prodotto, riviste e testi scientifici, Johan & Levi Editore è attivo principalmente in ambito umanistico: cinque collane di libri d’arte e fotografia e una di saggistica. Attraverso un’accurata selezione dei progetti, l’indirizzo editoriale è rivolto alla divulgazione di materiali inediti e presentazione di documenti, opere e vite d’artista. All’interno di questo contesto, Johan & Levi Editore pone particolare attenzione alla valorizzazione di giovani artisti non ancora affermati e di movimenti emergenti.
Johan & Levi Editore, via Valosa di Sopra 9, 20052 Monza MI; 039-7390330, fax 039-7390221; www.johanandlevi.com, info@johanandlevi.com.
che di Candida Höfer non siano conciliabili tra loro. Anche attraverso il saggio introduttivo di Umberto Eco, personalità alla quale si affida una sostanziale credibilità dell’edizione, ma anche nome che indirizza la sua veicolazione, l’edizione sottolinea l’aspetto primario del soggetto, appunto le biblioteche. Però, pur amando allo spasimo i libri e le loro abitazioni/collocazioni più prestigiose (certamente più eleganti e adeguate dei nostri zeppi scaffali), evitiamo volentieri l’intenzione “turistica” di Biblioteche, e vorremmo l’avesse fatta anche la distribuzione, a tutto favore dell’approfondimento non del soggetto per se stesso, ma dei princìpi visivi, espressivi e creativi della sua rappresentazione (non raffigurazione: qui sta la differenza e distanza!). Per cui, chiudendo il cerchio, concludiamo riprendendo i termini con i quali abbiamo iniziato. Il valore fotografico di Biblioteche sta soprattutto nella rappresentatività culturale di queste immagini di Candida Höfer, che appartengono a quella scuola di pensiero che (ribadiamo) conduce ricerche caratterizzate dalla ripetitività dello sguardo e del gesto fotografico, e non tanto dall’invenzione di un processo artistico. Questa fotografia propone una visione in forma di testimonianza, nella quale la centralità assoluta della struttura architettonica è presa a simbolo di un percorso concettuale a seguire. Angelo Galantini
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1993 POLLICI,
8X10 NANCY SPENCER
E
ERIC RENNER: FATHER
OF
OUR COUNTRY;
NEGATIVO BIANCONERO
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orldwide Pinhole Photography Day, ovvero Giornata Mondiale della Fotografia a Foro Stenopeico. Dal 2001, l’appuntamento è fissato per l’ultima domenica di aprile. Settima edizione: domenica ventinove aprile, il Worldwide Pinhole Photography Day conferma e ribadisce la sostanza delle proprie intenzioni originarie. L’evento è promosso a livello internazionale ed è aperto a tutti quanti ne vogliano far parte. Nei diversi fusi orari della Terra, una Giornata Mondiale che celebra la fantasia, l’arte, il divertimento e l’esperienza della fotografia senza obiettivo.
Come tradizione, dal 2001, l’ultima domenica di aprile si svolge la Giornata Mondiale della Fotografia a Foro Stenopeico, ufficialmente Worldwide Pinhole Photography Day. In forma autonoma, oltre che spontanea, gli autori e gli appassionati sono invitati a una partecipazione attiva, oltre le specifiche iniziative a tema che vengono organizzate e svolte da associazioni e organizzazioni. Con l’occasione, richiamiamo quanto abbiamo già scritto sull’argomento della fotografia senza obiettivo e illustriamo riprendendo da un progetto statunitense dedicato a Elvis Presley
UNA VOLTA ANCORA S E N Z A OBIETTIVO
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alle dotazioni digitali di ultima generazione. In attesa, con l’occasione dell’imminente Wppd 2007, domenica ventinove aprile, riassumiamo l’essenza dei nostri precedenti interventi sulla materia, dalla cui classificazione, per ovvi motivi di spazio e peso, escludiamo le segnalazioni in forma di notizia di mostre, monografie, testi tecnici e contorni. Soltanto, ricordiamo il titolo di Vincenzo Marzocchini La fotografia stenopeica, del 2004 (in FOTOgraphia dell’aprile 2004) e la riflessione La lentezza stenopeica, dello stesso Vincenzo Marzocchini, riportata in FOTOgraphia del successivo giugno 2004. ❯ Maggio 1997. Senza obiettivo: con l’occasione della presentazione del foro stenopeico Avenon Pinhole Air Lens, analisi e approfondimento dell’affascinante materia. Dai princìpi alle considerazioni di fondo, alle citazioni onorevoli e autorevoli di un argomento fotografico di grande valore estetico e concettuale. Come allora, a distanza di dieci anni, in una condizione fotografica totalmente stravolta (dall’esuberanza dell’avvicendamento tecnologico che si è affermato nel frattempo), ancora oggi ne siamo fermamente convinti: oltre le necessità biologiche della vita quotidiana, ci deve pur essere qualcosa di più. Comunque, nel concreto, la presentazione tecnica del foro stenopeico Avenon Pinhole Air Lens, in montatura per apparecchi a telemetro Leica a vite 39x1 e baionetta M (e per quanti altri ne condividono gli innesti), si è scomposta tra esempi visivi e sintesi operative. In particolare, è stata dettagliatamente analizzata la combinazione tra l’inquadratura equivalente all’angolo di campo della focale 28mm e il diametro del foro stenopeico, a propria volta equivalente all’apertura f/180 del dia-
Molti autori internazionali animano il panorama della fotografia a foro stenopeico, nel cui ambito gli italiani occupano una posizione di rilievo (frenata soltanto dalla mancanza di dialogo fotografico nel nostro paese). Per non privilegiare nessuno a scapito di altri, illustriamo le pagine odierne con fotografie estranee all’attuale circuito della fotografia a foro stenopeico. Quindi, riprendiamo immagini da un’edizione speciale del periodico statunitense Pinhole Journal, dedicato a Elvis Presley (dell’agosto 1993). Il Pinhole Journal è il trimestrale (circa) della associazione statunitense Pinhole Resource (Star Route 15, Box 1355, San Lorenzo, NM 88041, Usa; 001-505-5369942; www.pinholeresource.com), forse la più attenta sulla materia. Segnaliamo che all’indirizzo Internet si trovano sia informazioni tecniche, sia rievocazioni storiche, sia segnalazioni attuali: link, periodici, libri a tema, workshop.
In forma autonoma, oltre che spontanea, gli autori e gli appassionati sono invitati a una partecipazione attiva, oltre le specifiche iniziative a tema che vengono organizzate e svolte da associazioni e organizzazioni. Si chiede di realizzare una fotografia con un qualsiasi sistema a foro stenopeico (ufficiale o autocostruito), per contribuire alla salute e conseguente continua diffusione di un procedimento fotografico storico, che prevede l’esposizione senza obiettivo di materiale sensibile. Quindi, è prevista la combinazione con il sito dedicato www.pinholeday.org, sul quale verrà pubblicata una fotografia di ogni autore, che entrerà a far parte della galleria internazionale web.
PRECEDENTI/1: STRUMENTI
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20X30 STAMPA COLORE
RITA DEWITT: ELVIS VISITS LAKE MICHIGAN;
TOM FULLER: TIPPY; POLAROID 57 (4X5
POLLICI),
1993
POLLICI,
1989
FOTOgraphia si è occupata di foro stenopeico in diverse occasioni. Per l’immediato futuro, sono già programmati altri interventi redazionali, a partire, anticipiamolo, dall’applicazione del foro stenopeico ad apparecchi ad acquisizione digitale di immagini. In questo senso, ognuno può anche agire con soluzioni autonome, ma affascinanti sono le combinazioni, diciamola così, ufficiali dei fori stenopeici in montatura per reflex 35mm e Leica M, che oggi si possono estendere anche
gio al piano focale del corpo macchina); mentre il diametro 0,2mm del foro stenopeico Finney Body Cap per Leica M corrisponde all’apertura f/128 del diaframma, combinata con la focale equivalente 28mm. Al solito, parole commenti, tabelle e sintesi a tutto campo.
PRECEDENTI/2: IMMAGINI
POLLICI,
199
HOWARD WILLIAMS: ELVIS SURFS
IN
HEAVEN; POLAROID SX-70, 1992
Per quanto anche le presentazioni tecniche delle varie dotazioni e configurazioni a foro stenopeico, appena censite, si siano sempre accompagnate con immagini realizzate senza obiettivo, rileviamo la natura principalmente esemplificativa degli accosta-
SAM WANG: ELVIS, SEEN AND UNSEEN; POLACOLOR 4X5
framma. Da cui, la trascodifica tra la misurazione esposimetrica riferita ai valori di diaframma da f/8 a f/128, con relativa correzione da più nove a più uno stop, fatto salvo il possibile e prevedibile scarto di reciprocità della pellicola in uso. In tutti i casi, come rilevato in articoli successivi, cui stiamo peraltro per riferirci, con pellicole bianconero di più alta sensibilità, fino a 1600 o, addirittura, 3200 Iso, l’Avenon Pinhole Air Lens su Leica e affini consente di scattare a mano libera, con tempi di otturazione prossimi a 1/15 o 1/30 di secondo (ovviamente, in abbondanza di luce solare). ❯ Giugno 1998. Ritorno alle origini: Finney Field 4x5 pollici, folding in legno a foro stenopeico con allungamento variabile per le “lunghezze focali” 40, 75, 150 e 200mm sul grande formato fotografico (distribuzione Bogen Imaging). Ancora, presentazione tecnica in equilibrio tra annotazioni teoriche e concentrati esempi visivi. Quindi, sconfinamento ad altre configurazioni grande formato, dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, e segnalazioni di autori. ❯ Luglio 1998. Una volta ancora: senza obiettivo!: ritorno su un argomento già trattato, in particolare nel maggio 1997, e coincidente ritorno su una produzione statunitense di pregio e prestigio. Dopo la dotazione grande formato 4x5 pollici, appena richiamata, i fori stenopeici Finney Body Cap per reflex 35mm Canon e Nikon e telemetro Leica M (che si aggiungono all’interpretazione Avenon Pinhole Air Lens, appena ricordata). Il diametro 0,3mm dei fori stenopeici Finney Body Cap per reflex Canon e Nikon corrisponde all’apertura f/180 del diaframma, combinata con la focale equivalente 50mm (tirag-
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1993 POLLICI,
8X10 NEGATIVO BIANCONERO
ELVIS; OF
ERIC RENNER: VANESSA DREAMS E
NANCY SPENCER
menti. In altre occasioni, FOTOgraphia ha invece posto l’accento sull’essenza dell’espressività della fotografia a foro stenopeico, che domenica ventinove aprile celebra la sua settima Giornata Mondiale (Wppd 2007). Ancora in ordine cronologico. ❯ Ottobre 1998. Improvvisazioni stenopeiche: soluzioni sostanzialmente personali, ricavate da scatole e lattine vuote, forate e “caricate” con carta sensibile. Testimonianza su lavori fotografici di bambini in età scolare (Scuola Elementare di via Mugello, a Milano, e Centro di Educazione Permanente di via Ciriè, sempre nel capoluogo lombardo), coinvolti e motivati da Noris Lazzarini, che successivamente ha dato vita al Ludobus itinerante Laboratori FotoINscatola (www.fotoinscatola.it). ❯ Aprile 2002. Camera Obscura: colta fotografia a foro stenopeico (ribadiamo, senza obiettivo), che dalla Biennale ungherese di Esztergon si è proiettata nell’appuntamento italiano di Camera Soave, nella provincia di Verona. Esperienza visiva, estetica e concettuale di autori che danno qualcosa di più, oltre che di diverso e profondo. Espressività di riti antichi e ritmi del passato, che si trasformano in segni e tracce di vita, anche solo fotografica. Per quanto sottovalutato dalla critica fotografica italiana ufficiale, che da queste pagine Pino Bertelli identifica spesso con i salotti della mondanità (opinione sua, ospitata nei suoi Sguardi su), stagione dopo stagione, all’inizio di marzo, l’appuntamento annuale di Camera Soave compone i tratti di un autentico pal-
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WPPD 2007
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omenica ventinove aprile è la Giornata Mondiale della Fotografia a Foro Stenopeico: ufficialmente, Worldwide Pinhole Photography Day, arrivato alla settima edizione. L’evento è promosso a livello internazionale ed è aperto a tutti quanti ne vogliano far parte. Nei diversi fusi orari della Terra, una Giornata Mondiale che celebra la fantasia, l’arte, il divertimento e l’esperienza della fotografia senza obiettivo. Per la ripresa delle fotografie si possono utilizzare apparecchi autonomi, ricavati di materiale comune, quali scatole, lattine o altro, oppure configurazioni finalizzate e, in qualche misura, ufficiali. Registriamo che la fotografia a foro stenopeico è particolarmente seguita nel mondo dell’espressione creativa e arbitraria. All’origine del Wppd, nel 2001, aderirono duecentonovantuno autori, da ventiquattro nazioni. Lo scorso 2006, alla sesta edizione, sono state inviate duemiladuecentosessantasette immagini, da sessanta paesi del mondo. Il Worldwide Pinhole Photography Day si deve all’impegno spontaneo di volontari, coordinati da un gruppo internazionale di gestione composto da Tom Miller (Usa; Team leader), Stefano Piva (Italia), Nick Dvoracek (Usa), Tom Persinger (Usa), Wolfgang Thoma (Belgio), Jason Schlauch (Usa) e Chuck Flagg (Usa). Informazioni e il programma completo dell’evento dal sito dedicato www.pinholeday.org, aggiornato costantemente.
1992 POLLICI,
HARLAN WALLACH: ELVISX: ACES AND
EIGHTS; TECNICA MISTA
16X20
POLLICI,
1991
CHARLIE CHEN: SENZA TITOLO; 5X10 1992 POLLICI,
8X10 VIDEO TRANSFERT
ELVIS; OF
HARLEY NISTROM: GHOST
coscenico privilegiato e primario di quella che è la fotografia ungherese contemporanea. Ogni anno, l’assidua frequentazione di questa fotografia consente all’organizzatore Moreno Zanardo di allestire avvincenti e affascinanti collettive. Nel 2002, ribadiamolo, fu la volta di fantastiche interpretazioni a foro stenopeico. ❯ Luglio 2006. A parlare di fotografia: un progetto di Abelardo Morell, autore di profonda cultura e ispirazione espressiva fuori dall’ordinario, è preso a esempio e pretesto per riflessioni sul concetto di personalità della fotografia contemporanea. La serie Camera Obscura riunisce e raccoglie fotografie che Abelardo Morell realizza allestendo scenografie stenopeiche. Applicando con sapienza e cultura princìpi antichi, che stanno alla base della formazione di immagini, dove precedono di gran lunga la registrazione in forma fotografica, l’autore trasforma ambienti in camera obscura (posizionando, appunto, un foro stenopeico in una stanza buia), con relativa proiezione interna delle visioni esterne, che si distribuiscono sulle pareti e le suppellettili della stanza. Quindi, con un apparecchio grande formato 8x10 pollici, fotografa il tutto, registrando la simultaneità della proiezione della camera obscura (con proprio foro stenopeico) nel luogo.
OVVERO L’imminente occasione del Worldwide Pinhole Photography Day 2007, Giornata Mondiale della Fotografia a Foro Stenopeico domenica ventinove aprile, ha sollecitato un sostanzioso richiamo dell’argomento della fotografia senza obiettivo. In attesa di raccontare dell’applicazione del foro stenopeico ad apparecchi ad
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Due sistemi autonomi (autocostruiti) per fotografia stenopeica, finalizzati alla celebrazione del mito di Elvis Presley: box rigido esagonale Elvis BNO 2 per châssis 4x5 pollici, VIRGINIA VESTAL: 3 PINHOLE NEGATIVES; POLAROID 107, 1958
doppi o a filmpack, rifinito coreograficamente (Tom Fuller); barattolo Elvis Oats Pinhole Camera con foro stenopeico nella pupilla dell’occhio destro del ritratto (Nancy Spencer e Eric Renner).
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acquisizione digitale di immagini, per chi volesse approfondire l’argomento, abbiamo appena censito la successione dei nostri precedenti interventi redazionali. Allo stesso tempo, illustriamo le pagine odierne con fotografie stenopeiche riprese da un numero speciale del periodico statunitense Pinhole Journal, dedicato a Elvis Presley, mito trasversale della cultura d’oltreoceano. Quindi, in chiusura, è doverosa una sintesi ideologica della fotografia a foro stenopeico, la cui storia è antica, oltre che sfumata nei propri confini. Come approfondito lo scorso luglio 2006, a contorno della fotografia di Abelardo Morell, il princìpio del foro stenopeico si perde nella notte dei tempi. Addirittura, si hanno testimonianze databili alla cultura greca classica, ma è durante il Sedicesimo secolo che vengono costruite delle autentiche camere obscure portatili, per lo più usate da pittori di paesaggio e architettura per ricostruire la più corretta fuga prospettica. Siccome la visione attraverso il foro stenopeico sta all’origine della formazione delle immagini, usando materiali traslucidi che ne raccoglievano la proiezione elementare, a partire dal Rinascimento (ovverosia dalle prime teorizzazioni di prospettiva) i pittori riuscivano così a tracciare gli scenari inquadrati in modo da formare le basi dei propri dipinti. Non più necessario, non più indispensabile, oggigiorno il foro stenopeico (ri)conquista la ribalta pubblica per due motivi. Anzitutto, in relazione all’analisi del procedimento ottico-chimico elementare. Dopo di che, si può ipotizzare il gusto del passo indietro e della sperimentazione fotografica, che ha pure propri riscontri autonomi nel campo dell’arte: pensiamo soprattutto all’italiano Paolo Gioli, la cui squisitezza espressiva ha elevato di rango il valore estetico e contenutistico della fotografia stenopeica. A seguire, si potrebbero affrontare questioni tecniche, a partire dal calcolo del diametro ottimale del foro stenopeico in relazione alla lunghezza focale equivalente. Ma non è il caso. Punto. Maurizio Rebuzzini Ricerca iconografica di Ciro Rebuzzini
L
imitando il riferimento a chi ha realmente qualcosa da dire ed esprimere, come ogni altra disciplina, la fotografia si offre a infinite osservazioni e rilevazioni: ciascuno espone le proprie. Ciò a dire che di fronte a una qualsivoglia serie di immagini, come per esempio gli attuali paesaggi in inquadratura panorama dell’emiliano James Bragazzi, si possono palesare infinite considerazioni. Tutte legittime, ma ognuna così diversa dalle altre da risultare addirittura!- divergenti. Due sono i motivi: anzitutto, le parole sulla fotografia dipendono da ciò che ciascuno vi vede oltre la su-
perficie apparente; quindi, le stesse parole dipendono dalle esperienze personali e dai punti di vista di chi le esprime. Per questo, prima di altro, a noi i paesaggi di James Bragazzi sollecitano una riflessione a monte, che dipende -per l’appunto- dal nostro modo di vivere la fotografia, in equilibrio tra le proprie infinite componenti, nessuna delle quali privilegiamo. Il critico fotografico puro, spazia subito in lungo e largo; mantenendo un profilo (speriamo) adeguatamente alto, per il solito, noi non prescindiamo dall’esercizio della fotografia, in inevitabile equilibrio tra tecnica (altrove e da altri ignorata) e creatività.
Paesaggi incontaminati, osservati con partecipazione e coinvolgimento, che si proiettano sull’osservatore. Paesaggi fotografati applicando il più autentico e lineare linguaggio visivo: luce, prospettiva, punto di vista e composizione. L’emiliano James Bragazzi finalizza l’inquadratura “panorama” alla conservazione e restituzione della spettacolarità della natura
Naturalmente
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natura
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Dunque, prima di tutto, va certificato che si tratta di fotografie realizzate con inquadrature e composizioni “panorama”, che presuppongono la forzatura volontaria e consapevole dello spazio immagine. In questa applicazione, l’accelerazione tra i lati, con taglio fortemente orizzontale (nella propria forma, così simile alla panoramica con obiettivo rotante), ha uno scopo dichiarato: nel momento in cui occupa tutto lo spazio visivo dell’osservatore, sollecita il coincidente isolamento visivo al solo soggetto raffigurato. Anche per questo, tra forma e contenuto, si tratta di fotografie che andrebbero osservate al forte ingrandimento di stampe di generose dimensioni. In un’epoca caratterizzata da troppe confusioni di fondo, sollecitate da discorsi equivoci sulla presunta differenza tra gli strumenti attualmente a disposizione -alcuni ottici per la trasformazione chimica delle proprie visioni, altri digitali-, saggiamente James Bra-
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gazzi evita l’argomento. Scarta a lato, applicando la sola lezione fotografica che ha diritto di cittadinanza, quella sulla conversione della propria raffigurazione in rappresentazione condivisibile. Il paesaggio fotografico si basa e costruisce su un discorso radicato, che insieme al ritratto si è imposto fin dalle origini della registrazione ottica (e presuntamente meccanica). Tra i tanti propri meriti specifici, le immagini di James Bragazzi hanno un pregio con il quale ci sentiamo sintonizzati. Non sono stati cercati effetti sovrapposti, ma la fotografia è stata usata e applicata per le proprie peculiarità linguistiche, tanto che il soggetto si presenta esattamente per ciò che è e per come l’autore lo intende. La fotografia è autenticamente tale, confermiamo: luce, prospettiva, punto di vista e composizione. Che è già tanto. A questo punto, la fotografia ha compiuto il proprio dovere. Dato il soggetto, invita soprattutto a riflettere sul rapporto individuale
con la natura. L’eleganza formale e la delicatezza delle fotografie di natura di James Bragazzi, che pare essersi mosso soltanto attraverso paesaggi incontaminati, dove ha espresso riflessioni alle soglie dello sguardo poetico, sollecitano una curiosità. Ribadiamo: “sul rapporto individuale con la natura”. Quindi, a parte alcuni riferimenti utilitaristici diretti, da tutti intuibili, a livello individuale che legami possono esistere tra vita personale e fotografia? Tanti, soprattutto dal punto di vista del gusto compositivo, dell’attenzione al particolare che si proietta sull’insieme e della capacità di realizzare inquadrature di accattivante fascino visivo. E questi sono giusto i valori espliciti e impliciti delle fotografie di natura di James Bragazzi, la cui conoscenza ed esperienza non possono prescindere dalle sue attività produttive materiali, che emergono nelle fotografie che consentono anche a noi osservatori di avvicinare la materia rappresentata -la natura-, in modo che
anche noi possiamo presto comprendere grado a grado i suoi fenomeni, proprietà e leggi, come pure i nostri rapporti con la natura e la realtà: così come il fotografo li ha già intuiti e sintetizzati. Nell’osservatore, ogni fotografia suscita percezioni e impressioni proprie. Forte anche di ripetizioni e sottolineature, la somma delle singole riflessioni produce quel confortevole salto in avanti nel processo della conoscenza, che fa nascere il concetto: che non riflette più l’aspetto singolo e i nessi esterni dei soggetti, della natura, ma coglie l’essenza della realtà, il proprio insieme e nesso interno. La differenza non è soltanto quantitativa ma anche qualitativa. Quando si dice comunemente “Lasciatemi riflettere”, ci si riferisce al momento in cui ciascuno di noi collega le proprie impressioni, servendosi dei concetti, per formare giudizi e trarre deduzioni. Angelo Galantini
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DA DIECI ANNI ispetto il passato, anche soltanto prossimo, l’attuale era digitale esprime una condizione propria e caratteristica, della quale bisogna tenere conto. Nelle odierne condizioni tecnologiche, le possibilità e potenzialità di evoluzione tecnica sono tanto vaste ed eterogenee da suggestionare il ritmo della crescita, oggi scandita con ritmi sempre più sostenuti: appunto diversi da quelli cadenzati della fotografia argentica, che rispondeva a parametri tecnici da tempo consolidati. Così che, sottolineiamolo una volta ancora, al giorno d’oggi è inevitabile conteggiare trasformazioni tecniche che si susseguono e inseguono con estrema rapidità. Tutto questo, per introdurre l’ormai tradizionale evoluzione della famiglia di compatte Nikon Coolpix, che ogni anno presenta una rinnovata gamma di interpretazioni e soluzioni, sistematicamente evolute rispetto le dotazioni precedenti. In combinazione, le attuali novità 2007 segnalano poi un altro valore aggiunto complementare: quello dei propri dieci anni di presenza sul mercato internazionale, conteggiati dall’originaria Nikon Coolpix 100 del 1997, ai tempi presentata come taccuino digitale per i giornalisti.
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Con l’occasione, rileviamolo subito, il logotipo “Coolpix”, che negli anni si è imposto come sinonimo di piacere della fotografia e adeguata interpretazione tecnologica, è stato rivisitato, in modo da esprimere ancora più efficacemente le qualità chiave della famiglia: eleganza nelle forme, prestazioni tecniche di taglio alto, efficace proposta tecnologica e semplicità d’uso. Il nuovo logotipo ha curve morbide e linee nette e slanciate, mentre i caratteri evocano l’accurata lavorazione e la riconosciuta qualità dei prodotti Nikon.
TRE FAMIGLIE Da tempo, la gamma di compatte digitali Nikon Coolpix si scompone in tre famiglie, o serie: l’alfabetico P (Performance) identifica le configurazioni che offrono e presentano le tecnologie più avanzate, che si rivolgono agli utenti più esigenti; la famiglia S (Style) dà particolare rilevanza all’estetica, che si basa su un ele-
gante design abbinato a una dichiarata semplicità di impiego, congeniale a una identificata fascia di pubblico potenziale; infine, le Coolpix L (Life) permettono di ottenere i migliori risultati nell’uso quotidiano, anche senza specifiche competenze. Le attuali novità, al ritmo di sette nuove Coolpix, sono distribuite nelle tre famiglie. Oltre i dettagli delle rispettive soluzioni, tutte le nuove Coolpix dispongono delle esclusive funzioni Nikon Image Innovations, per la gestione delle immagini “on-camera”: disponibile in modalità di visione play, D-Lighting seleziona e crea una copia delle immagini acquisite in condizioni di controluce eccessivo o illuminazione flash insufficiente, e aggiunge luminosità e dettagli là dove servono, conservando inalterate le aree che non richiedono interventi correttivi; AF con
Nikon Coolpix P5000
priorità al volto rileva automaticamente la presenza di un viso in qualunque posizione all’interno dell’inquadratura, e regola di conseguenza la messa a fuoco automatica, assicurando ritratti di brillantezza adeguata; Riduzione occhi-rossi analizza ciascuna immagine, individuando automaticamente, e quindi correggendo, lo sgradevole effetto che talvolta si manifesta nella ripresa fotografica con flash elettronico diretto. Tutte le nuove compatte digitali Coolpix sono fornite con l’esclusivo software Nikon PictureProject, che consente di trasferire, organizzare, modi-
Nikon celebra i (primi) dieci anni di Coolpix presentando una nuova gamma di compatte digitali che combinano il proprio efficace design con prestazioni fotografiche adeguatamente elevate. Sette nuove configurazioni si distribuiscono nelle tre famiglie Coolpix L (Life), Coolpix S (Style) e Coolpix P (Performance), rispettivamente indirizzate a fasce progressive di mercato
COOLPIX
ficare e condividere con semplicità le fotografie dopo la propria acquisizione (scatto).
L10, L11, L12 Le Nikon Coolpix L10 e L11 sono dotate di Nikkor-Zoom 3x
Nikon Coolpix S200
(equivalente all’escursione focale 37,5-112,5mm della fotografia 24x36mm), che si abbina, rispettivamente, a sensori CCD di acquisizione digitale di immagini da cinque e sei Megapixel effettivi. Le imposta-
Nikon Coolpix S500
zioni automatiche di sensibilità alla luce si estendono fino a 800 Iso equivalenti, e sono comprensive di compensazione in condizioni di luce debole. I monitor LCD da due pollici della Coolpix L10 e 2,4 pollici della Coolpix L11 permettono di visualizzare e condividere le immagini acquisite. Al vertice della famiglia L (Life), la Nikon Coolpix L12 da 7,1 Megapixel conferma la variazione 3x dello zoom (equivalente all’escursione 35-105mm della fotografia 24x36mm). L’obiettivo è altresì dotato di sistema di Stabilizzazione VR, in grado di rilevare i movimenti involontari della compatta, prontamente compensati, in modo da ottenere una nitidezza adeguata, appunto priva di micromosso causato dall’instabilità dell’apparecchio. Unitamente a questa funzione VR primaria, sempre attiva, l’efficace modalità Stabilizzazione seleziona simultaneamente le funzioni Alta sensibilità e BSS (Best Shot Selector, scelta dello scatto migliore), che, insieme, ampliano le opportunità di ripresa in situazioni disagevoli.
1997-2007
A
dottato da Nikon nel 1997, per identificare la propria famiglia di compatte digitali, nel corso degli anni “Coolpix” si è affermato e imposto come riferimento di prestigio nel mondo fotografico, posizione che condivide con altri marchi-simbolo (ormai) altrettanto endemici nel mercato internazionale. Due leggende (metropolitane) decodificano questa identificazione: una è di natura squisitamente tecnica, l’altra di sapore romantico. La prima, tecnica, sostiene che “Coolpix” derivi dalla tecnologia a illuminazione a luce fredda che viene utilizzata dagli scanner Nikon Coolscan: appunto, combinazione di scansione (scan) a luce fredda (cool). Naturalmente, si suppone che l’etimologia non derivi dalla tecnologia utilizzata, ma abbia soltanto ripreso il concetto di immagine digitale di elevata qualità (ricordiamo che gli scanner sono stati il primo strumento per digitalizzare le immagini). Simultaneamente, la seconda teoria, di sapore romantico, sostiene invece l’unione del concetto di “cool” (alla moda) con “pix” (diminutivo di pixel), per un neologismo sinonimo di “prodotto tecnologico alla moda”. Non prendiamo posizione, e ci manteniamo in equilibrio ed equidistanti tra immagine digitale di alta qualità e tecnologia all’ultima moda. La gamma Nikon Coolpix compie dieci anni, registrando una evoluzione tecnica scandita da oltre sessanta compatte digitali che si sono susseguite dal 1997 a oggi, con una media di sei novità all’anno. L’evoluzione dei sensori, come si può immaginare, è impressionante. Si passa dai trecentotrentamila pixel dei primi sensori CCD ad acquisizione digitale di immagini delle originarie Coolpix 100 e 300 (1997) ai dieci Megapixel dell’attuale Coolpix P5000: un “salto” di 9.670.000 di pixel in soli dieci anni! Ma le differenze non si limitano solo alle caratteristiche tecniche. Questi dieci anni di produzione Nikon Coolpix sono arricchiti da interpretazioni di dimensioni, stili e filosofie di produzione. Dalle prime Coolpix, nate come taccuini digitali per giornalisti, all’originario “magic swivel” della Coolpix 900 (1998), alle eleganti Coolpix 2500 e 3500, alle potenti “prosumer” Coolpix 5000 (e consecuzioni), alle Coolpix P1 e P2 (2005, le prime compatte digitali al mondo in grado di trasferire le immagini “senza fili”), alle attuali famiglie Coolpix Life, Style e Performance. Le tecnologie sono progredite. Nikon è passata dall’era originaria “Being Digital” all’attuale concetto di “Be Digital”: dall’ipotesi alla certezza. Allo stesso momento, i prezzi di vendita/acquisto si sono considerevolmente assottigliati! Oggi sorridiamo, pensando al milione di (vecchie) lire che costava la Coolpix 775 da 2,14 Megapixel, del 2001, neanche troppo tempo fa.
Grazie alla possibilità di selezionare la sensibilità alla luce fino a 1600 Iso equivalenti, la digitale compatta Coolpix L12 è adatta a ogni condizione di luce e alla ripresa di soggetti in movimento rapido. L’ampio monitor LCD da 2,5 pollici consente una visualizzazione qualitativa delle immagini.
POI, S50c, S200, S500 Adeguatamente maneggevole, la Nikon Coolpix S200 ha un corpo in alluminio estremamente sottile (appena 18,5mm), dal design accattivante. Il sensore CCD da 7,1 Megapixel effettivi e l’obiettivo Zoom-Nikkor 3x (equivalente all’escursione focale 38-114mm della fotografia 24x36mm) si combinano con una serie di funzioni tecnologicamente avanzate, ma di semplice attivazione. Si confermano la Stabilizzazione VR, che compensa automaticamente i movimenti involontari della compatta, la contemporanea attivazione delle stabilizzazioni Alta sensibilità e BSS e la modalità sensibilità elevata, che permette di alzare la sensibilità alla luce fino a 1000 Iso equivalenti. Il rivestimento antiriflesso del luminoso e ampio monitor LCD da 2,5 pollici permette una agevole visualizzazione delle immagini realizzate e dei menu (a propria volta rinnovati), anche sotto la luce diretta del sole. La Nikon Coolpix S500, in acciaio inossidabile, presenta e offre un design sofisticato, una struttura resistente, funzioni avanzate e alte prestazioni: 7,1 Megapixel di risoluzione effettiva, Zoom-Nikkor 3x (equivalente all’escursione focale 35-105mm della fotografia 24x36mm), Stabilizzazione VR a decentramento ottico, elevata sensibilità alla luce fino a 2000 Iso equivalenti. Dopo di che, si registra il rapido tempo di accensione in 0,6 secondi e il ritardo allo scatto di 0,005 secondi in modalità Priorità allo scatto.
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SETTE NUOVE NIKON COOLPIX, IN SINTESI Nikon Coolpix L10 Nikon Coolpix L11 Nikon Coolpix L12 Nikon Coolpix S200 Nikon Coolpix S500 Nikon Coolpix S50c Nikon Coolpix P5000
Risoluzione 5,0 Megapixel 6,0 Megapixel 7,1 Megapixel 7,1 Megapixel 7,1 Megapixel 7,2 Megapixel 10,0 Megapixel
3x 3x 3x 3x 3x 3x 3,5x
Zoom (*) (37,5-112,5mm) (37,5-112,5mm) (35-105mm) / VR (38-114mm) / VR (35-105mm) / VR (38-114mm) / VR (36-126mm) / VR
Monitor LCD 2,0 pollici / 115.000 pixel 2,4 pollici / 153.000 pixel 2,5 pollici / 115.000 pixel 2,5 pollici / 153.600 pixel 2,5 pollici / 230.000 pixel 3,0 pollici / 230.000 pixel 2,5 pollici / 230.000 pixel
Sensibilità Fino a 800 Iso equivalenti Fino a 800 Iso equivalenti Fino a 1600 Iso equivalenti Fino a 1000 Iso equivalenti Fino a 2000 Iso equivalenti Fino a 1600 Iso equivalenti Fino a 3200 Iso equivalenti
(*) Escursione equivalente nel formato fotografico 24x36mm.
La Coolpix S50c è dotata di un potente sensore CCD di acquisizione digitale di immagini da 7,2 Megapixel effettivi e di un obiettivo Zoom-Nikkor 3x (equivalente all’escursione 38-114mm della fotografia 24x36mm). Ancora: sistema di Stabilizzazione VR a decentramento ottico, integrato nel corpo macchina sottile e compatto; modalità Stabilizzazione in Alta sensibilità e BSS (Best Shot Selector, scelta dello scatto migliore); ampio monitor LCD da tre pollici, con rivestimento antiriflessi, che consente la visualizzazione anche sotto la luce diretta del sole. Inoltre, il monitor costituisce un’eccellente piattaforma per la funzione Pictmotion, che permette di selezionare le immagini e i filmati preferiti e di combinarli, eventualmente, con una colonna sonora e/o uno degli stili di visualizzazione predefiniti. A seguire, altre due funzioni innovative: il Wi-Fi incorporato consente di inviare rapidamente le immagini dalla compatta direttamente al proprio computer, oppure a una stampante compatibile Pict Bridge in prossimità, mentre Coolpix Connect gestisce l’invio delle fotografie acquisite (scattate) a un computer a distanza (ovunque si trovi!).
INFINE, P5000 Settima nuova Coolpix del decennale, la P5000 si riconduce alla genìa delle precedenti Coolpix 5400 e 8400, di consistente successo tecnico e commerciale. Con l’attuale
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Coolpix P5000, Nikon ribadisce la propria presenza di spicco nella fascia delle compatte digitali definite “prosumer”, in coerente equilibrio tra la semplicità di impiego e prestazioni di taglio sistematicamente alto. Per questo, la risoluzione elevata di dieci Megapixel è finalizzata alla registrazione di ogni minimo dettaglio, per utilizzare creativamente le funzioni di ritaglio e per realizzare ingrandimenti di qualità. Per garantire la massima libertà di composizione, la Coolpix P5000 è dotata di versatile zoom ottico Nikkor 3,5x (equivalente all’escursione 36-126mm della fotografia 24x36mm). In linea con la tecnologia digitale Nikon dei nostri giorni, si conferma la Stabilizzazione VR, in grado di compensare automaticamente e in modo preciso eventuali movimenti involontari della compatta. L’ampio intervallo di sensibilità alla luce, regolabile fino a 3200 Iso equivalenti, estende le possibilità di scatto, assicurando riprese fotografiche efficaci in condizioni di illuminazione scarsa e una nitidezza adeguata con soggetti in movimento rapido. Il nuovo motore di elaborazione delle immagini della Nikon Coolpix P5000 è definito da una maggiore riduzione del disturbo, per garantire, ancora, un’elevata qualità delle acquisizioni, anche con impostazioni Iso elevate. Così come fa il nuovo selettore operativo, che offre un accesso veloce alle sedici selezioni finalizzate a ogni tipo di situazione ambientale,
Nikon Coolpix S50c
Nikon Coolpix L11
alle sette modalità filmato, alla modalità per la stabilizzazione del mosso e alla modalità alta sensibilità. Inoltre, registriamo l’opportunità di scegliere l’esposizione Automatica programmata [P], Automatica con priorità ai tempi di otturazione [S], Automatica con priorità all’apertura del diaframma [A] e Manuale [M]. Ovviamente, si confermano i tempi rapidi di attivazione e scatto, un mirino ottico brillante e il monitor LCD da 2,5 pollici. Una nuova comoda impugnatura foderata in gomma con motivo a rete garantisce una presa sicura.
Infine, la compatibilità con componenti aggiuntivi del sistema accresce ulteriormente le possibilità creative. Le opzioni disponibili includono un aggiuntivo ottico grandangolare per la focale equivalente 24mm e un moltiplicatore di focale, che estende la portata dello zoom fino a 378mm equivalenti. La slitta porta accessori incorporata consente il controllo avanzato Nikon i-TTL quando si lavora con flash esterni elettronici opzionali. (Nital, via Tabacchi 33, 10132 Torino). Antonio Bordoni
al centro
della fotografia
tra attrezzature, immagini e opinioni. nostre e vostre.
S
ubito una precisazione d’obbligo e dovere. Il nuovo software Adobe Photoshop Ligthroom 1.0, sul mercato internazionale da metà febbraio, non si presenta né offre come alternativa semplificata del programma da cui sostanzialmente deriva. Per la gestione completa dell’immagine, le release di Photoshop, a ciascuno la propria, fino alla più recente CS2, rimangono insostituibili. Infatti, Photoshop Ligthroom nasce per azioni, diciamo così, preventive, non risolutive né di interpretazione dettagliata. Rivolto esplicitamente a una fascia alta di utenti foto-
grafi, generalmente identificata nei fotografi professionisti, soprattutto, e in quei non professionisti di concentrata attenzione e consistente produzione fotografica, Adobe Photoshop Ligthroom 1.0 permette di importare, amministrare, governare e presentare grandi volumi di immagini digitali. La promessa è esplicita: risoluzione rapida e sicura dei momenti infrastrutturali per avere più tempo e concentrazione per le fasi attive della produzione fotografica. Cioè meno tempo al computer e più tempo con la macchina fotografica tra le mani. Collaudato ed elaborato in un differenziato programma pubblico che ha coinvolto oltre
cinquecentomila utenti potenziali, o, comunque sia, interessati alla vicenda, Photoshop Lightroom è sistematicamente evoluto in tempo reale, nel corso di dodici mesi di serrato colloquio virtuale in Rete, durante i quali si sono succedute diverse release beta preventive, sistematicamente aggiornate in relazione alle indicazioni “dal basso”, che hanno segnalato reali, solide e concrete esigenze di flusso di lavoro della fotografia digitale, delle quali si è fatto tesoro e media. «È così strano vedere fotografi professionisti, e non professionisti di grande impegno fotografico, agire e comportarsi da consulenti attivi per la definizione di un software», ha commentato John Loiacono, Senior Vice President della Creative Solutions Business Unit di Adobe. «Fortunatamente per noi, questo è successo: tutto, dagli strumenti e utensili per la valutazione e visualizzazione delle immagini fino alle funzioni di ritocco, è stato realizzato con il contributo dei fotografi. Si è trattato di uno sforzo collettivo e vogliamo ringraziare tutti coloro che ci hanno inviato il proprio feedback per aiutarci a realizzare uno strumento tanto potente per la fotografia professionale». E per la fotografia non professionale di alto tasso di impegno individuale, aggiungiamo noi.
LE NOVITÀ Cronologicamente e tecnicamente successiva all’ultima versione preventiva beta 4.1, appunto raggiunta sulla base di segnalazioni e indicazioni operative registrate da coloro i quali hanno partecipato alla concentrata progettazione, la
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release originaria Photoshop Lightroom 1.0 è definita da caratteristiche innovative, con particolare riguardo ai moduli Library e Develop, significativamente evoluti rispetto i test, che si accompagnano con miglioramenti definitivi alle componenti Slideshow, Print e Web. Nel modulo Library, nuovi strumenti avanzati per la ricerca di parole chiave aiutano a filtrare immagini residenti all’interno di raccolte di grandi dimensioni; quindi, il pannello di dialogo per l’importazione dei file è stato reso più flessibile, con maggiori possibilità di scelta circa la collocazione degli stessi file. Con un rinnovato sistema di classificazione e valutazione, dotato di etichette colorate e di un sistema accetta/rifiuta che ordina e recupera le fotografie ancora più velocemente, il nuovo Key Metadata Browser fornisce accesso rapido alle tag. Tra le novità del modulo Develop, gli strumenti Virtual Copies e Snapshot aiutano a presentare più versioni della medesima immagine, offrendo quindi totale libertà di scelta senza la confusione dovuta al salvataggio di più versioni fisiche della stessa fotografia. Pur senza arrivare ai sottili approfondimenti e interventi di Photoshop, particolari strumenti dedicati di Photoshop Lightroom 1.0 consentono di modificare in modo preciso e intuitivo i valori di tonalità, saturazione e luminosità delle singole immagini. Così come le funzioni Clone e Healing permettono di ritoccare le immagini in maniera non distruttiva, aiutando a rimuovere da una o più fotografie le imperfezioni dovute all’even-
FLUSSO DI
FUNZIONALITÀ PRINCIPALI
C
ompleto di kit di strumenti essenziali per l’amministrazione di file immagine, Adobe Photoshop Lightroom 1.0 segnala proprie funzionalità principali. ❯ Supporto esteso dei flussi di lavoro digitale. ❯ Editing non distruttivo. ❯ Strumenti di editing professionale, per apportare modifiche integrali. ❯ Editor di curve di viraggio semplificato, quanto efficace e finalizzato. ❯ Efficiente visualizzazione, valutazione e confronto delle immagini. ❯ Interfaccia pratica e intuitiva. ❯ Stampa veloce in alta qualità. ❯ Raffinate conversioni in bianconero. ❯ Versatili funzionalità di presentazione delle immagini. ❯ Monitoraggio automatico delle modifiche alle immagini.
tuale e involontario deposito di polvere sul sensore digitale di acquisizione della macchina fotografica.
FILE GREZZI RAW Photoshop Lightroom 1.0 mette a frutto la tecnologia Adobe Camera Raw, per supportare oltre centocinquanta formati grezzi Raw nativi, oltre, ovviamente, Jpeg e Tiff, in modo da riunire in un unico flusso di lavoro la stessa conversione Raw. I più recenti modelli di reflex digitali supportate comprendono le con-
figurazioni Nikon D40, Nikon D80 e Pentax K10D. Questo significa che Lightroom può essere usato con ogni dotazione fotografica, indipendentemente dal proprio arrivo sul mercato, avendo la certezza che i relativi scatti sono riconosciuti oggi così come lo saranno anche in futuro. Una volta importati, i file immagine possono essere convertiti in formato Dng (Digital Negative), o rinominati e suddivisi per cartella o data. Con l’occasione, ricordiamo una volta ancora, che Dng è un’i-
Adobe Photoshop Ligthroom 1.0 è un software completo di strumenti essenziali per l’amministrazione delle immagini. Consente anche particolari interventi di correzione e gestione, ma il proprio indirizzo è specificamente rivolto alla semplificazione del flusso originario di lavoro. Nasce con una parola d’ordine esplicita: meno tempo al computer, per aver modo di dedicarsi di più alla ripresa fotografica
niziativa di settore che punta a creare un formato universale di file grezzo, per risolvere gli attuali problemi di gestione e archiviazione di formati nativi diversi, eliminando altresì gli ostacoli all’adozione di nuovi apparecchi fotografici. A conseguenza, quantomeno in teoria, poi si vedrà, è assicurata l’archiviazione sicura delle immagini e la costante accessibilità, anche nella costante e continua evoluzione delle tecnologie di imaging digitale. Per propria intenzione, proponendosi come software di gestione completa e complessiva dell’intero flusso di lavoro digitale, Adobe Photoshop Lightroom 1.0 dà la possibilità di sfruttare al massimo i file grezzi Raw, potendo replicare facilmente e in rapidità, oltre che sicurezza, i miglioramenti introdotti e applicarli in tempo
LAVORO
reale ad altre immagini simili. Adobe Photoshop Lightroom 1.0 è un’applicazione in formato Universal Binary, che agisce in nativo sui sistemi Macintosh basati sia su PowerPC sia su Intel. Le caratteristiche di sistema raccomandate segnalano configurazioni Apple Macintosh OSX 10.4.3, con processore PowerPC G4 o G5 a 1 GHz, oppure Windows XP con Service Pack 2, con processore Intel Pentium 4. In entrambi i casi, servono: 768Mb di Ram (meglio un Giga); un Giga di spazio disponibile sull’hard disk; risoluzione monitor 1024x768 pixel e unità CD-Rom. (Adobe Systems Italia, Centro Direzionale Colleoni, viale Colleoni 5, Palazzo Taurus A3, 20041 Agrate Brianza MI). A.Bor.
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NANCY “NAN” GOLDIN
N
Nancy “Nan” Goldin è una fotografa di notevole talento visionario. Usa il corpo come un’arma o una poesia; ma, più di ogni altra cosa, il suo lavoro esprime una poetica della provocazione, dove il dolore dello scarto è anche il riconoscimento della società dei ruoli. La storia dell’arte moderna è anche la storia della merce che ha prodotto e distrutto eleggendola a simulacro. Nan Goldin si fa interprete della controcultura newyorkese degli anni Ottanta; la sua fotografia assume il ruolo di “manifesto” (dicono, ma non è così) della politica radicale che investe l’immaginario sociale statunitense. La diversità sessuale, l’Aids, il proibizionismo sono le battaglie nelle quali si riconosce l’arte totale che dice di abbracciare; sovente si scontra con la cruda realtà dei ghetti e non sempre gli artisti sono così sensibili alla fame e alle discriminazioni dei poveri. Poche volte, la verità e la giustizia hanno abitato nei gazebi dell’arte della società dello spettacolo. «Io credo -dice Nan Goldin-, che ognuno dovrebbe creare da ciò che conosce e parlare della propria tribù. Possiamo parlare solamente della nostra reale comprensione ed empatia con ciò di cui facciamo esperienza». Infatti, l’emancipazione dell’arte che si fonda sul mercimonio si porta dietro anche la propria putrefazione. Nancy “Nan” Goldin nasce a Washington, il 12 settembre 1953; i genitori sono ebrei, appartengono alla classe media, di idee liberali. La sorella maggiore di “Nan” (i Goldin hanno quattro figli), Barbara Holly, si toglie la vita all’età di diciotto anni, è il 12 aprile 1965. La sottile educazione della famiglia non ha buon gioco su “Nan”. Nel 1969, si iscrive alla Satya
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Community School (a Lincoln, Massachusetts) -che lei soprannominerà la “hippie free school”, per le idee non convenzionali che circolano lì dentro-, e prende nelle mani una macchina fotografica. Quindi, si trasferisce a Boston per studiare alla School of the Museum Fine Arts, presso la quale si diploma nel 1978; negli stessi anni, inizia a fotografare in margine alla vita comune. Il suo sguardo trasversale entra nella sub-cultura di quel tempo, e le sue immagini (in bianconero) delle drag queens sono di grande impatto visivo. Imperfette, sgrammaticate, grezze... ma sorprendentemente autentiche.
LA PROVOCAZIONE DEL CORPO Nel 1978, Nan Goldin si trasferisce a Londra, poi a New York. Apre un piccolo studio nella Bowery, che condivide con al-
mentazione multimediale. Nel 1986, espone la prima mostra alla Burden Gallery di New York, presso la Aperture Foundation, e pubblica il libro che l’accompagna, The Ballad of Sexual Dependency. È la nascita di una stella. Premio per il miglior libro fotografico dell’anno ai Rencontres d’Arles del 1987, The Ballad of Sexual Dependency si compone di immagini dirette, a tratti straordinarie, un vero e proprio canto dell’imperfezione. Settecentoventi fotografie a colori (cinquanta minuti di proiezione) di amici, familiari e della stessa Nan Goldin: le loro relazioni amicali, amorose, violente. Soprattutto, il disagio, la solitudine, l’incapacità di incontrarsi veramente sembrano attraversare dei rituali iconografici e abitare spazi vuoti dove può accadere tutto e nulla.
«Sarò il tuo specchio rifletterò quello che sei nel caso non lo sapessi sarò il vento, la pioggia e il tramonto la luce alla tua porta per mostrarti che sei a casa» Lou Reed tri artisti, e per vivere fa la barista in un nightclub. Non si fa mancare nulla: alcool, droghe, amori d’ogni sorta. Abbandona il bianconero e affronta il colore e l’uso costante del flash diretto. Fotografa la sua “vivenza” laterale e i suoi amici (Cookie Mueller, Sharon Niesp, Suzanne Fletcher, Bruce Balboni, David Armstrong). Proietta le diapositive al Rafiks Underground Cinema, al Mudd Club, nella Maggie Smith’s Tin Pan Alley e in altri luoghi aperti alla speri-
L’estraneità dell’amore, o la sua perdita, escono da una composizione a mosaico che figura una fenomenologia della vita estrema, forse. La colonna sonora (musica classica, rock o pop) fa da controcanto alla lettura delle immagini, e ciò che emerge da questo emblematico “saggio antropologico” è l’impossibilità di amare e di essere amati, o una via di fuga verso una sognata libertà. La poesia autentica non è altro che il rovescio dell’eterno nella storia.
Il corpo e la figura umana fotografati da Nan Goldin appartengono al tema del “ricordo”, che è lo schema della trasformazione della merce in oggetto da collezione (Walter Benjamin, diceva). La tecnica dell’istantanea teorizzata da Nan Goldin è del resto nota: «Strutturo il mio lavoro secondo i fatti che segnano la mia vita, i momenti di rottura. Dopo essere stata picchiata, vedevo la mia vita in funzione di un prima e un dopo. [...] Il mio lavoro ha certamente le proprie radici nella fotografia istantanea, che, secondo me, è il genere fotografico più determinato dall’amore» (Nan Goldin). Ci sono una messe di fotografi che potrebbero affermare il contrario e brigate di abatini della fotografia di guerra che hanno fatto del dolore degli altri il “dono consacrato” alle ghigliottine dei mass-media. Ogni fotografia è messaggera di qualcosa che porta in sé il destino (il dolore) di un’epoca o non è niente. Il successo di critica e mercato della fotografia di Nan Goldin è quasi immediato. Le gallerie, i musei, gli addetti ai lavori portano le sue opere nelle città americane ed europee (The Ballad of Sexual Dependency è proiettata ai Film Festival di Edimburgo e Berlino): anche la trasgressione viene recuperata e rende bene. L’Aids entra nella vita di Nan Goldin e colpisce molti suoi amici. Muore anche la sua compagna di strada, Cookie Mueller. Lei riesce a documentare le loro sofferenze con passione e riservatezza. La fotografa del margine chiude con gli abusi artificiali, e nel 1988 entra in una clinica per disintossicarsi. Diventa attiva nei gruppi Act Up e Visual Aids; nel 1989, organizza una grande mostra a New York dedicata al-
la “malattia dell’amore”, Day with(out) Art, che promuove l’istituzione della giornata mondiale sull’Aids: viene ricordata il Primo dicembre di ogni anno. Negli anni Novanta, Nan Goldin acquisisce una borsa di studio dal Daad e va a Berlino. Ci resta tre anni. Viaggia in Europa, Giappone, Italia. In Sicilia realizza alcune fotografie di paesaggio -dichiarate celebri-, che però sembrano sollecitate più dalle esigenze del mercato, che dalla passionalità dell’artista. Dopo The Ballad of Sexual Dependency (1986), pubblica The Other Side (1992); Vakat (con Joachim Sartorius; 1993); Tokyo Love (con Nobuyoshi Araki; 1994); Double Life (con David Armstrong; 1994); I’ll Be Your Mirror (1996); Ten Years After: Naples 1986-1996 (con Guido Costa; 1998); Couples and Loneliness (1999); Devil’s Playground (2004). Il suo lavoro è rappresentato dalle gallerie Matthew Marks di New York, Ivonne Lambert di Parigi, White Cube di Londra, Spruth, Magers di Colonia e Monaco e Guido Costa Projects di Torino. Fa parte del gruppo detto dei cinque di Boston (Five of Boston). La sua collaborazione con Nobuyoshi Araki l’accosta al linguaggio fotografico della disinvoltura, che sembra graffiare e invece lecca l’oggetto del desiderio depredato e ricostruito, anche in modo grossolano. Non ci entusiasmano le sue immagini “concettuali”, che molto hanno fatto gridare critici e mercanti alla bellezza del dolore, come Honda brothers in cherry blossom storm, scattata a Tokyo nel 1994. Si tratta di una pioggia di fiori di ciliegio smerciata come simbolo della brevità dell’esistenza e di quanto sia effimera la bellezza. Non ci convince nemmeno The sky on the twilight of Philippine’s suicide, realizzata a Winterthur, in Svizzera, nel 1997, dove dicono che un cielo rosso esprime il dolore dell’artista per il suicidio dell’amica. Anche la ri-
trattistica delle scene alternative di New York, Bangkok, Manila e Tokyo non raggiunge l’elegia trasgressiva di The Ballad of Sexual Dependency, e il furore antagonista della fotografa americana si fa più stemperato, più adeguato alle richieste del mercato. Nel “bello d’autore” si legge che ogni provocazione artistica è morta.
ELOGIO DELL’IMPERFEZIONE Nel 1996, Nan Goldin allestisce al Whitney Museum of American Art di New York la mostra retrospettiva, I’ll Be Your Mirror (titolo preso dall’omonima canzone di Lou Reed). Lì c’è la radicalità del suo percorso artistico e, col passare degli anni, anche la sua trovata serenità, forse. Le fotografie più recenti sembrano aver perso quella carica trasversale dispersa nei primi lavori e l’invettiva si fa più calcolata, commestibile. I’ll Be Your Mirror è anche il titolo del documentario di cinquanta minuti girato nel 1997, con la collaborazione dell’inglese Edmund Coulthard. È un buon film. Edmund Coulthard racconta la vita di Nan Goldin con grande trasporto e le interviste degli amici e degli artisti, mescolate alle sue fotografie, esprimono bene la singolarità della donna e la bellezza estrema di uno sguardo fotografico non comune. La colonna sonora è composta da brani di The Velvet Underground, Patti Smith, Television e Ertha Kitt, e anche se non crediamo che il film rappresenti il ritratto di una generazione (come è stato scritto in molte occasioni), resta comunque uno spaccato di verità su un’artista dove il coraggio di un’esistenza particolare si fonde alla cattività della fotografia di strada. I’ll Be Your Mirror è passato in diversi Festival cinematografici (Festival Internazionale di Edimburgo e al Berlino Film Festival), ha ricevuto un premio speciale dalla giuria del Prix Italia e ha vinto il premio come
miglior documentario al Montreal Festival of Films on Art. In chiusa al suo documentario Contacts (1999), Nan Goldin spiega le incomprensioni nelle quali sono incappate molte persone che si sono avvicinate alla sua opera: «Il mio lavoro è sempre stato equivocato come riguardante un certo milieu di droghe, party selvaggi e bassifondi; ma anche se la mia famiglia è ancora marginale, e non vogliamo far parte della “società normale”, penso che il mio lavoro non abbia mai trattato di questo, ma semplicemente della condizione di essere umani, il dolore, la capacità di sopravvivere, e quanto sia difficile tutto ciò». L’anomalia, la bruttura, la diversità, la bellezza, il dolore autentici stanno nella “società normale”, nelle periferie invisibili, nella fame dei popoli (Goethe, Montaigne, Rimbaud, dicevano). Ciò che gli artisti chiamano “incomprensione o equivoco”, spesso è soltanto la mancanza di un posto adeguato nel commercio delle idee. Tutto qui. Nel terzo millennio, Nan Goldin si è dedicata a nuove mostre, a girare documentari, a lavorare in altri ambiti della comunicazione. Le ferrovie francesi le hanno affidato una campagna pubblicitaria per rappresentare l’efficacia dello Stato al servizio della gente sui treni parigini. Recentemente è stata insignita del titolo di Commendatore delle Arti e delle Lettere dal Governo francese, paese in cui risiede ormai da diversi anni (se lo merita!, avrebbe detto Jean-Paul Sartre ad Albert Camus, quando questi accettò di ritirare il Premio Nobel per la letteratura, da lui rifiutato). L’estetica “spontaneista” di Nan Goldin, al di là di una certa carica dirompente e dissacratoria innegabile, ha portato la fotografia radicale nei templi del mercantile che la incensata, e ci sono frotte di giovani artisti che scalpitano per entrare nel supermercato della fotografia, danzando.
La filosofia dell’istantanea di Nan Goldin si ritaglia nella rappresentazione del tempo incanaglito nei valori correnti e nella relazione col perduto o riscattato nel disamore dell’esistere trasversalmente alla morale comune, al destino dei servi. La sua opera fotografica si configura nell’elogio dell’imperfezione, dove tutto ciò che è perduto non solo esige di essere ricordato, ma reso indimenticabile. Nelle sue immagini emerge l’incoffessato, i desideri inesauditi e il trasporto con tutto ciò che si perde. Non c’è nulla che leghi l’uomo alla storia, quanto la sua immagine colta in prossimità di un evento e fuori da ogni giudizio morale. Dove la nobiltà dell’espressione è inadeguata, non resta che l’ombra della sua nobiltà (non solo) fotografica. La vita ordinaria, che Nan Goldin raccoglie ovunque porta la sua macchina fotografica, è sempre rifilata in un certo estetismo goduto, e l’occasionalità o le intemperanze delle sue immagini hanno davvero poco a che fare con i maestri della fotografia maledetta o non omologata, come August Sander, Weegee o Diane Arbus -comparazioni che storici, critici e galleristi hanno fatto (malamente) con Nan Goldin-. Come sappiamo, lei ha rifiutato qualsiasi paternità poetica, soprattutto con Diane Arbus; infatti, non c’è confronto: Diane Arbus fa parte degli immortali della fotografia trasgressiva, Nan Goldin degli esteti della trasgressione. Il valore affabulativo di Nan Goldin è innegabile. Il suo modo di raccontare l’altra faccia dell’esistenza è di quelli forti, diretti, mai superficiali. Le fotografie erotiche (di omosessuali o eterosessuali) non sbordano mai nel pornografico, e le immagini che riguardano l’Aids non cadono mai nel pietismo: anche se le fotografie di Greer, e la sua trasformazione da uomo a donna, sembrano toccare le corde dell’esibizione. La
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“cipria accattivante” del bello non tracima nel sublime; resta all’interno di una dialettica formale, dove l’incanto dell’apparenza dura solo un istante. Poi la verità dell’opera d’arte scopre le proprie ragioni e decreta il tramonto della bellezza, cioè della propria morte. Il carattere finito della fotografia va oltre l’idea di felicità o dolore: è l’immagine che leva la testa contro il destino, lo affronta e ne decreta la non obbedienza. La verità, la giustizia, la poesia sono passaggi ineluttabili, che fanno dell’arte un bordello senza muri o fuochi di rivolta accesi nella notte delle idee. Negli anni, l’estetica della strada di Nan Goldin si è fatta più intima, meno feroce. Comunque, la sua popolarità è davvero vasta e non del tutto immeritata. Anche nel postribolo della moda si sono ac-
corti che si può fotografare la banalità, come Nan Goldin, e farne qualcosa di culturale, sociologico o politico. I maggiori musei del mondo se la contendono. Le più significative collezioni pubbliche e private hanno comprato le sue immagini dell’anomalia. Il lavoro artistico di Nan Goldin consiste, e non è poco, della scelta di un tema, e la trattazione può durare diversi anni. The Ballad of Sexual Dependency è senza dubbio un’opera di notevole espressione etica e formale. È un diaporama elaborato su diversi piani di lettura. C’è la spontaneità dei soggetti, ma anche il costruito, l’interpretato; il fotografo è a una distanza “partecipata” e mai oggettiva (come sembra volere apparire). Troviamo profonda e incisiva la serie The Cookie Portfolio,
quindici ritratti realizzati dal 1976 al 1989 alla sua amica Cookie Mueller (attrice, poetessa e interprete culturale della scena underground di New York). Le fotografie ripercorrono la storia della loro amicizia, il loro primo incontro nel 1976, il matrimonio di Cookie con Vittorio Scarpati, nel 1986, e le immagini del suo funerale. Vittorio Scarpati era un artista napoletano che viveva a New York, morto di Aids qualche mese prima di Cookie. The Cookie Portfolio deborda dal personale, dall’intimo, dal privato, e diventa un tributo all’amicizia, all’amore, all’abbandono. Gli album fotografici di Nan Goldin tratteggiano i clamori, le ansie, le cadute di quella controcultura americana (non solo newyorkese) che è stata anticipatrice di un malessere diffuso nelle generazioni occidentali.
A ritroso. La visione eversiva di Diane Arbus (nata sotto contraria stella) teneva nel cuore la fine dei giorni, cioè lo stupore o l’aurora del Bello negli occhi dei bambini o dei poeti delle periferie invisibili. A risorgere, e le sue fotografie lo dicono forte, non saranno i corpi dei dominatori (né delle loro vittime), ma la rivendicazione di una politica del quotidiano e le battaglie civili per i diritti politici degli ultimi e degli offesi. Le fotoscritture di Nan Goldin hanno mostrato la disaffezione alla vita o la celebrazione delle differenze, ma nel contempo sono state deposte o disperse nell’universo sofisticato dell’arte contemporanea, e hanno ucciso la dolente umanità delle minoranze. Che la fotografia sia con voi. Pino Bertelli (8 volte febbraio 2007)
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