FOTOgraphia 136 novembre 2007

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Mensile, 5,70 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano

ANNO XIV - NUMERO 136 - NOVEMBRE 2007

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ALEXANDRA BOULAT (1962-2007) UNA DONNA DOLCE


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LEGITTIMO PROCESSO A MILANO. Completiamo le considerazioni sul soggetto con il quale Oliviero Toscani ha attirato l’attenzione sul problema sociale dell’anoressia, nella propria manifestazione conseguente a mal intesi (?) stilemi della moda, che ha sollevato dibattiti soprattutto deviati: peccato! Ne riferiamo a pagina 20, nell’ambito degli appunti e attualità del fotogiornalismo internazionale, a cura di Lello Piazza; qui aggiungiamo quanto dichiarato dallo stesso Oliviero Toscani in un’intervista rilasciata ai microfoni di Radio105 Classic all’indomani della delibera con la quale il sindaco di Milano, Letizia Moratti, ha disposto la rimozione dell’affissione Nolita sull’anoressia dagli spazi che competono al Comune: «È censura. Non penso che tutti la pensino come questo assessore [Giovanni Terzi], che non conosco neanche, e il sindaco. Hanno paura di perdere il consenso, il loro potere». Ricordiamo che l’assessore comunale ai Giovani Giovanni Terzi ha bocciato la campagna shock dalle pagine del Corriere della Sera. Con lucidità, Oliviero Toscani ha trasferito il soggetto, chiamando in causa Milano, città nella quale ha affinato la propria formazione culturale e sociale in decenni di coinvolgente vivacità. Oggi, annota, Milano è in ritardo rispetto ad altre città europee e «forse questa è la ragione della rimozione. Moriranno eleganti, a Milano. Moriranno magri, anoressici, ma eleganti. È una città che ha paura. Una città che non ha più la generosità di una volta. Che non ha più né la fantasia, né la capacità artistica di una volta. Una città seduta, una città cattiva. Una città razzista, che non riesce a risolvere i problemi moderni come tutte le grandi città. Ci conoscono per le borse e le scarpe, che sono prodotti da terzo mondo. Non ci conoscono per prodotti dell’ingegno». Ha ragioni da vendere.

Non ho mai potuto capire perché chiunque voglia farsi considerare persona intelligente si affretti a esprimere una sequela di doverosi odi verso qualcosa, o qualcuno (anche in fotografia). Va bene, al giorno d’oggi l’autorevolezza delle opinioni è direttamente proporzionale all’irruenza con le quali si esprimono. Però!

Copertina In ricordo di Alexandra Boulat, fotogiornalista che lo scorso cinque ottobre si è arresa per sempre, a quarantacinque anni, dopo una lunga e silenziosa trattativa con la morte, durata più di tre mesi (fotografia di Jerome Delay; Baghdad, 2003)

3 Fumetto Cartolina Foto Ricordo degli anni Sessanta-Settanta, a soggetto militare (di leva), con richiamo fotografico

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7 Editoriale Una lettera autografa di George Eastman, figura fondamentale della storia evolutiva della fotografia (tecnica e linguaggio), che presentiamo e commentiamo immediatamente a seguire, è spunto per una amara considerazione: il mercato fotografico italiano sacrifica la propria storia a malintese convenienze di gestione

8 Centoventi anni fa 16 novembre 1887, appunto centoventi anni fa, George Eastman scrive ai propri procuratori legali. Dal carteggio per la richiesta di brevetto della Box Kodak, che dal successivo 1888 ha stabilito una linea demarcatoria nella storia evolutiva della fotografia

12 Alogenuri Kodak 45

La personalità attuale di quell’azienda che centoventi anni fa, nel 1888 che l’anno prossimo celebreremo in anniversario, fu creata attorno l’originaria Box Kodak: pellicole a colori e in bianconero dei nostri giorni

16 Notizie Attrezzature, vicende e altre segnalazioni

ANGELO MEREU

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18 Italiani a Parigi Undicesima edizione di Paris Photo, la più prestigiosa fiera internazionale della fotografia. Italia, nazione invitata, con la mostra ufficiale La collezione dell’UniCredit

20 Reportage 57

Appunti e attualità del fotogiornalismo internazionale A cura di Lello Piazza


. NOVEMBRE 2007

R , RIFLESSIONI IFLESSIONI, OSSERVAZIONI E COMMENTI OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA SULLA FOTOGRAFIA

23 Il Tempo dei Marquardt (?)

Anno XIV - numero 136 - 5,70 euro

La storia di una famiglia di Stettino, oggi Polonia, è raccontata in un quaderno-album in pertinente equilibrio tra testi e ritratti fotografici. Affascinante ritrovamento, che sollecita riflessioni sul Tempo

DIRETTORE

RESPONSABILE

Maurizio Rebuzzini

IMPAGINAZIONE

Gianluca Gigante

REDAZIONE

26 Una donna dolce

Angelo Galantini

Il cinque ottobre è mancata Alexandra Boulat, eccezionale fotogiornalista dal tocco lieve. Il palpitante ricordo di chi ha incontrato la sua fotografia e la sua personalità di Lello Piazza

Rouge

FOTOGRAFIE SEGRETERIA

Maddalena Fasoli

HANNO

COLLABORATO

Convincente serie fotografica di Francesco Mancusi: personale dietro le quinte di una manifestazione londinese della moda. A partire dal quale, riflettiamo di Angelo Galantini

Pino Bertelli Antonio Bordoni Maria Teresa Ferrario Francesca Gasparotti Kent Kobersteen Francesco Mancusi Chiara Mariani Angelo Mereu Grazia Neri Loredana Patti Lello Piazza Franco Sergio Rebosio Carlo Roberti Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Zebra for You

45 Avanti tutta

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32 Appuntamento a Lucca Tre settimane di mostre, con contorni. Dal ventiquattro novembre al sedici dicembre, la terza edizione di LuccaDigitalPhotoFest trasforma l’affascinante città toscana in vivace atelier fotografico

38 London Fashion Week

La reflex digitale Sony α700, che definisce l’idea di autentico sistema, offre prestazioni esclusive, a partire dalla modalità PhotoTV HD di alta qualità di Maurizio Rebuzzini

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50 Sguardi contemporanei In mostra al Museo della Fotografia Contemporanea, Storie immaginate in luoghi reali compone una particolare visione fotografica: racconti in forma di fantasia

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54 Una identità di troppo Sbarco in Normandia, 6 giugno 1944: sempre che serva saperlo, chi è il soldato fotografato da Bob Capa?

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57 Quota Quaranta Canon Eos 40D: 10,1 Megapixel e Live View di Antonio Bordoni

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Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano

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Rivista associata a TIPA

60 Agenda Appuntamenti del mondo della fotografia

64 Annemarie Schwarzenbach Sguardi sulla fotografia sociale di una ribelle di Pino Bertelli

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www.tipa.com



iorno più, giorno meno, su questo numero, subito dalla prossima pagina, celebriamo i centoventi anni da una lettera autografa di George Eastman datata 16 novembre 1887. Come annotiamo, fa parte del carteggio con i procuratori legali che stavano curando il deposito dei brevetti della Box Kodak, del successivo 1888, dalla quale si conteggiano numerose consecuzioni della fotografia. Soprattutto, da qui nacquero: la Eastman Kodak Company, una delle più consistenti realtà industriali della fotografia; l’industria fotografica in quanto tale; e la concezione di processo fotografico così come ancora l’intendiamo (con servizio conto terzi di sviluppo e stampa delle fotografie). Enunciamo, poi, altre consecuzioni che attribuiamo alla Box Kodak, a propria volta discriminanti sulla storia evolutiva del linguaggio fotografico, oltre le strade tecniche e commerciali appena ricordate. Con quell’apparecchio portatile, facile da usare, acquistabile da un’ampia schiera di persone, nacque la fotografia istantanea, a partire dalla fotoricordo familiare, che rappresenta una delle più consistenti applicazioni sociali della stessa fotografia. Ancora, la fotografia arrivò per strada, più e meglio di quanto (non) avessero potuto farlo gli ingombranti apparecchi e i complicati procedimenti chimici precedenti. Oggi consideriamo discriminante quella data del 1888 (l’anno prossimo ne celebreremo il centoventesimo anniversario), dalla quale la fotografia ha cominciato a osservare lo svolgimento della vita, dopo che per decenni, dalle proprie origini, si era occupata soprattutto dell’estetica del ritratto e del paesaggio, con relative scuole di pensiero. Reportage è un termine sostanzialmente moderno, che ai tempi era estraneo a qualsiasi intenzione. Però, ciò che cominciò allora è proprio reportage: per la prima volta, la fotografia non si limitò al proprio esercizio, ma si mise al servizio della società. A far data dalla fotografia sociale e umanista di Jacob A. Riis e Lewis W. Hine (Sguardi su, di Pino Bertelli, in FOTOgraphia del settembre e ottobre 2005), il valore documentativo e di racconto della fotografia si è proiettato all’esterno del solo (e sterile) dibattito interno. Giusto questo è un valore che non dobbiamo sottovalutare, e neppure ignorare: è il punto di partenza di una fotografia che certifica la propria appartenenza alla società, senza dover pietire, come fatto in precedenza e come viene ancora fatto in certi ambiti, il proprio presunto contenuto artistico degno di stare accanto ogni altra arte visiva (contenuto che non è in discussione, oppure non dovrebbe esserlo). E allora? Allora, dovremmo arricchirci della nostra storia e del nostro passato, cui dare senso, valore e spessore in chiavi molteplici. Tutte quelle che l’odierna industria fotografica ignora e sottovaluta, sacrificandole a malintese convenienze di stretta urgenza commerciale. Maurizio Rebuzzini

G

A bordo della USS Gallia, in viaggio per l’Europa, dove si sta recando per presentare la Box Kodak e stipulare contratti di distribuzione commerciale, George Eastman posa con la stessa Box Kodak tra le mani (1890). L’inquadratura tonda, originariamente di 64mm di diametro, certifica lo scatto con l’ormai immancabile Box Kodak, ufficialmente datata 1888, dalla quale si conteggiano diverse discriminanti della fotografia (moderna). In ordine sparso: nascita della Eastman Kodak Company; avvio dell’industria fotografica; trasformazione dell’esercizio fotografico in una consecuzione che perdura ancora oggi, con servizio conto terzi di sviluppo e stampa; è possibile l’istantanea e, a conseguenza, la fotoricordo (e questa di George Eastman è appunto una fotoricordo); la fotografia scende in strada; la fotografia non riflette più solo su se stessa, come fatto nei decenni precedenti, a partire dalla sua invenzione (1839), ma si pone a servizio della società, per l’osservazione, documentazione e registrazione della vita nel proprio svolgersi.

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CENTOVENTI

ANNI FA


P

LUCA VENTURA

16 novembre 1887: centoventi anni fa George Eastman inviò ai propri procuratori legali Church & Church di Washington una copia della History of Photography di W. Jerome Harrison, con lettera autografa. La lettera fa parte del carteggio per le procedure di richiesta di brevetto per quella che, l’anno successivo, sarebbe stata la Box Kodak: apparecchio discriminante della storia della fotografia, che ha stabilito una linea spartiacque, rendendo la pratica fotografica accessibile a tutti e influendo notevolmente sull’evoluzione del suo linguaggio espressivo e del suo costume.

Praticamente una cronaca. Pubblicata nel 1887 nella collana Photographic Series dell’editore newyorkese Scovill Manufacturing Company, l’History of Photography di W. Jerome Harrison affronta la materia da un punto di vista, diciamo così, di stretta attualità. A meno di cinquant’anni dalla data ufficiale del 1839, alla quale riferiamo la nascita della fotografia, i fatti sono raccontati di prima mano, basandosi su documentazioni originarie e non già su successivi resoconti, comunque sia filtrati da qualcuno, come accade inevitabilmente oggi. A parte la validità storica del testo, e la preziosità bibliografica del pregevole volumetto, altresì arricchito da una copertina di grande fascino, annotiamo che la copia arrivata a noi è associata a una lettera che offre un proprio significativo valore aggiunto. Inviata dalla Eastman Dry Plate and Film Co un anno prima del primo apparecchio Kodak (per il quale, dal 1890, fu coniata la celebre espressione “You Press the Button, We Do the Rest” / “Voi schiacciate il bottone, noi facciamo il resto”, riquadro a pagina 10), la lettera autografa è firmata nientemeno che dallo stesso George Eastman. Il 16 novembre 1887, giusto centoventi anni fa, accompagnò l’invio della copia dell’History of Photography alla Church & Church di Washington. Si tratta di una corrispondenza professionale, che fa riferimento al portapellicola in legno Eastman-Walker, successivamente adattato sulla prima macchina fotografica Kodak, ragionevolmente il soggetto implicito della comunicazione. Church & Church furono i procuratori legali che all’inizio del 1888 depositarono appunto il brevetto

Ne abbiamo diffusamente scritto nel luglio 2003 e giugno 2004, e ribadiamo. In occasione del centenario della nascita, il 12 luglio 1954 le poste statunitensi dedicarono un proprio francobollo a George Eastman, utilizzando un ritratto eseguito dall’inglese Nahum Ellen Luboshez il 27 giugno 1921. Il valore di tre centesimi era pari alla tariffa base del servizio postale, e per questo fu raggiunta l’alta tiratura di centoventotto milioni di pezzi.

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BOX KODAK, LA PRIMA

N

el 1888, la Box Kodak, con la quale nasce il marchio di fabbrica (Kodak, appunto), stabilisce almeno una linea spartiacque, anzi due. Da un punto di vista commerciale, con questa idea nasce il mercato fotografico come ancora oggi l’intendiamo; quindi, anche l’espressività fotografica cambiò radicalmente, rendendo la pratica fotografica accessibile tutti. Infatti, in precedenza la fotografia era materia per pochi: anzitutto costosa, e poi

Il celeberrimo slogan «You Press the Button, We Do the Rest» (Voi schiacciate il bottone, noi facciamo il resto) accompagnava un annuncio pubblicitario databile dal 1890.

Dalla propria commercializzazione, con relativo manuale di impiego, la facilità di uso della Box Kodak, qui in una illustrazione del tempo, fece la differenza, consentendo la nascita del fenomeno della fotografia di massa così come ancora oggi lo conosciamo: cominciò allora l’autentico hobby fotografico, con relativa conservazione accurata delle stampe; e prese avvio la registrazione fotografica della vita nel momento in cui si svolge.

della Kodak originaria. Al proposito, la biografia scritta da Elizabeth Brayer (The Johns Hopkins University Press, Baltimora, 1996) annota che verso la fine del gennaio 1888 George Eastman scrisse ai propri procuratori: «Vi invio due apparecchi Kodak da utilizzare come modelli per i disegni da allegare ai brevetti. Per cortesia, esaurite tutto il rullo e inviatecelo per lo sviluppo [...]. Fate una ricerca [...]. Secondo voi viola qualche altro bre-

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La Box Kodak era dotata di un obiettivo di 57mm di lunghezza focale, con apertura relativa f/9. Era precaricata con pellicola flessibile di 70mm per cento esposizioni tonde di 64mm di diametro (in origine con carta sensibile). Una volta esaurite le pose, la Box Kodak doveva essere spedita alla Eastman Kodak di Rochester, dove si provvedeva a trattare il materiale fotografico e stampare le copie.

vetto?». Attenzione: il riferimento in questa lettera rappresenta il primo uso pubblico del nome “Kodak”. Con l’occasione, ricordiamo che “Kodak” significa nulla, ma è solo un’espressione facile da ricordare. Come altre definizioni, nasce prima di tutto dal gioco di anagrammi che George Eastman faceva con la madre Maria Kilburn, e poi è costruito attorno alla presunta forza visiva e fonetica dell’alfabetico “K” (peraltro l’iniziale del cognome del-

la madre, alla quale George Eastman rimase sempre profondamente legato). Dopo aver depositato il marchio anche in Inghilterra (4 settembre 1988), George Eastman diede la propria spiegazione ufficiale del nome Kodak: «Primo, è corto; secondo, non rischia di essere malpronunciato; terzo, non assomiglia a nulla di esistente e non può essere associato ad altro che all’apparecchio Kodak». Però, qui siamo andati avanti, e


BOX KODAK, LA PRIMA Due celebri fotografie tonde riprese nel 1890 con l’originaria Box Kodak. In una è raffigurato George Eastman mentre, a bordo della USS Gallia, sta usando a propria volta l’apparecchio fotografico. Arrivato in Europa, George Eastman promosse la propria invenzione e stipulò contratti commerciali con distributori locali. Tra questi, contattò anche Paul Nadar, figlio del leggendario ritrattista parigino, e lo immortalò in posa davanti all’Opera di Parigi.

Una volta sviluppata la pellicola flessibile caricata nella Box Kodak, le copie su carta venivano esposte per contatto, alla luce del sole in appositi laboratori creati a Rochester (antesignani degli attuali laboratori conto terzi di sviluppo e stampa); i tempi di restituzione dipendevano anche dagli agenti atmosferici: da cinque a dieci giorni.

dunque torniamo all’argomento odierno, con la traduzione testuale della lettera autografa in nostro possesso (doppia pagina precedente). «Signori, in risposta alla vostra lettera del 12 novembre, vi spediamo in allegato una copia di History of Photography, che fa riferimento a una pubblicazione della Bombay Photographic Society del 1855, dove viene descritto il dispositivo portapellicola. Se potete usarla traendone qualche profitto, vi pre-

anche ingombrante e difficoltosa, tanto da essere limitata soltanto alla posa: ritratto, paesaggio e documentazione scientifica. Proprio le dimensioni contenute e la sostanziale facilità di uso consentirono alla fotografia di scendere per la strada, applicandosi alla vita reale. Tanto per quantificare, le immagini di Jacob A. Riis che rivelarono le terribili condizioni di vita degli immigrati a New York, raccolte in How the Other Half Lives, sono del 1890. Come noto e risaputo, la commercializzazione della Box Kodak fu promossa con il richiamo che sarebbe diventato più che celebre: «You Press the Button, We Do the Rest» (Voi schiacciate il bottone, noi facciamo il resto; databile dal 1890). In un’epoca nella quale i procedimenti fotografici erano assai complessi, con “il resto” si intendevano tutte le lavorazioni di trattamento della pellicola e stampa delle copie. Venduto a venticinque dollari, l’apparecchio, con obiettivo di 57mm di lunghezza focale e f/9 di apertura relativa, era caricato con pellicola flessibile 70mm (invenzione fondamentale) sufficiente per cento esposizioni (all’inizio con carta sensibile). Esauriti gli scatti, l’intero apparecchio andava spedito alla Eastman Kodak di Rochester: dieci dollari per il trattamento del negativo, la stampa delle copie (tonde, di 64mm di diametro) e il ricaricamento con pellicola vergine. Ribadiamo e confermiamo. La facilità di uso della Box Kodak fece la differenza, consentendo la nascita del fenomeno della fotografia di massa così come ancora oggi lo conosciamo: cominciò allora l’autentico hobby fotografico, con relativa conservazione accurata delle stampe. Una volta sviluppata la pellicola flessibile caricata nella Box Kodak, le copie su carta venivano esposte per contatto, alla luce del sole, in appositi laboratori creati a Rochester (antesignani degli attuali laboratori conto terzi di sviluppo e stampa); i tempi di restituzione dipendevano anche dagli agenti atmosferici: da cinque a dieci giorni, veniva precisato.

go di farlo. Se non riuscite a trovare una copia delle note e delle specifiche nella biblioteca di Washington, possiamo provare a procurarcene una da Mr. Walker. Sarebbe meglio che voi preparaste una esposizione basata sulla lettera di Mr. Walker, nel caso sia menzionato qualcosa di brevettabile. «Pensando che non sareste stati in grado di trovare lo scritto al quale si riferisce l’History of Photography, abbiamo richiesto delle copie a Mr.

Walker. Nel frattempo, probabilmente il vostro ufficio dovrà ritardare l’azione legale in attesa del loro arrivo. «Cordialmente, George Eastman». M.R. Con l’occasione, ringraziamo pubblicamente Lino Manfrotto, al quale dobbiamo questo ritrovamento del quale ci ha fatto gradito dono, aggiungendo il valore della sua ammirazione e simpatia alle qualità storiche del volume e della lettera allegata.

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ALOGENURI KODAK

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Oltre i richiami storici sulla nascita della produzione fotografica Eastman Kodak, che nelle precedenti pagine si accordano alla ricorrenza del centoventesimo anniversario di una lettera autografa del fondatore George Eastman in nostro possesso (!), occorre sottolineare che ancora oggi la personalità tecnica e commerciale della stessa Kodak conferma una consistente attenzione per la pellicola fotosensibile. In tempi sostanzialmente recenti, tre emulsioni hanno ampliato la vasta e differenziata offerta: due negativi a colore di indirizzo autonomo e una rinnovata interpretazione del bianconero. Con ordine.

KODAK PORTRA II Come sottolineato nel riquadro pubblicato sulla pagina accanto, dove si sottolinea l’assegnazione del TIPA Award 2007 di categoria, la gamma di negativi colore Kodak Portra II è distinta nelle versioni NC e VC, rispettivamente Natural Color e Vivid Color, per le sensibilità di 160 e

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400 Iso, ovviamente nelle consuete confezioni 35mm, a rullo 120 e in pellicola piana dal 4x5 all’8x10 pollici (10,2x12,7 e 20,4x25,4cm). Queste emulsioni Kodak Portra, in duplice interpretazione tonale e doppia sensibilità, introducono un innovativo standard del colore fotografico. La struttura a strati multipli e l’applicazione di una rinnovata tecnologia T-Grain offrono risultati straordinari in termini di rappresentazione cromatica e possibilità di trattamento. Ciascuna per sé, le due emulsioni si presentano con caratteristiche cromatiche autonome. Nelle sensibilità di 160 e 400 Iso, la Kodak Portra NC vanta una eccellente resa naturale dei colori, con una corrispondente resa ottimale dell’incarnato, sia in studio sia in esterni. Dunque, si propone come la scelta adatta ad applicazioni fotografiche nelle quali sia necessaria una resa dell’incarnato critica e nelle quali sia richiesta l’accurata riproduzione dei dettagli in ombra come di quelli in alta luce. Nelle medesime sensibilità di 160 e 400 Iso, la versione Kodak Portra VC afferma una personale saturazione dai colori vibranti, che si accompagna con un bilanciamento neutro della gamma cromatica. Quindi, si propone come pellicola ideale per l’utilizzo sia in situazioni controllate di illuminazione, quali quelle tipiche dello stu-

dio, sia in esterni, in diverse condizioni di luminosità.

KODAK GOLD Negativo colore dalle mille applicazioni, sostanzialmente eterogenee, tanto da assolvere sia selettive condizioni professionali, sia intenzioni di fotografia non professionale, Kodak Gold può essere considerato come l’autentico sinonimo della pellicola 35mm a colori per antonomasia. La sua efficacia si conteggia sulle consistenti quote commerciali che disegnano una popolarità senza confini, né limiti. Recentemente è stata realizzata una versione aggiornata e migliorata, nelle sensibilità di 100 e 200 Iso, che consentono di realizzare fotografie dai colori consistentemente più brillanti. In particolare, e nello specifico, i miglioramenti sono orientati alla realizzazione di stampe dai colori più luminosi, che mantengono la combinazione di saturazione del colore, la precisione e la nitidezza tipiche della genìa Kodak Gold. Le attuali pellicole sono eccellenti per fotografie di qualità, realizzate in diverse condizioni di luce. La Kodak Gold 100 di base è una pellicola classica, congeniale a chi preferisce fotografare a bassa sensibilità e in luce diurna. Offre un elevata saturazione del colore, per stampe dai colori vividi in un contrasto ottimale. Combinata con una consistente nitidezza,

l’assoluta assenza di grana dei suoi 100 Iso la rendono perfetta per ingrandimenti fino a generose dimensioni. La maggiore sensibilità della Kodak Gold 200 permette di realizzare immagini dai colori brillanti, con una intensa saturazione dei toni, per risultati di apprezzata nitidezza ed eccellente accuratezza. Ottima per ingrandimenti di grandi dimensioni, consente risultati di alta qualità anche quando le stampe vengono acquisite allo scanner, per ottenere file digitali.

KODAK T-MAX 400 Nella pratica, erede di quel Tri-X con il quale sono state scritte commoventi, drammatiche e


avvincenti pagine della storia della fotografia, scandita anche da icone che appartengono alla storia del mondo, oggi il negativo bianconero Kodak Professional T-Max 400 si presenta e offre in una versione migliorata. Per ribadire una definizione fuori dall’ordinario e una incisiva interpretazione della raffinatezza della propria grana, la nuova emulsione applica la tecnologia proprietaria Kodak T-Grain, che garantisce risultati paragonabili con quelli che identificano la sensibilità sostanzialmente inferiore di 100 Iso. «La struttura della grana della nuova pellicola T-Max 400 è superiore a quella di qualsiasi altra precedente pellicola da 400 Iso», ha annotato il noto John Sexton, ammirato interprete del paesaggio e maestro della stampa in camera oscura, che può vantare di essere stato assistente del grande Ansel Adams. Ancora: «Insieme alla leggendaria precisione del controllo qualità Kodak, questa eccezionale caratteristica rende il nuovo negativo bianconero uno strumento insostituibile per la fotografia fine art». In un recente sondaggio condotto da Kodak, molti fotografi professionisti hanno descritto i pregi della pellicola bianconero. Pur riconoscendo i valori del-

«Quando guardiamo le immagini che i fotografi hanno realizzato negli ultimi cinquant’anni con le nostre pellicole, osserviamo un realismo e un’autenticità che solo la pellicola bianconero può dare. Il nostro impegno verso il mondo delle pellicole, in particolare quelle bianconero, nasce dalla necessità di garantire ai fotografi, oggi e in futuro, la possibilità di riuscire sempre a rendere questa autenticità» Mary Jane Hellyar (presidente di Film Capture Group e vice presidente senior di Eastman Kodak Company)

TIPA AWARD 2007

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est Film: la gamma di negativi colore Kodak Portra II è stata valutata come Migliore Pellicola dalla selettiva, qualificata e prestigiosa giuria della Technical Press Image Association (TIPA), della quale fa parte anche la nostra testata, che le ha assegnato il proprio TIPA Award 2007 di categoria (FOTOgraphia, maggio 2007). La motivazione: «L’ultima serie delle pellicole Portra include quattro tipi di negativi professionali, che offrono grana fine, un eccellente potere risolvente e una superba precisione del colore. Si tratta delle Portra 160 NC e 160 VC e delle Portra 400 NC e 400 VC. Con le due pellicole NV, i fotografi possono ottenere il massimo della neutralità dei toni, con colori corretti e realistici; le versioni VC danno al fotografo l’opportunità di sfruttare una brillantezza dei colori più spinta, grazie al maggiore contrasto. Nate principalmente per i fotografi di ritratto, queste pellicole sono diffuse anche tra i fotogiornalisti che preferiscono l’alogenuro d’argento per documentare il mondo». A queste considerazioni si è riferito Oreste Maspes, Film Capture business Eamer di Kodak, che ha altresì rilevato come «oltre i due terzi dei fotografi professionisti alternano nella propria attività sia la pellicola sia l’acquisizione digitale, e le nuove pellicole Portra sono state studiate e realizzate proprio per aiutarli a creare immagini sbalorditive per qualità dei risultati e impatto. I feedback da parte dei fotografi e dei laboratori professionali coinvolti nei test sul campo sono stati incredibili già a partire dal suo lancio alla scorsa Photokina 2006, e il TIPA Award per la Migliore Pellicola 2007 conferma le ottime performance della serie».

l’acquisizione digitale di immagini, hanno dichiarato che la pellicola “cattura” e valorizza alcune tipologie di immagini, garantendo un livello qualitativo decisamente ineguagliabile. E questo è particolarmente sentito nel caso della fotografia bianconero, la cui specifica restituzione visiva ha sostanziosi debiti di riconoscenza proprio con la consecuzione del trattamento chimico, della pellicola prima e della stampa poi. La nuova T-Max 400 è il complemento ideale alla gamma Kodak di pellicole bianconero, che comprende anche le emulsioni T-Max 100 (il negativo con la grana più fine del mondo, che consente ampie possibilità di ingrandimento e restituisce una qualità di immagine impareggiabile, fin nei minimi dettagli), T-Max P3200 (la prima pellicola bianconero di altissima sensibilità, appunto 3200 Iso, ma anche oltre), Tri-X (da oltre cinquant’anni il bianconero per antonomasia, con una personale struttura della grana e un’ampia latitudine di esposizione, per trarre il meglio anche dalle situazioni di luce più difficili; TIPA Award 2004), BW400CN (pellicola cromogenica con la grana più fine del mondo, adatta al trattamento chimico C-41, per stampe bianconero di qualità su carta colore, con toni neutri morbidi e un elevato livello di dettaglio sia su alte luci sia nelle ombre) e PlusX 125 (negativo classico multiuso). Per ulteriori dettagli: www.kodak. com/go/bwfilms. Antonio Bordoni

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TITANIO CELEBRATIVO. Gitzo ricorda il proprio novantesimo con il primo treppiedi al mondo in titanio, disponibile dall’ultima settimana di ottobre. La particolare configurazione di questo Traveler 90esimo anniversario, prodotto in soli trecentonovanta esemplari per tutto il mondo, prevede finiture personalizzate: incisione del nome del proprietario su una gamba, numero di serie progressivo e certificato, borsa in pelle cucita a mano in dotazione. Nel proprio insieme, oltre l’esclusivo titanio, un treppiedi assolutamente esclusivo, venduto a un prezzo altrettanto singolare: listino 2.180,00 euro, aliquota Iva inclusa. Consistenti le caratteristiche tecniche: peso 1,18kg, altezza massima 140cm (da 41cm), portata della testa fino a quattro chilogrammi, portata del treppiedi fino otto chilogrammi. (Bogen Imaging Italia, via Livinallongo 3, 20139 Milano). ULTRAGRANDANGOLARE. Simultaneamente alle reflex Eos-1Ds Mark III e Eos 40D (su questo stesso numero, da pagina 57), ognuna con il proprio indirizzo tecnico-commerciale,

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registriamo la più corta focale del sistema ottico professionale L Canon: ultragrandangolare Canon EF 14mm f/2,8L II USM, da 114 gradi di angolo di campo, inferiore soltanto alla visione a tutto tondo dell’EF 15mm f/2,8 Fisheye. Lenti asferiche e UD garantiscono i migliori standard di riproduzione delle immagini. Dotato del motore ultrasonico di ultima generazione, per messa a fuoco automatica rapida e precisa, e di guarnizioni di protezione dalla polvere e dall’umidità, sostituisce il precedente EF 14mm f/2,8L USM. Indirizzato a utilizzi professionali, dalla fotografia di architettura al paesaggio, allo sport e al reportage, l’ultragrandangolare Canon EF 14mm f/2,8 L II USM esprime consistenti prerogative visive sia in esterni, sia in interni. La distanza minima di messa a fuoco di soli 20cm permette di avvicinarsi notevolmente ai soggetti, per inquadrature autenticamente creative. Ribadiamo e confermiamo: due elementi asferici garantiscono un’estrema nitidezza delle immagini a ogni distanza di messa a fuoco e a tutti i valori di diaframma, dall’apertura relativa f/2,8. L’eccellente qualità delle immagini è assicurata anche dalla presenza dell’elemento UD (Ultra-low Dispersion), usato per eliminare le aberrazioni cromatiche secondarie. Oltre alle lenti lavorate per ridurre i riflessi, l’obiettivo vanta rivestimenti Canon Super Spectra, che eliminano i bagliori e le immagini fantasma, che nelle reflex digitali possono essere causati da riflessi esterni al sensore. Aumentando la quantità di luce assorbita, i rivestimenti annullano gli eventuali riflessi e producono un bilanciamento naturale dei colori. (Canon Italia, via Milano 8, 20097 San Donato Milanese MI).

EDIZIONE SPECIALE. Proget-

star f/2 (che, nella sua combinazione con la Ermanox, a cavallo degli anni Trenta fu usato da Erich Salomon per le sue straordinarie fotografie in luce ambiente). Interpretazioni Sonnar hanno spaziato in lungo e largo, sconfinando dal piccolo formato 24x36mm al medio formato su pellicola a rullo (soprattutto 6x6cm) e al grande formato. Una edizione speciale Carl Zeiss Sonnar T* 50mm f/1,5 è stata realizzata in montatura a baionetta ZM per gli apparecchi a telemetro Zeiss Ikon (FOTOgraphia, novembre 2004 e marzo 2007), che propongono modalità fotografiche di fantastico sapore classico: fotografia della lentezza in contrapposizione (?) all’inutilità di tante frenesie dei nostri attuali giorni. Compatto e versatile, questo Carl Zeiss Sonnar T* 50mm f/1,5 in edizione speciale richiama e risveglia atteggiamenti che affondano le proprie radici indietro nei decenni, e che prevedono un silenzioso e partecipe avvicinamento al soggetto. Le note tecniche segnalano una costruzione ottica di sei lenti in quattro gruppi; la scala dei diaframmi chiude fino a f/16, con incrementi in terzi di stop; a fuoco da 90cm, con accoppiamento al telemetro, l’obiettivo standard raggiunge un rapporto di riproduzione limite 1:15, con una copertura di campo di 46 gradi. Ancora: diametro dei filtri 43mm, dimensioni e peso 65x54mm (34mm sporgenti dal corpo macchina), per 190 grammi. (Fowa, via Tabacchi 29, 10132 Torino).

tato dal leggendario Ludwig Bertele (1900-1985), il disegno ottico Carl Zeiss Sonnar deriva dal precedente progetto Erno-

ALTA VELOCITÀ. Con una velocità di trasferimento di 45MB al secondo, le nuove schede di

memoria Sony CompactFlash 300x soddisfano le aspettative di chi utilizza reflex digitali. La rapidità di lettura e scrittura si basa sulla tecnologia UDMA (Ultra Direct Memory Access) ad alto rendimento. Le attuali Sony Compact Flash 300x sono disponibili in tre capacità di memoria (2GB, 4GB e 8GB): nell’offerta tecnico-commerciale completano la gamma esistente di schede Sony CompactFlash da 66x e 133x, in linea con la commercializzazione delle reflex digitali Sony Alpha (la nuova configurazione α700, su questo stesso numero, da pagina 45). Le schede CompactFlash ad alta velocità, da 300x con tecnologia UDMA, consentono di registrare un numero superiore di fotogrammi al secondo in modalità di scatto continuo e di trasferire le immagini al computer con la massima rapidità. Su una scheda CompactFlash da 8GB è possibile memorizzare fino a duemila fotografie in formato Jpeg, con risoluzione di dodici Megapixel in modalità Standard, e fino a milletrecentosessantatré (1363) in modalità Fine. In caso di registrazione di immagini in duplice formato -grezzo RAW e compresso Jpeg-, la stessa scheda da 8GB offre spazio sufficiente per trecentotredici fotografie digitali. Per la gamma di schede da 300x è prevista una garanzia di cinque anni. I modelli con velocità di trasferimento di 133x e 300x supportano inoltre il servizio Sony di recupero delle immagini, che permette di ripristinare gli scatti cancellati. (Sony Italia, via Galileo Galilei 40, 20092 Cinisello Balsamo MI).



ITALIANI A PARIGI

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Giunta all’undicesima edizione, Paris Photo è la fiera della fotografia più prestigiosa a livello internazionale (FOTOgraphia, aprile 2003, marzo 2004 e dicembre 2004). La sede storica, Le Carrousel du Louvre, quest’anno accoglierà ventuno editori e ottantatré gallerie, selezionate fra trecento richieste. Lo spazio è molto raccolto e non consente la partecipazione di tutti coloro che ci vorrebbero essere. Ma ci sarà l’Italia come nazione invitata. La mostra ufficiale La collezione dell’UniCredit è una selezione di autori dagli anni Settanta ai Novanta, sul tema del paesaggio: «[...] poiché esso non solo attraversa diverse gene-

razioni, ma in questo attraversamento consente di individuare alcune costanti, alcune ricorrenze linguistiche e concettuali nelle quali è possibile trovare anche un’identità culturale ben definita», scrive il curatore Walter Guadagnini. Saranno presenti opere di Mario Giacomelli e Franco Fontana, Luigi Ghirri e Mimmo Jodice, a rappresentare i maestri storici, e Gabriele Basilico, Olivo Barbieri, Vincenzo Castella, Daniele De Lonti, Luca Campigotto, Francesco Jodice, Grazia Toderi, Elisa Sighicelli. Mentre otto gallerie invitate propongono i nuovi talenti, nella sezione Statement: le giovani Nepente e Bel Vedere di Milano si dedicano solo alla fotografia;

Da La collezione dell’UniCredit: Luigi Ghirri, senza titolo. Da La collezione dell’UniCredit: Francesco Jodice, Sao Paulo.

PARIS PHOTO 2007 ifre e riferimenti ufficiali. Paris Photo si svolge a Le Carrousel du Louvre (99, rue de Per il pubblico, da giovedì quindici a domenica diciotto novembre: giovedì quinCdici,Rivoli). dalle 11,00 alle 20,00; venerdì sedici, dalle 11,00 alle 21,00; sabato diciassette, dalle 11,00 alle 20,00; domenica diciotto, dalle 11,00 alle 19,00. Inaugurazione su invito, mercoledì quattordici, dalle 19,00 alle 22,00; pomeriggio riservato ai professionisti, mercoledì quattordici, dalle 16,00 alle 19,00. L’edizione Paris Photo 2007, la undicesima, annuncia centoquattro espositori, di diciassette paesi: ottantatré gallerie, il settantatré per cento straniere, e ventuno editori, che presentano edizioni librarie e quaranta tra le principali riviste internazionali. Come sottolineato nel corpo centrale dell’attuale intervento redazionale, l’Italia è la nazione invitata. Sono attesi quarantamila visitatori (www.parisphoto.fr).

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le altre (Trisorio e Umberto di Marino Arte Contemporanea di Napoli, Alberto Peola e Guido Costa Projects di Torino, Oredaria e VM21 di Roma) esibiscono anche pittura e scultura. Si chiude la kermesse italiana con una serie di video d’artista. Ma oltre alle gallerie ufficialmente invitate, la presenza italiana è massiccia con alcune novità: Spazio Forma, Fotografia Italiana, Massimo Minini ed Admira che non è una galleria, ma organizza mostre in altri spazi. Se è così difficile essere accettati da Paris Photo, come mai non-gallerie passano attraverso la cruna dell’ago, e altre a pieno diritto vengono escluse? La celebrazione d’Italia si espande alla Camera di Commercio (134, rue de Faubourg Saint-Honoré) con una mostra dedicata a Carlo Mollino, sempre sponsorizzata dall’UniCredit che ha investito sulla cultura, della cenerentola, fotografia. Fr.Gasp.


700.

Il segreto delle incredibili prestazioni della reflex Sony 700 è racchiuso nel nuovissimo sensore Sony CMOS Exmor da 12,24 megapixel effettivi che assicura immagini nitide e con un basso livello di rumore a qualsiasi sensibilità ISO. L’uscita in HDMI, con modalità Photo TV HD, ti permetterà di vivere le tue immagini in Alta Definizione su schermi Full HD, con un risultato da grande cinema!

Non potrai più farne a meno.

www.sony.it/reflex

‘Sony’e ‘like.no.other’ sono marchi registrati di Sony Corporation, Giappone.

Nuova Reflex Sony


MORIRE PER INFORMARE. Kenji Nagai, fotoreporter giapponese della Afp (Agence France Press), è stato colpito a morte dalla polizia birmana nei pressi della pagoda di Sule a Rangoon, Myanmar, ex Birmania, il ventisette settembre, durante una manifestazione anti-regime. È un collega dell’Agenzia Reuters a documentare il tragico momento della sua morte; e poi c’è un video che rivela come, pur gravemente ferito, il fotoreporter abbia coraggiosamente continuato a scattare, prima di perdere i sensi. Dati sui giornalisti uccisi nel 2007 si trovano sul sito di Reporter senza frontiere (http://www.rsf.org/): al dieci ottobre sono settantacinque, e undici le vittime tra i loro assistenti.

TEMPI DURI PER TIME INC. Dall’inizio dell’anno, la pubblicità su Fortune è calata del 16,8 per cento, del 20,5 per cento su Money’s e del 19,7 per cento su Fortune Small Business, tutte riviste edite da Time Inc. Inoltre, è stato annunciato che Business 2.0 cessa le pubblicazioni col numero di ottobre. In aprile, Time Inc aveva già defunto Life dopo che, negli ultimi anni, la storica testata era distribuita solo come supplemento di alcuni quotidiani (FOTOgraphia, maggio 2007).

ANCORA DIRITTI (E DOVERI). Lo scorso giugno, con analoga ripresa a ottobre, abbiamo riferito di una proposta di legge dello Stato di New York per vietare l’utilizzo, a fini com-

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merciali, di immagini di personalità defunte senza il permesso degli eredi. Presso la California State Assembly, il quattro settembre si è andati oltre: con settantasette voti favorevoli e zero contrari è passata una legge che stabilisce che, per le personalità decedute prima del 1985, agli eredi vengano riconosciuti con decorrenza retroattiva i diritti sulle immagini usate per scopi pubblicitari.

TOSCANI: PROVOCAZIONE COME INFORMAZIONE. Alla fine di settembre, durante la settimana della moda, inquietanti affissioni sono apparse nelle strade di Milano. Ne è autore Oliviero Toscani, che le ha realizzate per Nolita (il fashion brand del gruppo Flash&Partners di Tombolo, in provincia di Padova). Le fotografie fanno parte di una campagna pubblicitaria, stile Pubblicità Progresso, contro l’anoressia, patrocinata dal ministro della Sanità, Livia Turco. Isabelle Caro, una ragazza anoressica di appena trentasei chili, si è prestata a essere fotografata completamente nuda per la campagna. Le immagini sono molto forti, non stupisce perciò la bufera scoppiata a Milano e conclusasi con l’intervento del sindaco, Letizia Moratti, che ha vietato i manifesti su tutti gli spazi di pertinenza del Comune, dai quali sono state cancellate tutte le affissioni (Angelo Mereu ne ha fotografata una residua, a destra e in Sommario). Poco più di un anno fa, la giuria dell’Emmy Award (www.emmys.tv/) ebbe un approccio completamente

Affissione del soggetto contro l’anoressia, realizzato da Oliviero Toscani per Nolita: «Io ho fatto, come sempre, un lavoro da reporter: ho testimoniato il mio tempo». Sul controverso argomento, sono intervenuti molti media italiani. Tra tutti, intelligente l’intervista a Oliviero Toscani, e il servizio giornalistico nel proprio insieme, su Vanity Fair del ventisei settembre.

diverso, premiando un lavoro sull’anoressia altrettanto scioccante, di Lauren Greenfield, fotogiornalista dell’Agenzia VII (Seven, rappresentata in Italia dall’Agenzia Grazia Neri). Moltissimi quotidiani e settimanali hanno ospitato un acceso dibattito sull’argomento. Per esempio, nel numero del ventisei settembre, Vanity Fair gli ha dedicato un servizio che racconta la vita di Isabelle (con fotografie di Emmanuel Fradin, Agenzia Strates) e un’intervista molto intelligente a Oliviero Toscani a firma di Silvia Nucini, accompagnata dal backstage dell’intero servizio del celebre fotografo italiano (qui sotto). «Tante volte, durante gli shooting, vedevo queste modelle che erano belle vestite e orrende nude», annota tra l’altro Oliviero Toscani nell’intervista pubblicata da Vanity Fair, «e avevo la tentazione di fotografare la loro magrezza da campo di concentramento. Adesso l’ho fatto». Luisa Bertoncello, amministratore delegato di Flash&Partners, ha dichiarato: «L’intento aziendale è proprio quello di usare la pubblicità come strumento di sensibilizzazione ai temi sociali». L’agenzia Ansa ha poi battuto una conferma di Oliviero Toscani: «Io ho fatto, come sempre, un lavoro da reporter: ho testimoniato il mio tempo».

ANGELO MEREU

REUTERS

Ventisette settembre: Kenji Nagai della Afp colpito a morte dalla polizia birmana nei pressi della pagoda di Sule a Rangoon, Myanmar, ex Birmania, durante una manifestazione anti-regime.


In distribuzione internazionale simultanea, all’inizio di ottobre, Time e The Economist hanno pubblicato la stessa immagine (credito Reuters): monaci buddisti, in relazione alle manifestazioni in Myanmar (ex Birmania) contro la dittatura militare.

COPERTINE UGUALI. Qualche anno fa ci è capitato di segnalare che, per due volte in meno di due anni, importanti newsmagazine italiani, prima Panorama e L’Espresso per l’Intifada (credito Reuters), e poi Gente e Oggi per l’attentato di Madrid, sono arrivati in edicola con la stessa copertina (rispettivamente, FOTOgraphia del marzo 2002 e aprile 2004). Abbiamo sottolineato che ciò può capitare se un giornale fa la propria copertina con una fotografia d’agenzia, senza chiederne l’esclusiva. Mentre non sorprende che questo possa capitare ai media italiani, che non hanno più fotografi dello staff in giro per il mondo, lascia basiti vedere che accade anche a settimanali stranieri, che invece nei propri staff hanno fior di fotografi. Nella prima settimana di ottobre, le copertine dell’edizione di Time in edicola in Italia e del prestigioso settimanale inglese Economist hanno pubblicato la stessa immagine. Una fotografia Reuters di monaci buddisti (scontornata su Time) dedicata

alle manifestazioni in Myanmar (ex Birmania) contro la dittatura militare. Per l’informazione, e per i fotogiornalisti in particolare, non ci sembra un buon segnale che riviste autorevoli rinuncino a una testimonianza visiva dei fatti riportata dai propri inviati. È allarmismo eccessivo pensare che se le fonti di informazione si riducono a quattro-cinque grandi agenzie la democrazia è in pericolo?

ha introdotto i crediti. Qualche eccezione c’è, in verità, almeno nella nuova sezione R2 dedicata all’approfondimento, dove capita di vedere qualche fotografia firmata (in basso). Ma perché allora nell’inserto settimanale tratto dal New York Times, e pubblicato ogni lunedì, non manca mai un credito, neppure alle vignettine formato francobollo? (centro pagina).

COMPLEANNO. A settembre, la testata elettronica The Digital Journalist (www.digitaljournalist.org) ha compiuto dieci anni. Lunga vita a una delle più attente fonti di informazione del web dedicate al fotogiornalismo. Ricordiamo che la testata è nata nel 1997 con una sponsorizzazione Hewlett-Packard, che mise a disposizione della redazione il più potente server del MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Cambridge, nei pressi di Boston (Usa), per promuovere il fotogiornalismo.

MURDOCH ON LINE. In una recente intervista, il magnate Rupert Murdoch, proprietario di svariati media nel mondo, tra cui la Pay-tv italiana Sky e il mitico Washington Post, da poco acquisito, ha affermato che il Post on line, destinato tra non molto a sostituire integralmente l’edizione cartacea, sarà gratuito per i lettori e che sarà la pubblicità a pagarne i costi. A ruota, i direttori di New York Times e Financial Times hanno rilasciato dichiarazioni analoghe. a cura di Lello Piazza

Anche nella nuova veste editoriale, per Repubblica i crediti alle fotografie sono un optional (più probabili nella sezione R2). Non mancano mai nell’inserto settimanale tratto dal New York Times, e pubblicato ogni lunedì. Perché?

SENZA CREDITI. È uscita La Repubblica nelle nuova veste editoriale: ma i crediti delle fotografie non ci sono ancora. Chi ha a cuore la qualità della informazione visiva si aspetta sempre che qualcosa cambi nei quotidiani italiani, per esempio che sia finalmente riconosciuto il lavoro del fotogiornalisti attraverso il credito delle loro immagini. L’attesa è purtroppo vana. Neppure la mutata veste editoriale di Repubblica, inaugurata il diciannove settembre,

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IL TEMPO DEI MARQUARDT (?)

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Sulla bancarella di un mercatino antiquario, tra tanto altro materiale di vario genere, abbiamo recentemente individuato un quaderno composto da fogli rilegati a mano, rifinito con copertina rigida. Per quanto incuriositi, in un primo momento lo abbiamo sfogliato distrattamente, e forse anche svogliatamente. Di certo, non avevamo la minima idea di cosa stavamo per incontrare, e innegabilmente ancora oggi ne siamo all’oscuro: possiamo soltanto stilare delle ipotesi, che in qualche misura compongo-

totalmente sconosciuta, per lo più vergata con antica perizia calligrafica. Però, a ben guardare, ciò che ci interessa di più è proprio incamminarci per congetture, supposizioni ed eventualità, nel proprio complesso supportate, come è legittimo che sia (su queste pagine) da riflessioni e annotazioni fotografiche. Sinceramente, sfogliando il quaderno-album, all’inizio siamo stati sedotti dalla calligrafia ordinata di quella che, in seguito, abbiamo classificato come introduzione (a sinistra). L’etichetta in copertina precisa che l’argomento del quaderno è la famiglia tedesca Marquardt, ap-

LOREDANA PATTI

Prima di avvicinare la componente fotografica del quadernoalbum della famiglia Marquardt, la nostra attenzione è stata attirata dalla calligrafia ordinata di quella che abbiamo inteso come introduzione e dall’eleganza del definibile frontespizio.

no il senso di questa nostra annotazione, che approda a riflettere sul Tempo fotografico: una volta ancora, e una di più, riferita anche a taluni comportamenti commerciali del nostro mercato (attenzione: una rivista di settore non può ignorare, e nemmeno sottovalutare, tutte le componenti del proprio mondo; quindi, a conclusione delle nostre attuali riflessioni, si approda al mercato commerciale per quanto questo arriva a influenzare tutti gli equilibri, anche quelli espressivi). Rileviamo subito che su questo quaderno-album non sappiamo decifrare i testi in tedesco, lingua a noi

Il quaderno-album che narra le vicende della famiglia Marquardt è stato individuato e recuperato in un mercatino antiquario. A sangue caldo, prima di ulteriori approfondimenti storici, è spunto per una osservazione sul senso e valore della fotografia. Tempo e Ricordo.

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punto Die Familie Marquardt (pagina precedente). Nello svolgimento interno, dopo l’introduzione, si incontra un calendario a mesi, con l’identificazione di avvenimenti che, in anni diversi, hanno riguardato la famiglia in specificati giorni: soprattutto nel corso dell’Ottocento, con qualche sconfinamento all’ultima decade del Settecento. Qui, ogni indicazione è comprensiva del rimando alla pagina in cui la persona cui ci si riferisce è raccontata. Ripetiamolo: le nostre sono soprattutto ipotesi basate sulla semplicistica decifrazione di ciò che appare o, quantomeno, sembra. Così, entrando nel vivo della propria narrazione, il quaderno-album scandisce le biografie dei membri della famiglia, che si deduce illustre (quantomeno una famiglia che a cavallo del Novecento si poteva permettere i ritratti in studio dei propri componenti). Ancora e anche le pagine del racconto sono ordinate e visivamente affascinanti, come l’introduzione appena citata. E qui finiscono le considerazioni sulla parte scritta del quaderno, che lasciano il campo alla riflessione fotografica, ispirata e sollecitata dalle fotografie che, pagina dopo pagina, accompagnano le parole. Prima di congedarci con la scrittura, rileviamo soltanto che tanta perizia formale si completa anche con annotazioni grafiche di altrettanta maestria: sopra tutto, citiamo una dettagliata planimetria della città di Stettino (oggi Polonia), dove sono vissuti i membri della famiglia Marquardt, nell’Ottocento e primi decenni del Novecento.

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Le biografie dei membri della famiglia Marquardt si accompagnano con loro fotoritratti in formato carte de visite. Si tratta di un efficace e legittimo utilizzo della fotoricordo, da non confondere con i valori, spesso aridi, del collezionismo e dell’antiquariato, che considerano con orrore l’alterazione dei cartoncini originari. Ma questa è Vita.

In effetti, la collocazione geografica dedotta da scritture decifrate nel quaderno è stata confortata da una ricerca in Rete, dove abbiamo potuto rilevare che nel 1266 (!) i Marquardt contribuirono alla fondazione di Koszalin (in tedesco Köslin), città voluta dal conte Herrmann von Gleichen. Oggi Polonia, Koszalin è situata a una dozzina di chilometri dal Mar Baltico, a metà strada tra Stettino (147km a Ovest) e Danzica (151km a Est). Dunque, si tratta di terre entro le quali hanno vissuto le generazioni della famiglia Marquardt. Arrivando alla nostra materia istituzionale, rileviamo prontamente che questo quaderno -che, attraverso le biografie dei propri membri, narra le vicende della famiglia Marquardt- si propone e offre come fantastico referente per l’uso consapevole e pertinente della fotografia. Addirittura del ritratto fo-

tografico, che fin dalle origini è una delle peculiarità espressive della stessa fotografia. Infatti, pagina dopo pagina, le biografie e i racconti (così abbiamo dedotto) si completano con fotografie abbinate, alcune incollate direttamente sulle pagine, altre inserite a margine (come visualizziamo con le illustrazioni pubblicate in queste pagine). Tutti i ritratti sono nel formato carte de visite, genialmente avviato da André Adolphe Eugène Disdéri nella seconda metà dell’Ottocento. Come consuetudine fino al primo Novecento inoltrato, le stampe sono montate su cartoncino di supporto, che le valorizza e protegge: in un insieme armonioso ed elegante, i singoli ritratti sono altresì completi dei riferimenti commerciali dell’autore, indicato sul fronte, immediatamente sotto la copia fotografica, e sul retro. LOREDANA PATTI (4)

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oprattutto nelle grandi città, accanto le proposte commerciali consuete o proiettate in avanti si possono incontrare manifestazioni particolari, dense di sapore. Tra queste, le bancarelle e i negozi di libri e riviste di “seconda mano” (almeno) offrono testimonianze del passato che possono risultare preziose. Si possono ritrovare titoli andati perduti, da tempo ricercati, ma si possono fare anche scoperte originali: procedendo a caso, e avendo tempo e modo di soffermarsi per sola e semplice curiosità, magari in quel confortevole perdere tempo che può anche essere per se stesso benefico. Ecco qui, una delle nostre riscoperte d’annata.


Nel caso del quaderno-album che racconta (?) le vicende della famiglia tedesca Marquardt, le carte de visite non sono state conservate nella propria preziosa originalità intatta, ma sono state spesso completate con indicazioni vergate a inchiostro (identificazione del soggetto) e, soprattutto, sono state incollate o allegate con nastro adesivo. Orrore!, nell’ipotesi teorica e artefatta della perfetta conservazione storica, che altrimenti toglie ogni valore monetario ai singoli cartoncini (che, perfettamente integri, possono essere venduti a quotazioni sostanzialmente consistenti). Ma giusto questo utilizzo, che priva l’originale fotografico dei propri connotati soltanto teorici, costituisce invece l’autentica sostanza di questa raccolta di ritratti, che smette di essere eterea e astratta, per diventa-

re vissuta e tangibile. Nel proprio insieme, la combinazione tra annotazioni ai bordi e sistemazione nel quaderno-album compone e definisce l’autenticità della fotografia: non più oggetto a se stante, da considerare e valutare senza riferimenti specifici, ma testimonianza vissuta di una storia raccontata (o da raccontare). In questo senso, la dicotomia è stridente. Da una parte ci sono il

A volte, le fotografie che accompagnano i testi sono incollate sulle pagine del quadernoalbum della famiglia Marquardt. Altre volte, come in questo caso, le fotografie sono allegate con nastro adesivo. In tutti i casi, ripetiamolo ancora, sono sempre fotografie vissute.

collezionismo e l’antiquariato, con tutte le proprie regole e discipline (molto spesso assurde), dall’altra la finalizzazione dell’immagine, nel proprio uso quotidiano. Nello specifico, questi ritratti raccontano la vita, una Vita, nel proprio svolgersi giorno dopo giorno. La fotografia può farlo, forse deve farlo. Fin dalle proprie origini, e nella propria lunga evoluzione espressiva, la fotografia offre Tempo che arricchisce il cuore, la mente, i sentimenti. Eccolo qui il concetto (vincente?) della fotografia che supera l’usura degli anni e che si arricchisce di questa. Quando vende una macchina fotografica, qualsiasi questa sia, a qualsiasi tecnologia debba le proprie prestazioni, ciascun fotonegoziante deve essere cosciente e consapevole di “spacciare” emozioni, sensazioni, sogni, misteri presto svelati. Nell’annoso dibattito commerciale, in troppe occasioni ci siamo dibattuti su aspetti secondari, perdendo di vista il valore principale della Fotografia: quello di offrire e concedere Tempo e Ricordo. Se ci pare poco. Se ci pare non abbastanza. Se non è un Valore Aggiunto. Allora i fotonegozianti continuino pure a impegnarsi sul Prezzo (come troppo spesso fanno). Ma il Tempo, è tutt’altra questione. M.R.


UNA DONNA DOLCE

Il cinque ottobre è mancata Alexandra Boulat, eccezionale fotogiornalista dal tocco lieve. Testimone dai fronti della guerra, sempre rappresentata di profilo, senza la ferocia dei combattimenti, ma con la tragedia che investe le sue vittime, ha fotografato con la partecipazione e passione di chi condivide emotivamente il destino dei propri soggetti. Con la fotografia, oltre la fotografia 26


C

ome già molti hanno scritto, Alexandra Boulat se n’è andata. La vita non le è stata strappata da una bomba a grappolo, da un proiettile vagante, da una vendetta talebana per il suo lavoro in difesa delle donne afgane. È stato un piccolo, piccolissimo ma letale “scoppio” nel suo cervello, che l’ha sorpresa, gravemente ferita e, adagio adagio, uccisa. Era il ventuno giugno. Si trovava sul campo, a Ramallah, capitale virtuale, o tacitamente provvisoria, di quella Palestina dove altri sono i pericoli attesi e mortali. Alexandra li attraversava indenne, come un coraggioso Achille, quasi invulnerabile, ma come l’eroe greco aveva una piccola fragilità nascosta e silente.

Lei viveva abitualmente tra i mille pericoli dei territori di guerra. Negli anni Novanta era stata in Jugoslavia per l’Agenzia Sipa Press, poi in Iraq, Afghanistan, Israele e nei Territori Palestinesi per l’Agenzia VII, della quale, nel 2001, era stata uno dei fondatori. Aveva attraversato un sacco di guerre. Istintivamente non ti aspetti che una donna diventi fotografo di guerra. Istintivamente ti aspetti che un fotografo che va in guerra debba avere l’audacia e la forza muscolare degli uomini d’armi. Alexandra era una donna dolce, apparentemente fragile, con gli occhi azzurri di suo padre Pierre, fotografo dello staff di Life per venticinque anni, mancato a Nemours, in Francia, l’11 gennaio 1998, a settantatré anni. Di suo padre diceva: «Quando scoprì che vo-

(pagina accanto e in copertina) Alexandra Boulat fotografata a Baghdad, nel 2003, da Jerome Delay.

Dal reportage realizzato per National Geographic Magazine, nel 1999: bambini del villaggio di Novosele, nel nord dell’Albania, corrono e saltano in un campo.

RITRATTO

ESEGUITO DA

PIERRE BOULAT

TESTIMONIANZA: GRAZIA NERI

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a prima notizia che mi giunse da Ramallah aveva già in sé qualcosa di tremendo e mi aveva scosso enormemente. È uno shock scoprire d’un tratto che una persona giovane, che conosco da oltre trent’anni, è gravemente ammalata. Anche perché Alexandra è la figlia di una cara amica, Annie Boulat, una persona di grande intelligenza che dirige l’agenzia fotografica Cosmos e che ha rappresentato per anni l’agenzia Contact a Parigi, e di Pierre, celebre fotografo di Life. Nei giorni a seguire, questo dolore è diventato cronico, a causa del prolungarsi di una malattia che non dava adito a speranze. Come è strana la vita. E pensare che Alexandra aveva promesso che sarebbe stata presente il diciassette settembre a Milano, alla inaugurazione della sua mostra nella mia Galleria [FOTOgraphia, settembre 2007]. La notizia della sua morte è giunta quando la mostra non si è ancora conclusa. Ora penso ancora più intensamente ad Annie e ho una grande ammirazione per

il suo comportamento eccezionale, che ha saputo vegliare la figlia per mesi in ospedale, presentandosi sempre puntuale alle occasioni di lavoro, alternando impegni professionali e amore materno. In questa vicenda, Annie ha mostrato grande dignità e pacatezza ed è stata lei a consolare tutti noi. Se mi fermo in ascolto, sento ancora la voce di Alexandra che mi parla di come allestire la mostra, di quali fotografie scegliere, di quali stampe rifare. Ma il mio ricordo più bello rimarrà quello del seminario della VII in aprile a Londra [FOTOgraphia, luglio 2007]. Alexandra era luminosa. Ha proiettato le sue grandi fotografie, ha spiegato come lavora, era felice e innamorata. Ci ha incantato con i suoi sorrisi. La mostra di Alexandra è una delle più frequentate di quest’anno. Dopo Milano, la faremo girare in Italia. Cominciamo da Bolzano, il quattro dicembre. Grazia Neri (titolare dell’Agenzia Grazia Neri)

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(al centro) Afghanistan, 2004: Shahima, venticinque anni, è ricoverata all’Herat Hospital. Un velo protegge il suo corpo ustionato.

levo diventare fotogiornalista, fece di tutto per dissuadermi. Guardava le mie fotografie e diceva: cosa pensi? che sia facile? guarda questa fotografia che hai scattato: non vuol dire niente! Mio padre era convinto che il fotogiornalista non fosse un lavoro da donne. Per lui, le donne desideravano solo avere una famiglia e fare figli». Alexandra era una donna tenace e coraggiosa, come sua madre Annie, titolare dell’agenzia

fotografica Cosmos, a Parigi. Il coraggio e la tenacia hanno permesso ad Alexandra di diventare uno dei più bravi fotogiornalisti del mondo. Inizialmente si era dedicata alla pittura, ma «è molto più eccitante fare il fotografo che il pittore: vedi il mondo e la gente, vedi la vita com’è; ogni giorno vedi tanti piccoli fatti che diventano Storia». Quello che ha detto del proprio lavoro, in una in-

Sardegna, 2003: il centunenne Ziu Piriu Occioni a Aglientu, al nord dell’isola.

Marocco, 2003: dal reportage sulla cerimonia di matrimonio berbero, nel villaggio di Taaraart.

UNA GIOVANE ALEXANDRA BOULAT A PARIGI (FOTOGRAFIA DI PETER MENZEL)

TESTIMONIANZA: CHIARA MARIANI

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L

ondra, aprile 2007, seminario della VII. Alexandra presenta una porzione del suo lavoro. Donne nel Medio Oriente. Dalla platea una domanda: «Un uomo avrebbe potuto fare la stessa cosa?». Qualche secondo di pausa e poi: «Differently», risponde lei. Certo, il suo essere donna le aveva offerto un accesso probabilmente più complicato o addirittura impossibile per un uomo. Ma la diversità del suo approccio consisteva anche nella delicatezza che negli anni aveva elaborato e che corrispondeva a una crescita interiore, maturata nella solitudine e negli ultimi tempi in compagnia di un uomo che amava, un palestinese. «Voglio rimanere in Palestina», ci aveva detto a Londra. «Stiamo disperatamente cercando di sposarci. Ma non è facile, e anche se ci riusciamo la mia permanenza laggiù non è garantita. Ma siamo sereni e il resto verrà». Dopo cominciammo a parlare di un assegnato, una storia da costruire sulla nuova gioventù palestinese, dal taglio inconsueto, positivo, che prese forma nelle settimane a seguire con scambi di e-mail e telefonate. Ormai c’eravamo: il

nuovo reportage era visivamente declinato, bisognava passare all’azione. Poi, la notizia che lasciava poche speranze anche ai più ottimisti. E con la notizia un tourbillon di pensieri che non avevano più a che fare con la fotografia, ma che scaturivano da un processo di identificazione: per noi in quel momento non si trattava della morte di un fotografo, ma di una coetanea irrequieta, che visibilmente aveva trovato se stessa e che ora era privata dell’opportunità di raccogliere i frutti della propria ricerca personale. Di lei ci rimangono le sue storie visive, tante, il sorriso sempre accennato e l’ultima immagine che i nostri occhi hanno fotografato: l’atteggiamento un po’ impacciato dal palco di Londra, che contrastava con la sua fama di star della stampa mondiale. Forse solo lei poteva avvicinare la platea della Royal Geographic Society, che si era radunata per vedere e ascoltare, con una miscela così esplosiva: l’audacia delle sue fotografie e l’imbarazzo di una bambina. Come dire, “differently”. Per l’appunto. Chiara Mariani (photo editor del Magazine del Corriere della Sera)


TESTIMONIANZA: KENT KOBERSTEEN

AUTORITRATTO

IN

MAROCCO (2003)

H

o incontrato per la prima volta Alexandra Boulat a Perpignan, nel 1998, durante la manifestazione Visa pour l’Image. Le ho subito proposto di lavorare per noi e le ho commissionato il suo primo servizio per National Geographic, una storia sull’Albania. In seguito, abbiamo pubblicato altri tre grandi servizi suoi, sull’Indonesia, sul Marocco e su Baghdad, fotografata prima, durante e dopo l’invasione delle truppe americane. Il lavoro di Alexandra va ben oltre il fatto di documentare ciò che accade davanti al suo obiettivo. Le sue immagini mostrano il suo amore per il suo lavoro

e per i soggetti fotografati. In queste immagini riusciva a trasferire le sue doti intellettuali e il suo senso estetico di qualità superiore. Conoscere Alexandra è stato ancor più gratificante che scoprire le sue fotografie. Non solo era una brava fotogiornalista, ma una maestra meravigliosa e disponibile, piena di amore per la vita. In realtà erano gli esseri umani che fotografava coloro per i quali lavorava. Sono stato molto fortunato ad averla avuta come amica. Ci mancherà moltissimo. Kent Kobersteen (former photo editor di National Geographic Magazine)

(al centro) Afghanistan, 2001: i genitori preparano per il rito funebre il corpo del loro figlio di otto anni, morto per il freddo nel campo profughi di Maslakh, nei pressi di Herat.

Baghdad, aprile 2003: fumo degli incendi scoppiati in città a seguito degli intensi raid aerei della coalizione anti Saddam.

tervista rilasciata alla tv statunitense CBC, rivela una profonda umanità che spesso, nei reporter di guerra, è sepolta sotto una dura corazza di cinismo. «Non desideravo diventare un fotografo di guerra. Non mi sentivo fatta per quello. Ma ci sono finita perché in guerra succedono cose alle quali sono interessata, che voglio vedere da vicino e voglio raccontare agli altri. Non mi piace la guerra, ma sento il dovere di essere lì e vedere. «Mi ci è voluto un po’ prima di cominciare a

ALEXANDRA BOULAT

CON

CARLO ROBERTI AL TPW

TESTIMONIANZA: CARLO ROBERTI

H

o incontrato Alexandra per la prima volta cinque o sei anni fa, a Perpignan. Mi fu presentata da Antonin Kratochvil, che già da tempo insegnava da noi, al TPW [Toscana Photographic Workshop]. Subito non mi disse nulla, ma qualche giorno dopo mi si avvicinò e disse che sapeva che facevamo delle belle cose in Toscana e che le sarebbe piaciuto partecipare. Cominciò così a venire da noi, quando eravamo a San Quirico d’Orcia, nel 2003. Non aveva mai svolto workshop prima, ed era un po’ timida, ma il suo corso fu un grande successo: nessuno di noi si aspettava tanta cura e attenzione nel raccontare il proprio lavoro e le forti motivazioni che la spingevano a scegliere le zone di guerra come luoghi dove realizzare le sue fotografie. Abituati a icone ben diverse, forse eccessivamente maschili, Alexandra si elevava per la propria tranquillità, eleganza e gentilezza. Ogni tanto ci incontravamo alle sette di mattina in piscina, dove lei nuota-

va e io leggevo il giornale. Abbiamo discusso di fotografia, impegno professionale e sociale, differenza tra cibo italiano e quello francese, di vini. Abbiamo poi fatto insieme anche un paio di incontri presso la Fnac a Verona e Milano, ci siamo rivisti a Parigi un paio di volte e mi ha invitato a pranzo nella sua casa nuova. Nel 2006, è arrivata in Toscana con Issa, il suo compagno. È stata una settimana intensa, con Issa che documentava con la macchina da presa la vita al TPW, Alexandra impegnata con gli studenti e alla sera tutti insieme a cena. Quello che è successo lascia un grande vuoto; gli studenti e quelli che l’hanno conosciuta, le persone del luogo, gli amici, tutti continuano a chiedermi. Come TPW, istituiremo una borsa di studio a suo nome, per permettere a una giovane fotoreporter di seguire gratuitamente un corso da noi. Carlo Roberti (direttore del Toscana Photographic Workshop - TPW)

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UNA VITA BREVE

A

lexandra Boulat è nata a Parigi, nel 1962. Fotogiornalista dal 1989, per dieci anni ha lavorato con l’Agenzia Sipa Press; nel 2001 è stata tra i soci fondatori dell’Agenzia VII (www.viiphoto.com). È mancata a Parigi lo scorso cinque ottobre, a quarantacinque anni. Con le sue immagini ha documentato la guerra nella ex Jugoslavia, la caduta dei Talebani in Afghanistan, la guerra in Iraq e il conflitto israelo-palestinese. I suoi servizi sono regolarmente pubblicati su riviste internazionali, tra le quali soprattutto Time, Newsweek e Paris Match. Ha lavorato su commissione per il National Geographic Magazine, con reportage su Albania, Indonesia, Marocco, Iraq. Tra i lavori più recenti, quello sul mondo femminile in Medioriente, raccolto anche nella mostra recentemente esposta alla Galleria Grazia Neri di Milano: Modest. Donne in Medioriente, che abbiamo presentato in FOTOgraphia dello scorso settembre. ❯ Mostre personali Modest. Donne in Medioriente; Galleria Grazia Neri, Milano (2007) [FOTOgraphia, settembre 2007]. Les femmes de l’axe; Visa pour l’Image, Perpignan, Francia (2005). Fragments of War; Gallerie Debelleyme, Parigi, Francia (2002). War in Yougoslavia; Maison Européenne de la photographie, Parigi, Francia (1998). Les horreurs de la guerre en ex-Yougoslavia; Visa pour l’Image, Perpignan, Francia (1994). ❯ Mostre collettive Transformer 2; Photoforum PasquArt, Biel, Svizzera (2007). Women War Photographers; War Photo Limited, Dubrovnik, Croazia (2006); Galway Arts Festival, Irlanda (2007). VII; Hasted Hunt Gallery, New York, Usa (2005). Welten, Menschen, Augenblicke (National Geographic); Stadtmuseum Schleswig, Schleswig, Germania (2005). War. Etats-Unis - Afghanistan - Irak; Musée International de la Croix-Rouge et du Croissant-Rouge, Ginevra, Svizzera (2005). Star et starlettes - Festival de Cannes - 1950-1960; Galerie Jan Schlütter,

Iran, 2004: esercitazione di tiro delle allieve dell’accademia di polizia di Teheran.

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Colonia, Germania (2004). War. New York, Kabul, Baghdad; Visual Gallery Photokina, Colonia, Germania (2004). War by VII / Usa - Afghanistan - Iraq; War Photo Limited, Croazia (2004). Dietro l’immagine. Ritratti di povertà rurale; FotoGrafia, Mercati di Traiano, Roma (2004). Inviati di Guerra; Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri, Verona (2004) [FOTOgraphia, febbraio 2004]. World Press Photo 2003; itinerante; in Italia al Museo di Roma in Trastevere e alla Galleria Carla Sozzani di Milano (2003) [FOTOgraphia, giugno 2003]. Da New York a Kabul; Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri, Verona (2002) [FOTOgraphia, settembre 2002]. ❯ Libri Eclats de guerre; Editions des Syrtes, Parigi, 2002. Paris; National Geographic France, Parigi, 2002. ❯ Premi 2006 Migliore donna fotografa; Circolo Fotografico Sannita, Benevento. 2003 Oversears Press Club; Afghanistan. 2003 World Press Photo / Art Stories: L’addio di Yves Saint Laurent [FOTO graphia, giugno 2003]. 1999 Eisenstaedt Award; Columbia University e Life Magazine, New York, Usa: reportage sul Kosovo. 1999 Infinity Award; International Center of Photography, New York, Usa: reportage sul Kosovo. 1998 Usa Photo Magazine’s Photographer of the Year. 1998 Visa d’Or pour l’Image / News; Perpignan, Francia: reportage sul Kosovo. 1998 Paris Match Magazine Award; Francia: reportage sul Kosovo. 1996 Prix du Festival d’Angers; Francia: reportage su Zahwa, figlia di Yasser Arafat. 1994 The Harry Chapman Media Awards; Usa: Besieged Sarajevo.

scandalizzarmi. Mi sono scandalizzata quando ho capito che la mia presenza, nella maggior parte dei casi, non aveva influenza sui fatti. Quando ho capito che la mia presenza non era particolarmente utile, né tanto meno necessaria; quando ho capito di non essere un taumaturgo della Storia, ho cominciato a guardare quello che accadeva con maggiore compassione, a rimanere più intimamente coinvolta. Mi è sembrato di essere io stessa uno dei protagonisti della tragedia, io stessa una delle vittime della guerra.

«Solo allora ho scoperto che puoi mostrare la guerra senza che nella fotografia appaiano fucili o cannoni. Così ho fatto con le mie fotografie di Baghdad: i cieli pieni di fumo nero, i soldati che correvano per le strade in una tempesta di sabbia, un cadavere avvolto in un lenzuolo bianco. Immagini che immediatamente ti parlano dell’ambiente, del luogo dove sei. Ma che subito dopo evocano la morte, la guerra nella vita quotidiana, la guerra peggiore tra tutte quelle che puoi immaginare». Alla fine, la sua guerra Alexandra l’ha persa troppo presto. Colpita a morte a Ramallah il ventuno giugno, è stata curata a Gerusalemme fino al sedici luglio, quando è stata trasferita a Parigi. Il cinque ottobre, dopo una lunga e silenziosa trattativa con la morte, durata più di tre mesi, Alexandra si è arresa per sempre, a quarantacinque anni. I suoi lavori sono stati pubblicati da Time, Newsweek, National Geographic, Paris Match e da molti altri giornali. Ha vinto prestigiosi premi. Le sue fotografie sono apparse in mostre importanti. Misteriosamente, in un mondo in cui tanti fotografi se ne vanno senza che la loro storia desti particolari attenzioni, mille voci, mille lacrime, mille saluti vengono dedicati ad Alexandra sui giornali e sul web. Lello Piazza



APPUNTAMENTO

A LUCCA

Tre settimane di mostre, con contorno di workshop, incontri, lettura portfolio e serata di gala. Dal ventiquattro novembre al sedici dicembre, la terza edizione di LuccaDigitalPhotoFest, appuntamento fotografico che si è già imposto per l’autorevolezza delle proprie scelte e lo spessore delle proposte, trasforma l’affascinante città toscana in vivace atelier fotografico, con momenti focali concentrati nel fine settimana di mezzo

P

romossa dal Comune di Lucca e dall’Associazione Toscana Arti Fotografiche, con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, Polyphoto (Leica e Olympus), Ducato, Fondazione Banca del Monte e Cbs Outdoor, LuccaDigitalPhotoFest 2007 propone quindici mostre, tra le quali l’ormai tradizionale tappa delle fotografie del World Press Photo 2007 (FOTOgraphia, aprile 2007), PhotoCafé, workshop e lettura portfolio. Novità della terza edizione è il LuccaDigitalPhotoContest, concorso internazionale sponsorizzato da Olympus: in mostra, il progetto fotografico segnalato dalla selettiva giuria (Francesco Tommasi: The wasted years). La manifestazione si avvale della direzione artistica di Enrico Stefanelli, Andrea Pacella e Roberto Evangelisti, con il coordinamento organizzativo di Jessica Di Costanzo e Susanna Ferrari; video-art director Luciano Bobba. Come anticipato, Elliott Erwitt è l’ospite d’onore del LuccaDigitalPhotoFest 2007: book-signing nella LiveArea, il pomeriggio di venerdì trenta novembre. Quindi, la sera di sabato Primo dicembre, Elliott Erwitt riceve l’ambìto LuccaDigitalPhoto Award, già assegnato a Douglas Kirkland (2005; FOTOgraphia, febbraio 2006) e Steve McCurry (2006). Nella stessa occasione viene assegnato il primo Premio TAF per la Fotografia Italiana a Davide Monteleone.

QUINDICI MOSTRE Dal ventiquattro novembre al sedici dicembre, quindici mostre sono esposte in sette prestigiose sedi della città. Intenso il programma e convenien-

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ti gli allestimenti simultanei allo stesso indirizzo, comodi soprattutto per i visitatori. ❯ Elliott Erwitt: Fotografie. Palazzo Ducale, piazza Napoleone, Sala Staffieri e Sala Ademollo; lunedì-venerdì 15,30-19,30, sabato e domenica 10,3019,30. Alla vigilia dell’ottantesimo compleanno, il prossimo anno, il celebre fotografo statunitense presenta un percorso attraverso le sue immagini più conosciute, accostate a inediti. Ancora, e sempre, spiccato senso dell’umorismo, sguardo mai ottimista, ma sempre elegante: la coincidenza, l’incontro fortuito di oggetti e avvenimenti consentono di rivolgere l’attenzione verso il ridicolo e il buffo [pagina accanto]. ❯ World Press Photo 2007. Villa Bottini, via Elisa, Piano nobile; lunedì-venerdì 10,30-13,00 15,30-19,30, sabato e domenica 10,30-19,30. Anzitutto una annotazione. Rispetto il più recente passato, rileviamo che, pur continuando a registrare tragedie e drammi (è inevitabile), alcune immagini premiate al World Press Photo 2007, in mostra a Lucca, declinano una sorta di osservazione parallela e di lato. Non più soltanto il dolore in quanto tale, che pure caratterizza e definisce molte immagini dell’anno, ma anche rappresentazioni in qualche misura discoste (FOTOgraphia, aprile 2007). Da annotare, a complemento, i distinguo che hanno accompagnato la World Press Photo of the Year 2007 (sul 2006), dello statunitense Spencer Platt, dell’agenzia Getty Images [qui sopra]. L’originaria indicazione di «un gruppo di giovani libanesi attraversa in automobile un quartiere a sud di Beirut, devastato dalle bombe israeliane (quindici agosto, nel primo giorno di cessate-il-fuoco tra Israele e l’ala politica di Hazbollah)» è stata contestata dalla rivista libanese Agenda Culturel, che, dopo approfondita indagine, ha rilevato una situazione diversa e lontana

dal turismo di guerra (FOTOgraphia, maggio 2007). Ancora, ricordiamo la riflessione di Piero Raffaelli, che ne ha fornito una ulteriore lettura, indipendente dalle due attribuzioni contrastanti (in FOTOgraphia dello scorso settembre). ❯ Trent Parke: Dream/life. Palazzo Ducale, piazza Napoleone, Galleria Ammannati; lunedì-venerdì 15,30-19,30, sabato e domenica 10,30-19,30. Primo fotografo australiano a diventare Associate Member dell’Agenzia Magnum Photos, Trent Parke presenta un reportage su Sidney e i propri abitanti. Visione che si discosta dai cliché della città assolata, per soffermarsi sui giochi di luce e l’atmosfera ovattata dell’inverno, che conferiscono alle immagini una qualità spettrale e misteriosa [a sinistra, al centro]. ❯ Davide Monteleone: Dusha. Villa Bottini, via Elisa, Sala delle Colonne; lunedì-venerdì 10,30-13,00 - 15,30-19,30, sabato e domenica 10,30-19,30. Nella stessa sede della mostra delle fotografie vincitrici e segnalate al World Press Photo 2007, la personale di uno dei vincitori: l’italiano Davide Monteleone, dell’Agenzia Contrasto, Primo premio Spot News Stories con Bombardamenti israeliani sul Libano (FOTOgraphia, aprile 2007). Riunite dal titolo, che in russo significa anima, quaranta immagini raccontano la malinconia, nostalgia, gioia e solitudine del popolo russo: sensazioni e sentimenti raccolti e respirati in viaggi successivi, dal 2002 al 2007 [qui sopra]. ❯ Gianni Berengo Gardin: La Casa del Sole. Palazzo Guinigi, via Guinigi, Piano terzo; lunedì-venerdì 15,30-19,30, sabato e domenica 10,30-19,30. Immagini di riconosciuta sensibilità raccontano la vita di ragazzi disabili, ospiti dell’Istituto di riabilitazione Casa del Sole di Curtatone, in provincia di Mantova. Al solito, immagini sussurrate; fotografie non urlate, proposte in modo pacato. Non si tratta soltanto di os-

Davide Monteleone: Dusha (Villa Bottini, Sala delle Colonne). (a sinistra, dall’alto) Spencer Platt, World Press Photo of the Year 2007; le fotografie premiate e segnalate sono esposte al Piano nobile di Villa Bottini. Trent Parke: Dream/life (Palazzo Ducale, Galleria Ammannati). (pagina accanto) Lucca by Maurizio Galimberti (Baluardo di San Regolo sulle Mura Urbane). Elliott Erwitt: Fotografie (Palazzo Ducale, Sala Staffieri e Sala Ademollo). Sabato Primo dicembre consegna del LuccaDigitalPhoto Award a Elliott Erwitt.

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Franco Donaggio: Riflessioni (Palazzo Guinigi, Piano terzo). (in alto) Gianni Berengo Gardin: La Casa del Sole (Palazzo Guinigi, Piano terzo). (al centro) Mary Ellen Mark: American Odyssey (Palazzo Guinigi, Piano secondo).

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servare i soggetti rappresentati, elemento principale ed esplicito dell’inquadratura, quanto, più nel profondo, di respirare l’ansia del momento [in alto]. ❯ Franco Donaggio: Riflessioni. Palazzo Guinigi, via Guinigi, Piano terzo; lunedì-venerdì 15,3019,30, sabato e domenica 10,30-19,30. Viaggio nella contaminazione artistica tra fotografia, video e musica, nella quale i giochi di luce e le tinte argentine delle immagini (fotografiche) si fondono in una dimensione onirica [qui sopra]. ❯ Piergiorgio Branzi: Flâner. Palazzo Guinigi, via Guinigi, Piano terzo; lunedì-venerdì 15,30-19,30, sabato e domenica 10,30-19,30. Passeggiata esplorativa alla scoperta di quella magia che invade e pervade Parigi ogni volta che la si percorre senza meta, lasciandosi semplicemente guidare dai profumi e dalle emozioni. ❯ Mary Ellen Mark: American Odyssey. Palazzo Guinigi, via Guinigi, Piano secondo; lunedì-venerdì 15,30-19,30, sabato e domenica 10,30-19,30. Retrospettiva delle fotografie più significative “dell’altra America”, scattate tra il 1963 e il 1999. Compendioso lavoro fotografico condotto attraverso gli Stati Uniti. Storie diverse, storie distribuite nel tempo, lungo l’arco di trentacinque anni, che rivelano pieghe umane di un ricco e affascinante continente, senza evitare l’attenzione sulle proprie stridenti contraddizioni

(FOTOgraphia, settembre 2004) [qui sopra]. «Guardandomi indietro, il mio lavoro in America si rivela oggi essere stato un lungo viaggio benedetto, un viaggio che mi ha portato ripetute volte da una parte all’altra del paese e che mi ha permesso di entrare nelle vite di innumerevoli persone. Dai poverissimi ai molto ricchi, sono stata testimone di alcune delle cose che rendono questo paese così straordinario. Ho fotografato persone ai concorsi di bellezza per bambini e nei locali per single; alle convention per gemelli e ai raduni del Ku Klux Klan. Ho incontrato persone meravigliose e persone terrificanti. Una cosa è sicura, con tutti i suoi alti e bassi, è sempre stata un’incredibile avventura. Puoi trovare ogni cosa in questo paese, qualcosa se ne va e qualcosa accade nuovamente. I miei viaggi attraverso l’America hanno definito la mia visione di fotografa» (dalla postfazione di Mary Ellen Mark all’edizione libraria di American Odyssey ). ❯ Patrizia Savarese: Viaggio Acquatico. Palazzo Guinigi, via Guinigi, Piano secondo; lunedìvenerdì 15,30-19,30, sabato e domenica 10,3019,30. Tuffo nella dimensione primordiale, ancestrale e materna, che l’artista crea in un gioco di effetti grafici e chiaroscuri nei quali l’acqua diventa elemento centrale [pagina accanto]. ❯ Eduardo Valderrey: Out Borders. Museo di Villa Guinigi, via della Quarquonia; lunedì-venerdì 15,30-19,30, sabato e domenica 10,30-19,30. Work in progress dell’artista spagnolo, che lavora con la videoarte stabilendo connessioni con lo spazio, l’architettura e l’identità prettamente urbana del territorio. Le installazioni usano immagini e video dei sobborghi delle città, rappresentazioni che vengono proiettate su strutture architettoniche in legno, chiuse in “scatole di luce”, che propongono una frammentazione degli spazi e delle figure [a pagina 36]. ❯ Il Diaframma di Lanfranco Colombo. Una storia italiana. Chiesina dell’Alba, via san Nicolao 63; lunedì-venerdì 15,30-19,30, sabato e domenica 10,30-19,30. A cura di Roberto Mutti, selezione della prestigiosa collezione fotografica di Lanfranco Colombo, appassionato di fotografia, che nel 1963 inaugurò Il Diaframma, la prima galleria europea completamente dedicata alla fotografia. Ap-


punti di storia della fotografia dagli anni Sessanta, che spazia dal reportage alla ricerca, dal ritratto alla fotografia naturalistica, dalla moda allo still life. ❯ Lucca by Maurizio Galimberti. Baluardo di San Regolo sulle Mura Urbane; lunedì-venerdì 15,3019,30, sabato e domenica 10,30-19,30. Viaggio nella città, interpretata dalla personale visione dell’artista con i suoi celebri mosaici polaroid [a pagina 32]. ❯ Oded Balilty: Along the Lines. Ex Manifattura Tabacchi, via Vittorio Emanuele; lunedì-venerdì 15,30-19,30, sabato e domenica 10,30-19,30. Premio Pulitzer 2007 per le News e Primo premio People in the News del World Press Photo 2007 (FOTOgraphia, maggio 2007), con Scontri tra coloni e esercito israeliano (Avamposto Amona, West Bank, Primo febbraio), da tempo l’israeliano Oded Balilty, dell’Associated Press, testimonia il processo di separazione di due popoli, israeliani e palestinesi, divisi negli stessi lembi di terra. Ha visitato ogni singolo angolo del Muro, registrando le privazioni e difficoltà causate ai palestinesi e la loro instancabile lotta per l’indipendenza. Allo stesso momento, ha osservato le sofferenze di Israele -a partire dagli at-

Patrizia Savarese: Viaggio Acquatico (Palazzo Guinigi, Piano secondo).

LUCCADIGITALPHOTOFEST 2007 i riferimenti logistici del LuccaDigitalPhotoFest 2007, diretto Enrico Stefanelli, Andrea Pacella e Roberto Evangelisti, con il coordinaSmentodaintetizziamo organizzativo di Jessica Di Costanzo e Susanna Ferrari; video-art director Luciano Bobba. ❯ MOSTRE (dal 24 novembre al 16 dicembre: quindici mostre in sette sedi espositive) • Villa Bottini, via Elisa; lunedì-venerdì 10,30-13,00 - 15,30-19,30, sabato e domenica 10,30-19,30. • World Press Photo 2007 (Piano nobile) • Davide Monteleone: Dusha (Sala delle Colonne) • Palazzo Ducale, piazza Napoleone; lunedì-venerdì 15,30-19,30, sabato e domenica 10,30-19,30. • Elliott Erwitt: Fotografie (Sala Staffieri e Sala Ademollo) • Trent Parke: Dream/life (Galleria Ammannati) • Palazzo Guinigi, via Guinigi; lunedì-venerdì 15,30-19,30, sabato e domenica 10,30-19,30. • Mary Ellen Mark: American Odyssey (Piano secondo) • Patrizia Savarese: Viaggio Acquatico (Piano secondo) • Gianni Berengo Gardin: La Casa del Sole (Piano terzo) • Piergiorgio Branzi: Flâner (Piano terzo) • Franco Donaggio: Riflessioni (Piano terzo) • Baluardo di San Regolo sulle Mura Urbane; lunedì-venerdì 15,30-19,30, sabato e domenica 10,30-19,30. • Lucca by Maurizio Galimberti • Ex Manifattura Tabacchi, via Vittorio Emanuele; lunedì-venerdì 15,3019,30, sabato e domenica 10,30-19,30. • Oded Balilty: Along the Lines • Massimo Mastrorillo: Indonesia Just Another Day • Francesco Tommasi: The wasted years (vincitore LuccaDigitalPhotoContest 07) • Chiesina dell’Alba, via san Nicolao 63; lunedì-venerdì 15,30-19,30, sabato e domenica 10,30-19,30. • Il Diaframma di Lanfranco Colombo. Una storia italiana • Museo di Villa Guinigi, via della Quarquonia; lunedì-venerdì 15,30-19,30, sabato e domenica 10,30-19,30. • Eduardo Valderrey: Out Borders

❯ PHOTOCAFÉ (LiveArea, Palazzo Pretorio; 17,00) • Analogico-Digitale: un dibattito aperto; coordina Andrea Pacella, con la partecipazione di Giuliana Scimé, Roberto Mutti, Franco Donaggio, Roberto Evangelisti e Maurizio Galimberti [ma è probabile che anche noi diremo la nostra: non è una minaccia, ma una promessa]; sabato Primo dicembre. • Fumetto e Fotografia a confronto; coordina Roberto Evangelisti, con la partecipazione di Gianni Bono, don Antonio Tarzia, Massimo Mattioli e Maurizio Rebuzzini; domenica 2 dicembre. • Proiezione di filmati dei vincitori del World Press Photo 2007; commenta Roberto Evangelisti; sabato 8 dicembre. • Proiezione del film Maurizio Galimberti, regia di Anna Gorio e Tonino Curagi; commenta Roberto Evangelisti, con la partecipazione di Maurizio Galimberti e Antonella Pierno; sabato 15 dicembre. ❯ LETTURA PORTFOLIO (LiveArea, Palazzo Pretorio) • Sabato Primo dicembre; 10,00-13,00. Paola Brivio, photo editor di Geo, Elena Ceratti, dell’Agenzia Grazia Neri, e Ivo Saglietti, fotografo. • Domenica 2 dicembre; 10,00-12,00. MariaTeresa Cerretelli, photo editor di Class, Alessandra Mauro, dell’Agenzia Contrasto, Roberto Mutti, critico fotografico, e Maurizio Rebuzzini, direttore di FOTOgraphia. ❯ WORKSHOP (Villa Bottini, via Elisa; 10,00-18,00) • Massimo Mastrorillo: Loro e noi: la necessità di una coscienza globale per una vera informazione. 8 e 9 dicembre. • Roberto Legnani (Fineartprint, Bologna): Tecnica di stampa fineart digitale. Dal file alla stampa: workflow. 8 e 9 dicembre. • Maurizio Galimberti: Sguardare la città. 15 e 16 dicembre. • Eduardo Valderrey: OutWalls Lucca: La città come limite. 15 e 16 dicembre. ❯ LUCCA DIGITAL PHOTO AWARD. Consegna del premio a Elliott Erwitt e proiezione di una sua retrospettiva, con commento. Teatro del Giglio, sabato Primo dicembre, 21,30. Nella stessa occasione, consegna del Premio TAF per la Fotografia Italiana a Davide Monteleone e del premio LuccaDigitalPhotoContest 07, concorso internazionale sponsorizzato da Olympus, a Francesco Tommasi. ❯ ELLIOTT ERWITT. Il celebre fotografo è disponibile presso la LiveArea di Palazzo Pretorio per incontrare il pubblico. Venerdì trenta novembre, 17,30. Associazione Toscana Arti Fotografiche, via Guidiccioni 188, 55100 Lucca; 0583-5899215; www.luccadigitalphotofest.it, info@toscaartfotografiche.it.

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Eduardo Valderrey: Out Borders (videoarte; Museo di Villa Guinigi).

Massimo Mastrorillo: Indonesia Just Another Day (Ex Manifattura Tabacchi).

Oded Balilty: Along the Lines (Ex Manifattura Tabacchi).

tentati suicidi dei palestinesi-, che hanno indotto il governo ad aumentare le barriere [qui sopra]. ❯ Massimo Mastrorillo: Indonesia Just Another Day. Ex Manifattura Tabacchi, via Vittorio Emanuele; lunedì-venerdì 15,30-19,30, sabato e domenica 10,30-19,30. Indagine fotografica sulle gravi problematiche che affliggono l’Indonesia del dopo-tsunami. L’elemento che accomuna le varie storie raccontate è la presenza di una piccola comunità cattolica, la Comunità di Sant’Egidio, attiva all’interno della più grande realtà musulmana del mondo [a destra]. ❯ Francesco Tommasi: The wasted years (vincitore LuccaDigitalPhotoContest 07 ). Ex Manifattura Tabacchi, via Vittorio Emanuele; lunedì-venerdì 15,3019,30, sabato e domenica 10,30-19,30. In mostra il progetto fotografico segnalato dalla selettiva giuria del concorso internazionale sponsorizzato da Olympus.

A CONTORNO Ancora altro definisce e identifica il LuccaDigital PhotoFest 2007, appuntamento fotografico che si è già imposto per l’autorevolezza delle proprie scelte e lo spessore delle visioni fotografiche proposte. A contorno delle quindici mostre, programmate in sette sedi espositive, dal ventiquattro novembre al sedici dicembre, appena commentate, registriamo gli incontri PhotoCafé, nella LiveArea di Palazzo Pretorio, alle 17,00 di tre sabati consecutivi, più una domenica. Sabato Primo dicembre, Andrea Pacella coordina considerazioni su Analogico-Digitale: un dibattito aperto, cui partecipano i critici

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Giuliana Scimé e Roberto Mutti, i fotografi Maurizio Galimberti e Franco Donaggio e Roberto Evangelisti (ed è probabile che anche noi diremo la nostra: non è una minaccia, ma una promessa; soprattutto, e prima di altro, ribadiremo l’illegittimità di qualsiasi contrapposizione statica e confermeremo i termini di quelle riflessioni che da tempo attraversano le pagine della nostra rivista). Domenica due dicembre, Roberto Evangelisti coordina considerazioni su Fumetto e Fotografia a confronto, animate da Gianni Bono, direttore del Museo Nazionale del Fumetto e dell’Immagine, don Antonio Tarzia, direttore di Il Giornalino, Massimo Mattioli, autore del fumetto Pinky (coniglietto fotoreporter), e Maurizio Rebuzzini, in veste di indagatore della presenza della fotografia nei fumetti (e altrove). Sabato otto dicembre, Roberto Evangelisti commenta filmati dei vincitori del World Press Photo 2007. Infine, sabato quindici dicembre proiezione del film Maurizio Galimberti, regia di Anna Gorio e Tonino Curagi; commenta Roberto Evangelisti, con la partecipazione di Maurizio Galimberti e Antonella Pierno. Un passo indietro: venerdì trenta novembre, alle 17,30, la stessa LiveArea di Palazzo Pretorio ospita Elliott Erwitt, che incontra il pubblico. Anche la lettura dei portfolio è localizzata alla LiveArea: sabato Primo dicembre, dalle 10,00 alle 13,00, sono di scena Paola Brivio, photo editor di Geo, Elena Ceratti, dell’Agenzia Grazia Neri, e Ivo Saglietti, fotografo; il giorno dopo, domenica due dicembre, dalle 10,00 alle 12,00, è la volta di MariaTeresa Cerretelli, photo editor di Class, Alessandra Mauro, dell’Agenzia Contrasto, Roberto Mutti, critico fotografico, e Maurizio Rebuzzini, direttore di FOTOgraphia. Quattro i workshop, alla Villa Bottini, in via Elisa, dalle 10,00 alle 18,00: due nel fine settimana otto e nove dicembre (Massimo Mastrorillo, con Loro e noi: la necessità di una coscienza globale per una vera informazione, e Roberto Legnani, con Tecnica di stampa fineart digitale. Dal file alla stampa: workflow ); gli altri due, la settimana seguente quindici e sedici dicembre (Maurizio Galimberti, con Sguardare la città, e Eduardo Valderrey, con OutWalls Lucca: La città come limite). Insomma, c’è proprio tanta carne al fuoco, per concludere in assoluta banalità fonetica. Maurizio Rebuzzini


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Introduzione al tema. Raffigurazione dal contesto evidente, ribadito dall’inclusione dell’indicazione esplicita, in alto a sinistra. Qui l’attenzione è attirata sulle modelle impegnate nelle prove generali. Attorno a loro, l’infrastruttura risulta desaturata.

nnotiamoci questo nome: Francesco Mancusi, di Padova. Si sta per affacciare alla ribalta della fotografia professionale, dove arriverà presto con la forza dirompente di una solita preparazione scolastica di profilo alto, che ne sta orientando l’inclinazione espressiva, edificata ed educata su solide basi tecniche, che gli stanno fornendo preziosi capisaldi, grazie ai quali può (e potrà) indirizzare la propria creatività. Francesco Man-

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cusi, classe 1983, frequenta un corso di laurea prevalentemente rivolto allo studio tecnico/scientifico delle applicazioni espressive, con approfondimenti sia delle lavorazioni tradizionali con pellicola fotosensibile sia dell’acquisizione e gestione digitale delle immagini nel campo della fotografia analogica e digitale. Ciò che sta apprendendo nelle selettive e austere aule della facoltà di Fotografia Scientifica presso l’Università di Westminster, a Londra, è in pertinente ed efficace equilibrio tra tec-

LONDON 38

FASHIONWEEK


nica e creatività, indissolubile legame dell’espressione fotografica individuale. Certo, lo sappiamo bene, la combinazione non è statica, ma dinamica e vitale; ed ha valore non per le proprie teorie, ma in relazione e dipendenza alle capacità individuali di chi le apprende e applica. Quindi, nel concreto, non mediazione tecnica fine a se stessa, ma indispensabile tragitto per manifestare con consapevolezza e abilità la propria creatività personale. La tecnica, concludiamo, si

Almeno tre valori qualificano la serie fotografica con la quale Francesco Mancusi racconta in modo partecipe il dietro le quinte di una manifestazione londinese della moda. Senza graduatoria, ma per sola consecuzione: il nostro piacere di presentare un autore in divenire, individuato all’inizio del proprio percorso espressivo e professionale; l’incoraggiante efficacia di una comunicazione visiva costruita sulla sapiente applicazione di procedimenti tecnici finalizzati allo scopo, e non frequentati per il solo piacere del gesto atletico; le scelte formali dell’autore, che escludono le inutili parole che solitamente accompagnano lo sterile dibattito sulle consecuzioni digitali della gestione (e volontaria manipolazione) dell’immagine digitale

Ancora i preparativi che precedono la sfilata. Un punto di vista particolare e un taglio in avvicinamento fanno risaltare l’azione della fotografa, che sta misurando l’illuminazione presente in scena. L’attenzione è sempre rivolta alla modella, il cui vestito rosso acceso è risaltato dalla tecnica di saturazione adottata.

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I fotografi si preparano alla sfilata. L’applicazione volontaria dei toni ha trasformato la massa informe in qualcosa di armonico, entro il quale alcuni elementi spiccano sugli altri, senza però annullarli. Ogni fotografo è intento in una propria attività, indipendente da quella degli altri. La colorazione di forme selezionate non richiama un soggetto in particolare. L’arrivo degli spettatori alla sfilata. Il soggetto spicca sulla sinistra. Si comincia a intuire la relazione tra modelle e spettatori; quasi non è necessariamente esplicito dove finisce un ruolo per dare spazio all’altro.

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può insegnare e imparare; la creatività, che anche dalla tecnica dipende, si può solo educare. Le immagini che presentiamo in queste pagine, rispettandone la sequenza originaria, compongono la serie (portfolio) London Fashion Week, della qua-

le abbiamo conservato il titolo esplicito (nonostante la nostra avversione per l’abuso improprio della terminologia anglosassone, ma non è questo il caso). Almeno tre sono i valori sottintesi da sottolineare. Anzitutto rileviamo l’egoistico piacere di presenta-


re un autore in divenire, individuato all’inizio del proprio percorso espressivo e professionale. Anche questo ruolo, che ci porta tra le pieghe di un mondo che troppo spesso si attarda soltanto sui nomi più affermati, è manifestazione esplicita di giornalismo, dal quale la rivista dipende e al quale fa riferimento. Immediatamente a seguire, sottolineiamo l’incoraggiante efficacia di una comunicazione visiva costruita sulla sapiente applicazione di procedimenti tecnici appunto finalizzati allo scopo, e non frequentati per il solo piacere del gesto atletico. Per quanto qualcuno possa anche non condividere questo modo di rappresentare il soggetto dichiarato, rimanendo magari indifferente alla consecuzione delle puntualizzazioni visive applicate (di forte personalità formale), nessuno può ignorarne o sottovalutarne la coerenza linguistica. A tutti gli effetti, queste del giovane Francesco Mancusi sono immagini (fotografie!) realizzate con consapevolezza almeno matura, addirittura con autorevolezza. A diretta conseguenza, terzo appunto, le scelte formali dell’autore, ripetiamolo finalizzate a una comunicazione visiva intenzionale, spazzano con un solo vigoroso colpo tutte le inutili parole che solitamente accompagnano lo sterile dibattito sulle consecuzioni digitali della gestione dell’immagine digitale (e sua volontaria manipolazione). Forti ed evidenti nella loro energica personalità visiva, gli interventi di Francesco Mancusi non danno tanto fiato a una stolta diatriba (diciamolo, fotografia argentica/analogica contro fotografia digitale), ma riportano il possibile dibattito in un terreno lecito e legittimo. Ovvero, in un terreno nel quale non ci si indirizzi tanto verso il come (che conta solo nella propria intermediazione infrastrutturale, senza influire sull’espressività della fotografia), quanto al perché. Sebbene possa essere anche necessario dilungarsi sulle fasi di lavorazione, non lo si deve fare (e noi, comunque, non stiamo per farlo) per un appagamento tecnico fine a se stesso, ma per rilevare una chiave interpretativa, che immediatamente approdi all’immagine, per quanto questa comunica e si esprime. Qual è l’azione di Francesco Mancusi, applicata per dare enfasi ai soggetti del proprio London Fashion Week, partecipe reportage (sì, reportage) dietro le quinte di una serie di sfilate di moda? All’interno delle proprie inquadrature e composizioni, con attenta postproduzione digitale (tecnica e creatività), l’autore ha sottolineato punti focali di attenzione. Confermiamolo, non l’ha fatto applicando soltanto un linguaggio classico di prospettive e punti di vista, ma intervenendo soprattutto sulla registrazione cromatica, in base alla quale ha evidenziato e portato in primo piano alcuni elementi, accentuati rispetto l’insieme. Ancora: a qualcuno può non piacere il risultato, i più severi possono anche affermare che non si tratta di fotodocumentazione. Secondo noi, questa fotografia è reportage nel più autentico significato, declinato con una particolare consapevolezza visiva educata -lo sappiamo riconoscere- con gli stilemi espressivi del-

La sfilata è cominciata: arriva la prima modella, che sembra brillare di luce propria, di colore proprio, mentre il fotografo viene rappresentato in una sorta di bianconero volontario. Le modelle hanno la piena attenzione del pubblico. Sfilano in tutto il loro splendore, formando composizioni armoniche. La distribuzione arbitraria del colore ne mostra una in particolare, quella che sta di fronte al pubblico, catalizzandone l’attenzione. Ambiente. Luci violente e colori sgargianti rappresentano una volta di più l’appariscenza della manifestazione. La modella è sempre al centro, ma per la prima volta si intravede il contorno, il pubblico, l’atmosfera. Un solo spettatore, colorato come la modella, lascia trapelare l’interazione tra i due ruoli.

la pubblicità e della moda. Ma è comunque reportage, perché realizza e visualizza un richiamo diretto ed esplicito con l’osservatore, indotto a volgere la propria attenzione lungo direttive suggerite dall’autore. In questo senso, con un’azione di forte perso-

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La sfilata continua. L’uso del colore evidenzia un aspetto fino ad ora tralasciato. L’interazione tra modella e spettatori è sottolineata dagli sguardi che non arrivano più da un insieme desaturato, ma che spiccano grazie alle tonalità brillanti dei rispettivi abiti. Gli spettatori interagiscono: eccome. Non solo osservano, ma appuntano, fotografano, analizzano. La modella è quasi secondaria, rispetto la rilevanza dell’attenzione che le viene rivolta.

Scambio tra elementi colorati. L’interazione tra soggetti è tale da confondere. L’eccentricità della spettatrice risalta quasi più della modella stessa, del suo abito. Si è superato un confine? Potremmo confondere la modella con la spettatrice.

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nalità, tale da presupporre anche una presa di distanza (di qualcuno), Francesco Mancusi è autenticamente fotografo, nel senso di una fotografia che rimandi alla visione dal vero e del vero. I suoi colori accentuati, oppure i colori naturali evidenziati su un campo cromaticamente indebolito (non importa da quale prospettiva consideriamo la sua azione), replicano esattamente l’azione della vista, con l’attenzione che si concentra su un soggetto, isolato all’interno del campo visivo complessivo: desaturati gli sfondi e accentuato il soggetto -semplifichiamo e banalizziamo-, la fotografia ribadisce la visione dal vero.


È la rivincita. La modella ha raggiunto la fine della passerella; sta di fronte ai fotografi, consapevole della propria potenza. Forte della sua bellezza, risalta come una fiamma colorata.

La sfilata finisce. La modella lascia la passerella e solo un’ultima spettatrice resta ad ammirarla. Colori tenui sottolineano l’epilogo.

Da questo e con questo, soffermandoci sull’autore riscontriamo la sua evidente propensione per il racconto a immagini. Da questo approccio, che certamente ne ha indirizzato le scelte esistenziali, Francesco Mancusi si è impegnato nell’apprendimento di tecniche fotografiche, via via congeniali alle proprie intenzioni originarie. Per anagrafe, per realtà odierna e per tanti altri motivi, le attuali tecnologie digitali gli offrono preziosi strumenti espressivi, con i quali ha avviato un significativo percorso creativo. L’attuale serie (portfolio) London Fashion Week è stata realizzata in ambito scolastico (ripetiamo: facoltà di Fotografia Scientifica presso l’Università

di Westminster, a Londra), partecipando come fotografo ospite alla settimana londinese della moda, lo scorso febbraio. Slegato da vincoli contrattuali, Francesco Mancusi ha realizzato un resoconto della manifestazione da diversi punti di vista. Non solo le modelle e gli abiti, ma anche il contorno: fotografi, spettatori e allestimento. Come abbiamo già sottolineato, e la ripetizione è d’obbligo, nel proprio insieme, in questa London Fashion Week non è solo presente una profonda consapevolezza delle potenzialità dei mezzi utilizzati, ma si individua una estrema cura nelle scelte interpretative delle singole immagini. Angelo Galantini

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ubito una annotazione, che non è soltanto una precisazione, ma una effettiva dichiarazione di intenti. Per quanto l’acquisizione digitale di immagini identifichi prima di tutto giusto la propria discriminante, appunto l’acquisizione digitale di immagini (a differenza dei procedimenti basati sulle proprietà della pellicola fotosensibile), gli attuali tempi tecnologici rispondono e si riferiscono anche a combinazioni e integrazioni che includono, o dovrebbero farlo, prestazioni e opzioni alla pratica portata delle configurazioni fortemente elettroniche, semplifichiamola così. Ciò a dire che, a differenza delle costruzioni meccaniche, che hanno sempre risolto tutto nello stretto ambito del corretto assolvimento dei parametri esclusivamente fotografici, oggigiorno è plausibile e legittima l’integrazione di altre prerogative di uso e/o gestione dell’immagine (e dintorni). In tempi sostanzialmente recenti, ci si è espressi in termini di sinergia ogni qualvolta la tecnica della ripresa fotografica è stata arricchita da caratteristiche e prestazioni ereditate da altri settori, non necessariamente propri della gestione delle immagini. Adesso, l’idea è diversa: riguarda l’integrazione di qual-

A un anno dall’originaria α100, con la quale ha preso avvio il sistema reflex digitale, Sony presenta la configurazione α700 di taglio sostanzialmente più alto, che si colloca nella fascia commerciale identificata come prosumer: in pertinente equilibrio tra le necessità non professionali della ripresa e le esigenze professionali dell’impegno fotografico. Con questo, la casa giapponese sottolinea la composizione di un autentico sistema, che approderà anche a dotazioni dichiaratamente professionali, che nel proprio insieme rivela affascinanti combinazioni tecnologiche attuali

AVANTI TUTTA


Reflex digitale da 12,24 Megapixel effettivi, la nuova Sony α700 è dotata di sensore proprietario CMOS Exmor e processore Bionz di nuova concezione. Tra le caratteristiche tecniche esclusive, che ne definiscono il profilo medio-alto, si registra il collegamento dedicato per la modalità PhotoTV HD, allineata al programma Sony in alta definizione.

cosa di complementare attorno l’argomento principale della creazione e gestione delle immagini. È il caso, per esemplificare, del Sony GPS-CS1KA, accessorio universale che identifica i luoghi nei quali sono state riprese le fotografie digitali (sintonizzate). Qui non è tempo e spazio per approfondirne i dettagli operativi, specificamente riferiti alla fotografia in viaggio: basta soltanto sottolineare la combinazione di elementi (tecnologicamente attuali) nati in mondi diversi e originariamente autonomi. In questo senso, e nello specifico, ancora prima di affrontare i valori che definiscono l’attuale reflex digitale Sony α700, che si colloca nella fascia commerciale generalmente definita prosumer (in equilibrio tra la disinvoltura della ripresa fotografica non professionale e il rigore di quella professionale), è opportuno rilevare una caratteristica unica, maturata in casa propria. Parte di un diversificato pro-

gramma tecnico-commerciale di Sony, trasversale a molteplici prodotti del proprio ricco catalogo, l’α700 è dotata di modalità PhotoTV HD, per una opportuna visualizzazione delle immagini in Full HD, argomento sul quale la stessa Sony è particolarmente impegnata, dalla videoripresa alla linea di televisori domestici e monitor professionali. Nel concreto, Sony α700, che arriva sul mercato a un anno dall’avvio del sistema reflex digitale, esordito con l’originaria α100 (FOTOgraphia, luglio 2006), è dotata di uscita HDMI integrata, per il collegamento a televisori o monitor HD Ready. Così che, in visualizzazione Full HD, le immagini vengono apprezzate nelle proprie sfumature più morbide e colori più naturali, caratteristiche discriminanti dei televisori Bravia Full HD, che appunto supportano la modalità PhotoTV HD complementare alla tradizionale trasmissione di filmati. Cioè, la modalità PhotoTV HD offre un consistente miglioramento in termini di visualizzazione di fotografie rispetto i tradizionali televisori, che di norma sono predisposti per la visione di immagini in movimento. Quando la Sony α700 è collegata a un televisore con schermo HD, è possibile passare in rassegna le immagini e controllare lo zoom, gli slideshow in alta definizione e altre funzioni.

EFFICIENZA DIGITALE

Come già annotato, l’attuale Sony α700 è una reflex digitale a obiettivi intercambiabili rivolta a un pubblico di taglio e indirizzo medio-alto. Commercialmente si colloca nel segmento identificato come prosumer, particolarmente consistente in Italia, dove rappresenta il trentuno per cento dell’in-

ALLE ORIGINI DEL DIGITALE

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24 agosto 1981: Akio Morita, presidente Sony, presenta il prototipo Sony Mavica (oppure Sony EX-50), da cui datiamo l’acquisizione digitale di immagini.

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ony è entrata nel mercato delle reflex digitali a obiettivi intercambiabili lo scorso autunno, dopo aver acquisito la produzione Konica-Minolta. Così facendo, con l’autorevolezza del proprio marchio, Sony ha altresì confermato la consistenza dell’interpretazione digitale reflex, quantitativamente inferiore ai volumi delle compatte, ma di alto profilo tecnico: tale da confermare applicazioni e intenzioni fotografiche che affondano le proprie radici indietro nei decenni. Per quanto ultima arrivata nel mondo delle reflex digitali, nel cui mercato si è assestata su concrete quote commerciali, Sony sta all’origine stessa dell’acquisizione digitale di immagini. La data è certa e ufficiale: con una conferenza stampa a sorpresa, il 24 agosto 1981, il presidente Sony Akio Morita, fondatore dell’azienda (venuto a mancare nell’autunno 1999), presentò l’originario prototipo Sony Mavica, oppure Sony EX-50, con sensore solido CCD di acquisizione delle immagini, dal quale datiamo appunto la fotografia digitale. Quindi, a Sony va riconosciuta la gratificante primogenitura. Scandendo i termini dell’evoluzione della fotografia, dopo la sua nascita nel 1839, consideriamo tre i passaggi tecnici e tecnologici significativi. Prima dell’acquisizione digitale di immagini registriamo la pellicola flessibile di George Eastman, 1888 (cui ci riferiamo in altra parte della rivista, su questo stesso numero, da pagina 8), e la fotografia a sviluppo immediato di Edwin H. Land, 21 febbraio 1947 (FOTOgraphia, febbraio 1997 e febbraio 2007).


tero mercato (il più ampio in Europa). Per questo, è una configurazione fotografica che vanta e offre prestazioni senza compromessi, tempi di risposta efficaci e un’eccellente qualità delle immagini ad alta definizione in qualsiasi fase operativa, dall’acquisizione alla riproduzione (e ribadiamo la modalità PhotoTV HD, appena commentata). Una solida qualità di costruzione e caratteristiche di impiego semplificate si abbinano con funzioni specializzate. Prima di tanto altro, vanno registrate le prerogative del nuovo sensore CMOS Exmor da 12,24 Megapixel effettivi, che si avvale di esclusive tecnologie proprietarie di conversione A/D, per offrire rapidità operativa ed elevata qualità delle immagini. Raffinate funzionalità e avanzate tecniche di elaborazione dei segnali sono finalizzate all’acquisizione di immagini convenientemente chiare, nitide e dettagliate, con tinte e sfumature vivide e intense per immagini più realistiche. Per la prima volta su una reflex digitale, l’avanzato sensore CMOS Exmor effettua la conversione A/D sfruttando componenti dedicati, posizionati a distanza ravvicinata da ogni matrice di elementi del sensore. L’eliminazione del rumore analogico, effettuata prima della conversione A/D, è completata da una ulteriore fase di riduzione del rumore, a livello del microprocessore, applicata ai segnali già digitalizzati. Si ottengono così segnali digitali esenti da interferenze e rumore esterno, che altrimenti potrebbero compromettere la qualità dei segnali analogici prodotti dal sensore. I segnali digitali sottoposti a riduzione del rumore passano dal sensore CMOS Exmor al processore Bionz di nuova concezione, dove subiscono un nuovo processo di riduzione del rumore, mentre sono ancora in formato grezzo RAW, e vengono infine compressi e codificati.

alle condizioni di scatto), in modo da ridurre drasticamente il rischio di mosso in situazioni critiche. Altrettanto nuovo è il sistema autofocus a undici punti, in configurazione Double Central Cross: undici punti di analisi della messa a fuoco sono disposti su undici linee, per affrontare e risolvere un’ampia gamma di condizioni di ripresa, anche utilizzando obiettivi di apertura relativa generosa (f/2,8). Inoltre, è stata aumentata la rapidità del sistema di azionamento dell’obiettivo nelle fasi di valutazione della distanza dal soggetto e di regolazione della messa a fuoco.

SEMPLIFICAZIONE DI USO Convenientemente semplice e intuitiva, la nuova interfaccia Quick Navi garantisce una efficace prontezza di uso quando non c’è tempo per ricorrere ai menu delle funzioni. Con facilità, si accede alle impostazioni della Sony α700 grazie al selettore multi-funzione e alle icone visualizzate nel display da tre pollici. I parametri selezionati possono essere modificati direttamente, senza che sia necessario utilizzare complessi sottomenu. Per la massima praticità, sia in studio sia in esterni, è possibile memorizzare tre combinazioni di ventotto diversi parametri di scatto, che possono essere richiamate istantaneamente. Al pulsante Custom, situato sul retro del corpo macchina, può essere assegnata una funzionalità operativa tra quelle di uso più frequente, come, per

Per dichiarazioni e intenzioni esplicite, la reflex digitale Sony α700, dotata di raffinate ed efficaci soluzioni tecniche, si indirizza e rivolge alla fascia commerciale generalmente definita prosumer: in equilibrio tra la disinvoltura della ripresa fotografica non professionale e il rigore di quella professionale.

RAFFINATI VALORI Con una sensibilità massima pari a 3200 Iso equivalenti, la reflex digitale Sony α700 è idonea per efficaci riprese di sport e d’azione, come per acquisizioni in interni e in qualsiasi condizione di luce, anche avversa. Integrato nel corpo macchina, il rinnovato stabilizzatore ottico delle immagini Super SteadyShot è compatibile con tutti gli obiettivi intercambiabili in baionetta α (e precedenti obiettivi autofocus Minolta e Konica-Minolta), il cui sistema ottico comprende anche interpretazioni Carl Zeiss. Rispetto l’originaria α100, la riduzione delle vibrazioni è stata incrementata fino a mezzo stop sull’intera gamma di lunghezze focali. Così che la correzione equivalente si estende ora da due stop e mezzo a quattro stop (in relazione alla focale, alle impostazioni della reflex e

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In linea e sintonia con lo stato dell’arte, la Sony α700 è dotata di display LCD Xtra Fine da tre pollici, sul quale è possibile selezionare una diversificata serie di modalità di visualizzazione delle immagini o delle informazioni attive e passive della ripresa fotografica. Curiosità da annotare: il livello di carica delle batterie di alimentazione (standard InfoLithium e supplementare nell’impugnatura opzionale VG-C70AM) è indicato in forma percentuale di chiara identificazione.

esempio, la selezione delle dimensioni del file o dell’area di messa a fuoco automatica. Il corpo macchina in lega di magnesio della Sony α700 è abbinato a un telaio rinforzato in lega di alluminio. Guarnizioni in silicone proteggono i pulsanti e gli slot per l’inserimento delle schede di memoria dalla polvere e dall’umidità. L’aspetto professionale della reflex è ulteriormente sottolineato da un “rumore di scatto” morbido, che accompagna il rilascio dell’otturatore, e da un potente motore di azionamento del sistema AF, che riduce il rumore e le vibrazioni durante la messa a fuoco. Il nuovo otturatore ad alte prestazioni ha un’affidabilità nel tempo equivalente a circa centomila cicli di azionamento, e la velocità massima di 1/8000 di secondo (con sincronizzazione flash a 1/250 di secondo, oppure 1/200 di secondo con Super SteadyShot attivato) consente di “congelare” i soggetti in rapido movimento. Un motore Hi Power Coreless aziona sia l’otturatore ad alta velocità sia lo specchio con doppio ammortizzatore, e permette di effettuare scatti continui fino a cinque fotogrammi al secondo. È altresì possibile acquisire in formato grezzo RAW un’unica sequenza di diciotto immagini a cinque fotogrammi al secondo. Ancora, le prestazioni ultra-rapide della Sony α700 sono completate da un’ergonomia tipica delle reflex professionali. L’impugnatura verticale VG-C70AM opzionale- permette di gestire in tutta comodità e semplicità il pulsante di scatto e molte altre funzioni in qualunque condizione di inquadratura. La nuova batteria InfoLithium Serie M permette di effettuare fino a seicentocinquanta scatti con una singola ricarica. L’autonomia residua viene visualizzata nel display sotto forma di percentuale, per una precisa indicazione del livello di carica ancora disponibile. Quando si inserisce una seconda batteria nell’impugnatura opzionale VG-C70AM, i livelli di carica delle due batterie (se presenti) sono visualizzati separatamente nel display, per una chiara indicazione dell’autonomia residua di entrambe.

OPZIONI CREATIVE Quattordici nuove modalità di ripresa, tra le quali Deep, Autumn, Vivid e Landscape, permettono di ricreare un’ampia gamma di atmosfere. Contrasto, nitidezza, zone matching e altri parametri possono essere personalizzati per perfezionare la modalità selezionata.

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Il sistema di gestione della gamma dinamica D-range Optimiser (DRO) regola il contrasto e la tonalità di colore, per un’esposizione perfetta anche in caso di ritratti in controluce o in condizioni critiche di scatto. Il livello di perfezionamento dell’immagine può essere regolato in cinque step, mentre la funzionalità di bracketing prevede l’acquisizione di cinque differenti immagini, tra le quali poter scegliere quella migliore. La compatibilità con il formato RAW compresso aumenta l’efficienza di archiviazione dei file, senza sacrificare la loro flessibilità di elaborazione. È inoltre disponibile una modalità Extra Fine per file Jpeg di alta qualità. Una nuova modalità di scatto in formato 16:9 è invece ideale per paesaggi e scene panoramiche, da visualizzare su uno schermo TV Widescreen o monitor HD Ready. La Sony α700 dispone di slot separati per l’archiviazione delle immagini su schede Memory Stick o CompactFlash. Lo slot Memory Stick Duo supporta sia schede Memory Stick Duo sia Memory Stick Pro Duo, nonché le Memory Stick Pro-HG Duo di recente introduzione, caratterizzate da una maggiore velocità di trasferimento dei dati. Della modalità PhotoTV HD abbiamo già riferito. In chiusura, annotiamo la qualità del display LCD Xtra Fine da tre pollici, sul quale è possibile selezionare una diversificata serie di modalità di visualizzazione di miniature delle immagini: in gruppi da quattro, nove o venticinque e, in alternativa, le ultime cinque immagini possono essere visualizzate sopra l’immagine principale, per poter controllare il bracketing dell’esposizione o la ripresa a scatto continuo. È disponibile anche una nuova modalità di visualizzazione dell’istogramma RGB, che permette di analizzare separatamente i livelli dei canali rosso/verde/blu. In dotazione, il software Image Data Lightbox SR semplifica la gestione delle librerie fotografiche, permettendo di scorrere, selezionare, ingrandire, confrontare e classificare le immagini ancora in formato RAW, e facilita la creazione e gestione di raccolte di immagini. Altro software compreso, Image Data Converter SR Ver 2 è un’applicazione di facile utilizzo per visualizzare e modificare file in formato RAW. Grazie a un nuovo e potente motore, che raddoppia la velocità di conversione dei dati e di esecuzione dei diversi task di elaborazione delle immagini, offre la possibilità di regolazione della curva dei toni, del bilanciamento del bianco, dell’esposizione, della saturazione, del contrasto, della tonalità e della definizione. Infine, Remote Camera Control è ideale per lavorare in studio. L’applicazione prevede il controllo di numerose funzioni tramite un personal computer collegato alla Sony α700. Rilascio dell’otturatore, esposizione, messa a fuoco, tipo di scatto e altre impostazioni possono essere gestite a distanza, senza entrare direttamente in contatto con la reflex. I file d’immagine possono essere memorizzati direttamente sull’hard disk del computer, indipendentemente dalla scheda di memoria utilizzata. Maurizio Rebuzzini


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iferendoci al particolare ambito della fotografia espressiva italiana, che rivolge il proprio sguardo in delicato e confortevole equilibrio tra osservazione del vero e sua rappresentazione non necessariamente, né altrettanto, realistica (potere della fotografia d’autore), il corrente 2007 conteggia due ricorrenze alle quali si fa spesso richiamo, e si continuerà a farlo anche in futuro. Sono trascorsi venti anni dall’inizio e dieci anni dalla conclusione del progetto Archivio dello spazio (appunto, 19871997), campagne fotografiche sul territorio della provincia di Mi-

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lano, svoltesi in sintonia di intenti con il Progetto Beni Architettonici e Ambientali della Provincia di Milano. Alle campagne fotografiche di Archivio dello spazio hanno fatto seguito altri progetti di committenza: Milano senza confini (1999-2000) e Idea di metropoli (2001-2002). Le fotografie realizzate per e in questa consecuzione di progetti sono confluite nelle collezioni del Museo di Fotografia Contemporanea, allestito a Cinisello Balsamo, alle porte del capoluogo, che non ha interrotto il percorso intrapreso. Addirittura, per proprio statuto e intenzione esplicita, il Museo prosegue il lavoro nella di-

R SGUARDI CONTEMPORANEI


ALESSANDRA SPRANZI: CASINÒ MUNICIPALE, SAN PELLEGRINO TERME (BERGAMO) GILBERT FASTENAEKENS: VILLA LITTA, MILANO

rezione tracciata, confermando e ribadendo nuovi significati e nuove funzioni alla committenza di indagine e riflessione fotografica. Tanto che possiamo annotare come nel volgere del tempo, nello scorrere dei mesi e anni, il senso del rapporto con gli autori fotografi, avviato appunto vent’anni fa, è mutato nella propria sostanza: dalla originaria documentazione di alto livello culturale dei luoghi alla loro interpretazione e poi alla ricerca sempre più libera e indipendente. L’affidamento di incarichi a fotografi contemporanei, per la realizzazione di ricerche su temi di attualità, rimane comunque uno

dei compiti espliciti del Museo di Fotografia Contemporanea. Ne è convincente testimonianza l’attuale progetto Storie immaginate in luoghi reali, recentemente concluso e allestito in mostra fino al prossimo ventisette aprile (c’è tempo!). In collaborazione con Cariplo e Navigli Lombardi, il Museo ha affidato a otto fotografi italiani ed europei l’incarico di realizzare una serie di ricerche fotografiche in luoghi della Lombardia. Accompagnate da un’installazione video, dallo scorso ventisette ottobre, in mostra sono presentate settanta fotografie di Andrea Abati, Olivo Barbieri, Paola De Pietri, Gilbert Fastenaekens, Vittore Fossati,

A cura di Roberta Valtorta, con coordinamento del progetto di Massimiliano Foscati, Storie immaginate in luoghi reali compone una particolare visione fotografica, che dà fiato alla riflessione espressiva che trasforma ogni racconto in fantasia. Otto autori hanno elaborato i propri rispettivi progetti visivi in completa libertà: alternativamente, e secondo intenzioni, narrazione del luogo, svolgersi di una vicenda personale, indagine sugli abitanti o storia, lettura dei segni. E altro ancora 51


JITKA HANZLOVÀ: PALAZZO MELZI D’ERIL, VAPRIO D’ADDA (MILANO) OLIVO BARBIERI: CASTELLO DI SOMAGLIA (LODI) JEAN-LOUIS GARNELL: ABBAZIA DI MORIMONDO (MILANO)

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Jean-Louis Garnell, Jitka Hanzlovà e Alessandra Spranzi. Storie immaginate in luoghi reali racconta (appunto) di luoghi storici e naturalistici, sui quali i fotografi hanno elaborato propri rispettivi progetti visivi in completa libertà. Il titolo/contenitore sottolinea un modo aperto di intendere la committenza oggi: gli artisti-autori sono stati chiamati a lavorare a partire da luoghi indicati, ma attraverso la propria ricerca espressiva hanno avuto la possibilità di trasformarli in scenari che ospitano storie di qualunque natura. In relazione ai diversi progetti, abbiamo la narrazione stessa del luogo, lo svolgersi di una vicenda personale, l’indagine sugli abitanti o storia, la lettura dei segni. E altro ancora. In questa luce, cambia e si dilata il concetto stesso di luogo, che si articola, facendo spazio all’immaginario e assumendo significati di volta in volta diversi. La committenza si fa a lato, proponendosi soltanto in un ambito di promozione della stessa ricerca fotografica. Quindi, e nello specifico, all’interno del progetto Storie immaginate in luoghi reali sono state realizzate ricerche diversamente orientate. Con ordine. Raccogliendo immagini e testimonianze orali, Andrea Abati ha ricostruito episodi della storia del luogo, tra tutti le storie della Resistenza partigiana (Canale artificiale Vaso Re, a Bienno, in provincia di Brescia). In sintonia con il suo sguardo degli anni più recenti -annotato in FOTOgraphia dello scorso settembre, con la presentazione della personale site specific_NEW YORK 07, alla Galleria Paggeriarte di Sassuolo, in provincia di Modena-, Olivo Barbieri ha realizzando riprese dall’elicottero, che danno al luogo una connotazione straniata e irreale (Castello di Somaglia, in provincia di Lodi). Nel distretto dei monti e dei laghi della Brianza, Paola De Pietri ha colto una dimensione di silenzio e sospensione metafisica nei luoghi, nella natura e nelle persone. Gilbert Fastenaekens ha raccolto immagini di vita, lavoro e festa in un video narrativo e articolato (Villa Litta, Milano). Vittore Fossati ha lavorato su particolari del luogo, come uno specchio, sottolineando la sua cornice e l’eleganza del rapporto interno-esterno (Villa Menafoglio Litta Panza, a Biumo, in provincia di Varese). Attraverso luci, superfici, strutture, Jean-Louis Garnell ha raccontato una particolare atmosfera spirituale del luogo, non religiosa (Abbazia di Morimondo, alle porte di Milano). Jitka Hanzlovà ha realizzato una serie di ritratti di giovani, ispirati a ritratti di Leonardo da Vinci, che in questo palazzo visse e lavorò (Palazzo Melzi d’Eril, a Vaprio d’Adda, in provincia di Milano). Infine, Alessandra Spranzi ha indagato il senso del passare del tempo e dell’abbandono, attraverso immagini di mobili e oggetti ritrovati nel vecchio edificio (Casinò municipale di San Pellegrino Terme, in provincia di Bergamo). Un video realizzato da Meris Angioletti e Angelo Boriolo, prodotto dal Museo di Fotografia Contemporanea, racconta il lavoro dei fotografi nei diversi luoghi, i loro pensieri, le idee che li hanno guidati, e fa da catalogo visivo e sonoro alla mostra. Nel volume che accompagna il video, un testo della scrittrice Paola Capriolo propone una lettura delle opere e alcune riflessioni sulla possibilità della fotografia di raccontare storie immaginate. Angelo Galantini Storie immaginate in luoghi reali. A cura di Roberta Valtorta; progetto fotografico coordinato da Massimiliano Foscati. Fotografie di Andrea Abati, Olivo Barbieri, Paola De Pietri, Gilbert Fastenaekens, Vittore Fossati, Jean-Louis Garnell, Jitka Hanzlovà e Alessandra Spranzi; con un racconto di Paola Capriolo. Museo di Fotografia Contemporanea, Villa Ghirlanda, via Frova 10, 20092 Cinisello Balsamo MI; www.museofotografiacontemporanea.org. Fino al 27 aprile 2008; martedì-domenica 10,00-19,00, giovedì 10,00-23,00.


OBIETTIVI

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UNA IDENTITÀ DI TROPPO

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Finalmente, sarebbe stata rivelata l’identità del soldato fotografato da Robert Capa durante lo sbarco di Omaha Beach, in Normandia, il 6 giugno 1944, D-Day. Queste scoperte incuriosiscono sempre. Un’altra famosa fotografia di Robert Capa, quella del miliziano colpito a morte, realizzata in un giorno di settembre della guerra di Spagna, sul fronte di Cerro Muriano, è avvolta da polemiche e misteri. A un certo punto, l’identità del miliziano è diventata addirittura l’elemento che avrebbe potuto dimostrare che la fotografia non era posata, ma una vera istantanea. Questa è però un’altra storia, sulla quale non ci soffermiamo, lasciando ad altri tutte le speculazioni del caso. Tornando a Omaha Beach, il nome del militare sarebbe Huston Riley, un pensionato che ha oggi ottantasei anni e che all’epoca dello sbarco ne aveva ventitré (il condizionale è d’obbligo per motivi che vedremo più avanti). L’annuncio della scoperta è stato dato durante l’inaugurazione di una mostra dedicata alla fotografia di Robert Capa, che si è aperta all’International Centre of Photography (Icp) di New York a fine settembre. La notizia della scoperta è stata amplificata dalla pubblicazione sul prestigioso

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sito web del Times di Londra. Sul sito si legge che, arrivando all’Icp e vedendo l’enorme ingrandimento dell’immagine di Robert Capa che riempie una intera parete, Huston Riley ha osservato:

Ripresa dal sito web del prestigioso quotidiano Times, a fine settembre, la rivelazione dell’identità del soldato fotografato da Robert Capa durante lo sbarco a Omaha Beach, in Normandia, il 6 giugno 1944, D-Day, è contestabile. Infatti, il sito web dell’Arlington National Cemetery, di Washington, dove sono sepolti gli eroi della Nazione, identifica quel soldato con il sergente Edward Regan (al centro) e non con l’attuale attribuzione a Huston Riley (qui a sinistra).

«Questa fotografia mi ricorda molti compagni che erano con me quel giorno e tutto il frastuono che ci circondava. Sono tornato su quella spiaggia tre anni fa, insieme a mia moglie, per le celebrazioni del sessantesimo anniversario. Ho sfogliato il registro del cimitero. Si è trattato di un dannato macello, che si è portato via un sacco di giovani». In realtà, c’è un’altra versione sull’identità del soldato fotografato da Robert Capa: si tratterebbe di Edward Regan, morto nel 1998; anche se Lowell Getz, un professore in pensione della Università dell’Illinois, sostiene di avere le prove che Edward Regan si trovava a due miglia di distanza dal mezzo da sbarco su cui stava Robert Capa. La versione sergente Edward Regan ha due autorevoli sostenitori. Il primo è rappresentato dalla rivista Life che pubblicò una sua intervista, in occasione del cinquantesimo anniversario del D-Day, nel giugno 1994. Il secondo è il credito che il sito web del celebre e glorioso cimitero di Arlington dà a questa versione, pubblicando un’intera pagina a sostegno (a sinistra). Non abbiamo elementi per propendere per una delle due versioni. Ci limitiamo a pubblicare il ritratto che Mauro Vallinotto scattò a Edward Regan nella sua casa di Atlanta, e pubblicata dal Venerdì di Repubblica, numero 327, del 3 giugno 1994, in occasione del cinquantesimo anniversario dello sbarco in Normandia (pagina accanto), accompagnata da un lungo articolo sulla celebrazione del D-Day a firma di Alix Van Buren, brava giornalista americana che ha lavorato a lungo per l’Editoriale la Repubblica. Riportiamo anche parte delle dichiarazioni di Edward Regan, tratte dall’intervista rilasciata a Alix Van Buren, che ha comunque un valore storico e testimoniale, a nostro modo di vedere, molto importante. «Lei deve capire -afferma Edward Regan- che quell’immagine io l’ho tenuta chiusa nel cassetto


per più di quarant’anni. Non ne ho fatto parola con nessuno: soltanto la mia famiglia sapeva che quel soldato ero io. Ma la stampa, col tempo, si è lacerata. Così, per una sciocca nostalgia, per non perdere quel ricordo, ho commesso il grande errore: ho chiesto a Cornell Capa, fratello di Robert, di inviarmene una copia. Ed ecco ora mi avete scovato anche voi. «Ma la risposta alla sua domanda è: no, non mi entusiasma affatto l’idea di raffigurare agli occhi del mondo un eroe. Se poi vuole tutta la verità, eccola: quella mattina, sulla spiaggia di Omaha, non ero affatto l’irriducibile soldato che continuano a dipingere. Sa cosa mi passava per la testa quando Robert Capa scattava quella fotografia? Come posso fare a togliere il mio culo da questa dannata spiaggia? «Del resto, non creda che mi sia accorto di essere inquadrato dall’obiettivo di Bob. In quel momento

Nel giugno 1994, in occasione del cinquantesimo anniversario dello sbarco in Normandia, il settimanale Venerdì di Repubblica pubblicò una intervista di Alix Van Buren a Edward Regan, appunto identificato come il soldato fotografato da Robert Capa. L’articolo fu illustrato con un ritratto realizzato dal bravo Mauro Vallinotto, uno dei grandi fotogiornalisti italiani, oggi photo editor del quotidiano La Stampa.

avevo paura, proprio così. Di più, sono lì paralizzato fisicamente dal terrore: sdraiato in quella posizione che tutti conoscete per la semplice ragione che il corpo, le emozioni, la

mente non reagiscono più. [...] «Adesso -conclude Edward Regansi può compilare la prima, onesta didascalia di quella fotografia». Lello Piazza

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al centro

della fotografia

tra attrezzature, immagini e opinioni. nostre e vostre.


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iorno dopo giorno, la tecnologia fotografica applicata rivela una capacità fino a ieri insospettata: quella che consente di superare confini e barriere tra le diverse categorie tecnico-commerciali. È il caso concreto della nuova reflex digitale a obiettivi intercambiabili Canon Eos 40D, rivolta al più ampio pubblico (potenziale), che offre e propone l’innovativa piattaforma tecnologica Eos introdotta all’inizio dell’anno con la configurazione professionale Eos-1D Mark III. Il processore Canon DIGIC III garantisce tempi di reazione rapidi, una migliore resa del colore e avvii sostanzialmente istantanei. Quindi, il sistema integrato di pulizia del sensore e un corpo macchina in lega di magnesio, resistente a polvere e umidità, assicurano acquisizioni formalmente pulite, che richiedono meno fotoritocchi, e una durata maggiore nel tempo. Il sensore Canon CMOS di terza generazione si distingue dal precedente per la nuova struttura dei pixel, che riduce il rumore al minimo. La reflex Canon Eos 40D mantiene alta la qualità delle immagini, fino alla sensibilità di 1600 Iso equivalenti, espandibile a 3200 Iso equivalenti. La modalità Highlight Tone Priority offre la possibilità di ampliare la gamma dinamica per le aree chiare, per acquisizioni con sensibilità superiori a 200 Iso equivalenti. Per riprodurre, per esempio, i delicati dettagli degli abiti da sposa (fotografia di cerimonia) e l'eterea sostanza delle nuvole e di altri soggetti dai colori tenui (paesaggio e still life).

Il processore DIGIC III consente di effettuare scatti continui alla velocità di 6,5 fotogrammi al secondo, con sequenze fino a settantacinque acquisizioni in formato Jpeg (diciassette in formato grezzo RAW). Le immagini sono elaborate a 14 bit, per una profondità colore maggiore, con gradazioni cromatiche più omogenee e una riproduzione dei colori estremamente accurata.

Live View, con la possibilità di selezionare una griglia di riferimento e un istogramma che simula l’esposizione delle immagini. Il pulsante

AF-ON può essere configurato per abbassare temporaneamente lo specchio reflex

AF E LIVE VIEW Una innovazione peculiare dell’attuale Canon Eos 40D è rappresentata dal nuovo sistema autofocus con nove punti a croce. I nove riferimenti AF prevedono l’accomodamento sia sul piano orizzontale sia su quello verticale. Un punto AF centrale effettua l’accurata messa a fuoco fino all’apertura massima di f/2,8, con otto punti esterni che agiscono fino all’apertura f/5,6. In risposta alle richieste dei fotografi, il pulsante dedicato AF Start consente di eseguire la messa a fuoco automatica selezionandola con il pollice. La modalità Live View semplifica il controllo dell’inquadratura da posizioni operative particolari, come la fotografia macro a livello del terreno o gli scatti con la reflex fissata al treppiedi. Il monitor LCD da tre pollici visualizza in tempo reale le immagini in modalità

La reflex digitale Canon Eos 40D è dotata di tecnologie professionali, alla portata di una configurazione indirizzata al più ampio pubblico fotografico, proposta a un prezzo di vendita/acquisto adeguatamente conveniente. Sensore CMOS da 10,1 Megapixel, sequenza rapida a 6,5 fotogrammi al secondo, nuovo sistema AF e monitor LCD da tre pollici con modalità Live View

QUOTA

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dell’apparecchio e attivare la messa a fuoco automatica. In sala di posa, la modalità Live View remota consente di comporre e regolare le impostazioni e gestire la sessione fotografica da un computer esterno, utilizzando il software Eos Utility in dotazione.

CONTROLLO TOTALE La Canon Eos 40D è personalizzabile in base a esigenze individuali. La ghiera delle modalità può essere utilizzata per richiamare fino a tre gruppi di impostazioni definite dall’utente, per passare con rapidità da un’impostazione a un’altra. La nuova icona My Menu personalizzabile consente un accesso rapido alle impostazioni utilizzate più spesso, mentre le ventiquattro funzioni personalizzate permettono di regolare le funzioni e i pulsanti di controllo della reflex. Il cambio dello schermo di messa a fuoco, con due schermi supplementari disponibili, garantisce una maggiore versatilità. Per una combinazione semplificata con gli accessori dedicati, le impostazioni per il flash elettronico Speedlite 580EX II e il nuovo trasmettitore di file wireless WFT-E3 possono essere controllate direttamente dal monitor LCD della reflex. Nello specifico, creato per essere abbinato alla Canon Eos 40D, il trasmettitore senza cavi WFT-E3 consente il rapido trasferimento delle immagini su server FTP, oltre a una comunicazione bidirezionale tramite i protocolli PTP e HTTP. In remo-

to, nella modalità HTTP si può premere il pulsante di scatto o scaricare le immagini dalla reflex utilizzando un browser Internet. Lo standard PTP è utilizzato, invece, per fotografare in modalità wireless utilizzando Eos 40D e il software Eos Utility in dotazione. Per numerose quantità di scatti, WFT-E3 può essere collegato direttamente ad hard disk esterni (HDD). Se collegato a un dispositivo GPS portatile, a ogni immagine vengono automaticamente aggiunte le informazioni relative alla posizione e ora dello scatto come dati EXIF. La pratica impugnatura è caratterizzata da una ghiera principale, da pulsanti di scatto per le riprese verticali e da guarnizioni resistenti alle intemperie.

SOFTWARE Come consuetudine, la reflex Canon Eos 40D è dotata di un’ampia gamma di software, in grado di supportare ogni impegno fotografico: Digital Photo Professional, Picture Style Editor, Eos Utility, ImageBrowser/ZoomBrowser e PhotoStitch. Tra gli altri, Digital Photo Professional (DPP) è un potente convertitore di immagini in formato grezzo RAW, che consente un controllo completo dell’elaborazione. La gestione con Digital Photo Professional consente la visualizzazione in tempo reale e l’applicazione immediata delle modifiche alle immagini, oltre al controllo delle variabili,

TERZA GENERAZIONE CMOS

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razie al circuito di riduzione del rumore per ciascun pixel, che garantisce immagini senza rumore, il sensore CMOS rappresenta uno dei successi più significativi di Canon. Inoltre, rispetto al sensore CCD, i consumi ridotti dei sensori Canon CMOS consentono una maggiore autonomia di alimentazione, pratica e utile nelle sessioni prolungate di ripresa. Nei sensori Canon CMOS la conversione del segnale è gestita dai singoli amplificatori presenti nei pixel. Così, sono evitati inutili trasferimenti di carica, con un notevole aumento della velocità di trasmissione del segnale al processore. A conseguenza, la generazione del rumore risulta ridotta, il consumo energetico è limitato e viene aumentato il potenziale della velocità di scatto.

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PULIZIA DEL SENSORE EOS

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iduce, respinge e rimuove: le tre azioni del sistema integrato di pulizia del sensore Eos, che ostacola il formarsi della polvere sul sensore di acquisizione digitale. ❯ Riduce. I meccanismi interni alla reflex sono progettati in modo tale da ridurre la formazione della polvere. L’utilizzo del nuovo involucro del corpo macchina previene tale formazione. ❯ Respinge. Al filtro passa-basso, posizionato davanti al sensore, sono applicate tecnologie anti-statiche, in modo da non attrarre la polvere. ❯ Rimuove. Per un secondo circa, a ogni accensione l’unità autopulente del sensore utilizza vibrazioni ad alta frequenza per togliere la polvere dal filtro a infrarossi. Per poter fotografare prontamente all’avvio, questa funzione può essere disattivata. Inoltre, Canon ha progettato anche il sistema Dust Delete Data, in grado di rilevare la presenza della polvere sul sensore. Può essere eliminata automaticamente dopo lo scatto grazie alla versione più recente del software Digital Photo Professional.

come, per esempio, il bilanciamento del bianco, la gamma dinamica, la compensazione dell’esposizione e il tono colore. Le immagini possono essere salvate nella reflex con spazio colore sRGB o Adobe RGB. Digital Photo Professional supporta gli spazi colore sRGB, Adobe RGB, ColorMatch RGB, Apple RGB e Wide Gamut RGB. Alle immagini TIFF o Jpeg convertite dal formato grezzo RAW possono essere applicati profili ICC (International Colour Consortium). Ciò garantisce

una riproduzione fedele dei colori nei software che supportano i profili ICC, come Adobe Photoshop. Per una maggiore efficienza, è possibile anche salvare e applicare a più immagini più modifiche per volta. Tra le novità della versione più recente di Digital Photo Professional si segnalano le anteprime tre volte più rapide, la rinnovata funzione Noise Reduction e l’elaborazione simultanea a gruppi delle immagini TIFF e Jpeg. (Canon Italia, via Milano 8, 20097 San Donato Milanese MI). Antonio Bordoni



Settimana Canon Per gli appassionati di fotografia prire una finestra sul mondo dell’immagine, con l’intento di avere un dialogo diretto con chi vive la fotografia per mestiere o con passione. Fotografica. La settimana Canon della fotografia è una iniziativa declinata in questa direzione esplicita. Sono previste tavole rotonde con fotografi professionisti, incontri con le maggiori agenzie fotografiche e photo editor, forum fotografici, seminari e

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workshop tecnici curati da esperti o aziende partner. È richiesta l’iscrizione preventiva soltanto per la lettura portfolio da parte di noti critici e i seminari Eos Discovery, durante i quali fotografi professionisti offrono preziosi consigli e nozioni tecniche, analizzano fotografie tra quelle inviate dai partecipanti e distribuiscono suggerimenti esclusivi e consigli pratici per migliorare la propria tecnica fotografica.

Ricordo di Milano Di Davide Mengacci: dal 1965 al 1985 ccanto il Sommario di questo stesso numero, in quello spazio che identifichiamo come Prima di cominciare, annotiamo una serie di riflessioni che Oliviero Toscani ha espresso in relazione alla clamorosa vicenda del soggetto contro l’anoressia che ha realizzato per Nolita, e che ha avviato una serie di avversioni pubbliche (ne riferiamo, ancora su questo stesso numero, a pagina 20, nell’ambito degli appunti e attualità del fotogiornalismo internazionale, a cura di Lello Piazza). Oliviero Toscani si riferisce a Milano, città dalla quale sono partite le

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diatribe avverse; annota che oggi Milano «È una città che non ha più la generosità di una volta. Che non ha più né la fantasia, né la capacità artistica di una volta. Una città seduta, una città cattiva». Avendo vissuto l’involuzione di Milano nei decenni, città saccheggiata e tradita, sottoscriviamo e ci allineiamo. Così che, nello specifico e alla luce di tutto questo, la raccolta La Milano di Davide Mengacci 1965-1985. Da capitale morale a capitale da bere acquisisce un valore nuovo e insospettato. Colpisce i sentimenti più di

Non manca un contatto diretto con il mondo Canon; oltre a uno spazio Touch & Try, nel quale visionare e provare la serie di reflex e obiettivi Canon Eos e le novità dell’offerta tecnica-commerciale. In mostra, le fotografie dei vincitori dell’ottava edizione del Premio Canon Giovani Fotografi, che ogni anno si conferma osservatorio privilegiato sul panorama della fotografia creativa (FOTOgraphia, marzo 2003 e maggio 2005).

❯ 24 e 25 novembre: Centrale Ristotheatre, via Celsa 6, 00186 Roma; 11,30-13,00 18,00-19,30. ❯ Dal 29 novembre al 2 dicembre: Spazio Forma, piazza Tito Lucrezio Caro 1, 20136 Milano; giovedì 29 e venerdì 30 novembre 17,0022,00, sabato Primo e domenica 2 dicembre 11,00-22,00.

quanto fanno, in genere, le visioni retrospettive: rivela l’umanità e lo spirito di una città che ormai sopravvive soltanto nei ricordi individuali, che nelle raccolte fotografiche di questo tipo hanno modo di alimentarsi e confortarsi. Oltre la raccolta in volume (con testi di Testi di Antonio Steffenoni; Edizioni Carte Scoperte, corso di Porta Romana 51; www.cartescoperte.it; 116 pagine 26x28,5cm, cartonato

con sovraccoperta; 45,00 euro), la serie delle sessanta immagini in bianconero è presentata in allestimento espositivo in centro città, nei pressi di piazza del Duomo.

Per le iscrizioni agli incontri: www.canon.it/eosdiscovery.

La Milano di Davide Mengacci 1965-1985. Da capitale morale a capitale da bere. Palazzo Affari ai Giureconsulti, via Mercanti 2, 20121 Milano. Dal 12 al 18 novembre; 10,00-18,00.

Mezzo secolo Osservazioni di vita quotidiana residente dell’associazione il biancoenero di Brescia, Eros Fiammetti è stato celebrato da una antologica allestita al Palazzo LodaCalzaveglia di Flero, alle porte della città. Classe 1932, fotografo dai primi anni Cinquanta, Eros Fiammetti è esponente di spicco di una tradizione di fotografia umanista che partecipa la vita quotidiana: personalità di riferimento della fotografia lombarda. Le immagini selezionate sono raccolte in un volume-catalogo, con testi introduttivi di Nino Dolfo e Vincenzo Cottinelli e una nota dello stesso auto-

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re: Mezzo secolo. In biancoenero. Fotografie di Eros Fiammetti; Associazione il biancoenero (via delle Battaglie 16, 25122 Brescia 0303773269; www.vincenzocottinelli.it, v.cottinelli@alice.it); 104 pagine 22x22cm; 18,00 euro.


40X40cm) PIÙ

Territori dell’inconscio uori è buio. Fa freddo, forse. Perché l’albero è spoglio e ha perso quasi tutti i suoi frutti. Sono rotolati a terra, sul prato ancora verde. Un bambino, seduto su una grossa palla di gomma gialla, dà le spalle al mondo e osserva una finestra illuminata. Ma le tende sono tirate e la vista è negata. La sua e la nostra: esiste qualcosa che non si può oltrepassare. Perché non si può capire, comprendere, vedere. Sono barriere, innanzitutto mentali. Sono territori al limite tra la coscienza e l’inconscio, che si palesano attraverso piccoli indizi, piccole impressioni e rimangono irrisolti. Possono i frutti essere maturi e il loro albero spoglio? È un artificio: attraverso la costruzione di scenari fittizi e dettagli eloquenti, l’opera di Annabel Elgar, londinese, classe 1971, rivela indizi che chiamano in causa i ricordi e le paure di ognuno. Appunto, i suoi Territori dell’inconscio risvegliano memorie (anche spiacevoli), timori sopiti e non li risolvono. Continuano a vivere nell’immagine e dentro di noi. Perché una delle caratteristiche fondamentali delle fotografie di Annabel Elgar è il

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Progettosettanta punto Dentro il sogno 19691995- e di tutta la relativa documentazione di progetto, unitamente a un’ampia raccolta di libri d’artista che sottolinea la profondità e articolazione del suo contributo. Dentro il sogno 1969-1995 è un’opera che Giorgio Ciam aveva pensato e progettato in termini esecutivi nel 1995, un anno prima della sua morte. È un lavoro unitario, che ripercorre come un flashback l’intero arco della sua vita artistica. Una grande installazione composta da settantotto immagini più una, scelte tra quelle realizzate nell’arco di tempo specificato e ristampate dai negativi originali. Nella sua dimensione “fisica”, l’installazione è composta da tredici montanti metallici che sostengono sei pannelli, su ognuno dei quali è montata una fotografia, per un totale di settantotto pezzi. Giorgio Ciam: Dentro il sogno 1969-1995; prima esposizione del Progettosettanta. Arte e fotografia dalla ricerca anni Settanta in Italia, a cura di Elena Re. Galleria Enrico Fornello/P 27, via Paolini 27, 59100 Prato; 0574-462719; info@enricofornello.it. Dal 30 ottobre al 16 gennaio 2008; martedì-sabato 11,00-13,00 - 15,00-20,00.

Annabel Elgar: Territori dell’inconscio. Nepente Art Gallery, via Volta 15, 20121 Milano; 02-29008422; www.nepente.com, gallery@nepente.com. Dal 23 novembre al 6 febbraio 2008 (chiusura il 7 e l’8 dicembre e dal 22 dicembre al 7 gennaio); martedì-sabato 15,00-19,30. e su appuntamento.

PRINT,

enza interrompere la propria programmazione artistica di livello internazionale, proiettata verso la sperimentazione contemporanea, da fine ottobre la Galleria Enrico Fornello di Prato si impegna, in parallelo, in un concentrato progetto culturale a lungo termine dal titolo Progettosettanta. Arte e fotografia dalla ricerca anni Settanta in Italia. A cura di Elena Re, il progetto mira a ricostruire e presentare il complesso panorama degli artisti italiani che hanno usato la fotografia nella stagione culturale certificata nel titolo. Si analizza il fulcro della ricerca messa a punto in un periodo storico denso e significativo. Tuttavia, per taluni autori, si prosegue l’analisi che sottolinea anche i contributi più recenti, identificando nella produzione contemporanea l’attualità di un approccio espressivo. L’ampio ciclo di mostre viene avviato da Giorgio Ciam, la cui personale Dentro il sogno 1969-1995 riparte da dove l’autore aveva purtroppo interrotto, per arrivare al compimento di un’opera, ma anche di un sogno. Al di là di alcuni lavori che ripropongono momenti diversi della ricerca di Giorgio Ciam, la mostra è incentrata sulla presentazione di un’unica grande opera -ap-

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102X127cm)

Arte e fotografia in Italia (anni Settanta)

tempo sospeso. Indeterminato. I suoi indizi, metafore evidenti e spesso nefaste, pongono interrogativi e intenzionalmente non li esauriscono, congelandoli nella dimensione atemporale della mente e della fotografia. Solo l’inconscio è chiamato a rispondere. Allo stesso modo, le persone che popolano le sue immagini, spesso adolescenti, rimangono figure indefinite, dei simboli di noi stessi, forse, e di quello che siamo stati: non guardano mai nell’obiettivo, il più delle volte sono di spalle e non ci è dato scoprirne l’identità. Non è un caso che il nero sia il tono predominante nelle immagini. La notte, il buio, le ombre profonde senza dettaglio, dove il pensiero razionale lascia il posto a ciò che non lo è. Ai sogni, ai mostri.

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ENRICO CIAM: DENTRO

IL SOGNO

1969-1995;

MAQUETTE DELL’OPERA,

1995,

MATERIALI VARI E FOTOGRAFIE

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Introspezione suggerita da Annabel Elgar

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ANNEMARIE SCHWARZENBACH

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Di nessuna chiesa è la diversità. I limiti, come i maestri, esistono per essere violati. L’amore non è mai innocente, o lo è sempre. Anche quello omosessuale. Una mente superiore è androgina. In ogni cosa è già scritta quella foglia amorosa che diventerà albero o rosa. La malinconia è sconosciuta anche agli spiriti più aristocratici. La tristezza è di tutti, perché la tristezza non sa leggere, come il vento. Solo i “quasi adatti”, i bambini “strani” o i pazzi per amore sanno cosa sia la malinconia. Cercano l’amore in tutta la loro esistenza, senza trovarlo mai. Incapaci come sono di farsi amare per la loro smisurata eccentricità, riescono ad amare tutto ciò che è estremizzato. La loro vita è una poesia della caduta. Antonin Artaud, Sylvia Plath o Annemarie Schwarzenbach... non si sono mai convertiti all’acqua benedetta delle istituzioni e hanno dato scacco matto alla società, facendo delle proprie vite tormentate anche le loro opere “immorali”.

ELOGIO DELLA DIVERSITÀ Annemarie Schwarzenbach è una figura controversa nella cultura europea. Amata da chi non si sofferma sui pregiudizi della sua mai celata omosessualità, odiata o disconosciuta da quella casta intellettuale che ha fatto della professione di pensare una sorta di genocidio dell’intelligenza. Eviteremo di delineare Annemarie Schwarzenbach angelo in fuga, angelo devastato o angelo inconsolabile, tantomeno di riconoscere in lei una instabilità emotiva che è alla base della sua autodistruzione. E anche se queste affermazioni fossero “vere”, le rifiutiamo. «A un certo grado di infelicità, ogni franchezza diventa indecente» (Emil M. Cioran). L’essere dav-

vero soli significa opporre i propri talenti contro i commedianti dell’irreparabile. La ragazza dell’alta società di Zurigo è stata scrittrice, giornalista, viaggiatrice e anche una particolare fotografa. Non crediamo che «la lontananza [dalla famiglia e da tutto] per Annemarie diventa un programma di vita e l’unica possibilità per reagire alla profonda crisi europea» (Areti Georgiadou). La sua erranza, forse, è una reazione, sia a una soffocante educazione familiare, sia alle difficoltà (non solo borghesi) d’essere capita come donna differente, che vive una sessualità speciale. La sua vita va in pezzi, certo. Ma sono le esistenze più sensibili e amorose che non trovano asilo nelle convenzioni sociali del proprio tempo. È per l’impossibilità di essere normali che molti cuori in amore scelgono lo strappo dell’eccesso, del manicomio o della morte: non perché sono cattivi o incompresi. Perché il loro volo è più alto, verso la via delle stelle, che porta a quel paese della felicità dove la parola amore vuol dire veramente amore. Sotto un certo taglio, l’erranza di Annemarie Schwarzenbach ha molte tracce in comune con l’inquietudine, anche sessuale, di un altro grande viaggiatore/fotografo, Bruce Chatwin (1940-1989). Questi messaggeri della tenerezza spezzata hanno guardato nelle anime degli uomini, ma non hanno visto niente. Solo le ceneri della loro disperazione. Ecco perché si sono chiamati fuori dalla famiglia, dalla società o dalla vita, perché non capiscono l’orrore delle guerre, l’odio razziale, la discriminazione sessuale, l’arroganza delle religioni monoteiste; hanno compreso che dietro ogni santo, profeta o uomo politico c’è un demente

incapace di piangere i milioni di bambini che muoiono per fame ai quattro venti della Terra. Annotazioni in forma di biografia, necessarie a comprendere meglio la statura intellettuale di Annemarie Schwarzenbach, autrice di opere letterarie, diari di viaggio e libri di fotografia non proprio comuni. Annemarie Schwarzenbach nasce bene il 23 maggio 1908, a Zurigo, da una famiglia tra le più ricche della Svizzera. Muore il 15 novembre 1942, nel Sils-Balegia (Svizzera), a trentaquattro anni, per le ferite riportate in una banale caduta dalla bicicletta. Si laurea in storia all’università di Zurigo, a ventitré anni (tesi sulla storia dell’Alta Engadina nel tardo medioevo). Nel 1928 va a Parigi. Frequenta scrittori, pittori, giornalisti e scrive alcuni racconti, anche per vivere. L’attrazione omosessuale è forte, vissuta però con la grazia dei cigni in amore nel giardino del re. Dal 1931 al 1933 vive a Berlino. Incontra Erika e Klaus Mann, figli dello scrittore e saggista tedesco Thomas Mann (premio Nobel per la letteratura, nel 1929), divengono amici, e con Erika anche amanti. Con i Mann condivide non solo gli agi della “bella società”, l’uso della morfina, ma anche l’attività antinazista. Infatti, quando Hitler sale al potere, i Mann e Annemarie Schwarzenbach lasciano la Germania. L’“agguerrita rivoluzionaria e comunista” dal viso triste (come la definisce Erika Mann), inizia a scattare fotografie -non propriodi viaggio. Dapprima in Spagna (con la fotografa Marianne Feilchenfeldt-Breslauer, che tra il 1931 e il 1938 le ha scattato numerosi ritratti), poi per sette mesi viaggia in Asia (Anatolia, Siria, Libano, Iraq, Persia, Pale-

stina). È affascinata per i resti della civiltà mediorientale profanata, saccheggiata, e vede in quei popoli una semplicità, una purezza di vita arcaica che forse non era già più così. Per contrasti profondi con la propria famiglia, specie con la madre, non solo riguardo a gelosie e opinioni politiche differenti tra gli Schwarzenbach (che avevano simpatie filonaziste) e i Mann, Annemarie attua il primo tentativo di suicidio. Nel 1935, a Teheran, incontra il diplomatico francese Achille-Marie (Claude) Clarac e lo sposa. La cosa non funziona. Dopo pochi mesi si lasciano. Torna in Europa per disintossicarsi. I rapporti con la madre si rompono. Il suo equilibrio psicofisico crolla. Lo psichiatra Ludwig Binswanger la definisce affetta da una forma di “schizofrenia”. Ha una relazione tempestosa con la baronessa Margareth von Opel, che insegue fino in America, continua a fare uso massiccio di droghe. La delicatezza del suo animo e il furore dei suoi dis/amori estremi la portano a entrare e uscire dalle case di cura. Annemarie Schwarzenbach scopre il fotogiornalismo. Insieme con l’amica Barbara Hamilton-Wright, nel 1937 è negli Stati Uniti per una sorta di fotoreportage sulla Depressione scoppiata nel 1929, con il crollo della Borsa. Visitano New York, Washington, le zone carbonifere di Pittsburg, le cartiere e le fattorie del Maine, la desolazione, la miseria profonda degli stati contadini del Sud. Le due donne incontrano sindacalisti, operai, braccianti, disoccupati. Parlano con le famiglie affamate, si mescolano alle lotte operaie. Con difficoltà, i loro lavori sono pubblicati su riviste e giornali svizzeri, e hanno anche

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una qualche eco. La “ragazza di buona famiglia” ha dimostrato di saper fare non solo la giornalista, ma si è avvicinata (con buoni meriti) anche alla fotografia sociale. Viaggia ancora in Europa (Scandinavia, Unione Sovietica). Non riesce a smettere con la droga. I ricoveri in case specializzate sono sempre più frequenti. Nel 1939 esce il suo romanzo utopico La valle felice. Scoppia la Seconda guerra mondiale e la trova in Afghanistan, con la fotografa Ella Maillart. Hanno viaggiato in automobile per tre mesi. Sono passate per l’Italia, la Jugoslavia, la Bulgaria, la Turchia e la Persia. Dopo mesi di lunghe discussioni, contrasti e incomprensioni, oltre che forti momenti d’amore, le amiche si separano. Annemarie Schwarzenbach arriva a Bombay, poi torna in Europa per consegnare il materiale sull’Afghanistan all’Emergency Rescue Committee e riparte per gli Stati Uniti, per affiancarsi, con i fratelli Mann, ai comitati di opposizione al nazismo. Nel 1940 muore il padre. Lei resta in America, non va al funerale. Il rapporto con Margareth von Opel si fa cruento: una notte cerca di strangolarla e tenta di nuovo il suicidio. La internano in un manicomio (Bellevue Hospital di New York City). Dopo qualche tempo, l’autorizzano a uscire dalla clinica, soltanto dopo la promessa di abbandonare gli Stati Uniti. La ragazza degli scandali torna in Svizzera. La madre è turbata (forse) dalla sua presenza nei club di alto lignaggio che frequenta nell’ora del tè, e la spinge a programmare un viaggio in Africa. Lei cerca di raggiungere le forze di liberazione di De Gaulle. Non ci riesce. Nel giugno 1942 s’incontra con il marito a Tetuan (Marocco), ha l’intenzione di chiedere il divorzio. Restano ancora insieme. Annemarie Schwarzenbach è di nuovo in Svizzera, passa momenti difficili, in completo mutismo e stati di semincoscienza. Il 15

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«Il suo volto fresco era quello di un ragazzo. I suoi fluenti capelli biondo spento, tagliati corti, con la riga, potevano avere un luccichio chiarissimo, non dipendeva soltanto da come la luce cadeva su di loro: avevano la caratteristica che il loro colore poteva cambiare, ravvivarsi o spegnersi. La sua bocca era larga, infantile e grave, le labbra erano un po’ ruvide e avevano la tendenza a screpolarsi, cosa che dava alla sua giovane bocca qualcosa di impacciato e inquietante. [...] Aveva un carattere quasi infantile, nel quale si mescolavano timidezza e distacco, in un modo aggraziato che ricordava il comportamento di un lieve, prudente e superbo animale selvaggio votato solo alla libertà e alla fuga. [...] E lei? Si vede androgina, esigente, severa. Un angelo di Botticelli e un’aggressiva Giovanna d’Arco. [...] Dall’immagine non si capiva se fosse un ragazzo o una ragazza, si autoritrae. [...] Nelle numerose fotografie che le scattano amici, parenti o sconosciuti, in posa o a sua insaputa, nel corso di tutta la sua vita -dalla nascita alla morte e, forse, oltre- Annemarie, ora ragazzina-maschio, ora marinaio, ora giovane donna in fiore in abito da sera, ora dandy in cravatta, le labbra dipinte col rossetto, ora sposa-ragazzo, magrissima nei calzoni sformati, ora donna segnata, appare sempre inquieta e sfuggente, di rado col sorriso sulle labbra. In tutte le fotografie, per volontà del fotografo o sua, appare irraggiungibile, misteriosa, come un angelo senza sesso, serio e terribile» Melania G. Mazzucco


novembre 1942 cade di bicicletta a Sils, in Engadina, riporta un trauma cranico e muore. La scoperta delle sue opere è tardiva; dopo un colpevole oblio, la riscoperta è avvenuta a metà degli anni Ottanta, quando l’editore svizzero Huber iniziò a ripubblicarla [nota dopo la firma]. La sua forza espressiva più autentica si riversa nell’autobiografia o nei diari di bordo. Le fotografie mostrano una visione amara, anche salace, fortemente legata all’iconoclastia del convenzionale e del conforme. Però, la sua vita in pezzi non è solo dolore, taglio, frattura col corpo sociale; segna anche una rivolta della donna contro il fascio dei valori dominanti, e la ricchezza della sua diversità è lasciata alla bellezza delle anime fragili in lotta per disvelare l’ingiustizia familiare e sociale che governa l’universo degli stolti.

SULLA FOTOGRAFIA SOCIALE DI UNA RIBELLE

La fotografia sociale è contro ogni limbo di consolazione interiore e pubblico successo. È una forma espressiva, talvolta poetica, che si pone contro la simulazione dell’indifferenza. Al pari dello spirito, la fotografia sociale costruisce utopie. Non accetta il dolore, se non in piena coscienza. Passa dai margini dell’incomprensibile alla periferia del sublime. Sa che il torto d’ogni ricerca di liberazione radicale dall’ordine delle apparenze passa da un’estetica dell’incompiuto, più ancora, da un’etica della rivolta, anche della sessualità. Poiché è ebbra di vita, in tutte le proprie accezioni la fotografia sociale non ha altari. O si è complici della tirannia delle convenzioni o si è ribelli a tutto. La differenza tra stupidità e intelligenza sta nel modo di rifiutare, disobbedire, dissentire dallo spettacolare integrato e dalle banalità quotidiane (dall’impero dei codici) della civiltà dello spettacolo. Nella vita, come nell’arte di vivere tra liberi e uguali, la conquista

della felicità passa dal dolore. Annemarie Schwarzenbach ha lasciato fotografie e scritti singolari (sono quasi settemila e documentano i suoi viaggi tra il 1933 e 1942; sopra tutto, Dalla parte dell’ombra, Il Saggiatore, 2001). Le immagini di viaggio e la fotodocumentazione sulla gente povera negli Stati Uniti ai tempi della Depressione esprimono una sensibilità acuta, non curiosa o folcloristica, una lettura del disincanto che potremmo chiamare in “punta di sguardo” (Oltre New York. Reportage e fotografie 19361938, Il Saggiatore, 2004). La fotografa lavora sulle linee, sugli sfondi; la figura è vista sempre come parte importante di una quadratura formale, anche ricercata. Le immagini (per così dire) “dell’irrequietezza”, sono più “dolci”, spesso anche troppo partecipate, tanto da tradire il momento emozionale. I paesaggi, quanto i ritratti, rientrano comunque dentro un’antropologia dell’immagine “nomade”, non agiografica. Per quanto riguarda la ritrattistica, la distanza della fotografa dal soggetto varia molto e non sembra abbastanza “rapace” nella presa della soggettività, nella violazione o nella cattura dell’accadere davanti alla macchina fotografica. Le fotografie sulla strada della miseria americana di Annemarie Schwarzenbach, che forse si era fatta fotografa per avvicinarsi meglio all’umanità dolente, o anche per cercare di allontanarsi da un mondo di dèi (non solo familiari) che non la comprendevano, si leggono come conoscenza ridestata: immagini di affronto e vergogna per una società che si auto/definisce la più “libera” della Terra. Le fotografie dei neri, dei disoccupati, delle donne operaie sono intrecciate tra loro da una sorta di marchio, quello di una pietas laica, tutta femminile, con la quale Annemarie Schwarzenbach si schiera dalla parte dei perdenti e non assolve, né giustifica, la “ragione” dei loro oppressori.

A leggere gli scritti e a entrare in questa fotografia dell’aurora o della malinconia -che crediamo avere una stanza tutta per sé nella storiografia sociale-, e a scorrere le immagini che supportano i suoi percorsi, vediamo il rapporto di vicinanza, fratellanza, forte condivisione della fotografa con le persone che incontra nelle cartiere del Maine, nei campi di cotone dell’Alabama, nei quartieri sporchi di Pittsburg. I corpi dei taglialegna e dei minatori del Tennessee, i disoccupati e i protagonisti delle lotte sindacali, le operaie delle fabbriche di Jeans, il quartiere senza luce di Knoxville, sono depositari di una disumanità dominante, figlia di un mondo devastato dall’ingiustizia sociale. Come sempre, l’inquadratura è pulita, quasi icastica, a volte anche ironica (i manichini nelle vetrine), tuttavia il soggetto è sempre visto come un confine da non violare (la donna nera sulle scale della sua casa). In queste fotografie delle popolazioni impoverite del “grande paese”, delle quali era già in corso una raccolta archivistica del governo Roosevelt (Farm Security Administration) -e tra i fotografi chiamati a compiere l’impresa c’erano maestri della bellezza sfigurata dei poveri tra i poveri (non sospetta), come Walker Evans, Ben Shahn e Dorothea Lange-, non è difficile comprendere la profonda sensibilità di Annemarie Schwarzenbach verso la parte più disagiata della società americana. Le sue immagini sono abbastanza “ingenue”, colte quasi a “volo d’aquila”, cioè si vede bene l’occasionalità espressiva e una certa attenzione formale che a volte lasciano il soggetto in secondo piano. Si avverte, inoltre, l’enorme rispetto per la persona fotografata e il superamento del fatto di cronaca che si trascolora in documento. La trattazione figurativa è spoglia, attenta all’insieme del racconto, più che

a isolare l’uomo dal proprio ambiente. La figura umana è parte di una storia più larga, che si lascia attraversare dalla gioia della conoscenza, senza mai perdere la dignità che le è propria. È una sorta di fotografia di denuncia, di visione altra del “sogno americano”. Ci passano negli occhi le immagini di Annemarie Schwarzenbach. Un operaio nero a Cincinnati (Ohio, 1938), minatori disoccupati in West Virginia (1937), due bambini neri e una bambina bianca (Georgia, 1937), un uomo e una donna seduti sulla veranda della loro casa di legno (Knoxville, Tennessee, 1937); ancora, lapidi di cimiteri, manifesti del cinema, porti abbandonati, prigioni. Le sue fotografie di documentazione sociale tagliano via l’aggressività o l’“io” del fotografo e danno «la parola a chi è privo di diritti e di beni e, spesso, privo di voce» (Roger Perret). In qualche modo, le immagini di Annemarie Schwarzenbach anticipano il grande libro fotografico di un altro svizzero: Robert Frank, Gli americani. Però, la struttura narrativa di Annemarie Schwarzenbach è più frammentaria, meno eversiva dello sguardo di Robert Frank, le cui immagini uniscono in sé la qualità dell’antropologo con la visione dell’artista. Tuttavia, la scrittura documentale di Annemarie Schwarzenbach riesce a inquadrare bene le radici dell’ottimismo americano e dell’arroganza del potere. Per meglio comprendere la fotografia di Annemarie Schwarzenbach non è male vedere i ritratti che altri le hanno scattato. Rigettiamo l’idolatria o il mito di vederla come una figura della dissoluzione o fata di seduzioni oscene: non c’è fragilità nei ritratti fatti ad Annemarie Schwarzenbach, c’è discrezione. Appartenenza a un mondo diverso, particolare o libertario, senza clamore. Dove l’amore non contempla né regole, né confini. Importante è amare ed essere amati. E non importa quale

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sesso incontri in amore. «Ama e fai quello che vuoi», Agostino, il berbero, diceva. La bellezza androgina di Annemarie Schwarzenbach o il suo vissuto di lesbica o semplicemente di diversa sono al fondo della malinconia aurorale che esce dal suo fare-fotografia. La sue fotoscritture contengono la dolcezza dell’istante e l’amoralità della ragione dominante. C’è anche stupore nel suo lavoro. Forse troppo. Specie quando si lascia andare nell’iconografia del viaggio. La speranza del suo sguardo rompe la condizione imposta dall’evento e la malinconia che emerge dall’immagine si apre su spazi sconfinati della poesia, dove angeli e banditi giocano a dadi sul culo della storia. Contrariamente a quanto viene scritto di lei, la visione ra-

dicale, epica (dentro e fuori la fotografia) di Annemarie Schwarzenbach si accosta a una forte personalità, tenera e risoluta al contempo, dispersa (o donata) in una filosofia del disagio e del rifiuto che si scaglia contro i regni dell’oppressione e si affranca a tutto ciò che sopravvive o emerge dal margine dell’umanità. Nei cimiteri del libero spirito riposano i princìpi, le morali e le regole di “buona condotta”. La signora Annemarie Schwarzenbach vestiva abiti maschili, portava i capelli tagliati corti, esprimeva una regalità del volto e del corpo che la proiettavano fuori dal terrore di morire di “normalità”; allo spettacolo dei sofà preferiva l’utopia dell’amore e farsi marchiare come “peccatrice” che brucia quello che divora. Il suo sguardo “basso”, delicato,

quasi diafano, eretto, forse, a protezione di un’anima ferita a morte, discosto da entusiasmi e angosce, non significava affatto esporre un “fascino ambiguo” o perverso; l’ambiguità o la perversione non c’entrano, fanno parte di persone destinate alle “banalità dell’ordinario”. Le droghe, l’alcool, gli amori impossibili o infelici sono percorsi di vite maledette o forse di straordinarie esistenze, mai realmente comprese e accettate dalla cultura d’ogni tempo. Come i santi e le puttane, i geni muoiono della stessa follia. Le puttane però conoscono solo le lacrime dei marciapiedi. I santi s’impiccano nell’estasi del nulla. I geni scompaiono per aver guardato il cielo e non aver visto nulla. Buona fotografia. Pino Bertelli (7 volte settembre 2007)

Ricordiamo le edizioni italiane di La valle felice (Luciana Tufani Editrice, 1998), Morte in Persia (Edizioni e/o, 1998), Dalla parte dell’ombra (Il Saggiatore, 2001), La via per Kabul (Il Saggiatore, 2002; Net, 2006), Sybille (Casagrande, 2002), Oltre New York. Reportage e fotografie 1936-1938 (Il Saggiatore, 2004) e La gabbia dei falconi. Tredici racconti orientali (1934-1935) (Rizzoli, 2007). Per comprendere la sua statura poetica, non solo come donna straordinaria, ma anche come testimone di una fotografia sociale sempre meno praticata, sono utili i saggi di Areti Georgiadou, La vita in pezzi. Una biografia di Annemarie Schwarzenbach (Luciana Tufani Editrice, 1998), Melania G. Mazzucco, Lei così amata (Rizzoli, 2000), e Dominique L. Miermont, Una terribile verità. Ritratto di Annemarie Schwarzenbach (Il Saggiatore, 2006).

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