Mensile, 5,70 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano
ANNO XVI - NUMERO 148 - FEBBRAIO 2009
Reportage MARCUS BLEASDALE
Riflessione DALLA PHOTOKINA
FOTOGRAFIA NATURALISTICA
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Che può sperare di buono il reporter idealista, se deve ringraziare l’inesauribile fantasia e creatività del male se riesce a scattare qualche fotografia non noiosa? Piero Raffaelli su questo numero, a pagina 50
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È FOTOgraphia, BELLEZZA. Non so se Lello Piazza e Pino Bertelli, due prestigiose, qualificate e autorevoli firme di FOTO graphia, si conoscono, si siano mai incontrati. Neppure vado a verificarlo: basterebbe una telefonata, oppure una domanda specifica in una delle occasioni nelle quali li incontro, soprattutto Lello Piazza, che mi è geograficamente più vicino. Di certo so che, comunque sia, non si frequentano, e vivono ciascuno per conto proprio: uno in una Brianza che aspira a diventare provincia, l’altro a Piombino, dove la sua anarchia ha avuto modo di nascere, crescere e coccolarsi tra consensi fraterni. Così, confezionando questo numero della rivista, realizzato con testi scritti e inviati in tempi diversi, nell’arco di quattro mesi, ho avuto modo di sorridere, perché ho visto confermata almeno una delle idee che accompagnano i miei pensieri quotidiani, attraversandoli con impertinente costanza. In particolare, mi riferisco alle coincidenze, che, come spesso annoto, «sarebbero i soli accadimenti che possano far sospettare che la vita abbia senso» (anche da Alla Photokina e ritorno, edizione libraria presentata su questo stesso numero, da pagina 56). Lello Piazza, titola È la stampa, bellezza una sua preziosa e apprezzata annotazione/segnalazione (a pagina 17); in contraltare, Pino Bertelli si esprime analogamente nel suo odierno Sguardo su (Gianni Berengo Gardin, a pagina 64): «questa è la fotografia, bellezza». Ripeto e confermo: non so se Lello Piazza e Pino Bertelli si conoscono. Però, adesso so che entrambi conoscono la cinematografia di Humphrey Bogart, e la sanno richiamare a tempo debito. «È la stampa, bellezza. E tu non ci puoi fare niente... niente!»: nei panni del giornalista-editore Ed Hutcheson del The Day di New York, in L’ultima minaccia, di Richard Brooks (Deadline - U.S.A.; 1952), appassionante film sul tema della libertà di stampa. M.R.
Sono un clown, e faccio raccolta di attimi [da Henrich Böll]
Copertina Con questa straordinaria espressività di un cinopiteco Macaca nigra, l’italiano Stefano Unterthiner si è imposto nella categoria Animal Portraits - Mammals del BBC Wildlife Photographer of the Year 2008. L’inquadratura orizzontale completa a pagina 36
3 Fumetto Dalla copertina dell’Intrepido, del 23 luglio 1964. In tempi nei quali non si badava a questo, una ipotesi assolutamente scorretta dello sport femminile. Terribile gioco di parole. Domanda: chi ha vinto? L’atleta poco attraente al primo posto o l’avvenente seconda arrivata? Preferiamo astenerci da ogni giudizio. Limitiamoci alla sola registrazione della presenza della fotografia
7 Editoriale Grazie per le risposte al Sondaggio europeo TIPA 2009. Ma! Dove sta il linguaggio fotografico?
8 Meditazione profonda 56
Senza tanti giri di (inutili) parole, avvertimenti, rilevazioni e commenti per il proficuo avvicinamento all’ottima riflessione Meditazione e fotografia, dell’autorevole Diego Mormorio. Non ci si lasci intimorire, né dal titolo né dallo spessore dell’autore. Il testo è più che scorrevole: da leggere come un romanzo
10 Notizie Attrezzature, vicende e altre segnalazioni
12 Saga Vietnam 12
Con l’occasione del cinquantesimo anniversario della Nikon F (1959-2009), una prima rievocazione dal cinema. Appunto, la Nikon Photomic FTn ben impugnata dall’attore Barry Pepper, nei panni del soldato-fotografo Joe Galloway: in We Were Soldiers, di Randall Wallace, del 2002. Prima rievocazione, alla quale altre ne seguiranno nel corso dell’anno Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
YOUSUF KARSH
17 È la stampa, bellezza «È la stampa, bellezza. E tu non ci puoi fare niente... niente!»: Humphrey Bogart nei panni del giornalista-editore Ed Hutcheson in L’ultima minaccia (1952).
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Con intermezzo di feste comandate, rispettate anche dai quotidiani, che hanno saltato qualche uscita a Natale e Capodanno, dal venti dicembre al dieci gennaio Il Giornale ha riservato quindici titoli di prima pagina a Antonio Di Pietro. E non ha smesso di farlo anche nelle settimane seguenti. Parafrasando Humphrey Bogart: È la stampa, bellezza. Ma di regime!
FEBBRAIO 2009
R , RIFLESSIONI IFLESSIONI, OSSERVAZIONI E COMMENTI OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA SULLA FOTOGRAFIA
18 Reportage
Anno XVI - numero 148 - 5,70 euro
Appunti e attualità del fotogiornalismo internazionale A cura di Lello Piazza
DIRETTORE
RESPONSABILE
Maurizio Rebuzzini
IMPAGINAZIONE
24 Un ottimo lavoro
Gianluca Gigante
Per categorie, i vincitori della quattordicesima edizione del Czech Press Photo. Con commenti
Angelo Galantini
REDAZIONE FOTOGRAFIE Rouge
SEGRETERIA
29 Addio Betty Betty Page è mancata giovedì undici dicembre. Da queste pagine, in diverse occasioni abbiamo riferito della sua personalità e del fenomeno collegato e conseguente. A questo punto, il nostro saluto è più che doveroso: obbligatorio, addirittura. Solo questo di Maurizio Rebuzzini Ricerca iconografica di Ciro Rebuzzini
Maddalena Fasoli
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34 Occhio sulla natura Il BBC Wildlife Photographer of the Year (WPOY) è il più prestigioso concorso di fotografia naturalistica del mondo. Le sue segnalazioni e indicazioni rappresentano lo stato dell’arte di un genere fotografico che osserva la Vita dal proprio interno di Lello Piazza
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COLLABORATO
Pino Bertelli Antonio Bordin Antonio Bordoni Loredana Patti Lello Piazza Le Quinte elementari di Pove del Grappa (2007-2008) Piero Raffaelli Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Luca Ventura Amedeo Vergani Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604, fax 02-66981643; graphia@tin.it. ● FOTOgraphia è venduta in abbonamento.
40 L’isola che c’è Svolta con le due quinte elementari di Pove del Grappa, in provincia di Vicenza, Vivere con le immagini è stata una straordinaria esperienza di comunicazione visiva di Angelo Galantini
HANNO
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47 A proposito di reportage
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Da Visa pour l’Image, intervista con Marcus Bleasdale, autore di un coinvolgente progetto sul Congo. A completamento, ma con scarto a lato volontario, annotazione di Piero Raffaelli sul ritratto giornalistico di Lello Piazza
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56 Soprattutto... e ritorno
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Alla Photokina e ritorno: spunti per una riflessione utile e proficua all’intero comparto della fotografia. Tredici capitoli (più uno), lunghi centosessanta pagine di Antonio Bordoni
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Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano
Rivista associata a TIPA
62 Professionale autentica Sistema modulare decentrabile Silvestri Bicam
64 Gianni Berengo Gardin Sguardo su un interprete della fotografia del reale di Pino Bertelli
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www.tipa.com
Alla Photokina e ritorno Annotazioni dalla Photokina 2008 (World of Imaging), con richiami e riferimenti che non si esauriscono con il solo svolgimento della Photokina Riflessioni, Osservazioni e Commenti sulla Fotografia: spunti utili e proficui sia al comparto tecnico-commerciale sia al mondo della fotografia espressiva e creativa
• centosessanta pagine • tredici capitoli in consecuzione più uno • trecentoquarantatré illustrazioni duecentosettantuno a colori dodici in viraggio seppia sessanta in bianconero
Alla Photokina e ritorno di Maurizio Rebuzzini 160 pagine 15x21cm 18,00 euro.
F O T O G R A P H I A L I B R I Graphia srl • via Zuretti 2a - 20125 Milano • 02-66713604 • graphia@tin.it
ANDREA PACELLA
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iuro di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. Così come, allo stesso tempo, affermo solennemente di non erigermi a giudice, di non calcolare le vite altrui con il mio metro di misura, di non esprimere formule matematiche esatte e incontestabili. Ovvero: ognuno ha diritto di vivere come meglio crede, e nessuno può censurare nessuno. Come annoto spesso: a ciascuno, il suo. Rilevo soltanto alcune incongruenze che accompagnano la vita quotidiana in fotografia, prendendo la mia (vita) a solo titolo di esempio: per quanto limitato e parziale, adeguatamente significativo per ciò che vado a considerare. Mi riferisco a due situazioni specifiche, e presto individuate. Una è adeguatamente pubblica: il Sondaggio europeo TIPA 2009, riportato sullo scorso numero di dicembre di FOTOgraphia, e sui fascicoli coevi di altre ventisei riviste europee. La seconda è sostanzialmente privata, come possono esserlo quelle di molti di noi: la frequentazione di un gruppo fotografico italiano (non importa quale: la parte per il tutto). Assolutamente diverse, almeno in origine, le due situazioni hanno un tragico tratto in comune: affrontano la fotografia soprattutto (magari TIPA soltanto) dal punto di vista tecnico dei suoi strumenti, escludendo la riflessione sulla materia e il linguaggio. Così che, il Sondaggio si preoccupa soprattutto delle dotazioni tecniche degli interpellati, ai quali chiede nulla riguardo il proprio rapporto con la Fotografia. È stato declinato soltanto attorno l’attrezzatura fotografica, peraltro azzerata alle consecuzioni dell’era digitale (comunque, FOTOgraphia sta ricevendo questionari nei quali alcuni interpellati annotano di scattare con pellicola). Con l’occasione, ringrazio tutti quanti hanno risposto al Sondaggio. Zigzagando tra le domande, rilevo però che non viene richiesto nulla attorno l’immagine; per esempio, non si chiede qual è l’ultimo libro fotografico acquistato, né si vuole sapere se l’interpellato ne acquista per la propria crescita fotografica. Invece, si vuole sapere molto, magari non tutto, su come scatta e stampa le proprie fotografie, e su cosa intende acquistare nell’immediato futuro. In allineamento, anche il gruppo fotografico che frequento esclude dalle proprie considerazioni il proficuo scambio di esperienze, letture e riflessioni sull’immagine. Addirittura, quando un socio consulta un libro, lo fa di nascosto, tenendolo sotto il tavolo, come si faceva, sotto il banco, con le rivistine erotiche dei tempi della scuola dell’obbligo. E allora? Conclusione: pur non volendo imporre a nessuno (altri) ritmi fotografici che mi riguardano, una volta ancora e una di più ribadisco che Fotografia non è soltanto un esercizio tecnico, che pure è, con l’accompagnamento inviolabile di indiscutibili consecuzioni collegate. Fotografia è linguaggio: magari dipendente anche dalla tecnica, ma soprattutto riferito alla propria espressività. Maurizio Rebuzzini
Un giorno qualsiasi, un momento qualsiasi, nella redazione di FOTOgraphia.
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MEDITAZIONE PROFONDA
A
Avvertimento del quale fare tesoro: stiano lontani da Meditazione e fotografia, in stretto ordine temporale la più recente riflessione di Diego Mormorio, uno dei più accreditati e prestigiosi affabulatori della fotografia, e non soltanto, coloro i quali pensano che le più esuberanti apparenze dei nostri giorni siano in qualche modo e/o misura collegabili a una idea di Fotografia (come spesso certifichiamo, Maiuscola consapevole e volontaria). Allo stesso tempo, se ne disinteressino bellamente, altrettanto bellamente, anche coloro i quali non ammettono, né riconoscono, la consecuzione senza soluzione di continuità tra le raffigurazioni visive dell’antichità e le successive formazioni e manifestazioni dei linguaggi pittorico e, per quanto ci riguarda, fotografico. Già... lessico fotografico: a un tempo tanto autonomo e autoreferente, ma altrettanto conseguente da quanto tanto l’Uomo ha espresso nei secoli, attraverso le epoche. Con queste due semplici avvertenze, nella propria sostanza inevitabili, non intendiamo esercitare alcuna coercizione, né intimare alcun ordine perentorio: semplicemente, se lo desidera, ognuno se ne stia a casa sua, comodo e confortato dalle proprie certezze e convinzioni. Però! Però, se si gradisce l’incontro, si sente bisogno di confronti e ci si vuole arricchire di considerazioni a lungo meditate (appunto, Meditazione e fotografia), quanto accertate con scrupolo, questo testo è esattamente ciò che serve. Da sé, l’autore Diego Mormorio è già una garanzia. Se serve farlo, richiamiamo qui la straordinaria “Breve genealogia della fotografia”, pubblicata con Sellerio Editore, nel 1985: nella concretezza delle sue poche pagine (i volumoni più imponenti spesso sopperiscono alla qualità con l’apparenza di una esuberante quantità), Una invenzione fatale, di Diego Mormorio, è a tutti gli effetti una delle più importanti riflessioni sulla nascita della fotografia, indispensabile per coloro i quali sanno che la
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crescita dipende anche, o forse soprattutto, dalle radici. E poi, come siamo avvertiti in margine all’attuale Meditazione e fotografia, «Diego Mormorio si occupa in particolar modo dei rapporti tra la fotografia e la cultura filosofica e letteraria. Da alcuni anni si interessa soprattutto al tema della rappresentazione della bellezza e della natura, con particolare riguardo al paesaggio». Oltre quello appena evocato, tra i suoi titoli ricordiamo ancora e anche Gli scrittori e la fotografia (Editori Riuniti, 1988), Un’altra lontananza (Sellerio, 1997), Storia della fotografia (Newton Compton, 1996), Paesaggi italiani del ’900 (Motta, 1996), Vestiti. Lo sguardo degli italiani in un secolo di fotografie (Laterza, 1999). Ancora di più, come narratore, Diego Mormorio ha pubblicato La lunga vacanza del barone Gloeden (Peliti, 2002), La regina nuda. Delazioni e congiure
Meditazione e fotografia (Vedendo e ascoltando passare l’attimo), di Diego Mormorio; Contrasto, 2008 (via degli Scialoia 3, 00196 Roma; 06-328281; www.contrastobooks.com, customer@contrastobooks.com); 168 pagine 15x21cm; 40 illustrazioni al testo; 19,00 euro.
nella Roma dell’ultimo Papa Re (Il Saggiatore, 2006) e W Garibaldo. Tre racconti garibaldini (Punctum, 2007). Dell’attuale e straordinario Meditazione e fotografia, che sottotitola Vedendo e ascoltando passare l’attimo, diciamo nulla. Deve essere una sorpresa, deve essere avvicinato e affrontato senza mediazione altrui (senza la nostra, quantomeno). Al caso, soltanto avvertimenti di carattere pratico e logistico. Uno: non ci si lasci intimorire, né dal titolo né dallo spessore dell’autore. Pur non sorvolando su nulla, pur affrontando tematiche di assoluta profondità, il testo è più che scorrevole, tanto da poter essere letto come un romanzo. Magari, non sdraiati a letto, prima di dormire (e per questo consigliamo i Gialli Mondadori, dei quali siamo avidi consumatori), ma comodi in poltrona, sì (magari con accompagnamenti a piacere: a me il Toscano, a ciascuno altro il suo). Due: matita a portata di mano. Le annotazioni a margine, per sintesi personale e individuale, non sono richieste ufficialmente, ma si impongono da se stesse. Tre: munirsi anche di un qualsivoglia segnalibro (basta un semplice cartoncino qualunque), da tenere nelle pagine delle Note, che cominciano alla pagina 154. L’autore Diego Mormorio fa abbondante uso di rimandi e richiami, che ha la cortesia di specificare nel dettaglio: fino al rimando alla pagina del testo originario ripreso a esempio o conforto. Quattro, e poi basta: Se qualcuno dovesse considerare il suo costo eccessivo, ma diciannove euro sono niente in relazione ai contenuti del libro (diciannove euro per arricchire la propria conoscenza fotografica fino a orizzonti inattesi sono veramente una bazzecola), faccia una scelta saggia. Lasci pure perdere Alla Photokina e ritorno, sul quale ci attardiamo da pagina 56, e comperi questo Meditazione e fotografia. Certo, costa un euro in più, diciannove contro diciotto, ma ne vale veramente la pena. M.R.
SAFARI. Si allunga la lista delle Leica in edizione speciale, che ora registra la prima della più attuale tecnologia digitale: Leica M8-2 in finitura Safari. Tiratura limitata a cinquecento esemplari. Al solito, l’efficacia ed efficienza tecnica, in questo caso finalizzata all’impiego in condizioni ambientali difficili e avverse, si allinea con il gusto e valore del prodotto unico, perché diverso dallo standard. Calotta, fondello, retro e rivestimento con finitura in Vulcanite, una delle discriminanti del sistema Leica a telemetro, sono ricoperti da un resistente trattamento color verde oliva, che restituisce un aspetto unico e proietta questa versione nel consistente e remunerativo mondo del collezionismo internazionale. La calotta della Leica M8-2 Safari è incisa con le diciture tradizionali, mentre tutti i comandi e gli elementi operativi sono rifiniti in argento cromato, perfettamente coordinati con gli obiettivi (altrettanto) cromati. L’attuale finitura Safari ha un proprio riferimento esplicito con le Leica Bundeswehr (M2, M1 e M4 per l’Esercito tedesco), ben quotate in ambito antiquario. Completa l’edizione limitata Leica M8-2 Safari l’obiettivo Elmarit-M 28mm f/2,8 Asph in finitura argento anodizzato, con tappo anteriore allineato. In coordinato con apparecchio fotografico e obiettivo, una borsa fotografica Billingham con raffinata tracolla in pelle di vitello e logotipo Leica. (Polyphoto, via Cesare Pavese 11-13, 20090 Opera Zerbo MI).
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SEMPRE PIÙ ZEISS. Inviolabili romantici, ma anche inviolabilmente legati a doppio filo con espressioni solide e certe della tecnica fotografica, registriamo come e quanto la tedesca Carl Zeiss si accodi con squisita convinzione alle esuberanti personalità dei nostri giorni. Così, annotiamo due significative novità: da una parte, sottolineiamo che il particolare sistema ottico Carl Zeiss, che affonda le proprie radici indietro nei decenni, tutti vissuti da protagonista, si allarga ora alle reflex Canon; in simultanea, si annuncia la disponibilità della più recente interpretazione del fantastico disegno ottico Distagon T* 21mm f/2,8. In questa sequenza. La gamma di obiettivi Carl Zeiss ZE, che si affianca alle precedenti baionette Nikon (ZF) e Pentax (ZK), oltre a un residuo di innesto a vite 42x1 (ZS), estende al sistema ottico Canon EF la leggendaria qualità di disegni rigorosamente a focale fissa e messa a fuoco inviolabilmente manuale. Sia con re-
flex Eos analogiche, sia con reflex Eos ad acquisizione digitale di immagini, gli obiettivi Carl Zeiss ZE trasferiscono le informazioni operativa per via elettronica. Ciò significa che vengono conservate tutte le simulazioni originarie, dall’esposizione automatica con ogni priorità (ai diaframmi, ai tempi di otturazione o programmata) alla regolazione manuale dei singoli valori. Analogamente, l’autofocus si allinea alla regolazione manuale della distanza di ripresa. Inoltre, dove previsto, attraverso la simulazione Exif, la reflex riceve l’informazione della lunghezza focale in uso, utile e necessaria ai calcoli di esposizione. Ancora, i Carl Zeiss ZE conservano la simulazione lampo Canon E-TTL. La disponibilità di focali comincia con i Planar T* 50mm f/1,4 ZE e 85mm f/1,4 ZE (a sinistra, in basso), due interpretazioni che hanno già contribuito a scrivere importanti capitoli della storia evolutiva del linguaggio fotografico, e altri si apprestano a compilare. A seguire, la gamma si completerà con le altre focali della famiglia Carl Zeiss. In questo senso, come anticipato, si deve rubricare la più recente versione dell’ipergrandangolare Carl Zeiss Distagon T* 21 f/2,8 (qui a sinistra), subito disponibile in baionetta Nikon e Pentax, rispettivamente codificate ZF e ZK, alle quali farà poi seguito la baionetta Canon EF (ZE, nel codice Carl Zeiss). Già conosciuto nell’interpretazione Contax reflex, questo disegno replica condizioni ottiche antiche, opportunamente riviste. Oggi il gruppo ottico dispone di elementi flottanti, che assicurano un’ottima qualità di immagine dal centro ai bordi del fotogramma (del sensore digitale, anche full frame), a
ogni apertura di diaframma. Anche in condizioni di luce difficili, la qualità formale è garantita dal rivestimento T*, che si traduce di riduzione ottimale dei riflessi residui e severa correzione cromatica. A fuoco da 22cm, il Carl Zeiss Distagon T* 21mm f/2,8 realizza avvincenti prospettive, estendendo la propria azione fotografica dall’architettura al paesaggio, al fotogiornalismo. (Fowa, via Tabacchi 29, 10132 Torino).
MACRO. Già disponibile in configurazione dedicata ad altre reflex, l’anulare Sigma EM-140 DG si propone ora anche in versione per reflex Sony, con allineamento agli automatismi di esposizione dell’efficace sistema α (Alpha). Ovviamente, è indirizzato alla fotografia macro, alternativamente con indirizzo professionale e (addirittura scientifico) e non professionale. I suoi due bulbi flash laterali possono essere attivati simultaneamente oppure separatamente, per realizzare illuminazioni con ombra di profondità. Al riferimento canonico di 100 Iso, il Numero Guida 14 assicura una efficace illuminazione ravvicinata. La funzione Modeling Flash permette il controllo dei riflessi e delle ombre prima dello scatto; è possibile usarlo in modalità wireless. Quindi, la sincronizzazione ad alta velocità High Speed e la compensazione dell’esposizione favoriscono tecniche avanzate di illuminazione. In dotazione, anelli adattatori di 55mm e 58mm di diametro. (Mamiya Trading, via Cesare Pavese 31, 20090 Opera Zerbo MI).
SAGA VIETNAM
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Nel corso dell’attuale 2009 ricorrono, e si celebrano, cinquant’anni di Nikon F, prima reflex 35mm a sistema, la cui produzione è certificata dal 20 marzo 1959 (da Nikon Pocket Book, di Peter Braczko; Editrice Reflex, 1995). Prima di altro, rimaniamo proprio a questo testo, che precisa la supervisione di Giulio Forti, titolare della casa editrice e direttore del mensile Fotografia Reflex. Qual è il valore di questa supervisione, e perché la sottolineiamo? Perché la combinazione individuata Nikon-Giulio Forti è radicata indietro nel tempo, fino ad affondare le proprie radici nel Libro Nikon, copertina rossa, del 1970, opera fondamentale per l’intero sistema foto-
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grafico nel proprio complesso, ma ancora di più per la Nikon F, che ora approda al proprio cinquantenario. Giulio Forti fu l’autore sia del testo sia delle immagini di quella preziosa edizione, ai tempi indispensabile per le Nikon di importazione irregolare (prive di libretto di istruzioni), che allora circolavano in consistente quantità: altro discorso.
AL CINEMA Ovviamente, la celebrazione della Nikon F, che ospiteremo in uno dei prossimi numeri di FOTOgraphia, non può prescindere dalla combinazione con il cinema, argomento per il quale vantiamo una certa competenza, altresì culminata nella produ-
zione di due significative mostre a tema (entrambe a cura di Maurizio e Filippo Rebuzzini): Fotografia & Cinema. Fotogrammi celebri, alla Galleria Grazia Neri, di Milano, nel gennaio-febbraio 2007; Fotogrammi. Fotografi e fotografia nel cinema, esposta nell’ambito del LuccaDigitalPhotoFest 2008, gli scorsi no-
Tre annotazioni fotografiche dal film We Were Soldiers: la Nikon F impugnata in modo realistico, coinvolgente dissolvenza e battaglia violenta (con fotografia).
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ALTRO VIETNAM
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ome certificato nel corpo centrale dell’attuale intervento redazionale, sono tanti gli attraversamenti della Nikon F nei film sul Vietnam. Non è il caso richiamarli tutti, quantomeno in questa occasione; magari potremo censirli quando celebreremo ufficialmente i cinquant’anni dal 1959 di origine (della Nikon F). Però, con tutto, e in anticipo su molto, qui e ora non sorvoliamo sul fotogiornalista (anonimo), interpretato da Dennis Hopper nell’epocale Apocalypse Now, di Francis Ford Coppola, del 1979: Nikon F nera.
vembre-dicembre (rispettivamente con il supporto di HP/Hewlett-Packard e Sony; FOTOgraphia, dicembre 2006 e maggio 2007 e poi, ancora, novembre 2008). Presente in tutte le ricostruzioni cinematografiche della guerra in Vietnam, sul grande schermo (ma ormai soprattutto Dvd), come è ampiamente noto e riconosciuto, la Nikon F -proprio “F”, senza pentaprisma esposimetrico Photomicha raggiunto la propria apoteosi con Blow up, di Michelangelo Antonioni: con relativa proiezione nel
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costume e socialità internazionali. Era il 1966: in qualche misura, tra le mani del fotografo Thomas (l’attore David Hemmings), a tutti gli effetti il protagonista della vicenda, narrata attorno le sue azioni e a partire da queste, la Nikon F è coprotagonista indiscussa del film. Per una generazione, come anche per generazioni successive, è stata una autentica folgorazione. Avvolti dal racconto cinematografico, siamo stati anche ammaliati dalla presenza continua e costante di quella Nikon F, che abbiamo osservato con intre-
Nel film We Were Soldiers, nella scena madre di una violenta battaglia, il soldato-fotografo Joe Galloway, interpretato dall’attore Barry Pepper, è incerto sul suo dovere principale di fotografare e quello, altrettanto sentito, di aiutare i compagni. Lascia la Nikon Photomic FTn, per imbracciare un’arma.
pida commozione e partecipazione. Il resto sarebbe arrivato dopo. Quindi, se bisogna individuare e sottolineare una data in qualche modo e misura discriminante, dobbiamo giocoforza richiamarci a Blow up, che ha affascinato milioni di spettatori in tutto il mondo. Però, diavolo, alla metà degli anni Sessanta, la Nikon F fluttuava già nell’aria da una mezza dozzina di stagioni: dal 1959 di origine, esattamente cinquant’anni fa.
APPUNTO, VIETNAM Tra le tante rievocazioni cinematografiche della guerra in Vietnam, ferita ancora aperta nella coscienza statunitense, dal punto di vista mira-
to della Nikon F, questa volta Photomic, è particolarmente significativo il film We Were Soldiers, di Randall Wallace, del 2002. Orientati come siamo, non richiamiamo qui altre combinazioni fotografiche della sua sceneggiatura/scenografia, che sono veramente tante ed eterogenee, per concentrarci proprio e soltanto sulla Nikon Photomic FTn, in finitura nera, tra le mani del soldatofotografo Joe Galloway, interpretato dall’attore Barry Pepper. In particolare, come illustriamo in queste pagine, va registrata la scena madre di una violenta battaglia, durante la quale Joe Galloway è incerto tra il suo dovere principale di fotografare e quello, altrettanto sentito, di aiutare i compagni. Così, lascia la Nikon Photomic FTn, per imbracciare un’arma. Alla fine, dopo i combattimenti, con effetto cinematografico puntuale, la reflex gli viene restituita da un commilitone [a destra]. A questo punto rileviamo, rivelandole, due delle molteplici annotazioni fotografiche che accompagnano questa combinazione cinematografica tra Nikon F, in versione Photomic, e scenografia. Anzitutto, richiamiamo l’attenzione sull’efficacia delle dissolvenze che passano dall’azione del fotografo allo scatto realizzato, con relativa restituzione in bianconero della fotografia, fissa sullo schermo (cinematografico o televisivo che sia). Analogamente, e in con-
Dopo la battaglia, la Nikon Photomic viene restituita al soldato-fotografo Joe Galloway.
secuzione, non ignoriamo l’energia e potenza visiva dell’effetto filmico della sovrapposizione intermedia alla dissolvenza, che segue l’inquadratura dedicata al soldato-fotografo in azione e precede quella dello scatto in bianconero: un poco di uno e
qualcosa dell’altro, che per qualche istante congelano una sintesi più che affascinante. Coinvolgente addirittura [a pagina 12]. Infine, come non apprezzare il gesto interpretativo dell’attore Barry Pepper, classe 1970, una delle nuove star di Hollywood (lo troviamo anche in Flags of Our Fathers, di Clint Eastwood, ispirato dalla e alla celebre fotografia di Joe Rosenthal, dei marine che issano la bandiera statunitense sul monte Suribachi, sull’isola di Iwo Jima; richiamo più recente in FOTOgraphia dello scorso maggio 2008). Nei panni del soldato-fotografo Joe Galloway, Barry Pepper tiene tra le mani la Nikon in modo assolutamente realistico e convincente, con l’obiettivo appoggiato al palmo sinistro e l’indice della destra sul pulsante di scatto [ancora a pagina 12]. Per confronto (impari!), riguardatevi come tengono le macchine fotografiche gli attori italiani. Da ridere, avendone la voglia. M.R. Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
È LA STAMPA, BELLEZZA
È
È la stampa: di regime, però! Con tutto quello che stava succedendo in Italia e nel mondo, soprattutto in Palestina, dal venti dicembre al dieci gennaio uno dei più importanti quotidiani a diffusione nazionale, Il Giornale, di proprietà di Paolo Berlusconi, ha dedicato il settantacinque per cento delle volte il titolo di testa della prima pagina ad Antonio Di Pietro [in parata, in questa pagina]. E ha continuato a farlo nelle settimane successive. Forse perché il suo partito, l’Italia dei Valori, è l’unica vera forza di opposizione del governo, soprattutto per quello che riguarda il lodo Alfano e il problema della giustizia, e il capo del governo è fratello del proprietario del quotidiano? C’è un detto dalle mie parti: A pensà ma’ sa fa pecà... ma se sbaglia mai [brianzolo: a pensare male, si fa peccato... ma non si sbaglia mai]. L.P.
Dal venti dicembre al dieci gennaio, sulla prima pagina del Giornale quindici repliche dell’Antonio Di Pietro show.
Questa rubrica riporta notizie che sono appartenute alla cronaca. Però, nel loro richiamo e riferimento molti motivi ci impediscono di essere tempestivi quanto la cronaca richiederebbe. Ciononostante riteniamo giusto proporle, perché siamo convinti che non abbiano perso la propria attualità, e continuino a offrire spunti di riflessione.
DEL CONFONDERE IL PARTICOLARE PER IL TUTTO. Ancora a proposito di Il Giornale, nel numero dell’otto gennaio, uno dei pochi scampati alla replica di Antonio Di Pietro [sulla precedente pagina 17], a commento della nevicata su Milano, Paolo Granzotto chiede aiuto alla fotografia (una bella immagine del Castello, con la fontana gelata in primo piano), imponendole un esaltante richiamo, «Ecco il pianeta surriscaldato», per il suo articolo La balla spaziale [qui sotto]. Nel testo afferma che milioni di imbecilli, scienziati e persone comuni che si preoccupano della salute del mondo naturale, osano sostenere che il pianeta si sta scaldando. Ma guardino ’sta fotografia! Non vedono che freddo della madonna fa qui da noi, a
Taroccate due immagini della guerra a Gaza: nel Giornale del trentuno dicembre e cinque gennaio.
(in basso, a destra) Un momento attivo di Fotografica 08, la settimana Canon della fotografia svoltasi a Milano, presso lo spazio Forma, dal ventisette al trenta novembre.
Il Giornale dell’otto gennaio invita i propri lettori a confondere tempo con clima: una nevicata a discapito del dato scientifico acquisito del surriscaldamento del pianeta.
casa nostra, sotto i nostri occhi? Non vedono che nevicata? Ora, nessuno impedisce a un giornalista di esprimere ragionamenti e scrivere stupidità (evito di ipotizzare che ci sia dietro un discorso di acquisizione di favori da quel mondo industriale che vede la lotta al riscaldamento e il protocollo di Kyoto come ostacoli ai propri affari), ma un direttore dovrebbe ast%enersi dal pubblicarli (a meno che anche lui stia facendo incetta di favori). Vorrei ricordare che il riscaldamento globale è un dato scientifico acquisito, fuori da ogni discussione. L’Organizzazione Meteorologica Mondiale, l’agenzia internazionale che dal 1951 coordina le osservazioni meteorologiche di tutto il mondo, ribadisce che il 2008 è stato il decimo anno più caldo dal 1850 (il settimo in Italia dal 1800, dati Cnr-Isac). A questo proposito, Jeremy Rifkin, presidente della Foundation on Economic Trends, ricorda che non bisogna confondere il tempo con il clima e che per capire dove va il clima occorre osservare i lunghi periodi, prendere in considerazione le serie degli anni, non una nevicata durata un paio di giorni. NON È ACCANIMENTO, MA! Ancora Amedeo Vergani, al quale dobbiamo la segnalazione del seminario di Parigi sul fotogiornalismo [pagina accanto], ci ha comunicato che il Consiglio regionale dell’Ordine della Lombardia, nella propria funzione di “tribunale” della professione, prenderà in esame al più presto il caso di due immagini pubblicate da Il Giornale [terzo richiamo, dopo i
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due appena precedenti] il trentuno dicembre e cinque gennaio. Riguardanti la guerra a Gaza, le immagini sono accusate di essere state realizzate manipolando fotografie giornalistiche dell’agenzia Ap con l’inserimento di elementi estranei presi da altre fotografie (peraltro, si tratta di combinazioni grossolane, roba da forbici e colla [qui sopra]). Secondo il sito www.lsdi.it (Libertà di Stampa Diritto all’Informazione), questo è quanto avrebbe assicurato il presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, Letizia Gonzales. Per ulteriori informazioni: www.fotogiornalisti.eu. Oltre che sulla legittimità o meno della manipolazione (certa) delle fotografie originali, il Consiglio regionale dell’Ordine dovrà valutare anche il fatto che il quotidiano ha pubblicato entrambe le immagini (illustrazioni) senza informare il lettore che si stava trattando del frutto di una “libera manipolazione” eseguita dalla redazione. GRANDE SUCCESSO. Che sarebbe stato un successo, lo si capiva già dalla folla presente giovedì sera, ventisette novem-
bre, nelle sale di Forma, all’apertura di Fotografica 08 - La settimana Canon della fotografia. Poi, cinquemila visitatori in quattro giorni (settantacinque per cento in più rispetto l’anno scorso, alla prima edizione) hanno quantificato un valore definitivo. Non occorrerebbe aggiungere altro, se non fosse doveroso un riconoscimento a tutti coloro che ci hanno lavorato, creando i presupposti del successo. Non riesco a citare tutti in prima persona, ma almeno le figure chiave le devo ricordare. Comincio dallo staff Canon, Marinella Gori e Marika Gherardi, Massimiliano Ceravolo e Marco Di Lernia. Poi vorrei ricordare coloro che, oltre agli stessi Ceravolo e Di Lernia, sono stati sul palco la sera dell’apertura: da Grazia Neri, sempre puntuale nei suoi interventi, a Roberto Koch, dell’Agenzia Contrasto, uno dei creatori di Forma, da Camila Raznovich, conduttrice televisiva e appassionata di fotografia di viaggio, a Tim Hetherington, World Press Photo of the Year 2008 (FOTOgraphia, aprile e novembre 2008), a Denis Curti, responsabile di Forma, che ha condotto la serata. Tra gli altri personaggi di Fotografica 08 vanno segnalati ancora e anche i fotografi Giovanni Gastel e Massimo Sestini (FOTOgraphia, settembre 2008) Mostre, letture di portfolio, brevi workshop [pagina accanto] hanno animato i quattro giorni della manifestazione, fino al trenta novembre. Biglietto di ingresso: «Offre Canon», come è stato giustamente annunciato. Bene, grazie Canon. Però, lasciatemi concludere annotando che il personaggio più importante è stato il pubblico. Canon e altri non se ne abbiano a male: grazie infinite al pubblico. È soprattutto del pubblico che abbiamo bisogno per realizzare i nostri sogni sulla fotografia. GRAZIA NERI PASSA LA MANO. Con una decisione a lungo ponderata, il diciannove dicembre, Grazia Neri, la regina della fotografia italiana, ha abbandonato
dinaria vitalità, un sottile intuito, una lunga e profonda esperienza navigherà ancora con molta perizia e per molti anni nel vasto mare delle manifestazioni della fotografia. Continuerà ad avere l’abituale ruolo di protagonista nei festival, alle mostre, nelle giurie, alle letture di portfolio e ai seminari che animano il panorama fotografico internazionale.
il ruolo di presidente della sua agenzia, che fondò quarantuno anni fa e ha governato in queste quattro decadi. I più importanti quotidiani italiani, La Repubblica, il Corriere della Sera e La Stampa, hanno dato rilievo a questa notizia [qui sopra, la pagina della Stampa del ventidue dicembre]. A Grazia Neri, succede il figlio Michele, che assume la carica di amministratore unico, dopo essere stato, negli ultimi dieci anni, direttore dell’agenzia. Michele Neri subentra in un momento difficile: la crisi economica, ma prima ancora la crisi dell’editoria, i grandi cambiamenti nel mercato dell’informazione visiva, i rischi del web rappresentano i “Ciclòpi” e i “Léstrigoni” che dovrà affrontare. Dunque, i nostri più affettuosi auguri per la sua impresa. Dopo cinquanta e rotti anni di lavoro in prima linea, Grazia Neri intende dedicarsi allo studio della fotografia e alla realizzazione di progetti personali in cantiere da anni. Del resto, non ci aspettavamo che si mettesse in pensione. Dotata di una straor-
Lunedì ventidue dicembre, La Stampa ha riservato una intera pagina a Grazia Neri, che il precedente diciannove ha lasciato la presidenza della sua agenzia fotografica.
IL FOTOGIORNALISMO È MORTO (?). Ma neppure io, mi sento tanto bene. Sulla copertina dell’autorevole American Photo del settembreottobre 1996 era strillata la domanda: Il fotogiornalismo è morto? [qui sotto]. Anche se allora non era certamente ancora morto, la sua salute non era già delle migliori, e anche oggi sembra soffrire di una malattia debilitante. A proposito di questo tema -la morte del fotogiornalismo-, attorno il quale si dibatte da lunghissimo tempo, da anni e anni prima della data ricordata dell’autunno 1996, diamo notizia di un seminario che si è tenuto a Parigi il tredici e quattordici dicembre scorsi, organizzato da Efj (European Federation of Journalist), associazione continentale che rappresenta circa trecentomila giornalisti di più di trenta paesi (http://europe.ifj.org/en). La segnalazione arriva da Amedeo Vergani, fotogiornalista, presidente del Gsgiv (Gruppo di Specializzazione dei Giornalisti dell’Informazione Visiva della Fnsi, Federazione Nazionale della Stampa Italiana, il sindacato dei giornalisti), con il qua-
American Photo del settembreottobre 1996 si è domandato se Il fotogiornalismo è morto. Sul tema della salute del fotogiornalismo si è tenuto un seminario a Parigi.
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le da lungo tempo intratteniamo un rapporto cordiale. In rappresentanza della Fnsi, oltre a Amedeo Vergani, a Parigi era presente Marina Cosi, delegata alla Commissione Europea sul lavoro dei giornalisti freelance. Tra i temi affrontati, i più importanti sono stati quelli della organizzazione sindacale degli addetti al settore, della sicurezza sociale, delle tariffe e delle nuove realtà all’interno del regime di libera concorrenza, della libertà di esercizio della professione, del rispetto del diritto d’autore. Durante i lavori, i rappresentanti Fnsi hanno illustrato tre punti discriminanti nel nostro paese: uno, la “storica” disattenzione nei confronti della figura del fotogiornalista da parte degli organismi che governano la professione giornalistica in Italia (Sindacato, ma soprattutto Ordine); due, l’espulsione totale dagli staff redazionali di fotogiornalisti garantiti da un contratto di lavoro, in particolare giornalistico (Cnlg Fnsi/Fieg); tre, il blocco totale da almeno quindici anni delle tariffe pagate ai liberi professionisti. Su questo terzo punto riferisco integralmente l’illuminante commento che Amedeo Vergani ha riportato nel suo comunicato ufficiale: «Oltre che dalla volontà degli editori di spendere il meno possibile, il blocco si è determinato dall’offerta straripante di informazione visiva immessa sul mercato da una miriade di strutture commerciali di pura intermediazione (le cosiddette “agenzie fotografiche”), che, non finanziando la produzione delle immagini che vendono e traendo i propri profitti a percentuale rispetto al volume d’affari realizzato, basano la propria competitività nel libero mercato stabilendo tariffe che tengono in scarsissimo conto la positività, o meno, dei ritorni economici concreti che ne derivano ai fotoreporter che hanno realizzato e finanziato le produzioni da loro intermediate. Il tutto, tra l’altro, in un circuito vizioso che, minando la sopravvivenza professionale del produttore, danneggia la qualità professionale del prodotto. Quin-
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di, si registra l’inconsistenza dei compensi (casi diffusissimi di circa due euro a fotografia pubblicata) pagati ai collaboratori scriventi che forniscono ai quotidiani anche le immagini correlate ai propri servizi. Ancora, determinato dalla sempre più grave crisi economica del settore, il fenomeno del frequentissimo ricorso da parte di larghe fasce di fotoreporter a forme di produzione fotogiornalistica finanziate -anziché con mezzi propri o dei giornali committenti- da entità totalmente estranee al giornalismo, ma con forti interessi a orientare il lavoro dei colleghi ai propri fini pubblicitari, propagandistici o comunque di natura contrastante con il diritto dei lettori a una informazione libera da condizionamenti e da conflitti e commistioni di interessi. Infine, non va sottovalutata l’impossibilità di trarre tutti i benefici previsti dal diritto d’autore, causata dall’ambiguità del testo di legge, laddove non distingue con chiarezza tra immagini giornalistiche e “fotografie semplici” (in quanto tali soggette, per esempio, a tutela per soli venti anni per quanto riguarda lo sfruttamento dei diritti economici)». DISPATCHES. Da metà dicembre è disponibile il secondo numero del quadrimestrale Dispatches, pubblicazione di valore, illustrata con immagini puntuali, dalla veste editoriale impeccabile e ricca di spunti che riguardano il mondo dell’informazione visiva. Tra le altre, in questo secondo numero sono pubblicate le fotografie del superbo reportage di Yuri Kozyrev (dell’agenzia Noor)
Secondo numero del quadrimestrale Dispatches, dedicato all’Iraq; appunto, Beyond Iraq. Tra altro, fotografie di Yuri Kozyrev e fumetti di Jeff Danziger.
Reportage Beyond Iraq, di Yuri Kozyrev, sul secondo numero del quadrimestrale Dispatches.
sull’Iraq [al centro, in basso]. Quindi, segnaliamo i fumetti di Jeff Danziger, sempre sull’Iraq, paese al quale è dedicata l’intera edizione: appunto, Beyond Iraq [qui sopra]. Una presentazione è consultabile al sito www.rethinkdispatches.com. Creata in collaborazione con l’agenzia fotografica VII, Dispatches è diretta da Mort Rosenblum (www.mortrosenblum.net), giornalista americano di primo piano, e Gary Knight, fotogiornalista, uno dei fondatori della VII (FOTOgraphia, febbraio 2004). La grafica della pubblicazione, efficace ed elegante, è frutto della creatività di Gary Knight e di Giorgio Baravalle, uno dei più quotati e apprezzati grafici italiani, da tempo residente a New York, dove ha creato la raffinata casa editrice De.MO (FOTOgraphia, marzo 2006). Dispatches è stampata a Milano, da Grafiche Milani. Un numero costa 12,50 euro; per abbonamenti: subscriptions@rethink-dispatches.com. PASSION & PROFESSION. Dal venti al ventidue febbraio, il Toscana Photographic Workshop organizza a Milano la seconda edizione di Passion & Profession, dopo il successo della prima, che si è svolta a Montepulciano, a fine giugno 2008 (FOTOgraphia, maggio 2008): tre intense giornate presso lo
studio Il Fischio, area Fabbrica del Vapore, via Procaccini 4. Per informazioni: 051-6440048; www.tpw.it, info@tpw.it. La prima giornata è dedicata alla Fotografia fine-art; relatori: Gigi Giannuzzi, editore Trolley (Inghilterra); Emiliano Paoletti, direttore di Zone Attive (Festival Fotografia Roma); Denis Curti, direttore dell’Agenzia Contrasto (Milano) e di Spazio Forma; Valeria Moreschi, responsabile Mostre di Fnac Italia. La seconda al Reportage di viaggio; relatori: Andrea Pistolesi, fotografo; Mariella Sandrin, photo editor di Focus; Marco Pinna, National Geographic Italia. Nella terza si parla di Documentary photography; relatori: Grazia Neri; Olivia Arthur, Magnum Photos; Tiziana Faraoni, photo editor di L’Espresso; Bruno Stevens, fotografo. UN AFFETTUOSO ADDIO. Giorgio Mondadori è mancato il dieci gennaio, a novantuno anni [qui sotto]. Figlio di Arnoldo, fondatore della più grande azienda editoriale del nostro paese, Giorgio Mondadori è stato uno degli ultimi “veri” editori italiani. Ha creato una prestigiosa casa editrice, che, a partire dall’inizio degli anni Ottanta, ha realizzato almeno un paio di testate assolutamente innovative, come Airone (innanzitutto) e AD, seguite poi da Gardenia, Bell’Italia, Arte, Antiquariato, Millelibri e Bell’Europa. Queste sue riviste hanno fatto della qualità delle fotografie pubblicate l’arma principale del proprio successo. In particolare, Airone ha con-
Il ritratto ufficiale del presidente degli Stati Uniti Barack Obama è stato realizzato da Pete Souza con una Canon Eos 5D Mark II.
Giorgio Mondadori, figlio d’arte, fondatore dell’Editoriale che porta il suo nome, è mancato il dieci gennaio, a novantuno anni.
tribuito in modo fondamentale alla promozione dell’“idea verde” nel nostro paese. Giorgio Mondadori è stato un editore all’antica, che ha puntato soprattutto sul proprio fiuto del pubblico. Ricordo ancora con molto affetto una colazione avuta con lui nel 1988, reduce da una visita alle redazioni di Stern e Geo, ad Amburgo, in Germania. Cercavo di convincerlo dell’importanza di realizzare strumenti statistici di analisi del mercato, per valutare il gradimento delle nostre riviste da parte dei lettori, in particolare di Airone per la quale ero direttore delle fotografia. Dall’alto della sua esperienza, Giorgio Mondadori mi rispose che l’editore era lui, e che capire i gusti del pubblico era il suo lavoro. Grande! E raro! I problemi editoriali della sua impresa cominciarono agli inizi degli anni Novanta. Forse fu consigliato male. Forse fu l’infausto allontanamento di un uomo di grande esperienza come Giorgio Trombetta Panigadi (che portò il progetto Airone a Giorgio Mondadori, nel 1980). Sta di fatto che nel 1992, anno in cui Gruner+Jahr e Arnoldo Mondadori lanciano Focus, un mensile di grande successo, ci fu l’infelicissima esperienza di Familia, un periodico pensato appunto per la famiglia, la cui direzione fu affidata a Massimo Balletti, già direttore di Playboy Italia, divorziato due volte, forse non la persona più adatta per dirigere un mensile di quel tipo. Sei numeri, poi la chiusura; sei miliardi (di vecchie lire) persi. Una perdita economica importante, nel momento in cui la casa editrice aveva realizzato un grande investimento per la nuova prestigiosa sede di via Andrea Monti, lungo l’Alzaia del Naviglio Grande. Fu una nuvola tempestosa su un momento di gloria, durante il quale si parlava addirittura di un quotidiano. Da quel colpo, l’Editoriale Giorgio Mondadori non si risollevò, e nel 1999 fu acquistata, sull’orlo della bancarotta, da Urbano Cairo, che ne è tuttora il proprietario.
Giorgio Mondadori ha avuto un ruolo importante anche nella fondazione del quotidiano La Repubblica. UFFICIALMENTE DIGITALE. La prima fotografia digitale utilizzata come immagine ufficiale del presidente degli Stati Uniti è stata scattata con una Canon Eos 5D Mark II. È Barack Obama il presidente che inaugura l’epoca digitale nelle fotografie della Casa Bianca: per la prima volta il ritratto del primo cittadino degli Stati Uniti, che sarà esposto in tutte le ambasciate del mondo e negli uffici governativi, è stata scatta con una macchina fotografica digitale, ripetiamo con una Canon Eos 5D Mark II [qui sotto]. Ne è autore il fotogiornalista Pete Souza, già fotografo ufficiale del presidente Ronald Reagan, che anni fa aveva “coperto” l’ingresso al senato di Barack Obama per conto del Chicago Tribune, ed ora è stato nominato capo dei fotografi della Casa Bianca. La fotografia-icona di Barack Obama è stata scattata senza flash, martedì tredici gennaio. Chi volesse scaricarne una copia lo può fare al sito http://change.gov/page/-/officialportrait.jpg.
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(CATTIVA) BUONA NOTIZIA. In FOTOgraphia dello scorso ottobre abbiamo scritto che il Senato della Romania aveva stabilito che i telegiornali e i giornali-radio romeni avrebbero dovuto avere ogni giorno un’equa parità tra cattive e buone notizie. A metà di dicembre, la Corte Costituzionale rumena ha abolito la legge, giudicandola una violazione della libertà di espressione. CHIUDE TUTTOTURISMO. La storica testata dell’Editoriale Domus cessa le pubblicazioni. Così almeno, lunedì dodici gennaio, l’editore ha comunicato a Nicoletta Salvatori, il direttore. La notizia conferma la crisi che da anni minaccia il settore delle riviste di viaggio in Italia (e non solo: anche Geo France ha ridotto a meno di duecentomila le copie vendute, dal mezzo milione abbondante degli anni scorsi). Nata come supplemento di Quattroruote, nel dicembre 1977, TuttoTurismo è diventata mensile autonomo nel maggio 1978. «TuttoTurismo è una testata storica, che insieme a poche altre ha contribuito notevolmente allo sviluppo di un settore strategico per l’Italia, ovvero i viaggi, il turismo, l’enogastronomia», ha commentato Saverio Paffumi, responsabile del Dipartimento freelance dell’Associazione lombarda dei giornalisti e collaboratore della rivista. E ha poi aggiunto che la chiusura minaccia soprattutto i collaboratori esterni, autori della maggior parte degli articoli pubblicati e della totalità delle fotografie. Amedeo Vergani, uno dei fotogiornalisti storici di viaggio, ha osservato: «Per molti freelance gli orizzonti diverranno davvero da disperazione. Infatti, soprat-
Auguri da Visa e arrivederci alla settimana professionale: a Perpignan, dal trentuno agosto al sei settembre.
(a destra) Auguri da Angelo Mereu e Lello Piazza.
La Garzantina Sport è illustrata con fotografie dall’Archivio fotografico Omega Fotocronache, di Milano.
Sul sito di TuttoTurismo (www.edidomus.it /turismo/) la campagna abbonamenti sembra attiva. Ma l’editore ne ha annunciata la chiusura.
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tutto per i fotoreporter, la situazione attuale è già ora al limite del collasso totale, perché da tempo il mercato è in costante riduzione; per giunta, in una realtà straripante di offerte di reportage messi a disposizione gratuitamente da enti turistici e uffici stampa si affaccia, elemento ancor più determinante, un esorbitante numero di addetti disposti a tariffe sempre più inconsistenti pur di lavorare». Però, visitando il sito di Tutto Turismo (www.edidomus.it/turismo/ [a sinistra, in basso]), la campagna abbonamenti è tuttora attiva: speriamo che ciò rappresenti la possibilità di un ripensamento da parte dell’editore. CRISI ANCHE PER NATIONAL GEOGRAPHIC. Ogni anno, a gennaio, il National Geographic organizza un summit a Washington, presso la sede della Society, invitando un centinaio di fotografi e altri personaggi del mondo della fotografia. A dicembre, David Griffin, il director of photography, ha annunciato che l’incontro sarebbe stato cancellato. E a rimandato tutto al prossimo gennaio 2010. SINTESI DI SPORT. Le Garzantine sono preziose monografie enciclopediche ad argomento. A fine anno è uscito il volume dedicato allo Sport, curato da Claudio Ferretti e Augusto Frasca: seimilacento lemmi e sessantaquattro illustrazioni fuori testo (1680 pagine 14,2x21cm; 45,00 euro [qui accanto]). Tutte le fotografie sono attribuite all’Archivio fotografico Omega Fotocronache, di Milano. Quindi, segnaliamo che il suo padre-padrone Vito Liverani, classe 1929, lo stesso che ha assegnato gli ambìti premi per la fotografia di sport (puntualmente registrati da FOTOgraphia), è una delle voci dell’enciclopedia. È facile trovarlo: nell’alfabetico precede il Liverpool Football Club. AUGURI DA VISA. Forse per festeggiare il ventesimo compleanno, celebrato lo scorso settembre, Visa pour l’Image ha
mandato un bell’augurio per il Natale e l’Anno Nuovo. Con un ritrattino, sono presenti tutte le persone coinvolte nell’organizzazione del Festival [qui sopra]. Gli auguri contengono anche l’invito a partecipare alla settimana professionale del corrente 2009: a Perpignan, dal trentuno agosto al sei settembre.
AUGURI DA ANGELO (E LELLO). Da quando esiste la posta elettronica (ormai quasi vent’anni), molti inviano via web gli auguri più bizzarri. I fotografi utilizzano spesso una loro immagine. A questo proposito, segnalo la fotografia inviata da Angelo Mereu, brillante e creativo autore non professionista (FOTO graphia, giugno 2004, giugno e novembre 2005). Riprendendo la sua fotografia [qui sopra], auguro a mia volta Buon Anno a tutti i lettori. A cura di Lello Piazza
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UN OTTIMO LAVORO
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Sullo scorso numero di FOTOgraphia, abbiamo segnalato il vincitore assoluto del quattordicesimo Czech Press Photo: David W. Cerny (Reuters), per una immagine di un colossale incidente automobilistico avvenuto il venti marzo sull’autostrada D1, nella Repubblica Ceca [fotografia riproposta qui sopra]. In quella occasione, abbiamo promesso di tornare sull’argomento, con le fotografie prime classificate nelle sezioni dello stesso Czech Press Photo 2008 (dell’edizione 2007 abbiamo riferito in FOTOgraphia del luglio 2008). Insistiamo a parlare di questo concorso per fotogiornalisti cechi e slovacchi, perché chi lo organizza fa un ottimo lavoro. È ammirevole che due paesi così piccoli manifestino una così grande attenzione alla giornalismo per immagini.
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Czech Press Photo 2008, primo premio assoluto: David W. Cerny (Reuters). Colossale incidente automobilistico avvenuto il venti marzo sull’autostrada D1, nella Repubblica Ceca (primo premio anche nella categoria Spot News).
GIURIA 2008
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Everyday Life (anche Sony Junior Award): Jakub Skokan (freelance); la giornata di Lukas, un ragazzo down, che consideriamo il lavoro migliore tra quelli presentati al Czech Press Photo 2008.
ipetiamo la composizione della giuria del Czech Press Photo, già riferita lo scorso dicembre: Claude Andreini, fotografo, Belgio (residente a Portogruaro, in provincia di Venezia); Ruth Eichhorn, photo editor Geo, Germania; Kristian Feigelson, professore di Cinema e Media, Università della Sorbona, Parigi, Francia; Amanda Hopkinson, curatore di mostre e professore universitario, Gran Bretagna; Peter Korniss, fotografo, Ungheria; Sergei Maximishin, fotografo, Russia; Grazia Neri, presidente dell’Agenzia Grazia Neri, Italia; Marian Pauer, giornalista, Slovacchia; Andrej Reiser, fotografo dell’agenzia Bilderberg, Repubblica Ceca; Ji?í Stivín, musicista, regista e fotografo, Repubblica Ceca; Lello Piazza, giornalista, Italia.
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General News: Michal Novotny ( Lidové noviny); servizio sui militari cechi in Afghanistan.
Sports: Joe Klamar (Afp); servizio dedicato all’African Cup of Nations 2008.
Portraits: Martin Kollar (freelance); curioso e intrigante reportage sui cuochi nell’esercito.
Nature and Environment: Hynek Glos ( Lidové noviny); servizio sullo zoo di Mosca.
Arts and Entertainment: Michal Cizek (Afp); divertentissimo racconto sulle Majorettes di Horni Lhota, uno dei corpi di ballo più famosi d’Europa, le cui ballerine hanno un’età compresa tra i cinquantasette e i settantadue anni.
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Cominciamo, dunque, richiamando ancora David W. Cerny (Reuters), fotografo dell’anno come appena ricordato, che è risultato vincitore anche nella categoria Spot News [a pagina 24]. Il Premio speciale della città di Praga è andato a Martin Sidorjak (Agency Getphoto), per il suo servizio Bicycles [pagina accanto]. Nelle altre categorie principali, in ognuna delle quali Sony ha assegnato ulteriori propri Junior Awards a fotografi di età inferiore a venticinque anni [riquadro sulla pagina accanto], si sono affermati: ❯ General News: Michal Novotny (Lidové noviny), con un servizio sui militari cechi in Afghanistan [a sinistra, in alto]; ❯ People in the News: Michal Krumhanzl (CTK), con immagini riguardanti il presidente della Repubblica Ceca Klaus Václav, che premia Adelka Strakova, una giovane disabile; ❯ Sports: Joe Klamar (Afp), con un servizio sull’African Cup di calcio per nazioni [a sinistra, al centro]; ❯ Portraits: Martin Kollar (freelance), con un curioso e intrigante reportage sui cuochi nell’esercito [a sinistra, in basso]; ❯ Nature and Environment: Hynek Glos (Lidové noviny), con un bel servizio sullo zoo di Mosca [qui sotto];
SONY JUNIOR AWARDS
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iconoscimenti trasversali a ogni categoria del Czech Press Photo 2008, riservati a fotografi di età inferiore a venticinque anni: ❯ Tomas Halasz (Tasr): Spot News; ❯ Dominik Hejtmanek (freelance): General News [in basso, a sinistra]; ❯ Iva Maresova (Ab Radio): People in the News; ❯ Marcel Truchly (freelance): Sports; ❯ Jakub Skokan (freelance): Everyday Life; ❯ Tomas Brabec (freelance): Portraits [in basso, a destra]; ❯ Marcel Truchly (freelance): Nature and Environment [qui sotto]; ❯ Pavla Ortova (freelance): Arts and Entertainment.
❯ Arts and Entertainment: Michal Cizek (Afp), con un divertentissimo racconto sulle Majorettes di Horni Lhota [paesino della Repubblica Ceca], uno dei corpi di ballo più famosi d’Europa, le cui ballerine hanno un’età compresa tra i cinquantasette e i settantadue anni [pagina accanto]. Per altri premi rimandiamo alle didascalie alle fotografie, ma merita un discorso a parte il vincitore della categoria Everyday Life, Jakub Skokan (freelance), che si è aggiudicato anche il Sony Junior Award nella stessa categoria, con una serie di immagini che raccontano la giornata di Lukas, un ragazzo down [alle pagine 24 e 25]. Questo, a mio parere, è stato il lavoro migliore tra quelli presentati, anche se si tratta di un fotogiornalismo non strettamente legato alle news. Lello Piazza
Premio speciale della città di Praga: Martin Sidorjak (Agency Getphoto); per il servizio Bicycles.
Unhcr Prize: Alzbeta Jungrova (Vlp); reportage sui bambini che producono mattoni in Pakistan.
Unicef Prize, assegnato da una giuria di bambini: Joe Klamar (Afp); per l’Aids in Ghana.
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urioso e da riferire. Venerdì dodici dicembre, quando le agenzie di stampa hanno diffuso la notizia della morte di Betty Page, una delle icone del Ventesimo secolo, una di certo tipo di icone, ho ricevuto telefonate e messaggi di condoglianze. Non sto scherzando, non ce ne sarebbe motivo, ed è andata proprio così. La prima telefonata, mi ha messo a disagio, lo confesso, perché sulle prime non ho capito il soggetto della comunicazione: «Mi spiace per la tua amica», è stato l’esordio, che mi ha precipitato nello smarrimento più totale; «so quanto le eri legato, e ti estendo la mia partecipazione». Ho risposto sui generis, perché ancora non avevo collegato. Poi, nella ripetizione di chiamate, ho finalmente capito che chi mi conosce sa del mio interesse per Betty Page, e lo ha esteso addirittura al cordoglio per la sua morte, peraltro in età plausibile: ottantacinque anni. Ora, è chiaro che ne sia rimasto dispiaciuto, ma. Ma fino a un certo punto, e non certo per emozione esistenziale primaria: ho altri riferimenti quotidiani che, sinceramente, mi stanno più a cuore. Comunque, ho ringraziato -e ancora da qui ringrazioquanti mi hanno espresso la propria solidarietà. Nella successione delle giornate e dell’esistenza, ci sta pure l’affezione a Betty Page, per qualcuno Bettie Page (e io preferisco Betty).
RIMANDI Sull’onda e in riferimento a diversi richiami, FOTO graphia ha affrontato la fenomenologia di Betty Page in diverse occasioni. Non mi chiamo fuori, e confermo che i precedenti articoli sono stati tutti compilati da me: settembre 1997, otto pagine con collegamento abbinato in copertina (Betty Page nel vetro smerigliato della Pacemaker Speed Graphic, del 1947-1963, di Memorabilia - Forme ed estetica della fotografia, una delle rubriche redazionali del tempo); marzo 2001, in presentazione del fumetto Pin-up, di Yann [Le Pennetier] e [Philippe] Berthet,
ADDIO BETTY Betty Page è mancata a Los Angeles, lo scorso undici dicembre, a ottantacinque anni: era nata il 22 aprile 1923, a Nashville, nel Tennessee. FOTOgraphia si è spesso occupata del fenomeno visivo e di costume nato e cresciuto attorno la sua figura e, perché no, leggenda. A questo punto, il nostro saluto è più che doveroso. Obbligatorio, addirittura
in edizione italiana Eura Editoriale, sei pagine e mezzo con abbinamento tra realtà fotografica, diciamola così, e invenzione disegnata; maggio 2006, ancora altre otto pagine, a supporto e sostegno del successo internazionale del film The Notorious Bettie Page, che poi non sarebbe arrivato in Italia, a parte la sua anticipazione al qualificato Torino Film Festival dell’autunno successivo. L’iconografia di Betty Page è edificata soprattutto sulle serie fotografiche realizzate all’inizio degli anni Cinquanta dal newyorkese Irving Klaw, peraltro evocato nel fumetto Pin-up, di Yann e Berthet, pubblicato in Italia da Eura Editoriale. Ogni serie di Irving Klaw è formata da sequenze nelle quali Betty Page interpreta evocazioni esplicitamente erotiche (per quei tempi). Qui, due pose da una danza orientale, realizzata anche in otto millimetri a colori, oggi disponibile in Dvd.
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A questo punto non riprendiamo quanto abbiamo già riferito, approfondendo i termini di un fenomeno visivo tra i più affascinanti e coinvolgenti del nostro tempo (opinione assolutamente personale). Nell’ambito dei tre precedenti interventi redazionali abbiamo già detto/scritto tutto quanto c’è da sapere su Betty Page, con contorno di sue interpretazioni grafiche e proiezioni sul costume. Gli interessati, possono riprendere tra le mani i singoli fascicoli e rileggere, se reputano il caso di farlo. Noi, la piantiamo qui.
PERSONALMENTE Soltanto, ancora qualche testimonianza personale, non certo privata. Ho parlato al telefono con Betty Page una mezza dozzina di volte. All’indomani della sua scomparsa, non certo prematura, oggi ricordo con commozione la sua voce calda e cantilenata. Chiedetemi pure di riconoscere le inflessioni e i dialetti lombardi, con fantastica capacità di distinguere il bergamasco dal bresciano e dal cremonese, ma non pretendete la stessa abilità con le cadenze americane. Per cui, non posso né confermare né smentire la leggenda secondo
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la quale una evidente melodia sudista avrebbe impedito a Betty Page di intraprendere la carriera cinematografica alla quale avrebbe ambìto: al proposito, sono disarmato. Però posso testimoniare della sua pacatezza, anche quando ha affrontato temi per lei autenticamente spinosi. Il primo contatto, al quale ne ho fatti seguire altri, per mio solo piacere, fu sollecitato dal suo rammarico per quella che considerava ingratitudine nei suoi confronti. Con chiarezza e direttamente: sperava di ottenere remunerazioni dalla continua e perpetuata pubblicazione di sue fotografie. E su questa questione controversa non ho potuto né confortarla, né darle ragione, quantomeno dal punto di vista ufficiale. Se poi, qualcuno avesse voluto aiutarla... tutt’altra storia.
A sinistra, sulla pagina accanto, un esempio significativo della fotogenia di Betty Page, edificata sull’intensità dello sguardo e una affascinante personalità, dalla quale è nato il suo fenomeno visivo. Nel ricordo di Betty Page, due curiosi dietro-le-quinte. In allineamento con il giornalismo internazionale, i quotidiani italiani hanno dato ampio risalto alla morte di Betty Page, rievocandone per l’occasione la personalità e richiamandone il fenomeno. Per esempio, La Stampa e La Repubblica, di sabato tredici dicembre, con rispettivi richiami in prima pagina.
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Due pose di Betty Page morigerate e lontane dall’evocazione erotica per la quale è conosciuta e sulla quale sono stati sceneggiati i numerosi fumetti che ne hanno ripreso i connotati. L’elenco e il casellario dei titoli è vasto ed eterogeneo: a ciascuno, la propria ricerca, magari aiutata dal nostro primo articolo su Betty Page, del settembre 1997.
A questo punto, c’è da rilevare che il fenomeno Betty Page, così come lo conosciamo e conteggiamo oggi, è nato proprio in Italia, per merito della encomiabile casa editrice fiorentina Glittering Images (edizioni d’essai; www.glitteringimages.it). Soprattutto tre titoli compongono un trittico bibliografico di inestimabile valore, ricco di dati, considerazioni, riferimenti e storiografie, oltre che arricchito con cronologie fondamentali sul fenomeno dei fu-
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metti e delle vicende ispirate al modello originario: The Glamorous Betty Page (Cult Model 1950’s Book One; 1989), Dedicated to Betty Page (ancora Cult Model 1950’s - Book Two; 1990) e The Sexy Files of Betty Page (immancabilmente Cult Model 1950’s - Book Three; 1991). Di uguali dimensioni, 24x31cm, e analoga veste redazionale, con testi in italiano, inglese e francese, senza scendere in altri dettagli editoriali, qui e oggi superflui, le tre monografie sono state curate da Marco Giovannini, Riccardo Morlocchi, Stefano Piselli e Bernardino Zapponi; rispettivamente, centoventotto, centoventi e centoventotto pagine. Infine, una notazione personale, che spero non arrivi alle orecchie delle autorità competenti in materia: tutte le licenze dei miei software privati e di quelli in uso alla redazione di FOTOgraphia e al mio studio professionale sono intestate a Betty Page. Se dovessi farlo, ora che è mancata, mi sarà più difficile giustificarmi, o anche solo motivare questa curiosità. Allo stesso modo, per tutti i miei accessi in Internet e altrove, la Password è immancabilmente “BettyPage” o “BettiePage”, in grafie alternate e modificate secondo i casi. Ah, dimenticavo, sono analogamente definiti anche i vari Hard Disk, interni o esterni, dei computer sotto mio controllo. No, non cambierò le loro denominazioni. Nonostante tutto, Betty Page è e rimarrà una delle costanti di costume attorno a me, alla mia vita. Addio Betty Page. Maurizio Rebuzzini Ricerca iconografica di Ciro Rebuzzini
OCCHIO SUL P
Wildlife Photographers of the Year Portfolio n.18; 90 fotografie; 160 pagine 26x26cm, cartonato con sovraccoperta; 49,00 euro. In vendita online dalla libreria specializzata HF Distribuzione: www.hfnet.it (Casella Postale 56, 13100 Vercelli).
erentorio. La fotografia naturalistica è il genere di fotografia più bello che ci sia. Chi la pratica insegue le forme di vita più emozionanti, per aspetto e comportamento, nei luoghi più straordinari della Terra. Chi la pratica va forse alla ricerca della radici della vita, dei progenitori, dell’Eden scomparso. Ho esercitato per anni questo genere di fotografia. Io e il mio complice, un caro amico e maestro di natura, Oliviero Dolci, abbiamo passato notti nascosti in un capanno accanto a un nido di allocco, per fotografarne l’andirivieni; sudati, intere giornate in palude, divorati dai tafani, per riprendere avocette e cavalieri d’Italia; indugiato gelidi pomeriggi invernali, pronti a scattare davanti a un acquario dove si era creato un ambiente adatto a notonette, scorpioni d’acqua e portasassi. Si cominciò negli anni Settanta. A un Sicof (Salone Internazionale Cine Foto Ottica e Audiovisivi; 1973, tempi gloriosi per la fotografia, dei quali sentiamo nostalgia), Egidio Gavazzi fondò la Società Italiana di Caccia Fotografica (riquadro a pagina 37), proponendo di sostituire il fucile con il teleobiettivo. Io e Oliviero Dolci aderimmo subito. Eravamo fotografi della natura principianti, impacciati e incompetenti. In Italia non c’erano libri sui quali imparare. Quelli di noi fortunati, che passavano da Londra, facevano bottino da Foyles dei libri di Eric Hosking (il mago delle riprese al nido con il flash) o dei coffee table book della Audubon Society, pieni di immagini straordinarie sulle quali si sognava. In quei tempi, in Italia imperversava il neorealismo fotografico, la fotografia sociale, la Magnum Photos, la Galleria Il Diaframma di Lanfranco Colombo: andavi lì con una fotografia naturalistica e ti guardavano come un minus habens. Dall’intellighenzia fotografica del nostro paese, il National Geographic Magazine, che pubblicava anche reportage naturalistici, era considerato una sciocca rivista che guardava il mondo attraverso lenti rosa. Nei suoi bollet-
Organizzato dalla BBC, con la partecipazione attiva del Natural History Museum di Londra, il Wildlife Photographer of the Year è il più prestigioso concorso di fotografia naturalistica del mondo. Le sue segnalazioni e indicazioni rappresentano lo stato dell’arte di un genere fotografico che osserva la Vita dal proprio interno 34
tini, il WWF proponeva soltanto fotografie di disastri e mostrava non quanto era bello il mondo naturale che si voleva difendere, ma quanto era brutto il risultato della distruzione. Sì, certo la distruzione era orribile (è ancora orribile). Ma che aspetto aveva l’ambiente prima di essere distrutto? A maggio 1981, arriva Airone, altra geniale intuizione di Egidio Gavazzi. Il mensile è pieno di bellissime fotografie del mondo naturale: finalmente si impara a conoscere quello che bisogna proteggere. Gli iscritti al WWF crescono esponenzialmente: il bello della natura conquista gli italiani. Anche i fotografi naturalisti aumentano di numero, e migliorano in bravura, ma bisogna aspettare fino alla fine degli an-
LLA NATURA ni Novanta prima che qualche italiano sia segnalato o nominato vincitore di categoria al BBC Wildlife Photographer of the Year (WPOY), il più prestigioso concorso di fotografia naturalistica a livello mondiale, diciamo il World Press Photo della natura. Tra gli italiani che si sono segnalati, cito Elio Della Ferrera, Adriano Turcatti, Alessandro Bee, Stefano Unterthiner, Claudio Calvani e Luca Fantoni. È già possibile iscriversi al Wildlife Photographer of the Year 2009. Chi vuole saperne di più si iscriva alla mailing list del concorso all’indirizzo web www.nhm.ac.uk/visit-us/whats-on/ temporary-exhibitions/wpy/contact.jsp.
Chi ha battuto tutti è Manuel Presti, che nel 2005 è stato nominato fotografo naturalista dell’anno, il titolo più prestigioso assegnato dal concorso.
IL BBC WILDLIFE Dopo questa premessa, parlo proprio del BBC Wildlife Photographer of the Year (WPOY). Come al solito, oltre che dalla BBC, la più grande compagnia al mondo nel campo dell’informazione, la quarantaquattresima edizione, conclusasi a fine ottobre, è stata curata dal Natural History Museum di Londra. Ormai da molti anni, a ogni tornata il numero di fotografie partecipanti varia tra le quindicimila e le ventimila. Quelle premiate, vengono pubblicate su una pagina del siLeopardo delle nevi ( Panthera uncia), uno degli animali più elusivi e in pericolo di estinzione della fauna mondiale. Questa fotografia, che ha valso il titolo di BBC Wildlife Photographer of the Year 2008 al suo autore, Steve Winter (Usa), è stata ripresa nell’Hemis High Altitude National Park, in Ladakh, India. Lo scatto è stato comandato e attivato da una cellula fotoelettrica Trailmaster 1550-PS collegata a una Canon Eos 350D, protetta in un involucro impermeabile, con zoom EF-S 10-22mm f/3,5-4,5 USM e due flash. Per ottenere la fotografia sono stati necessari dieci mesi di osservazioni delle abitudini dell’animale e vari tentativi.
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Vincitore nella categoria Nature in Black and White è risultato lo spagnolo Carlos Virgili, con questa fotografia di medusa ripresa in controluce nelle acque di Badalona (Spagna). Nikon D2x con AF-S DX Zoom-Nikkor 12-24mm f/4G IF-ED; scafandratura Subal.
Con il titolo Primo incontro, questa fotografia è risultata prima nella categoria The Underwater World. Ne è autore Brian Skerry (Usa): l’incontro con una balena australe ( Eubalaena australis) da settanta tonnellate è avvenuto a ventidue metri di profondità, nelle acque di Auckland (Nuova Zelanda). Nikon D2x con AF DX Fisheye-Nikkor 10,5mm f/2,8G ED; scafandratura Subal.
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to web del museo (www.nhm.ac.uk/visit-us/whatson/temporary-exhibitions/wpy/) e danno luogo a una mostra itinerante, che gira per il mondo, dagli Stati Uniti al Sudafrica, dall’Europa alla Cina, al Giappone e all’Australia. Nel corrente 2009, sono previste tappe in Italia, delle quali non è ancora disponibile il calendario (per informazioni: info@pasevents.com).
LE CATEGORIE Il titolo più prestigioso è il Wildlife Photographer of the Year: del passato cito solo tre grandissimi eletti, Frans Lanting, Jim Brandenburg e Thomas Mangelsen. Gli altri premi assegnati sono distribuiti in diverse categorie, che stiamo per incontrare, ciascuna con regole di partecipazione specifiche. Si comincia da due riconoscimenti speciali, l’Eric Hosking Award e il Gerald Durrell Award for Endangered Wildlife. Intitolato al fotografo inglese inventore della tecnica della fotografia con il flash degli uccelli in volo, già l’ho ricordato, il primo è riservato al miglior portfolio di sei immagini di autori di età compresa tra diciotto e ventisei anni. Il secondo, in memoria del grande naturalista e scrittore inglese (in libreria, ho conteggiato trentatré suoi titoli in italiano, pubblicati da Adelphi, Guanda, Mondadori, Robin, Tea, Garzanti, Longanesi e La Nuova Italia), premia la migliore fotografia di una specie in pericolo. Altre categorie sono Creative Visions of Nature, proposta per stimolare la creatività dei concorrenti; Animal Behaviour, divisa in tre sezioni, rispettivamente dedicate al comportamento di mammiferi, uccelli e di tutte le altre specie animali; Nature in Black and White, per il bianconero; Animals in their Environment, dove occorre cogliere situazioni che evidenzino la relazione tra un animale e il proprio ambiente; In Praise of Plants, dedicato al mondo vegetale; The Underwater World, riservato alla fotografia subacquea; Animal Portraits (ritratto, ovviamente), che ogni anno rappresenta la categoria più popolare con il maggior numero di concorrenti; Wild Places, per la fotografia di paesaggio; Urban and Garden Wildlife,
La straordinaria espressività di questo cinopiteco Macaca nigra ha valso all’italiano Stefano Unterthiner il primo posto nella categoria Animal Portraits Mammals. Nikon D2x con AF-S DX Zoom-Nikkor 12-24mm f/4G IF-ED; filtro ND e flash.
SOCIETÀ ITALIANA DI CACCIA FOTOGRAFICA
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ata nel novembre 1973, in concomitanza con una mostra ospitata nella Sezione Culturale del Sicof (Salone Internazionale Cine Foto Ottica e Audiovisivi), dedicata alla fauna italiana, tra i propri soci, l’associazione annovera alcuni dei migliori fotografi naturalisti del nostro paese. Attraverso il suo sito web (www.sicf.it), la Società Italiana di Caccia Fotografica propone immagini dei soci raccolte in gallerie virtuali, articoli di tecnica e link verso altre società di fotografia naturalistica sparse nel mondo. La Sicf organizza anche incontri tra i soci, durante i quali ciascuno presenta i propri lavori e ne discute con gli altri. Tre sono i libri pubblicati dalla Società, tutti con fotografie dei soci: La Magia della Natura (1996), Magie di Natura - portfolio 2° (2001) e Magie di Natura - portfolio 3° (2003, in occasione del trentesimo anniversario dell’associazione). Esiste anche audiovisivo di eccellente qualità, firmato Sicf, che è messo a disposizione di enti che ne facciano richiesta. Se volete saperne di più o desiderate conoscere le modalità di iscrizione, scrivete a sicf@sicf.it o consultate il sito.
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CAMPIONI D’ITALIA
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nche in Italia. A testimoniare la vitalità dei cacciatori fotografici italiani segnaliamo il Campionato Italiano di Fotografia Naturalistica, che, tra gli altri, ha il sostegno di Nikon e Swarovski Italia. Nata nel 2000, questa competizione è stata ideata da un noto personaggio della fotografia non professionale italiana, Silvano Monchi, che la gestisce attraverso il Circolo Fotografico Arno (www.arnofoto.it), del quale è presidente. Invitiamo a visitare il sito www.foto-natura.it, dove sono pubblicate le fotografie premiate nel 2008.
Fotografia di gruccioni, difficilissima da realizzare. Con e per questa immagine, Alessandro Salvini è stato votato Campione Italiano di Fotografia Naturalistica 2008.
per le fotografia della natura dietro l’angolo di casa; e, ancora, One Earth Award, per rivelare/denunciare gli abusi dell’uomo contro il mondo naturale. Ci sono poi tre categorie per i ragazzi: una fino ai dieci anni di età, una per quelli tra gli undici e i quattordici, e una tra i quindici e i diciassette anni. Anche quest’anno gli italiani si sono fatti onore: Stefano Unterthiner è risultato primo nella categoria Animal Portraits - Mammals, con onore della copertina del catalogo delle fotografie vincitrici e segnalate [a pagina 34], che riproponiamo sulla copertina di questo numero di FOTOgraphia e a pagina 36; e Alessandro Oggioni ha vinto nella categoria fino a dieci anni.
LA FOTOGRAFIA PIÙ BELLA Ho iniziato queste righe con una affermazione sfrontata, oltre che perentoria: la fotografia della natura è la più bella che ci sia. Vorrei articolare questa affermazione, avventurandomi sul terreno insidioso della definizione della bellezza. I giudizi su tutto ciò che riguarda la bellezza, che si tratti di una fotografia, un quadro o una cravatta, rappresentano qualcosa su cui è difficile trovare un accordo. Facciamo un esempio, che prende spunto dal WPOY. Gli organizzatori mettono a disposizione del pubblico uno strumento via Internet che permette di esprimere le proprie preferenze sulle fotografie in mostra (che sono poi quelle premiate). Quest’anno, a oltre un mese dalla proclamazione dei vincitori, tra le cinque più votate dal pubblico non c’è l’immagine eletta fotografia dell’anno [un leopar-
Segnaliamo anche questa immagine sognante di cerbiatti in fuga, realizzata da Jean De Falandre (Francia), vincitore nella sezione giovani da undici a quattordici anni. Panasonic Lumix DMC-FZ30.
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CAMPIONI DEL MONDO
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empre a proposito di fotografia naturalistica, segnaliamo che per la quarta volta (2001, 2003, 2006 e 2008) l’Italia si è aggiudicata il Trofeo Odette Bretescher, che equivale al titolo di campione del mondo di fotografia naturalistica: titolo assegnato ogni due anni dalla Fiap, Fédération Internationale de l’Art Photographique (www.fiap.net). Si aggiudica il Trofeo chi vince nella stessa edizione i titoli di Campione del Mondo Natura per Stampe a Colori e Campione del Mondo Natura per Immagini Proiettate (diapositive e file). I Campioni del Mondo Natura 2008 della Fiap sezione Stampe a Colori sono: Guido Bissattini, Massimo Bottoni, Luca Fantoni, Marcello Libra, Gianni Maitan, Milko Marchetti, Marco Messa, Luciano Piazza, Giacomo Piccolo e Alessandro Salvini. Quelli della sezione Immagini Proiettate sono: Antonio Barisani, Stanislao Basileo, Valter Bernardeschi, Maurizio Bonora, Massimo Bottoni, Luciano Gaudenzio, Gianni Maitan, Milko Marchetti, Fabrizio Passetti, Luciano Piazza, Francesco Renzi, Pierluigi Rizzato, Omero Rossi, Alessandro Salvini e Claudio Torresani.
do delle nevi, fotografato da Steve Winter; a pagina 34]. E questo succede ogni anno. Chi ha ragione, allora? Il pubblico o la giuria? Impossibile dare una risposta categorica. Forse, sarebbe più corretto affermare che hanno ragione entrambi. Ciascuno esprime il proprio voto in base a un gusto che si è costruito nel tempo, in base alle proprie esperienze personali, a quante fotografie ha visto, ai viaggi che ha compiuto, a quello che ha letto. Sarebbe forse lecito azzardare che la giuria ha un po’ più ragione. Infatti, mi immagino che a un giurato, sotto i cui occhi sono passate, per motivi professionali, migliaia e migliaia di fotografie naturalistiche, che conosce le difficoltà di fotografare una certa specie o un certo comportamento, che sa se un’immagine è rara o no, e il cui gusto è stato messo alla prova, proprio per lavoro, in moltissime occasioni, debba essere riconosciuto un parere più autorevole di quello, per altro preziosissimo, del semplice amatore (è giusto il caso del leopardo delle nevi, uno degli animali più elusivi e in pericolo di estinzione della fauna mondiale). Ma non è così facile. Non si tratta solo di diversità di vedute tra pubblico e professionisti del giudizio. Chi ha esperienze di giuria sa che, anche tra i professionisti, a volte scoppiano discussioni che non è esagerato definire molto animate. Allora, che valore dare ai voti di una giuria? Direi semplicemente il valore di una proposta, non certo di qualcosa che abbia le pretese di un giudizio assoluto. Le giurie, chi opera nelle redazioni dei giornali, chi organizza mostre esprimono proposte al pubblico che valuterà da parte sua e, a propria volta, giudicherà. Forse, sarà perfino stimolato a riflettere e ad approfondire. Anche alla mia affermazione sfrontata va dato il valore di una proposta. Guardate un po’ di fotografie di natura e poi giudicate voi. Lello Piazza
L’ISOLA CHE C’È P ANTONIO BORDIN
Organizzata e svolta con allievi delle due quinte elementari di Pove del Grappa, in provincia di Vicenza, Vivere con le immagini è stata una straordinaria esperienza di educazione visiva. Tra osservazioni eteree, ma concrete, e momenti utilitaristici, Maurizio Rebuzzini e Antonio Bordin hanno accompagnato i ragazzi attraverso un cammino addirittura esaltante. Un’esperienza che non dovrebbe concludersi in se stessa, se soltanto il mondo italiano della fotografia non fosse ciò che rivela di (non) essere. Per ora, testimonianza. E poi domani, chissà
Il programma Vivere con le immagini, svolto da Maurizio Rebuzzini e Antonio Bordin con le quinte elementari di Pove del Grappa, in provincia di Vicenza, ha incluso una presentazione animata della Storia della fotografia, osservata attraverso “storielle” appetibili ai ragazzi.
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rima di riferire e commentare la particolare esperienza fotografica realizzata con le due quinte della scuola elementare Leonardo da Vinci, di Pove del Grappa, in provincia di Vicenza, è bene precisare subito che si è trattato di una eccezione, che, al solito, conferma la regola. E la regola è quella che Ernesto Galli della Loggia ha efficacemente descritto e analizzato in un articolo di fondo, pubblicato sul Corriere della Sera dello scorso ventuno agosto. Quindi, prima di riferire e commentare lo svolgimento e le intenzioni (raggiunte!) di Vivere con le immagini, che ha resistito alla tentazione di intitolarsi (Con)vivere con le immagini, di arrogante sapore elitario, e si è presto specificato in Incontri di fotografia per guardarsi attorno, riprendiamo giusto passi significativi dell’articolo appena citato, che richiamiamo anche, o soprattutto, per aggiungere autorevolezza e valore a quanto è successo a Pove del Grappa, in giornate dello scorso anno scolastico 2007-2008. Con considerazioni che, partite dalla condizione del-
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sue aule e non essere mai sfiorati dal sospetto che l’azione del conte di Cavour, o il Dialogo sopra i massimi sistemi, o una terzina del Paradiso rappresentano vertici d’intelligenza, di verità e di vita, posti davanti a noi come termini di confronto ideali, ma anche concretissimi, destinati ad accompagnarci in qualche modo per tutta l’esistenza». Ciò premesso, che sottoscriviamo senza alcun distinguo, ancora prima di riferire della serie di in-
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la scuola italiana, per l’occasione efficacemente introdotta dall’occhiello La crisi di un’istituzione, approdano alla società, Ernesto Galli della Loggia ha compiuto un esame clinico, quanto acuto. In anticipo su altre estrapolazioni, subito il senso dell’intero esame: «Un sistema d’istruzione pubblico appartiene sempre a un contesto culturale nazionale. Questo è il punto, dunque qui sta il cuore del problema: alla fine, nella sua sostanza più vera, la crisi della scuola italiana non è altro che la crisi dell’idea d’Italia». Con straordinaria, apprezzata e avvincente lucidità, il colto e attento Ernesto Galli della Loggia, non asservito ad alcun potere precostituito, rileva che la scuola italiana è (non sarebbe) «una macchina gigantesca [...]. Ma senz’anima». Ovverosia: «[La scuola italiana] si sente un’istituzione inutile e in realtà lo è: apparendo tale, e dunque votata ineluttabilmente al fallimento, innanzi tutto alla coscienza dei suoi insegnanti, dei migliori soprattutto. La scuola italiana non riesce più a confezionare alcuna autorevolezza a nessun fatto, pensiero, personaggio o luogo di cui si parli nelle sue aule. Non riesce più a creare o ad alimentare in chi la frequenta alcun amore o alcun rispetto, alcuna gerarchia culturale. E perciò non serve a legittimare culturalmente -e cioè ideologicamente o storicamente- più nulla». È amaro, ma allo stesso momento è soprattutto vero: «Si possono tranquillamente frequentare le
Tra le applicazioni della fotografia incontrate e svolte nell’ambito di Vivere con le immagini, si registra una intensa documentazione della vita della scuola elementare Leonardo da Vinci, realizzata dagli allievi delle Quinte, protagonisti degli Incontri di fotografia per guardarsi attorno. Dai momenti didattici allo svago [altre due immagini a pagina 45].
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VIVERE
Selezione quantitativamente limitata, ma qualitativamente significativa, dalle fotografie che gli allievi dell’elementare di Pove del Grappa hanno realizzato per una loro mostra sull’ulivo, ovviamente allestita la domenica delle Palme.
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contri Vivere con le immagini, che Maurizio Rebuzzini e Antonio Bordin hanno svolto con gli allievi delle due quinte elementari di Pove del Grappa, la Quinta A e la Quinta B delle insegnanti Silvia Fantin, Monica Gnoato, Federica Lolato, Anna Lisa Minato e Roberta Zen, richiamiamo anche l’altra competenza didattica dello stesso Maurizio Rebuzzini, anche direttore di FOTOgraphia, ma è un altro discorso, che qui non c’entra. O forse, sì.
PICCOLA VITA GRANDE CUORE Dall’Anno Accademico 2005-2006, docente a incarico di Storia della Fotografia alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Brescia, oltre le lezioni scomposte in due semestri conseguenti, Maurizio Rebuzzini ha allestito con personalità la propria Aula Virtuale, accessibile con percorso lineare e semplificato dal sito www.unicatt.it. In linea con la parola d’ordine trasversale all’attuale mondo della fotografia, condivide con gli studenti sia argomenti autenticamente fotografici, complementari e paralleli alla didattica finalizzata al percorso accademico e all’esame, sia osservazioni di carattere educativo ed esistenziale. In questo senso, oltre le lezioni in aula e a loro integrazione, l’Aula Virtuale è suddivisa in spazi diversi. A parte le aree esplicitamente didattiche, che qui riguardano marginalmente (Bacheca avvisi, download delle lezioni svolte, di loro complementi e di argomenti paralleli, utili per una competenza della materia), la sezione Nostra piccola vita, nostro grande cuore comprende riflessioni esistenziali (le sue di sempre e solito) di carattere educativo e formativo, oppure solo per conoscenza.
Testuale, dalla presentazione rivolta agli studenti: «In questa sezione inserisco argomenti e testi che penso sia importante conoscere. Di alcuni, possiamo averne anche parlato in aula; altri possono essere nuovi. Ribadisco e confermo: la fotografia, nostro territorio comune e di incontro, non è mai un punto di arrivo, ma deve esserlo di partenza. «Arricchiamoci delle parole che sentiamo, e riserviamo loro un posto nel nostro cuore. Parole, letture e riflessioni che sono buone compagnie per le nostre (le vostre) escursioni nel mondo. «Insieme, impariamo ad assaporare parole e linguaggio (anche fotografico, sia chiaro). Qualunque altra opinione contraria avete potuto sentire al proposito, parole e idee possono cambiare il mondo, anche solo il nostro personale. Non leggiamo, scriviamo e fotografiamo (e non ci occupiamo di fotografia) perché è bello farlo. Noi leggiamo, scriviamo e fotografiamo perché siamo vivi, membri della razza umana; e la razza umana è piena di passione. «Attorno a noi si manifestano professioni nobili, concretamente necessarie al nostro sostentamento. Ma la poesia… la bellezza... il romanticismo... l’amore... la fotografia... sono queste le cose che ci tengono in vita. [con Walt Whitman: Oh me, oh vita! ]. «Così come le fotografie che stiamo incontrando nel giardino per il quale ci siamo incamminati nella nostra osservazione della Storia sono fiori da cogliere, anche le parole che sentiamo possono arricchirci più e meglio di quanto (non) possano farlo i denari. «Non cerchiamo parole che facciano la differenza della nostra vita, ma forse le incontreremo». Ancora, e poi basta, dalla presentazione/motivazione della segnalazione del brano (della poesia) E
INCONTRO GENERAZIONALE
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all’Aula Virtuale della docenza universitaria di Maurizio Rebuzzini, richiamata nel corpo centrale dell’attuale intervento redazionale, la proposizione di una canzone/poesia di Francesco Guccini: «Il nostro è anche un incontro di età, esperienze e visioni. La vostra e la mia età. La vostra è una stagione strana, tra la primavera e l’estate. State crescendo, ogni giorno avete occhi diversi. State vivendo una età anche difficile, di chi ha un piede nell’adolescenza e l’altro nella maturità, sospesa tra la voglia di andare e la paura di trovare». sembra quasi il racconto di tanti momenti passati come il piano studiato e lasciato anni fa su due accordi. E tuo padre ti sembra annoiato e ogni volta si fa più distratto, non inventa più giochi e con te sta perdendo il contatto. E tua madre lontana e presente sui tuoi sogni ha da fare e da dire ma può darsi non riesca a sapere che sogni gestire. Poi un giorno in un libro o in un bar si farà tutto chiaro, capirai che altra gente si è fatta le stesse domande, che non c’è solo il dolce ad attenderti, ma molto d’amaro e non è senza un prezzo salato diventare grande. I tuoi dischi, i tuoi poster saranno per sempre scordati, lascerai sorridendo svanire i tuoi miti felici come oggetti di bimba, lontani ed impolverati, troverai nuove strade, altri scopi ed avrai nuovi amici. Sentirai che tuo padre ti è uguale, lo vedrai un po’ folle, un po’ saggio nello spendere sempre ugualmente paura e coraggio; la paura e il coraggio di vivere come un peso che ognuno ha portato, la paura e il coraggio di dire: «Io ho sempre tentato».
E un giorno (da Stagioni, 2000)
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un giorno, di Francesco Guccini, da Stagioni, album del 2000 [qui sopra]: «Oltre la gerarchia dei ruoli -io racconto la Storia della fotografia e voi la ascoltate, voi me la riferirete in sede di esame e io vi giudicherò-, il nostro è anche un incontro di età, esperienze e visioni. «Ve l’ho già detto, qui lo ripeto, e non mi stancherò di ribadirlo ogni volta che reputo e reputerò il caso di farlo: all’interno di una bibliografia che offre decine, se non già centinaia di racconti, molti distribuiti in volumi di “peso” anche fisico, la modestia quantitativa dei due testi di riferimento per gli esami del mio corso è intenzionale. Entrambi di poche pagine, i due titoli assolvono l’abbecedario della materia: uno in chiave cronologica, l’altro in quella dei generi e movimenti che hanno animato il dibattito culturale della fotografia (a seguire, chi vorrà approfondire, potrà farlo da sé o con la mia guida). Le storiografie più corpose non raccontano molto di più. Soltanto, lo fanno con più parole. «Dunque, limitiamoci alle poche che ho stabilito (oltre le dissertazioni delle lezioni). Mettete a frutto il tempo che risparmiate non dovendo studiare su “volumoni”: guardate un tramonto, passeggiate tra la gente, parlate con un bambino, ascoltate parole colte al volo, leggete romanzi e poesie. Vivete la vostra età. «Confermo: il nostro è anche un incontro di età, esperienze e visioni. La vostra e la mia età. La vostra è una stagione strana, tra la primavera e l’estate. State crescendo, ogni giorno avete occhi diversi. State vivendo una età anche difficile, di chi ha un
Esercitazione nell’ambito di Vivere con le immagini: riprese da settimanali recuperati in casa, quali fotografie vi hanno colpito? E perché? Ovviamente, i temi presentati dai ragazzi di quinta elementare si riferiscono alla loro vita.
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E un giorno ti svegli stupita e di colpo ti accorgi che non sono più quei fantastici giorni all’asilo di giochi, di amici, e se ti guardi attorno non scorgi le cose consuete, ma un vago e indistinto profilo. E un giorno cammini per strada e ad un tratto comprendi che non sei la stessa che andava al mattino alla scuola, che il mondo là fuori ti aspetta e tu quasi ti arrendi capendo che a battito a battito è l’età che s’invola. E tuo padre ti sembra più vecchio e ogni giorno si fa più lontano, non racconta più favole e ormai non ti prende per mano. Sembra che non capisca i tuoi sogni sempre tesi fra realtà e sperare e sospesi fra voglie alternate di andare e restare. E un giorno ripensi alla casa e non è più la stessa in cui lento il tempo sciupavi quand’eri bambina, in cui ogni oggetto era un simbolo ed una promessa di cose incredibili e di caffellatte in cucina e la stanza coi poster sul muro ed i dischi graffiati persi in mezzo ai tuoi libri e regali che neanche ricordi
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ANTONIO BORDIN (2)
piede nell’adolescenza e l’altro nella maturità, sospesa tra la voglia di andare e la paura di trovare. «Un brano di Francesco Guccini è dichiaratamente rivolto alla figlia, della vostra età. Fatelo vostro: Poi un giorno in un libro o in un bar si farà tutto chiaro».
VIVERE
CON LE IMMAGINI
VIVERE CON LE IMMAGINI Subito: il programma Vivere con le immagini è stato promosso da Bogen Imaging Corporate Social Responsability (CSR). Come anticipato, si è svolto presso l’elementare Leonardo da Vinci di Pove del Grappa, pochi chilometri a nord della sede storica e ufficiale dell’esperienza industriale avviata da Lino Manfrotto (e Gilberto Battocchio), allungatasi in avanti con trasformazioni che hanno portato all’attuale identità fotografica. Dodici incontri settimanali di un’ora e mezzo ciascuno, distribuiti dall’autunno 2007 alla primavera 2008, hanno permesso a Maurizio Rebuzzini e Antonio Bordin di svolgere il proprio progetto, a finalizzazione doppia: consapevolezza e coinvolgimento. Concordi sul superamento dell’identificazione/classificazione di Corso di Fotografia, perché non è mai stata loro intenzione agire verso alcuna ipotesi di carattere consumistico, si sono rivolti agli allievi, ragazze e ragazzi di quinta elementare, e alle loro famiglie con un richiamo esplicito e diretto. Vivere con le immagini, ovvero Incontri di fotografia per guardarsi attorno, si è proposto e offerto come contenitore che ha raccolto il testimone della volontà esplicita del Gruppo Manfrotto, nella propria identificata responsabilità sociale di impresa, con le esigenze e necessità dell’educazione scolastica, declinata anche oltre i propri confini tradizionali, istituzionali e originari. Così, questi Incontri hanno risposto a una volontà dichiarata. Non tanto una sterile conoscenza degli strumenti della fotografia (che, comunque, al giorno d’oggi, sono estremamente semplificati nel proprio impiego), quanto un tragitto/percorso verso conoscenze sollecitate dalla comprensione, consapevolezza e decifrazione delle immagini (soprattutto fotografiche) che accompagnano la nostra esistenza. A monte, si è presto rivelata la voglia, il piacere e la volontà di parlare, condividere e coinvolgere, rispondendo al significato originario della locuzione latina Verba volant, scripta manent (che tradotta letteralmente, significa Le parole volano, ma gli scritti rimangono): le parole viaggiano, volano di bocca in bocca, e permettono che il proprio messaggio continui a circolare, mentre gli scritti restano, fissi e immobili, a impolverarsi senza diffondere il proprio contenuto. Nello specifico, Maurizio Rebuzzini e Antonio Bordin hanno offerto “fotografia” non solo come fine (che pure le compete: per esempio, nella fotoricordo e dintorni), ma soprattutto come mezzo privilegiato di lettura e identificazione di fatti e/o fenomeni della vita collettiva e individuale.
FOTORICORDO (E ALTRO) In parallelo, gli allievi sono stati altresì istruiti sul corretto uso di apparecchi fotografici (al giorno d’oggi, immancabilmente e inevitabilmente compatte di-
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gitali), utilitaristicamente finalizzati a due loro momenti specifici: l’allestimento di una mostra di fotografie a tema dell’ulivo, per la domenica delle Palme [una selezione a pagina 42], e le fotoricordo da scattare in occasione di una gita a Roma, a primavera inoltrata. Già... le fotoricordo. Le scattiamo tutti, le scattano anche i professionisti della fotografia [a questo proposito, è più che straordinaria la recente raccolta A Photographer’s Life: 1990-2005, di Annie Leibovitz, comprendente anche commoventi fotoricordo della compagna Susan Sontag, fotografata nell’intimità della vita, fino alla sua tormentata fine, minata da un male inguaribile]. Belle e brutte, ma sempre fotoricordo, che per ciascuno di noi hanno immenso valore. Compatte digitali tra le mani, divisi in gruppi operativi formati da tre allievi -ogni gruppo munito anche di treppiedi Manfrotto Modo, va rilevato-, i ragazzi hanno completato con esercizi sul campo le nozioni pratico-teoriche arrivate loro le settimane precedenti: ulivo, l’abbiamo appena evocato, ma anche documentazione a portata di mano, come la vita all’interno della stessa scuola, durante le ore di lezione e i momenti di svago [a pagina 41 e qui sotto]. Quindi, senza necessariamente valutare lo specifico degli argomenti affrontati e svolti da Maurizio Rebuzzini e Antonio Bordin, che si riferiscono esplicitamente al progetto intrapreso, rileviamo che il programma di Vivere con le immagini non ha impartito alcuna nozione. Secondo il princìpio che non contano tanto (né soltanto) le nozioni, quanto, preliminarmente, si deve fare affidamento su una visione complessiva delle problematiche, sia generali, sia specifiche, l’immagine è stata sempre e comunque affrontata per ciò che espri-
SEZIONI A E B
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VIVERE
CON LE IMMAGINI
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ssieme, Maurizio Rebuzzini e Antonio Bordin hanno svolto il programma Vivere con le immagini, promosso da Bogen Imaging Corporate Social Responsability (CSR): dodici incontri settimanali, dall’autunno 2007 alla primavera 2008, con gli allievi delle due quinte dell’elementare Leonardo da Vinci, di Pove del Grappa, in provincia di Vicenza. A parte aver constatato un certo identificato valore del loro progetto comune, Maurizio Rebuzzini e Antonio Bordin confessano anche un’altra speranza. Una in più: quella di essere riusciti a trasmettere almeno per quanto (tanto) hanno ricevuto dagli allievi. Ancora: che nelle loro azioni future, qualcuno degli istanti passati assieme possa tornare loro in mente (loro, ai ragazzi), possa comporre i tratti di un ricordo piacevole, possa manifestarsi con la personalità di un’esperienza maturata. Le Quinta A e Quinta B delle insegnanti Silvia Fantin, Monica Gnoato, Federica Lolato, Anna Lisa Minato e Roberta Zen: ❯ Quinta A: Nicola Berto, Serena Busnardo, Alexandra C.H. Meiry, Desiree Campagnolo, Riccardo Celona, Sara Dalla Palma, Giulia Favero, Jacopo Forato, Saul Garcia, Beatrice Gerin, Matteo Guidolin, Giorgia Lunardon, Alessandro Micheletto, Elia Micheletto, Yuri Moretto, Edy Moro, Cristian Piotto, Chiara Rebesco, Matteo Scotton, Umberto Vedove, Guglielmo Zamperoni, Simone Zanchetta, Giada Zanotti, Aramis Ziliotto; ❯ Quinta B: Marta Basso, Daniele Bonato, Elisa Caenaro, Giacomo Cavalli, Angela Cuccarollo, Lisa Dalla Palma, Michele Donazzan, Gloria Fara, Mattia Forner, Camilla Gabrielli, Rita Girardi, Ana Maria Muresan, Tayron Orlando, Giovanni Rossetto, Chiara Serradura, Matteo Sorio, Beatrice Tonietto, Anna Topparelli, Mattia Tottene, Anton Wierathna, Teresa Zanon, Elisabetta Zuin.
me e vale oltre la propria superficie apparente. Il metodo degli Incontri stato giocoso, proprio per coinvolgere i ragazzi attraverso momenti extra-didattici. Tra l’altro, si sono alleggeriti ulteriormente con considerazioni parallele, ma non per questo distanti o discoste: qualche “storiella” dalla Storia [a pagina 40], i gadget della fotografia (oggetti a richiamo di elementi fotografici, tra i quali le macchine fotografiche a foggia di Topolino, Paperino, lattine di bibita e contorni [FOTOgraphia, novembre 2005]), la presenza della fotografia nei fumetti, nella narrativa, nel cinema e in filatelia [praticamente, in ogni numero di FOTOgraphia, o quasi]. Il tutto anche, ma forse soprattutto, a testimonianza, tra tanto altro, di un costume e una socialità che respiriamo attorno a noi. La finalità è stata raggiunta. Si sono offerti gli strumenti per la propria consapevolezza di luogo e persone, come anche spazio e tempo. La fotografia per vedere ciò che in genere si guarda soltanto, a partire dalla propria identità locale. Insomma, ognuno di noi non è! Ognuno di noi è quando si esprime attraverso storie (e strumenti): con i genitori, con gli amici, con gli insegnanti. Tutti esistiamo attraverso il rapporto con l’esterno. Ogni epoca ha avuto le proprie forme espressive primarie e principali. Semplifichiamo e banalizziamo: nell’antica Grecia c’è stato il tempo della filosofia combinata con le scienze matematiche (tra parentesi, oggi il mondo occidentale scinde le due discipline); con i romani è nato il culto di se stessi; il Rinascimento è stato pittura (e prospettiva); il Settecento, musica; l’Ottocento, letteratura. Oggi è il tempo dell’immagine. Bisogna esserne educati. Insomma: educazione all’immagine, educazione a ciò che la tecnologia può dare e offre. Significati della visione. Angelo Galantini
(pagina accanto) A partire da una cartolina illustrata del proprio paese, i ragazzi hanno allargato gli orizzonti: la raffigurazione della cartolina è parziale. La loro continuazione è stata realistica o, a scelta, fantastica.
Oltre le tre immagini già presentate a pagina 41, ancora due fotografie dalla documentazione della vita della scuola elementare Leonardo da Vinci, realizzata dagli allievi delle Quinte, protagonisti di Vivere con le immagini, ovvero Incontri di fotografia per guardarsi attorno.
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iflessione personale, ma anche d’obbligo. Tra i tesori da scoprire a Visa pour l’Image può esserci anche un reportage, magari vecchio di qualche anno, un piccolo gioiello che però non hai mai visto pubblicato; il che non vuol dire che non sia mai apparso da nessuna parte, ma che, più semplicemente, tu non l’hai visto. Ma proprio perché non si possono comperare tutti i giornali del mondo, le manifestazioni che permettono di vedere il meglio del meglio sono importanti. Ovviamente, questo meglio è filtrato da qualcuno, che è altro da te, ma à faute de mieux... Il mio gioiello di Visa pour l’Image 2008 è stato proiettato giovedì quattro settembre, al Campo Santo: un portfolio sul Congo, con immagini di Marcus Bleasdale, fotogiornalista dell’agenzia VII [FOTOgraphia, febbraio 2004]. La ventesima edizione di Visa mi rimarrà negli occhi e nel cuore so-
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Da Visa pour l’Image 2008, incontro con Marcus Bleasdale, autore di un coinvolgente progetto/reportage sul Congo, proiettato nella settimana professionale; da cui, intervista di Lello Piazza. E poi, a completamento, considerazioni di Piero Raffaelli sul ritratto in reportage, sempre nel richiamo dello svolgimento del festival francese
Sakura Lisi: un bambino di otto mesi, figlio di un minatore, morto per malaria, viene lavato prima di essere sepolto.
A PROPOSITO DI REPORTAGE
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prattutto per questo portfolio. Vedi quelle fotografie e dici: il fotogiornalismo non è morto, è ancora grande, come quello dei padri e dei figli, Robert Capa, W. Eugene Smith, Larry Barrows, Sebastião Salgado e i molti altri che non riesco a citare. Certo, Visa pour l’Image 2008 è stata anche altro: le mostre, le birre, gli incontri, il couscous con la hàrissa, i seminari, i premi. Dei premi abbiamo già riferito in FOTOgraphia degli scorsi settembre e novembre 2008. Ora, concludiamo la panoramica con una chiacchierata con Marcus Bleasdale, autore delle fotografie del Congo alla cui proiezione al Campo Santo mi sono già richiamato. Questa chiacchierata sarebbe dovuta avvenire già a Perpignan. Il giorno dopo la proiezione, l’ho chiamato e abbiamo fissato un incontro al Café de la Poste. Per varie ragioni, venerdì l’appuntamento è saltato e io sono ripartito sabato. Quindi, lui è tornato
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in Congo. Non è stato facile raggiungerlo in Africa, acquartierato com’era presso diverse organizzazioni umanitarie o chiese di missionari, ora qui ora là. I suoi ritmi di lavoro erano duri: sveglia alle quattro del mattino, rientro tardi la sera. Le linee telefoniche erano inaffidabili. Internet funzionava a singhiozzo. Finalmente, siamo riusciti a parlarci solo qualche giorno prima di Natale, al rientro in Irlanda, sua patria di origine. Ecco di cosa abbiamo parlato, e come lo abbiamo fatto. Ciao Marcus, eccoci finalmente. Quando ho visto la tua incredibile proiezione a Perpignan mi sono chiesto: ma come fanno a sopravvivere questi eroici fotoreporter? Per quanto ne so, sono pochi i newsmagazine che hanno pubblicato le immagini della proiezione. Grazie all’ottima Chiara Mariani [Nomination ai Lucie Award 2008; FOTOgra-
phia, dicembre 2008], il Magazine del Corriere della Sera ha presentato un servizio di sei pagine. La storia ne meriterebbe molte di più. Noi stessi riusciamo a pubblicare poche fotografie. Sappiamo che i servizi che parlano del dolore e della sofferenza non sono molto appetiti dai media. Tu come fai a sopravvivere, economicamente, dico? «Io non lavoro per il mondo editoriale. Io lavoro per le ONG [Organizzazioni Non Governative] che operano sul campo, come Human Rights Watch (www.hrw.org), Amnesty International (www.amnesty.org, www.amnesty.it) e Global Witness (www.globalwitness.org). «Sono loro che mi pagano per produrre i servizi. In cambio, io do loro le fotografie, ma posso anche venderle ai newsmagazine, tenendo il ricavato. Per esempio: sai che sono appena tornato dal Congo,
dove continuo a seguire quello che sta avvenendo per Human Rights Watch. Loro coprono i miei costi e mi passano una diaria giornaliera. Però, ho anche venduto “storie” da questo lavoro a Newsweek, a un quotidiano belga e a una rivista in Germania. Così vivo, a cavallo tra le ONG e il mondo dei media». Parliamo di sicurezza: ho la sensazione che, anni fa, i giornalisti fossero più sicuri sul campo. Oggi, in molte situazioni, si corre il rischio di essere rapiti o uccisi per una sciocchezza da un bambino di dieci anni con in mano il kalashnikov. Quali sono le tue strategie di sopravvivenza? «Sono abbastanza fortunato, perché opero in aree nelle quali i giornalisti non sono particolarmente presi di mira. Poi, non voglio dire che quelli che hanno brutte esperienze se le vadano a cercare. Una cosa brutta ti può capitare improvvisamente dovunque. Però, dico che, sul campo, occorre muoversi con prudenza, devi avere buoni contatti, gente del posto che sa dove sono i pericoli e li conosce, che ti aiuta tempestivamente in caso di emergenza. Lavorare sul campo implica una attenta organizzazione logistica: c’è la tua vita in gioco. «Non credo che in Congo avvengano veri rapimenti, ma la situazione è molto fluida. Il paese è grande; in alcune aree, il potere è in mano a certe forze, in altre a forze loro nemiche. È difficile capire. Io stesso sono stato arrestato molte volte. Ora da questi, ora da quelli. Non credo che ci sia specificatamente nulla e nessuno contro i giornalisti, ma, certamente, qualcosa di brutto può sempre accadere». Pensi che il tuo lavoro rappresenti una lotta contro il male e le ingiustizie, o ti ritieni piuttosto un giornalista e osservatore “oggettivo” che riporta i fatti? «Non mi vedo assolutamente come osservatore che riporta fatti. Non credo di aver mai iniziato un lavoro nel quale non mi sia sentito molto coinvolto, sul quale non avessi opinioni decise. Mi vedo come fotografo che lavora per una causa, per raggiungere uno scopo, fotografo che ha il compito di informare il mondo sulle ingiustizie delle quali soffrono gli esseri umani. Non riesco ad avere un atteggiamento neutrale». Ma come ti definiresti: fotogiornalista? «No, semplicemente essere umano». Sì, ho capito, essere umano. Ma qual è la tua professione? «Cerco di informare la gente e, al contempo, informo me stesso. E imparo qualcosa ogni giorno. Cerco di essere un interprete dell’evento che ho la fortuna di vivere. Questo è il mio lavoro». Come sei diventato così bravo? Hai seguìto l’esempio di qualcuno che ritieni tuo maestro? «Ammiro il lavoro di molti fotografi. Mi sono ispirato a W. Eugene Smith, a Robert Capa, ma soprattutto a Philip John Griffiths [mancato lo scorso diciannove marzo; FOTOgraphia, aprile 2008], che ha avuto una grande influenza su di me e del quale sono stato molto amico. Ma mi sono d’esempio anche Tom Stoddart e Paolo Pellegrin, per
Soldati della guardia del generale Mathieu Ngudjolo Chui, fotografati il 24 ottobre 2006 nel villaggio di Zumbe. I soldati sono accusati di usare lo stupro come arma di guerra.
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CI SONO RITRATTI E RITRATTI
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ean-François Leroy, inventore e direttore del festival di Perpignan [Visa pour l’Image], ha confessato a Michele Smargiassi (La Repubblica, del diciassette agosto) che “l’ennui” (la noia!) lo assale ogni anno mentre sfoglia le immagini da selezionare per le mostre e i premi da assegnare: quest’anno ne sono arrivate quattromila, molte delle quali così “pulite e sterilizzate”, che non raccontano il mondo, ma lo ripetono alla nausea. Di noia, il fotoreportage potrebbe morire, afferma Jean-François Leroy, e aggiunge: «non ne posso più di tutti questi ritratti, ritratti, e ritratti di gente che ha in mano ritratti». Il problema della povertà urbana? Un po’ di ritratti di homeless. La guerra in Iraq? Una galleria di ritratti di marines. Lo tsunami? Ritratti di sopravvissuti che mostrano ritratti di vittime. Dove sono finite le fotografie?, chiede Michele Smargiassi; a Perpignan, ovviamente, risponde Jean-François Leroy, perché «i veri fotografi esistono ancora», e portano qui i loro servizi che nessun giornale pubblica; tutti qui, nel paesetto francese, che è il magazine che non c’è, il giornale senza carta che esce una volta all’anno: «la crisi è nei media, non nei fotografi, ecco la mia risposta», conclude Jean-François Leroy, scoprendo l’acqua calda. Jean-François Leroy ha ragione, per quanto riguarda la serie di ritratti che appare spesso sui giornali come un “format” usurato, da “Grande Fratello” all’ennesima replica. Ma Jean-François Leroy ha anche torto, perché ci sono delle vistose eccezioni: uno dei più bei libri pubblicati negli ultimi anni (The Roma Journeys [Le romané phirimàta], di Joakim Eskildsen) è a base di ritratti [a sinistra, in alto]. Jean-François Leroy ha torto anche a proposito dell’esercito americano in Iraq: nei reportage che ce lo mostrano in azione vediamo polvere, divise mimetiche, elmetti, occhialoni, stivaloni, hummer e poco altro; molto più interessanti e meno noiose sono le facce “nude” e stanche dei soldati, che Martin von Krogh (probabilmente embedded) ha ritratto [a sinistra]. Ricordandoci che anche la “cosa” più compatta e indistinta, come l’esercito Usa, è composta da individui diversi. Azzardo una spiegazione della “noia da ritratto”: non siamo più ai tempi di August Sander, quando l’operaio e l’avvocato, la portinaia e la cantante, lo studente e il contadino avevano facce rese diverse dalla collocazione sociale, dal ruolo pubblico, dalla cultura, dal mestiere ereditato e così via, oltre che dal look e dalla location, coprotagonisti nel ritratto. Insomma, quello era un mondo ancora ordinato, con posti assegnati e facce scolpite dalla Storia. Ogni ritratto raccontava una storia diversa, ed era una rivelazione di radici diverse [Identità incerte, in FOTOgraphia del settembre 2007]. Invece, nel nostro mondo c’è molta “confiusion”, come mi disse un giovane di Ginostra, che, dopo aver fatto il pescatore nelle Lipari, era andato a fare il tassista a Sidney e poi era tornato a pescare e cucinare aragoste per i turisti a Ginostra. La faccia di questo pescatore-tassistacuoco bilingue assomigliava a troppe altre facce, e non assomigliava a quella del padre, mai uscito dall’isola. La “confiusion” delle esperienze, così comune tra molti contemporanei nomadi e meticci, ha omogeneizzato le fisionomie rendendole noiosamente somiglianti. In una serie di ritratti, specie se di giovani europei, i luoghi, i vestiti e le facce si assomigliano, e nessuna faccia racconta la propria storia. Di solito, ad aggravare la noia c’è la tipica inespressività di individui in posa, blindati dietro una maschera standard. A volte, dietro questa maschera, traspaiono solo i patetici tentativi di apparire belli e simpatici, oppure di venire rispettati e temuti.
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Altre volte, però, una faccia può raccontare, di riflesso, il senso di ciò che sta accadendo: in tal caso, si tratta di un ritratto rubato dal fotografo, nel quale il soggetto inconsapevole tradisce le emozioni profonde, i soprassalti del pensiero, la sorpresa, il piacere e tutti i segni rivelatori del carattere e dello stato d’animo, segni che vengono cancellati appena il soggetto s’accorge di essere guardato e si rimette la maschera opaca o riflettente come rayban a specchio. Solamente Vladimir Putin riesce, guardando inespressivo in macchina, a incutere più paura di Hannibal Lecter (per esempio, il ritratto di Platon, primo premio Portraits Singles al World Press Photo 2008 [FOTOgraphia, aprile 2008; e a sinistra, in basso]) e a farci capire ciò che accade in Russia meglio di tanto reportage d’azione e da strada. Insomma ci sono ritratti e ritratti. Conosciamo bene tutti gli ostacoli e le obiezioni che si oppongono alla pubblicazione di un buon reportage: indifferenza, censura, autocensura, voglia di leggerezza, cautela, paura e cinismo: molti nemici e molto onore per il fotoreportage. Tutto noto da tempo. Qui vorremmo però individuare alcuni nemici più subdoli, perché in qualche modo “interni” alla fotografia: oltre alla noia, c’è qualcosa d’altro, che tocca proprio i reportage più duri e puri, quelli di coraggiosa denuncia, con guerre dimenticate, vittime innocenti, crudeli ingiustizie e macabri dettagli. Come ha scritto di recente Adriano Sofri, «certe storie atroci non si ascoltano [o si vedono, aggiungiamo noi] senza provare un rancore contro chi ce le racconta [o ce le mostra]». Rancore: non il fastidio da spettatore cinico schierato dalla parte dei più forti, ai quali perdona anche le torture, ma la sensibilità turbata di chi sente vera sim-patia per le vittime, ma sente anche la profonda inutilità di questo turbamento. E sente che gli viene chiesta una specie di mobilitazione emotiva, che non produrrà nulla di utile, a parte un vago senso di colpa. E sente, infine, che questo senso di colpa, tipico del reduce da guerre perse, è del tutto fuori moda oggi, quando pare invece molto trendy confessarsi cinici, come fa Michel Houellebecq: «in caso di guerra sarei sicuramente un imboscato, di quelli cui è indifferente il destino della democrazia, della Francia libera, della Cecenia e del paese basco». Oggi «prevale l’ottusa convinzione che il nostro ordine sia immutabile», osserva Claudio Magris, che prosegue, davvero controcorrente: «proprio perché le cose così come sono e accadono, si rivelano così spesso crudeli e irrazionali, non si può accettare e subire passivamente questo impero del negativo. Bisogna esigere che le cose siano come dovrebbero essere e rifiutarsi di credere che esista solo o soprattutto quel male che sembra dominante». Davvero impegnativa questa necessità di sperare (laica, non religiosa), che Claudio Magris riscopre molto lontano, in Kant, ma sembra riguardare da vicino il compito (mancato) dei media, e in particolare dei fotoreporter impegnati. Che denunciano deplorano stigmatizzano quell’“impero del negativo” del quale illustrano ogni capriccio e pubblicizzano la potenza senza scampo. Che può sperare di buono il reporter idealista, se deve ringraziare l’inesauribile fantasia e creatività del male se riesce a scattare qualche fotografia non noiosa? Piero Raffaelli The Roma Journeys [Le romané phirimàta], di Joakim Eskildsen; introduzione di Cia Rinne e Joakim Eskildsen; postfazione di Günter Grass; con CD musicale registrato da Cia Rinne, a cura di Sebastian Eskildsen; Steidl, 2007; 274 fotografie; 416 pagine 26,6x23,3cm; 60,00 euro. Premio Amilcare Ponchielli - Miglior libro dell’anno 2008, assegnato dal Grin (Gruppo Redattori Iconografici Nazionale). Autore di intensi reportage, e anche di una altra consistente serie di ritratti di bambini iracheni (appunto, The Future of Iraq), lo svedese Martin von Krough ha realizzato ritratti di soldati statunitensi stanziati in Iraq: un progetto finalizzato a «mostrare l’essere umano dietro l’uniforme» (da Nikon Pro, estate 2007; Nikon D2XS con AF Nikkor 35mm f/2D). Per approfondimenti: www.martinvonkrough.com. Dal World Press Photo 2008. Fotografia di Platon, per Time Magazine: Il presidente russo Putin; primo premio Portraits Singles.
parlare di miei contemporanei. E quando ho frequentato una scuola di fotografia, ho conosciuto altre persone che mi hanno influenzato». Scuola? Qual è la tua formazione? «Mi sono laureato in Economia e Finanza, poi ho lavorato per sette anni in una banca di Londra, nel campo dei prodotti derivati. Odiavo questo lavoro, ed ero alla ricerca di... di...». Una via di fuga? «No, non fuga; cercavo qualcosa che rendesse la mia vita degna di essere vissuta. «Avevo poco più di venticinque anni, e non volevo arrivare a quaranta seduto davanti allo stesso monitor di computer, facendo sempre le stesse cose. Penso che nell’arco della propria vita si debba fare qualcosa per gli altri. Mi sono guardato in giro. Non avevo mai preso in mano una macchina fotografica, ma pensai che quella poteva essere la mia soluzione. Mentre ancora lavoravo in banca, ho frequentato una scuola serale di fotografia. Cominciai a inviare i miei scatti alle riviste per fotoamatori. Me le rimandavano indietro con lunghe critiche, per convincermi che erano molto scadenti. «Ma io, testardo, abbandonai la banca e cominciai ad andare in giro a fotografare, senza capire bene quello che stavo facendo. Però continuavo a scattare pessime immagini: quando riguardavo il mio lavoro, non ci trovavo niente di convincente,
non piaceva neppure a me che ne ero l’autore. «A questo punto, mi iscrissi a una scuola seria, il London College of Printing: molti dei docenti del corso di Master in fotogiornalismo provenivano da Magnum Photos. Erano personaggi del calibro di Jim [James] Nachtwey e Tom Stoddart. Sono stato molto influenzato dai loro insegnamenti, e cominciai a capire qualcosa di più del fotogiornalismo. Fu la vera svolta della mia vita. «Quando hai docenti in gamba puoi diventare in gamba anche tu». Dove sta andando oggi il mondo, secondo te? Che effetto avrà la crisi mondiale sul Congo? «Certamente la crisi colpirà le ONG, perché la gente è impoverita e avrà meno denaro da donare. Un dieci per cento in meno delle risorse di una ONG, per esempio Save the Children o Unicef, significa che queste organizzazioni potranno far lavorare meno gente. Ma quelli che già lavorano non credo che potranno guadagnare meno, perché già guadagnano talmente poco... «Invece, per i rifugiati che vivono nei campi di raccolta non cambierà praticamente nulla. Non possiedono nulla e non potranno possedere meno di nulla. La loro vita è terribile, in ogni caso. «Per quanto riguarda noi fotografi, invece, la crisi potrebbe avere persino effetti positivi. Dobbiamo avere più immaginazione, scoprire nuovi modi di svolge-
Uomini e donne che lavorano nelle miniere d’oro nei pressi di Mongbwalu, nel distretto di Ituri. Tra loro, molte le vittime della malaria.
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MARCUS BLEASDALE
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arcus Bleasdale ha passato più di sette anni nella Repubblica Democratica del Congo, per rivelare la brutalità del conflitto che si sta svolgendo all’interno del paese. Le sue immagini sono state pubblicate dalle più importanti riviste internazionali, dal Sunday Times Magazine al Telegraph Magazine, da Geo a Stern, dal New Yorker a Time, a Newsweek e al National Geographic. Dal lavoro sul Congo è nato il volume One Hundred Years of Darkness (Pirogue Pr, 2003), giudicato dagli esperti del qualificato e prestigioso Photo District News il più bel libro fotogiornalistico dell’anno (di pubblicazione). Nato il 7 marzo 1968, Marcus Bleasdale si è laureato in Economia e Finanza nel 1990, presso l’Università di Huddersfield (Inghilterra). Nel 1999, ha ottenuto un Master in fotogiornalismo al London College of Printing, e da allora si è impegnato nelle terre più martoriate dalla Storia: Macedonia, Albania e Kosovo (1999), Sierra Leone (1999-2000), Ghana (2000). Sempre nel 2000, ha cominciato il suo lungo lavoro in Congo. Nel frattempo, è stato anche in Kenya, Uganda, Etiopia, Pakistan, e ancora Sierra Leone, poi Cina, Kurdistan e ancora Uganda, Sudan e sempre Congo. Numerosi i riconoscimenti ricevuti. Qui di seguito, i più importanti. 2000, Sunday Times Nikon Ian Parry Award - Photojournalist of the Year; 2004, 3p Photography Award and the Alexia Foundation Grant per One Hundred Years of Darkness; 2004, primo nella categoria Magazine News Story al National Press Photographers Association Award; 2004, primo premio nella categoria Magazine e in quella Portrait al Picture of the Year (POYi [FOTOgraphia, aprile 2008]); 2004, vincitore dell’Unicef Photographer of the Year Award; 2005, primo premio nella categoria Magazine al POYi; 2006, Olivier Rebbot Award per il miglior reportage straniero; 2006, secondo premio nella categoria Daily Life Singles al World Press Photo; 2007, riconoscimento economico da parte dell’Open Society Institute (Usa), ex-aequo con l’ONG Human Rights Watch, per continuare il lavoro in Congo; 2007, premio di cinquantamila dollari dal Freedom of Expression Institute (Norvegia), per continuare il lavoro sugli effetti delle estrazioni petrolifere sulle popolazioni locali nel mondo. Una fotografia di Marcus Bleasdale è stata selezionata dalla redazione dell’autorevole Photo District News come una delle più iconiche del Ventunesimo secolo. Marcus Bleasdale ci invita a sottolineare che continua a seguire quei fatti che vengono dimenticati dai media di oggi. Suoi portfolio agli indirizzi Internet www.marcusbleasdale.co.uk e www.viiphoto.com/photographer.html.
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re la professione. Penso che dovremmo fermarci più spesso a riflettere su cosa stiamo facendo, come lo stiamo facendo e perché lo stiamo facendo. E come sopravvivere. Ci farebbe sicuramente bene». Vorrei una tua opinione su un’affermazione che Tim Hetherington ha espresso a Milano, partecipando all’inaugurazione di Fotografica 08, la manifestazione dedicata alla fotografia che si è svolta il novembre scorso [su questo numero, a pagina 18]. Tim Hetherington ha affermato: «Da quando ho vinto l’edizione 2008 del World Press Photo ho ricevuto milioni di domande riguardanti ogni particolare della mia fotografia vincitrice: perché ho fotografato un soldato nel-
la penombra, perché c’è una leggera sfumatura, cosa significa la sua mano sulla fronte? Tutto questo interesse sui piccoli particolari mi ha molto sorpreso. Questa immagine, che sembra aver suscitato tanto interesse presso i “critici”, ha avuto sicuramente impatto anche sul pubblico. Calcolo che sia stata vista da circa sette milioni di persone: quattro e mezzo sono lettori di Vanity Fair [che ha commissionato il reportage], altri due milioni l’hanno vista sul web, il resto l’ha trovata in altre riviste o in mostre fotografiche. Al contrario, la Cnn ha passato in televisione un mio video, sempre sull’Afghanistan, che ho girato mentre scattavo le fotografie: in una
sola sera è stato visto da ventidue milioni di persone, ma nessuno mi ha fatto alcuna domanda a proposito. Non è strano?». Tu sei interessato a passare al video? «Realizzo già video. Lavoro in campo multimediale e combino fotografie e immagini in movimento. «Se ho capito quello che dice, non sono tanto d’accordo con Tim Hetherington. Mi sembra che lui sottolinei la differenza tra un audience di sette milioni e una di ventidue. Secondo me, la questione corretta è un’altra e non dipende dalle quantità, teoriche o reali che siano: cosa voglio ottenere mostrando le mie immagini e come posso fare per raggiungere il mio scopo? Sono convinto che, a volte, possa essere più efficace mostrare un’im-
Gety, distretto di Ituri: rifugiati in un campo dell’IDPs (Internally Displaced Persons, un’organizzazione che si occupa di aiutare chi fugge dai fronti di guerra), assistono a una funzione religiosa. A causa dei conflitti, dal 1998 il numero di civili morti per violenze o mancanza di cure mediche raggiunge la cifra spaventosa di quattro milioni.
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Un minatore bambino al lavoro in una miniera d’oro a Watsa, nel distretto di Ituri. In Congo si registra e conteggia il più alto numero di bambinisoldato al mondo. La maggior parte di loro è reclutata a forza sotto minaccia di morte. I bambini-soldato rappresentano uno degli aspetti più orribili della mancanza di diritti umani nel paese. Contro il cielo, sagome di minatori della miniera d’oro di Watsa, nel distretto di Ituri. La maggior parte dei minatori sono ex combattenti che traggono profitto dal controllo delle miniere e inviano illegalmente l’oro estratto nel vicino Uganda.
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magine a cinque persone invece che a venti milioni, se sono le cinque persone giuste. «Faccio un esempio: pubblico sei pagine sul Magazine del New York Times. Saranno viste da dieci milioni di persone. Ma quanti di loro leggono l’articolo? Diciamo, quattro milioni. Scommetto che il settantacinque per cento di loro non è interessato
all’argomento. Scendiamo a un milione di interessati. Quanti di loro vorrebbero fare qualcosa? Meno di cento. E tra questi cento, quanti poi lo fanno davvero? Meno di cinque. Se vogliamo veramente fare qualcosa per l’Africa sono quei cinque che dobbiamo contattare». Intervista di Lello Piazza
SOPRATTUTTO... Il libro Alla Photokina e ritorno spazia a largo raggio: con considerazioni che non si esauriscono nel solo ambito originario della tecnica e del commercio, ma si estendono alla promozione della Fotografia e a riflessioni di costume e, perché no, espressione creativa. Con tanti contorni. Soprattutto, la consecuzione dei suoi tredici capitoli (più uno) propone spunti di riflessione utili e proficui all’intero comparto della fotografia
Alla Photokina e ritorno (dodici pagine, ventinove illustrazioni). Sottolineatura del valore del Sicof. Photokina della chiarezza. Una volta si andava alla Photokina per scoprire qualcosa, oggi è un contenitore di sollecitazioni e valori.
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A
llegato allo scorso numero di dicembre di FOTOgraphia, ed ora in vendita autonoma (diffondete la notizia), Alla Photokina e ritorno è una escursione sullo stato attuale del mercato fotografico, che si allunga su centosessanta pagine. Senza soluzione di continuità, è un racconto che passa con disinvoltura da annotazioni tecnologiche ad applicazioni tecniche, sconfinando verso considerazioni commerciali e, soprattutto, ribadendo quei profondi legami che vincolano l’esercizio della fotografia ai propri risultati: sia in termini professionali sia in ambito non professionale, dall’affascinante fotoricordo all’esercizio concentrato e consapevole. Così che, per quanto esplicitamente sottotitola-
to Annotazioni dalla Photokina 2008 (World of Imaging), alla Koelnmesse, Germania, dal ventitré al ventotto settembre, con richiami e riferimenti che non si esauriscono con il solo svolgimento della Photokina, il titolo si presenta in qualche misura ingannevole. Tutto ha origine con la richiamata Photokina di Colonia, ma nulla si esaurisce con le sue date e tra i suoi padiglioni. Ciò detto, Alla Photokina e ritorno è comunque un titolo/richiamo in qualche modo e misura elitario, perché si indirizza a coloro i quali sanno cos’è la stessa Photokina, escludendo dal suo interesse immediato e riconoscibile coloro i quali ne ignorano l’esistenza e/o il ruolo all’interno dell’intero mercato della fotografia. Per questo, e nel concreto, i suoi tredici capitoli più uno (finale), illustrati con trecentoquarantatré immagini, si offrono e propongono come saggio ricco di spunti utili e proficui al comparto fotografico italiano, rivolgendo il proprio orizzonte a un pubblico quantomeno selezionato: quello che vive con intensità le mille sfaccettature della sua poliedrica personalità.
PROPOSITI E INTENZIONI Scritto da Maurizio Rebuzzini, direttore ed editore di FOTOgraphia, va detto, è un libro del quale il comparto fotografico dovrebbe fare tesoro, attingendo alle innumerevoli e documentate considerazioni espresse, che legano e collegano il mercato della fotografia alla promozione e visualizzazione dei suoi (magici) risultati. Come annotato, l’occasione della Photokina 2008 è soltanto pretesto e motivo conduttore: non è il fine, né lo scopo del testo. Più esplicitamente, come certificato in quarta di copertina (ma chi la va a leggere?), si tratta di Riflessioni, Osservazioni e Commenti sulla Fotografia, che si offrono e propongono sia al comparto tecnico-commerciale sia al mondo della fotografia espressiva e creativa. E questo è vero e sacrosanto. Ancora, l’autore mette subito e presto sull’avviso (ancora in quarta di copertina e in una striscia in corpo tipografico minuto, che, curiosamente, parte dalla pagina due di inizio, per concludersi alla centocinquantanove di fine del libro): «Qualsiasi viaggio nella vita, se non fosse intrapreso per ragioni umane e con comprensione e amore, sarebbe un viaggio assolutamente inutile. Parlo sempre di qualcosa che vale la pena ricordare, dal momento che la tecnologia trasforma in realtà antichi sogni. La fonte della tecnologia applicata (anche fotografica) è quella stessa fonte che alimenta la vita e l’evoluzione dell’esistenza». Diavolo! Pubblicato nella collana Sguardi delle neonate edizioni FOTOgraphiaLIBRI, derivazione di questo mensile FOTOgraphia, Alla Photokina e ritorno è un
. E RITORNO Alla Photokina e ritorno, di Maurizio Rebuzzini: Annotazioni dalla Photokina 2008 (World of Imaging), alla Koelnmesse, Germania, dal ventitré al ventotto settembre, con richiami e riferimenti che non si esauriscono con il solo svolgimento della Photokina. FOTOgraphiaLIBRI, 2008 (Graphia, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604; graphia@tin.it); 160 pagine 15x21cm, con 343 illustrazioni; 18,00 euro.
volume di centosessanta pagine 15x21cm. Si compone di tredici capitoli in consecuzione più uno; ogni capitolo è introdotto da una citazione, che fa da sommario, e suddiviso in capitoletti. E poi, come appena già conteggiato: trecentoquarantatré illustrazioni a commento, didascalizzate (duecentosettantuno a colori, dodici in viraggio seppia e sessanta in bianconero), che scorrono accanto al testo, collegandosi ma percorrendo anche un tragitto autonomo. Come dire che i libri sono poi due: uno propriamente del testo e l’altro delle fotografie, che delineano un altro panorama, complementare.
TREDICI CAPITOLI (PIÙ UNO) Nel dettaglio, i capitoli che compongono le centosessanta pagine illustrate di Alla Photokina e ritorno, di Maurizio Rebuzzini. ❯ Alla Photokina e ritorno (con Georges Simenon; dodici pagine, con ventinove illustrazioni). Considerazioni a partire dall’inizio degli anni Settanta. Sottolineatura del valore e statura del Sicof (Salone Internazionale Cine Foto Ottica e Audiovisivi). Photokina della chiarezza. Una volta si andava al-
la Photokina per scoprire qualcosa, oggi è un contenitore di sollecitazioni e valori. Cioè, la Photokina non è più solo una fiera tecnologica: la sua camaleontica personalità ne ha modificato l’indirizzo; così che oggi la Photokina è l’espressione più chiara, trasparente e concreta di intrecci, legami e collegamenti molteplici. Alla Photokina e con la Photokina, l’intero mercato della fotografia manifesta spiriti e filosofie trasversali. Da annusare e respirare, e dei quali fare prezioso tesoro. ❯ Reflex con contorno (con Milan Kundera; ventotto pagine, con settantuno illustrazioni). Cosa esprime e significa l’attuale tecnologia delle reflex, che stanno aggredendo un territorio tecnico-commerciale fino a ieri proprio e caratteristico dei dorsi ad acquisizione digitale di immagini? Novità di mercato e corollari (con “contorno” di considerazioni complementari e immagini di alleggerimento). ❯ Visioni contemporanee (con Edward Steichen; venti pagine, con quarantotto illustrazioni). Il programma della Visual Gallery 2008, con deviazioni di percorso verso il linguaggio della fotografia e rievocazioni storiche di complemento. ❯ I sensi della memoria (con Anne Perry; dieci pagine, con ventisette illustrazioni). Altre mostre fotografiche allestite e presentate tra i padiglioni espositivi della Photokina 2008. Sopra tutto, le Sale cinematografiche tra gli anni Trenta e Cinquanta, di Karl Hugo Schmölz, del quale, alla precedente Photokina 2006, si è apprezzata la rigorosa e partecipata documentazione delle distruzioni dei bombardamenti alleati su Colonia, alla fine della Seconda guerra mondiale [FOTOgraphia, febbraio 2007]. ❯ La città coinvolta (con Georges Perec; dieci pagine, con ventisei illustrazioni). L’esposizione merceologica della Photokina è contornata da molteplici manifestazioni fotografiche organizzate e svolte a Colonia, che si allungano dall’inizio alla fine di settembre, in anticipo di date e a ridosso della Fiera. Due i contenitori ufficiali: Internationale Photoszene Köln (novantuno mostre fotografiche) e :kölnfotografiert’ 08 (altre mostre, incontri, workshop, escursioni, eventi, convegni, opportunità). ❯ E venne il giorno (?) (con il tenente Colombo; sei pagine, con quindici illustrazioni). Limiti e inutilità del definito Photokina Day, di Milano: addirittura dannoso? E considerazioni sull’educazione commerciale, che non si limiti e circoscriva a competenze tecniche (se e quando ci sono), ma arrivi a comprendere la definizione di un mercato ammaliante per i propri clienti potenziali. ❯ E tutto attorno, Colonia (con Giuseppe Marotta; sei pagine, con diciassette illustrazioni). Civiltà di una città in Germania; rapporto con i cittadini e tra
Dal quadernetto di appunti di Maurizio Rebuzzini: [a proposito di Alla Photokina e ritorno] «Non ne ho né il tempo, né la serenità e nemmeno i soldi; ne ho solo la voglia». Maurizio Rebuzzini non ha scavalcato gli impegni professionali quotidiani, da FOTOgraphia all’Università, a altro ancora. Ha scritto Alla Photokina e ritorno di notte, ascoltando soprattutto Francesco Guccini, ma anche Pietro Mascagni (Cavalleria rusticana), i Platters (di Smoke Gets in Your Eyes), gli Shadows (Apache) e tanta Francia degli anni Cinquanta (Edith Piaf e Charles Trenet, prima di altri). L’ha scritto durante viaggi in treno, oppure in piedi sul tram; in ogni caso in ritagli di tempo rubati alla inevitabile successione degli impegni quotidiani. Ancora, le bozze corrette in treno, in tram, ai tavolini di bar, tra un appuntamento e l’altro, oppure aspettando un appuntamento. Le finiture, perfino quelle sostanziali, che hanno dato completezza alle pagine, pensate in viaggio, disegnate sulle banchine delle stazioni, tra un treno e il successivo (entrambi in costante ritardo sull’orario annunciato: Trenitalia è in Italia, lo si capisce), ai margini di una commissione di tesi di laurea, camminando per strada. Appunto: è un clown, e fa raccolta di attimi.
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CITARSI ADDOSSO
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gni capitolo di Alla Photokina e ritorno è introdotto da una citazione, da intendere come sottotitolo dichiarato. Con ordine. ❯ Richiamo generale: Sono un clown, e faccio raccolta di attimi (Heinrich Böll). ❯ Alla Photokina e ritorno: Solo a giochi fatti, è ovvio, le ore assumono tutta la loro importanza (Georges Simenon). ❯ Reflex con contorno: Tutto ciò che raccontava era in effetti possibile, ma non per questo certo (Milan Kundera). ❯ Visioni contemporanee: Missione della fotografia è spiegare l’uomo all’uomo e ogni uomo a se stesso (Edward Steichen). ❯ I sensi della memoria: La storia non può insegnarci niente se scegliamo di dimenticarla (Anne Perry). ❯ La città coinvolta: Da un pullman di turisti mi sembra che una giapponese stia fotografando (Georges Perec). ❯ E venne il giorno (?): «Che bello! Non avevo mai visto un cane poliziotto». «Non l’hai visto neanche stavolta. Questo è il cane di un poliziotto» (Il bambino prodigio Steve Spielberg [Lee H. Montgomery] e il tenente Colombo [Peter Falk]). ❯ E tutto attorno, Colonia: Arrivata a porta Venezia, Milano finalmente sorride (Giuseppe Marotta). ❯ Ricordando Herbert Keppler: Rivedo un viso mormoro un nome / ma non ricordo quando né come (Charles Trenet, traduzione e adattamento di Gesualdo Bufalino; esecuzione di Franco Battiato). ❯ Ciò che dice l’anima: Come gli aeroplani che si parlano tra di loro / e discutono e non si dicono mai niente (Enzo Jannacci). ❯ Sopra tutto, il dovere: Io non mi sento italiano / ma per fortuna o purtroppo lo sono (Giorgio Gaber e Sandro Luporini). ❯ In forma compatta: Con la primavera, a centinaia di migliaia, i cittadini escono la domenica con l’astuccio a tracolla. E si fotografano (Italo Calvino). ❯ Tanti auguri a voi: E quando ci domanderanno che cosa stiamo facendo, tu potrai rispondere loro: ricordiamo. Ecco dove alla lunga avremo vinto noi (Ray Bradbury). ❯ Saluti da Colonia: La distanza è più questione di tempo che di spazio (W. Somerset Maugham).
Reflex con contorno (ventotto pagine, settantuno illustrazioni). Cosa esprime l’attuale tecnologia delle reflex, che stanno aggredendo un territorio tecnico-commerciale fino a ieri caratteristico dei dorsi digitali? Visioni contemporanee (venti pagine, quarantotto illustrazioni). La Visual Gallery 2008, con deviazioni di percorso verso il linguaggio della fotografia e rievocazioni storiche di complemento. I sensi della memoria (dieci pagine, ventisette illustrazioni). Altre mostre fotografiche allestite e presentate tra i padiglioni della Photokina 2008. Sopra tutto, le Sale cinematografiche tra gli anni Trenta e Cinquanta, di Karl Hugo Schmölz.
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i cittadini. Milano è in Italia: lo si capisce. Colonia è in Germania: lo si capisce. ❯ Ricordando Herbert Keppler (con Charles Trenet / Gesualdo Bufalino e Franco Battiato; due pagine, con due illustrazioni). Herbert Keppler Memorial, in onore del giornalista statunitense mancato all’inizio del 2008, a ottantadue anni. ❯ Ciò che dice l’anima (con Enzo Jannacci; sei pagine, con undici illustrazioni). Come fanno la differenza le ipotesi minimali di quei produttori che si impegnano in ipotesi tecniche di nicchia, tra concretezza operativa (Silvestri) e territori alternativi? Nello smettere di sentire il cervello, per ascoltare l’anima. ❯ Sopra tutto, il dovere (con Giorgio Gaber e Sandro Luporini; quattro pagine, con otto illustrazioni). Altra cultura: il dovere prima del diritto. ❯ In forma compatta (con Italo Calvino; dieci pagine, con venticinque illustrazioni). Non si registra al-
cuna novità, che si presentano da sé, con la propria sola raffigurazione. Invece, riflessione sulle evoluzioni implicite della fotografia e del suo gesto, alla luce delle nuove tecnologie. Con contorno di ipotesi che dovrebbero maturare a tempi brevi. ❯ Tanti auguri a voi (con Ray Bradbury; venti pagine, con cinquantadue illustrazioni). Anniversari sul 2008: uno clamorosamente ignorato e altri celebrati. A dispetto di ciò che qualcuno vorrebbe farci credere, si è ricchi della propria storia e del proprio passato. ❯ Saluti da Colonia (con W. Somerset Maugham; sei pagine, con nove illustrazioni). Avvincente edizione di cartoline di Thierhoff City Verlag, che declinano il simbolo di Colonia, il suo Duomo gotico, verso una molteplice serie di richiami affascinanti [e su questa edizione, FOTOgraphia tornerà a breve]. ❯ Citarsi addosso (con Woody Allen; sette pagine, con ripetizione delle illustrazioni introduttive dei tredici capitoli). Appena sotto il proprio titolo, prima di avviarne il testo relativo, ogni capitolo di Alla Photokina e ritorno è avviato da una citazione, da intendere come sottotitolo dichiarato. Alla maniera dei sommarietti
dei giornali e delle riviste, ogni citazione decodifica, certifica e, per quanto im-possibile, spiega il testo. A volte, le citazioni sono state moderatamente modificate rispetto l’originale; modificate, ma non alterate nel proprio senso e significato. Per questo, sono riportati i testi originari e rivelati i contesti.
ASSENZE (VOLONTARIE) Dalle considerazioni di Alla Photokina e ritorno mancano i flash elettronici da studio, mentre si racconta del Metz Mecablitz 15 MS-1 Digital, ai quali si accenna soltanto in merito e relazione agli anniversari tondi di alcune produzioni: sessant’anni Multiblitz (1948-2008), cinquant’anni Bron (1958-2008) e quaranta Profoto (1968-2008; peraltro gli unici ad averli celebrati in solennità). Non si è trattato di una dimenticanza, ma della constatazione che questa tecnologia applicata non sta più esprimendo novità di sostanza, novità che cambiano il ritmo e tempo. Casomai, in questo senso, avrebbero meritato gli onori della passerella tecnica soltanto i produttori cinesi, quelli che fino a qualche anno fa guardavamo con sufficienza. Sono loro che oggi formulano valori innovativi, con configurazioni efficaci e versatili proposte a prezzi di vendita/acquisto assolutamente accattivanti. Un nome tra i tanti? Linkstar, la cui gamma di monotorcia è vasta tanto quanto è conveniente. Non è stato affrontato neppure il discorso della stampa, sia in proprio sia conto terzi, che esige spazi autonomi e approfondimenti estranei alle proiezioni prese in considerazione dal testo del libro. Tra stampanti, inchiostri e carte, l’argomento è ampio e doveroso: ma è alla portata di considerazioni che riguardano più ambiti giornalistici che altro. E questa è anche una dichiarazione di intenti, che si allungherà sulle pagine di FOTOgraphia. Conoscendo l’autore, un’altra assenza risulta addirittura clamorosa. Tra le citazioni che fanno da sommario ai singoli capitoli manca Francesco Guccini, i cui motivi e le cui parole accompagnano la vita di Maurizio Rebuzzini, che proprio nella presentazione delle stesse citazioni riconosce di averle scelte anche per «il piacere di buone compagnie, quelle che circondano la mia vita quotidiana». Appena a seguire, c’è una precisazione che qui va richiamata; appunto a proposito delle buone compagnie, «non sono tutte qui, ma qui ne ho riunito un campione significativo, soprattutto per qualità». Quindi, perché manca Francesco Guccini. A domanda, Maurizio Rebuzzini ha risposto candidamente: «Manca Guccini, perché avrebbe potuto (dovuto?) essere tutto Guccini. Ma!». Non si può? Da Una canzone: La canzone [il testo di un articolo] è una penna e un foglio / così fragili fra queste dita, / è quel che non è, è l’erba voglio / ma può essere complessa come la vita. / La canzone è una vaga farfalla / che vola via nell’aria leggera, / una macchia azzurra, una rosa gialla, / un respiro di vento la sera, / una lucciola accesa in un prato, / un sospiro fatto di niente / ma qualche volta se ti ha afferrato / ti rimane per sempre in mente / e la scrive gente quasi normale / ma con l’anima come un bambino / che
La città coinvolta (dieci pagine, ventisei illustrazioni). L’esposizione merceologica della Photokina è contornata da molteplici manifestazioni fotografiche organizzate e svolte a Colonia, dall’inizio alla fine di settembre, in anticipo di date e a ridosso della Fiera. E venne il giorno (?) (sei pagine, quindici illustrazioni). Limiti e inutilità del definito Photokina Day, di Milano: addirittura dannoso?
ogni tanto si mette le ali / e con le parole gioca a rimpiattino. / [...] Però alla fine è fatta di fumo / veste la stoffa delle illusioni, / nebbie, ricordi, pena, profumo: / son tutto questo le mie canzoni [i miei testi]. Da Cristoforo Colombo: [...] Se lo sente, non può più fallire, scoprirà un nuovo mondo; / quell’attesa lo lascia impaurito di toccare già il fondo. / Non gli manca il coraggio o la forza per vivere quella follia / e anche senza equipaggio, anche fosse un miraggio ormai salperà via. / [...] Isabella è la grande regina del Guadalquivir / ma come lui è una donna convinta che il mondo non può finir lì. Soprattutto, da Addio: [...] io, eterno studente / perché la materia di studio sarebbe infinita / e soprattutto perché so di non sapere niente, / io, [...] solo piccolo baccelliere, / perché, per colpa d’altri, vada come vada, / a volte mi vergogno di fare il mio mestiere, / io dico addio a tutte le vostre cazzate in-
E tutto attorno, Colonia (sei pagine, diciassette illustrazioni). Civiltà di una città in Germania; rapporto con i cittadini e tra i cittadini. Milano è in Italia: lo si capisce. Colonia è in Germania: lo si capisce.
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cia / e dico addio alle commedie tragiche dei sepolcri imbiancati. / [...] Ma a te dedico queste parole da poco / che sottendono solo un vizio antico / sperando però che tu non le prenda come un gioco, / tu, ipocrita uditore, mio simile... / mio amico...
TRA LE RIGHE
Ricordando Herbert Keppler (due pagine, due illustrazioni). Herbert Keppler Memorial, in onore del giornalista statunitense mancato all’inizio del 2008, a ottantadue anni. Ciò che dice l’anima (sei pagine, undici illustrazioni). Come fanno la differenza le ipotesi minimali di quei produttori che si impegnano in ipotesi tecniche di nicchia, tra concretezza operativa (Silvestri) e territori alternativi? Nello smettere di sentire il cervello, per ascoltare l’anima. Sopra tutto, il dovere (quattro pagine, otto illustrazioni). Altra cultura: il dovere prima del diritto.
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finite, / riflettori e paillettes delle televisioni, / alle urla scomposte di politicanti professionisti, / a quelle vostre glorie vuote da coglioni. / E dico addio al mondo inventato del villaggio globale, / [...] alle magie di moda delle religioni orientali / che da noi nascondono soltanto vuoti di pensiero, / ai personaggi cicaleggianti dei talk-show / che squittiscono ad ogni ora un nuovo “vero” / alle futilità pettegole sui calciatori miliardari, / alle loro modelle senza umanità / alle sempiterne belle in gara sui calendari, / a chi dimentica o ignora l’umiltà. / [...] Io dico addio a chi si nasconde con protervia dietro a un dito, / a chi non sceglie, non prende parte, non si sbilancia / o sceglie a caso per i tiramenti del momento / curando però sempre di riempirsi la pan-
Alla maniera di FOTOgraphia, che in ogni proprio numero comprende riferimenti sottotraccia, collegamenti subordinati (persino al gusto dei redattori) e molteplici raccordi, anche Alla Photokina e ritorno contiene trasversalità, che andiamo a rivelare. Non prima di aver sottolineato che il libro certifica che «È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo)» [e lo stesso è per la rivista FOTOgraphia: nel colophon burocratico, a pagina 5, accanto al Sommario]. Comunque, le trasversalità, ora. Completo di Toscano, nel secondo risvolto di copertina, quello posteriore, il “ritratto” dell’autore Maurizio Rebuzzini riprende la proiezione dell’ombra che illustra la copertina (a proposito, tra le ipotesi della fotografia di copertina, la redazione di FOTOgraphia si è orientata su questa immagine, scelta tra una decina in ballottaggio; alcune eliminate definitivamente, altre rientrate nel libro). E poi, un secondo autoritratto, quello definito “riflesso, con Ellen Auerbach”, a pagina 84, è entrato nel libro una volta che si è notata l’esatta sovrapposizione dei volti. In origine, si sarebbe dovuto trattare soltanto di un appunto, preso per visualizzare la fotografa con Leica. Dopo aver acquisito a scanner il negativo bianconero 24x36mm del primo scatto realizzato alla Photokina 1974, la prima visitata, è stata verificata una curiosa, e non voluta, né ricercata coincidenza di data con l’ultimo scatto alla Photokina 2008: alle pagine 12 e 13 affacciate, sabato e domenica ventotto settembre. Del resto, è stato anche detto che le coincidenze sarebbero i soli accadimenti che possano far sospettare che la vita abbia senso. In una lavorazione scollegata dalla sequenza dei tredici capitoli, così come sono conseguenti sul libro, per valore personale, l’ultimo testo inserito nell’impaginato, è stato quello in ricordo di Herbert Keppler, appunto Ricordando Herbert Keppler, il giornalista statunitense mancato all’inizio dello scorso gennaio 2008: a pagina 105. Analogamente, in altra fase di lavorazione, l’ultima fotografia lavorata e inserita ha riguardato, ancora e a propria volta, lo stesso Herbert Keppler, a pagina 14. Il testo che scorre da pagina 2 a pagina 159, già richiamato, è stato inserito perché due sole pagine senza alcun testo sono parse poche. Tanto è valso che non ce ne fosse alcuna. Poi, l’inserimento ha acquisito un proprio senso e significato: di necessità, si è finito per farne virtù. La scrittura dei capitoli non è stata consequenziale, ma suggerita e sollecitata dall’estro del momento. Le cadenze che ora compongono la sequenza dei tredici capitoli più uno sono state stabilite in fase di messa in pagina. Quindi, in uno spirito di autentico work-in-progress (diavolo, si dice
così), riveliamo anche che alcuni capitoli sono stati ispirati e/o sollecitati dalla citazione che ne fa da sottotitolo e che ha guidato la loro stessa stesura. Il compendioso capitolo Reflex con contorno (che si allunga su ben ventotto pagine, che lo conteggiano come il più lungo del libro) è tale, “con contorno”, almeno per due motivi: anzitutto per alleggerire le tante pagine, quindi per dare spazio e visibilità a portfolietti di immagini dalla Photokina e da Colonia che sono parse degne di attenzione (e altre sono disseminate anche in altri contesti). Apprezzato da molti, perché non tutti se ne sono accorti (e neppure se ne erano accorti due anni fa, alla Photokina 2006, quando fu realizzato), il parcheggio riservato alla stampa è stato fotografato una mattina, all’alba. Colpo di fortuna: l’unica auto presente, lasciata lì per tutta la notte, è nella posizione nella la quale si sarebbe collocata se si fosse dovuto realizzare una fotografia posata. Così risulta evidente il disegno della proiezione sulla parete dell’edificio perimetrale accanto (a pagina 112). Inserendo due opere dell’artista Pop statunitense Roy Lichtenstein si è avuta l’accortezza di usarne una del Ludwig Museum di Colonia, che peral-
tro l’ha altresì realizzata in forma di poster (appunto), e una del Mart di Rovereto: a pagina 118. Alla stessa pagina 118, in combinazione con un richiamo all’arte Pop, nel testo, si è riportata una affermazione di Robert Indiana, l’autore del celeberrimo Love, documentato nella sua versione scultorea sulla Sixth Avenue, di New York. Infine, per un poco di ordine formale, la pagina di testo finale (151) è esattamente simmetrica a quella iniziale (10), che precede il sommario. In tutto questo, a conclusione del lungo percorso, nell’ambito della presentazione finale delle citazionisommario, l’autore Maurizio Rebuzzini si è rivolto direttamente a coloro i quali possono decodificare le annotazioni esplicite e quelle implicite del suo libro. Testuale: «Come già annotato altrove, precedendo la sequenza dei tredici capitoli consequenziali, in Alla Photokina e ritorno ho riunito osservazioni eterogenee tra loro, percorrendo altresì un tragitto che non ha lasciata chiusa nessuna delle porte incontrate. «Così facendo, ribadisco anche i tratti della mia personalità fotografica (me lo dico da solo): appunto aperta a ogni visione possibile, ed estesa, senza soluzione di continuità, dai valori tecnologici alle considerazioni di carattere commerciale, dalle caratteristiche tecniche al linguaggio espressivo, dal contemporaneo alla storia, dal mercato al costume. Ancora, senza alcuna preclusione, in andata-e-ritorno, avanti-e-indietro, su-e-giù, di-qui-e-di-là. «Allo stesso momento, così facendo consento a ciascuno di conservare e coltivare i propri pregiudizi sulla mia azione in fotografia: l’ho capito, e lo comprendo anche. Per qualcuno, rimarrò soltanto un tecnico, lontano ed estraneo a qualsiasi manifestazione della cultura fotografica (kultura?); per altri, sarò sempre l’esatto contrario. Imperativo è solo tenermi a distanza». In assoluto, anche con Alla Photokina e ritorno il nostro direttore Maurizio Rebuzzini ha offerto quel conforto e quella voce utili a ciascuno per continuare a relegarlo in categorie a lui/lei distanti. [Da Heinrich Böll] Lui rimane consapevole di essere soltanto un clown: e fa raccolta di attimi. Antonio Bordoni
In forma compatta (dieci pagine, venticinque illustrazioni). Riflessione sulle evoluzioni implicite della fotografia e del suo gesto, alla luce delle nuove tecnologie. Tanti auguri a voi (venti pagine, cinquantadue illustrazioni). Anniversari sul 2008. A dispetto di ciò che qualcuno vorrebbe farci credere, si è ricchi della propria storia e del proprio passato. Saluti da Colonia (sei pagine, nove illustrazioni). Avvincente edizione di cartoline, che declinano il simbolo di Colonia verso una molteplice serie di richiami affascinanti.
Citarsi addosso (sette pagine, ripetizione delle illustrazioni introduttive dei tredici capitoli). Appena sotto il proprio titolo, prima di avviarne il testo relativo, ogni capitolo di Alla Photokina e ritorno è avviato da una citazione, da intendere come sottotitolo dichiarato.
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PROFESSIONALE
AUTENT CA
G
iocoforza riprendere una delle rilevazioni (rivelazioni?) che compongono l’ossatura delle riflessioni, osservazioni e commenti sulla Fotografia espressi in Alla Photokina e ritorno, saggio di Maurizio Rebuzzini, che offre spunti utili e proficui al comparto tecnico-commerciale, oltre che a
quello creativo (che qui non ci interessa) [su questo stesso numero, dalle pagine immediatamente precedenti, da pagina 56]. Analizzando l’attualità dell’offerta reflex, l’autore approda a una considerazione per certi versi preoccupante, almeno dal punto di vista della qualità formale ed espressiva di certa fotografia professionale dei nostri giorni.
Testuale, dal capitolo Reflex con contorno, introdotto da una citazione-sommario esemplare (Tutto ciò che raccontava era in effetti possibile, ma non per questo certo; da Lo scherzo, di Milan Kundera): «Le evoluzioni indipendenti della tecnologia di acquisizione digitale delle immagini stanno creando una forbice che allarga le proprie lame in maniera inconsulta. [...] E così altera ogni precedente equilibrio tecnico. Nel concreto, e specifico, accade che le configurazioni reflex stiano offrendo prestazioni basilari che superano le intenzioni standard di utilizzo e abbattono confini fino a ieri consolidati. [...] Queste reflex si offrono e propongono per applicazioni statiche e sedentarie, che sono state sempre lontane dalla portata delle reflex per pellicola 35mm». Ancora: «A conclusione, non si potrebbero proprio confondere i termini tecnici, in base ai quali le reflex dovrebbero essere destinate a impieghi diversi e separati dai dorsi, ma! Ma! Ma la confusione regna
sovrana, soprattutto dove e quando l’ignoranza, anche soltanto tecnica, è elevata a valore alto e assoluto». Ciò premesso, confessiamo di appartenere alla categoria di coloro i quali intendono declinare ancora l’esercizio professionale della fotografia con le prerogative tecniche che influiscono in modo benefico, addirittura indispensabilmente benefico, sull’interpretazione espressiva dei soggetti: in sala di posa, come anche in esterni, con l’apparecchio fotografico inviolabilmente a corpi mobili, per il pertinente controllo della prospettiva e la versatile gestione dell’estensione ottimale della nitidezza. In questo senso, per quanto possiamo conteggiare come tramontati i tempi delle costruzioni grande formato a banco ottico, piuttosto che folding, continuiamo a non ignorare le combinazioni dei corpi mobili, che oggigiorno raggiungono il proprio apice tecnico con le configurazioni dell’italiana Silvestri Fotocamere, evoluzione produttiva delle originarie in-
Sistema modulare decentrabile e basculabile con prestazioni più che eccellenti. Eccezionali, addirittura. Configurabile per ogni esigenza e necessità della fotografia professionale, dalla sala di posa alle sessioni in esterno, la versatile dotazione Silvestri Bicam offre e propone soluzioni esclusive
terpretazioni decentrabili ideate da Vincenzo Silvestri all’alba degli anni Ottanta. In particolare, sottolineiamo la straordinaria versatilità della dotazione Silvestri Bicam, ufficialmente utilizzabile sia con dorsi portapellicola a rullo sia con dorsi ad acquisizione digitale. Però, nel concreto, è ovvio che oggi ci si debba necessariamente riferire soprattutto, se non già soltanto, alla fotografia digitale con dorsi dedicati (a ciascuno, il suo, a scelta tra quanti disponibili sul mercato).
la di posa, alla fotografia di interni (copertura di un cerchio di immagine di 70mm di diametro). In sovramercato, la Silvestri Bicam vanta un esteso sistema di accessori, che permettono di affrontare e risolvere ogni condizione della ripresa. Alternativamente, e secondo necessità, utilizza obiettivi montati su piastra dotata di elicoide di messa a fuoco, oppure può essere configurata con un proprio soffietto basculabile di accomodamento, che evita l’elicoide. Di piccole dimensioni, in re-
lazione al proprio indirizzo (165x147x50mm), e peso proficuamente contenuto (solo 0,8kg, senza obiettivo), la Silvestri Bicam è comunque adeguatamente “mobile”: decentramento di quindici più quindici millimetri, verso l’alto e il basso. Come già rilevato, ma la ripetizione si impone, è adatta sia alle sessioni in sala di posa, per la fotografia di still life, sia alla fotografia in esterni, dall’architettura alla documentazione industriale, dagli interni ai viaggi. Per utilizzi rapidi, senza peral-
tro rinunciare alle prerogative dei dorsi di acquisizione digitale di immagini, come anche al medio formato 6x7cm e 6x9cm su pellicola a rullo 120/220, è previsto addirittura un mirino esterno dedicato, accessorio opzionale, a propria volta provvisto di decentramento allineato allo scorrimento dell’obiettivo. Non si può certo chiedere di più. (Silvestri Fotocamere, via della Gora 13/5, 50025 Montespertoli FI; 0571-675049; www.silvestricamera.com, info@silvestricamera.com). Antonio Bordoni
Compatta e flessibile, la Silvestri Bicam interpreta in modo magistrale la collocazione autonoma e differenziata dell’obiettivo rispetto il piano immagine: decentrato e/o basculato secondo necessità. Nata dalle ceneri dei banchi ottici dei decenni passati, è agilmente realizzata in modo tale da utilizzare tutti gli obiettivi finalizzati alla fotografia meditata dei nostri giorni, addirittura estende le proprie fini regolazioni meccaniche fino al nuovo ipergrandangolare Rodenstock HR Digaron-S 23mm f/5,6, utilizzabile senza soluzione di continuità dalla fotografia di architettura allo still life in sa-
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GIANNI BERENGO GARDIN
L
La fotografia è una malattia; quando entra nell’anima non conosce limiti... è come avere un coltello nel cuore; e come per ogni forma eroica di resistenza, il solo modo per combattere la fotografia della falsificazione è realizzare fotografie del reale. La crudeltà dell’ideologia consumerista avvolge gli sguardi a ogni angolo del pianeta, e il dolore dei poveri è anestetizzato nella miseria come oggetto di consumo. La cultura del privilegio è una forma di “fascismo dolce”, e nella civiltà dello spettacolo integrato trionfa il culto della mediocrità e del ruolo. La tendenza della fotografia mercantile ha deposto nell’arte della soggezione ogni forma di autenticità e ha calpestato la bellezza del reale nella falsificazione del crimine ideologico o dell’ipocrisia del mondano d’autore (si fa per dire). Lo sguardo della fotografia attuale (argentica o numerica, fa lo stesso) è vestito di segnali seriali e lo spirito di ogni immagine è affogato in menzogne planetarie.
SULLA FOTOGRAFIA DEL REALE Compito della fotografia dell’autentico, o del reale preso al volo, è profanare ciò che viene venerato, giacché senza la profanazione del sacro, il mutamento profondo del reale non mette radici, né fa nascere nuovi fiori e profumi di disobbedienza civile. Occorre lasciare libero campo allo stupore e alla meraviglia, opporsi nelle strade e dappertutto alla servitù, alla falsità e alla dittatura dell’immaginario, imposte da governi rapaci e impuniti, con la voglia di verità, giustizia e libertà di un’adorabile adolescenza destinata a rovesciare ogni forma di barbarie. Il bene, il bello e il vero esprimono la coscienza del sé, che affida all’arte di vivere tra liberi e uguali la fine dell’impostura
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delle democrazie dello spettacolo. La stagione del Sessantotto non è mai finita e l’insurrezione dello spirito libertario che si portava dentro non ha mai cessato di lavorare contro le canaglie che fanno professione di violare ogni forma reale di democrazia e hanno assunto il controllo della nazione. Motto di spirito: come gli incendi illuminano la notte degli
dignità, il rispetto e i diritti dell’uomo, degli umiliati e degli offesi... denunciare con ogni mezzo che i “grandi della Terra” sono degli aguzzini e i loro eserciti non portano la pace da nessuna parte, ma sostengono e alimentano i conflitti nel mondo. «L’espressione finale del potere è la guerra, mentre l’espressione finale della libertà è l’arte» (David Levi Strauss).
«Per antichi e grotteschi pregiudizi, la fotografia varrebbe migliaia di parole; invece, e al contrario, la fotografia del reale esprime tutte le proprie potenzialità se, quando e per quanto è introdotta e definita da parole di identificazione: non fosse altro che da semplici certificazioni di luogo e di tempo» Maurizio Rebuzzini imperi, così le insurrezioni generazionali danno luce a tutto il genere umano. Sulla critica politica dell’immagine come coltivazione degli “altrove” che chiedono di abitare una terra senza il male. Politica dell’immagine significa non solo documentare le volgarità “non vendibili” della violenza che in ogni parte del pianeta i popoli più poveri subiscono; e sono sterminati da guerre (sovente) fratricide, alimentate dalla rapacità, dal saccheggio e dall’indifferenza orchestrati dalle politiche economiche dei paesi ricchi. Politica dell’immagine vuol dire farsi messaggeri della sofferenza e nobilitare la
SULLA FOTOGRAFIA DEL REALE E LA VISIONE DELL’AUTENTICO Non vogliamo caricare la fotografia di Gianni Berengo Gardin di questi presupposti etici ed estetici, è d’altro che Gianni Berengo Gardin tratta. Tuttavia, ci sembra che al fondo della sua mutevole scrittura fotografica, il rispetto della gente e una certa attenzione al reale siano sempre stati parte della sua ricerca espressiva; c’è un’amorevolezza della scena ordinaria nelle immagini di Gianni Berengo Gardin, quasi una sorta di “celebrazione” del consueto, delle piccole cose, dell’accadere che diventa ragione di vita, forse. Sono fotografie durature,
quelle di Gianni Berengo Gardin: descrivono la solenne umiltà popolare della quale parlava Pier Paolo Pasolini in Divina Mimesis, e se da un lato registrano una funzione documentaria, di contro esprimono anche l’epifania dell’altro. Vogliamo dirlo subito. Le efficaci fotoscritture di Gianni Berengo Gardin non si portano dietro uno stile indelebile o una psicologia del profondo immediatamente indicativa (W. Eugene Smith, Walker Evans, Sebastião Salgado) e il suo fare-fotografia alterna visioni diverse e sovente distanti tra loro; nella sua produzione si mescolano i paesaggi, la cronaca di costume, la ritrattistica popolare, l’inquadratura informale o plastica, ma la sua “presa del vero” ci sembra singolare. L’uomo, del resto, è di quelli schivi, poco incline a inneggiamenti profetici o ricerca del consenso... a leggere con cura il suo sguardo sul mondo. Non importa che fotografi i contadini o un paesaggio deserto: Gianni Berengo Gardin comunica una solitudine, un’emozione, un’umanità dimenticata nelle pieghe dell’età industriale. Le sue immagini contengono quella semplicità autoriale che mette in relazione il fotografo con ciò che lo commuove o lo afferra alla gola, e la sua “oggettività” si trascolora in un atto simbolico che incrina i codici delle apparenze... e questa è la fotografia, bellezza! Gianni Berengo Gardin nasce “corsaro”, sulla costa genovese, a Santa Margherita Ligure, il 10 ottobre 1930. È un autore prolifico dell’editoria fotografica (tra monografie d’autore e servizi su commissione, oltre duecento volumi pubblicati); inoltre, ha lavorato per la stampa internazionale (Il Mondo, L’Espresso, Vogue, Domus, Epoca, Le Figaro, Time, Stern, per citare
soltanto alcune testate) e si è permesso di fare anche della pubblicità non proprio stupida. La sua creatività poliedrica è stata riconosciuta in tutto il mondo, e il Museum of Modern Art di New York, la George Eastman House di Rochester, la Bibliothèque nationale de France (a Parigi) e la grandi gallerie hanno ospitato le sue fotografie. Anche i premi ricevuti sono stati molti [il prestigioso Lucie Award / Lifetime Achievement è soltanto il più recente di un lungo palmarès; FOTOgraphia, ottobre 2008]. E Gianni Berengo Gardin è forse l’unico fotografo italiano di un certo spessore che non si è fatto travolgere dall’euforia della notorietà e dalla mediocrità che la circonda. Esauriti i rituali di descrizione del personaggio e richiamati dati essenziali sul suo peso autoriale, tanto per aiutare i lettori o gli studenti di cose fotografiche a comprende meglio la “via impervia” dei linguaggi fotografici, passiamo a parlare di fotografia, così per non predicare ai sordi e disilludere i ciechi della fotografia imperante. La morale non vale niente, né in fotografia, né in altro; la merce è divina. Entrambe sono al servizio dei padroni dell’immaginario. La fotografia consacrata è lo specchio di Narciso, nel cui riflesso ciascuno è parte della santità del potere o è l’eretico che infrange lo specchio e invia i cerchi avvelenati nell’acqua lezza del mercimonio. La Fotografia rende liberi nella testa. Critica politica della fotografia significa il rifiuto puro e semplice di ogni cultura della soggezione o dell’ostaggio e rivendicazione radicale dell’arte come forma altra di resistenza.
SULLA VISIONE DELL’AUTENTICO La politica fotografica del reale esprime un’estetica eversiva che rifiuta la stupidità del comune senso del fotografare. È la tradizione libertaria e ludica di una poetica fotografica ereticale che trasfigura il reale in
opera d’arte. Né gli acquarelli di Hitler, né la pistola di Joseph Goebbels o i baffi di Stalin hanno mai prodotto una sorta di cultura, anche se aspiravano a un’estetica del sublime. Nell’ordinamento della fotografia attuale, l’indicazione sapienziale è la stessa; il senso della storia è legato a doppio filo con il senso mitologico dello spettacolo. Alla luce del gioco libertario e libertino della fotografia del margine (ma non marginale) non c’è il culto dello stile, ma lo stile come rifiuto degli idoli e pratica della disaffezione, dove si affila il risentimento di una scena eversiva annunciata e ovunque c’è un uomo che soffre, grida “né dèi né padroni”. Gianni Berengo Gardin inizia a fotografare negli anni Cinquanta. Rimandiamo ai curiosi di biografie la perdita di tempo, e la sommatoria della sua opera agli abatini della chiacchiera fotografica; a noi, invece, interessa accostarci al suo lavoro, dove ci è parso avere scorto la seminagione fotografica di un “sapere” che si fa giudicare non solo per le sue opere ma anche per i suoi princìpi. Ed è bene. Perché nell’antologia dell’impostura non sono pochi i maestri o i profeti che non credono in niente, se non nelle virtù e nell’ordine delle “mosche cocchiere” che si fonda sul delitto. Le fotografie di Gianni Berengo Gardin non sono state mai caricate di valenze politiche dichiarate, e quel senso di frattalità e amorevolezza per l’immagine colta nel quotidiano non l’ha mai abbandonato. Questo è un merito, forse. Tuttavia a ripercorrere molti dei suoi reportage (manicomi, pescatori, carbonai, zingari, paesaggi) si coglie una sensibilità particolare, che vede la riflessività del reale nell’illuminazione del vero. Detto meglio. Specie nella ritrattistica della quotidianità, lo sguardo di Gianni Berengo Gardin infrange i modelli insegnati e ciò che scippa in “punta di obiettivo” si trasmuta in segno o in un’interpretazione
dell’autentico come storia delle lacrime o della gioia. Nella produzione fotografica di Gianni Berengo Gardin ci sono messe d’immagini che non ci interessano per nulla: per esempio i lavori pubblicitari, i colorismi paesaggistici, le visioni concettuali. È vero, si deve pure mangiare, ma avere fame non significa prostituzione dell’arte, diceva. E nemmeno ci piacciono i baci sulle panchine, sotto i portici o certe fotografie “dolciastre”, che non hanno mai perduto l’acclimatazione “perbenista” del “sacro cuore”. I volumi illustrati per il Touring Club o quelli elaborati con altri fotografi sono piuttosto belli ed è buona anche la riproposta strandiana/zavattiniana di Un paese (vent’anni dopo). Ma per quanto riguarda l’afflato fotografico, nell’opera di Gianni Berengo Gardin ci commuove di più il suo ripudio dell’estetismo. La forza disadorna delle sue fotografie, vogliano ribadirlo, si chiama fuori dalla volgarizzazione del gusto e le sue “trattazioni figurative” si leggono a più livelli, indicano sempre qualcos’altro. Gianni Berengo Gardin non minimizza, né maschera, la tragedia della comune sopravvivenza, la nobilita come bisogno o desiderio di un’umanità che rifiuta l’ordine dei bottegai e dei preti, credo. Le sue immagini riflettono una poetica dell’istante che guarda sempre al futuro; non suggeriscono una vita migliore, la offrono ai portatori di utopie e in qualche modo smascherano i surrogati di democrazia che trasformano ogni fotografia in uno strumento messo al servizio di chi domina, e quindi limita la libertà d’espressione. La presa della realtà di Gianni Berengo Gardin è davvero grande, e lo è spesso, specie quando riesce a cogliere la metafora del tempo divorato dalla luce della fotografia che fuoriesce dall’oggettività dell’informazione mediatica e accompagna il lettore verso una “nuova cosalità”. O, per dire meglio, ver-
so il ”buon luogo” dell’immaginale, nel quale ciascuno lascia libera fantasia alla bellezza. Molte delle tematiche che tratta ci dicono che è indecoroso guardare la fame, la miseria, la violenza dritte negli occhi senza denunciare le violenze, le atrocità, le oscenità che si portano addosso i potenti della Terra. Gianni Berengo Gardin non lo fa ideologizzando la sua fotografia, mostra semplicemente la significazione della povertà o l’indifferenza della politica, credo. Non è poco. Fotografare non significa “oggettivare” il reale, ma affabulare, costruire, trasformare il mito istituzionale dell’obiettività di ogni espressione culturale. Quando è grande, e qui lo è, la fotografia appartiene a una visione avanzata dell’esistenza e seppellisce o rianima le infamie della storia. Le turbolenze del cuore e della bellezza selvatica esplose negli anni Sessanta sono anticipati da un’immagine straordinaria di Gianni Berengo Gardin, del 1958. Guardiamola ancora: ragazzi che ballano su una spiaggia (forse), l’inquadratura è verticale, tre figure sono sdraiate a terra, di spalle, vicino a un grammofono, al centro dell’immagine due ragazzi vestiti di nero ballano con il vento nei capelli e figurano la bella gioventù che uscirà allo scoperto nel Maggio 1968. In questa icona, e non ci importa quanto ci siamo spinti nella veridicità o nell’ipercritica di una poetica occasionale, abbiamo visto non solo l’immagine che marchia a fuoco l’impronta di un’epoca ma, anche, tutta l’arte dell’iconografia della realtà a venire (da molti fotografi tradita). «Tutta l’arte non ha significato per chi pensa che la vita stessa sia solo uno spettacolo» (John Berger). Non si possono capire i fatti sui culi nudi di qualche mignotta televisiva, né alla corte di quell’idiozia (del cattivo gusto) della vita/moda da bere. La “credibilità” delle immagini si fonda sul consenso, ed è per
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BIANCO E NERO laboratorio fotografico fine - art solo bianco & nero
GIOVANNI UMICINI VIA VOLTERRA 39 - 35143 PADOVA
049-720731 (anche fax) gumicin@tin.it
questo che l’inganno tecnologico è divenuto universale e niente è ormai più vero. La visione della fotografia numerica (ma questo vale anche per i resistenti o i nostalgici del linguaggio fotografico argentico che hanno deposto l’arte nella cloaca del mercimonio) ha re/inventato la fotografia; la “realtà virtuale” ha preso il posto del reale e l’artificio è diventato “realtà oggettiva”. Un cazzo! Milioni di mine antiuomo (americane, cinesi, russe, italiane) sono state disperse nei paesi impoveriti dalle politiche economiche dei nuovi colonialismi occidentali (Russia, Cina e India stanno al gioco, e in fatto di tirannie e genocidi non scherzano). I bambini saltano in aria come birilli e lasciano gambe, braccia, occhi nei campi, nelle strade, nei fiumi. E tutto viene relegato nell’“oggettività fotografica” stampata
nelle riviste a grande tiratura, tra una pubblicità di automobili e una star del cinema che adotta i bambini neri per arredare meglio la casa a Hollywood. E i coglioni che insegnano o smerciano fotografia continuano a dissertare sulle cazzate foto-linguistiche di Joel-Peter Witkin, Helmut Newton o Nan Goldin. E non interessa niente studiare l’eredità etica, estetica ed eversiva che John Hoagland, Richard Cross e Robert “Bob” Capa hanno lasciato nella storiografia fotografica. La fotografia dell’autentico non spara alla Luna, è parte del cielo sconosciuto dei poeti d’ogni-dove. La sua veridicità riconosce la bellezza delle diversità, ci rende orfani di ogni inciviltà e c’insegna a vivere e a morire da uomini liberi. Pino Bertelli (10 volte novembre 2008)