Mensile, 5,70 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano
ANNO XV - NUMERO 143 - LUGLIO 2008
Fotogiornalismo CZECH PRESS PHOTO VISA POUR L’IMAGE Questa è l’America PAUL FUSCO ROBERT FRANK
GEORGES SIMENON FOTOGRAFIE DI VIAGGIO
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Una società sguaiata, che esprime la sua fredda voglia di vivere più esibendosi che godendo realmente la vita, merita fotografi petulanti. Ennio Flaiano su questo numero, a pagina 57
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IN AMERICA! DALL’AMERICA! In una fascicolazione che propone tre visioni dell’America (Paul Fusco, da pagina 16; Weegee, da pagina 24; Robert Frank, da pagina 41), si annota anche l’allestimento di una collettiva Americana, che presenta un tragitto fotografico lungo il Novecento, che a propria volta compone i tratti di una osservazione di fotografi statunitensi rivolta in due direzioni: all’interno del proprio paese e sguardo sul mondo. [In mostra è esposta anche una stampa della fotografia di Lewis W. Hine, che è stata proditoriamente colorata per esigenze editoriali (?), come abbiamo commentato lo scorso giugno e ribadiamo su questo numero, a pagina 62]. Allestita dal Craf (Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia, di Lestans, in provincia di Pordenone), la mostra è esposta a San Vito al Tagliamento, nella stessa provincia. All’esposizione degli originali, sopravvive un ben allestito catalogo: 216 pagine 24x22cm; con testi del curatore Walter Liva e Naomi Rosenblum. Come testimoniamo qui sotto, la mostra Americana è visualizzata con una avvincente immagine di Walter Rosenblum, del 1938: è la stessa Bambina in altalena, con la quale, nell’aprile 2007, abbiamo accompagnato il ricordo dell’autore, a un anno dalla sua scomparsa (gennaio 2006). Quindi, a completamento delle attuali note, evochiamo anche il ritratto del curatore Walter Liva riportato in catalogo: in posa accanto a Cornell Capa, nel 1987 (fotografia di Maurizio Rebuzzini). E Cornell Capa, fotografo che non ha mai raggiunto alte vette espressive, va ricordato per aver fondato una prestigiosa istituzione fotografica: quell’International Center of Photography, di New York, che tanto peso ha sulla conservazione della Storia (restando in attualità, sottolineiamo che da qui è nata la mostra Unknown Weegee, che presentiamo su questo stesso numero, da pagina 24). Cornell Capa è mancato lo scorso ventitré maggio, a novanta anni.
Strano come gli eventi possano concatenarsi nel tempo e nello spazio, creando bizzarri arabeschi. Strano come gli argomenti possano inseguirsi e collegarsi tra loro, creando curiosi intrecci e avvincenti consecuzioni.
Copertina Dalla monografia Fotografie di viaggio 1931-1935, di Georges Simenon, uno dei maggiori scrittori del Novecento, che presentiamo e commentiamo da pagina 52, una immagine del 1933; ufficialmente, la didascalia precisa: Charleroi, Belgio, Casa del Popolo, luogo che si presta anche alla complicità (a pagina 52, l’inquadratura completa). In effetti, siamo sinceri, in questa rappresentazione c’è tutto, con la trasparenza e immediatezza di Georges Simenon scrittore, prestato alla fotografia. Le sue sono fotografie che rivelano i connotati di un mondo che sta per scomparire
3 Fumetto Dalla copertina di una recente raccolta di fumetti, riuniti nella collana I Grandi Classici Disney (numero 256 dello scorso marzo). Su fondo specchiato, irriproducibile nei quattro colori della stampa litografica standard, il richiamo fotografico è soltanto un pretesto di richiamo. Curioso: gli strumenti della fotografia sono più e meglio finalizzati da chi è estraneo al suo mondo
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7 Editoriale America: immenso territorio spesso raccontato con e da visioni apocalittiche (anche fotografiche), Poi, all’improvviso, incontriamo una Fotografia (di Paul Fusco, nello specifico) che si propone e offre come traccia del mondo. Una Fotografia, ancora con Maiuscola consapevole e volontaria, che possiede le storie di coloro che incontra e che si rimettono a lei (appunto, Fotografia) per essere narrati; dunque per esistere. E questo è uno dei suoi linguaggi
8 Connotati discriminanti 48
L’importanza della didascalia, ovvero della definizione di cosa la fotografia illustra e rappresenta. Ci riferiamo a una delle fotografie premiate al World Press Photo 2008, spingendoci anche oltre
10 Notizie Attrezzature, vicende e altre segnalazioni
Americana. Chiesa di San Lorenzo, 33078 San Vito al Tagliamento PN. Fino al 28 settembre; giovedì 16,30-20,00, venerdì-domenica 10,00-12,00 - 16,30-20,00; per visite fuori orario, 0434-80251.
12 Titoli di testa 27
Riprendiamo l’appuntamento con la fotografia al cinema, per ribadire i connotati di una socialità altrove ignorata. L’abbinamento fotografico nei titoli di testa di Funny Face Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
LUGLIO 2008
R , RIFLESSIONI IFLESSIONI, OSSERVAZIONI E COMMENTI OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA SULLA FOTOGRAFIA
16 Questa è l’America
Anno XV - numero 143 - 5,70 euro
RFK Funeral Train: in mostra a New York le fotografie di Paul Fusco del viaggio del feretro di Robert Kennedy, da New York a Washington, nel 1968. Con monografia
DIRETTORE
RESPONSABILE
Maurizio Rebuzzini
IMPAGINAZIONE Gianluca Gigante
20 Reportage
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Appunti e attualità del fotogiornalismo internazionale A cura di Lello Piazza
Rouge
SEGRETERIA Maddalena Fasoli
HANNO
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27 Settimana in Garfagnana Al solito: mostre, lettura portfolio, editoria e incontri. Un protagonista sopra tutti: Piergiorgio Branzi
31 Appuntamento a settembre Visa pour l’Image 2008: dal trenta agosto al quattordici settembre; professionale, dal Primo al sette settembre
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Czech Press Photo 2007: lo svolgimento, i vincitori, la giuria e concentrate considerazioni complementari di Lello Piazza
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41 Gli americani 59
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46 I Mari dell’Uomo Retrospettiva della fotografia di Folco Quilici, eccezionale interprete della Natura; a Firenze, fino al sette settembre Testo e fotografie di Folco Quilici
52 Un mondo perduto Raccolte in una avvincente monografia, le fotografie di viaggio di Georges Simenon non si esauriscono nell’aneddotica dello scrittore, che ha anche fotografato di Maurizio Rebuzzini
COLLABORATO
Pino Bertelli Antonio Bordoni Maria Teresa Ferrario Loredana Patti Lello Piazza Folco Quilici Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Luca Ventura Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604, fax 02-66981643; graphia@tin.it.
34 Fotogiornalismo per la democrazia
Riedizione della raccolta fotografica di Robert Frank, che cinquanta anni fa influenzò il linguaggio. E oggi? di Angelo Galantini
Angelo Galantini
FOTOGRAFIE
24 Weegee, lui medesimo Fino al dodici ottobre, a Milano, uno spaccato di cronache americane del celeberrimo autore. Ne riparleremo
REDAZIONE
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● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti. Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano
Rivista associata a TIPA
62 Colorazione ribadita Ancora Lewis W. Hine. Ancora in colorazione posticcia
64 Gerda Taro Sguardo su una interprete della fotografia della resistenza di Pino Bertelli
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na famiglia americana rende omaggio al passaggio del treno funebre di Robert Kennedy. È una delle fotografie dell’ampio reportage che Paul Fusco realizzò per Look Magazine -che peraltro non lo pubblicò-, l’otto giugno di quaranta anni fa, accompagnando il feretro del candidato democratico alle elezioni presidenziali di novembre, colpito a morte nei momenti immediatamente seguenti la sua designazione, nel viaggio dalla Penn Station di New York alla Union Station di Washington. Come raccontiamo da pagina 16, Paul Fusco declinò la storia del viaggio con uno stile particolare: fotografò la gente comune schierata lungo il percorso, che ha assistito ammutolita al passaggio della salma. Eccoci: questa è l’America, che personalmente identifichiamo nella famiglia alla quale ci stiamo riferendo. È una famiglia contadina, una famiglia estranea alla vita delle grandi metropoli, che presumibilmente confidava nelle promesse di Robert Kennedy, per una vita migliore. Un colpo di pistola infranse i loro sogni, e l’omaggio alla salma di due genitori con i propri cinque figli a scalare, circa uno all’anno, rivela l’anima di un paese che troppo spesso riferiamo soltanto alle sue manifestazioni macroscopiche e più appariscenti (tra le quali, le azioni di una politica estera di stampo militarista: la guerra in Vietnam allora, quella in medio oriente oggi). Senza ombra di dubbio, questo reportage di Paul Fusco, recentemente raccolto in volume e proposto in una mostra newyorkese, si inserisce nel consistente capitolo della fotografia che osserva lo svolgimento della vita, raccontandola e offrendo rappresentazioni originali. Idealmente, queste fotografie si accodano a quelle della Farm Security Administration, degli anni Trenta, quanto gli Stati Uniti si interrogarono alla luce della depressione economica innescata dal crollo della Borsa del 1929. Come allora, ancora la fotografia si propone e rivela come straordinaria chiave di lettura, forte di una capacità narrativa diretta e trasparente: ci riferiamo soprattutto alle fotografie di Walker Evans, raccolte nell’epocale Sia lode ora a uomini di fama, con testi di James Agee (riedizione Il Saggiatore; FOTOgraphia, febbraio 2003). Non soltanto un’America forte e insolente, ma anche territorio di piccole storie e grandi povertà, di caldi sentimenti e cocenti sconfitte esistenziali. All’alba degli anni Trenta, Walker Evans sconvolse antiche certezze, per se stesse tranquillizzanti: rivelò che la povertà non è prerogativa esclusiva dei neri, ma anche dei bianchi che vivono in aree di sconforto economico e sociale. A distanza di decenni, pur rivelandosi quaranta anni dopo la propria cronaca, Paul Fusco ha compiuto un’azione analoga, andando oltre la superficie apparente delle manifestazioni della vita. Cosa unisce tra loro queste visioni di esistenza, che definiscono i tratti dell’autentico linguaggio della fotografia che si propone e offre come traccia del mondo? Il possedere le storie di coloro che incontra e che si rimettono a lei (fotografia) per essere narrati. Dunque, per esistere. Maurizio Rebuzzini
(Anche) questa è l’America. Da RFK Funeral Train: Rediscovered, di Paul Fusco, alla Danziger Projects di New York fino al trentuno luglio.
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CONNOTATI DISCRIMINANTI
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Ogni anno, il World Press Photo allestisce in Italia due mostre simultanee e coincidenti con le immagini vincitrici della competizione di fotogiornalismo, la più rinomata a livello mondiale. A maggio, una è esposta al Museo di Roma in Trastevere, a cura dell’Agenzia Contrasto, e l’altra alla Galleria Carla Sozzani di Milano, a cura dell’Agenzia Grazia Neri. La più recente e attuale edizione del concorso/mostra è stata presentata e commentata in FOTOgraphia dello scorso aprile, quando abbiamo anche anticipato la successiva presentazione della stessa mostra al prossimo LuccaDigitalPhotoFest 2008, tra la fine di novembre e metà dicembre. A Milano, pochi giorni dopo l’inaugurazione, Canon, sponsor tecnico dell’iniziativa, organizza una visita guidata alla mostra, condotta da Elena Ceratti dell’Agenzia Neri (qui sotto). Quest’anno in particolare, tra i tanti commenti di Elena Ceratti alle fotografie premiate, ricchi di informazioni e puntuali come sempre, ce
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ne è stato uno che vale la pena riprendere, e che solleva riflessioni mirate sul funzionamento delle giurie e sulle regole che si danno. Spero che da queste mie osservazioni possa nascere un approfondimento, soprattutto tra coloro i quali di giurie hanno fatto parte, sia a livello nazionale sia internazionale. Il commento di Elena Ceratti che cito riguarda una fotografia di Stanley Greene, dell’Agenzia Noor, nella quale è inquadrato un particolare di un terreno coperto da segni, evidentemente tracciati da una o più dita, e un paio di impronte di suola di scarpa (pagina accanto). Le tracce evocano il modo nel quale è stato assalito il villaggio di Furawiya nel Darfur (Sudan occidentale), avvenuto nel 2003. Alla fine di gennaio 2007, il diagramma è stato disegnato da un sopravvissuto a quell’attacco, che Stanley Grenee ha incontrato in un campo profughi sul confine con il Chad. Il villaggio fu raso al suolo e furono commesse le solite atrocità nei confronti de-
Elena Ceratti, dell’Agenzia Grazia Neri, mentre conduce la visita guidata alla mostra del World Press Photo 2008 (sul 2007), alla Galleria Carla Sozzani, di Milano. I suoi commenti, ricchi di informazioni e puntuali, offrono una opportuna chiave di lettura delle immagini, e dei relativi contesti fotogiornalistici.
gli abitanti. L’immagine, di grande valore emotivo e testimoniale, ha vinto il secondo premio nella categoria General News Singles (ancora, FOTOgraphia, aprile 2008). Però, c’è un però. La regola che la giuria adotta è la seguente: viene fatta una prima selezione delle immagini, separando quelle che possono ricevere un premio da quelle che sicuramente non potrebbero vincere. Date le decine di migliaia di fotografie da esaminare (più di ottantamila nell’edizione 2008, per fotografie scattate nel 2007, che stiamo commentando), la scelta avviene con voto rapido, tipo “dentro-fuori”, senza discussione. Poi, a seguire si svolgono le parti successive del giudizio, con ampia e accanita discussione per scegliere i vincitori. Tutto regolare: questo è il modo di procedere di quasi tutte le giurie. Ma c’è un particolare: nella prima fase, per accelerare i lavori, non si leggono le didascalie delle fotografie. Decisione impegnativa, evidentemente. Ma ogni giuria ha il diritto di darsi le regole che ritiene più opportune. A questo punto la domanda è? Come è passata al secondo turno questa fotografia di Stanley Greene? Senza didascalia, senza propria definizione, l’immagine non suscita alcun interesse. Evidentemente, dal momento che questa fotografia è stata molto pubblicata, i membri della giuria, tutti professionisti del settore, l’hanno riconosciuta e promossa. Allora, altre due riflessioni. La prima: che senso ha rinunciare alle didascalie, anche se si è solo in una prima “brutale” fase di scelta? Per quanto Henri CartierBresson abbia affermato il diritto delle fotografie di non essere didascalizzate, «Parlino agli occhi e al cuore», nel fotogiornalismo l’ipotesi di rinunciare alla didascalia mi sembra per lo meno azzardata. Più ragionevolmente, Walter Benjamin ha scritto: «La macchina fotografica diventa sempre più piccola e sempre più capace di afferrare immagini
fuggevoli e segrete, il cui effetto di shock blocca nell’osservatore il meccanismo dell’associazione. A questo punto deve intervenire la didascalia, che include la fotografia nell’ambito della letterarizzazione di tutti i rapporti di vita, e senza la quale ogni costruzione fotografica è destinata a rimanere approssimativa». Rinunciando alla didascalia si può perdere una fotografia importante (e qui ci riferiamo anche al Fotografo dell’anno del Czech Press Photo 2007, Dan Materna, il cui Tiro alla fune per un figlio non potrebbe avere vita autonoma senza questa indicazione; a pagina 35). Per quanto riguarda la fotografia di Stanley Greene, un ospite del sito di Foto8 (www.foto8.com) ha osservato: «Un’immagine che ha vinto un premio e che senza didascalia è soltanto un insignificante scarabocchio è quella di Stanley Greene, che mostra un piano di battaglia schizzato nella sabbia. Con la didascalia lo
Piano di attacco sulla sabbia, confine Chad-Sudan, gennaio 2007, di Stanley Greenee (Noor): secondo premio General News Singles al World Press Photo 2008. Da questa immagine, sostanzialmente insignificante se il soggetto non viene rivelato, avviamo riflessioni sullo svolgimento dei concorsi fotogiornalistici e dintorni.
scarabocchio si trasforma in qualcosa di veramente minaccioso, uno sguardo in un genocidio». La seconda riflessione sui concorsi fotografici professionali, che temo non troverà nessuno d’accordo: già che ci siamo, perché non abolire addirittura l’anonimato
sul nome dell’autore? Io ritengo che non sarei influenzato dal sapere che un certo scatto è di James Nachtwey, Rivkah Hetherington o Francesco Zizola. Credo che saprei giudicare l’immagine per quello che è, anche se l’autore fosse la Madonna (di Lourdes). L.P.
ANCHE IN IMMERSIONE. Oltre le prestazioni canoniche, annotiamo che la nuova compatta digitale Pentax Optio W60 offre l’opportunità di realizzare filmati e fotografie fino a quattro metri di profondità. Così che dischiude l’affascinante mondo (sott’acqua) della fauna marina e della fotoricordo in immersione. Ovvero, si proietta verso i caldi mesi dell’estate, non disdegnando, allo stesso momento, i rigori dell’inverno, durante i quali la finitura waterproof è allineata con la ripresa fotografica sulle nevi. Per una fotografia versatile e spensierata, appunto quella della fotoricordo, la Pentax Optio W60 dispone di uno zoom 5x, equivalente alla variazione grandangolare-tele 28-140mm della fotografia 24x36mm. Quindi, il disegno dello zoom si avvale di un efficace sistema a rifrazione, che ne risolve l’ingombro all’interno del corpo macchina, senza nulla che sporga all’esterno. In combinazione, con l’ulteriore zoom digitale (fino a 5,7x) si raggiunge l’ingrandimento complessivo di 28,5x. Come anticipato, l’autentica nota distintiva della Optio W60 è l’impermeabilità di classe 8 JIS, che ne garantisce l’utilizzo continuato di due ore fino alla profondità di quattro metri. Questo è reso possibile da processi di affinamento del pulsante di scatto e dei comandi operativi, e dal rinforzamento della tenuta stagna in corrispondenza dei punti di giunzione dell’involucro. Completano la dotazione della Pentax Optio W60 una tenuta alla sabbia e alla polvere, corrispondente alla classe 5 JIS, e la possibilità di uso fino a meno dieci gradi di temperatura ambiente. La qualità d’immagine, ora. Il sensore CCD di acquisizione digitale di immagini, da 1/2,3 di pollice, offre la risoluzione di dieci Megapixel effettivi, per fotografie dettagliate fino al consi-
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stente ingrandimento in formato A3 (circa 30x40cm). Il monitor LCD da 2,5 pollici è privo di riflessi e mantiene una luminosità ideale anche per la visione in luce solare. Inoltre, grazie all’ampio angolo di visione di circa 170 gradi, si possono controllare le immagini da ogni angolazione. Oltre le riprese fotografiche, con la Pentax Optio 60W è possibile realizzare filmati con una risoluzione fino a 1280x720 pixel (standard HDTV). La compatta dispone inoltre della funzionalità Filmati Subacquei, che finalizza le impostazioni per le registrazioni in immersione. (Pentax Italia, via Dione Cassio 15, 20138 Milano).
IL RE DELLA NOTTE. Nato Noctilux 50mm f/1,2 nel 1966, primo obiettivo Leica con lenti asferiche, e subito proposto a un prezzo di vendita/acquisto selettivo (442.000 lire nel listino dell’epoca, quando la Leica M4 costava 209.000 lire e lo standard Summicron 50mm f/2 103.000 lire), l’obiettivo iperluminoso per apparecchi Leica a telemetro è diventato Noctilux 50mm f/1 nel 1976. Ora, a distanza di oltre trent’anni dalle origini di questa generosa apertura relativa f/1, il cui diametro di passaggio della luce equivale alla lunghezza focale, la più recente configurazione Noctilux-M 50mm f/1 sta per essere pensionata. Leica ne ha annunciato la fine, che conclude la lunga parabola tecnica di un obiettivo che nei decenni si è affermato come incontrastato dominatore delle condizioni di più debole luminosità fotografica: occorre anche annotare che la costruzione a telemetro delle Leica M consente di impostare e usare tempi di otturazione oggettivamente più lunghi di quelli degli apparecchi reflex, senza alcun pericolo di mosso. Tanto che, ognuno può ipotizzare come e quanto la combinazione di un tempo di otturazione di 1/8 di secondo con l’apertura f/1 consenta di registrare una luce ambiente decisamente lieve.
Nel momento nel quale cala il sipario sul Noctilux-M 50mm f/1, Leica ne propone una edizione speciale conclusiva. Gli ultimi cento esemplari sono offerti in una raffinata confezione di legno laccato. Prodotto dal parigino Elie Bleu Tabletier (www.eliebleu.com), marchio di riferimento dell’artigianato d’eccellenza, il cofanetto è prezioso di per sé. Progettato e realizzato in esclusiva per Leica, è stato fabbricato con i legni migliori. Addirittura, per proteggere al meglio l’obiettivo, nel coperchio è stato inserito un deumidificatore che assorbe l’umidità e assicura che l’ambiente, nella scatola chiusa, sia adeguatamente confortevole. Un igrometro di precisione rileva il tasso ottimale di umidità. L’edizione speciale degli ultimi cento Leica Noctilux-M 50mm f/1, che si accompagna con un Certificato di Autenticità e un Certificato di Prova, comprende anche un libro rilegato in pelle con bordi dorati, che racconta la storia e le peculiarità di Leica attraverso la descrizione dell’arte di realizzare obiettivi. Il centro di attenzione è naturalmente l’evoluzione ottica di questo particolare disegno, che si deve ai laboratori di progettazione della filiale canadese Ernst Leitz Ltd, oggi Elcan, dove è stato prodotto nel corso dei decenni, fino agli ultimi cento esemplari della serie speciale conclusiva. (Polyphoto, via Cesare Pavese 11-13, 20090 Opera Zerbo MI).
MINIATURA. Prosegue l’affascinante genìa di miniature di attrezzature fotografiche della Storia, avviata con la riproposizione della Leica IIIf (FOTOgraphia, novembre 2000), alla quale hanno fatto seguito altre configurazioni, che nel frattempo sono state convertite all’ac-
quisizione digitale di immagini. Registriamo l’attualità della Minox DCC Rolleiflex AF 5.0, che riprende l’estetica di uno degli apparecchi discriminanti della storia evolutiva della tecnica fotografica: la mitica Rolleiflex biottica, che negli anni Cinquanta e Sessanta ha contribuito a scrivere importanti pagine della socialità e del costume, allungandosi poi avanti nei decenni in ulteriori finalizzazioni creative ed espressive della composizione quadrata (ne abbiamo scritto in tante occasioni, a partire dal lontano dicembre 1996, all’alba del fenomeno di ritorno). La Mini Rolleiflex è realizzata in solido metallo in scala 1:2, e riproduce con grande fedeltà tutti i particolari della biottica originaria, fino la leva di avanzamento pellicola, alla quale è ora delegato il riarmo dell’otturatore. Si tratta di una creazione dedicata ad appassionati e collezionisti, molti dei quali, probabilmente, hanno già in bacheca qualche altra “replica” di apparecchi storici proposta da Minox. Però, oltre a fare bella mostra, la Mini Rolleiflex di Minox può anche scattare efficaci fotografie. Il sensore ha una risoluzione di 1536x1536 pixel: tre Mega, che sono interpolabili a cinque Mega grazie al software interno; registrazione su schede di memoria MiniSD. L’obiettivo autofocus ha un angolo di campo equivalente a quello dell’originale 80mm per fotogrammi 6x6cm e un’apertura relativa f/2,8 (equivalente al leggendario Zeiss Planar). In due versioni: “classica” livrea nera e finitura “italian red”, che ne esalta lo stile. (Rinowa, via di Vacciano 6f, 50012 Bagno a Ripoli FI).
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TITOLI DI TESTA
Non entriamo nel merito della vicenda narrata in Cenerentola a Parigi, identificazione tutta italiana (in ogni senso) dell’originario film Funny Face, di Stanley Donen, del 1957. Così, evitiamo di osservare e sottolineare le forzature e improbabilità di una sceneggiatura che fa colpevole scempio di ogni dignità che personalmente attribuiamo alla fotografia di moda e al suo mondo. Per quanto possiamo anche sentircene estranei, ma non indifferenti, né distanti, sia dall’una sia dall’altro, non ci permettiamo, non ci siamo mai permessi e non ci permetteremo mai di irriderli, né di considerarli in forma parodistica, che è poi quella che attraversa il film. Tanto che, rileviamolo subito, ci ha sempre stupito la complicità certificata di Richard Avedon, fotografo del quale non si può non considerare e rispettare il rigore professionale, allineato con l’efficacia e spessore di una lunga carriera espressiva, costellata di straordinarie immagini (non soltanto di moda). Ufficialmente, Richard Avedon, ai tempi trentatreenne, risulta consulente del colore e degli effetti fotografici di Funny Face (in
Italia, Cenerentola a Parigi), ma ufficiosamente è più che palese la sua partecipazione diretta alla definizione dei tratti identificativi e scenografici del fotografo protagonista del film, interpretato da un poco credibile Fred Astaire. In molte occasioni pubbliche, lo stesso fotografo di fantasia è stato esplicitamente riferito proprio a Richard Avedon; in cronaca, ai tempi, e in commenti successivi, molti critici cinematografici statunitensi hanno allineato la raffigurazione scenica a Richard Avedon (i critici italiani non lo hanno fatto, perché molto probabilmente neppure conoscono l’“originale”); da parte nostra, oggi aggiungiamo una nota parallela, rilevando che il personaggio del film si chiama Dick Avery, e “Dick” è il diminutivo corrente di Richard. (Attenzione, su un piano totalmente diverso, nel recente Closer, che abbiamo presentato in FOTOgraphia dell’ottobre 2006, il nome della fotografa protagonista Anna Cameron, interpretata dall’attrice Julia Roberts, ha sollecitato l’ipotesi che possa anche trattarsi di un ricercato e volontario omaggio alla fotografa inglese dell’Ottocento Julia Margaret Cameron).
A CONTORNO Però, pur non entrando in merito alla vicenda narrata in Cenerentola a Parigi, non possiamo non richiamare l’attenzione sulla raffigurazione quantomeno caricaturale del mondo della moda, come abbiamo appena rilevato, a partire dai capricci e isterismi della redazione della rivista di moda newyorkese, dalla quale parte il racconto (anche per questa, possiamo evocare un irriverente parallelo con Harper’s Bazaar e con il suo art director Alexey Brodovitch, Dovitch sullo schermo, nell’interpretazione di Alex Gerry). E poi non possiamo soprassedere sulla favola della commessa di libreria del Greenwich Village di
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I titoli di testa di Funny Face, di Stanley Donen, film statunitense del 1957 (in Italia, Cenerentola a Parigi), sono scanditi al ritmo di una avvincente serie di fotografie di moda, argomento della sceneggiatura. Giocoforza, la nostra sintesi in forma redazionale non restituisce l’animazione originaria.
New York, trasformata in affascinante modella: appunto Cenerentola, dall’intellettualismo di maniera ai fasti dell’effimero, nell’interpretazione di Audrey Hepburn, nei panni di Jo Stockton. Per quanto riguarda il nostro osservatorio mirato e privilegiato, orientato sulla presenza della fotografia nel cinema, nell’ampio contenitore di Funny Face / Cenerentola a Parigi possiamo apprezzare identificati momenti appunto fotografici. Pensiamo prima di altro all’irruzione nella libreria del Greenwich Village, identificata come location adeguata al contrasto visivo con l’alta moda, e alle successive sequenze di moda per le strade di Parigi: in tutti
i casi, con biottica Rolleiflex e apparecchi 8x10 pollici di diversa natura e composizione, tra i quali si può riconoscere la mitica Deardorff in legno, che sono stati gli strumenti fotografici di Richard Avedon. Ancora, sottolineiamo la presenza nel film di modelle con le quali sono state anche scritte pagine significative e significanti della fotografia di moda: sopra tutte, Dovima (nei panni di Marion), che è poi il celebre volto/corpo di Dovima con gli elefanti (Cirque d’Hiver; Parigi, agosto 1955), di Richard Avedon, e Suzy Parker. A questo proposito, e in collegamento, non ignoriamo come le sequenze di moda a Parigi riflettano lo spirito della realtà di strada che lo stesso Richard Avedon stava appunto visualizzando in quegli anni. Oltre la citata imprevedibilità di Dovima con gli elefanti, si ricordano anche altri scorci di esistenza, con marciapiedi affollati o curiosi di contorno. (Per quanto, decenni dopo, questo stilema espressivo sarebbe diventato linguaggio fotografico applicato alla moda da Ferdinando Scianna, a partire dalla celebre serie di Marpessa in Sicilia, che avviò la collaborazione tra il fotografo e gli stilisti Dolce & Gabbana, ricordiamo che in anni precedenti a quelli di Richard Avedon, l’italiano Federico Garolla espresse già una straordinaria fotografia di Per quanto possibile, in aggiunta alle altre visualizzazioni dei titoli di testa di Funny Face, questa sequenza sottolinea efficacemente l’animazione originaria che si alterna sullo schermo.
(ANCORA) AL CINEMA
C
ertamente, il nostro particolare e mirato interesse per la presenza della fotografia nel cinema, tra le pieghe delle sue scenografie come anche nello specifico di identificate sceneggiature, non intende essere, né manifestarsi, come accanimento (terapeutico). Più nel concreto, si esprime come meditazione consapevole e volontaria di un insieme di osservazioni che compongono i tratti dell’autentico fenomeno, ovvero di una esaltante fenomenologia. Altrove, questo argomento è clamorosamente ignorato, anche quando specifici accadimenti avrebbero potuto/dovuto indurre altrimenti: con non celata amarezza rileviamo l’indifferenza con la quale il giornalismo di settore (non) ha registrato, per lo più ignorandola, la significativa rassegna Fotografia & Cinema. Fotogrammi celebri, a cura di Maurizio e Filippo Rebuzzini, esposta alla Galleria Grazia Neri di Milano all’inizio dello scorso 2007 (FOTOgraphia, dicembre 2006 e maggio 2007; ne riferiamo indipendentemente dal coinvolgimento diretto del nostro direttore e di un nostro collaboratore redazionale, co-protagonista di queste stesse pagine).
Anche alla luce di latitanze altrui, ma non soltanto per questo, riprendiamo l’appuntamento redazionale con la fotografia nel/al cinema, ri-attivando una serie di considerazioni che si propongono di sollecitare curiosità e interessi che, insieme, si profilano e offrono come base di altri approfondimenti individuali sulla socialità della fotografia: a ciascuno, i propri. Ciò precisato, risulti chiaro, esplicito e palese che questa serie di rilevazioni e osservazioni non è mai e solo fine a se stessa e all’argomento via via in esame, ma si allunga in avanti, ribadiamo verso l’ampio contenitore della “socialità della fotografia”, nel quale consideriamo e includiamo le testimonianze significative della presenza della fotografia nella vita di tutti i giorni. In queste pagine è protagonista il cinema, in altre segnaliamo, abbiamo segnalato e continuiamo a segnalare le combinazioni della fotografia nei fumetti (immancabilmente, a pagina tre di ogni numero), nella narrativa e in filatelia. Ma anche altrove.
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IN AVVIO Comunque, pur non entrando in merito alla vicenda narrata in Cenerentola a Parigi -terza ripetizione-, ci soffermiamo sulla garbata consecuzione dei titoli di testa del film, che non è stata alterata nelle edizioni nazionali, tra le quali l’Italia, rimanendo Funny Face per tutti (a pagina 12). Non si tratta di una semplice e banalizzata sequenza di nomi e riferimenti, tra interpreti e produzione cinematografica, ma di una au-
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Sottolineiamo il credito esplicito delle fotografie di Richard Avedon, consulente del film, usate per i titoli di testa di Funny Face.
DAVID “CHIM” SEYMOUR (MAGNUM PHOTOS)
moda “per la strada”, come ampiamente testimoniato in FOTO graphia dell’ottobre 2006).
tentica visualizzazione della materia stessa del film, ovverosia la fotografia di moda. Su un visore luminoso acceso, in retroilluminazione si alternano trasparenze di grande formato (per lo più slide 8x10 pollici, ma anche strisce 6x6cm), accanto le quali sono via via riportati i riferimenti istituzionali e d’obbligo. E lo stesso è fatto con fotografie di moda che a propria volta fanno da contorno e accompagnamento alle specifiche ufficiali. Alla fine, l’attribuzione di dovere: «Special Visual Consultant and Main Title Backgrounds: Richard Avedon», cioè «Consulente alla fotografia [diciamola così] e fotografie di fondo ai titoli di testa: Richard Avedon» (qui a destra). La consecuzione nei titoli di testa, che sintetizziamo in queste pagine, sulle quali non possiamo restituire l’effetto di animazione originario, è incessante e rappresenta una sorta di portfolio dell’autore, a metà degli anni Cinquanta, a dieci dall’avvio di una carriera che si sarebbe conclusa di lì ad altri cinquanta anni, con la scomparsa di Richard Avedon, mancato il Primo ottobre 2004, a ottantuno anni (FOTOgraphia, febbraio 2005). Quindi, per quanto non apprezziamo la trama del film, che però registriamo tra quanti hanno raffigurato la personalità della fotografia (seppure qui in modo parodistico) -sebbene non nella graduatoria del terzo posto su dieci titoli, con il quale l’ha immeritatamente premiato il periodico American Photo dello scorso marzo, commentata in FOTOgraphia del successivo maggio-, ci appassiona proprio e giusto la sequenza dei titoli di testa e la relativa attribuzione ufficiale. Tra l’altro, pur nella finzione del cinema, questa combinazione compone i tratti di un legame tra fantasia (del cinema, appunto) e realtà (della vita), che è poi l’intreccio con il quale si ha spesso a che fare. Non si tratta tanto di inoltrarsi per il Paese delle meraviglie, nel quale si perde Alice, e nel quale realtà e fantasia si susseguono e inseguono a ritmo costante, tanto che nulla è come appare. Ma, più semplicemente, di muoversi tra le pieghe di
Un giovane Richard Avedon, ai tempi trentatreenne, durante le riprese del film Funny Face (in Italia, Cenerentola a Parigi). Con lui, alle prese con il vetro smerigliato di un apparecchio fotografico grande formato, è Fred Astaire, Rolleiflex al collo, il fotografo di moda Dick Avery del film. Parigi, 21 aprile 1956.
una vita che spesso attinge dalla fantasia, almeno tanto quanto invenzione e intuizioni creative nascono dalla vita. E questa è una lezione che ci teniamo stretta nel cuore e nella mente, indipendentemente da ciò e quanto la alimenta. M.R. Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
QUESTA È L’AMERICA
O
Onore al merito per Repubblica. Ci sono capitate numerose occasioni per stimmatizzare il comportamento del quotidiano La Repubblica per quanto riguarda la fotografia. È stato legittimo farlo, ed è giusto oggi complimentarci per un grande servizio pubblicato nelle pagine centrali dell’edizione di domenica Primo giugno: cinque pagine, richiamate dalla prima, immediatamente sopra la testata del quotidiano, coincidenti con le sei pagine del New York Times Magazine. Accompagnato da due splendidi articoli di Mario Calabresi e Vittorio Zucconi, il servizio è stato dedicato alle immagini di Paul Fusco del viaggio del feretro di Robert Francis Kennedy, ucciso a Los Angeles, il 6 giugno 1968, dalla Penn Station di New York alla Union Station di Washington, avvenuto in un caldissimo sabato di quaranta anni fa, l’otto giugno (qui sotto). Su pellicola Kodachrome (annotazione d’obbligo; FOTOgraphia, dicembre 2005), le immagini furono realizzate su incarico di Look Magazine, illustre testata, altrettanto prestigiosa di Life. Paul Fusco, all’agenzia Magnum Photos dalla metà degli anni Settanta, declinò la storia del viaggio con uno stile molto particolare: fotografò la gente comune schierata lungo il percorso, che ha assistito ammutolita al passaggio della salma di un grande [e contraddittorio] personaggio, affettuosa-
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mente chiamato Bob o Bobby, fratello di John Fitzgerald, il presidente assassinato a Dallas nel novembre 1963 (FOTO graphia, novembre 2003), a propria volta lanciato verso una presidenza che avrebbe potuto cambiare la storia degli Stati Uniti. [Annotiamo “contraddittorio”, ricordandoci che tra il 1950 e il 1954, Robert Kennedy fu il vice del senatore repubblicano Joseph McCarthy alla guida della famigerata Commissione per le attività antiamericane, ovvero la commissione specializzata nell’anticomunismo che perseguitò migliaia di cittadini statunitensi, provocando lutti e tragedie trasversali; ndd]. Le straordinarie immagini realizzate quel giorno da Paul Fusco sono rimaste sconosciute per decenni: Look non le pubblicò, perché Life uscì prima e con un servizio che presentava sia le fotografie della morte di Robert Kennedy sia quelle dei suoi funerali. Così che il servizio di Paul Fusco finì in archivio, dove rimase sepolto finché la rivista non cessò le proprie pubblicazioni, tre anni dopo (nonostante vendes-
(pagina accanto) Da RFK Funeral Train: Rediscovered, di Paul Fusco, alla Danziger Projects di New York fino al trentuno luglio.
Richiamate in prima, sopra la testata, le cinque pagine che La Repubblica del Primo giugno ha dedicato alle fotografie di Paul Fusco del viaggio del feretro di Robert Kennedy da New York a Washington, l’8 giugno 1968, quaranta anni fa.
se più di sei milioni di copie). Alla chiusura, l’editore donò tutto l’archivio alla Library of Congress, a Washington (www.loc.gov): cinque milioni di fotografie. Dei circa duemila scatti di Paul Fusco del viaggio della salma di Robert Kennedy, milleottocento sono tra quei cinque milioni; solo un centinaio di stampe furono trattenute dall’autore. Le fotografie dimenticate sono state riscoperte dal gallerista James Danziger di New York, che due anni fa ha convinto il fotografo a raccoglierle in monografia. Nel quarantesimo anniversario, le stesse immagini sono state quindi allestite nella mostra RFK Funeral Train: Rediscovered, inaugurata a New York lo scorso quattro giugno: alla Danziger Projects fino al trentuno luglio (521west 26th street; 001-212-6296778; www.danzigerprojects.com). I dati del libro, ora: RFK Funeral Train; con testi di Norman Mailer, Evan Thomas e Edward Kennedy; Magnum Photos Book in associazione con Umbrage Editions, 2006; 128 pagine 28,5x18,5cm (imminen-
IN EDIZIONE DI VENTI STAMPE]
(45,72X68,58cm) POLLICI
P te riedizione settembre 2008, con l’aggiunta di un saggio di Vicki Goldberg; 50,00 dollari). Delle immagini trattenute da Paul Fusco, alcune furono pubblicate nel 1998 da George Magazine, l’autorevole mensile di John F. Kennedy Jr (meglio conosciuto come “John John”), figlio di John e nipote di Robert, in occasione del trentesimo anniversario della sua morte. Questa
aul Fusco è nato nel 1930 a Leominster, nel Massachusetts. Si è laureato in fotogiornalismo all’università dell’Ohio e, dopo la laurea, è stato immediatamente assunto nello staff di Look. Nel 1974 è entrato a far parte dell’agenzia Magnum Photos. Oltre che su Look, le sue fotografie sono state pubblicate da Life, Time, Newsweek, The Sunday Times e Paris Match. Ha esposto presso il Metropolitan Museum of Art di New York, al Museum of Modern Art di San Francisco e alla Corcoran Gallery di Washington. Recentemente, il Metropolitan Museum of Art ha acquistato sei stampe della serie RFK Funeral Train, in mostra alla Danziger Projects fino a fine luglio.
© PAUL FUSCO / MAGNUM PHOTOS / DANZIGER PROJECTS (7) [CIBACHROME 18X27
L’AUTORE
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R
obert Francis Kennedy, RFK in allineamento all’acronimo JFK del fratello, il presidente John Fitzgerald assassinato a Dallas nel novembre 1963 (FOTOgraphia, novembre 2003), era più familiarmente identificato come Bob o Bobby, che ne sottolineavano l’aspetto giovanile e la giovane età. In corsa per le elezioni presidenziali di novembre, il 5 giugno 1968 Robert Kennedy convocò i propri sostenitori all’Ambassador Hotel di Los Angeles, celebre edificio californiano, denso di storia, inaugurato nel 1921 e demolito nel marzo 2005. Al termine dei festeggiamenti per la vittoria elettorale alle primarie, venne colpito a morte nelle cucine dell’hotel, in diretta televisiva; morì il giorno dopo all’ospedale, all’alba del sei giugno, all’età di quarantadue anni. Le sue ultime parole, pronunciate subito dopo essere stato colpito al cuore e poco prima di perdere conoscenza, sarebbero state di preoccupazione per il suo staff: «Gli altri stanno tutti bene?», avrebbe domandato. L’assassino fu subito arrestato e poi con-
pubblicazione fu merito di Natasha Lunn, una giovane photo editor degli uffici Magnum Photos di New York: fu lei a riscoprirle e a proporle alla redazione. Un anno dopo la pubblicazione, nel 1999 le stesse fo-
dannato: Sirhan B. Sirhan, un giordano di origine palestinese. Durante il processo, alcune incongruenze diedero adito a teorie complottistiche sulla morte di RFK, sull’onda emotiva dell'assassinio del fratello John e del particolare periodo della storia statunitense (e mondiale) nel quale avvennero; ricordiamo che il politico e attivista per i diritti civili degli afroamericano (diciamo oggi) Martin Luther King era stato assassinato poche settimane prima, il quattro aprile, a Memphis, nel Tennessee. Alcuni affermarono che Sirhan B. Sirhan avesse addirittura subìto un lavaggio del cervello e ipotizzarono il coinvolgimento di terroristi palestinesi o della famigerata Cia. David Anthony, il quarto dei dieci figli di Robert Kennedy, assistette alla diretta televisiva che finì con l’attentato al padre; per lo shock non fu più lo stesso ed è prematuramente morto nel 1984, a trentanove anni, per overdose. Dopo la morte di Robert Kennedy, la moglie Ethel Skakel partorì l’undicesimo figlio della coppia, Rory Elizabeth Katherine. tografie furono esposte alla The Photographers’ Gallery di Londra (www.photonet.org.uk). Nella stessa occasione, a cura di Xerox, che la sponsorizzò, fu presentata un’edizione limitata a trecento copie di una
© PAUL FUSCO / MAGNUM PHOTOS / DANZIGER PROJECTS
ROBERT KENNEDY
Ancora da RFK Funeral Train: Rediscovered, di Paul Fusco, alla Danziger Projects di New York fino al trentuno luglio. Simbolicamente sottolineiamo il saluto popolare a Robert Kennedy, familiarmente Bobby.
raccolta di cinquantatré immagini. Un anno dopo ci fu una seconda edizione di questa selezione originaria, con una tiratura di duemila copie. A seguire, nel 2002 la stessa mostra è stata anche esposta alla prima edizione di FotoGrafia, il Festival Internazionale di Roma, intitolata La Memoria (FOTOgraphia, aprile 2002). Come accennato, oltre la recente mostra, James Danziger ha preparato una nuova edizione della monografia RFK Funeral Train, che la newyorkese Aperture distribuirà dal prossimo settembre: 120 fotografie, 224 pagine 30x24,5cm; 50,00 dollari. Lello Piazza Paul Fusco: RFK Funeral Train: Rediscovered. Danziger Projects, 521west 26th street, 10001 New York, Usa; 001-212-6296778; www.danzigerprojects.com. Fino al 31 luglio.
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PREMIO GRIN AMILCARE PONCHIELLI 2008. Il ventisei maggio, presso il Circolo della Stampa di Milano, è stato proclamato il vincitore del Premio Amilcare G. Ponchielli 2008, a cura del Grin, Gruppo Ricercatori Iconogafici Nazionale di specializzazione della Fnsi (Federazione Nazionale della Stampa Italiana), il sindacato dei giornalisti. La giuria era presieduta da Andrea Monti, direttore di Max, che, con parole affettuose, ha ricordato Amilcare Ponchielli, amico e collega con il quale ha lavorato a Sette. Gli altri giurati erano Walter Guadagnini, curatore della collezione Unicredit&Art, sponsor del Premio, il fotografo Gianni Berengo Gardin, Valeria Moreschi, responsabile delle Gallerie Fotografiche Fnac Italia, Mariuccia Stiffoni Ponchielli, moglie del compianto photo editor, e i photo editor Kitti Bolognesi, Samantha Primati e Arianna Rinaldo. Tra i centotrenta progetti pervenuti al Grin quest’anno, è stato premiato Paolo Woods per il suo lavoro Il Far West cinese. Quindi, sono stati segnalati altri due autori: Lorenzo Castore, per La terra sotto i piedi, e Alberto Giuliani, per Radio LU14, Argentina. Ancora: il libro premiato è stato The Roma Journeys [Le romané Phirimàta], di Joakim Eskildsen, edito lo scorso anno dal tedesco Steidl, di Göttingen, con prefazione di Günter Grass. Mi sia concesso di esporre qualche appunto, che rimanga testimonianza scritta di opinioni che tutti mi (ri)conoscono da anni. Uno. Il Grin è nato come una delle tante costole del sindacato dei giornalisti: la sua attenzione preminente dovrebbe essere rivolta ai problemi di lavoro di coloro che vivono nelle redazioni. Contratto giornalistico, assunzione, guerra al precariato, cultura dell’immagine degli addetti. Questo tipo di attività è quasi assente nel Grin. Due. Il Premio è sicuramente una ottima iniziativa: fa crescere la cultura fotografica. Ma perché premiare bravissimi professionisti affermati, che ottengono già riconoscimenti nelle più importanti competizioni internazionali, come Paolo Woods quest’anno o Giorgia Fiorio nel 2005? Perché non svolgere un Premio che
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aiuti i giovani fotografi di talento? Tre. Perché, da qualche anno, presidente della giuria è il direttore di un giornale? Facciamoli pure partecipare alla giuria i direttori, ma a coordinare i lavori dovrebbe essere un direttore della fotografia o un esperto di fotografia, come accade nelle giurie internazionali. Detto questo, lunga vita al Grin, il cui Premio abbiamo presentato lo scorso maggio, con l’auspicio però che si occupi di più dei lavoratori dell’immagine e dei giovani fotogiornalisti.
PERCHÉ AMARE LA FOTOGRAFIA (?). Sul numero dello scorso maggio del noto mensile statunitense PDN (Photo District News, dall’area newyorkese di consistente presenza di indirizzi fotografici) sono state pubblicate le risposte che la redazione ha ritenute più stimolanti nell’ambito di un’inchiesta tra i professionisti del settore sul Perché si ama la fotografia (a destra). Propongo la sintesi di queste risposte, perché suscitano in me una riflessione: se queste sono le considerazioni più interessanti su questo tema fondante, raccolte da una delle più prestigiose riviste internazionali di fotografia, cosa dobbiamo pensare? ❯ Aidan J. Sullivan, Vice President Photo Assignments, Getty Images: «Più che di passione per la fotografia vi parlo della mia passione per la professione che riguarda la fotografia. Sono in questo business da trentacinque anni. Prima facevo il fotografo, ora discuto con i fotografi su progetti da realizzare. Un tempo ciò che più mi appassionava era andare per le strade e raccogliere immagini per raccontare storie, oggi mi appassiona discutere con i fotografi dei loro progetti. Sempre di passione però si tratta. I fotografi sono persone straordinarie, vecchi o nuovi amici ma sempre amici. Poter condividere i loro piani di lavoro mi dà una sensazione che niente altro mi offre. «Un’altra cosa bellissima della mia professione è che ogni giorno imparo qualcosa di nuovo. Naturalmente attraverso la fotografia». ❯ Ethan Hill, fotografo, New York City: «In questo periodo, i fotografi stanno vivendo un cambiamento epocale
Lo scorso maggio, il noto mensile statunitense PDN ( Photo District News) ha pubblicato i risultati dell’inchiesta Perché si ama la fotografia. A scelta: sconcertanti o soltanto banali.
della tecnologia. E questa è una esperienza eccitante da vivere. Sono però anche contento che qualche cosa comincia a stabilizzarsi. Reflex come le Canon Eos 5D e Eos-1D Mark III rappresentano ormai degli standard, come Leica, Nikon F e Hasselblad lo furono in passato per la pellicola. E anche il Bridge di Photoshop CS3 sembra essere quasi universalmente considerato il browser da usare per editare i servizi. «Forse sta arrivando il momento nel quale i fotografi possono tornare a occuparsi di come realizzare un servizio, invece che di come maneggiare una tecnologia continuamente in divenire. «Penso poi che stiano succedendo cose straordinarie nella fotografia, ma una spessa nebbia, densa di milioni di immagini banali che hanno invaso il mercato, ci impedisce di capirle e apprezzarle. Per capire e apprezzare penso dovremo aspettare quindici-venti anni e poi guardarci indietro. Oggi possiamo solo continuare a lavorare duramente, cercando di sopravvivere». ❯ Jerry Arcieri, rapporti con i clienti, Corbis: «Che ci si trovi nel 2008, 2080 o 2208, la street photography [tradurrei: il reportage diretto sul campo, ndr] è l’unica da cui possiamo trarre ispirazione. A dispetto
di tutta la tecnologia digitale, della manipolazione, della postproduzione, sicuramente imprescindibili nel business di oggi, la testimonianza diretta è l’unica che può creare ordine, verità e bellezza, senza salti mortali. Prendi un’immagine di Garry Winogrand o di Lee Friedlander o di Helen Levitt (ma anche di Gus Powell, Cary Conover, Matt Bialer, per parlare di fotoreporter di oggi). Guardala, analizzala, ascoltala... Sono questi i momenti che riescono ancora a farti sentire vivo». ❯ Michelle Palys, fotografo, New Hampshire: «Mi sono innamorato della fotografia quando avevo sette anni e mi fu regalato il mio primo apparecchio. Amo la capacità di questa arte di fermare gli istanti felici della vita, istanti che non si ripeteranno mai nello stesso modo. Amo la possibilità di ritrarre un fiore, un cristallo di ghiaccio, il colore vellutato di un petalo di rosa, o mio figlio che sorride, o l’espressione interessante di una persona, o mia figlia che recita a teatro, o una sposina e suo marito nel giorno del matrimonio, o la neve immacolata, le ombre, gli alberi che buttano le gemme a primavera, le foglie che cadono in autunno, la candid photo. Mi piace fotografare con uno zoom: che senso di ammirazione per il soggetto quando lo guardi nel mirino. Perché scattare solo dieci fotografie quando se ne possono scattare cento o mille? Amo l’attuale tecnologia digitale, che mi permette di usare le vecchie tecniche della fotografia ma, al contempo, di realizzare un fantastiliardo di immagini». ❯ Jack Foley, fotografo, Los Angeles: «Mi ricordo quando vidi per la prima volta apparire l’immagine latente nella camera oscura, con l’ansia di mantenere sotto controllo la temperatura dei bagni. Mi ricordo quando vidi per la prima volta apparire un’immagine stampata a getto di inchiostro, con il rumore della testina della stampante che andava avanti e indietro, con l’ansia che il profilo colore impostato fosse quello giusto. Tutto cambia: non mi sembra perciò che l’anno nel quale stiamo vivendo conti più di tanto. «Contano invece le mini capsule temporali che si creano a ogni scatto, singoli istanti di vita, con i
quali possiamo rimanere in relazione per sempre. «Sebbene non mi dispiaccia vivere oggi, quello che per me è importante riguarda la capacità di guardare indietro nel tempo, e la fotografia mi permette di farlo». ❯ Diane Bush, fotografa, Las Vegas: «Amo la fotografia perché mi consente di distendere la creatività e decidere se applicarla in solitudine o relazionandomi con gli altri, mentre mi salvo dal mondo o dalla noia». Nessun commento. Niente da aggiungere. Nel male, ma anche nel bene, si tratta di una banalizzazione in puro stile statunitense.
Selen), lo presenta così: «Il primo periodico in Italia dedicato all’estetica di mani e unghie. Questo settore della cosmesi è in continua espansione nel nostro paese e coinvolge migliaia di operatori e appassionati. La rivista nasce come punto di incontro tra esperti del settore e pubblico, ma si propone anche di diffondere e ampliare la conoscenza riguardante questo interessante aspetto della cura di sé». Non sono sicuro che se ne sentisse la mancanza.
BASSO IMPERO: IL TRIMESTRALE UNGHIE. Ho sempre ritenuto questo spazio redazionale rubrica di attualità e non di cronaca recente. Ciò mi permette di parlare anche di fatti non vicinissimi nel tempo, ma ancora attuali. Come quello del trimestrale Unghie (& Bellezza), giunto al quarto anno di pubblicazione, costo 5,50 euro la copia, che ho scoperto solo di recente su segnalazione di un amico (qui sotto). L’editore 3ntini&c, del quale ci siamo occupati in passato per altre sue pubblicazioni (da [nu] a Celtica, a
Unghie (& Bellezza): trimestrale del quale non sentivamo la mancanza.
ALLARME: SERVIZI ORFANI! Le pessime abitudini sono più facili ad attecchire delle buone. Spesso ci è capitato di segnalare la famigerata frase che gli editori più scorretti mettono al fondo del colophon dei libri che pubblicano: «Non è stato possibile contattare tutti gli autori delle fotografie. L’editore ottempererà agli obblighi di legge con gli aventi diritto che si mettano in contatto con la nostra casa editrice». Ora, questa frase, che sembra uscita dal diario di Pulcinella, nella propria versione americana («If no copyright owner is found and the material is used and then later the copyright owner comes forward, the bill requires that the user must pay the owner reasonable compensation»), già defunta in un precedente progetto di legge del 2006, sta per tornare alla ribalta negli Stati Uniti. Infatti, due differenti versioni di un progetto di legge denominato Orphan Works sono stati presentati al Congresso americano alla fine dello scorso aprile. Per Orphan Work si intendono fotografie o illustrazioni protette da copyright delle quali non si conosce però il detentore del copyright stesso. «Troppi ottimi lavori vengono negati al pubblico per il solo fatto che non se ne conosce l’autore», ha dichiarato il deputato democratico Howard Berman, a sostegno del progetto. Il problema si presenta soprattutto per Internet. Da parte di molte organizzazioni di fotografi e di illustratori, c’è aria di guerra contro il progetto. C’è chi ritiene che sia un tentativo di resuscitare il vecchio progetto di legge morto nel 2006, al quale ci siamo appena riferiti, chi
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invece giustifica il fatto con la necessità di avere sempre più opere da pubblicare a qualunque costo. Ne seguiremo gli sviluppi e ci torneremo in autunno con un grande esperto italiano del copyright: l’avvocato Salvo Dell’Arte. Per saperne di più su questi progetti di legge statunitensi www.copyright.gov/orphan/.
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HIROSHIMA, MA TERREUR. Su un libro di recente pubblicazione, Atomic Tragedy: Henry L. Stimson and the Decision to Use the Bomb against Japan, a cura del professor Sean L. Malloy dell’Università della California (Cornell University Press, 2008; 208 pagine 15x23cm; 26,95 dollari), vengono pubblicate tredici immagini del bombardamento atomico della città (dieci finora certe, in questa pagina). Queste fotografie fanno parte di una serie che sarebbe stata scattata da un fotografo giapponese sconosciuto, che fu ritrovata ancora non sviluppata in una caverna non lontana da Hiroshima, da un militare americano, Robert L. Capp, alla fine del 1945. Nel 1998, Robert L. Capp donò questa collezione di fotografie agli Hoover Institution Archives della Stanford University, in California, con l’accordo che non avrebbero dovuto essere rese pubbliche prima del 2008. Robert L. Capp aveva dichiarato che solo una parte delle fotografie ritrovate riguardava la devastazione di Hiroshima. Alcune fotografie le aveva scattate lui stesso e altre venivano da un secondo ritrovamento nella città di Hamada (a una settantina di chilometri di distanza da Hiroshima), non attribuibili con certezza a nessun evento. A partire dal libro, molti quotidiani europei hanno pubblicato con enfasi le immagini: tra questi El Pais (La imagen de la muerte atómica en Hiroshima, cinque maggio; con video in Rete: www.elpais.com), La Repubblica (Ecco le foto[grafie] segrete di Hiroshima, sette maggio) e Le Monde (Hiroshima: ce que le monde n’avait jamais vu e La censure américaine a caché les images de victimes, dieci maggio; in alto). Nel frattempo, il professor Sean L. Malloy aveva messo le immagi-
ni sul suo sito, chiedendo aiuto per la identificazione. Tre delle fotografie pubblicate sembra riguardino il terremoto di Kanto, nei pressi di Tokyo, avvenuto nel 1923. Queste tre immagini verranno tolte dalle successive edizioni del libro. A cura di Lello Piazza Le Monde del dieci maggio: Hiroshima: ce que le monde n’avait jamais vu e La censure américaine a caché les images de victimes.
Dalle tredici immagini recuperate a Hiroshima da Robert L. Capp, recentemente pubblicate a corredo di un approfondito testo sui primi utilizzi della bomba atomica e riprese dalla stampa internazionale, le dieci che parrebbero certe. Le altre tre si riferiscono certamente ad altri avvenimenti.
Aver scelto una reflex digitale Nikon significa voler raggiungere livelli superiori di qualità e prestazioni. Ma per ottimizzare tutti gli aspetti della tua fotocamera e raggiungere la perfetta combinazione di performance è necessario disporre di ottiche di altissimo livello.In questo caso, la scelta ha un solo nome: Nikkor. PerchÊ? Perchè soltanto le ottiche Nikkor sono progettate appositamente per gli apparecchi Nikon di oggi e di domani, sulla base di conoscenze e specifiche disponibili soltanto al nostro interno. Solo Nikon può fornire tale tipo di sicurezza e competenza. Gli obiettivi Nikkor, sinonimo di qualità ottica, oltre ad utilizzare le materie prime migliori, di avvalersi dei procedimenti piÚ avanzati e delle tecniche progettuali piÚ sofisticate, incorporano un microprocessore che lavora in abbinamento al sistema computerizzato del corpo camera Nikon AF, per lo scambio delle informazioni che assicurano una messa a fuoco rapidissima, la misurazione Matrix dell’esposizione, il fill-flash bilanciato e le altre innovazioni funzionali che caratterizzano le reflex Nikon. Obiettivi Nikkor: gli unici a permetterti di sfruttare al massimo le potenzialità della tua reflex Nikon.
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*Le caratteristiche presentate potrebbero non essere presenti contemporaneamente sullo stesso modello di obiettivo.
Dopo aver scelto una grande reflex, ti accontenti di un obiettivo qualunque?
WEEGEE, LUI MEDESIMO
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OF
PHOTOGRAPHY (4)
The Gold Painted Stripper; circa 1950 (stampa al bromuro d’argento; 35,6x27,9cm).
Girl jumped out of car, and was killed, on Park Avenue; probabilmente 1940 (stampa al bromuro d’argento; 18,1x22,9cm).
© WEEGEE / INTERNATIONAL CENTER
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Per chi si occupa di fotografia con curiosità e voglia di conoscere (e sapere), le note preventive di annuncio della imponente retrospettiva Unknown Weegee: cronache americane sono a dir poco entusiasmanti. Dal ventuno giugno, la mostra è allestita nelle avvincenti sale del Palazzo della Ragione di Milano, a due passi da piazza del Duomo, che da tempo sono state aperte alla fotografia (ricordiamo le raffinate visioni del barone Wilhelm von Gloeden, presentate in FOTOgraphia dello scorso marzo), e inserita in un circuito di eventi espositivi, soprattutto pittura, che animano quella che è stata definita La Bella Estate di Milano 2008. Già questa identificazione da sola e da sé basterebbe a tenerci lontani da questo programma, sia per la nostra poca identificazione con la città nella quale viviamo fin dalla nascita, sia per la scarsa considerazione che riserviamo alla sua amministrazione pubblica, troppo coinvolta in equilibri di potere nazionale estranei alla concreta gestione delle esigenze sociali quotidiane di Milano. Ma non è questo il problema, che forse non è neppure un problema. Se oggi e qui limitiamo le note di commento e presentazione alla sola segnalazione ufficiale della mostra i motivi sono altri, e dipendono in sostanziosa misura dall’entusiasmo con il quale abbiamo esordito e da altre consecuzioni contingenti. Parliamone.
Lo spessore e valore di questa rassegna richiedono approfondimenti che nella fascicolazione di questo numero della rivista non sarebbero autonomi. In una messa in pagina che sottolinea due altre clamorose rappresentazioni fotografiche degli Stati Uniti (la riedizione di The Americans / Gli americani, di Robert Frank, da pagina 41, e la segnalazione della fantastica serie RFK Funeral Train: Rediscovered, di Paul Fusco, da pagina 16), una terza visione americana non avrebbe potuto godere dell’autonomia che questa fotografia di Weegee merita ed esige. Per quanto Robert Frank e Paul Fusco definiscano osservazioni in qualche modo convergenti, come richiamiamo in Editoriale, a pagina 7, Weegee si è mosso ed espresso su
un piano totalmente diverso, perché assolutamente autonomo, la cui connotazione “americana” oggi e qui potrebbe essere forviante. Per questo, soltanto la segnalazione dell’evento, al quale, sul prossimo numero di settembre (saltata, come consuetudine, la data di copertina di agosto) potremo riservare un doveroso approfondimento, con dovizia di contorni: i nostri consueti, tra cinema, aneddotica e fumetto. Approfondimento comunque ancora tempestivo rispetto la chiusura della mostra, il successivo dodici ottobre. Intanto, ricordiamo soltanto che la personalità fotografica di Weegee è delineata nel film Occhio indiscreto (in originale The Public Eye, di Howard Franklin; Usa, 1992). In assenza di Dvd italiano, sullo schermo Joe
Pesci interpreta il fotografo di cronaca nera newyorkese Bernzy o Grande Bernzini (Leon Bernstein), nel quale si individuano i tratti caratteristici del leggendario Weegee -autoidentificatosi come “The Famous”-: dalle sue peregrinazione nel sottobosco di una città violenta, nella quale il valore dell’esistenza non supera i tre dollari a cadavere con i quali i giornali di nera pagano ogni fotografia di morti ammazzati, all’immancabile sigaro tra i denti, anche quando il mirino della Speed Graphic, dotata di indispensabile flash a lampadine, è portato all’occhio. Nel film, sia detto per inciso, non mancano consistenti riflessioni sulla fotografia, che contornano la vicenda principale di altro indirizzo (prima nostra presentazione in FOTOgraphia del marzo 1996 e più recente richiamo in FOTOgraphia dello scorso maggio). L’argomento d’attualità, ora. Per la tappa italiana di un itinerario espositivo che ha già toccato numerose nazioni, all’indomani dell’allestimento originario nelle sale dell’International Center of New York (dal 9 giugno al 27 agosto 2006), che l’ha prodotta, la mostra ha avuto bisogno di una specifica aggiuntiva, divenendo Unknown Weegee: cronache americane. E con ciò si prende doveroso atto che nel nostro paese il solo richiamo a Weegee non basta, e bisogna offrire una ulteriore chiave di sollecitazione e curiosità... appunto alle “cronache americane” (e anche di questo scriveremo sull’anticipato approfondimento del prossimo settembre). Con tutto, sia chiaro che Unknown Weegee: cronache americane è un appuntamento fotografico di primissimo piano, da non perdere assolutamente: comodo per chi sta a Milano e nelle sue vicinanze, meno agevole per gli altri, ma ogni eventuale sacrificio individuale è ben compensato da una selezione di immagini emozionanti, come raramente se ne possono vedere. Chi conosce la personalità dell’autore ha ben chiaro ciò di cui stiamo parlando, chi ne è all’oscuro si fidi: non essendoci modo né motivo di stendere note biografiche e critiche, sollecitiamo approfondimenti individuali oggi agevolmente alla portata di una semplice ricerca in Rete.
Weegee è una delle figure fondamentali della fotografia. Il suo gesto e le sue immagini hanno fornito straordinaria materia al suo stesso significato espressivo, proiettandosi ben oltre l’assolvimento originario della cronaca nera newyorkese degli anni Trenta e Quaranta. Se non diffidassimo di certe allocuzioni e di voli di precario equilibrio fonetico, scomoderemmo addirittura l’idea e ipotesi di avvincente poesia. Non per paradosso con la cruda realtà delle inquadrature di Weegee, ma per significato autentico, questa è poesia nel senso effettivo del riconoscimento di una fotografia che non vale solo per se stessa, e le proprie intenzioni e/o necessità di partenza, ma per qualcosa di altro, che ciascuno trova prima di tutto in se stesso. A cura di Cynthia Young per conto dell’International Center of Photography, che conserva un affascinante fondo di Weegee (composto da commoventi cimeli di una intera esistenza, tra i quali le copie fotografiche di questo allestimento espositivo, donati all’istituzione museale e di conservazione dalla compagna del fotografo, Wilma Wilcox), Unknown Weegee: cronache americane presenta novantasette immagini sostanzialmente inedite, quantomeno poco conosciute, se non già totalmente sconosciute. Cioè, in mostra e nel relativo volume catalogo che
[Space Patrol]; circa 1954 (stampa al bromuro d’argento; 23,2x19,2cm). (a destra) Some of the lost kids in the Lost Children Shelter; circa 1940 (stampa al bromuro d’argento; 26,7x32,4cm).
l’accompagna (realizzato da Steidl per conto di Icp: niente edizione italiana, per la quale l’editore tedesco ha negato i diritti; anche così va il mondo), si incontrano scatti diversi da quelli per i quali Weegee è noto e riconosciuto. Si tratta di copie fotografiche personali di Weegee, da lui stesso stampate e maneggiate (emozionanti i segni dell’usura fisica), trasversali al suo intero corpo di lavoro, spesso filologicamente impreziosite da annotazioni in retro (non visibili: ma ci sono) o sui bordi. Insomma, sono stampe di lavoro, che dalla propria utilità originaria, a distanza di decenni, si propongono per una condivisione che avvolge e coinvolge l’osservatore, oltre lo spessore e i significati espliciti delle visioni, inquadrature e composizioni del soggetto rappresentato. Così, ci piace pensare a un complemento, a un “rinforzino” di quelli che completano certi inviti a pranzo, che aggiunge qualcosa alla conoscenza individuale. Quindi, non un ripasso, ma una autentica, opportuna e ben accetta lezione fotografica, integrativa di tutto quanto già sappiamo su Weegee. E anche questo sarà materia di approfondimento: il prossimo settembre. M.R. Unknown Weegee: cronache americane. A cura di Cynthia Young; mostra prodotta e organizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano e 24ore Motta Cultura (02-30076253; mostre@mottaeditore.it). Palazzo della Ragione, piazza dei Mercanti 1, 20123 Milano. Fino al 12 ottobre; lunedì 14,30-19,30, da martedì a domenica 9,30-19,30, giovedì fino alle 22,30.
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SETTIMANA IN GARFAGNANA
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Senza ombra di dubbio, è il momento di Piergiorgio Branzi: e ci voleva proprio. Dopo prestigiosi e successivi riconoscimenti internazionali, che l’hanno visto protagonista di personali allestite negli Stati Uniti e in Francia (soprattutto), dallo scorso dieci maggio al successivo ventinove giugno è stata di scena la consistente retrospettiva Piergiorgio Branzi. Fotografie 1952-2007, a cura di Paolo Morello, nelle autorevoli sale della Galleria Civica di Bolzano, che si è accompagnata con una
edizione dedicata della monografia della collana dei Maestri della fotografia italiana del Novecento, nella quale l’Istituto Superiore per la Storia della Fotografia di Padova sta pubblicando autori di specchiata fama; obbligatoria la segnalazione dei nomi già presentati: Fulvio Roiter, Mario De Biasi, Gianni Berengo Gardin, Mario Lasalandra e, appunto, Piergiorgio Branzi. A seguire, e in anticipazione, registriamo che lo stesso Piergiorgio Branzi è protagonista della imminen-
Dalla mostra Diario moscovita, di Piergiorgio Branzi, allestita alla Settimana della Fotografia di Castelnuovo di Garfagnana (Lucca).
(in basso) Trucco in una pausa di lavoro; 1965. Effige di Lenin; 1962-1965.
Università Lomonosov; 1965.
te Settimana della Fotografia, che si tiene a Castelnuovo di Garfagnana, in provincia di Lucca, dal prossimo Primo agosto (i dettagli a parte, nel riquadro pubblicato a pagina 28). Anzitutto, registriamo che la manifestazione verrà avviata con l’inaugurazione della mostra Diario moscovita, che riprende e ripropone le immagini riunite nella monografia Diario moscovita 1962-1966, pubblicata nel 2001 da Il Ramo d’Oro Editore, di Trieste (testi critici di Giuseppe Pinna, prefazione di Demetrio Volcic; 120 pagine 24,5x22,5cm; 20,66 euro). Si impone un commento. Autore di spessore e raffinata sensibilità, oltre che di capacità narrativa fuori dal comune, che può contare su una eccezionale sintesi compositiva,
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DAL PRIMO AGOSTO
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ettimana abbondante: da venerdì Primo agosto alla successiva domenica dieci. Organizzata dal Circolo Fotocine Garfagnana, la Settimana della Fotografia di Castelnuovo di Garfagnana, in provincia di Lucca, si articola in una serie di appuntamenti tematici. ❯ Mostre alla Rocca Ariostesca (10,00-12,00 - 16,00-19,00 - 21,00-23,00) • Piergiorgio Branzi: Diario moscovita. • Giacomo Brunelli: Creature (serie fotografica vincitrice a Portfolio 2007, nel circuito Fiaf - Federazione Italiana Associazioni Fotografiche, e primo premio nella categoria Natura del Sony World Photography Award, che abbiamo commentato lo scorso giugno). • Collettiva del Circolo Fotocine Garfagnana. • Segnalati al Portfolio dell’Ariosto 2007: Enrico Genovesi (L’opera del banco), Graziano Panfili (L’Egitto dentro), Giovanni Presutti (Camerun, common people), Stefano Giogli (Corrispondenze) e Donatello Mancusi (E.A.T.). ❯ Portfolio dell’Ariosto (sabato due e domenica tre agosto). Lettura portfolio che fa parte del circuito Fiaf Portfolio Italia, distribuito in otto manifestazioni locali, caratterizzate da una ampia partecipazione e ritenute le più significative del panorama nazionale: Chiavari, San Felice sul Panaro, Massa Marittima, Rovereto, Castelnuovo di Garfagnana, Savignano sul Rubicone, Bibbiena e Roma. Cinque lettori: Piergiorgio Branzi, fotografo e giornalista, Luigi Erba, fotografo e critico fotografico, Roberto Evangelisti, insegnante di fotografia, Massimo Mussini, critico e storico della fotografia, Giorgio Tani, direttore del dipartimento editoria della Fiaf (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche). ❯ Incontri e contorni alla Rocca Ariostesca • Inaugurazione mostre: venerdì Primo agosto, 18,00. • Dibattito su Evoluzione del gesto fotografico alla luce delle nuove tecnologie, a cura di Maurizio Rebuzzini (direttore di FOTOgraphia, docente a incarico di Storia della fotografia alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia): venerdì Primo agosto, 21,30. • Premio Rodolfo Pucci - La Fibula d’oro a Piergiorgio Branzi e intervista a cura di Fulvio Merlak (presidente Fiaf): sabato due agosto, 21,30. • Incontro con Andrea Quattrini, autore della serie fotografica Diario giapponese. Immagini di oggi tra ieri e domani: venerdì otto agosto, 21,30. ❯ Spazio editoria fotografica. Circolo Fotocine Garfagnana; Casella Postale 30, 55032 Castelnuovo di Garfagnana LU; www.fotocinegarfagnana.it, info@fotocinegarfagnana.it.
Piergiorgio Branzi ha attraversato i decenni con incontaminata intelligenza visiva. Le sue fotografie hanno raccontato l’evoluzione dei tempi, del costume e delle socialità con un linguaggio diretto. E per questo efficace, che colpisce direttamente la mente e il cuore dell’osservatore. In allineamento, le immagini riprese in Unione Sovietica all’inizio degli anni Sessanta sono a diritto esemplari. Come già annotato in occasioni precedenti, il valore di questo racconto è almeno doppio. Il Diario moscovita di Piergiorgio Branzi esprime del soggetto esplicito che visualizza, appunto la capitale dell’Unione Sovietica (di allora), almeno quanto rivela del fotografo che ha raccolto i
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momenti significativi della narrazione per immagini. Domanda, alla quale ciascuno risponda per sé: alla mostra, oppure sfogliando la monografia nella pace e tranquillità delle proprie pareti domestiche, oltre che di Mosca, finiamo per sapere anche qualcosa di più di Piergiorgio Branzi? Pensiamo proprio di sì, e siamo felici che altri possano godere di questo privilegio e onore, semplicemente disponendo di mezzi antichi ma futuribili: un allestimento scenico e un libro illustrato. Alla Settimana della Fotografia di Castelnuovo di Garfagnana, la sera di sabato due agosto, Piergiorgio Branzi riceverà quindi il qualificato Premio La Fibula d’oro, che ogni an-
Nuovi quartieri; 1963.
Monastero dei Vecchi Credenti; 1963.
no sottolinea la personalità di un protagonista della fotografia italiana contemporanea. Il Premio è intitolato alla memoria di Rodolfo Pucci, fondatore dell’associazione fotografica che organizza e svolge questo appuntamento estivo (Circolo Fotocine Garfagnana): cronologicamente, spaziando dalla fotografia professionale al mondo della fotografia non professionale organizzata, dal 1999 il Premio è stato assegnato a Giorgio Tani, Fosco Maraini, Roberto Evangelisti, Sergio Magni, Antonio D’Ambrosio, Nino Migliori, Francesco Cito, Letizia Battaglia e Uliano Lucas. Come riassunto nel riquadro pubblicato qui a sinistra, la Settimana della Fotografia di Castelnuovo di Garfagnana, in provincia di Lucca, si articola in un programma di mostre e attività parallele, dalla rituale lettura portfolio a incontri conviviali. A.G.
LELLO PIAZZA (2)
APPUNTAMENTO A SETTEMBRE
Dal 1989, ogni autunno il fotogiornalismo internazionale fa il punto sulla propria personalità in occasione di Visa pour l’Image. A Perpignan, in Francia, nei Pirenei orientali, ci si incontra su un doppio livello: in retroproiezione, uno analizza e riflette sui significati di ciò che si è verificato nei dodici mesi precedenti; in proiezione, l’altro ipotizza il cammino verso il quale si incammina l’evoluzione sociale del fotogiornalismo. In un intervallo temporale che si allunga fino a metà mese, dal Primo al sette settembre sono programmati gli incontri di spicco della settimana professionale iflessione e considerazione d’obbligo: da un certo momento in poi Visa pour l’Image, l’appuntamento annuale con il fotogiornalismo internazionale, che si tiene a settembre a Perpignan, in Francia, sui Pirenei orientali che confinano con la Spagna, coincide con la mia storia professionale. Della prima edizione, nel 1989, non avevo avuto notizia. Ma dal 1990, seconda edizione, sono sempre stato presente, tranne nel 1994, quando mia
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Le proiezioni serali rappresentano uno dei piatti forti di Visa pour l’Image, come testimonia la lunga fila all’ingresso. Edizione 2008: dal trenta agosto al quattordici settembre (professionale: dal Primo al sette settembre).
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(a destra) Gli aggiornamenti sul programma di Visa pour l’Image 2008 sono pubblicati sul sito ufficiale della manifestazione.
Sylvie Grumbach, capo ufficio stampa di Visa pour l’Image, e Jean-François Leroy, inventore e direttore della manifestazione.
VISA POUR L’IMAGE : VENTESIMA EDIZIONE
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glior reportage fotografico): giovedì quattro settembre (lo scorso 2007 è stato premiato il quotidiano messicano Reforma); ❯Visa d’Or Magazine: venerdì cinque settembre (lo scorso 2007 è stato premiato un reportage di Lizzie Sadin sulla situazione giovanile); ❯ Visa d’Or News: sabato sei settembre (lo scorso 2007 è stato premiato il reportage Ciad, di Kadir van Lohuizen, dell’agenzia Noor, che annunciò la propria costituzione giusto nei giorni di Visa pour l’Image 2007; FOTOgraphia, dicembre 2007).
ate ufficiali: da sabato trenta agosto a domenica quattordici settembre sono esposte le mostre di contorno alla ventesima edizione di Visa pour l’Image, Festival Internazionale di Fotogiornalismo (elenco provvisorio nel riquadro pubblicato sulla pagina accanto). La settimana professionale va da lunedì Primo a domenica sette settembre: incontri di spicco, che da tutto il mondo richiamano a Perpignan personalità del fotogiornalismo internazionale (fotografi, photo editor, agenzie di produzione e distribuzione, giornalisti, direttori di prestigiose testate e contorni). L’assegnazione dei tradizionali premi, annunciati alle proiezioni serali al Campo Santo, si concentra da metà a fine settimana: ❯ Visa d’Or Presse Quotidienne Internationale (riservato alla stampa quotidiana internazionale, per la pubblicazione del mi-
Visa pour l’Image. Ventesimo Festival Internazionale di Fotogiornalismo. Perpignan, Francia. Dal 30 agosto al 14 settembre (professionale: dal Primo al 7 settembre); 0033-1-42339318; www.visapourlimage.com.
Tra le mostre più emozionanti di Visa pour l’Image segnaliamo il Laos di Philip Blenkinsop.
JACQUES GRISON
È DOVEROSO: GLI SPONSOR citare gli sponsor, grazie ai quali è possibile che Vil’Image esista e possa continuare il proprio camOmino.saccorreInpourordine alfabetico, divisi per settori. ❯ Internazionali: Canon, Elle, France Info e France Bleu Roussillon (organi di informazione), Getty Images, National Geographic, Paris Match, Photo. ❯ Istituzionali, sotto il patrocinio e sostegno del Ministère de la Culture et de la Communication e della Région Languedoc Roussillon: Caisse des Dépôts, Chambre de Commerce et d’Industrie de Perpignan, Chambre de Métiers et de l’Artisanat, (Comune di) Perpignan La Catalane, Union pour les Enterprises. ❯ C’è poi una miriade di sponsor locali, che è impossibile citare. Chi è interessato li trova al sito www.visapourlimage.com. Infine, segnaliamo i laboratori, tutti francesi, che hanno contribuito alla stampa delle mostre: Central Color (Parigi), Dupon (Parigi), e-Center (Malakoff), Fenêtre sur Cour (Parigi), Picto (Parigi), Rev’Fix - Comptoir de l’image (Parigi).
madre è venuta a mancare ai primi di settembre. A Visa pour l’Image, che si presenta ufficialmente come Festival Internazionale di Fotogiornalismo, ho avuto incontri magnifici, ho conosciuto persone nuove e incontrato amici di lunga data, con i quali avevo spesso occasione di parlare al telefono, ma che lì potevo rivedere, condividendo con lo-
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ro la convivialità di una birra o un bicchiere di vino, possibile solo in questa occasione. Si sa, nella fotografia non ci sono solo le immagini (che pure ne costituiscono l’essenza, e non soltanto il piatto forte): ci sono anche le personalità, spesso deliziose, dei colleghi e dei fotografi. Le mostre di Visa pour l’Image (ne ho visitate più di seicento nei vari anni che si sono susseguiti incessantemente) e le proiezioni hanno arricchito moltissimo la mia cultura fotografica. Ho scoperto reportage dei quali non conoscevo l’esistenza, come quello di Philip Blenkinsop sul Laos [pagina accanto] o la straordinaria retrospettiva sull’indiano sconosciuto Kishor Parekh [qui sopra], prematuramente mancato nel 1982, a cinquantadue anni, per fare due esempi tra i tanti possibili. A questo proposito, lancio un’idea che Jean-François Leroy, inventore e direttore di Visa pour l’Image, avrà certamente già avuto: sarebbe straordinario pubblicare un libro che raccolga le mostre di venti anni del festival. Libro che edificherebbe un monumento formidabile al fotogiornalismo. Chi è stato a Perpignan, chi ha assistito alle proiezioni fotografiche della sera (oggi al Campo Santo, nei primi anni nel cortile del Palazzo dei Re di Maiorca, una massiccia costruzione in mattoni del Tredicesimo secolo), che si tengono nella settimana professionale, alle 21,45 in punto, ha sicuramente rafforzato dentro di sé l’idea del ruolo fondamentale e imprescindibile del fotogiornalismo come strumento di democrazia. In Francia, l’eco di Visa pour l’Image è grande, ma in Italia i media non ne parlano quasi, e credo che FOTOgraphia sia l’unica rivista italiana che ogni anno la presenta, per poi commentarne lo svolgimento. Forse bisognerebbe creare una mostra circolante, come quella del World Press Photo, da presentare in un paio di località in Italia.
MOSTRE E PROIEZIONI ltre gli incontri ufficiali e programmati, e conviviali tra le strade di Perpignan, Ocomequelli tradizione, Visa pour l’Image 2008 presenta e offre una consistente serie di mostre di fotoreportage che stabiliscono i termini dell’attualità del fotogiornalismo internazionale nella propria proiezione sociale. Le mostre sono allestite da sabato trenta agosto a domenica quattordici settembre: con orario di apertura dalle 10,00 alle 20,00. L’elenco è incompleto, e ci limitiamo alle certezze. ❯ Alexandra Boulat (VII): Retrospettiva dedicata alla fotografa prematuramente mancata lo scorso cinque ottobre (FOTO graphia, novembre 2007). ❯ Paula Bronstein (Getty Images): Afghanistan. ❯ David Douglas Duncan: Questa è guerra ; vent’anni di lavoro del grande fotogiornalista. ❯ Horst Faas: 50 anni di fotogiornalismo; omaggio alla carriera. ❯ Göksin Sipahioglu: GS 68; il maggio 1968 a Parigi. Altri contributi sicuri verranno da: Philip Blenkinsop (Noor) per Paris Match, Marie Dorigny per Geo France, Jan
Grarup (Noor) per Politiken, Yuri Kozyrev (Noor) per Time Magazine, Pascal Maitre (Cosmos) per Geo Germania, Nick Nichols per National Geographic Magazine, Noël Quidu (Gamma) per VSD, Patrick Robert per Elle, Alfred Yaghobzadeh (Sipa Press) per Figaro Magazine, Stanley Greene (Noor) per Russian Reporter Magazine e Nina Berman (Sipa Press) per Figaro Magazine. Quindi, ricordiamo le serate di proiezione, da lunedì Primo settembre a sabato sei settembre, alle 21,45 (precise!), al Campo Santo, di fianco al Duomo. ❯ Fotografie dei principali eventi d’attualità dal settembre 2007 alla fine di agosto 2008, in ordine cronologico nelle varie serate: antologia di un anno di fotoreportage. ❯ Retrospettiva dei venti anni di Visa pour l’Image (1989-2008). ❯ La fine della Prima guerra mondiale. ❯ Pakistan: dalle origini dello stato a oggi. ❯ 1968 nel mondo. ❯ Tributo a Jean-François Bizot, fondatore del periodico Actuel. ❯ Kenya: dalla stabilità ai pericoli della Guerra civile.
Comunque, sono sicuro che ognuno di noi torna ogni anno da Perpignan più ricco per quello che vede e per le riflessioni sulla professione di fotogiornalista che può affrontare. Quest’anno si arriva alla ventesima edizione: non perdetevela. Lello Piazza
Numerose riproposte e scoperte definiscono lo spirito di Visa pour l’Image. Un esempio tra i tanti possibili la presentazione dell’indiano sconosciuto Kishor Parekh.
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FOTOGIORN PER LA DEM «Il lavoro giornalistico ha bisogno di uomini integri, dalla mentalità aperta e dai propositi sinceri, dotati di intelligenza e capacità di intuizione per giungere al cuore delle relazioni umane - e con l’abilità molto rara di comunicare con imparzialità al mondo la giusta misura di ciò che scoprono»
W. Eugene Smith Presieduta da Andrej Reiser, la giuria del Czech Press Photo 2007 ha coinvolto personalità del mondo dei media.
Fotografo dell’anno e Primo premio Spot News: Dan Materna ( MF Dnes); Tiro alla fune per un figlio, 16 gennaio 2007.
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pre con l’affermazione di W. Eugene Smith che riportiamo qui sopra, un’affermazione che non sembra più appartenere al nostro tempo, il grande volume che il Czech Press Photo ha dedicato, nel 2004, al proprio decimo compleanno. Non conoscevo questa competizione di fotogiornalismo, e mi ci sono imbattuto quasi per caso, per un colpo di fortuna (merito di Grazia Neri), nell’ottobre scorso, partecipando ai lavori della tredicesima edizione. Sono rimasto così entusiasta dell’esperienza, da ripromettermi di
Dalla Repubblica Ceca, dove da tredici anni si svolge il Czech Press Photo, avvincente concorso di fotoreportage, riceviamo una concreta indicazione di come il fotogiornalismo sia una delle voci dell’attuale diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni. Per quanto condizionamenti di Mercato -è facile dirlo- possano tendere a circoscrivere le voci e a farle addirittura tacere, l’etica dei fotogiornalisti supera ostacoli e coercizioni. Pur di esprimersi e per potersi esprimere 34
parlarne su queste pagine appena tornato da Praga. Ma, subito, ci sono state ragioni che hanno suggerito di aspettare, di aspettare quasi un anno. Queste ragioni, che mi sono più chiare ora di allora, sono ispirate da ciò che, a mio modo di vedere, rappresenta il cuore di questo concorso. E cioè la sua importanza per la democrazia di un paese, antico di storia ma rinato alla libertà solo all’inizio degli anni Novanta. Ho impiegato tanto a capire questa realtà, e a vedere oltre la verità palese delle cose, come ha rilevato ancora W. Eugene Smith; altra citazione riportata nella consistente monografia del decennale: «Vorrei che le mie immagini potessero trascendere la propria verità letterale, raccontando una verità ancora più profonda, rivelando lo spirito di ciò che vedo e fotografo e il suo valore simbolico. E vorrei che l’unico mio direttore fosse la mia coscienza e che la mia coscienza sia di mia esclusiva responsabilità».
LELLO PIAZZA (2)
NALISMO MOCRAZIA
Christopher Morris, dell'agenzia VII, membro della giuria del Czech Press Photo 2007, con la fotografia di Dan Materna, Primo premio assoluto.
La verità palese del Czech Press Photo recita “concorso fotografico”, come ce ne sono tanti. Ma la verità più profonda, alla fine, mi ha rivelato che il concorso esiste perché esiste un progetto di libertà e democrazia dell’intera Repubblica Ceca. Più avanti racconto le caratteristiche della competizione, ma qui comincio dalla verità profonda. Mancano pochi giorni al ventuno agosto, ricorrenza importante per i cechi e gli slovacchi (ai tempi unica nazione sulle cartine geografiche, solo su queste), ricorrenza celebrata (anche) da una avvincente documentazione fotografica di Josef Koudelka, esposta a Forma, Centro Internazionale di Fotografia, a Milano, fino al prossimo sette settembre, e riunita in una monografia pubblicata in Italia da Contrasto (www.contrastobooks.com): Invasione. Praga ’68; duecentoquarantanove fotografie in bianconero; 296 pagine 24,5x32cm; 40,00 euro (FOTOgraphia, giugno 2008).
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Premio speciale della città di Praga: Jan Zatorsky.
LEZIONI DALLA STORIA
Primo premio People in the News: Michal Šula. Primo premio General News e Photo Art: Alena Dvořáková e Viktor Fischer.
Il ventuno agosto 1968, i carri armati del patto di Varsavia (ad eccezione della Romania) entrarono a Praga per soffocare i venti di libertà dei quali si era fatto interprete per tutti il premier Alexander Dubček, che, alla testa di un folto gruppo di politici e intellettuali riformatori, dall’inizio dell’anno aveva avviato uno straordinario programma di abbandono del modello sovietico, identificato come “Primavera di Praga”.
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zech Press Photo, il concorso annuale e la relativa mostra di fotogiornalismo ha avuto la sua prima edizione nel 1995. Il suo scopo è stato ed è quello di offrire ai fotogiornalisti che risiedono nelle repubbliche Ceca e Slovacca un “palcoscenico” per mostrare liberamente le proprie testimonianze visive sui fatti di cronaca o di vita vissuta, raccolte nell’arco di un anConvivialità: Daniela Mrazkova, no. A quasi venti anni di distanza presidente del Czech Press Photo, dalla fine del regime comunista, e Andrej Reiser, presidente della giuria 2007. che aveva soggiogato tutti i media della nostra Repubblica alle esigenze di falsità e propaganda dello stesso regime, all’orizzonte si manifestano nuove minacce contro la libertà e l’indipendenza. Minacce che potremmo sintetizzare in un concetto esplicito: il Mercato. Solo ora stiamo cominciando a intuire che dietro il cosiddetto Mercato si nascondono rischi contro la libertà di informazione e opinione. Dunque, il Czech Press Photo è nato per dare la possibilità ai fotogiornalisti di mostrare (anche) le immagini che, per qualunque motivo, vengono fermate dalle redazioni di quotidiani, newsmagazine e riviste. Abbiamo avuto fortuna: il pubblico si è dimostrato molto interessato alle fotografie che partecipano al concorso e che poi vengono presentate in mostra e, dopo quindici anni di attività, la cerimonia della consegna dei premi e inaugurazione della mostra rappresenta uno dei più importanti eventi culturali del nostro paese, al quale partecipa il presidente della Repubblica Ceca, il sindaco di Praga (che ha istituito il suo personale premio, il Premio speciale della città di Praga), molti membri del corpo diplomatico e altre importanti personalità del mondo della cultura. Vorrei aggiungere che la sede della mostra è il luogo più prestigioso di Praga, Staroměstská Radnice, l’antico municipio della Città Vecchia, e che la giuria internazionale è composta da importanti personaggi del mondo dei media, fotografi, photo editor e direttori di fotoagenzie, giornali e istituzioni culturali. Da sottolineare, infine, che due organizzazioni internazionali, rami delle Nazioni Unite, l’Unicef (a difesa dei bambini) e l’Unhcr (a difesa dei rifugiati), hanno istituito e aggiunto propri premi speciali. Il Premio Unicef è assegnato da una serissima giuria di scolari scelti nelle scuole di Praga. Daniela Mrazkova (presidente del Czech Press Photo)
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LELLO PIAZZA
INTENZIONI E PROPOSITI La dittatura sovietica riprese il sopravvento e rimase dominante e oppressiva fino alla caduta del Muro di Berlino, nel 1989, dalla quale presero avvio le consecuzioni politiche e sociali che portarono alla disgregazione della stessa Unione Sovietica e del blocco di paesi socialisti controllati, e nacque, con una nuova Russia, l’indipendenza degli stati un tempo satelliti (a conseguenza e consecuzione degli accordi a tavolino con i quali, alla Conferenza di Yalta del febbraio 1945, Franklin Delano Roosevelt, presidente degli Stati Uniti, Winston Churchill, primo ministro inglese, e Stalin, premier dell’Unione Sovietica, si spartirono le aree geografiche e politiche di influenza, che si sarebbero rese disponibili all’indomani della ormai vittoria certa nella Seconda guerra mondiale). Come è strana la Storia: a volte ci vuole più di un secolo per liberarsi di una dittatura militare; altre volte, una nazione sconfigge una dittatura in pochi anni, e in pochissimo tempo supera molte nazioni occidentali (anche quelle che hanno vinto la Seconda guerra mondiale, proprio in nome della democrazia) nella classifica stilata dall’autorevolissima organizzazione Reporters sans frontières, che fotografa le condizioni della libertà di stampa (riquadro sulla pagina accanto). Infatti, la Repubblica Ceca è al quattordicesimo posto di questa inquietante classifica, nella quale la Germania è al ventesimo posto, la Gran Bretagna al ventiquattresimo, la Francia al trentunesimo, l’Italia al trentacinquesimo, gli Stati Uniti solo al quarantottesimo (e la Slovacchia, col suo terzo posto, sta ancora meglio).
FOTOGRAFIA DELLA LIBERTÀ Sembra che il Czech Press Photo sia stato concepito proprio in coincidenza con gli eventi storici dell’in-
RAPPORTO 2008
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ata in Francia, Reporters sans frontières (www.rsf.org) è una organizzazione internazionale per la difesa della libertà di stampa. È stata fondata dall’attuale segretario generale Rober Ménard. In Italia è identificata dalla sigla originaria francese, invece tradotta nei paesi di lingua inglese e spagnola. Nell’ambito delle proprie attività di monitoraggio della libertà di stampa -che comprendono anche la classifica del suo rispetto nel mondo, che riportiamo in calce-, sull’attualità dei prossimi Giochi Olimpici, Reporters sans frontières ha intensificato una campagna conoscitiva delle violazioni alla libertà di stampa sistematicamente perpetuate nella Repubblica popolare cinese, dove si svolgono le Olimpiadi 2008 (dal prossimo agosto). Lasciamo il commento al Rapporto 2008 di Reporters sans frontières a Mimmo Càndito, giornalista, corrispondente di guerra, inviato speciale e commentatore di politica internazionale per il quotidiano La Stampa, presidente di Reporters sans frontières Italia, del quale segnaliamo anche l’ottimo intervento Nasce Posizione Paese Punteggio 1 ..............................Islanda................................0,75 1 ..............................Norvegia ............................0,75 3 ..............................Estonia ................................1 3 ..............................Slovacchia ......................1 5 ..............................Belgio..................................1,5 5 ..............................Finlandia ............................1,5 5 ..............................Svezia .................................1,5 8 ..............................Danimarca .........................2 8 ..............................Irlanda ................................2 8 ..............................Portogallo ..........................2 11 ..............................Svizzera .............................3 12 ..............................Lettonia ..............................3,5 12 ..............................Olanda ................................3,5 14 ..............................Repubblica Ceca..........4 15 ..............................Nuova Zelanda.................4,17 16 ..............................Austria ................................4,25
l’inviato di guerra al convegno Crimea 1854-56: una storia dimenticata, svoltosi a Torino nel novembre 2006 (i cui atti, che comprendono anche la relazione Nasce il fotoreporter di guerra, di Maurizio Rebuzzini, direttore di FOTOgraphia, sono stati pubblicati da Alpi Editrice per conto dell’Associazione Europiemonte): «La pubblicazione del Rapporto annuale di Reporters sans frontières ribadisce una situazione che è drammatica, ma che spesso si tende a dimenticare: cioè che la violazione dei diritti umani, la violazione del diritto di esprimere liberamente la propria opinione non è soltanto nei paesi a regime, autoritari, ma purtroppo filtra anche nei paesi di struttura democratica, di statuizione della libertà di pensiero, in forme le più infinite, più sofisticate. Però, purtroppo, spesso non ce ne accorgiamo e siamo vittime dei condizionamenti che i grossi poteri hanno la capacità di esercitare sui mezzi di comunicazione di massa» Dal Rapporto 2008, scaricabile per intero dal sito www.rsf.org, ricaviamo la classifica del rispetto e non rispetto della libertà di stampa, limitandola ai primi cinquanta paesi del mondo. 17 ..............................Ungheria ............................4,5 34 ..............................Bosnia e Erzegovina .......11,17 18 ..............................Canada ...............................4,88 35 ..............................Italia...............................11,25 19 ..............................Trinidad e Tobago ............5 36 ..............................Macedonia ......................11,5 20 ..............................Germania...........................5,75 37 ..............................Giappone .........................11,75 21 ..............................Costa Rica ..........................6,5 37 ..............................Uruguay ..........................11,75 21 ..............................Slovenia .............................6,5 39 ..............................Cile ....................................12,13 23 ..............................Lituania ..............................7 39 ..............................Sud Corea........................12,13 24 ..............................Gran Bretagna .................8,25 41 ..............................Croazia.............................12,5 25 ..............................Mauritius ............................8,5 42 ..............................Romania ..........................12,75 25 ..............................Namibia .............................8,5 43 ..............................Sud Africa........................13 27 ..............................Jamaica ..............................8,63 44 ..............................Israele ..............................13,25 28 ..............................Australia .............................8,79 45 ..............................Capo Verde .....................14 29 ..............................Ghana .................................9 45 ..............................Cipro .................................14 30 ..............................Grecia .................................9,25 47 ..............................Nicaragua........................14,25 31 ..............................Francia................................9,75 48 ..............................Stati Uniti ........................14,5 32 ..............................Formosa...........................10 49 ..............................Togo ..................................15,17 33 ..............................Spagna.............................10,25 50 ..............................Mauritania ......................15,5
vasione, prima, e della caduta del Muro, poi. Un concepimento durato vent’anni, certo. Ma fu in quelle due circostanze che si formò una forte solidarietà. Ai fotogiornalisti cechi e slovacchi, che in quelle due occasioni (la prima che durò pochi giorni, la seconda che aprì la strada a una più duratura e stabile “Primavera”) riempirono le strade per soddisfare il loro bisogno di testimoniare, un bisogno a lungo represso, si sono uniti fotografi-artisti, richiamati dalla stessa ricerca di spazi per mostrare le proprie opere. Così, la fotografia si è rivelata uno dei veicoli per la libertà. Ma il successo di questo concorso di giornalismo fotografico non nasce evidentemente solo dalla passione dei fotografi, ma, più in generale, si deve all’importanza che ha per i cittadini cechi la libertà di informazione. Non è forse un segnale straordinario? Penso al nostro paese. Riporto tre esempi, selezionati a caso tra una miriade di casi italiani delle ultime settimane. 1) Metà maggio: rispondendo a perplessità sull’ennesimo tentativo del governo Berlusconi di salvare Rete 4 dal satellite, nella trasmissione Anno Zero, con forte accento romanesco, Alessandra Mussolini dichiara: «con quello che succede a Napoli, ce dovemo preoccupà de la televisione?».
2) Reazione morbida dell’opposizione e sostanziale disinteresse del paese al progetto di legge sulle intercettazioni, che contempla e prevede pene pesantissime per giornalisti ed editori che dovessero pubblicare dialoghi intercettati, anche dopo che ne è avvenuta la “pubblicazione ufficiale”, con la comunicazione agli indagati e ai propri avvocati del contenuto degli stessi. Forse che all’Italia non interessa ormai più la democrazia?
Primo premio Daily Life e Digi Foto: Alena Dvořáková e Viktor Fischer.
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I VINCITORI 2007 edizione del Czech Press Photo: Praga, ottobre 2007. Tgorie,redicesima Dall’insieme di queste indicazioni si ricava anche la scomposizione in catesostanzialmente ricalcate dal World Press Photo ispiratore. Oltre i due premi assoluti e speciali, Fotografo dell’anno e Città di Praga, ognuna delle ❯ Fotografo dell’anno 2007 / premio Occhio di cristallo: Dan Materna (MF Dnes); Tiro alla fune per un figlio, 16 gennaio 2007 [a pagina 35]. Questo è il riconoscimento più importante della competizione, che premia il fotografo che ha realizzato l’immagine migliore dal punto di vista sia giornalistico (valore informativo, attualità, espressività, prontezza) sia estetico. Il vincitore riceve un assegno di 120.000 corone (5000,00 euro) e la scultura Occhio di cristallo [qui sopra]. Giudizio della giuria: «L’immagine vincitrice è il simbolo di uno dei grandi drammi del mondo moderno: le dispute per il possesso dei figli, in caso di separazione dei genitori. Un momento cruciale della vita privata della nostra civiltà, che rivela una profonda crisi di valori, e che alla fine vede perdenti tutti i personaggi coinvolti: madre, padre, figli, società e persino le autorità istituzionali, giudici, poliziotti. La fotografia si propone come specchio dei tempi e sollecita riflessioni individuali». ❯ Premio speciale della città di Praga: Jan Zatorsky (Týden, Instinkt); I trasporti pubblici a Praga [a pagina 36]. Borsa di studio di un anno del valore di 120.000 corone (5000,00 euro): periodo di tempo finalizzato a documentare i cambiamenti che avvengono nella capitale Praga. L’assegnazione si basa sulla qualità delle immagini presentate, che costituiscono una presentazione visuale del progetto. Il lavoro realizzato nel corso dell’anno viene poi esposto in mostra nell’edizione successiva del concorso. Si aggiungono altre 25.000 corone (1000,00 euro) concesse dal laboratorio professionale Fotonova per coprire i costi di produzione delle stampe per la mostra. ❯ Spot News: 1) Dan Materna (MF Dnes), Tiro alla fune per un figlio, 16 gennaio 2007 [a pagina 35]; 2) Joe Klamar (Agence France Presse), Proteste al G8, in Germania, 5-8 giugno 2007; 3) Petr Wagenknecht (Orlický deník), Influenza aviaria, Tisová, 22 giugno 2007. ❯ General News: 1) Alena Dvořáková e Viktor Fischer (Choiceimages), Lunedì delle Ceneri, Gala-
otto sezioni istituzionali prevede un primo classificato (20.000 corone / 800,00 euro) un secondo (10.000 corone / 400,00 euro) e un terzo (5000 corone / 200,00 euro). A tutti viene consegnato un diploma Occhio d’oro. A seguire, i premi complementari di sponsor e patrocinatori.
xidi, Grecia, 19 febbraio 2007 [a pagina 36]; 2) Peter David Josek (Associated Press), Iraq, agosto 2007; 3) Hynek Glos (Lidové noviny), Effetto dell’Agent Orange sui bambini, Saigon, Vietnam, 2124 novembre 2007. ❯ People in the News: 1) Michal Šula (MF Dnes), Tifosi di tennis: il primo ministro ceco con un membro del suo gabinetto, 23 settembre 2007 [a pagina 36]; 2) Jan Schejbal (Týden, Instinkt), Addio al compositore Karel Svoboda, Praga, 6 febbraio 2007; 3) Jan Frank (freelance), Incontro con il Dalai Lama a Praga, 11 ottobre 2006. ❯ Daily Life: 1 Alena Dvořáková e Viktor Fischer (Choiceimages), La vita del cittadino ceco più alto, 2006-2007 [a pagina 37]; 2) Jan Dyntera e Alisa Shutova (BMD Advertising), Intimità, ottobre 2006 - agosto 2007; 3) Daniel Hlaváč (freelance), Volti dalle scuole afgane, aprile-agosto 2007. ❯ Portraits: 1) Andrej Balco (Sputnik Photos), Domenica, Slovacchia, ottobre 2006; 2) Jan Zatorsky (Týden, Instinkt), Gemelli, marzo-giugno 2007; 3) Martin Kollar (freelance), Matrimoni, 2006-2007. ❯ Sports: 1) Michal Novotný (Lidové noviny), Wrestling tradizionale in Senegal e Gambia, aprile-maggio 2007; 2) David Neff (MF Dnes), Box all’Avana, Cuba, novembre 2006; 3) Pavel Petruška (Zlin.cz), Arbitri di box, 27 ottobre 2006 - 20 aprile 2007. ❯ Nature: 1) Jan Zatorsky (Týden, Instinkt), Animali in un pet-shop, giugno-settembre 2007; 2) Filip Singer (Isifa Image Service), Russia, miniera di diamanti a cielo aperto, luglio 2007; 3) Kamila Berndorffová (freelance), Riciclaggio, India, febbraio 2007. ❯ Arts: 1) Martin Frouz (Czech National Geographic), Restauri della chiesa di San Cirillo, nel quartiere di Karlín, a Praga, 2003-2007; 2) Jan Rasch (Euro, Art and Antiques), Artisti di oggi, 2007; 3) Břetislav Fiala (Deník Jablonecka), Tele-Vision, 1127 febbraio 2007. Quindi, richiamiamo anche i premi di contorno, riferiti ai patrocini del Czech Press Photo. ❯ Premio Unhcr: Jan Šibík, Campo di rifugiati in Uganda, settembre 2007 [pagina accanto].
3) Servizio del Tg2 delle 20,30 di giovedì ventidue maggio sul nucleare francese, il giorno dopo che il ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola ha annunciato la prevista costruzione di nuove centrali atomiche in Italia: atmosfera idilliaca, pensionati che pedalano sereni lungo piste ciclabili, tenere mamme che spingono carrozzine nel verde; sfondo: uno dei camini di raffreddamento di una centrale. Come dire: qui intorno si vive come in un parco naturalistico! E il testo? Lasciamo per-
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Assegnato dall’alto commissario per i rifugiati delle Nazioni Unite. Il vincitore riceve 25.000 corone (1000,00 euro). ❯ Premio Unicef (giuria dei bambini): Petr David Josek (Associated Press), Volti dall’Iraq, agosto 2007 [pagina accanto]. Il premio di 15.000 corone (600,00 euro) è assegnato da una giuria formata da nove scolari scelti nelle scuole di Praga. Giudizio della giuria: «Abbiamo scelto queste fotografie perché raccontano la sofferenza di molte persone. Bisognerebbe farne delle cartoline e farle girare in tutto il mondo, in modo che gli uomini siano spinti ad agire per cancellare il dolore da quei volti». ❯ Premio Canon: Michal Čížek (Agence France Presse), Tatu, un gorilla di nove settimane, 7 agosto 2007 [pagina accanto]. Attrezzatura per un valore di 50.000 corone (2000,00 euro). ❯ Premio Nikon: Joe Klamar (Agence France Presse), Tour de France 2007, luglio 2007 [pagina accanto]. Attrezzatura per un valore di 20.000 corone (800,00 euro). ❯ Premio Isifa: Roman Vondrouš (Czech Press Agency), Cottagers nelle regioni di Pardubice e Liberec, agosto-settembre 2007. 25.000 corone (1000,00 euro) per le più belle fotografie su come cechi e slovacchi passano il tempo libero nei propri villini prefabbricati. ❯ Premio della rivista Digi Foto: Alena Dvořáková e Viktor Fischer (Choiceimages), La vita del cittadino ceco più alto, 2006-2007 [a pagina 37]. 20.000 corone (800 euro) per la miglior serie di immagini che illustrano l’ineluttabilità del destino sulla vita degli uomini. ❯ Premio della rivista Photo Art: Alena Dvořáková e Viktor Fischer (Choiceimages), Lunedì delle Ceneri, Galaxidi, Grecia, 19 febbraio 2007 [a pagina 36]. 20.000 corone per una fotografia a colori o in bianconero che meglio illustra un approccio creativo alle esigenze di giornali e riviste. ❯ Premio dell’Academic Hotel: Viktor Sýkora (freelance), Il mondo della botanica, agosto-settembre 2007. Ospitalità per un fine settimana in un grande albergo a Roztoky, nei pressi di Praga, per la miglior serie di macrofotografie.
dere l’imparzialità delle parole a commento: un esempio di informazione per il museo degli orrori.
IL CONCORSO Torniamo al Czech Press Photo. Oltre la breve nota di presentazione di Daniela Mrazkova, la brava e deliziosa presidente della fondazione che gestisce il concorso (Intenzioni e propositi, riquadro a pagina 36), sottolineo il fatto che la competizione è riservata a fotogiornalisti (anche stranieri) che siano
Premio Unhcr: Jan Šibík.
Premio Canon: Michal Čížek.
Premio Nikon: Joe Klamar.
Premio Unicef, assegnato da una giuria di bambini: Petr David Josek.
Photo, Ungheria; Christopher Morris, fotogiornalista, agenzia VII, Usa; Marian Pauer, giornalista, Slovacchia; Vladimir Potapov, direttore di Geo Russia; Bjorn Rantil, fotografo dell’Hasselblad Foundation, Svezia; Andrej Reiser, fotografo dell’agenzia Bilderberg, Repubblica Ceca. Lello Piazza
LELLO PIAZZA
residenti nella Repubblica Ceca o in Slovacchia. Quindi, un bacino di provenienza sostanzialmente limitato per i concorrenti, ma che rende ancora più significativa la qualità dei lavori presentati. Le sezioni del concorso ricordano quelle del World Press Photo, dal quale gli organizzatori hanno sicuramente tratto ispirazione. Addirittura, il Czech Press Photo nasce da un tentativo di portare lo stesso World Press Photo a Praga. E occorre ricordare il fotografo ceco Stanislav Tereba, dello staff del quotidiano Večernik Praha (www.tereba.com), che fu nominato World Press Photo of the Year 1958, alla quarta edizione del concorso, con una immagine del portiere Miroslav Čtvrtníček, dello Sparta di Praga, che recupera il pallone sotto una pioggia torrenziale (FOTOgraphia, febbraio 2006). Nessun fotografo ceco è mai più riuscito a ottenere questo riconoscimento nel mezzo secolo passato da allora. Le sezioni del Czech Press Photo si ricavano nel riquadro nel quale sono indicati i vincitori dell’edizione 2007 (pagina accanto). Precisiamo quindi che le fotografie devono essere state scattate nei dodici mesi che precedono lo svolgimento del concorso. Grande interesse anche da parte degli sponsor, come Canon e Nikon, e attenzione mirata di due organizzazioni internazionali facenti parte delle Nazioni Unite, l’Unicef e l’Unhcr, rispettivamente Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia e Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (United Nations High Commissioner for Refugees). Va riconosciuta la competenza organizzativa e l’efficienza dello staff. Ho fatto parte della giuria 2007 e l’efficace rapidità con la quale abbiamo lavorato e confrontato i nostri giudizi è stata sicuramente resa possibile dal fatto che ogni dettaglio infrastrutturale era stato preparato con cura. Un elogio particolare va al presidente della giuria, Andrej Reiser, uno dei fondatori della prestigiosa agenzia tedesca Bilderberg di Amburgo, che ha conosciuto tempi fulgidi negli anni Ottanta e Novanta. Con uno stile dolce e fermo, con una straordinaria competenza nell’editare le fotografie dei partecipanti che non presentavano lo scatto singolo, con un’apertura intelligente a stili diversi applicati al fotogiornalismo, Andrej Reiser ha tenuto amichevolmente in pugno tutti i membri della giuria. Il benvenuto ai giurati è stato dato il dodici ottobre, nelle sale della Galerie Josefa Sudka (Galleria Josef Sudek), in coincidenza con l’inaugurazione della bellissima mostra fotografica di Sergey Maximishin The Last Empire. 20 Years After (L’ultimo impero. Vent’anni dopo; la stessa mostra è stata presentata lo scorso marzo alla Galleria Grazia Neri di Milano). È obbligatorio segnalare la composizione della giuria del Czech Press Photo 2007: (oltre il sottoscritto) Wolfgang Behnken, picture director di Stern, Germania; Christiane Gehner, photo editor di Der Spiegel, Germania; Amanda Hoopkins, professore universitario, Inghilterra; Kinga Kenig, giornalista, Polonia; Peter Korniss, fotografo, membro del consiglio del World Press
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GLI AMERICANI
«
A cinquant’anni dalla pubblicazione originaria, l’attuale riedizione di The Americans / Gli americani, di Robert Frank, una delle raccolte fotografiche discriminanti della storia della fotografia, potrebbe anche rivelare quanto sia vero che il mondo cambia, ma è sempre uguale. Comunque, in un clima sociale completamente trasformato, oggi possiamo soltanto prendere atto della sua esistenza, colmare un eventuale vuoto bibliografico sugli scaffali delle nostre librerie, apprezzare finalmente una adeguata traduzione del testo di Jack Kerouac, riconsiderare il clima di un’epoca... e poco di più. Con l’occasione, rileviamo che la fotografia di Robert Frank non va limitata e circoscritta a questa fantastica serie di ottantatré fotografie. C’è altro
Un libro diventa un classico quando condensa in una vicenda individuale una grande esperienza collettiva; quando narra una storia concretamente e irriducibilmente personale, che esprime quella di tutti». Questo è l’incipt con il quale, a metà giugno, dalle pagine del Corriere della Sera, Claudio Magris ha ricordato lo scrittore Mario Rigoni Stern, mancato ad Asiago lunedì sedici, a ottantasei anni. Ancora una di quelle coincidenze, che, come sempre rileviamo, sarebbero i soli accadimenti che possono far sospettare che la vita possa anche avere senso. La stessa sera di lunedì sedici è stata ufficialmente presentata l’attuale riedizione di The Americans / Gli americani, di Robert Frank, per la quale Ferdinando Scianna ha espresso analoghe considerazioni di “classico” della fotografia. E di questo effettivamente si tratta, quantomeno pensando e ragionando dal punto di vista selettivo e mirato degli addetti, di coloro i quali, noi tra questi, affrontano e approfondiscono le manifestazioni significanti del linguaggio fotografico. Si impone un richiamo.
ALLE ORIGINI Nel 1955, il giovane fotografo svizzero Robert Frank, trapiantato a New York, ottiene una borsa di studio dalla John Simon Guggenheim Memorial Foundation, per comodità sempre semplificata in Fondazione Guggenheim, per realizzare un lavoro fotografico sugli Stati Uniti. Con una Ford di seconda mano, così vuole e recita la leggenda, l’allora trentunenne Robert Frank percorse l’im-
Parata - Hoboken, New Jersey.
© ROBERT FRANK
Gli americani, fotografie di Robert Frank; introduzione di Jack Kerouac; Contrasto Editore, 2008 (www.contrastobooks); 83 fotografie in bianconero; 180 pagine 21x18,5cm, cartonato con sovraccoperta; 39,00 euro.
menso paese, attraversando quarantotto dei suoi Stati. «Le strade, i volti delle persone incontrate, le piazze delle città, i bar e i negozi, i marciapiedi, i particolari più insignificanti passano e si fermano di fronte all’obiettivo intelligente e partecipe del fotografo», come recita la presentazione ufficiale del reportage. Raccolte in monografia, le fotografie di The Americans si impongono subito co-
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me una delle svolte fondamentali e discriminanti del linguaggio fotografico, aggiungendosi all’immediatamente precedente Life is good & good for you in New York, semplicemente storicizzato come New York, di William Klein, del 1956. Autentico “poema per immagini”, dedicato alla strada americana e alla sua nuova e sconsolata epopea, quello di Robert Frank è un reportage che, come pochi altri, ha segnato e rappresentato un’epoca, diventando e offrendosi come il riferimento principale per generazioni di fotografi, dal quale in molti sono successivamente partiti e ri-partiti per fotografare, viaggiare e conoscere con lo sguardo. Curiosamente, prima che negli Stati Uniti, Les Américains è stato pubblicato in Francia nel 1958 (si storicizza addirittura il quindici maggio), dall’editore Robert Delpire, anche critico e storico, che tanto peso ha avuto nella storia della fotografia del secondo Novecento: dai primi anni Cinquanta, ha pubblicato Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, Brassaï, Werner Bischof e altri autori che si sono successivamente imposti come autentici maestri. Non interpretata come autentica selezione fotografica d’autore, questa prima edizione francese originaria Les Américains fu inserita in una collana che presentava i paesi stranieri attraverso parole e immagini, appunto Encyclopédie essentielle. Comunque, le ottantatré fotografie furono impaginate nello stesso ordine delle succes-
sive edizioni librarie americane e internazionali, con personalità d’autore (Robert Frank), tutte sulla pagina a destra. Sulla pagina a fonte, a sinistra, Alain Bosquet raccolse e ordinò testi di carattere storico e sociale sugli Stati Uniti. Il successivo giugno 1959, la stessa impostazione editoriale caratterizzò l’edizione italiana Gli americani, che Il Saggiatore pubblicò nella propria collana Specchio del mondo - Sezione storia [a pagina 44], modificando leggermente i testi originari, con una ulteriore selezione di autori italiani (a cura di Raffaele Crovi). La copertina riprese l’originaria impostazione di Robert Delpire, con due disegni di Saul Steinberg, uno in fronte e l’altro in retro. Nello stesso 1959, negli Stati Uniti, Grove Press di New York pubblicò quella che possiamo storicizzare come l’edizione originaria della raccolta The Americans, di Robert Frank, così come l’abbiamo intesa per decenni: dai ventiquattromila scatti, realizzati da Robert Frank tra il 1955 e 1956, la selezione di ottantatré immagini ribadisce la sequenza del volume di Robert Delpire, ma questa nuova edizione e messa in pagina è autentica opera d’autore, non più banale illustrazione geo-politica (propria dei precedenti volumi di Robert Delpire e Il Saggiatore). La sequenza di fotografie è introdotta da un testo di Jack Kerouac e sulla pagina sinistra, bianca, a fronte della consecuzione delle immagini, pubblicate soltanto sulla facciata di destra, Robert
ROBERT FRANK: LONDON/WALES
A
vvincente reportage realizzato da Robert Frank nei primi anni Cinquanta, London/Wales è stato pubblicato da Scalo Verlag soltanto nel 2003. Comunque, come annotato nel corpo centrale di questo intervento redazionale, è una serie fotografica che -se servisse farlo- conferma una statura di autore, troppo spesso riferita soltanto a Gli americani. Su FOTOgraphia del febbraio 2004, Grazia Neri, titolare e fondatrice dell’omonima agenzia fotografica, ha affermato che quella del 2003 «è stata un’annata di libri “meravigliosi”. E questa monografia [appunto London/Wales], catalogo di una mostra allestita alla prestigiosa Concoran Gallery of Art di Washington, sta un gradino sopra tutti». Le sue motivazioni sono profonde, e le abbiamo richiamate nel testo principale; qui ne riprendiamo altre, diciamo così, di forma: «Ognuno di noi ha “il luogo” dove ama vedere le fotografie. C’è chi preferisce una Galleria, chi apprezza la fotografia sui quotidiani, chi sulle riviste specializzate (di fotografia) con un commento critico, chi le ama sui settimanali, chi sui libri. Io appartengo a quest’ultima categoria. [...] In realtà, le guardo dappertutto. Una necessità: essere sola. [...]
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«Ora voglio raccontare le ragioni per le quali London/Wales entrerà nello scaffale dei miei libri favoriti. Prima la forma [...]. «Ottima la confezione del volume: bravi al 99,98 per cento. La copertina è impeccabile, secca, elegante e intrigante; l’editing è straordinario: merita cento su cento. Guardare per credere la sequenza London 1951-1953, da pagina 14. È come leggere un romanzo sull’Inghilterra degli anni Cinquanta. Ottima stampa. Il tipo di stampa litografica da me preferita in assoluto. [...] Tutti i dettagli sono leggibili. Non le mode (effimere?) di spingere troppo i toni scuri o quelli chiari. La fotografia originaria è così e non viene modificata nella stampa litografica in tiratura. «Parole dove necessarie. Cioè interruzioni creative con testi che prendono il cuore. La separazione del testo critico introduttivo di Philip Brookman (stupefacente, chiaro e moderno! [in inglese]). Per favore critici scrivete così. [...]». London/Wales, fotografie di Robert Frank; introduzione critica di Philip Brookman; Scalo Verlag, 2003; 128 pagine 20x24cm, 24 pagine 17x21,7cm; 60,00 euro.
Frank ha aggiunto la sola indicazione dei luoghi. Quindi, questa combinazione è stata conservata e ribadita fino alle più recenti edizioni conformi dei decenni successivi: per testimonianza diretta, lo affermiamo avendo tra le mani una edizione in inglese Pantheon Press, New York, del 1986, e una versione tedesca Die Amerikaner, di Scalo Verlag, di Zurigo, del 1993, nella quale le indicazioni di luogo non sono riportate a fronte delle immagini, ma raccolte dopo la sequenza delle ottantatré fotografie. A cinquant’anni esatti dalla prima pubblicazione di Robert Delpire, The Americans, di Robert Frank viene riproposto in una nuova edizione, curata direttamente dall’autore, che ha marginalmente rivisto l’ingrandimento in pagina di alcune delle ottantatré immagini, confermate nella propria sequenza. In collegamento, sono state realizzate anche edizioni nazionali, tra le quali la prima in lingua cinese (nota di costume) e l’autentica prima in italiano: appunto Gli americani, con l’introduzione di Jack Kerouac (conteggiamo diversamente l’edizione Il Saggiatore, del 1959, appena ricordata). Ovviamente, a distanza di mezzo secolo, e a seguito delle evoluzioni del linguaggio fotografico che si sono alternate e susseguite, questa edizione è assolutamente filologica. Ovvero appaga il gusto degli addetti e cultori dell’immagine fotografica: (una volta ancora) noi tra questi. Cioè, appunto perché immutata e ri-proposta per se stessa, la raccolta Gli americani non ha tempo né modo di replicare l’effetto sconvolgente che accompagnò la sua prima pubblicazione. Oggi, possiamo soltanto prendere atto della sua esistenza, colmare un eventuale vuoto bibliografico sugli scaffali delle nostre librerie, apprezzare finalmente una adeguata traduzione del testo di Jack Kerouac, che esprime espliciti riferimenti e richiami alle fotografie di Robert Frank, riconsiderare il clima di un’epoca... e poco di più. Non possiamo certo rimanere folgorati, perché la via per Damasco è ormai lontana, oltre che asfaltata di infinite e molteplici visioni fotografiche che si sono aggiunte, le une sulle altre, nel corso di cinquanta anni. Però! Però l’attualità libraria, che in Italia si deve a Contrasto Editore, sollecita e impone almeno due considerazioni, che andiamo a riportare. Per tanti versi, la prima è trasversale alla sequenza della messa in pagina di questo stesso numero di FOTOgraphia, sul quale, come precisato, la presentazione della mostra Unknown Weegee: cronache americane è limitata al minimo indispensabile (da pagina 24), appunto per non interferire con la riflessione sulla stessa America, che stiamo per comporre, richiamando proprio la riedizione di Gli americani (e collegandola idealmente con RFK Funeral Train: Rediscovered, di Paul Fusco, da pagina 16). Invece, la seconda riguarda la fotografia di Robert Frank. Al solito, con ordine.
© ROBERT FRANK
NUOVA EDIZIONE 2008
AMERICA
Santa Fe - New Mexico.
Già il titolo Gli americani, che oggi possiamo finalmente declinare in italiano, senza doverci più riferire soltanto a edizioni librarie internazionali, è diretto ed esplicito. Tanto da imporre una prima meditazione. È questa, l’America? È questa un’America senza tempo, che dalla metà degli anni Cinquanta si proietta immutata sui nostri giorni? È questa una fotografia di strada che, come vuole il suo linguaggio, allinea le intenzioni dell’autore con la visione dell’osservatore? Soprattutto, sottolineiamo le domande sull’America. Nel proprio peregrinare fotografico, ripetiamo allungatosi a cavallo tra il 1955 e il 1956, lo svizzero Robert Frank è stato guidato e condotto da ciò che di volta in volta l’ha toccato e sorpreso. Alla resa dei conti, pur nella manifesta e indubbia raffigurazione di soggetti anche riconoscibili, nel proprio insieme le fotografie di Gli americani sono definite e caratterizzate un alto tasso di mistero, che consente a ciascun osservatore di aggiungere riflessioni proprie personali. Alcune volte le fotografie richiamano per ciò che è incluso nell’inquadratura, altre volte per quanto ne è restato fuori. In tutti i casi è una rappresentazione dell’America con la quale, presto o tardi, ognuno ha dovuto fare i propri conti: sia chi guarda l’America da lontano e con esperienze geografiche e sociali diverse, sia chi, come ribadisce Jack Kerouac nel suo testo, in America vive e respira, offrendo altresì la propria personalità al disegno complessivo della socialità nazionale. Personalmente, pensiamo che questa di Robert Frank non sia tanto l’America, ma una delle tante Americhe possibili, che si snodano lungo un territorio ricco e denso di momenti straordinari e contraddizioni macroscopiche. Se proprio dobbiamo dirlo a chiare lettere, come peraltro facciamo anche in Editoriale, su questo stesso numero, l’America più autentica è più quella che ha visto e fotografato Paul Fusco, a contorno del viaggio funebre della salma di Robert
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ANCHE PARIGI
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ttanta fotografie, la gran parte inedite, sono riunite nella mostra Robert Frank. Paris, allestita al Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo, alle porte di Milano: a completamento della riedizione di The Americans / Gli americani e integrazione di London/Wales (riquadro a pagina 42), un’altra visione del celebre e celebrato autore di origine svizzera. Raccolte in un volume-catalogo pubblicato dal tedesco Steidl, lo stesso della attuale riedizione della raccolta americana del 1958 e 1959, a cinquant’anni di distanza (e della monografia Unknown Weegee, che commentiamo da pagina 24), queste di Robert Frank sono fotografie riprese negli anni tra il 1949 e 1952, che vengono presentate per la prima volta al pubblico. La mostra itinerante è stata promossa dal Folkwang Museum di Essen, e dopo la tappa italiana, dal ventuno settembre al successivo ventitré novembre, verrà proposta a Parigi e Rotterdam. Anche questo corpo di immagini contribuisce a stabilire e definire i tratti della fotografia di Robert Frank, che non vorremmo fosse sempre e soltanto limitata all’epocale The Americans / Gli america-
Kennedy (da pagina 16). Non che Paul Fusco sia uno sprovveduto o un sempliciotto che fotografa senza criterio, tutt’altro!; ma Robert Frank ha compiuto anche un’azione culturale di giudizio e sovrapposizione, che invita l’osservatore in una direzione presto individuata, che ha scartato a lato altre manifestazioni di spontanea quotidianità.
ROBERT FRANK
Gli americani, fotografie di Robert Frank; testi accompagnatori a cura di Alain Bosquet e Raffaele Crovi; Il Saggiatore, 1959; 83 fotografie in bianconero; 182 pagine 21x18,5cm, cartonato; (ai tempi) 2500 lire.
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Quindi, come appena anticipato, la seconda delle due riflessioni che accompagnano l’attualità dell’edizione italiana Gli americani riguarda l’autore Robert Frank, che qualcuno vuole riferire soltanto a questo reportage. Attenzione: non ci si faccia confondere dai termini della vicenda e dall’invadenza culturale del reportage in questione, sicuramente epocale, sicuramente unico. La grandezza della fotografia di Robert Frank non può essere circoscritta a Gli americani, ma deve essere estesa a tutta la sua lunga parabola espressiva, peraltro intralciata da tragedie personali che sicuramente hanno appesantito il suo cuore. Così che, ricordiamo l’altrettanto straordinaria serie London/Wales, temporalmente precedente a Gli americani, pubblicata nel 2003. Ce ne siamo occupati in FOTOgraphia del febbraio 2004, e qui -oltre a riproporre alcune immagini (a pagina 42)richiamiamo quanto scritto allora da Grazia Neri: «Conoscevo qualche fotografia di Robert Frank di
ni, che pure ne definisce uno dei momenti espressivi più alti. Ancora, la strada è il tema centrale della sua visione, che nel caso di Parigi impone il riferimento alla tradizione novecentesca del flaneur, alla quale molti si sono richiamati (tra i tanti, ricordiamo Piergiorgio Branzi, del Diario moscovita a Castelnuovo di Garfagnana, in provincia di Lucca, da pagina 27, che allo scorso LuccaDigitalPhotoFest 2007 ha presentato appunto una propria personale parigina Flâner ; FOTOgraphia, novembre 2007). Robert Frank ha fotografato aggirandosi tra le strade e le piazze della capitale francese, dove ha sottolineato il rapporto tra persone e luoghi. Nell’attimo fotografico, le situazioni, evidentemente casuali, diventano intime e pongono l’osservatore al centro dell’immagine. Robert Frank. Paris. A cura di Ute Eskildsen. Museo di Fotografia Contemporanea, Villa Ghirlanda, via Frova 10, 20092 Cinisello Balsamo MI; 02-6605661; www.museofotografiacontemporanea. org. Dal 21 settembre al 23 novembre; martedì-domenica 10,00-19,00, giovedì fino alle 23,00.
questo lavoro, ma non sapevo della sua grande perfezione, e soprattutto del suo descriverlo come “story”. Per me questo reportage fa parte della sobrietà del linguaggio, in una composizione così perfetta che mi fa venire la pelle d’oca, nella conoscenza della cronaca e della storia. [...] «Nel mio immaginario, l’Inghilterra era proprio come in queste fotografie di Robert Frank: lo smog, la City, le classi operaie, i toast con il burro, la fatica, l’austerità dopo la fine della guerra con le tessere per il cibo. Mi piacerebbe raccontare queste fotografie una per una. [...] «Non sono qualificata per approfondire la fotografia di Robert Frank, ma se volete vedere cosa è un bel libro fotografico vi garantisco che London/Wales è sublime». Quindi, in conclusione, a distanza di cinquant’anni possiamo riguardare Gli americani, di Robert Frank, senza l’affanno della cronaca, ma con tempi cadenzati di assimilazione individuale. A seguire, possiamo pensare alle fotografie per se stesse e inserite nel posto privilegiato che occupano nella Storia. Ancora, possiamo allungare le considerazioni sulla raffigurazione di una nazione, in un tempo che potrebbe anche non essere congelato al passato, ma ancora palpitante al presente. Soprattutto, però, non dobbiamo relegare il suo autore Robert Frank soltanto a questo. Angelo Galantini
Affascinante retrospettiva della fotografia di Folco Quilici, classe 1930, eccezionale cineasta della Natura, soprattutto del “sesto continente” (marino), con accompagnamento fotografico: appunto. Dallo scorso diciannove giugno, nelle prestigiose sale dell’autorevole Museo Nazionale Alinari della Fotografia di Firenze è allestita una mostra che sottolinea il valore universale della fotografia nello scorrere del tempo, qualsiasi sia il genere di riferimento e richiamo. A condizione che lo sguardo dell’autore sia consapevolmente allineato con le sue intenzioni e con lo stilema esplicito della mediazione visiva, passato, presente e futuro rappresentano tappe dell’esperienza della vita. Non tanto di quella individuale, che è altro discorso, tutto personale e intimo, ma di quella collettiva, alla quale la Fotografia offre e propone il proprio linguaggio diretto e lineare. Così, in testimonianza diretta, lo stesso Folco Quilici esprime i termini di un costante impegno fotografico distribuito sui decenni, a partire dalla metà del Novecento. Dal catalogo che accompagna l’esposizione degli originali, sopravvivendo ai giorni di allestimento scenico, le parole di Fotografo e scrivo. Come abbiamo detto
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rima macchina fotografica nelle mie mani fu una Rolleicord di mia madre pittrice. Come fotografa amava la visione reflex e il formato quadrato, dal quale traeva solo in qualche caso stampe in inquadratura orizzontale o verticale. Quella preferenza e quel gusto mi sono state trasmesse con il DNA di famiglia, tant’è vero che pur ereditando (da mio padre) una Leica “anni Quaranta”, splendida e completa di borsa in pelle e tre obiettivi, la cambiai con una delle prime Hasselblad 6x6cm; senza vantaggi dal punto di vista economico, ma con massima soddisfazione nel lavoro. Infatti, aiutato da Fowa [distributore italiano del marchio], ho continuato e continuo a lavorare con l’Hasselblad, passando di modello in modello e collezionando diversi obiettivi, con un amore particolare per il magico Superwide.
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I MARI
DELL’UOMO
Le fotografie di Folco Quilici sono distribuite in esclusiva dagli Archivi Alinari (www.alinari.it). Si tratta di un patrimonio fotografico accumulato in decenni di lavoro, che consiste in oltre un milione di immagini a colori e in bianconero, realizzate dal 1949. Grande conoscitore del mondo sottomarino, Folco Quilici ha documentato i mari della Terra e l’archeologia subacquea.
Capo Guardafui, marinai su daòn; Somalia, 1973.
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Capo Caccia, corallo in alta profondità; Sardegna, 1967.
Favignana, una delle ultime grandi tonnare; 1971.
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Sul mio inizio come fotografo del mare e del suo mondo sommerso e la mia prima esperienza con Sesto Continente, del 1952, debbo ricordare un alleato prezioso, un coetaneo ventenne, futuro ingegnere spaziale, Giorgio Ravelli. Dopo audaci esperimenti nella vasca da bagno di casa, ideò una custodia con flash a lampadine usabile sott’acqua, esattamente come in superficie. E perfezionò poi in Mar Rosso a tal punto quel suo marchingegno originario, da precedere di oltre un anno i laboratori specializzati, tanto da consentirci di piazzare i risultati dei nostri lavori molte lunghezze avanti le altrui immagini subacquee a colori; e ci offrì la soddisfazione di veder pubblicate due volte nostre immagini su Life (il top dei top delle riviste illustrate, allora). Citando gli inizi, vorrei qui aggiungere alcune parole sulle difficoltà di noi pionieri. La prima dipese dai luoghi isolati ove operammo; atolli d’Oceania, coste africane, Artico, Amazzonia, lontani qualche migliaio di chilometri da laboratori di sviluppo e stampa; di conseguenza potevamo vedere i risultati ottenuti dalle nostre fotografie (sulle quali gravavano sempre dubbi di riuscita) solo mesi e mesi dopo averle scattate (spedizioni e missioni erano interminabili: quasi un anno per Sesto Continente, un altro anno per Ultimo Paradiso). S’aggiungeva, a questa, un’altra difficoltà non indifferente: il dover affrontare lunghi tempi di lavoro con scorta limitata di pellicola. Occorreva scattare... solo a colpo sicuro! (ricordino questo i signorini di oggi, ricchi di schede elettroniche con immagini a disposizione in quantità ieri inimmaginabili; e per di più subito visibili). Un secondo e ben diverso vantaggio lo debbo a un altro personaggio di famiglia, lo zio Benedetto, fratello di nonno Lorenzo. Scapolo e ben stipendiato come dirigente d’una delle prime compagnie fornitrici di elettricità all’industria milanese, agli inizi del Novecento fu un pioniere della fotografia a colori; i suoi scatti, su lastre di vetro che lui ritoccava con inchiostri di speciali cromie, erano vere e proprie meraviglie. Magie, per me bambino, imprinting che
avrebbe avuto un peso, anni dopo; e non il solo. Quando ci recavamo da lui in visita, ci mostrava le sue fotografie perfettamente conservate in archivi in legno; e tanto m’impressionò la praticità di consultazione e il sistema di conservazione da farmi ereditare un’altra passione, l’archivio. Dove, sin dai primi anni di lavoro, nel 1950, ho conservato, numerato e catalogato i miei fotocolor. Dal 1970, ho poi potuto contare sull’aiuto paziente e preciso di mia moglie Anna, che da allora ha reso funzionale e “storicizzata” la raccolta delle immagini riportate dai nostri viaggi di lavoro. Così, oltre all’ombra lontana di zio Benedetto, debbo anche a lei questa Mostra; il suo gusto per l’immagine e il suo saper identificare a colpo sicuro le fotografie migliori tra i soggetti che desideravo esporre mi rendono debitore di un ennesimo grazie tra i tanti che le debbo. Ma a questo punto vorrei cambiare tema. E rispondere all’interrogativo che pone questa esposizione: perché dedicarla “al mare e all’uomo”, e non solo “al mare”? Anni fa mi sembrò di trovar un embrione di rispo-
sta a questo ricorrente interrogativo interpretando un sogno. Iniziava dandomi la sensazione di essere inserito in un paesaggio di mare. Poi mi vedevo risalire a fatica, lasciata la riva, uno scosceso sentiero, sino a giungere in un accidentato retroterra. Qui incontravo persone che su quel cammino apparsomi tanto difficile si muovevano con sorprendente sicurezza. Avvantaggiandomi delle loro esperienze, ascoltando i discorsi che rimbalzavano da uno all’altro (e pareva che molto mi rinfrancassero) avevo intanto raggiunto un’altura. Di là, dove vedevo la linea di terra e lo spazio marino innestarsi uno nell’altro, mi sembrò fosse la mia casa, proprio là in un punto di quella costa; e con la subitaneità dei sogni passai dalla incertezza alla serenità. E mi svegliai. Quell’esperienza onirica forse intendeva ricordarmi che il mare è la natura, la terra è la storia. E nelle confuse immagini e sensazioni affiorava quanto avevo imparato da Fernand Braudel: «La Storia e il mare non cessano di spiegarci il passato e farci comprendere il presente; e anche il contrario è vero». Imprinting indelebile, dopo aver lavorato con lui dalla fi-
ne degli anni Sessanta, in dieci film, in due volumi dedicati all’uomo mediterraneo e uno a Venezia. Filmando e fotografando, mi ripeteva Fernand Braudel, non dimenticare che l’uomo è microscopico granello se lo si pone a confronto con l’immensità dell’orizzonte marino; lo è egualmente se lo si vede sullo sfondo smisurato di un periodo storico. L’uomo agisce, crea, soffre, gioisce, combatte, mentre alle sue spalle si accavallano, come quelle oceaniche, onde di vicende economiche, ideologiche, militari. Da allora, nel mio viaggiare, filmare, fotografare, scrivere sono restato fedele a quella doppia interpretazione, fosse da applicare alla stesura di un testo o alla ricerca di un’immagine. Anche se difficile; anche se in ambiente naturale ostile. A proposito di ostilità, tra chi osserva alcune mie fotografie “avventurose” esposte nella Mostra, qualcuno vorrà forse invitarmi a lasciar da parte sogni e propositi tematici per raccontare paure reali, non oniriche. A quale riferirmi, tra le tante? Agli incontri (i primi) con squali? Allo smarrirsi nel labirinto d’un relitto affondato? Allo scontro con un mare infuriato? Riflettendoci, quel che può definirsi non paura, ma addirittura panico, l’ho vissuto in Micronesia, proprio a causa d’una ipnotica attenzione nello scattar fotografie. Accadde in un giorno del marzo 1991, dopo esser sceso lentamente all’esterno del reef di Belau, superata la tumultuosa onda del Pacifico. Oltre quel rigurgito di spume e correnti, m’era apparsa nella trasparente realtà sommersa, una parete intarsiata di alcionarie, attinie, spirografi, coralli di fuoco, spugne. Sprofondava verso un blu senza fine e a me, che continuavo a scendere, offriva l’occasione d’ammirare e fotografare fantasie ben conosciute, ma qui fiorite in miniatura. Un’anomalia, al confronto con altre pareti esterne di barriere coralline, dove domina un gigantismo proporzionato all’oceano che fronteggiano. Per la sorpresa e per l’occasione di fotografare quel mondo trascurai il dovere di tener d’occhio il computer stretto al polso. I miei occhi erano attenti allo spettacolo da fotografare, non ai limiti che sta-
Isla Mujeres; Caraibi, 1976.
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CINEMA, FOTOGRAFIA E SCRITTURA (MA ANCHE ATTESTATI) olco Quilici è nato a Ferrara nel 1930, da Nello Quilici, storico e giornaliFmentale sta, e Mimì Buzzacchi, pittrice. Nel 1951, si è diplomato al Centro Speridi Cinematografia e nell’anno successivo ha iniziato il suo lavoro per il film Sesto Continente, presentato alla Mostra del Cinema a Venezia. Da un testo di Ennio Flaiano e Emilio Cecchi, nel 1955 ha diretto Ultimo Paradiso, vincitore al Festival di Berlino nel 1957, e distribuito nel mondo dalla United Artists. Nel 1958, ha diretto Dagli Appennini alle Ande, premiato al Festival Internazionale di San Sebastiano. Nel 1961 è stata la volta di Ti-koyo e il suo pescecane, da un testo scritto con Italo Calvino, Premio Unesco per la Cultura, distribuito nel mondo dalla Metro Goldwin Mayer. Nel 1970, ha realizzato Oceano, Premio Speciale al Festival di Taormina. Nel 1972, ispirato al primo rapporto sui problemi ambientali del pianeta, curato da Aurelio Peccei e dal Club di Roma, in collaborazione con Carlo Alberto Pinelli ha realizzato Il Dio sotto la pelle. Con il film Fratello mare ha vinto il Festival Internazionale di Cartaghena 1974. Dal 1988 al 1992 ha lavorato a Cacciatori di Navi, coprodotto nel 1991 con la Cbs, che ha vinto il Premio Umbria Fiction. Nel 2006, in Cina, ha iniziato la preparazione del film Drago Bianco. Tra i suoi film culturali di particolare impegno si segnalano Paul Gauguin (1957) e L’angelo e la Sirena (1980), presentati fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Sono poi da ricordare Siena, un giorno, i secoli (1972), da un testo di Fernand Braudel, e i tre film Firenze 1000 giorni, sull’opera di salvezza del patrimonio culturale della città ferita dall’alluvione del 1967. Folco Quilici ha ricevuto la nomination all’Oscar nel 1971, per Toscana, uno dei quattordici film del progetto L’Italia dal Cielo, al quale hanno collaborato nomi di prestigio della letteratura italiana del Novecento, come Giuseppe Berto, Italo Calvino, Giovanni Comisso, Guido Piovene, Mario Praz, Leonardo Sciascia e Ignazio Silone. Nel 2000, ha diretto i lungometraggi Kolossal (2002) e Il Mondo di Pinocchio (2003), per la rete televisiva franco-tedesca Arté. I suoi film sull’archeologia subacquea sono stati tra i primi al mondo in questo campo. Tra i più densi di significato Mare Museo, Il mare dei Fenici, con Sabatino Moscati, e I Greci d’Occidente, con George Vallet. Nel 2004, L’Impero di Marmo è stato premiato al Festival Internazionale del Cinema archeologico Agon, in Grecia. Attualmente, sta lavorando a un film sull’area di Hierapolis, in Frigia, con l’archeologo Francesco D’Andria. L’attività di Folco Quilici nel campo del cinema culturale ha trovato ampio spazio in programmi televisivi, in Italia e all’estero. Tra i tanti, Alla scoperta dell’Africa (1966), Alla scoperta dell’India (1968), Islam (1970), L’alba dell’uomo (1974), Civiltà del Mediterraneo (1976), I mari dell’uomo (1977), L’uomo europeo (1979-1980), Festa barocca (1982), La Grande Époque (1985), Il rischio e l’obbedienza (1992), Archivi del tempo (1992), L’avventura e la scoperta (1992), Viaggi nella Storia (1988-1992), Arcipelaghi (1995), Italia infinita (1999-2002), Le Alpi (1998-2001), Di isola in isola (2004-2005). Dal 2002, collabora con importanti serie televisive a Sky (Marco Polo): trasmissioni che gli hanno valso la nomina a Personaggio dell’anno, nel 2006.
Ha ricevuto il Premio della Critica Televisiva Francese per Méditerranée, il Primo Premio Giornalismo Radiotelevisivo per Alla scoperta dell’India (1966), il Premio Nazionale della Critica Televisiva per L’Alba dell’Uomo (1975) e il Premio della Critica Italiana per Festa barocca (1983). Nel 1976 è stato premiato al Festival dei Popoli per il suo lavoro sul mondo primitivo. Parallelamente al suo impegno come autore cinematografico, numerose sue opere di saggistica sono state pubblicate in Italia e all’estero: Avventura nel Sesto Continente (1954), Mala Kebir (1955), I mille fuochi (1964), Gli ultimi primitivi (1972), Magia (1977), Il riflesso dell’Islam (1983), L’uomo europeo (1983), L’India (1990), I mari del sud (1991), Il mio Mediterraneo (1992), Le Americhe (1993), L’Africa (1994), Tobruk 1940 (2004), I miei mari (2007). Tra il 1976 e il 1978 ha diretto La Grande Enciclopedia del Mare. Per Fernand Braudel, ha illustrato con sue fotografie i due volumi di Méditerranée (1974-1975) e Venezia: un’immagine di una città (1984). Numerosi suoi libri sono stati tradotti all’estero. Tra i più recenti Cacciatori di Navi (Danger Adrift, negli Stati Uniti) e Cielo Verde, in Spagna. Con il romanzo Alta Profondità, nel 1999 inizia un sequel narrativo sull’archeologia sottomarina: L’abisso di Hatutu (2001), Mare Rosso (2002), I Serpenti di Melqart (2003), La Fenice del Bajkal (2005). Nel 1955, il suo Avventura nel Sesto Continente ha vinto il Premio Marzotto di Letteratura. Folco Quilici ha poi ricevuto il Premio Malta per Mediterraneo (1981), il Premio Fregene per Cacciatori di Navi (1985), il Premio Estense per L’Africa (1993), il Premio Scanno di Letteratura per Mare Rosso (2003) e il Premio Hemingway per I miei mari (2007). Dal 1954, Folco Quilici collabora alla stampa italiana e internazionale, con suoi servizi in Life, Epoca, Panorama, L’Europeo, e i quotidiani La Stampa e il Corriere della Sera. Ha vinto il Premio Italia di giornalismo (1969) e il Premio Giornalistico Europeo (1990); nel 1994, ha vinto la Penna d’oro per i suoi servizi sull’America Latina. Nel 1997, gli è stato conferito il Premio Campidoglio per il giornalismo culturale. Folco Quilici ha tenuto corsi in numerose Università. Come Presidente dell’Icram (Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al Mare), dal 2003 al 2006 ha diretto i Quaderni Scientifici dell’Istituto. È tra i soci fondatori dell’Hds (Historical Diving Society) e dell’associazione ambientalistica Marevivo. Dal 2001, è membro della Società Geografica Italiana. Come fotografo opera dal 1949, avendo accumulato un archivio di oltre un milione di immagini a colori e in bianconero, ora affidate agli Archivi Alinari (www.alinari.it). Nel 1998, è stato dichiarato Great Master for creative excellence dall’International Photo Contest. Dal presidente della Repubblica Sandro Pertini, nel 1983 gli è stata conferita la Medaglia d’Oro per meriti culturali. Nel 2006, grazie ai suoi film e ai suoi libri, la rivista Forbes ha inserito Folco Quilici tra le cento firme più influenti del mondo in campo ambientale (www.folcoquilici.com).
vo superando. La luce favoriva l’inganno, sembrava non diminuire, come avrebbe dovuto, mentre continuavo a scendere metro dopo metro. A svegliarmi dall’incantamento fu un segnale d’allarme echeggiato improvviso; il mio compagno di tante immersioni, Andrea Tamagnini, dovendo caricarsi della ingombrante cinepresa e di due grandi torce, era saltato in acqua diversi minuti dopo di me; e avvistandomi già profondo e lontano, mi vide subito in pericolo. Si mise allora a percuotere l’asta metallica di supporto alle lampade e a quel suono alzai la testa intravedendolo lontanissimo. Corsi subito con lo sguardo alle trascurate lancette del
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profondimetro, lessi “meno 72”; simultaneamente l’indicatore dell’aria mi informava che la riserva nella mia bombola stava per finire. L’istinto di conservazione, di fronte alla minaccia di quel mantello d’acqua, sotto il quale stavo per soffocare, mi suggeriva -erroneamente- di tentare una risalita il più velocemente possibile, sfidando una sicura embolia, perché non avrebbe permesso di rispettare le obbligatorie soste per la decompressione. Debbo all’immediato intervento di Andrea il non esser stato costretto a scegliere tra una paralisi in superficie o la morte per soffocazione sul fondo. Tornò a fatica sulla barca, sfidando di nuovo, ma
verse, mi consente di sottolineare qual è, dal mio punto di vista, il pericolo di chi s’impegna nella fotografia e nelle riprese filmate sott’acqua. È il sentirsi drogati, ipnotizzati dalla meraviglia, dalla sorpresa, dalle imprevedibili visioni. L’ammirazione per il pescatore di perle che senza aiuto di bombole raccoglie nacres a quaranta metri dal fondo, seguire l’archeologo al lavoro su un reperto fenicio affiorante dalla sabbia, oppure accompagnare un ricercatore nel gioco di luci di un relitto o nella lenta ricognizione di un campo d’anfore, sono lunghi momenti cui s’aggiunge il tempo, mai breve, per fotografare quanto hai sotto gli occhi. Un impegno per curare uno, due o chissà quanti scatti, superando la soglia critica del tempo a disposizione (a una certa profondità, per esempio dai quaranta metri in giù, quel tempo è sempre più breve). In simili occasioni è un amico sceso sul fondo accanto a te a salvarti; e lo fa strattonandoti o addirittura cercando di toglierti l’apparecchio fotografico dalle mani. Quindi, particolare riconoscenza a tanti miei compagni d’immersione. Debbo a loro la gioia di offrire a chi ama il mare la collezione di immagini di questa Mostra. Folco Quilici in senso contrario e quindi pericoloso, la gigantesca onda. E la riattraversò subito dopo stringendo tra le braccia non più cinepresa e lampade, ma una bombola carica. Calato così accanto a me, all’ultimo momento la sostituì alla mia ormai scarica, e questo mi permise di respirare tornando in superficie lentamente, evitando il rischio dell’embolia. Confessare questa paura, e non altre cento di-
Stretto di Messina, le “spadare”; Sicilia, 1972. (a sinistra) India del sud; Capo Comorin, 1967. Isola di Pasqua; Cile, 1969. Coste del Kerala, piroghe tirate a secco; India, 1968.
Folco Quilici: I Mari dell’Uomo; a cura di Folco Quilici e Emanuela Sesti. Museo Nazionale Alinari della Fotografia (Mnaf), piazza Santa Maria Novella 14a rosso; 055-216310; www.alinari.it, mnaf@alinari.it. Fino al 7 settembre; giovedì-martedì 9,30-19,30, sabato fino alle 23,30. ❯ Catalogo Fratelli Alinari Fondazione per la Storia della Fotografia, distribuzione Alinari 24ore; introduzione di Italo Zannier e dedica di Predrag Matvejevi; testi di Lilia Capocaccia, Maurizio Daccà, Federico de Strobel, Folco Quilici e Emanuela Sesti; 100 illustrazioni; 152 pagine 24x29cm; 40,00 euro.
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Charleroi, Belgio, 1933: Casa del Popolo. Il luogo si presta anche alla complicitĂ .
(pagina accanto) Parigi, 1931: canale Saint-Martin. Sanremo, 1934: l’esercito del duce in parata.
Georges Simenon. Fotografie di viaggio 1931-1935; testi di Freddy Bonmariage (traduzione di Daniela Marin); Rosellina Archinto Editore, 2007 (via Santa Valeria 3, 20123 Milano; 02-86460237; www.archinto.it, info@archinto.it); 184 pagine 26x27cm, cartonato; 30,00 euro.
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UN MONDO
S
ubito una confessione assolutamente necessaria, oltre che doverosa: sono uno degli appassionati della letteratura di Georges Simenon, straordinario scrittore che ha indelebilmente segnato il Novecento. Per motivi diversi, che alla fine convergono assieme, leggo e rileggo con piacere crescente sia i romanzi e racconti del commissario Maigret, sia i romanzi e le novelle di introspezione esistenziale, della cui scrittura Georges Simenon è autentico maestro. A parità di clima, emozione e partecipazione intensa, cosa distingue l’una produzione letteraria dall’altra? Senza approfondire i termini critici, che spettano ad altri, in semplicità posso liquidare la produzione letteraria di Georges Simenon extra Maigret, spesso indicata “romanzi-romanzi”, con l’identificazione delle sconfitte della vita. Inviolabilmente, tutti i protagonisti dei suoi romanzi si trascinano verso la propria fine annunciata e prevedibile: ascese e cadute di famiglie e individui. Senza reagire, ma con la consapevolezza della disfatta finale, affrontano ognuno il proprio destino tragico, addirittura ne sollecitano e aiutano il compimento. Quindi, entrando in argomento, se sono così incondizionatamente solidale con la scrittura di Geor-
A volte liquidate frettolosamente, appena dopo averne rivelato la paternità, le fotografie di viaggio di Georges Simenon, uno dei massimi esponenti della letteratura europea del Novecento, non si esauriscono nell’aneddotica dello scrittore, che ha anche fotografato. Queste visioni rivelano la consapevolezza di una applicazione che rimane a testimonianza e documentazione di un mondo che sta per scomparire e perdersi nelle nebbie della storia. Autentico linguaggio, la Fotografia conserva quantomeno il ricordo di ciò che è stato e non è più. Soprattutto questa è la nostra lettura delle Fotografie di viaggio di Georges Simenon, raccolte in una avvincente monografia
PERDUTO
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ROMANZI (ADELPHI)
A
ggiornato al dieci giugno, data di ultima correzione di questo testo, l’elenco dei titoli di Georges Simenon pubblicati da Adelphi (www.adelphi.it) ha superato i cento, meta raggiunta lo scorso maggio: quarantacinque divisi nelle collane Biblioteca Adelphi (la quantità più consistente), gli Adelphi, Biblioteca minima, La collana dei casi, La Nave Argo e Piccola Biblioteca Adelphi; e cinquantotto relativi al commissario François Jules Amédée Maigret (oppure Jules-Joseph Anthelme Maigret, fantasiosamente nato nel 1887, a Saint-Fiacre, figlio dell’amministratore del castello locale), pubblicati nella sottocollana specifica gli Adelphi - Le inchieste di Maigret, che richiamiamo in un successivo riquadro, pubblicato a pagina 56. Rispetto precedenti edizioni, quando Georges Simenon era liquidato come scrittore di serie inferiore, l’attuale ripubblicazione Adelphi, con nuove e convincenti traduzioni e una veste editoriale di prestigio e qualità, dà giusto valore al suo merito letterario. Al proposito, ricordiamo che André Gide ha qualificato Georges Simenon tra i più significativi autori del Novecento. Dalla simbolica Lettera a mia madre, nella collana Piccola Biblioteca Adelphi, e Le finestre di fronte, nella collana Biblioteca Adelphi, dal 1985 Adelphi sta pubblicando tutte le opere di Georges Simenon, in progressione sostanzialmente cronologica di scrittura (soprattutto Maigret). Così che, rassicurato dalla serietà e garanzia della firma Adelphi, anche il pubblico italiano ha ri-scoperto un autore lasciato in penombra, vivace e diretto, preciso nella caratterizzazione dei personaggi e degli ambienti che li condizionano. Per dirla con Maigret, non esistono veri colpevoli per questa lunga assenza, perché tutti in fondo siamo solo vittime. In ultimo, prima della sintesi ragionata, una sola annotazione di servizio: i centotré titoli conteggiati fino a oggi non sono effettivamente tali e tanti. Infatti, sei sono stati pubblicati in due edizioni diverse e successive, prima nella collana Biblioteca Adelphi e poi in gli Adelphi: in ordine di prima edizione, Le finestre di fronte (1985 e 2002), L’uomo che guardava passare i treni (1986 e 1991), Pedigree (1987 e 1997), Lettera al mio giudice (1990 e 2003), La neve era sporca (1991 e 2004) e La camera azzurra (2003 e 2008). Ancora, la raccolta Romanzi I, comprensiva di approfonditi testi a introduzione, cronologia e commento, ripropone invece nove titoli già autonomi più un inedito, tra i quali due “Maigret”: Il cavallante della «Providence» [Maigret], Il caso Saint-Fiacre [Maigret], Il fidanzamento del signor Hire, Colpo di luna, La casa sul canale [inedito nel 2004, e in gli Adelphi l’anno successivo], L’uomo che guardava passare i treni, Il borgomastro di Furnes, Gli intrusi, La vedova Couderc, Lettera al mio giudice.
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Titolo Lettera a mia madre Le finestre di fronte L’uomo che guardava passare i treni Pedigree Il testamento Donadieu Hôtel del Ritorno alla Natura Lettera al mio giudice La neve era sporca L’uomo che guardava passare i treni La Marie del porto Betty La vedova Couderc Il borgomastro di Furnes La morte di Belle Turista da banane I fantasmi del cappellaio Pedigree Tre camere a Manhattan Carissimo Simenon - Mon cher Fellini Il viaggiatore del giorno dei Morti L’uomo di Londra Gli intrusi I Pitard In caso di disgrazia La verità su Bébé Donge Il primogenito dei Ferchaux Le finestre di fronte Pioggia nera La camera azzurra Il fidanzamento del signor Hire Lettera al mio giudice Memorie intime Colpo di luna La neve era sporca Romanzi I Luci nella notte L’orologiaio di Everton La casa sul canale Cargo Il clan dei Mahé Il piccolo libraio di Archangelsk Il Presidente Il treno La camera azzurra La pazza di Itterville (*) (**) (1) (2) (3) (4) (5) (6) (7)
Collana Piccola Biblioteca Adelphi (1) Biblioteca Adelphi (2) Biblioteca Adelphi (3) Biblioteca Adelphi Biblioteca Adelphi Biblioteca Adelphi (4) Biblioteca Adelphi (5) Biblioteca Adelphi (2) gli Adelphi Biblioteca Adelphi gli Adelphi Biblioteca Adelphi Biblioteca Adelphi Biblioteca Adelphi Biblioteca Adelphi Biblioteca Adelphi (3) gli Adelphi Biblioteca Adelphi (*) Piccola Biblioteca Adelphi Biblioteca Adelphi gli Adelphi Biblioteca Adelphi gli Adelphi Biblioteca Adelphi gli Adelphi Biblioteca Adelphi (1) gli Adelphi gli Adelphi (6) Biblioteca Adelphi Biblioteca Adelphi (4) gli Adelphi (**) La collana dei casi Biblioteca Adelphi (5) gli Adelphi (7) La Nave Argo Biblioteca Adelphi Biblioteca Adelphi gli Adelphi Biblioteca Adelphi Biblioteca Adelphi Biblioteca Adelphi Biblioteca Adelphi Biblioteca Adelphi (6) gli Adelphi Biblioteca minima
Traduttore Giovanni Mariotti Paola Zallio Messori Paola Zallio Messori Giannetto Bongiovanni Paola Zallio Messori Giandonato Crico Dario Mazzone Mario Visetti Paola Zallio Messori Gabriella Luzzani Gabriella Luzzani Edgardo Franzosini Tea Turolla Laura Frausin Guarino Laura Frausin Guarino Laura Frausin Guarino Giannetto Bongiovanni Laura Frausin Guarino Emanuela Muratori Laura Frausin Guarino Giorgio Pinotti Laura Frausin Guarino Eliana Vicari Fabris Laura Colombo Marco Bevilacqua Laura Frausin Guarino Paola Zallio Messori Carmen Tomeo Marina Di Leo Giorgio Pinotti Dario Mazzone Laura Frausin Guarino Marina Di Leo Mario Visetti Marco Bevilacqua Laura Frausin Guarino Laura Frausin Guarino Marco Bevilacqua Laura Frausin Guarino Massimo Romano Luciana Cisbani Massimo Romano Marina Di Leo Massimo Scotti
Anno 1985 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1991 1992 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1997 1998 1998 1999 1999 2000 2000 2001 2001 2002 2002 2002 2003 2003 2003 2003 2004 2004 2004 2005 2005 2005 2006 2006 2007 2007 2008 2008 2008
Carissimo Simenon - Mon cher Fellini: epistolario tra Georges Simenon e Federico Fellini. Memorie intime: presentato in FOTOgraphia del luglio 2003 [e qui a destra]. Le finestre di fronte: nella collana Biblioteca Adelphi (1985) e riedizione nella collana gli Adelphi (2002). L’uomo che guardava passare i treni: nella collana Biblioteca Adelphi (1986) e riedizione nella collana gli Adelphi (1991). Pedigree: nella collana Biblioteca Adelphi (1987) e riedizione nella collana gli Adelphi (1997). Lettera al mio giudice: nella collana Biblioteca Adelphi (1990) e riedizione nella collana gli Adelphi (2003). La neve era sporca: nella collana Biblioteca Adelphi (1991) e riedizione nella collana gli Adelphi (2004). La camera azzurra: nella collana Biblioteca Adelphi (2003) e riedizione nella collana gli Adelphi (2008). Romanzi I: Introduzione; Cronologia; Nota alla presente edizione; Il cavallante della «Providence» [Maigret], Il caso Saint-Fiacre [Maigret], Il fidanzamento del signor Hire, Colpo di luna, La casa sul canale [inedito nel 2004], L’uomo che guardava passare i treni, Il borgomastro di Furnes, Gli intrusi, La vedova Couderc, Lettera al mio giudice; Note ai testi.
Al giugno 2008 Dodicesima edizione Decima edizione Decima edizione Seconda edizione Nona edizione Sesta edizione Undicesima edizione Undicesima edizione Diciottesima edizione Ottava edizione Tredicesima edizione Settima edizione Settima edizione Nona edizione Settima edizione Decima edizione Settima edizione Diciassettesima edizione Seconda edizione Sesta edizione Nona edizione Settima edizione Quinta edizione Terza edizione Sesta edizione Seconda edizione Sesta edizione Terza edizione Nona edizione Terza edizione Quinta edizione Seconda edizione Seconda edizione Terza edizione Terza edizione Seconda edizione Seconda edizione Seconda edizione Terza edizione Terza edizione Seconda edizione Terza edizione Seconda edizione
Pagine 98 pagine 176 pagine 212 pagine 554 pagine 394 pagine 182 pagine 206 pagine 266 pagine 212 pagine 142 pagine 142 pagine 170 pagine 222 pagine 176 pagine 180 pagine 238 pagine 554 pagine 182 pagine 142 pagine 272 pagine 138 pagine 198 pagine 144 pagine 180 pagine 170 pagine 364 pagine 176 pagine 128 pagine 154 pagine 146 pagine 206 pagine 1228 pagine 166 pagine 266 pagine 1648 pagine 166 pagine 166 pagine 162 pagine 350 pagine 150 pagine 172 pagine 156 pagine 146 pagine 154 pagine 82 pagine
Memorie intime è una sorta di autobiografia di Georges Simenon, nella quale e con la quale lo scrittore motiva e giustifica la propria vita. Compilate nel 1980, a due anni dal suicidio della figlia Marie-Jo, alla quale rivolge i propri pensieri, queste Memorie affrontano impietosamente rimpianti e rimorsi di una Vita: «Piccolina mia, so che sei morta eppure ti scrivo, e non è la prima volta che lo faccio».
Prezzo 7,50 euro 16,00 euro 17,00 euro esaurito 19,50 euro 14,00 euro 14,00 euro 15,00 euro 8,00 euro 16,00 euro 8,00 euro 15,00 euro 16,00 euro 15,00 euro 16,00 euro 18,00 euro 12,00 euro 16,00 euro 12,00 euro 15,00 euro 8,00 euro 18,00 euro 8,00 euro 13,43 euro 8,50 euro 16,00 euro 8,50 euro 8,00 euro 15,00 euro 13,50 euro 10,00 euro 38,00 euro 14,00 euro 9,00 euro 60,00 euro 14,00 euro 14,00 euro 8,50 euro 18,00 euro 15,00 euro 16,00 euro 16,00 euro 16,00 euro 10,00 euro 5,50 euro
ges Simenon, posso essere oggettivo quando, come sto per fare, commento le sue fotografie? Ovvero, quando apprezzo il suo valore di fotografo? Nonostante tutto, penso e spero proprio di sì, perché so di possedere almeno onestà intellettuale e senso delle proporzioni. Esauriti i fasti della mostra allestita qualche stagione fa a Parigi, una selezione delle fotografie di Georges Simenon sopravvive nell’ottima edizione libraria pubblicata in Italia da Rosellina Archinto Editore, alla quale ci riferiamo anche in relazione alla sua reperibilità in libreria (attenzione, complemento d’obbligo: nella traduzione di Chiara Agostini, con prefazione di Marco Vallora, lo stesso editore ha in catalogo anche Caro Maestro, Caro Simenon, epistolario con André Gide, che rivela come il grande scrittore abbia sollecitato, incoraggiato e consigliato il giovane Simenon; 136 pagine, 7,00 euro). Quindi, il fotografo; appunto: Georges Simenon. Fotografie di viaggio 1931-1935; testi di Freddy Bonmariage (traduzione di Daniela Marin); 184 pagine 26x27cm, cartonato; 30,00 euro.
Tunisia, 1934: sole abbagliante, gente che va e viene.
MONOGRAFIA La selezione presentata in questa avvincente raccolta, adeguatamente scandita al ritmo di distinti riferimenti geografici di identificazione, è stata estratta dai numerosi scatti che lo scrittore belga ha realizzato nel corso di lunghi viaggi in giro per il mondo, dei quali ha altresì testimoniato con le ambientazioni di molti dei suoi romanzi (ognuno individui e cataloghi per sé le peregrinazioni che si sono proiet-
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IL MIO AMICO MAIGRET (ADELPHI)
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ubblicato da Mondadori in tutte le collane nelle quali, in tempi diversi e successivi, ha riunito le inchieste del commissario Maigret, per quanto serva ancora sottolinearlo, Maigret e il sergente maggiore è emblematico dell’approssimazione riservata in Italia ai romanzi di Georges Simenon, prima dell’intervento di Adelphi. Fantasiosa trasformazione dell’originario Les caves du Majestic (I sotterranei del Majestic, per Adelphi), il titolo contiene l’indicazione dell’assassino. Infatti, nelle prime pagine si scopre il cadavere di una donna e, quindi, secondo la regola che i protagonisti di un poliziesco sono soprattutto due, la vittima e il suo assassino, ecco che il titolo è rivelatore. Diamine! Al proposito, storicizziamo che Les caves du Majestic, scritto nel dicembre 1939 e pubblicato nell’ottobre 1942, è il ventesimo romanzo del commissario Maigret. È stato anche sceneggiato per il cinema; l’omonimo film, del 1945, è stato diretto da Richard Pottier, con Albert Préjean nel ruolo di Maigret. Ciò detto, annotiamo anche una piccola pecca, veniale sia chiaro, nella recente traduzione di Maigret si mette in viaggio, scritto da Georges Simenon nel 1958. La traduzione del 2007 incorre in una identificazione “paparazzo”, che l’autore belga non avrebbe assolutamente usato. Ovvero, non avrebbe potuto usare: infatti, il neologismo “paparazzo”, dal nome proprio del fotografo tratteggiato nel film, nel quale è interpretato da Walter Santesso, nasce con La dolce vita di Federico Fellini, del 1960. Appunto, Paparazzo è un reporter particolarmente invadente e sfacciato, sulla cui genesi si è espresso lo sceneggiatore Ennio Flaiano, raccontandone in La solitudine del satiro (Rizzoli, 1973), dove è altresì svelata l’ispirazione/origine del fortunato nome. Ne abbiamo riferito in FOTOgraphia dell’ottobre 2000, e non è il caso di ripetere. Almeno non qui e non ora. Soltanto, richiamiamo l’incipt, che forse ha stabilito il destino stesso del neologismo. Annota Ennio Flaiano: «Una società sguaiata, che esprime la sua fredda voglia di vivere più esibendosi che godendo realmente la vita, merita fotografi petulanti. Via Veneto è invasa da questi fotografi. Nel nostro film ce ne sarà uno, compagno indivisibile del protagonista». A titolo di cronaca, ricordiamo un precedente errore con “paparazzo”. Nel cinematografico Il mistero della signora scomparsa (The Lady Vanishes, di Anthony Page; Gran Bretagna, 1979: opaco remake di La signora scompare, di Alfred Hitchcock, del 1938), la capricciosa ereditiera Amanda Kelly (interpretata da Cybill Shepherd) apostrofa con “paparazzo” il fotografo di Life Robert Condon (Elliott Gould), che incontra nelle prime sequenze del film. Incongruenza: la vicenda narrata dal film è ambientata in Germania nell’estate 1939, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, vent’anni prima della Dolce vita e della conseguente fenomenologia. Tornando alle attente traduzioni Adelphi, annotiamo una altra imperfezione marginale nelle espressioni gergali di contorno, come quella della sala di attesa della Polizia giudiziaria, in Quai des Orfèvres (con le pareti tappezzate di fotografie di poliziotti morti nell’adempimento del proprio dovere), e il soprannome dell’ispettore Lognon, che variano titolo dopo titolo. Comunque, fino a metà giugno, Adelphi ha pubblicato cinquantotto romanzi del commissario Maigret, ai quali ha riservato la specifica sottocollana gli Adelphi - Le inchieste di Maigret, per la quale annotiamo anche una garbata e convincente serie di combinazioni fotografiche di copertina, che richiamano inviolabilmente il clima e l’atmosfera dei tempi di ambientazione delle rispettive vicende: discorso che andrebbe sottolineato nel dettaglio (in uno dei prossimi numeri di FOTOgraphia, è una promessa). Anche in questo caso, la sintesi ragionata in ordine cronologico di prima edizione. Prima, però, una curiosità. Perché “Maigret”? Ha risposto lo stesso Georges Simenon: «Ho utilizzato quel nome perché in quel momento mi è venuto in mente quello. Ma non è un nome inventato: era il nome di un vicino di casa in places des Vosges, che quando il personaggio cominciò a riscuotere successo non apprezzò che il suo nome fosse usato per un volgare poliziotto».
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Titolo Pietr il Lettone L’impiccato di Saint-Pholien La ballerina del Gai-Moulin Il defunto signor Gallet Il porto delle nebbie Il cane giallo Il pazzo di Bergerac Una testa in gioco La balera da due soldi Un delitto in Olanda Il crocevia delle Tre Vedove Il caso Saint-Fiacre La casa dei fiamminghi Liberty Bar L’ombra cinese Il cavallante della «Providence» All’insegna di Terranova La chiusa n.1 La casa del giudice Maigret I sotterranei del Majestic L’ispettore Cadavre Le vacanze di Maigret Firmato Picpus Il mio amico Maigret Maigret a New York Maigret e la vecchia signora Cécile è morta Il morto di Maigret Maigret va dal coroner Félicie La prima inchiesta di Maigret Maigret al Picratt’s Le memorie di Maigret La furia di Maigret Maigret e l’affittacamere L’amica della signora Maigret Maigret e la Stangona Maigret, Lognon e i gangster La rivoltella di Maigret Maigret a scuola Maigret si sbaglia Maigret ha paura Maigret e l’uomo della panchina La trappola di Maigret Maigret e il ministro Maigret e la giovane morta Maigret prende un granchio Maigret e il corpo senza testa Maigret si diverte Gli scrupoli di Maigret Maigret e i testimoni recalcitranti Maigret in Corte d’Assise Maigret e il ladro indolente Maigret si confida Maigret si mette in viaggio Maigret e il cliente del sabato Maigret e le persone perbene
Traduttore Yasmina Mélaouah Gabriella Luzzani P.N. Giotti Elina Klersy Imberciadori Fabrizio Ascari Marina Verna Laura Frausin Guarino Graziella Cillario Eliana Vicari Fabris Ida Sassi Emanuela Muratori Giorgio Pinotti Germana Cantoni De Rossi Ida Sassi Rita de Letteriis Emanuela Muratori Anna Morpurgo Germana Cantoni De Rossi Vittoria Martinetto Elena Callegari Eliana Vicari Fabris Fabrizio Ascari Laura Frausin Guarino Germana Cantoni De Rossi Franco Salvatorelli Emma Bas Massimo Scotti Germana Cantoni De Rossi Ida Sassi Giulio Minghini Ida Sassi Alessio Catania Giulio Minghini Marco Bevilacqua Margherita Belardetti Giulio Minghini Massimo Scotti Emma Bas Laura Frausin Guarino Pia Cillario P.N. Giotti Barbara Bertoni Rossella Daverio Lucia Incerti Caselli Luciana Cisbani Fernanda Littardi Laura Frausin Guarino Carla Scaramella Margherita Belardetti Valeria Fucci Margherita Belardetti Ugo Cundari Laura Frausin Guarino Andrea Forti Margherita Belardetti Leopoldo Carra Giovanna Rizzarelli Annamaria Carenzy Vailly
Anno 1993 1993 1994 1994 1994 1995 1995 1995 1995 1996 1996 1996 1996 1997 1997 1997 1997 1998 1998 1998 1998 1999 1999 1999 1999 2000 2000 2000 2000 2001 2001 2001 2001 2002 2002 2002 2002 2003 2003 2003 2003 2004 2004 2004 2004 2005 2005 2005 2005 2006 2006 2006 2006 2007 2007 2007 2007 2008
Al giugno 2008 Nona edizione Decima edizione Decima edizione Decima edizione Quattordicesima edizione Dodicesima edizione Nona edizione Nona edizione Undicesima edizione Decima edizione Dodicesima edizione Decima edizione Nona edizione Nona edizione Nona edizione Ottava edizione Nona edizione Ottava edizione Nona edizione Undicesima edizione Nona edizione Ottava edizione Decima edizione Settima edizione Settima edizione Ottava edizione Settima edizione Settima edizione Settima edizione Sesta edizione Quinta edizione Settima edizione Sesta edizione Quinta edizione Sesta edizione Quinta edizione Quinta edizione Quinta edizione Terza edizione Quarta edizione Quinta edizione Quarta edizione Terza edizione Quinta edizione Terza edizione Quarta edizione Quarta edizione Terza edizione Terza edizione Terza edizione Terza edizione Terza edizione Terza edizione Terza edizione Seconda edizione Seconda edizione Quarta edizione Seconda edizione
Pagine 164 pagine 140 pagine 148 pagine 158 pagine 182 pagine 144 pagine 142 pagine 150 pagine 146 pagine 146 pagine 142 pagine 148 pagine 138 pagine 138 pagine 144 pagine 138 pagine 142 pagine 140 pagine 146 pagine 134 pagine 150 pagine 154 pagine 174 pagine 140 pagine 154 pagine 170 pagine 156 pagine 166 pagine 186 pagine 160 pagine 140 pagine 178 pagine 178 pagine 144 pagine 146 pagine 164 pagine 164 pagine 164 pagine 170 pagine 166 pagine 158 pagine 162 pagine 164 pagine 172 pagine 164 pagine 178 pagine 164 pagine 154 pagine 170 pagine 160 pagine 156 pagine 156 pagine 138 pagine 142 pagine 152 pagine 160 pagine 136 pagine 146 pagine
Prezzo 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 7,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 7,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro 8,00 euro
tate sui protagonisti di esistenze abilmente raccontate). L’identificazione temporale specificata già nel titolo -prima metà degli anni Trenta- certifica poi i tempi e momenti nei quali, da giornalista e reporter, Georges Simenon, classe 1903, si stava convertendo in scrittore: i primi romanzi, generali e con protagonista il commissario Maigret, sono appunto datati a quegli anni. Così che, questa monografia fotografica, illustrata con immagini inedite fino a poco tempo fa, gelosamente custodite in vita (lo scrittore è mancato
Wadi Halfa, Sudan, 1932: nelle strade della città. Congo, 1932: «Mi è rimasta la visione di una giovane indigena seminuda con al seno il suo bambino».
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Concarneau, Francia, 1932: le sorelle Creac’h, diventate le Signorine di Concarneau.
a Losanna, in Svizzera, nel 1989, a ottantasei anni di età), risulta ritmata sul filo dell’attenzione a luoghi e persone che Georges Simenon stava per trasformare in personaggi letterari. In definitiva compongono i tratti di una partecipe testimonian-
za alla vita, che la consapevolezza fotografica ha consentito di cogliere in presa diretta, nella realtà e nel realismo del proprio svolgimento. Se la differenza è chiara, come dovrebbe esserlo a coloro i quali sanno identificare i connotati e gli stilemi del linguaggio espressivo della fotografia, queste sono autentiche Fotografie di viaggio, realizzate con intenzioni diverse, perché più profonde, delle semplici e banalizzate fotoricordo (i cui tratti sono analogamente significativi, ma in altro
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omolo Ansaldi di Genova è (stato) un attento collezionista Leica (al centro). Alle nostre origini editoriali, sulle pagine di FOTOgraphia abbiamo ospitato i botta-e-risposta di una lunga querelle che lo ha visto protagonista a un tempo volontario e involontario, relativa a una controversa Leica M3 dorata. Nel febbraio 1995, pubblicammo una precisazione di Romolo Ansaldi, a correzione di inesattezze contenute nella storiografia Il grande libro Leica di Dennis Laney (Il Fotografo Libri, 1993), peraltro riprese da Leica-The First 60 Years di Gianni Rogliatti; a seguire, ci furono la replica di Gianni Rogliatti (maggio 1995), una nostra testimonianza (giugno 1995), la controreplica di Romolo Ansaldi (ottobre 1995) e una ulteriore presa di posizione, per il vero tignosa, di Ghester Sartorius (novembre 1995). A margine delle Fotografie di viaggio di Georges Simenon annotiamo che lo stesso Romolo Ansaldi è ritenuto uno dei maggiori esperti europei dello scrittore belga: come a dire, uno dei maggiori esperti al mondo! Una selezione della sua ampia collezione di libri e documenti è stata recentemente allestita in mostra alla Biblioteca Cervetto in Castello Foltzer di Rivarolo, storico quartiere di Genova (via Jori 60; 010-4695050; www.comune.genova.it): Georges Simenon. Un uomo non come un altro, dal tre aprile al nove maggio scorsi. Con l’occasione, le pagine genovesi del quotidiano La Repubblica hanno dato risalto all’avvenimento. In particolare, un approfondito articolo di Stefano Bigazzi del sedici aprile ha adeguatamente accostato la personalità letteraria (e altro ancora) di Georges Simenon con la competenza e la certosina raccolta di Romolo Ansaldi. In estratto: «[La mostra] Georges Simenon. Un uomo non come un altro racconta l’autore belga e i suoi libri, ma anche l’indotto che il fenomeno ha in qualche modo sviluppato: l’attenzione dei critici e del pubblico, su un altro piano dei collezionisti e bibliofili, e si articola in un saggio della vasta collezione Romolo
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Ansaldi, tra prime edizioni, manifesti cinematografici e affiche, immagini e foto[grafie] di scena. «Romolo Ansaldi, commercialista incapace di starsene con le mani in mano: il suo approccio a [Georges] Simenon l’ha raccontato centinaia di volte, nelle occasioni -convegni, aste antiquarie, seminari sul cinema- nelle quali è stato appunto chiamato come simenonologo, espressione coniata dal figlio Gianni per la rassegna Facce così: una mostra ciascuno, in contemporanea. Comunque, è il 1942, Romolo [Ansaldi] ha quattordici anni: ragazzino curioso, si imbatte in un romanzetto popolare e avvincente, un noir ben confezionato, Pietr il Lettone, considerato dall’autore il debutto in società del commissario Maigret. [...] «”Se mi chiamano collezionista -racconta oggi [Romolo] Ansaldi- sì che me la prendo, magari possono dire che sono un feticista, ma non colleziono: studio. I libri che ho li ho letti almeno tre volte. E poi [Georges] Simenon non esaurisce i miei interessi, c’è Celine, anche, solo che Simenon, che apprezzo come scrittore e meno come uomo, ha scritto quattrocentodiciotto libri, fa più scalpore; Celine solo dodici”. «Il saggio di Romolo Ansaldi in catalogo [...] offre cifre significative: “Georges Simenon è certamente l’autore che può vantarsi di aver visto adattare per lo schermo il più grande numero delle sue opere. Dal 1932 al Primo giugno 2007, sono ben sessantadue i film tratti dai suoi romanzi”, quattordici dei quali dalla saga del commissario di boulevard Richard-Lenoir. «Uno studioso, [Romolo] Ansaldi. Gira il mondo e continua a cercare: “Sto scrivendo un libro che non riesco a finire; sono già a cinquecento cartelle di testo, ma ogni giorno scopro qualcosa che mi è sfuggito e vorrei aggiungere, o trovo nuovo materiale che ritengo interessante. Insomma, è un libro in divenire. Che finirà su Internet: adesso c’è il mio sito in costruzione; quando sarà pronto, il libro verrà messo in Rete e chi lo vorrà potrà scaricarselo e stamparlo per conto suo”. Generoso. [...]».
GIANNI ANSALDI
A VOLTE, TORNANO
contesto, in altra scala di considerazioni). A differenza di tanta altra fotografia non professionale, pur ben composte e inquadrate, queste di Georges Simenon sono immagini prive di artificio visivo e libere da alcuna retorica dello sguardo. Abilmente e con intelligenza, oltre che cultura personale e rispetto per l’individuo, Georges Simenon ha evitato il pittoresco dell’Africa (allora sostanzialmente sconosciuta) e delle geografie di un Est europeo di profonde radici antiche, estraneo al realismo sovietico che sarebbe arrivato dopo la Seconda guerra mondiale e comunque lontano dalle metropoli del mondo occidentale. Le sue non sono fotografie di un
turista distaccato, che osserva con pregiudizio anglosassone, come lo sono molte fotografie (anche professionali) del tardo Ottocento e primo Novecento. Cioè sono fotografie scattate dall’interno di una sentita condivisione con i soggetti e le situazioni. Tanto che, nell’attuale raccolta monografica, queste immagini sono accompagnate da testi che le inquadrano culturalmente e socialmente, fino a richiamare il contesto letterario dell’opera dell’autore. Comunicazione visiva (di Georges Simenon) e comunicazione verbale di supporto e sostegno (di e a cura di Freddy Bonmariage) si allineano in una analogia di linguaggio assoluta.
Varsavia, 1933: selciato, un portone, lo studio del dentista. (pagina accanto, al centro) Frontiera franco-svizzera: il doganiere «che ha un’alta considerazione della sua funzione».
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Una leggenda metropolitana vorrebbe che tra i tanti Maigret dello schermo, piccolo televisivo e grande cinematografico, Georges Simenon prediligesse l’italiano Gino Cervi, insieme a Andreina Pagnani (signora Maigret) protagonista di una fortunata serie Rai degli anni Sessanta e Settanta: da Un’ombra su Maigret (in tre puntate del 27 dicembre 1964, Primo e 3 gennaio 1965) a Maigret in pensione (in due puntate del 16 e 17 settembre 1972), regia di Mario Landi e sceneggiature curate, tra altri, da Andrea Camilleri. Vero niente. Come annota Romolo Ansaldi, il maggior conoscitore mondiale dell’opera di Georges Simenon (a pagina 58), altri sono stati i volti più credibili di Maigret, apprezzati dall’autore: sopra tutti, Pierre Renoir e Jean Gabin. Ovviamente, per spirito nazionale, in Italia abbiamo sempre anteposto Gino Cervi agli altri interpreti. Tanto che i suoi tratti sono stati abbondantemente utilizzati dagli illustratori delle edizioni Mondadori. Tanto che visualizzando la cerimonia di inaugurazione della statua di Maigret a Delfzijl, in Olanda, dove nel 1929 Georges Simenon scrisse il primo romanzo della serie, Pietr il Lettone, mentre era in viaggio per i canali navigabili francesi a bordo del cutter Ostrogoth, la Domenica del Corriere del 24 aprile 1966 accostò le figure di Andreina Pagnani e Gino Cervi a quelle di Jean Gabin e Georges Simenon.
Come annotato da altri: «lucidità, assoluta mancanza di enfasi, sensibilità per uomini e cose, spontaneità e semplicità».
LA FOTOGRAFIA, PER L’APPUNTO Gli istanti fotografati da Georges Simenon, che spesso nella propria letteratura fa riferimenti corretti e coerenti alla fotografia, espressione della quale ha evidentemente posseduto la chiave, compongono i tratti di un autentico racconto, capace di passare dalla presentazione dell’insieme alla rappresentatività del dettaglio, dall’ambiente alle persone, dal generale al particolare. Convinti
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reportage, stilati con insospettata bravura, questi documenti visivi sono definiti anche da un retrogusto un poco amaro, così come amari sono i destini dei personaggi che Georges Simenon ha descritto nei suoi romanzi. All’alba della Seconda guerra mondiale (annunciata e nell’aria), non ancora sopiti gli echi della Prima (ai tempi, prima del conteggio in successione, soltanto Grande guerra), questa fotografia esprime la consapevolezza della tragedia imminente, dell’ondata che avrebbe sconvolto e ribaltato i secoli di storia che fino ad allora si erano adagiati gli uni sugli altri in una consecuzione prevista, prevedibile e trasparente nelle proprie intenzioni e manifestazioni. Georges Simenon scrittore e Georges Simenon fotografo (a prestito) sono la stessa persona. La scrittura e l’espressione visiva sono allineate e ugualmente chiare e dirette; entrambe rivelano la qualità di uno scrittore unico nel panorama letterario del Novecento e di un fotografo attento: la velocità e l’immediatezza. La precisione visiva delle fotografie di Georges Simenon segue e consegue la sua scrittura. Un esempio, sopra tutti, da Turista di banane (Adelphi, 1996; traduzione di Laura Frausin Guarino): in poche righe iniziali, senza alcun ornamento superfluo, si coglie una efficace quantità di informazioni, chiave di lettura della vicenda. Testuale: «Erano ormai trentasette giorni che l’Îlede-Ré aveva lasciato il porto di Marsiglia. Alla partenza si gelava, e uscendo da Gibilterra tutti i passeggeri, tranne due, si erano sentiti male. Ma poi, dopo essersi sorbiti per settimane i cavalloni dell’Atlantico, si erano dimenati fino a perdere il fiato nei locali da ballo della Guadalupa, e perfino il missionario della seconda classe si era vestito in borghese per accompagnare a terra la famiglia Nicou. A Panama le signore avevano acquistato profumi che lì costano meno, e durante la traversata del canale il pranzo era stato servito sul ponte, come vuole la tradizione. La nave si stava avvicinando agli antipodi; in lontananza si erano intraviste le Galápagos, e qualcuno aveva fotografato pellicani e pesci volanti. Muselli, il funzionario addetto alla prima classe, che suonava l’ukulele, aveva comprato una testa di indio ridotta alle dimensioni del pugno di un bambino. L’Île-de-Ré era già all’altro capo del mondo a tagliare pazientemente, con un ronzio di macchine, la superficie troppo piatta e abbagliante del Pacifico, che costringeva a portare gli occhiali scuri». Dunque: partenza da Marsiglia, dopo Gibilterra c’è stato maltempo, è domenica [nelle righe successive], ci sono signore a bordo, e anche un missionario in borghese e un funzionario, si balla... in mezza pagina si sono attraversati due oceani e viene inquadrata un’epoca e un clima. Dalla parola scritta, ritorniamo alla fotografia di Georges Simenon, della quale abbiamo già rivelato la forma apparente (a propria volta già sostanza). Se è concesso un parallelo di profilo alto, addirittura altissimo, nell’insieme di queste immagini arriviamo a individuare una sorta di pre-cognizione, affidata all’oggettività del documento fotografico: senza stare
qui a vivisezionare concetti e valori sul presunto valore non testimoniale della fotografia, che riguardano soltanto gli addetti. Infatti, comunque la pensiamo al proposito, non possiamo ignorare, né sottovalutare che la grande rivoluzione della fotografia è stata quella di mostrare la realtà senza apparenti mediazioni, da cui è partita la propria diffusione e popolarità anche come documento. Alla maniera di altri autori, sia fotografi di mestiere (Edward Sheriff Curtis, con i Nativi americani; più recente presentazione in FOTOgraphia dello scorso maggio) sia fotografi a prestito (Roman Vishniac, con la nazione ebraica dell’Europa; Sguardo su, di
Pino Bertelli, in FOTOgraphia dell’ottobre 2003), anche Georges Simenon documenta le ultime tracce di un mondo che sta per scomparire, di un mondo che presto sarà perduto. Alla stessa maniera di questi autori citati, e di altri che si allineano in sintonia, compone elementi visivi e culturali per lo studio di uno spaccato storico. Non è stato un fotografo, Georges Simenon, ma uno straordinario scrittore. Però, con applicazione fotografica convinta e consapevole ha saputo vedere (non soltanto guardare) con la forza dirompente dell’intuizione. Maurizio Rebuzzini
Mar Nero,1933: l’Aventino, un bastimento che funziona ancora a vapore.
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COLORAZIONE RIBADITA
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Detto, fatto! Sul nostro scorso numero di giugno abbiamo commentato e rimproverato, condannandola, la pubblicazione da parte del Magazine del Corriere della Sera di una fotografia storica di Lewis W. Hine proditoriamente colorata. Soprattutto uno è il motivo (profondo) del nostro biasimo, che si riconduce all’appartenenza di questa immagine alla storia del Novecento, prima ancora di essere uno dei tasselli significativi della storia della fotografia. Insomma, non si fa: così come non ci si permette di alterare altre forme di espressione, scritte o visive che siano, il cui peso e significato si edifica in tutta una serie di combinazioni, anche di formalità apparente, quale è quella del convincente bianconero fotografico di Lewis W. Hine. Però, come ha verificato Lello Piazza in una ricerca in Rete, oltre l’originario bianconero, l’agenzia di distribuzione Bettman/Corbis ha in catalogo questa colorazione, che asseconda (asseconderebbe) esigenze editoriali di illustrazione fotografica. Così che, eccoci!, ne dobbiamo registrare un secondo utilizzo italiano. Non ce ne voglia La Repubblica se le sue pagine sono
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spesso soggetto delle nostre critiche. Non è colpa nostra, ma loro, che usano la fotografia con una disinvoltura inquietante oltre che allarmante, privandola spesso dei propri connotati legittimi: tanti i casi che, mese dopo mese, hanno sollecitato la nostra attenzione. Non ce ne voglia La Repubblica, che non è vittima di alcuna persecuzione; casomai, le vittime siamo noi, nella nostra salda convinzione che la fotografia meriti paridiritti e paridignità di ogni altra espressione (con Maigret, a pagina 54: non esistono veri colpevoli, perché tutti in fondo siamo solo vittime). Per cui, seconda tornata: registriamo che nella propria edizione dello scorso dieci giugno La Repubblica ribadisce la pubblicazione della fotografia proditoriamente colorata di Lewis W. Hine. Se un collegamento va espresso, ci allineiamo con Lello Piazza, appena menzionato, che nella sua rubrica sul Reportage ribadisce la necessità di operatori che sappiano cosa sia (e sia stata) la Fotografia: a proposito del Gruppo Ricercatori Iconogafici Nazionale, di specializzazione della Fnsi (Federazione Nazionale della Stampa Italiana), an-
nota che «Il Grin è nato come una delle tante costole del sindacato dei giornalisti: la sua attenzione preminente dovrebbe essere rivolta ai problemi di lavoro di coloro che vivono nelle redazioni. Contratto giornalistico, assunzione, guerra al precariato, cultura dell’immagine degli addetti. Questo tipo di attività è quasi assente nel Grin». Sottolineiamo: «cultura dell’immagine degli addetti»; quindi, se di colpe si tratta, vadano addebitate a coloro i quali gestiscono l’immagine fotografica con incompetenza, oppure -ma il risultato non cambia- con superficialità. Riprendiamo dalla nostra precedente segnalazione, ripetiamo riferita alla prima apparizione di questa colorazione proditoria di Lewis W. Hine (manco fosse una Madonna di Lourdes) sulle pagine del Magazine del Corriere della Sera del Primo maggio: «Povero Lewis W. Hine, poveri noi e povera fotografia, in questa sequenza: tutti insieme sottostiamo a presunte esigenze di appetibilità editoriale, che appunto privilegiano il colore rispetto al bianconero». M.R.
Richiamato in prima pagina, immediatamente sopra la testata, il consistente contenitore che La Repubblica del dieci giugno ha riservato allo spinoso problema del movimento dei popoli (diciamola soprattutto così) ha utilizzato come immagine simbolo una fotografia di Lewis W. Hine di immigrati italiani a New York, nel 1905. Soprassediamo sulla didascalia e i suoi errati riferimenti toponomastici a Ellis Island, che riguardano il mondo della geografia, e soltanto annotiamo l’ennesima riproposizione di una colorazione posticcia, ad uso editoriale. Ancora: povero Lewis W. Hine, poveri noi e povera fotografia, in questa sequenza e consecuzione.
Per Buenaventura Durruti, maestro in utopia
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Il pane e le rose c’entrano molto nella fotografia giornalistica di Gerda Taro, c’entra anche la rivoluzione sociale di Spagna (1936-1939). Gerda Taro è stata una pioniera della fotografia d’impegno civile, anche se non proprio la “prima fotoreporter”, come è stato scritto da molti. La giovinezza che attraversa è di quelle inquiete, particolari, fatta di passioni politiche e avventure amorose. Qualcuno la vede come una puttana, una “bambolina di lusso” o una ragazza intelligente e più che altro un’anima bella. Altri la descrivono come una ribelle comunista, una sovversiva, una figura androgina sempre in lotta con la morale e i costumi della propria epoca. Ai tempi della Repubblica di Weimar (1919-1933), in Germania la politica è attraversata da conflitti sociali e turbolenze politiche. Il tentativo della fondazione di una democrazia partecipata viene soffocato nel sangue e l’ascesa al potere di Hitler, nel 1933, porterà il partito nazista all’instaurazione di una dittatura tra le più feroci che l’umanità abbia mai conosciuto. Per non dimenticare: a pochi mesi dall’insediamento nella cancelleria del Reich, Hitler mette in atto la “soluzione finale”, la Shoah che ha riguardato lo sterminio di interi gruppi etnici, sociali e politici (ebrei, rom, omosessuali, malati di mente, minoranze religiose, oppositori al regime), e fa della “grande Germania” un popolo di assassini e complici. In un libro memorabile, La banalità del male, che nel 1963 riprende i resoconti della corrispondente del settimanale The New Yorker al processo di Gerusalemme al gerarca nazista Adolf Eichmann, catturato nel 1960, Hannah Arendt
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GERDA TARO mostra che i crimini nazisti hanno rappresentato il «naufragio morale di un’intera nazione» (in Italia: Feltrinelli, 1964; edizione attuale nella collana Universale Economica, 2001). Le camere a gas e i forni crematori di Auschwitz restano una testimonianza (sovente inascoltata) della psicopatologia del comando, della falsificazione e dell’impostura come crogiuolo istituzionale di tutti i misfatti impuniti. Quando s’inizia a bruciare buoni libri, gli assassini prendono il posto dei miti e degli dèi e instaurano il potere del terrore. I peggiori crimini dell’umanità sono stati perpetrati (e lo sono ancora) sotto il protettorato dell’ordine e del dovere.
schietto, che vestiva con disinvoltura come le dive del cinema, si oppone al razzismo e all’antisemitismo delle “camicie brune” e non teme di perdere i privilegi della sua sicurezza borghese. Quando viene rilasciata dal carcere (aveva un passaporto polacco e non poteva più essere trattenuta), fugge a Parigi con un amico. È l’autunno del 1933. Qui conosce la fame. Vende giornali per sopravvivere e gli amori continuano a essere molti e occasionali. Nel settembre 1934, incontra un fotografo ebreo ungherese squattrinato, con un sorriso un po’ insolente ed è subito amor fou. Si chiama André Ernö Friedmann, che tutti chiamano “Ban-
«È buono il pane che porta il marchio della libertà, diceva mio padre. Il profumo delle rose influisce sulle costellazioni e gli straccetti rossi legati al collo della meglio gioventù ci ricordano che l’obbedienza non è mai stata una virtù» Anonimo toscano IL PANE, LE ROSE E LA FOTOGRAFIA NELLA RIVOLUZIONE DI SPAGNA Gerda Taro nasce Gerta Pohorylle in una buona famiglia di ebrei polacchi, a Stoccarda, il Primo agosto 1910. Si avvicina presto ai movimenti politici dei lavoratori e alle associazioni studentesche della sinistra radicale. Con l’avvento del nazismo è sorvegliata, e finisce in carcere per diciassette giorni (sotto la dicitura di “custodia preventiva”). La piccola ragazza con i tacchi alti, i capelli tagliati a ma-
di”. Più tardi sarà conosciuto in tutto il mondo come Robert “Bob” Capa. Un maestro della fotografia di guerra: più accorto sarebbe dire, fotografia di strada o sociale. Non è ancora noto, ma si è già distinto per aver realizzato un reportage eccezionale su Lev Trotsky, durante un comizio a Copenhagen, nel 1932. I suoi amici sono André Kertész, David “Chim” Seymour e Henri Cartier-Bresson. È lui che avvicina Gerda Taro alla fotografia o, comunque,
le fa scoprire una filosofia del vedere che è magia e poesia allo stesso tempo. Anche Robert Capa è un fuoriuscito, un comunista anomalo con simpatie anarchiche; in Ungheria è ricercato per attività sovversive. André Ernö Friedmann e Gerta Pohorylle formano una coppia (piuttosto libera) e fanno della fotografia una professione. Lui scatta fotografie e lei cerca di venderle alle agenzie. I guadagni sono pochi, e così lei inventa il nome di “Robert Capa” per lui e prende il nome di “Gerda Taro” per sé. Con quel nome americano, le fotografie dell’ungherese si vendono meglio. C’è da dire che già dal proprio esordio, la fotoscrittura di Robert Capa va ben oltre il fotogiornalismo, dal quale parte; e i suoi lavori restano un insegnamento etico e formale per i fotoreporter più attenti all’aspetto civile e non solo crudele delle guerre a venire (ai nostri giorni, Alexandra Boulat, Ron Haviv, Gary Knigth, Christopher Morris, Antonin Kratochvil, James Nachtwey e John Stanmeyer). Le immagini di Capa, anche quella sospetta di falso o ricostruzione della “morte del miliziano” a Cerro Muriano, scattata sul fronte spagnolo, sono un’accusa contro la stupidità della guerra, l’assurdità del potere, e contribuiscono non poco alla crescita della coscienza critica. Robert “Bob” Capa scompare in Indocina: salta su una mina a Thai-Bin, correva l’anno 1954 [Sguardo su, in FOTOgraphia del luglio 2003]. Il primo tesserino da giornalista di Gerda Taro è del 1936. In quello stesso anno il Fronte Popolare vince le elezioni in Spagna: anarchici, comunisti e socialisti insieme cominciano a smantellare il latifondismo e pareggiare i conti con le angherie che il popolo ha subìto per se-
coli da parte della chiesa e della nobiltà. I padroni non ci stanno. Scoppia la guerra civile e la rivoluzione dei poveri assume caratteri storici eccezionali. Il generale Francisco Franco, foraggiato da Hitler, Mussolini, la Chiesa e la finanza internazionale, mette a ferro e a fuoco la Spagna. Si formano le Brigate Internazionali in aiuto ai repubblicani. La rivoluzione sociale di Spagna è il banco di prova della Seconda guerra mondiale, che era già nell’aria. Gli eccidi di massa sono molti. Gli attacchi aerei (tedeschi) sulle popolazioni, feroci (Guernica; FOTOgraphia, marzo 2007). I franchisti usano anche il gas e allestiscono fosse comuni in gran numero. L’Unione Sovietica e il Partito Comunista Italiano si erano posti dalla parte dei repubblicani, ma nei fatti -insieme alla politica prezzolata e attendista di Stati Uniti, Inghilterra e Franciasi renderanno responsabili della sconfitta della rivoluzione e delle stragi commesse dai falangisti contro civili e prigionieri. Gli assassinii di Camillo Berneri, Francesco Barbieri e Andreas Nin (anche di Buenaventura Durruti, forse) sono i crimini eccellenti dello stalinismo e della politica servile e sanguinaria del Pci nei fatti di Spagna (approfondimento in Libertad! Rivoluzione controrivoluzione in Catalogna, di Carlos Maura Semprun; Elehutera, 1996). Ogni autoritarismo ripugna l’anarchia, diceva il lodigiano Camillo Berneri, perché l’anarchia non è un sogno, è una società del desiderio che attraverso la nascita dei consigli operai si darà la forma di quell’autogoverno che nei tempi a venire si sostituirà alle diverse forme di governo che si sono succedute dal mondo antico sino ai nostri tempi (ancora approfondimento: Camillo Berneri singolare/ plurale, Atti della giornata di studi, Reggio Emilia, 28 maggio 2005; Biblioteca Panizzi, Archivio Famiglia Berneri - Aurelio Chessa, 2007). L’anarchismo è un’utopia in cammino, un’idea
d’amore e fraternità tra gli uomini, sempre alla ricerca di una rotta migliore verso quella terra senza santi, né martiri e né eroi, chiamata libertà. Robert Capa e Gerda Taro giungono in Spagna nell’agosto 1936. Vogliono documentare la “rivoluzione della gioia” e la prima guerra raccontata su larga scala dai media. I loro reportage sono pubblicati dalle riviste Regards e Vu e da altri organi di stampa; presto le loro fotografie sulla guerra civile sono raccolte (insieme a quelle di David “Chim” Seymour) in un libro che è un vero e proprio un atto di accusa contro le democrazie occidentali: The Spanish People Fight for Liberty (1937). Senza mezzi termini e sotto ogni aspetto, non solo figurativo, Robert Capa, Gerda Taro e David “Chim” Seymour [Sguardo su, in FOTOgraphia dell’ottobre 2006] consideravano il proprio lavoro un aperto contributo alla lotta di resistenza spagnola. Appena è apparso l’uomo, subito sono apparsi i massacri e i campi di sterminio. Ma ovunque un uomo ha levato il pugno contro un altro uomo, lì sono insorti anche i poeti maledetti della libertà. [Un doveroso rimando a Robert Capa, Gerda Taro e David “Chim” Seymour alla Guerra civile spagnola riguarda il recente ritrovamento di una serie di negativi perduti, ufficialmente attribuiti al solo Robert Capa, ma comprensivi di scatti di Gerda Taro e David “Chim” Seymour, avventurosamente approdata all’International Center of Photography di New York. Riprendendo e commentando l’approfondimento pubblicato sul New York Times di domenica ventisette gennaio, ne abbiamo ampiamente riferito in FOTOgraphia dello scorso marzo].
SULLA FOTOGRAFIA DI RESISTENZA DI GERDA TARO La fotografia in azione di Gerda Taro è anche e soprattutto una fotografia di resistenza. A differenza di Robert Capa, che ha un rapporto empatico, coinvolgen-
te o più semplicemente diretto con ciò che fotografa, la piccola ragazza ebrea, educata nei buoni collegi, aperta a tutte le esperienze in amore, elabora una visione fotografica discreta, mai invadente, sempre un po’ defilata o leggera su quanto accade davanti alla sua macchina fotografica (alternativamente Rolleiflex e Leica). I suoi ritratti sono sorretti da una certa serenità descrittiva, e specie nei bambini si nota molto la tenerezza e la dolcezza che coglie sui loro volti, i loro corpi, i sorrisi felici di una rivoluzione sociale destinata ad essere sconfitta. A leggere con attenzione le sue fotografie sui giovani rivoluzionari, sui figli della resistenza e sui loro padri non è difficile riconoscere un gioco di specchi, un intreccio di sguardi, una centralità della presenza che vede nella bellezza e nell’utopia condivisa la difesa della coscienza storica di un intero popolo, pagata con centinaia di migliaia di morti. Gerda Taro lavora nelle retrovie della guerra civile, fissa sulla pellicola i contadini che trebbiano, i giovani repubblicani che ballano, i bambini che giocano alla guerra (finta) sulle barricate (vere); le sue immagini sono attraversate da una malinconia amorosa, che trasforma l’ordinarietà del quotidiano in qualcosa di straordinario. Il vecchio contadino sul mulo e il pugno alzato (1936), la gente davanti all’ospedale di Valencia, dopo i bombardamenti della notte (1937) o il bambino che mangia la minestra con in testa il cappello degli anarchici, una delle immagini che Gerda Taro ha realizzato per documentare l’assistenza degli orfani di Madrid (1937), sono grandi fotografie e riescono a esprimere non solo il dolore, ma anche la bellezza perduta di un’epoca. A volte, la scrittura fotografica di Gerda Taro sorprende per la dinamica dei sentimenti, la passionalità del gesto, il disvelamento del momento struccato, ritagliato sulle spoglie della storia. Ci sono immagini emozionali (a lei
attribuite), come quelle dei dinamiteros (uomini che con la fionda lanciano dinamite contro i falangisti, in un quartiere operaio di Madrid), che nella propria sgangherata realizzazione sembrano uscire dalla lezione estetica, epica o rivoluzionaria, di Sergej M. Ejzenstejn di Sciopero e La corazzata Potëmkin. Lo sguardo obliquo di Gerda Taro legittima il recupero della creatività, della cultura, dell’arte; i suoi ritrattati si fondono alla coscienza sociale delle condizioni esistenti e si possono leggere come trasformazione dell’esistente. Ereditano le possibilità estreme di un possibile cambiamento e del superamento del naufragio della società dell’apparenza. Però, la sua scrittura visuale più compiuta è la ritrattistica che riguarda gli operai ripresi nelle fabbriche di munizioni, i volti degli uomini e donne della resistenza (spesso inquadrati dal basso), l’istruzione popolare (adulti seduti nei banchi di scuola dei bambini, che ascoltano i loro insegnanti) o la “vita nella Sierra”. Qui il significato delle immagini lascia trasparire qualcosa di estraniante, un ritorno dell’uomo all’eguale, all’autentico, all’immaginale di una realtà altra, un riflesso di cerchi nell’acqua che annunciano utopie pericolose e per questo invise a tutti i poteri, di una comunità che viene. La bellezza in amore tra gli umiliati e gli offesi è il solo vizio che rende liberi in un deserto di sogni. Nel luglio del 1937, Regards pubblica il reportage di Gerda Taro sulla battaglia di Brunete (che qualcuno ha definito “sensazionale”, ed è vero) . Però, le truppe di Franco avanzano, riconquistano Brunete. Le Brigate Internazionali si ritirano nel caos. Gli aerei tedeschi bombardano le colonne in fuga. Gerda Taro continua a scattare fotografie. La domenica del venticinque luglio, lei e un amico (Ted Allan) partono in macchina verso Villanueva de la Cañada. Nella confusione delle bombe e tra il fuoco delle mitragliatrici, un carro armato urta la loro automobile,
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che si rovescia: Gerda Taro finisce sotto i cingoli. Entrambi sono ricoverati nell’ospedale inglese della Trentacinquesima divisione (nell’Escorial), Ted Allan si salva, le condizioni di Gerda Taro sono molto gravi: muore all’alba del 26 luglio 1937, ha solo ventisette anni. Il suo corpo viene sepolto nel cimitero Père Lachaise, primo dei cimiteri civili di Parigi, il più grande e uno dei più celebri al mondo. Lo scultore Alberto Giacometti si occupa del cippo (o monumento) tombale, Pablo Neruda e Louis Aragon dell’elogio funebre [a Pablo Neruda toccherà anche quello di Tina Modotti; FOTOgraphia, giugno 2008]. Enfatizzando un po’ i suoi ricordi, Léon Moussinac ritorna a quei giorni, durante i quali ha conosciuto in Spagna l’allodola di Brunete. Mentre lui e Gerda Taro erano circondati dai corpi fatti a pezzi dei repubblicani, prima di separarsi e riprendere la strada per Madrid, si misero a cantare l’Internazionale: «Gerda Taro stava davanti a me [...]; il suo bel profilo si stagliava davanti al campo di grano. Teneva
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il piccolo pugno alzato verso il cielo. Cantava con tutta se stessa. Molti di questi soldati un po’ rozzi che ci stavano intorno avevano gli occhi bagnati di lacrime». Altri dicono che quando sopraggiunse il silenzio, si alzò un’allodola dal campo di grano e cominciò a cantare. Noi, che siamo stati allevati nella pubblica via, e quindi sappiamo che il pane non si taglia ma si spezza, preferiamo ricordarla con le parole di un poeta libertario, Luis Pérez Infante: «Se è vero che sei morta, compagna, / è vero che continui a vivere / eterna gioventù tra di noi. / Come la rosa / che vista una mattina di maggio un giorno, / se poi la scorgiamo / molto lontano dal roseto, calpestata / perdura nel ricordo floridissima / così per noi sei, Gerda» (in Gerda Taro - Una fotografa rivoluzionaria nella Guerra civile spagnola, di Irme Schaber; DeriveApprodi, 2007). Nel 1938, Robert Capa raccoglie molte delle fotografie scattate fianco a fianco alla sua compagna e pubblica in sua memoria, Death in the Making. Il volume, che non è strepitoso, è
un atto d’amore a Gerda Taro. Anche se Ernest Hemingway considerava e definiva Gerda Taro una “puttana” (per i tradimenti “aperti” che faceva subire al suo amico Robert Capa) e Pablo Neruda la definiva una donna che commetteva molte “stupidaggini”, i suoi reportage emettono una fascinazione per la rivolta dei giusti e deprecano ogni forma di violenza (Brunete e Immagini di una vittoria, pubblicato su Regards, e le fotografie sui bombardamenti di Madrid). C’è una sorta di ricerca del desiderio di vivere nelle sue immagini e il rifiuto degli uomini che hanno fondato la loro società in una sorta di apologia dell’assassinio. Se il patriottismo è l’ultimo rifiuto delle carogne, la rivoluzione sociale è il princìpio per tutti gli uomini di buona volontà e grande fantasia, che vogliono raggiungere la libertà come base, l’uguaglianza come mezzo e la fraternità come ponte verso una reale democrazia diretta. La fotografia di resistenza di Gerda Taro esprime un universo immaginale che incrina i seminamenti dell’informativo e del ridondante e si fa portatore del gesto, del segno, del corpo come strappo o “figurazione”, che mette in rapporto uomo e società. Nelle immagini di Gerda Taro c’è il futuro che avanza e la critica radicale della cultura, della politica, delle fedi monoteiste che contengono: si presentano come tracce intime di un pensiero del sentire e del volere. La sua fotodocumentazione è attenta al dettaglio, all’accadere minimo, all’epifania del segno come attimi scippati alla quotidianità. Il compito di una fotografia di resistenza implica la necessità e fantasia di cambiare il mondo. È una filosofia della visione trasversale tesa a rendere giustizia là dove i diritti umani sono calpestati; e in questo senso l’intera opera di Gerda Taro (poco studiata, quando non conosciuta) travalica i generi e le categorie fotografiche e pone come questione primaria, etica ed estetica, il
problema radicale della libertà. La filosofia della fotografia di resistenza è necessaria per portare alla coscienza (individuale e collettiva) la radicalità della pratica fotografica e resta una forma di liberazione non solo del linguaggio fotografico, ma anche della possibilità di disvelare e riorientare il disagio della civiltà dello spettacolo in amore tra gli uomini e donne che non chiedono solo il pane, ma anche le rose e la costruzione di una società tra liberi e uguali. Pino Bertelli (31 volte maggio 2008) Per una curiosa serie di circostanze, che confermano l’opinione secondo la quale le coincidenze sarebbero gli unici accadimenti che fanno sospettare che la vita possa avere anche senso, ignorata per decenni, la personalità di Gerda Taro è stata al centro di recenti iniziative fotografiche. Dallo scorso ventisei settembre, fino al sei gennaio di quest’anno, l’International Center of Photography di New York ha avuto in cartellone una consistente retrospettiva sulla sua fotografia, semplicemente intitolata Gerda Taro, alla cui esposizione temporale sopravvive l’ottimo catalogo omonimo; edizione europea di Steidl: novantotto illustrazioni; 176 pagine 21,5x38cm, cartonato; 30,00 euro. Ancora, ricordiamo le edizioni italiane di due saggi (biografie), pubblicati alla fine dello scorso anno (che vorremmo presentare quanto prima, ma continuiamo a rimandare in avanti): ❯ L’ombra di una fotografa Gerda Taro e la sua guerra di Spagna, di François Maspero, traduzione di Stefania Santalucia; Rosellina Archinto Editore, 2007 (via Santa Valeria 3, 20123 Milano; 02-86460237; www.archinto.it); 136 pagine; 17,00 euro; ❯ Gerda Taro - Una fotografa rivoluzionaria nella Guerra civile spagnola, di Irme Schaber, traduzione di Elena Doria; DeriveApprodi, 2007 (piazza Regina Margherita 27, 00198 Roma; 06-85358977; www.deriveapprodi.org); 264 pagine: 18,00 euro.