Mensile, 5,70 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano
ANNO XIV - NUMERO 131 - MAGGIO 2007
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VUES n° 0 MANIFESTO PER LA FOTOGRAFIA
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CE N’EST QU’UN DÉBUT. E poi, Continuons le combat! A margine e integrazione del manifesto per la fotografia argentica (analogica), compilato dal parigino Jean-Christophe Béchet, che presentiamo e commentiamo da pagina 24, riprendendo ancora dalla successiva pagina 30, è inevitabile richiamare il più celebre e celebrato slogan del Maggio francese del Sessantotto, elevato a identificazione oltre il proprio tempo e spazio originari. Non è che l’inizio, continueremo a combattere! Certo, non stiamo riferendoci ad alcuna barricata, eretta lungo la via, e neppure pensiamo ad analoghe barricate ideologiche, però, come suggerisce Jean-Christophe Béchet, che con la propria colta analisi ci mette quasi con le spalle al muro, bisogna prendere posizione. Non basta lasciarsi trascinare dagli eventi, per quanto inevitabili possano anche apparire: è ormai tempo per esprimere posizioni e sollevare riserve. Ovviamente, stiamo parlando dell’impero digitale, che sta facendo tabula rasa di una vasta serie di condizioni fotografiche, che non andrebbero perse. Che non vanno perse! Nelle parole con le quali l’autore JeanChristophe Béchet accompagna una selezione ragionata delle proprie vues n° 0, prefotogrammi di autentica personalità fotografica, non leggiamo la sterilità di assurdi e inconsistenti dibattiti pro o contro la tecnologia digitale, che spesso definiscono l’attualità di certa banale discussione italiana sulla fotografia contemporanea. A differenza, magistrale ed emozionante nella propria azione creativa, l’autore francese analizza bene una identificata serie di consecuzioni negative, che accompagnano le tante esuberanti qualità proprie e caratteristiche dell’acquisizione digitale di immagini, che ormai tutti noi frequentiamo quotidianamente. Dunque, allineandoci con la riflessione di Jean-Christophe Béchet, contro cosa si deve combattere? Contro quella passività e apatia che sono l’esatto contrario dell’intelligenza e dell’onestà intellettiva, per affermare princìpi inviolabili e inderogabili del linguaggio fotografico, che viene mortificato da talune applicazioni che vanno casomai classificate soltanto come sociali e di costume, non certo creative. I fast-food non possono uccidere l’alta cucina, sono qualcosa d’altro. Analogamente, la Fotografia non può rinunciare alla personalità che la sua lunga storia evolutiva ha definito e disegnato. Non guerra al digitale, quindi, ma alle deleterie consecuzioni imposte. Del resto, come annota l’attento fotografo svedese Christer Strömholm, in dedica all’edizione libraria delle Vues n° 0 di Jean-Christophe Béchet, ripresa a pagina ventisei, «Sono i pesci morti che seguono le correnti». M.R.
Abbiamo una certa passione per la verità. Vogliamo sapere, ma vogliamo anche capire. Non sempre è la stessa cosa. A volte, può esserci una differenza.
Copertina Prefotogramma dalla serie delle vues n° 0 del francese Jean-Christophe Béchet, sulle quali riflettiamo da pagina 24, con ulteriore rimbalzo da pagina 30. Raccolta in monografia con tripla edizione simultanea, appunto Vues n° 0, una ragionata serie di questi prefotogrammi casuali supporta e fa da spunto a un dichiarato manifesto per la fotografia argentica (analogica), con il quale ci sintonizziamo. Pura poesia
3 Fumetto Dettaglio da una illustrazione prodotta in forma di cartolina (nel 1985, quasi vent’anni dopo l’attualità del film cui si riferisce). Noto personaggio dei cartoni, Isidoro interpreta l’immagine simbolo di Blow up (di Michelangelo Antonioni; Italia e Gran Bretagna, 1966), per l’occasione rivisitato in Miaow-up; tutte le ulteriori indicazioni di contorno sono declinate a conseguenza
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7 Editoriale I diversi collegamenti che legano tra loro alcuni degli argomenti presentati sulla rivista, in questo numero, come in ogni edizione mensile, rivelano una delle caratteristiche del parlare di fotografia: non argomento chiuso a se stante, ma punto di vista privilegiato per osservazioni a tutto tondo
8 Ritorno a Genova Quattro cantautori di spessore hanno celebrato Genova, sottolineandone aspetti sottotraccia. Con analogo gesto e risultato, Aldo Ponassi ha fotografato la sua città nel corso degli anni. Ci ha lasciati domenica otto aprile
10 Notizie Attrezzature, vicende e altre segnalazioni
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13 Richiude Life (e tre) Con un annuncio a sorpresa, il ventisette marzo, la casa editrice ha decretato e motivato la chiusura di Life, dal 2004 abbinato a una qualificata serie di quotidiani statunitensi. È la terza sospensione di Lello Piazza Ricerca iconografica di Ciro Rebuzzini
18 Bambola di carta 43
L’eleganza di Margaret Bourke-White è stata celebrata in una edizione libraria insospettabile. Da ritagliare
. MAGGIO 2007
RRIFLESSIONI IFLESSIONI,, OSSERVAZIONI OSSERVAZIONI EE COMMENTI COMMENTI SULLA SULLA FFOTOGRAFIA OTOGRAFIA
20 Fotografia giovane
Anno XIV - numero 131 - 5,70 euro
In mostra i vincitori all’Epson Art Photo Award 2006, concorso riservato alle scuole fotografiche d’arte
DIRETTORE
RESPONSABILE
Maurizio Rebuzzini
IMPAGINAZIONE
22 Reportage
Gianluca Gigante
Appunti e attualità del fotogiornalismo internazionale A cura di Lello Piazza
Angelo Galantini
REDAZIONE
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FOTOGRAFIE Rouge
24 Fotogramma Zero (e meno)
SEGRETERIA
La tripla edizione di Vues n° 0 raccoglie una ragionata serie di prefotogrammi di Jean-Christophe Béchet. Intensa riflessione sulla fotografia argentica (analogica) di Maurizio Rebuzzini
HANNO
Maddalena Fasoli
30 Ancora prefotogrammi Trentasei note (più una) a margine delle vues n° 0 di Jean-Christophe Béchet Traduzione di Loredana Patti
34 Il meglio della fotografia
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Le prime della classe! Cadenzati su trentasei categorie tecnico-commerciali, gli ambìti TIPA Awards sottolineano le migliori tecnologie applicate dei nostri giorni: 2007 di Antonio Bordoni
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43 Dall’alto (ricordando Nadar) Dal cielo. In occasione della retrospettiva sulla fotografia aerea svizzera, ricordiamo tra passato e presente
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48 Mondo cane Cani autenticamente tali, rispettati nella propria dignità animale. Serie fotografica del toscano Gabriele Caproni
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53 Al cinema! La mostra Fotografia & Cinema. Fotogrammi celebri sta per avviare un proprio itinerario espositivo nazionale: a cura di Filippo Rebuzzini, nove pannelli da quaranta fotogrammi ciascuno certificano la vastità dell’argomento
COLLABORATO
Jean-Christophe Béchet Pino Bertelli Antonio Bordoni Gabriele Caproni Maria Teresa Ferrario Loredana Patti Lello Piazza Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Zebra for You
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● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti. Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano
59 Zoom grandangolare (e altro) Ricoh Caplio GX100: compatta (ma reflex in miniatura)
Rivista associata a TIPA
62 Con efficacia Nikon D40x reflex digitale da 10,2 Megapixel
65 Tano D’Amico Sguardi su la fotografia sociale: i volti dell’opposizione di Pino Bertelli
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www.tipa.com
lla resa dei conti, osservando la consecuzione degli argomenti con i quali ogni mese confezioniamo i fascicoli della rivista, spesso (sempre) ci troviamo di fronte a una sostanziale concatenazione, imprevista in origine, in fase preventiva di stesura dei singoli articoli. Anche questo mese, è accaduto qualcosa di simile. La rievocazione della terza chiusura di Life (da pagina 13) si allunga su una giocosa segnalazione di Margaret Bourke-White in forma di bambola di carta (dalla successiva pagina 18). Ancora, oltre la raffigurazione del primo numero del settimanale, del 23 novembre 1936, appunto illustrato con una fotografia di Margaret Bourke-White, la stessa fotografa compare ancora a pagina quindici, tra gli inviati di guerra sui fronti della Seconda guerra mondiale, e a pagina sedici, nel gruppo dei fotoreporter dello staff di Life. La concentrata relazione sugli ambìti TIPA Awards 2007 (da pagina 34) fa, quindi, il paio con le passerelle tecniche di presentazione della Ricoh Caplio GX100, compatta digitale che diventa reflex in miniatura (!) con il proprio mirino LCD dedicato (da pagina 59), e della reflex digitale Nikon D40x (da pagina 62), entrambe Premi TIPA dell’anno. Dopo di che, siamo sinceri, un ulteriore allineamento tra il fumetto di apertura della rivista, parodia del film Blow up, e l’intervento sui fotogrammi della presenza della fotografia nel cinema (da pagina 53) è stato assolutamente voluto: proprio per sottolineare la consecuzione possibile di argomenti fotografici riuniti in una unica confezione redazionale e giornalistica. Ora, se di questo si tratta, ma anche di questo si tratta, bisogna dare un senso alle coincidenze, che forse tali non sono, e che, senza sottolinearlo ogni volta, sono una sostanziale spina dorsale di ogni edizione di questa nostra rivista. Qual è il senso di tutto questo? Ci abbiamo pensato a lungo, riferendoci anche ad altri momenti fotografici che ci impegnano giorno dopo giorno, e che sono caratterizzati da analoghe coincidenze e combinazioni, cioè da comportamenti identici: indipendentemente dal soggetto principale dell’argomento, raccontare di fotografia consente deviazioni di tragitto, con escursioni tra storia, costume e società. Proprio come facciamo su queste pagine. Allora, in definitiva, ecco qui il senso delle consecuzioni, dei collegamenti, degli incisi e delle digressioni sul tema originario: questa attitudine (idoneità?) è propria e caratteristica della stessa fotografia, che non è mai argomento a se stante e in sovrastruttura, ma si propone come strumento privilegiato per letture e osservazioni della vita e sulla vita. Ecco perché, quindi, nascono e si affermano le consecuzioni e le coincidenze. Non si tratta di arbitrio fine a se stesso, ma di approfondimento e apertura all’esterno. Appunto: meravigliosa Fotografia, attraverso la cui analisi possiamo via via proiettarci nell’esistenza quotidiana, arricchendo sempre e comunque la nostra stessa vita. Maurizio Rebuzzini
A
Ogni mese, fino all’inizio dello scorso aprile, una volta ricevuta la rivista al proprio indirizzo genovese, Aldo Ponassi mi telefonava per commentare assieme gli argomenti presentati. Non importa se siamo stati d’accordo su tutto o soltanto su qualcosa. Importa che ogni mese ne parlavamo. Aldo Ponassi non è più qui; è da qualche parte, ma non qui. Tra tutto, mi mancherà tanto questo nostro incontro mensile. M.R.
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RITORNO A GENOVA
A
Almeno quattro canzoni celebrano Genova, osservata da punti di vista autonomi e diversi. Alternativamente, e ciascuno per sé, i singoli toni sono sostanzialmente vari: da quelli più cupi e riflessivi a quelli anche leggeri. Il clima dipende dalle evocazioni che i singoli motivi richiamano. Comunque, tutte e quattro le canzoni cui stiamo per riferirci propongono testi di spessore, che colpiscono il cuore di chi le ascolta. Con ordine. Senza mai nominarlo, senza cadere in inutile pietismo, che invece caratterizza tanta comunicazione dei nostri giorni, soprattutto televisiva, votata al compiacimento e autocompiacimento, Piazza Alimonda di Francesco Guccini (in Ritratti del 2004 e Anfiteatro Live del 2005) ricorda la tragica morte di Carlo Giuliani, appunto nella genovese piazza Alimonda, il 20 luglio 2001, durante i tragici eventi che hanno accompagnato la riunione del G8: «Dentro gli uffici uomini freddi discutono la strategia / e uomini caldi
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Dalla monografia Questa città a quest’ora, sottotitolata Genova e dintorni, di Aldo Ponassi, pubblicata lo scorso autunno, riproponiamo tre visioni della città: piazza Cattaneo (1995; qui sotto), via di San Bernardo (1996; pagina accanto, in alto) e via Ravecca (1995; pagina accanto, in basso).
esplodono un colpo secco, morte e follia. / Si rompe il tempo e l’attimo, per un istante, resta sospeso, / appeso al buio e al niente, poi l’assurdo video ritorna acceso; / marionette si muovono, cercando alibi per quelle vite / dissipate e disperse nell’aspro odore della cordite». Tutto intorno, Francesco Guccini disegna lo spirito della città: «Genova, schiacciata sul mare, sembra cercare / respiro al largo, verso l’orizzonte. / Genova, repubblicana di cuore, vento di sale, / d’anima forte. / Genova che si perde in centro nei labirintici vecchi carrugi, / parole antiche e nuove sparate a colpi come da archibugi». E poi, ancora: «Ma poco più lontano, un pensionato ed un vecchio cane / guardavano un aeroplano che lento andava macchiando il mare; / una voce spezzava l’urlare estatico dei bambini. / Panni distesi al sole, come una beffa, dentro ai giardini. [...] / Genova non ha scordato perché è difficile dimenticare, / c’è traffico, mare e ac-
cento danzante e vicoli da camminare. / La Lanterna impassibile guarda da secoli gli scogli e l’onda». Leggera e spensierata è la città che Paolo Conte descrive in Genova per noi: «Con quella faccia un po’ così / quell’espressione un po’ così / che abbiamo noi prima andare a Genova / che ben sicuri mai non siamo / che quel posto dove andiamo / che ben sicuri mai non siamo / non c’inghiotte e non torniamo più. / Eppur parenti siamo un po’ / di quella gente che c’è lì / che in fondo in fondo è come noi selvatica / ma che paura che ci fa quel mare scuro / e non sta fermo mai. / Genova per noi / che stiamo in fondo alla campagna / e abbiamo il sole in piazza rare volte / e il resto è pioggia che ci bagna. / Genova, dicevo, è un’idea come un’altra». Concentrata è, ancora, la Genova che Fabrizio De André richiama in La città vecchia: «Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi / ha già troppi impegni per scaldar la gente d’altri paraggi, / una bimba canta la canzone antica della donnaccia / quello che ancor non sai tu lo imparerai solo qui tra le mie braccia. [...] / Una gamba qua, una gamba là, gonfi di vino / quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino / li troverai là, col tempo che fa, estate e inverno / a stratracannare a stramaledire le donne, il tempo ed il governo. [...] / Se ti inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli / in quell’aria spessa carica di sale, gonfia di odori / lì ci troverai i ladri, gli assassini e il tipo strano / quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano. / Se tu penserai, se giudicherai / da buon borghese / li condannerai a cinquemila anni più le spese / ma se capirai, se li cercherai fino in fondo / se non sono gigli son pur sempre figli / vittime di questo mondo». Amara, la cornice di Via del Campo, sempre di Fabrizio De André: «Via del Campo c’è una graziosa / gli occhi grandi color di foglia / tutta notte sta sulla soglia / vende a
tutti la stessa rosa. [...] / Ama e ridi se amor risponde / piangi forte se non ti sente / dai diamanti non nasce niente / dal letame nascono i fior / dai diamanti non nasce niente / dal letame nascono i fior». Fotografo di antica militanza, volontariamente defilato dai clamori della cronaca, Aldo Ponassi, di Genova, ha riservato una particolare attenzione alla sua città. Lo scorso anno, una consistente serie di sue immagini, scattate a Genova nel corso degli anni, è stata raccolta in volume, nel quale le fotografie sono state accompagnate da dieci poesie inedite di Edoardo Sanguineti. Nel settembre 2006 abbiamo presentato e commentato Questa città a quest’ora di Aldo Ponassi, sottolineando il valore della sua visione fotografica: «Aldo Ponassi non compila un bel temino, insipido come ci hanno imposto negli anni della scuola dell’obbligo, ma traccia linee, sollecita argomenti, addita riflessioni, sottolinea istanti, richiama pensieri. Il suo modo di fotografare è indirizzato alla mente e al cuore. È stimolante per ciò che presenta; ma lo è molto di più per quello che induce a pensare. L’autore non prevarica mai il proprio soggetto. Pur partecipe (e si vede bene!), sta come discosto, e lascia parlare l’immagine. E proprio l’immagine, la sua fotografia, bussa garbatamente alla porta. Noi l’apriamo e, come per miracolo, diventiamo i protagonisti della storia. Veniamo presi per mano e accompagnati, scatto dopo scatto, immagine dopo immagine, in un mondo che non conosciamo. [...] Le fotografie smettono di essere tali, fotografie, e si muovono, prendono vita, costruiscono vita. Non siamo più solo osservatori, ma diventiamo protagonisti. Ci muoviamo anche noi negli stessi spazi e percepiamo la presenza delle medesime persone: siamo a Genova, non stiamo più guardandone solo delle raffigurazioni. È questa la magia della fotografia d’autore, che presto fa dimenticare la propria forma necessaria per lasciare libero il pensiero individuale. [...] Addirittura, cominciamo a sentire i rumori della città e le voci della gente. Non siamo più protetti negli spazi personali della nostra vita, ma sul volto sentiamo il vento dell’aria aperta».
Le fotografie di Genova di Aldo Ponassi si allineano ai versi poetici che hanno cantato la città. Ripetiamone alcuni: «Genova, schiacciata sul mare, sembra cercare / respiro al largo, verso l’orizzonte. / Genova, repubblicana di cuore, vento di sale, / d’anima forte. / Genova che si perde in centro nei labirintici vecchi carrugi, [...] / un pensionato ed un vecchio cane / guardavano un aeroplano che lento andava macchiando il mare; / una voce spezzava l’urlare estatico dei bambini. / Panni distesi al sole, come una beffa, dentro ai giardini» (Francesco Guccini); «Eppur parenti siamo un po’ / di quella gente che c’è lì / che in fondo in fondo è come noi selvatica / ma che paura che ci fa quel mare scuro / e non sta fermo mai» (Paolo Conte); «Una gamba qua, una gamba là, gonfi di vino / quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino / li troverai là, col tempo che fa, estate e inverno / a stratracannare a stramaledire le donne, il tempo ed il governo. [...] / Se capirai, se li cercherai fino in fondo / se non sono gigli son pur sempre figli / vittime di questo mondo» (Fabrizio De André); «Ama e ridi se amor risponde / piangi forte se non ti sen-
te / dai diamanti non nasce niente / dal letame nascono i fior» (ancora Fabrizio De André). Aldo Ponassi ci ha lasciati domenica otto aprile. M.R.
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STANDARD? L’attualità della tecnologia fotografica impone nuove considerazioni e altrettanto nuovi riferimenti. La definizione e identificazione di strumenti e prodotti esige parametri che tengano precisamente conto degli equilibri odierni. Tanto che, per entrare in merito, l’escursione degli zoom non può non prendere in considerazione la tecnologia delle reflex digitali di ultima generazione. A conseguenza, la variazione superiore al rapporto di 10x, un tempo addirittura impensabile, definisce oggi una condizione standard della ripresa fotografica, che registra la configurazione 11,1x Sigma 18-200mm f/3,5-6,3 DC OS, la cui sigla specifica la stabilizzazione OS, tecnologia proprietaria. Nel disegno di diciotto lenti in tredici gruppi, due elementi in vetro a basso indice di dispersione SLD (Special Low Dispersion) e tre lenti asferiche assicurano una correzione ottica ottimale, a ogni apertura di diaframma, fino al valore limite f/22, e a ogni selezione focale, oltre che a tutte le distanze di messa a fuoco, dalla minima di 45cm. Il trattamento super multistrato delle lenti riduce il flare e le immagini fantasma, così che, ancora e anche per questo, lo zoom è configurato per immagini di alta qualità a qualsiasi lunghezza focale. Il sistema di messa a fuoco interna elimina la rotazione della len-
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te frontale, per consentire il proficuo utilizzo di filtri polarizzatori circolari (diametro 72mm) e paraluce sagomati. Indirizzato esclusivamente alle reflex ad acquisizione digitale di immagini, con sensore di dimensioni inferiori al fotogramma tradizionale 24x36mm, il versatile Sigma 18-200mm f/3,5-6,3 DC OS offre un’ampia variazione di inquadratura, dalla visione fortemente grandangolare al consistente avvicinamento tele: da 76,5 a 8,1 gradi di angolo di campo. Soprattutto alle lunghezze focali sistematicamente superiori, la stabilizzazione ottica Sigma OS (Optical Stabilizer) assicura una adeguata nitidezza. Il meccanismo si basa su due sensori, collocati nell’obiettivo, che rilevano i movimenti orizzontali e verticali della reflex e li compensano, accomodando a conseguenza i gruppi ottici interni. Il sistema distingue il movimento per l’inquadratura dai micromovimenti involontari e accidentali, reagendo di conseguenza. (Mamiya Trading, via Cesare Pavese 31, 20090 Opera Zerbo MI).
E DUE! Numericamente consecutiva all’originaria C-Lux 1, la nuova Leica C-Lux 2 è una compatta digitale ad alte prestazioni: risoluzione di 7,2 Megapixel in una costruzione metallica di dimensioni estremamente contenute, più snella e facile da maneggiare rispetto il modello precedente. In più, l’attuale Leica C-Lux 2 dispone di numerosi affinamenti tecnici, che danno maggiore soddisfazione all’utente. In particolare, un nuovo processore ad alta velocità per i segnali immagine, impiegato anche nella reflex digitale Leica Digilux 3 (FOTO graphia, ottobre 2006), velocizza sensibilmente l’elaborazione e la memorizzazione delle immagini. Questo garantisce un consistente margine d’azione, ai vertici della propria categoria commerciale. Ancora, la Leica C-Lux 2 è la
prima ultra compatta digitale Leica che incorpora il controllo automatico dell’esposizione Intelligent Iso. L’interazione di questa funzione con la stabilizzazione ottica dell’immagine porta a fotografie nitide anche per soggetti in movimento in condizioni di scarsa illuminazione. Quindi, l’ampia escursione dello zoom Leica DC Vario-Elmarit 4,6-16,4mm f/2,85,6 Asph, equivalente alla variazione 28-100mm della fotografia 24x36mm, assicura un agevole campo d’azione, dalle prospettive grandangolari all’avvicinamento del medio teleobiettivo. Grazie alla risoluzione di 207.000 pixel e alla visione da ogni angolo, il display da 2,5 pollici della C-Lux 2 mostra un’immagine brillante, che aiuta a comporre l’inquadratura e valutare con accuratezza i risultati. (Polyphoto, via Cesare Pavese 11-13, 20090 Opera Zerbo MI).
CON CHE FACCIA. Lo scorso autunno, Fujifilm ha presentato la prima compatta digitale dotata di tecnologia Face Detection, per il riconoscimento
dei volti compresi nell’inquadratura fotografica. L’originaria FinePix S6500fd (FOTOgraphia, novembre 2006) ha dato avvio a una consecuzione, osservata dall’intero mercato. Nella propria gamma, si è affermata la configurazione FinePix Z5fd (TIPA Award 2007: ultra compatta digitale; su questo stesso numero, da pagina 34); e ora si registra la nuova Fujifilm FinePix F40fd. È confermato il design sottile (soltanto 23,3mm di spessore), che racchiude un sensore di acquisizione digitale di immagini Super CCD da 8,3 Megapixel, uno zoom ottico 3x (equivalente all’escursione 36-108mm della fotografia 24x36mm), un display LCD da 2,5 pollici ad ampio angolo visuale e la selezione automatica di sensibilità (a piena risoluzione) fino a 2000 Iso equivalenti. Inoltre, la FinePix F40fd è dotata dell’esclusiva tecnologia Fujifilm Intelligent Flash, in grado di regolare automaticamente l’intensità del lampo e l’esposizione in relazione alla posizione e alle dimensioni del soggetto. Con l’occasione, ribadiamo i princìpi della tecnologia Face Detection, in grado di rico-
noscere fino a dieci volti compresi in un’unica inquadratura; a conseguenza, in soli 0,05 secondi guida la messa a fuoco automatica e l’esposizione, assicurando risultati eccellenti nell’ambito dei maggiori campi di utilizzo delle compatte digitali: fotoricordo e dintorni. Ovviamente, la FinePix F40fd ribadisce la tecnologia Fujifilm Real Photo, che combina tra loro le prestazioni dell’obiettivo Fujinon, del sensore Super CCD HR di sesta generazione e del processore Real Photo II. (Fujifilm Italia, via dell’Unione Europea 4, 20097 San Donato Milanese MI).
PER I BAMBINI. Lo scorso anno, lanciando l’attuale edizione 2006-2007 del proprio Nikon Photo Contest International, prestigiosa e qualificata passerella planetaria intitolata At the
Heart of the Image (Al cuore dell’immagine), la casa giapponese ha annunciato il progetto di sostegno all’iniziativa umanitaria Right to Play, che incoraggia i bambini a praticare sport e giocare, per aiutarli nella crescita, dare loro fiducia in se stessi e migliorare i loro rapporti con gli altri bambini e gli adulti. Fin dall’avvio, nel 1994, il programma Right to Play, soprattutto indirizzato al continente africano e all’emisfero asiatico, ha ricevuto il sostegno di organizzazioni internazionali, come l’Unicef e l’Unhcr. A propria volta, Nikon ha istituito programmi a livello locale e paneuropeo finalizzati a diffondere la conoscenza e raccogliere aiuti. Per ciascuna iscrizione all’NPCI 2006-2007, due euro sono stati devoluti al fondo Right to Play Nikon. A fronte dei 17.636 partecipanti, sono
stati raccolti 35.272,00 euro. Per dovere di cronaca, registriamo che quella italiana è la più consistente partecipazione dall’Europa: oltre millesettecento iscritti, praticamente un decimo del totale mondiale, con circa cinquemila fotografie. Il positivo risultato della combinazione Nikon-Right to Play è stata commentata da Frank Overhand, direttore dell’iniziativa umanitaria: «Siamo orgogliosi della collaborazione con Nikon, una solida azienda globale. Il concorso fotografico NPCI rappresenta la nostra prima collaborazione, e siamo entusiasti dell’impressionante cifra raccolta: 35.272,00 euro. Fantastico! Siamo convinti che ogni bambino abbia il diritto di giocare, e insieme a Nikon ci auguriamo di poter continuare ad aiutare questi bambini». Hayato Kamijo, presidente
di Nikon Europe, si è allineato: «Right to Play è una mirabile causa, che ha la comprovata capacità di cambiare le vite di bambini disagiati in modi tangibili e positivi. Ci fa molto piacere aver ricevuto così tante iscrizioni all’NPCI di quest’anno, e desideriamo ringraziare tutti coloro che, partecipando al concorso, hanno permesso a Nikon di raccogliere una somma che può fare una grande differenza». Ancora: «Un ringraziamento particolare -conclude Valentino Bertolini, direttore Marketing del distributore italiano Nital- va agli oltre millesettecento fotografi italiani che hanno partecipato all’NPCI 2006-2007 e che hanno indubbiamente contribuito in maniera determinante alla consistente cifra raggiunta». (Nital, via Tabacchi 33, 10132 Torino).
RICHIUDE LIFE (E TRE)
degli edifici alieni dei quadri di Sironi? Era un’immagine di Margaret Bourke-White, reporter di Fortune, che fu inviata da Henry Luce a realizzare un servizio sulla costruzione della diga. Vi ricordate, immediatamente a seguire, la fotografia di apertura dello stesso servizio [qui sopra], con quei lavoratori vestiti della festa, che danzano in un saloon nei pressi di Fort Peck, nel Montana? E vi ricordate il bacio di un marinaio a una crocerossina, una fotografia scattata da Alfred Eisenstaedt, pubblicata nell’agosto 1945? O altre due straordinarie icone, dove si è formata in parte la nostra conoscenza della storia: i marine che alzano la bandiera statunitense sulla collina di Iwo Jima (febbraio 1945), nella celebre fotografia di Joe Rosenthal [che recentemente Clint Eastwood ha trasformato in film;
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Domanda: vi ricordate cosa promise Henry Luce, il 23 novembre 1936, lanciando il settimanale Life? «Vedere la vita, vedere il mondo; essere testimoni oculari di grandi eventi; osservare i volti dei poveri e i gesti dei superbi; vedere cose strane, macchine, eserciti, moltitudini, ombre nella giungla e sulla luna; vedere l’opera dell’uomo: dipinti, torri, scoperte; vedere cose che esistono a miglia e miglia di distanza, cose nascoste dietro le pareti, nelle stanze, cose pericolose da avvicinare; le donne che gli uomini
Il primo numero di Life data 23 novembre 1936. In copertina, una fotografia di Margaret Bourke-White: la diga nei pressi di Fort Peck, nel Montana, le cui dimensioni sono esaltate dalle sagome in basso. All’interno, il servizio apre, quindi, con i lavoratori vestiti della festa, che danzano in un saloon.
Immagine promozionale del lancio di Life, che illustra una signora che sceglie il settimanale in una edicola statunitense, nella quale non mancano certo opportunità di lettura.
amano e molti bambini; vedere e gioire nel vedere; vedere ed essere stupiti, vedere e imparare cose nuove. Così vedere ed essere visti diventa ora e resterà in futuro il desiderio e il bisogno di metà del genere umano». Da allora, per ogni settimana dei trentasei anni successivi Life mantenne la promessa di Henry Luce. E dal 1978, come mensile, continuò a mantenerla per altri ventidue anni, fino al 2000. Vi ricordate la prima copertina di Life [qui sopra], una diga dalle sagome inquietanti, che evocano le forme
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RICHIUDE LIFE (E TRE)
degli edifici alieni dei quadri di Sironi? Era un’immagine di Margaret Bourke-White, reporter di Fortune, che fu inviata da Henry Luce a realizzare un servizio sulla costruzione della diga. Vi ricordate, immediatamente a seguire, la fotografia di apertura dello stesso servizio [qui sopra], con quei lavoratori vestiti della festa, che danzano in un saloon nei pressi di Fort Peck, nel Montana? E vi ricordate il bacio di un marinaio a una crocerossina, una fotografia scattata da Alfred Eisenstaedt, pubblicata nell’agosto 1945? O altre due straordinarie icone, dove si è formata in parte la nostra conoscenza della storia: i marine che alzano la bandiera statunitense sulla collina di Iwo Jima (febbraio 1945), nella celebre fotografia di Joe Rosenthal [che recentemente Clint Eastwood ha trasformato in film;
D
Domanda: vi ricordate cosa promise Henry Luce, il 23 novembre 1936, lanciando il settimanale Life? «Vedere la vita, vedere il mondo; essere testimoni oculari di grandi eventi; osservare i volti dei poveri e i gesti dei superbi; vedere cose strane, macchine, eserciti, moltitudini, ombre nella giungla e sulla luna; vedere l’opera dell’uomo: dipinti, torri, scoperte; vedere cose che esistono a miglia e miglia di distanza, cose nascoste dietro le pareti, nelle stanze, cose pericolose da avvicinare; le donne che gli uomini
Il primo numero di Life data 23 novembre 1936. In copertina, una fotografia di Margaret Bourke-White: la diga nei pressi di Fort Peck, nel Montana, le cui dimensioni sono esaltate dalle sagome in basso. All’interno, il servizio apre, quindi, con i lavoratori vestiti della festa, che danzano in un saloon.
Immagine promozionale del lancio di Life, che illustra una signora che sceglie il settimanale in una edicola statunitense, nella quale non mancano certo opportunità di lettura.
amano e molti bambini; vedere e gioire nel vedere; vedere ed essere stupiti, vedere e imparare cose nuove. Così vedere ed essere visti diventa ora e resterà in futuro il desiderio e il bisogno di metà del genere umano». Da allora, per ogni settimana dei trentasei anni successivi Life mantenne la promessa di Henry Luce. E dal 1978, come mensile, continuò a mantenerla per altri ventidue anni, fino al 2000. Vi ricordate la prima copertina di Life [qui sopra], una diga dalle sagome inquietanti, che evocano le forme
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FOTOgraphia, marzo 2006], e i prigionieri del campo di concentramento di Buchenwald, nella fotografia scattata nell’aprile 1945 ancora da Margaret Bourke-White? Vi ricordate le scene di panico di Shanghai, fotografate da Henri Cartier-Bresson, quando c’è la corsa dei cittadini a farsi convertire in oro il proprio denaro prima dell’arrivo dei comunisti? E lo splendido ritratto di John F. Kennedy col fratello Robert, scattato nel luglio 1960 da Hank Wal-
ker? O la fotografia di Eddie Adams del vietcong giustiziato in strada con un colpo di pistola alla tempia dal capo della polizia di Saigon, Nguyen Ngoc Loan, del febbraio 1968? O ancora quella di Nick Ut della bambina ustionata dal Napalm nel giugno 1972? La bimba, che si chiamava Phan Thi Kim Phuc, fu fotografata in Canada ventitré anni dopo da Joe McNally e pubblicata nel numero del maggio 1995. Lo ricordate? Vi ricordate la straordinaria pietà
Le poche fotografie di Robert Capa dello sbarco in Normandia (6 giugno 1944, D-Day) scampate alla devastazione di un processo di sviluppo sbagliato sono state impaginate sul numero di Life del diciannove giugno.
dei tempi moderni, “scolpita” da W. Eugene Smith nel dicembre 1971, durante un reportage sull’avvelenamento da mercurio nei pressi di Minamata, in Giappone? Vi ricordate il Dalí atomico, una fotografia “impossibile” quando non esistevano i computer, realizzata chissà con quali trucchi, da Philippe Halsman? O il Picasso fotografato da Gjon Mili nella sua casa di Vallauris, il gennaio 1950? Vi ricordate? Vi ricordate? Vi ricordate? Domande di questo gene-
IN BREVE, LA SUA STORIA
L
aconico, l’annuncio del ventisette marzo scorso, con il quale l’editore Time Inc ha decretato e motivato la terza chiusura di Life, che già aveva cessato le pubblicazioni settimanali all’inizio degli anni Settanta, per poi riprendere come mensile (dal 1978 al 2000), prima della più recente personalità abbinata a una identificata serie di quotidiani: «Benché presso il pubblico l’idea della rivista Life come supplemento settimanale di molti quotidiani sia stata un grande successo, la crisi di questi media e le prospettive nel mercato pubblicitario ci inducono a rinunciare a ulteriori investimenti nell’iniziativa». Evidentemente non basta che Life venga distribuita in tredici milioni di copie da centotré quotidiani e occupi il terzo posto nella classifica degli inserti di questo tipo. Prima è Parade, con trentadue milioni di copie circolate da quattrocento giornali, e seconda è USA Weekend, ventitré milioni di copie circolate da seicentododici giornali. Come appena ricordato, questa chiusura è la terza della storia di Life. Nata nel 1936 come settimanale, interrompe una prima volta le pubblicazioni il 29 dicembre 1972 (a pagina 16). Nonostante cinque milioni e mezzo di copie vendute, il newsmagazine arriva a perdere circa dieci milioni di dollari l’anno a causa della pubblicità che abbandona la carta stampata per la televisione (A.J. van Zuilen, The Life Cycle of Magazines: A Historical Study of the Decline and Fall of the General Interest Mass Audience Magazine in the United States during the Period 1946-1972, Uithorn, Olanda, 1977).
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Rilanciata nel 1978 come mensile, Life sopravvive fino al 2000, quando viene chiusa per la seconda volta. Ecco alcune cifre riguardanti le sue performance in questi ventidue anni: 1.364.800 copie a numero vendute mediamente nel 1980; nel 1994, 1.614.700; nel 1998, 1.558.800 (dati Audit Bureau of Circulations). Risorge nel 2004 come supplemento di quotidiano, ma dopo il venti aprile Life si trova solo sul web, non più come giornale ma come collezione di oltre dieci milioni di immagini. Tutte queste fotografie, che coprono gli eventi e i temi più importanti del Ventesimo secolo, potranno essere scaricate for free a patto che non se ne faccia uso commerciale. Più del 97 per cento di questa immensa collezione, non è mai stata pubblicata. Oltre alla sua presenza sul web, Life continuerà l’attività di pubblicazione di libri: il secondo Life Picture Puzzle Book è apparso nelle edicole lo scorso due aprile e altri due titoli sono previsti nel corso del corrente 2007. Occorre infine ricordare che il 1936 non rappresenta per Life una vera e propria nascita, ma una metamorfosi. Infatti, Henry Luce, fondatore nel 1923 di Time e nel 1930 di Fortune, acquistò la testata da Clair Maxwell, che ne era stato l’editore dal 1921 al 1936. La rivista, più di humor che di informazione, fu fondata nel 1883 da John Ames Mitchell, bizzarra figura di intellettuale, laureato in architettura a Harvard. Henry Luce la cambiò completamente, trasformando Life in un giornale dove «le immagini avrebbero avuto la stessa importanza delle parole».
re potrebbero formare un elenco lunghissimo e riempire l’intero numero della rivista. Forse, mi fermerò qui. Ma, riflettete... Nessuno ha
Alla fine della Seconda guerra mondiale, Life ha pubblicato un fascicolo in omaggio ai propri fotoreporter, inviati sui fronti dei combattimenti: Carl Mydans, Robert Capa, George Strock, George Silk, W. Eugene Smith, Bernard Hoffman, J.R. Eyerman,
bisogno di rivedere le immagini citate in queste domande, perché nessuno le ha dimenticate. Queste fotografie rappresentano le pietre mi-
David Scherman, Margaret Bourke-White, William Shrout, Myron Davis, Peter Stackpole, Eliot Elisofon, John Phillips, William Vandivert, John Florea, Ralph Morse, Frank Scherschel, George Rodger, Robert Landry e Dmitri Kessel.
ABBECEDARI(O) DEL FOTOREPORTAGE
P
ubblicata da Contrasto nel 2004, Life - I grandi fotografi è una raccolta fotografica in forma enciclopedica: in ordine alfabetico vengono presentati i fotografi che hanno lavorato per la celeberrima testata (608 pagine 20,3x25,4cm, cartonato; 600 illustrazioni bianconero e colore; 55,00 euro). Come risaputo, sostenuti da un’edizione di grande influenza giornalistica internazionale, nei decenni i servizi di Life hanno tracciato le linee portanti del fotoreportage, e dunque questa raccolta è uno dei titoli fondamentali del nostro tempo, perché mette in ordine un fenomeno fotografico tra i più significativi del processo evolutivo del linguaggio fotografico. In questo senso, ci sono altri richiami. Life - I grandi fotografi sta in buona compagnia del tedesco Kiosk, fantastica storia del fotogiornalismo dal punto di vista meno americano (ovvero tedesco, appunto), e di Fotografía Pública, casellario spagnolo dell’editoria fotografica dal 1919 al 1939. Un per l’altro, e i tre insieme, racconti che aiutano a far chiarezza nel delicato percorso di conoscenza individuale della storia della fotografia moderna.
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Nella propria lunga e tormentata storia, caratterizzata da tre chiusure, la più recente delle quali è dello scorso ventisette marzo, Life ha anche pubblicato una lunga serie di monografie, nelle quali ha riunito per tematiche le fotografie scattate dai propri inviati. Inoltre, si segnalano edizioni speciali da edicola, come questa dell’autunno 1990, dedicata ai Classic Moments, il cui richiamo di copertina ripropose il celebre bacio in Times Square, a New York, tra il marinaio e la crocerossina, fotografato da Alfred Eisenstaedt il 27 agosto 1945, giorno della fine della Seconda guerra mondiale (V-J Day).
liari della storia del fotogiornalismo. Ancora una domanda, però. Vi ricordate ora Roy, il replicante di Blade Runner? Quasi parlando a se stesso, con gli occhi perduti in un futuro che non ci sarebbe stato, mormorava «Ho visto cose che voi
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umani non potreste immaginare: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione e ho visto i raggi beta balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel
tempo come lacrime nella pioggia». La tentazione della metafora, quand’anche prosaica, non spinge forse a paragonare ciò che abbiamo visto sulle pagine di Life a cose che gli umani nei giornali di oggi neppure possono immaginare? A paragonare lo sbalordimento davanti alle fiamme delle astronavi nella costellazione di Orione allo stupore davanti alle fotografie di Robert Capa del D-Day? A paragonare gli accecanti raggi beta, nelle vicinanze di un’improbabile stella, alle fotografie di Larry Burrows della guerra in Vietnam, sulle quali è difficile mantenere lo sguardo? E ora, questo giornalismo superlativo, questa fotografia mitica, scomparirà come lacrime nella pioggia? Non ci sarà più niente di simile nel nostro futuro? Lello Piazza Ricerca iconografica di Ciro Rebuzzini
29 dicembre 1972: ultimo numero di Life settimanale, in edizione doppia con le fotografie dell’anno. Fino al 1978 furono pubblicati soltanto fascicoli speciali, e poi la testata riprese con cadenza mensile, fino al 2000. La sua terza versione, in allegato a quotidiani statunitensi, è stata pubblicata dal 2004 allo scorso marzo. (a sinistra) 1948: la messa in pagina del celebre servizio di W. Eugene Smith sul medico di campagna (Ernest Ceriani, di Kremmling, Colorado). All’alba degli anni Sessanta, fotografia di gruppo dei fotoreporter dello staff di Life.
Nella propria lunga e tormentata storia, caratterizzata da tre chiusure, la più recente delle quali è dello scorso ventisette marzo, Life ha anche pubblicato una lunga serie di monografie, nelle quali ha riunito per tematiche le fotografie scattate dai propri inviati. Inoltre, si segnalano edizioni speciali da edicola, come questa dell’autunno 1990, dedicata ai Classic Moments, il cui richiamo di copertina ripropose il celebre bacio in Times Square, a New York, tra il marinaio e la crocerossina, fotografato da Alfred Eisenstaedt il 27 agosto 1945, giorno della fine della Seconda guerra mondiale (V-J Day).
liari della storia del fotogiornalismo. Ancora una domanda, però. Vi ricordate ora Roy, il replicante di Blade Runner? Quasi parlando a se stesso, con gli occhi perduti in un futuro che non ci sarebbe stato, mormorava «Ho visto cose che voi
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umani non potreste immaginare: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione e ho visto i raggi beta balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel
tempo come lacrime nella pioggia». La tentazione della metafora, quand’anche prosaica, non spinge forse a paragonare ciò che abbiamo visto sulle pagine di Life a cose che gli umani nei giornali di oggi neppure possono immaginare? A paragonare lo sbalordimento davanti alle fiamme delle astronavi nella costellazione di Orione allo stupore davanti alle fotografie di Robert Capa del D-Day? A paragonare gli accecanti raggi beta, nelle vicinanze di un’improbabile stella, alle fotografie di Larry Burrows della guerra in Vietnam, sulle quali è difficile mantenere lo sguardo? E ora, questo giornalismo superlativo, questa fotografia mitica, scomparirà come lacrime nella pioggia? Non ci sarà più niente di simile nel nostro futuro? Lello Piazza Ricerca iconografica di Ciro Rebuzzini
29 dicembre 1972: ultimo numero di Life settimanale, in edizione doppia con le fotografie dell’anno. Fino al 1978 furono pubblicati soltanto fascicoli speciali, e poi la testata riprese con cadenza mensile, fino al 2000. La sua terza versione, in allegato a quotidiani statunitensi, è stata pubblicata dal 2004 allo scorso marzo. (a sinistra) 1948: la messa in pagina del celebre servizio di W. Eugene Smith sul medico di campagna (Ernest Ceriani, di Kremmling, Colorado). All’alba degli anni Sessanta, fotografia di gruppo dei fotoreporter dello staff di Life.
BAMBOLA DI CARTA
A
Autentica testimone del Novecento, con l’onore della copertina del numero uno di Life (su questo stesso numero, nella precedente pagina 13), Margaret Bourke-White è stata una fotoreporter di spicco di una luminosa stagione del fotogiornalismo internazionale. E su questo siamo tutti d’accordo: tanto che ogni ulteriore osservazione al proposito sarebbe soltanto ridondante ripetizione. Agganciandoci idealmente alla rievocazione dell’epopea di Life, appunto riportata nelle pagine immediatamente precedenti, ci soffermiamo su Margaret Bourke-White per allungare la nostra serie di brillanti considerazioni parallele sulla fotografia. Ancora una volta, con taglio giornalistico originale, segnaliamo una vicenda di avvincente curiosità: una sua sagoma ripresa da Notable American Women, albo della collana delle Paper Dolls dell’editore statunitense Dover. È esplicito: bambole di carta da ritagliare, proposte in duplice abbigliamento. La bambola di carta di Margaret Bourke-White, che riproduciamo in questa pagina, scandisce due tempi significativi della sua personalità, che pertanto deve essere nota anche al grande pubblico statunitense. Da una parte abbiamo una distinta signora al passeggio, con macchina fotografica tra le mani; dall’altra, una professionista bardata per una missione fotografica a bordo di un aereo militare (fatto reale, ripreso da un suo ritratto fotografico). In entrambi i casi, sottolineiamo proprio l’eleganza dei due abbigliamenti. Del resto, sappiamo bene come Margaret Bourke-White fosse una donna ricercata, tanto da essere considerata tra le dieci donne americane più eleganti della propria epoca (ed è per questo che sta sulle pagine del fascicolo sul quale l’abbiamo individuata). Nella Biografia compilata da Vicki Goldberg, pubblicata in Italia da Serra e Riva Editori (1988), leggiamo che la fotografa «era perfettamente consapevole di dover vendere anche se stessa
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Margaret Bourke-White è una delle Notable American Women, da ritagliare dall’omonimo albo.
insieme alle sue fotografie». Pertanto, «si preoccupava del suo aspetto esteriore come il curatore di una mostra itinerante. Gli abiti divennero un passaporto e un sostegno al contempo». Tanto che «Margaret si
fece un abito viola e un panno in velluto dello stesso colore per la macchina fotografica, di modo che quando cacciava la testa sotto il panno per scattare, la scenografia rispettava i canoni dell’abbinamento cromatico. Soddisfatta di tanta eleganza, preparò altri due panni: uno azzurro da cooordinare con guanti e cappello e uno nero per gli accessori rossi». Così è. A.G.
BAMBOLA DI CARTA
A
Autentica testimone del Novecento, con l’onore della copertina del numero uno di Life (su questo stesso numero, nella precedente pagina 13), Margaret Bourke-White è stata una fotoreporter di spicco di una luminosa stagione del fotogiornalismo internazionale. E su questo siamo tutti d’accordo: tanto che ogni ulteriore osservazione al proposito sarebbe soltanto ridondante ripetizione. Agganciandoci idealmente alla rievocazione dell’epopea di Life, appunto riportata nelle pagine immediatamente precedenti, ci soffermiamo su Margaret Bourke-White per allungare la nostra serie di brillanti considerazioni parallele sulla fotografia. Ancora una volta, con taglio giornalistico originale, segnaliamo una vicenda di avvincente curiosità: una sua sagoma ripresa da Notable American Women, albo della collana delle Paper Dolls dell’editore statunitense Dover. È esplicito: bambole di carta da ritagliare, proposte in duplice abbigliamento. La bambola di carta di Margaret Bourke-White, che riproduciamo in questa pagina, scandisce due tempi significativi della sua personalità, che pertanto deve essere nota anche al grande pubblico statunitense. Da una parte abbiamo una distinta signora al passeggio, con macchina fotografica tra le mani; dall’altra, una professionista bardata per una missione fotografica a bordo di un aereo militare (fatto reale, ripreso da un suo ritratto fotografico). In entrambi i casi, sottolineiamo proprio l’eleganza dei due abbigliamenti. Del resto, sappiamo bene come Margaret Bourke-White fosse una donna ricercata, tanto da essere considerata tra le dieci donne americane più eleganti della propria epoca (ed è per questo che sta sulle pagine del fascicolo sul quale l’abbiamo individuata). Nella Biografia compilata da Vicki Goldberg, pubblicata in Italia da Serra e Riva Editori (1988), leggiamo che la fotografa «era perfettamente consapevole di dover vendere anche se stessa
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Margaret Bourke-White è una delle Notable American Women, da ritagliare dall’omonimo albo.
insieme alle sue fotografie». Pertanto, «si preoccupava del suo aspetto esteriore come il curatore di una mostra itinerante. Gli abiti divennero un passaporto e un sostegno al contempo». Tanto che «Margaret si
fece un abito viola e un panno in velluto dello stesso colore per la macchina fotografica, di modo che quando cacciava la testa sotto il panno per scattare, la scenografia rispettava i canoni dell’abbinamento cromatico. Soddisfatta di tanta eleganza, preparò altri due panni: uno azzurro da cooordinare con guanti e cappello e uno nero per gli accessori rossi». Così è. A.G.
FOTOGRAFIA GIOVANE
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Come precisa la sua stessa denominazione, il prestigioso Epson Art Photo Award è un concorso internazionale rivolto e indirizzato agli allievi di scuole fotografiche d’arte. Approdata alla propria terza edizione, la selezione si è già imposta come uno dei più rinomati appuntamenti della fotografia giovane, che richiama classi e gruppi di lavoro dei corsi di fotografia tenuti presso università, accademie e altri istituti di formazione di tutto il mondo. Per la prossima sessione, la data di scadenza per l’invio degli elaborati è stata fissata alla fine del gennaio 2008, per consentire la partecipazione agli allievi dei corsi semestrali degli anni accademici 2006-2007 e, anche, 2007-2008. Oltre a premi in denaro, per un valore complessivo di trentasettemila e cinquecento euro, l’Epson Art Photo Award 2007-2008 offre ai vincitori la possibilità di prendere parte a una consistente mostra allestita nell’ambito dell’autorevole Art Cologne 2008 (dal sedici al venti aprile), sede idonea e ideale per richiamare la giusta attenzione sui giovani artisti. L’Epson Art Photo Award non prevede limitazioni tematiche: vengono prescelti gli elaborati migliori, più innovativi e pionieristici, attinenti all’utilizzo artistico del mezzo fotografico. L’Epson Art Photo Award premia la classe o il gruppo migliore come rendimento complessivo, il miglior artista singolo tra tutti i gruppi e altri venticinque autori tra tutti gli elaborati di gruppo presentati: la classe/gruppo migliore riceve quindicimila euro, il miglior artista tra tutti i gruppi diecimila euro e gli altri venticinque artisti premiati hanno un riconoscimento monetario di cinquecento euro a testa. Inoltre, le fotografie vincitrici sono pubblicate in Internet e sul catalogo dell’Epson Art Photo Award. Per ulteriori informazioni, bando di concorso e documenti di partecipazione: www.art-photo-award.com (www.epson.it).
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(pagina accanto) Space Crossing 01; di Patrick Presch, Università di Duisburg-Essen, classe vincitrice e migliore lavoro Epson Art Photo Award 2006. Brasile; di Bernd Kleinheisterkamp, Università di Duisburg-Essen, classe vincitrice e migliore lavoro Epson Art Photo Award 2006.
Woman; di Anne Lass, Università di Duisburg-Essen, classe vincitrice Epson Art Photo Award 2006.
MOSTRA ITALIANA
All’Epson Art Photo Award 2006 hanno partecipato oltre cento classi di fotografia, provenienti da diciannove paesi. Vincitrice è risultata la classe del professor Jörg Sasse, della facoltà Kunst und Design (Arte e Design), indirizzo Kommuniktaionsdesign (Design e comuni-
cazione) dell’Università di DuisburgEssen. Della giuria ha fatto parte anche il celebre artista fotografo Andreas Gursky. Un’ampia selezione di fotografie vincitrici e segnalate è allestita in una mostra italiana, esposta dall’inizio di giugno alla Galleria Grazia Neri di Milano, indirizzo attento e
aperto sia alle espressioni consolidate della fotografia internazionale sia alle espressioni contemporanee, con particolari proponimenti verso la fotografia giovane. Il qualificato appuntamento espositivo italiano sottolinea lo spessore e il valore di un premio indirizzato alle migliori classi di fotografia (di università, accademie e altri istituti), che ha il merito di riconoscere e segnalare fotografi di nuova generazione e giovani talenti. Allo stesso momento, la mostra ha modo di stimolare una generosa partecipazione dall’Italia; per questo, ovvero a beneficio degli studenti delle scuole di fotografia, la selezione delle opere vincitrici e segnalate all’Epson Art Photo Award 2006 allunga le proprie date fino al sette settembre (con una legittima pausa in agosto).
TESTIMONIANZA E NOTA Grazia Neri, titolare dell’omonima agenzia fotografica e responsabile della Galleria collegata (la prima ha appena superato i quarant’anni di attività, l’altra vanta dieci anni di mostre), ha commentato l’allestimento di questa particolare esposizione di fotografia contemporanea, o, meglio, di fotografia giovane. Testuale. «Mi sono interessata a questo premio fotografico per il suo carattere di internazionalità, ma soprattutto per la particolarità di indirizzarsi alle classi di fotografia di accademie, istituti e università, premiandone le migliori. «Grazie a frequenti docenze presso seminari, workshop e università, e avendo seguito le carriere di molti fotografi emergenti, nel corso degli anni ho potuto riscontrare quanto gli studenti provenienti da serie scuole di fotografia possano contare su risultati convincenti, potendo così aspirare sia alla ricerca sia al reportage con basi solide e sicure. «Nell’anno in cui ricorrono i quarant’anni dell’agenzia e i dieci anni della mia galleria, ho voluto sottolineare l’importanza di un premio così cospicuo e intelligente. La mostra che presentiamo al pubblico è una interessante rassegna di giovani autori e nuovi talenti che saranno i fotografi di domani». E qui, una conclusione è d’obbligo. Per quanto siamo convinti che la creatività individuale non si possa in-
segnare, ma vada sostanzialmente coltivata ed educata, siamo altresì convinti che il percorso didattico possa risultare anche discriminante. In Italia, per lo più, esaltiamo valori personali; in altre situazioni geografiche si dà consistente peso al percorso scolastico. A questo proposito, leggendo le biografie di affermati autori internazionali, incontriamo spesso formazioni di base presso prestigiose scuole d’arte. Qualcosa
Senza titolo; di Sonia Jimenez Alvarez, Università di Duisburg-Essen, classe vincitrice e migliore lavoro Epson Art Photo Award 2006.
vorrà pur dire: ovviamente, la linea discriminatoria non riguarda tanto la scuola in generale, quanto l’autorevolezza del proprio insegnamento. E qui sta la differenza. M.R. Epson Art Photo Award 2006. Galleria Grazia Neri, via Maroncelli 14, 20154 Milano; www.grazianeri.com. Dal 2 giugno al 7 settembre (chiusura dal 21 luglio al 20 agosto); lunedì-venerdì 9,00-13,00 - 14,30-18,00, sabato 10,00-12,30 - 15,00-17,00.
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MOSTRI SPENSIERATI? Lo scorso dieci febbraio, su La Repubblica, Gabriele Romagnoli ha così commentato la World Press Photo of the Year 2006, fotografia dello statunitense Spencer Platt di Getty Images (Giovani libanesi attraversano in auto un quartiere a sud di Beirut devastato dai bombardamenti, il primo giorno di cessate-il-fuoco tra Israele e l’ala politica di Hezbollah, 15 agosto; FOTOgraphia, aprile 2007). L’articolo è stato intitolato L’occhio cinico del mondo che racconta la vera Beirut: «C’è tutto il mondo nella fotografia giustamente premiata dal World Press Photo 2007 [sul 2006]. Guardatela bene. Siamo a Beirut, in Libano. Il giorno è Ferragosto. Le bombe israeliane stanno devastando la città, distruggendo i quartieri sciiti. Approfittando della vacanza, cinque giovani vanno a farsi una gita. Eccoli lì, su una fiammante cabriolet rossa, talmente lucida che fa da specchio alle macerie, sopravvissuta alla polvere, incolume nel suo garage-bunker. Rispettando la media locale, a bordo ci sono un uomo e quattro donne (è l’effetto delle guerre ricorrenti). Le ragazze hanno effettuato qualche intervento di chirurgia plastica qua e là, indossano canottiere e t-shirt sbracciate. Sugli occhi hanno grandi lenti scure. L’unica a volto scoperto ha l’aria infastidita perché il cellulare le dà problemi, non è dato sapere quali: probabilmente non riesce a mandare via mms le immagini della scampagnata alla cugina Claudine, espatriata a Parigi». Eccetera, eccetera. A firma Omero Ciai, un mese e mezzo dopo, mercoledì quattro aprile, lo stesso quotidiano ha cambiato registro. Ha titolato Non eravamo turisti ma vittime delle bombe (occhiello Libano, svelata la vera
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Presentata dall’autore Spencer Platt (Usa, Getty Images) come Giovani libanesi attraversano in auto un quartiere a sud di Beirut devastato dai bombardamenti, il primo giorno di cessate-il-fuoco tra Israele e l’ala politica di Hezbollah, questa fotografia è stata premiata con il qualificato World Press Photo of The Year 2006. La realtà è risultata diversa: non “turismo di guerra”, ma apprensione per le sorti delle proprie abitazioni.
Chiedendo scusa ai propri lettori, il quotidiano statunitense The Blade, di Toledo (Ohio), ha accostato la fotografia manipolata, pubblicata nei giorni precedenti, e quella originaria. Per questo intervento non dichiarato (e magari per altri) il fotografo Allan Detrich è stato licenziato dal giornale.
storia della foto[grafia] del World Press): «Che le immagini possano illudere, come la parola scritta, è cosa nota fin dall’inizio della storia della fotografia. Ma il caso dello scatto che ha vinto l’ultimo World Press Photo ci racconta piuttosto di come i nostri pregiudizi possano modificare la lettura della realtà. «Quando abbiamo visto la bellissima foto[grafia] del reporter americano Spencer Platt, scattata in un quartiere di Beirut distrutto dai bombardamenti dell’aviazione israeliana, è probabile che in molti -compresi i giurati del Premio- abbiamo pensato ai cinque personaggi nell’auto come “turisti di guerra” (cosa peraltro suggerita anche dal titolo dello scatto: ricchi libanesi lontani dalla martoriata periferia sud della città), in tour per osservare come un gruppo di voyeur l’impatto delle distruzioni. Niente di più lontano dalla verità, spiega ora la rivista libanese Agenda Culturel, che ha condotto una piccola indagine cercando i protagonisti ritratti nell’immagine premiata. «”Li abbiamo cercati -dice il direttore della rivista in un articolo ripreso ieri dal Financial Times- perché quella foto[grafia] dava una cattiva immagine del nostro paese”. E, in effetti, la realtà svelata dalla rivista è abbastanza diversa. Tre dei cinque personaggi sull’auto sono un fratello (il conducente) e due sorelle (la donna sul sedile anteriore e quella con il cellulare), che vivono in quella zona come anche una quarta persona. Non stavano quindi facendo “turismo di guerra”, ma osservando le conseguenze delle bombe per portare aiuti e informare i parenti. Come fa la donna con il telefonino, che non sta scattando foto-ricordo ma chiamando». Commentare con severità questo inconveniente, che mette sotto accusa innanzitutto il fotografo, non fosse altro che per la didascalia con cui ha accompagnato la fotografia, è come sparare sulla Croce Rossa: lo vietano le convenzioni umanitarie internazionali. Stigmatizzare il commento del presidente della giuria del WPP 2007, Michele McNally, photo editor al New York Times, «Questa fotografia porta a scoprire la realtà che si nasconde sotto l’aspetto ov-
vio delle cose», potrebbe solo apparire gratuito sarcasmo. Ma certo, esimerci addirittura dal sottolineare che uno dei terribili vizi dei media è quello di creare spensieratamente mostri (spensieratamente mostri!) da buttare in pasto al pubblico, come dimostrano tante vicende di cronaca anche recenti, sarebbe un po’ troppo.
CORREZIONE PUNITA. Da Usatoday del sedici aprile. Allan Detrich, dal 1989 fotografo dello staff di The Blade, quotidiano di Toledo (Ohio), che ha manipolato al computer la fotografia di una squadra di baseball pubblicata in prima pagina del giornale e altre cinquantasette immagini pubblicate quest’anno sul giornale o sul suo sito web, è stato licenziato. Allan Detrich, che fu finalista del Premio Pulitzer nel 1998, ha eliminato persone, rami di piante, pali della luce. Le fotografie alterate sono settantanove, su un totale di novecentoquarantasette che ha presentato al giornale a partire dal Primo gennaio di quest’anno. Dopo questa scoperta, il fotografo è stato invitato a dimettersi; dal sette aprile non fa più parte dello staff del quotidiano. In seguito, The Blade ha pubblicato, accostandoli, la fotografia manipolata e lo scatto originale (qui sotto): una differenza davvero minima, ma che la dice lunga sul rigore di molti mezzi di informazione negli Stati Uniti. Allan Detrich si è difeso affermando di aver modificato la fotografia per il suo archivio e di aver mandato per errore al giornale l’inquadratura modificata invece dell’originale. Ma le altre settantotto?
PULITZER 2007. Con una fotografia che si può vedere sul sito AP (www.ap.org/pages/ about/pressreleases/odedbaliltyphoto.html), l’israeliano Oded Balilty, dell’Associated Press, ha vinto il Pulitzer 2007 per le News (a destra). Con la stessa immagine, Oded Balilty si è già affermato nella categoria People in the News Singles del World Press Photo 2007 (FOTOgraphia, aprile 2007). Alla stessa selezione, che osserva particolarmente il giornalismo e fotogiornalismo statunitense, Re-
Pulitzer 2007 News: fotografia di Oded Balilty (The Associated Press). Una giovane donna israeliana si oppone alle truppe del proprio paese durante lo sgombero degli insediamenti illegali di Amona, a est della città palestinese di Ramallah, in Cisgiordania (Primo febbraio 2006).
Pulitzer 2007 Features: fotografie di Renée C. Byer (The Sacramento Bee) dal reportage A Mother’s Journey.
née C. Byer, del quotidiano The Sacramento Bee, si è affermato nell’ambito della fotografia Features (reportage). Le immagini premiate al Pulitzer sono tratte dalla serie A Mother’s Journey (Il viaggio di una madre), che racconta la storia di Cyndie French, il cui figlio Derek
Madsen si è ammalato di cancro (a sinistra). Molte fotografie dell’intero servizio, alcune delle quali strappano lacrime, sono visibili al sito http://dwb.sacbee.com/content/news /projects /mothers_journey/ (attenzione: bisogna prima registrarsi). A cura di Lello Piazza
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Personaggio della fotografia francese, Jean-Christophe Béchet ha una personalità in qualche modo e misura allineata con quella che governa e guida le nostre stesse pagine. Senza soluzione di continuità, si muove a proprio agio dalle considerazioni originariamente tecniche agli approfondimenti culturali ed estetici. Tanto che osserva la fotografia senza condizionamenti di sorta e senza stabilire inutili scale gerarchiche. Recentemente, ha pronunciato una posizione decisa e motivata su uno dei delicati rapporti che collegano tecnica a creatività, forma a contenuto, apparenza a sostanza. Esposte in mostra a Parigi lo scorso inverno e raccolte in monografia (tripla), le sue Vues n° 0 compongono i tratti visivi di un dichiarato manifesto per la fotografia argentica (analogica) 24
PC-1422. GIUGNO 2001: STAZIONE CENTRALE DI TOKYO (GIAPPONE)
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rima di affrontare lo specifico dell’argomento nel quale stiamo per incamminarci, sono necessarie due precisazioni. Tra forma e contenuto del nostro commento, chiariamo anzitutto che l’idea fotografica del francese Jean-Christophe Béchet, annotata in queste pagine, ha già incrociato una sorta di trasversalità che appartiene a tutta la riflessione fotografica, in proprio equilibrio tra ricerca pura e osservazione mirata. Tanto che, annotiamolo, ci sono stati tempi nei quali anche noi, perfino noi, abbiamo raccolto le diapositive trentacinque millimetri intelaiate, scartate e gettate nei cestini delle reception dei laboratori di sviluppo. Allo stesso modo di quanto fatto da Jean-Christophe Béchet, magistrale ed emozionante nella propria azione creativa, quei primi prefotogrammi di caricamento della macchina fotografica composero una galleria di pavimenti, marciapiedi, cieli, scarpe e altro: verso dove era stato puntato l’obiettivo di tanti fotografi nei primi scatti a vuoto. A differenza di questa trasversalità, soltanto statistica e giocosamente aneddotica, l’attuale gesto di Jean-Christophe Béchet è qualcosa d’altro, addirittura di più. È mirabile e definitivo: il suo valore e spessore è di profilo indiscutibilmente e inviolabilmente eleva-
Vues n° 0, di Jean-Christophe Béchet; 600 copie numerate; 120 pagine 18,5x22,5cm, cartonato; su tre carte tipografiche; 29,00 euro (Trans Photographic Press, 142 rue du Faubourg Saint-Denis, 75010 Parigi, Francia; 0033-1-46070615; www.transphotographic.com).
FOTOGRAMMA ZERO (E MENO) to. Facendo linguaggio della casualità, per dichiarazione esplicita, l’autore francese ha composto un autentico manifesto per la fotografia argentica (analogica) convinto, motivato, maturo, appassionato e commovente. Bravo! Seconda annotazione preventiva: personalmente siamo estranei a qualsiasi contesa e polemica che contrapponga la fotografia su pellicola (appunto argentica, oppure analogica) all’acquisizione digitale di immagini. Come abbiamo avuto modo di annotare in tante occasioni, a questa precedenti, e come pensiamo di dover fare ancora in altrettante future occasioni, a questa successive, il problema non sta tanto nella
presunta e pretestuosa antitesi, quanto nella concreta messa a frutto di ogni tecnologia. Quello che conta è sempre e comunque lo scopo finale: l’immagine. In generale, non c’entra tanto il come (che pure vanta proprie influenze e condizionamenti: altro discorso), quanto il perché. E su questa lunghezza d’onda allineiamo il nostro pensiero con l’intelligenza della presa di posizione di Jean-Christophe Béchet.
VUES N°0 Oltre l’allestimento in mostra, con ingrandimenti fotografici di generose dimensioni, la riflessione creativa di Jean-Christo-
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VUES N° 0 (MANIFESTO PER LA FOTOGRAFIA ARGENTICA)
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ettembre 2005. Mi reco a Rochester, Stati Uniti, sede storica della Eastman Ko- al primo fotogramma utile, la fatidica posa numero “1”. A volte le vues n° 0 si dak Company. Ci sono stati periodi nei quali la celebre produzione di pellicole collegano con lo scatto immediatamente seguente, quello “buono”, creando un ditha impiegato fino a settantamila addetti. Oggi, tra i quattordicimila impiegati, mol- tico sconveniente, che prende autentico senso per le sue prossimità temporali. Anti non credono alla sopravvivenza della pellicola argentica [analogica, fotosensibi- cora, c’è anche la “materia” della pellicola fotosensibile bruciata a metà, delle sue le]. Ormai, Kodak è una “Digital Company”, nella quale le pellicole bianconero perforazioni, delle diciture sui bordi, dell’identificazione del produttore e dell’emulsione. Alfabetici, cifre, codici a barre e qualcosa d’altro. non sono che una piccola linea, dimenticata tra le pieghe del bilancio contabile. Allora, paragono queste vues n° 0 alle immagini digitali. Rapidamente mi renOttobre 2005. Canon Expo: viene annunciata una nuova funzione sugli apparecchi fotografici, che dovrebbe permettere di individuare il sorriso del sog- do conto che nella progressione temporale dei miei provini a contatto questi fogetto; lo scatto è bloccato (interdetto) se e quando una delle persone inquadra- togrammi velati si fanno sempre più rari. In effetti, solo gli apparecchi fotografici 24x36mm [certi apparecchi 24x36mm] conservano un caricamento manuale te non sorride. Novembre 2005. Dal periodico della catena Fnac, Epok, datato venticinque della pellicola, senza alcuna predisposizione o indicazione inequivocabile per la del mese: «Fotografia: l’argentico è morto, evviva il digitale!». In estratto dal corretta collocazione dei fotogrammi, come avviene, per esempio, con la pellicotesto: «Gli apparecchi sono sempre più leggeri: propongono design affascinanti la a rullo medio formato 120/220. In origine c’è stata la leva di avanzamento e alte prestazioni, sono configurati per acquisire immagini in alta definizione e manuale. A seguire, con l’arrivo degli apparecchi autofocus, bardato di tanta eletrisoluzione e dispongono di una miriade di nuovi dispositivi destinati a miglio- tronica, i costruttori hanno eliminato le incertezze di caricamento della pellicola rare la qualità dei file. A questo punto ci si può domandare se in un futuro pros- 35mm. Ormai tutte le reflex e compatte di ultima generazione sono obbligatoriamente motorizzate: tra l’altro, i motori incorporati gestiscono automaticamensimo sarà ancora possibile scegliere i punti di vista». Dicembre 2005. Agfa Photo chiude i battenti. Non più di rullini fotografici, né te la pellicola caricata, per far collocare il primo fotogramma sulla posa realmente “1”, senza dare modo alla porzione precedente di pellicola di essere intaccata carta sensibile Agfa. Inizio 2006. Canon, Nikon e Pentax annunciano la sospensione delle loro dalla luce. Così, è scomparso il fotogramma Zero (e Zero-A), controproducente, non controllabile, aleatorio, incomprensibile dall’uproduzioni di apparecchi fotografici argentici; intilizzatore (non professionale), che richiede appatanto anche Konica-Minolta chiude l’attività forecchi a prova di errore, che svolgano i propri comtografica (pellicole, apparecchi, obiettivi) [La dipiti infrastrutturali meglio di come lui farebbe da visione fotografica di Konica-Minolta, pellicole sé. Lo scopo è chiaro: opporre una vantata “infalescluse, è acquisita da Sony]. In base a una legislazione statunitense, a tutela dei consumatoChrister Strömholm libilità” tecnologica alla “debolezza” umana. L’autofocus è più rapido della regolazione manuale delri, sulle confezioni dei filmpack bianconero Polaroid, la rinomata gamma 665 con negativo recuperabile [erede dell’origi- la messa a fuoco, la motorizzazione è arrivata a far avanzare la pellicola fino a naria emulsione 105], usata soprattutto in ambito professionale, appare la otto fotogrammi al secondo (!), mentre la leva di avanzamento manuale richiede, scandalo!, qualche istante di tregua. Ci si vanta di non fallire più il bersaglio, dizione «Prodotto discontinuo». In questo periodo, finisco di riordinare il mio duemillesimo negativo bianco- colpito da una sequenza rapida di dieci scatti in successione immediata: uno buonero e il relativo duemillesimo provino a contatto delle trentasei pose 24x36mm. no è statisticamente inevitabile (?). Mi accorgo allora che la fotografia digitale non è che una tappa supplementaIn tutto, venti classificatori, ciascuno da cento fogli di provini. Il mio primo scatto bianconero è del 1980. Lungo questi duemila provini a contatto scorre un quar- re della presa di potere dell’elettronica e del proprio totalitarismo, che preserva to di secolo, che posso sfogliare come un autentico diario intimo, nel e sul qua- dall’azzardo, dalla poesia, da ciò che è incontrollato, dal caso fortuito, dall’azione manuale, dall’indecisione, dall’esitazione, dalla lentezza, dall’incongruenza. Oltre le il mio sguardo percorre l’essenza della mia vita adulta. Allo stesso momento, in modo incontrollabile, ineluttabile e rapido, la fotografia al proprio ruolo commerciale attrattivo (che induce il cliente potenziale a cambiasi orienta verso l’acquisizione digitale di immagini. Cioè, il pixel rischia di relegare re spesso i propri strumenti, alla ricerca sistematica di nuove soddisfazioni), l’aptra le quinte della storia la pellicola all’alogenuro d’argento, che mi ha accompagna- porto tecnologico incessante comporta un evidente messaggio ideologico: l’utilizto durante gli ultimi venticinque anni. Questo mi infastidisce. Veramente. Fortemen- zatore può andare verso sicurezze e certezze preconfezionate, sfuggendo la propria innocenza, ma, soprattutto, non rischiando alcuna azione “non riuscita”. Così te. In misura quasi viscerale. Carnale. Da dove nasce questo sentimento di perdita? Più mi attardo sui miei “antichi” provini a contatto, più sento confermato il mio come viene interpretata e proposta, questa modernità è decisamente incompatiattaccamento alla pellicola e più rilevo inviolabili differenze tra la fotografia ar- bile con le nozioni poetiche e romantiche di azzardo e casualità. È anche contro la gentica [analogica] e quella digitale. La mia mente viaggia lungo la strada indi- creatività? Viaggia verso una omologazione e globalizzazione del “bello”? Con tutto ciò, più che mai ho sentito il dovere e ho obbedito all’impulso di raccata dai tanti provini a contatto e mi affascina ripescare e rivalutare fotogrammi dimenticati. Allora, mi rendo conto che l’insieme dei miei avvii di pellicola, sui qua- cogliere queste vues n° 0 : questi prefotogrammi mal riusciti, involontari, da butli sono state casualmente registrate immagini parziali e fortuite, creano un certo tare, che oggi fanno parte della mia personale galleria delle fotografie preferite. turbamento, una suggestiva poesia: sono una materia diversa dalla fotografia ve- Sì, ci si vanta di fotografie riuscite, tanto sul piano formale che per il valore della ra e propria, stanno in un territorio intermedio tra la volontà e il sogno. Certo, non loro rappresentazione. Però la bellezza di questa materia argentica, velata, straptutti i non/fotogrammi identificati dalla numerazione “A0” e “0” di prepartenza pata, frastagliata, non ancora diventata “fotografia” -queste vues n° 0-, si misuhanno questo carisma; ma dopo una selezione, una cinquantina di vues n° 0 com- ra e legge sulle orme di un tempo passato, di un tempo nel quale l’apparecchio pongono una straordinaria galleria. Tutte queste immagini, non ancora “fotogra- fotografico non era che un utensile imperfetto al servizio dell’uomo, di un tempo fie”, che non avrebbero mai dovuto diventare “fotografie”, sono frutto del caso o nel quale la materia fotografica è esistita come corpo e anima. Ancora: di un temcombinazione di necessità. Tutte si alzano sopra la realtà, esprimendosi altresì con po nel quale tutto non era preordinato, ma individuale, accidentale, artigiano; ostonalità diverse da quelle proprie e caratteristiche del bianconero fotografico. Si sia informale. Un tempo che, forse, si sta iniziando a perdere. Nel 2006. Jean-Christophe Béchet incontra di tutto, forse di più: il caso fortuito totale, l’errore di caricamento della (settembre 2006) pellicola nella macchina fotografica, il fotogramma rivolto al cielo, i miei piedi: tutTraduzione di Loredana Patti to quanto mi ha circondato nel momento in cui ho fatto avanzare la pellicola fino
«Sono i pesci morti che seguono le correnti»
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PC-1751. GIUGNO 2003: SERVIZIO CON DUE MODELLE PER RÉPONSES PHOTO (PARIGI)
PC-0244. LUGLIO 1987: BURKINA-FASO
phe Béchet è riunita in un volume che ne riprende il richiamo. Vues n° 0 è esattamente ciò che il suo esplicito titolo dichiara: ragionata e intelligente raccolta di prefotogrammi numero zero, e anche meno. Ovvero, registrazioni casuali su quella porzione iniziale di pellicola 35mm sulla quale si fonda il caricamento nell’apparecchio fotografico. Pellicola che può essere stata completamente bruciata o parzialmente velata dalla luce oppure può aver subìto infiltrazioni di luce dal caricatore metallico o attraverso il feltrino di uscita e invio. Pellicola, eccoci, che se non “bruciata” registra le indicazioni numeriche “0A” e “0” sul proprio bordo perforato. L’edizione di Vues n° 0 di Jean-Christophe Béchet è editorialmente preziosa e impreziosita. Non si tratta di un unico libro, ma di tre volumi (quasi) identici, raccolti in cofanetto. Quasi identici, perché la stessa sequenza di immagini è messa in pagina a ingrandimenti e posizionamenti anche diversi, non sempre diversi sui tre libri, ognuno stampato su differenti carte tipografiche: opaca (Mat), lucida (Brillant) e usomano (Création). Quindi, con gesto estemporaneo d’artista, l’autore Jean-Christophe Béchet si riserva di evidenziare con matita grassa rossa alcune immagini, non sempre le stesse, sulle singole copie. Sovrascrittura rossa ben evidente sul bianconero delle immagini, rigorosamente impaginate su fondo immancabilmente nero. Questa è la forma. Il contenuto è introdotto e commentato dallo stesso fotografo, in un concentrato testo iniziale (in francese), dichiaratamente annunciato come Manifesto per la fotografia argentica, che proponiamo a parte, sulla pagina accanto. E l’indicazione francese Manifeste collega tra loro le coste dei tre volumi in trittico riuniti in cofanetto (a pagina 24). L’edizione libraria si completa, infine, con una serie di trentasei riflessioni sull’essenza dei prefotogrammi (trentasei più una, la Zero preiniziale): queste riflessioni sono tanto complementari alle immagini, all’intero progetto, da non poter andare disperse. Così, pur non condividendole in toto, ma apprezzandone lo spirito e senso, le spartiamo in lettura immediatamente dopo questa passerella, da pagina 30, a completamento ideale dell’attuale concentrata presentazione di Vues n° 0. Sulla monografia, sulle monografie in trittico, non manca, ancora e poi basta, una legenda dei singoli rulli di pellicola 35mm dai cui prefotogrammi sono state riprese le vues n° 0 che compongono l’opera di Jean-Christophe Béchet. In assoluto, uno dei più affascinanti libri di fotografia, sulla fotografia, dei tempi più recenti. Un’edizione libraria preziosa e nobile, da non perdere! (Si tenga conto che raramente ci esprimiamo per assoluti di altrettanto vigore).
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PC-1907. AGOSTO 2004: PARCHEGGIO (PARIGI)
PREFOTOGRAMMI Ma non è la forma che dà valore all’azione compiuta e commentata da Jean-Christophe Béchet (attenzione, anche i suoi testi sono in una certa misura discriminanti). Ciò che realmente conta è, come sempre, il contenuto: non quello superficiale dell’apparenza delle singole immagini, sulle quali non è richiesto soffermarsi, quanto quello profondo che si rileva e individua sottotraccia. Allo stesso tempo, queste immagini rivelano e nascondo-
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no: magia e incanto della fotografia, pardon Fotografia. Ciò che rivelano si palesa in almeno due momenti: subito risolviamo quello esplicito del soggetto, che è nulla oppure anticipa le inquadrature che poi verranno -alle quali può accordarsi o dalle quali può esserne estraneo-; e più avanti ci soffermiamo su quello implicito dell’azione del caricamento della pellicola 35mm nella macchina fotografica (che intuiamo essere più spesso un apparecchio a telemetro Leica M, che non una reflex di lussureggiante modernità d’intenti). Quindi, in consecuzione di ragionamento, sottolineiamo ciò che queste immagini nascondono: è paradossale, nascondono la fotografia. Al solito, con ordine. Nella propria diffusa casualità, che Jean-Christophe Béchet eleva a linguaggio creativo, i prefotogrammi rivelano il sapore e gusto di stagioni fotografiche che affondano le proprie radici indietro nei decenni. Dobbiamo pensare al caricamento manuale della pellicola 35mm in apparecchi fotografici 24x36mm privi di qualsivoglia aiuto a farlo. Quindi, l’azione è guidata e governata soltanto dalle ansie o, al contrario, dagli azzardi del fotografo. Caricando la pellicola, alcuni fotografi abbondavano negli scatti iniziali a vuoto, per posizionare un fotogramma “1” di tutta e tanta sicurezza. Altri, precaricavano al minimo, per sfruttare la lunghezza
PC-0422. GENNAIO 1990: EL OUED (ALGERIA)
PC-0418. GENNAIO 1990: AGADÈS (NIGERIA)
PC-1399. MARZO 2001: PIENA DELLA SENNA VERSO TOLBIAC (PARIGI) PC-0980. SETTEMBRE 1997: FINE DELL’ESTATE SUI TETTI (PARIGI)
della pellicola, che consente più scatti 24x36mm di quelli annunciati: nel caso delle trentasei pose ufficiali, si può arrivare oltre, almeno a trentasette, se non già a trentotto o, con perizia/avarizia di avanzamento iniziale a vuoto, a trentanove. In dipendenza del precaricamento e delle condizioni luminose ambientali, i prefotogrammi non fotografia compiuta che anticipano la prima posa utile vengono velati e bruciati dalla luce in modo casuale: e giusto su questa casualità si basa l’azione delle vues n° 0 di Jean-Christophe Béchet, che rivelano una casistica eterogenea. A seguire, ma in simultanea, gli stessi prefotogrammi nascondono la fotografia, della quale ignorano gli stilemi. Nessun linguaggio applicato caratterizza la casualità di queste visioni, che sono fotografia soltanto per ciò che dipende e si basa sulla sola esposizione alla luce di una pellicola fotosensibile. Non ci sono inquadrature, non è stato composto alcun soggetto, ma gli scatti a vuoto di avanzamento della pellicola verso il proprio primo fotogramma utile sono soltanto casuali: e su questo, soprattutto, riflette e fa riflettere l’autore, il cui testo introduttivo (che proponiamo a pagina 26) è straordinariamente chiarificatore. Per quanto non fotografie, questi prefotogrammi sono Fotografia nel primitivo senso e significato: esposizione alla luce. E la magia della registrazione ottica e chimica si ripete, assumendo qui una (insospettata) personalità di straordinario valore. Ci accordiamo a Jean-Christophe Béchet, che risalta come e quanto «la bellezza di questa materia argentica, velata, strappata, frastagliata, non ancora diventata “fotografia”, si misura e legge sulle orme di un tempo passato, di un tempo nel quale l’apparecchio fotografico non era che un utensile imperfetto al servizio dell’uomo, di un tempo nel quale la materia fotografica è esistita come corpo e anima. Ancora: di un tempo nel quale tutto non era preordinato, ma individuale, accidentale, artigiano; ossia informale». Questa non/fotografia diventa poesia. Maurizio Rebuzzini
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ANCORA PREFOTOGRAMMI
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Introdotte dalle riflessioni che abbiamo riportato a margine della precedente presentazione redazionale, a pagina 26, nella propria edizione libraria le Vues n° 0 di Jean-Christophe Béchet si completano con una postfazione dello stesso autore, che specifica di aver compilato Trentasei note e opinioni alla rinfusa sulla fotografia contemporanea. Ovvero: Piccolo provino a contatto di idee e di note prese in fretta. Queste trentasei note (trentasei come le pose della pellicola 24x36mm!) sono un complemento utile, se non già necessario, della sua intera e complessiva riflessione fotografica. Per questo, immediatamente dopo la visualizzazione di una selezione di vues n° 0, da pagina 24, proponiamo per intero anche questa autentica postfazione. Ovviamente, riprendendo la consecuzione delle trentasei pose introdotte da inevitabili prefotogrammi Zero (e contorni), a propria volta, anche queste note partono da una prenota Zero. M.R. Nota n° 0 Questo testo è scritto su un computer. Quindi, non c’è alcuna aura o “materia” nella Nota n° 0; non è velata, spostata, impastata, cancellata... Non più delle (possibili) note n° 37 oppure n° 38...
Nota n° 1: Doppia strada Diciamolo subito, onde evitare ogni possibile ambiguità: non ho nulla contro la fotografia digitale, né contro il progresso tecnologico. Utilizzo regolarmente attrezzature digitali. A volte, invece di quelle argentiche [analogiche, tradizionalmente fotografiche]; altre volte, in combinazione. Ma continuo a stampare il bianconero in camera oscura chimica tradizionale, anche se sono perfettamente attrezzato con eccellenti stampanti a getto di inchiostro, tre buoni scanner e tutta serie di computer con software dedicati. In breve, preciso che il mio manifesto per la fotografia argentica [analogica] è stato guidato dalla mia visione fotografica senza preconcetti. Nota n° 2: Con entusiasmo Immergersi nei duemila provini a contatto mi ha consentito di osservare e rilevare anche l’evoluzione del mio modo di fotografare, nel corso di venticinque
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anni. Le cancellature, le evidenziazioni, i tratti di penna sui fotogrammi sottolineano scelte estetiche che ho compilato ai tempi dei singoli scatti. Oggi, a distanza di anni, posso magari scegliere fotografie che in passato ho ignorato. In venti classificatori, ho sotto gli occhi sia tutto quanto ho fotografato sia una testimonianza diretta delle mie scelte estetiche dell’epoca. Grazie pellicola! Che supporto formidabile! Quale scrittore non sogna di potere rileggere facilmente ogni sua brutta copia? Quale pittore rifiuterebbe la possibilità di guardare una traccia delle diverse tappe del suo lavoro? Perché passare passivamente ai supporti digitali e perdere queste esaltanti specificità della fotografia? Nota n° 3: Argentica I provini a contatto dei negativi bianconero realizzati con reflex argentiche di ultima generazione sono privi del prefotogramma numero Zero. Inoltre, in alcuni casi, devo invertire il senso di lettura: lo scatto “36” è il primo e così, a conseguenza, debbo procedere dal basso e da destra. Da cosa dipende questa inversione del senso di lettura? Si basa sul fatto che alcuni recenti apparecchi fotografici sono dotati di presvolgimen-
to completo della pellicola, che ritorna nel proprio caricatore 35mm scatto dopo scatto. Questa accortezza tecnica semplifica l’uso degli apparecchi fotografici di ultima generazione, sia reflex sia compatti, che preservano e proteggono gli scatti effettuati nel caso di involontaria e malaugurata apertura del dorso; tra l’altro, poi, questa procedura elimina i prefotogrammi velati, propri e caratteristici del caricamento e avanzamento manuale alla prima posa utile. Ancora una volta questa è una sicurezza fornita dai fabbricanti, che evita e previene ogni possibile errore di uso. Così, mi trovo di fronte a pellicole senza capo né coda, nelle quali l’ordine cronologico dei fotogrammi è doppiamente inverso. Nota n° 4: Costrizione Mai dimenticare il ruolo motore della costrizione: è quel che resta delle fotografie impossibili da realizzare.
Nota n° 5: Improvvisazione Come riuscire a comprendere che c’è poesia nella materia aleatoria della pellicola, nelle sue perforazioni, nel suo gioco tra velato e svelato? Forse ci si deve riferire a un jazzista che improvvisa intorno un tema e che si compiace di quanto è riuscito sbrogliare, dimenticando lo spartito per lasciare affiorare un passaggio poetico... Nota n° 6: Inizio Per propria natura, queste vues n° 0 sono oggi legate a un doppio princìpio: sicuramente raffigurano l’esordio di una pellicola; ma, altrettanto certamente, rappresentano anche l’inizio di una storia, di una narrazione. Se rimangono fortuite e involontarie, possono restare senza senso. Alcune sembrano “a misura” per questo libro
[appunto, Vues n° 0, presentato da pagina 24].
Nota n° 7: Estetica Non parliamo di incoscienza, di immagini latenti, di un non visto inibito... Lasciamo il gergo. Sottolineiamo semplicemente il senso e sapore di fotografie come le altre, che acquistano valore nella propria attuale riscoperta che le veste di significato. Parliamo anche di “fotografie” che non possono esistere con i più moderni e attuali apparecchi argentici [analogici a pellicola] e ancora meno con gli apparecchi digitali... Nota n° 8: Nascondino Queste vues n° 0 sono ipotesi, suggestioni di un gioco a nascondino, con una forte estetica della traccia, dell’impronta. Idea del mistero fotografico. Sicuramente, anche mistero chimico... Nota n° 9: Distacco Questo Manifesto è anche un proclama per il tempo, il distacco e la fotografia che acquista senso (estetico e fantastico) più tardi, a posteriori. È un atteggiamento diverso da quello proprio della fotografia digitale, analoga a un fast-food dell’occhio, che obbliga a una visualizzazione immediata, una scelta sì/no: sto veramente osservando? Sicuramente, scattando in digitale, avrei senza dubbio annullato/cancellato tutte queste vues n° 0... se e per quanto avrebbero potuto esistere. Nota n° 10: Resistere Sì, lo so, ne sono consapevole. Qualcuno può affermare che tutto questo non importa, e che ho riesumato resti senza interesse in una prospettiva nostalgica ed egocentrica. Immagino queste obiezioni; si basano su un concetto analogo a quello con il quale chi cambia opinio-
PC-1337. GIUGNO 2000: AUTORITRATTO ALLO SPECCHIO
ne [per interesse privato] accusa gli altri di conservatorismo. Ed è il compiacimento di chi, a combattimento finito, sia che risulti vincitore sia che abbia perso, si rivolge ai resistenti, ai bisbetici, agli imbronciati... Nota n° 11: Anticoncettuale Niente di concettuale in questo libro. Al contrario! Il concettuale impone una riflessione prima di procedere nella costruzione intellettuale. Io ho agito all’opposto. Ho intrecciato fili, ho raccolto fotografie, poi le ho lasciate maturare, per costruire, poco a poco, una mia coerenza estetica e caotica... Nota n° 12: Sovrapproduzione È un obbligo. Nella gestione fotografica della quantità di scatti a disposizione -trentasei fotogrammi, talvolta trentasette o, addirittura, trentotto- bisogna sapersi limitare, si è educati a un’autonomia contenuta. Con la fotografia digitale, estranea a queste quantità minime, si arriva alla Sovrapproduzione passiva, all’accumulo di scatti e scatti e scatti. Un consumo incontrollato invece della questione essenziale: cosa fotografare? [e perché farlo]. Nota n° 13: Colori In passato, la tecnologia della pellicola a colori non permetteva di esprimersi pienamente: disagi sulla sensibilità, resa cromatica, impossibilità di trattamento autonomo, scelta della carta (superficie) di stampa e altro ancora. Di colpo, disabituati al ruolo [fondamentale] dei provini a contatto, non coinvolti nella manualità e creatività della stampa in proprio, coloro i quali fotografano soprattutto a colori sono stati facilmente e inevitabilmente spinti verso le tecnologie digitali. Non è una critica, ma un fatto. Nota n° 14: Verità C’è stato un tempo nel quale la fotografia attestava una realtà [per quanto il discorso sia ampio e controverso]. Oggi, con
Autore delle note riportate in queste pagine, che compongono la postfazione alla sua selezione di Vues n° 0, che commentiamo nelle precedenti pagine (da pagina 24), Jean-Christophe Béchet è nato a Marsiglia nel 1964. Il suo primo apparecchio fotografico l’ha usato nel 1980. Fotografo professionista nel 1990, dal 1995 è nella redazione del mensile specializzato Réponses Photo.
l’avvento delle manipolazioni digitali, facili e alla portata di ognuno, molti non credono più a quel che la fotografia raffigura. Siamo passati da un estremo all’altro. Viviamo nell’epoca del dubbio e del sospetto. Di colpo, queste vues n° 0 si affermano come manifesto della fotografia “pura” e autentica: non possono essere frutto di alcuna falsificazione, ritocco o manipolazione con Photoshop. Sono esattamente una impressione autentica con procedimento fotografico altrettanto autentico... si basano sull’azione della luce. Nota n° 15: Frustrazione La scelta di una fotografia è anche una forma di frustrazione. Per quanto velate, lacerate, visivamente mortificate, a volte queste vues n° 0 sono le migliori di tutto il negativo! Pazienza, è così, e bisogna ammetterlo. Forse, ammettere un certo fallimento. Nota n° 16: Alla fine della pellicola All’opposto [delle vues n° 0, dei prefotogrammi dell’intero negativo 24x36mm], c’è il fotogramma numero trentasei, a volte addirittura il trentasette; è la fine
della pellicola, “magica” nella propria consistenza. Da parte mia, ho notato che raramente i miei finali di pellicola sono portatori di immagini ben riuscite... Nota n° 17: Photoshop Certamente, è fuori questione ricostruire queste “materie”, queste scelte estetiche ed estetizzanti con l’aiuto di Photoshop. L’idea è talmente volgare, che non merita alcun ulteriore commento... Nota n° 18: Memorie Ci sono anche in queste tracce fotografiche: l’indicazione dei marchi (Kodak, Ilford, Agfa, Fuji), ciascuno con la propria grafia, la propria materia. Agfa non esiste più. Ilford si dedica ormai soltanto alla carta per stampa a getto di inchiostro. Quanto a Kodak, oh Kodak... Nota n° 19: Azzardo Interesse degli accostamenti inopinati: individuare, riconoscere e stanare le storie nascoste e romantiche tra due fotografie che non hanno nessuna ragione “oggettiva” di stare accanto su un provino a contatto. Accettare questo azzardo autobiografico e farne qualcosa...
Nota n° 20: Arte Con il progresso della tecnologia elettronica, si assiste ogni giorno a piccoli slittamenti continui verso la perdita di identità della fotografia. Si procede verso questa condizione, sempre più, sempre più... e alla fine non resta nulla della fotografia che si è amato e difeso. Vengono a mancare le motivazioni e ragioni che ci hanno spinto a diventare fotografi. Nota n° 21: Manualità Con l’acquisizione digitale di immagini non si mettono più le mani in pasta. È la fine del rapporto diretto e tangibile con la materia. Si vede molto ma non si tocca più nulla! Non c’è più il negativo da maneggiare con delicatezza e attenzione, è sparita la magia delle mani che mascherano la proiezione dell’ingranditore. Tutta l’azione è confinata a funzioni informatiche ripetitive e ripetute. Domanda: si può essere artista senza le mani? Un’arte senza sporcarsi le mani è ancora arte? Nota n° 22: Manipolazioni Seguito della nota precedente? Non si tocca più, ma si manipola. Di fatto, il termine “manipolazione” significa “azione di manipolare”, e soprattutto si riferisce al senso proprio di una “manovra disonesta”, in senso figurato. Ciascuno scelga la propria forma di manipolazione... Nota n° 23: Affetto La mia fedeltà alla pellicola fotografica si basa anche sul mio affetto per i apparecchi argentici [tradizionali]: Leica, Hasselblad, Mamiya, Rolleiflex, Nikon F... Non ho pensato di abbandonarli. Però sono cosciente di una condizione a monte, che subito preciso: non è l’apparecchio che fa la fotografia, è il fotografo! Sicuramente... ammesso che le sue capacità e intuizioni sappiano farlo! Si agisce in coppia: l’uomo e il suo utensile, il musicista e i suoi strumenti, il pittore e i suoi co-
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lori. Il fotografo e la sua macchina fotografica. Nota n° 24: Utensili In fotografia, per creare, si deve amare il proprio apparecchio, vivere con lui, conoscerne il sentimento, sentirlo scattare. Il fotografo deve possedere più macchine fotografiche e scegliere quella che meglio si adatta ai soggetti che vuole rappresentare. Non bisogna mai trascurare il proprio apparecchio, né sottovalutarlo. Allo stesso momento, non si deve cadere, non più, nel feticismo dell’oggetto, che è un’altra strada senza uscita. Bisogna stare equidistanti e in equilibrio tra questi due estremi. Nota n° 25: Personalità Ah, la personalità di una pellicola bianconero! Quante personalità distinte! Le pellicole bianconero Polaroid hanno niente da spartire con una Kodak Tri-X da 400 Iso o una Technical Pan da 25 Iso! Inutile sottolineare gli autori che ne hanno messo a frutto le relative personalità. Di certo, tutti sappiamo che queste tre pellicole, e altre ancora, implicano interpretazioni differenti, particolari restituzioni tonali, specifiche scale di grigio, profondità di campo singolari. Oltre e accanto l’alchimia individuale, questa è cucina? Se così è, va annotata con tre stelle sulla guida Michelin, lontana ed estranea dai fast-food! Nota n° 26: Materia Lasciamo al digitale la propria materia e non chiediamogli di imitare i granuli d’argento. Il pixel ingrandito, lisciato, accentuato o saturato possiede un incontestabile sapore estetico: metallico, scontornato e freddo. Per cercare di accontentare tutti, e scontentando molti (!), a volte la tecnologia digitale “imita” la fotografia antica. Sempre più spesso gli apparecchi propongono e offrono modalità artificiali e artificiose per l’interpretazione visiva seppia, sgranata, carta pergamena. Lo crediamo fermamente, lo abbiamo riconosciuto co-
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me tale: questo è il cattivo gusto del post-moderno. È un terribile errore di orientamento. Nota n° 27: Famiglie Ho sempre pensato a due grandi famiglie di fotografi. Una prima, è quella degli autori che gestiscono completamente la loro produzione, arrivando alla stampa in proprio delle copie finali: stampe di grande personalità, che traspirano dell’azione in camera oscura, che rivelano un’anima. La seconda è quella dei fotografi che delegano ad altri le lavorazioni infrastrutturali. È sempre esistita ambiguità attorno la produzione delle stampe d’autore. Fino a quando la fotografia è rimasta in un territorio proprio, estraneo ai grandi mercati dell’arte, la distinzione è stata più simbolica che vitale. Oggi, con l’entrata prepotente della fotografia nel mercato dell’arte, l’ambiguità sulla confezione delle stampe è dottamente intrattenuta a colpi di incompetenze e approssimazioni. Nota n° 28: Plasticità Quando e dove la fotografia abbandona tutti i riferimenti alla propria materia “fotografica”, alla propria originalità “chimica”, si parte per la tangente e si parla di “fotografia plastica”. Per me, i fotografi plastici sono quelli che lavorano e interpretano i pigmenti, i rivelatori, le emulsioni, la carta (Denis Brihat, Jean-Pierre Sudre, Pierre Cordier, Paolo Gioli... o Man Ray). Non quelli che commissionano al proprio laboratorio stampe giganti incollate sull’alluminio, Dibond o Diasec... Nota n° 29: Valore È scandaloso pensare che solo le stampe manuali siano originali d’arte? Le stampe ottenute con sistemi altamente automatizzati (per esempio con dotazioni Lambda o Lightjet) permettono riproduzioni continue da un file digitale, dal quale si può ottenere un numero infinito di copie identiche. Allora si conteggiano le copie possibili, richiamando
magari l’adagio commerciale che vincola il valore economico alla rarità! Ma, logicamente, solo la stampa manuale da negativo è valutata e quotata sul mercato dell’arte [ma non è proprio così, perché sono accettate e valutate anche copie digitali: il discorso è estremamente ampio e differenziato, tanto da non poter essere concluso in poche battute].
messaggio musicale, che si traduce in ascolto con una impressione di più grande chiarezza. Per natura, il digitale ha orrore dello sfumato. Più la sua quantificazione è semplificata, come nel caso degli standard compressi, più stravolge le emissioni sonore, i vuoti della loro sostanza e non registra che le circonferenze». Questo mi ricorda qualcosa...
Nota n° 30: Stabilità Ah sì, la pellicola invecchiata si deteriora... Non c’è da preoccuparsi, resterà sempre recuperabile: basterà digitalizzarla. Chi può assicurarmi che nei prossimi venticinque anni i miei primi fotogrammi digitali archiviati su CD e Dvd saranno leggibili, o allo stesso modo “recuperabili”?
Nota n° 34: Cinema Maggio 2006, Festival di Cannes: in Les cahiers du cinéma noto una intervista del regista finlandese Aki Kaurismaki. Interrogato sulle videocamere digitali, risponde: «All’origine, il cinema è un gioco di ombre e luci. L’elettricità non è mai stata altro che corrente per le lampade. Il digitale ha già distrutto la fotografia, e non ho alcun dubbio che distruggerà il cinema. Per me, questo significa la morte dell’invenzione di Auguste e Louis Lumière, la settima arte. Non userei mai, in alcuna condizione, compreso davanti a un plotone di esecuzione, una videocamera digitale, che prostituisce l’arte che pretendo di amare».
Nota n° 31: Bianconero Quando si usa pellicola bianconero, si osserva la realtà in valori di grigio. Non si legge la luce nello stesso modo di quando si fotografa a colori. La concentrazione non è la stessa. Una fotografia bianconero non è soltanto un’immagine a colori desaturati. In digitale, come ci si può persuadere che si possono interpretare in bianconero immagini originariamente registrate in RGB? Nota n° 32: Convergenze Con il digitale, tutto passa ormai per uno stesso canale: suono, immagine fissa, cinema. Uno stesso princìpio di compressione registra presto (in trasmissione), senza occupare troppo spazio (appunto, compressione). Fotografi, musicisti e cineasti sono avvolti nella medesima spirale. La loro arte abbandona anche la materia un tempo caratteristica e distintiva, per entrare nell’era dei matematici e dello zero binario. Nota n° 33: Musiche Marzo 2006: nella rivista Diapason, dedicata alla musica classica, ho letto questa analisi: «Le compressioni digitali operano una semplificazione selettiva del
Nota n° 35: Autori Se l’argentico sparirà, senza dubbio numerosi “autori” smetteranno di scattare fotografie. Passeranno alla letteratura, alla pittura o al disegno. Questo non è una certezza. Giusto un sentimento. Nota n° 36: Futuro Questo libro [Vues n° 0, ricordiamolo; ne riferiamo da pagina 24] non è un testamento della fotografia argentica [analogica]. Per il mio lavoro personale, conto bene di continuare a utilizzare pellicole fotografiche ancora per numerosi anni... A completamento “estetico” delle mie memorie digitali, che riguardano principalmente la produzione “professionale”. Jean-Christophe Béchet (Parigi, settembre 2006) Traduzione di Loredana Patti
■ FRANCIA Chasseur d´Images • Réponses Photo ■ GERMANIA Digit! • Inpho • Photographie • PhotoPresse • Photo Hits • ProfiFoto ■ GRECIA Photographos • Photo Business ■ INGHILTERRA Digital Photo • Practical Photography • Professional Photographer • Which Digital Camera? ■ ITALIA Fotografia Reflex • FOTOgraphia ■ OLANDA Fotografie • Fotovisie • P/F - Professionele Fotografie ■ POLONIA Foto ■ PORTOGALLO Foto/Vendas Digital ■ SPAGNA Arte Fotográfico • Diorama • Foto/Ventas Digital • FV/Foto-Video Actualidad • La Fotografia ■ SVIZZERA Fotointern ■ UNGHERIA Digitalis Photo
La Qualità conta!
La vera storia dei migliori prodotti Photo & Imaging e dei Traguardi Tecnologici
TIPA AWARDS Gli “Oscar” dell’industria Photo & Imaging
Se vuoi conoscere quali sono i migliori prodotti fotografici, video e imaging e hai bisogno di un consiglio da esperti, dai un’occhiata ai prodotti che espongono il logo TIPA Awards. Ogni anno, i redattori di trentun riviste di fotografia e imaging leader in Europa votano per stabilire quali nuovi prodotti sono davvero i migliori nelle rispettive categorie. I TIPA Awards giudicano qualità, prestazione e valore; per questo sono i premi indipendenti del settore di cui ti puoi fidare.
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HP Designjet Z3100 [con Z2100]: Stampante grande formato [ FOTOgraphia, dicembre 2006].
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ttenta e qualificata associazione giornalistica di categoria, che riunisce direttori e redattori di ventisette riviste fotografiche europee, ogni anno TIPA (Technical Image Press Association) assegna e distribuisce i propri ambìti Premi, attribuiti a prodotti fotografici giudicati migliori in una identificata serie di categorie. Alla votazione partecipano i rappresentanti delle testate del cartello, la cui distribuzione geografica, accompagnata da presumibili diverse esperienze e visioni personali, è garanzia di
Canon EF 16-35mm f/2,8L II USM: Obiettivo professionale [ FOTOgraphia, aprile 2007].
media, quantomeno ponderata (FOTOgraphia e Fotografia Reflex, diretta da Giulio Forti, sono le riviste italiane che fanno parte di TIPA; a pagina 40 l’elenco completo delle testate). Statisticamente parlando, l'eterogeneità dei punti di vista dei membri TIPA assicura la fondatezza dei giudizi espressi e meriti accordati, che appunto derivano e dipendono da una confortevole e concentrata osservazione tecnica a trecentosessanta gradi, senza soluzione di continuità. La configurazione
Leica M8: Apparecchio digitale a mirino [ FOTOgraphia, ottobre 2006].
Iprestigiosi, qualificati e ambìti TIPA Awards 2007 hanno individuato trentasei categorie merceologiche, per le ognuna delle quali hanno indicato il prodotto fotografico ritenuto migliore per caratteristiche tecniche e potenzialità operative. Al consueto, queste indicazioni sottolineano le condizioni attuali della tecnologia fotografica, andando anche a rilevare le relative possibilità e potenzialità in proiezione futuribile. E poi, annotiamolo subito, non manca una conseguente riflessione sul mercato. Ammesso e non concesso che... 34
All’interno dei padiglioni espositivi della scorsa Photokina di Colonia ( FOTOgraphia, novembre 2006), sul lungo Boulevard di collegamento Nord-Sud, passaggio obbligato di e per tutti i visitatori, è stata allestita una accattivante esposizione dei trentaquattro TIPA Awards 2006.
TIPA evita ogni possibile predominanza e preconcetto: benefica, oltre che straordinaria, è la comunione di intenti tra riviste dichiaratamente tecniche, che con perizia elevano le relative condizioni a valore assoluto e inviolabile, e riviste rivolte all’immagine, che subordinano il momento originariamente tecnico all’interpretazione creativa (se proprio vogliamo rilevarlo, FOTOgraphia, che porta in TIPA la propria particolare esperienza e visione, è ancora altro: riflessione, analisi, approfondimento anche del linguaggio e degli stilemi espressivi). A monte, annotiamolo, le riviste TIPA rivendicano un ruolo di competenza fuori dal comune, capace di analizzare il mercato fotografico che dal proprio presente si proietta in possibili e potenziali scenari del futuro, immediato ma anche più lontano. A diretta conseguenza, così profondamente studiati e motivati, i TIPA Awards, autentici “Oscar” dell’industria photo-&-imaging, si affermano come i più qualificati e prestigiosi premi della tecnica e tecnologia fotografica, e per questo sono ambìti. Ogni anno, i TIPA Awards scompongono il mercato, identificando al suo interno categorie merceologiche significative per se stesse e nell’insieme che disegnano e definiscono. A differenza delle analisi commerciali compilate su schemi adeguatamente oggettivi, così come abbiamo riassunto lo scorso marzo, a contorno e completamento della riflessione sui nuovi parametri Istat, il punto di osservazione dei vivaci e brillanti TIPA Awards è assolutamente meno asciutto: soprattutto, è guidato da una idonea e valida visione reale e realistica del mercato fotografico, che dalla tecnica si proietta all’uso e, quindi, all’espressione creativa individuale (www.tipa.com).
CATEGORIE 2007 Così che, le categorie individuate e sottolineate non procedono soltanto per parametri freddamente numerici (per esempio, sottolineando la progressione in Megapixel della risoluzione delle configurazioni ad acquisizione digitale di immagini), ma sono in qualche modo trasversali. Riferendoci esplicitamente alle categorie indicate nella consistente sequenza dei trentasei TIPA Awards 2007, è il ca(continua a pagina 38)
Canon Eos-1D Mark III: Reflex digitale professionale [ FOTOgraphia, aprile 2007].
IL MEGLIO DELLA FOTOGRAFIA
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Quando il marchio dei TIPA Awards appare in un annuncio pubblicitario, un pieghevole o sulla confezione di un prodotto, potete esser certi che è stato meritato. I TIPA Awards sono un motivo di orgoglio per chi li attribuisce e per coloro che li ricevono. ■ Best D–SLR Entry Level Nikon D40x Con 10 Megapixel di risoluzione e una gamma di sensibilità che va da 100 a 1600 Iso equivalenti, grazie a una superba qualità delle immagini e a un’altissima rapidità di scatto, la Nikon D40x è una reflex perfetta per coloro che entrano nel mondo della fotografia digitale. In vendita in kit con lo zoom 1855mm f/3,5-5,6, possiede molte funzioni avanzate e permette di effettuare fino a tre fotogrammi al secondo. La D40x è leggera, compatta e dotata di un monitor LCD da 2,5 pollici di alta qualità, per regolare le impostazioni e rivedere le immagini [su questo stesso numero, da pagina 62]. ■ Best D–SLR Expert Pentax K10D Con il suo corpo robusto, che conta non meno di settantadue guarnizioni contro polvere e intemperie, la Pentax K10D offre una importante serie di caratteristiche: sensore da 10 Megapixel, stabilizzazione delle immagini, sistema autofocus a undici punti, gamma di sensibilità da 100 a 1600 Iso equivalenti, modalità RAW ad alta definizione più Jpeg, sistema di pulizia del sensore e schermi del mirino intercambiabili. Possiede un design ergonomico, che la rende uno strumento molto utile per gli appassionati di fotografia. Questa reflex digitale, che può essere acquistata con l’obiettivo 18-55mm per meno di mille euro, rappresenta un’alternativa autentica e di alta qualità a corpi professionali più costosi [ FOTOgraphia, novembre 2006]. ■ Best D–SLR Professional Canon Eos-1D Mark III Questa sorprendente reflex digitale è capace di scattare a dieci fotogrammi al secondo alla risoluzione piena di 10 Megapixel. Inoltre, offre un sistema autofocus a diciannove punti, un corpo impermeabilizzato, un sistema di pulizia del sensore a tre modalità, la funzione Live View permanente e una dotazione completa di soluzioni di personalizzazione. Tutto ciò si aggiunge alle caratteristiche di controllo e alle possibilità creative a disposizione del fotografo professionista, che rendono la Canon Eos-1D Mark III lo strumento ideale per i fotografi di sport, azione e natura [ FOTOgraphia, aprile 2007]. ■ Best Medium Format Digital System Hasselblad H3D, series Progettata attorno a un nuovo processore digitale, il sistema H3D è la più recente proposta Hasselblad per la fotografia digitale medio formato professionale. Il nuovo design della H3D ha anche reso possibile il lancio di un nuovo obiettivo 28mm, progettato e finalizzato all’acquisizione di immagini digitali. La H3D è disponibile in tre configurazioni: le H3D-39 e H3D-22 utilizzano un sensore 48x33mm, con rispettive risoluzioni di 39 e 22 Megapixel, mentre la
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H3D-31 è dotata di sensibilità fino a 800 Iso equivalenti, ha un sensore 44x33mm da 31 Megapixel e capacità di scatto in sequenza fino a 1,2 secondi per immagine [ FOTOgraphia, febbraio 2007]. ■ Best Rangefinder Digital Camera Leica M8 La digitale a telemetro Leica M8 riunisce la tradizione Leica delle componenti ottiche e meccaniche con le più recenti tecnologie digitali, mantenendo intatti l’aspetto e le emozioni della famiglia Leica M. La M8 adotta un sensore CCD da 10,3 Megapixel e le immagini possono essere salvate su una scheda SD in formati Jpeg o DNG (grezzo). Un codice a sei bit, inciso sugli obiettivi M, permette alla M8 di finalizzare le immagini in maniera specifica per ciascun obiettivo. Sul monitor LCD da 2,5 pollici si possono vedere l’istogramma RGB o l’avviso alte luci lampeggiante [ FOTOgraphia, ottobre 2006]. ■ Best Ultra Compact Digital Camera Fujifilm FinePix Z5fd La Fujifilm FinePix Z5fd è una piccola meraviglia della tecnologia, che combina un design elegante con una quantità di funzioni pratiche. Oltre al sistema Face Detection, offre un sensore Super CCD HR da 6 Megapixel, una sensibilità massima di 1600 Iso equivalenti e una funzione innovativa “con o senza flash”, che acquisisce due fotografie in rapida successione e permette di scegliere la migliore. Tutte le funzioni della Z5fd sono predisposte per ottenere il risultato migliore e, se non bastasse, questa ultra compatta, sempre pronta e facile da usare, è in vendita a un prezzo molto attraente. ■ Best Compact Digital Camera Nikon Coolpix P5000 In un corpo compatto, la Nikon Coolpix P5000 adotta le funzioni creative di una reflex digitale. Dotata di una impugnatura sporgente disegnata per garantire una buona presa, è fornita di un mirino ottico e di un monitor LCD da 2,5 pollici, ottimo sia per la composizione delle immagini sia per il playback. Per i fotografi più esperti, le modalità MASP sono facili da utilizzare, rendendo l’impiego di questa compatta simile a una reflex. Il contatto caldo è del tipo i-TTL e funziona perfettamente con i flash elettronici SB400, SB600 e SB800. Per garantire immagini di qualità, la P5000 è dotata di un sensore da 10 Megapixel, di uno zoom 36-126mm f/2,7-5,3 (equivalente) e dello stabilizzatore ottico delle immagini Vibration Reduction [ FOTOgraphia, marzo 2007]. ■ Best Superzoom Digital Camera Panasonic Lumix DMC-TZ3 Equipaggiata con uno zoom Leica DC Vario-Elmar 10x, equivalente all’escursione 28-280mm della fotografia 24x 36mm, la piccola Lumix DMC-TZ3 rappresenta un nuovo passo avanti nella battaglia contro la sfocatura. In condizioni di poca luce, gli stabilizzatori standard possono compensare i movimenti della compatte, ma non quelli del soggetto. Riunendo il ben noto stabilizzatore ottico Mega OIS con la nuova funzione Intelligent Iso Control, per la prima volta Panasonic offre una soluzione per acquisire immagini nitide in quasi tutte le condizioni di luce. Il Venus Engine III, con cui è equipaggiata questa Lumix, è capace di capire se il soggetto si muove e, se necessario, aumenta automaticamente la sensibilità equivalente per sfruttare il tempo di scatto più breve possibile. ■ Best Multimedia Camera Samsung i7 Dopo aver inventato la compatta digi-
tale multimediale, Samsung ha ora perfezionato il concetto. La i7 è una configurazione sottile, di alta qualità, da 7 Megapixel, equipaggiata con zoom ottico 3x, riconoscimento facciale, sistema di stabilizzazione e quattordici modalità di scatto. È anche camcorder, lettore MP3 e multimediale, lettore di testo, registratore vocale e supporto di memoria esterno. Ruotate lo schermo touch screen e troverete la funzione che vi serve. Inoltre, la i7 è dotata dell’esclusivo World Tour Guide: quattromila brevi testi informativi e immagini da trenta paesi del mondo in un’interfaccia grafica facile da usare. ■ Best Entry Level Lens AF-S DX VR Zoom-Nikkor 55-200mm f/4-5,6G IF ED Questo nuovo zoom Nikon rende accessibile a tutti il sistema di stabilizzazione delle immagini Vibration Reduction. Questa funzione compensa la sfocatura dell’immagine dovuta al movimento della reflex, che capita spesso quando si utilizza un teleobiettivo zoom a mano libera. Grazie alla modalità VR è possibile scattare immagini nitide con addirittura tre stop di luce in meno: per cui, per gli appassionati, un diaframma f/5,6 diventa in pratica un f/2. Questo obiettivo, perfetto complemento allo standard 18-55mm, è costituito da quindici lenti (una in vetro ED a basso indice di dispersione); mentre sette lamelle formano un diaframma quasi circolare, per ridurre significativamente la diffrazione [ FOTOgraphia, aprile 2007]. ■ Best Expert Lens Sigma 70mm f/2,8 EX DG Macro Perché fare le cose difficili, quando si possono fare in modo semplice, godendo di una qualità superba? Per questo obiettivo macro, Sigma ha adottato una costruzione ottica semplificata, all’interno della quale ha incluso due ingredienti decisivi: un gruppo di lenti “floating” e il nuovo rivestimento multicoating SML. Il risultato è un obiettivo macro eccellente, costruito apposta per le reflex digitali con sensori di dimensioni APSC (15,8x23,6mm). Ma c’è di più: l’aberrazione cromatica è assente, la distorsione e la vignettatura sono invisibili e l’obiettivo raggiunge un rapporto di riproduzione 1:1 (al naturale) alla distanza minima di messa a fuoco di 25cm. Un grande obiettivo a un prezzo ragionevole [ FOTOgraphia, febbraio 2007]. ■ Best Professional Lens Canon EF 16-35mm f/2,8L II USM Il nuovo zoom professionale Canon EF 16-35mm f/2,8L II USM è stato ridisegnato per fornire un livello di contrasto più elevato e un miglior potere risolvente. Per assicurare nitidezza e contrasto sull’intera immagine e per tutta la gamma focale, questo zoom impermeabilizzato include tre tipi di lenti asferiche. Due lenti UD controllano l’aberrazione cromatica, mentre il trattamento Supra Spectra, che elimina la luce parassita e le immagini fantasma, completa questo rinnovato schema ottico. L’AF-system fornisce algoritmi migliorati per l’autofocus e trasmette informazioni sulla distanza alle unità flash E-TTL II. Per finire, un diaframma quasi circolare offre una resa superba delle aree fuori fuoco [ FOTOgraphia, aprile 2007]. ■ Best Prestige Camera Ricoh Caplio GX100 La Ricoh Caplio GX100 è una delle pochissime compatte digitali dotate di un vero obiettivo zoom grandangolare, che parte da 24mm (equivalente). Addirittura, lo speciale aggiuntivo ottico opzionale (focale 19mm) permette di scattare fotografie realmente ultragrandangolari. La
Caplio GX100 è anche la prima compatta digitale dotata di un mirino elettronico mobile, che facilita la ripresa in ambienti molto luminosi e in esterni. Allo stesso tempo, offre una copertura del cento per cento dell’immagine senza errore di parallasse e con un display informativo simile a un monitor LCD [su questo stesso numero, da pagina 59]. ■ Best Innovative Design Olympus µ 770 SW La Olympus µ 770 SW riesce nell’intento di unire un corpo altamente resistente e compatto a un design elegante. Ma le finiture in metallo non sono solo estetiche: questa compatta digitale può sostenere un peso fino a 100kg, può essere immersa a una profondità di dieci metri, resiste a cadute da un’altezza di 1,5m ed è in grado di scattare a una temperatura di -10°C! Con il suo corpo elegante e il suo stile adatto a tutte le occasioni, la µ 770 SW è a proprio agio sia in una borsa firmata sia in quella di lavoro di un fotografo. Il suo design del tutto unico raccoglie un’ampia gamma di funzioni, tra cui un obiettivo zoom 3x (equivalente 38-114mm), un sensore da 7 Megapixel e la straordinaria BrightCapture Technology di Olympus, che permette di scattare fotografie nitide e di alta qualità in condizioni di luce scarsa. ■ Best Flatbed Photo Scanner HP Scanjet G4050 Grazie al suo innovativo software a sei colori e 96 bit, lo scanner Hewlett-Packard Scanjet G4050 è in grado di fornire una precisione incredibile nei colori e nella riproduzione delle fotografie. Riesce a scansionare fino a sedici diapositive 35mm o trenta fotogrammi negativi, ma anche formati maggiori, grazie a un adattatore integrato. La polvere e i graffi sulle pellicole vengono rimossi semplicemente premendo un bottone, mentre i colori sbiaditi vengono corretti con il software in dotazione. Lo Scanjet G4050 riesce addirittura ad eliminare gli occhi rossi e migliora i dettagli nelle fotografie scure utilizzando le tecnologie HP Real Life [ FOTOgraphia, febbraio 2007]. ■ Best Small Format Photo Printer Canon Selphy ES1 La Canon Selphy ES1 presenta una originale cartuccia, che contiene carta e inchiostro e funziona con un semplice tocco, garantendo facilità d’uso. Questo pratico sistema riduce anche il rischio di stampe rovinate, visto che la carta non si trova mai esposta alla polvere. La Selphy ES1 incorpora il processore immagine Digic II, basato sulla stessa tecnologia adottata dalle reflex digitali professionali Canon, per un avvio istantaneo e velocità di esecuzione. Un nuovo sistema nella testina consente alla Selphy ES1 di ottenere una risoluzione di 300x600dpi, che la pone in cima alla classifica delle stampanti a sublimazione. ■ Best Expert Photo Printer Epson Stylus Pro 3800 La Epson Stylus Pro 3800 è una stampante da 17 pollici che usa una nuova tecnologia fotografica per il controllo della qualità. La tecnologia degli inchiostri UltraChrome K3 di Epson presenta tre gradazioni di inchiostro per il nero e nuovi pigmenti colorati. La testina da un pollice permette di passare automaticamente da inchiostro nero Photo a Matte, a seconda del tipo di carta. La Epson Stylus Pro 3800 è in grado di stampare copie dal formato 10x15cm fino a 42,6x55cm e di lavorare su supporti spessi fino a 1,5mm. Un alimentatore per fogli singoli è predisposto per le carte fine art [ FOTOgraphia, novembre 2006].
■ Best Multifunction Photo Printer Canon Pixma MP810 La stampante multifunzione Canon Pixma MP810 offre agli utenti uno strumento versatile, che fornisce scansioni a colori da 4800x4800ppi e può stampare fotografie dal formato 10x15cm senza bordi, con una qualità da laboratorio in circa ventun secondi. Il sistema di inchiostro a cinque cartucce ChromaLife 100 fornisce stampe che durano nel tempo, mentre le singole cartucce sono dotate di spie Smart LED, per avvisare l’utente del basso livello di inchiostro. Inoltre, la MP810 è anche semplice da usare: Canon ha quasi dimezzato il numero di pulsanti rispetto ai modelli concorrenti. ■ Best Large Format Printer HP Designjet Z3100 La HP Designjet Z3100 Photo Printer è una stampante professionale disponibile nei modelli da 22 o 44 pollici. Il sistema di stampa a dodici inchiostri con pigmenti HP Vivera migliora la gamma, la durata e la qualità dei colori e del bianconero. Il controllo e la riproduzione cromatica sono migliorati grazie allo spettrofotometro incorporato, che sfrutta la tecnologia colore X-Rite i1 [TIPA Award 2007: Best Color Management System], permettendo alla stampante di calibrare la riproduzione del colore con un procedimento automatico. Oltre a tutto questo, la HP Designjet Z3100 lavora con un’ampia gamma di standard per la migliore accuratezza del colore nelle applicazioni pre-stampa [ FOTOgraphia, dicembre 2006]. ■ Best Fine Art Inkjet Paper Hahnemühle Photo Rag Pearl 320 La Hahnemühle Photo Rag Pearl 320 Fine Art è una carta in puro cotone bianco naturale, senza acidi, con una superficie morbida e liscia combinata con il suo innovativo strato perla. Questa carta presenta un alto valore Dmax e restituisce un’ampia gamma di colori, che consente la riproduzione corretta delle migliori fotografie a colori e in bianconero. Grazie all’uso esclusivo di cellulosa per la fabbricazione, questa carta Fine Art si rivela estremamente resistente al tempo e risponde ai più alti standard della conservazione. ■ Best Imaging Storage Media Lexar Professional UDMA 300x CF La nuova Lexar Professional 300x CompactFlash è una scheda di memoria ad alta velocità per i fotografi professionisti e gli appassionati di fotografia. Quando si utilizza un lettore UDMA, le schede Lexar Professional 300x CF aumentano la velocità di trasferimento dei dati dalla scheda al computer: quindi, forniscono supporto ideale per la nuova generazione di apparecchi digitali ad alta risoluzione compatibili UDMA. La velocità di lettura e scrittura aumenta di trecento volte (45MB/sec) nei diversi formati disponibili, con capacità 2GB, 4GB e 8GB. ■ Best Storage Back-up Epson Multimedia Storage Viewer P-5000 L’Epson Multimedia Storage Viewer P5000 offre 80GB di spazio memoria e un ampio monitor LCD da 4 pollici, basato sulla tecnologia Epson Photo Fine Ultra LCD. Oltre ai file Jpeg e RAW, diversi altri formati vengono supportati, rendendolo un vero strumento multimediale. L’Epson P-5000 mostra immagini con profondità colore a 24 bit con 16,7 milioni di colori, mentre la compatibilità con gli spazi colore sRGB e Adobe RGB consente una visione molto più accurata. Il P-5000 è dotato di slot SD e CF, oltre a un’interfaccia USB 2.0, per il tra-
sferimento di dati da e verso un PC. ■ Best Imaging Innovation Samsung Smart Touch User Interface Questa nuova interfaccia utente offre un’ingegnosa e rapida soluzione per modificare le modalità e le regolazioni dell’apparecchio digitale. Oltre i soliti pulsanti, che spesso debbono essere premuti più volte per cambiare e confermare una scelta, i quattro modelli Samsung che adottano il sistema Smart Touch consentono di cambiare le impostazioni. Per esempio, attivando il bottone vicino agli indici Iso per selezionare la sensibilità desiderata e poi sfiorando con un dito la serie di pulsantini sensibili per modificarla. Usare il sistema che utilizza sette pulsantini orizzontali e sei verticali è veloce, facile, preciso. Una vera soddisfazione.
grandimento 5x con quattro lampadine a LED ultra luminose, predisposte per illuminare interamente l’area da ispezionare [ FOTOgraphia, marzo 2007]. ■ Best Expert Photo Projector Casio XJ-S35 Questo nuovo proiettore di Casio si presenta con un corpo sottilissimo, spesso solo 43mm, e rappresenta una perfetta unione di portabilità e tecnologia per presentazioni fotografiche. Ultra compatto ma potente (2000 ANSI lumen), è in grado di gestire presentazioni eleganti direttamente da supporti USB e, grazie a un adattatore opzionale, può essere collegato a una rete WiFi. La sua risoluzione XGA di partenza è più che sufficiente per mostrare dati e immagini. Lo zoom motorizzato 2x si regola facilmente e velocemente in qualunque ambiente di proiezione.
■ Best Photo Software Apple Aperture 1.5 Apple Aperture 1.5 è uno strumento professionale, che comprende tutte le funzioni di post produzione per i fotografi, grazie al quale scattare in RAW diventa facile come scattare in Jpeg. Include una sofisticata gestione dei file, tra cui Smart Albums per ricerche automatiche, supporto completo per immagini RAW e fotoritocco non distruttivo per file Jpeg e Tiff. Le nuove regolazioni di Aperture 1.5 includono un filtro Edge Sharpen, basato sulla luminanza, per una definizione di alta qualità, e uno strumento Colour, che permette ai fotografi di regolare la tinta, la saturazione e la luminanza di specifiche gamme di colore in ogni immagine.
■ Best Pro Photo Projector JVC DLA-HD1 Il JVC DLA-HD1 è un proiettore HD pieno formato (1920x1080 pixel), con un rapporto di contrasto originale di 15.000:1, il più alto del settore senza l’uso di diaframma. Il nuovo sistema ottico ha migliorato sensibilmente la precisione della polarizzazione della luce, evitando perdite nell’obiettivo del proiettore, permettendo così la riproduzione del nero più vicina alla realtà che si sia ottenuta fino ad ora. Il proiettore professionale DLA-HD1 è dotato di uno zoom 2x con sistema di decentramento. La presa d’aria di raffreddamento e lo scarico sono in posizione frontale per una maggiore flessibilità di posizionamento.
■ Best Color Management System X-Rite i1PhotoLT X-Rite i1PhotoLT offre una gestione del colore RGB dedicata a professionisti e non professionisti esperti. Lo spettrofotometro multiuso può essere usato per calibrare il colore e per impostare il profilo ICC degli schermi CRT e LCD e dei notebook, oltre che su tutte le stampanti in grado di stampare dati RGB. Questo sistema comprende sia l’hardware sia il software i1-Match 3.6, mentre il board di backup permette di scansionare le tabelle test. i1PhotoLT permette agli utenti di contare su un flusso di lavoro costante, per la gestione colore che può essere migliorato includendo le funzioni CMYK o per gestire i profili di apparecchi digitali, scanner e proiettori.
■ Best Film Kodak Portra II L’ultima serie delle pellicole Portra include quattro tipi di negativi professionali, che offrono grana fine, un eccellente potere risolvente e una superba precisione del colore. Si tratta delle Portra 160 NC e 160 VC e delle Portra 400 NC e 400 VC. Con le due pellicole NV, i fotografi possono ottenere il massimo della neutralità dei toni, con colori corretti e realistici; le versioni VC danno al fotografo l’opportunità di sfruttare una brillantezza dei colori più spinta, grazie al maggiore contrasto. Nate principalmente per i fotografi di ritratto, queste pellicole sono diffuse anche tra i fotogiornalisti che preferiscono l’alogenuro d’argento per documentare il mondo.
■ Best Accessory Manfrotto 190XPROB Il design innovativo del treppiedi 190XPROB permette ai fotografi di spostare velocemente la colonna centrale dalla posizione verticale a quella orizzontale. Questa è una caratteristica importante per la fotografia macro e naturalistica. Infatti, nelle versioni precedenti, era necessario svitare la colonna centrale prima di poterla porre in posizione orizzontale: una procedura molto lenta. Questo nuovo modello permette di effettuare il cambio di posizione in pochi secondi, ma dispone anche di un nuovo sofisticato meccanismo di blocco delle gambe, per semplificarne l’uso sul campo.
■ Best Expert Camcorder JVC HD Everio GZ-HD7 Il JVC Everio GZ-HD7 è un camcorder High Definition 3-CCD capace di riprendere e salvare immagini Full HD (1930x1080i). Poiché il sistema pixelshift di JVC usa CCD a scansione progressiva, questi segnali vengono elaborati prima come segnali progressivi 1920x1080p, poi convertiti in segnali interlacciati 1920x1080i per la registrazione. Il risultato è che questo sistema consente la ripresa di immagini HD con una risoluzione più elevata rispetto al sistema CCD interline (IL). Ad accentuare la qualità, il GZ-HD7 è dotato di un obiettivo Fujinon utilizzato normalmente sulle telecamere da studio, ed è la prima volta che un obiettivo di questo genere viene montato su un camcorder per consumatori.
■ Best Digital Accessory Delkin SensorScope L’innovativo SensorScope di Delkin aiuta i fotografi a controllare se il sensore delle reflex digitali ha bisogno di essere pulito, o capire se la pulizia è stata efficace. Fino a oggi, la seconda operazione era possibile soltanto fotografando una superficie bianca e poi verificando lo scatto sul computer: un procedimento di pulizia frustrante. Il SensorScope consiste in una lente d’in-
■ Best Pro Camcorder Sony HVR-V1E/HDR-FX7E Il camcorder Sony HVR-V1E/HDR-FX7E estende i benefici della ripresa Full HD a 1080 linee a un’ampia gamma di applicazioni. Tramite un singolo cavo, la sua interfaccia HDMI permette connessioni digitali di segnali HD video e audio non compressi verso televisori HD-ready e al-
tri schermi. Il camcorder segna il debutto della tecnologia 3ClearVid CMOS Sensor, procedimento che usa una nuova distribuzione dei pixel, per ottenere una risoluzione più elevata e una maggiore sensibilità (4 lux minimo), con un netto miglioramento nei confronti dei sensori convenzionali per quanto riguarda risoluzione, sensibilità e qualità del colore. ■ Best Mobile Imaging Device Nokia N95 Il Nokia N95 è una piccola meraviglia portatile e allo stesso tempo una macchina fotografica. L’unione dell’obiettivo autofocus Carl Zeiss Tessar 5,6mm f/2,8 (equivalente al grandangolare 35mm) con il sensore CMOS da 1/2,5 di pollice da 5 Megapixel (2592x1944 pixel) permette di ottenere stampe nitide e di notevoli dimensioni. L’adozione di un vero otturatore meccanico da 1/3 di secondo fino ad 1/1000 di secondo permette alla luce di colpire i pixel istantaneamente, così da evitare la distorsione di soggetti in movimento. L’obiettivo Zeiss mette a fuoco fino a 10cm e, se necessario, lo zoom digitale 20x aiuta ad avvicinarsi a soggetti lontani. N95 salva le immagini su una scheda microSD, le elabora e le trasferisce tramite WLAN, USB o Bluetooth. Oltre a funzioni audio, video e web di alta qualità, il GPS permette di controllare le mappe di più di cento paesi. ■ Best Digital Minilab Fujifilm Frontier 550 Nonostante le dimensioni compatte, il minilab digitale Fujifilm Frontier 500 produce fino a milleduecento stampe all’ora (formato 4R). Il suo tempo di trattamento dry-to-dry è di solo un minuto e ventidue secondi, il che riduce il tempo totale di lavorazione per un singolo ordine di ventiquattro stampe a soli due minuti e ventiquattro secondi. Questa prestazione viene ottenuta usando il nuovo CP-49E Chemical System di Fujifilm e la Crystal Archive Paper Type II. Il sistema di gestione Frontier Manager migliora il flusso di lavoro dell’operatore e amplifica le capacità di produzione. ■ Best Photo Kiosk HP Photosmart Studio Gli album fotografici stampati diventano più popolari di giorno in giorno, ma fino a oggi serviva molto tempo per produrli. Il Photosmart Studio di HewlettPackard è la prima e unica soluzione da negozio con la quale i consumatori possono disegnare prodotti creativi in circa cinque minuti e ritirarli in meno di un’ora. Sono facili e veloci da usare, perché il sistema non richiede che le persone scelgano, taglino o posizionino le fotografie in modo preciso in ogni pagina. Al contrario, usando algoritmi sofisticati ed esclusivi per la gestione delle immagini, centinaia di fotografie vengono posizionate nel giro di minuti. ■ Best Monitor EIZO ColorEdge CG 211 EIZO Color Edge CG211 è un monitor professionale a colori per grafica e fotografia, che offre luminosità e colori uniformi su tutto lo schermo. Il Digital Uniformity Equalizer (DUE) assicura che vengano mostrati colori giusti sullo schermo da 21 pollici, che ha l’ottima risoluzione di 1600x1200 pixel, con una luminosità di 225 cd/sqm e un contrasto 500:1. Quando viene usato assieme a uno strumento di misurazione GretagMacbeth, X-Rite o ColorVision, il programma ColorNavigator, elaborato da EIZO, offre un hardware per la calibrazione a 12 bit. Il CG211 è disponibile con un supporto per la modalità ritratto sia per Mac sia per Windows.
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Sigma Macro 70mm f/2,8 EX DG: Obiettivo expert [ FOTOgraphia, febbraio 2007]. Nokia N95: Telefonino fotografico (computer multimediale! [ FOTOgraphia, luglio 2006]). Epson Multimedia Storage Viewer P-5000: Dispositivo di archiviazione e back-up. Epson Stylus Pro 3800: Stampante fotografica expert [ FOTOgraphia, novembre 2006].
Manfrotto 190XPROB: Accessorio. Delkin SensorScope: Accessorio digitale [ FOTOgraphia, marzo 2007].
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(continua da pagina 35) so di sottolineare come nel proprio insieme definiscano il grande mondo della fotografia attuale, che si rivolge sia ai professionisti (della ripresa come anche del trattamento conto terzi) sia al pubblico potenzialmente più ampio (il più vasto possibile), verso i quali indirizza una diversificata serie e quantità di prodotti. Dall’origine dei TIPA Awards, nel 1991, sono trascorsi anni di straordinaria trasformazione tecnica, che si è altresì proiettata sulle indicazioni degli stessi Premi. Il mercato attuale è diverso da quello di sedici anni fa, almeno tanto quanto siamo a propria volta diversi tutti noi. Allora vivevamo e lavoravamo in altro clima tecnologico, che oggi appare assolutamente remoto: pochi i computer in uso quotidiano (e oggi nessuno si muove senza il proprio portatile in valigia), niente telefoni cellulari, assenza di globalizzazione immediata e, soprattutto, vivacità di una fotografia saldamente vincolata all’esposizione di pellicola fotosensibile, che i TIPA Awards analizzavano, ricordiamolo, scomponendola tra bianconero, colore negativo e invertibile (!). La progressione della tecnologia ad acquisizione e gestione digitale delle immagini ha via via determinato e definito anche il cammino dei TIPA Awards, che stagione dopo stagione hanno registrato la sistematica identificazione e distinzione di categorie merceologiche. Tanto per dire, l’originaria divisione tra reflex e compatte, legittima agli albori della fotografia digitale, ha presto ceduto il passo a scomposizioni successive, che nell’attualità dei TIPA Awards 2007 registrano tre diverse categorie di reflex digitali (Nikon D40x, entry level; Pentax K10D, expert; Canon Eos-1D Mark III, professionale) e quattro merceologie per le compatte digitali (Fujifilm FinePix Z5fd, ultra compatta; Nikon Coolpix P5000, compatta; Panasonic Lumix DMC-TZ3, superzoom; Samsung i7, compatta e multimedia). A queste indicazioni fanno corte, ancora, altre configurazioni ad acquisizione digitale di immagini, individuate altrove e altrimenti: il sistema digitale medio formato Hasselblad H3D, l’apparecchio digitale a mirino Leica M8 e l’apparecchio di prestigio Ricoh Caplio GX 100. A seguire, ancora, sono inesorabilmente
digitali il contorno e la gestione dell’immagine, dalle stampanti agli scanner, dai supporti di memoria ai software e ai sistemi di stampa conto terzi; per non parlare, poi, della videoripresa.
SUL MERCATO A parte l’onore tributato ai singoli prodotti fotografici che hanno conquistato i TIPA Awards 2007, che per un anno intero possono vantare questa assegnazione, il ritmo delle trentasei categorie indicate registra una propria ulteriore consecuzione, che non va lasciata perdere. Per quanto, in relazione a ciò che stiamo per analizzare, la cifra possa essere in qualche misura ridotta, ovvero scorporata di alcune categorie di indirizzo dichiaratamente professionale e di mestiere (due esempi, per tutti: il minilab digitale e il chiosco fotografico, nei cui ambiti si sono imposti, rispettivamente, il Fujifilm Frontier 550 e l’HP Photosmart Studio), la riflessione non perde senso, né significato. Per comodità di ragionamento e scaramanzia antica, conserviamo comunque il riferimento ai trentasei premi totali: trentasei come le pose del rullo di pellicola 35mm, appunto per trentasei fotogrammi 24x36mm di straordinaria storia fotografica. E questa sostanziosa cifra esprime una tale e tanta varietà del mercato fotografico potenziale sulla quale riflettiamo. Tra le mani di operatori impreparati e poco capaci, questa quantità può rivelarsi disorientante: tanto da complicare il rapporto tra fotonegoziante e cliente potenziale, che invece dovrebbe (deve!) essere limpido e lineare, oltre che competente. In positivo, tra le mani di operatori attenti, la stessa quantità offre molteplici campi d’azione: tutti rivolti a una straordinaria soddisfazione potenziale del cliente/consumatore, con relativa remunerazione economica per l’intero mercato. Quindi, cosa richiede tutto questo? Presto detto: esige che i singoli fotonegozianti siano sempre più infor-
mati sulle consistenti possibilità tecniche dei singoli strumenti, sì da indirizzare efficacemente i propri clienti, sia nel momento originario della scelta sia in quello conseguente dell’impiego gratificante. Per esempio, il vasto mercato delle compatte digitali, che continua a registrare sostanziali incrementi di vendite (in Italia, più tredici per cento dal 2005 al 2006, e la tendenza è confermata nei primi mesi dell’attuale 2007), non può essere affrontato soltanto in sterili termini di sola risoluzione, ma deve essere vivacizzato alla luce delle ulteriori possibilità tecniche che distinguono le singole linee di prodotto: da quelle specificamente fotografiche alle molteplici integrazioni aggiuntive. Per quanto il fotonegoziante rivendichi un proprio ruolo discriminante di competenza e assistenza, volendosi distinguere in questo dall’imperso-
nale atteggiamento commerciale della grande distribuzione (megastrutture e contorni), non può ignorare che prima dei propri diritti debba esprimere e manifestare consistenti e concreti propri doveri: primi tra tutti quello della competenza tecnica e commerciale e quello dell’intelligenza. Il primo, è un dovere che si può imparare; il secondo, bisogna averlo per sé (di default, per dirla in gergo), e va ulteriormente coltivato. Così che non vorremmo più assistere a scene che ancora recentemente abbiamo registrato in fotonegozi italiani che si comportano con logiche ormai superate, ammesso e non concesso che abbiano mai avuto senso o diritto di esistere. Per esempio, non vorremmo che il cliente che chiede una certa reflex digitale (standard QuattroTerzi, non giriamoci attorno) venga mal appellato. Al caso, si tratta di spie-
Canon Selphy ES1: Stampante fotografica piccolo formato.
Nikon Coolpix P5000: Compatta digitale [ FOTOgraphia, marzo 2007].
TIPA AWARDS 2007 IN SINTESI Reflex digitale entry level . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Nikon D40x Reflex digitale expert . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Pentax K10D Reflex digitale professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Canon Eos-1D Mark III Sistema digitale medio formato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Hasselblad H3D Apparecchio digitale a mirino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Leica M8 Ultra compatta digitale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fujifilm FinePix Z5fd Compatta digitale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Nikon Coolpix P5000 Compatta digitale superzoom . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Panasonic Lumix DMC-TZ3 Compatta digitale multimedia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Samsung i7 Obiettivo entry level . . . . . . . . . . . . . . Nikkor AF-S DX VR 55-200mm f/4-5,6G IF-ED Obiettivo expert . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sigma Macro 70mm f/2,8 EX DG Obiettivo professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Canon EF 16-35mm f/2,8L II USM Apparecchio di prestigio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ricoh Caplio GX100 Design innovativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Olympus µ 770 SW Scanner piano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . HP Scanjet G4050 Stampante fotografica piccolo formato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Canon Selphy ES1 Stampante fotografica expert . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Epson Stylus Pro 3800 Stampante fotografica multifunzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Canon Pixma MP810 Stampante grande formato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . HP Designjet Z3100 Carta inkjet Fine Art . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Hahnemühle Photo Rag Pearl 320 Supporto di memoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lexar Professional UDMA 300x CF Dispositivo di archiviazione e back-up . . . Epson Multimedia Storage Viewer P-5000 Innovazione Imaging . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Samsung Smart Touch User Interface Software . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Apple Aperture 1.5 Gestione del colore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . X-Rite i1PhotoLT Accessorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Manfrotto 190XPROB Accessorio digitale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Delkin SensorScope Videoproiettore expert . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Casio XJ-S35 Videoproiettore professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Jvc DLA-HD1 Pellicola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Kodak Portra II Camcorder expert . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Jvc HD Everio GZ-HD7 Camcorder professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sony HVR-V1E/HDR-FX7E Telefonino fotografico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Nokia N95 Minilab digitale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fujifilm Frontier 550 Chiosco fotografico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . HP Photosmart Studio Monitor . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Eizo ColorEdge CG211
Apple Aperture 1.5 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Software Canon EF 16-35mm f/2,8L II USM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Obiettivo professionale Canon Eos-1D Mark III . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Reflex digitale professionale Canon Pixma MP810 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Stampante fotografica multifunzione Canon Selphy ES1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Stampante fotografica piccolo formato Casio XJ-S35 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Videoproiettore expert Delkin SensorScope . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Accessorio digitale Eizo ColorEdge CG211 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Monitor Epson Multimedia Storage Viewer P-5000 . . .Dispositivo di archiviazione e back-up Epson Stylus Pro 3800 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Stampante fotografica expert Fujifilm FinePix Z5fd . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ultra compatta digitale Fujifilm Frontier 550 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Minilab digitale Hahnemühle Photo Rag Pearl 320 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Carta inkjet Fine Art Hasselblad H3D . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sistema digitale medio formato HP Designjet Z3100 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Stampante grande formato HP Photosmart Studio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Chiosco fotografico HP Scanjet G4050 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Scanner piano Jvc DLA-HD1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Videoproiettore professionale Jvc HD Everio GZ-HD7 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Camcorder expert Kodak Portra II . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pellicola Leica M8 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Apparecchio digitale a mirino Lexar Professional UDMA 300x CF . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Supporto di memoria Manfrotto 190XPROB . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Accessorio Nikkor AF-S DX VR 55-200mm f/4-5,6G IF-ED . . . . . . . . . . . . . . Obiettivo entry level Nikon Coolpix P5000 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Compatta digitale Nikon D40x . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Reflex digitale entry level Nokia N95 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Telefonino fotografico Olympus µ 770 SW . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Design innovativo Panasonic Lumix DMC-TZ3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Compatta digitale superzoom Pentax K10D . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Reflex digitale expert Ricoh Caplio GX100 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Apparecchio di prestigio Samsung i7 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Compatta digitale multimedia Samsung Smart Touch User Interface . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Innovazione Imaging Sigma Macro 70mm f/2,8 EX DG . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Obiettivo expert Sony HVR-V1E/HDR-FX7E . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Camcorder professionale X-Rite i1PhotoLT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gestione del colore
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TIPA È TECHNICAL IMAGE PRESS ASSOCIATION
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entisette qualificate riviste europee di fotografia, di dieci paesi, compongono l’associazione di categoria TIPA (Technical Image Press Association): l’Italia è rappresentata dalla nostra testata e da Fotografia Reflex di Roma, mensile diretto da Giulio Forti. Dall’aprile di quest’anno, l’elenco delle riviste associate è salito a ventotto, da undici paesi: è entrata in TIPA la rivista ungherese Digitalis Photo. Ogni anno, i rappresentanti delle singole testate, riuniti in Assemblea Generale, analizzano i valori tecnici del mercato fotografico e indicano quali sono, a proprio giudizio, i migliori prodotti della stagione. Su indicazione di una attenta commissione interna, l’esperta e valida giuria TIPA, composta dai direttori e/o redattori delle riviste associate, prende in considerazione i prodotti fotografici arrivati sul mercato europeo dall’aprile dell’anno precedente al marzo dell’anno in questione: nello specifico dei premi TIPA 2007, dall’aprile 2006 al marzo 2007. La riunione per i TIPA Awards 2007 si è svolta a metà aprile sull’isola di Maiorca, in Spagna. Erano presenti i rappresentanti delle ventisette riviste associate: Réponses Photo e Chasseur d’Image (Francia); Inpho, Photographie, PhotoPresse, Photo Hits, ProfiFoto e Digit! (Germania); Photographos e Photo Business (Grecia); Digital Photo, Practical Photography, Professional Photographer e Which Digital Camera? (Inghilterra); Fotografia Reflex e FOTOgraphia (Italia); Fotografie, FotoVisie e P/F - Professionele Fotografie (Olanda); Foto (Polonia); Foto/Vendas Digital (Portogallo); Arte Fotográfico, Diorama, Foto/Ventas Digital, FV/Foto-Video Actualidad e La Fotografia (Spagna); FOTOintern (Svizzera).
Nikkor AF-S DX VR 55-200mm f/4-5,6G IF-ED: Obiettivo entry level [ FOTOgraphia, aprile 2007]. Ricoh Caplio GX100: Apparecchio di prestigio [su questo numero, da pagina 59]. Samsung i7: Compatta digitale multimedia. HP Scanjet G4050: Scanner piano [ FOTOgraphia, febbraio 2007].
Hasselblad H3D: Sistema digitale medio formato [ FOTOgraphia, febbraio 2007].
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gare le condizioni tecniche delle diverse configurazioni, sottolineandone le relative peculiarità operative, mai in contrapposizione tra loro. Però, ahinoi, l’intelligenza, non soltanto tecnica, è materia discriminante: c’è chi ce l’ha e chi non sa cosa sia.
PRODOTTI/1 I trentasei TIPA Awards 2007 sono stati assegnati a venticinque marchi della fotografia. Considerata la nostra personale storia professionale, iniziata proprio trentasei anni fa (felice coincidenza di cifre individuali e collettive), è giocoforza sottolineare la consistenza di nomi e riferimenti che appartengono da decenni alla lunga evoluzione tecnica e tecnologica della produzione fotografica: undici marchi, per diciassette premi.
Senza intenzione preconcetta, ma quasi a sottolineare il peso delle sue attuali date, quattro TIPA Awards sono stati assegnati a Canon, che quest’anno celebra la successione dei settant’anni di produzione fotografica (1937-2007), a propria volta allineati ai cinquant’anni di Canon Europa (1957-2007) e venti di sistema Canon Eos (1987-2007): reflex digitale professionale (Canon Eos-1D Mark III; FOTOgraphia, aprile 2007), obiettivo professionale (Canon EF 16-35mm f/2,8L II USM; FOTOgraphia, aprile 2007), stampante fotografica piccolo formato (Canon Selphy ES1) e stampante fotografica multifunzione (Canon Pixma MP810). Tre le affermazioni Nikon, nel novantesimo della sua storia (19172007, altra felice concomitanza, altra coincidenza): reflex digitale entry level (Nikon D40x; su questo stesso numero, da pagina 62), compatta digitale (Nikon Coolpix P5000; FOTOgraphia, marzo 2007) e obiettivo entry level (Nikkor AF-S DX VR 55-200mm f/4-5,6G IF-ED; FOTOgraphia, aprile 2007). Fujifilm ha primeggiato in due categorie: ultra compatta digitale (Fujifilm FinePix Z5fd) e minilab digitale (Fujifilm Frontier 550). Ancora, i marchi storicamente “fotografici”: Olympus, design innovativo (Olympus µ 770 SW); Pentax, reflex digitale expert (Pentax K10D; FOTOgraphia, novembre 2006); Leica, apparecchio digitale a mirino (Leica M8; FOTO graphia, ottobre 2006); Ricoh, apparecchio di prestigio (Ricoh Caplio GX100; su questo stesso numero, da pagina 59); Manfrotto, accessorio (linea di treppiedi Manfrotto 190X PROB); Sigma, obiettivo expert (Sigma Macro 70mm f/2,8 EX DG; FOTOgraphia, febbraio 2007); Kodak, pellico-
la (Kodak Portra II, ultimo residuo di fotografia argentica); Hasselblad, sistema digitale medio formato (Hasselblad H3D; FOTOgraphia, febbraio 2007).
PRODOTTI/2 La globalità dei TIPA Awards 2007 si raggiunge, quindi, con ulteriori quattordici marchi per altri diciannove prodotti. Quattordici marchi di matrice elettronica e/o esplicitamente digitale, che si sono affermati nel mondo fotografico in tempi sostanzialmente recenti (più o meno, ma semplifichiamola anche così). Cominciamo con le produzioni che hanno ricevuto più premi. Tre TIPA Awards a HP (Hewlett-Packard): scanner piano HP Scanjet G4050 (FOTOgraphia, febbraio 2007), stampante grande formato HP Designjet Z3100 (FOTOgraphia, dicembre 2006) e chiosco fotografico HP Photosmart Studio. Due TIPA Awards a Samsung, Epson e Jvc. Con ordine: Samsung Smart Touch User Interface, innovazione Imaging, e Samsung i7, compatta digitale multimedia; Epson Stylus Pro 3800, stampante fotografica expert (FOTOgraphia, novembre 2006), e Epson Multimedia Storage Viewer P-5000, dispositivo di archiviazione e back-up; Jvc DLA-HD1, videoproiettore expert, e Jvc HD Everio GZ-HD7, camcorder expert. Completiamo con le ulteriori segnalazioni dei TIPA Awards 2007: Panasonic Lumix DMC-TZ3, compatta digitale superzoom; Hahnemühle Photo Rag Pearl 320, carta inkjet Fine Art; Casio XJ-S35, videoproiettore expert; Lexar Professional UDMA 300x CF, supporto di memoria; Apple Aperture 1.5, soft-
ware; X-Rite i1PhotoLT, gestione del colore; Delkin SensorScope, accessorio digitale (FOTOgraphia, marzo 2007); Sony HVR-V1E/HDRFX7E, camcorder professionale; Nokia N95, telefonino fotografico (che però richiederebbe una definizione meno semplificata: addirittura, computer multimediale, come abbiamo sottolineato in FOTOgraphia dello scorso luglio 2006); Eizo ColorEdge CG211, monitor. Prima di chiudere, quando ribadiremo la specifica dei prestigiosi e ambìti TIPA Awards, rileviamo che Kodak, con la linea del negativo colore Portra II (migliore pellicola, ma forse anche l’unica che è stata annunciata nel corso degli ultimi dodici mesi), Sigma, con il Macro 70mm f/2,8 EX DG per reflex 24x36mm (e ad acquisizione digitale di immagini), e Manfrotto, con la linea di treppiedi 190XPROB, sono gli unici marchi che rivolgono attenzioni anche, o soltanto, alla fotografia tradizionale argentica. Quante saranno le coincidenti segnalazioni residue ai prossimi TIPA Awards 2008? Nessuna nostalgia, né niente di simile; soltanto un valore statistico, e nulla più. Così va il mondo. Solita conclusione, che ripetiamo ogni anno in occasione della presentazione commentata dei qualificati TIPA Awards. Dall’aggiudicazione, cui fa seguito la cerimonia ufficiale della consegna dei premi, per un anno, fino al prossimo marzo 2008, le aziende produttrici e distributrici possono combinare la presentazione dei relativi vincitori di categoria con l’identificazione ufficiale dei TIPA Awards 2007: «Quando il marchio dei TIPA Awards appare in un annuncio pubblicitario, un pieghevole o sulla confezione di un prodotto, potete esser certi che è stato meritato. I TIPA Awards sono un motivo di orgoglio per chi li attribuisce e per coloro che li ricevono». Antonio Bordoni
Canon Pixma MP810: Stampante fotografica multifunzione. Nikon D40x: Reflex digitale entry level [su questo numero, da pagina 62].
Pentax K10D: Reflex digitale expert [ FOTOgraphia, novembre 2006].
Fujifilm FinePix Z5fd: Ultra compatta digitale.
Olympus µ 770 SW: Design innovativo. Fujifilm Frontier 550: Minilab digitale.
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DALL’ALTO (RICORDANDO NADAR) A
vviata alla fine dello scorso febbraio, la convincente selezione Aeroplanes, balloons, pigeons... è esposta al fino a metà settembre all’attento Musée suisse de l’appareil photographique di Vevey, sul lago di Costanza, uno dei più prestigiosi indirizzi internazionali della fotografia storica e contemporanea (FOTOgraphia, marzo e settembre 2005). Di cosa si tratti, è presto detto: di una approfondita visione di un capitolo affascinante del-
la storia della fotografia, sia espressiva sia tecnica. Questi Aeroplani, aerostati, piccioni..., in traduzione, richiamano esplicitamente la lunga vicenda della fotografia aerea in Svizzera (mostra realizzata con il sostegno di Memoriav, associazione svizzera per la conservazione degli archivi audiovisivi, e Ilford). Attenzione, sull’argomento la centralità svizzera non è casuale, perché nella Confederazione sono attive più scuole di fotografia aerea, appunto: personalmente, all’alba degli anni Settanta visitammo quella di San Gallo. Inoltre, svizzeri sono i più quotati e affermati produttori di apparecchiature speciali e specializzate per fotorilevazione aerea. Come è risaputo, prima di addentrarci in settorialismi nazionali, questo svizzero e altri ancora, la fotografia si alza da terra, osservando dal cielo, nei tardi anni Cinquanta dell’Ottocento, quando, nel 1858 per la precisione, il parigino Nadar sposa la professione di fotografo con la passione per il volo aerostatico. Ne abbiamo riferito tanto di quel tempo fa, nel dicembre 1994 (!), che ora si impone un ripasso.
Nei primi anni del Novecento, sono state realizzate diverse soluzioni per la fotografia dall’alto con apparecchi panoramici a obiettivo rotante fissati sulla pancia di piccioni. In generale, si trattò di sistemi a scatto meccanico programmato.
NADAR Nell’eterogeneo universo dei tanti pionieri della fotografia, il francese Nadar (Gaspard-Félix Tournachon; 1820-1910) rappresenta una personalità in-
Nel proprio complesso, la rassegna Aeroplanes, balloons, pigeons..., al museo di Vevey fino a metà settembre, racconta la lunga epopea della fotografia aerea svizzera, una delle più attente e radicate esperienze del tipo, che si basa su una consistente storia nazionale, tecnica, produttiva e non soltanto. Scartando a lato la consistenza di questa esposizione, con relativo materiale a commento (in luogo e in Rete), andiamo alle origini della fotografia aerea, celebrando soprattutto la figura di Nadar, e poi riflettiamo ancora su un aspetto coinvolgente delle fotografie dallo spazio 43
Osservatore che fotografa dallo Zepp LZ-C-II-2 numero 811, in servizio dal 1920 al 1927. L’aeronautica ha sempre effettuato rilevazioni fotografiche per conto dell’ufficio svizzero di topografia.
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solita e autonoma. Oltre la prepotente identità di raffinato ritrattista, a tutti nota, per esplorare le possibili applicazioni espressive e documentative della fotografia, Nadar accompagnò la propria attività in sala di posa con la continua sperimentazione tecnica. Sue furono le fotografie che per la prima volta illustrarono un testo divulgativo di medicina (Album de photographies pathologiques complémentaire du livre intitulé De l’électrisation localisée, Parigi 1862). E sua fu l’idea di una intervista accompagnata da una sequenza di fotografie. Sotto la sua direzione, nel 1886, il figlio Paul eseguì una serie di ventisette pose destinate a illustrare l’intervista (dello stesso Nadar) al fisico Michel-Eugène Chevreul, incontrato in occasione del centesimo compleanno. Tredici di queste immagini, tutte riprese con pellicola Eastman Kodak che consentiva tempi di otturazione brevi fino a 1/200 di secondo, furono pubblicate il 5 settembre 1886 dal Journal illustré: dodici inquadrature in sequenza di Chevreul e Nadar seduti a un tavolo furono impaginate assieme a un ritratto del celeberrimo fisico. Nadar fu anche tra i primi a intuire le possibilità dell’illuminazione artificiale, in un’epoca nella quale la fotografia dipendeva soltanto dalla luce naturale del sole. In sala di posa usò lampade continue e il lampo al magnesio. Con certezza, un ritratto del 1860 è attribuibile a una illuminazione con luce elettrica, sulle cui possibilità Nadar relazionò nella seduta del ventun dicembre (1860) della Société Français de Photographie. E poi illuminò artificialmente anche le catacombe di Parigi e le sue fogne, dove eseguì rispettive serie fotografiche nel corso del 1861. Le sue lastre 18,5x22,5cm furono esposte con grande pe-
rizia e con un pizzico di invenzione scenografica: uomini in rigorosa immobilità e manichini ben disposti stavano a recitare e simulare situazioni dinamiche “fissate” dallo scatto fotografico (per forza di cose assolutamente prolungato). Convinto assertore delle grandi possibilità di applicazione del volo dei mezzi più leggeri dell’aria, Nadar fece seguire i fatti alle parole, e compì numerose escursioni con il pallone aerostatico. Questa sua idea era talmente fissa da spingerlo ad autoritrarsi a bordo del cesto caratteristico della mongolfiera (per l’occasione saldamente fissato in sala di posa, davanti a un fondo dipinto con un cielo nuvoloso), e da ispirare una celebre caricatura di Honoré Daumier: l’ironico Nadar eleva la fotografia all’altezza dell’Arte raffigura il fotografo che, a bordo di un aerostato, vola su una città pullulante di studi fotografici. Come già l’illuminazione artificiale di luoghi originariamente bui, anche il volo aerostatico si accompagnò con una esperienza fotografica. Di questi due mondi estremi, il sottosuolo di Parigi e il suo sorvolo, Nadar ha lasciato preziose testimonianze scritte, dal cui insieme isoliamo oggi i passaggi che riguardano proprio lo specifico fotografico del volo aerostatico. Leggiamo dalla raccolta di memorie di Nadar Quand j’étais photographe (Flammarion; Parigi, 1900), pubblicata in Italia dagli Editori Riuniti (Quando ero fotografo, a cura di Michele Rago, traduzione di Stefano Santuari; Roma, 1982) e ripubblicata da Anscondita nel 2004; in particolare, dal capitolo Il primo tentativo di fotografia aerostatica. Io avevo intravisto due interessantissime utilizzazioni. A livello strategico, è noto quale fortuna sia per un generale in guerra, trovare il campanile di
Inizio anni Trenta. Piccione con macchina fotografica progettata da Michel, produzione specializzata di Walde, nel cantone di Aargau.
un villaggio sul quale un ufficiale di stato maggiore possa fare le sue osservazioni. Io navigavo sul mio “campanile” e il mio obiettivo poteva scattare, una dopo l’altra, all’infinito, delle immagini su lastre trasmettendole direttamente dalla mia navicella al quartier generale mediante una semplicissima forma di consegna: una scatolina fatta scendere al suolo con una cordicella la quale mi riportava, se necessario, delle istruzioni. Quelle immagini subito ingrandite e proiettate, sotto gli occhi del generale supremo, gli avrebbero potuto presentare l’insieme del suo scacchiere rivelando man mano i piccoli dettagli dell’azione e assicurandogli l’assoluta superiorità nel condurre la partita. [E la seconda applicazione indicata da Nadar riguarda quindi la possibilità di effettuare con facilità rilievi catastali esatti, ndr] [...] Febbrilmente ho predisposto l’allestimento del laboratorio da sistemare nella navicella, giacché non siamo ancora nei tempi felici dei nostri nipoti che disporranno di laboratori tascabili. [...] Fa caldo là sotto, sia per l’operatore, sia per l’operazione. Ma il collodio e gli altri prodotti, immersi nel loro bagno di ghiaccio, non possono rendersene conto. L’obiettivo fissato verticalmente è un Dallmeyer, è detto tutto, e lo scatto della ghigliottina orizzontale che ho ideato (ancora un brevetto!) per aprirlo e chiuderlo di scatto, funziona impeccabilmente. [...] Infine c’è tutto. Tutto è pronto! Salgo... - Prima ascensione; risultato: zero!... - Seconda ascensione: niente!!... - Terza ascensione: nulla!!!... Dapprima sono sorpreso, poi inquieto, ed eccomi terrorizzato... Che succede?... E salgo, risalgo, torno a salire: sempre un fallimento. A ogni nuovo insuccesso, ho un bel cercare, guardare e riguardare: non è stato dimenticato né
trascurato nulla, nessun difetto. Dieci volte, venti volte, i bagni sono stati filtrati, rifiltrati, sostituiti, tutti i prodotti cambiati. [...] Non ammetterò mai che l’obiettivo non mi renda ciò che vede. Evidentemente, non ci può essere altro, non c’è, che un incidente di laboratorio finora inspiegabile. [...] La navicella viene svuotata dalle pietre. Mentre viene trattenuta senza difficoltà, la libero del laboratorio così diligentemente sistemato, dalla tenda, da tutto, perfino dalla famosa ghigliottina orizzontale (brevettata!) che sostituirò con la mia mano! Con me porterò solo la macchina fotografica e la lastra preparata nel telaio. [...] Ho immediatamente aperto e chiuso l’obietti-
Il dirigibile Zeppelin LZ-127, fotografato nel 1933 vicino a Vevey, sul lago di Costanza, da un velivolo militare di ricognizione durante una missione per l’ufficio svizzero di topografia (stampa da negativo originario su vetro 13x13cm realizzata dalla Wild di Heerbrugg).
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Due Mirages IIIRS in formazione sopra il Silsersee, nell’Engadina. Fotografia di Adrian Urscheler, a capo del Servizio Militare Svizzero di Fotografia dell’Aeronautica dal 1976 al 2003. Il tenente-colonnello Adrian Urscheler ha documentato numerose missioni aeree con una Nikon F4 istallata sulla coda del proprio aereo, con videocamera sul mirino per controllare l’inquadratura a distanza.
vo, grido impaziente: - Discesa! Mi tirano a terra. D’un balzo corro fino all’albergo dove trepidante sviluppo l’immagine... Sono felice! C’è qualcosa! Insisto e riprovo: l’immagine a poco a poco appare, indecisa, pallida, ma netta, sicura... [...] Ma come e perché ho potuto ottenere solo in quella disperata occasione ciò che fino allora mi era stato implacabilmente negato? D’improvviso l’illuminazione, e finalmente arrivo alla spiegazione. L’ultima volta, non avendo gas da perdere, salii con la valvola chiusa. Ora, ad ogni mia salita, quell’appendice rovesciava regolarmente sui miei bagni di sviluppo idrogeno solforato: ioduro d’argento con solfuro d’idrogeno, pessima coppia irrimediabilmente condannata a non far figli. Obbligatoriamente, congedandoci da Nadar, ricordiamo lo Sguardo su di Pino Bertelli, pubblicato in FOTOgraphia del febbraio 2004.
IN MOSTRA (E OLTRE) Oltre che per il fascino di un avvincente allestimento scenografico, nel proprio contenuto Aeroplanes, balloons, pigeons... richiama e si riconduce alla sostanziosa collezione di macchine fotografiche aeree conservate ed esposte al Museo. In mostra, una fantastica serie di immagini fornite da istituzioni svizzere, ricche di patrimoni fotografici storici ottimamente conservati e sistematicamente proposti al pubblico: invidiabile (e invidiato) connubio tra
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scienza della conservazione fotografica e competenza svizzera in materia di fotografia aerea. Dai primi timidi esperimenti, con apparecchi fotografici collocati sulla pancia di piccioni addestrati a voli di ricognizione, si passa presto alle rilevazioni a scopo militare e civile, per raggiungere i nostri giorni attuali. La mostra percorre un rigoroso tragitto storico, ripreso dal competente testo di accompagnamento (in luogo e in Rete). Il punto di vista svizzero, pur qualificato, come abbiamo appena certificato, è però privo del capitolo della fotografia dello e dallo spazio, della quale conosciamo il versante statunitense (Nasa), ma non ancora quello sovietico. Analogamente, questa mostra non comprende le rilevazioni aeree della Seconda guerra mondiale, che alcune aeronautiche militari hanno recentemente liberalizzato (a partire dall’inglese Royal Air Force). Ma non importa: la mostra è confortevolmente diversificata, ottimamente storicizzata e adeguatamente appagante. Se proprio vogliamo, aggiungiamo note personali ispirate alle fotografie dallo spazio che, tra tanto altro, hanno accompagnato i nostri anni Sessanta. Sette mesi prima dell’allunaggio di Apollo XI, nel luglio 1969, arrivarono dallo spazio le prime immagini della Terra: si imposero nella memoria di tutti. Nel dicembre 1968, nei giorni delle festività natalizie, nel corso della missione Apollo VIII, gli astronauti si allontanarono dalla Terra tanto da poterla inquadrate tutta intera sullo sfondo nero. E poi, raggiunta l’orbita lunare, dopo aver sorvolato l’emisfero nascosto, videro e fotografarono la Terra che “sorgeva” sopra la luna. Con questo primo controcampo lo sguardo umano non si volgeva più verso l’infinito, bensì verso il luogo finito, lì dove c’erano le radici. Quella piccola sferetta bianca-azzurra-verdegiallina, sospesa sopra il deserto lunare, appariva in tutta la propria preziosa anomalia. Teschi corrosi come quelli della luna dovrebbero essercene molti nel cosmo; la Terra è forse unica. Forse non si vedrà più qualcosa di uguale bellezza. Tutti gli esploratori, Cristoforo Colombo compreso, espressero meraviglia per i nuovi luoghi scoperti. Gli astronauti Frank Borman, James A. Lovell Jr e William A. Anders si commossero nel guardare la Terra. E noi, con loro. Guardando la sferetta colorata si poteva immaginare che tutte le creature viventi ci potessero vivere in simbiosi. Gli allarmi ecologici, che si sarebbero diffusi negli anni seguenti, erano stati preparati da quell’impressione di delicatezza: era facile immaginare che il sottile alone azzurrino potesse bucarsi. Certi slogan politici non si sarebbero espressi come progetti “globali” se non ci fosse stato quello sguardo rivolto alla Terra. Da lontano. Maurizio Rebuzzini Aeroplanes, balloons, pigeons... (escursione sulla fotografia aerea in Svizzera). Musée suisse de l’appareil photographique, Grande Place 99, CH-1800 Vevey, Svizzera; 0041-21-9252140; www.cameramuseum.ch, cameramuseum@vevey.ch. Fino al 17 settembre; martedì-domenica 11,00-17,30, lunedì solo festivi.
MONDO D 48
CANE
istribuita nel tempo, oltre che nello spazio, la serie fotografica con la quale il toscano Gabriele Caproni celebra a proprio modo il mondo animale, concentrandosi sui cani che incontra per la strada, ha un valore fuori dall’ordinario, che va subito sottolineato. I suoi cani sono autenticamente e inviolabilmente tali, cani, e non imitazione di vita umana. Consentitecelo, la differenza non è da poco. Infatti, per lo più, il mondo animale è osservato e pubblicamente apprezzato soprattutto quando e per quanto gli stessi animali smettono di essere se stessi, per mutuare atteggiamenti e comportamenti dell’uomo. In genere, questo è lo spirito delle esibizioni al Circo, là dove nessun animale è naturale, ma sostanzialmente violentato: orsi con gonnellino che ballano a ritmo di musica, scimmiette con abiti da bambino che compiono gesti della vita umana quotidiana e via discorrendo. Lo stesso motivo conduttore definisce e caratterizza molte edizioni librarie a tema, appunto confezionate per offrire una visione addol-
cita del mondo animale; il basso profilo di queste monografie illustrate, addirittura terribile e profanante, si rivolge a un pubblico di mentalità e orientamento analogamente devastato. Per questo, l’osservazione originaria va ripetuta e rimarcata: raccolti e riuniti in una affascinante galleria fotografica, itinerante nel circuito espositivo della fotografia non professionale italiana, i cani di Gabriele Caproni sono lontani e estranei da questa compiacenza. I cani di Gabriele Caproni non ammiccano, perché l’autore rispetta la loro dignità e personalità, appunto rappresentata in educata forma fotografica. A proprio modo, ognuno per sé e tutti insieme nell’incessante sequenza di immagini, ciascun cane afferma una inviolata dignità e personalità. Così che, le fotografie di Gabriele Caproni, classe 1966, socio del prestigioso Gruppo Fotografico Leica, arrivano a disegnare e definire un autentico mondo, parallelo e coabitante con la nostra stessa vita, che si svolge da sé e che è costellato di piccoli o grandi riti dell’esistenza animale. Certamente, non è
Ovviamente, cani domestici. Cani che accompagnano la vita dei propri padroni. Però, e soprattutto, cani che rimangono inviolabilmente tali, e non sono osservati e fotografati per la compiacenza di eventuali concessioni ad altri loro comportamenti. Le fotografie di Gabriele Caproni osservano e documentano la vita dei cani nel rispetto della legittima personalità animale. Lezione di etica, stile (anche fotografico) e abilità (anche fotografica) 49
più un mondo propriamente naturale, ma un mondo che deve fare i conti esistenziali con il proprio contenitore: ovvero, con l’inevitabile rapporto che lega e collega i cani ai propri padroni, e che ne guida i comportamenti. Lo sguardo dell’autore si rivolge e sofferma proprio in questa direzione: Gabriele Caproni mette la propria fotografia a servizio. Tutto sommato, non esprime giudizi di merito, anche se l’apprezzamento dei soggetti e la complicità con la loro esistenza è manifesta e palese. Invece, e più concretamente, l’autore registra, documenta, incasella e mette in ordine. Fino a che la cadenza originaria delle sue tante fotografie, che qui presentiamo in forma e quantità obbligatoriamente selezionate, definisce un ritmo di visione in una certa misura accompagnatorio. Fotografo nel momento attivo della propria azione visiva, Gabriele Caproni diviene garbata guida nei tempi successivi della visione. Questo è lo spirito, senso e spessore della sua fotografia, che è autenticamente tale, appunto fotografia, per quel naturale racconto di vita che esprime applicando il proprio linguaggio
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specifico: colpo d’occhio, punto di vista, composizione e geometria all’interno dello spazio definito dell’inquadratura. Non scomodiamo qui inutili e superflue note critiche, che dal concreto della nostra osservazione potrebbero anche partire per effimeri voli tangenti, quelli delle parole vuote che significano nulla, non soltanto poco. Al cospetto di questa serena declinazione diretta della fotografia, che non intende raffigurare la Storia, ma raccontare storie da condividere, è soprattutto il caso di congratularsi con l’autore. È soprattutto il caso di esprimere quella gratitudine che si riserva a coloro i quali, fotografi e non solo, non salgono in cattedra, ma hanno l’umiltà di stare accanto e al fianco dei propri interlocutori, che accompagnano in percorsi comuni. Nessuno è maestro, nessun altro allievo, e tutti insieme godiamo del dare (uno) e ricevere (gli altri). Stiamo con Gabriele Caproni, nel rispetto dei suoi soggetti: ovvero nell’apprezzamento del mondo cane, che dipende dal nostro mondo, è pur vero, ma non ne ricalca gli stilemi. Angelo Galantini
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al centro
della fotografia
tra attrezzature, immagini e opinioni. nostre e vostre.
AL CINEMA!
Individuati da Filippo Rebuzzini in una identificata serie di film, e distribuiti in nove pannelli tematici, trecentosessanta fotogrammi certificano come e quanto il fenomeno della presenza della fotografia all’interno di sceneggiature e scenografie sia un capitolo vasto e diversificato: una volta ancora, tutto da indagare. Brio e freschezza di cui fare tesoro
A
llestita in prima nazionale alla Galleria Grazia Neri di Milano, dalla fine dello scorso gennaio, come già raccontato, la selezione Fotografia & Cinema. Fotogrammi celebri ha appunto posto l’accento sulla raffigurazione della fotografia nel cinema. Siccome questa combinazione di quarantacinque immagini e nove pannelli da quaranta fotogrammi ciascuno sta per essere esposta in altre sedi, è opportuno un ulteriore commento, complementare al nostro originario (in FOTOgraphia del dicembre 2006). Anzitutto, annotiamo che in ogni sede espositiva, la quantità di materiale fotografico proposto potrebbe anche aumentare, in relazione allo spazio a disposizione. Ma non cambiano lo spirito di fondo e le tematiche sintetizzate. Quindi, sottolineiamo qui il senso e valore dei pannelli attraverso i quali Filippo Rebuzzini, curatore della mostra insieme a Maurizio Rebuzzini, ha alleggerito lo sguardo e ha offerto brillantezza a una visione che avrebbe potuto rinchiudersi in una infausta seriosità accademica. Nei nove pannelli predisposti da Filippo Rebuzzini, che oggi proponiamo in un ordine diverso dall’originario, più vicino alla consecuzione giornalistica che a quella espositiva, la fotografia nel cinema non risponde a confini prestabiliti e, dunque, spazia senza soluzione di continuità. Da questa pagina, e per altre quattro pagine a seguire, incontriamo la fotografia nei titoli di testa e coda di alcuni film, la fotografia di guerra, la componente giudiziaria, l’apparecchio fotografico tra le mani di attori noti, i gruppi fotografici, le stampe, i dettagli e l’autentica fotografia protagonista della sceneggiatura. Quanta freschezza di visione! A.G.
TESTA E CODA Attenzione ai titoli di testa e coda, che spesso si appoggiano alla fotografia. A volte, in modo assolutamente casuale; altre volte, no. Cinque esempi di combinazione fotografica pertinente. Uno: allegre fototessera da cabina sui titoli di testa di Sballati d’amore (A Lot Like Love, di Nigel Cole, 2005), film nel quale la fotografia è il filo che lega i balzi temporali della contraddittoria ricorsa tra la disinvolta Emily Friehl (Amanda Peet) e il confuso Oliver Martin (Ashton Kutcher) [01...04]. Due: sui titoli di coda di Il favoloso mondo di Amélie ( Le fabuleux destin d’Amélie Poulain, di Jean-Pierre Jeunet, 2001) scorrono le fototessere degli attori interpreti della vicenda, appunto costruita attorno cabine automatiche, così come le conserva nel proprio album Nino Quincampoix (Mathieu Kassovitz) [05...09; FOTOgraphia, ottobre 2005]. Tre: fotografie di Richard Avedon accompagnano i titoli di testa di Cenerentola a Parigi ( Funny Face, di Stanley Donen, 1957), alla cui produzione il celebre fotografo newyorkese ha altresì partecipato come consulente del colore e degli effetti fotografici [10...22]. Quattro: i titoli di coda di Rain Man (di Barry Levinson, 1988) visualizzano le fotografie che l’autistico Raymond Babbitt (Dustin Hoffman) scatta durante il film [23...36]. Cinque, e fine: la grafica di One Hour Photo (di Mark Romanek, 2002) richiama subito e prontamente sia l’elemento fotografico (la caratteristica identificazione incisa sul bordo della pellicola 35mm) sia la consecuzione dei colori nel processo di sviluppo e stampa [37...40; FOTOgraphia, novembre 2002].
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SCENE DI GUERRA Nelle concitate fasi di una cruenta battaglia, il soldato-fotografo Joe Galloway (Barry Pepper) abbandona la propria Nikon F Photomic, per imbracciare un’arma. Viene ritrovata da un commilitone, che gliela restituisce. È con questa che in We Were Soldiers (guerra in Vietnam; di Randall Wallace, 2002) ha osservato e documentato l’efferatezza degli scontri [01...09]. Diverse sono le condizioni della guerriglia in centro America ( Salvador, di Oliver Stone, 1986), nelle quali i fotoreporter Richard Boyle (James Woods) e John Cassady (John Savage) si muovono tra combattimenti e accampamenti di guerriglieri [10...22]. Attenzione: il tema di Salvador fa gruppo/genere omogeneo con Sotto tiro (di Roger Spottiswoode; Usa, 1983), Urla del silenzio (di Roland Joffé; Gran Bretagna, 1985) e Un anno vissuto pericolosamente (di Peter Weir; Australia, 1982). Altrettanto particolare è la guerra civile in Libano, tra le cui pieghe agisce l’agente della Cia Tom Bishop (Brad Pitt), che si nasconde dietro la facciata di fotoreporter inviato: Spy Game, di Tony Scott, 2001 [23...27]. Ancora Vietnam, con contorno fotografico, nei cinematografici Full Metal Jacket (di Stanley Kubrick, 1987) [28...36] e Apocalypse Now (di Francis Ford Coppola, 1979) [37...40], con le rispettive visualizzazioni dei soldati-fotografi Joker (Matthew Modine) e Pyle (Vincent D’Onofrio) e di un fotoreporter tra i guerriglieri del colonnello Kurtz (Dennis Hopper).
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GIUDIZIARIA Fotografia antropometrica, giudiziaria e dintorni, in tre esempi allegri da commedia, e uno con slittamento necrofilo. Cabina per fototessere in Il lungo addio ( The Long Goodbye, di Robert Altman, 1973), curiosamente installata nella stazione di polizia, dove viene usata per le rituali segnaletiche degli arrestati: fronte, profilo destro e sinistro, in una sequenza di scatti successivi con relativo cambio di posa (Philip Marlowe / Elliott Gould) [01...18]. Classica polaroid del sequestrato, con quotidiano del giorno: il cacciatore di taglie Marvin Dorfler (John Ashton) e il contabile Jonathan Mardukas (Charles Grodin), in fuga dalla mafia, in Prima di mezzanotte ( Midnight Run, di Martin Brest, 1988) [19...22]. La fotografia segnaletica compone il preambolo di Arizona Junior ( Raising Arizona, di Joel Coen, 1987). Per qualche secondo, fotogramma fisso su un tabellone graduato da segnaletica. Immediatamente, appare H.I. McDunnough (Nicolas Cage), con tanto di pannello identificativo. La scena si ripete più volte e introduce la vicenda, che avvicina lo sfortunato malvivente all’agente di polizia Edwina/Ed (Holly Hunter) [23...31; FOTOgraphia, settembre 2006]. Infine, in Era mio padre ( Road to Perdition, di Sam Mendes, 2002), il killer assoldato dalla mafia per rintracciare e uccidere Michael e Michael Jr Sullivan (Tom Hanks e Tyler Hoechlin) è anche un crudele necrofilo, che prova intima soddisfazione per l’immagine della morte. Per l’appunto, Harlen Maguire (Jude Law) uccide per poter fotografare la morte. Raggiunti i fuggitivi, li attende al varco, preparando preventivamente la Speed Graphic, in modo da poter “immortalare” la propria opera [32...40; FOTOgraphia, novembre 2005].
ATTORI IN SCENA In due pannelli, gesti della fotografia, non necessariamente fondamentali della sceneggiatura (o scenografia), che rappresentano sia la qualità sia la quantità della sua presenza nella raffigurazione cinematografica. Volti e situazioni di taglio alto, come anche visioni di profilo. Ce n’è per tutti i gusti. [01] (dalla folla): Ultimatum alla Terra, di Robert Wise, 1951 [02] Gwyneth Paltrow (Polly Perkins): Sky Captain and the World of Tomorrow, di Kerry Conran, 2004 [03] Dan Aykroyd (dottor Raymond Stantz): Ghostbusters - Acchiappafantasmi, di Ivan Reitman, 1984 [04] (Dean McCoppin): Il gigante di ferro, di Brad Bird, 1999 [05] Hugh Mitchell (Colin Creevery): Harry Potter e la camera dei segreti, di Chris Columbus, 2002 [06] Jack Nicholson (dottor Buddy Rydell): Terapia d’urto, di Peter Segal, 2003 [07] Bill Murray (Steve Zissou): Le avventure acquatiche di Steve Zissou, di Wes Anderson, 2004 [08] Vondie Curtis-Hall (venditore): Il principe cerca moglie, di John Landis, 1988 [09] Marc McClure (Jimmy Olsen): Superman, di Richard Donner, 1978 [10] (soldato-fotografo): Il pianeta delle scimmie, di Franklin J. Schaffner, 1968 [11] Kristen Johnston (Wilma Slaghoople): I Flintstones in Viva Rock Vegas, di Brian Levant, 2000 [12] Dean Cundey (fotografo): Ritorno al futuro parte III, di Robert Zemeckis, 1990 [13] Dennis Quaid (tenente Tuck Pendleton): Salto nel buio, di Joe Dante, 1987 [14] James Cromwell (Warden Hazen): L’altra sporca ultima meta, di Peter Segal, 2005 [15] Julia Roberts (Anna Cameron): Closer, di Mike Nichols, 2004 [16] (fotografo): Amarcord, di Federico Fellini, 1973 [17] (prigioniero): Fuga per la vittoria, di John Huston, 1981 [18] Alan Blumenfeld (passante): Salto nel buio, di Joe Dante, 1987 [19] Virginie Ledoyen (Françoise): The Beach, di Danny Boyle, 2000 [20] (fotografo): Great Balls of Fire! - Vampate di fuoco, di Jim McBride, 1989 [21] Marlon Taylor (Michael “Mike” Hanlon, a dodici anni): It, di Tommy Lee Wallace, 1990 [22] (fotografo di cronaca): Mio cugino Vincenzo, di Jonathan Lynn, 1992 [23] (fotografo): Hitch - Lui sì che capisce le donne, di Andy Tennant, 2005 [24] Bill Murray (dottor Peter Venkman): Ghostbusters II - Acchiappafantasmi II, di Ivan Reitman, 1989 [25] John Ashton (Marvin Dorfler): Prima di mezzanotte, di Martin Brest, 1988 [26] Justin Timberlake (Josh Pollack): Edison City, di David J. Burke, 2005 [27] Mel Gibson (Jerry Fletcher): Ipotesi di complotto, di Richard Donner, 1997 [28] Drew Barrymore (Nancy Kendricks): Duplex, di Danny DeVito, 2003 [29] Julia Roberts (Isabel Kelly): Nemiche amiche, di Chris Columbus, 1998 [30] Blancard Ryan (Susan): Open Water, di Chris Kentis, 2003 [31] (passante): Planet of the Apes - Il pianeta delle scimmie, di Tim Burton, 2001 [32] Nicholas Gonzalez (dottor Ben Douglas): Anaconda: Alla ricerca dell’orchidea maledetta, di Dwight H. Little, 2004 [33] Holly Hunter (agente Edwina / Ed): Arizona Junior, di Joel Coen, 1987 [34] Greg Gorman (fotografo): Tootsie, di Sydney Pollack, 1982 [35] Isabelle Huppert (Caterine Vauban): Le strane coincidenze della vita, di David O. Russell, 2004 [36] Thelma Ritter (Stella): La finestra sul cortile, di Alfred Hitchcock, 1954 [37] Leonardo DiCaprio (Richard): The Beach, di Danny Boyle, 2000 [38] Nicolas Cage (Ben Gates): Il mistero dei templari, di Jon Turteltaub, 2004 [39] Julia Roberts (Anna Cameron): Closer, di Mike Nichols, 2004 [40] Flora Guiet (Amélie, a sei anni): Il favoloso mondo di Amélie, di Jean-Pierre Jeunet, 2001 [01] [02] [03] [04] [05] [06] [07] [08] [09] [10] [11] [12] [13] [14] [15] [16] [17] [18] [19] [23] [24] [25] [26] [27] [28] [29] [30] [31] [32] [33] [34] [35] [36] [37] [38] [39] [40]
Beverly Sanders (fotografa): I Flintstones in Viva Rock Vegas, di Brian Levant, 2000 Marc McClure (Jimmy Olsen): Superman, di Richard Donner, 1978 Amanda Peet (Emily Friehl): Sballati d’amore, di Nigel Cole, 2005 Candice Bergen (Margaret Bourke-White): Gandhi, di Richard Attenborough, 1982 Enzo Turco (Don Pasquale): Miseria e nobiltà, di Mario Mattoli, 1954 Totò (Don Felice Sciosciammocca): Miseria e nobiltà, di Mario Mattoli, 1954 Connie Nielsen (Nina Yorkin): One Hour Photo, di Mark Romanek, 2002 Robert De Niro (Wayne “Mad Dog” Dobie): Lo sbirro, il boss e la bionda, di John McNaughton, 1993 Michael Vartan (Will Yorkin): One Hour Photo, di Mark Romanek, 2002 (fotografo): Amarcord, di Federico Fellini, 1973 Linda Kozlowski (Sue Charlton): Mr. Crocodile Dundee, di Peter Faiman, 1986 Julia Roberts (Isabel Kelly): Nemiche amiche, di Chris Columbus, 1998 Robin Williams (Seymour “Sy” Parrish): One Hour Photo, di Mark Romanek, 2002 Isabelle Huppert (Caterine Vauban): Le strane coincidenze della vita, di David O. Russell, 2004 (fotografa): Schindler’s List, di Steven Spielberg, 1993 Brad Pitt (Tom Bishop): Spy Game, di Tony Scott, 2001 Dermot Mulroney (Randall Hertzel): A proposito di Schmidt, di Alexander Payne, 2002 Michael Paul Chan (Mr. Wang): I Goonies, di Richard Donner, 1985 Cameron Blakely (fotografo di cronaca rosa): Sua maestà viene da Las Vegas, di David S. Ward, 1991 Roger Ashton Griffiths (fotografo): Sua maestà viene da Las Vegas, di David S. Ward, 1991 Jude Law (Harlen Maguire): Era mio padre, di Sam Mendes, 2002 Bernard Hocke (fotogiornalista): La leggenda di Bagger Vance, di Robert Redford, 2000 Eva Mendes (Sara): Hitch - Lui sì che capisce le donne, di Andy Tennant, 2005 John Savage (John Cassady): Salvador, di Oliver Stone, 1986 Nicolas Cage (Ben Gates): Il mistero dei templari, di Jon Turteltaub, 2004 Franco Branciaroli (Laszlo Apony): La chiave, di Tinto Brass, 1983 Noriko Sakai (Ayaka Satomi): Premonition, di Norio Tsuruta, 2004 (fotografo a bordo campo): Ogni maledetta domenica, di Oliver Stone, 1999 James Woods (dottor Harvey Mandrake): Ogni maledetta domenica, di Oliver Stone, 1999 Vincent D’Onofrio (Pyle): Full Metal Jacket, di Stanley Kubrick, 1989 Tobey Maguire (Peter Parker / Spider-Man): Spider-Man, di Sam Raimi, 2002 Diane Keaton (Annie Hall): Io e Annie, di Woody Allen, 1977 Bill Murray (John Winger): Stripes - Un plotone di svitati, di Ivan Reitman, 1981 Linda Kozlowski (Sue Charlton): Mr. Crocodile Dundee, di Peter Faiman, 1986 Nicholas Benvenuto (fotografo): ... E alla fine arriva Polly, di John Hamburg, 2004 Matthew Broderick (Niko Tatopoulos): Godzilla, di Roland Emmerich, 1998 Gian Maria Volonté (capo della Sezione Omicidi): Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, di Elio Petri, 1970
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IN GRUPPO Tante sono le fotografie di gruppo nel cinema, presenti senza soluzione di continuità nelle rievocazioni di tutte le epoche storiche (dalla seconda metà dell’Ottocento, ovviamente). Gruppo scolastico da Amarcord (di Federico Fellini, 1973), del quale andrebbe annotato anche il dialogo [01...09]. Generazioni in posa in La famiglia (di Ettore Scola, 1987), dove il fotografo è interpretato da Maurizio Berlincioni, che nella vita reale è proprio un fotografo professionista [10...18]. Fotoricordo degli alieni parodistici di Mars Attacks! (di Tim Burton, 1996), davanti al Taj Mahal, in India, prontamente distrutto [19...22]. Altra fotografia di Famiglia (questa volta con la maiuscola), al matrimonio di Connie Corleone (Talia Shire), dal quale prende avvio la saga di Il padrino ( The Godfather, di Francis Ford Coppola, 1972) [23...27]. Da Il buono, il brutto e il cattivo (di Sergio Leone, 1966), rotazione dell’avambraccio del fotografo, che raffigura un tempo lungo di posa ripetibile, con soldati in posa-ricordo [28...31]. Infine, in Sua maestà viene da Las Vegas ( King Ralph, di David S. Ward, 1991), l’intera famiglia reale britannica viene sterminata all’inizio del film, sui titoli di testa, durante una sessione fotografica all’aperto: corto circuito a contatto con il terreno bagnato da una delle proverbiali piogge londinesi [32...40].
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CON LE STAMPE L’avvincente narrazione di One Hour Photo (di Mark Romanek, 2002) mette in scena un’ossessione. Seymour “Sy” Parrish vive un’esistenza riflessa alla famiglia Yorkin, che conosce e ama attraverso le fotografie che la moglie Nina gli porta a sviluppare. Contravvenendo la deontologia del mestiere, oltre le copie che consegna, stampa una propria serie aggiuntiva. Attraverso queste serene istantanee, con le quali allestisce un inquietante teatrino su una parete di casa, partecipa alla/della vita altrui, ritagliandosi una sorta di ruolo di ipotetico e amato “zio” [01...13; FOTOgraphia, novembre 2002]. Particolare è la testimonianza di esistenza che attraversa le scenografie di Ritorno al futuro e Ritorno al futuro parte III ( Back to the Future Part III, di Robert Zemeckis, 1985 e 1990), nelle quali le ipotesi del presente e futuro, che dipendono da avvenimenti del passato, dove è stato proiettato il protagonista Marty McFly (Michael J. Fox), sono appunto visualizzate dalla sparizione e riapparizione alternata dei soggetti di alcune fotoricordo e fotografie pubblicate su giornali [14...22]. In Smoke (di Wayne Wang; 1995), Auggie Wren (Harvey Keitel) mostra i propri album a Paul Benjamin (William Hurt): l’angolo della tabaccheria The Brooklyn Cigar Co, fotografato ogni mattina alle otto. «Sono tutte uguali». [...] «Non capirai mai se non rallenti, mio caro. [...] Questo è il mio consiglio. Sai com’è: domani e domani e domani, il tempo scorre a piccoli passi» [23...27; FOTOgraphia, novembre 2003]. Quel che si dice un album di famiglia, tra le mani di Amélie Poulain (Audrey Tautou). Immagini sostanzialmente casuali, prese a pretesto per un racconto delicato e coinvolgente. Il favoloso mondo di Amélie ( Le fabuleux destin d’Amélie Poulain, di Jean-Pierre Jeunet, 2001) usa l’elemento fotografico come substrato poetico per raccontare la Vita. [28...36; FOTOgraphia, ottobre 2005]. Dalla sala di posa alle copertine di periodici statunitensi: Dorothy Michaels / Michael Dorsey (Dustin Hoffman), e anche Andy Warhol, in Tootsie (di Sydney Pollack, 1982) [37...40].
IN DETTAGLIO Inquadrature sostanzialmente ravvicinate, che accentuano l’elemento fotografico presente in scenografia. Proprio di questo si tratta: di evidenza scenografica della quale la fotografia fa prezioso tesoro (ci sono anche film di animazione). [01] [05] [06] [07] [08] [09] [10] [11] [12] [13] [14] [15] [16] [17] [18] [19] [20] [21] [22] [23] [24] [25] [26] [27] [28] [29] [32] [33] [34] [35] [36] [37]
Closer, di Mike Nichols, 2004 One Hour Photo, di Mark Romanek, 2002 Closer, di Mike Nichols, 2004 One Hour Photo, di Mark Romanek, 2002 One Hour Photo, di Mark Romanek, 2002 Closer, di Mike Nichols, 2004 Il favoloso mondo di Amélie, di Jean-Pierre Jeunet, 2001 I Flintstones in Viva Rock Vegas, di Brian Levant, 2000 Tu chiamami Peter, di Stephen Hopkins, 2004 Great Balls of Fire! - Vampate di fuoco, di Jim McBride, 1989 I Flintstones in Viva Rock Vegas, di Brian Levant, 2000 La finestra sul cortile, di Alfred Hitchcock, 1954 La finestra sul cortile, di Alfred Hitchcock, 1954 Salvador, di Oliver Stone, 1986 La finestra sul cortile, di Alfred Hitchcock, Fuga per la vittoria, di John Huston, 1981 Sky Captain and the World of Tomorrow, di Kerry Conran, 2004 Sky Captain and the World of Tomorrow, di Kerry Conran, 2004 Madagascar, di Eric Darnell e Tom McGrath, 2005 It, di Tommy Lee Wallace, 1990 Era mio padre, di Sam Mendes, 2002 Terapia d’urto, di Peter Segal, 2003 Il gigante di ferro, di Brad Bird, 1999 Era mio padre, di Sam Mendes, 2002 La chiave, di Tinto Brass, 1983 Premonition, di Norio Tsuruta, 2004 Era mio padre, di Sam Mendes, 2002 Nemiche amiche, di Chris Columbus, 1998 Prima di mezzanotte, di Martin Brest, 1988 Spider-Man, di Sam Raimi, 2002 Sky Captain and the World of Tomorrow, di Kerry Conran, 2004 Schindler’s List, di Steven Spielberg, 1993
È FOTOGRAFIA Autentico soggetto principale, o quasi, la fotografia è uno degli elementi discriminanti delle affascinanti sceneggiature di Smoke (di Wayne Wang, 1995; FOTOgraphia, novembre 2003), One Hour Photo (di Mark Romanek, 2002; FOTOgraphia, novembre 2002) e La finestra sul cortile ( Rear Window, di Alfred Hitchcock, 1954; FOTOgraphia, marzo 2007). Con ordine. Augustus “Auggie” Wren (Harvey Keitel) è l’ammaliante tabaccaio d’angolo di Smoke, che ogni mattina, alle otto in punto, fotografa l’incrocio dove si affacciano le vetrine del suo negozio The Brooklyn Cigar Co [01...13]. Seymour “Sy” Parrish (Robin Williams) è il paranoico addetto al servizio minilab presso un lindo e asettico centro commerciale della provincia statunitense, dal quale partono le azioni di One Hour Photo. Affronta lo sviluppo e la stampa con grande serietà. Svolge il proprio lavoro con cura e meticolosità, preoccupandosi che ogni fotogramma rappresenti in modo adeguato un momento nel tempo [14...31]. Fotoreporter immobilizzato da un incidente sul lavoro, oltre il binocolo, L.B. Jefferies (James Stewart) usa il teleobiettivo per scrutare l’intimità degli appartamenti di fronte al suo. In La finestra sul cortile scopre un omicidio e resiste a una aggressione, difendendosi a colpi di flash a lampadine [32...40]
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ettiamola anche così. Nelle possibili, probabili e legittime identificazioni di mercato, la nuova Ricoh Caplio GX100 può essere iscritta in diverse categorie, in ognuna delle quali le sue caratteristiche tecniche e di uso primeggiano. Anzitutto si possono considerare le dimensioni straordinariamente ridotte, con spessore di soli due centimetri e mezzo: quindi, ultra compatta digitale. A ridosso, e in combinazione, si può dare visibilità primaria all’escursione dello zoom, che esordisce alla consistente ampia visione angolare della focale 24mm (equivalente alla fotografia 24x36mm), con ulteriore ag-
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giuntivo ottico che spazia ancora oltre: dall’equivalente 19mm! Ancora, è fantastica, dal punto di vista operativo, la combinazione con l’efficace mirino elettronico removibile (attenzione, mirino LCD), accessorio opzionale ma indispensabile, a inclinazione variabile, che la trasforma in autentica reflex in miniatura (!). Tant’è che la qualificata e severa giuria dei TIPA Awards 2007, sulle cui consistenti indicazioni ci soffermiamo su questo stesso numero, da pagina 34, ha premiato la Ricoh Caplio GX100 come apparecchio (digitale) di prestigio: appunto, prestigio delle proprie caratteristiche e prestazioni potenziali. Ripetiamone la motivazione (Best Prestige Camera):
Prima compatta digitale con efficace e avvincente mirino removibile e zoom grandangolare equivalente all’escursione 2472mm della fotografia 24x36mm, ulteriormente riducibile a 19mm (!) con aggiuntivo ottico opzionale, la Ricoh Caplio GX100 si impone e afferma come configurazione fotografica di straordinario prestigio, come sottolinea anche l’ambìto TIPA Award 2007 ottenuto. È una compatta (ma reflex in miniatura) capace di fare una autentica differenza, così come, a ritroso, hanno fatto la differenza le configurazioni della propria genìa: dalla recente Caplio GR Digital, con 28mm equivalente fisso (e 21mm opzionale), alle originarie GR1/ GR1s e GR21 per fotografia 24x36mm, entrambe con efficace grandangolare fisso, rispettivamente 28 e 21 millimetri
ZOOM GRANDANGOLARE (E ALTRO) «La Ricoh Caplio GX100 è una delle pochissime compatte digitali dotate di un vero obiettivo zoom grandangolare, che parte da 24mm (equivalente). Addirittura, lo speciale aggiuntivo ottico opzionale (focale 19mm) permette di scattare fotografie realmente ultragrandangolari. La Caplio GX100 è anche la prima compatta digitale dotata di un mirino elettronico mobile, che facilita la ripresa in ambienti molto luminosi e in esterni. Allo stesso tempo, offre una copertura del
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cento per cento dell’immagine senza errore di parallasse e con un display informativo simile a un monitor LCD».
ANZITUTTO Nel corpo macchina estremamente compatto, di soli 25mm di spessore, ereditato dalla nobile genìa GR1, GR1s e GR21 (per fotografia 24x36mm; FOTOgraphia, maggio 2001; rispettivamente TIPA Award 1997 e 2001) e dalla precedente Caplio GR Digital con grandangolare fisso 28mm equivalente (FOTOgraphia, dicembre 2005; TIPA Award 2006), la nuova Ricoh Caplio GX100 racchiude un efficace zoom grandangolare 5,1-15,3 millimetri f/2,5-4,4: equivalente all’escursione 24-72mm della fotografia 24x36mm, come abbiamo appena annotato ulteriormente allargabile a 19mm con l’aggiuntivo ottico dedicato (pratico accessorio opzionale). Nelle proprie undici lenti divise in sette gruppi, la costruzione ottica dello zoom di nuova concezione comprende lenti con superfici asferiche e lenti a basso indice di dispersione con elevato indice di rifrazione. Questa configurazione ottimale corregge le distorsioni, l’aberrazione cromatica residua e la riduzione della luce ai margini estremi dell’inquadratura grandangolare. Il sensore CCD di acquisizione digitale a colori primari da 1/1,75 di pollice, con risoluzione di 10,01 Megapixel ef-
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fettivi (10,3 Megapixel totali), si abbina all’efficace sistema/ motore avanzato di elaborazione delle immagini Smooth Imaging Engine II, tecnologia proprietaria Ricoh. Ne conseguono immagini definite da un basso livello di rumore e alta qualità formale, che riproducono con precisione e raffinatezza anche i minimi dettagli dell’inquadratura. Alternativo al monitor LCD da 2,5 pollici, con 230.000 pixel, con ampio angolo visuale di 170 gradi, il mirino elettronico removibile VF-1 (mirino LCD) offre una visione diretta dell’inquadratura, utile e pratica per chi (noi tra questi!) non gradiscono la composizione su monitor, appunto. Accessorio opzionale, quanto indispensabile (così la pensiamo), il mirino elettronico removibile è altresì inclinabile: con variazione di novanta gradi, dalla osservazione standard alla visione dall’alto. Quindi, il mirino offre una copertura del cento per cento del campo inquadrato, senza errori di parallasse, con abbinamento alla variazione focale. Al suo interno sono riproponibili le informazioni multiple del monitor LCD posteriore.
DIGITALE La Ricoh Caplio GX100 si propone e offre per impieghi di taglio alto,
ulteriori a quelli semplificati propri e caratteristici della proposizione tecnica in forma compatta digitale. Al pari delle configurazioni dalle quali deriva (ideologicamente), non si limita alla comune fotoricordo e dintorni, ma si proietta a impieghi, diciamo così, professionali, in appoggio a dotazioni reflex di spessore. Così come, in un recente passato, l’originaria Ricoh GR1/GR1s è stata adottata da professionisti internazionali, soprattutto fotogiornalisti, questa Caplio GX100 sottolinea l’efficacia e la qualità della propria visione fotografica che esordisce nell’inquadratura ipergrandangolare, approdando a un avvicinamento medio tele (cui si può aggiungere la regolazione zoom digitale fino a 4x). In senso digitale, è così possibile acquisire immagini in diverse combinazioni di risoluzione e compressione. Soprattutto, per la massima qualità di immagine, è possibile selezionare sia la compressione Jpeg, sia il formato grezzo RAW, sia la combinazione dei due formati simultanei, RAW con Jpeg. Slot per schede di memoria SD (al momento, fino a 2Gb), SDHC (4Gb) e Multi Media Card, oltre la memoria interna d’appoggio, da 26Mb). Si possono impostare i formati di inquadratura e composizione in rapporto 3:2, corrispondente alla fotografia tradizionale 24x36mm, e 1:1. In ogni condizione, è attiva la funzione di correzione delle vibrazioni, basata sullo spostamento controllato del sensore CCD. In pratica, quando viene rilevato il micromosso involontario dell’apparecchio,
il sistema proprietario Ricoh di spostamento del CCD muove il sensore di acquisizione nella direzione opposta alla vibrazione, correggendola. Ne conseguono e risultano immagini nitide e incise anche in condizioni di ripresa con selezione teleobiettivo al massimo livello di ingrandimento, in fotografia macro e ai più lunghi tempi di esposizione (senza flash). Operativamente, doppi selettori rotativi e altri controlli offrono un’ampia gamma di funzioni: selettore di modalità sulla parte superiore del corpo macchina, selettore su-giù sulla parte anteriore, leva ADJ sul retro e tasti di funzione ancora sulla parte superiore. Le regolazioni si estendono a impostazioni manuali, per esempio relative all’esposizione programmata con priorità ai diaframmi, all’esposizione manuale, alla regolazione del bilanciamento del bianco e alla selezione della sensibilità Iso equivalente (fino a 1600 Iso). Ovviamente, è possibile selezionare direttamente le impostazioni personalizzate sul selettore di modalità, per conservare regolazioni effettuate in modo arbitrario. Nuove funzioni, quali la modalità quadrata con formato 1:1 e la modalità di viraggio seppia, migliorano ulteriormente la gamma di espressività. Ancora: bilanciamento del bianco automatico, fisso (luce diurna, nuvoloso, luce al tungsteno, fluorescente, manuale) e con bracketing.
FOTOGRAFIA Conservando l’apprezzata modalità macro convenzionale, che mette a fuoco fino a un centimetro di distanza (all’estremo grandangolare; fino a quattro centimetri alla selezione teleobiettivo), la Ricoh Caplio GX100 consente la fotografia a distanza estremamente ravvicinata applicando convenienti effetti di sfocatura controllata. L’esposizione fotografica è guidata da un sistema fotome-
NOBILE GENÌA
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orvolando su altre interpretazioni fotografiche, tra le quali ricordiamo una Ricohflex TLS 401 con sistema reflex a specchi (invece del tradizionale pentaprisma), l’identificazione Ricoh è soprattutto riferita a due compatte che, in tempi diversi, hanno stabilito i connotati di efficaci configurazioni. Più lontana nei decenni, fino alla seconda metà dei Settanta, la Ricoh G è stata una compatta discriminante dal punto di vista commerciale. Di piccole dimensioni, per l’epoca, ma eccellenti prestazioni, veniva venduta a un prezzo tanto accattivante da fare l’autentica differenza. Fu uno dei riferimenti ai quali si dovettero adeguare gli altri marchi fotografici. Mentre l’attuale Caplio GX100 deriva da una storia tecnologica avviata con la fantastica Ricoh GR1 (poi GR1s; FOTOgraphia, maggio 2001), microcompatta di altissima qualità fotografica, dotata di fantastico grandangolare 28mm f/2,8, che visualizziamo qui a destra (e poi registriamo una successiva versione GR21, con grandangolare estremo 21mm f/3,5: TIPA Award 2001; FOTOgraphia, settembre 2001). Nel 1997, anche l’originaria Ricoh GR1 ottenne un TIPA Award (FOTOgraphia, ottobre 1997), che puntualizzò soprattutto l’eccezionalità dell’obiettivo di ripresa, che in tempi successivi è stato addirittura realizzato in montatura a vite passo Leica 39x1 (FOTOgraphia, giugno 2000). A parte l’insieme delle sue prestazioni, che la collocarono a un livello qualitativo di vertice, capace di controbattere alla pari con apparecchi reflex e con dotazioni fotografiche più strutturate (tanto da essere stata adottata da una qualificata serie di fotoreporter!), la Ricoh GR1 ha affermato la praticità di una costruzione efficacemente compatta, appunto riproposta dall’odierna Caplio GX100, oltre che dalla precedente GR Digital, con grandangolare 28mm (equivalente).
trico TTL-CCD, con misurazione della luce in modalità multipla (a duecentocinquantasei segmenti), misurazione della
luce orientata verso il centro o misurazione a punto centrale. Compensazione dell’esposizione manuale da più a meno
due Valori Luce, a passi di 1/3 EV, e funzione auto-bracket su regolazioni variate. Tre diverse fonti di alimenta-
zione sono congeniali a ogni condizione di uso: batteria ricaricabile ad alta capacità, batterie ministilo (AAA) e alimentatore CA. Con la batteria in dotazione, sono possibili fino a trecentottanta scatti, trentacinque con le pile a secco ministilo. Il mirino elettronico removibile VF-1, accessorio opzionale ma straordinariamente utile (tanto da trasformare la compatta digitale in autentica reflex in miniatura!), si colloca alla slitta con contatto caldo, sulla quale, in alternativa, può essere fissato un flash elettronico supplementare, ulteriore a quello incorporato ad apertura manuale. Il paraluce e l’adattatore opzionale HA-2 consentono l’impiego del sistema ottico di conversione grandangolare da 19mm (accessorio opzionale: DW-6) o di altri elementi con 43mm di diametro, per esempio filtri. (Mamiya Trading, via Cesare Pavese 31, 20090 Opera Zerbo MI). Antonio Bordoni
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ubito la motivazione con la quale l’autorevole giuria selezionatrice dei TIPA Awards 2007 ha indicato la nuova reflex digitale Nikon D40x come la migliore nella categoria entry level (la serie dei Premi è commentata su questo stesso numero, da pagina 34): «Con dieci Megapixel di risoluzione e una gamma di sensibilità che va da 100 a 1600 Iso equivalenti, grazie a una superba qualità delle immagini e a un’altissima rapidità di scatto, la Nikon D40x è una reflex perfetta per coloro che entrano nel mondo della fotografia digitale. In vendita in kit con lo zoom 18-55mm f/3,5-5,6, possiede molte funzioni avanzate e permette di effettuare fino a tre fotogrammi al secondo. La D40x è leggera, compatta e dotata di un monitor LCD da 2,5 pollici di alta qualità, per regolare le impostazioni e rivedere le immagini».
Logica consecuzione della precedente D40, che prosegue lungo una strada commerciale autonoma (FOTO graphia, dicembre 2006), la Nikon D40x afferma un sostanzioso incremento di prestazioni, alcune delle quali confermano le direzioni tecnologiche del prestigioso marchio. In fretta, ma poi approfondiamo: risoluzione elevata a 10,2 Megapixel, accensione immediata in 0,18 secondi, scatto rapido in sequenza fino a tre fotogrammi al secondo, Image Editing on camera, sistema esposimetrico Color Matrix 3DII, sensibilità estesa da 100 a 1600 Iso equivalenti (3200 Iso equivalenti in modalità HI-1, paragonabile alla pellicola fotosensibile con trattamento forzato), tre aree AF e monitor LCD da 2,5 pollici.
SEMPLICITÀ Ovviamente, una delle discriminanti di sostanza, che dà peso e spessore alle prestazioni tecniche della reflex digitale Nikon D40x, si basa sulla
consistente alta risoluzione del sensore CCD da 10,2 Megapixel, combinato con un funzionamento allo stesso tempo semplice e intuitivo. Indirizzata a un pubblico non necessariamente già esperto, appunto semplificato e identificato nella fascia commerciale entry level, la Nikon D40x sottolinea prima di tutto il proprio efficace connubio tra maneggevolezza e prestazioni elevate: si offre come reflex digitale ideale per coloro i quali desiderano fotografare con la massima semplicità, senza peraltro sacrificare l’alta qualità delle riprese. Per questo, una avanzata tecnologia è stata specificamente indirizzata e finalizzata all’impiego semplice, per fotografie di alta qualità formale in ogni situazione (i contenuti della fotografia sono altro discorso: personale e individuale). Leggero e compatto, il corpo macchina è congeniale al comodo trasporto; in consecuzione, l’efficace ed ergonomico design, forte di essenziali comandi intuitivi, consente di fotografare anche senza essere dotati di specifiche competenze di partenza. Con
Confortevolmente più potente della D40 semplice, la configurazione Nikon D40x assicura una adeguata consecuzione di prestazioni tecniche, che incrementano in misura significativa le possibilità operative nella fascia commerciale delle reflex digitale entry level. Non certo per caso, TIPA Award 2007 di categoria 62
CON esperienza, poi, ognuno può incamminarsi verso e fino a ulteriori sofisticazioni fotografiche, sulle quali si costruisce quello straordinario edificio espressivo guidato dalla creatività. Di proprio, la mediazione della Nikon D40x offre un insieme di caratteristiche indispensabili alla qualità tecnica della ripresa fotografica. Tutti sintonizzati tra loro, il sensore di acquisizione digitale CCD in formato DX da 10,2 Megapixel, l’esclusiva, sofisticata e raffinata misurazione esposimetrica Color Matrix 3DII, un dispositivo di elaborazione delle immagini migliorato e un eccellente bilanciamento automatico del bianco sono indirizzati ad acquisizioni dai dettagli definiti e colori vividi.
IN RIPRESA Come annotato, la nuova Nikon D40x presenta la medesima interfaccia semplificata della già conosciuta D40 e lo stesso funzionamento intuitivo e semplice. Nell’uso, il brillante e luminoso mirino con un ingrandimento 0,8x assicura inquadrature e composizioni precise, mentre l’ampio monitor LCD esterno da 2,5 pollici, con ampio angolo di visualizzazione, permette di esplorare le impostazioni e visualizzare le immagini con facilità e qualità. La reflex digitale Nikon D40x è sostanzialmente veloce. Grazie all’accensione quasi immediata (0,18 secondi) e alla risposta rapida e affidabile, è possibile “bloccare” anche soggetti in rapido movimento; la modalità di ripresa in sequenza permette di acquisire fino a cento immagini Jpeg alla velocità di tre fotogrammi al secondo (attenzione: la velocità massima di sequenza rapida si ottiene in messa a fuoco manuale, con
EFFICACIA la regolazione di esposizione manuale o automatica a priorità dei tempi di otturazione, con tempi inferiori a 1/250 di secondo). Inoltre, utilizzando algoritmi perfezionati di controllo dell’autofocus, ereditati dalle reflex digitali di taglio tecnico più alto Nikon D200 e D80, la D40x offre un sistema di messa a fuoco avanzato, in grado di garantire elevata nitidezza e precisione anche in condizioni di scarsa illuminazione. Analogamente, in materia di velocità è opportuno sottolineare che la sensibilità, compresa tra 100 e 1600 Iso equivalenti (3200 Iso equivalenti in modalità HI-1, paragonabile alla pellicola fotosensibile con trattamento forzato), consente riprese di alta qualità anche in condizioni di illuminazione scarsa (senza utilizzare il flash elettronico, incorporato o esterno, oppure l’esposizione prolungata), indirizzando altresì sempre verso tempi di otturazione più veloci, appunto necessari al-
le immagini “ad alta velocità”. Ovviamente, si conferma il sistema di obiettivi Nikkor AFS e AF-I, ciascuno dei quali fornisce nitidezza, chiarezza dell’immagine e ottimale riproduzione dei colori, nonché un
Nikon D40x, dotata del controllo flash i-TTL, che valuta automaticamente e accuratamente l’esposizione ideale del lampo, anche in condizioni di illuminazione difficili.
ALTRO ANCORA autofocus rapido e accurato. Analogamente, la combinazione con il flash elettronico ribadisce la semplicità di utilizzo generale e generalizzata della
In relazione alla scelta automatica delle impostazioni migliori e ai valori di sensibilità Iso equivalenti per ciascuna scena, otto modalità Digital Vari-Program sono finalizzate alla qualità del risultato fotografico. Rapide e semplici, so-
no facili da utilizzare: è sufficiente ruotare l’apposito selettore sul corpo macchina Nikon D40x. In più, per un ulteriore controllo su diaframmi e tempi di otturazione, sono disponibili gli automatismi di esposizione programmata (P), a priorità dei tempi (S) e a priorità dei diaframmi (A), oltre la regolazione manuale (M). Le esclusive funzionalità di modifica delle immagini, incorporate nel nuovo menu Ritocca della D40x, garantiscono una maggiore libertà creativa senza la necessità di usare un computer. Una delle funzioni principali è l’efficace Nikon D-lighting, in grado di esaltare i dettagli che generalmente si perdono nelle aree sottoesposte delle immagini e al tempo stesso mantenere la corretta esposizione delle aree più illuminate. Inoltre, è possibile correggere facilmente l’effetto occhi rossi o utilizzare gli effetti monocromatici per modificare un’immagine in bianconero, interpretata in viraggio seppia o intonazione blu. Infine, diamo peso e significato anche all’autonomia di alimentazione della batteria ricaricabile agli ioni di Litio, che permette di scattare fino a cinquecentoventi immagini per ogni carica. (Nital, via Tabacchi 33, 10132 Torino). A.Bor.
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TANO D’AMICO
La fotografia sociale non è soltanto un genere di comunicazione, come si crede comunemente o si teorizza da molti pulpiti della fotografia insegnata. Così come viene banalmente raccontata, la fotografia sociale non accoglie mai chi si spoglia della propria identità, fa della propria smisurata utopia l’ultima possibilità di denunciare l’origine del dolore nel quale versa molta parte dell’umanità, impoverita dai disegni economici e dai piani di guerra della civiltà dello spettacolo. In ogni ideologia, come in ogni fede, c’è qualcosa di marcio, e il mercato globale è il luogo dove si vendono all’ingrosso le mitologie sul “buon governo”. La fotografia sociale autentica accende l’eco delle grandi visioni, è il racconto per immagini della vita che si afferma e del malessere di vivere che declina o insorge contro gli scranni della sopraffazione. La filosofia randagia della fotografia così fatta mostra che ogni partecipazione all’oppressione è profondamente degradante e la sua fabulazione liberatrice smaschera la canaglia che fa professione di pensare. È dalla critica gentile che salgono gli insulti delle bestie feroci, e ogni concessione fatta in nome del progresso o della società civile è sovente tradimento della verità e complicità con il genocidio dei nuovi colonialismi orchestrati dalle democrazie occidentali.
DELLA FOTOGRAFIA SOCIALE E I VOLTI DELL’OPPOSIZIONE Tano D’Amico ha passato molti dei suoi sessantaquattro anni a fare fotografie nelle strade, come un’anima danzante, amorevole e malinconica al medesimo tempo; ha messo la sua macchina fotografica dalla parte di coloro che si oppongono e vogliono mettere fine al-
l’ineguaglianza sociale. Di più. La sua scrittura fotografica, anno dopo anno, è divenuta parte della memoria storica di un’intera nazione. Più di altri fotografi che ha incontrato ai bordi dell’esistenza ferita, e poi si sono fatti ingoiare nel flusso del mondano televisivo, Tano D’Amico ha tirato avanti, con le proprie idee di amore e libertà tra le genti. Infatti, le sue immagini hanno continuato a mostrare le facce delle generazioni in rivolta e anche le loro storie distrutte per sempre. Nell’età incline alle favole, come quella della falsificazione e dell’impostura che stiamo attraversando, le fotografie di Tano D’Amico strappano le banalità cosmetiche del “buonismo democratico” e figurano il diritto a dar voce e volto alla propria sofferenza. La poetica
controllo sociale e modello di persuasione. Sin dalla propria nascita, come altri strumenti del comunicare (cinema, radio, telefonia, carta stampata), la fotografia ha inventariato le cadute e le gioie dell’umanità nelle mani dei potenti. E possedere l’immaginario collettivo -come sappiamo- significa possedere il mondo. La fotografia praticata dai talenti più dotati, quanto da nugoli di non professionisti edonisti, non disdegna i vantaggi del mercato, e soltanto la fotografia che non mente non si accuccia alle lusinghe dell’impero. Non si tratta di trasformare il mondo in un grande magazzino o in un museo della fotografia che “vale”; al fondo di ogni arte, ciò che conta è il coraggio di mostrare il diverso che avanza, dire la mia parola è no!
«La maggior parte delle persone sono indotte a condurre la loro esistenza secondo un sistema di rappresentazione che la svuota della propria autenticità» Raoul Vaneigem ereticale di Tano D’Amico comunica che questo non è il migliore dei mondi possibili, che esiste un’altra faccia della conoscenza, dei valori dati, della furbizia disumanizzante delle politiche, delle fedi, delle economie aggressive, che la bellezza della fotografia di strada è qualcosa che ha a che fare con l’arte demistificata della realtà. Del resto, «la fotografia “impegnata” ha contribuito ad addormentare le coscienze almeno quanto a destarle» (Susan Sontag). Gli stati moderni hanno usato la fotografia come
In fondo, la fotografia dove appare per la prima volta una figura umana è quella che la storiografia ha attribuito a Louis Jacques Mandé Daguerre e mostra un uomo al quale lustrano le scarpe in un boulevard di Parigi, nel 1839. Subito, l’industria della fotografia si è messa al servizio delle idee dominanti. Non è l’immagine che è oscena, ma l’inconscio collettivo della fotografia che ne deriva a farne le spese. Il puritanesimo della “grande fotografia” è sempre stato scuola di stupro. Il conservatorismo delle idee
contiene il volto della crudeltà e il ricatto della beatitudine in Terra è permanente. Là dove il mercato dello spettacolo impera, nasce anche il risveglio degli oppressi e il grande desiderio di vivere tra liberi e uguali.
I VOLTI DELL’OPPOSIZIONE La fotografia dell’opposizione è un linguaggio radicale dell’esistenza, che da nessuna parte ha il centro della visione liberata ovunque e la circonferenza del proprio mercimonio. La fotografia radicale è dappertutto e in nessun luogo, e fa dell’umanità oppressa, violata, calpestata il sorgere di nuove disobbedienze, di nuove bellezze del gesto fotografico. La fotografia del non asservimento -mai paga di sé- disvela la “dotta ignoranza” che celebra l’adulazione del mercato e calpesta i diritti umani più elementari in ogni-dove della Terra. La democratizzazione della fotografia è chiacchiera filistea dell’industria delle immagini, e i nuovi analfabeti sono programmati alla pari delle loro macchine. La fotografia più consumata è al servizio della tecnica come rimozione della conoscenza, e nella soppressione della facoltà critica si riconosce come ingranaggio funzionale della macchina/forma dello spettacolo. «Le fotografie creano così un cerchio magico che ci circonda sotto forma di universo fotografico. Bisogna rompere questo cerchio» (Vilém Flusser). Sperare di moralizzare gli affari della fotografia è vano quanto insegnare a lavarsi i denti ai bambini che muoiono per fame o sotto le bombe degli esportatori di democrazie. Il lavoro documentario di Tano D’Amico nasce nei fermenti della contestazione planetaria del Sessantotto. Le sue immagini sull’occupazione delle
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La fotografia sociale non è soltanto un genere di comunicazione, come si crede comunemente o si teorizza da molti pulpiti della fotografia insegnata. Così come viene banalmente raccontata, la fotografia sociale non accoglie mai chi si spoglia della propria identità, fa della propria smisurata utopia l’ultima possibilità di denunciare l’origine del dolore nel quale versa molta parte dell’umanità, impoverita dai disegni economici e dai piani di guerra della civiltà dello spettacolo. In ogni ideologia, come in ogni fede, c’è qualcosa di marcio, e il mercato globale è il luogo dove si vendono all’ingrosso le mitologie sul “buon governo”. La fotografia sociale autentica accende l’eco delle grandi visioni, è il racconto per immagini della vita che si afferma e del malessere di vivere che declina o insorge contro gli scranni della sopraffazione. La filosofia randagia della fotografia così fatta mostra che ogni partecipazione all’oppressione è profondamente degradante e la sua fabulazione liberatrice smaschera la canaglia che fa professione di pensare. È dalla critica gentile che salgono gli insulti delle bestie feroci, e ogni concessione fatta in nome del progresso o della società civile è sovente tradimento della verità e complicità con il genocidio dei nuovi colonialismi orchestrati dalle democrazie occidentali.
DELLA FOTOGRAFIA SOCIALE E I VOLTI DELL’OPPOSIZIONE Tano D’Amico ha passato molti dei suoi sessantaquattro anni a fare fotografie nelle strade, come un’anima danzante, amorevole e malinconica al medesimo tempo; ha messo la sua macchina fotografica dalla parte di coloro che si oppongono e vogliono mettere fine al-
l’ineguaglianza sociale. Di più. La sua scrittura fotografica, anno dopo anno, è divenuta parte della memoria storica di un’intera nazione. Più di altri fotografi che ha incontrato ai bordi dell’esistenza ferita, e poi si sono fatti ingoiare nel flusso del mondano televisivo, Tano D’Amico ha tirato avanti, con le proprie idee di amore e libertà tra le genti. Infatti, le sue immagini hanno continuato a mostrare le facce delle generazioni in rivolta e anche le loro storie distrutte per sempre. Nell’età incline alle favole, come quella della falsificazione e dell’impostura che stiamo attraversando, le fotografie di Tano D’Amico strappano le banalità cosmetiche del “buonismo democratico” e figurano il diritto a dar voce e volto alla propria sofferenza. La poetica
controllo sociale e modello di persuasione. Sin dalla propria nascita, come altri strumenti del comunicare (cinema, radio, telefonia, carta stampata), la fotografia ha inventariato le cadute e le gioie dell’umanità nelle mani dei potenti. E possedere l’immaginario collettivo -come sappiamo- significa possedere il mondo. La fotografia praticata dai talenti più dotati, quanto da nugoli di non professionisti edonisti, non disdegna i vantaggi del mercato, e soltanto la fotografia che non mente non si accuccia alle lusinghe dell’impero. Non si tratta di trasformare il mondo in un grande magazzino o in un museo della fotografia che “vale”; al fondo di ogni arte, ciò che conta è il coraggio di mostrare il diverso che avanza, dire la mia parola è no!
«La maggior parte delle persone sono indotte a condurre la loro esistenza secondo un sistema di rappresentazione che la svuota della propria autenticità» Raoul Vaneigem ereticale di Tano D’Amico comunica che questo non è il migliore dei mondi possibili, che esiste un’altra faccia della conoscenza, dei valori dati, della furbizia disumanizzante delle politiche, delle fedi, delle economie aggressive, che la bellezza della fotografia di strada è qualcosa che ha a che fare con l’arte demistificata della realtà. Del resto, «la fotografia “impegnata” ha contribuito ad addormentare le coscienze almeno quanto a destarle» (Susan Sontag). Gli stati moderni hanno usato la fotografia come
In fondo, la fotografia dove appare per la prima volta una figura umana è quella che la storiografia ha attribuito a Louis Jacques Mandé Daguerre e mostra un uomo al quale lustrano le scarpe in un boulevard di Parigi, nel 1839. Subito, l’industria della fotografia si è messa al servizio delle idee dominanti. Non è l’immagine che è oscena, ma l’inconscio collettivo della fotografia che ne deriva a farne le spese. Il puritanesimo della “grande fotografia” è sempre stato scuola di stupro. Il conservatorismo delle idee
contiene il volto della crudeltà e il ricatto della beatitudine in Terra è permanente. Là dove il mercato dello spettacolo impera, nasce anche il risveglio degli oppressi e il grande desiderio di vivere tra liberi e uguali.
I VOLTI DELL’OPPOSIZIONE La fotografia dell’opposizione è un linguaggio radicale dell’esistenza, che da nessuna parte ha il centro della visione liberata ovunque e la circonferenza del proprio mercimonio. La fotografia radicale è dappertutto e in nessun luogo, e fa dell’umanità oppressa, violata, calpestata il sorgere di nuove disobbedienze, di nuove bellezze del gesto fotografico. La fotografia del non asservimento -mai paga di sé- disvela la “dotta ignoranza” che celebra l’adulazione del mercato e calpesta i diritti umani più elementari in ogni-dove della Terra. La democratizzazione della fotografia è chiacchiera filistea dell’industria delle immagini, e i nuovi analfabeti sono programmati alla pari delle loro macchine. La fotografia più consumata è al servizio della tecnica come rimozione della conoscenza, e nella soppressione della facoltà critica si riconosce come ingranaggio funzionale della macchina/forma dello spettacolo. «Le fotografie creano così un cerchio magico che ci circonda sotto forma di universo fotografico. Bisogna rompere questo cerchio» (Vilém Flusser). Sperare di moralizzare gli affari della fotografia è vano quanto insegnare a lavarsi i denti ai bambini che muoiono per fame o sotto le bombe degli esportatori di democrazie. Il lavoro documentario di Tano D’Amico nasce nei fermenti della contestazione planetaria del Sessantotto. Le sue immagini sull’occupazione delle
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case, le battaglie delle donne per la conquista dei propri diritti, i disagi delle comunità nomadi, le morti sul lavoro nei cantieri, i volti insanguinati di una gioventù che ha pagato sovente con la propria vita il sogno di una quotidianità meno feroce per tutti descrivono la tenacia del “fotografo dei poveri e degli oppressi”, che al limitare del bosco continua a tessere il proprio lavoro di denudamento dei poteri forti. In risposta alle domande di un giornalista de L’Unità (Marco Bucciantini, 27 gennaio 2007), riguardo il dissenso delle giovani generazioni e la morte di Giorgiana Masi, Tano D’Amico afferma: «È morta Giorgiana, sono morti i suoi, sono morti i giovani. Quel pomeriggio l’ordine era di farla finita coi contestatori, con chi metteva in discussione il ruolo di chi comandava». Le sue fotografie si chiamano fuori dalla politica istituzionale che incensa la “terra dell’abbondanza” e dispone regole e comandamenti per l’approdo in massa ai modelli occidentali della libertà condizionata al consenso. Per non dimenticare: nel parla-
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mento italiano siedono più di ottanta indagati per reati che vanno dal conflitto di interesse all’aggiotaggio, dagli intrecci con la mafia alla bancarotta e al crimine organizzato... e tutto, s’intende, giocato sulla pelle (e la complicità silenziosa o adorante) dei loro elettori. Le fotografie di Tano D’Amico interrogano, porgono domande, esigono risposte. Le facce dei giovani, consapevoli di interpretare la storia nelle battaglie di piazza, i balli e i canti delle feste di massa, i raduni di operai dalla faccia “sporca”, la tenerezza fascinosa delle donne sono intrecciati a scontri di comunità in cammino, e tutto il lavoro di Tano D’Amico rifluisce in un album di fotografia civile, nel quale si riconoscono le speranze sociali che hanno accompagnato la vita di migliaia di persone. Le immagini delle donne in corsa a Bologna, ironiche, eversive, annunciano non solo la conquista del pane ma anche delle rose. La fotografia della mamma di Carlo Giuliani (il ragazzo ucciso durante il G8 di Genova), seduta sul bordo di un’aiuola, circon-
data dai carabinieri in assetto di guerra, è avvolta in un’aura di dignità di rara bellezza. Il furore dei baraccati extracomunitari a Roma è colto nella spontaneità dello sguardo di Tano D’Amico, e ciò che più sorprende nel suo fare-fotografia è la compassione, cioè del dire attraverso le immagini: io soffro con te. Le fotografie di Tano D’Amico sono confessioni in pubblico e senza pentimenti: «Dovevano essere delle immagini molto ma molto cercate. In cui anche in modo astratto -dalle linee, dai chiari dagli scuri, come in teatro, per esempio sul palcoscenico in un balletto- si vede subito chi sono i cattivi e chi i buoni. E così, nelle mie immagini si doveva vedere subito a chi doveva andare la simpatia dei lettori, degli spettatori. Quindi, dovevano essere fotografie limpide, chiare. Io odio le immagini con le barrette sugli occhi. Perciò dovevano essere fotografie nelle quali si dovesse vedere in un modo chiaro chi erano le vittime e chi i carnefici» (Tano D’Amico). È deplorevole sparare agli usignoli che hanno fatto il covo su una casa bianca, quanto tirare a bruciapelo contro i ragazzi scalzi nel sole che tirano i sassi alla luna. Quando la retorica della fotografia copre le ragioni inconfessabili del mercato, della propaganda politica, del terrorismo delle guerre per bande di alto profilo istituzionale si alzano le gogne degli stolti e degli sciocchi, che hanno fatto dell’affarefotografia un salotto per artisti d’accatto o per tecnici maldestri della nuova “rivoluzione digitale” (per i dividendi delle aziende). Sono gli stessi che ai tempi della fotografia analogica annunciavano il successo delle loro puttane tristi sui calendari per il proletariato. I palati, un po’ rancidi, della “buona borghesia” da bere, sono invece sollecitati da quella “bufala a cielo aperto” che è il Calendario Pirelli. Eccetto alcune immagini, davvero buone, l’insieme del Calendario più famoso del mondo è da
buttare. Tanto brutto appare e tanto inutile è. Frotte d’imbecilli dell’immaginario omologato stanno al giogo e si fanno testimonial volontari della propria crocifissione nell’immondezzaio del mercato. Del resto, sostiene Roland Barthes, «la fotografia può essere l’oggetto di tre pratiche, o tre emozioni, o tre intenzioni: fare, subire, guardare». A ciascuno la propria gogna. Di contro alla fotografia come forma normale di delirio continuano a lavorare fotografi della diserzione, come Tano D’Amico. Sovente esposti al discredito, alla revisione o al silenzio delle verità storiche delle quali sono stati interpreti non marginali, non temono di affermare che la fotografia è lo specchio che ricorda il cammino dell’uomo e i roghi dei propri inquisitori. Nella propria accezione più eretica, la fotografia sociale sembra dire: tutto ciò che avete fatto a uno soltanto dei più piccoli tra i miei fratelli, l’avete fatto a me! E allora lo spargerò al pubblico sdegno. Si tratta di spazzare via i mercanti del tempio e mostrare che l’amore dell’uomo per l’uomo non è mai morto. La fotografia sociale non solo corregge il tempo della percezione, coglie l’istante dei processi storici e fa dall’immagine un’idea del mondo. La fotografia è portatrice di nuovi segni, nuovi alfabeti e custode del tempo dell’immagine e della storia o non è niente. Orribile non è la rappresentazione della fotografia mercantile, ma la scenografia che la sostiene. Non bisogna abbattere il disumano di un’epoca, occorre minare alla radice il sistema di simulacri sul quale poggia il proprio consenso politico. La fotografia dell’autentico o d’opposizione è quella che si fa beffe del biasimo quanto della lode e coltiva l’intima bellezza di una morale che ancora porta in sé la speranza della libertà d’espressione fondata sui diritti e sul rispetto dell’essere umano. Pino Bertelli (23 volte aprile 2007)