FOTOgraphia 145 ottobre 2008

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Mensile, 5,70 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano

ANNO XV - NUMERO 145 - OTTOBRE 2008

α900

SONY C’È!

Dolce vita IL PAPARAZZO VA A CORTE

ULIANO LUCAS


Per antichi e grotteschi pregiudizi, [...] la fotografia varrebbe migliaia di parole [...]; invece, e al contrario, la fotografia del reale [...] esprime tutte le proprie potenzialità se, quando e per quanto è introdotta e definita da parole di identificazione: non fosse altro che da semplici certificazioni di luogo e tempo. Maurizio Rebuzzini su questo numero, a pagina 50

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MAURIZIO REBUZZINI

PAPARAZZI! A contorno della mostra Pigozzi and the Paparazzi, della quale riferiamo da pagina 34, rileviamo che la figura dell’invadente e intrigante fotografo di cronaca rosa non è più declinata in senso negativo, e la stessa identificazione di “paparazzo” è stata elevata di rango. Tanto che, con legittimità, titoliamo addirittura Il paparazzo va a corte: certificazione ufficiale di uno status raggiunto. Questa di Berlino, in cartellone alla prestigiosa Helmut Newton Foundation, è conteggiata come punto di partenza di un nuovo modo di intendere il paparazzo, la cui figura professionale era però già stata valutata e nobilitata da precedenti selezioni, in testa a tutte quelle allestite da Italo Zannier: curatore con Paolo Costantini (immaturamente mancato nel 1997), Silvio Fuso e Sandro Mescola dell’apprezzata mostra Paparazzi (Fotografie 1953-1964), esposta a Palazzo Fortuny, di Venezia, nell’autunno 1988 (catalogo Alinari), oltre che responsabile della pubblicazione Fotologia, il cui numero sette, del maggio 1987, fu monografico sullo stesso tema della stagione dei paparazzi. Quindi, registriamo che dal prossimo trentuno ottobre al successivo sei dicembre, nella chiesa sconsacrata di Santa Maria del Carmelo, di Piacenza, nuovo spazio espositivo di arte contemporanea, viene esposta la collettiva Paparazzi (appunto!): raccolta di cinque autori italiani, Tazio Secchiaroli, Marcello Geppetti, Elio Sorci, Lino Nanni e Pierluigi Praturlon, abbinati allo statunitense Ron Galella (insieme a Tazio Secchiaroli presente anche nella citata Pigozzi and the Paparazzi, della quale relazioniamo da pagina 34); con catalogo edito da Photology, di Milano. A seguire, richiamiamo l’attenzione sul ristorante e bar Paparazzi, del Radisson SAS Hotel, di Colonia, in Germania: curiosamente prossimo all’ingresso Est della Koelnmesse, che ogni due anni ospita la Photokina (edizione 2008, dal ventitré al ventotto settembre scorsi).

C’è anche stato un tempo nel quale...

Copertina Dalla avvincente monografia ’68. Un anno di confine, una fotografia del curatore Uliano Lucas, che ha raccolto un consistente casellario di quei tormentati anni italiani: Assalto all’Università Statale occupata; Milano 24 novembre 1971. Di questa straordinaria raccolta fotografica pubblicata da Rizzoli, che racconta con il coinvolgente ritmo stabilito dal suo curatore, riferiamo da pagina 49

3 Fumetto Dalla copertina dell’edizione originaria di La solitudine del satiro, di Ennio Flaiano (1973), nel cui racconto di Fogli di via Veneto si ricava l’etimologia del nome del fotografo che nel cinematografico La dolce vita, di Federico Fellini (1960), è compagno indivisibile del protagonista: Paparazzo, dal quale è nato uno dei più celebri neologismi della nostra epoca. Sulla socialità del “paparazzo” annotiamo da pagina 34

7 Editoriale

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A margine e completamento della presentazione tecnica della nuova reflex Sony α900, da pagina 56, ribadiamo come e quanto la presenza di un terzo polo commerciale sia benefico per l’intero mercato della fotografia: Sony c’è! Ma, soprattutto, è bene che ci sia, con tutto l’indotto che questa efficace presenza può offrire

8 GBG alla carriera Insignito del prestigioso Lucie Award alla carriera (Lifetime Achievement ), Gianni Berengo Gardin è in buona compagnia; a ritroso: Henri Cartier-Bresson (nel 2003), Gordon Parks (2004), William Klein (2005), Willy Ronis (2006) e Elliott Erwitt (2007). Esclamativo

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10 Notizie Attrezzature, vicende e altre segnalazioni

12 C’era una volta 13

Video sulla Storia della fotografia dal 1839 ad oggi, a cura di Maurizio Rebuzzini, prodotto dal Museo Nazionale Alinari della Fotografia (MNAF), che lo propone all’interno della propria esposizione permanente: a Firenze, nella sede di piazza Santa Maria Novella 14a

17 No, non ci sto! Ingresso del ristorante Paparazzi, al Radisson SAS Hotel, di Colonia, in Germania.

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Nel momento in cui registriamo la mostra Immaginario Nucleare, di Armin Linke, ribadiamo anche la nostra ferma opposizione a ogni ipotesi di energia nucleare


OTTOBRE 2008

R , RIFLESSIONI IFLESSIONI, OSSERVAZIONI E COMMENTI OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA SULLA FOTOGRAFIA

20 Reportage

Anno XV - numero 145 - 5,70 euro

Appunti e attualità del fotogiornalismo internazionale A cura di Lello Piazza

DIRETTORE

RESPONSABILE

Maurizio Rebuzzini

IMPAGINAZIONE

24 Un cameo, dietro l’altro

Gianluca Gigante

REDAZIONE

Due richiami fotografici del cinema: il fotografo fiorentino Maurizio Berlincioni, fotografo in La famiglia, di Ettore Scola (1987), e Greg Gorman, fotografo (se stesso?) in Tootsie, di Sidney Pollack (1982) Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

Angelo Galantini

FOTOGRAFIE Rouge

SEGRETERIA Maddalena Fasoli

28 Definiamolo giornalismo Mal presentata dai giornalisti italiani, l’edizione speciale Time 100 è una straordinaria lezione, dalla quale imparare molto sullo stesso esercizio del giornalismo

HANNO

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32 Prospettive future Il divenire del mercato della fotografia professionale alla luce di considerazioni espresse da Getty Images

Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604, fax 02-66981643; graphia@tin.it.

34 Il paparazzo va a corte Tra le pieghe della mostra Pigozzi and the Paparazzi, a Berlino fino al sedici novembre, intravediamo una nuova considerazione positiva della cronaca rosa di Maurizio Rebuzzini

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42 Solo e tanta mediocrità

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49 C’è un Sessantotto che... A cura di Uliano Lucas, ’68. Un anno di confine è una raccolta fotografica che non si limita all’apparenza di un momento storico del nostro paese, ma riconosce e racconta la Vita. E di questo siamo grati al curatore di Maurizio Rebuzzini

56 Sony c’è!

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Il reportage American Swings, di Naomi Harris, rivela una inquietante e umiliante povertà esistenziale di Angelo Galantini

La novità tecnica α900, con sensore full frame, sollecita riflessioni sulla personalità commerciale Sony di Antonio Bordoni

COLLABORATO

Pino Bertelli Antonio Bordoni Loredana Patti Lello Piazza Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini

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● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti. Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano

Rivista associata a TIPA

62 Al ladro! Al ladro! Al solito: fotografie rubate. Una volta ancora, una di più

64 Elogio dell’imperfezione Sguardo sulla filosofia fotografica di Oliviero Toscani di Pino Bertelli

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www.tipa.com



GERARDO BONOMO

A

nticipata da indiscrezioni competenti, la reflex Sony α900 è stata ufficialmente presentata all’inizio di settembre. Così facendo, la sua cronaca giornalistica si è svincolata dall’ampio contenitore delle relazioni dalla Photokina, guadagnandosi spazi autonomi sui numeri di ottobre delle riviste di fotografia: la nostra passerella, da pagina 56. Allo stesso momento, nelle relazioni in Rete, verso le quali si indirizzano gli appassionati della tecnologia in diretta, la stessa Sony α900 è andata in fuga solitaria, come un bravo scalatore fa al Giro e al Tour, prima di essere inevitabilmente raggiunta dal gruppo delle tante novità esposte alla Photokina: a Colonia, in Germania, dalla mattina del ventitré settembre. Lasciamo l’approfondimento alla nostra relazione tecnica, appena ricordata, che prende atto dei suoi valori espliciti e impliciti, senza entrare in quei dettagli di impiego che competono ad altro giornalismo. Qui, a integrazione, soltanto una annotazione complementare, che si proietta sul mercato della fotografia, animato da tante proposte e definito da distribuzioni percentuali di vendita che quantificano le quote commerciali che spettano a ciascun marchio. Affermando che Sony c’è!, sottolineiamo che quello Sony α è un autentico e avvincente sistema reflex, capace di offrire al mercato una diversificata serie di configurazioni, progressivamente crescenti, via via proposte a utenti di diverso spirito e intendimento fotografico. Se qualcuno non se ne fosse già accorto, l’arrivo di questa reflex full frame top di gamma non ammette più incompetenza. Pertanto, nel mercato fotografico italiano Sony si offre e propone come terza autorevole proposizione tecnica, capace di dare vigore all’intero comparto reflex, al quale non fa certo bene essersi adagiato su un dualismo che sa troppo di monopolio. Non entriamo qui in giudizi di merito, né tecnico né altro, ma soltanto pensiamo a quei meccanismi che possono attirare l’attenzione del pubblico verso la fotografia reflex, dalla quale dipende il vigore stesso dell’intero commercio fotografico (gli stratosferici numeri di vendita di compatte riguardano tutti altri discorsi, per certi versi estranei alla fotografia: su questo stesso numero, ne riflettiamo tra le pieghe della Storia raccontata da Alinari, da pagina 12). Ho chiaro in testa ciò che sto pensando, da tempo. Ho chiara la convinzione che “Sony” è per se stessa una evocazione di alto profilo, che certo non richiede troppi sforzi ai fotonegozianti, che hanno vita facile nel proporre le sue reflex ai propri clienti. Ma non è soltanto questo che conta. Assieme alle proprie consistenze tecniche, Sony si sta muovendo con autorevolezza nel mondo della Fotografia, agendo oltre la sola proposizione commerciale. Ricordiamo lo spessore del fantastico Sony World Photography Award, che dopo la sua prima edizione di esordio (FOTOgraphia, giugno 2008) sta per riproporsi. E siamo certi che alto tanto verrà promosso. Non soltanto Sony c’è: è bene che Sony ci sia! Maurizio Rebuzzini

Con la Sony α900 al collo, nei momenti di presentazione alla stampa internazionale. In combinazione, ci mancherebbe altro, una compatta Sony Cyber-shot W170.

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A

PERUGIA, 1972

Alla propria sesta edizione, gli influenti Lucie Awards celebrano la carriera di Gianni Berengo Gardin, fotografo italiano del quale è superfluo sottolineare i meriti: li conosciamo bene tutti (tutti i meriti e tutti noi). Il premio viene consegnato il venti ottobre, in una serata di gala -di gran gala, se hanno senso le fotografie che documentano le cerimonie delle scorse edizioni-, all’Avery Fisher Hall del prestigioso Lincoln Center di New York (e per la formalità di questa serata, siamo solidali e vicini a Gianni Berengo Gardin, per propria natura schivo ed estraneo a qualsivoglia forma di mondanità: ma, tanto è... gli tocca). Subito precisiamo che da sei stagioni, in ogni tornata annuale, i Lucie Awards vengono assegnati a un consistente numero di fotografi professionisti (l’elenco dei premi 2008 è riportato nel riquadro pubblicato in questa pagina, e quello dei premiati nelle cinque precedenti edizioni

MILANO, 1998 (FOTOGRAFIA DI MAURIZIO REBUZZINI)

GBG ALLA CARRIERA

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sulla pagina accanto), individuati da una giuria della quale, accidenti, non si conosce la composizione, per quanto se ne deduca l’autorevolezza. Non sono premi a partecipazione, come lo sono molti altri della fotografia, ai quali i singoli autori inviano le proprie immagini, ma riconoscimenti assegnati in base a meriti conquistati sul campo, nel corso del professionismo quotidiano. Fino alla certificazione di una specchiata carriera. Tanti i premi, lo abbiamo appena annotato, ma quello riconosciuto e assegnato a Gianni Berengo Gardin è diverso, perché di valore superiore, siamo sinceri: è il premio alla carriera (Lifetime Achievement), che abbraccia tutta la sua lunga parabola espressiva. Tanto per quantificare, nelle edizioni precedenti, lo stesso Lifetime Achievement è andato, cronologicamente, a Henri Cartier-Bresson (2003), Gordon Parks (2004), William Klein (2005), Willy Ronis (2006) e Elliott Erwitt (2007, in stretto anticipo temporale sul LuccaDigital Photo Award 2007, ricevuto il successivo Primo dicembre; FOTOgraphia, novembre 2007). E questi nomi, queste personalità che hanno

6TH ANNUAL LUCIE AWARDS

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ianni Berengo Gardin: Lifetime Achievement, premio alla carriera, di maggiore spicco tra quanti vengono consegnati nella solenne cerimonia all’Avery Fisher Hall, del Lincoln Center, di New York, la sera del venti ottobre. Gli altri fotografi premiati sono: Patrick Demarchelier Achievement in Fashion; John Iacono Achievement in Sports; Josef Koudelka Achievement in Documentary; Herman Leonard Achievement in Portraiture; Susan Meiselas Achievement in Photojournalism; Richard Misrach Achievement in Fine Art; Erwin Olaf Achievement in Advertising. Quindi, si registrano anche un Humanitarian Award a Sara Terry, di The Aftermath Project, e uno Spotlight Award a Visa pour l’Image.


per la mostra Les Choix d’Henri Cartier-Bresson [al contempo, ricordiamo che gli altri tre italiani presenti nella stessa rassegna furono Mario Giacomelli (1925-2000), con una delle fotografie della serie di Scanno, del 1957-1959, Ferdinando Scianna, con Tre Castagni, Sicilia, del 1963, e Francesco Zizola, con una immagine dei rifugiati nel Campo di Gondma, Bo, Sierra Leone, del 1995 (FOTOgraphia, maggio 2003)]. In chiusura, sul Lucie Award / Lifetime Achievement assegnato a Gianni Berengo Gardin ci permettiamo di dire la nostra, facendo peraltro nostra una osservazione con la quale Adriano Celentano (sic!) ha accompagnato il premio alla carriera al regista Ermanno Olmi, alla recente Mostra del Cinema di Venezia. Siccome i premi alla carriera si assegnano a fine carriera, appunto, certificano la conclusione di un percorso espressivo. Però, e al contrario, noi vorremmo che Gianni Berengo Gardin continuasse a fotografare (e continua a fotografare, sia inteso); dunque, speriamo che non gli consegnino questo premio: così da lasciare aperto, ancora aperto, un luminoso cammino espressivo. È un paradosso, è una provocazione, ma anche un attestato di stima. La nostra di sempre. M.R.

LUCIE AWARDS 2003-2007

O

phers, ovverosia tra i trentadue fotografi contemporanei più grandi e significativi al mondo. Nel 1975, Cecil Beaton lo ha menzionato e ricordato nella sua attenta storia della fotografia The Magic Image: The Genius of Photography from 1839 to the Present Day (preziosa edizione Weidenfeld and Nicolson, che oggi si può trovare presso librerie specializzate a circa cinquanta euro). Ancora, nello stesso 1975, Bill Brandt lo inserì nella straordinaria selezione di fotografie di paesaggio del Ventesimo secolo, appunto Twentieth Century Landscape Photographs, allestita in mostra al Victoria and Albert Museum, di Londra. Non è finita. Gianni Berengo Gardin è l’unico fotografo menzionato da Ernst Hans Gombrich nel saggio The Image and the Eye: Further Studies in the Psychology of Pictorial Representation (edizione più recente: Phaidon Press, 1994 - edizione italiana fuori catalogo L’immagine e l’occhio. Altri studi sulla psicologia della rappresentazione pittorica; Einaudi, 1985). Quindi, Italo Zannier lo ha definito il “fotografo più eminente del dopoguerra” e, con il Vaporetto a Venezia, del 1960, Gianni Berengo Gardin è stato uno degli ottanta autori che Henri Cartier-Bresson selezionò

MILANO, 1984 (FOTOGRAFIA DI GABRIELE BASILICO)

ltre i precedenti cinque premi alla carriera, citati nel corpo centrale dell’attuale intervento redazionale, e qui ripresi (2003, Henri Cartier-Bresson; 2004, Gordon Parks; 2005, William Klein; 2006, Willy Ronis; 2007, Elliott Erwitt), nel corso delle proprie edizioni annuali, le diverse categorie dei Lucie Awards hanno segnalato una consistente quantità e qualità di fotografi (soprattutto statunitensi, va rilevato). In stretto ordine alfabetico, ricordiamo: Eddie Adams, Tony Armstrong-Jones (Lord Snowdon), Richard Avedon, David Bailey, Lillian Bassman, Harry Benson, Jocelyne Benzakin, Ruth Bernhard, Phil Borges, Cornell Capa, Larry Clark, William Claxton, Lucien Clergue, Bruce Davidson, Robert Evans, Ralph Gibson, Philip Jones Griffiths, Hiro, Eikoh Hosoe, Walter Iooss, Kenro Izu, Douglas Kirkland, Heinz Kluetmeier, Antonin Kratochvil, Annie Leibovitz, Neil Leifer, Arthur Leipzig, Peter Lindbergh, Jay Maisel, Mary Ellen Mark, Jim Marshall, Roger Mayne, Steve McCurry, Duane Michals, Sarah Moon, James Nachtwey, Arnold Newman, Helmut Newton, Sylvia Plachy, Marc Riboud, Eugene Richards, Herb Ritts, RJ Muna, Sebastião Salgado, Francesco Scavullo, Julius Shulman, Robert Sobieszek, Melvin Sokolsky, Bert Stern, Phil Stern, Tim Street-Porter, Ozzie Sweet, Gene Trindl, Deborah Turbeville, Albert Watson, Bob Willoughby e Howard Zieff.

VENEZIA, 1950

influito sull’espressione fotografica del Novecento, la dicono lunga sul valore del Lucie Award / Lifetime Achievement, che possiamo tranquillamente conteggiare come il più prestigioso e autorevole riconoscimento alla carriera: onore e merito al bravo Gianni Berengo Gardin. Nella biografia che lo presenta, sul sito dei Lucie Awards (www.lucieawards.com) sono tratteggiati i termini di uno straordinario cammino. Qui e ora, non è il caso di riprendere termini e connotati che dovrebbero essere ampiamente noti a tutti noi, confortati da una complicità geografica e dalla grande attenzione che la stampa fotografica italiana ha sempre riservato a Gianni Berengo Gardin. Soltanto, è doveroso richiamare quei meriti che il Lucie Award / Lifetime Achievement non ha dimenticato; anzi, addirittura sottolineato, a coronamento di un percorso fotografico appunto certificato dal premio alla carriera. Oltre quanto tanto sappiamo di Gianni Berengo Gardin, è bene non sottovalutare, né dimenticare, che nel 1972 il qualificato mensile Modern Photography lo conteggiò tra i trentadue World’s Top Photogra-

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NOCTILUX/2: IL RITORNO. Pensionata la versione NoctiluxM 50mm f/1, con una operazione celebrativa per gli ultimi cento pezzi in confezione dedicata (FOTOgraphia, luglio 2008), lo standard luminoso per Leica M si ripresenta in una nuova interpretazione ottica Noctilux-M 50mm f/0,95 Asph: ancora più luminoso e in combinazione asferica! Superata la soglia della luminosità relativa 1:1 (come già fece l’antico Canon 50mm f/0,95, che dal 1961 accompagnò la Canon 7 a telemetro), il Leica Noctilux-M 50mm f/0,95 Asph offre un esclusivo spettro di prestazioni ottiche di alto profilo. Senza alterare le dimensioni, è confermata la particolare resa del precedente 50mm f/1, apprezzata da parecchi utenti come versatile mediazione per la fotografia creativa. Una volta diaframmato, a stop inferiori alla luminosità relativa, l’obiettivo ha una resa comparabile a quella del Summilux-M 50mm f/1,4 Asph, presentato nel 2004. Anche i valori di vignettatura e distorsione sono stati migliorati, rispetto al modello precedente. Otto lenti disposte in un disegno a doppio Gauss simmetrico rispetto al diaframma assicurano elevate prestazioni di riproduzione dell’immagine; quindi, si registrano due superfici asferiche e cinque elementi in vetro a dispersione anomala parziale, tre dei quali sono caratterizzati da un indice di rifrazione elevato. La resa ottimale alle brevi distanze è garantita da un elemento flottante, nel quale l’ultimo gruppo ottico cambia la propria posizione relativa al resto del sistema durante la messa a fuoco. I campi di applicazione sono presto individuati: a tutta apertura, la profondità di campo estremamente ridotta consente ritratti di estetica incomparabile; in luce ambiente, supera perfino la luminosità garantita dall’occhio umano; in illuminazione normale, può essere usato come obiettivo universale. Il Leica Noctilux-M 50mm

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f/0,95 Asph sarà venduto dal prossimo febbraio 2009. (Polyphoto, via Cesare Pavese 1113, 20090 Opera Zerbo MI).

IMMANCABILMENTE, CYBERSHOT. Due nuove compatte Sony arricchiscono la proposta tecnica di consistente successo commerciale: sottili e potenti, ecco le configurazioni Cybershot T77 e Cyber-shot T700. Di soli quindici millimetri di spessore (13,99mm nel punto più sottile), la Sony Cyber-shot T77 ben interpreta l’attuale gradimento di mercato, che segnala quanto siano apprezzate (e vendute) le compatte colorate; quindi, livrea in cinque colori: nero, silver, rosa, verde e marrone. Tecnicamente, si annota la risoluzione di 10,1 Megapixel effettivi e la presenza di funzioni dedicate, a partire dall’ormai immancabile Smile Shutter, che vincola lo scatto al sorriso del soggetto, in subordine alla Face Detection; ancora, Intelligent Scene Recognition e nuova modalità Ritratto. Oltre l’Antiblink, che elimina definitivamente i fastidiosi occhi chiusi del soggetto, lo zoom ottico 4x Carl Zeiss Vario-Tessar è provvisto di stabilizzatore ottico SteadyShot, per riprese perfettamente nitide. Monitor LCD touch screen da tre pollici. La compatta Cyber-shot

T700 si offre e propone come album fotografico tascabile: memoria interna da 4GB, per archiviare fino a quarantamila immagini, allineata alla funzione dedicata Album avanzata, per ordinare e condividere fotografie. Ma, soprattutto, le immagini acquisite sono organizzate in directory facilmente consultabili, per reperire gli scatti in modo semplice. A seguire, si confermano la risoluzione di 10,1 Megapixel effettivi, la livrea in cinque colori (nero, silver, oro, rosa e rosso), le funzioni Smile Shutter, Face Detection e Anti-blink. Monitor widescreen LCD Xtra Fine touch screen da 3,5 pollici. Insieme al potente processore Bionz, l’elevata sensibilità fino a 3200 Iso equivalenti e la tecnologia Clear RAW NR, per la riduzione dei rumori, garantiscono risultati naturali nelle fotografie in tenue luce ambiente. L’equilibrio ideale tra luci abbaglianti e ombre profonde è la caratteristica principale della funzione DRO (Dynamic Range Optimiser), perfetta per le situazioni più difficili, come i ritratti in controluce. (Sony Italia, via Galileo Galilei 40, 20092 Cinisello Balsamo MI).

MENO RUMORE. Evidente evoluzione consequenziale dell’originaria GX100, TIPA Award di categoria (FOTOgraphia, maggio 2007), la nuova configurazione Ricoh Caplio GX200 interviene là dove la pratica quotidiana ha sottolineato esigenze e necessità. Confermate le doti caratteristiche, dall’ingombro di soli 25mm di spessore all’escursione zoom equi-

valente 24-72mm, al sensore da 12 Megapixel, è annunciata una sostanziale riduzione del rumore alle alte sensibilità e una maggiore rapidità nella memorizzazione di file grezzi RAW, che ora arriva altresì a cinque scatti consecutivi. Tutto questo è dovuto al processore di immagine Smooth Imaging Engine, approdato alla propria terza generazione. Nuovo è anche il monitor LCD, da 2,7 pollici con risoluzione di 460.000 pixel (contro i 230.000 pixel del modello precedente). Il monitor assicura anche un angolo di visione ancora più ampio, un contrasto elevato e una funzione di rotazione automatica, che versatilizza la visualizzazione delle immagini. Sono confermati l’agile mirino elettronico opzionale VF-1, che vale l’identificazione di reflex in miniatura (certificazione che abbiamo coniato in presentazione della GX100; FOTOgraphia, maggio 2007), gli automatismi di uso e le impostazioni memorizzabili: tra le quali, amiamo molto la combinazione tra ripresa in bianconero e inquadratura quadrata, peraltro rispettivamente riferibili anche alla ripresa bianconero in dimensioni standard e a quella quadrata a colori. Ulteriore innovazione, a noi particolarmente gradita e cara (considerato che scattiamo sempre con la griglia di riferimento, anche per controllare le prospettive verticali), è la funzione livello: il sensore di accelerazione funge da ausilio per il corretto posizionamento dell’apparecchio, così da semplificare il suo livellamento orizzontale. (Mamiya Trading, via Cesare Pavese 31, 20090 Opera Zerbo MI).



C’ERA UNA VOLTA

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Dallo scorso dieci settembre, al Museo Nazionale Alinari della Fotografia (MNAF), di Firenze (piazza Santa Maria Novella 14a), è attiva una nuova sala, aggiunta a quelle originarie delle esposizioni permanenti (FOTOgraphia, dicembre 2006). Da una serie di comode postazioni, con cuffie per audio multilingue (italiano e inglese, per ora), si assiste alla proiezione di un video che in poco più di trenta minuti racconta la storia della fotografia. Richiamo e pronta identificazione: C’era una volta... Storia della fotografia dal 1839 ad oggi. A cura di Maurizio Rebuzzini, direttore di FOTOgraphia (ed è tutto un altro discorso), qui in veste di curatore della sezione di storia degli apparecchi fotografici del MNAF, il video attraversa con affascinante disinvoltura i decenni (con la collaborazione di Ferruccio Malandrini; coordinamento redazionale di Maria Possenti). La sua efficacia, riconosciamolo sia per la corretta ufficialità sia in sincera amicizia -che non influisce sulle considerazioni-, è merito soprattutto della realizzazione di Orion Studio, di Firenze, e della regia di Stefano Lupi; ma anche dell’accompagnamento musicale di Giulio e Federica Clementi e della recitazione dell’attore Amerigo Fontani: indispensabile forma a confezione dei contenuti supposti. Dalle origini alla situazione contemporanea, sono visualizzate le tappe tecnologiche che hanno scandito l’evoluzione tecnica della fotografia, alla quale corrisponde la sistematica manifestazione e affermazione del collegato linguaggio espressivo: oppure, all’inverso, è esattamente vero il contrario, dal linguaggio alla tecnica. Così, giusto per non alimentare equivoci, senza soluzione di continuità si passa dai processi fotografici originari (dagherrotipo, calotipia, collodio umido) alla carte-de-visite inventata da André Adolphe Eugène Disdèri (a pagina 14), allo straordinario strappo tecnico ed espressivo innescato dalla Box Kodak, di

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C’era una volta... Storia della fotografia dal 1839 ad oggi. Video prodotto dal Museo Nazionale Alinari della Fotografia (MNAF), proiettato all’interno dell’esposizione permanente: piazza Santa Maria Novella 14a, Firenze. A cura di Maurizio Rebuzzini, con la collaborazione di Ferruccio Malandrini; coordinamento redazionale di Maria Possenti. Realizzazione Orion Studio; regia di Stefano Lupi; musiche composte ed eseguite da Giulio e Federica Clementi; attore Amerigo Fontani. Non è raccontata una storia completa della fotografia, peraltro ben sintetizzata dall’insieme delle esposizioni permanenti del MNAF. È percorsa la sostanza delle tappe, soprattutto tecniche, che hanno scandito il ritmo del tempo fotografico, dalle origini fino ai nostri giorni.

George Eastman («You Press the Button, We Do the Rest» / «Voi premete il bottone, noi facciamo il resto»; la nostra più recente evocazione in FOTOgraphia dello scorso novembre 2007), agli apparecchi portatili per pellicola 35mm (Leica e Contax) e rullo 120 (Rolleiflex), alle interpretazioni per visione tridimensionale (stereo, ma non soltanto), alla fotografia a sviluppo immediato, al declino dell’industria europea dagli anni Sessanta, all’avanzata degli apparecchi fotografici giapponesi, per approdare all’acquisizione digitale di

Tra le sale del MNAF - Museo Nazionale Alinari della Fotografia, l’attore Amerigo Fontani collega i passaggi della storia raccontata con testi di Maurizio Rebuzzini.

immagini. Il tutto, senza ignorare momenti paralleli, affascinanti e brillanti: Megaletoscopio di Carlo Ponti (1861 e dintorni); l’analisi fotografica del movimento, di Eadweard Muybridge e Étienne-Jules Marey (dal 1872), e poi anche quella di Harold Eugene Edgerton, docente del Massachusetts Institute of Technology (MIT), dagli anni Trenta del Novecento; la fotografia dal pallone aerostatico, di Nadar (Gaspard-Félix Tournachon; 1858); l’Olympia Sonnar 180mm f/2,8, che la tedesca Zeiss realizzò per la fotografa delle Olimpiadi di Berlino Leni Riefenstahl. E tanto altro, ancora.

CHE STORIA È? In e con i trenta minuti abbondanti di C’era una volta... Storia della fotografia dal 1839 ad oggi, Maurizio Rebuzzini non racconta certo una storia completa della fotografia, peraltro ben sintetizzata dall’insieme delle esposizioni permanenti del MNAF - Museo Nazionale Alinari della Fotografia. Come appena annotato, percorre la sostanza delle tappe, soprattutto tecniche, ma non soltanto tecniche, che hanno scandito il ritmo del tempo fotografico, dalle origini fino ai nostri giorni. Chi ha competenza in materia, potrebbe considerare arditi alcuni passaggi temporali e semplificate alcune definizioni e spiegazioni. Questo perché il video si rivolge a un pubblico neofita, al quale viene offerta una chiave di lettura attenta e ragionata dell’evoluzione della fotografia, senza basarsi su preformazioni e termini gergali. Ricordiamolo insieme, la fotografia nasce ufficialmente nel 1839, a Parigi, come dagherrotipia, dal nome del suo inventore: Louis Jacques Mandé Daguerre (pagina accanto, a sinistra, in alto). La presenta l’accademico Dominique François Jean Arago. I dagherrotipi sono immagini su sottili e delicate lastre d’argento. Però, attenzione, la fotografia ha radici lontane: è figlia di osservazioni sull’azione della luce e sulla


(dall’alto, sequenza di quattro momenti della nascita della fotografia) La fotografia nasce ufficialmente nel 1839, a Parigi, come dagherrotipia, dal nome del suo inventore: Louis Jacques Mandé Daguerre. I dagherrotipi sono immagini su sottili e delicate lastre d’argento. Dalla finestra del proprio studio di Gras, con la camera obscura Joseph Nicéphore Niépce espone una lastra di peltro spalmata di bitume di Giudea. Nel 1826 (o 1827), dopo una posa di otto ore, ottiene un’immagine ben visibile. Si tratta della fotografia più antica mai ritrovata, conservata e considerata come progenitrice! Nel 1838, Louis Jacques Mandé Daguerre fotografa il Boulevard du Temple, e realizza la prima immagine con figura umana: un gentiluomo fermo dal lustrascarpe (mentre i passanti, che camminano rapidi, non sono stati “registrati” dal tempo di posa prolungato). Successivamente definito calotipo, il processo di William Henry Fox Talbot è alla base dell’autentica idea di fotografia come noi ancora la intendiamo: negativo-matrice per copie positive potenzialmente infinite (oggi, file digitale).

formazione di immagini. Nell’antichità, fu osservato che i raggi del sole che passano per una piccola apertura producono un’immagine. Da qui, l’applicazione di questo piccolo foro, definito stenopeico, a camere obscure usate come ausilio del disegno. Dotata di obiettivo, al posto del foro stenopeico originario, la camera obscura portatile diventò lo strumento di molti pittori, per il disegno dal vero. Due nomi, sopra tutti: Bernardo Bellotto e Giovanni Antonio Canal, detto Canaletto. Consolidato l’uso della camera obscura per la riproduzione a ricalco della natura, dal Settecento anche la chimica fa progressi. Il sogno degli sperimentatori è la “natura che si fa di sé medesima pittrice”, straordinaria descrizione del processo che più prosaicamente oggi definiamo “fotografia”, e ormai soprattutto “imaging”. Dopo prove fallite da tanti, il francese Joseph Nicéphore Niépce, l’autentico pioniere della fotografia, si avvicina alla agognata soluzione. In copia a contatto, nel 1826, Niépce ottiene la riproduzione su lastra di peltro spalmata di bitume di Giudea di una stampa del cardinale di Reims Georges d’Amboise (qualcuno data al 1822). A seguire, dalla finestra del proprio studio di Gras, con la camera obscura, espone la stessa lastra di peltro spalmata di bitume di Giudea. Nel 1826 (o 1827), dopo una posa di otto ore, ottiene un’immagine ben visibile. Si tratta della fotografia più antica mai ritrovata, conservata e considerata come progenitrice! [Questa celebre eliografia Veduta dalla finestra di Gras, di Joseph Nicéphore Niépce, di 20,3x16,5cm, che si conteggia come la prima fotografia in assoluto della storia, ritrovata nel 1952 da Helmut Gernsheim, è stata donata alla University of Texas, di Austin, dove è ora conservata in una cornice 25,8x29cm]. In tre anni, il tempo di posa si dimezza. Nel 1829, Niépce fotografa una natura morta, utilizzando ancora il suo procedimento col bitume di Giudea: tempo di posa quattro ore. In simultanea, incontriamo Louis Jacques Mandé Daguerre, un pittore che stava facendo fortuna con il

Dopo aver fotografato la guerra di Crimea, Felice Beato si stabilisce in Giappone, dove allestisce uno studio fotografico di straordinario successo. (in alto) Nel 1843, gli inglesi David Octavius Hill e Robert Adamson, apprezzati ritrattisti, usano la versatilità della copia calotipica per combinare i volti di un quadro con 457 personaggi.

proprio Diorama: un grande spettacolo ad effetti, con giochi di luci e fondali mobili, che lui stesso dipingeva con l’ausilio della camera obscura. Entra in contatto con Niépce, con il quale si associa per sviluppare insieme le loro invenzioni. Alla morte di Niépce, dal 1833 Daguerre continua da solo. Con un procedimento originale, nel 1837 ottiene una perfetta natura morta su lastra di rame allo ioduro d’argento di 21,5x16,5cm. L’immagine ha i lati invertiti. Nel 1838, Daguerre fotografa il Boulevard du Temple, e realizza la prima immagine con figura umana: un gentiluomo fermo dal lustrascarpe (mentre i passanti, che camminano rapidi, non sono stati “registrati” dal tempo di posa prolungato [a sinistra]; e di questo parleremo in altra occasione, sottolineando come si tratti della prima complicità fotografica per ottenere un’immagine secondo intenzioni preventive: altro discorso).

SEMPRE ALLE ORIGINI All’indomani dell’annuncio della dagherrotipia, si fanno avanti altri ricercatori, che avevano ottenuto risultati analoghi a quelli di Daguerre. Fondamentale è l’esperienza e sintesi dell’inglese William Henry Fox Talbot (a sinistra), che già nel 1833

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Nel 1852, i fratelli Alinari (Leopoldo, Giuseppe e Romualdo) danno vita a uno stabilimento fotografico: il più antico tra quanti sono ancora in attività.

A Parigi, André Adolphe Eugène Disdèri inventa e brevetta un suo sistema per ritratti di piccole dimensioni: esplode la moda e mania della carte-de-visite.

Dotata di obiettivo estremamente luminoso f/2, la Ermanox (del 1925) consente a Erich Salomon di riprendere straordinarie fotografie in tenue luce ambiente (su questo numero, da pagina 34). Fantastica è la stagione della cronaca rosa italiana, che ha in Tazio Secchiaroli il proprio esponente di maggiore spicco (ancora su questo numero, da pagina 34).

Sinonimo di reflex 24x36mm è la Nikon F, che nasce nel 1959 e che nel 1966 è celebrata dal cinematografico Blow up di Michelangelo Antonioni ( FOTOgraphia, dicembre 2006).

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aveva esposto al sole una foglia a contatto con carta imbevuta in soluzione di sale da cucina e nitrato d’argento, ottenendo una immagine dai toni invertiti: macchia bianca su fondo nero (FOTOgraphia, maggio 2008). Nell’estate 1835, usando un apparecchio soprannominato “trappola per topi”, su carta al nitrato e cloruro d’argento, Fox Talbot ottiene l’immagine negativa di una finestra. Fox Talbot chiama “disegno fotogenico” questa immagine, che noi conteggiamo come prima negativa. Quindi, ottiene un’immagine positiva da una negativa, dando vita al concetto di stampa multipla. Successivamente definito calotipo, questo processo è alla base dell’autentica idea di fotografia come noi ancora la intendiamo: negativomatrice per copie positive potenzialmente infinite (oggi, file digitale). La fotografia diventa presto un’espressione visiva autonoma. Già nel 1843, gli inglesi David Octavius Hill e Robert Adamson, apprezzati ritrattisti, usano la versatilità della copia calotipica per combinare i volti di un quadro con quattrocentocinquantasette personaggi (a pagina 13). Quindi, nel 1844, William Henry Fox Talbot, l’inventore del processo calotipico, pubblica The Pencil of Nature, il primo libro illustrato con fotografie applicate (FOTOgraphia, luglio 2000 e marzo 2008). E poi, nel 1857, Oscar Gustave Rejlander realizza uno dei primi fotomontaggi, utilizzando trenta negativi per un’immagine di sapore classico: Two ways of life (Due modi di vivere).

A OGGI... Questo è il passo cadenzato del racconto di C’era una volta... Storia della fotografia dal 1839 ad oggi, che registra presto come i processi fotografici si siano evoluti rapidamente: l’effimero ambrotipo, il ferrotipo e soprattutto il collodio umido e il collodio secco accelerano il passo della fotografia. Discriminante è proprio il collodio, i cui negativi su lastra di vetro vengono stampati con l’ormai fondamentale carta all’albumina, creando raffinate copie fotografiche. La fotografia entra nella vita di ognuno, definendo quella personalità che la renderà l’autentico lin-

guaggio visivo del Novecento (e oltre). In tutto il mondo, la fotografia è interpretata da tanti autori: protagonisti di un nuovo modo di vedere e rappresentare la vita. Superiamo in un balzo tutte le tappe (dalla guerra di Crimea, del 1855, a Felice Beato [a pagina 13], alla guerra di Secessione, dove operano Mathew B. Brady, Alexander Gardner e Timothy H. O’Sullivan, agli stessi Fratelli Alinari [a sinistra], a tutto l’Ottocento e Novecento, al colore a disposizione di ognuno), per approdare all’attualità. Non prima, però, di aver ricordato la vivacità dell’industria fotografica italiana degli anni Quaranta e Cinquanta. Sono obbligatori i richiami alla Ducati Sogno, microcamera a telemetro con obiettivi intercambiabili, formato 18x24mm, che nel 1938 anticipa la stagione. Quindi, nel 1947, alla prima Fiera di Milano del dopoguerra, Telemaco Corsi presenta il modello in legno di quella che sarà la Rectaflex, che vedrà la luce il successivo 1948: prima reflex 35mm dotata di pentaprisma, nonostante qualcuno assegni il primato alla Contax S della Zeiss di Dresda, del 1949. Alla stessa Fiera di Milano del 1947 viene presentata anche la Gamma I, 35mm a telemetro. E poi, a seguire, nel 1948 la San Giorgio di Genova commercializza la Janua: un’ottima 35mm a telemetro con obiettivi dotati di innesto a baionetta. Altrettanto efficace è la linea delle Ferrania Condor. Negli stessi anni, le Officine Galileo di Milano producono la microcamera Gami 16: trenta pose 12x17mm su pellicola 16mm. Mentre Flaminio Tiranti, di Roma, propone un apparecchio tipo press: Summa Report, fantastica soluzione con obiettivi a torretta. Ahinoi, tutto si esaurisce, e la Eura Ferrania, del 1958 (FOTOgraphia, settembre 1998), annuncia la successiva stagione delle soluzioni fotografiche per il mercato di largo consumo, dove si inseriscono le interpretazioni Bencini. Comunque, come già rilevato, dagli anni Sessanta, l’industria fotografica giapponese si affaccia sul palcoscenico internazionale, dove si afferma subito. In estrema sintesi, sopra tutti, si ricordano i nomi di Canon e Nikon, che cominciano nei


secondi anni Quaranta con apparecchi a telemetro derivati da esperienze tedesche, rispettivamente ispirati a Leica e Contax. Sinonimo di reflex 24x36mm è la Nikon F (pagina accanto), che nasce nel 1959 e che nel 1966 è celebrata dal ciApparecchi digitali, compatti e reflex, e dorsi professionali si susseguono incessantemente: ogni novità tecnica afferma innovazioni sempre più sostanziose, che annullano i valori tecnici immediatamente precedenti.

nematografico Blow up di Michelangelo Antonioni (tra l’altro, in FOTOgraphia del dicembre 2006). Ma anche: Asahiflex I, del 1953, prima reflex 35mm giapponese; Konica Autoreflex, del 1965, prima reflex 35mm a esposizione automatica, con priorità ai tempi di otturazione; nel 1971, è seguita dalla Asahi Pentax Electro Spotmatic, a esposizione automatica con priorità ai diaframmi; il doppio automatismo di esposizione, con priorità a scelta, si deve alla Minolta XD7, del 1977; mentre l’esposizione automatica programmata nasce con la Canon A-1, del 1978 (a seguire, gli automatismi si sono straordinariamente evoluti); quindi, il winder incorporato, che fa avanzare automaticamente la pellicola dopo lo scatto, esordisce con la reflex Konica FS-1, del 1979. Ancora, in tempi più vicini, anticipata da un obiettivo Ricoh del 1980, e altre combinazioni immediatamente successive, la fotografia reflex diventa autofocus dalla Minolta 7000 del 1985. Subito, nel 1986, la Nikon F-501 segue la strada autofocus, presto percorsa da tutte le reflex 35mm e da tutte le compatte.

... E DOMANI Registriamo anche l’integrazione di funzioni fotografiche all’interno delle prestazioni differenziate degli attuali telefoni portatili.

Dissolvenza finale di C’era una volta... Storia della fotografia dal 1839 ad oggi: non siamo approdati al culmine di una storia, di un percorso avviato con le date ufficiali del 1839.

Oggigiorno, la fotografia sta abbandonando la pellicola sensibile alla luce, erede dei processi originari avviati dal 1839. Oggigiorno, la fotografia è soltanto ad acquisizione digitale di immagini: sia a livello professionale sia in ambito della fotoricordo. Una data è certa. Il 24 agosto 1981, Akio Morita, presidente Sony, ha presentato il prototipo originario della prima digitale: Sony Mavica, oppure Sony EX-50, con sensore solido CCD di acquisizione delle im-

magini: cinquanta a colori sulla cassettina magnetica originaria. Nel corso degli ultimi venti anni, con un ritmo sempre più forsennato, sono migliorate le prestazioni degli apparecchi e si sono raffinate le combinazioni per la gestione delle immagini: stampanti per la produzione delle copie su carta, software di controllo e manipolazione, trasmissioni a distanza e tanto altro ancora. Apparecchi compatti e reflex si susseguono incessantemente: ogni novità tecnologica afferma innovazioni sempre più sostanziose, che annullano i valori tecnici immediatamente precedenti. La quantità è tale da non consentire cronologie plausibili. A questo proposito, basti pensare che nei più recenti sei-sette anni ogni dodici mesi sul mercato sono state presentate oltre cinquecento novità tecniche: più di una al giorno! Sulla stessa lunghezza d’onda, si registra anche l’integrazione di funzioni fotografiche all’interno delle prestazioni differenziate degli attuali telefoni portatili (a sinistra). E qui, non siamo al culmine di una storia, di un percorso avviato con le date ufficiali del 1839. Maurizio Rebuzzini annota e rileva che è diverso, molto diverso: la libertà di fotografia delle configurazioni attuali potrebbe non appartenere alla lunga storia evolutiva della fotografia, dalle origini ai giorni nostri. Questa tecnologia applicata manifesta e rivela altri debiti di riconoscenza, esterni ed estranei -appunto!- alla consecuzione fotografica. Non nasce nel mondo dell’immagine, ma declina l’immagine nel mondo quotidiano. E la differenza non è da poco. È l’inizio di un’altra storia. Angelo Galantini

L’attuale libertà di fotografia potrebbe non appartenere alla sua lunga storia evolutiva, dalle origini ai giorni nostri. È qualcosa d’altro. Pensiamola così: è l’inizio di un’altra storia.

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NO, NON CI STO!

N

Non si può chiedere a nessuno di non avere opinioni. Neppure si può pensare che giornalismo significhi raccontare, standosene da parte. Le opinioni appartengono a ciascuno di noi, che ha diritto (ma soprattutto dovere) di esprimerle. Occuparsi di fotografia, non sottintende estraniarsi dall’esistenza, né presuppone indifferenza, a partire dalla propria materia. Non penso tanto alle crociate contro l’industria fotografica, spesso colpevole soltanto di essere tale (industria produttrice), che nelle proprie esternazioni su identificate riviste di settore risultano grottesche, almeno tanto quanto comiche. E non penso nemmeno a proditori attacchi verso presunti avversari inermi. Penso soltanto al mio dovere di giornalista, che legge la fotografia con passione, questo è vero, ma anche criterio (e, spero, persino oculatezza, capacità critica, perspicacia e acume, oltre che senso delle proporzioni). Quindi, per quanto sia doveroso riferire del progetto Immaginario Nucleare, di scena alla Calcografia dell’Istituto Nazionale per la Grafica, di Roma, del quale riportiamo anche i dati identificativi ufficiali, non posso esimermi dall’esprimere almeno un’opinione: sono assolutamente contro l’energia nucleare! Ovviamente, non è questo luogo, né tempo, per una motivazione approfondita e dettagliata, che spetta ad altro giornalismo. Qui basta soltanto certificare il mio allineamento a posizioni contro il nucleare che attraversano tutto il mondo, a partire dalla Francia, dove, dagli anni Settanta, un piano energetico nazionalizzato ha attivato la più consistente concentrazione di centrali. Mi preoccupano le minacce e i pericoli che accompagnano i progetti nucleari, così come sono allarmato dalle malattie e morti congiunte al nucleare. Ancora: credo a coloro i quali hanno conteggiato che un incidente nucleare in Francia potrebbe causare più vittime in Inghilterra, Ita-

lia e Spagna, in base ai capricci del vento e delle condizioni climatiche. Non credo agli allarmismi di convenienza, dei quali si fanno portavoce i politici che ci rappresentano nei parlamenti europei (ci dovrebbero rappresentare?!). Voglio soltanto vivere in un mondo nel quale si possano veder crescere i bambini. Non è molto, lo so, ma mi sentirei colpevole se soltanto non lo chiedessi. Altri interessi stanno configurando un inferno, con lo sguardo avidamente fisso soltanto sui profitti e le quotazioni della Borsa.

QUALE IMMAGINARIO? Ciò premesso, è scontato che le mie perplessità non sono ridotte, né addolcite, né attenuate (figuriamoci poi se possono essere placate) dalla presentazione del progetto Immaginario Nucleare, a cura di Bartolomeo Pietromarchi: un progetto che racconta il passato e il presente del nucleare italiano -la sua vicenda umana e scientifica, le suggestioni dei suoi luoghi, le sue contraddizioni- attraverso lo sguardo dell’arte e della scrittura. È sorprendente e umiliante: arte e scrittura al servizio di un apostolato di convenienza. Commissionato da Sogin, Società per la Gestione Impianti Nucleari,

Da Immaginario Nucleare, interpretato e proposto da Armin Linke in fotografia tridimensionale anaglifica: con restituzione della profondità prospettica attraverso occhialini con lenti rosso e verde.

con i patrocini del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero per i Beni e le Attività Cultuali, Immaginario Nucleare si articola in una pubblicazione e in una mostra, con il fotografo Armin Linke e lo scrittore Tommaso Pincio interpreti di un viaggio nell’immaginario culturale legato al nucleare in Italia. Patrocinata dal Ministero dello Sviluppo Economico e realizzata in collaborazione con la Direzione generale per la qualità e tutela del paesaggio, l’architettura e l’arte contemporanea (Parc) e il Maxxi (Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo), come accennato, la mostra è allestita a Roma, alla Calcografia dell’Istituto Nazionale per la Grafica, dal sedici ottobre. Accompagnata da un volume pubblicato dalla casa editrice inglese Pocko Editions, Immaginario Nucleare restituisce voce e immagine a una vicenda, quella dell’energia atomica in Italia, che si è interrotta vent’anni fa. Due gli eventi decisivi che hanno impresso una drastica svolta alla possibilità dell’utilizzo pacifico del nucleare nel nostro paese: nel 1986, l’incidente di Chernobyl, con le proprie tragiche conseguenze, e l’anno successivo il referendum che sancì la chiusura definitiva delle centrali in funzione in Italia e la rinuncia a ogni ulteriore investimento pubblico o privato nel settore. Immaginario Nucleare oscilla tra le suggestioni del passato e del presente, raccontate dallo sguardo di un attento fotografo italiano, Armin Linke (italiano d’adozione; FOTO graphia, settembre 1994). Recuperando la tecnica della fotografia tridimensionale, nella propria espressione anaglifica (con restituzione della profondità prospettica attraverso occhialini con lenti rosso e verde; qui accanto), in voga a stagioni alternate, ha realizzato un percorso per immagini dei siti del nucleare in Italia, peraltro composti con inquadratura accelerata. Nelle intenzioni, la fotografia anaglifica è applicata per re-

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stituire una visione atemporale dei luoghi, dando vita ad una sorta di “archeologia del futuro”. [Diamine: proprio fotografia tridimensionale in inquadratura panorama, due delle interpretazioni fotografiche che mi stanno più a cuore, declinata a supporto e favore del Nucleare!].

LE INTENZIONI Accanto le fotografie, un video realizzato in collaborazione con Renato Rinaldi presenta immagini senza narrazione, una specie di pittura tridimensionale in movimento di paesaggi e interni. Quindi, un testo di Tommaso Pincio guida nella storia italiana e nei timori (legittimi?) generati nell’immaginario collettivo dalla tecnologia nucleare: attraverso riferimenti alla storia recente, al cinema, alla letteratura di fantascienza, l’autore ripercorre l’evoluzione dell’immaginario catastrofista. Un percorso nella storia della cultura visiva italiana nell’epoca nucleare.

A questo punto, è doveroso rilevare e annotare come la vicenda nucleare italiana non sia totalmente conclusa. In questo senso, l’attività di gestione dei rifiuti svolta da Sogin rappresenta una normale fase del ciclo nucleare ed esige di mantenere un contatto con la migliore esperienza industriale e ricerca internazionale. Inoltre, ogni decisione relativa al nostro futuro energetico sta nelle mani del Governo e del Parlamento, che hanno il dovere di assicurare tecnologie e operatività del settore, sulla base delle attuali conoscenze. «Affiancare il passato nucleare alla nostra arte contemporanea», afferma Massimo Romano, Amministratore Delegato di Sogin, «è un tentativo di esprimere un significato di libertà. Questo progetto è il primo tratto di un percorso nel quale concentriamo energie e risorse per lasciare un segno di testimonianza e consapevolezza». Infatti, ora che Sogin si appresta a smantellare le cen-

trali e riportare i luoghi che furono dedicati al progetto nucleare alla propria consistenza originaria, il compito di ricordare i segni di questa controversa avventura industriale e umana è stato affidato alle immagini di Armin Linke e alle parole di Tommaso Pincio, ambasciatori creativi ai quali è stato chiesto di raccontare per non disperdere un patrimonio di conoscenza ed esperienza che si vuole proiettare nel futuro. Quale futuro? M.R. Armin Linke: Immaginario Nucleare; a cura di Bartolomeo Pietromarchi. Calcografia, Istituto Nazionale per la Grafica, via della Stamperia 6, 00187 Roma; 06-69980242. Dal 16 ottobre al 16 novembre; martedì-domenica 10,00-19,00. Volume-catalogo pubblicato da Pocko Editions: introduzione di Pierluigi Bersani; testi di Massimo Romano, Tommaso Pincio e Bartolomeo Pietromarchi.


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COLLEZIONE. La Deutsche Börse Group è una multinazionale finanziaria con circa tremiladuecento impiegati, nelle sue sedi in Germania, Lussemburgo, Svizzera, Spagna, Repubblica Ceca, Portogallo, Stati Uniti, Hong Kong, Dubai, Singapore, Giappone e Russia. Nel 2000, in coincidenza con il trasferimento in una nuova sede, Deutsche Börse ha iniziato a costruire una collezione di fotografie, la Art Collection Deutsche Börse, che finora ha raccolto seicento opere di più di sessanta autori internazionali, soprattutto tedeschi. La collezione non è limitata a temi specifici, ma spazia dalla fotografia di architettura al paesaggio, al ritratto: quasi tutte di grandi dimensioni, le fotografie sono esposte nelle due principali sedi, la Neue Börse, a Francoforte, e The Square, nella città di Lussemburgo. Deutsche Börse Group è anche molto attiva nello sponsorizzare mostre a livello internazionale: dal 2005 è lo sponsor principale del concorso Photography Prize of the Photographers’ Gallery, di Londra. Il finlandese Esko Männikkö ha vinto l’edizione 2008 di questo premio, con Cocktails 1990-2007, una combinazione di ritratti, paesaggi e still life che documentano una vita ai margini della società (in alto). Durante la cerimonia di premiazione, avvenuta lo scorso cinque marzo, al vincitore è stato consegnato un assegno di trentamila sterline (circa trentottomila euro). FOTOGRAFIA IN CRISI? Tutte le volte che incontriamo aspiranti a cambiar professione, per diventare

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Il finlandese Esko Männikkö ha vinto l’edizione 2008 del Photography Prize of the Photographers’ Gallery, di Londra, sponsorizzato da Deutsche Börse Group. Cocktails 1990-2007 documenta una vita ai margini della società.

In un giorno qualunque, significativo oltre se stesso, su venticinque finestrelle, la home page del sito di Repubblica (www.repubblica.it) richiama quindici volte “immagini”. Bettina Rheims ha regalato cento immagini alla associazione no profit Reporters sans frontières (www.rsf.org), con le quali è stato realizzato un prezioso volumetto che racconta la bellezza, la forza e l’eroismo delle donne.

fotografi, oppure, meglio, fotogiornalisti, ci urge demotivarli: occhio giovani, l’è düra! C’è troppa offerta, gli editori non pagano, non c’è mito, né leggenda, eccetera, eccetera (un lungo elenco di doléance). Ma in un giorno qualunque, significativo oltre se stesso, guardiamo la home page del sito di Repubblica (www.repubblica.it; qui sotto), uno dei meglio confezionati. Scorriamo gli strillini con fotina che invitano a entrare nelle notizie. Ecco l’elenco: In trentamila a San Siro per Ronaldinho (Immagini); Le immagini: La chitarra bruciata di Hendrix; Le immagini / Il caso: Scandalosa Avril Lavigne, le foto[grafie] osé della cantante; Le immagini: Brooke Shields a New York, smorfie e broncio sul set; Le immagini / La curiosità: Vince un viaggio nello spazio: hostess trova il biglietto tra i rifiuti; Usa / La foto[grafia]: Andy Dick, il comico non fa ridere; droga e abusi sessuali: arrestato. E via così. Su venticinque finestrelle, il richiamo “immagini”, in maiuscoletto, appare nel titolo quindici volte. Dobbiamo dedurre che, secondo l’editore, il riferimento “immagini” ha una qualche presa sul pubblico? E allora, la crisi della fotografia?

LA FOTOGRAFIA REGINA (NELLA CRESCITA) DEL MERCATO DELL’ELETTRONICA. Tra il 2000 e il 2007, la vendita di prodotti audio, video, fotografia e computer è cresciuta del diciannove e mezzo per cento (19,5 per cento) arrivando a quota ventiquattro miliardi e trecentomilioni di euro (24,3 miliardi): lo rivela Bankitalia. Secondo le cifre del 2008, la crescita sembra destinata ad assestarsi intorno allo zero virgola otto per cento (0,8 per cento). La buona notizia è che, pur essendo sempre i televisori re del mercato (ventinove per cento del totale), per quanto riguarda la crescita è il settore della fotografia a comportarsi meglio: più ventisei per cento (più 26 per cento).

BETTINA RHEIMS PER REPORTER SANS FRONTIÈRES. Lo scorso aprile è stato pubblicato un avvincente volumetto realizzato con cento fotografie che Bettina Rheims ha regalato alla associazione no profit Reporters sans frontières (www.rsf.org), che si batte per la libertà di stampa e pensiero nel mondo (in basso). Cento immagini per raccontare la bellezza, la forza e l’eroismo delle donne. Cento fotografie per riaffermare che troppi paesi non lasciano spazio al pluralismo e alla libertà di avere idee diverse dal potere dominante. Cento immagini per dire che non vogliamo più vedere centotrenta giornalisti e cinquanta internauti in carcere, perché hanno denunciato la corruzione ai più alti livelli. Una consistente selezione di fotografie di questo volume è riunita e presentata nella mostra Puoi trova-


re la felicità, esposta da Forma, il Centro Internazionale di Fotografia di piazza Tito Lucrezio Caro 1, a Milano, fino al ventitré novembre.

DIRITTO D’AUTORE. A novantacinque anni? Forse, ma per la musica. La Comunità Europea è sul punto di allungare lo sfruttamento del copyright musicale, da cinquanta a novantacinque anni. Non vorremmo entrare nel merito del provvedimento, ma suscitare turbamento a chi di dovere. Cioè (come si diceva nel Sessantotto), e la fotografia?

IMPORTANZA DELLA FOTOGRAFIA: SPAVENTARE I NEMICI. Lo scorso undici luglio, i giornali di tutto il mondo hanno dedicato la prima pagina a una fotografia di lancio di missili, presentata in due versioni, una delle quali truccata con l’aggiunta di un ulteriore missile, per rendere la testimonianza ancor più L’agenzia militare iraniana ha distribuito un’immagine alterata, con quattro missili in lancio, diversa da quella distribuita da Associated Press, dove i missili sono solo tre: in paragone e sulla prima pagina della Repubblica dello scorso undici luglio.

“ruggibonda”, e far capire al mondo che “il nostro dito è sempre sul grilletto e i nostri missili sempre pronti al lancio” (a sinistra, in basso, la prima pagina di La Repubblica). Distribuita dall’agenzia militare iraniana, l’immagine alterata, con quattro missili in lancio, appare diversa da quella distribuita da Associated Press, dove i missili sono solo tre (in paragone, a sinistra, al centro). Nella versione iraniana, l’alterazione è presto decifrata da chi possiede i termini della manipolazione fotografica: il fumo provocato dal missile aggiunto è chiaramente replicato da quello accanto. Una voce ufficiale: l’agenzia France Presse ha giudicato la fotografia “digitalmente alterata”. Inoltre, secondo Uzi Rubin, direttore del programma anti-missile israeliano, i missili della fotografia sarebbero addirittura una antica versione dello Shahab-3, non in grado di percorrere duemila chilometri, come affermano gli iraniani, ma solo milletrecento.

IMPORTANZA DELLA FOTOGRAFIA/2: AIUTARE I TURISTI. Un uso ben migliore della fotografia è quello individuato a Milano dal brillante Angelo Mereu (del quale abbiamo più volte sottolineata la personalità: affissioni Armani, nel giugno 2004; interpretazioni fotografiche al telefonino, nel giugno e novembre 2005; esposizione di Franco Berutti, lo scorso marzo). Data l’impossibilità di visitare il Cenacolo, presso la chiesa di Santa Maria delle Grazie, in corso Magenta, per i turisti che in grande numero arrivano dal Giappone, le guide

hanno trovato questo escamotage. Li portano sotto la statua di Leonardo da Vinci, in piazza della Scala, e lì esibiscono una grande fotografia dell’Ultima Cena: ovvero, quello che i turisti non sono in grado di vedere dal vero, viene spiegato e commentato con una immagine, una riproduzione (in basso). Non stiamo qui a scomodare Walter Benjamin e il suo straordinario saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Ma!

LA BUONA NOTIZIA PER LEGGE. Il Senato della Romania ha votato all’unanimità che i telegiornali e i giornali radio romeni dovranno avere ogni giorno un’equa parità tra cattive e buone notizie. La motivazione sta nel fatto che troppe cattive notizie farebbero ammalare il pubblico. Un senatore dell’opposizione (Partito socialdemocratico) ha sottolineato addirittura che si mostra troppo il “lato oscuro” dell’uomo. Quella della buona notizia è una vecchia idea, che anch’io condivido. Tempo fa ho proposto al World Press di istituire una speciale categoria per questo genere di fotografie, ma non se ne è fatto nulla. Pubblicare buone notizie potrebbe anche essere interpretato come una possibile celebrazione del governo al potere. In realtà, credo invece che le vecchie news e i film di taglio deamicisiano degli anni Cinquanta abbiano generato modelli di imitazione diversi da quelli che creano i personaggi che oggi calcano le platee televisive, tra rutti e veline, e sono “famosi solo per essere famosi”. A cura di Lello Piazza

Segnalazione di Angelo Mereu. Impossibilitati a visitare il Cenacolo, presso la chiesa di Santa Maria delle Grazie, in corso Magenta, a Milano, i turisti giapponesi debbono accontentarsi della riproduzione fotografica, commentata in piazza della Scala.

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Oliviero Toscani fotografa con sistemi Canon EOS La mia scelta Canon è dovuta alla ricerca dell’eccellenza nell’ambito della fotografia e del video. La fotocamera che uso per tutti i miei lavori è la Canon EOS 1 Ds Mark III, che mi garantisce quell’efficienza e quella qualità che desidero per me e per i miei clienti.

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OLIVIERO O LIVI E R O TOSCANI TOS CAN I E LA LA SUA S UA BOTTEGA B OTTEGA D’AR D’ D’ARTE ART AR TE DELLA D E LLA COMUNICAZIONE CO M U N I CAZ I O N E “LA “LA STERPAIA” STE R PAIA AIA” ” Oliviero T Toscani oscani è uno dei nomi della fotografia e della comunicazione più conosciuti al mondo, figlio e padre di fotografi (da Fedele, Fedele, a Oliviero, a Rocco sono ormai Bottega dell’Arte tre le generazioni di professionisti professionisti in famiglia). La Sterpaia è la Moderna B ottega dell’ dell’A Arte della Comunicazione creata da Oliviero Toscani, Toscani, nata in un luogo eccezionale, all’interno del Parco Parco di San Rossore, a Pisa. E’ un luogo unico al mondo: un innovativo centro di produzione per operazioni di comunicazione, un centro fulcro internazionale per la formazione, un progetto strategico attivato dalla Regione Toscana Toscana nel suo territorio. La Sterpaia è il luogo ideale per sentire e capire il presente, e annusare il futuro. I lavori de La Sterpaia sono realizzati con prodotti Canon. Canon

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PR O G ETTO L PROGETTO LA A STERPAIA STE R PAIA RAZZA UMANA RA Z ZA U MANA Ci sono diff differenze erenze tra gli occhi occhi di un altoatesino e di un siciliano? T Tra ra gli zigomi di un romano e di un lombardo? T Tra ra il portamento di un leccese e di un napoletano? E tra la b bocca occa di un sardo e quella di un toscano? E cche he faccia hanno gli Italiani? E i Toscani, nuovi Italiani? Oliviero T oscani, con La Sterpaia, viaggia attraverso i Paesi Paesi d’Italia per documentare le facce degli italiani e di cchi hi risiede in Italia. Su tre studi mobili, una squadra di fotografi “armata” di una completissima attrezzatura Canon EOS, E OS, visiterà in lungo e in largo lo stivale e ad ogni tappa saranno allestiti veri e propri set fotografici e video. Un progetto di fotografia e video sulle diverse morfologie e condizioni umane, per rappresentare tutte le espressioni, le caratteristic caratteristiche he fisic fisiche, he, somatiche, somatic he, sociali e culturali del Nuovo Paesaggio Paesaggio Le Italiano. L e fotografie e i video entreranno a far archivio parte di un arc hivio multimediale e di una rassegna neverending di mostre ed esposizioni.

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UN CAMEO, DIETRO L’ALTRO

T

Traduzione/trascrizione dell’originaria parola italiana “cammeo” (gioiello realizzato attraverso l’incisione di una pietra stratificata o una conchiglia), il termine inglese “cameo” significa e identifica la breve apparizione in uno spettacolo, teatrale o film, di una persona che interpreta se stesso, o si richiama a se stesso. Nella storia del cinema, che comprende numerosi camei, i più famosi dei quali sono quelli del regista Alfred Hitchcock, che appare in tutti i suoi film, in una delle scene iniziali, si conteggiano almeno due casi recenti di camei a richiamo. Registriamo quello di Charlton Heston, nei panni di George Taylor, protagonista dell’originario Il pianeta delle scimmie (Planet of the Apes, di Franklin J. Schaffner; Usa, 1968), che appare per pochi istanti nella riedizione Planet of the Apes, di Tim Burton (Usa, 2001), nei panni del gorilla Zaius, padre del dispotico Thade (l’attore Tim Roth). Immediatamente a seguire, ricordiamo che gli attori Ann Robinson e Gene Barry, protagonisti del lontano La guerra dei mondi (The War of the Worlds, di Byron Haskin; Usa, 1953), rispettivamente nei panni di Sylvia Van Buren e dello scienziato dottor Clayton Forrester, sono stati analogamente utilizzati nella produzione del remake War of the Worlds (di Steven Spielberg; Usa, 2005): sono i nonni bostoniani di Mary Ann e Robbie (Miranda Otto e Justin Chatwin), che accolgono lo scampato Ray Ferrier (Tom Cruise) alla fine del film.

CAMEO FOTOGRAFICO: 1 In un certo senso, sono definibili camei anche due casi a richiamo fotografico, che annotiamo nell’ambito delle nostre ripetute osservazioni e segnalazioni relative alla presenza della fotografia nel cinema, tra le pieghe delle sue scenografie come anche nello specifico di identificate sceneggiature. Sono camei, soltanto se e quando ne vengono forniti i termini identificatori: e lo stiamo per fare. Cominciamo in casa nostra, con

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un film italiano, per quanto di produzione congiunta Italia e Francia. Il contenitore è La famiglia, di Ettore Scola, arrivato nelle sale cinematografiche all’inizio del 1987. Prima di approdare allo specifico, una annotazione parallela e complementare. Per tutte le due ore abbondanti di film (per l’esattezza centoventisette minuti), l’elemento di continuità della lunga storia familiare, attraverso la successione delle generazioni raccontate, è un visore stereo che passa di mano in mano, segnando altresì lo slittamento da una utilità e fruizione consapevole e necessaria -nel passato- a un semplice gioco -nel progredire dei decenni(pagina accanto). Ma non è questa la consecuzione fotografica che vogliamo annotare oggi, quanto la presenza di un cameo: appunto. Ufficialmente creditato come fotografo di scena (ma quello vero è Bruno Bruni), il fiorentino Maurizio Berlincioni interpreta il fotografo che all’inizio del film, dai titoli di testa, scatta il ritratto della famiglia in posa (qui a destra): dai nonni fino ai nipotini, che a propria volta diventeranno padri e nonni nel corso del film; ulteriore fotografia finale di gruppo, sui titoli di coda. Maurizio Berlincioni, classe 1943, è un fotografo della genìa di coloro i quali, dagli anni Sessanta, osservano la scena sociale, registrandone le evoluzioni e rivelandone le caratteristiche; tanto che, in consistente anticipo su parole di questi giorni, il suo Wenzhou-Firenze. La comunità cinese in Toscana, appunto approfondita ricerca sulla co-

Maurizio Berlincioni interpreta il fotografo che esegue il ritratto all’inizio di La famiglia, di Ettore Scola. Cameo fotografico: nella vita, Maurizio Berlincioni è un fotografo. Sequenza abilmente isolata dalla sessione di ritratto con la quale inizia il film La famiglia, di Ettore Scola. Lampo al magnesio, dall’accensione all’illuminazione del gruppo (di famiglia, appunto) in posa.


tore Scola, è conteggiata cameo, in quanto si tratta di una proposizione di se stesso come fotografo, sebbene diverso dal fotogiornalismo che ne caratterizza la professione. Per quanto leggeri sulla fotografia di Maurizio Berlincioni, almeno in questo attuale contesto, a memoria segnaliamo alcune sue monografie: Giant Super & Vicinity (1984); Caro Arno (1986); Fotocoppie (1982); La fortezza spagnola: cronache e storia del penitenziario di Porto Azzurro (1988), Un Parco Produttivo: lavori in corso (1995); Pietrasanta Arte e Lavoro - I laboratori di marmo e le fonderie della Versilia (1996); e la già ricordata Wenzhou-Firenze (1995). Ancora, con l’occasione del cameo in La famiglia, di Ettore Scola, precisiamo che Maurizio Berlincioni ha insegnato fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Carrara e l’Accademia di Belle Arti di Firenze; attualmente è docente presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna.

CAMEO FOTOGRAFICO: 2

Fasi di inserimento dello châssis e uscita di scena: Maurizio Berlincioni nel film La famiglia, di Ettore Scola.

munità cinese del comprensorio fiorentino, è del 1995: tredici anni fa. Nello specifico del nostro attuale punto di vista, che non ne affronta la personalità d’autore, la partecipazione di Maurizio Berlincioni nel cinematografico La famiglia, di Et-

Il secondo dei due camei fotografici sui quali ci soffermiamo è statunitense. Il film è Tootsie, di Sidney Pollack, regista e attore mancato lo scorso ventisei maggio. Commedia leggera, del 1982, il film narra la vicenda dell’attore disoccupato Michael Dorsey, che ottiene la parte in una seguita soap opera televisiva fingendosi donna. Come Dorothy Michaels raggiunge uno straordinario successo personale. Ottima l’interpretazione di Dustin Hoffman, apprezzati gli equivoci che attraversano tutta la sceneggiatura e contestata, ai tempi, la mancanza di coraggio di Hollywood, che non ha insignito l’attore

Oltre il cameo di Maurizio Berlincioni, fotografo del gruppo di famiglia in interno, all’inizio del film, a ridosso dei titoli di testa, il cinematografico La famiglia, di Ettore Scola (Italia e Francia, 1987), comprende un altro richiamo fotografico: annotato dal nostro punto di vista, al solito particolare e mirato.

della nomination agli Academy Awards (Oscar)... per la migliore interpretazione femminile dell’anno. Ma tralasciamo questa dietrologia e ogni ulteriore approfondimento cinematografico, per arrivare subito al nostro cameo. Non prima, ancora, di aver citato un altro cameo, contenuto in quello fotografico che stiamo per segnalare. Nell’ambito delle serrate sessioni in sala di posa, che certificano il successo di Dorothy Michaels con la dissolvenza dal ritratto posato alle copertine di prestigiose testate giornalistiche, c’è anche una posa con Andy Warhol, che interpreta se stesso (a pagina 26). Proprio queste sessioni fotografiche contengono il cameo che interessa il nostro punto di vista, al solito particolare e mirato. Il fotografo che scatta, dal mirino dell’Hasselblad

Nel film, uno degli elementi di continuità della lunga storia familiare, attraverso la successione delle generazioni raccontate, è un visore stereo che passa di mano in mano, segnando altresì lo slittamento da una utilità e fruizione consapevole e necessaria (nel passato) a un semplice gioco (nel progredire dei decenni).

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Occhio al mirino dell’Hasselblad, Greg Gorman è se stesso nel film Tootsie: fotografo che in sala di posa realizza i ritratti di Dorothy Michaels (l’attore Dustin Hoffman), che dissolvono sulle copertine di prestigiosi periodici statunitensi. Nella ricostruzione scenica, risulta affascinante l’allestimento dei set, con pertinenti annotazioni sui flash e la stessa sala di posa nel proprio insieme. In questa pagina, le dissolvenze che in Tootsie passano dai ritratti di Dorothy Michaels alle copertine di Cosmopolitan, Ms., Woman’s Day, People Weekly (con Andy Warhol), Tv Guide (con l’attore Gene Shalit nei panni di se stesso), e New York.

montata su treppiedi, in una sala di posa ricca di flash elettronici che illuminano i set, è nientemeno che Greg Gorman, classe 1949, uno dei grandi della fotografia di moda internazionale e straordinario interprete dello star system hollywoodiano (www.greggormanphotography.com e www.gormanphotography.com), rappresentato in Italia dall’Agenzia Grazia Neri, di Milano (qui sopra). Ci sarebbe molto da scrivere sulla fotografia di Greg Gorman, ma non è il caso di farlo né qui né ora, dove e quando stiamo per parlare di altro: appunto, del suo cameo nel cinematografico Tootsie, di Sidney Pollack. Soltanto, a complemento, ricordiamo la retrospettiva Perspectives, allestita agli Scavi Scaligeri, di Verona, nell’autunno 1999. All’esposizione degli originali sopravvive il volume-catalogo, realizzato per l’occasione, avvincente casellario di una lunga e scintillante carriera fotografica: Perspectives, con testi di Giuliana Scimé e Alex Craig; (Leonardo Arte) Electa, 1999; 216 pagine 24x 28,5cm; 46,48 euro. Torniamo al film. A un certo punto di Tootsie, il successo di pubblico della bruttina Dorothy Michaels, trasformazione femminile dello sfortunato attore Michael Dorsey (come già rilevato, entrambi i personaggi sono interpretati da Dustin Hoffman), la proietta sulle copertine di prestigiosi periodici statunitensi, in equilibrio tra giornalismo e costume. Dorothy Michaels posa per il fotografo, appunto cameo di Greg Gorman; in

una serrata sequenza cinematografica, le inquadrature fotografiche si dissolvono nell’impaginazione delle copertine di Cosmopolitan, Ms., Woman’s Day, People Weekly (con Andy Warhol, già ricordato), Tv Guide (con l’attore Gene Shalit nei panni di se stesso: altro cameo), e New York (in questa pagina). Non male, davvero. M.R. Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini


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DEFINIAMOLO GIORNALISMO

P

to XVI, salito al soglio pontificio all’indomani della scomparsa di papa Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla), rispetto al quale ha dato una sferzata conservatrice alla Chiesa (nella comunità di intenti con coloro i quali l’hanno temporalmente preceduto). Quindi, ottenebrato da una faziosità di maniera, che neppure ha registrato la presenza del calciatore Kakà, che gioca in Italia, nel Milan, il giornalismo italiano non ha raccolto, né raccontata questa autentica lezione di straordinario giornalismo. Non entriamo nel merito delle cento personalità, se non per sottolinearne una visione e interpretazione certamente americanocentrica, a volte influenzata dalla cronaca. Così leggiamo e interpretiamo, per esempio, la presenza dei fratelli Joel e Ethan Coen, generalmente noti e identificati come “i fratelli Coen”, ai quali, a fine febbraio, in fase di confezionamento di Time 100, è stato assegnato l’Academy Award 2008 (Oscar) per la regia di Non è un paese per vecchi, anche miglior film, miglior attore non protagonista (l’inquietante Javier Bardem) e migliore sceneggiatura non originale (ancora i fratelli Coen).

No, non sono tanto questi contenuti che ci interessano, quanto la forma e il relativo contenuto giornalistico. Per punti, in ordine sparso. Uno. I personaggi di maggiore spicco e peso nel proprio ambito sono stati presentati da testi affidati a personaggi affini, altrettanto autorevoli, ognuno certificato nel proprio ruolo. Alcuni esempi: il presidente degli Stati Uniti George W. Bush è commentato da Silvio Berlusconi (per la terza volta primo ministro italiano); Hu Jintao, il potente presidente della Repubblica popolare cinese e Segretario generale del Partito comunista, da Henry A. Kissinger, influente uomo politico statunitense, per decenni regista sullo scacchiere internazionale, già Segretario di Stato durante le presidenze di Richard Nixon e Gerald Ford; la presidentessa cilena Michelle Bachelet, erede di una tradizione legalitaria del suo paese, da Hillary Clinton, moglie dell’ex presidente Bill, nei primi mesi dell’anno in corsa per la nomination democratica alla presidenza; la coppia Brad Pitt e Angelina Jolie da George Clooney (tra attori...); la conduttrice televisiva Oprah Winfrey, autentico opinion-maker, da Michelle Obama, moglie del candidato democratico alla presidenza degli

Fotografato da Gregory Heisler su un albero del City Hall Park, in qualche modo il sindaco di New York Michael Bloomberg ha fatto il verso alla serie di ritratti con i quali Richard Avedon illustrò il numero speciale sui personaggi di New York, per il New Yorker del 22 febbraio 1999 ( FOTOgraphia, giugno 1999).

ALEX HERRIG

PER

TIME

Passato il tempo, passato del tempo, nessuna polemica trova ospitalità. Ormai sono ampiamente stemperati i toni con i quali, alla fine della scorsa primavera, il coro dei giornali italiani -senza soluzione di continuità, cartacei, radiofonici e televisivihanno (mal) commentato l’edizione speciale Time 100, nella quale sono presentate (le) cento personalità più influenti del pianeta. Così, con tranquillità, possiamo certificare che sono state diffuse notizie false: volontariamente e coscientemente false. Infatti, per quanto sia vero che papa Benedetto XVI non compare nella lunga lista, e giusto questo ha sollevato un polverone orchestrato, è altrettanto vero che la più recente edizione speciale è la terza nella quale, nel corso di anni successivi, l’autorevole testata statunitense ha riunito i potenti del mondo. In questa chiave, rileviamo che il papa è stato incluso nelle due edizioni precedenti, apparendo addirittura due volte: la prima, come cardinale Joseph Ratzinger, autorevole eminenza grigia del Vaticano (allora, per lo più sconosciuto alla stampa italiana); la seconda, è scontato, nella propria attuale veste di Benedet-

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Il produttore e sceneggiatore televisivo Lorne Michaels ha ironicamente posato per Matthias Clamer sul set del Saturday Night Live, con i sosia di Barack Obama (Fred Armisen) e Hillary Clinton (Amy Poehler).

Visualizzata con una sequenza di finte copertine, realizzate con i ritratti riportati all’interno, in abbinamento alle presentazioni dei singoli personaggi, l’edizione speciale Time 100, dello scorso dodici maggio, ha indicato le personalità più influenti nel mondo.

Stati Uniti; l’attrice Mia Farrow, impegnata socialmente nel salvataggio dei profughi del Darfur, da Paul Rusesabagina, imprenditore ruandese, direttore d’albergo, che durante il genocidio del 1994 salvò milleduecentosessantotto (1268) connazionali (la vicenda è narrata nel cinematografico Hotel Rwanda, di Terry George); l’ex premier inglese Tony Blair dall’ex presidente statunitense Bill Clinton; il sindaco di New York Michael Bloomberg, che ha dovuto raccogliere l’eredità di uno stimato Rudolph Giuliani (peraltro appassionato di fotografia, per inciso), dal senatore Robert F. Kennedy Jr, uno degli undici figli di Robert, ucciso a Los Angeles nel 1968 (FOTOgraphia, luglio 2008); la cantante Mariah Carey dal cantante Stevie Wonder. Due. L’intero fascicolo è completato da annotazioni complementari, statistiche piuttosto che di costume e dintorni, molte declinate a riferimento della stessa edizione speciale, che aggiungono sapore e commenti alla statura e ruolo dei personaggi presentati. Un solo esempio, tra i tanti possibili: Michael

Griffin (presentato da Marsha Ivins, veterano di tre missioni dello Shuttle) è il terzo dirigente Nasa -tutti scienziati- inseriti nelle certificazioni di Time 100, nelle quali non è mai stato incluso alcun astronauta. Tre. L’edizione si chiude con un divertente saggio di Joel Stein, prestigioso collaboratore della testata, che interpreta il contenuto di Time 100 in termini matematici e statistici (diavolo, che invidia!). Inventa e commenta formule certe che scandiscono considerazioni assolute: per quanto, concluda con l’osservazione secondo la quale «Noi matematici non abbiamo tonnellate di tempo libero a disposizione». Il solito gioco degli opposti. Quattro, e la piantiamo qui, anche se potremmo vivisezionare ancora per molto questo avvincente Time 100, indipendentemente dal sugo della sua materia ufficiale: lo straordinario valore delle fotografie di presentazione dei cento personaggi. La maggioranza è d’archivio, e tutte sono scelte con oculata intelligenza (poche e marginali le fototessere, che sono invece regola nelle analoghe passerelle sui periodici

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Il potente economista Ben Shalom Bernanke, attuale presidente del Comitato dei Governatori della Federal Reserve statunitense, fotografato per Time da David Burnett.

italiani); tutte sono altresì creditate (imparate, redazioni italiane, imparate). E molte sono state prodotte per l’occasione e in esclusiva originaria per questa pubblicazione. Le fotografie appositamente realizzate, alle quali la messa in pagina riserva uno spazio sempre sostanzioso, compongono i tratti di una raffinata lezione di ritratto a uso fotogiornalistico (illustrazione, per semplificare). Se ne potrebbero citare molte, ma ci limitiamo al minimo indispensabile, tanto per confortare le nostre rilevazioni: il Dalai Lama è stato fotografato per Time da James Nachtwey (qui accanto); il potente economista Ben Shalom Bernanke, attuale presidente del Comitato dei Governatori della Federal Reserve statunitense, che tiene i cordoni della borsa, da David Burnett (in alto); il sindaco di New York Michael Bloomberg (a pagina 28) ha posato su un albero per Gregory Heisler, facendo in qualche modo il verso alla serie di ritratti con i quali Richard Avedon illustrò il numero speciale sui personaggi di New York, per il New Yorker del 22 febbraio 1999 (FOTO graphia, giugno 1999); il produttore e sceneggiatore televisivo Lorne Michaels, vincitore di numerosi pre-

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Ritratto del Dalai Lama: James Nachtwey per Time.

mi Emmy, creatore del longevo Saturday Night Live, dai cui set sono nati tutti i comici americani delle ultime generazioni, ha ironicamente posato per Matthias Clamer sul set del fortunato show della Nbc, con i sosia di Barack Obama (Fred Armisen) e Hillary Clinton (Amy Poehler), i due contendenti alla nomination democratica per la corsa alla Casa Bianca (a pagina 29); l’eclettico stilista Karl Lagerfeld si è autofotografato (autoritratto). È tutto qui? No, come appena rilevato ci sarebbe ancora da dire tanto altro. Ma non è più il caso: ciò

che abbiamo annotato può bastare. In più, solo un consiglio per il giornalismo italiano, che poco informa e troppo tralascia: il nostro mestiere implica anche doveri e deontologie; una sopra tutte, quelle di mostrare sempre la Luna, senza dare peso e autocelebrazioni per quel dito della (propria) mano che la indica. Conclusione, dalla citazione di esordio riportata nelle pagine iniziali di questo Time 100: «La fotografia è un semplice, classico ritratto, scattato con molto poco trucco, e io penso che ciò sia molto bello» (Annie Leibovitz). A.G.


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L

PROSPETTIVE FUTURE

Lo scorso due luglio, la più grande agenzia fotografica del mondo, Getty Images, ha annunciato la sua privatizzazione e la conseguente uscita dal mercato azionario (era nel listino della New York Stock Exchange). L’annuncio segue il voto della assemblea degli azionisti della compagnia, che il precedente venti giugno hanno approvato questa uscita con una votazione a larga maggioranza (novantacinque per cento). L’acquirente di Getty Images è un’affiliata di Hellman & Friedman, società a capitale privato che investe nel mercato dei media. Il prezzo della transazione è stato fissato in due miliardi e quattrocento milioni di dollari (2,4 miliardi). Per ogni azione, gli azionisti hanno ricevuto trentaquattro dollari (in precedenza, il valore più alto raggiunto da un’azione è stato di novantacinque dollari, nel novembre 2005). Oltre la vendita della compagnia, le nuove strategie di Getty Images comportano investimenti nel micropayment stock photography, attraverso l’affiliata iStockphoto.com, acquistata all’inizio del 2006. Tutto questo, come conseguenza dei risultati delle vendite di immagini, che rivelano un declino del tradizionale mercato della fotografia di stock. Infatti, un documento di Getty Images afferma che «da una ricerca di mercato emerge che il quarantacinquanta per cento del micromarket è costituito da clienti completamente nuovi, e che il volume d’affari delle immagini microstock risulta quindici-venti volte più grande di quello delle fotografie tradizionali». Il definito micropayment stock photography è un settore della vendita della fotografia in grande evoluzione: si basa su alti volumi di vendita a bassi prezzi. Getty Images considera questo mercato la pietra angolare del proprio futuro. Ciò fa pensare che i nuovi proprietari investiranno giusto in questo settore. Non è una buona notizia per i professionisti, perché, a causa dei prez-

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Il mercato globale delle immagini vale tra sette e otto miliardi di dollari (tra quattro miliardi e seicento milioni e cinque miliardi e trecento milioni di euro): sessantuno per cento di Commissionato (61%) e trentanove per cento di Stock (39%). A seguire, lo Stock è stato scomposto in relazione alle agenzie che lo vendono: Getty Images è in prima posizione, con un fatturato di ottocento milioni di dollari abbondanti, nel 2007.

zi bassi, il maggior approvvigionamento del micromarket avviene attraverso fotografi non professionisti. Getty Images divide le fotografie che vende in Editorial e Creative, intendendo rispettivamente immagini che si riferiscono alla cronaca, alle news, allo sport e all’entertainment (Editorial) e le classiche fotografie di archivio (Creative). Secondo un documento Getty Images riservato, presentato agli azionisti nella già menzionata assemblea del venti giugno, il mercato fotografico mondiale sarebbe suddiviso come sintetizzato nel grafico pubblicato qui sopra. Commentiamolo. Secondo questo documento, prima colonna a sinistra, il mercato globale delle immagini vale tra sette e otto miliardi di dollari (tra quattro miliardi e seicento milioni e cinque miliardi e trecento milioni di euro, al cambio attuale: 7-8 miliardi di dollari / 4,6-5,3 miliardi di euro). Il sessantuno per cento del totale riguarda il definito Commissionato (61%), fascia gialla, e il restante trentanove per cento lo Stock (39%), fascia azzurra. In scomposizione, nella colonna centrale, il mercato Stock, che va-

le, sempre secondo gli esperti di Getty Images, tra due miliardi e quattrocento milioni e tre miliardi e mezzo di dollari (tra 2,4 e 3,5 miliardi di dollari, cioè tra 1,6 e 2,3 miliardi di euro), è a propria volta suddiviso in tre fasce commerciali: la più consistente è quella Creative (fascia azzurra), seguita dall’Editorial (fascia gialla) e da qualcosa d’Altro (fascia arancio). Nello Stock, appunto quantificato e scomposto come appena riferito, agiscono diverse agenzie internazionali, richiamate nella terza colonna del grafico, alla sua destra. Qui è sottolineata la presenza della stessa Getty Images, che fattura ottocentocinquantotto milioni di dollari (858.000.000; fascia azzurra); Corbis, il suo maggior concorrente, arriva a duecentosettantacinque milioni di dollari (275.000.000; fascia gialla). Seguono altri riferimenti: AP Images, una nuova sezione di Associated Press (agenzia giornalistica no profit nata più di cent’anni fa), che si occupa della vendita di materiale stock, è considerata da Getty Images il terzo competitor per importanza (fascia arancio). Fino allo scorso 2007, il quarto posto era occupato da Jupiterimages (che non avevo mai sentito nominare!; fascia verde), e poi si registra Reuters. Nel grafico, colorato in viola, segnaliamo la presenza commerciale di Altri, formati e rappresentati da una miriade di piccole, medie e grandi agenzie sparse qua e là nel mondo. In un secondo grafico, riportato sulla pagina accanto, abbiamo rappresentato l’andamento in percentuale delle vendite tra Rightsmanaged Imagery (RM: le fotografie tradizionali) e Royalty-free Imagery (RF: un tempo immagini che si acquistavano quasi esclusivamente su CD o Dvd, per le quali si pagava una commissione originaria, che permetteva poi di usarle per sempre, mentre oggi provengono soprattutto dal micromarket). Questi dati sono ricavati dai resoconti trimestrali (Metrics_Qx), pub-


blicati da Getty Images sul suo sito. Come si vede, il mercato delle RM (in arancio) evidenzia una tendenza negativa, che, pur con le proprie oscillazioni, il mercato delle RF (in verde) evidenzia opposto in segno. Le percentuali riguardano la variazione del trimestre indicato sul trimestre precedente (per esempio ottobre-dicembre 2006 su luglio-settembre 2006). Infine, a completamento, qui sotto presentiamo le stime dei fatturati 2008 e 2012 di Getty Images, secondo un documento di fine novembre 2007, preparato da Goldman Sachs con dati ricavati dalle relazioni trimestrali. Commento conclusivo: il fatturato stimato di Getty

FATTURATO GETTY IMAGES (IN DOLLARI) Creative Editorial iStock Altro Footage B2B music TOTALE Creative Editorial iStock Altro Footage B2B music

2008 (stimato) 461.000.000 51,17% 180.000.000 19,98% 122.000.000 13,54% 77.000.000 8,55% 47.000.000 5,22% 14.000.000 1,55% 901.000.000

2012 (stimato) 348.000.000 29,32% 289.000.000 24,35% 262.000.000 22,07% 159.000.000 13,40% 83.000.000 6,99% 46.000.000 3,88% 1.187.000.000

classiche fotografie di archivio cronaca, news, sport, entertainment alti volumi di vendita a bassi costi assignements, media manager, research service e similari comprende anche i prodotti multimediali business to business

2008 - 2012 -24,51% +60,56% +114,75% +106,49% +76,60% +228,57% +31,74%

Dai resoconti trimestrali pubblicati da Getty Images sul suo sito, andamento in percentuale delle vendite tra Rights-managed Imagery (RM: le fotografie tradizionali) e Royalty-free Imagery (RF, che oggi provengono soprattutto dal micromarket).

Images dovrebbe incrementare di oltre il trenta per cento, con picchi consistenti nei comparti dell’iStock e Altro, che nell’arco dei quattro anno dovrebbero addirittura raddoppiare. Anche B2B music crescerà esponenzialmente, triplicando addirittura, su valori complessivi economicamente limitati (tanto da sfiorare il quattro per cento del totale). In caduta libera la sezione Creative, delle classiche fotografie d’archivio: meno venticinque per cento, quasi. Se questa tendenza si proietta integra sull’intero mercato della fotografia, dai sette-otto miliardi di dollari del 2007 si approderà a un valore tra nove e dieci miliardi e mezzo di dollari. L.P.


COURTESY BDK_BERLINISCHE GALERIE

Parigi, 1931: il ministro degli Esteri francese Aristide Briand individua il fotografo Erich Salomon, nascosto dietro una tenda, in Quai d’Orsay. Con mossa ardita, di condivisione improbabile, la selezione Pigozzi and the Paparazzi considera “paparazzi” anche Erich Salomon (appunto) e Weegee. Per quanto motivate, queste due inclusioni ci paiono almeno curiose e storicamente improbabili. Dunque, ne prendiamo le distanze.

Un poco per merito delle revisioni storiche che attraversano tutta la nostra società (occidentale), nel proprio insieme. Un poco per soddisfare esigenze mercantili, che richiedono materiali fotografici di forte sapore storico. Un poco, ma molto poco, per reale rivalutazione espressiva. Fatto sta che la figura dell’invadente e intrigante fotografo di cronaca rosa non è più declinata in senso negativo, e la sua identificazione di paparazzo è stata elevata di rango. Se servisse una conferma, leggiamo tra le pieghe della mostra Pigozzi and the Paparazzi, allestita nelle autorevoli sale della Helmut Newton Foundation, di Berlino

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IL PAPARAZZO


S

oprattutto, ricerco una risposta certa a una domanda, alla domanda per eccellenza, che è sorta spontanea sfogliando il convincente fascicolo-catalogo della mostra Pigozzi and the Paparazzi, in cartellone alla Helmut Newton Foundation, di Berlino, fino al prossimo sedici novembre (per la cui consistenza espositiva, e collegato allestimento scenico, mi fido delle espressioni entusiastiche di coloro i quali l’hanno visitata). Inaugurata alla fine dello scorso giugno, la mostra riunisce e presenta trecentocinquanta fotografie, soprattutto in bianconero, ma qualcosa anche a colori, di sei identificati autori -li stiamo per incontrare-, ai quali si aggiunge una sorta di postfazione di immagini di Helmut Newton: da servizi di moda ispirati all’azione del fotocronista a visioni di fotocronisti veri al lavoro, in occasioni di clamorosa concentrazione di “paparazzi” (come è il caso dell’ammassamento sulla Promenade de la Croisette, a Cannes, in occasione del Festival del Cinema [a pagina 38], e di appuntamenti analoghi: aggiungiamo anche la corrispondenza con il Festival del Cinema di Venezia). Alla luce dei valori che la mostra di Berlino ha, avendoli altresì tenacemente cercati, la domanda è questa: vogliamo pensare che questa sorta di nobilitazione, dopo decenni di riferimenti in spregio, irrisione e scherno, certifichi il punto di arrivo di un processo, in origine solo fonetico, e via via di contenuto, che eleva la definizione di “paparazzo”, attribuendole un significato positivo, diverso dalla propria etimologia e applicazione nell’arco di quasi cinquanta anni? Del resto, altri segnali si aggiungono a questo di Pigozzi and the Paparazzi, e lo hanno addirittura anticipato (riquadro a pagina 39). Oltre questi, richiamando una sorta di attualità fotografica, pensiamo a come declinazioni positive di “paparazzo” e “paparazzata” siano state abbondantemente applicate alla selezione News pictures, di Massimo Sestini, allestita alla Galleria Grazia Neri, di Milano, dallo scorso diciotto settembre, dove resta esposta fino al ventiquattro ottobre (FOTOgraphia, settembre 2008).

Via Veneto, 1958: Walter Chiari aggredisce Tazio Secchiaroli. Con diversi protagonisti sui due fronti (soggetto e fotocronista), una scena tanto frequente, da poter essere considerata addirittura tipica e caratteristica di quella stagione romana, lontana nel tempo, e oggi addirittura nell’ipotesi (ma neppure poi tanto, considerati analoghi episodi recenti). Tra inseguimenti e fughe, si conoscono tanti casi analoghi: sopra tutti, va ricordata la sequenza fotografica di Tazio Secchiaroli, aggredito dall’attore inglese Anthony Steel, marito di Anita Ekberg (la protagonista della Dolce vita, di Fellini), all’uscita del ristorante Vecchia Roma, la notte del 14 agosto 1958.

ELIO SORCI (© DAVID SECCHIAROLI)

ETIMOLOGIA In genere, il sostantivo “paparazzo” e il riferimento all’azione del “paparazzo”, che diventa “paparazzata”, sono sempre stati declinati in senso negativo. Al contrario, la mostra berlinese Pigozzi and the Paparazzi ha invertito i termini e cambiato il segno algebrico: appunto, da negativo in positivo. Come appena annotato, anche Massimo Sestini, appena citato, si è espresso alla stessa maniera (positiva!) nel corso dell’intervista rilasciata a Lello Piaz-

O VA A CORTE

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za, che abbiamo pubblicato sul nostro scorso numero; e così ha fatto pure Michele Neri nel suo commento alla stessa mostra News pictures, a propria volta riportato sul già ricordato numero di settembre. È per questo che ipotizziamo un cambio di indirizzo, una inversione di marcia. Infatti, non ignoriamo che la negatività dei concetti legati al paparazzo sia stato uno dei luoghi comuni del costume fotografico, all’indomani del neologismo avviato con La dolce vita, di Federico Fellini (1960), nel quale il fotografo Paparazzo, di cognome, è interpretato dall’attore Walter Santesso. Ne abbiamo riferito già altre volte, e una in più non guasta di certo. Invitato a commentare come si sia arrivati a delineare il personaggio di Paparazzo, Ennio Flaiano, sceneggiatore del film assieme a Federico Fellini e Tullio Pinelli, ne ha riferito in modo dettagliato e illuminante. In La solitudine del satiro - Fogli di via Veneto (Rizzoli Editore, 1973, e successive ristampe; dalla cui copertina originaria abbiamo ripreso e isolato il fumetto che pubblichiamo su questo stesso numero,

Jerry Hall, Jean Pigozzi e Mick Jagger (Parigi, 1978) e Carla Bruni e Jean Pigozzi (Venezia, 1991), dalla serie Pigozzi & Co., nella quale il fotocronista si è autoritratto con personaggi e protagonisti dello star system internazionale.

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a pagina 3) racconta: «Una società sguaiata, che esprime la sua fredda voglia di vivere più esibendosi che godendo realmente la vita, merita fotografi petulanti. Via Veneto è invasa da questi fotografi. Nel nostro film ce ne sarà uno, compagno indivisibile del protagonista. Fellini ha ben chiaro in testa il personaggio, ne conosce il modello: un reporter d’agenzia, di cui mi racconta una storia abbastanza atroce. Questo tale era stato mandato al funerale di una personalità rimasta vittima di una sciagura, per fotografare la vedova piangente; ma, per una qualche distrazione, la pellicola aveva preso luce e le fotografie non erano riuscite. Il direttore d’agenzia gli disse: “Arrangiati. Tra due ore portami la vedova piangente o ti licenzio e ti faccio anche causa per danni”. Il nostro reporter si precipitò allora a casa della vedova e la trovò che era appena tornata dal cimitero, ancora in gramaglie, e vagante da una stanza all’altra, istupidita dal dolore e dalla stanchezza. Per farla breve: disse alla vedova che se non riusciva a fotografarla piangente avrebbe perso il posto e quindi la speranza di sposarsi, perché s’era fidanzato da poco. La povera signora voleva cacciarlo: figurarsi che voglia aveva di fare la commedia dopo aver pianto tanto sul serio. Ma qui il fotografo, in ginocchio, a scongiurarla di essere buona, di non rovinarlo, di piangere solo un minuto, magari di fingere!, solo il tempo di fare un’istantanea. Ci riuscì. La povera vedova, una volta presa al laccio della pietà, si fece fotografare piangente sul letto matrimoniale, sullo scrittoio del marito, nel salotto, in cucina». Ancora: «Ora dovremmo mettere a questo fotografo un nome esemplare, perché il nome giusto aiuta molto e indica che il personaggio “vivrà”. Queste affinità semantiche tra i personaggi e i loro nomi facevano la disperazione di Flaubert, che ci mise due anni a trovare il nome di Madame Bovary, Emma. Per questo fotografo non sappiamo che inventare: finché, aprendo a caso quell’aureo libretto


di George Gissing che si intitola Sulle rive dello Jonio troviamo un nome prestigioso: “Paparazzo”. Il fotografo si chiamerà Paparazzo. Non saprà mai di portare l’onorato nome di un albergatore delle Calabrie, del quale Gissing parla con riconoscenza e con ammirazione. Ma i nomi hanno un loro destino». A completamento, annotiamo che il 23 ottobre 1999, l’amministrazione comunale di Catanzaro ha

Le settantasei pagine del fascicolo che accompagna la mostra Pigozzi and the Paparazzi contengono una limitata selezione delle trecentocinquanta fotografie esposte alla Helmut Newton Foundation, fino al prossimo sedici novembre. Per quanto poche, una dozzina per autore, queste immagini rendono adeguatamente l’idea dell’esposizione e del significato che abbiamo letto tra le righe.

COURTESY AGENCE ANGELI

Fotografia di Ron Galella: all’interno di una automobile, Woody Allen protegge se stesso e la moglie Mia Farrow; New York, 1980.

Fotografia di Daniel Angeli: il principe Alberto di Monaco (attuale sovrano del Principato), il principe Carlo d’Inghilterra e la principessa Carolina di Monaco, dopo un ricevimento all’Hôtel Paris; Monte Carlo, 1977.

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© DAVID SECCHIAROLI

Una delle fotografie più celebri di Tazio Secchiaroli: gli attori Ava Gardner e David Niven dietro le quinte; Cinecittà, Roma, 1958.

(al centro) Servizio di moda realizzato da Helmut Newton nel 1981 per Vogue France: evocazione e rievocazione del clima fotografico dei giorni del Festival di Cannes (immancabile la facciata del Carlton Hôtel, simbolo della Promenade de la Croisette).

© EDWARD QUINN ARCHIVE

Fotografia di Edward Quinn: fotocronisti (paparazzi) in postazione per fotografare l’attrice Elaine Guy, al Festival del Cinema di Cannes, 1957.

posto una lapide che testimonia il fatale incontro tra lo scrittore George Gissing e l’albergatore Coriolano Paparazzo, dal quale è nato uno dei più celebri neologismi della nostra epoca (FOTOgraphia, giugno 2000).

AND THE PAPARAZZI?

Entrando nello specifico, rilevo subito che la visione della rassegna Pigozzi and the Paparazzi è quantomeno curiosa. A mio modo di vedere, addirittura disarmante nel proprio percorso. In assolvimento di intenzioni dichiarate, per scandire i tempi di una identificata evoluzione del fenomeno, la selezione

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retroguarda fino alla preistoria del genere: considera paparazzi anche Erich Salomon e Weegee. Ci vuole coraggio, perché la più pertinente identificazione di paparazzo non si dovrebbe estendere alla cronaca in senso assoluto e generale, ma riferire esplicitamente alla cronaca rosa e relativi riti, che si richiamano soprattutto (o forse soltanto) allo star system dello spettacolo e dintorni, includendo le residue nobiltà di regni antichi. Dunque, le candide e trasparenti osservazioni di Erich Salomon -che, negli anni Venti e Trenta, con la Ermanox dotata di obiettivo luminoso f/2, documentò i cerimoniali di un certo mondo politico europeo (a pagina 34)- hanno ben altra collocazione, in assoluto e nella storia della fotografia. Se vogliamo limitarci a un riferimento a base tecnica, possiamo sottolineare che le sue straordinarie fotografie in tenue luce ambiente valgono anche per la spontaneità dei soggetti, che non pensavano si potesse fotografare in quelle condizioni. Potremmo riferire qualcosa di analogo anche a Weegee, se soltanto non ne avessimo appena approfondito la personalità fotografica con il lungo articolo pubblicato sullo scorso numero di settembre (quando non abbiamo assolutamente pensato ad allinearne il gesto a quelli della cronaca rosa di Massimo Sestini, pure presentato sulle stesse pagine). Invece, la chiave interpretativa di Pigozzi and the Paparazzi è moderatamente scartata a lato, tanto da motivare le presenze che abbiamo appena commentato, che anticipano le fotografie di paparazzi di origine controllata. Nel testo introduttivo alla mostra, pubblicato sul fascicolo-catalogo (in tedesco e inglese), Matthias Harder è esplicito, quando rileva che quella dei pa-


© HELMUT NEWTON ESTATE (2)

parazzi è «una forma aggressiva di fotogiornalismo. Soprattutto oggi, quando i personaggi dello spettacolo sono braccati e spinti in situazioni pericolose, per ottenere inquadrature accattivanti». Da qui, storicizza un certo percorso, richiamando le origini degli anni Sessanta, quando la cronaca rosa si è manifestata come combinazione di voyeurismo ed esibizionismo, con fotografi in perenne attesa delle stelle (via Veneto e contorni).

ALTRI PAPARAZZI

A

ssolutamente prolifica, la bibliografia sui paparazzi comprende volumi ben allestiti, sia per parole sia per immagini, ma anche monografie di scarsa qualità: sia per contenuti sia per attendibilità storica, spesso condizionata dalla vicinanza temporale con i fatti e da una mal intesa amicizia con i protagonisti. Non approfondiamo, perché la materia merita ben altro spazio e tempo. Soltanto, ci preme ricordare due titoli vicini tra loro. Anzitutto, torniamo alla mostra Paparazzi (Fotografie 1953-1964), allestita al veneziano Palazzo Fortuny, nell’autunno 1988, con catalogo Alinari. La segnalazione ci è particolarmente cara, perché ci consente di richiamare, seppure per una frazione di secondo, la personalità del compianto Paolo Costantini, immaturamente mancato nel 1997, a trentotto anni, che fu curatore della mostra, assieme a Silvio Fuso, Sandro Mescola e Italo Zannier. Quindi, annotiamo che il numero sette di

Fotologia, del maggio 1987, fu sostanzialmente monografico, sullo stesso tema della stagione dei paparazzi. Se proprio vogliamo, potremmo datare giusto da questa profonda riflessione, elaborata nell’ambito degli Studi di storia della fotografia a cura di Italo Zannier (Museo di Storia della Fotografia Fratelli Alinari), un atteggiamento non denigratorio nei confronti di questi fotocronisti, che oggi abbiamo definitivamente registrato alla luce dell’autorevole mostra berlinese Pigozzi and the Paparazzi.

Ancora moda di Helmut Newton con esplicito e volontario richiamo alla fotocronaca da paparazzo, realizzata per Linea Italiana negli anni Settanta.

La mostra Paparazzi (Fotografie 1953-1964) è stata esposta a Palazzo Fortuny, di Venezia, nell’autunno 1988: catalogo Alinari. Fotologia numero sette, del maggio 1987: pubblicazione sostanzialmente monografica sul tema della stagione dei paparazzi.

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PAUL SCHMULBACH (COURTESY GALERIE WOUTER

VON

LEEUWEN, AMSTERDAM)

AND THE PAPARAZZI

Marlon Brando nei corridoi del Waldorf Astoria di New York, 1974, seguito dal fotocronista Ron Galella, che indossa un elmetto da football per proteggersi dalle intemperanze dell’attore, che lo aveva già aggredito in occasioni precedenti.

Così, dopo l’ardito balzo indietro fino a Erich Salomon e Weegee, che abbiamo anticipato, Pigozzi and the Paparazzi presenta esempi effettivi e calzanti della lunga epopea che il titolo promette. In mostra, in incessante sequenza uno accanto all’alto, si incontrano personaggi pubblici che hanno definito i recenti decenni della cronaca rosa, per lo più congelati in momenti rubati (e non attraverso compiacenti pose concordate; ma sarà sempre vero?). Tutte fotografie originariamente destinate alla pubblicazione su rotocalchi popolari.

AND THE PAPARAZZI! Se la chiave di lettura è quella di una identificata «forma aggressiva di fotogiornalismo», ribadiamo la citazione, la presenza di Erich Salomon, avvocato di formazione e fotografo autodidatta, è legittima: sta qui perché ai propri tempi era temuto, così come oggi sono temuti i più arditi fotocronisti. Le analogie con il paparazzo dei giorni nostri continuano, quando viene sottolineato che, guadagnato l’accesso a eventi politici di primo piano, Erich Salomon fotografava di nascosto: «Nessuno prima di lui aveva osato correre questo rischio. [...] Solitamente, Erich Salomon nascondeva la macchina fotografica in una valigetta o sotto il cappotto». Negli Stati Uniti, in anni appena successivi, secondo la stessa introduzione alla quale ci atteniamo, registrandola, Weegee ha manifestato uno stile altrettanto non convenzionale, concentrandosi su altri argomenti. Sintonizzato con la radio della polizia, raggiungeva in fretta le scene del crimine, fotografando sia i protagonisti (vittime), sia la morbosa curiosità dei passanti. Ancora, Weegee si è immerso nella sordida vita degli emarginati newyorkesi. Per i curatori di Pigozzi and the Paparazzi, ancora «forma aggressiva di fotogiornalismo». E tanto è loro bastato: and the Paparazzi.

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Ed eccoci agli autentici e acclamati paparazzi della rassegna berlinese. Abbiamo già certificato che nel film La dolce vita, il fotografo Paparazzo (di cognome) ha avuto il volto dell’attore Walter Santesso. A seguire, interpretazioni cinematografiche a parte, tra le pieghe dell’etimologia dello sceneggiatore Ennio Flaiano, ricordata qualche paragrafo fa, si è soliti individuare la personalità di Tazio Secchiaroli, appunto paparazzo per antonomasia. Lo ricordiamo: «Via Veneto è invasa da questi fotografi. Nel nostro film ce ne sarà uno, compagno indivisibile del protagonista. Fellini ha ben chiaro in testa il personaggio, ne conosce il modello: un reporter d’agenzia, di cui mi racconta una storia abbastanza atroce». Il bravo Tazio Secchiaroli, protagonista di una lunga stagione, che tra l’altro fu molto vicino a Federico Fellini, che lo volle come fotografo di scena di molti suoi film (su questo numero, a pagina 14), è uno dei quattro and the Paparazzi che accompagnano Jean Pigozzi nell’allestimento della mostra di Berlino. Gli altri tre sono Edward Quinn e Daniel Angeli, che sono stati attivi soprattutto sulla Costa Azzurra, e lo statunitense Ron Galella, diviso tra Los Angeles e New York, fotocronista di spicco dagli anni Settanta a tutti gli Ottanta, reso celebre dalle cattive attenzioni che era solito riservargli Marlon Brando, che lo indussero a munirsi di un elmetto da football per protezione, indossato ogni volta che la sua strada si incrociava con quella dell’attore (qui accanto). Pigozzi and the Paparazzi offre una panoramica critica su un genere fotografico dedicato al sensazionalismo. Un genere che continua a nutrire le testate popolari, con immagini che soddisfano l’appetito di quel pubblico (di basso profilo), affamato di divismo, bramoso di invadere la sfera privata dei propri beniamini e affascinato dalle starlette, per quanto effimere e incostistenti siano. Comunque, e in conclusione, non è tanto significativo soffermarsi su quanto la mostra Pigozzi and the Paparazzi presenta -nel proprio insieme, con alto profilo fotografico-, quanto su ciò che questa rassegna rappresenta. Come rilevato: la definitiva inversione di concetto. Da qui in poi, paparazzo e dintorni esprime un concetto positivo, degno di stare alla pari con ogni altro professionismo fotografico. Paparazzo è un sostantivo, non più dispregiativo. Forse. Maurizio Rebuzzini Pigozzi and the Paparazzi. Helmut Newton Foundation, Jebensstrasse 2, D-10963 Berlin; 0049-30-31864856; www.helmutnewton.com, info@helmut-newton-foundation.org. Fino al 16 novembre; martedì-domenica 10,00-18,00, giovedì fino alle 22,00. ❯ Fotografie di Jean Pigozzi (Parigi 1952), Erich Salomon (Berlino 1886 - Auschwitz 1944), Weegee (Arthur Fellig; Zloczew 1899 - New York 1968), Ron Galella (New York 1931), Daniel Angeli (Parigi 1943), Tazio Secchiaroli (Roma 1925-1998) e Edward Quinn (Dublino 1920 - Altendorf 1997). In aggiunta, a corollario, selezione di fotografie a tema di Helmut Newton (Berlino 1920 - Los Angeles 2004). ❯ Catalogo con testo introduttivo di Matthias Harder (in tedesco e inglese): 76 pagine 26x34cm; 7,00 euro.


Ecco l’occasione per raccontarvi al mondo Con i fatti che succedono intorno a voi Con gli argomenti che alimentano le vostre passioni Per condividere fantasia e interessi con il mondo intero

Dal 1969 Si accettano le iscrizioni inviate per posta ordinaria o tramite Internet

Richiedete il modulo d’iscrizione

Ogni partecipante può sottoporre fino ad un massimo di 8 immagini: 2 per ciascuna delle 2 categorie, inviate sotto forma di stampe via posta ordinaria, e 2 per ciascuna delle 2 categorie inviate sotto forma di file JPEG via Internet. Iscrizione: 1° settembre – 30 novembre 2008 Criteri di accettazione: Tutti i fotografi, professionisti o amatori, di tutto il mondo.

Per maggiori dettagli, visitate www.nital.it

www.nikon-npci.com


Jodi and Michael; Swingstock, Duxbury, Minnesota; luglio 2004.

Thanksgiving Dinner; Big Lake, Minnesota; novembre 2004.

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I

nterno giorno. L’inquadratura orizzontale di una delle fotografie riunite nella monografia America Swings, della convincente Naomi Harris, mostra un ampio salone di una abitazione statunitense, con un divano granata al centro, un pratico tappeto davanti, a coprire il pavimento di parquet, l’area pranzo dietro, con tavolo e piani di servizio in marmo (a pagina 44). Sopra il camino, dove crepitano pochi ceppi di legno, che producono due esigue fiammelle, è acceso un televisore piatto di grandi dimensioni (plasma?). L’inquadratura televisiva è ravvicinata: due giocatori di football nelle proprie imponenti divise di gioco. L’ora dello scatto è certa, la si individua dalla posizione delle lancette dell’orologio a muro sulla parete in fondo, oltre l’area pranzo: due e dieci del pomeriggio. Anche la data è (altrettanto) certa: la si decodifica dalla didascalia Super Bowl Sunday; Des Moines, Iowa; febbraio 2005. Appunto, è primo pomeriggio di domenica sei febbraio (ora dello Iowa), e il televisore è sintonizzato sul canale che trasmette il trentanovesimo Super Bowl, dal Jacksonsville Municipal Stadium, in Florida, che ha assegnato il titolo di campione della National Football League (NFL) per il campionato 2004: per la cronaca, i New England Patriots, campioni della American Football Conference (AFC), hanno sconfitto i Philadelphia Eagles, campioni della National Football Conference (NFC), per ventiquattro a ventuno. Per altra cronaca, trenta secondi di spot commerciale, trasmessi tra le pause del gioco, costavano due milioni e quattrocentomila dollari (all’epoca, circa due milioni di euro, quattro miliardi delle vecchie lire). Ah, dimenticavo: sul divano è sdraiato (stravaccato) un uomo nudo, bottiglia di birra nella mano sinistra appoggiata sulla spalliera, attento soprattutto al-

la trasmissione televisiva. Supina tra le sue gambe, una donna, altrettanto nuda, sta compiendo un’azione sessuale orale (i loro vestiti sono disordinati sul tappeto). Un poco dietro questa coppia, un’altra coppia nuda fa sesso: lei è appoggiata al piano di marmo dell’area pranzo, lui le sta dietro. Non ho la minima idea di quanto duri un Super Bowl, tra spettacoli di contorno, tempo effettivo di gioco, pause tattiche, cambi di campo e via discorrendo. Non mi interessa neppure saperlo, anche se un’altra delle fotografie della stessa raccolta di Naomi Harris, che presentiamo in accostamento a questa appena commentata (a pagina 45), raffigura lo stesso luogo, visto con inquadratura analoga, quasi coincidente, alle otto meno venti di sera (complice l’orologio a muro già menzionato). Di sera? Lo osiamo sperare, alla luce della quantità di cibo e birra che intravediamo. Tutto si ripete. Proprio tutto: partita, indifferenza generale e attenzione allo schermo televisivo, sul quale si sta svolgendo una concitata azione di gioco. Sul divano, una coppia fa sesso, lui con i pantaloni alle caviglie; e altri due, non completamente

Entusiasmante reportage della giovane e brava Naomi Harris, classe 1973, che attraverso la raffigurazione di scambisti americani sottolinea come la mediocrità esistenziale sia ormai endemica nella nostra opulenta società occidentale, nonostante sfacciate esibizioni di felicità forzata. Tra l’indifferenza generale, riti di un sesso ostentato e insolente, che non riescono a cancellare l’assenza di altri desideri. America Swings: impietoso occhio sulla vita. In preziosa edizione libraria

SOLO E TANTA MEDIOCRITÀ


nudi, sono indaffarati sul solito piano di marmo. Attorno a loro, altri tre personaggi, due dei quali completamente nudi, fanno beatamente i fatti loro.

SCAMBISTI American Swings, di Naomi Harris, è una raccolta rivelatrice, che l’editore tedesco Taschen Verlag propone in una raffinata edizione (con collegata Art Edition in tiratura numerata, accompagnata da stampe originali di uno dei soggetti del libro, tra due a scelta). Oltre il moralismo statunitense, che non sempre coincide con la moralità, ma in quale altro posto collima?, e accanto un accanito conservatorismo di maniera, la fotografa divulga una realtà parallela, a propria volta e misura egualmente caratteristica. Non più una nazione che sta richiamando la virtù dell’astinenza sessuale prematrimoniale (ma anche bandendo la teoria evolutiva di Darwin dai programmi scolastici), ma un sottobosco di sesso ostinatamente ricercato. Così, il titolo della monografia è presto rivelato: Swings (alla lettera altalene), nel senso di scambisti, coppie consenzienti che hanno elevato il sesso al vertice dei propri interessi esistenziali; un ses-

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Super Bowl Sunday; Des Moines, Iowa; febbraio 2005.

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so sempre plateale ed esibito, spesso pubblico. Dunque, la decifrazione del filo che collega tra loro tutte le immagini passa attraverso la comunione di intenti del sesso: per quanto non praticato, come invece lo è nelle due inquadrature con la cui descrizione abbiamo esordito, è un sesso sfacciato, che si rivela e manifesta nella ostentazione e

bella mostra di intimità offerte all’obiettivo. Tutti i soggetti sono in posa, tutti sono consapevoli dell’azione fotografica, tutti sono complici.

MEDIO/CRITÀ A questo punto, una domanda sorge spontanea e proietta ciascuno di noi tra le pagine del libro. Que-


sto reportage, che tale è a tutti gli effetti, indaga soltanto il costume, o approda anche alla socialità? (il confine tra le due condizioni è sottile e non certo ben definito, ma c’è). Quindi, a diretta conseguenza, la partecipazione dell’osservatore deve essere di superficie e leggera (costume) o attenta e approfondita (socialità)? Non ci riferiamo tanto alla rap-

presentazione fotografica di nudi, piuttosto che azioni sessuali esplicite, che certo non scandalizzano più di tanto: più concretamente, vorremmo leggere l’immagine per quanto tanto la fotografia sa essere (ed è) annunciatrice di fatti e condizioni. L’osservatore sta fuori, oppure entra nell’inquadratura, muovendosi attraverso i dettagli e le Broken Leg and Barbecue; Swingstock, Duxbury, Minnesota; luglio 2004. [Una stampa fotografica di questo soggetto accompagna le copie numerate da 51 a 100 dell’Art Edition di America Swings, in cento copie firmate dall’autrice Naomi Harris e dal curatore Richard Prince].

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America Swings, di Naomi Harris. A cura di Richard Prince; multilingue inglese, francese e tedesco; Taschen, 2008 (distribuzione: Inter Logos, strada Curtatona 5/2, Località Fossalta, 41100 Modena; 059-412648; www.books.it); 256 pagine 37x29cm, cartonato, in cofanetto con riproduzione di un’insegna di Motel americano appositamente concepita e realizzata per questa edizione libraria. ❯ Art Edition: cento copie numerate e firmate dall’autrice e dal curatore; da 1 a 50 con stampa fotografica del soggetto Viking and his Girlfriend [qui sotto], da 51 a 100 con stampa fotografica del soggetto Broken Leg and Barbecue [a pagina 45]; 750,00 euro. ❯ Mille copie numerate e firmate dall’autrice e dal curatore; 350,00 euro.

Viking and Girlfriend; Swingstock, Black River Falls, Wisconsin; luglio 2003. [Una stampa fotografica di questo soggetto accompagna le copie numerate da 1 a 50 dell’Art Edition di America Swings, in cento copie firmate dall’autrice Naomi Harris e dal curatore Richard Prince]. (al centro) Drinking Franzia; Swingstock, Black River Falls, Wisconsin; luglio 2003.

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L’AUTRICE aomi Harris è nata a Toronto, in Canada, nel 1973 (www.naoProfessionalmente e culturalmente, si è forNmatamiharris.com). in un programma sulla Documentary Photography, frequentato presso il prestigioso e qualificato International Center of Photography, di New York, dove ha appreso un convincente modo di interpretare il reportage. Tra i premi ricevuti nella sua ancora breve carriera professionale, si segnalano l’International Prize for Young Photojournalism 2001, assegnato da Agfa e Das Bildforum, la certificazione tra i trenta fotografi emergenti da seguire, selezionati nel 2002 dall’autorevole Photo District News, il Gold Award in Photojournalism 2003, consegnatole dalla National Magazine Awards Foundation, e una menzione d’onore al premio Yann Geffroy, organizzato e svolto dall’Agenzia Grazia Neri di Milano (che abbiamo commentato in diverse occasioni).

minuzie di contorno che solo la fotografia sa fissare con tragica oggettività? Di certo, quella indagata da Naomi Harris è una classe inviolabilmente media; non è certo una classe sociale disagiata, come lo sono molti emarginati dalle nostre opulente società occidentali, ma neppure una classe sociale elevata, che deve rispondere a riti e cerimoniali di accettata convenienza. Diamine, è una classe media in tutto: nelle sfumature dei comportamenti che intuiamo dalle pose, come nella pochezza dei contorni alla propria esistenza (auto, suppellettili, gioie forzate, bevande e cibi). Oltre i sorrisi di convenienza, come se fosse obbligatorio sorridere all’obiettivo, c’è soltanto mediocrità. Tanta medio/crità! Una mediocrità, sia detto per inciso, trasversale a tutti gli Stati Uniti; e al resto del mondo occidentale?, quando e per quanto venisse a propria vol-


All-American Pool Party; Club CB’s, Vista, California; luglio 2007.

God Bless America; Swingstock, Duxbury, Minnesota; luglio 2007. [Dio benedica l’America; e poi, declinazioni gergali sull’idea di “fottere”].

ta osservato con analogo cinismo fotografico?: colori accesi e saturi, inquadrature formali, distacco dichiarato dal soggetto, sollecitata partecipazione delle persone fotografate... inviolabile tristezza! In quattro anni, Naomi Harris ha attraversato trentotto stati, in ognuno dei quali ha incontrato un campionario rappresentativo di scambisti, di ogni età e inclinazione sessuale (etero e non solo): lavoratori, liberi professionisti, insegnanti, infermieri e via discorrendo (anche in declinazione al femminile). Nessuna situazione ha manifestato un minimo sex appeal. Proprio niente, come le fotografie impietosamente sottolineano. E, allora, che almeno sesso sia. Mediocre, mi raccomando, e tra l’indifferenza generale: un occhio alla televisione, l’orecchio ai risultati delle ultime partite. Angelo Galantini

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C’ÈUNSESSA NTOTTOCHE... Uliano Lucas: Il rientro degli emigrati per le vacanze natalizie, al confine italo-svizzero; Luino (Varese), 1973.

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torico e docente universitario di storia moderna, Sergio Luzzatto, classe 1963, ha le carte in regola, sia culturali sia anagrafiche, per commentare la cronaca (in una qualche misura) recente senza l’animosità di coloro i quali si sentono in dovere di giustificare qualcosa, forse soltanto se stessi. Così che la sua introduzione alla raccolta fotografica ’68. Un anno di confine, ovviamente pubblicata nella ricorrenza dei quarant’anni (appunto, 1968-2008), è esattamente ciò che si propone di essere: pertinente introduzione al consistente corpo di fotografie, per la cui lettura fornisce una chiave interpretativa che inquadra il momento storico “di confine”, senza allargarsi a inutili giudizi -né a favore, né contrari- su una stagione comunque sia discriminante, che ha stabilito i termini e connotati di un “prima” e un “dopo”. La sua definizione del tempo non si sovrappone alle immagini della raccolta, e neppure ne è sepa-

A cura di Uliano Lucas, ’68. Un anno di confine è una raccolta fotografica che non si limita all’apparenza di un momento storico del nostro paese (e di tutto il mondo), discriminante nei tempi a seguire. In cronaca, il fotogiornalismo offre sempre materia adatta e funzionale a tutti, così che ciascuna intenzione e prevenzione può essere soddisfatta. Allo stesso modo, le medesime chiavi interpretative sopravvivono quando la fotografia del reale rappresenta la Storia. Oltre la superficie, il curatore raccoglie e racconta la Vita: e di questo e per questo gli siamo profondamente grati 49


Mauro Raffini: Primo maggio 1969; Torino.

(pagina accanto) Silvestre Loconsolo: Operaie della Controls Company, durante lo sciopero per le libertà in fabbrica; Milano, 30 maggio 1969. Uliano Lucas: Assalto all’Università Statale occupata; Milano, 24 novembre 1971.

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rata. Più proficuamente -per noi lettori- è una apprezzata identificazione di momenti che la fotografia del reale testimonia, documenta e racconta con il proprio linguaggio esplicito.

FOTOGRAFIA Per antichi e grotteschi pregiudizi, che non hanno diritto di alcuna considerazione, né ospitalità, la fotografia varrebbe migliaia di parole (ma non è proprio vero!); invece, e al contrario, la fotografia del reale (autentico linguaggio visivo della modernità) esprime tutte le proprie potenzialità se, quando e per quanto è introdotta e definita da parole di identificazione (per l’appunto): non fosse altro che da semplici certificazioni di luogo e tempo. Così, la raccolta fotografica ’68. Un anno di confine, curata dall’attento Uliano Lucas, si propone come strumento per osservare con concentrazio-

ne (e capire?) una stagione italiana della quale lo storico Sergio Luzzatto fornisce gli indispensabili precedenti e le relative connessioni. Paese arretrato e anticomunista, va detto, all’alba del Sessantotto e negli anni immediatamente a seguire, l’Italia si è offerta alla fotografia di una variegata schiera di fotogiornalisti, che hanno raccolto e raccontato una cronaca presto proiettatasi in Storia. Quello confezionato da Uliano Lucas è un resoconto avvincente, guidato dalla sua doppia personalità: prima fotografo, Uliano Lucas è oggi anche «navigato storico del fotogiornalismo», come lo definisce proprio Sergio Luzzatto in introduzione (nella quale annota che da curatore agisce contando sul «sovrappiù di confidenza che gli viene dal poter dire “io c’ero”», condizione fondamentale per certi racconti fotografici, questo tra i tanti possibili). Intrecciate e consecutive tra loro, le immagini


raccolte e ordinate da Uliano Lucas scorrono sul filo di un binario doppio, quanto coincidente e parallelo: la successione della vita quotidiana si incrocia e sovrappone al clamore delle proteste operaie e studentesche del Sessantotto italiano, manifestatosi sull’onda lunga di un Sessantotto che ha interessato tutto il pianeta. [In queste settimane di post Olimpiadi di Pechino, con tutto il proprio fardello di contraddizioni -sportive e non-, è stato ricordato soprattutto il clamoroso gesto dei velocisti neri Tommie Smith e John Carlos, uno vincitore e l’altro medaglia di bronzo, sul podio dei duecento metri con i pugni chiusi e la mano guantata: simbolo della lotta delle Black Panthers / Pantere Nere per i diritti civili. A integrazione, ricordiamo qui che il Sessantotto messicano, entro il quale si può collocare questa forte azione, iniziò a fine luglio e che una settimana prima dei Giochi Olimpici

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Uliano Lucas: Quartiere Gratosoglio; Milano, 1971.

di Città di Messico, il tre ottobre, la piazza di Tlatelolco fu insanguinata da centinaia di morti, soprattutto studenti, vittime della repressione governativa, ordinata dal presidente Gustavo Díaz Ordaz, con l’esercito che ha sparato sulla folla dagli elicotteri e dai tetti del ministero degli Esteri. Oltre le cronache del tempo, due giornaliste presenti in Messico, l’italiana Oriana Fallaci -peraltro ferita da un proiettile- e la messicana Elena Poniatowska, hanno ricostruito quel momento in due loro libri: rispettivamente in Niente e così sia, del 1969, e La noche de Tlatelolco, del 1971].

IL SESSANTOTTO DI LUCAS La ripetizione è d’obbligo e una precisazione si impone: in questo ordine. Le immagini raccolte e ordinate da Uliano Lucas scorrono sul filo di un binario doppio, quanto coincidente e parallelo: la successione della vita quotidiana si incrocia e sovrappone al clamore delle

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proteste operaie e studentesche del Sessantotto italiano. Quindi, immediatamente a seguire, rileviamo come questa selezione sia stata confezionata senza alcuna retorica e senza compiacimenti. Certo, è una visione e osservazione “di parte”: è ipocrita chiedere ai fotogiornalisti di non avere opinioni, così come è altrettanto ipocrita pretendere che non le abbiano. Per cui, l’insieme di queste immagini si presenta con la trasparente chiarezza di una dichiarazione di intenti: senza sottintesi, è esplicita, precisa e manifesta. Quindi, non si tratta di un Sessantotto astratto e irreale, ma di ben altro, con il quale il lettore deve confrontarsi. Come annota Sergio Luzzatto in introduzione, autentico motivo conduttore della nostra attuale lettura e presentazione, quello raccolto sulle pagine della monografia illustrata «è il Sessantotto di Uliano Lucas», perché «il libro di storia è un libro di memoria; con tutto ciò che il genere autobiografico comporta nell’o-


MAURIZIO REBUZZINI

Uliano Lucas: Murales in piazza Vetra; Milano, 1973. [Integriamo con la testimonianza fotografica della realizzazione dello stesso murales].

pera di selezione dei ricordi, di impaginazione delle esperienze, di elaborazione dei significati». Altri e complementari, altrettanto approfonditi, sono i rilievi di Tatiana Agliani, in postfazione. Avrebbe potuto essere una monografia d’autore, con la quale celebrare il quarantesimo anniversario di date; ed è ovvio pensare che questa sia stata la richiesta originaria dell’editore. Però, per quanto conosciamo la professionalità e il rigore di Uliano Lucas, arriviamo alla logica conclusione che è diventata una monografia fotografica a più/tante voci, che in veste di curatore Uliano Lucas aggiunge alla sequenza delle sue precedenti storiografie sul fotogiornalismo italiano. In particolare, accodiamo l’attuale ’68. Un anno di confine al compendioso Il fotogiornalismo in Italia 1945-2005. Linee di tendenza e percorsi, promosso dalla Fondazione Italiana per la Fotografia e presentato nell’ambito dell’Undicesima Biennale

Internazionale di Fotografia di Torino, nel settembre 2005. Successivamente, la stessa mostra è stata replicata al Museo di Storia Contemporanea, di Milano, dal novembre 2006 (FOTOgraphia, ottobre 2006), prima di partire per un tour internazionale, avviato a Montpellier, in Francia, l’estate successiva (FOTOgraphia, giugno 2007). Allo stesso tempo, ribadiamo come queste riflessioni siano strettamente collegate anche alla retrovisione L’immagine fotografica 1945-2000, ventesimo volume dell’opera enciclopedica Storia d’Italia, che lo stesso Uliano Lucas ha realizzato per l’editore Einaudi, nel 2004. Abbiamo una interpretazione per spiegare come e perché la personalità di curatore sopravanzi oggi quella di Uliano Lucas fotografo. Non è contorta, ma soltanto sensata: al culmine di una lunga esperienza e militanza fotografica, oggi Uliano Lucas privilegia il racconto che sappia andare al di là degli in-

(in alto) Valentino Bassanini: Domenica mattina lungo il Naviglio della Martesana, nel quartiere di Greco; Milano, 1969.

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Tano D’Amico: Sui tetti del carcere di Rebibbia in rivolta; Roma, 1973.

Uliano Lucas: Corteo operaio alla Bovisa; Milano, 1969.

’68. Un anno di confine (I fotografi italiani raccontano), a cura di Uliano Lucas; introduzione di Sergio Luzzatto; postfazione di Tatiana Agliani; Rizzoli, 2008; 280 pagine 28x28cm, cartonato con sovraccoperta; 45,00 euro.

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dividualismi e oltre le sole visioni personali, per abbracciare una visione collettiva, che compone i tratti della storia. Così facendo, va oltre la superficie delle singole immagini... per riconoscere la Vita. In questo processo, Uliano Lucas mantiene vivace un filo conduttore che attraversa tutte le sue ricostruzioni storiche del fotogiornalismo: unico tra i curatori italiani della fotografia, distingue la storia plebea, quella dei fotografi nel proprio quotidiano professionale, dalla storia aristocratica dei giornali. È consapevole sia delle grandezze dei fotogiornalisti (alle quali dà risalto), sia delle loro miserie (che giustamente tralascia). Ma, soprattutto, è guidato da un senso della storia, della storia della fotografia e della storia del fotogiornalismo (che è altro), che gli permette di guidare e governare un racconto dal quale si tiene sostanzialmente discosto. Se vogliamo, un solo appunto gli va mosso: quello della cortesia e generosità. Così, oltre al recupero di figure altrove dimenticate e trascurate, al-

le quali ha restituito i valori che spettano loro (tanti i nomi per i quali gli siamo grati: non fateceli specificare), Uliano Lucas richiama nelle proprie storiografie anche meteore che hanno attraversato il fotogiornalismo italiano per caso e senza lasciare altra traccia. Il suo rigore gli impone di riprendere e proporre il loro materiale, presente anche nell’attuale ’68. Un anno di confine, appunto storicizzato per e con generosità d’animo. Se questo nostro è un rimprovero, lo è nella coscienza e consapevolezza che anche noi agiamo nello stesso modo: sempre con cortesia e generosità nei confronti di tutto il mondo della fotografia, del quale riferiamo e al quale ci riferiamo. Convinti come siamo che alla fine del giorno verremo puniti per la nostra gentilezza, ne abbiamo estesi i princìpi all’azione di Uliano Lucas; così che, nella punizione conclusiva, ci troveremo in buona compagnia. E là riprenderemo le fila di tutti i nostri pensieri e ragionamenti, che partono dalla fotografia, territorio comune, ma non si esauriscono con la fotografia. Anzi, è esattamente vero il contrario. Maurizio Rebuzzini Alla resa dei conti, non abbiamo detto nulla a proposito delle immagini raccolte e riunite in ’68. Un anno di confine. Forse non serve farlo, perché il loro ritmo è esattamente fedele alla promessa del titolo: la consecuzione delle fotografie è a dir poco esemplare, oltre che entusiasmante. Oppure, non lo abbiamo fatto per altri motivi. Uno sopra tutti. La nostra esperienza personale di lettura è giusto tale: individuale. Non ha nulla a che vedere con il giornalismo che definisce le pagine di FOTOgraphia, e addirittura potrebbe compromettere il rapporto singolare che ciascun lettore può e deve avere con il libro. Per questo, liberi tutti. A ognuno la propria lettura. M.R.



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AMEDEO NOVELLI

La Sony α900 è stata presentata alla stampa fotografica internazionale con una conferenza stampa a Edimburgo (Scozia), e collegata escursione sulle Highlands, con prove pratiche di utilizzo, all’inizio di settembre. Come annotato anche in Editoriale, l’anticipo temporale sulla Photokina (dal ventitré settembre) è risultato strategico ai fini delle relazioni giornalistiche: questa nostra, tra tutte.

isogna averla tra le mani. Impugnandola, se ne apprezza subito una ergonometria ereditata dalle più classiche costruzioni reflex, oltre che fedele al proprio sistema fotografico, al momento attuale composto addirittura da cinque configurazioni di diverso indirizzo tecnico e commerciale. Ma, soprattutto, la sua costruzione rivela straordinari debiti di riconoscenza con le reflex che in tempi passati (e ormai trascorsi) hanno stabilito avvincenti e accattivanti connotati tecnici, nei quali -complice l’anagrafe-, ci riconosciamo. Ovviamente, l’attuale reflex Sony α900, che si proietta al top di gamma, è indirizzata e orientata a un pubblico potenziale attuale e vivace; ma, allo stesso momento, appaga anche i sentimenti di coloro i quali, noi tra questi, hanno conosciuto stagioni fotografiche precedenti. Soprattutto, prima di entrare nello specifico di prerogative tecniche di profilo alto, che disegnano e stabiliscono una autentica differenza (in meglio), rileviamo il particolare disegno di un pentaprisma (in vetro), che riprende i profili di quei pentaprismi che hanno scandito i passi della storia evolutiva della tecnologia fotografica; e poi, in sovra mercato, è tornata l’incisione codificata che stabilisce la posizione del piano focale (non più piano pellicola), utile per i calcoli preventivi della più attenta fotografia macro, a brevi/brevissime distanze di ripresa e a rapporti di riproduzione desiderati. Ancora, lodiamo subito la brillantezza del mirino, con oculare a possibile chiusura volontaria, che rappresenta lo splendore e l’apoteosi della stessa fotografia reflex. Da qui, da queste note preventive, che non sono soltanto esteriori, ma intuiscono i consistenti valori della nuova Sony α900, reflex con sensore di acquisizione digitale a pieno formato, che alza il profilo del proprio sistema, andando a proiettarsi verso impieghi e utilizzi professionali, approfondiamo

Per la nuova e innovativa reflex α900, con sensore di acquisizione full frame 24x36mm e prestazioni di profilo alto, Sony non spende mai l’identificazione “professionale”, che forse sta riservando a qualcosa che bolle in pentola. Però, a tutti gli effetti, questa reflex top di gamma si propone e offre per utilizzi che assolvono sia necessità professionali sia esigenze di consistente impegno fotografico. Sempre più sistema, quello Sony α è ora scandito sul tempo e ritmo di ben cinque configurazioni di caratteristiche tecniche e orientamento commerciale crescente: appunto fino all’attuale α900 di vertice, reflex alla quale prestare una concentrata attenzioe 56 n

le caratteristiche tecniche, che offrono interpretazioni adeguatamente innovative. Tali e tante da collocare lo stesso sistema in posizione elevata, competitivo con i più acclamati e consolidati richiami di mercato. Se qualcuno non l’avesse ancora intuito, se altri l’hanno sottovalutato, se per interessi preconcetti è stato ignorato, adesso non si può fare assolutamente a meno di prendere atto di una condizione tecnico-commerciale affermata con imperiosa autorevolezza: Sony c’è! Eccome!

PIENO FORMATO (E ALTRO)

Come rilevato, la Sony α900 si offre e propone come top di gamma, in un sistema che comprende anche le configurazioni α200 (sensore CCD, 10,2 Megapixel; TIPA Award 2008; FOTOgraphia, giugno 2008), α300 (sensore CCD, 10,2 Megapixel; FOTOgraphia, maggio 2008), α350 (sensore CCD, 14,2 Megapixel; FOTOgraphia, maggio 2008) e α700 (sensore CMOS Exmor, 12,24 Megapixel; FOTOgraphia, novembre 2007). Addirittura, dopo l’originaria α100, la prima reflex digitale Sony, arrivata all’indomani dell’acquisizione della produzione fotografica Konica-Minolta (FOTOgraphia, luglio 2006), le attuali cinque reflex del sistema sono state presentate e commercializzate nel corso degli ultimi dodici mesi. La nuova Sony α900, top di gamma del sistema, è dotata di sensore CMOS Exmor, tecnologia proprietaria full frame (pieno formato 24x36mm) con la risoluzione più alta attualmente disponibile, 24,6 Megapixel, che si accorda con il veloce processore di immagini Dual Bionz. Ancora, nell’uso, si fa valere la stabilizzazione SteadyShot Inside, per la prima volta integrata nel corpo macchina di una reflex full frame, che si estende così a tutta la gamma degli obiettivi del sistema: da quelli Sony ai Carl Zeiss dedicati e, perché no, ai precedenti disegni ottici Minolta e Konica-Minolta che ne condividono l’innesto a baionetta. Tra i valori discriminanti di questa efficace configurazione, una delle più efficaci dell’intero mercato (ribadiamo e confermiamo: Sony c’è!), si segnala anche e ancora il brillante mirino ottico con visione cento per cento, al quale ci siamo peraltro già riferiti: e stiamo per approfondire. Dunque, in sintesi, in una successione di quattro prerogative tecniche che ne definiscono la personalità, la reflex Sony α900 si offre e propone per la più conveniente soddisfazione della passione fotografica di un pubblico attento ed esigente e di interpretazioni professionali; riassumiamo: sensore CMOS Exmor full frame da 24,6 Megapixel, con processore Dual Bionz; stabilizzazione SteadyShot Inside integrata nel cor-


SONY C’È! po macchina; mirino ottico luminoso e brillante, con copertura completa dell’inquadratura digitale 24x36mm; funzionalità avanzate, per scattare in completa libertà e confortevole creatività.

SENSORE CMOS EXMOR Il sensore di acquisizione digitale di immagini della reflex Sony α900 è definito da una alta risoluzione di 24,6 Megapixel (esattamente il doppio della α700), che si accompagna a un basso rumore (doppia riduzione del rumore) e a una conversione A/D immediata “on chip column”. In allineamento, il segnale digitale è immediatamente elaborato dal processore Dual Bionz, sempre e ancora tecnologia proprietaria, due volte più veloce delle versioni precedenti: si segnala una perfetta interpretazione del file, con sensibile riduzione del rumore sia durante l’elaborazione sul chip, sia dopo la conversione A/D, soprattutto con le acquisizioni di file grezzi RAW. Il processore Dual Bionz è tanto efficace da consentire acquisizioni in sequenza fino a cinque fotogrammi al secondo a risoluzione piena di 24,6

Megapixel (in buffer si possono parcheggiare più di cento scatti in formato Jpeg Fine). Nel concreto, due chip processano velocemente e simultaneamente una consistente quantità di informazioni, che a cinque fotogrammi al secondo equivalgono alla gestione di centoventitré Megapixel al secondo. Lo stabilizzatore di immagine SteadyShot Inside è altrettanto innovativo, per se stesso e per la tecnologia applicata che esprime. Anzitutto, è il primo stabilizzatore incorporato in una reflex digitale full frame, che dunque deve agire su una struttura portante del sensore di novanta millimetri di larghezza, contro i settantasei dei sensori di dimensioni inferiori (APS-C, per intenderci), per corrispondenti sessantasei millimetri di altezza, contro cinquantaquattro millimetri. Per questo, non è una versione aggiornata e adattata delle precedenti configurazioni, pure adottate dal sistema reflex Sony α, ma di un nuovo progetto, ridisegnato appositamente per garantire accuratezza con le dimensioni incrementate del sensore full frame: è più potente (1,5x) e più ve-

La nuova Sony α900 si colloca al vertice del proprio differenziato sistema reflex, che offre e propone cinque diverse configurazioni tecniche, arrivate tutte sul mercato negli ultimi dodici mesi: serrata successione commerciale avviata dalla α700 (FOTOgraphia, novembre 2007). La reflex Sony α900 si segnala soprattutto per il sensore CMOS Exmor full frame 24x36mm da 24,6 Megapixel. Ancora: processore Dual Bionz, stabilizzazione SteadyShot Inside integrata nel corpo macchina, mirino ottico luminoso e brillante e funzionalità avanzate.

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loce (1,3x) con ogni obiettivo del consistente sistema ottico. A conseguenza, è altresì predisposto per la pertinente combinazione con obiettivi particolarmente luminosi (per esempio, il superbo Carl Zeiss 85mm f/1,4) e disegni ottici dedicati (per esempio, il Macro 100mm f/2,8, ma anche il Fisheye 16mm f/2,8, due delle perle della gamma). Con il sensore full frame 24x36mm, 1,35 volte più grande di quello APS-C, il sistema SteadyShot Inside garantisce una compensazione del movimento involontario della reflex, estesa da due stop e mezzo a quattro stop. Il movimento è controllato da un circuito guida finalizzato, da un accoppiamento migliorato e da un attuatore lineare ultrasonico ridisegnato. Ciò a dire che si ottengono maggiore potenza e velocità di accomodamento.

MIRINO REFLEX Come accennato, il mirino a pentaprisma della Sony α900, interamente in vetro, vanta una copertura completa del campo inquadrato dall’obiettivo: cento per cento, con ingrandimento di 0,74x. È estremamente brillante, tanto da ricordare dotazioni fotografiche di incontestata efficacia ed efficienza (traguardando con il medio tele Carl Zeiss 85mm f/1,4, appena citato, si prova addirittura un brivido visivo). Nulla è stato sottovalutato o lasciato al caso: la nitidezza dell’osservazione dipende dall’adozione di una lente condensatrice ad elevata potenza, così come il rivestimento anti-riflesso multi strato su tutte le superfici garantisce un passaggio ottimale della proiezione dell’inquadratura. Anche l’oculare utilizza vetro ad alto indice di rifrazione, adatto alla pertinente visualizzazione delle indicazioni operative complementari di area di messa a fuoco e misurazione della luce. Erede di una tecnologia originaria Minolta, ai tempi fornita anche ai vetri smerigliati Hasselblad (tanto per spolverare le memorie individuali), il mirino ottico della Sony α900 adotta le soluzioni Super Spherical Acute Matte, estese agli schermi di

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MAURIZIO REBUZZINI (SONY α900, CARL ZEISS PLANAR T* 85MM F/1,4 ZA; JPEG FINE)

Come tradizione del sistema reflex Sony α, anche l’attuale nuova α900 dispone della pratica ed efficace Vertical Grip con alimentazione autonoma (accessorio opzionale).

messa a fuoco intercambiabili, tra i quali segnaliamo una delle nostre passioni, quello quadrettato (Type L, nel codice) che non deve essere relegato alla sola fotografia di architettura, nel cui ambito è sostanzialmente indispensabile, ma a tutta la fotografia con composizione e inquadratura raffinata e consapevole della distribuzione del soggetto. Nove punti di messa a fuoco, più altri dieci in assistenza, configurano un tracking che consente di seguire i soggetti in movimento. Alle più ampie aperture di diaframma, il sensore centrale a doppia croce garantisce la più pertinente accuratezza di rilevazione della messa a fuoco, che in assoluto dispone di un rinnovato algoritmo di calcolo, veloce e accurato.

CONTROLLO DELLE IMMAGINI Consistenti novità e tante conferme. Nuovo è il definito Intelligent Preview sul monitor LCD esterno, da tre pollici, che visualizza l’immagine alla semplice pressione dell’apposito tasto, completa dell’isto-


Non è nostra abitudine giornalistica realizzare e proporre test di utilizzo delle attrezzature fotografiche, delle quali prendiamo sempre e solo atto dei rispettivi valori tecnici espliciti. Ma in questa occasione, la risoluzione di 24,6 Megapixel della Sony ι900, abbinata a una sostanziale assenza di rumore, ha sollecitato una comparazione, che sottolinea le caratteristiche qualitative di questa reflex, top di gamma.

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L’accesso alle regolazioni sul monitor LCD posteriore, da tre pollici, è rapido: al solito, qui sono visualizzate tutte le impostazioni. Ancora, lo stesso monitor LCD è il centro comandi del definito Intelligent Preview, che visualizza l’immagine, completa dell’istogramma: prima della conferma e scatto, possono essere modificati i parametri di esposizione, bilanciamento del bianco e Dynamic Range Optimizer (DRO).

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gramma: prima della conferma e scatto, possono essere modificati i parametri di esposizione, bilanciamento del bianco e Dynamic Range Optimizer (DRO), appositamente migliorato per meglio analizzare le scene in caso di situazioni limite. I singoli effetti sono mostrati nella simulazione sull’immagine, ed è sufficiente confermare i parametri per memorizzare le nuove impostazioni. Altrettanto nuovo è l’attuale Image Data Converter SR (release 3), che permette di convertire e editare in maniera semplice i file grezzi RAW alla massima risoluzione. Quindi, è confermato il Creative Style, con tredici stili creativi e cinque parametri che consentono di confezionare l’immagine secondo intenzioni espressive proprie e individuali. Su card Compact Flash, fino all’alta velocità del supporto UMDA, oppure Memory Stick Pro-Due HG, ad alta velocità, in doppio slot, si possono acquisire immagini in formato Jpeg, a diverse risoluzioni, o grezze RAW; oppure, in doppio formato Jpeg più RAW. L’autonomia fino a centomila scatti dell’otturatore, con tempo rapido fino a 1/8000 di secondo, è unità di misura di efficacia professionale, soltanto se Sony avesse definito “professionale” l’attuale α900, per la quale, in verità, non è mai stata spesa questa qualifica (che la si tenga in serbo per qualcosa di altro, in imminente arrivo? Ma nessuno stia fermo ad aspettare altro: la reflex Sony α900 è già una straordinaria interpretazione fotografica, alla quale riservare concentrata attenzione). Comunque, di questo si tratta, di una reflex adeguatamente professionale, anche alla luce della costruzione, per quanto non tropicalizzata, in robusta lega di magnesio, che comporta anche una sostanziale leggerezza del corpo macchina, di soli 850 grammi di peso, e dell’ampia autonomia di scatto dell’alimentazione Stamina, altra tecnologia proprietaria, estesa fino a ottocentottanta acquisizioni. All’interno della struttura in lega di magnesio, il vano dello specchio reflex (Mirror Box, in gergo) è in fibra di carbonio e policarbonato: durevole e leggero.

ERGONOMIA Il design dell’impugnatura, per tanti versi migliorato rispetto la precedente, ma sempre attuale

α700 (altro indirizzo, altra fascia di prezzo), permette di sostenere saldamente la Sony α900, ottenen-

done un senso di sicurezza operativa. Senza andare troppo lontano, pensiamo a una sorta di sinergia interna, che ha trasferito al design di questa reflex l’ampia esperienza Sony nella progettazione e costruzione di videocamere professionali broadcasting. Le protezioni sono di alta categoria: sigillo a labirinto del coperchio del doppio slot delle memory card, per prevenire infiltrazioni di acqua e/o polvere; tasti, ghiere e connettori sigillati da guarnizioni in gomma; mirino ottico chiuso da efficaci guarnizioni. Il posizionamento dei comandi è coerente al sistema reflex Sony α. La loro operabilità è basata sull’accesso diretto e la facile interpretazione di ciascuna funzione. I tasti di controllo sul retro e sulla parte superiore della α900 permettono una semplice gestione delle regolazioni e impostazioni. Ripetiamolo: ogni tasto dà accesso diretto a ciascuna funzione. Per non perdere la concentrazione sullo scatto, i comandi superiori sono disposti in maniera tale da essere utilizzati senza dover distogliere le dita dal tasto dell’otturatore. A questo proposito, le regolazioni Iso (equivalente) e bilanciamento del bianco sono accessibili con il pollice. La ghiera di controllo (Memoria 1-2-3) prevede una memoria interna per preimpostare fino a tre diversi settaggi della reflex. Altrettanto rapido è l’accesso alle regolazioni sul monitor LCD posteriore, sul quale sono visualizzate tutte le impostazioni. Infine, ma altro tanto ognuno può approfondire nel contatto diretto con la Sony α900, non bisogna dimenticare il terminale HDMI, che consente di accedere alla qualità di visione HD su televisori compatibili. Ovviamente, prima tra tutti la gamma Sony Bravia, ad alta fedeltà cromatica, con connessione automatica (è scontato). A seguire, gli accessori del sistema, tra i quali spicca il nuovo flash elettronico HVL-F58AM, con Quick Shift Bounce, ovverosia rotazione della testa dalla posizione orizzontale a verticale, per mantenere il corretto orientamento della luce: adattamento sicuro all’inquadratura verticale. Lampeggiatore con potente Numero Guida 58, controllo wireless per illuminazione a distanza (con impostazione fino a tre unità flash), tempo di ricarica di cinque secondi, regolazione automatica del bianco e parabola zoom per la copertura dall’inquadratura grandangolare 24mm all’avvicinamento tele 105mm (più diffusore a 16mm), l’HVL-F58AM è complemento ideale della reflex Sony α900, e delle altre reflex del sistema. Quindi, in chiusura, segnaliamo anche la Vertical Grip con alimentazione autonoma, gli efficaci schermi di messa a fuoco intercambiabili Super Spherical Acute Matte (già menzionati), e i complementi d’abbigliamento: protezione rigida per il monitor LCD da tre pollici, pellicola protettiva per lo stesso monitor, telecomando a infrarossi (probabilmente in dotazione), adattatore a slitta per il flash e elegante tracolla sagomata. Antonio Bordoni



AL LADRO! AL LADRO!

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Furti, furti, sempre furti. Quando potremo fare a meno di doverne parlare e riferire, quantomeno nella loro declinazione fotografica? Caso recente: la casa editrice napoletana (absit iniuria verbis) Edizioni Intra Moenia ha presentato una bella Storia fotografica d’Italia, in cinque volumi, 55,00 euro l’uno, quattro dei quali già distribuiti (1900-1921, 1922-1945, 1946-1966 e 1967-1985). La collana è dedicata agli «studiosi della storia italiana, al mondo politico, agli appassionati di fotografia, ai giovani studenti». Così almeno recita la locandina di presentazione dell’opera. Come capita spesso nel nostro paese, alcune delle fotografie pubblicate sono state riprodotte senza permesso dell’autore (rubate?). Questa abitudine italiana è talmente consolidata che, per pararsi il fondo schiena, molti editori utilizzano la seguente formula, che pubblicano in ogni libro illustrato, appena sotto il colophon e le identificazioni ufficiali di rito: «Non è stato possibile contattare tutti gli autori delle fotografie». Quindi, in consecuzio-

te inserite. Il nostro rapporto per la fornitura delle foto[grafie] è abitualmente con le agenzie fotografiche e se c’è un’agenzia che la rappresenta, siamo pronti a stabilire, anche se retroattivamente, un contatto. Ci siamo permessi di utilizzare le immagini in oggetto per due motivi: il primo è perché specifichiamo chiaramente nelle referenze fotografiche che «l’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare...»; il secondo è perché non essendo riusciti, come abbiamo detto, a prender contatto con lei, abbiamo comunque valutato che per quelle immagini erano decaduti i diritti, essendo trascorsi più di venti anni dallo scatto dell’immagine. In ogni caso, ribadiamo la nostra disponibilità non solo per quanto riguarda le due immagini già pubblicate, ma anche per le foto[grafie] che eventualmente vorrà sottoporci per l’ultimo volume della Storia Fotografica d’Italia in preparazione, relativo agli anni 1986-2008. Luigi Solito, per le Edizioni Intra Moenia.

ne, l’editore assicura che ottempererà agli obblighi di legge con gli aventi diritto che si mettano in contatto con la casa editrice stessa. Questa formula, che nasce alla fine degli anni Ottanta, non era giustificata nemmeno alle proprie origini; ma oggi, con Internet e dintorni, fa semplicemente ridere. Comunque, Attilio Wanderlingh, l’editore in questione, non l’ha utilizzata nel libro ma la applica nei confronti degli autori che gli scrivono protestando per l’abuso, come mostra questa email scritta al fotogiornalista Mauro Vallinotto, oggi photo editor del quotidiano La Stampa di Torino (non certo irreperibile), che lo ha contattato dopo aver scoperto che alcune sue immagini erano state utilizzate senza dir nulla: Gentile Mauro Vallinotto, ci scusiamo per non essere riusciti a contattarla in relazione alla pubblicazione di due sue immagini. Abbiamo provveduto ad inviarle il volume della Storia Fotografica d’Italia in cui [nel quale] le sue due foto[grafie] sono sta-

VERBA VOLANT

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ipetizione di una annotazione già riferita sulle pagine di FOTOgraphia. Tradotta letteralmente, la locuzione latina Verba volant, scripta manent significa le parole volano, gli scritti rimangono. Ai nostri giorni, questo antico proverbio è soprattutto riferito a un discorso di Caio Titus al senato romano, che sottolineò la prudenza nello scrivere: perché, se le parole si possono dimenticare facilmente, gli scritti costituiscono sempre documenti incontrovertibili. Dunque, volendo stabilire un accordo, è meglio mettere nero su bianco, in forma ufficiale (o anche solo ufficiosa), piuttosto che ricorrere ad accordi verbali facilmente contestabili. Tuttavia, ci preme notare che in origine il proverbio ha avuto una valenza del tutto opposta. In tempi nei quali i più erano analfabeti, stava a indicare che le parole viaggiano, volano di bocca in bocca, e permettono che il loro messaggio continui a circolare, mentre gli scritti restano, fissi e immobili, a impolverarsi senza diffondere il proprio contenuto. Ciò detto, personalmente seguiamo questa seconda scuola di pensiero, che poi è cronologicamente la prima. Tanto che, lo facciamo notare, nel colophon di FOTOgraphia, là dove in genere si intimano divieti e preclusioni, scriviamo: «È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo)». Cioè preferiamo la libera circolazione delle idee alla loro interdizione. Ma è vicenda personale. Altro discorso, sul quale torniamo oggi alla luce di un ennesimo furto fotografico, è quello dei diritti d’autore, che appunto spettano agli autori legittimi.

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In Storia fotografica d’Italia, delle Edizioni Intra Moenia, sono pubblicate fotografie all’insaputa dei loro autori, che così non sono stati compensati, come dovrebbe essere legittimo fare. Al solito?!


NESSUN ALTRO COMMENTO

A

lla maniera del giornalismo statunitense rappresentato nelle sceneggiature cinematografiche, la redazione dell’attuale testo si è accompagnata con una richiesta di eventuali commenti al proposito. Alle tre di pomeriggio di giovedì dodici giugno abbiamo contattato telefonicamente le Edizioni Intra Moenia, che hanno in catalogo la Storia Fotografica d’Italia (quattro volumi già pubblicati; il quinto, 1986-2008, in preparazione). Ci ha risposto Luigi Solito, che ha firmato la email inviata a Mauro Vallinotto citata nel corpo centrale: «Siete liberi di pubblicare ciò che volete [e di questo eravamo già convinti e consapevoli], nessun commento». Da parte nostra ci permettiamo di sottolineare le buone intenzioni (teoriche!) della casa editrice e caffè letterario Intra Moenia, così come le ricaviamo dalla homepage del sito Internet www.intramoenia.it. Testuale: «Le Edizioni Intra Moenia hanno come obiettivo la valorizzazione della memoria culturale, sociale e politica del nostro paese. A tal fine le collane privilegiate sono quelle delle pubblicazioni fotografiche, della saggistica, delle ricerche legate alle tradizioni regionali, della narrativa. La casa editrice è presente in tutte le principali librerie italiane ed ha sede a Napoli, in prossimità delle mura greco-romane del centro antico [via Bellini 70], da cui ha assunto il nome di “Intra Moenia” e cioè “dentro le mura”. A pochi metri dalla sede della casa editrice sorge anche il Caffé letterario Intra Moenia che, con i suoi spazi interni ed esterni, svolge da anni un importante ruolo di aggregazione culturale. La casa editrice ha attualmente in catalogo oltre duecento pubblicazioni divise in nove collane». L’avvocato Gianni Agnelli, fotografato da Mauro Vallinotto. Questa fotografia è apparsa in Storia fotografica d’Italia, delle Edizioni Intra Moenia, senza l’autorizzazione dell’autore. E senza compenso.

Attilio Wanderlingh si è comunque premurato di scrivere sui suoi libri che è vietata la riproduzione anche parziale dei contenuti del volume senza il suo preventivo permesso. Un’altra vittima dei furti è Fausto Giaccone. Anche con lui, per difendersi, la Intra Moenia ha citato la legge numero 633 del 22 aprile 1941 Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio e le sue successive modificazioni, che, all’articolo 92, testualmente recita: «Il diritto esclusivo sulle fotografie dura vent’anni dalla produzione della fotografia». Sembrerebbero escluse da questo articolo le fotografie artistiche, i cui diritti d’autore scadrebbero dopo settanta anni, come accade per le altre opere artistiche. Ma non ho trovato traccia di un articolo del genere nella legge citata. Comunque, a questo punto sono d’obbligo due considerazioni. La prima: perché, se è in vigore questa legge, ha pagato alcuni fotografi per le loro fotografie utilizzate nei libri della collana e non altri? La seconda: perché, se è convinto di pubblicare materiale fuori diritti, vieta che qualcuno possa riprodurli senza il suo consenso? Insomma un garbuglio. Fausto Giaccone si è affidato all’avvocato Salvo Dell’Arte, che è uno dei maggiori esperti italiani di diritto fotografico. Infine c’è una domanda di fondo: Attilio Wanderlingh dove si è procurate le fotografie? La cosa più probabile è che le abbia acquisite a scanner dalle pagine di una bella e ben stampata iniziativa editoriale: per esempio da Italia. Le grandi fotografie della nostra storia. 19452005, realizzata da Hachette in collaborazione con Contrasto, in edicola a fascicoli dai primi di agosto 2006 (FOTOgraphia, ottobre 2006; per gli arretrati, gli interessati possono rivolgersi all’apposito servizio dal sito www.hachette-fascicoli.it). A oggi non risulta che nessun fotografo pubblicato in questa collana si sia mai lamentato per alcun tipo di furto perpetrato da Hachette/Contrasto: basta questo a dimostrare che le iniziative editoriali possono avere successo senza necessariamente danneggiare i diritti di nessuno. Lello Piazza

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ELOGIO DELL’IMPERFEZIONE A Pier Paolo Pasolini, per quelle “notti brave” degli anni Cinquanta, quando nel bosco di San Rossore, insieme al “gobbo”, al “mancino” e quelle attricette in bianconero, ho scoperto i baci al profumo di tiglio.

L’

L’immagine fotografica è addomesticata, offesa, violata nei sentimenti etici ed estetici più profondi: tutto è merce. La fotografia più consumata è una scrittura del potere, e ovunque la vita quotidiana si misura in funzione delle immagini che diventano “pensiero comune”. A ogni livello di produzione e ricezione, la fotografia ha perso la magia dell’evento e ha acquistato il significato di concetto: l’immagine è sempre più autentica della vita.

SULLA FILOSOFIA FOTOGRAFICA DI OLIVIERO TOSCANI Quando è grande, l’autenticità della fotografia, non teme critiche né confronti: entra ovunque, anche sugli scaffali dei grandi magazzini o nelle cattedrali. Uno degli sguardi fotografici più singolari e, sotto un certo taglio, eversivi della fotografia internazionale è quello di Oliviero Toscani. La radicalità delle sue scelte in campo pubblicitario è stata ed è oggetto di scandalo da rotocalco e servizi televisivi. Tutti ne parlano. Pochi lo comprendono. Molti addetti ai lavori rimproverano a questo maestro della “comunicazione fotografica” il successo e il denaro legati ai grandi capitali dei suoi committenti; un po’ tutti dimenticano che dietro quelle grandi fotografie (non solo di dimensioni) c’è un occhio disincantato e un pensiero acuto che guarda, tocca e sconvolge i grandi temi dell’umanità: il diritto all’ambiente, il diritto alla vita, il diritto alla diversità.

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Negli anni della dittatura del gusto o della bellezza svenduta al consenso, la scrittura poetica/fotografica di Oliviero Toscani ha continuato a violare le regole del gioco che, con gli apparati pubblicitari, propagandistici o con gli strumenti della comunicazione di massa amplificano e orientano il consenso generale e il voto elettorale. Fissa o in movimento, l’immagine è regina della menzogna. Su certe immagini si fanno cadere governi, si erigono dittatori, si fanno passare le atrocità delle guerre come soluzioni umanitarie.

civiltà che dà ai propri dèi la sorte che si meritano. Cioè, che non partecipa alla fondazione dell’Impero, ma esprime quel diritto alla differenza e non confonde l’apoteosi del Vuoto con l’amore dell’uomo per i propri simili. Dietro una fotografia si nasconde un truffatore o un poeta. La Fotografia è l’incanto della mediocrità o un supplemento d’esistenza. Il linguaggio fotografico di Oliviero Toscani contiene una poetica del fuoco che è “segno”, “cammino” o semplicemente “ombra” di qualcos’altro da ciò che affigge sulle facciate delle

«Io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. Io reclamo il diritto di dire anche che i poveri possono e debbono combattere i ricchi. L’obbedienza non è più una virtù» Don Lorenzo Milani, priore di Barbiana La fotografia è una puttana che non sorride. La fotografia è l’arte dei cialtroni che difendono la propria mancanza di poesia. La fotografia è un’invenzione del mercato. È una merce, soltanto. Qualsiasi fotografia è una frode confessata e pratica del Nulla. La sola fotografia possibile è quella che distrugge i luoghi comuni di una

metropoli; e come sappiamo dai libri precristiani o da quelli corrosi dall’intelligenza luciferina, la “messa a fuoco” della realtà è sempre un risorgere verso l’uomo che sogna e ha come tetto un cielo di idee. Questo uomo in rivolta è un re senza regno, né lo vuole. Il suo regno lo coglie negli istanti scippati all’eternità dalla sua macchi-

na fotografica o dalla singolarità del suo sguardo obliquo sul reale. E poco importa se ciò che fotografa è un manifesto pubblicitario, un portatore di handicap, un condannato a morte o un ragazzo palestinese con gli occhi tristi e la fionda in mano. La sua fotografia crea l’umano ovunque posa il suo cuore. La bellezza della fotografia è un atto supremo, che coinvolge la causa e il gesto o non è niente. Oliviero Toscani ha scritto anche un “testo visivo” di notevole interesse, non solo estetico/semantico dell’immagine, La Pub est une charogne qui nous sourit / La pubblicità è una carogna alla quale sorridiamo (Éditions Hoëbeke, Parigi, 1995 [198 pagine 15x21,4cm; 15,00 euro]; non c’è l’edizione italiana), nel quale, in modo provocatorio e a tratti insolente, conferma una regola antica: il genio sa prima di conoscere. Di più. La fotografia, qualsiasi fotografia, è un veicolo che celebra la realtà o la rovescia. La fotografia, quando è un’opera d’arte, sfugge tutte le regole. Determina lo sguardo che sta all’esterno ed è in quello sguardo trasversale che ricrea un visibile nuovo. Come succede nelle opere dei grandi artisti, il linguaggio poetico di Oliviero Toscani va oltre la cosa fotografata. Al fondo delle sue immagini-rêverie c’è un’estetica del sogno, e ciò che scaraventa sulle strade del mondo sono metafore che si trascolorano in immaginari liberati. Spostamenti di pensieri che possiedono una realtà o una verità del momento e accentuano il piacere di vedere verso un al di là del sempre visto.

SULLA FOTOGRAFIA DELL’IMPERFEZIONE Le immagini dell’imperfezione esprimono un fare-fotografia che smaschera le contraddizio-


ni insegnate della fotografia come apologia del bello, e toglie i veli all’avvenimento, alla maschera, al ruolo: risveglia l’estraneamento brechtiano della presenza, che obbliga a prendere decisioni e comunicare conoscenze e argomentazioni. La fotografia dell’imperfezione è l’immagine rovesciata della realtà prostituita alle codificazioni del mercato dell’arte e della politica. La fotografia non pensa quello che sa, può pensare soltanto quello che ignora. L’ignoranza del sapere è immensa! Il divenire degli spiriti liberi è nella poesia. La poetica della bellezza sparsa nelle immagini di Oliviero Toscani porta a nuove riflessioni sulla possibilità di essere nel mondo, di abitarlo, di avere anche la possibilità di cambiarlo. Le sue immagini si spingono di là dalla realtà e dicono verità atroci su un quotidiano massificato, perso. Ogni fotografia compiuta è una metafora, e la metafisica visuale di Oliviero Toscani non trasmette verità definitive: al di là del bene e del male, racconta il disinganno della storia. Le sue fotografie sono direttamente prese dalla vita e contaminate dalla finitezza dell’arte, che è imperfezione, surrealtà, estremo amore per il dolore degli altri. Il diritto alla bellezza è una terra a parte, è una “lingua di poesia”, un’eresia orfica. È la vera utopia, cioè la critica della speranza che riparte dal vero e insorge nell’insegnamento epico di Pier Paolo Pasolini: «Fin che l’uomo sfrutterà l’uomo, fin che l’umanità sarà divisa in padroni e in servi, non ci sarà né normalità né pace. La ragione di tutto il male del nostro tempo è qui» (Le regole di un’illusione; Fondo Pier Paolo Pasolini, 1996). La bellezza iconologica dell’imperfezione si schiude alla veridicità del suo dolore, e fa dell’etica della giustizia il luogo di pubblico passaggio. La fotografia dell’imperfezione sboccia nel mondo con il bene dei giu-

sti e combatte -con tutti i mezzi necessari- l’origine del male. La fotografia non serve a nulla, come la musica di Mozart!

QUANDO L’OCCHIO DEL FOTOGRAFO SI FA COLTELLO O ELOGIO DELL’IMPERFEZIONE

L’immagine (straordinaria) di Oliviero Toscani sull’anoressia, che ha campeggiato in tutte le piazze italiane (e non solo) [FOTO graphia, novembre 2007], è forse la fotografia/icona tra le più grandi e tra le più compiute che la storia della fotografia contemporanea abbia mai espresso. Si tratta di una ragazza anoressica, fotografata nella propria disperata nudità. La fragilità del suo sguardo si mescola a quel corpo fotografato con grande pudore e restituito a un’innocenza di rara e autentica bellezza. La ragazza ci guarda, attonita. Distesa nella sua magrezza malata. Noi diventiamo specchio, riflesso di un dolore; e il suo coraggio, la sua dignità, la sua richiesta di aiuto ci invitano all’accoglienza, alla fraternità, alla condivisione di un malessere che insieme possiamo sconfiggere. In questa fotografia, Oliviero Toscani ha portato il profumo del biancospino e «nessun pensatore oserebbe dire che il profumo del biancospino non è importante per le costellazioni» (Victor Hugo). Quell’eccezionale figura della sofferenza non vibra nel clamore dei media: fa toccare i sentimenti profondi dell’amore. Si tratta di una ragazza morsa dalla malattia, ma non ha nulla da spartire con ciò che circola come simbologia della fame, del dolore o della violenza asservite alla museificazione della merce. Questa fotografia è di una bellezza tragica, quasi sacrale (ricorda la pietà laica che suscitano le immagini dell’offesa dei campi di sterminio nazisti), e proprio per questo desacralizza non solo la malattia contro la quale si fa testimone diretta, ma significa anche che la bellezza estrema o l’imperfezione elevata a poesia posso-

no portare attimi di serenità e sostegno nell’immaginale indifeso dei cuori in amore, forse. La forza immaginaria e la bellezza sognata degli angeli che Oliviero Toscani ha impresso a questa immagine-icona dell’imperfezione o dell’eresia (una delle più alte dei nostri tempi attuali e un punto di riferimento fondamentale/discriminante per l’arte, non solo fotografica, nel futuro che avanza), la proiettano all’interno della storia della fotografia e della storia dell’uomo. Il fare-fotografia di Oliviero Toscani porta in sé il respiro della creazione nuova o non prostituita al convenzionale. Nella tenerezza della sua figurazione, in questa fotografia immaginale (ma anche in molto del suo lavoro di comunicatore e artista) emerge la liberazione del linguaggio fotografico dalla grammatica o dall’insegnamento usuale, che cambia i connotati usualmente accettati e inserisce l’immagine in una situazione/struttura essenziale, più originaria, che si attiene al pensare e al poetare. Come del resto già fece nelle sue immagini contro la tortura e la pena di morte, in questa fotografia Oliviero Toscani dà senso alla parola “umanesimo”. L’immagine di Oliviero Toscani è stata censurata (dall’ottusità del sindaco di Milano, Letizia Moratti, e dal servilismo dell’assessore comunale ai Giovani Giovanni Terzi [ancora, FOTO graphia, novembre 2007]). È deplorevole per l’educazione della gioventù che certa gente abbia il potere di censurare un’opera d’arte. Gli stupefacenti residui dell’imbecillità della politica portano a riflettere sulle canaglie che fanno professione di governare. La morale non vale niente e la fede non è divina. L’ordine a venire sarà la tomba della storia, diceva. Siamo entrati in un futuro di barbarie e l’ordine che si è instaurato si fonda sul crimine istituzionalizzato. A partire dall’arte, il nostro compito è profanare i simulacri dell’impero dei mer-

canti e smascherare l’idiozia. Si deve dare libera docenza allo spirito. In risposta ai propri censori, Oliviero Toscani dice: «Moriranno eleganti, a Milano. Moriranno magri, anoressici, ma eleganti. È una città che ha paura. Una città che non ha più la generosità di una volta. Che non ha più né la fantasia, né la capacità artistica di una volta. Una città seduta, una città cattiva. Una città razzista, che non riesce a risolvere i problemi moderni come tutte le grandi città. Ci conoscono per le borse e le scarpe, che sono prodotti da terzo mondo. Non ci conoscono per i prodotti dell’ingegno» [una volta ancora, FOTOgraphia, novembre 2007]. Tutto vero. L’ordine dei bottegai, dei politici, dei preti regna ma non “governa”. L’antologia della falsità e dell’impostura della politica mostra che la sola qualità che i politici hanno acquisito è quella dell’arte d’ingannare. La filosofia dell’imperfezione del linguaggio iconografico di Oliviero Toscani contiene del genio; la sua opera tutta riflette anche la filosofia disvelata della storia. Oliviero Toscani continua a non essere capito e, sotto un certo taglio, osteggiato dalla cultura dominante. Quando ha affabulato una pubblicità di divani (per altro riuscita dal punto di vista estetico ed eccezionale nella propria ironia etica, visionaria), con uomini vestiti in abiti femminili, i giannizzeri dell’ordine dominante hanno cominciato ad accendere i roghi. Non importa essere randagi, maledetti o incompresi, per fare dell’arte. Basta essere poeti. Non solo in fotografia, la poetica dell’imperfezione è legata intimamente, e a doppio taglio, con l’etica della giustizia e l’estetica della bellezza, che sono le due diverse facce della stessa qualità: la virtù e l’eccellenza. La fotografia è sempre un mezzo, mai un fine. La scrittura fotografica di Oliviero Toscani contiene la consapevolezza che la giustizia non è

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inseparabile dalla bellezza. «Se abbiamo esperienza della bellezza, possiamo comprendere a fondo le catastrofi dell’ingiustizia moderna. Infatti, essa è quasi sempre orribile: parola che esprime, senza distinzione, qualcosa che suscita contemporaneamente ripugnanza e paura, qualcosa di inaccettabile, senza distinzione, tanto esteticamente quanto moralmente» (Luigi Zoja; Giustizia e bellezza, Bollati Boringhieri, 2007). In questo senso, la fotografia di Oliviero Toscani offre il bello sui valori del giusto e il suo lavoro lo proietta tra i protagonisti della fotografia contemporanea. La fotografia dell’imperfezione è una critica radicale della vita quotidiana. Disvela l’ineguaglianza dello sviluppo (del mercato mondiale del dolore) e non cade nelle trappole o nel-

le lusinghe delle democrazie dello spettacolo. Modifica il rapporto della fotografia dei corpi con qualcosa d’altro. Fa dei corpi dei fotografati il sale della Terra; vale a dire applica al linguaggio fotografico il princìpio estetico ed etico del disorientamento, che previene la buffoneria o lascia emergere l’epicità della loro storia. La fotografia dell’imperfezione è l’immagine rovesciata della realtà prostituita alle codificazioni del mercato dell’arte e della politica. A ogni nuovo dolore o paura, dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e bellezza che saremo riusciti a conquistare in noi stessi. L’intelligenza di un’anima in volo, è tutta qui. Pino Bertelli (Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 22 volte maggio 2008)

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