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ANNO XV - NUMERO 140 - APRILE 2008
Beppe Bolchi CITTÀ SENZA TEMPO
Giuseppe Vitale PASSEGGIATA LIGURE
INTELLIGENZA STENOPEICA PAROLE E AUTORI
“
C’è anche altro nella scrittura fotografica. Certo. Nessuna fotografia è innocente. La fotografia è la poetica dell’inconsueto, ma anche dell’ordinario. L’una interroga e rompe il banale nell’inedito, l’altra seduce e prolunga la morte della fantasia. Pino Bertelli su questo numero, a pagina 64
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ARBITRARIA. Su questo numero di FOTOgraphia si dà spazio alla fotografia con foro stenopeico (pinhole): oltre la copertina, a partire da pagina 42 riflessione a tema e doppia serie fotografica, una di Beppe Bolchi e l’altra di Giuseppe Vitale. Dunque, è giocoforza richiamare anche un altro capitolo dell’attuale fotografia arbitraria e creativa, che parte da un gesto tecnico volontariamente scartato a lato: quello delle macchine fotografiche giocattolo, delle quali siamo stati profeti fin dal febbraio 1998, quando presentammo (primi in Italia, e per molto tempo unici) la fenomenologia Holga 120S. Con pervicacia, sulla Holga e sugli interpreti della sua commovente raffigurazione fotografica siamo tornati in tante altre occasioni successive, sottolineando sempre intenzioni che non si esauriscono con la sola apparenza dei suoi connotati, ma approdano alla sostanza di un autentico linguaggio espressivo. Tra le righe e pieghe di queste passerelle abbiamo spesso sottolineato come il fenomeno degli apparecchi fotografici gio-
La saggezza cresce col passare degli anni, cresce la nostra esperienza, cresce la capacità di capire. E cresce anche la capacità di controllare la nostra mente e il nostro cuore. Diventiamo più abili nel comprendere che mente e cuore sono strumenti che debbono essere utilizzati per gli scopi che noi decidiamo. Impariamo che non sono forze che ci usano per i propri fini, che ci sottomettono. Arriviamo a governarli, assoggettandoli alle nostre intenzioni.
Copertina Vienna, dalla serie Città senza tempo di Beppe Bolchi: paesaggio urbano registrato dalla fotografia a foro stenopeico (pinhole), alla quale riserviamo una sequenza di interventi redazionali in occasione dell’ottava Giornata Mondiale della Fotografia a Foro Stenopeico (appunto, domenica ventisette aprile). Riflessione a partire da pagina 42; quindi, le immagini di Beppe Bolchi, da pagina 48; e il foro stenopeico digitale (su Leica M8) di Giuseppe Vitale, da pagina 52
3 Fumetto Da una cartolina degli anni Cinquanta (o poco più), impreziosita -va detto- da una finitura in stoffa (l’abito della ragazza). Una volta ancora, sottile ironia involontaria sul gesto e la personalità del fotografo
61 48 cattolo, dilagato in tutto il mondo, sia nato negli Stati Uniti all’alba degli anni Novanta. Alle origini ci sta un antico e impreciso apparecchio dei primi anni Sessanta (quando in Italia imperava l’Eura Ferrania; FOTOgraphia, settembre 1998 e ritorni successivi), recuperato nei mercatini dell’antiquariato. Ora, la Diana da cui tutto è nato, uscita di produzione quaranta anni fa e sempre più introvabile, è fabbricata di nuovo ed è tornata a essere disponibile in doppia versione/configurazione Diana+ e Diana F+, con flash a lampadine dedicato: evanescenti fotogrammi 4,5x6cm e 6x6cm su pellicola a rullo 120. Ovviamente, l’attualità tecnica di questo cult della fotografia con apparecchi in plastica si deve alla travolgente Lomographic Society International (www.lomography.com), che dalla propria origine, con la compatta sovietica Lomo, ha dato fiato a una convincente socialità della fotografia che si basa proprio sul gesto arbitrario, condiviso in una comunità che sa fare tesoro dell’emozione fotografica. Questa è una segnalazione veloce, in attesa di prossimi approfondimenti.
6 Editoriale Colpevoli imprecisioni e inesattezze, che dalla fotografia, nostro territorio di osservazione privilegiata, si allargano a macchia d’olio. Ormai, meticolosità e scrupolo professionali non appartengono più alla nostra vita. Peraltro, un clamoroso esempio Leica. Ancora e sempre
9 Fotogiornalismo (Usa) 54
Premi e premiati alla sessantacinquesima edizione del Pictures of the Year International Competition (POYi), prestigioso concorso statunitense. Tra tanto, segnaliamo soprattutto i riconoscimenti alle testate giornalistiche
14 Notizie Attrezzature, vicende e altre segnalazioni
18 Estate toscana 2008 Quindicesima edizione dei prestigiosi e qualificati Toscana Photographic Workshop (TPW): seminari fotografici in ricercata proiezione professionale
20 Ci sono Attimi in cui 42
Affascinante monografia di Francesco D’Alessandro: istanti di esistenza strappati allo svolgimento della vita
APRILE 2008
R , RIFLESSIONI IFLESSIONI, OSSERVAZIONI E COMMENTI OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA SULLA FOTOGRAFIA
22 Reportage
Anno XV - numero 140 - 5,70 euro
Appunti e attualità del fotogiornalismo internazionale A cura di Lello Piazza
DIRETTORE
RESPONSABILE
Maurizio Rebuzzini
IMPAGINAZIONE
26 Le origini di Luigi Ghirri
Gianluca Gigante
REDAZIONE
In mostra a Prato le Fotografie del periodo iniziale, dalle quali si individuano gli elementi fondamentali della espressività e poetica del caposcuola emiliano
Angelo Galantini
FOTOGRAFIE Rouge
SEGRETERIA Maddalena Fasoli
28 Il mondo della moda Avvincente viaggio attraverso un secolo e mezzo di storia della moda. Volume-enciclopedia pubblicato da Phaidon Press che raccoglie e racconta cinquecento personaggi di spicco: fotografi, stilisti e protagonisti di Maurizio Rebuzzini
HANNO
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34 Fotogiornalismo oggi Al solito, le assegnazioni dell’annuale World Press Photo misurano il polso del fotogiornalismo internazionale, che si riflette nei premi divisi in dieci categorie tematiche di Lello Piazza
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42 Intelligenza stenopeica (e dintorni) Con l’occasione della Giornata Mondiale della Fotografia a Foro Stenopeico (domenica ventisette aprile), riflessioni sulla fotografia senza obiettivo (pinhole): contraddizioni, cattive frequentazioni, ma, soprattutto, segnalazione di una affascinante pubblicazione giapponese a tema di Antonio Bordoni individuazione di Ciro Rebuzzini
48 Città senza tempo
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Con il foro stenopeico (pinhole): immagini che accostano la fissità dei luoghi con tracce di esistenze individuali testo e fotografie di Beppe Bolchi
52 Passeggiata ligure Con il foro stenopeico in forma digitale (Leica M8): confortante senso di visione e rappresentazione senza tempo, in una serie fotografica di Giuseppe Vitale di Maurizio Rebuzzini
COLLABORATO
Pino Bertelli Beppe Bolchi Antonio Bordoni Maria Teresa Ferrario Loredana Patti Lello Piazza Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Luca Ventura Giuseppe Vitale Zebra for You
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● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti. Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano
57 Volti del cinema
Rivista associata a TIPA
Movie Stars: monografia di Timothy Greenfield-Sanders che compone una coinvolgente lezione di ritratto posato di Angelo Galantini
63 Fotografia della violenza Sull’estetica della violenza. Sull’estetica della bellezza di Pino Bertelli
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www.tipa.com
rancamente, speriamo di non essere noiosi. Siamo soltanto convinti che in ogni azione svolta e lavoro esercitato, ciascuno debba essere meticoloso: cioè preciso, determinato, accurato, scrupoloso e diligente, affinché il proprio operato possa comporre i tratti di una conoscenza senza riserve. Dopo di che, possono anche sfuggire errori di svolgimento, che sanno nascondersi con impertinente abilità, sì da rivelarsi a giochi conclusi, quando la correzione non è più possibile: pensiamo a errori di stampa in giornali e libri, e ad analoghe sfumature di forma. Ovviamente non ci sono scuse neppure per questi errori di contorno: ma almeno non dipendono dall’incuria. Perché è a questa che ci riferiamo, quando prendiamo in considerazione una colpevole serie di inesattezze che riguardano la fotografia, che incontriamo con allarmante frequenza. Allo stesso momento, siamo perfettamente coscienti che questa irriverente approssimazione non riguardi soltanto la fotografia, ma sia ormai endemicamente diffusa nella vita quotidiana, senza soluzione di continuità; il nostro punto di osservazione fotografico vada quindi inteso come parte-per-il-tutto, come microcosmo rappresentativo di un macrocosmo esteso. Tanti esempi possono essere riferiti, e periodicamente su queste pagine siamo puntuali nel sottolinearli in cronaca, andando a segnalare quei giornali che trattano la fotografia con riprovevole sufficienza: errori e omissioni. Adesso ne richiamiamo altri, significativi di assoluta mancanza di rispetto e considerazione, oltre che rappresentativi di un cattivo modo di agire e lavorare. Sia chiaro che nessuno degli errori che stiamo per segnalare cambia radicalmente le carte in tavola... ma! Ma sono tutti caratteristici di una tendenza pericolosa, che ha annullato la verifica e il controllo, per dare fiato e spazio all’incirca. Onestamente, prima di chiamare in causa altri, segnaliamo un peccato originario dalle pagine della prima traduzione italiana del manuale di Louis Jacques Mandé Daguerre, quella avvincente Descrizione pratica del nuovo istromento chiamato il daguerrotipo, che Photographica di Perugia ha recentemente stampato in anastatica (FOTOgraphia, ottobre 2003 e giugno 2007). La spiegazione alla Tavola I quantifica le dimensioni della «lamina di rame inargentata» del dagherrotipo «216 millimetri sopra 64 mill.»: invece, nel testo di Daguerre i valori sono 216x164mm: e la differenza non è certo piccola. Giusto di questo, vogliamo parlare: ovvero del poco scrupolo con cui si tratta la materia (scienza, disciplina, arte) fotografica: come se non fosse degna delle attenzioni riservate ad altri (anche se, come abbiamo già annotato, sappiamo bene che la mancanza di diligenza professionale è ormai estremamente diffusa). Così, osiamo ancora scandalizzarci per l’identificazione di “Henry Cartier-Bresson”, autore del ritratto di George Hoynigen-Heune in copertina del saggio sulla fotografia L’infinito istante di Geoff Dyer. Essendo francese, HCB è “Henri”: peccato veniale? Mortale, diciamo, se e quando lo commette un editore del calibro di Einaudi.
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In alcuni degli annunci pubblicitari che promuovono la collana Design in 1000 oggetti, abbinata al quotidiano La Repubblica, la Leica I (O. Barnack, 1925) è visualizzata come una delle icone di ieri, di oggi e di domani. Peccato che si tratti di una successiva Leica IIIg, del 1957.
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Ragionevolmente, ci sono stati tempi nei quali abbiamo avuto cieca fiducia in certi editori, noti e riconosciuti anche per la propria serietà redazionale. Ma già Bollati Boringhieri, altra leggenda, ci aveva traditi nel 1991, quando pubblicò l’avvincente romanzo Tre contadini che vanno a ballare..., di Richard Powers, costruito sulla famosa fotografia di August Sander, che nella presentazione diventa “Sanders”. Grave? Fate voi, tenendo conto che basta una modesta verifichina. Ancora avanti, arriviamo ai giorni nostri. È di scena La Repubblica, che promuove l’allegato Design in 1000 oggetti, ovvero La storia del design mondiale nelle icone di ieri, di oggi e di domani. Ci fa piacere che una delle mille icone del design sia la Leica I, correttamente attribuita a O[skar] Barnack e giustamente datata 1925. Peccato solo che l’illustrazione presenti la successiva Leica IIIg, del 1957, che poco ha da spartire con l’apparecchio originario (pagina accanto). (Soprassediamo, quindi, sulla soggettività dell’indicazione, pur essendo consapevoli che il più affascinante design Leica dovrebbe riferirsi alla M3, del 1954, disegnata da Ludwig Leitz, figlio di Ernst Leitz II, allievo ed esponente di una stagione tedesca di pensiero artistico/scientifico che, sull’onda lunga della Bauhaus di Weimar, teorizzò l’arte applicata alla vita quotidiana). Paradossalmente, il capitolo delle inesattezze Leica è controbilanciato da una esattezza storica riportata su un francobollo della Micronesia, piccola federazione di stati oceanici estesa sull’arcipelago delle Caroline. Ne abbiamo scritto nel luglio 2004, e qui sintetizziamo. Uno dei soggetti del foglio filatelico celebrativo del Ventesimo secolo è proprio la Leica, simbolica degli anni Venti, identificata con apprezzata consapevolezza storica. Non “prima macchina fotografica 24x36mm”, come erroneamente molti affermano, ma “prima macchina fotografica 35mm di successo commerciale” (a destra). Infatti, la storia della fotografia segnala che prima della Leica ci furono altri timidi tentativi di finalizzare alla fotografia la pellicola cinematografica 35mm, che però non ebbero alcun seguito. Quindi, nell’attribuzione meglio specificata, l’emissione filatelica della Micronesia rivela anche una corretta visione della storia evolutiva della tecnica fotografica. Complimenti! Hanno senso e diritto di ospitalità, tutte queste rilevazioni? No, per quanto ormai tutto vada in questa direzione. Sì, se si ha ancora speranza che ogni lavoro debba essere svolto con scrupolo, come eticamente legittimo per il rispetto che si deve ai propri interlocutori (ascoltatori, lettori e simili). In definitiva, si tratta sempre di individuare a quale livello di dignità ciascuno di noi si iscrive. Se la pigrizia o l’incompetenza inducono a non verificare nulla, per rimanere all’incirca vicini al vero, la dignità professionale è di profilo basso, e non è necessariamente punita per questo; al contrario, se ciascuno antepone un certo dovere a un preteso diritto, tutto cambia. Alle prossime puntate. Maurizio Rebuzzini
Uno dei soggetti del foglio filatelico della Micronesia che celebra il Ventesimo secolo è la Leica, simbolica degli anni Venti. Con precisione è correttamente identificata come “prima macchina fotografica 35mm di successo commerciale”.
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FOTOGIORNALISMO (USA)
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Sono stati assegnati i premi del sessantacinquesimo concorso Pictures of the Year International Competition (POYi, in acronimo): per quanto concentrato al territorio nazionale, con poche osservazioni oltreconfine, prestigioso concorso statunitense organizzato e svolto dal Donald W. Reynolds Journalism Institute della Missouri School of Journalism. Addirittura l’unico in grado di competere con il World Press Photo, per l’importanza dei premi assegnati e l’autorevolezza delle giurie.
Stephen M. Katz, del quotidiano The Virginian-Pilot, è stato nominato Newspaper Photographer of the Year alla Pictures of the Year International Competition 2008. In pubblicazione da Trolley Books, Double Blind: Lebanon Conflict 2006 di Paolo Pellegrin è stato già premiato dalla giuria di Pictures of the Year International Competition 2008.
Magazine Photographer of the Year alla Pictures of the Year International Competition 2008, John Moore, di Getty Images, ha ricevuto anche un Award of Excellence per questa fotografia di una ragazza che nel cimitero di Arlington piange sulla tomba del fidanzato morto in Iraq.
In questo senso, l’attuale edizione ha impegnato tredici influenti e accreditati giurati: quattro per le categorie Newspaper and General Division (Ruth Fremson, fotografo del The New York Times; Wen Huang, Senior Photo Marketing Analyst per le News dell’agenzia cinese Xinhua News; Brad Mangin, fotografo indipendente, cofondatore di Sports Shooter.com; Jeanie Adams-Smith, professoressa di fotogiornalismo alla Western Kentucky University); altrettanti quattro per le categorie Magazine Division (Sue Brisk, Editorial Director dell’agenzia Magnum Photos; Ruth Eichhorn, responsabile della fotografia di GEO Magazine; Chris Hondros, fotografo di Getty Images; Brenda Ann Kenneally, fotografa indipendente e regista di documentari); e tre per le categorie Editing and Multimedia Division (Keith Graham, professore associato, direttore del Photojournalism/Multimedia Program della University of Montana; Michele McDonald, fotografo del The Boston Globe; Robert Hood, direttore multimedia di MSNBC.com). E poi, due moderatori: Rick Shaw, responsabile di Pictures of the Year International Competition, e Loup
Langton della University of Miami. Il sessantacinquesimo Pictures of the Year International Competition si è concluso il sette marzo presso la Missouri School of Journalism, University of Missouri, Columbia (http: //journalism.missouri.edu/), con la proclamazione dei vincitori. A parte, nel consistente e dettagliato riquadro pubblicato a pagina 10, elenchiamo le numerose categorie del concorso e il corrispondente lunghissimo elenco dei premiati, le cui attribuzioni complete ai reportage presi in considerazione sono indicate e riportate alla directory dedicata www.poyi.org/65/winners.html: per ogni categoria, sempre un primo, un secondo e un terzo classificato, spesso uno o più Award of Excellence (premio all’eccellenza). Del Pictures of the Year International Competition ci preme segnalare soprattutto i riconoscimenti previsti nella categoria Editing Division, riservati alle testate quotidiane, settimanali e mensili (categoria assente dal World Press Photo; su questo numero, da pagina 34). La categoria è suddivisa e scomposta in sottocategorie opportunamente (continua a pagina 12)
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SESSANTACINQUESIMO POYI
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umerose e consistenti le categorie nelle quali è suddiviso e scomposto il Pictures of the Year International Competition (POYi), arrivato alla sua sessantacinquesima edizione, con i premi assegnati lo scorso sette marzo. ❯ Anzitutto i premi assoluti. Newspaper Photographer of the Year: Stephen M. Katz, The VirginianPilot [a pagina 9]; 2) Scott Strazzante, Chicago Tribune; 3) Kuni Takahashi, Chicago Tribune. Magazine Photographer of the Year: John Moore, Getty Images; 2) Tomas van Houtryve; 3) Moises Saman. Wold Undestanding Award: Steve Liss, Polaris Images, per Voci giovanili dal carcere: ragazzi dietro le sbarre. Award of Excellence: Timothy Fadek, Polaris Images, per La città delle donne scomparse. Global Vision Award: Daniel Beltra, per Greenpeace, per La foresta pluviale e l’Antartico. Award of Excellence: Brian Skerry, National Geographic Magazine, per Luci diffuse sul mare. Community Awareness Award: Scott Strazzante, Chicago Tribune, per Echi dal passato. One Weels’s Work Award: Robert Cohen, St. Louis Post-Dispatch. Best Use Books: Paolo Pellegrin: Double Blind: Lebanon Conflict 2006 (Trolley Books) [a pagina 9]. Award of Excellence: Lynsey Addario, Pep Bonnet, Colin Finlay, Ron Haviv, Olivier Jobard, Kadir van Lohuizen, Chris Steele-Perkins e Sven Torfinn: Darfur: Twenty Years of War and Genocide in Sudan (Powerhouse Books); Craig Golding: Surf Club (GB Press). Angus McDougall Overall Excellence in Editing: The Los Angeles Times. The POYi Distinguished Leadeship in Photojournalism Award: In riconoscimento dei fondatori di Magnum Photos e dei fotografi che hanno guidato l’evoluzione del fotogiornalismo sollecitato dal lavoro dell’agenzia. Nel sessantesimo dalla fondazione, si segnala la monografia Magnum Founders: In Celebration of Sixty Years (Verso Limited Editions). ❯ Quindi, la definita General Division. Science/Natural History: 1) Michael Patrick O’Neill; 2) David Maitland; 3) Karen Pulfer Focht, The Commercial Appeal. Award of Excellence: Jeff Hutchens, Getty Images per CNN; Michael Nichols, National Geographic Magazine; Solvin Zanki, GEO Magazine. Science/Natural History Picture Story: 1) David Guttenfelder, Associated Press; 2) Ardiles Rante, Barcroft Media; 3) Matt McClain, The Rocky Mountain News. Award of Excellence: Daniel Beltra, per Greenpeace; Damon Winter, The New York Times; Christian Ziegler, National Geographic Magazine. Sports Action: 1) Chris Detrick, The Salt Lake Tribune; 2) Carl de Souza, Agence France-Presse; 3) Donald Miralle Jr. Award of Excellence: Andrei Pungovschi, University of Missouri; Damian Strohmeyer, Sports Illustrated. Sports Feature: 1) Nhat V. Meyer, San Jose Mercury News; 2) Steven St. John, The Albuquerque Tribune; 3) Nicolas Asfouri, Agence France-Presse. Award of Excellence: Jerry Lara, San Antonio Express-News; Chris McGrath, Getty Images; Magnus Wennman, Aftonbladet. Sports Picture Story, Sequence or Series: 1) Magnus Wennman, Aftonbladet; 2) Robert Henriksson; 3) Benjamin Lowy, Men’s Health Magazine.
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Award of Excellence: Magnus Wennman, Aftonbladet; Chris Schneider, The Rocky Mountain News. Sports Portfolio: 1) Tomasz Gudzowaty; 2) Rod Mar, The Seattle Times; 3) Donald Miralle Jr. Award of Excellence: Chris Detrick, The Salt Lake Tribune. Pictorial: 1) Magnus Wennman, Aftonbladet; 2) Lars Lindqvist; 3) Lori Duff, Concord Monitor. Award of Excellence: Ronald W. Erdrich, The Abilene (Texas) Reporter-News; Holly Wilmeth. Feature Picture: 1) Mona Reeder, The Dallas Morning News; 2) Espen Rasmussen, Star Tribune; 3) Greg Miller, Time Magazine. Award of Excellence: Carolyn Drake; John Moore, Getty Images [a pagina 9]; Ross Taylor, The Hartford Courant. Portrait: 1) Ted Jackson, The Times-Picayune; 2) Platon, Time Magazine; 3) Christopher T. Assaf, The Baltimore Sun. Award of Excellence: Alex Boerner, Scripps Treasure Coast Newspaper ; Barry Gutierrez, The Rocky Mountain News ; Amelia Phillips, Arkansas Democrat-Gazette. Portrait Series: 1) Walter Iooss Jr, Sports Illustrated; 2) Chip Somodevilla, Getty Images; 3) Daniel Kovalovszky. Award of Excellence: Tim Gruber; Melanie Burford, The Dallas Morning News. Best Photo Column: 1) Tamika Moore, The Birmingham News; 2) Steve Jessmore, The Flint Journal; 3) John Pendygraft, The St. Petersburg Times. Award of Excellence: Columbia Daily Tribune; Alan Berner, The Seattle Times; Chris Zuppa, The St. Petersburg Times; The Palm Beach Post; The Birmingham News. General News Reporting: 1) Rich-Joseph Facun, The Virginian-Pilot; 2) Ake Ericson, World Picture News; 3) Lara Solt, The Dallas Morning News. Award of Excellence: Pier Paolo Cito, Associated Press; Bill Greene, The Boston Globe; Mohammad Kheirkhah, United Press International; Odd Mehus; Brendan Smialowski. Spot News: 1) John Moore, Getty Images; 2) Adrees Latif, Reuters; 3) Gregorio Marrero, Associated Press. Award of Excellence: Andrea Bruce, The Washington Post; Adem Hadei, Associated Press; Mahmud Hams, Agence France-Presse; Boniface Mwangi, Agence France-Presse; Pavel Rahman, Associated Press. News Picture Story: 1) John Moore, Getty Images; 2) Katie Falkenberg, The Washington Times; 3) Oded Balilty, Associated Press. Award of Excellence: Javier Manzano, The Rocky Mountain News; Wally Skalij, Los Angeles Times; Pete Souza, Chicago Tribune. Issue Reporting Picture Story: 1) John Freidah, The Providence Journal; 2) Dalhoff Casper, Jyllands-Posten / WpN; 3) Stephen M. Katz, Physicians for Peace. Award of Excellence: Ake Ericson, World Picture News; Ted Jackson, The Times-Picayune. Feature Picture Story: 1) Rodrigo Abd, Associated Press; 2) Hernád Géza, Magyar Hírlap; 3) Christian Als, Agenzia Grazia Neri. Award of Excellence: Jim Gehrz, Star Tribune. ❯ A seguire la Magazine Division. General News Reporting: 1) William Daniels; 2) Balazs Gardi, VII Network; 3) Justin Guariglia, Smithsonian. Award of Excellence: Brian Harkin, World Picture Network; Per-Anders Pettersson, per Getty Images. Spot News: 1) Carlos Barria, Reuters; 2) Yonathan Weitzman; 3) Benjamin Lowy. Award of Excellence: David Furst, Agence France-Presse; Yuri Kozyrev, Time Magazine.
News Picture Story: 1) Espen Rasmussen, VG / Panos Pic; 2) Christopher Morris, Time Magazine; 3) Cedric Gerbehaye, Agence Vu. Award of Excellence: Paula Bronstein, Getty Images; Dominic Nahr, Polaris Images; Tivadar Domaniczky, Time Magazine. Issue Reporting Picture Story: 1) Carsten Snejbjerg; 2) Aaron Huey, Atlas Press; 3) Alvaro Ybarra Zavala, Time Magazine. Award of Excellence: Mark Leong, Redux Pictures; Scott Nelson, World Picture Network; Espen Rasmussen, Panos Pictures; Lorena Ros. Feature Picture Story: 1) Carolyn Drake, HotShoe; 2) Balazs Gardi, VII Network; Greg Miller, Time Magazine. Award of Excellence: Travis Dove, Ohio University; Randy Olson, National Geographic Magazine; Alfonso Moral, Cosmos/Pandora; Ramin Rahimian; Tomas van Houtryve, Newsweek. ❯ Avanti con la Newspaper Editing Division. Single Page News: 1) Hartford Courant [a pagina 12]; 2) Los Angeles Times; 3) The Seattle Times. Award of Excellence: The Seattle Times; San Jose Mercury News; The Rocky Mountain News; The Commercial Appeal. Single Page Feature: 1) The Palm Beach Post [a pagina 12]; 2) The Dallas Morning News; 3) The Denver Post. Award of Excellence: The Los Angeles Times; The San Mercury News; The Dallas Morning News; The Palm Beach Post. Multiple Page News Story: 1) The Dallas Morning News [a pagina 12]; 2) The Los Angeles Times; 3) The Virginian-Pilot. Award of Excellence: The Spokesman-Review; The Spokesman-Review; The Palm Beach Post. Multiple Page Feature Story: 1) The Commercial Appeal [a pagina 12]; 2) The Commercial Appeal; 3) The Los Angeles Times. Award of Excellence: The Denver Post; The Sacramento Bee; The St. Petersburg Times. Newspaper Series or Special Section: 1) The Virginian-Pilot [a pagina 12]; 2) The Los Angeles Times; 3) The Concord Monitor. Award of Excellence: The Commercial Appeal; The Daily Herald; The Sacramento Bee; The Roanoke Times. Newspaper Picture Editing Portfolio (meno di 100.000 copie): 1) Concord Monitor [a pagina 12]; 2) La Palma / The Palm Beach Post; 3) Albuquerque Tribune. Newspaper Picture Editing Portfolio (più di 100.000 copie): 1) The Hartford Courant; 2) The Virginian-Pilot; 3) The Los Angeles Times. Award of Excellence: The Rocky Mountain News; The Commercial Appeal; San Jose Mercury News; The Dallas Morning News. ❯ Si prosegue con la Magazine Editing Division. Single Spread or Cover News Story: 1) Newsweek [a pagina 13]; 2) Newsweek; 3) Time Magazine. Award of Excellence: .Tyzden; Time Magazine; National Geographic Magazine. Single Spread or Cover Feature Story: 1) Newsweek [a pagina 13]; 2) The Seattle Times; 3) National Geographic Magazine. Award of Excellence: Newsweek; National Geographic Magazine; Time Magazine. Multiple Page News Story: 1) National Geographic Magazine [a pagina 13]; 2) Time Magazine; 3) Newsweek. Award of Excellence: Time Magazine; Time Magazine. Multiple Page Feature Story: 1) National Geographic Magazine [a pagina 13]; 2) National Geographic Magazine; 3) National Geographic Magazine. Award
of Excellence: National Geographic Magazine; National Geographic Magazine; National Geographic Magazine; National Geographic Magazine. Magazine Pictures Editing Portfolio: 1) Sarah Leen, National Geographic Magazine [a pagina 13]; 2) Kathy Moran, National Geographic Magazine; 3) Elizabeth Krist, National Geographic Magazine. Award of Excellence: Kurt Mutchler, National Geographic Magazine. ❯ Il lungo cammino sta per concludersi: “Best Use” Editing Division. Magazine: 1) National Geographic Magazine; 2) Sports Illustrated; 3) Time Magazine. Award of Excellence: Doubletruck Magazine. Newspaper Best Use (meno di 100.000 copie): 1) Naples Daily News; 2) Spokesman-Review; 3) Midland Daily News. Newspaper Best Use (più di 100.000 copie): 1) The Los Angeles Times; 2) The New York Times; 3) Seattle Post-Intelligencer. Award of Excellence: Hartford Courant; The Commercial Appeal; The Virginian-Pilot. ❯ Infine, ed è proprio la fine, Multimedia Division. Best News Story or Essay: 1) Pauline Lubens, San Jose Mercury News; 2) Kate Geraghty, Sydney Morning Herald; 3) Dai Sugano, San Jose Mercury News. Award of Excellence: Jim Gehrz, Star Tribune; Akira Hakuta, WashingtonPost.com. Best Feature Story or Essay: 1) Jim Lo Scalzo, U.S. News & World Report; 2) Michael Nichols, National Geographic, Brent Stirton, per Getty Images, Rob Covey e Melissa Wiley, NGM.COM Production, per National Geographic Magazine Online (produzione MediaStorm.org); 3) Rick Gershon (video) Mario Tama (fotografia), Getty Images. Award of Excellence: Frederic Sautereau, Oeil Public (produzione Arnaud Contreras, A360); Jim Lo Scalzo, U.S. News & World Report / MediaStorm.org. Best Multimedia Project: 1) David Stephenson, Lexington Herald-Leader; 2) Mary Cooney, Michael McGehee, Stephanie Ferrell, MediaStorm.org; 3) Ian Brown, Peter Power, Jayson Taylor, Chris Manza, The Globe and Mail. Award of Excellence: Mona Reeder, Ahna Hubnik, David Guzman, Brad Loper e Chris Wilkins, The Dallas Morning News; Patrick Brown (fotografo), Eric Maierson (produttore), Brian Storm, (produttore esecutivo), MediaStorm.org; Preston Gannaway e Kari Collins, Concord Monitor; James Kenney. Best Use in Multimedia - Small Media: 1) Brian Storm, Robert Browman, Eric Maierson, Tim Klimowicz, Chad A. Stevens, Jessica Stuart, Greg Harris, Bob Sacha, MediaStorm.org; 2) Zach Wise, Bob Sacha, Chad A. Stevens, Max Foley, Sherry DiBari e trentuno studenti, Soul fo Athens; 3) Tim Broekema, Ken Harper, Justin Winter, Mountain Workshops staff e partecipanti, Mountain Workshops. Best Use in Multimedia - Major Media: 1) Rob Covey, Melissa Wiley, Amanda MacEvitt, Paul Heltzel, Carolyn Fox, Sabi Chalwa, Stefan Estrada, John Kondis, Dave Smith, Shawn Greene, Glynnis McPhee, NGM.com; 2) Mark Rykoff, Nicholas McClelland, Yumi Goto, Time.com; 3) LATimes.com. Award of Excellence: NYTimes.com; Robert Hood, Phaedra Singelis, Meredith Birkett, John Brecher, Katie Cannon, James Cheng, Carissa Ray, Jim Seida, Rich Shulman, Andrew Sturgill, Mish Whalen, msnbc.msn.com; WashingtonPost.com.
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(continua da pagina 9) identificate, come quella dell’editing per la realizzazione di una singola pagina di News, o di una sola pagina Feature. (Attenzione: anche in questo, come in molti altri concorsi fotogiornalistici, vige la distinzione, molto sottile e controversa, tra News e Feature, che identifica i reportage di una certa ampiezza, non strettamente news). Un’altra sotto-
SINGLE PAGE NEWS: HARTFORD COURANT (QUOTIDIANO LOCALE, CONNECTICUT)
Primi classificati nella categoria Newspaper Editing Division.
categoria riguarda l’editing per un portfolio che appare su un quotidiano, distinguendo qui tra quotidiani con una diffusione inferiore e superiore a centomila copie. I giornali che hanno vinto in questa categoria sono rappresentati con le proprie messe in pagina, che visualizziamo a contorno; quindi, richiamiamo l’elenco di questi premiati nelle didascalie alle corpose serie di immagini. Ci sia concessa una annotazione: è impressionante il numero di quotidiani locali statunitensi che fanno un ottimo lavoro con la fotografia. Molto concreta anche la sezione Multimedia, dedicata alla comunicazione multimediale (fotografia, videoclip, suono, animazione in un singolo prodotto). Per la fotografia in quanto tale segnaliamo i vincitori dei premi principali. Newspaper Photographer of the Year è Stephen M. Katz, del quotidiano The Virginian-Pilot, che si è imposto per i suoi fotoreportage sulla guerra in Iraq e per tre lavori realizzati in Nigeria, riguardanti la lebbra, le malattie mentali e i danni per l’inquinamento da petrolio (a pagina 9).
NEWSPAPER PICTURE EDITING PORTFOLIO (CIRCOLAZIONE INFERIORE ALLE 100.000 COPIE): CONCORD MONITOR (QUOTIDIANO LOCALE, NEW HAMPSHIRE)
MULTIPLE PAGE NEWS STORY: THE DALLAS MORNING NEWS (QUOTIDIANO LOCALE, TEXAS)
SINGLE PAGE FEATURE: THE PALM BEACH POST (QUOTIDIANO LOCALE, FLORIDA)
MULTIPLE PAGE FEATURE STORY: THE COMMERCIAL APPEAL (QUOTIDIANO
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LOCALE,
TENNESSEE)
NEWPAPER SERIES OR SPECIAL SECTION: THE VIRGINIAN-PILOT (QUOTIDIANO LOCALE, VIRGINIA)
SINGLE SPREAD
SINGLE SPREAD
OR
OR
COVER NEWS STORY: NEWSWEEK
COVER FEATURE STORY: NEWSWEEK
Stephen Katz ha meritato anche un terzo posto nella sezione Issue Reporting Picture Story, con un reportage realizzato per Physicians for Peace, una organizzazione internazionale non profit che si occupa di aiuti medici nel mondo. Magazine Photographer of the Year è John Moore di Getty Images. Al contempo, John Moore ha avuto anche il primo posto nelle categorie Spot News e News Picture Story, con fotografie dell’attentato mortale a Benazir Bhutto, e un Award of Excellence nella categoria Feature Picture per la fotografia di una ragazza che nel cimitero di Arlington piange sulla tomba del fidanzato morto in Iraq (a pagina 9). Concludiamo, segnalando l’unico italiano premiato (a parte il terzo posto di Christian Als, Agenzia Grazia Neri, nella sezione Feature Picture Story): Paolo Pellegrin, di Magnum Photos, primo classificato nella speciale categoria dedicata ai libri Best Use Books, con la monografia Double Blind: Lebanon Conflict 2006, in corso di stampa per i tipi della casa editrice inglese Trolley Books (ancora a pagina 9). L.P.
Primi classificati nella categoria Magazine Editing Division.
MAGAZINE PICTURES EDITING PORTFOLIO: SARAH LEEN, NATIONAL GEOGRAPHIC MAGAZINE
MULTIPLE PAGE NEWS STORY: NATIONAL GEOGRAPHIC MAGAZINE
MULTIPLE PAGE FEATURE STORY: NATIONAL GEOGRAPHIC MAGAZINE
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PER NEOFITI. Leggera, compatta e semplice da usare (ancora più semplice), l’efficace Sony Cyber-shot S730 è una digitale ad alto valore tecnologico per il consistente segmento tecnico commerciale entry level. Con questa nuova interpretazione Sony, marchio leader, anche l’utente meno esperto è in grado di scattare fotografie formalmente impeccabili, che gratificano il suo impegno e che, nella logica della crescita individuale, possono sollecitare nuovi impegni fotografici. Zoom ottico 3x Sony 35105mm (escursione equivalente), risoluzione di 7,2 Megapixel effettivi (sensore di acquisizione Super HAD CCD da 1/2,5 di pollice) e funzione Alta sensibilità fino a 1250 Iso equivalenti sono valori tecnici che sottolineano l’efficacia operativa della Cyber-shot S730, che è dotata di un ampio
e brillante monitor TFL LCD da 2,4 pollici. Dal monitor si accede anche alla modalità di riproduzione, per rivedere immediatamente gli scatti effettuati e verificare i risultati in modo rapido e semplice. Sullo stesso schermo è inoltre possibile visualizzare l’istogramma della luminosità, funzione utile per sfruttare al meglio le impostazioni di regolazione automatica dell’esposizione. Per i principianti, la compatta Sony Cyber-shot S730 prevede anche una funzione che aiuta a individuare le dimensioni corrette dell’immagine in relazione al formato della carta di stampa e della memoria disponibile sulla scheda. (Sony Italia, via Galileo Galilei 40, 20092 Cinisello Balsamo MI).
RAVVICINATO. Continua la genìa degli obiettivi Nikkor per fotografia ravvicinata. Nata nel lontano 1961, con l’originario
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sa a fuoco automatica durante la ripresa ravvicinata. Progettato per essere utilizzato con le reflex digitali Nikon, l’AF-S Micro Nikkor 60mm f/2,8G ED si propone anche come alternativa al classico obiettivo standard, aggiungendo la possibilità di inquadratura da distanza ravvicinata. Scala dei diaframmi fino a f/32. (Nital, via Tabacchi 33, 10132 Torino).
Micro-Nikkor 55mm f/3,5 (a preselezione di diaframma) e affermatasi con il leggendario Micro-Nikkor 55mm f/3,5 automatico, che dal 1966 ha accompagnato le dotazioni Nikon F, e poi F2, e coeve Nikkormat (FOTOgraphia, dicembre 2007), la famiglia ha successivamente guadagnato uno stop in luminosità, Micro-Nikkor 55m f/2,8 dalla fine del 1979. Quindi, in tempi autofocus, è cambiata anche la focale: AF Micro-Nikkor 60mm f/2,8 dal 1989. L’attuale più recente configurazione AF-S Micro Nikkor 60mm f/2,8G ED propone una alta qualità formale fino al rapporto di riproduzione 1:1 (al naturale), senza ulteriore impiego di anelli estensori, originariamente necessari: a fuoco da soli 18,5cm. Sono confermati l’esclusivo rivestimento Nikon nano-crystal e l’impiego di lenti in vetro ED, per un’alta qualità di immagine e drastica riduzione di immagini fantasma, riflessi parassiti e aberrazione cromatica. Compatto e maneggevole (73x89 mm, per 425g di peso), questo AF-S Micro Nikkor 60mm f/2,8G ED è dotato di un sistema di messa a fuoco interna (IF), che elimina la rotazione dell’elemento frontale, per consentire l’utilizzo di accessori dedicati, quale il kit di flash elettronici per illuminazione macro SBR1C1. L’obiettivo può essere utilizzato in modalità di messa a fuoco manuale e autofocus, e il motore Silent Wave (AF-S) garantisce la silenziosità della mes-
PER RB67 PROSD. Intramontabile fantastica interpretazione della fotografia medio formato 6x7cm reflex, la Mamiya RB67 ProSD (FOTOgraphia, novembre 2001), più recente configurazione di una tradizione profondamente radicata nel mercato, può essere agevolmente convertita all’acquisizione digitale di immagini. L’adattatore dedicato Mamiya ProSD Adapter HX702 consente, infatti, l’agevole e pratico impiego del versatile dorso ZD, da ventidue Megapixel: così che, ripetiamo, la dotazione diventa a tutti gli effetti una reflex digitale di alta qualità formale.
Confermando l’impiego della reflex originaria, il dorso ad acquisizione digitale di immagini può essere ruotato, in modo da passare facilmente dalla inquadratura orizzontale a quella verticale, e viceversa. Grazie alla presa sincro, può essere collegato a qualsiasi tipo di flash, con sincronizzazione su tutti i tempi di otturazione. In caso di pose con tempi di otturazione lunghi (prolungati), un cavo finalizzato consente di alzare lo specchio prima dello scatto, in modo da eliminare ogni tipo di vibrazione. Ovviamente, l’impiego dell’adattatore dedicato Mamiya ProSD Adapter HX702 è esteso
a tutte le reflex della famiglia, fino alle più lontane dotazioni RB67 e RB67ProS. In ogni caso, è sempre prevista la combinazione con il vetrino di messa a fuoco SV707, con delimitazione dell’inquadratura 36x48mm al centro dell’originario fotogramma fotografico 6x7cm. (Mamiya Trading, via Cesare Pavese 31, 20090 Opera Zerbo MI).
AL SERVIZIO DI TUTTI. Progettata e costruita per essere utilizzata da un pubblico ampio, nella cui categoria sono inclusi i principianti della fotografia digitale, la reflex Pentax K200D assicura una efficace e gratificante affidabilità. Come ormai consolidato a tutti i livelli, la qualità dei risultati si deve anche al particolare sistema antivibrazioni Shake Reduction, che riduce il movimento involontario e indesiderato della reflex al momento dello scatto, cui conseguono acquisizioni digitali nitide e prive di mosso, anche in condizioni critiche di illuminazione. Ovviamente, grazie all’efficace effetto di compensazione, si possono utilizzare tempi di otturazione più lunghi di quelli che sarebbero propri della ripresa fotografica senza sistema antivibrazioni: fino a quattro stop in più. Ciò a dire che a 1/15 di secondo si ottiene la stabilità fotografica propria e caratteristica del più breve tempo di otturazione di 1/250 di secondo. Erede di una lunga e radicata tradizione fotografica, che affonda le radici indietro nei decenni, annoverando nella propria evo-
© 2006 National Geographic Society. NATIONAL GEOGRAPHIC e Yellow Border sono marchi commerciali di National Geographic Society. Tutti i diritti sono riservati. Fotografia di Jodi Cobb
IL TUO SPAZIO NELL’AVVENTURA.
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National Geographic, un nome che è sinonimo di avventura e di fotografia ad altissimo livello negli angoli più remoti del mondo. Per tutti i fotografi in sintonia con lo spirito di National Geographic, oggi abbiamo creato una linea ideale di treppiedi, teste, monopiedi, borse e zaini eccezionalmente robusti ma facili da usare, capaci di resistere anche nelle condizioni climatiche estreme. La nostra gamma di treppiedi comprende la linea NG Expedition, pensata per i professionisti dell’immagine, e la linea NG Tundra rivolta ai fotoamatori. La nuova collezione di borse Earth Explorer combina perfettamente le più aggiornate tecnologie per la protezione e il trasporto con i materiali naturali, il look tradizionale e l’affidabilità richiesta dalle grandi imprese di esplorazione. Visitateci al sito www.supporthexperience.com Coi suoi ricavi, National Geographic finanzia importanti progetti di esplorazione, conservazione, ricerca ed educazione. Acquistando i nostri prodotti prendete parte a questa grande avventura.
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luzione anche consistenti primati tecnologici (tra i quali quello della Pentax Electro Spotmatic, del 1971, la prima reflex 35mm automatica a priorità dei diaframmi), la reflex digitale entry-level Pentax K200D dispone di un avanzato dispositivo di controllo della sensibilità, che imposta automaticamente valori adeguati alla situazione luminosa, fino al massimo di 1600 Iso equivalenti. Basandosi sulla luminosità del soggetto inquadrato e sulla focale dell’obiettivo in uso (individuata anche all’interno dell’escursione zoom), questo dispositivo è in grado di soddisfare persino i fotografi più esigenti, permettendo la realizzazione di immagini limpide anche con tempi di otturazione rapidi o, al contrario, nei casi nei quali la luminosità dovesse essere fortemente ridotta. Anche la messa a fuoco automatica è semplice. Grazie al sofisticato sistema autofocus Safox VIII, tecnologia proprietaria, dotato di undici sensori AF (con nove sensori a croce al centro dell’inquadratura), i soggetti decentrati sono facilmente raggiungibili. Il sensore AF selezionato viene eviden-
ziato in rosso nel mirino, per un riscontro visivo immediato. Le praticità di utilizzo si accompagnano con raffinate dotazioni tecniche: la Pentax K200D presenta caratteristiche di uso all’avanguardia e funzioni sofisticate, che generalmente sono proprie delle reflex di fascia tecnico-commerciale superiore. Il sensore di acquisizione digitale CCD ad alte prestazioni garantisce una risoluzione di 10,2 Megapixel effettivi, mentre il processore Prime produce immagini dettagliate e fedeli anche nella riproduzione delle trame più fini del soggetto. Combinando un pentaprisma a specchi con un efficace oculare Pentax, il mirino della K200D copre il 96 per cento circa del campo inquadrato, con un ingrandimento di circa 0,85x. In abbinamento all’apprezzato schermo di messa a fuoco Natural-Bright-Matte II, il mirino
offre una visione confortevole e un’immagine ampia e luminosa. Per proteggere il sensore da polvere e sporcizia, la K200D dispone della sofisticata tecnologia Dust Removal. Soprattutto, grazie a un sottile strato di un composto a base di fluoro, alloggiato sullo stesso sensore, l’originale trattamento Pentax SP impedisce il deposito di polvere. Vibrando ad alta velocità, il dispositivo SP rimuove gli eventuali residui che vengono immediatamente intrappolati in una banda adesiva. In assoluto, anche il corpo macchina è a prova di spruzzi e polvere: una serie di guarnizioni protegge sessanta differenti componenti della reflex, compresi il pulsante di scatto e i comandi operativi. La nuova Pentax K200D è ulteriormente impreziosita da un ampio monitor LCD a colori da 2,7 pollici, con 230.000 punti, che offre un elevato angolo di lettura, che consente di osservare l’immagine entro 160 gradi, tanto in verticale quanto in orizzontale. Inoltre, il monitor consente di valutare agevolmente nitidezza e dettagli delle immagini, grazie a una selezione zoom digitale che arriva a venti ingrandimenti in riproduzione. Doppia possibilità di registra-
zione su schede di memoria Secure Digital (SD e SDHC ad alta capacità), in formato Jpeg compresso (Exif 2.21; in tre modalità: Ottima, Migliore e Buona) o RAW grezzo (DNG), sia singolarmente sia in combinazione Jpeg più RAW simultanea. Con possibilità di regolazione fine, il bilanciamento del bianco è selezionabile in un’ampia serie di opzioni: Automatico, Luce diurna, Ombra, Cielo nuvoloso, Illuminazione artificiale al tungsteno, Illuminazione fluorescente (W, D, N), Flash, Manuale. L’autofocus TTL ad analisi di fase, ad area allargata su undici punti (tecnologia proprietaria Safox VIII), è regolabile per l’AF singolo (con eventuale blocco) e l’AF continuo; in alternativa, si può sempre passare alla messa a fuoco manuale. Accoppiata all’obiettivo di ripresa e alle informazioni AF, l’esposizione con valutazione TTL a piena apertura e lettura multizona a sedici segmenti misura sull’intera inquadratura, oppure può essere indirizzata alla Media ponderata al centro o alla selezione Spot: campo di misurazione da 0EV a 21EV, a 100 Iso equivalenti, con obiettivo 50mm f/1,4. (Protege - Divisione Foto, via Dione Cassio 15, 20138 Milano).
ESTATE TOSCANA 2008
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Come consuetudine, diamo notizia dei Toscana Photographic Workshop (TPW), che, con l’attuale edizione estiva 2008, giungono alla quindicesima edizione: sponsor principale DataColor. Questi workshop rappresentano il fiore all’occhiello delle attività italiane dedicate a coloro i quali hanno ambizioni professionali nella fotografia. Infatti, molti allievi del TPW hanno iniziato una carriera professionale nel fotogiornalismo e nella fotografia artistica. I corsi hanno la durata di una settimana (da domenica pomeriggio al-
la mattina del sabato successivo) e sono distribuiti secondo il calendario che pubblichiamo qui sotto. Tre sono le caratteristiche che il TPW ha mantenuto immutate negli anni. La prima riguarda la sua impostazione internazionale: docenti e studenti provengono da tutte le parti del mondo, contribuendo a una proficua esperienza di scambio culturale e professionale. La seconda riguarda la qualità dei docenti, scelti tra i migliori professionisti della fotografia contemporanea: tra loro fotogiornalisti che pubblicano
TPW 2008 20-26 luglio Gente e luoghi (People & Places)
Ed Kashi Documentary Photography and Storytelling in the Digital World
27 luglio - 2 agosto
3-9 agosto
Bob Sacha Spirit of People
Jocelyn Bain Hogg A Picture Story Book
Jodi Bieber Documentary Photography: A Personal Approach
Christopher Anderson The Personal Vision
Bob Sacha Multimedia Story-Telling Fotografia documentaria (Documentary Photography)
Stanley Greene Along the Chalk Lines Kadir van Lohuizen Long terms projects and how to make it happen
Professione e carriera (Profession & Career)
Kent Kobersteen e Bruno Stevens On Assignment
Philip Blenkinsop Truth as we see it Andrea Pistolesi The Photo-story from Idea to Publishing
Sandro Santioli Light, Colour and Landscape
Paesaggio e architettura (Landscape & Architecture) Ricerca personale (Personal Research)
Arno Rafael Minkkinen In Search of the Center Antoine D’Agata Till the End of the World
Ritratto, nudo e figura (Portrait, Nude & Figure) Tecniche fotografiche (Photo Techniques)
Philippe Pache Sensuality of Light
Luigi Cazzaniga Portraits of Women: Shooting for Beauty and Fashion
Lorenzo Castore Define your Territory Douglas Beasley Zen and the Art of Photography
Antonin Kratochvil Portraits on the Edge of Light
Erica Shires Art & Commerce: Personal Vision and Commercial Work
Gianluca Colla The Digital Workflow: RGB unrevealed
Marianna Santoni Advanced Photoshop for Photographers
Claudio Amadei Lighting Techniques
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David Alan Harvey On the Road
Antonin Kratochvil: Portraits on the Edge of Light (dal 27 luglio al 2 agosto).
su National Geographic, New York Times e Newsweek, e che provengono da agenzie come Magnum Photos, VII, Vu, Noor, Grazia Neri. Altri docenti sono autori di immagini per prestigiose campagne pubblicitarie, o sono artisti che espongono nelle gallerie e musei di tutto il mondo. La terza riguarda la localizzazione dei corsi: la zona a sud di Siena. Dopo aver avuto base a Buonconvento e a San Quirico, ora la sede è presso il Monastero benedettino di Sant’Anna in Camprena, nel cuore della splendida Val d’Orcia, a pochi chilometri da centri d’arte come la già citata Siena, San Gimignano, Pienza e Montepulciano. Salvo alcuni workshop specifici, il numero di studenti per corso è limitato a quindici. Per informazioni su disponibilità, prezzi e altre iniziative dei Toscana Photographic Workshop: www.tpw.it. L.P.
(a sinistra) Kadir van Lohuizen: Long terms projects and how to make it happen (dal 20 al 26 luglio). (a destra, in alto) Christopher Anderson: The Personal Vision (dal 3 al 9 agosto). (a destra) Ed Kashi: Documentary Photography and Storytelling in the Digital World (dal 20 al 26 luglio).
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CI SONO ATTIMI IN CUI
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Gli Attimi di Francesco D’Alessandro, raccolti in monografia da Electa (già più di un anno fa), sono istanti di esistenza strappati, è il caso di dirlo, allo svolgimento della vita. Per quanto alcune delle fotografie di questa corposa serie abbiano legami superficiali e apparenti con la realtà, nessuna immagine si limita alla visualizzazione di un soggetto esplicito, ma tutte insieme rimandano a un altro percorso espressivo, che ha dichiarati debiti di riconoscenza con l’arte. E questa attribuzione, che va usata con estrema parsimonia e prudenza, è soggetta a fraintendimenti ed equivoci, soprattutto quando è riferita alla fotografia. Parliamone. L’azione di Francesco D’Alessandro è artistica nel senso che è una espressione libera, che in modo attento e consapevole lascia una traccia del proprio passaggio e della propria azione. Non si debbono trarre conclusioni affrettate, davanti a queste immagini, che peraltro sono confezionate con una minuziosa ap-
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plicazione fotografica di alto valore formale, ma ognuno deve attivare quella sintonia di intenti ed emozioni che si sprigionano dall’incessante sequenza di bianconeri rigorosamente impaginati senza disturbi grafici aggiuntivi: in diverse dimensioni, che stabiliscono lo stesso ritmo visivo, ogni fotografia sta al centro della sola facciata a destra del consistente volume. Paesaggi, ritratti, fiori e altri soggetti (di pretesto) non figurano se stessi, ma rappresentano gli Attimi nei quali l’animo è sollecitato al pensiero e alla riflessione. Comunque, la questione non è conclusa, né risolta con la consecuzione di tempi fotografici ed editoriali (nella messa in pagina in tiratura a tutti fruibile), dallo scatto alla stampa delle copie in camera oscura, all’impaginazione, alla distribuzione libraria. Neppure lo è con la consultazione del volume. L’azione si completa nell’animo dell’osservatore, che conclude il percorso artistico avviato dall’autore Francesco D’Alessandro, sintonizzando le proprie esperienze. Così, gli Attimi non sono codificati e prestabiliti, ma si basano e costruiscono nell’azione attiva con l’osservatore: non spettatore inerte, ma risoluta parte dell’intero processo espressivo. I confini di questa ipotesi sono labili e non certo identificabili, ma la convinta partecipazione individuale agli Attimi, arricchiti dal proprio Io, esprime una visione che si alli-
Attimi, di Francesco D’Alessandro. Testi a commento e introduzione di Giuliana Scimé, Fiorenzo Marino e Peppino Alario; Mondadori Electa, 2006; 176 pagine 25x30cm, cartonato con sovraccoperta; 50,00 euro.
L’azione di Francesco D’Alessandro è artistica: espressione libera, che in modo attento e consapevole lascia una traccia del proprio passaggio e della propria azione.
nea alle intenzioni dell’autore, proseguendo poi per tragitti individuali. È questa una espressione che fa tesoro dei princìpi formali della rigorosa fotografia (bianconero), per dischiudere e confermare che l’immagine comincia proprio ad esistere nel momento nel quale la si guarda e condivide. A.G.
Il ventiduenne olandese Yde Van Deutekom ha attivato un sito che lo riprende costantemente a letto: un successo.
cora dubbi leggete questa. Poco più di un mese fa, Yde Van Deutekom, un ragazzo olandese di ventidue anni, passa ecologicamente un giorno intero a letto per contribuire al risparmio energetico e combattere il riscaldamento globale. Prima di iniziare gli viene in mente di condividere questa sua esperienza: predispone un sito web (www.slapendrijk.nl; qui sopra), ci collega una webcam che lo riprende nel letto, va in rete e riceve poco meno di mezzo milione di visite, nonostante parli solo olandese. Adesso vende spazi pubblicitari e ha raccolto più di cinquemila euro in un solo mese. Afferma di essere bravo a dormire: dorme più di ventitré ore al giorno e dedica solo poco più di quarantacinque minuti alla toilette e a mangiare. Vuole diventare ricco dormendo e chiede l’aiuto di tutti per coronare il suo sogno.
SERVE INTERNET? 2. È ormai prassi consolidata di quasi tutte le agenzie fotografiche e di molti fotografi inviare mensilmente lo stato dell’arte della propria produzione a una ben studiata mailing list. Elegante quella della giovane agenzia Noor, lunga un chilometro quella della Wpn statunitense, brillante e vivace quella del fotografo di viaggio Andrea Pistolesi, ridotta al-
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ALLA MEMORIA 1. Lo scorso diciotto marzo, è morto Philip Jones Griffiths, stroncato da un tumore, all’età di settantadue anni (qui sotto, insieme a Giovanna Calvenzi). Il grande fotogiornalista gallese era nato a Rhuddlan, il 18 febbraio 1936, ed è diventato famoso per il suo lavoro durante la guerra in Vietnam. Laureato in farmacia, la sua vita professionale comincia con un doppio lavoro, di notte presso Boots di Piccadilly, negozio di una catena che vende prodotti farmaceutici, cosmetici ma anche snack e pellicole fotografiche, di giorno come fotografo di cronaca per il Manchester Guardian. Dal 1961, lavora a tempo pieno per l’Observer e copre la guerra in Algeria, nel 1962. Nel 1965, è in Vietnam per la Magnum Photos, della quale sarà presidente per cinque anni, a partire dal 1980. Al suo libro Vietnam Inc., pubblicato da Collier Books nel 1971 e ristampato da Phaidon Press nel 2001 con una prefazione di Noam Chomsky (più recente edizione 2006), viene attribuito il merito di aver maggiormente aperto gli occhi degli americani sulla guerra in Vietnam. Ricordiamo gli altri suoi libri: Dark Odyssey (Aperture, 1996), una collezione delle sue migliori fotografie; Agent Orange: Collateral Damage in Vietnam (Trolley Books, 2004), sugli effetti devastanti che, dopo quaranta anni, i defolianti provocano ancora sulla popolazione; Vietnam At Peace (Trolley Books, 2005). La cronaca ricorda le parole con le quali Philip Jones Griffiths descrisse il suo primo incontro con il suo idolo Henri Cartier-Bresson, del quale, più tardi, sarebbe stato collega alla Magnum Photos: «Avevo sedici anni,
News Letter dell’agenzia Noor, della statunitense Wpn, del fotografo di viaggio Andrea Pistolesi e del fotografo di paesaggio Sandro Santioli.
PIGNORAMENTO SOSPESO. In La Repubblica dello scorso diciotto febbraio leggiamo che due giovani sposi si sono rivolti a un giudice del tribunale di Monza per chiedere a una fotografa di Cologno Monzese un risarcimento di cinquantamila euro, per alcune fotografie non riuscite del loro matrimonio (le altre, assieme a un filmino, sono state regolarmente consegnate in un «album pregevole»). Il risarcimento riguarda il danno esistenziale subìto per «il dispiacere di non poter più rivedere momenti irripetibili». Per fortuna, il giudice ne ha concessi solo diecimila (più le spese legali), con questa motivazione, comunque bizzarra: «Ancora giovani, nelle prossime liete circostanze [i due sposi] potranno effettuare servizi fotografici più copiosi di quelli che avrebbero normalmente fatto, sì da bilanciare la carenza verificatasi in occasione del matrimonio». Ma la storia non finisce qui, poiché la fotografa dichiara la propria impossibilità momentanea a risarcire. Gli sposini, che evidentemente hanno un carattere difficile, hanno chiesto il pignoramento dei suoi beni. La fotografa ricorre allora in appello. «La mia cliente -spiega ai giudici l’avvocato della fotografa, Rosario Alberghina- è letteralmente, ci si scusi l’espressione, alla fame», e i giudici le danno ragione, sospendendo il pignoramento di quei beni che le sono essenziali per la produzione del reddito: macchine fotografiche, obiettivi, automobile. Motivazione umanitaria: «Il pregiudizio che l’appellante subirebbe a fronte del-
VINCENZO COTTINELLI
SERVE INTERNET? 1. Se avete an-
l’immediato esborso della somma appare più grave rispetto a quello che potrebbero subire gli appellati».
l’essenziale quella del fotografo di paesaggio Sandro Santioli (tutte visualizzate in questa pagina). Riflettete gente, riflettete. Senza Internet, oggi non si va più da nessuna parte.
quando vidi per la prima volta una fotografia di Henri Cartier-Bresson. C’era una proiezione presso il Rhyl Camera Club [un circolo fotografico amatoriale a Rhyl, Denbighshire, in Galles]. HCB proiettò quella prima fotografia a gambe per aria. Deliberatamente, per sottolineare l’importanza della composizione. Fu una lezione che non ho mai dimenticato».
ALLA MEMORIA 2. Il Primo febbraio, nella sua casa di Brentwood, California, all’età di ottantotto anni, è morto Allan Grant, il fotografo dello staff di Life famoso, tra altri mille motivi, per le ultime immagini di Marilyn Monroe apparse sul settimanale il 3 agosto 1962, pochi giorni prima del suo suicidio, avvenuto la notte del cinque agosto. Tra le sue fotografie più importanti si registrano quelle della serie scattata nel 1959 all’attrice Shirley MacLaine con la figlia Sachi (qui sotto). Un’altra sua immagine nota è quella della portaerei Enterprise mentre entra nel porto di New York in una giornata nebbiosa (ancora, qui sotto). Autore di ventotto copertine di Li-
fe, insieme al giornalista del settimanale Tommy Thompson, fu anche il primo a trovare e fotografare la famiglia di Lee Harvey Oswald, dopo l’assassinio di John F. Kennedy, a Dallas, il 22 novembre 1963.
BASEBALL CONTRO I MEDIA. A
(a destra) Da New York metro-polis, di Luciano Bobba, in mostra a Parigi dal prossimo sedici maggio.
Mancato il Primo febbraio, Allan Grant ha realizzato fotografie famose. Tra le tante, ricordiamo la serie del 1959 dell’attrice Shirley MacLaine con la figlia Sachi e la portaerei Enterprise mentre entra nel porto di New York in una giornata nebbiosa.
(pagina accanto) Philip Jones Griffiths è mancato lo scorso diciotto marzo (qui è ritratto con Giovanna Calvenzi).
dimostrazione della concorrenza che Internet fa a altre fonti di informazione, riportiamo che la Major League Baseball (MLB), la potente lega professionistica statunitense, ha fissato limiti drastici per l’utilizzo sul web di fotografie che illustrano momenti di partite di baseball. La decisione ha provocato l’invio di una lettera di protesta alla MLB da parte della Online News Association (Ona), un gruppo di circa milleduecento giornalisti del web. Le nuove restrizioni includono un limite di settantadue ore alla possibilità di caricare fotografie sui siti web; il limite massimo di sette fotografie pubblicabili mentre la partita è in corso; la durata massima di centoventi secondi per video che mostrino momenti di gioco; il divieto di mettere in rete, da quarantacinque minuti prima di una partita fino alla sua conclusione, riprese sia live sia registrate di eventi che abbiano una qualche connessione con questa. «Queste restrizioni impediscono ai nostri giornalisti di eseguire il proprio lavoro», ha dichiarato Jonathan Dube, presidente dell’Ona. Molte altre agenzie di informazione, come l’Associated Press e Sports Illustrated, e gruppi, come la National Press Photographers Association (Nppa) e l’Associated Press Sports Editors (Apse), stanno a propria volta chiedendo alla MLB di cambiare queste regole. Al momento in cui scriviamo, la situazione è in stallo. Molti però si dicono convinti che, prima di fine marzo, quando inizia la stagione 2008 di baseball, il problema sarà risolto. Attenzione: negli Stati Uniti si gioca a baseball ogni giorno. Quindici partite di media al giorno, tra le quattordici squadre dell’American League e le sedici della National League, fino a fine settembre, quando sono programmate le finali e le Word Series. In tutto, quasi tremila partite di regular season!
GIOVANI ARTISTI (ITALIANI) CRESCONO. Da qualche anno, l’art director Luciano Bobba si dedica con successo alla fotografia artistica e di ricerca (FOTOgraphia, febbraio 2005). Una sua mostra New York metro-polis aprirà il sedici maggio prossimo nel centro di Parigi, presso la Galerie Celal, 45 rue St Honoré, 75001 Paris (metropolitana Chatelet; 0033-1-40265635; www. galeriecelal.com). Chi si trovasse a Parigi la sera del quindici maggio, è invitato al vernissage in galleria, a partire dalle 19,00. In mostra, trentadue fotografie, quattro delle quali stampate su tela 132x100cm e ventotto su carta cotone, dimensione foglio 76,2x61cm. Il lavoro esposto è frutto di una ricerca che Luciano Bobba ha realizzato per le strade di New York, andando alla ricerca della bellezza nascosta nei riflessi della città che si specchia, vanitosa e trasandata, su ogni superficie riflettente, vetro e plexiglas, delle vetrine e dei palazzi. La mostra è stata già presentata la scorsa estate 2007 a Milano, presso la galleria Il Torchio - Costantini Arte Contemporanea.
SONY VINCE LA GUERRA DEL DVD. Dopo cinque anni di competizione, Toshiba rinuncia al proprio standard Hd Dvd per il Dvd ad alta definizione di prossima generazione. Vince Blu-ray Sony, soste-
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nuto da multinazionali come Sharp, Panasonic, Philips, Walt Disney e 20th Century Fox. Il Dvd ad alta definizione è già utilizzato, e lo sarà sempre più in futuro, soprattutto come supporto per i film che vengono venduti per l’home video, circa novecento milioni di pezzi nel 2007. Il futuro business implica ovviamente anche il cambiamento dei lettori casalinghi di Dvd. Infatti, quelli di vecchia generazione non sono in grado di leggere i Blu-ray. Una guerra analoga si svolse, a cavallo degli anni Novanta, per il mercato delle videocassette. Allora, nonostante fosse superiore in qualità, Betamax, lo standard di Sony, riuscì sconfitto da VHS.
SIAMO ALLE SOLITE. Anche a rischio di risultare malinconici, insistiamo a far notare i peccatucci commessi dai quotidiani nei confronti del fotogiornalismo. Questa volta sotto tiro è il Corriere della Sera. Nella edizione del quindici marzo scorso, il quotidiano pubblica due articoli a commento di una dichiarazione dell’ex ministro della Difesa del governo Berlusconi, Antonio Martino, che annuncia la propria intenzione di prodigarsi per il ritiro delle truppe italiane dal Libano in caso di vittoria elettorale. Naturalmente, la dichiarazione scatena un aspro dibattito politico, che riguarda il Libano stesso e le regole di ingaggio in Afghanistan. Come al solito, la fotografia viene utilizzata come corredo colorato alle parole dei giornalisti. Ci sono due spazietti liberi per presentare graficamente meglio gli articoli? Perché non mettere le immagini vincitrici delle ultime due edizioni del World Press Photo, quella del 2006, che è proprio ambientata in Libano, a Beirut (FOTOgraphia, aprile, maggio e settembre 2007), e quella del 2007, che è stata scattata in un bunker afgano? (su questo numero, a pagina 42). Ma sì, usiamole, diciamo che hanno vinto un
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IL NINE/ELEVEN (9/11) CONTINUA A COLPIRE. A distanza di
Seminario della VII in occasione del primo Photo Festival di New York: sedici, diciassette e diciotto maggio, presso il Klitgord Auditorium del New York City Technical College, a Brooklyn.
Usate come illustrazione, sul Corriere della Sera dello scorso quindici marzo le immagini vincitrici delle ultime due edizioni del World Press Photo (2006 e 2007) sono prive di credito. Come accade troppo spesso.
premio prestigioso, però non stiamo a cercare il nome degli autori (a sinistra, in basso). Si sa, i fotogiornalisti, che più di tutti rischiano la pelle per informare, non contano niente.
SEMINARIO DELLA VII. In occasione del primo Photo Festival di New York, che si tiene nel quartiere di Dumbo (acronimo per Down Under the Manhattan Bridge Overpass), a Brooklyn, si tiene un seminario dell’Agenzia VII, sponsorizzato da Canon Usa: sedici, diciassette e diciotto maggio, presso il Klitgord Auditorium del New York City Technical College (285 Jay street, New York 11201; downtown Brooklyn). Tre giorni simili a quelli di Londra dell’aprile 2007 (FOTOgraphia, luglio 2007): vengono presentati i lavori più recenti dei fotografi dell’agenzia e si svolge un intenso dibattito su Photojournalism Within the Context of Contemporary Photography (semplifichiamo in Il fotogiornalismo oggi). Il costo dei tre giorni di seminario è di cinquanta dollari. È prevista anche una lettura di portfolio, per accedere alla quale bisogna versare duecento dollari. Per informazioni e dettagli: http://viiphoto.com/event.html. A detta degli organizzatori, il primo Photo Festival di New York (dal quattordici al diciotto maggio; www.newyorkphotofestival.com), che prende ispirazione dai Rencontres d’Arles e da Visa pour l’Image, dovrebbe richiamare centomila visitatori. Frank Evers, attuale direttore della VII, è uno dei padri fondatori del Festival. Tra i curatori delle mostre, il fotografo Martin Parr e la photo editor del New York Times Magazine Kathy Ryan.
tempo, a manifestare seri disturbi all’apparato respiratorio (asma, riniti e sinusiti) e all’apparato gastrointestinale, non sono soltanto i pompieri, i medici, gli infermieri e i poliziotti intervenuti per portare soccorso alla popolazione quando le Torri Gemelle furono colpite e dopo il loro crollo, ma anche alcuni fotografi che hanno lavorato sulla scena. Per esempio, Keith Meyers, dello staff del New York Times, un omone sportivo abituato ai servizi fisicamente più impegnativi, come seguire gli astronauti nei loro allenamenti o volare su jet militari, ha dovuto abbandonare il proprio lavoro per problemi di salute. Keith Meyers aveva scattato una serie di fotografie sopra il World Trade Center, quattro giorni dopo il crollo, mentre le Torri bruciavano ancora. Quando si sporse fuori dall’elicottero per scattare «fu come respirare il fuoco», ebbe a dichiarare a un medico che lo visitò al suo rientro al giornale. Altri cinque fotografi, che non vogliono che il loro nome venga svelato, hanno problemi simili. Su iniziativa di un fotografo del New York Daily News, David Handschuh, la Nyppa (The New York Press Photographers Association) ha osservato che, mentre a chi ha lavorato nelle operazioni di soccorso è stato riconosciuto credito, niente è stato fatto per i fotogiornalisti. E sta chiedendo che, come è già stato fatto per gli altri lavoratori, anche per gli operatori della informazione venga esteso al 2014 il termine per chiedere un risarcimento per danni alla salute che possano ancora manifestarsi nel prossimo futuro. Per i giornalisti che hanno lavorato in prossimità del World Trade Center, la Nyppa sta diffondendo un questionario online da compilare anonimo. Le prime risposte, numerose, stanno cominciando ad arrivare. Una annotazione: è stato anche grazie alle fotografie dall’elicottero di Keith Meyers che lo staff di fotografi del New York Times si è aggiudicato il premio Pulitzer 2002 nella categoria Explanatory Reporting, che premia un servizio che meglio spiega un fatto o un fenomeno complesso. A cura di Lello Piazza
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LE ORIGINI DI LUIGI GHIRRI
A
Avviato lo scorso autunno con la personale Dentro il sogno 19691995 di Giorgio Ciam (FOTOgraphia, novembre 2007), il definito Progettosettanta. Arte e fotografia dalla ricerca anni Settanta in Italia, a cura di Elena Re, continua il proprio percorso retrospettivo, ospitato presso la qualificata Galleria Enrico Fornello di Prato. Senza interrompere la propria programmazione artistica di livello internazionale, proiettata verso la sperimentazione contemporanea, in parallelo la Galleria definisce i tratti di un concentrato progetto culturale a
lungo termine, che mira a ricostruire e presentare il complesso panorama degli artisti italiani che hanno usato la fotografia nella stagione culturale certificata nel richiamo. Si analizza il fulcro della ricerca messa a punto in un periodo storico denso e significativo. Tuttavia, per taluni autori, si prosegue l’analisi che sottolinea anche i contributi più recenti, identificando nella produzione contemporanea l’attualità di un approccio espressivo. Da fine maggio, è in cartellone la personale Luigi Ghirri - Fotografie del periodo iniziale, che la curatrice
© FONDO
DI
LUIGI GHIRRI;
COURTESY
GALLERIA ENRICO FORNELLO (5)
Luigi Ghirri: Marina di Ravenna 1972; 17,9x12,6cm; dalla serie Fotografie del periodo iniziale.
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Luigi Ghirri: [Lucerna] 1971; 12x17,5cm; dalla serie Fotografie del periodo iniziale.
Elena Re ha allestito in stretta collaborazione con il Fondo di Luigi Ghirri, che gestisce l’eredità e conserva la memoria dell’autore emiliano, prematuramente scomparso nel febbraio 1992, a quarantanove anni, caposcuola di un movimento espressivo italiano che continua ancora ai nostri attuali giorni. Come precisa il titolo, che stabilisce un riferimento temporale esatto, che distingue questa dalle innumerevoli altre mostre di Luigi Ghirri che sono sistematicamente presentate in Italia, a testimonianza di una statura che si eleva a livello internazionale, questa visione è composta da un consistente nucleo di stampe vintage, selezionate direttamente nell’archivio dell’artista. Quindi, altre stampe attuali, realizzate a cura di Paola Ghirri da negativi originari, completano l’idea di questa consistente personale, che sottolinea le specificità e il valore del primo contributo di Luigi Ghirri come artista che ha usato la fotografia. Infatti, la selezione Luigi Ghirri - Fotografie del periodo iniziale si propone come lettura di un corpus di opere fotografiche realizzate negli anni dell’esordio dell’autore sulla scena artistica, tra il 1970 e il 1973. In pratica e in sostanza, queste Fotografie del periodo iniziale si rivelano come una serie particolare di lavori nei quali l’autore individua i punti fondamentali della propria espressione, della propria poetica, caricandoli di
tutta la tensione concettuale che ha animato il dibattito artistico agli inizi degli anni Settanta. Allo stesso momento, i soggetti affrontati anticipano alcuni filoni di ricerca che si sarebbero rivelati di attualità in tempi immediatamente successivi. Nelle fotografie di questo primo periodo è leggibile l’esperienza concettuale, alla quale Luigi Ghirri si è accostato frequentando il circolo degli artisti emiliani, ma anche il riferimento alla Pop Art americana e alla cultura statunitense in generale. Tuttavia, a partire da questi stessi anni, il suo campo di indagine è talmente ampio da permettergli di innescare un innovativo meccanismo dello sguardo, fino a configurare una nuova visione nella quale far convergere l’apporto di riferimenti assolutamente diversi tra loro. Come ha affermato lo stesso Luigi Ghirri: «Anche io non so dire se mi hanno illuminato di più i paesaggi musicali e poetici di Bob Dylan, le sculture-architetture di Claes Oldenburg, le visioni fotografiche di Robert Frank e Lee Friedlander, il rigore etico di Walker Evans, o se invece sono state le cosmogonie di Brueghel, i fantasmi felliniani, le vedute degli Alinari, i silenzi di Eugène Atget, la precisione dei fiamminghi, la purezza di Piero della Francesca o i colori di Van Gogh». La serie Fotografie del periodo iniziale è stata così nominata da Luigi Ghirri nel 1979, in occasione della mostra antologica che gli dedicò l’Università di Parma, a cura di Arturo Carlo Quintavalle e Massimo Mussini, nella quale si fece il punto sulla ricerca elaborata durante i suoi primi dieci anni di lavoro. Pro-
Luigi Ghirri: [Svizzera] 1971; 12,5x17,5cm; dalla serie Fotografie del periodo iniziale. (a destra, in alto) Luigi Ghirri: Lucerna 1971; 12,6x17,5cm; dalla serie Fotografie del periodo iniziale.
Luigi Ghirri; Modena 1970-73; 17,4x12cm; dalla serie Fotografie del periodo iniziale.
prio questa mostra ne segnalò la personalità fotografica, in un mondo culturale -non soltanto italianoche era allora impegnato in altri dibattiti, soprattutto vincolati alla fotografia del reale e alla documentazione reportagistica. Quindi, non è un caso che l’anno successivo, su invito dello stimato critico Charles H. Traub, Luigi Ghirri esponesse per la prima volta una personale negli Stati Uniti, alla prestigiosa Light Gallery di New York. Subito a seguire, nel 1980, il suo lavoro fu incluso nella selettiva collettiva Ils se disent peintres, ils se disent photographes, a cura di Michel Nuridsany e Suzanne Pagé, presso il Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris (cui sopravvive il catalogo realizzato per l’occasione, pubblicato da Arc/musée d’Art moderne). Analizzando l’affascinante terreno di confine tra arte e fotografia, questa mostra coinvolse nomi di livello internazionale, come Christian Boltanski, Hans Peter Feldmann, Gilbert and George, Giuseppe Penone, Cindy Sherman e Michele Zaza. In occasione della mostra, è realizzata la monografia omonima Luigi Ghirri - Fotografie del periodo iniziale, curata da Elena Re (Edizioni Gli Ori): lettura critica finalizzata a sottolineare la singolarità e i riflessi di queste fotografie rispetto lo scenario dell’arte contemporanea. Accompagnano il testo una serie di te-
stimonianze, in forma di intervista, a figure che sono state partecipi della vita e dell’opera dell’artista. A.G. Luigi Ghirri - Fotografie del periodo iniziale; seconda esposizione del Progettosettanta. Arte e fotografia dalla ricerca anni Settanta in Italia, a cura di Elena Re. Galleria Enrico Fornello/P 27, via Paolini 27, 59100 Prato; 0574-462719; info@enricofornello.it. Dal 24 maggio al 25 luglio; lunedìvenerdì 11,00-13,00 - 15,00-20,00.
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IL MONDO sattamente, cinquecento personaggi della moda, che attraversano un secolo e mezzo della sua espressione e manifestazione; non uno di più, né uno di meno. Senza soluzione di continuità, in rigoroso ordine alfabetico -ne stiamo per parlare-, sulle pagine dell’edizione italiana Il mondo della moda (attesa traduzione aggiornata dell’originario The Fashion Book, del 1998; FOTOgraphia, aprile 1999) si incontrano cinquecento protagonisti conclamati di un “mondo” che è solitamente osservato con occhio, comunque sia, partecipe: alternativamente e simultaneamente, la moda è odiata da molti, e a conseguenza derisa, e amata da altrettanti, e per questo venerata. Ovviamente, non pensiamo ai giudizi degli addetti, che si esprimono in dipendenza dell’etica dei propri rispettivi impegni professionali, ma ci riferiamo al pubblico tutto, che della moda conosce solo gli artificiosi splendori della sua apparenza. (E Appearences, appunto apparenza, fu la definizione-richiamo di uno straordinario studio di origine inglese, a cura di Martin Harrison, che nel 1991 raccontò la fotografia di moda dal 1945: imponente mostra a Londra e approfondito volume-catalogo pubblicato da Jonathan Cape, che conteggiamo come monografia indispensabile). La combinazione tra moda e fotografia, ovverosia della moda con la fotografia, si basa e costruisce su un legame inviolabile e indissolubile. Paradossale addirittura. Infatti, per quanto le immagini della moda siano percepibili e percepite a livelli diversi, in relazione a punti di vista individuali (chi valuta e considera l’abito, chi sottolinea la modella che lo indossa, chi approfondisce lo stile del fotografo), è assodato e conclamato che la moda non esisterebbe senza la fotografia, perlomeno nel senso, modo e valore che le si
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Guy Bourdin (fotografo): Campagna pubblicitaria per Charles Jourdan; 1979 (© Samuel Bourdin).
attribuisce da qualche decennio a questa parte. Cioè, la fotografia rappresenta la concreta e tangibile visualizzazione della moda, che è universalmente conosciuta non per se stessa (moda), ma per la propria coincidente rappresentazione fotografica. Ovvero, pochi addetti conoscono gli abiti dei quali si parla o ai quali ci si riferisce o dai quali si parte, mentre tutti conosciamo, o possiamo conoscere, le fotografie degli stessi abiti, ovvero riconosciamo la moda a partire dalla fotografia di moda, e limitatamente a questa.
Avvincente viaggio attraverso un secolo e PROTAGONISTI mezzo di storia della moda: da stilisti pionie- Così che il casellario dei cinquecento protagonisti che compongono la consecuzione alfabetica di Il ri, come Coco Chanel e Issey Miyake, a famo- mondo della moda è obbligatoriamente illustrato: ancora e sempre, ogni scheda di presentazione è si fotografi, come Richard Avedon, Gian Pao- composta da un breve testo (stiamo per richiamare un paio di esempi significativi) e una fotografia lo Barbieri e Helmut Newton. Pubblicato da collegata, riprodotta sulla pagina in dimensione sostanziosa diciassette ai ventidue centimetri di Phaidon Press, volume prezioso, addirittura altezza) e (dai con attenta cura litografica: impeccabili un’enciclopedia, che scavalca tutte le classi- sia le tavole colore sia quelle bianconero sia quelle intonate in monocromo (per lo più, seppia). Cinficazioni tradizionali, per creare contrapposi- quecento protagonisti della moda: dal fotografo James Abbe allo stilista Zoran. zioni inconsuete e paragoni affascinanti Siccome la moda, così come la intendiamo og28
DELLA MODA gi, è fenomeno sostanzialmente recente, i cinquecento personaggi sono osservati con attenzione contemporanea, concentrata sui decenni più recenti, durante i quali la moda è esplosa e si è imposta come fenomeno sociale di grande richiamo e consistente seguito. Però, allo stesso momento, la visione è adeguatamente e coerentemente anche storica: con colta sottolineatura di nomi generalmente conosciuti dai soli addetti, e oggi proposti anche al più ampio pubblico. Tra i tanti che meriterebbero una segnalazione e sottolineatura, è il caso dello stilista svizzero di calzature Carl Franz Bally (1821-1898), che ha influenzato, forse addirittura condizionato, il disegno della moderna e attuale scarpa da donna. Come pure è il caso dello stilista inglese John Redfern (1853-1929), le cui delicate creazioni gli sono sopravvissute nel tempo. L’ordine alfabetico di Il mondo della moda agevola e semplifica la ricerca di nomi e personalità, senza dipendere da preinformazioni sul e del relativo ruolo: fotografo, stilista o altro ancora (un commento specifico, più avanti). E le schede di presentazione sono sostanzialmente brevi e stringate: per gli approfondimenti individuali, ciascuno agisca da sé come ritiene opportuno. In questo modo, il solido e fitto volume
(solido nelle dimensioni fisiche, fitto nei contenuti) si offre e propone come pertinente e preziosa sintesi. Per quanto concise, le schede sono comunque precise nelle proprie indicazioni. Come anticipato, due esempi rappresentativi. «Richard Avedon (fotografo, New York 1923 - San Antonio, 2004 [FOTOgraphia, febbraio 2005 e febbraio 2006]): [con riferimento all’immagine pubblicata: Penelope Tree, completo di Ungaro; Parigi, 15 gennaio 1968] Penelope Tree è sospesa nello spazio, congelata da Richard Avedon in un balzo gioioso. È un’immagine che condensa il movimento e le emozioni che Avedon ha introdotto nella fotografia
Hiro (fotografo): Collana di Harry Winston; New York, 1963 (© Hiro).
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Martin Munkacsi (fotografo): Marion Davies; San Simeon, California, 1934; per Harper’s Bazaar (© Joan Munkacsi, courtesy Howard Greenberg, New York).
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di moda, contrastando la prevalente tradizione della posa statica. A questa, preferiva lo spirito di una realtà di strada; una donna intravista su un marciapiedi affollato o l’imprevedibilità della sua Dovima with Elephants [Dovima con elefanti]. Sotto l’influsso di Martin Munkacsi [che molti considerano uno dei capiscuola della fotografia moderna, non soltanto di moda; noi, tra questi], che nella moda esplorava il princìpio della figura in movimento, Avedon scattò le sue immagini di danza e frenesia che ancora oggi mantengono intatta la propria freschezza. Avedon lavorò per Harper’s Bazaar, dal 1945, e si trasferì a Vogue, nel 1965. Non ha mai abbandonato la moda; ma, attraverso le sue acute convinzioni politiche e il suo grande interesse per le sottoculture, è stato un fotografo al servizio di una visione più ampia della moda in sé». Poche e precise parole che, partendo da un esempio visivo, raccontano la personalità del fotografo. A seguire, i rinvii a Alexey Brodovitch, straordinario art director del menzionato Harper’s Bazaar, una delle figure discriminanti della moda e del giornalismo visivo del secondo dopoguerra, Dovima, una delle modelle che hanno caratterizzato gli anni Cinquanta e Sessanta (addirittura una icona), mancata nel 1990 a sessantatré anni, Kate Moss, la modella degli anni Novanta, che nella sua scheda è appunto rappresentata da una fotografia di Richard Avedon, del 1997, Suzy Parker, altra modella degli anni Sessanta, che ha lavorato molto con Avedon, la modella Penelope Tree e lo stilista Ungaro, protagonisti della fotografia della scheda. Nota parallela, di costume: assieme ad altre modelle dell’epoca, rispettivamente nelle parti di Marion (la prima modella del racconto) e di una ballerina della prima scena con gli abiti rosa, Dovima e Suzy Parker appaiono nel film Cenerentola a Parigi (Funny Face, di Stanley Donen, 1957), alla cui produzione Ri-
Il mondo della moda. Cinquecento protagonisti, presentati in ordine alfabetico. Phaidon Press Limited, 2008 (www.phaidon.com); 264 illustrazioni a colori e 236 in bianconero (o intonazione monocromatica); 512 pagine 21x24,5cm; 24,95 euro.
chard Avedon ha partecipato come consulente del colore e degli effetti fotografici e ha fornito le fotografie di moda che accompagnano i titoli di testa. Nel film, si evoca la redazione di Harper’s Bazaar, con l’art director Dovitch, che richiama la figura reale del leggendario Alexey Brodovitch, appena ricordato, interpretato da Alex Gerry. Il fotografo Dick Avery (ovvero dichiaratamente lo stesso Richard Avedon) è interpretato da Fred Astaire (con Rolleiflex al collo e apparecchi 8x10 pollici di diversa natura, tra i quali si può riconoscere la mitica Deardorff in legno), pigmalione che converte in modella una commessa di libreria del Greenwich Village: l’elegante Audrey Hepburn (nel film Jo Stockton), che nelle sessioni fotografiche di Parigi indossa abiti Hubert de Givenchy. Ancora con le schede di Il mondo della moda: «Gian Paolo Barbieri (fotografo, Milano, 1938 [FOTOgraphia, settembre 2007, in occasione dell’imponente antologica al Palazzo Reale di Milano, che ha celebrato la statura di un autore che personalmente consideriamo tra i più grandi del nostro tempo]): [con riferimento a Mercato della carne, del 1985] Una donna con un trucco elegante indossa un grembiule da macellaio. Potrebbe trattarsi di un riferimento al lavoro della modella, ma, con senso più pratico, l’immagine pubblicizza una maglia in rete, parodia della versione indossata dai lavoratori. Un esempio del tipico sensazionalismo del lavoro di Gian Paolo Barbieri. Nel 1997 diresse la prima campagna pubblicitaria di Vivienne Westwood, basandola sull’opera del pittore del Sedicesimo secolo Hans Holbein. Per Barbieri si trattò di qualcosa di più che di un servizio fotografico per la moda. Fu la creazio-
Le pagine di Il mondo della moda sono allestite a scheda: una pagina per ognuno dei cinquecento personaggi presentati (qui Gian Paolo Barbieri). Ogni scheda comprende una fotografia o una illustrazione che mostra un aspetto essenziale della personalità e un agile testo che lo inquadra storicamente e fornisce le informazioni biografiche e critiche essenziali. A conclusione, a supporto del lettore, un efficace glossario chiude il volume, spiegando i termini tecnici e gergali utilizzati nel mondo della moda.
ne di un insieme filmico, nel quale indugiò su tutte le sue convinzioni visive: proporzioni, minuzia dei dettagli e desiderio di cogliere l’attimo. Nel 1965, Barbieri fu il fotografo della prima copertina dell’edizione italiana di Vogue. Il suo lavoro per la testata e per altre riviste gli spalancò le porte per le campagne pubblicitarie di stilisti quali Valentino, Armani, Versace e Yves Saint Laurent. Nel 1978, il settimanale tedesco Stern lo ha definito uno dei “quattordici creatori d’immagini” più importanti del nostro tempo». Rimandi al fotografo francese Guy Bourdin, altro straordinario interprete della moda, e agli stilisti Va-
lentino e Vivienne Westwood, menzionati in scheda. Ribadiamo e ripetiamo: le parole di presentazione sono poche, quanto adeguate. Energiche, addirittura. A conclusione, a supporto del lettore, un efficace glossario chiude il volume, spiegando i termini tecnici e gergali utilizzati nel mondo della moda.
Leonard Lewis (hair stylist): Acconciatura colorata. Fotografia di Barry Lategan; 1970.
A CONTORNO Gioco di parole volontario e consapevole. Per Il mondo della moda, il “mondo della moda” non è definito e tratteggiato dai soli protagonisti canonici e ufficialmente legittimi, senza soluzione di continuità dagli stilisti (di abiti, gioielli e scarpe) ai fotografi, alle modelle (e ai modelli), agli art director, ai redattori, agli illustratori, ma è delineato anche da un inevitabile contorno di icone. Sì, proprio icone: figure e personalità che ne hanno animato il costume e la socialità, individuate con un apprezzato sguardo curioso. Sono icone, l’attrice francese Brigitte Bardot, i Beatles, il cantante e attore inglese David Bowie, Boy George, Kurt Cobain, Madonna e tanti altri, che si incontrano nella incessante sequenza delle pagine a scheda. Nel concreto, con il proprio ordine alfabetico e l’organizzazione in pagine a scheda (presentazione e immagine esemplificativa), Il mondo della moda scavalca tutte le classificazioni tradizionali, per creare contrapposizioni inconsuete e paragoni affascinanti. Ciò detto, non abbiamo timori pregiudiziali, e arriviamo a definire questa compendiosa opera di lettura e consultazione come autentica enciclopedia del settore. Una enciclopedia, sia detto a chiare lettere, estremamente competente, capace di offrire un contesto trasparente, quanto partecipe, di un mondo, quello della moda, che oggi è tanto influente sul costume e la socialità dei nostri attuali tempi, addirittura indipendentemente dai propri prodotti (abiti, gioielli scarpe e accessori). Un mondo che, sottolineiamo ancora, dipende dalla propria raffigurazione fotografica. Ovvero, la moda esiste e si manifesta soltanto, e non già soprattutto, attraverso la fotografia (di moda). Appunto. Maurizio Rebuzzini
Lee Miller (fotografa): Ausiliarie a una sfilata di moda; Parigi, 1944 (Lee Miller Archives).
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(centropagina) World Press Photo of the Year 2007: Tim Hetherington, Inghilterra, per Vanity Fair; Soldato americano a riposo nel bunker Restrepo, Korengal Valley, Afghanistan, 16 settembre. Primo premio People in the News Stories: Philippe Dudouit, Svizzera, per Time Magazine; Combattente del PKK, sud del Kurdistan. Secondo premio Spot News Stories: Roberto Schmidt, Colombia / Germania, Agence France-Presse; Disordini durante le elezioni in Kenya, Nairobi, 29-31 dicembre.
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pprodato alla cinquantunesima edizione, dalla prima selezione del 1955 (con silenzio nel 1959, 1961 e 1970), il World Press Photo si conferma uno dei più importanti punti di riferimento del fotogiornalismo a livello mondiale. Al solito, le scelte della giuria, che all’inizio dello scorso febbraio ha assegnato i riconoscimenti 2008, per fotografie e servizi fotogiornalistici dello scorso anno 2007, sono state approvate o contestate, come mi auguro che avvenga sempre fino alla fine dei tempi. Siamo per la cerebro-diversità, che è altrettanto importante della biodiversità. Arricchisce il mondo della fotografia giornalistica (e non solo quello, ovviamente) con una avvincente varietà di sentimenti, gusti e riflessioni. Come sempre accade, i premi dipendono dalla composizione della giuria. Ve la presento. Come
Al solito, le assegnazioni dell’annuale World Press Photo misurano anche il polso del fotogiornalismo internazionale, che appunto si riflette nei premi divisi in dieci categorie tematiche, a propria volta scomposte nella duplice indicazione di immagine singola (Singles) e reportage completo (Stories). Più la fotografia dell’anno, che in questa cinquantunesima edizione sollecita due considerazioni parallele. Almeno
FOTOGIORNA
consuetudine (e dovere), era composta da personaggi di alto livello. Il presidente era l’inglese Gary Knight, fotografo e presidente dell’agenzia VII [tanti i passaggi in FOTOgraphia, sopra tutti luglio 2002, febbraio 2004 e luglio 2007]. Poi, in ordine alfabetico, Jodi Bieber, fotografo sudafricano dell’agenzia Noor [FOTOgraphia, dicembre 2007]; Oliver Chanarin, altro fotografo sudafricano; Erin Elder (Canada), photo editor del The Globe and Mail; Craig Golding (Australia), fotografo del Sydney Morning Herald; MaryAnne Golon (Stati Uniti), photo editor di Time Magazine; Maria Mann (Stati Uniti), direttore della European Pressphoto Agency; Enric Martí (Spagna), photo editor della Associated Press per l’America Latina e i Caraibi; Michael Nichols (Stati Uniti), fotografo del National Geographic Magazine; Simon Njami (Camerun), curatore di mostre; Swapan Parekh (India), fotografo; Stephan Vanfleteren (Belgio), fotografo; Sujong Song (Corea del Sud), photo editor freelance. Quindi, l’inglese Stephen Mayes, capo esecutivo dell’agenzia The Americas Image Source ha svolto il ruolo di segretario di giuria. Due rappresentanti di giornali e sei fotografi, più quattro professionisti vincolati a un’agenzia (Gary Knight lo conteggio tra questi e non tra i fotografi), e un curatore di mostre. Una giuria bilanciata? Forse. Da una parte penso che la presenza di quattro
giurati provenienti da agenzie fotogiornalistiche, che hanno prodotto reportage presi in esame, rappresenti un potenziale conflitto di interessi. Dall’altra, però, spesso sono proprio le agenzie che sostengono il peso finanziario delle produzioni, ed è giusto e legittimo che dicano la loro in questo contesto. La World Press Photo of the Year 2007 è dell’in-
(in basso) Primo premio People in the News Singles: Yonathan Weitzman, Israele; Veste di una giovane africana sulla recinzione del confine tra Israele e Egitto, 20 agosto. Secondo premio General News Singles: Stanley Greene, Usa, Noor; Piano di attacco sulla sabbia, confine Chad-Sudan, gennaio. Primo premio General News Stories: Balazs Gardi, Ungheria, VII Network; Operazione Rock Avalanche, Afghanistan, ottobre.
ALISMO OGGI
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A MARGINE ipetiamo il commento con il quale Gary Knight, presidente Rvatodella giuria del World Press Photo 2008, sul 2007, ha motila World Press Photo of the Year 2007: «Questa immagi-
Terzo premio Sports Action Stories: Chris Detrick, Usa, The Salt Lake Tribune; Portfolio di sport. (in alto) Primo premio Sports Features Singles: Andrew Quilty, Australia, Oculi per Australian Financial Review Magazine; Bambini a una gara ippica a Maxwelton, Australia.
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glese Tim Hetherington. La fotografia è stata scattata il sedici settembre nella valle di Korengal, in Afghanistan, una delle valli nell’est del paese dove gli scontri sono più duri e frequenti. Mostra un soldato sfinito dalla stanchezza, appoggiato alle pareti del bunker Restrepo, intitolato a un militare ucciso dai Talebani (a pagina 34). La fotografia di Tim Hetherington, che era in Afghanistan con un assegnato di Vanity Fair, fa parte di un servizio che ha ricevuto il secondo premio nella sezione General News Stories. Motivando la scelta della giuria, il presidente di turno Gary Knight ha dichiarato: «Questa immagine mostra lo sfinimento di un uomo e lo sfinimento di una nazione. Dobbiamo sentirci tutti coinvolti in questo sfinimento. L’uomo che vediamo sembra giunto alla fine di tutto». Ora un po’ di cifre: hanno inviato propri lavori cinquemiladiciannove fotografi (5019), da centoventicinque paesi, per un totale di oltre ottantamila fotografie (80.536): più 12,5 per cento rispetto alla scorsa edizione 2007. Un record. L’80 per cento
ne mostra lo sfinimento di un uomo e lo sfinimento di una nazione. Dobbiamo sentirci tutti coinvolti in questo sfinimento. L’uomo che vediamo sembra giunto alla fine di tutto». La fotografia dell’inglese Tim Hetherington è stata scattata il sedici settembre nella valle di Korengal, in Afghanistan, una delle valli nell’est del paese dove gli scontri sono più duri e frequenti. Mostra un soldato sfinito dalla stanchezza, appoggiato alle pareti del bunker Restrepo, intitolato a un militare ucciso dai Talebani (a pagina 34). Questa fotografia fa parte di un servizio che ha ricevuto il secondo premio nella sezione General News Stories. Due osservazioni complementari. La prima, immediata, riguarda il fatto che Tim Hetherington è stato inviato in Afghanistan dal mensile Vanity Fair. È pur vero che questa combinazione giornalistica allunga la consolidata tradizione al fotogiornalismo dei periodici statunitensi statutariamente indirizzati alla moda e al costume sociale: e qui richiamiamo, a titolo di esempio, il felice accordo tra l’art director di Harper’s Bazaar Alexey Brodovitch e la fotografa Diane Arbus, che negli anni Sessanta portò a confezionare straordinarie crude osservazioni su controversi aspetti della socialità del tempo. Però, per quanto l’assegnato di Vanity Fair appartenga a questa scuola di giornalismo, bisogna sottolineare che al giorno d’oggi il fotoreportage più aspro e schietto trova più ospitalità su questo tipo di pubblicazioni che nelle testate originariamente preposte alla riflessione fotogiornalistica (testate, va rilevato, che sono ormai quantitativamente ridimensionate, piuttosto che condizionate da ingerenze pubblicitarie: ne abbiamo scritto in tante occasioni). Tanto che, annotiamolo ufficialmente, in mancanza di spazi sui giornali, da tempo il fotoreportage sta percorrendo una strada nuova: presentazione in mostre, a tema piuttosto che personali, e raccolta in monografie. Anche così si spiega la proliferazione delle mostre e dei volumi di fotoreportage, che da qualche anno sono autenticamente dilagati per quantità. In parallelo, non possiamo non registrare anche che questo incremento si accompagna, giocoforza, con un corrispondente aumento di rassegne fotografiche soprattutto incentrate al “dolore”. La guerra, le sue conseguenze e la disperazione sono da sempre fotogeniche. Non possiamo non saperlo. A seguire, rileviamo anche come la World Press of the Year 2007 di Tim Hetherington appartenga a uno stilema della rappresentazione della guerra a propria volta tanto frequentato da essere addirittura storicizzabile e censito. La sofferenza dei combattenti è uno dei motivi conduttori di tanta fotografia di guerra: se vogliamo riportare due esempi, richiamiamo ancora una celebre immagine di Gianfranco Moroldo dal Vietnam, che fu copertina dell’Europeo (11 gennaio 1968; in FOTOgraphia dell’ottobre 2006), e anche il conosciuto ritratto di Don McCullin del marine shoccato dopo una azione di guerra, sempre in Vietnam. E potremmo ricordare ancora tante altre fotografie. Del resto, come abbiamo analizzato e approfondito in FOTO graphia dell’ottobre 2002, Venti di guerra, le fotografie di profilo, di apparente assenza, sono spesso più emblematiche e rappresentative di quelle dei combattimenti. In questo senso, ci accordiamo con la considerazione di Gary Knight, che ancora riproponiamo (e tre: già nel corpo centrale di questo intervento redazionale e in avvio di questo stesso riquadro, che così concludiamo): «Questa immagine mostra lo sfinimento di un uomo e lo sfinimento di una nazione. Dobbiamo sentirci tutti coinvolti in questo sfinimento. L’uomo che vediamo sembra giunto alla fine di tutto». M.R.
Primo premio Contemporary Issues Stories: Jean Revillard, Svizzera, Rezo.ch; Rifugi improvvisati di immigrati clandestini, Calais, Francia.
Primo premio Contemporary Issues Singles: Brent Stirton, Sudafrica, con Getty Images per Newsweek; Recupero dei gorilla di montagna morti, Parco Nazionale Virunga, Congo orientale.
dei partecipanti ha inviato le proprie immagini via Internet, all’indirizzo del sito web del concorso. I cinquantanove fotografi premiati nelle diverse categorie rappresentano ventitré nazioni: Australia, Belgio, Bulgaria, Canada, Repubblica popolare cinese, Colombia, Danimarca, Francia, Germania, Giappone, Inghilterra, Israele, Italia, Olanda, Polonia, Portogallo, Russia, Spagna, Stati Uniti, Sudafrica, Svizzera, Ungheria, Zimbabwe.
Tim Hetherington riceve il premio, un assegno di diecimila euro, domenica ventisette aprile ad Amsterdam, durante la cerimonia ufficiale di consegna delle onorificenze. Nell’occasione, Canon, sponsor fotografico del World Press Photo, gli omaggia una reflex Eos-1Ds Mark III [FOTOgraphia, febbraio 2008]. Come tradizione, la cerimonia di consegna dei premi è preceduta da tre intense giornate di discussio(continua a pagina 40)
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WORLD PRESS PHOTO 2008 (SUL 2007)
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el proprio insieme, le fotografie premiate e segnalate al World Press Photo sintetizzano un anno di cronaca. A volte, queste immagini si proiettano nella storia: non dipende tanto dalla forza dell’immagine, anche se il valore implicito ha un proprio peso, quanto dalle vicende narrate e visualizzate. Lo scorso anno ha creato polemiche la World Press Photo of the Year 2006 dello statunitense Spencer Platt (Getty Images). Presentata e valutata come Giovani libanesi attraversano in auto un quartiere a sud di Beirut devastato dai bombardamenti, il primo giorno di cessate-il-fuoco tra Israele e l’ala politica di Hezbollah (FOTOgraphia, aprile 2007), ha provocato una sentita presa di posizione della stampa libanese, che ha prontamente offerto una chiave di lettura opposta. I cinque giovani raffigurati non sono in gita, non stanno facendo turismo di guerra, non sono mostri spensierati, ma vittime delle bombe: secondo il periodico Agenda Culturel, che ha condotto una propria indagine, cercando i protagonisti ritratti nell’immagine, tre dei cinque personaggi sull’auto sono un fratello (il conducente) e due sorelle (la donna sul sedile anteriore e quella con il cellulare), che vivono in quella zona come anche una quarta persona. In realtà stan-
no osservando le conseguenze delle bombe per portare aiuti e informare i parenti. Come fa la donna con il telefonino, che non sta scattando foto-ricordo ma chiamando (FOTOgraphia, maggio 2007). A questo proposito, e in relazione agli inganni possibili e potenziali della fotografia, come anche alle sue inevitabili verità, abbiamo successivamente ospitato l’opinione di Piero Raffaelli, che in FOTOgraphia dello scorso settembre 2007, ha dato una pertinente lettura dell’immagine: «Quei ragazzi della spider, giovani, belli, eleganti, lavati, stirati, accessoriati come si conviene, sono cittadini d’una capitale del lusso del Mediterraneo, e al tempo stesso sono turisti stranieri, sono eredi della multipla identità levantina, ma si sono già dati una ripulita, probabilmente vogliono apparire diversi dai più sfigati palestinesi, con cui sono forse imparentati. Insomma, quei ragazzi si trovano nella loro città, eppure hanno sconfinato. Questa fotografia ci ha mostrato la complessità di Beirut, ma noi non l’abbiamo compresa, perché la nostra lettura si basa su stereotipi semplificati (cioè su una forma di pulizia etnica applicata all’immagine)». Torniamo in cronaca. Oltre la World Press Photo of the Year, la fotografia dell’anno, le dieci categorie tematiche del World Press Photo sono scomposte
World Press Photo of the Year 2007: Tim Hetherington (Inghilterra), per Vanity Fair; Soldato americano a riposo nel bunker Restrepo, Korengal Valley, Afghanistan, 16 settembre [a pagina 34]. Spot News Singles: 1) John Moore (Usa), con Getty Images; 2) Bold Hungwe (Zimbabwe), Zimbabwe Independent; 3) Stephen Morrison (Canada), European Pressphoto Agency. Menzione d’onore) Emilio Morenatti (Spagna), The Associated Press. Spot News Stories: 1) John Moore (Usa), per Getty Images; 2) Roberto Schmidt (Colombia / Germania), Agence France-Presse [a pagina 34]; 3) Mike Kamber (Usa) The New York Times. General News Singles: 1) Balazs Gardi (Ungheria), VII Network; 2) Stanley Greene (Usa), Noor [a pagina 35]; 3) Takagi Tadatomo (Giappone). Menzione d’onore) Christoph Bangert (Germania), Laif. General News Stories: 1) Balazs Gardi (Ungheria), VII Network [a pagina 35]; 2) Tim Hetherington (Inghilterra), per Vanity Fair; 3) Cédric Gerbehaye (Belgio), Agence Vu. People in the News Singles: 1) Yonathan Weitzman (Israele) [a pagina 35]; 2) Carol Guzy (Usa), Washington Post; 3) Daniel Berehulak (Australia), Getty Images. People in the News Stories: 1) Philippe Dudouit (Svizzera), per Time Magazine [a pagina 34]; 2) Francesco Zizola (Italia), Noor per Internazionale; 3) Oded Balilty (Israele), The Associated Press. Sport Action Singles: 1) Ivaylo Velev (Bulgaria), Bul X Vision Photography Agency; 2) Frank Wechsel (Germania), Spomedis; 3) Miguel Lopes Barreira (Portogallo), Record. Sport Action Stories: 1) Tim Clayton (Australia), Sydney Morning Herald; 2) Fei Maohua, China, Xinhua News Agency; 3) Chris Detrick (Usa), The Salt Lake Tribune [a pagina 36]. Sport Features Singles: 1) Andrew Quilty (Australia), Oculi per Australian Financial Review Magazine [a pagina 36]; 2) Miguel Riopa (Spagna), Agence France-Presse; 3) Tomasz Gudzowaty e Judit Berekai (Polonia e Ungheria), Yours Gallery/Focus Fotoagentur.
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nella duplice indicazione di immagine singola (Singles) e reportage completo (Stories). Tutte le fotografie premiate e segnalate sono inserite nel volume-catalogo che accompagna la mostra itinerante, che all’inizio di maggio avvia il proprio cammino italiano con gli allestimenti alla Galleria Carla Sozzani di Milano e al Museo di Roma in Trastevere (a seguire altre sedi e date, fino all’appuntamento di fine anno al LuccaDigitalPhotoFest). Inoltre, tutte le fotografie sono pubblicate sul sito www.worldpressphoto.org, sul quale la galleria delle immagini premiate si estende alle selezioni complete delle Stories. Annotazioni complementari. Il canadese Paul Nicklen, di National Geographic Magazine, non manca mai nei reportage di natura: quest’anno è secondo e terzo premio nelle Nature Stories, nel cui ambito fu primo premio all’edizione scorsa. Quindi, registriamo la presenza di quattro fotografi italiani: Francesco Zizola (Noor per Internazionale), secondo premio People in the News Stories; Simona Ghizzoni (Agenzia Contrasto), terzo premio Portraits Singles; Stefano de Luigi (D La Repubblica delle Donne), secondo premio Arts and Entertainment Singles; Massimo Siragusa (ancora Agenzia Contrasto), secondo premio Arts and Entertainment Stories.
Sport Features Stories: 1) Erik Refner (Danimarca), Berlingske Tidende [a pagina 39]; 2) Erika Larsen (Usa), Redux Pictures per Field & Stream Magazine; 3) Travis Dove (Usa). Contemporary Issues Singles: 1) Brent Stirton (Sudafrica), con Getty Images per Newsweek [a pagina 37]; 2) Zsolt Szigetváry (Ungheria), MTI; 3) William Daniels (Francia), per Science & Vie. Contemporary Issues Stories: 1) Jean Revillard (Svizzera), Rezo.ch [a pagina 37]; 2) Lorena Ros (Spagna), per Fundació La Caixa; 3) Olivier Culmann (France), Tendance Floue per Le Journal, The Guardian e Esquire Russia. Daily Life Singles: 1) Justin Maxon (Usa), Aurora Photos [a pagina 39]; 2) Benjamin Lowy (Usa), VII Network; 3) Vladimir Vyatkin (Russia), Ria Novosti. Daily Life Stories: 1) Pieter ten Hoopen (Olanda), Agence Vu; 2) Carolyn Drake (Usa), Panos Pictures; 3) Christopher Anderson (Canada), Magnum Photos per National Geographic Magazine. Portraits Singles: 1) Platon (Inghilterra), per Time Magazine [a pagina 39]; 2) Chuck Close (Usa), New York Magazine; 3) Simona Ghizzoni (Italia), Agenzia Contrasto. Portraits Stories: 1) Vanessa Winship (Inghilterra), Agence Vu; 2) Benjamin Lowy (Usa), VII Network per The New York Times Magazine; 3) Lana Slezic (Canada), Panos Pictures. Arts and Entertainment Singles: 1) Ariana Lindquist (Usa); 2) Stefano de Luigi (Italia), D La Repubblica delle Donne; 3) Qi Xiaolong (Repubblica popolare cinese), Tianjin Daily. Arts and Entertainment Stories: 1) Rafal Milach (Polonia), Anzenberger Agency [a pagina 39]; 2) Massimo Siragusa (Italia), Agenzia Contrasto; 3) Cristina García Rodero (Spagna), Magnum Photos. Nature Singles: 1) Fang Qianhua (Repubblica popolare cinese), Nangfang Dushi Daily e Southern Metropolis Daily; 2) Jeff Hutchens (Usa), con Getty Images; 3) Damon Winter (Usa), per The New York Times. Nature Stories: David Liittschwager (Usa), National Geographic Images; 2) Paul Nicklen (Canada), National Geographic Magazine [a pagina 40]; 3) Paul Nicklen (Canada), National Geographic Magazine.
Primo premio Sports Features Stories: Erik Refner, Danimarca, Berlingske Tidende; Sul traguardo alla Maratona di Copenaghen, 18 maggio. Primo premio Portraits Singles: Platon, Inghilterra, per Time Magazine; Il presidente russo Vladimir Putin. (a sinistra, in alto) Primo premio Daily Life Singles: Justin Maxon, Usa, Aurora Photos; Mui, una senzatetto malata Aids, e suo figlio si lavano nel Red River, Hanoi, Vietnam. (a sinistra, in basso) Primo premio Arts and Entertainment Stories: Rafal Milach, Polonia, Anzenberger Agency; Artista di circo in pensione, Polonia.
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WORLD PRESS PHOTO IN FOTOgraphia
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ccompagnate da riflessioni diverse, e nel proprio insieme complementari tra loro, le aggiudicazioni del World Press Photo sono state commentate in diverse occasioni. In successione, riferendosi all’edizione dell’anno, su FOTOgraphia del giugno 1994, maggio 1996, maggio 1997, novembre 2000, giugno
2003, ottobre 2004, marzo 2005, maggio 2006 e aprile 2007. Quindi, nel febbraio 2006 abbiamo sintetizzato i primi cinquant’anni del premio, sul quale siamo tornati nell’aprile successivo, quando abbiamo presentato la monografia Things As They Are - Photojournalism in Context Since 1955 realizzata per l’oc-
Analizzando i primi cinquant’anni di World Press Photo, conteggiati dall’edizione originaria del 1955, in FOTOgraphia del febbraio 2006 abbiamo riunito le quarantasette fotografie vincitrici in quattro facciate centrali della rivista (il WPP non è stato assegnato nel 1959, 1961 e 1970).
Secondo premio Nature Stories: Paul Nicklen, Canada, National Geographic Magazine; Bracconaggio per impossessarsi del corno in avorio del narvalo, Nunavut, Canada.
(continua da pagina 37) ni e dibattiti. Per i dettagli: www.worldpressphoto.org. Immediatamente a seguire, vengono allestite mostre contemporanee con la selezione delle fotografie premiate. Il tradizionale doppio appuntamento simultaneo italiano è dal tre al venticinque maggio alla Galleria Sozzani di Milano e dal dieci maggio al Primo giugno al Museo di Roma in Trastevere. A seguire, a fine anno, la stessa mostra viene presentata anche nell’ambito del LuccaDigitalPhotoFest, dal quindici novembre all’otto dicembre (date provvisorie). Lello Piazza
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World Press Photo: Fotografia e giornalismo (le immagini premiate nel 2008). Catalogo pubblicato da Contrasto (www.contrasto.it). ❯ Galleria Carla Sozzani, corso Como 10, 20154 Milano; 02-653531, fax 02-29004080; www.galleriacarlasozzani.org, info@galleriacarlasozzani.com. Dal 3 al 25 maggio; lunedì 15,30-19,30, martedì-domenica 10,30-19,30, mercoledì e giovedì fino alle 21,00. A cura dell’Agenzia Grazia Neri. ❯ Museo di Roma in Trastevere, piazza Sant’Egidio 1b, 00153 Roma; 06-5813717; www.museodiromaintrastevere.it. Dal 10 maggio al Primo giugno; martedì-domenica 10,00-20,00. A cura dell’Agenzia Contrasto.
Tradizionale appuntamento di primavera, la Gior- A seguire, questo intervento redazionale di analisi della fenomenologia della fotografia a foro stenopeico nata Mondiale della Fotografia a Foro Stenopeico si completa con la presentazione di due azioni fotografiche conseguenti: (Worldwide Pinhole Photography Day) celebra la da pagina 48, Città senza tempo di Beppe Bolchi, e da pagina 52, Passeggiata ligure di Giuseppe Vitale. fantasia, la creatività, l’arte, il divertimento e l’ede di realizzare una fotografia con un qualsiasi sisperienza della fotografia senza obiettivo. Con stema a foro stenopeico/pinhole (ufficiale o autocostruito), per contribuire alla salute e conseguenl’occasione, oltre amare considerazioni di fondo, te continua diffusione di un procedimento fotografico storico, che prevede l’esposizione senza obietche prendono le distanze da coloro i quali svili- tivo di materiale sensibile oppure la sollecitazione, sempre senza obiettivo, di sensori digitali. scono lo spirito e la cultura della fotografia a foro Quindi, è prevista la combinazione con il sito destenopeico (e dei quali rileviamo l’assoluta incon- dicato www.pinholeday.org, sul quale verrà pubblicata una fotografia di ogni autore, che entrerà a far sistenza espressiva), segnaliamo una affascinan- parte della galleria internazionale web. te pubblicazione giapponese che nobilita l’intelli- RIFLESSIONE si è occupata di foro stenopeico in digenza e la profondità della fotografia senza obiet- FOTOgraphia verse occasioni, sia analizzandone il linguaggio, sia commentando apparecchi fotografici e sistemi fitivo, addirittura anche in forma stereo e panorama nalizzati, sia riferendo esperienze pratiche (riquaomenica ventisette aprile è la Giornata Mondiale della Fotografia a Foro Stenopeico: l’ottava, dall’edizione di partenza del 2001. Il Worldwide Pinhole Photography Day è promosso a livello internazionale ed è aperto a tutti quanti ne vogliano far parte. Nei diversi fusi orari della Terra, è una Giornata Mondiale che celebra la fantasia, la creatività, l’arte, il divertimento e l’esperienza della fotografia senza obiettivo. In forma autonoma, oltre che spontanea, gli autori e gli appassionati sono invitati a una partecipazione attiva, oltre le specifiche iniziative a tema che vengono organizzate e svolte da associazioni e organizzazioni. Si chie-
D Quattordicesimo titolo della collana giapponese Otona no Kagaku (scienza per adulti), dell’editore Gakken (www.gakken.co.jp e www.hlj.com), Stereo Pinhole Camera si completa con un kit di montaggio per la confezione di un apparecchio fotografico in plastica per comune pellicola 35mm, dotato di tre fori stenopeici: appunto per fotografie stereo, panorama o tradizionali 24x36mm. Fascicolo di presentazione (rigorosamente in giapponese) e scatola di montaggio: 29,99 dollari, più spese di spedizione.
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dro a pagina 46). A questo punto, con l’occasione dell’imminente Wppd 2008, domenica ventisette aprile, si impone una considerazione a monte, che non possiamo evitare. Spesso svilito a solo giochino fine a se stesso, altrettanto frequentemente adottato da fotografi privi di talento e capacità, alla spasmodica ricerca di una personalità creativa mai meritata, applicato alla ripresa (ed espressività), il foro stenopeico è una costante che ha attraversato indenne i decenni e le tecnologie, tanto da essere anche abbina-
INTELLIGENZA STENOPEICA (E DINTORNI) bile (e abbinato) agli attuali e futuribili sensori ad acquisizione digitale di immagini: ne riferiamo da pagina 52, presentando una serie fotografica che Giuseppe Vitale ha realizzato con Leica M8. Ciò detto, rimane solo lo sconforto, un certo sconforto, per le frequentazioni di quei fotografi che approdano all’uso del foro stenopeico (pinhole) come ultima spiaggia di controversi e contraddittori percorsi individuali, totalmente privi della minima coscienza e coerenza espressiva. Così che, in molti casi, che abbiamo anche avvicinato e incontrato
personalmente, si finisce per confondere i termini del discorso creativo: la nobiltà del foro stenopeico diventa alibi dietro il quale celare l’assoluta assenza di valori, intenzioni e capacità. Per fortuna, in contraltare, ancora ai nostri giorni, soprattutto ai nostri giorni (pare incredibile, ma è così), la fotografia a foro stenopeico impegna di nuovo eccellenti autori, che declinano con intelligenza la profondità culturale dell’esposizione senza obiettivo. In questo senso non è il caso di richiamare esperienze intenzionalmente artistiche (a partire dall’italiano Paolo Gioli, la cui creatività è al di sopra di ogni sospetto); e neppure torniamo all’azione dell’affascinante Camera Obscura di Abe-
Esempi di fotografie riprese con l’apparecchio (pluri)stenopeico in plastica, assemblato dal kit di montaggio del fascicolo Stereo Pinhole Camera di Otona no Kagaku: coppie stereo (con visore in cartone e accelerazione panorama).
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WPPD 2008 omenica ventisette aprile è la Giornata Mondiale della FoDholetografia a Foro Stenopeico: ufficialmente, Worldwide PinPhotography Day, arrivato all’ottava edizione. L’evento è
Oltre i richiami storici, con certificazione dell’invenzione attribuita a Louis Jacques Mandé Daguerre (che inseriamo qui, recuperandolo dalle pagine storiche), soprattutto riferiti alla fotografia stereo, panorama e a foro stenopeico, il fascicolo Otona no Kagaku comprende una serie di lezioni tecniche. Lezione uno: l’azione del foro stenopeico.
Ancora. Lezione due: la visione panorama (accelerazione compositiva volontaria e consapevole).
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lardo Morell, della quale abbiamo dettagliatamente riferito in FOTOgraphia del luglio 2006. Però, è doveroso sottolineare il valore di coloro i quali agiscono con il foro stenopeico per realizzare immagini fotografiche con alto senso visivo: immagini che si affermano e impongono per la propria indiscussa espressività, che scarta a lato la forma (per quanto indispensabile e qui applicata con ricercata volontarietà), per portare in primo piano i contenuti. Ed è il caso, tra i tanti, dei bravi Beppe Bolchi, che incontriamo da pagina 48, e Giuseppe Vitale, già evocato, in passerella da pagina 52. Allo stesso momento, la magia del foro stenopeico, che forma immagini proiettate di straordinario fascino, conferma ancora indiscutibili doti didattiche. Perfino ai nostri odierni tempi tecnologici, caratterizzati e definiti da esuberanti compagnie della vita quotidiana, l’azione primitiva del foro stenopeico coinvolge e seduce in quegli incontri sull’educazione all’immagine, magari finalizzati alla sua consapevolezza, che si rivolgono ad ascoltatori in età scolare. Per un attimo, che si fissa indelebilmente nel cuore e animo di ciascuno, dove rimarrà custodito per sempre, pronto a tornare in superficie per evocare vibranti emozioni, la proiezione del foro stenopeico, così come la creazione di una immagine fotografica (chimica o digitale, poco conta), surclassa tutto. Non ci sono più te-
promosso a livello internazionale ed è aperto a tutti quanti ne vogliano far parte. Nei diversi fusi orari della Terra, una Giornata Mondiale che celebra la fantasia, la creatività, l’arte, il divertimento e l’esperienza della fotografia senza obiettivo. Per la ripresa delle fotografie stenopeiche si possono utilizzare apparecchi autonomi, ricavati di materiale comune, quali scatole, lattine o altro, oppure configurazioni finalizzate e, in qualche misura, ufficiali. Registriamo che la fotografia a foro stenopeico è particolarmente seguita nel mondo dell’espressione creativa e arbitraria. All’origine del Wppd, nel 2001, aderirono duecentonovantuno autori, da ventiquattro nazioni. Lo scorso 2007, alla settima edizione (FOTOgraphia, marzo 2007), sono state inviate duemilanovecentoquarantatré immagini, raccolte e presentate nella Galleria online, distribuita su centoquarantotto pagine. Il Worldwide Pinhole Photography Day si deve all’impegno spontaneo di volontari, coordinati da un gruppo internazionale di gestione composto da Tom Miller (Usa; Team leader), Stefano Piva (Italia), Nick Dvoracek (Usa), Chuck Flagg (Usa), Gregg Kemp (Usa), Wolfgang Thoma (Belgio) e Jason Schlauch (Usa). Informazioni e il programma completo dell’evento dal sito dedicato www.pinholeday.org, aggiornato costantemente.
lefonini portatili, lettori di musica, effetti speciali e programmi televisivi senza soluzione di continuità: c’è solo “la natura che si fa pittrice di sé medesima” (espressione presa a prestito da evocazioni antiche, dell’epoca nella quale alcuni pionieri sperimentavano le strade chimiche della formazione automatica di immagini: che poi avremmo definito “fotografia”).
DAL GIAPPONE Tanto è vero che la collana giapponese Otona no Kagaku (scienza per adulti) ha dedicato un proprio kit alla fotografia pinhole: appunto, foro stenopeico. Per il vero, il quattordicesimo volume di una serie che spazia attraverso avvincenti esperienze scientifiche da realizzare in proprio non si limita a questo, ma abbraccia un ampio scenario della fotografia arbitraria: stereo, pinhole e panorama. Volendolo fare, oltre questa iniziativa, si potrebbero menzionare analoghe proposte di editori internazionali, soprattutto statunitensi e giapponesi (ancora) analogamente declinate: tutte riferite alla creatività scientifica ed estetica della fotografia senza obiettivo. Ma non è il caso di allargarsi; quindi, rimaniamo su e con questa sola segnalazione. La collana Otona no Kagaku è realizzata dalla casa editrice giapponese Gakken (www.gakken.co.jp e www.hlj.com). Come appena annotato, ogni kit affronta un tema scientifico: fascicolo di presentazione (rigorosamente in giapponese) e scatola di montaggio (29,99 dollari, più spese di spedizione: nell’ordine di ventuno euro per l’Italia). Nello specifico del quattordicesimo titolo Stereo Pinhole Camera, al quale ci riferiamo e che presen-
Sempre didattica. Lezione tre: la profonditĂ visiva (tridimensionale) della fotografia stereo, ripresa anche nella conseguente lezione cinque.
Lezione quattro: esempi di efficaci fotografie stereo, la cui restituzione tridimensionale si basa sulla inquadratura con piani prospettici in sequenza, opportunamente distanziati.
tiamo in estratto in queste pagine, il kit di montaggio approda alla confezione di un apparecchio fotografico in plastica per comune pellicola 35mm, dotato di tre fori stenopeici. Alternativamente, agendo con un commutatore frontale, che inserisce e disinserisce un divisorio interno, si possono esporre fotogrammi accoppiati stereo circa 24x36mm ciascuno (con i due fori stenopeici laterali, opportunamente distanziati), oppure inquadrature panorama 24x72mm (con il foro stenopeico centrale). Ovviamente, per la restituzione stereo, il kit comprende anche un apposito visore in cartone. Terza possibilitĂ , la fotografia circa 24x36mm: lasciando
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FORO STENOPEICO IN FOTOgraphia
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Dal fascicolo Otona no Kagaku dedicato a Stereo Pinhole Camera, proditoria trasposizione tridimensionale di tre celebri dipinti (a titolo di esempio): La lattaia di Johannes Vermeer (1658-1660), L’urlo di Evard Munch ( Der Schrei der Natur / Il grido della natura; 1893) e Nana di Edouard Manet (1877). Sempre e ancora dal quattordicesimo fascicolo Otona no Kagaku visualizzazione di coppie di fotografie stereo giapponesi dell’inizio del Novecento.
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iversi gli interventi redazionali che nel corso del tempo abbiamo dedicato alla fotografia a foro stenopeico (pinhole): ovvero alla fotografia senza obiettivo. Ricordiamoli, in ordine cronologico, senza peraltro richiamare le segnalazioni in forma di notizia di mostre, monografie, testi tecnici e contorni. ❯ Senza obiettivo (maggio 1997): presentazione del foro stenopeico Avenon Pinhole Air Lens in montatura per apparecchi a telemetro Leica a vite 39x1 e baionetta M, e collegato approfondimento dell’affascinante materia. Dai princìpi alle considerazioni di fondo, a citazioni onorevoli e autorevoli di un argomento fotografico di grande valore estetico e concettuale. ❯ Ritorno alle origini (giugno 1998): Finney Field 4x5 pollici, folding in legno a foro stenopeico con allungamento variabile per le “lunghezze focali” 40, 75, 150 e 200mm sul grande formato fotografico (distribuzione Bogen Imaging). Passerella tecnica in equilibrio tra annotazioni teoriche e concentrati esempi visivi, con sconfinamento ad altre configurazioni grande formato, dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, e segnalazioni di autori. ❯ Una volta ancora: senza obiettivo! (luglio 1998): fori stenopeici Finney Body Cap per reflex 35mm Canon e Nikon e telemetro Leica M (che si aggiungono all’interpretazione Avenon Pinhole Air Lens, appena ricordata). ❯ Improvvisazioni stenopeiche (ottobre 1998): soluzioni improvvisate, ricavate da scatole e lattine vuote, forate e “caricate” con carta sensibile. Testimonianza di lavori fotografici di bambini in età scolare, coinvolti e motivati da Noris Lazzarini,
che successivamente ha dato vita al Ludobus itinerante Laboratori FotoINscatola (www.fotoinscatola.it). ❯ Camera Obscura (aprile 2002): colta fotografia a foro stenopeico, che dalla Biennale ungherese di Esztergon si è proiettata nell’appuntamento italiano di Camera Soave, nella provincia di Verona. Esperienza visiva, estetica e concettuale di autori che danno qualcosa di più, oltre che di diverso e profondo. Espressività di riti antichi e ritmi del passato, che si trasformano in segni e tracce di vita, anche solo fotografica. ❯ A parlare di fotografia (luglio 2006): un progetto di Abelardo Morell, autore di profonda cultura e ispirazione espressiva fuori dall’ordinario, è preso a esempio e pretesto per riflessioni sul concetto di personalità della fotografia contemporanea. La serie Camera Obscura riunisce e raccoglie fotografie che Abelardo Morell realizza allestendo scenografie stenopeiche. ❯ Una volta ancora, senza obiettivo (marzo 2007): anticipazione del Wppd 2007, con esplicito riferimento a una edizione speciale del periodico statunitense Pinhole Journal, dedicato a Elvis Presley (dell’agosto 1993). Il Pinhole Journal è il trimestrale (circa) della associazione statunitense Pinhole Resource (Star Route 15, Box 1355, San Lorenzo, NM 88041, Usa; 001-505-5369942; www.pinholeresource.com), forse la più attenta sulla materia. Infine, ricordiamo il titolo di Vincenzo Marzocchini La fotografia stenopeica, del 2004 (in FOTOgraphia dell’aprile 2004) e la riflessione La lentezza stenopeica, dello stesso Vincenzo Marzocchini, riportata in FOTOgraphia del successivo giugno 2004.
inserito il divisore stereo e avvicendando i due fori stenopeici laterali, prima uno e poi l’altro, indipendentemente uno dall’altro.
co sia comunque base ideologica per frequentazioni fotografiche che soddisfino/soddisfano soprattutto l’applicazione individuale, esterna ed estranea a ogni possibile condizionamento tecnologico. In questo senso, nell’autentico spirito dell’applicazione creativa si tratta di un luminoso esempio di intelligenza personale che scarta a lato, gettandole a mare, quelle presunzioni cui abbiamo accennato in precedenza. Qui non c’è un «giochino fine a se stesso, frequentemente adottato da fotografi privi di talento e capacità, alla spasmodica ricerca di una personalità creativa mai meritata». Dunque, non proviamo «lo sconforto per le frequentazioni di quei fotografi che approdano all’uso del foro stenopeico come ultima spiaggia di controversi e contraddittori percorsi individuali, totalmente privi della minima coscienza e coerenza espressiva». All’esatto contrario: siamo fermamente convinti che si tratti di una espressione ed espressività di fotografia autentica e convinta. Tanto che confermiamo una nostra opinione, che ha attraversato ogni nostro commento alla fotografia senza obiettivo. Ancora oggi, in un’epoca tecnologicamente travagliata (dobbiamo riconoscerlo) siamo fermamente convinti che oltre le necessità biologiche della vita quotidiana, ci deve pur essere qualcosa di più. Antonio Bordoni (Il kit Stereo Pinhole Camera della collana scientifica giapponese Otona no Kagaku è stato individuato e recuperato da Ciro Rebuzzini)
PER CUI! A parte i valori concreti della combinazione Stereo Pinhole Camera della collana scientifica giapponese Otona no Kagaku, che -volendolo fare- ognuno può approfondire in proprio, annotiamo e registriamo come la semplificazione strumentale del foro stenopei-
ANNA BOLCHI
Paesaggio urbano attraverso la fotografia a foro stenopeico. Progetto di Beppe Bolchi che affonda le proprie radici ideologiche e culturali indietro nel tempo, arrivando addirittura ai primi istanti della fotografia (citazione d’obbligo per il gentiluomo fermo dal lustrascarpe, che Louis Jacques Mandé Daguerre fotografò nel 1838: prima presenza umana in fotografia). Immagini che accostano la fissità dei luoghi e delle architetture con la traccia del passaggio di persone. Percezione della loro presenza, ma non la loro figura
Beppe Bolchi fotografa con un apparecchio a foro stenopeico autocostruito, con dorso portapellicola per filmpack Polaroid 665, bianconero con negativo. Questo backstage newyorkese visualizza la versione PH BB 02 (PinHole Beppe Bolchi), alla quale è seguita una configurazione successiva PH BB 03 con focale 85mm e foro stenopeico decentrabile di 0,3mm di diametro.
ittà senza tempo. La città rappresentata in questo modo restituisce la valenza di case, edifici, arredi, quasi fini a se stessi, pur se disegnati e realizzati in funzione dell’uomo. Quasi una rivincita: con i propri tempi di posa lunghi (allungati), con le proprie visioni pensate e non rubate, l’antica tecnica del foro stenopeico fa in modo che sia la città stessa a entrare nell’immagine, a specchiarsi, ad aprirsi e rappresentarsi nella propria realtà, semplice o complessa, piacevole o meno bella, con prospettive assolutamente naturali, non falsate da obiettivi che codificano, stringono, allargano e quindi -in qualche misura- alterano i luoghi stessi. Gli abitanti, le persone, gli animali sono solo fantasmi, tracce di un passaggio che c’è oggi e che c’era ieri e ci auguriamo ci sarà domani. Quello che viene impressionato stabilmente sulla pellicola sono invece le architettura che l’uomo ha costruito e che l’uomo può sì distruggere, ma che per il solito gli sopravvivono, testimoni di vite presenti e passate, contenitori di esistenze, di passioni, di dolori, di entusiasmi che via via si dissolvono, lasciando il posto ai ricordi e alla storia. La città rimane in silenzio, ascolta, avvolge, protegge, a volte schiaccia e stritola chi non riesce ad adeguarsi ai ritmi imposti dai suoi simili, non certo da mura e cancelli erti per proteggere e conservare.
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KÖLN (GERMANIA)
BOSTON, MASSACHUSETTS (USA)
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C I T T À S E N Z A T E M P O
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GLASGOW (SCOZIA) NEW YORK (USA)
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Pur non restituendo i minimi dettagli consentiti dagli obiettivi sempre più tecnologici, la fotografia a foro stenopeico riesce nell’intento di rendere l’atmosfera, unitamente a una assoluta leggibilità dei luoghi; una visione quasi onirica, ma comunque reale, che pur scatenando approcci creativi diversificati, riesce sempre a rendere efficacemente la realtà, offrendo nuovi spunti di visione e analisi. Il percorso di questo progetto si snoda attraverso nazioni e città diverse tra loro, accomunate, però, dalla notazione autobiografica. Infatti, si tratta di un viaggio a ritroso nel tempo, rivisitando i luoghi più cari o che in qualche modo hanno segnato la mia vita. Luoghi in cui ho trascorso istanti o anni, però tutti significativi del percorso stesso della mia esperienza, dei successi, delle difficoltà, delle sfide. Un tragitto che non è ancora terminato, e quindi è in qualche modo un workin-progress, seppur già celebrativo di cinquanta anni trascorsi a stretto contatto con la Fotografia, dalla prima Bencini agli attuali apparecchi digitali. Italia, Germania, Inghilterra, Stati Uniti, Francia, Scozia, un viaggio nel mondo Occidentale pilotato dalle esperienze familiari e professionali che sono sempre diventate anche esperienze di vita. Non solo architetture, ma luoghi, quelli frequentati nel tempo e ricordati come punti di riferimento. Dove sono nato, dove sono cresciuto, dove ho studiato e lavorato, dove ho conosciuto e incontrato gli amici, dove ho formato una famiglia. Luoghi legati alla memoria intrinseca, che sono sì parte della città, ma sono soprattutto elementi del mio vissuto che non voglio di-
VENEZIA PRAGA (REPUBBLICA CECA)
menticare; anzi, che intendo far rivivere, quasi eternare. Una biografia per immagini, raccontata con la genuinità e spontaneità di un mezzo antico come l’originaria camera obscura (o quasi) e il foro stenopeico, riprodotta su un supporto altamente tecnologico, come le pellicole polaroid a sviluppo immediato, attraverso un negativo che ne raccoglie e tramanda i dettagli. Dovuta alla tecnica di ripresa, la morbidezza delle immagini ben si presta a rappresentare la memoria; l’assenza del colore, pur nelle pastose tonalità dei grigi, restituisce questi ricordi senza altre emozioni, fermando il tempo e, allo stesso momento, rappresentandolo pienamente con le lunghe pose necessarie per impressionare propriamente la pellicola. Il movimento e la vita scorrono ugualmente in queste immagini; anzi, ne sono incorporati. E proprio queste immagini diventano contenitori degli attimi, dei giorni, degli anni trascorsi. In alcuni casi la situazione è diversa, le case e gli edifici sono stati ristrutturati o hanno addirittura cambiato destinazione, ma questo non modifica il loro significato all’interno di questo percorso. In altri casi, la documentazione si è estesa, a rappresentare più compiutamente la città nelle proprie caratteristiche intrinseche, diventando come un progetto a latere, stimolato da una matrice comune, ma autonomo per il tentativo di restituire il tempo a luoghi più ampiamente conosciuti e riconoscibili, seppur filtrati dalla stessa esperienza e rappresentati con la stessa tecnica. Beppe Bolchi
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JACOPO VITALE
Fotografo non professionista di sostanzioso impegno, Giuseppe Vitale rivela una concentrata attenzione per la mediazione fotografica. La sua personalità espressiva si allinea con quella scuola di pensiero che ha fatto tesoro e linguaggio dell’apparecchio a telemetro, nello specifico Leica: che da un lato facilita il contatto con il soggetto e dall’altro fornisce una necessaria distanza. Nelle sue mani, come in quelle di molti autori celebrati, la macchina fotografica gli permette di introdursi in mondi altrimenti impenetrabili. Entro i quali agisce e opera come autentico protagonista. È anche il caso, eccoci!, della combinazione, tecnologicamente stravolta (ma non è proprio così), della Leica M8 digitale con foro stenopeico Avenon Pinhole Air Lens
Come ampiamente commentato, la passeggiata ligure di Giuseppe Vitale è stata realizzata con il foro stenopeico Avenon Pinhole Air Lens su Leica M8 digitale: inquadratura della focale equivalente 37mm con diaframma f/180. A partire da questo pretesto tecnico, presto scavalcato e messo a lato, le immagini realizzate risvegliano un confortante senso di visione e rappresentazione senza tempo. Nella propria controllata partecipazione, le fotografie (stenopeiche) di Giuseppe Vitale sottolineano come e quanto valga la pena ricordare, dal momento che l’anima e l’emozione possono spesso trasformare in realtà antichi sogni.
entezza di esecuzione e concentrazione di pensiero. Questa è la filosofia implicita nell’applicazione attuale della fotografia a foro stenopeico (pinhole), così lontana e distante dalla frenesia di gesti tecnologicamente imposti. C’è un che di filosofia Zen, in tutto questo, con ciò che comporta e implica il rapporto diretto e lineare con il soggetto e la ritualità della sua rappresentazione fotografica. Tanto che, in comunione di intenti, abbiamo sollecitato Giuseppe Vitale, abile interprete del-
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PASSEGGIATA LIGURE la contemporaneità (ricordiamo il suo resoconto fotografico da una Tattoo Convention, pubblicato in FOTOgraphia del luglio 2004), ad abbinare la staticità caratteristica del foro stenopeico Avenon Pinhole Air Lens con l’esuberanza tecnologica della Leica M8 digitale (e su questa combinazione riflettiamo in un apposito riquadro, pubblicato a pagina 54). Così che, in volontaria consecuzione tecnica sostanzialmente stravolta (ma non è proprio così), la fotografia senza obiettivo di Giuseppe Vitale conferma e ribadisce la forza e capacità di risvegliare sempre e comunque un confortante senso di visioni e rappresentazioni senza tempo, slegate persino dai più tradizionali confini spaziali e formali della fotografia. Con la Leica M8 stenopeica, usata a mano libera (a una sensibilità Iso equivalente opportunamente alta, che consente la combinazione con tempi di otturazione frequentabili), in una passeggiata ligure l’autore ha realizzato evocazioni che nelle indefinizioni volontarie e caratteristiche dei propri toni e cromatismi stenopeici rappresentano una parteci-
pazione viva al soggetto (di pretesto): da sua, la passeggiata diventa anche nostra, di noi osservatori delle fotografie. Tanto che, forma del contenuto, non è più il caso di richiamare ancora la mediazione fotografica, appunto foro stenopeico in configurazione digitale, per sottolineare soltanto l’adesione individuale alle immagini. Per questo, oltre l’evento tecnico allestito in complicità, è opportuno riflettere sulla sostanza della questione.
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venon Pinhole Air Lens e digitale Leica M8 a telemetro: i valori tecnici di queste due componenti sono presto riassunti. Per quanto la visione attraverso il foro stenopeico stia all’origine della formazione delle immagini, la pomposa definizione di Pinhole Air Lens (ammettiamolo, “pomposa”), del costruttore giapponese Avenon, intende nobilitarlo, come se avesse bisogno di questi sotterfugi: comunque, il pinhole/foro stenopeico diventa “obiettivo ad aria”. Nei fatti si tratta di un foro stenopeico fissato su una montatura rigida, disponibile in baionetta Leica M e vite Leica 39x1 (FOTOgraphia, maggio 1997). Sul tiraggio di circa 27,8mm del corpo macchina Leica M, il foro stenopeico Avenon Pinhole Air Lens crea una combinazione “ottica” paragonabile alla visione dell’analogo grandangolare 28mm, che equivale all’inquadratura 37mm sul sensore digitale 18x27mm della Leica M8 (fattore di moltiplicazione 1,33x). In base alla stessa valutazione focale, determinata dal tiraggio al piano focale, il diametro 0,16mm del foro stenopeico Avenon Pinhole Air Lens corrisponde a una apertura del diaframma f/180, che va considerato per le valutazioni di corretta esposizione (cinque stop più chiuso di f/32, sei stop più chiuso di f/22, sette stop più chiuso di f/16, otto stop più chiuso di f/11). E la qualità della ripresa? Contrariamente a quanto si potrebbe credere, il foro stenopeico ben realizzato e ben calcolato non produce necessariamente immagini tragiche. Per quanto
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non voglia essere paragonato agli obiettivi in vetro, rispetto ai quali è pure penalizzato da tempi di esposizione esponenzialmente prolungati, è pur sempre un elemento tecnico da non sottovalutare: come dimostra l’evocazione visiva (onirica?) delle fotografie realizzate da Giuseppe Vitale. Quindi, la Leica M8 ad acquisizione digitale di immagini, con sensore da 10,3 Megapixel, è un apparecchio a telemetro che conferma e replica tutte le caratteristiche fondamentali della propria architettura classica (analogica o argentica), che ha contribuito a scrivere fantastici capitoli nella storia evolutiva del linguaggio fotografico, a partire dal reportage (FOTOgraphia, ottobre 2006). In particolare, si sottolinea ancora e sempre il design compatto ed ergonomico (inviolato, tanto che la M8 rivela la propria configurazione digitale soltanto per la presenza dell’ampio display LCD sul dorso; di fronte è una Leica M come le precedenti), l’elevata qualità di immagine, assicurata dagli obiettivi Leica M (che oggi scartiamo a lato), e l’esclusiva modalità di composizione delle inquadrature, resa possibile dall’efficace mirino Leica. Proiettata in standard fotografico professionale, la Leica M8 digitale impiega un sensore CCD di acquisizione dal rumore particolarmente contenuto, con una sensibilità base di 160 Iso equivalenti. La massima sensibilità raggiungibile, fino a 2500 Iso equivalenti, la rende ideale per la fotografia in luce ambiente, una delle prerogative e caratteristiche che hanno sempre identificato l’uso degli apparecchi a telemetro Leica M.
LUCA VENTURA
STENOPEICO SU LEICA M8
In un’epoca nella quale produrre “buone” fotografie inutili è più che facile, scontato addirittura, l’autentica immagine fotografica dovrebbe andare oltre, fino a occuparsi della propria sostanza: del proprio Tempo, Spazio, Anima e ancora altro. In questo senso, la passeggiata ligure di Giuseppe Vitale (la nostra passeggiata ligure: o a dove altro vogliamo riferirla) rivela uno spessore che scavalca il pretesto originario, fino a delineare un insieme visivo al quale ciascuno di noi può attingere, in un viaggio di continua andata-e-ritorno. La questione fotografica è sempre proprio questa. Viviamo e pensiamo per quanto le nostre esperienze si integrano a quelle altrui, per quanto le esperienze altrui arricchiscono le nostre. Del resto, nello svolgimento quotidiano delle esistenze individuali, se non fosse intrapreso per ragioni umane e con comprensione e amore, qualsiasi viaggio nella vita sarebbe un viaggio assolutamente inutile. Nella propria controllata partecipazione, queste fotografie (stenopeiche) di Giuseppe Vitale sottolineano come e quanto valga la pena ricordare, dal momento che l’anima e l’emozione possono spesso trasformare in realtà antichi sogni. La fonte dell’arte è quella stessa fonte che alimenta la Vita e l’evoluzione dell’esistenza. Così facendo, alimenta anche la nostra immaginazione e i sogni di tutti noi. Lo scrittore Hanif Kureishi ha puntualizzato che «Se vivere è un’arte, è un’arte strana, che dovrebbe comprendere tutto, e in particolare un forte piacere. La sua forma evoluta dovrebbe comprendere un numero di qualità fuse insieme: intelligenza, fascino, fortuna, virtù, nonché saggezza, gusto, co-
STENOPEICO DIGITALE aradossalmente, ma neppure poi tanto, l’acquisizione digitale di immagini Pne digitale dà senso compiuto alla fotografia a foro stenopeico. Proprio la consecuziooffre un file finito e compiuto, che non richiede ulteriori trasformazioni, se non quelle consuete di gestione in postproduzione della scala tonale e dei contrasti, in relazione alle esigenze e necessità della stampa su carta, piuttosto che della riproduzione litografica. Se vogliamo vedere e considerare la questione in questo modo, a differenza della stampa chimica su carta fotosensibile, con ingrandimento ottico del negativo stenopeico, il processo digitale è diretto e non prevarica i valori originari del file stenopeico, semplicemente trasportato in una propria altra dimensione condivisibile. Comunque, va rilevato che il diaframma particolarmente chiuso del foro stenopeico non perdona: rivela impietosamente ogni minimo imperfezione del sensore, registrando sul file immagine ogni granello di polvere involontariamente depositato. Oltre gli interventi cromatici e tonali, queste imperfezioni impongono una pulizia dell’immagine in postproduzione, per rimuovere gli sporchi estranei al soggetto. Comunque, è questione che si risolve presto e semplicemente.
noscenza, comprensione, oltre all’accettazione del fatto che l’angoscia e il conflitto fanno parte della vita. [...] Le persone di cui penso che vivano con talento sono quelle che hanno vite libere, che formulano grandi schemi e li vedono realizzati. E loro sono anche la migliore compagnia». In compagnia della passeggiata ligure di Giuseppe Vitale, in forma stenopeica. Maurizio Rebuzzini
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al centro
della fotografia
tra attrezzature, immagini e opinioni. nostre e vostre.
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atalogo all’omonima mostra allestita presso il Museo Carlo Biliotti, Arancieria di Villa Borghese, a Roma, fino alla fine dello scorso gennaio, la monografia Movie Stars raccoglie cinquanta ritratti di personaggi del cinema statunitense, fotografati dal bravo Timothy GreenfieldSanders. Sul suo occhio discreto, così l’abbiamo identificato, ci siamo già soffermati nel novembre 2005, in occasione della precedente raccolta italiana Face to Face. Ritratti scelti 1977-2005, pubblicata da Skira, editore anche della più recente selezione, che stiamo per commentare. Come già riferito nel precedente intervento redazionale, appena ricordato, Timothy Greenfield-San-
ders è solito fotografare in sala di posa con un antico apparecchio in legno da terrazza: una Fulmer & Schwing del 1905, utilizzata al proprio pieno formato 11x14 pollici, piuttosto che con dorso riduttore 8x10 pollici (rispettivamente 28x35 e 20x25cm). Dopo di che, come rivelano i bordi caratteristici della particolare emulsione, non mancano sessioni fotografiche in polaroid 50x60cm, ovvero 20x24 pollici nella definizione originaria. Attenzione: esulano da questi valori, maturati dal 1978, quando Timothy Greenfield-Sanders ha comperato la Fulmer & Schwing per cinquanta dollari, alcuni ritratti precedenti (e immediatamente seguenti), tra i quali citiamo quello del regista Orson Welles, del 1979 (scattato in negativo bianconero 24x36mm;
Orson Welles, regista; 1979 (negativo bianconero 24x36mm).
Selezione di protagonisti del cinema statunitense, dall’ampia quantità di ritratti di personaggi pubblici fotografati dall’attento Timothy Greenfield-Sanders, soprattutto nei mondi (separati) della cultura e dello spettacolo. Con testi di approfondimento, il volume-catalogo Movie Stars sopravvive all’esposizione romana degli originali fotografici, allestita sull’onda lunga della seconda edizione della Festa Internazionale del Cinema. L’affascinante monografia compone la lezione di un ritratto posato, che una volta ancora è chiave di identificazione della raffigurazione (del soggetto) che diventa sua convinta rappresentazione
VOLTI DEL CINEMA
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Tom Hanks, attore; 1995 (fotocolor 8x10 pollici).
(pagina accanto) Sidney Poitier, attore; 1998 (negativo bianconero 11x14 pollici). Rose McGowan, attrice; 1999 (polacolor 20x24 pollici).
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qui sotto). L’annotazione tecnica non è certamente fine a se stessa, come mai lo sono questo tipo di rilevazioni che accompagnano le nostre osservazioni. Dallo strumento al proprio linguaggio indotto, l’approccio di Timothy Greenfield-Sanders identifica giusto una concentrazione fotografica che scarta immediatamente a lato, addirittura esclude, qualsiasi ipotesi di istantaneità, che definisce altri aspetti del linguaggio fotografico, per scoprire una fotografia a lungo meditata, composta con cura e realizzata con l’inviolabile partecipazione del soggetto. Addirittura, con la sua volontaria complicità: tanto serve per la posa fotografica con i tempi e modi dilatati dell’inquadratura e composizione sul vetro smerigliato di grandi dimensioni (e il conseguente rito dello châssis portapellicola o del pro-
cedimento polaroid a sviluppo immediato). Così che, anche e ancora questa attuale selezione Movie Stars, i cui soggetti sono peraltro inclusi anche nella precedente monografia italiana Face to Face. Ritratti scelti 1977-2005 e in altre raccolte, conferma -ribadendolo- un filo conduttore impercettibile e vivo, che lega le rappresentazioni alla propria filosofia espressiva: volti e figure di personaggi del cinema, composti con una sorta di volontario immobilismo (apparente). Sottolineiamolo: è lo stile di Timothy Greenfield-Sanders, classe 1952. I soggetti rappresentano se stessi, in ritratti che si riconducono all’antico sapore delle pose ottocentesche. Allora condizionate dai tempi di esposizione allungati dei processi fotografici originari, che imponevano la fissità davanti all’obiettivo, queste collocazioni non sarebbero oggi necessarie. Dunque,
WHO’S WHO
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elezionati dalla vasta produzione fotografica di Timothy Greenfield-Sanders, cinquanta ritratti di personaggi del cinema statunitense sono stati allestiti nella mostra Movie Stars, a cura di Gianni Mercurio, presentata al Museo Carlo Biliotti, Arancieria di Villa Borghese, a Roma, fino alla fine dello scorso gennaio. Per l’occasione è stato pubblicato un volume-catalogo omonimo, edito da Skira, che tre anni fa realizzò la monografia più completa di Timothy Greenfield-Sanders Face to Face. Ritratti scelti 1977-2005. Oltre la proposizione dei cinquanta soggetti (in realtà quarantasette), che elenchiamo più avanti, l’attuale edizione libraria si completa con approfonditi testi introduttivi, in italiano e inglese: di Gianni Mercurio, del critico d’arte Demetrio Paparoni e Alec Baldwin (l’attore, uno dei soggetti). Quindi, ripetendo una impostazione redazionale che ha già caratterizzato la precedente raccolta, appena ricordata, segnaliamo due conversazioni dell’autore fotografo: una con lo storico dell’arte Robert Rosenblum e l’altra con l’attrice Rachel Weisz e il regista Darren Aronofsky. Nel dettaglio, Movie Stars comprende ritratti di trentasette attori (uno in tre immagini e un’altra in due) e dieci registi statunitensi. ❯ Gli attori: Alec Baldwin (1999), Matthew Broderick (2005), Steve Buscemi (1995), Glenn Close (1999), James Cromwell (1998), Alan Cumming (2004), Jamie Lee Curtis (2006), Claire Danes (2006), Matt Dil-
lon (1995), Farrah Fawcett (1989), Jodie Foster (1989), James Gandolfini (2006), Valeria Golino (1991), Adrian Grenier (1999), Tom Hanks (1995), Marcia Gay Harden (2006), Anne Hathaway (2006), Ethan Hawke (1993), Dennis Hopper (1995), Hugh Jackman (2005; tre volte), Nicole Kidman (1991), John Malkovich (2003), Rose McGowan (1999), Helen Mirren (1999), Julianne Moore (2007), Bill Murray (2004), Joe Pesci (1991), Guy Pierce (1999), Sidney Poitier (1998), Dennis Quaid (1998), Vanessa Redgrave (1997), Christopher Reeve (1995), Marian Seldes (2006), Ben Stiller (2002), John Turturro (1991), Christopher Walken (1995), Rachel Weisz (2005; due ritratti). ❯ I registi: Woody Allen (2007), Wes Anderson (2007), Darren Aronofsky (1998), Alfred Hitchcock (1976), Spike Lee (1989), Mike Nichols (2001), Martin Scorsese (2003), Steven Spielberg (1999), John Waters (2004), Orson Welles (1979). Movie Stars, ritratti di Timothy Greenfield-Sanders; a cura di Gianni Mercurio; testi di Gianni Mercurio, Demetrio Paparoni e Alec Baldwin; colloqui di Robert Rosenblum e Rachel Weisz e Darren Aronofsky con Timothy Greenfield-Sanders; in italiano e inglese; Skira Editore, 2007 (Palazzo Casati Stampa, via Torino 61, 20123 Milano; 02-724441, fax 02-72444219; www.skira.net, skira@skira.net); 96 pagine 24x28cm; 29,00 euro.
diventano linguaggio visivo ricercato e finalizzato. Ogni ritratto appartiene all’autore fotografo che l’ha realizzato, appunto il bravo statunitense Timothy Greenfield-Sanders, così come è parte sostanziale della personalità dello stesso soggetto. Anche limitando le considerazioni a questa attuale selezione di personaggi del cinema americano, at-
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Martin Scorsese, regista; 2003 (fotocolor 8x10 pollici).
tori e registi senza soluzione di continuità, si percepisce una minuziosa sintonia di intenti, che eleva la fotografia a un ruolo protagonista: capace di cogliere, sintetizzare e rappresentare oltre l’apparenza della propria superficie. Guardiamoli questi ritratti, dei quali visualizziamo una scelta necessariamente limitata (dai cinquanta soggetti della monografia Movie Stars). Sono concreta manifestazione di convinzioni espresse. Certo, data la loro professione e personalità esteriore, tutti i soggetti di Timothy GreenfieldSanders sanno come porre/proporre il meglio di sé. Ma non è ancora questo il punto: invece, ci si deve allineare con il modo nel quale ciascuno manifesta la propria vantata personalità pubblica, specchio di qualità interiori. Per esempio, Bill Murray nel ricercato disordine del colletto della camicia; e poi, nelle combinazioni della doppia e tripla posa dell’at-
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trice Rachel Weisz e dell’attore Hugh Jackman, in abiti quotidiani e in costume di scena (purtroppo, tutti esempi esclusi dalla nostra passerella: si trovano sulla monografia). E lo stesso, possiamo riferire all’insieme dei ritratti di Timothy Greenfield-Sanders, che comprendono altri professionismi, comunque sia altrettanto sicuri e consapevoli: una volta ancora, pensiamo alla raccolta XXX 30 Porn-Stars Portraits, pubblicata negli Stati Uniti nel 2004. La conclusione ritorna a quanto abbiamo già espresso nel nostro intervento della fine di tre anni fa. Per quanto sia vero che in fotografia un attimo possa essere anche decisivo (e spesso lo è), i ritratti di Timothy Greenfield-Sanders rivelano come sia altrettanto vero che nella creazione dell’immagine, la riflessione, il tempo, il pensiero definiscono e disegnano una identificata differenza. Angelo Galantini
FOTOGRAFIA DELLA VIOLENZA
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Sull’estetica della violenza, non solo fotografica. L’umanità si vergognerà a guardare la propria storia, quando vedrà le cose come sono e come certi fotografi l’hanno raccontata. L’idiozia che caratterizza tutti i momenti culminanti della civiltà dello spettacolo è una formula di salvezza. Nessun evento merita di essere consacrato o abbellito, e ogni forma di violenza è necessariamente esecrabile. La vera grandezza della fotografia consiste in quell’etica della poesia o del morso alla gola, di difficile pratica, di vincere, superare o bruciare la sacralità del ridicolo. La megalomania dei fotografi ammessi nei templi della consolazione non ha rivali. Ogni ideale è alimentato dal successo e ogni follia risciacquata nell’acquasantiera dove sputano tutti, perfino chi fa professione di avanguardia. «Le verità cominciano da un conflitto con la polizia e finiscono col farsi sostenere da essa; [...] sotto il sole trionfa una primavera di carogne» (Emil M. Cioran, Sommario di decomposizione; Adelphi, 1996). L’odio non ha itinerari. Solo promesse di redenzione e castità. Coloro che sono stati consacrati artisti del luogo comune sono peggiori degli ingenui banditi di strada che hanno osato assaltare il cuore dello Stato, e sono morti dimenticati o finiti in galera a giocare a carte con i propri aguzzini. All’infuori della distruzione di un’estetica della violenza spettacolarizzata, dissimulata sotto il nome di Creazione, Progresso o Futuro, tutte le iniziative non hanno nessun valore. Non riconciliati, o solo violenza aiuta dove violenza regna (titolo del film di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet, Nicht versöhnt oder Es hilft nur Gewalt, wo Gewalt herrscht, del 1964-65,
appunto tradotto in italiano come Non riconciliati, o solo violenza aiuta dove violenza regna, tratto dal romanzo di Heinrich Böll Biliardo alle nove e mezzo). Nella società dei simulacri, l’immagine è oggetto di consumo. Il linguaggio delle merci permea ogni forma di comunicazione, e non c’è arte che non sia prostituita alla spregevolezza dell’obbedienza muta o all’estetica della violenza come filosofia dell’obbedienza. Il fatto è che «il trionfalismo del simulacro è inseparabile dalla
la ramificazione del consenso che è destinata ai cannibali del sensazionalismo o dell’autoritarismo matricolato come “diritto all’informazione”. Le fotografie dei Campi di Bergen-Belsen, Buchenwald, Dachau, scattate da testimoni anonimi o da fotografi militari subito dopo la loro liberazione (che sono molto meno “curate” delle fotografie di Margaret Bourke-White e Lee Miller), quelle riprese da Yosuke Yamahata nei giorni successivi alle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, o
«La violenza, che il diritto attuale cerca di togliere al singolo in tutti i campi della prassi, insorge davvero minacciosa, e suscita, pur nella sua sconfitta, la simpatia della folla contro il diritto» Walter Benjamin esperienza del vuoto [...]. Il simulacro è un’immagine priva di prototipo, l’immagine di qualcosa che non esiste [...]; la simulazione è l’irruzione di una potenza incompatibile con l’identità personale [...]. Il simulacro non è un’immagine pittorica, che riproduce un prototipo esterno, ma un’immagine effettiva che dissolve l’originale» (Mario Perniola, La società dei simulacri; Cappelli, 1980). Il giornalismo, la pubblicità, la propaganda politica, i massmedia costituiscono il rizoma relazionale del pensiero decorativo e uccidono il vero in favore della ragione di Stato. L’estetica della violenza è spesso una messinscena a beneficio non solo della macchina fotografica, ma di tutta quel-
tutte le immagini di guerra di Robert “Bob” Capa sono lì a testimoniare che la violenza della guerra è infame e va abolita, e i suoi sostenitori banditi da ogni carica pubblica. Nella Londra bombardata dai nazisti, nel 1941, mentre si radeva, Robert Capa tenne un dialogo con se stesso «sull’incompatibilità tra l’essere reporter e avere al tempo stesso un animo sensibile. [E ancora] Dio creò il mondo in sei giorni e il settimo dovette farsi passare la sbornia» (Robert Capa, Leggermente fuori fuoco; Contrasto, 2004). La sua fotografia, leggermente fuori fuoco, ha mostrato ovunque che i disastri della guerra si devono chiamare crimini. Anche se le troupe televisive
hanno preso il posto dei fotoreporter e il loro prodotto è subito smerciabile in diretta, la messe di fotografie sulla violenza della guerra, sulle cronache nere metropolitane o familiari è un vettore importante per il consumo dell’indecenza dissimulata dai mass-media, e niente più dell’iconografia della violenza identifica il nesso -non solo interpretativo, ma esecutivo- tra macchina fotografica e arma da fuoco.
SULL’ESTETICA DELLA VIOLENZA [Questo scritto è parte dell’intervento (non letto) nella serie di incontri sull’Estetica della violenza. Immagini di terrore quotidiano, che hanno accompagnato l’allestimento milanese della mostra La violenza è normale? L’occhio fotografico di Ernst Jünger, della quale si è riferito in FOTOgraphia dello scorso dicembre 2007; per aggiornamenti e informazioni complete su altri luoghi espositivi: www.junger.it]. Come pochi, e in tempi non sospetti, Ernst Jünger ha compreso che la fotografia di guerra, il lavoro e l’anomia delle masse sono la tessitura ideale per l’instaurazione di una politica globale della tecnica e del progresso fantasmati come ”fulgido” avvenire delle democrazie rappresentative, quanto dei regimi fascisti o comunisti. A vedere e leggere Il mondo mutato. Un sillabario per immagini del nostro tempo (1933; rieditato a cura di Maurizio Guerri, Mimesis Edizioni, 2007 [FOTOgraphia, dicembre 2007]), che è una delle riflessioni fotografiche di Ernst Jünger, scritte tra il 1930 e il 1933 [elencate a pagina 66, in chiusura di intervento redazionale], si riconosce l’attenzione che il “grande contemplatore” ha verso le immagini fotografiche, e le parole disseminate nelle didascalie sono
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pietre. Con la grazia, l’acutezza e l’ironia critica che gli sono proprie, qui è annunciata non solo la mutazione dell’umanità verso quella pianificazione del gusto, delle passioni e dei sentimenti che esprimono le società omologate del Ventunesimo secolo: c’è anche il richiamo all’utopia o a quell’estetica della bellezza che attraversa la sua opera filosofica intera e si trascolora in etica del comportamento. La bellezza del Singolo, che dice «la mia parola è no!» a tutte le forme di dominio. Il Singolo come portatore di dissidi e passaggi impervi verso non-luoghi della verità, dove il meraviglioso è nell’immaginazione e la libertà è dappertutto. È la bellezza dell’Anarca, che fa del sognatore solitario un testimone del proprio tempo, un passatore di confine che sveste gli oracoli di patria, libertà, umanità dei propri paramenti e accusa i loro sostenitori di essere responsabili di stermini incalcolabili. «Il prodigio supera la rappresentazione. [...] L’istante, più del secolo, è prossimo all’eternità. [...] Osservare le cose secondo la loro collocazione nello spazio necessario significa esercitare con mirabile tecnica l’arte del tiro a segno» (Ernst Jünger, Il contemplatore solitario; a cura di Henri Plard, Guanda, 2000). Uomini tristi si sono impadroniti del dominio, hanno brutturato il mondo e lo hanno riempito di musei e cippi alla Patria. Ogni essere umano è testimone del proprio coraggio o della propria vigliaccheria. I coraggiosi rifiutano la guerra. I vigliacchi la plaudono. Lo sguardo si fa libero quando rigettiamo la dimora, il rango e il valore di ogni potere. Il mondo mutato non è solo un libro illustrato che, attraverso la storiografia fotografica, rievoca le situazioni di conflitto o genuflessione dell’uomo agli idoli, alla scienza, alla tecnica; non è nemmeno una raccolta di fotografie accostate per analogia e appoggiate a didascalie finemente ironiche e forte-
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mente disincantate. Il Sillabario per immagini di Ernst Jünger (e Edmund Schultz) è un librometafora che impiega la fotografia come strumento politico e détourna, riorienta, rimanda ad altre letture di immagini saccheggiate dagli archivi. Scrive Ernst Jünger nella introduzione: «Occorre appena dire che, grazie all’uso della fotografia, andrà infranta tutta una serie di limitazioni che, altrimenti, ostacolano la possibilità di capire. Così non avrà tanto importanza quale sia la lingua parlata dall’osservatore, e nemmeno se egli sia in grado di leggere o di scrivere. Tanto meno si porranno delle limitazioni all’effetto delle immagini ricorrendo a particolari visioni del mondo, e nella stessa misura in cui i giornali si distinguono nettamente per i loro articoli di fondo, i feuilleton, e perfino per i loro reportage, altrettanto essi appariranno uniformi rispetto alla loro parte illustrata. Ne consegue che anche una sola e identica immagine può essere utilizzata secondo orientamenti esattamente contrapposti, ad esempio quando, esibendo la fotografia di una macchina da guerra, cerchi di esprimere efficacemente un senso chi è favorevole agli armanti e chi vi è contrario. Il dato di fatto che si cela dietro questi interessanti fenomeni è che la tecnica possiede il senso di un mezzo esistenziale in confronto al quale la differenza delle opinioni non ha che un ruolo subordinato. Ciò vale anche per la fotografia in quanto speciale documento appartenente a uno spazio tecnico. «Con questa affermazione non si intende affatto dire che la fotografia abbia un carattere “oggettivo”. Come in ogni fonte, così anche nella fotografia, fluisce quella singolare corrente che viene determinata dal tempo e a proposito della quale proprio coloro che la vivono sono meno di chiunque altro in grado di farsene un giu-
dizio. Pertanto solo un animo ingenuo può essere dell’idea che qui le cose siano rispecchiate “così come sono”». Tutto vero. Ernst Jünger ha compreso che la fotografia non ha un carattere “oggettivo”, perché già soltanto nell’atto di inquadrare si compie una valutazione, si opera una scelta -e non importa quanto consapevole- che determina il rapporto del fotografo con il mondo e il proprio sistema spirituale. Il Sillabario di Ernst Jünger si oppone alla società dei controlli, alle operazioni di polizia internazionale, alla genealogia del terrore che opprime la vita dei singoli e dei popoli. «La Mobilitazione totale, ovvero il fenomeno che caratterizza l’esplosione bellica tra gli Stati nella Prima guerra mondiale, per [Ernst] Jünger è essenzialmente questo: un processo di fusione di guerra e lavoro che non dà come risultato la semplice somma delle due attività, ma segna una svolta epocale, una “mutazione” genetica della storia, un nuovo scenario spazio-temporale fatto di normalità violenta in guerra e di violenza normalizzata in pace. Questo è il “mondo mutato” di cui [Ernst] Jünger cerca di raccogliere le immagini» (Maurizio Guerri, La violenza è normale? L’occhio fotografico di Ernst Jünger; in Il mondo mutato, Mimesis Edizioni, 2007). L’educazione globale allo sguardo fotografico è una rappresentazione del dolore ritualizzata nel quotidiano, ma questo vale per ogni strumento del comunicare. La civiltà dello spettacolo ha anestetizzato non solo la violenza, la miseria, il crimine istituzionalizzato: ha imposto un modo di pensare dove l’occhio coglie solo ciò che emerge, banalizzato. Il détournement di ogni forma di comunicazione è il terreno ideale su cui opera la sovversione non sospetta. Il mondo mutato è un atlante della vita contemporanea e anche una sorta di breviario iconografico che indica strade diverse del linguaggio fotogra-
fico. Ernst Jünger ricorda che la fotografia può essere un «atto di aggressione [o] un’arma offensiva applicata in politica, [... come la] prassi di usare le fotografie dei militanti assassinati nella lotta politica trasformandole in manifesti». C’è anche altro nella scrittura fotografica. Certo. Nessuna fotografia è innocente. La fotografia è la poetica dell’inconsueto, ma anche dell’ordinario. L’una interroga e rompe il banale nell’inedito, l’altra seduce e prolunga la morte della fantasia.
SULL’ESTETICA DELLA BELLEZZA Ernst Jünger si chiama fuori dalla fotografia come archeologia dei sentimenti e delegittima la creazione dell’immaginario nell’assolutismo dell’uguaglianza. La sua visione della fotografia caratterizza il divenire della società mass-mediatica a venire, e coglie in profondità anche il valore d’uso democratico dell’immagine. La decostruzione del linguaggio fotografico dominante è un rivendicazione pratica e politica che rifiuta la funzione salvifica del dolore; in questo senso la fotografia è un’immagine del magico che rigetta le categorie fotografiche, per situarsi in un pensiero postorico che riflette una critica radicale del funzionalismo, sotto tutti i suoi aspetti antropologici, scientifici, politici ed estetici. In qualche modo, la visione filosofica di Vilém Flusser si collega o è la naturale emanazione dell’etica fotografica espressa da Ernst Jünger. Da Per una filosofia della fotografia, pubblicato da Bruno Mondadori nel 2006 (dopo la prima edizione di Agorà di Torino, del 1987): «Anche le fotografie debbono essere decifrate come espressione degli interessi nascosti di coloro che detengono il potere: gli interessi degli azionisti della Kodak, dei proprietari delle agenzie pubblicitarie, dei burattinai dietro il parco industrie americano [o giapponese, o tedesco, fa lo
stesso], proprio così, gli interessi dell’intero complesso ideologico, militare e industriale americano. Una volta messi a nudo questi interessi, potremmo considerare decifrata ogni singola foto[grafia] e l’intero universo fotografico». Sotto il manto dell’obiettività storica, scientifica, culturale, ideologica o dei saperi, si nascondono le forche del giudizio. Nei corridoi gelidi del potere si parla la lingua dell’assenza, del distacco, dell’ingerenza, ma i possessori dell’unica verità non hanno scampo: l’utopia della vita buona autorizza tutte le insorgenze e tutte le varianti. Si tratta di ritrovare l’aristocrazia anarchica del Singolo e recuperare quell’antica innocenza selvatica o dionisiaca che faceva dell’immaginario liberato la scienza esatta delle soluzioni possibili. Nel Sillabario di Ernst Jünger sono già esplicitati i contenitori di avidità e concupiscenze, formulari del controllo oppressivo delle tematiche della Seconda guerra mondiale, dei campi di sterminio nazisti e dell’ordine mondiale del neocolonialismo del libero mercato all’epoca della civiltà dello spettacolo. L’idea del potere onnivoro è già situato nell’inconscio collettivo. Per intercessione della merce, delle bombe, del crimine istituzionalizzato, il mondo delle idee muore. La tirannia dell’ideologia mercantile è multiculturale, multietnica, trasversale a ogni cosa che non sia il profitto. Al menagement della produzione non serve né il consenso né il dissidio. Gli uomini sono vissuti dai poteri che determinano la loro vita e che nemmeno riescono a comprendere. A un certo grado di accumulazione delle ricchezze, la sola cosa che conta è come liberarsi dei cumuli di morti di scorie, di pezzenti che infestano la Terra. L’estetica della violenza non è solo quella raffigurata negli orrori delle guerre o nei resoconti delle catastrofi ambienta-
li; sovente investe anche i ritratti celebrativi di presidenti della repubblica, scrittori vezzeggiati o puttane d’alto bordo. Tre richiami da FOTOgraphia dello scorso settembre 2007 sono un esempio di estetica della violenza applicata alla fotografia: le “fototessere” dei milioni di cambogiani ammazzati dai Khmer Rossi di Pol Pot, apparsi nel mensile francese Reportage nell’aprile 1995, che nella propria tragicità figurano momenti di grande e impietosa fotografia; i fotoritratti dei guerriglieri Taliban, armati fino ai denti e con i volti un po’ tronfi e anche un po’ stupidi, recuperati dal reporter Thomas Dworzak (dell’agenzia Magnum Photos) e pubblicati in The New Yorker nel gennaio 2002 (quindi raccolti in volume da Trolley Books, nel 2003); e i ritratti posati dei “fieri” americani, realizzati dallo svedese Jonas Karlsson per commemorare il dolore di una nazione per l’Undici settembre, apparsi nella rivista Vanity Fair nel novembre 2001. Un altro taglio sull’estetica della violenza come ideologia della barbarie, viene dal libro Viaggio in una guerra, di W. Hugh Auden e Christopher Isherwood (Adelphi, 2007). La guerra è quella tra il Giappone e la Cina del 1937. Gli autori partono nel gennaio del 1938 e restano in Cina sei mesi. Si tratta di un’opera anomala, che intreccia il reportage con poesie e riflessioni di un poeta immortale (W. Hugh Auden) e di un scrittore di notevole talento (Christopher Isherwood). Le fotografie, non professionali, sono di Auden. Il libro non è solo un’invettiva visiva contro l’inutilità della guerra, ma anche, e soprattutto, una testimonianza sul campo della stupidità di ogni guerra. «La guerra è bombardare un arsenale già sgomberato, mancare il bersaglio e massacrare qualche povera vecchietta. La guerra è giacere in una stalla con una gamba in cancrena.
La guerra è bere acqua calda in una baracca e preoccuparsi per la propria moglie. La guerra è un pugno di uomini spaventati e sperduti sulle montagne, che sparano a qualcosa che si muove nel sottobosco. La guerra è aspettare un giorno dopo l’altro senza aver niente da fare; urlare in un telefono fuori uso; andare avanti senza dormire, senza far sesso, senza lavarsi. La guerra è disordinata, inefficiente, oscura e in gran parte affidata al caso» (Christopher Isherwood). Le immagini di W. Hugh Auden sono dirette, imperfette e grandi come i suoi sonetti. C’è pietà in ogni fotografia, e c’è amore per i dimenticati d’ogni fronte. Viaggio in una guerra si scaglia contro la crudeltà umana, senza gridare o mostrare cadaveri squartati al sole; è un’opera etica elaborata sul dolore, sull’indigenza, sull’impotenza di quella follia umana che è la guerra, e che ritrova il riscatto e la memoria universale della pace solo nei morti. Al di là dei valori espressivi, etici o puramente utilitaristici che questi reportage possono più o meno contenere, rientrano in uno schema di lettura che il mezzo fotografico alza a spettacolo della sovranità tecnica e quando la fotografia diventa clemente o scende giù nel visibile d’occasione; un certo scendere giù, si può chiamare terrore o bellezza. Il terrore è il trionfo della dimenticanza. La bellezza è il taglio della poesia. All’estetica del terrore appartengono tutti quelli che fotografano il dolore degli altri senza comprenderlo. L’estetica della bellezza è al fondo dello sguardo di coloro che con la fotografia riescono a significare le verità imperative del bene. Nell’ambito del reportage, le identità sono incerte e nei percorsi del fotogiornalismo l’abuso della ritrattistica occasionale sembra venire avanti. Nei settimanali a grande diffusione, anche immagini di notevo-
le presa del reale rientrano nella canalizzazione mediatica, che prima di ogni cosa incensa la “notizia”, poi ingoia la fotografia tra discorsi istituzionali con il ritratto del politico, donne nude che passeggiano in abitazioni improbabili o bambini grassi e biondi che chiedono il giocattolo ispirato alla violenza degli eroi dell’ultimo cartone animato giapponese (e qui penso soprattutto alla World Press Photo of the Year 2006 di Spencer Platt, dei giovani libanesi “sorpresi” in automobile tra le rovine di un quartiere bombardato di Beirut a fare fotografie, in cerca della loro casa distrutta; oppure, per altre identificazioni, sono turisti che vogliono provare emozioni forti, come riferito in FOTOgraphia del maggio e settembre 2007). «La fotografia dei nostri giorni e il fotogiornalismo contemporaneo hanno bisogno di altro. Soprattutto di autori che sappiano riferirsi al proprio linguaggio espressivo. Soprattutto di autori che conoscano il suo lessico esplicito e implicito, e lo sappiano declinare, per raggiungere il cuore e la mente dell’osservatore (le sue capacità irrazionali e razionali di commuoversi, indignarsi, riflettere) con un percorso che sia onesto e schietto, prima ancora di essere diretto» (Maurizio Rebuzzini, Identità incerte; in FOTO graphia del settembre 2007). Tutto vero. Le fotografie sono “pezzi di carta” significanti, e il significato delle immagini è tutto lì, nella magia che collega il linguaggio fotografico all’uomo e l’uomo al mondo. Non si tratta di essere né fotoproletari né fotocapitalisti, la macchina fotografica è un utensile e il gesto fotografico serve a formulare un pensiero. Ogni fotografia è il risultato di un’operazione commerciale o di una pena artistica. La democratizzazione della fotografia non c’entra. E nemmeno l’estetica della violenza. C’entra invece la significazione, la fattualità,
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la disillusione della fotografia come “segno” della storia. Le immagini della sofferenza prese a ogni latitudine della Terra, o nel cortile della propria casa, sono al fondo della nostra coscienza critica o si riversano nelle lusinghe o nelle aberrazioni estetiche dei produttori e dei consumatori di violenza sotto forma di spettacolo. La comunicazione è allargata a tutto. Le immagini, i suoni, i giocattoli, i “segni” più insignificanti rendono il mondo iperfamiliare e ipercelebrato; tutto sembra reale, una registrazione della realtà, ma ogni cosa è diffusa tra spazi commerciali e qualsiasi lettura superficiale del messaggio incatena o porta la fantasia al potere, non per abbatterlo ma per subirlo. L’effetto cumulativo dell’emulazione è avvilente, degrada tutto a ripetizione. Il
mondo esiste per diventare un’immagine. A un certo grado di annessione e conservazione mediatica, l’attentato, l’incendio, il crollo e i morti delle Torri gemelle del World Trade Center, in diretta televisiva, è stato l’evento più spettacolare che l’umanità abbia mai potuto “vivere” dopo l’iconologia (i santini) della crocifissione di Cristo, le cartoline dei campi di sterminio nazisti o l’icona della bomba atomica su Hiroshima mon amour. C’è bellezza nelle rovine, sembra. Almeno quanto la tristezza e l’idiozia per quelle canaglie che le hanno provocate. Il tempo del dicibile è finito, se mai ce n’è stato uno. Le cose stanno dietro altre cose. Impossibilitati a dare vita a valori autentici, i politici del pianeta hanno inventato, classifica-
to o eretto a sistema globale una civiltà aggressiva -e allo stesso tempo museale-, che ha insegnato a tenere la libertà dei molti in gran dispregio, a vantaggio del potere di pochi. «Osservare le cose secondo la loro collocazione nello spazio necessario significa esercitare con mirabile tecnica l’arte del tiro a segno. [...] Il dominio dei pedanti è sempre soppiantato dalla rivolta dei falliti geniali» (Ernst Jünger, Il contemplatore solitario; a cura di Henri Plard, Guanda, 2000). Tuttavia, il genio dei popoli non ha eguali, e quando si scatena dalla sonnolenza e dalla soggezione millenaria è capace di “miracoli”, come quello di imprimere una direzione obliqua, trasversale o rovesciata al senso della Storia. Pino Bertelli (22 volte settembre 2007)
Riflessioni fotografiche di Ernst Jünger, pubblicate a cavallo degli anni Trenta: ❯ Luftfahrt ist not! (L’aviazione è necessaria), 1928; ❯ Das Antlitz des Weltkrieges. Fronterlebnisse deutscher Soldaten (Il volto della guerra mondiale. Esperienze dal fronte dei soldati tedeschi), 1930; ❯ Hier spricht der Feind. Kriegserlebnisse unserer Gegner (Qui parla il nemico. Esperienze di guerra dei nostri avversari), 1931; ❯ Der gefährliche Augenblick. Eine Sammlung von Bildern und Berichten (L’attimo pericoloso. Una raccolta di immagini e resoconti), 1931; ❯ Die Verändetre Welt. Eine Bilderfibel unserer Zeit (Il mondo mutato. Un sillabario per immagini del nostro tempo), 1933 (anastatica a cura di Maurizio Guerri; Mimesis Edizioni, 2007; FOTOgraphia, dicembre 2007).
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