FOTOgraphia 159 marzo 2010

Page 1

Mensile, 6,50 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano

ANNO XVII - NUMERO 159 - MARZO 2010

Wildlife LUPUS IN FABULA

Uliano Lucas TRENT’ANNI IN PUGLIA

CENTENARIO NADAR


Non è venduta in edicola. Per averla hai una sola possibilità: sottoscrivere l’abbonamento annuale. 12 numeri 65,00 euro

Abbonamento 2010 (nuovo o rinnovo) in omaggio 1839-2009

Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita M A U R I Z I O

R E B U Z Z I N I

1839-2009 Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita

Come dire, dal dagherrotipo all’acquisizione digitale di immagini. E consecuzioni

INTRODUZIONE

DI

GIULIANA SCIMÉ

F O T O G R A P H I A L I B R I



prima di cominciare È DA QUALCHE ALTRA PARTE, NON PIÙ QUI. La notte tra giovedì venti e venerdì ventuno gennaio, Lino Volani ha smesso di combattere il male che da tempo lo prostrava. Fino a quando ha potuto, fino a quando è riuscito a farlo nel rigoroso modo che sapeva, e al cui dovere non è mai venuto meno, ha pensato sia alla sua fotografia, sia a offrire agli altri il proprio impegno. Ancora la scorsa estate, ha organizzato e diretto un ottimo RoveretoImmagini, del quale abbiamo riferito a luglio, richiamando lo straordinario allestimento di The Weegee Portfolio; ancora dall’autunno, aveva cominciato a pensare al programma per quest’anno. Ci eravamo sentiti per questo, e già la sua voce era tornata a essere quella dei suoi giorni peggiori. Non ci volevo credere, ho finto con me stesso che fosse soltanto frutto della mia (fervida?) immaginazione. Anche quando mi ha chiamato all’inizio dell’anno, comunicandomi il suo ennesimo ricovero ospedaliero, mi sono mentito. Chiudendo la telefonata, ho pensato, o forse solo sperato, che lo avrei visto presto, che ci saremmo incontrati di lì a qualche settimana. Non è stato così: quella, che ho riposto nel mio cuore, affollato di tante altre tristezze esistenziali (a ciascuno, le proprie), è stata l’ultima volta che l’ho sentito. Lo giuro, ancora adesso, qui alla tastiera che rappresenta il mio specchio sul mondo, ho ben presente e sento la sua voce, con l’immancabile cadenza regionale che l’ha sempre definita. Ho conosciuto Lino Volani, di Rovereto, provincia di Trento, circa trent’anni fa, durante altre stagioni fotografiche, che si sono esaurite sull’incombenza di brutali e prepotenti trasformazioni tecnologiche della professione fotografica. Mi convocò in Trentino per svolgere programmi didattici, che aveva organizzato per la categoria in veste di delegato sindacale del mestiere. Ufficialmente, nelle sale messe a disposizione dall’Hotel Villa Madruzzo, sulla collina di Trento, avremmo dovuto occuparci di questioni utilitaristiche, a partire dal corretto utilizzo degli apparecchi grande formato a corpi mobili: controllo della prospettiva, estensione della nitidezza (piuttosto che sua contrazione volontaria e consapevole). Invece, al mio solito, la Vita diventava l’argomento principale, con i propri annessi di etica e morale nell’impegno in fotografia. Quante chiacchiere, discussioni e incontri! Sia nei momenti ufficiali, sia a tavola. Quante avvincenti trasgressioni dal percorso ufficiale. Quanta complicità esistenziale! Nessuno vive invano. Lino Volani ha sicuramente dato più di quanto ha ricevuto. Nel suo ricordo, ora torno con me stesso e in me stesso. So che è da qualche altra parte, non più qui. Ma qui con me/noi rimane sempre. Ciao, Lino. M.R.

4

Del resto, guardiamoci negli occhi, non è forse questo il senso della Fotografia, con consueta maiuscola consapevole e volontaria? Non pensiamo soltanto alla fotografia che scrive la Storia, ma anche -e qui soprattutto- a quella fantastica fotoricordo che racconta la Vita nel proprio svolgersi, giorno dopo giorno. La fotografia può farlo; forse, deve farlo. Maurizio Rebuzzini; su questo numero, a pagina 66 Poche e semplici, le infrastrutture tecniche; tante e profonde, le motivazioni per agire al di fuori e al di fianco degli strumenti tecnologici dei nostri giorni. Antonio Bordoni; su questo numero, a pagina 60 Moda e fantasia non sono mai state così incantevolmente combinate tra loro e con loro stesse. Angelo Galantini; su questo numero, a pagina 38 L’esercizio della fotografia è parte integrante e fondamentale (!) dell’esercizio stesso della vita. Maurizio Rebuzzini; su questo numero, a pagina 66

Copertina Autoritratto di Nadar nel cesto della mongolfiera; 1865 circa. Nel centenario della scomparsa, sottolineiamo il valore di uno dei più grandi ritrattisti della Storia della fotografia. Da pagina 28

3 Altri tempi (fotografici) Al femminile: dalla copertina del Catalogo Generale Kodak, del 1923, con listino prezzi accluso

7 Editoriale Delicata, la mano sul volto. Davanti al dolore degli altri

8 Toh, un nudo tra noi! Una volta ancora, il comune senso del pudore, tra morale e moralità: due esempi di Hara Kiri degli anni Settanta

10 Notizie Attrezzature, vicende e altre segnalazioni

12 A contorno di Leica Curiosità a tema, estratte da 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita di Antonio Bordoni

17 Eccidio reale Nel film Sua maestà viene da Las Vegas, la fotografia introduce la vicenda. Addirittura, la determina. Diamine! Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini


MARZO 2010

R , RIFLESSIONI IFLESSIONI, OSSERVAZIONI E COMMENTI OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA SULLA FOTOGRAFIA

20 Ici Bla Bla Appunti e attualità della fotografia internazionale a cura di Lello Piazza

28 Nadar, il più grande Non si può aggiungere nulla sulla personalità di Nadar, straordinario ritrattista parigino di metà Ottocento. In occasione del centenario dalla scomparsa, 21 marzo 1910 - 2010, un casellario essenziale di testi di Maurizio Rebuzzini

34 Moda e fetish Fräulein è una fantastica monografia d’élite, che raccoglie la fotografia di Ellen von Unwerth: incantevole miscela di moda e fantasia. Donne di eccezionale seduzione e aristocratica distanza dalla vita di tutti i giorni di Angelo Galantini

40 Lupus in fabula

Anno XVII - numero 159 - 6,50 euro DIRETTORE

RESPONSABILE

Maurizio Rebuzzini

IMPAGINAZIONE Gianluca Gigante

REDAZIONE Angelo Galantini

FOTOGRAFIE Rouge

SEGRETERIA Maddalena Fasoli

HANNO

COLLABORATO

Antonio Bordoni Sara Casna Giulia Ferrari Angelo Gandolfi Uliano Lucas Lello Piazza Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini

La fotografia originariamente vincitrice al BBC Wildlife Photographer of the Year 2009 ha suscitato perplessità, che hanno dato vita a polemiche. Oltre la doverosa registrazione, le nostre opinioni e la conclusione di Lello Piazza

Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604; graphia@tin.it.

50 Trent’anni in Puglia

● FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano.

Avvincente mostra, con catalogo, Andare, vedere, sentire, ricordare. Uliano Lucas in Puglia rivela uno dei più qualificanti retrogusti della fotografia: quello di «spiegare l’uomo all’uomo» (da e con Edward Steichen) di Maurizio Rebuzzini

57 Ancora Caravaggio Dopo l’imponente monografia di Taschen Verlag, presentata lo scorso febbraio, due titoli italiani si accodano alle celebrazioni dei quattrocento anni dalla scomparsa di Caravaggio (fotografo?). Silvana Editoriale: Caravaggio. L’opera completa; Mondadori Electa: Caravaggio. Un ritratto somigliante

60 Apparecchi di carta Manuale con cartamodelli per l’autofabbricazione di apparecchi fotografici di carta, Built Fun Paper Cameras è esattamente ciò che il titolo promette e anticipa di Antonio Bordoni

● FOTOgraphia è venduta in abbonamento.

● A garanzia degli abbonati, nel caso la pubblicazione sia pervenuta in spedizione gratuita o a pagamento, l’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e in suo possesso, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi della legge 675/96. ● FOTOgraphia Abbonamento 12 numeri 65,00 euro. Abbonamento annuale per l’estero, via ordinaria 130,00 euro; via aerea: Europa 150,00 euro, America, Asia, Africa 200,00 euro, gli altri paesi 230,00 euro. Versamenti: assegno bancario non trasferibile intestato a Graphia srl Milano; vaglia postale a Graphia srl - PT Milano Isola; su Ccp n. 28219202 intestato a Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; addebiti su carte di credito CartaSì, Visa, MasterCard. ● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti. Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano

Rivista associata a TIPA

64 Storia familiare Camera oscura, di Günter Grass, è la seconda parte della sua autobiografia. La fotografia unisce e collega il racconto. Passato, presente, futuro e desideri esistenziali sono interpretati da una vetusta Agfa-Box

www.tipa.com

5


1839-2009

la finestra di Gras Dalla Relazione di Macedonio Melloni 2009.unaRicordando pagina, una illustrazione alla svolta di Akio Morita

Come dire, dal dagherrotipo all’acquisizione digitale di immagini. E consecuzioni

1839. Dal sette gennaio al dodici novembre sedici pagine, tre illustrazioni

Tappe fondamentali, che si sono proiettate sul linguaggio e l’espressività, con quanto ne è conseguito e ancora consegue Relazione attorno al dagherrotipo diciotto pagine, tre illustrazioni

1839. Fotogenico disegno dieci pagine, quattro illustrazioni

1888. Box Kodak, la prima diciotto pagine, quarantacinque illustrazioni

1913-1925. L’esposimetro di Oskar Barnack ventiquattro pagine, cinquantotto illustrazioni

1947 (1948). Ed è fotografia, subito ventiquattro pagine, sessantadue illustrazioni

1981. La svolta di Akio Morita dodici pagine, ventisei illustrazioni

• centosessanta pagine • nove capitoli in consecuzione più quattro, tre prima e uno dopo • duecentosessantatré illustrazioni 1839-2009 Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita di Maurizio Rebuzzini Prefazione di Giuliana Scimé 160 pagine 15x21cm 24,00 euro

F O T O G R A P H I A L I B R I Graphia srl • via Zuretti 2a - 20125 Milano 02-66713604 • graphia@tin.it

2009. Io sorrido, lui neanche un cenno dieci pagine, ventisette illustrazioni

Le paternità sono ormai certe otto pagine, tredici illustrazioni

2009. Alla fin fine cinque pagine, quindici illustrazioni


editoriale D

elicata, la mano sul volto. Delicata, la mano sposta una ciocca di capelli dalla fronte. Delicata, la mano rimuove una macchia dalla guancia. Sono comodamente seduto in casa, nel conforto delle mie pareti, circondato da oggetti che mi sono scelto. Tra le mani, ho un quotidiano; sullo schermo televisivo scorrono, mute, le immagini di un telegiornale. A qualche ora dal terribile terremoto che ha devastato Haiti, le notizie del giorno riguardano tutte i primi ritrovamenti di sopravvissuti al disastro, salvati tra le macerie delle loro abitazioni crollate. Mi tornano alla mente considerazioni di Susan Sontag, originariamente riferite all’osservazione in comodità di fotografie di guerra: davanti al dolore degli altri. E io sono comodo, confortato dalle mie sicurezze, accudito dai miei affetti! Le immagini che vedo, mi proiettano in un altro mondo, lontano dal mio attuale non soltanto per oggettività geografica, ma per soggettività esistenziale. La fotografia è qualcosa di magico, oso dire di unico. Mi allieta, mi conforta (ci allieta, ci conforta); ma può anche dilaniarmi (dilaniarci). Come comportarsi con le straordinarie emozioni che suscita? Come confrontarsi con la sua espressione esplicita, quando rappresenta il dolore degli altri, raffigurandolo senza sottintesi? Io, io non lo so. Io me lo chiedo sempre, non soltanto spesso. Io lascio libera la mia emotività, ben consapevole che mi trascinerà lungo un cammino doloroso, nel quale verranno coinvolti il mio animo e la mia mente. Tutto me stesso. Chiedo ad altri, chiedo a voi: è mai possibile rimanere indifferenti, nel conforto delle proprie pareti, circondati da oggetti familiari e amici, quando la fotografia viene a bussare alla nostra porta, presentandoci un conto quantomeno inatteso? È possibile fare finta di nulla? Si può rimandare tutto al prossimo World Press Photo (o concorso fotogiornalistico analogo), per estraniarsi dal contenuto e limitarsi all’inevitabile forma della fotografia? Efficace, l’inquadratura. Straordinaria, la luce. Magistrale, la composizione. Assolutamente, no! Non si può (non si potrebbe) farlo; non si dovrebbe stare zitti, e consumare in fretta queste immagini, per l’effimera durata di un quotidiano, di un telegiornale. A queste immagini, dobbiamo riservare un posto privilegiato nel nostro cuore. Dobbiamo trarne insegnamenti che ci rendano più belli: verso il nostro prossimo. Tante fotografie ci scorrono davanti agli occhi, giorno per giorno, giorno dopo giorno. Tutte debbono farci più belli: soprattutto noi, che alla fotografia attribuiamo e riconosciamo valori e significati profondi. Alla fin fine, chi affronta la fotografia con concentrazione e approfondimento è presto riconoscibile e identificabile, anche all’interno di una massa eterogenea di persone: la sua bellezza è luce negli occhi, amore nell’espressione. Delicata, la mano sul volto. Maurizio Rebuzzini

Con W. Eugene Smith: «È mia personale convinzione che tutti gli avvenimenti nel mondo, che provocano grandi emozioni, come guerre, rivolte, disastri in miniera, incendi, morti di grandi personaggi (come la reazione alla morte di Gandhi), questi e altri avvenimenti simili che danno via alle emozioni umane dovrebbero essere fotografati in modo assolutamente critico» [su questo numero, a pagina 20]. Però! Davanti al dolore degli altri, a volte è opportuno, e forse anche richiesto, un doveroso passo indietro. Fotoreporter ad Haiti, da La Repubblica, del sedici gennaio.

7


Morale (ità)

TOH, UN NUDO TRA NOI!

E

Ebbene, sì. La copertina del nostro numero di febbraio ha sollecitato più di un commento: per telefono, posta elettronica e in incontri diretti, faccia a faccia. Qualcuno l’ha trovata forte, pur senza aver sforato oltre il lecito; altri se ne sono compiaciuti; nessuno si è sentito offeso. L’argomento merita commenti ulteriori, che ci consentono, subito e soprattutto, di distinguere tra morale e moralità, che poco hanno in comune. Personalmente, pur obbedendo a princìpi che reputiamo inviolabili, siamo convinti di non seguire alcuna moralità preconcetta, ma di ubbidire soltanto a un intransigente ordine morale (e poi anche etico). A differenza, abbiamo conosciuto atteggiamenti diversi, frequentati da altri: dalle professioni di fede a quelle politiche, quanti comportamenti doppi e non sinceri abbiamo incontrato tra le pieghe della nostra esistenza, professionale e non! Ma non è questo il punto, e neppure un punto. Quello che invece ci preme sottolineare ancora, e anche qui, è l’onestà intellettuale che ci dovrebbe imporre di guardare sempre in faccia, diritto in faccia, ogni accadimento della vita, e, nello specifico dei nostri incontri su queste

pagine, ogni manifestazione della fotografia, senza graduatorie, senza giudizi di demerito a priori. Così che si impone una ripetizione, dalla presentazione delle fotografie di Moana (Pozzi) realizzate da Gianfranco Salis, dalle quali è stata estratta la posa riportata sulla copertina di FOTOgraphia, di febbraio. Testuale: «In altre parti, non qui, non su queste pagine (mai!), spesso si fa sfoggio di eloquenza e oratoria per giustificare alcune manifestazioni della fotografia, a partire dal nudo e dall’erotismo visivo. Come se esistessero graduatorie e classifiche che possano definire le espressività creative, distinguendole tra loro in buone e cattive. Meritevoli e disdicevoli. «No, non è proprio il caso. Tutta la fotografia, nel proprio insieme, merita le stesse considerazioni, e nessuna fotografia ha bisogno di essere giustificata, neanche quella erotica. A parte il fatto che i posati di Moana - Casta diva, di Gianfranco Salis [alla galleria Contemporary Concept, di Bologna, fino al ventisette marzo], neppure appartengono a questa categoria immotivatamente oltraggiata (per moralismi fuori luogo, oltre che inutili), non c’è bisogno di alcuna opulenza di pa-

Speciale ipocrisia: copertina del gennaio 1973 del mensile satirico francese Hara Kiri, che si autodefiniva bête et méchant (stupido e cattivo, cretino e cattivo).

A colori, le illustrazioni di metodo, che consentono di censurare direttamente sul proprio corpo quanto ritenuto indecoroso mostrare; in bianconero, sei esempi di applicazioni: Opportunità per le signore! Non vivete più nella paura di fotografi indiscreti.

8

rola per attribuire loro il valore che meritano, e che già possiedono. «Per cui, non sto a dire che sono pose caste, perché per molti versi non è vero che lo siano (per altri, sì, lo sono). Non sto a definirle caste, se questa è la strettoia e scorciatoia da attraversare per farle accettare. Vanno accolte e gradite per quello che sono, forse soprattutto per quello che sono e per quanto di non casto raffigurano. Non servono scandalismi dell’ultima ora: Gianfranco Salis è chiaro e diretto. Guardare, per vedere».

SANA IRONIA A questo punto, torna alla mente la straordinaria satira francese che si è espressa dalle pagine di un mensile che ha attraversato in modo brillante gli anni Sessanta e Settanta. Animato da una qualificata serie di autori, tutti mille e mille volte più dissacranti degli italiani (nessuna critica, ne prendiamo soltanto atto), con escursioni a tutto campo e senza soluzione di continuità, Hara Kiri, giornale bête et méchant

ARCHIVIO FOTOGRAPHIA (2)

di Maurizio Rebuzzini


Morale (ità) (stupido e cattivo, cretino e cattivo), ha preso di mira la religione, la politica, la vita quotidiana e tanto altro ancora. Lo ha sempre fatto senza porsi alcuno scrupolo. Ovviamente, nel corso della sua luminosa storia, che ha rasserenato anche stagioni lontane della nostra stessa vita (quanti sogni, quante illusioni, quante speranze in quegli anni!), non sono mancate ironie a sfondo dichiaratamente sessuale. Due esempi si impongono sopra tutti, e li riproponiamo oggi, rispettivamente a trentasette e trentasei anni dalla propria attualità (tempi durante i quali, lo ricordo perfettamente, cominciavo a muovere i miei primi passi in fotografia: ironia delle date, curiosità delle coincidenze). Con un esplicito stillo di copertina, il numero di Hara Kiri del gennaio 1973 si presentò come uno Speciale ipocrisia: appunto, Special Hypocrite [pagina accanto]. L’illustrazione è manifesta e dichiarata: un nudo femminile strategicamente verniciato per una grottesca censura posticcia là dove ritenuto necessario. All’interno della rivista, l’argomento è affrontato sulla doppia pagina centrale, che Hara Kiri ha spesso confezionato come posterino da estrarre e incorniciare. Anche in questo caso. Una sequenza di fotografie è esemplificativa [ancora, pagina accanto]: a colori, le illustrazioni di

metodo, che visualizzano didatticamente come censurare direttamente sul proprio corpo quanto ritenuto indecoroso mostrare; in bianconero, sei esempi di applicazioni. Per l’appunto: Grandes dames en vue! Ne vivez plus dans la hantise des photographes indiscrets, ovvero (il senso è questo), Opportunità per le signore! Non vivete più nella paura di fotografi indiscreti. Applicando il trucco suggerito, senza tante cerimonie, è possibile: uno, non avere disagio quando si osserva una pietra miliare o si cambia una ruota all’automobile; due, pronunciare un discorso alla Camera dei Lord; tre, assistere a una sfilata, senza dover incrociare le gambe; quattro, non essere obbligati a chiudere il cappotto all’Opéra; cinque, cercare le proprie scarpe sotto il tavolo; sei, baciare la mano del Santo Padre. L’ironia e la satira sono chiare? Serve parlarne ancora? Se sì, eccoci al secondo richiamo da un altro Hara Kiri: del maggio 1974. Due giovani nudi in copertina, un ragazzo e una ragazza, che nascondono reciprocamente le proprie intimità. Se la sinistra vince..., inizia lo strillo, togliamo le nostre mani!, è la promessa conclusiva [qui sopra]. I proverbiali due piccioni con una fava: ironia a sfondo sessuale e satira sul luogo comune secondo il quale a sinistra si manifesterebbe anche

Ancora Hara Kiri, del maggio 1974. Una promessa (elettorale?): Se la sinistra vince... togliamo le nostre mani!. Straordinario esempio di satira, che gioca anche su richiami di ordine sessuale, dintorni e contorni.

una certa libertà dei costumi. In tutti i casi: il comune senso del pudore dipende dalle latitudini e da preconcetti. Importante è sempre e solo la propria onestà intellettuale, che non deve mai essere subordinata a pregiudizi e condizionamenti. Soprattutto, se si hanno convinzioni sbandierate, le si rispetti anche quando e per quanto può non convenire farlo. Il resto, mancia. ❖


Notizie a cura di Antonio Bordoni

A MANO LIBERA. Luminoso e di alta qualità formale, successivo al precedente AF-S VR Nikkor 300mm f/2,8G IF-ED, il nuovo AF-S Nikkor 300mm f/2,8G ED VR II si offre e propone come una nuova frontiera della fotografia tele a mano libera. Comprensiva dei parametri tecnici che lo qualificano, la sigla identificativa è esplicita: siamo in presenza della tecnologia di Riduzione Vibrazioni (VR II) di nuova generazione, che si combina con una rinnovata modalità di messa a fuoco A/M. Da cui, la propensione per i suoi utilizzi nel reportage, nella fotografia di sport e in quella naturalistica, favoriti altresì da una sostanziosa leggerezza (ovviamente relativa alla focale; 2,9kg), dimensioni compatte e da un efficace bilanciamento.

Nello specifico, la tecnologia seconda generazione VR II di Riduzione Vibrazioni consente di scattare con tempi di otturazione fino a quattro stop più lenti delle condizioni standard, per ottenere immagini più nitide rispetto a quanto sarebbe comunemente possibile nella ripresa a mano libera. In combinazione, il nuovo modo A/M, che si aggiunge alle selezioni M/A e M, consente di impostare la priorità di autofocus anche se l’anello di messa a fuoco viene ruotato durante la ripresa. Mantenuto lo stesso eccezionale e apprezzato disegno ottico del modello precedente (undici elementi in otto gruppi, incluse tre lenti in vetro ED e un rivestimento nano-crystal), sono state riviste la rapidità di uso e la silenziosità dell’autofocus, con motore Silent Wave incorporato, che permette di scattare senza che l’azione

10

venga disturbata. A completare l’ampio spettro di funzioni di cui è dotato, l’attuale AF-S Nikkor 300mm f/2,8G ED VR II è completamente sigillato e, dunque, resistente agli effetti di polvere e umidità: quindi, può essere utilizzato in qualsiasi situazione ambientale. (Nital, via Tabacchi 33, 10132 Torino).

EVOLUZIONE DELLA SPECIE. In doppio senso: evoluzione del sistema Pentax e, perché no?, della funzione Face Detection AF & AE, che la nuova compatta Optio I-10 estende anche al riconoscimento di animali domestici, presenti nell’inquadratura. È ormai ovvio e scontato che in epoca digitale tutto si moltiplichi in avanti e di lato, con funzioni applicate inimmaginabili in altri tempi fotografici, ormai lontani, sicuramente tramontati. Per la buona pace di tutti noi (piaccia o meno constatarlo e ammetterlo). Compatta in forma di reflex, la Pentax Optio I10 riprende e propone un’estetica adeguatamente classica, che richiama sapori forti della fotografia, interpretati e declinati in chiave tecnologica attuale. Nell’impiego, l’efficiente disposizione di complementi di uso, quali il flash e l’altoparlante nella sezione centrale superiore, favoriscono applicazioni intuitive e semplificate, adeguate al pubblico al quale ci si rivolge. Un esteso zoom ottico 5x, con copertura grandangolare-tele equivalente all’escursione 28-140mm della fotografia 24x36mm, riferimento sempre d’obbligo, consente di affrontare tutte le situazioni tipiche e caratteristiche della fotoricordo, realizzata con adeguata soddisfazione. La qualità formale è assicurata dalla risoluzione di 12,1 Megapixel, abbinata a un efficace processore di immagini. Una tripla protezione contro il mosso previene le inevitabili vibrazioni, adattando la posizione del sensore CCD, sia in senso

verticale sia in senso orizzontale, con compensazione fino a 2,5 stop. Ancora, in condizioni di bassa luce, la Pentax Optio I10 incrementa automaticamente la sensibilità, fino all’elevato valore di 6400 Iso equivalenti, che si accompagna con l’impostazione di tempi di otturazione sistematicamente brevi, adatti anche a minimizzare ogni movimento involontario dell’apparecchio e a congelare i movimenti del soggetto. Si possono registrare filmati ad alta qualità, con proporzioni HDTV (16:9), in definizione 1280x720 pixel, a trenta fotogrammi al secondo. (Fowa, via Tabacchi 29, 10132 Torino).

A CIASCUNO, IL SUO. Due nuovi zoom Canon EF-S per reflex Eos con sensore in dimensioni APS-C. Interpretazione della dotazione standard pronta a ogni impiego, con due escursioni a scelta, verso la fo-

cale grandangolare o verso l’avvicinamento tele: EF-S 18135mm f/3,5-5,6 IS e EF-S 1585mm f/3,5-5,6 IS USM, rispettivamente equivalenti alle escursioni 29-216mm e 24-136mm della fotografia 24x36mm. Dotati di stabilizzazione di immagine fino a quattro stop, offrono una messa a fuoco adeguatamente ravvicinata: da 35cm, l’EF-S 15-85mm, e da 45mm, l’EF-S 18-135mm. Sono zoom di costruzione convenientemente compatta, ideali per la combinazione con reflex Canon Eos, compresa la più recente Eos 7D. La combinazione ottica con lenti in vetro a basso indice di dispersione (UD) e asferiche garantisce un’alta qualità fotografica, altresì impreziosita dal diaframma circolare, per una resa ottimale dello sfocato (bokeh). Analogamente, e in allineamento, il rivestimento Super Spectra delle lenti riduce riflessi e bagliori indesiderati. (Canon Italia, via Milano 8, 20097 San Donato Milanese MI). ❖


SCATTARE, QUANDO GLI ALTRI NON RIESCONO. 126 GUARNIZIONI NEL BODY, NELL’IMPUGNATURA E NELL’OBIETTIVO* FANNO DELLA VOSTRA PENTAX UNO STRUMENTO RESISTENTE AGLI AGENTI ATMOSFERICI E ALLA POLVERE. Mirino prismatico: visione 100% Tempi di posa: da 1/8000 Sec.

Video HD con 30 fotogrammi/sec. e microfono incorporato. Collegamento per Microfono stereo

Monitor da 3’’, con risoluzione da 921.000 punti, Live-View con AF

Sensore CMOS da 14,6 megapixel

Sistema PENTAX “Shake Reduction”

Riprese in sequenza: 5,2 fotogrammi al sec. Misurazione multi zona a 77 segmenti *DA 18–55 mm WR & DA 50– 200 mm WR.

Visitate il sito

www.fowa.it per ulteriori informazioni.

Fowa S.p.A. - Via Tabacchi, 29 - 10132 Torino - Tel: 011.81.441 - Fax: 011.899.39.77 - e-mail:info@fowa.it - web: www.fowa.it


Curiosità di Antonio Bordoni

A CONTORNO DI LEICA

S

vembre 1839-2009, il senso di 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita è giusto questo, ed è sostanzialmente tutto qui: ovverosia, tappe fondamentali che si sono proiettate sul linguaggio e l’espressività, con quanto ne è conseguito e ancora consegue. Da cui, eccoci, il sottotitolo esplicito: Come dire, dal dagherrotipo all’acquisizione digitale di immagini. E consecuzioni. La Storia, l’autore la racconta a modo suo (e su questo concetto torneremo il prossimo mese: è una promessa). Cioè, la vede e racconta in subordine e rispetto a una visione particolare e personale di alcuni suoi accadimenti, identificati per l’alto valore delle proprie proiezioni sul linguaggio espressivo e le componenti sociali. Appunto, le svolte senza ritorno (ancora) sottolineate da Giuliana Scimé in prefazione, e poi trasversali a tutte le pagine, a partire dalle presentazioni esplicite e

ARCHIVIO FOTOGRAPHIA (2)

Svolte senza ritorno. Ma anche strani eventi che si permettono il lusso di accadere. Queste sono le due chiavi di interpretazione, coincidenti e subito svelate (rivelate), della particolare Storia compilata da Maurizio Rebuzzini, direttore di FOTOgraphia. In definitiva, a parte l’occasione del centosettantesimo anniversario dalla prima relazione pubblica italiana sulla fotografia, 12 no-

dichiarate sul retro della copertina. Così, al pari di altri resoconti analoghi, dei quali è ricca la bibliografia fotografica, anche questa di Maurizio Rebuzzini è una Storia assolutamente parziale. Però, a differenza di altre, è coscientemente parziale: per quanto già definita da parametri e princìpi dichiarati e presto identificati. Quattro tappe fondamentali e discriminanti: la Box Kodak, di George Eastman (1888), a partire dalla quale la fotografia ha smesso di essere soltanto autoreferente, per approdare all’osservazione della vita nel proprio svolgersi (e altro ancora); la Leica, di Oskar Barnack (19131925), dalla cui versatilità di impiego siamo soliti datare l’idea di istantanea e i princìpi del fotogiornalismo; la fotografia a sviluppo immediato, di Edwin H. Land (polaroid, 1947 e 1948), le cui successioni sociali e creative hanno impreziosito il secondo Novecento, e oltre; e, infine, l’acquisizione digitale di immagini, avviata da Akio Morita, presidente Sony (1981), dalla quale è partita la rivoluzione forse più sconvolgente di tutto il percorso fotografico. La fotografia digitale ha escluso la sensibilità chimica alla luce, per adottare quella elettronica: e la differenza non è certo piccola.

Leica III, oppure IIIa, clamorosamente al rovescio, sulla copertina del manuale Come? non sei fotografo?, di Mario Calò, del 1945 (edizione Corticelli, Milano).

Leica M3 nera consumata dall’uso, altresì comprensiva di leva aggiuntiva per il riavvolgimento semplificato della pellicola esposta, sulla copertina di Time, del 18 dicembre 2006: edizione speciale monografica nella quale sono state raccolte le fotografie più significative dell’anno [ FOTOgraphia, febbraio 2007]. Altra Leica M3 nera consumata dall’uso, altrettanto comprensiva di leva aggiunta: è quella di Elliott Erwitt.

ATTORNO LEICA Arricchiti da duecentosessantatré illustrazioni a tema, i nove capitoli in consecuzione più quattro, tre prima e uno dopo, di 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita scorrono via su un binario perlomeno doppio. In uno

12

CRISTIANO COSSU

MAURIZIO REBUZZINI

Disegno e firma di René Burri sulla Leica M7 di Cristiano Cossu.


ARCHIVIO FOTOGRAPHIA (2)

Curiosità

Primo annuncio pubblicitario italiano della Leica, pubblicato dal giugno 1927 al successivo giugno 1928 con la specifica “Ernst Leitz - Optische Werke - Wetzlar (Germania)”. A seguire, dall’agosto 1928, si registrano i riferimenti al primo distributore nazionale, Blechschmidt, di Milano, che dal febbraio 1930 lascia il posto a Ippolito Cattaneo, di Genova, che ha rappresentato Leica fino agli anni Ottanta.

stile redazionale avviato e inaugurato con il precedente Alla Photokina e ritorno, pubblicato alla fine del 2008, al rientro dalla Fiera di Colonia (riflessione sullo stato dell’arte, di altrettanta immutata attualità, che non ha ancora esaurito i propri meriti), anche questa Storia è raccontata su due canali corrispondenti ed

equivalenti: quello del testo vero e proprio e quello delle illustrazioni didascalizzate, che si riferiscono sì al testo, ma che -allo stesso momento- ne sono anche indipendenti. Tanto che, andando ora ad estrarre dal capitolo dedicato alla Leica, il quinto del percorso storico, l’ottavo in assoluto dei tredici in consecuzione (più quattro, tre prima e uno dopo), intitolato 1913-1925. L’esposimetro di Oskar Barnack, dal quale derivò appunto la Leica, isoliamo alcune gustose curiosità che contornano la narrazione principale. Con ordine, oltre quanto scontato (le illustrazioni della UR-Leica primigenia, i richiami a Oskar Barnack, le repliche celebrative e altro ancora). Anzitutto, segnalazione d’obbligo di tre Leica particolari [tutte visualizzate sulla pagina accanto]: la M3 nera consumata dall’uso, altresì comprensiva di leva aggiuntiva per il riavvolgimento semplificato della pellicola esposta, sulla copertina di Time, del 18 dicembre 2006, edizione speciale monografica nella quale sono state raccolte le fotografie più significative dell’anno (FOTOgraphia, febbraio 2007); la M3 nera di Elliott Erwitt, altrettanto consumata dall’uso, addirittura molto di più, e altrettanto comprensiva di leva aggiunta; la M7 di Cristiano Cossu, con disegno e firma di René Burri.

Nell’estate 1928, la declinazione della Rivoluzione Leica andò bene a tutti, e la sua evocazione sul primo annuncio pubblicitario Leica fu replicata in tutta Europa. Nel 1999, la combinazione di Leica M. Quanto è rivoluzionaria la tua fotocamera, abbinata all’icona di Che Guevara (fotografia di Alberto Korda) fu rifiutata dai distributori nazionali e il dépliant di cinquantotto pagine mandato al macero (l’edizione tedesca sarebbe stata l’unica con l’aggiunta della stella rossa posticcia).

Quindi, richiamo alla presenza di un particolare Giallo Mondadori in una delle fotografie di Gianni Berengo Gardin, dalla monografia Un paese vent’anni dopo. Ne abbiamo già ampiamente riferito lo scorso aprile 2009, e quindi nessuna replica di Obiettivo sul delitto, di George Harmon Coxe, la cui copertina

NON SI UCCIDONO COSÌ NEANCHE I CAVETTI!

Abbiamo già richiamato in FOTOgraphia, dello scorso novembre, nell’ambito della prima presentazione di 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita. Ma la segnalazione è talmente affascinante, oltre che curiosa, da meritare una ulteriore replica.

Dal manuale di istruzioni per l’uso dell’attrezzatura fotografica KS-15 (Leica M2), redatte dal Quartier Generale del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti; febbraio 1969. Capitolo 7 - Sezione II. Distruzione per prevenire l’uso da parte del nemico. 7-3. Autorizzazione per la distruzione. La distruzione dell’equipaggiamento fotografico potrà essere compiuta solo dietro ordine del comandante. Utilizzate le procedure di distruzione descritte nel paragrafo 7-4. 7-4. Metodi di distruzione. a. Se non è possibile una distruzione completa dell’equipaggiamento in tempo utile, distruggete i singoli componenti nel seguente ordine: 1, corpo macchina; 2, elementi ottici dell’obiettivo; 3, esposimetro; 4, flash; 5, borsa; 6, ricambi e accessori. b. Per la distruzione, utilizzate uno dei seguenti metodi.

1. Frantumazione. Riducete in pezzi i comandi, il mirino, la baionetta e il dorso della macchina fotografica. Rompete le lenti e gli elicoidali di tutti gli obiettivi. Sfasciate i controlli e le scale graduate dell’esposimetro. Spaccate la presa sincro, la parabola e lo zoccolo del flash. 2. Taglio. Tranciate il flessibile e i cavi del flash. Sezionate la custodia in pelle. Attenzione: prestate estrema attenzione all’uso di esplosivi e materiali incendiari. Usateli soltanto in caso di urgenza. 3. Combustione. Bruciate il cavetto del flash e le borse. Bruciate il manuale di istruzioni. 4. Esplosione. Se si rende necessario l’uso di esplosivi, utilizzate bombe a mano o dinamite. 5. Eliminazione. Seppellite disseminate le parti distrutte in buche o gettatele in un fiume.

13


ARCHIVIO FOTOGRAPHIA (2)

Curiosità

visualizza una Leica a vite (IIc o IIf) con mirino universale. E lo stesso dicasi per Al lampo di magnesio, altro poliziesco a sfondo fotografico dello stesso George Harmon Coxe, sempre Giallo Mondadori, a propria volta con Leica IIIg e mirino universale in copertina.

STORIA E MORALITÀ Avvincente è stato il ritrovamento storico del primo inserimento della Leica in un catalogo italiano: quello del distributore Ippolito Cattaneo, di Genova, del 1929-1930: mezza pagina, sul totale di duecentosessanta [pagina accanto]: «Leica. Il più piccolo apparecchio con otturatore a tendina da 1/20 a 1/500 di secondo. Tutto in metallo leggero. Dimensioni 13,2x5,5x3cm. Può essere portato in tasca. Pesa 425g. Si carica con rotoli di film di 1,60m per 36 fotografie di 24x36mm, od anche con film di minore lunghezza. L’obbiettivo è un anastigmatico Leitz Elmar 1:3,5 cm 5 e dà immagini di grande nitidezza. Messa a fuoco mediante movimento elicoidale dell’obbiettivo. Distanza minima 1m. Mirino ottico quadrangolare. Si può applicare il telemetro per le distanze. Cambia-

14

Il comune senso del pudore. Dal dépliant tedesco Leicaflex SL2, del 1974, e dalla sua traduzione inglese, sulla quale è stato ombreggiato il seno della pianista, originariamente scoperto.

AUTENTICO CASELLARIO

A partire dalle timide esperienze degli anni Settanta, quella Leica è una storia produttiva che ha sollecitato molti racconti, il più recente dei quali compone uno dei capitoli di 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita, di Maurizio Rebuzzini. In stretti termini temporali, la ricca bibliografia ha preso avvio con la classificazione del torinese Gianni Rogliatti, che nel 1975 pubblicò il suo Leica cinquant’anni, datato dalla presentazione dell’originaria Leica I alla Fiera di Primavera di Lipsia, del 1925. Da allora, la materia è stata vivisezionata da abili storici, che hanno osservato e relazionato da punti di vista infiniti e complementari. Molti segreti sono stati svelati, e non sono più tali; altrettante sfumature sono state illustrate e commentate. Fino al punto che la storia produttiva Leica è ormai la più conosciuta e leggendaria del mondo fotografico. Tutti, ma proprio tutti, ne sanno qualcosa, ne hanno quantomeno sentito parlare. Il Mito, ché di questo si tratta, aleggia trasversalmente e non è condizionato dagli umori tecnologici che, anno dopo anno, trasformano i princìpi e sovvertono le idee. Nonostante questa abbondanza, e magari proprio a causa di questa abbondanza, accogliamo con straordinario piacere la terza edizione ampliata, ovviamente aggiornata ai nostri giorni, della fantastica Carta d’identità delle Leica, manuale originariamente ideato e creato da Ghester Sartorius, competente storico e sapiente divulgatore della materia, mancato nel settembre 1999, ed ora attribuito ai nuovi curatori Giulio Forti e Pier Paolo Ghisetti. L’allestimento redazionale e la messa in pagina della Carta d’identità delle Leica arrivano sempre e presto al sodo. Le descrizioni sono chiare e sintetiche, tanto che il lettore -anche neofita della materia- può identificare i vari modelli e le relative varianti (circa duecento configurazioni, dal 1925): subito e con certezza. A completamento, gli attenti e attendibili “Indici di Rarità” consentono di valutare le rispettive possibili/probabili quotazioni di antiquariato e collezionismo. Dal punto di vista formale, la guida è confezionata in formato tascabile, in modo da poter essere facilmente portata appresso alle aste e nei mercatini, dove e quando le sue indicazioni aiutano a risolvere controversie o assolvono concreti compiti istituzionali: appunto quelli della identificazione delle Leica in offerta. Organizzata per schede, Carta d’identità delle Leica è ampiamente illustrata. In queste pagine non si parla, però, di obiettivi, materia propria dell’altra guida Carta d’identità degli obiettivi Leica, in catalogo con la stessa Editrice Reflex. Carta d’identità delle Leica; a cura di Giulio Forti e Pier Paolo Ghisetti (manuale ideato e creato da Ghester Sartorius); Editrice Reflex, 2009; via Lòria 7, 00191 Roma (06-36301756, www.reflex.it, segreteria@reflex.it); 246 pagine 15x20,5cm; 35,00 euro.


ARCHIVIO FOTOGRAPHIA

Curiosità

La Leica compare per la prima volta nel Catalogo Generale dell’Ing. Ippolito Cattaneo del 1929-1930: mezza pagina, sul totale di duecentosessanta.

mento delle films in piena luce. Maneggio facile e comodo». Invece, è soltanto curiosa, niente di più né di diverso, la Leica III (oppure IIIa) clamorosamente al rovescio sulla copertina del manuale Come?

non sei fotografo?, di Mario Calò, del 1945 (edizione Corticelli, Milano). Visualizzazione originaria e doveroso raddrizzamento [a pagina 12]. Tralasciando qualche passaggio e preziose segnalazioni (tutte rintraccia-

bili in 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita), come le copie difformi prodotte nei paesi dell’Est e altre segnalazioni già riferite nel corso del tempo, su queste stesse pagine, concludiamo con una annotazione che ha un che di unico, non soltanto nel proprio genere. Anche qui, come già fatto da pagina 8, su questo stesso numero, affrontiamo il cosiddetto comune senso del pudore. In accostamento, la stessa doppia pagina di un dépliant Leicaflex SL2, del 1974. Nell’originale tedesco, la pianista raffigurata nell’immagine passante tra le due facciate ha un seno scoperto; nell’edizione inglese, coeva, il nudo è stato ombreggiato [pagina accanto]. Anche rimanendo concentrati soltanto su Leica, ci sarebbe tanto altro ancora da sottolineare. Ma non vogliamo svelare troppo. A ciascuno, le proprie sorprese e scoperte. Oppure, alle prossime puntate, su queste pagine. ❖

[[[ LJRIX MX /,%5, ', )272*5$),$ '$ 78772 ,/ 021'2 , PLJOLRUL YROXPL GL IRWRJUD¿D GHJOL HGLWRUL LWDOLDQL H LQWHUQD]LRQDOL LQ YHQGLWD SHU FRUULVSRQGHQ]D H RQOLQH

9PJOPLKP .9(;0: PS *H[HSVNV /-

$ISTRIBUZIONE SH NYHUKL SPIYLYPH KP MV[VNYHMPH

DQWRORJLH JUDQGL PDHVWUL IRWR VWRULFD IRWRJUD¿D FRQWHPSRUDQHD UHSRUWDJH PRGD QXGR ULWUDWWR VWLOO OLIH QDWXUD SDHVDJJLR H DUFKLWHWWXUD HWQRORJLD IRWR GL YLDJJLR IRWRJUD¿D GLJLWDOH IRWR VSRUWLYD FLQHPD PXVLFD GDQ]D H WHDWUR VDJJLVWLFD H FULWLFD PDQXDOLVWLFD ULYLVWH DEERQDPHQWL D ULYLVWH LQWHUQD]LRQDOL OLEUL IRWRJUD¿FL GD FROOH]LRQH

+) 'LVWULEX]LRQH &DVHOOD 3RVWDOH 9HUFHOOL WHO ID[ H PDLO KI GLVWULEX]LRQH#KIQHW LW



Cinema

di Maurizio Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

L

ECCIDIO REALE

La fotografia entra in scena subito, all’inizio di Sua maestà viene da Las Vegas (King Ralph, di David S. Ward; Usa, 1991), proprio all’inizio del film, addirittura sui titoli di testa. Di fatto, la fotografia è complice dell’intera trama. Di questo si tratta: per l’appunto, la vicenda inizia sui titoli di testa, con il fotografo pronto per scattare un ritratto dell’intera famiglia reale inglese in posa, in un sontuoso giardino. Ha appena smesso di piovere, e allo scatto dell’otturatore il sincronismo con i flash elettronici, opportunamente sistemati per illuminare omogeneamente l’inquadratura, fa i capricci e innesca un tragico cortocircuito, che fulmina tutti, congelandoli al proprio posto [in questa pagina]. Interpretato dal convincente Roger Ashton Griffiths, straordinario caratterista del cinema inglese, il fotografo è costernato, ma non c’è nulla da fare: la famiglia reale inglese è stata sterminata in tutte le sue discendenze possibili. Non è certo colpa dei flash Bowens, e tantomeno del banco ottico Arca Swiss otto-per-dieci pollici, ma così è! Quindi, la trama del film è presto manifesta. Il ciambellano sir Cedric Charles Willingham, interpretato da un impassibile Peter O’Toole, deve rintracciare l’unico sopravvissuto, assai lontano nella scala della discendenza, tanto da non essere mai stato preso in alcuna considerazione. Il film sta tutto nel suo titolo italiano, esplicito e didascalico allo stesso momento: Sua maestà viene da Las Vegas. E sua maestà, destinato a sedersi sul trono d’Inghilterra è lo sconcertante (e sconcertato) Ralph Hampton Gainesworth Jones, da cui il titolo originario King Ralph, meno manifesto di quello italiano. Ovviamente, si tratta di una commedia brillante (morti a parte, che comunque sono elettrizzati in maniera quantomeno buffa), per cui re Ralph altri non è che l’attore americano John Goodman, noto per l’arguta briosità delle proprie interpretazioni cinematografiche.

IL GRANDE FORMATO A parte un altro siparietto, in un fast food londinese, con protagonista una reflex Nikon della genìa delle FM e FE, del quale ci occupiamo a parte e a sé [riquadro a pagina 18], la presenza della fotografia in Sua maestà viene da Las Vegas è tutta qui. Si esaurisce nei minuti iniziali del film, al quale, come già rilevato, dà senso e motivo di essere. Curiosità scenografica a parte, che deve molto del proprio temperamento -forse tutto- allo sfavillio dei flash che esplodono, ci imponiamo una riflessione, quantomeno temporale. Come annotato, il film è del 1991; nelle sale cinematografiche americane è uscito all’inizio dell’anno, e in Italia è arrivato qualche mese dopo. Dunque, si tratta di una lavorazione che non ha potuto dare alcuna visibilità all’acquisizione digitale di immagini, che data da stagioni temporalmente successive. Per questo, la combinazione fotografica è più che classica. Ribadiamolo: apparecchio a banco ottico

La vicenda del film Sua maestà viene da Las Vegas ( King Ralph, di David S. Ward; Usa, 1991) si rivela subito sui titoli di testa, con la famiglia reale inglese in posa, in esterni, per una rituale fotografia di gruppo. Interpretato dal caratterista inglese Roger Ashton Griffiths, il fotografo controlla la scena accanto la sua Arca Swiss 8x10 pollici.

otto-per-dieci pollici saldamente fissato su treppiedi (Arca Swiss, nello specifico), accompagnato da gesti adeguatamente allineati e perfettamente cadenzati. Dopo l’inquadratura sul vetro smerigliato di ampie dimensioni e efficace visualizzazione, il fotografo chiude manualmente l’otturatore centrale dell’obiettivo di ripresa, regola l’apertura del diaframma e colloca lo châssis in posizione, nel dorso. Quindi, estrae il volet e si dispone accanto all’apparecchio, per un controllo visivo della scena, appena composta sul vetro smerigliato, della quale ha la perfetta consapevolezza. Il volet è sempre tra le sue mani, pronto per essere ricollocato in po-

A seguito dell’umidità provocata da un precedente temporale, i flash elettronici Bowens, del tutto incolpevoli, vanno in cortocircuito ed esplodono, fulminando e sterminando la famiglia reale inglese.

17


Cinema Il fotografo è costernato: i suoi soggetti sono fulminati. È una commedia, e tutto si manifesta in maniera sostanzialmente buffa.

sizione dopo lo scatto. È un elemento scenico che accompagna tutta questa sequenza iniziale, e che si accoda (quasi) allo sgomento che il fotografo prova quando vede i flash elettronici esplodere e la famiglia reale fulminata dal cortocircuito. Insomma, è un autentico passo indietro, verso e con gesti misurati e modulati che per decenni hanno

NIKON AL KETCHUP

definito l’azione fotografica consapevole: quella della fotografia con apparecchi grande formato, sia a banco ottico sia folding (a base ribaltabile), che è stata come spazzata via dall’esuberante evoluzione tecnologica dei nostri tempi. Però! Però, frequentando la fotografia con l’attenzione che ci contraddistingue e definisce, sempre e comunque, stiamo incontrando atteggiamenti e azioni “di ritorno”, diciamola anche così. Non si tratta certamente di un fenomeno di massa, quantificabile in alcuna delle statistiche percentuali che misurano il mercato,

Oltre la consecuzione e conseguenza della posa reale, che all’inizio di Sua maestà viene da Las Vegas dà avvio alla vicenda narrata dal film, e ne è addirittura pretesto esplicito, la fotografia fa capolino in altre situazioni della sceneggiatura. In particolare, registriamo che l’improbabile King Ralph, che approda al trono d’Inghilterra per il caso fortuito dell’eccidio di tutta la discendenza, viene seguìto da immancabili fotoreporter, in chiave di paparazzo. Ogni sua azione pubblica, ma anche privata, è osservata con particolare attenzione: la cronaca rosa ha le proprie esigenze e i propri appetiti da soddisfare.

18

ma è qualcosa che c’è e si vede. Perché, diamine, per il delicato e tangibile rapporto che lega e collega l’espressività fotografica all’influenza esplicita dei propri strumenti, anche i tempi ritmati della fotografia grande formato determinano e definiscono risultati di straordinaria convinzione. Non si tratta soltanto di valori in qualche modo utilitaristici, appunto subordinati alle dimensioni generose della pellicola piana, ma proprio di gesti e atteggiamenti conseguenti. Non forma apparente, ma influenza sul contenuto. Continuiamo a pensarla così. ❖

Così, un intraprendente fotocronista (interpretato da Cameron Blakely) segue come un’ombra l’erede al trono, futuro re. Diversi i siparietti, tra i quali ne isoliamo uno sopra tutti. Quello di King Ralph, al secolo Ralph Hampton Gainesworth Jones (l’attore John Goodman), e la sua fiamma Miranda Green (l’attrice Camille Coduri) sorpresi in un fast food. Il fotografo inquadra la coppia, e lei lo riempie di ketchup. Schiaccia il barattolo, il getto parte e va a colpire la reflex Nikon (della genìa FM e FE) e il flash elettronico Metz CT-1 collegato. Tutto qui, niente di più, ma proprio una Nikon al ketchup.



Ici Bla Bla a cura di Lello Piazza

HAITI. Una tragedia immane, non solo per il numero di vittime, ma per le condizioni ambientali nelle quali le stesse vittime vivevano, condizioni che erano già di per sé una tragedia prima della grande catastrofe. Il nostro direttore ci dedica l’editoriale: chi opera nel mondo della fotografia, più propriamente del fotogiornalismo, è coinvolto in questa tragedia fino al midollo. I giornalisti dell’immagine hanno doveri nei confronti dell’umanità. È loro il modo più efficace di raccontare. E nel racconto, anche i photo editor dei giornali svolgono una parte importante. Giovedì quattordici gennaio, all’alba della tragedia, nei giornali italiani si è diffuso il panico: dove trovare le immagini? Chi c’è laggiù? L’ufficio locale della France Presse non risponde. Qualcuno penserà: che cinismo! Sono gli stessi che pensano che sia cinismo la fotografia di un ufficiale sudvietnamita che spara nella testa a un vietcong, per strada, la fotografia degli zombi che si muovono in paesi colpiti dalle carestie, la fotografia di gente che geme sotto le macerie di un terremoto. Ma il nostro dovere, di giornalisti e fotogiornalisti, è quello di raccontare al pubblico cosa sta avvenendo, portare la nostra testimonianza, perché è grazie alla nostra testimonianza che la società cresce. Ha affermato W. Eugene Smith (Photographic Journalism, in Photo Notes, New York, giugno 1948): «È mia personale convinzione che tutti gli avvenimenti nel mondo, che provocano grandi emozioni, come guerre, rivolte, disastri in miniera, incendi, morti di grandi personaggi (come la reazione alla morte di Gandhi), questi e altri avvenimenti simili che danno via alle emozioni umane dovrebbero essere fotografati in modo assolutamente critico». Di fotografie scattate con occhio assolutamente critico devono andare alla ricerca i photo editor dei giornali. Uno di loro, Mauro Vallinotto, capo del dipartimento fotografico del quotidiano La Stampa, di Torino, che ha “coperto” in modo eccellente la tragedia, ci racconterà nel prossimo numero qual è stata la sua esperienza con le immagini di Haiti. Sul sito di Foto8 (www.foto8.com/ new/online/blog/1076-does-haitis-cri-

20

Questa rubrica riporta notizie che sono appartenute alla cronaca. Però, nel loro richiamo e riferimento molti motivi ci impediscono di essere tempestivi quanto la cronaca richiederebbe. Ciononostante riteniamo giusto proporle, perché siamo convinti che non abbiano perso la propria attualità, e continuino a offrire spunti di riflessione. Sul sito di Foto8 (www.foto8.com), Michael David Murphy ha pubblicato un lungo intervento che ha dato origine a un dibattito sul fotogiornalismo a Haiti.

sis-call-for-a-new-photojournalism [a sinistra]), Michael David Murphy pubblica un lungo intervento che ha dato origine a un dibattito, che ha avuto come tema questa domanda: esiste un altro modo, un modo nuovo e diverso, di raccontare l’enormità di questa catastrofe? O gli stilemi saranno quelli di sempre? Gli esempi di Michael David Murphy, come anche le conclusioni alle quali approda, fanno pensare che ci sarà una grande ridondanza di testimonianze: i fotogiornalisti apparterranno a diverse agenzie (AP, Reuters, AFP, New York Times, Polaris, Prospekt, eccetera), ma le fotografie ripetute e, sostanzialmente, inutili saranno moltissime. Riporto qualche brano di questo intervento: «Certamente, c’è una infinità di situazioni di distruzione e morte da “coprire”; forse per questo i fotografi finiscono per guardare tutti le stesse cose. Ma perché questi media non si mettono insieme e cercano di fare un reportage su Haiti che mostri quello che sta veramente succedendo? I fotogiornalisti di guerra, o comunque quelli che vengono imbarcati sul primo volo per la destinazione, quando succedono fatti di questa entità, sono forse più abili nel reagire rapidamente a situazioni nelle quali gli scenari continuano a cambiare con grande rapidità, che non a raccontare una storia che richiede diverse immagini? È come se tutti fossero soltanto in cerca della fotografia icona, che possa vincere il prossimo World Press, piuttosto che non scendere in profondità a incontrare gli abitanti che vivono a Haiti». Per la ridondanza, Michael David Murphy segnala un paio di esempi: elicotteri che si alzano in volo dal giardino di qualche palazzo presidenziale, camion che scaricano cadaveri in fosse comuni. E suggerisce titoli per possibili reportage. Ne riporto solo alcuni: ❯ Ospedali, esistenti e provvisori impiantati dai soccorritori; ❯ Beni di prima necessità: come si

possono ripristinate i servizi di elettricità, acqua e sewer; ❯ Orfani: che fine fanno i bambini rimasti soli; ❯ La storia di tutti gli abitanti di un singolo palazzo: dove sono, chi è sopravvissuto, cosa faranno; ❯ Ripristino della legge: con chi e attraverso quali strumenti. Appena oltre, Michael David Murphy si chiede: «Forse che i giornalisti di immagine lasciano questi temi di approfondimento ai giornalisti di penna?». Ancora più avanti, aggiunge: «Se la comunità globale si preoccupa veramente di Haiti, della sua gente e del suo futuro, non è forse meglio che convinca i fotografi a raccontare storie andando più in profondità, invece che inondare i giornali con immagini di saccheggio, di bande di delinquenti, di combattimenti, di accattonaggio?». Forse sono d’accordo, ma poi quelle storie chi le pubblica? Per pubblicare due fotografie, bastano venti-trenta centimetri quadri. Per pubblicare una storia, occorrono almeno sei pagine. C’è qualche editore, c’è qualche direttore che ha voglia di dare questo spazio? Ma è vero che i giornali spesso cercano storie più che fotografie. Due esempi: Chiara Mariani, photo editor di Sette (non ovviamente l’unica a pensarla così), che ho sempre sentito affermare «non cerco fotografie, cerco una storia, magari anche narrata in un singolo scatto; ma sono contraria all’uso di immagini per alleggerire il piombo nelle pagine di un giornale». L’altro esempio è quello di un bravo agente francese, Joel Halioua, che vende solo fotografie naturalistiche. A questo genere di fotografia è riuscito ad aprire spazi su Le Figaro e Le Monde, che non avevano mai pubblicato servizi sulla natura, semplicemente legando immagini straordinarie a una storia straordinaria. Certo, due esempi non sono un teorema. Ma!

LA NASA SCEGLIE NIKON. Con un comunicato emesso tre giorni prima di Natale, Michio Kariya, presidente di Nikon Corporation, ha annunciato che la Nasa, l’agenzia spaziale statunitense (National Aeronautics and Space Administra-


Ici Bla Bla tion), ha ordinato undici reflex Nikon D3S e sette zoom Nikkor 14-24mm f/2,8G ED. La D3S è l’ultima nata in casa Nikon: è dotata di sensore CMOS formato FX (full frame), con una gamma di sensibilità da 200 a 12.800 Iso, e offre la possibilità di registrare filmati ad alta definizione. Questa dotazione Nikon, che avrà le stesse caratteristiche dei modelli venduti normalmente sul mercato, sarà utilizzata in attività di documentazione sulla International Space Station (ISS; FOTOgraphia, ottobre 2008 e aprile 2009). A tutt’oggi, le fotografie dallo spazio presenti negli archivi Nasa scattate con attrezzature Nikon sono più di settecentomila.

G.M.B. Akash, fotografo del Bangladesh: Travel Photographer of the Year 2009.

CRISI PER NATIONAL GEOGRAPHIC. Il tre dicembre è stata annun-

Wikipedia è uno dei doni più belli che ci siano stati fatti: aiutiamola a sopravvivere.

ciata la chiusura dell’edizione cartacea del mensile Adventure, una costola nata dal prestigioso National Geographic. Diciassette persone dello staff perdono così il proprio posto di lavoro. Come sempre, le motivazioni addotte dall’amministratore delegato, John Griffin, riguardano la crisi economica e la perdita dei ricavi pubblicitari (meno venticinque percento solo nel 2009). John Griffin ha aggiunto che la National Geographic Society manterrà però viva la testata, con edizioni speciali destinate all’edicola, con una edizione elettronica (che non si capisce bene cosa voglia dire), con speciali applicazioni per telefoni cellulari, con premi non meglio precisati e un sito web.

coprire le nostre spese del mese. Ciò ci permette, per ora, di andare avanti. Per favore, se potete continuate con le vostre donazioni». Chi volesse aggiungersi ai donatori, può farlo all’indirizzo: http://digitaljournalist.org/.

WIKIPEDIA. A proposito di donazioni, una delle idee più geniali che sono nate e cresciute con Internet è quella di Wikipedia, enciclopedia multilingue (ventotto a tutt’oggi), con accesso gratuito per tutti via web, che sta raccogliendo nei propri data base, la conoscenza dell’umanità [a sinistra]. Nata con il contributo volontario di molti personaggi della cultura e dell’informatica, Wikipedia ha oggi qualche difficoltà economica e chiede un contributo agli utilizzatori. Mi aggiungo all’appello. Wikipedia è uno dei doni più belli che ci siano stati fatti: offrite una somma, anche modesta, a http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale. Aiutate Wikipedia a vivere. DIECI ANNI DEL DUEMILA. Andate a questo indirizzo e riflettete sull’interpretazione per immagini della decade 2000-2009, ricostruita secondo i photo editor del prestigioso quotidiano statunitense The New York Times: http://www.nytimes.com/interactive/ world/2009-decade.html [qui sotto].

Sul sito del New York Times, la prima decade del Duemila.

DIGITAL JOURNALIST. Dirck Halstead, editore e direttore della prestigiosa testata elettronica americana dedicata al mondo della fotografia, ha annunciato che il finanziamento di Canon, che aveva reso possibile l’esistenza di The Digital Journalist per più di dieci anni, è stato interrotto, e ciò impedisce di continuare a pubblicare il magazine. «Stiamo dedicando tutti i nostri sforzi alla ricerca di nuovi sponsor -assicura Dirck Halstead, nel suo editoriale-, contattando enti istituzionali e case produttrici. In dicembre, i nostri fedeli lettori hanno contribuito alla nostra sopravvivenza con donazioni che hanno raggiunto cinquemila dollari, sufficienti per

TRAVEL PHOTOGRAPHER OF THE YEAR 2009. G.M.B. Akash (proprio così, G.M.B. non è un acronimo), un fotografo del Bangladesh, si è aggiudicato il titolo di Travel Photographer of the Year 2009 [in alto]. La sua passione per la fotografia comincia nel 1996, quando a Dacca (Bangladesh) segue per tre anni un seminario del World Press Photo e in seguito si laurea in fotogiornalismo.

I suoi reportage sono stati pubblicati dalle più importanti riviste internazionali, da Time a Newsweek, da Geo a Stern, dal Guardian all’Economist. Nel 2002, è stato il primo fotografo bengalese a essere selezionato per un Masterclass del World Press Photo, in Olanda. Dei più di quaranta riconoscimenti che ha ricevuto, cito: nel 2004, il Young Reporters Award, dello Scope Photo Festival, a Parigi; nel 2005, il Best of Show, al Center for Fine Art Photography’s International Competition, in Colorado (Usa); nel 2005, il terzo premio nella categoria Daily Life, al World Press Photo; nel 2007, è incluso nell’elenco mondiale dei trenta fotografi emergenti, stilato dal mensile Photo District News; nel 2009, il settimo Vevey International Photography Grant, in Svizzera. G.M.B. Akash è rappresentato dall’agenzia Panos Pictures, di Londra.

CONTROLLO ODG. In trenta mesi di attività, il nuovo Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia ha comminato le seguenti sanzioni: 1) violazione norme pubblicità/informazione a Mike Bongiorno (pubblicista), Raffaello Carabini (professionista), Enrico Cereghini (pubblicista), Antonio Gallo (pubblicista), Carlo Montanaro (professionista), Maria Teresa Ruta (pubblicista), Nicoletta Salvatori (professionista) e Mauro Tedeschini (professionista); 2) violazione delle norme sulla privacy a Giancarlo Ferrario (pubblicista), Piergiorgio Lucioni (professionista), Paolo Mieli (professionista), Giuliano Molossi (professionista), Roberto Papetti (professionista), Simona Pletto (pubblicista) e Elvira Serra (professionista); 3) mancata rettifica in seguito a notizie pubblicate inesatte a Mario Giordano (professionista) e Carlo Rossella (professionista); 4) per pubblicazione di notizia infondata a Andrea Galvani (pubblicista); 5) per doppio

21


Ici Bla Bla lavoro del pubblicista, conflitto di interessi a Fabrizio Garavaglia, Fabrizio Provera e Fabrizio Valenti. Franco Abruzzo, presidente dell’Ordine per moltissimi anni, “spodestato” alle ultime elezioni di due anni e mezzo fa da Letizia Gonzales, fa però giustamente notare che le notizie dei provvedimenti disciplinari dovrebbero essere messi ben in evidenza sul sito dell’Ordine www.odg. mi.it: la correttezza dei giornalisti è troppo importante. Invece, per accedere all’elenco dei provvedimenti, occorre cliccare su “Documenti”, nella home page, poi su “Provvedimenti disciplinari”, nel riquadro “Archivio documenti”. Concordo ancora con Franco Abruzzo, quando chiede che si conosca, almeno sinteticamente, il contenuto di tutti i centocinquantaquattro provvedimenti esaminati dall’Ordine (e non solo quelli dei ventuno sopraelencati). Letizia Gonzales non ha torto, quando motiva la mancanza di pubblicità sugli atti archiviati «al fine di evitare interpretazioni inesatte o la diffusione di notizie parziali, che non rendono giustizia alla verità dei fatti». Però, basterebbe stilare una sintesi che impedisca ogni ambiguità. Siamo giornalisti, almeno questo lo sapremo fare, o no?

FILM GIRATO DAGLI SCIMPANZÉ. Mercoledì ventisette gennaio, all’interno di un documentario naturalistico, la BBC ha trasmesso cinquantatré secondi del primo filmato al mondo girato da animali, scimpanzé in questo caso, per i quali era stata predisposta una videocamera con opportuni accorgimenti tecnici, e al cui uso erano stati addestrati dai primatologi che ne studiano il comportamento. Capo del progetto, che è in corso da diciotto mesi, è la dottoressa Betsy Herrelko, che sta prendendo un PhD sul comportamento delle scimmie, presso l’Università di Stirling, Gran Bretagna. Protagonisti, undici scimpanzé dello zoo di Edimburgo, ospitati in un recinto appositamente costruito, che hanno mostrato molto interesse per l’esperimento. Dapprima, gli animali sono stati addestrati a comandare la videocamera attraverso un touch screen,

22

mediante il quale potevano vedere filmati già presenti nella memoria dello strumento (che riguardavano scimpanzé ripresi in aree selvagge, inservienti al lavoro per preparare il loro cibo e scene riguardanti loro stessi): scopo di questo studio era capire quali filmati preferivano, ma non c’è stata evidenza statistica di nessuna preferenza. Forse, la dottoressa Betsy Herrelko avrebbe dovuto provare con filmati di accoppiamento, utilizzati con qualche successo con le grandi scimmie (oranghi, gorilla e scimpanzé), per cercare di eccitarli e farli accoppiare in cattività. All’inizio dell’esperimento, due grossi maschi hanno immediatamente pensato che il primo che fosse riuscito a distruggere la videocamera sarebbe diventato il maschio dominante del gruppo. Ma poi tutto è migliorato, e in un secondo tempo è stato possibile addestrare gli animali a filmare. Comunque «è improbabile che gli scimpanzé avessero la consapevolezza di quello che stavano filmando», ha dichiarato la dottoressa Betsy Herrekko. D’altra parte, è certo che il loro breve filmato entrerà nella storia del cinema [in alto].

L’ANNO DEL PREDATORE. Sul suo notevole sito blog (http://blog.melchersystem.com/), Paul Melcher segnala che nel 2009 la politica di ven-

Il primo filmato al mondo girato da animali, scimpanzé in questo caso, dura cinquantatré secondi.

Prima edizione, originaria, di The Catcher in the Rye, in Italia come Il giovane Holden.

dita applicata da Getty Images si è fatta molto aggressiva, offrendo prezzi particolarmente bassi a quegli editori che si impegnino ad acquistare fotografie solo da loro. Se un editore firma questo contratto può ricorrere alla concorrenza solo se Getty non ha l’immagine che lui richiede, la qual cosa è quasi impossibile. In un momento di crisi, l’offerta di Getty può apparire molto allettante agli editori: la qualità delle loro fotografie è buona e risparmiare è quasi un obbligo. Ovviamente, questa manovra rappresenta una minaccia enorme per le piccole agenzie fotografiche. La loro scomparsa, segnala Paul Melcher, potrebbe significare non soltanto la scomparsa di una attività commerciale, ma addirittura la scomparsa di documenti importanti dell’informazione e della conoscenza. Ma anche le grandi agenzie si trovano di fronte a un bivio cruciale: o seguire Getty sulla stessa strada, proponendo contratti analoghi ai potenziali clienti (e forse poi morire), oppure morire comunque di una lenta asfissia. E quando tutti saranno morti, Getty potrà tornare ad alzare i propri prezzi, perché il mercato sarà completamente nelle sue mani. Questa politica ha un nome famigerato: dumping. Non ci sono leggi antidumping negli Usa, vale a dire leggi che vietino alle compagnie di vendere un prodotto a un prezzo più basso di quello che costa produrlo. La ragione di questa assenza dipende dalla fiducia americana nel libero mercato, nella convinzione che il mercato sia appunto in grado di autoregolarsi. Ma ci sono regole anti monopolio in giro per il mondo, in Europa in particolare, e speriamo che ciò possa rappresentare un freno alla politica commerciale di Getty.

SALINGER È MORTO. Il ventotto gennaio è venuto a mancare, a novantuno anni, il grande, grandissimo Jerome David Salinger. Non appartiene alla Storia della Fotografia, ma credo sia comunque giusto rendergli omaggio. Salinger ha scritto pochissimo. Tra queste sue poche e brevi opere ce n’è una fulminate, Il giovane Holden, la cui lettura è


Ici Bla Bla

Jerome David Salinger sulla copertina di Time Magazine, del 15 settembre 1961.

obbligatoria per i ragazzi, gli adulti, gli anziani che non l’abbiano ancora scoperta [pagina accanto]. Il protagonista del romanzo, Holden Caulfield, è un adolescente moderatamente ribelle, confuso, un “pazzo diamante” come cantavano i Pink Floyd, in cerca di verità e onestà attraverso il rifiuto del mondo artificiale e stereotipato degli adulti. Un capolavoro. Pubblicato nel 1951, il romanzo riscosse subito un enorme successo. Ma Salinger rifuggiva dalla vita di società, che evidentemente trovava artificiale, alla stregua del suo protagonista, e si tenne alla larga dalla popolarità, che gli sarebbe derivata dal successo. Nel 1953, andò a vivere a Cornish, un piccolo villaggio del New Hampshire (Usa). Da allora, ha consesso pochissime interviste e ha smesso addirittura di scrivere nel 1965, anno nel quale il New Yorker pubblicò il suo ultimo racconto. Grazie, Jerome, il tuo Holden ha cambiato la nostra vita.

FUORILEGGE LE FOTOGRAFIE DI CLOONEY. Almeno quelle “rubate” attraverso la siepe della sua villa sul lago di Como. Ricevo dall’amico Amedeo Vergani, presidente del Gisgiv (Gruppo di Specializzazione dei Giornalisti dell’Informazione Visiva - Associazione Lombarda dei Giornalisti), e volentieri do spazio alla notizia, anche alla luce di quanto sta avvenendo a proposito del caso Corona-Signorini-Elkan, e chi più ne ha più ne metta (ne riferisco qui di seguito). Il Garante della privacy ha stabilito

che quelle fotografie, che erano state pubblicate in agosto 2009 da Novella 2000, Chi e dall’edizione online del Corriere della Sera, sono da considerarsi illegali, perché violano la legge sulla privacy. Legittime, invece, le riprese effettuate da punti dai quali chiunque può vedere la scena delle riprese dall’esterno della proprietà. Negli accertamenti e nell’istruttoria del Garante, relatore Mauro Paissan, sono stati coinvolti anche gli autori delle fotografie (Pierpaolo Ferreri, Marco Vicino e Massimo Sestini) ed esponenti delle tre agenzie fotografiche che le hanno vendute ai giornali: Mistral, Spyone e Clicphoto. «Alcune fotografie oggetto della segnalazione -ha specificato il Garante in un comunicato- mostrano persone che si trovavano all’interno del giardino della villa, in zona circondata da un’alta siepe e da un muro di cinta, che impediscono ai passanti la vista. Dagli accertamenti è emerso che tali immagini sono state raccolte con espedienti (per esempio, aprendo dei varchi nella siepe), violando così la ragionevole aspettativa di intimità e riservatezza creata dalla barriera visiva posta a protezione della dimora privata». Vietando il «trattamento e l’ulteriore diffusione delle immagini raccolte in modo illegittimo», il Garante ha anche prescritto ai tre giornali, alle tre fotoagenzie e ai tre fotoreporter coinvolti di «informare sugli esiti del provvedimento tutti coloro ai quali sono state eventualmente cedute le fotografie sottoposte a divieto». Giornali, fotoagenzie e fotoreporter hanno impostato la loro linea di difesa sulla notorietà dei personaggi, sostenendo soprattutto che tutte le immagini pubblicate erano state riprese da punti dove qualsiasi passante può vedere a occhio nudo quello che accade nel parco della villa di George Clooney. Evidentemente, il Garante non li ha creduti. Per chi vuole approfondire: http://www.garanteprivacy.it/garante/doc.jsp?ID=1686747.

RICATTI SIGNORINI-CORONA. La notizia precedente non ha incluso ricatti: nessuno ha offerto a George Clooney immagini delle quali evitare la pubblicazione. Le fotografie sono state scattate per essere pubblicate.

Diverso è il caso scoppiato a Milano, poco dopo la metà di gennaio, sul quale ha cominciato a indagare il pm di Milano, Frank Di Maio. Quando questo numero di FOTOgraphia sarà stampato, probabilmente si saprà qualcosa di più preciso. A monte di tutto, mi urge esprimere un’osservazione su un fatto che tutti i quotidiani hanno ampiamente riportato. Un fatto che riguarda l’estrema potenza della fotografia, e dell’immagine in generale, quando è usata come strumento di ricatto. E poi dicono che la fotografia non ritrae la realtà, che c’è sempre il punto di vista del fotografo. Ma io non ho mai trovato nessuno disposto a pagare trecentomila euro perché temeva il mio punto di vista, mentre pare che Lapo Elkan li abbia scuciti, per togliere dal giro qualche fotografia compromettente. Quindi, si mettano il cuore in pace i sofisti della mancanza di oggettività a tutti i costi: la fotografia sa essere anche testimonianza pura e semplice di un fatto accaduto. Torniamo dunque a Milano. Radio serva (quell’insieme di rumor veri e falsi che circola sempre per l’aere e ci mette al corrente di tante cose) preannuncia che sono molti i vip coinvolti: da politici di primo piano a industriali del jet set milanese e romano, a uno strapotente direttore di giornale, Alfonso Signorini, direttore di Chi, dominus del pettegolezzo. Naturalmente, a proposito di conflitto di interessi, faccio osservare che, essendo il premier proprietario della Mondadori, il materiale bollente che a volte passa per l’ufficio di Signorini ha una elevata probabilità di finire in mani politiche, come è successo per il caso dei video che ritraevano Piero Marrazzo con i calzoni a mezz’asta in compagnia di transessuali. Al momento in cui scrivo, sarebbero coinvolti, almeno come persone informate dei fatti, Max Scarfone (il paparazzo romano al centro dei casi Sircana e Marrazzo), Maurizio Sorge (un altro paparazzo), Fabrizio Corona (ovviamente), Bicio Pensa (collaboratore di Corona, quello che il 6 giugno 2008 dichiarava ai magistrati, a proposito delle fotografie scattate a Simona Ventura: «Insomma, alcune fotografie sono state

23


Ici Bla Bla pubblicate su Chi, ma effettivamente quelle che erano un attimino scandalose sono sparite»), il regista Leonardo Pieraccioni, il finanziere (pardon) Stefano Ricucci, il ministro Angiolino Alfano (le sue fotografie innocenti, mentre si fa la manicure su una spiaggia delle Maldive, scattate da Max Scarfone, sono state acquistate da Chi, ma mai pubblicate), Silvia Toffanin (ex letterina di Passaparola, attuale compagna di Piersilvio Berlusconi; per lei sarebbe stato pagato, anni fa, un compenso di duecentomila euro), l’agenzia Spy One e l’agenzia Uno Press. Naturalmente, tutti fatti da verificare, ma come diciamo noi a Milano (in ripetizione) a pensa mal sa fa pecà... ma se sbaglia mai (a pensar male si fa peccato, ma non si sbaglia mai).

vanta, già quando si sentivano i primi sentori di crisi. A differenza delle grandi agenzie, i collettivi sono caratterizzati da una struttura leggera e da una impostazione cooperativa. Ciò permette a queste miniagenzie di realizzare progetti importanti e di difendere “una scrittura della fotografia”. Ciononostante! Sconti Getty, per l’acquisto dei diritti di pubblicazione di fotografie.

ŒIL PUBLIC: FINE DI UNA BELLA STORIA. Un’altra vittima della crisi dei giornali e delle politiche di prezzi stracciati praticate dai due giganti del mercato fotografico, soprattutto Getty ma anche Corbis: si tratta della piccola agenzia francese Oeil Public, il cui motto è (è stato) Propose des reportages à teneur sociale et humaniste (proponiamo reportage a contenuto sociale e umanitario) [qui sotto]. Nata quindici anni fa, composta da un pool di sette fotografi indipendenti, nel 2009 ha visto ridursi i propri ricavi del cinquanta percento. Perciò, è stata costretta a portare i libri in tribunale. La chiusura di Oeil Public ha un significato simbolico, perché questa agenzia rappresenta il più celebre dei collettivi fotografici nati all’inizio degli anni No-

LE CAUSE DELLA CRISI? A completamento di quanto da tempo rileviamo, ecco altri dati sulla politica di prezzi bassi praticata da Getty e, ora, anche da Corbis. Come potete vedere nell’immagine qui sopra, Getty propone uno sconto del trenta percento per l’acquisto dei diritti di pubblicazione di tre fotografie, il venticinque percento per due e il venti percento per una sola immagine. Inoltre, garantiscono uno sconto del venticinque percento su tutto il materiale Royalty Free (quel materiale del quale si comprano i diritti non per una sola pubblicazione ma per sempre), che, per consuetudine, non è mai soggetto a nessun tipo di sconto. Da parte sua, Corbis ha annunciato in una email a molti clienti uno sconto del trenta percento su tutto il loro materiale, nel corso del 2010.

GIÙ LE MANI DA FLICKR. Come denunciato da Daryl Lang su Pdn Pulse, l’agenzia Saatchi & Saatchi, di Los Angeles, che cura le campagne pubblicitarie della casa automobilistica giapponese Toyota, ha utilizzato in un manifesto una fotografia di Mi-

24

Un’altra vittima della crisi dei giornali e delle politiche di prezzi stracciati: la piccola ma significativa agenzia francese Oeil Public, il cui motto è (è stato) Proponiamo reportage a contenuto sociale e umanitario.

Superflue e scontate le rivelazioni in Das Banner des Sieges, di Ernst Volland: ne abbiamo già scritto in FOTOgraphia, del giugno 2005.

chael Calanan (http://blog.calanan. com/2009/11/found-my-photo-usedwithout-permission.html), che appariva sul sito di Flickr tra le immagini protette da copyright. Della serie se la va, la g’ha i gamb (se va, ha le gambe; cioè: se nessuno si accorge, la facciamo franca). La Toyota ha già tolto la fotografia dal proprio sito e si è scusata con il fotografo. Scusata? Qualcuno deve scucire dollari di rimborso! Anche perché non è la prima volta che Saatchi & Saatchi è beccata a usare fotografie di Flickr coperte da copyright. L’altra volta è successo nel 2007, quando una immagine di una famiglia texana fu utilizzata in una campagna della Virgin Mobile Australia.

LA SCOPERTA DELL’ACQUA CALDA. Lo storico tedesco Ernst Volland ha pubblicato un libro, Das Banner des Sieges (La bandiera della vittoria; Berlin Story Verlag, 2008), per sostenere che una delle fotografie del Secolo, quella scattata da Evgenii Khaldei (o Yvgeni Khaldi) sul tetto del Reichstag, a Berlino il 2 maggio 1945 è un falso [qui sotto]. Nel dicembre del 1995, su Airone, ho pubblicato un’intervista rilasciata da Evgenii Khaldei, il settembre precedente, a Perpignan, durante Visa pour l’Image. Eccone la parte saliente: «Ho fatto il reporter di guerra per la Tass, da Mourmansk a Berlino. Ho rischiato di morire molte volte. Il momento della fotografia sul tetto del Reichstag è stata una di queste, a causa dei molti cecchini ancora nascosti in città e dell’incendio che in-


Ici Bla Bla combeva alle nostre spalle. Ma io volevo un’immagine simbolo della nostra liberazione di Berlino, così convinsi due soldati a seguirmi con una bandiera fin sul tetto di quel palazzo stregato, dal quale per anni un flusso di terrore aveva schiacciato il mondo. Scattai un intero rullo alla ricerca dell’inquadratura più espressiva. [...] Quando Stalin vide la mia fotografia, che avrebbe dovuta essere diffusa dalla Tass per celebrare la grande vittoria del popolo sovietico, si accorse che il soldato che stava più in basso aveva due orologi, uno per polso, segno evidente che aveva depredato un cadavere. Ciò avrebbe gettato un’ombra sulla gloria dell’Armata Rossa. Perciò, Stalin volle che in laboratorio, durante la stampa, si mascherasse il secondo orologio per farlo sparire». «Ci fu poi un seconda manipolazione -sottolinea Ernst Volland, a quel tempo agente di Khaldei-, al di fuori della camera oscura. Alla conferenza stampa durante la quale la fotografia venne presentata, e alla quale avrebbero dovuto essere presenti i due militari e il fotografo, Stalin volle che uno dei due soldati fosse sostituito con un altro soldato georgiano sconosciuto. La ragione di questa sostituzione fu quella di celebrare l’eroismo dei soldati della Georgia, regione natale di Stalin». Queste dichiarazioni sono risapute e fanno parte della Storia della Fotografia. Allora, qualcuno dovrebbe dire al professor Volland che l’acqua calda è già stata scoperta. E dovrebbe dirlo anche al giornalista Andrea Tarquini, che ha presentato queste rivelazioni, il quattro gennaio, su Repubblica, come se fosse stato finalmente svelato il mistero dei misteri. Tra l’altro, per inciso, noi stessi abbiamo approfondito in FOTOgraphia, del giugno 2005, nel sessantesimo anniversario.

In sequenza rapida: ventitré gennaio, una bella crinierina; venticinque gennaio, calvizie; ventisette gennaio, di nuovo una folta crinierina.

di nuovo una folta crinierina, il ventisette gennaio, alla Camera dei deputati [qui sopra].

REPORTAGE DA QUOTIDIANO. Segnalo due esempi di un ottimo modo di utilizzare la doppia pagina di un quotidiano. Si tratta di due pubblicazioni di Repubblica, apparse nelle pagine centrali della cultura. Il primo esempio si riferisce al numero di domenica tre gennaio, con bellissime fotografie di Monika Bulaj e un testo geniale di Paolo Rumiz, dedicato alla casa-antro di Mauro Corona, il poeta alpinista e scultore che vive a Erto, nella Valle del Vajont, in provincia di Pordenone [qui sotto]. Il secondo, datato diciassette

gennaio, è un articolo dedicato ai piccoli campioni scalzi dell’Africa Football Club, come recita il titolo dell’articolo, illustrato con eccellenti immagini di un reportage di Felix Seuffert, distribuite dall’Agenzia Contrasto [ancora, qui sotto]. Congratulazioni a Repubblica, al suo direttore e alla sua redazione.

FOTOGRAFIA STORICA. Una manifestazione tenutasi lo scorso venti dicembre, presso il Museo Regionale di Scienze Naturali, di Torino, Ultima fermata Tempelhof: per non dimenticare, ha celebrato il ventennale della caduta del Muro di Berlino. Contemporaneamente, si è inaugurata la prima edizione di Memorandum - Festival della Fotografia Storica, che si svolgerà con cadenza annuale a Torino e Biella. Il Festival si propone di valorizzare la fotografia come patrimonio e memoria e far co-

La Repubblica, tre gennaio: fotografie di Monika Bulaj e testo di Paolo Rumiz dedicati alla casa-antro del poeta alpinista e scultore Mauro Corona.

La Repubblica, diciassette gennaio: reportage di Felix Seuffert (Agenzia Contrasto) sui piccoli campioni scalzi dell’Africa Football Club.

MISTERI. Misteri che solo la fotografia può svelare. Telegrafico: i capelli del premier. Il ventitré gennaio, al matrimonio del ministro Mariastella Gelmini, una bella crinierina; la calvizie, il venticinque gennaio, mentre si reca a una visita di controllo presso l’ospedale San Raffaele, di Milano;

25


Ici Bla Bla noscere le collezioni di archivi storici italiani e internazionali, spesso inaccessibili al grande pubblico. Nell’ambito del Festival sono avvenuti numerosi incontri con il pubblico, compresi due reading teatrali che usano la fotografia per raccontare la storia e ventitré mostre [a destra], una delle quali ha riguardato un inedito Henri Cartier-Bresson dell’Archivio Storico Olivetti. Inaugurate il ventidue gennaio al Museo del Territorio Biellese e il ventinove gennaio al Museo Regionale delle Scienze, di Torino, le mostre proseguono fino al ventotto marzo (www.regione.piemonte.it/museoscienzenaturali).

NACHTWEY A SERAVEZZA. Fino al cinque aprile, presso le sale del Palazzo Mediceo di Seravezza, in provincia di Lucca, è possibile visitare una imponente mostra dedicata a uno dei più grandi fotoreporter contemporanei di guerra, James Nachtwey (0584-756100; www.palazzomediceo.com). La mostra propone le fotografie scattate a New York l’Undici settembre, le immagini della guerra in Iraq (Nachtwey è stato gravemente ferito da una granata a Baghdad, nel dicembre 2003; FOTOgraphia, febbraio 2004), quelle del genocidio nel Darfour (Sudan), dell’inquinamento industriale nei paesi dell’Est, della vita nelle carceri americane, dei disordini religiosi in Indonesia e dei riti d’iniziazione dei giovani nelle tribù del Sudafrica. Oltre centocinquanta immagini, con lo scopo di “documentare la guerra per raccontare la pace”.

26

Da Memorandum Festival della Fotografia Storica, a Torino e Biella: suffragetta, ovvero militante appartenente al movimento di emancipazione femminile, all’inizio del Novecento.

Come è noto, James Nachtwey lavora per Time Magazine, dal 1984; è stato membro dell’agenzia Magnum Photos, dal 1986 al 2001, quando ha lasciato per fondare l’agenzia VII con Alexandra Boulat, Ron Haviv, Gary Knight, Antonin Kratochvil, Christopher Morris e John Stanmeyer. Tra i tanti premi, ricordiamo la Robert Capa Golden Medal (cinque volte), il Magazine Photographer of the Year (sette volte), l’Eugene Smith Memorial Grant in Humanistic Photography, l’International Center of Photography Infinity Award (tre volte), il Leica Award (due volte), il World Press Photo Award (due volte [in basso]), il Martin Luther King Award, l’Henry Luce Award, l’Alfred Eisenstaedt Award, e il Bayeux Award for War Correspondents (due volte).

STEVE McCURRY A MILANO. Giovedì ventuno gennaio, appuntamento alle otto di sera. Con una decina di miei studenti di Probabilità e Statistica, che mi avevano chie-

sto di fare loro da guida, vado a visitare la mostra di Steve McCurry, allestita dal dieci novembre al Palazzo della Ragione, in piazza dei Mercanti, a Milano. Più di un’ora di coda per entrare. Ma cosa succede, mi sono chiesto? Si sta apparentemente materializzando una strana bilancia, mi sono detto: più la gente si interessa di fotografia, meno i giornali sembrano disposti a pagarla. Per capirne di più sulle ragioni di un presumibile successo, ho contattato l’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano, per avere una stima del numero di visitatori: cinquantasettemila prima della fine di gennaio! Un dato senza precedenti, e il Comune ha posticipato di un mese la chiusura prevista. Veramente incredibile. La mostra è gradevole, ottimamente allestita, Steve McCurry è un valente fotografo Magnum Photos, che ha lavorato a lungo per il National Geographic. Una mostra così se la meritava, eccome. Ma non certo l’Ambrogino d’Oro, riconoscimento stracittadino, che gli ha assegnato la sindachessa Letizia Moratti. E allora sono due le domande. Se sono cinquantasettemila i visitatori per Steve McCurry, quanti avrebbero dovuto essere i visitatori per le mostre di Robert Capa e Richard Avedon, a Forma, sempre a Milano? E se danno l’Ambrogino a un fotografo che per Milano non ha mai fatto nulla, quanti Ambrogini dovrebbero assegnare a Mario De Biasi (oltre a quello che gli ha già fatto avere l’allora assessore Vittorio Sgarbi, nel 2006), che a Milano ha dedicato fior di lavori fotografici? ❖

Fino al cinque aprile, James Nachtwey al Palazzo Mediceo di Seravezza, in provincia di Lucca. Rwanda, giugno 1994: uomo Hutu mutilato dalla milizia nazionale perché sospetto di collaborazionismo con i ribelli Tutsi. World Press Photo of the Year 1994.



di Angelo Galantini

S Autoritratto di Nadar; 1855 circa.

Pierrot fotografo: uno dei soggetti della serie realizzata da Nadar nel 1854-1855. Curiosamente, ma neppure poi tanto, questa immagine ha illustrato il francobollo dedicato a Nadar dalle Poste francesi: serie di sei valori Les œuvres des grands photographes français, emessa il 10 luglio 1999.

Non si può aggiungere molto sulla personalità di Nadar, straordinario ritrattista parigino di metà Ottocento (e altro tanto ancora). Non si può aggiungere nulla. Per cui, in occasione del centenario dalla scompar- TESTI ECCELLENTI questo, qui e ora è soprattutto il caso di ricordasa, 21 marzo 1910 - 2010, soltanto rePerquanto è stato scritto con coscienza e consapeun casellario essenziale di testi sui volezza attorno la figura di Nadar, privilegiando i tequali approfondire la sua conoscenza. E poi, anche una monografia illustrata di contenuto straordinario

NADAR 28

enza discussione, Nadar è stato un grande ritrattista, che a metà dell’Ottocento ha illuminato la strada dell’espressività fotografica. Forse, si potrebbe discutere su un’altra opinione, più definitiva di questa prima, che ci fa pensare che Nadar sia stato il più grande tra i ritrattisti della Storia della fotografia. Non approfondiamo, non apriamo alcun dibattito, che peraltro neppure avrebbe modo di essere tale (dibattito), ma soltanto monologo. Quindi, soprassediamo sul nostro assoluto personale, e rimaniamo leggeri, annotando soltanto la sua grandezza espressiva, svincolata da qualsivoglia graduatoria. L’occasione di ricordare Nadar, pseudonimo di Gaspard-Félix Tournachon, arriva dal centenario della scomparsa: 21 marzo 1910, a novant’anni (era nato il 6 aprile 1820). In ogni caso, c’è poco o nulla da aggiungere a quanto tanto è stato scritto e detto sulla sua personalità fotografica, una delle più frequentate dalla storiografia internazionale, senza soluzione di continuità né di visione geopolitica. Infatti, per quanto spesso lamentiamo come e quanto molte Storie siano sostanzialmente parziali, ciascuna a proprio modo, e spesso tengano soprattutto conto del solo versante statunitense del Novecento, i tempi del pionierismo fotografico sono inviolabilmente percorsi da tutti allo stesso modo. Non si può ignorare il clima parigino di metà Ottocento, così vivo e palpitante di espressioni fotografiche di alto livello, tra le quali sovrasta proprio quella di Nadar. Cosa altro aggiungere, in questa occasione? Forse si può solo sottolineare, rammaricandocene, come troppe rievocazioni, sollecitate da facilonerie di maniera, si siano espresse al di sotto del dovuto. Speriamo solo che il Tempo regni sovrano e cancelli dalla memoria quanto non è degno o meritevole di rimanervi.



Lo scrittore Charles Baudelaire; 1855. Il pittore Gustave Doré; 1856-1858.

Il compositore Gioachino Rossini; 1856. Musette; 1854-1855.

sti in italiano, non tutti di facile reperibilità bibliografica; ma oggi, attraverso la Rete, possono anche accadere miracoli. A ciascuno, quelli che va cercando. Uno studio su Nadar approfondito e degno della massima attenzione è quello che Einaudi ha pubblicato nel 1973, traducendo e completando un’edizione originaria francese del precedente 1966. Semplicemente intitolato Nadar, il volume propone essenzialmente due testi portanti, più altri a corollario (di analogo spessore: una delizia). Per l’edizione italiana, il saggio originario di Jean Prinet e Antoniette Dilasser è preceduto da uno di Lamberto Vitali. Proprio questo Il fotografo Nadar, introduttivo dell’opera (quattrocentoventi pagine 20x20,7cm, con cento illustrazioni), è stato recentemente ripreso da Abscondita, che l’ha inserito nel prezioso Félix Nadar. Ritrat-

30

ti, pubblicato nel 2007 nell’autorevole collana Miniature: ottanta pagine 10,5x19,5cm; 11,00 euro. In questa edizione si trova anche un testo a tema (ritratto) dello stesso Nadar, estratto dal suo Quando ero fotografo. Nello specifico, in Le clienti e i clienti, il ritrattista parigino riflette sul rapporto con il pubblico, spesso insoddisfatto delle proprie raffigurazioni: e le considerazioni, oltre i suggerimenti, sono ancora oggi di stretta attualità, centocinquanta anni dopo! Comunque, rientrando in percorso, moderatamente aggiornata, la traduzione di Stefano Santuari è la stessa dell’edizione originaria di Quando ero fotografo, che Michele Rago curò per gli Editori Riuniti, che stamparono il libro nel 1982. Nel frattempo, lo stesso titolo è oggi più facilmente reperibile nella nuova/rinnovata edizione Ab-


La scrittrice George Sand (Amantine Aurore Lucile Dupin); 1864. L’attrice di teatro Sarah Bernhardt (Rosine Bernardt); 1864 circa.

Lo statista principe Adam Jerzy Czartoryski; 1856-1859. Maria; 1856-1859.

scondita, del 2006 (duecentocinquantasei pagine 13x22cm; 19,00 euro): quattordici ricordi di Nadar, che spazia dal dagherrotipo delle origini alle proprie esperienze professionali, ivi comprese le ascensioni con il pallone aerostatico e la documentazione dei sotterranei di Parigi. Un altro bel testo su Nadar è quello compilato da Philippe Néagu e Roméo Martinez, originariamente in francese, per la collana Les Grands Maitres de la Photo, che l’italiano Fabbri ha prodotto in coedizione nel 1982, nella propria serie I grandi fotografi. Da qui, personalmente non ci discosteremmo molto, e pensiamo che varrebbe la spesa approdare fino alle due raccolte di piccole dimensioni “fisiche” dei Nadar delle serie Photo Poche e Phaidon 55, da intendere come autentici prontuari veloci, alla manie-

ra dei bigini che la notte prima degli esami hanno salvato molte preparazioni scolastiche precarie (mai dimenticate le edizioni Bignami). Ancora, rimandiamo anche allo Sguardo su Nadar, di Pino Bertelli, in FOTOgraphia del febbraio 2004.

Nadar in una caricatura di C. Dumoulin, da Le Gaulois; 1858.

FANTASTICA MONOGRAFIA Andando al minimo indispensabile, ma tralasciando nulla, sia chiaro, una recente monografia illustrata si impone su tutte, per completezza di tavole presentate e superba qualità di riproduzione litografica. Anche qui, e ancora qui, i testi introduttivi sono più che eccellenti (ma in inglese). Quanto fa la differenza dell’imponente Nadar, che l’editore Harry N. Abrams ha realizzato per conto del Metropolitan Museum of Art, di New York, a catalogo di una esaustiva mostra

31


OLTRE IL RITRATTO

Nell’eterogeneo universo dei tanti pionieri della fotografia, il francese Nadar rappresenta una personalità insolita e autonoma. Oltre la prepotente identità di raffinato ritrattista, a tutti nota, e alla quale abbiamo riferito l’attuale celebrazione, nel centenario della scomparsa, per esplorare le possibili applicazioni espressive e documentative della fotografia, Nadar accompagnò la propria attività di sala di posa con la continua sperimentazione tecnica. Sue furono le fotografie che per la prima volta illustrarono un testo divulgativo di medicina (Album de Photographies pathologiques complémentaire du Livre intitulé De l’Electrisation localisée; Parigi, 1862). E sua fu l’idea di una intervista accompagnata da una sequenza di fotografie. Sotto la sua direzione, nel 1886, il figlio Paul eseguì una serie di ventisette pose destinate a illustrare l’intervista (dello stesso Nadar) al fisico Michel-Eugène Chevreul, incontrato in occasione del centesimo compleanno. Tredici di queste immagini, tutte riprese con pellicola Eastman Kodak che consentiva tempi di otturazione brevi, fino a 1/200 di secondo, furono pubblicate il 5 settembre 1886 dal Journal illustré: dodici inquadrature in sequenza

Caricatura di Honoré Daumier, del 1862: Nadar eleva la fotografia all’altezza dell’Arte. Dal pallone aerostatico, il fotografo parigino sorvola una città pullulante di studi fotografici.

di Chevreul e Nadar seduti attorno a un tavolo furono impaginate assieme a un ritratto del celeberrimo fisico. Nadar fu anche tra i primi a intuire le possibilità dell’illuminazione artificiale, in un’epoca nella quale la fotografia dipendeva soltanto dalla luce naturale del sole. In sala di posa, usò lampade continue e il lampo al magnesio. Con certezza, un ritratto del 1860 è attribuibile a una illuminazione con luce elettrica, sulle cui possibilità Nadar relazionò nella seduta del 21 dicembre 1860 della Société Français de Photographie. E poi illuminò artificialmente anche le catacombe di Parigi e le sue fogne, dove eseguì rispettive serie fotografiche nel corso del 1861. Le sue lastre 18,5x22,5cm furono esposte con grande perizia e con un pizzico di invenzione scenografica: uomini in rigorosa immobilità e manichini ben disposti stavano a recitare e simulare situazioni dinamiche “fissate” dallo scatto fotografico (per forza di cose, assolutamente prolungato). Convinto assertore delle grandi possibilità di applicazione del volo dei mezzi più leggeri dell’aria, Nadar fece seguire i fatti alle parole, e compì numerose escursioni con il pallone aerostatico. Questa sua idea era talmente fissa da spingerlo ad autoritrarsi a bordo del cesto caratteristico della mongolfiera (per l’occasione saldamente fissato in sala di posa, davanti a un fondo di cielo nuvoloso dipinto [in questo spazio redazionale e in copertina]), e da ispirare una celebre caricatura di Honoré Daumier: l’ironica Nadar eleva la fotografia all’altezza dell’Arte raffigura il fotografo che a bordo di un aerostato vola su una città pullulante di studi fotografici [a sinistra]. Come già l’illuminazione artificiale di luoghi originariamente bui, anche il volo aerostatico si accompagnò con una esperienza fotografica. Di questi due mondi estremi, il sottosuolo di Parigi e il suo sorvolo, Nadar ha lasciato preziose testimonianze scritte nella sua raccolta di memorie Quand j’étais photographe (Flammarion; Parigi, 1980), pubblicata in Italia dagli Editori Riuniti (Quando ero fotografo, a cura di Michele Rago, traduzione di Stefano Santuari; Roma, 1982) e ripubblicata da Abscondita, nel 2004.

lì allestita, nell’estate 1995 (seconda tappa, dopo l’allestimento originario al Musée d’Orsay, di Parigi, dell’autunno precedente), è proprio la globalità delle immagini pubblicate, che attraversano tutta la parabola espressiva del ritrattista parigino: ducentosettantadue pagine 23x30,5cm, cartonato con sovraccoperta; 70,00 euro nelle librerie specializzate italiane. Adeguatamente intonati, come lo erano le stampe realizzate al tempo, sulle pagine della sontuosa monografia i ritratti sono altresì presentati nell’intera dimensione della lastra originaria, comprensiva di immancabili sporchi di lavorazione e, perché no, eventuali annotazioni a margine. Molte riproduzioni da co-

32

Autoritratti di Nadar nel cesto caratteristico della mongolfiera: due volte da solo e una con la moglie Ernestine; tre fotografie datate al 1865 circa.

pie portano la firma autografa di Nadar, e nel proprio insieme questa raccolta -a cura di Maria Morris Hambourg, Françoise Heilbrun e Philippe Néagu (venuto a mancare alla vigilia della mostra parigina, e per questo il volume-catalogo è dedicato alla sua memoria)- è autenticamente fuori dall’ordinario. Al solito, siamo tentati dagli assoluti, in allineamento con quello che ci fa considerare Nadar non solo un grande ritrattista, ma il più grande ritrattista della Storia della fotografia: un altro libro che non dovrebbe assolutamente mancare nella libreria personale di coloro i quali vivono con intensità la fotografia (noi, tra questi). ❖



MODA E Fantastica, la monografia Fräulein, di Ellen von Unwerth, pubblicata dall’attento Taschen Verlag in una doppia edizione, che poi è tripla: d’élite e in due combinazioni Art Edition, comprensive di stampe originali. Incantevole e avvincente miscela di moda e fantasia. Donne di eccezionale seduzione e aristocratica distanza dalla vita di tutti i giorni. Autentiche icone della bellezza senza confine, della femminilità e sensualità da sogno

di Angelo Galantini

34

BITCH!; PARIGI, 2007.

E

llen von Unwerth è stata una top model ante litteram. Una top model prima che fosse coniata la definizione, ormai abusata e mal usata. Nata nel 1954, ha attraversato gli anni Settanta, lasciando un segno inconfondibile nel momento nel quale la moda ha fatto il proprio balzo in avanti, o a lato, scartando dalle sofisticate raffigurazioni degli istanti temporalmente precedenti, quelli dell’alta moda d’élite, per avvicinarsi alla vita di tutti i giorni. Così che, il suo è stato uno dei volti, e il suo è stato uno dei corpi sensuali che hanno segnato un’epoca: quella della moda che si è proiettata nel costume sociale, imponendosi come fenomeno e proponendosi come stile esistenziale, immediatamente successivo gli sconvolgimenti della seconda metà degli anni Sessanta. Al culmine di dieci anni durante i quali è stata modella, Ellen von Unwerth ha compiuto un passaggio che allora fecero anche altre modelle, tra le quali l’italiana Alberta Tiburzi (va detto), invertendo l’ordine dei fattori: e il risultato è cambiato. Da modella a fotografa, si è affermata come autrice che ha agito nello stesso ambito della moda, proseguendo il tragitto originario, ovverosia declinando raffigurazioni analogamente vigorose, tutte attraversate da una sensualità forte, oltre che esplicita. Ha collaborato con testate di prestigio, influenti non solo nel riferimento e richiamo della moda di origine, ma anche nel costume sociale dei nostri tempi attuali: da Vogue a Interview, da Vanity Fair a I-D, le fotografie di Ellen von Unwerth si so-


E FETISH

35



UP STAIRS; PARIGI, 1996.

Ellen von Unwerth: Fräulein, a cura di Ingrid Sischy; Taschen Verlag, 2009 (distribuzione Inter Logos, strada Curtatona 5/2, Località Fossalta, 41100 Modena; 059-412648; www.books.it); 482 pagine 30,5x44cm, cartonato, in box; millecinquecento copie numerate e firmate dall’autrice; 500,00 euro. ❯ Doppia Art Edition in tiratura di cento copie numerate e firmate, in confezione con una stampa originale 30x40cm firmata e incorniciata di Peaches (Rouilly le Bas, 2002) o di Fräulein (Rouilly le Bas, 2002); 1250,00 euro.

no allineate a quella raffigurazione contemporanea che possiamo considerare trasversale a tanto, forse a tutto. Non fotografia del reale, sia chiarito subito, ma fotografia artificiale, ispirata dal reale e costruita in evocazione dichiarata. Quindi, lo stesso va riconosciuto anche alla sua fotografia pubblicitaria, realizzata per campagne di autorevoli marchi planetari (globalizzazione della comunicazione visiva): Victoria’s Secret, Banana Republic, Guess, Diesel e Chanel. Ovviamente, esauriti gli intendimenti originari, le fotogra-

37


ANNA NASS; PARIGI, 2005.

fie di Ellen von Unwerth, al pari di quelle di ogni autore di rilievo, sopravvivono alla propria utilità di partenza e si iscrivono nella storia evolutiva dell’espressività fotografica, in questo caso con sostanziosi connotati di sapore erotico. Figura di spicco della fotografia internazionale, Ellen von Unwerth ha allestito significative esposizioni personali, presentate in tutto il mondo: Londra, New York, Parigi, Amsterdam, Amburgo, Mosca e Pechino. Ora, comprensiva di molti inediti, la sua fotografia è solennemente celebrata dall’immancabile Taschen Verlag -a tutti gli effetti l’editore internazionalmente più attento al costume sociale che si è espresso con la fotografia, a tutti gli effetti editore di tanti meriti-, con una delle sue monografie di prestigio: Fräulein, a cura di Ingrid Sischy (già caporedattore di Interview, dal 1989 al 2008, Contributing Editor di Vanity Fair, scrittrice, critico di moda del The New Yorker ); quattrocentottantadue pagine 30,5x44cm, cartonato, in box; millecinquecento copie numerate e firmate dall’autrice; cinquecento euro. E poi, ancora, due Art Edition, ciascuna in cento copie numerate e firmate, rispettivamente con stampa bianconero 40x30cm di Peaches (Rouilly le Bas, 2002) e stampa a colori 30x40cm di Fräulein (Rouilly le Bas, 2002 [copertina dell’edizione libraria]); milleduecentocinquanta euro. Nessuno dei soggetti di Ellen von Unwerth raffigura la proverbiale ragazza della porta accanto. All’esatto contrario, le sue modelle, fotografate negli ultimi quindici anni, sono donne di eccezionale seduzione e aristocratica distanza dalla vita di tutti i giorni. Autentiche icone della bellezza senza confine, della femminilità e sensualità da sogno. Da cui, rilevia-

38

Ellen von Unwerth con la modella Sarabeth Stroller, che illustra la copertina di Fräulein, alla presentazione della monografia, lo scorso autunno, al Taschen Store di New York.

mo che questa intraprendente fotografia si manifesta in una tumultuosa e intrigante congiura sessuale, composta di femminilità, romanticismo, feticismo, umorismo kitsch, decadenza e pura gioia di vivere. Nude o in lingerie, e con un sorriso abbagliante, le sue modelle paiono non essere mai oggettivate (se dobbiamo pensarla anche così). Alcune ostentano fantasie personali, altre manifestano riservatezze inattese, suggerendo che siamo incappati in un mondo segreto. In assoluto, moda e fantasia non sono mai state così incantevolmente combinate tra loro e con loro stesse. ❖ Ed è valore da apprezzare.



LUPUS IN


FABULA di Lello Piazza

© JOSÉ LUIS RODRÍGUEZ / VEOLIA ENVIRONNEMENT WILDLIFE PHOTOGRAPHER

OF THE

YEAR 2009

F

atalmente, la storia della fotografia è piena di immagini delle quali è stata messa in dubbio l’autenticità. Dal miliziano spagnolo, di Robert Capa, ai soldati dell’Armata Rossa sul tetto del Reichstag, a Berlino, di Evgenii Khaldei (o Yvgeni Khaldi), alla bandiera di Iwo Jima, di Joe Rosenthal, per citare quelle più famose e che riguardano fatti di cronaca clamorosi (dei quali ci siamo specificamente occupati in tante occasioni precedenti). Ma ci sono state anche immagini più innocue, come quelle delle fate di Cottingley, realizzate da due bambine, Elsie Wright, sedici anni, e sua cugina Frances Griffith, dieci anni, nel 1917, che ricevettero un certificato di autenticità addirittura da sir Arthur Conan Doyle, l’inventore di Sherlock Holmes, già apprezzato esperto di fotografia, con luminoso passato in una autorevole rivista di settore del tempo (e per questo rimandiamo alla selezione di suoi articoli Essays on Photography: The Unknown Conan Doyle; Secker, 1982). Forte della propria competenza, il celebre scrittore si schierò in loro favore, scrivendo un articolo pubblicato nel 1920 su The Strand, di Londra, che alimentò infiniti dibattiti, nei quali furono coinvolti anche esperti della Eastman Kodak, che negarono l’autenticità delle fotografie. Nella propria eterogeneità, dal fotogiornalismo al semplice gioco, questi esempi riguardano l’era predigitale. In tempi più recenti, si sono registrate altre falsificazioni, a cominciare da una delle più famose e dibattute (considerato il leggendario rigore della testata): la copertina di National Geogra-

phic, del febbraio 1982, ottenuta da una inquadratura originariamente orizzontale di Gordon W. Gahan, resa verticale avvicinando due delle tre piramidi di Giza (Cairo, Egitto) [a pagina 43]. Per quanto riguarda la fotografia naturalistica, non posso non citare, ancora e poi basta, un classico della falsificazione: la monografia Migrations, di Art Wolfe (Beyond Words Publishing, 1994), per il quale, per sua stessa ammissione, l’autore ha manipolato gli scatti con Photoshop, per dare ali alla sua natura artistica (proprio a partire da questa monografia, e richiamando un articolo dell’autorevole periodico statunitense The Atlantic Monthly, l’argomento è stato affrontato e approfondito in FOTOgraphia, del maggio 1999: La fotografia nell’epoca della sua falsificazione tecnica).

La fotografia naturalistica dell’anno al BBC Wildlife Photographer of the Year 2009. Se ne parla nel testo, si scrive solo di questo, esaminando i dubbi che ha sollevato riguardo la sua autenticità. E alla fine si registra la sua squalifica ufficiale. Fotografia di José Luis Rodríguez (Spagna); Hasselblad 503CW con Planar T* 80mm f/2,8; pellicola Fujichrome Velvia da 50 Iso; cellula fotoelettrica Ficap a infrarossi.

L’ARGOMENTO, ORA Questo lungo preambolo, spero non noioso, mi è stato necessario per introdurre il tema centrale del più recente concorso BBC Wildlife Photographer of the Year (WPoY, nel seguito), organizzato da BBC e Natural History Museum, di Londra, con il supporto, nell’edizione 2009, di Veolia, un’azienda che si occupa di interventi sul territorio, per la protezione dell’ambiente (la precedente edizione 2008 è stata presentata in FOTOgraphia, del febbraio 2009). La cifra di questo concorso è l’immagine che la giuria ha eletto fotografia naturalistica dell’anno. Le fotografie premiate e segnalate dalla giuria del BBC Wildlife Photographer of the Year 2009 sono esposte al Forte di Bard, all’imbocco della Valle d’Aosta, fino al venticinque marzo (Associazione Forte di Bard; 0125-833811; www.fortedibard.it; info@fortedibard.it).

Alla resa dei conti, si registra una coincidenza di visione. La fotografia vincitrice all’edizione 2009 del prestigioso BBC Wildlife Photographer of the Year ha sollevato dubbi e sollecitato considerazioni: la nostra, tra le tante (anche in registrazione di quelle altrui). Realizzata dallo spagnolo José Luis Rodriguez, l’immagine di un lupo iberico che salta un cancello non ha convinto gli esperti del comportamento animale. E ne scriviamo. In ogni caso, a nostro giudizio avrebbe comunque dovuto essere premiata un’altra fotografia, di Stefano Unterthiner. La sagoma minacciosa di un’orca che incrocia in un mare punteggiato da teste di pinguini reali, che emergono dall’acqua come sentinelle in allarme per la presenza del predatore, è una straordinaria raffigurazione di un mondo primordiale, nella quale si può ammirare, attoniti, una scena che si ripete immutata da milioni di anni 41


Immagini ricevute 43.135 (più 33% rispetto al 2008); da 94 nazioni. Categorie Wildlife Photographer of the Year; Creative Visions of Nature (dedicata a immagini che rivelino un nuovo modo di guardare il mondo naturale); Comportamento (mammiferi, uccelli, tutte le altre specie animali); Natura in Bianconero; Wildlife in città e in giardino; Il mondo degli alberi; Ritratti degli animali; Luoghi selvaggi; Animali nel proprio ambiente; Il mondo sottomarino; One Earth Award (Una sola Terra, immagini che sottolineino la dipendenza dell’uomo dalla natura); Gerald Durrel Award for Endangered Wildlife (fotografia di specie in pericolo); Young Wildlife Photographer (quattro categorie: fotografo dell’anno, età da quindici a diciassette anni, da undici a quattordici, fino a dieci anni). Giuria Jim Brandenburg (fotografo e film maker, Usa); Mark Carwardine (scrittore e fotografo, Inghilterra); Jack Dykinga (fotografo, Usa); Laurent Geslin (fotografo, Francia); Chris Gomersall (fotografo, Inghilterra); Orsolya Haarberg (fotografo, Norvegia); Josef Hackhofer (fotografo, Italia); Tim Harris (direttore di Nature and Gardens Collections, Inghilterra); Tony Heald (fotografo, Inghilterra); Rosamund Kidman Cox (giornalista, Inghilterra); Jan-Peter Lahall (fotografo, Svezia); Tor McIntosh (picture editor, Inghilterra); Vincent Munier (fotografo, Francia); Brian Skerry (fotografo subacqueo e scrittore, Usa); Sophie Stafford (direttore del mensile BBC Wildlife, Inghilterra).

Wildlife Photographers of the Year - Portfolio n.19; 101 fotografie; 160 pagine 25x25cm, cartonato con sovraccoperta; 49,00 euro. In vendita online dalla libreria specializzata HF Distribuzione (www.hfnet.it; Casella Postale 56, 13100 Vercelli).

42

Si tratta di uno scatto di un lupo iberico (Canis lupus signatus), sottospecie del lupo grigio, che risiede nel nord del Portogallo e nel nordovest della Spagna, realizzato da José Luis Rodriguez, un fotografo spagnolo che conosco, avendo qualche volta pubblicato suoi lavori su Airone, quando ne ero il photo editor (www.jlrodriguezfoto.com). Sulla autenticità di questa fotografia [a pagina 40] sono state spese tante parole, ed io sto per occuparmi proprio di questo, approdando, alla fine di tutto, alla sentenza ufficiale. Non prima, però, di ricordare che, nonostante l’inciampo della giuria dell’edizione 2009 (rivelazione anticipatoria), il WPoY rimane il concorso di fotografia naturalistica più importante del mondo, anche se esistono altri consistenti concorsi riservati ai fotografi della natura: come il tedesco Gesellschaft Deutscher Tierfotografen (GDT; www.gdtfoto.de), il più prestigioso, l’altro tedesco Glanzlichter (www.glanzlichter.com), i due statunitensi Audubon Magazine Award (www.audubonmagazine.org) e Wildlife Photo Contest (www.wildlifephotocontest.com), e, infine, l’italiano International Nature Photography Competition (www.asferico.com). Tornando al WPoY 2009, le più di quarantamila im-

© STEFANO UNTERTHINER (CORTESIA DELL’AUTORE)

WPOY 2009 IN CIFRE

magini arrivate sono state esaminate da una pre-giuria, che ne ha scartate un cinquanta-sessanta percento. Le fotografie restanti sono state ancora ridotte a circa centocinquanta per categoria dalla cosiddetta giuria delle semifinali. Infine, la giuria vera e propria ha discusso le immagini finaliste e ha assegnato i premi.

SCARTO A LATO Prima di entrare nel merito dei seri dubbi che tra gli esperti ha sollevato la fotografia vincitrice [ribadiamo, a pagina 40], voglio esprimere il mio giudizio personale su quella che per me sarebbe dovuta essere la migliore fotografia dell’anno. Si tratta di una fotografia di Stefano Unterthiner, che abbiamo già segnalato lo scorso dicembre, in relazione al servizio di sedici pagine pubblicato sul National Geographic americano, quello più prestigioso. Per realizzare il suo reportage naturalistico, Stefano Unterthiner ha impegnato quattro mesi di lavoro, più un mese di viaggio, tra andata e ritorno, per raggiungere, in nave, il luogo delle riprese. Questa fotografia, con la sagoma minacciosa di un’orca (Orcinus orca / Horcynus orca) che incro(continua a pagina 46)


ARCHIVIO FOTOGRAPHIA

A mio parere, questa è l’immagine più bella, intensa, evocativa, naturalistica, tra tutte quelle in competizione nel BBC Wildlife Photographer of the Year 2009. La giuria l’ha giudicata degna soltanto di una segnalazione (highly commended), nella categoria Animali nel proprio ambiente. Fotografia di Stefano Unterthiner (Italia); Nikon D2X con zoom AF-S Nikkor 70-200mm f/2,8 VR.

© FERGUS GILL / VEOLIA ENVIRONNEMENT WILDLIFE PHOTOGRAPHER

OF THE

YEAR 2009

National Geographic, febbraio 1982: copertina ottenuta da una inquadratura originariamente orizzontale di Gordon W. Gahan, resa verticale avvicinando due delle tre piramidi di Giza (Cairo, Egitto).

Nell’ambito della fotografia naturalistica, a volte sfugge allo sguardo tutto il lavoro di preparazione che comporta. Realizzato a febbraio, questo scatto è stato progettato mesi prima. Il suo giovane autore, diciassette anni, nominato Young Wildlife Photographer of the Year 2009, si è procurato grandi fascine di avena, da utilizzare come cibo per attrarre gli uccelli durante l’inverno. In questo modo, è riuscito a realizzare questo battibecco (è il caso di dirlo) tra due maschi di zigolo giallo ( Emberiza citrinella), che si scontrano per conquistare la precedenza nell’accesso al cibo. Fotografia di Fergus Gill (Inghilterra); Nikon D300 con zoom AF-S Nikkor 200-400mm f/4 VR.

43


U N ALTRO CASO LUPO? di Angelo Gandolfi PREMESSA Tra coloro che si occupano di riviste naturalistiche, è noto che la presenza di un lupo in copertina ha un’influenza positiva sulle vendite. Sarà per questo che due eventi mi paiono collegati? Alla fine di ottobre, la giuria del BBC Wildlife Photographer of the Year ha annunciato il vincitore del concorso: José Luis Rodríguez, con una straordinaria fotografia di lupo, probabilmente “falsa”, come registrato nel corpo centrale dell’attuale intervento redazionale. Sul numero di gennaio di BBC Wildlife Magazine (la cui preparazione, per tempi editoriali, avviene due mesi prima, cioè è avvenuta lo scorso novembre, subito dopo la conclusione del concorso) viene pubblicata una storia di copertina dedicata ai lupi di Russia [qui sotto]. Di nuovo lupi e di nuovo sospetti, come argomenta autorevolmente il fotografo naturalista Angelo Gandolfi, in una lettera inviata a Sophie Stafford, direttore della rivista, della quale ci ha messo cortesemente a parte. Ma cosa sta succedendo? Vuoi vedere che torneremo ai tempi di Aldo Margiocco, che, negli anni Sessanta, tra molte fotografie “vere”, vendeva scatti di animali imbalsamati, recuperati in prestito dai Musei di Storia Naturale, di Genova e Milano, e ambientati in natura? Aldo Margiocco fu addirittura protagonista di un caso clamoroso: sull’Appennino Ligure, davanti a una ginestra fiorita giallo sgargiante, fotografò un tilacino imbalsamato, per spacciarlo come vero. Si noti che il tilacino, o tigre della Tasmania, è un carnivoro marsupiale, che viveva in Australia e Tasmania, e fu oggetto di caccia forsennata da parte dei coloni. Questa specie venne dichiarata estinta dalla comunità scientifica internazionale nel 1986, dopo che non erano stati segnalati L.P. avvistamenti per cinquanta anni.

44


M

i sono subito insospettito, quando mi è arrivato a casa il numero di gennaio di BBC Wildlife. In copertina, c’è un lupo fotografato a distanza ravvicinata e uno strillo che promette un servizio di quattordici pagine, con «le più belle immagini mai viste di lupo selvaggio russo», riprese dal noto fotografo naturalista Sergey Gorshkov. Le ragioni dei miei immediati sospetti sono presto rivelate, in otto punti. Uno. Quasi tutte le fotografie sembrano scattate da un capanno sistemato dentro un bosco, o in una radura, comunque rivolto al bosco. Ciò è poco credibile. Nessuno fa questa scelta: il capanno si mette sempre al limitare del bosco e rivolto verso la radura. Due. Tutti gli scatti sembrano eseguiti dalla medesima distanza, di quattro-otto metri. A questa distanza, un lupo coglie la presenza di un uomo, anche se sta dormendo nel capanno! Quindi, per avvicinarsi, deve essere molto, molto confidente. Le differenti dimensioni dei lupi nelle immagini sono sicuramente dovute all’uso di uno zoom, probabilmente un’escursione da 50 a 300mm, o giù di lì. Lo si arguisce dalle diverse profondità di campo delle fotografie. Tutto sembra suggerire che i lupi non siano liberi di muoversi dove vogliono, e che non possano allontanarsi troppo dalla zona davanti al capanno. Inoltre, la neve sul terreno sembra calpestata in modo non naturale per un luogo selvaggio. Tre. In Russia, i lupi sono molto dispersi sul territorio e cacciati illegalmente, con trappole e bocconi avvelenati. Sergey Gorshkov come può aver realizzato scatti di questo genere, che non si riescono a fare neppure in Italia, dove la concentrazione dei lupi e dieci volte più alta che in Russia, e i lupi sono protetti dal 1976, quindi non hanno molta paura dell’uomo? Quattro. Proseguendo nelle mie indagini, ho scoperto che alcune immagini del lavoro di Sergey Gorshkov sono state pubblicate sul sito web di Wild Wonders of Europe (www.wild-wonders.com). Qui ho trovato uno scatto della caccia a un cinghiale da parte dei lupi, che sembra realizzata in un luogo diverso e in condizioni climatiche differenti da quelle nelle quali è stata invece ripresa la fotografia di “caccia al cinghiale”, pubblicata su BBC Wildlife. Come è possibile ciò, se l’incontro lupi-cinghiale è stato casuale? Comunque, non credo che le due fotografie possano essere state scattate dallo stesso capanno, dal quale il raggio visuale è sempre limitato. Allora, per riprendere una delle due immagini, il fotografo dovrebbe essere uscito dal capanno per scattare. Ma chi ci crede? Oppure è vero che il fotografo non sta mai scattando da un capanno! Cinque. Sul blog di Wild Wonders ho letto questo messaggio, diretto a Sergey Gorshkov, lasciato da tale Tatiana, il ventotto novembre. «Salve. Interessanti le sue fotografie. Sono stata nello stesso luogo (la foresta nei pressi della città di Toropets, nella regione di Tverskoj), con alcuni amici, ma non sono riuscita a incontrarla. Abbiamo scattato anche noi delle fotografie dallo stesso punto di osservazione all’aperto. Se lei è interessato a vederle vada a http://rusbiophoto.com/rus/sys/track/201030201010202.htm [a destra]. Gli stessi lupi li può vedere anche a http://nightfelis.livejournal.com/64817.html#cutid, oppure a http://nightfelis.livejournal.com/77251.html». Sei. A questo punto, ho segnalato tutto a Florian Möllers, direttore della comunicazione di Wild Wonders of Europe, e ho contattato Luigi Boitani, uno degli esperti mondiali di lupo, al quale ho chiesto se conoscesse un luogo in Russia dove, a causa dell’assiduo lavoro di ricerca di alcuni etologi e biologi, i lupi fossero diventati confidenti nei confronti dell’uomo. Gli ho anche chiesto se aveva mai sentito nominare un recinto nei pressi di Toropets, dove si possono facilmente scattare fotografie di lupo. Ecco la risposta di Boitani: «Sembra ovvio che i lupi di Sergey Gorshkov siano animali che vivono in cattività. Guarda il lupo che fronteggia il cinghiale: palesa un atteggiamento di gioco e non di aggressività. Guarda anche le orecchie del lupo alla destra del cinghiale: un orecchio è piegato all’indietro, il che significa che non è molto interessato alla preda che sta di fronte a lui. «Poi, non mi convince la neve, che risulta troppo calpestata

(come succede sempre nei recinti). Concordo con le tue osservazioni riguardo gli obiettivi usati. «Infine, conosco un unico luogo al mondo dove il lupo è così confidente nei confronti dell’uomo, da lasciarsi avvicinare facilmente: è l’isola di Ellesmere (in Canada, sopra il Circolo Polare Artico), e non ho mai sentito di lupi russi facilmente avvicinabili, né di gruppi di ricerca al lavoro nei pressi di Toropets». Sette. Ora, rimane da capire come sia stato possibile fotografare, così da vicino, cuccioli di lupo di sole due-tre settimane. Sergey Gorshkov afferma di essere stato portato nel luogo della tana da un cacciatore. Speriamo di no. Infatti, su un documento del famoso biologo Vladimir Bologov, pubblicato sul sito di Wolves and Humans Foundation (www.wolvesandhumans.org) si legge: «In molte regioni della Russia, l’Environment Protection Committees paga una ricompensa di circa cinquanta dollari per ogni lupo ucciso [...]. La cifra pagata non cambia se invece di un adulto è un cucciolo a essere stato ucciso. Perciò, a primavera, i cacciatori stanano i cuccioli e li uccidono». Dunque, c’è solo da sperare che i cuccioli delle fotografie siano nati nel recinto di Toropets, e non siano cuccioli selvatici, uccisi poi dalla guida di Sergey Gorshkov. Otto. Infine, affinché questa mia non appaia la lettera di un fotografo invidioso, vorrei aggiungere che le immagini di Sergey Gorshkov sono molto belle, anche se realizzate in recinto. Io stesso fotografo spesso lupi in recinto, perché questi animali non perdono le proprie abitudini naturali se il luogo dove stanno confinati è sufficientemente grande. Del resto, anche biologi ed etologi studiano spesso lupi in queste condizioni, per saperne di più sui loro comportamenti. La comunità dei fotografi naturalisti accetta questo genere di fotografie, e quindi è lecito fotografare specie molto elusive in una quasi cattività. Dai recinti del Bayerische Wald National Park, in Germania, sono arrivate splendide fotografie di lupi e di linci che non sarebbe stato possibile scattare altrimenti. Le fotografie di lince del finlandese Hannu Hautala, che ha un esemplare di questa specie che gli si avvicina ed entra in casa come un gattino, sono perfettamente lecite. L’unico obbligo è che devono essere dichiarate le condizioni nelle quali una fotografia di un animale è stata scattata. Nel mio sito, www.wolfside.eu, io segnalo sempre ciò che è realizzato in condizioni controllate, per distinguerlo da ciò che è veramente selvaggio. Concludo affermando che mi sembrerebbe, dunque, molto scorretto presentare come “fotografie di lupo mai viste”, immagini scattate in un recinto, cioè in condizioni controllate. ❖

45


© JONATHAN CLAY / VEOLIA ENVIRONNEMENT WILDLIFE PHOTOGRAPHER OF THE YEAR 2009

Nessun premio, ma solo una segnalazione nella categoria One Earth, per questa immagine, che riprende un tradizionale tipo di pesca al tonno pinne gialle ( Thunnus albacore), al largo delle isole Salomone (Sud Pacifico): una pesca rispettosa dell’ambiente, praticata utilizzando lunghi pali muniti di lenza e amo e non le disastrose reti, che catturano non solo la specie che si sta cacciando, ma altre specie, come squali in pericolo di estinzione e tartarughe protette. Fotografia di Jonathan Clay (Inghilterra); Canon Eos 30D con zoom Canon EF-S 10-22mm f/3,5-4,5 USM. Straordinaria fotografia risultata vincitrice nella categoria Natura in Bianconero. Con la sapiente tecnica di un tempo di otturazione lungo, ritrae gli incredibili voli coordinati di migliaia di storni, che avvengono generalmente al tramonto. Fotografia di Danny Green (Inghilterra); Canon Eos-1Ds Mark II con zoom Canon 70-200mm f/2,8 L IS USM.

46

(continua da pagina 42) cia in un mare punteggiato da teste di pinguini reali (Aptenodytes patagonicus), che emergono dall’acqua come sentinelle in allarme per la presenza del predatore, è una delle più straordinarie che ho visto nella mia venticinquennale carriera di photo editor. È la raffigurazione di un mondo primordiale, nella quale si può ammirare, attoniti, una scena che si ripete immutata da milioni di anni [a pagina 42].

IL LUPO, PER L’APPUNTO Ma torniamo al lupo, fotografato da José Luis Rodriguez. Quando ho visto questa fotografia ne sono rimasto immediatamente stregato. Incredibile!, mi sono detto; e, come sempre accade tra fotografi naturalisti, ho cercato subito di capire come era stata realizzata: ovviamente, questi non sono scatti al volo, che capitano a un fotografo vagante nei boschi! Ho concluso che la tecnica doveva essere la stessa di quella adottata nella fotografia che ha vinto l’edizione 2008 dello stesso WPoY (FOTOgraphia, febbraio 2009), che mostra una rarissima immagine di leopardo delle nevi (Panthera uncia). Si osserva per mesi l’animale, individuando i suoi percorsi abituali (molti animali sono fortemente abitudinari). Lungo i suoi sentieri vengono piazzate cellule fotoelettriche, che, quando il soggetto passa, fanno scattare una macchina fotografica (e i relativi flash collegati). Questa tecnica è ampiamente nota e praticata. Dunque, niente di nuovo. L’unico aspetto insolito è il salto del lupo. Mi sono dunque chiesto: ma se è un sentiero abituale, è possibile che il lupo passi di lì tutti i giorni e tutti i giorni faccia quel salto? José Luis Rodriguez ha spiegato che il lupo è stato motivato giornalmente con una ghiotta esca di carne, posta al di là del cancelletto di legno. Sulla scena, ha collocato una Hasselblad 503CW con Planar T* 80mm f/2,8 e magazzino portapellicola da dodici pose 6x6cm; pellicola Fujichrome Velvia da 50 Iso e fotocellule Ficap a luce infrarossa. In questa scelta tecnica sta il primo mistero. Una

Hasselblad senza motore? E se il lupo passa due volte, chi ricarica l’otturatore e avanza la pellicola? Mah! Quando fotografavo di notte i nidi dei gufi, usavo l’Hasselblad 500ELX motorizzata, con dorso da ventiquattro pose (rullo 220): mica si poteva uscire dal capanno a ricaricare l’otturatore dopo ogni scatto, rivelando ai gufi la mia presenza lì, nei pressi del nido! Il secondo mistero è il salto. Come conferma Oliviero Dolci, il mio carissimo compagno di capanno nelle fotografie dei gufi (e non solo in quelle), naturalista assai competente, cavallerizzo di concorsi ippici, quel genere di salto, frontale rispetto all’ostacolo, è uno dei meno graditi dal cavallo (e quindi, pensiamo, anche dal lupo). Perché non raggiungere l’esca lungo un percorso meno impegnativo, salendo su uno dei muretti laterali e poi saltando dal muretto sul boccone offertogli? Certo, se il lupo fosse inseguito da una muta di cani, potrebbe agilmente fare quel salto, ma farlo così, a gratis, tutti i giorni (?). Quindi, accettare che lungo un percorso abituale ci sia un cancello chiuso che il lupo deve saltare ogni volta che passa è veramente molto, molto improbabile. Ho anche parlato con uno dei maggiori esperti mondiali di lupi, Luigi Boitani, docente presso il Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo dell’Università La Sapienza, di Roma, che mi ha precisato: «Ho visto la fotografia del lupo che salta. In principio, mi ero tenuto per me le ovvie perplessità, ma poi un’amica fotografa, che partecipa a blog e circoli vari, mi ha chiesto un parere, che le ho messo per scritto. È ovvio che si tratti di un animale addestrato a compiere quel salto mille volte: che poi sia un animale in cattività, oppure un selvatico, abituato a fare quel salto da un training molto lungo, indotto con esche e la familiarità con il luogo, poco importa; cambia solo il tempo necessario a ottenere lo stesso risultato. La fotografia è falsa, se ci si riferisce a uno scatto estemporaneo di un lupo non abituato all’uomo; ma è anche vera, se ci si riferisce a un lupo libero nell’ambiente, abituato dall’uomo a comportar-


© DANNY GREEN / VEOLIA ENVIRONNEMENT WILDLIFE PHOTOGRAPHER OF THE YEAR 2009

si così. In ogni caso, mi fa pena il fotografo: un grande lavoro per un risultato cretino, perché innaturale. Nessun lupo salterebbe un recinto con tanta sicurezza, se non fosse al cento percento certo di quello che trova dall’altra parte, e questa certezza può derivare solo dal ripetere mille volte lo stesso salto». Dunque, secondo Luigi Boitani, non possiamo escludere al cento percento che la fotografia sia in qualche modo e misura vera, nel senso che sia la fotografia di un lupo selvatico in un ambiente naturale. A questo proposito, un altro amico ed esperto di lupi, Angelo Gandolfi, mi ha segnalato il sito Internet della rivista finlandese Luonto (www.suomenluonto.fi/bbcsnature-photo-competition-judge-admits-winner-photo-investigated-due-to-fraud-allegations), sul quale il giornalista Juha Kauppinen ha scritto di aver riconosciuto nel lupo un famoso attore (animale ovviamente) del cinema, il lupo Ossian, e nel luogo il Granada Real Open Center, un parco zoologico nei pressi di Madrid, dove vivono in cattività, per la gioia dei visitatori, tutte le specie di animali della penisola iberica. La notizia riportata dal sito è stata ripresa dal quotidiano La Stampa, di Torino, che l’ha pubblicata lo scorso ventotto dicembre, sposando la tesi colpevolista.

CONCLUSIONE Lo scorso venti gennaio, una commissione si è riunita a Londra per sentenziare definitivamente su questo problema. Louise Emerson, dell’ufficio organizzativo del concorso, ci ha comunicato la decisione presa: «Ci amareggia comunicare che, dopo attento riesame della fotografia del lupo, i proprietari del marchio WPoY, cioè il Natural History Museum di Londra e la rivista BBC Wildlife, hanno squalificato l’immagine vincitrice del fotografo spagnolo José Luis Rodríguez. «Invitata a riconsiderare la propria decisione, la giuria ha concluso che è molto probabile che il lupo fotografato sia uno di quegli animali modello che vengono addestrati, e che è possibile affittare per scopi fotografici. Quindi, la fotografia del lupo infrange l’articolo Dieci del regolamento della competizione, disponi-

ANCORA CAPANNI,

QUESTA VOLTA AUTENTICI

Siamo in Finlandia. Stefano Unterthiner, uno dei migliori fotografi naturalisti italiani, al quale mi riferisco anche nel testo e nella didascalia alla sua fotografia, che ritengo la migliore del BBC Wildlife Photographer of the Year 2009 [a pagina 42], ha trascorso ottanta notti in un capanno due metri per uno, per fotografare l’orso bruno (Ursus arctos). Senza questo capanno, e altri nascondigli minori che ha utilizzato nella taiga finlandese, Stefano Unterthiner non avrebbe mai potuto realizzare un libro straordinario come quello di cui sto parlando. Le pareti del capanno erano rinforzate con uno strato doppio, più che per motivi di sicurezza, per proteggere dal freddo. La piccola costruzione era dotata di un aspiratore sul soffitto, che sfociava in un alto camino, per disperdere nell’aria l’odore dell’uomo e non allarmare gli orsi. Si entra nel capanno verso le quattro, le cinque del pomeriggio e si esce la mattina successiva, alle sette. In primavera e in autunno, le condizioni di luce concedono quattro-cinque ore di riposo, ma durante l’estate la veglia è quasi ininterrotta. Per attirare l’orso, Stefano Unterthiner ha messo un po’ di cibo nelle vicinanze del capanno, in modo da riuscire a scattare qualche close-up, come quello che pubblichiamo qui sopra. Per ogni copia del libro venduta viene devoluto un euro al Fondo Internazionale per la Protezione degli Animali (Ifaw; www.ifaw.org). Questo fondo ha aperto in Russia un centro di riabilitazione per cuccioli di orso rimasti orfani della madre, uccisa dai cacciatori o dai bracconieri. In dodici anni di attività, il centro ha reintrodotto con successo in natura oltre centotrenta cuccioli.

bile a tutti i partecipanti e tradotto in diverse lingue. «La giuria ha tenuto in conto sia le molte osservazioni pervenute, sia il parere di coloro che, all’interno della giuria, hanno una particolare esperienza nella fotografia di lupi. «La giuria ha anche interpellato il fotografo, per verificare la sua versione dei fatti, e José Luis Rodriguez nega recisamente che il lupo ritratto sia un modello. «Il WPoY è il più prestigioso concorso mondiale di fotografia naturalistica. Ogni trasgressione al regolamento è considerata una colpa molto seria, e chi è sospettato di tale trasgressione è squalificato. L’immagine di José Luis Rodríguez verrà ovviamente eliminata anche dalla mostra itinerante, allestita con le fotografie premiate e segnalate del concorso». Questa è la conclusione della vicenda, che abbiamo volontariamente lasciato alla fine, per non interferire con le nostre considerazioni, tutte compilate prima della data fatidica del venti gennaio. Non modifichiamo il nostro testo, e soltanto registriamo questa definitiva coincidenza di visione. Confortate da testimonianze accreditate, le nostre riflessioni, restano immutate. ❖

Le Notti dell’orso. Diario di un fotografo naturalista dalla taiga finlandese, di Stefano e Stéphanie Unterthiner; Edizioni Ylaios, 2009 (Frazione Ronc Superiore 19, 11027 Saint Vincent AO; www.ylaios.com), 128 pagine 31x25cm, cartonato con sovraccoperta; 35,00 euro.

Un orso bruno ( Ursus arctos) fotografato da vicino da Stefano Unterthiner, da un capanno allestito in Finlandia.

47


Ogni ultimo lunedì del mese, i soci del Gruppo Polaser si incontrano in riunione. Lunedì 28 marzo 2005: in sala, tra i soci, c’è un volto nuovo; dall’espressione, è percepibile l’interesse per ogni argomento che si richiami a “fotografia & derivati”. Poco prima della mezzanotte, termina la riunione; la sala si svuota, e il nuovo socio resta inchiodato alla sedia; gli chiedo se ha qualche problema, e molto timidamente, da una cartella, estrae un pacchetto di fotografie polaroid, quasi avesse timore a mostrarle. Comincio a sfogliarle, e resto positivamente impressionato da tanta delicatezza e poesia; mi spiega che è un progetto realizzato interamente entro le pareti di casa sua, che rappresenta la famiglia; l’ha denominato Contrappunto domestico, coniugando in questo modo i suoi tre amori: la famiglia, la musica, la fotografia. Il contrappunto è un termine latino: punctus contra punctum, ovvero nota contro nota, e si riferisce alla pratica di contrapporre a una melodia, che fa da base a una composizione polifonica, una nuova melodia. Esempio ma-

Dalle fotografie che mi presenta emergono tre componenti: la moglie, che qui possiamo definire il soggetto, i figli, il controsoggetto, e lo spazio dell’abitazione, la parte libera. E poi lui, l’autore, il compositore, che trasmette agli spettatori le proprie emozioni. Dal materiale che mi mostra, si capisce subito la sua grande sensibilità, ma anche l’esperienza; infatti, dice di aver iniziato nei primi anni Ottanta, di aver letto molti libri di fotografia e visitato e assimilato tante mostre fotografiche e d’arte. Massimiliano Vassura è figlio d’arte. La madre è pittrice, e lui, fin da bambino, ha succhiato dal seno materno anche l’amore per l’arte, che ora trasferisce sul supporto fotografico. Da molti anni, si dedica allo studio del pianoforte, prediligendo il repertorio classico, e dimostrando ancora una volta che l’osmosi di tante arti, quelle a lui particolarmente care (pittura, poesia, fotografia, musica), accresce la persona. Il progetto visionato in quella prima occasione verrà composto e montato in trittici, e presentato a diverse manifestazioni fotografiche di lettura portfolio,

gistrale dell’uso del contrappunto in epoca barocca può essere considerata anche tutta l’opera di Johann Sebastian Bach (non a caso, l’autore preferito da Massimiliano Vassura, del quale sto raccontando). Provo ad accostare quelle immagini in trittici, e la lettura risulta molto più snella e lineare. Massimiliano Vassura, il nuovo socio, l’autore, afferma di essersi avvicinato alla fotografia polaroid grazie all’amicizia con Marco Ancarani, che faceva già parte del Polaser da cinque anni; nella fotografia a sviluppo immediato, trova il mezzo ideale per realizzare i propri progetti. Gli chiedo se ci sono analogie con la musica di Bach, che ama; risponde che “la fuga” di Bach è strutturata in tre parti: il soggetto, il controsoggetto e la parte libera.

riscuotendo consensi di critica e pubblico e ottenendo molti riconoscimenti. La forza di Massimiliano Vassura sta nella sua grande umiltà; ogni volta che mostra un progetto, se il giudizio è positivo, si sente quasi a disagio, ascoltando gli elogi («L’umiltà e la semplicità sono le due vere sorgenti della bellezza», Johann Winckelmann). Come Sansone traeva forza dai propri capelli, Massimiliano Vassura si carica di energia grazie al grande amore che riceve e dà alla sua famiglia. Lo interrompo, mentre sta seguendo lo studio del pianoforte e del violoncello dei figli Duccio e Cosimo; intanto, Cristina, la moglie, è in cucina, e dal profumo che giunge alle nostre narici, si presume stia preparando una torta al cioccolato. Scusate bambini ma ora devo interrogare il “babbo”. Vedo che l’allievo è diventato professore! «Più che insegnante, mi sento un bidello, che deve raccogliere spartiti e pentagrammi sparsi ovunque». Hai iniziato prima con la musica o con la fotografia? «Con la fotografia, iniziai nel 1983; lo studio della musica è più recente». A quale disciplina dedichi maggior tempo? «Dopo il lavoro, la famiglia, la casa, le due gatte, l’aggiornamento del registro entrate e uscite del Polaser, e naturalmente qualche decina di minuti a tavola e alcune ore di sonno, divido equamente il tempo restante tra le mie passioni». In questi anni, oltre ad aver partecipato a tutti i progetti del Polaser, hai trovato il tempo anche per realizzare affascinanti lavori personali. Come nasce l’ispirazione? «A volte, da un progetto meditato a lungo; mentre in altri casi, tutto nasce in modo più istintivo, ma mai unicamente casuale. Non sono mai stato un fotografo che scatta senza progettualità, per poi scegliere a posteriori. In modo


particolare, prediligo la sperimentazione, senza tralasciare il fattore estetico». Negli ultimi anni, la tua produzione fotografica è quasi esclusivamente in polaroid. Perché questa scelta, visto che in passato hai realizzato anche opere con materiali fotografici tradizionali? «La fotografia polaroid ha peculiarità che altre pellicole/carte non hanno. Anzitutto, è un “unicum”; poi, la delicatezza dei cromatismi, la matericità del supporto, la possibilità di poterla manipolare, ottenendo risultati che avvicinano la fotografia alla pittura, senza interventi di postproduzione. Infine, l’immediatezza del risultato. Aggiungo una citazione di Igor Stravinski, riguardante la musica, che mi piace trasferire sulla fotografia polaroid: Più l’arte è controllata, limitata, lavorata, e più è libera». C’è un genere fotografico che prediligi in modo particolare? «Mi piace il paesaggio, inteso non in modo tradizionale, ma trasfigurato fino a diventare metafora di uno stato d’animo, ovvero un paesaggio interiore, un “inscape”; inoltre, prediligo le indagini riguardanti la quoti-

nio Melloni alla svolta di Akio Morita. Un libro pieno di riflessioni, che ho sottolineato pagina dopo pagina; anzi, credo che alcune di queste possano diventare il punto di partenza per progetti futuri». Infatti, caro Massimiliano, la storia non può insegnarci niente se scegliamo di dimenticarla (citazione da I peccati di Callander Square, di Anne Perry, appunto ripresa da 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita, di Maurizio Rebuzzini, pagina 102, capitolo 1947 (1948). Ed è fotografia, subito, dedicato proprio a polaroid). In cucina si sente lo schiocco di una bottiglia stappata, e poco dopo appare sulla porta Cristina, con una torta Sacher da far invidia a un imperatore asburgico. I nostri discorsi sulla fotografia e sulla musica passano in secondo, o forse anche terzo piano: è più forte di noi... l’arte culinaria prevarica ogni altra passione! Cin, cin... à la santé de polaroid et Polaser! Pino Valgimigli

dianità nell’ambiente domestico, nelle quali cerco di tradurre i miei affetti come icone di amore universale e anche tematiche sulla “memoria”». A chi ti chiede cos’è il Polaser, come definisci il nostro Gruppo? «Una officina di idee, ricerca, sperimentazione, cultura a tutto tondo. Ancora, un gruppo di amici, nel quale si respira aria nuova». Qual è l’ultimo libro che hai letto? «Quello di Maurizio Rebuzzini, 1839-2009. Dalla Relazione di Macedo-

www.polaser.org

«La limitazione dei mezzi determina lo stile, dà vita a nuove forme e dà impulso alla creatività»

DOMENICA PIELI

Georges Braque Questa citazione dal pittore Georges Braque aiuta a comprendere lo slancio e spirito che guida e ispira gli artisti del Gruppo Polaser, eterogenei per interessi artistico-culturali e per provenienza da molte città italiane e anche dall’estero, accomunati dalla ricerca e sperimentazione di nuove possibilità espressive nelle molteplici forme dell’arte, dalla fotografia alla pittura, scultura, design, architettura, ceramica, letteratura, teatro, a altro ancora.


Avvincente mostra, con catalogo, Andare, vedere, sentire, ricordare. Uliano Lucas in Puglia assolve il proprio compito, nello stesso momento nel quale rivela uno dei più qualificanti retrogusti della fotografia: quello di «spiegare l’uomo all’uomo». Uliano Lucas si impegna nel lavoro fotografico con passione, per rivelare storie. Racconta alla gente ciò che vede, e soprattutto mostra loro la sua esperienza

50

TRENT’ANNI IN PUGLIA


di Maurizio Rebuzzini

F

otogiornalista che ha attraversato i decenni, dai Sessanta, Uliano Lucas è uno dei più autorevoli personaggi della fotografia italiana contemporanea. Come pochi, ha saputo abbinare e combinare la riflessione teorica e la ricostruzione storica al mestiere quotidiano. Forse, è più giusto affermare che, partito dal mestiere quotidiano, svolto con puntualità e attenzione sociale fuori dall’ordinario, ne ha saputo cogliere gli elementi determinanti e qualificanti. Fino al punto che occorre ribadire ancora la sua azione storica sul e con il giornalismo italiano; occorre farlo anche ora, in anticipo sulla presentazione di

una raccolta di sue fotografie scattate nel corso di trent’anni, in ripetuti e continui viaggi in Puglia, allestite in una mostra a tema e riunite in un volume-catalogo di accompagnamento. È doveroso ricordare almeno due opere di alto profilo, che non dovrebbero essere ignorate da coloro i quali, noi tra questi, osservano con partecipazione lo svolgimento della fotografia, con inevitabili annessi. Tra le tante riflessioni a tema compilate da Uliano Lucas, due si impongono tra tutte: L’immagine fotografica 1945-2000, ventesimo volume dell’opera enciclopedica Storia d’Italia, di Einaudi (2004), e Il fotogiornalismo in Italia 1945-2005, allestimento itinerante con volume-catalogo di accompagnamento (la nostra presentazione più approfondita, in FOTOgraphia, dell’ottobre 2006).

Cerignola (Foggia); Primo maggio 1981. Laterza (Taranto), 1980.

51


Nardò (Lecce), luglio 1995.

(al centro, dall’alto) Nella basilica di San Nicola, durante la festa del patrono, Bari; maggio 1981. Quartiere Paolo VI, Taranto; 1995 circa.

52

ORA, LA PUGLIA

Per una serie di circostanze, Uliano Lucas si è recato spesso in Puglia, là dove ha identificato situazioni sociali e di costume, che ha registrato nel corso di trent’anni. Da qui, l’attuale retrovisione, proiettata al presente, ma anche al futuro (la memoria non ha Tempo), Andare, vedere, sentire, ricordare. Uliano Lucas in Puglia: alla Sala Murat, di Bari, dal diciassette marzo al successivo tre aprile. Le note ufficiali di presentazione sono chiare ed esaustive. Testuale (in estratto). «Le Puglie: quella industriale del polo siderurgico dell’Italsider e del porto di Taranto e quella agricola del Salento, delle vigne di Manduria e del piccolo artigianato di Grottaglie, quella della ferrovia appulo-lucana, che attraversa lenta le campagne, e quella delle città della Magna Grecia e del barocco leccese. La Puglia dei paesi ormai spopolati dell’entroterra, la terra del rimorso di Ernesto De Martino e la zona costiera trasformata dal turismo di massa, la Puglia del vivace mondo degli artisti e quella degli psichiatri che

hanno raccolto e sviluppato la sfida di Franco Basaglia [...]. La religiosità popolare, i luoghi e le forme di aggregazione nei piccoli centri dalle secolari cattedrali di tufo e dalle case di pietra e i quartieri alveare delle periferie cittadine sorti negli anni Sessanta.. «Tempi, spazi, modi di vita che si intrecciano e avvicendano nell’arco di trent’anni, raccontati da un fotografo che ha visitato lungamente questa regione, individuandovi un osservatorio privilegiato sulla cultura mediterranea, sui problemi del Meridione, ma anche sulle scommesse d’innovazione del Sud Italia.


t’anni segue e registra le trasformazioni del tessuto territoriale e sociale pugliese, e ne offre significative chiavi di lettura. Leggendo e catturando nelle forme del paesaggio e delle architetture i segni della storia pugliese, le sue radici culturali, e nella quotidianità del vivere, nella definizione dei nuovi spazi della socialità e dell’economia, il loro evolvere nel tempo, in una tensione costante tra il rischio della perdita e l’ancoramento profondo alla propria storia e identità». «[...] Uliano Lucas ha girato e soggiornato in Puglia innumerevoli volte, ora inviato da settimanali e quotidiani nazionali per inchieste di politica o di cronaca, ora invitato da enti locali e dal sindacato per lavori di documentazione e di ricerca poi sfociati in libri, ora più semplicemente richiamato dalle tante amicizie costruite negli anni in questa regione. Attraverso una sequenza di ottanta immagini (che diventano centoquaranta nel catalogo), la mostra ripercorre i diversi momenti di questo viaggio, il percorso di analisi e riflessione di un autore colto e attento, che da quasi tren-

Borgo antico, Taranto; giugno 1982.

LA FOTOGRAFIA, SOPRA TUTTO Da cui, la consecuzione è addirittura obbligatoria. Ci si domanda cosa rappresenti la fotografia in un percorso allungato nel tempo e concentrato nello spazio. Cosa rappresenti questa raccolta di Uliano Lucas. Una volta ancora e una di più, tornano alla mente due affermazioni che appartengono a pieno diritto alla storia del pensiero fotografico e sulla fotografia, che peraltro hanno considerevolmente arricchito. W. Eugene Smith, celebrato fotogiornalista, che la Storia considera anche per una riconosciuta infles-

53


Piazza Duomo, Lecce; giugno 1994. Acciaierie Italsider, Taranto; 1980.

(al centro) L'artigiano Vincenzo Loglisci e il suo "cola-cola", Gravina (Bari); ottobre 2002.

54

sibilità professionale, esortava a «usare la verità come unico pregiudizio»: intendendo le convinzioni individuali che condizionano comunque i gesti e le interpretazioni personali, da finalizzare a una onestà intellettuale: etica e morale in comunione di intenti. Dopo di che, siamo con Edward Steichen, che registrò che «la missione della fotografia è quella di spiegare l’uomo all’uomo e ogni uomo a se stesso». Su queste lunghezze d’onda combinate, sintonizziamo l’essenza della retrovisione di Andare, vedere, sentire, ricordare. Uliano Lucas in Puglia, così come, in assoluto, accordiamo i princìpi del nostro stare con la fotografia. La linea conduttrice che qualifica e definisce la successione della rigorosa (e colta) fotografia di Uliano Lucas è esemplare. La sua personalità illumina il fotogiornalismo contemporaneo. La sua capacità di Vedere arricchisce. L’insieme dei reportage proposti in questa occasione, riuniti dal comune denominatore della Puglia, rivela uno dei caratteri propri e caratteristici del (foto)giornalismo, che segue avveni-

menti annunciati, presta attenzione a vicende che stanno per manifestarsi, è presente là dove la vita diventa tragedia e, ancora, è capace di osservare oltre la superficie apparente, per approfondire temi latenti, ai quali dà visibilità. Su incarico o per indirizzo personale, Uliano Lucas è sempre attento testimone dell’esistenza, sapendo rivelare sia l’evidenza sia la sostanza caratteristica del vivere quotidiano. In un tempo fotografico nel quale certo reportage è slittato in altre direzioni, bussando addirittura alla porta dell’arte (in quanto forma estranea a qual-


sivoglia contenuto), Uliano Lucas è immancabilmente un fotogiornalista presente a se stesso e al proprio compito. Non separa stile e contenuto, dando visibilità e significato a entrambi, con confortevole allineamento tra espressività e comunicazione visiva. Scatta con eccezionale spontaneità. Non razionalizza il suo gesto, non asseconda mode visive che si alternano sul palcoscenico della fotografia. Semplicemente è se stesso. Uliano Lucas risponde a un inviolabile modo di raccontare le storie, che appartiene sia alla storia della fo-

tografia sia a quella della vita. Arriviamo a pensare che il suo credo sia quello di seguire l’istinto, ascoltare se stesso (in ripetizione volontaria e consapevole). Gli interessano vicende che conosce e storie che non conosce (e che presto scopre), e si impegna nel lavoro fotografico con passione per raccontarle. Certamente, non intende cambiare il mondo; sa che non è possibile farlo con la sola fotografia. Più concretamente ed efficacemente, racconta alla gente ciò che vede, e soprattutto mostra loro la sua esperienza. Ecco qui cosa rappresenta la fotografia in un percorso allungato nel tempo e concentrato nello spazio (ma non nelle opportunità sociali e di vita). Ovvero, cosa rappresenta questa raccolta di Uliano Lucas. ❖

Mercato del pesce sulla banchina del molo, Taranto; 1995 circa. Cerignola (Foggia); Primo maggio 1981.

Andare, vedere, sentire, ricordare. Uliano Lucas in Puglia. Sala Murat, piazza del Ferrarese, 70122 Bari (080-5289624; www.ulianolucas.it; maruzza.capaldi@alice.it). Dal 17 marzo al 3 aprile; 10,00-13,00 - 17,00-21,00. Catalogo pubblicato da Edizioni Recherche (Bari), con testi di Arturo Cucciolla, Lucia Miodini, Nicola Signorile; 156 pagine 24x23cm; fuori commercio, richiedibile all’editore o all’Assessorato al Mediterraneo della Regione Puglia.

55


Alla Photokina e ritorno Annotazioni dalla Photokina 2008 (World of Imaging), con richiami e riferimenti che non si esauriscono con il solo svolgimento della Photokina

Riflessioni, Osservazioni e Commenti sulla Fotografia: spunti utili e proficui sia al comparto tecnico-commerciale sia al mondo della fotografia espressiva e creativa

Alla Photokina e ritorno dodici pagine, ventinove illustrazioni

Reflex con contorno ventotto pagine, settantuno illustrazioni

Visioni contemporanee venti pagine, quarantotto illustrazioni

I sensi della memoria dieci pagine, ventisette illustrazioni

La città coinvolta dieci pagine, ventisei illustrazioni

E venne il giorno (?) sei pagine, quindici illustrazioni

E tutto attorno, Colonia sei pagine, diciassette illustrazioni

Ricordando Herbert Keppler due pagine, due illustrazioni

Ciò che dice l’anima sei pagine, undici illustrazioni

Sopra tutto, il dovere quattro pagine, otto illustrazioni

• centosessanta pagine • tredici capitoli in consecuzione più uno • trecentoquarantatré illustrazioni

In forma compatta dieci pagine, venticinque illustrazioni

Tanti auguri a voi venti pagine, cinquantadue illustrazioni

Alla Photokina e ritorno di Maurizio Rebuzzini 160 pagine 15x21cm 18,00 euro

F O T O G R A P H I A L I B R I Graphia srl • via Zuretti 2a - 20125 Milano 02-66713604 • graphia@tin.it

Saluti da Colonia sei pagine, nove illustrazioni

Citarsi addosso sette pagine


Fotografo (?) di Angelo Galantini

ANCORA CARAVAGGIO

C

Come rilevato lo scorso mese, a margine della presentazione della consistente monografia Caravaggio. L’opera completa, a cura di Sebastian Schütze, pubblicata dal prodigioso editore tedesco Taschen Verlag, nel 2010 ricorre il quattocentesimo dalla morte del celebre pittore italiano: al secolo, Michelangelo Merisi, o Merigi o Amerighi, nato a Milano, nel 1571, e mancato a Porto Ercole, nell’attuale provincia di Grosseto, nel 1610. A diretta conseguenza, è prevedibile che vengano realizzate sostanziose raccolte della sua geniale opera, che ha rivoluzionato la pittura europea. Come già rilevato, Caravaggio è stato un personaggio da leggenda, anche durante la sua vita. Celebrato da molti per il suo naturalismo e la sua rivoluzionaria invenzione pittorica, è stato accusato da altri di aver distrutto la pittura. Pochi artisti hanno provocato tali polemiche e tante interpretazioni contraddittorie, fino ai tempi moderni. Dal nostro particolare punto di vista, ufficialmente indirizzato, lo scorso febbraio abbiamo ipotizzato una chiave di lettura particolare, che qui e oggi ribadiamo, alla luce della doverosa segnalazione di altre due monografie di sostanza, entrambe italiane. Prima dei doverosi riferimenti ai due volumi, riprendiamo il

concetto secondo il quale leggiamo l’opera di Caravaggio in chiave adeguatamente “fotografica”. Nel farlo, ci allineiamo con le tante e approfondite valutazioni che hanno analizzato il sapiente uso e la avvincente rappresentazione della luce, che fa delle pitture di Caravaggio qualcosa di unico, oltre che straordinario, sia per il proprio tempo, sia per la storia dell’arte nel proprio complesso. Ma non è solo e tutto qui: ancora, e in aggiunta, siamo andati oltre e avanti. La nostra idea e interpretazione (e sollecitazione a considerare anche questo) si è spinta fino alle composizioni in quanto tali. In che modo, in una ipotesi ricercata di pre-fotografia, la pittura di Caravaggio è tale e tanta “fotografia”? Prima di tutto, lo confermiamo, osserviamo insieme la distribuzione delle luci, e poi consideriamo il congelamento di un istante: che è stato diverso un secondo prima e lo sarà anche un secondo dopo. Eccola qui la “fotografia”: composizione, distribuzione degli elementi, punti di richiamo e attenzione. Sì, con determinazione, possiamo declinare la pittura di Caravaggio in relazione ai parametri che riconosciamo alla fotografia. Altra ripetizione, dalle analisi dello scorso febbraio: tanto ancora ci sarebbe da aggiungere, ma ora è il mo-

Concerto di giovani; 1594-95; olio su tela, 92,1x118,4cm (New York, The Metropolitan Museum of Art, Rogers Fund).

Caravaggio. L’opera completa, a cura di Rossella Vodret; Silvana Editoriale, 2010; 272 pagine 24,5x33,5cm, cartonato con sovraccoperta; 230 illustrazioni; 25,50 euro.

mento di raccogliersi con se stessi e lasciarsi accompagnare dalla propria intimità. A ciascuno, la propria.

ALTRA OPERA COMPLETA Silvana Editoriale ha pubblicato il proprio Caravaggio. L’opera completa, il cui titolo è curiosamente coincidente con quello adottato da Taschen Verlag: cose che capitano? o non dovrebbero capitare? Fate voi. Imponente nelle dimensioni e diligente nella redazione, la monografia è curata de Rossella Vodret, dal 2009 Soprintendente speciale per il Patrimonio storico artistico ed etnoantropologico e per il Polo museale della città di Roma. Specialista della pittura del primo Seicento e in particolare di Caravaggio (eccolo!) e dei suoi seguaci, ha curato importanti esposizioni nazionali e

57


Fotografo (?)

internazionali. Ancora, è autrice di numerose pubblicazioni scientifiche dedicate prevalentemente alla pittura romana del primo Seicento e del catalogo sistematico della Galleria Nazionale d’Arte Antica, di Palazzo Barberini, a Roma, compilato nel 2008. Dunque, la sua è una voce/visione più che autorevole. Il titolo Opera completa è adeguato: perché il volume è effettivamente una documentazione esaustiva sulla pittura di Caravaggio. In un apparato iconografico di alta qualità, e pertinente restituzione litografica, la sequenza delle riproduzioni asseconda un testo colto, che restituisce al pittore tutta l’integrità e il fascino della sua straordinaria grandezza,

Giuditta che taglia la testa a Oloferne [particolare]; 1598-99; olio su tela, 145x195cm (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Barberini).

Caravaggio. Un ritratto somigliante, a cura di Francesca Cappelletti; Mondadori Electa, 2009; 272 pagine 25x32cm, cartonato con sovraccoperta; 90,00 euro.

I bari; 1595-96; olio su tela, 91,5x128,2cm (Fort Worth, Kimbell Art Museum).

58

confermando il debito di riconoscenza che la storia dell’uomo deve a un personaggio che è stato capace di imprimere una vera e propria “svolta epocale” nella cultura artistica italiana ed europea (in ripetizione). Il volume si concentra sull’analisi della produzione artistica certa, confermata dalle scoperte documentarie emerse negli ultimi anni; attraverso la puntuale narrazione dell’autrice, la monografia ripercorre la vita dell’artista tra luci e ombre, meraviglia e scandalo. Ne scaturisce sia un profilo eccezionalmente vivo e reale dell’“uomo” Caravaggio, sia il racconto della sua capacità di innovazione nella pittura, tra creatività e tecnica.

RITRATTO SOMIGLIANTE A fine dello scorso anno, Mondadori Electa ha detto la sua su Caravaggio con l’imponente Caravaggio. Un ritratto somigliante. Per la

sua presentazione, sono stati utilizzati concetti diversi da quelli degli altri due editori ai quali ci siamo già riferiti, una prima volta lo scorso mese e in continuazione oggi. Testuale: «Uomo di temperamento iracondo e selvatico, facile a offendersi e pronto, all’occorrenza, a vibrare un buon colpo di pugnale all’avversario, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (1571-1610) fu il primo grande artista, dopo il Rinascimento, a liberarsi dall’ossessione della bellezza, senza temere la ricerca della verità: venne tacciato di essere un “naturalista”, ma allora come oggi la sua opera non ha perso nulla della propria audacia». L’opera del grande pittore viene presentata per intero da Francesca Cappelletti, autrice nota al grande pubblico per essere la protagonista di un bestseller dedicato proprio al pittore lombardo e al ritrovamento di una sua tela: nel 1993, neolaureata, Francesca Cappelletti ritrovò a Dublino il quadro disperso La cattura di Cristo; la vicenda ebbe grande eco e fu ripresa nel romanzo di Jonathan Harr, Il Caravaggio perduto. Anche questo volume si propone come nuova e autorevole monografia su Caravaggio, aggiornata agli studi recenti, capace di rivedere la complessa vicenda biografica e artistica del pittore, ripartendo dalle fonti. Illustrato con tutte le opere accertate (immagini di contesto e confronti), il testo è svolto in un linguaggio scorrevole, per una lettura avvincente e accessibile anche al pubblico non specialista. ❖


CANADA Photo Life FRANCIA Réponses Photo GERMANIA Digit! • Foto Hits • Inpho • Photographie • Photo Presse • ProfiFoto GRECIA Photographos • Photo Business INGHILTERRRA Digital Photo • Photography Monthly • Practical Photography • Professional Photographer ITALIA Fotografia Reflex • FOTOgraphia OLANDA Fotografie F+D • FotoVisie • P/F POLONIA Foto SPAGNA Arte Fotográfico • Diorama • Foto/Ventas Digital • FV / Foto Video Actualidad • La Fotografia Actual SUDAFRICA PiX Magazine SVIZZERA Fotointern STATI UNITI D’AMERICA Shutterbug UNGHERIA Digitális Fotó Magazin

Se volete sapere quali siano i migliori prodotti fotografici, video e imaging, o avete bisogno di un consiglio da esperti, cercate i qualificati e autorevoli logotipi dei TIPA Awards. Ogni anno, i direttori di ventinove riviste di fotografia e imaging, leader in Europa, votano per stabilire quali nuovi prodotti sono davvero i migliori nelle proprie rispettive categorie. I TIPA Awards vengono assegnati in base a qualità, prestazioni e valore, tanto da farne i premi indipendenti della fotografia e dell’imaging dei quali potete fidarvi.


Per gioco? Cinema di Antonio Bordoni

APPARECCHI DI CARTA

prio dal testo di Maurizio Rebuzzini appena ricordato. Andiamo al capitolo conclusivo del percorso scandito in tredici capitoli in consecuzione più quattro, tre prima e uno dopo, che compongono la materia di questo particolare racconto della Storia (tanto particolare da essere sì parziale, come ogni altro, ma dichiaratamente e consapevolmente tale; testuale, dalle Istruzioni all’uso, che precedono il testo vero e proprio: «Anche questa mia lettura è altrettanto parziale; però, è volontariamente e coscientemente parziale e mirata. Oltre che inviolabilmente mia».

DA 1839-2009...

C

Comprensivo di CD allegato, completo di tutti i cartamodelli di autofabbricazione degli apparecchi in carta descritti nel libro, Build Fun Paper Cameras è esattamente ciò che il titolo anticipa e promette: manuale per costruire curiosi e bizzarri apparecchi fotografici di carta, con i quali realizzare immagini seguendo antichi e inviolabili princìpi della natura che si fa di sé medesima pittrice, come ha ampiamente analizza-

60

to e commentato il nostro direttore Maurizio Rebuzzini nella sua recente Storia, raccontata in 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita. Poche e semplici, le infrastrutture tecniche; tante e profonde, le motivazioni per agire al di fuori e al di fianco degli strumenti tecnologici dei nostri giorni. In questo senso, condividendone l’analisi, oltre che le conclusioni, è obbligatorio un richiamo pro-

Build Fun Paper Cameras, di Justin Quinnell; apparecchi fotografici di carta disegnati da Josh Buczynski; Lark Books, 2009; 96 pagine 20,5x23,5cm, cartonato; con CD contenente cartamodelli; 16,69 euro.

Estraiamo dal capitolo conclusivo 2009. Alla fin fine, che dichiara subito il proprio intendimento, prendendo le distanze dall’esclamazione di Paul Delaroche, che alla presentazione del dagherrotipo, nell’agosto 1839, esclamò «Da oggi la pittura è morta!»; ovverosia rilevando che «questa affermazione e molte posizioni del presente, di identica cretineria [eccoci qui!], non hanno senso per chiunque sappia in cosa consiste un’espressione estetica». Esattamente questo, in doverosa sottolineatura, in replica: «non hanno senso per chiunque sappia in cosa consiste un’espressione estetica». Comunque, riprendendo il filo, estraiamo dal capitolo conclusivo 2009. Alla fin fine: «Giusto la fotografia digitale è l’indiscussa protagonista dei nostri giorni: nel bene, come in un ricercato male (soprattutto verbale e fonetico). Tanto che, per contraltare, si stanno moltiplicando atteggiamenti fotografici di preteso e pretestuoso sapore antico. Mai come oggi, il foro stenopeico, per dirne una, ha potuto vantare tanti adepti, per lo più avvicinati e attirati proprio dal rifiuto dell’attualità tecnologica. «In Italia, come in tutto il mondo, si registrano autori di grande valore, dal cui casellario escludo la statura fuori dall’ordinario di Paolo Gioli, forostenopeista ante litteram, la cui artisticità si proietta al di fuori dei confini pro-


Per gioco? Inizia l’avventura. Motivazioni e considerazioni sulla fotografia con foro stenopeico; senza obiettivo non per sola cretineria dei nostri giorni, ma con profondità espressiva. A ciascuno, la propria.

Prima di tutto, doverose spiegazioni sul libro e sul CD allegato, contenente i cartamodelli per realizzare in proprio curiose macchine fotografiche di carta.

Pinolta: combinazione che riprende le fattezze tradizionali delle reflex.

Holeiflex: con l’aspetto delle biottica dei decenni scorsi.

pri e caratteristici della fotografia come sovrastruttura. Allo stesso momento, ultima spiaggia per certi imbecilli (presto smascherati per ciò che effettivamente non sono e non valgono) [ne abbiamo approfondito in FOTOgraphia, dell’aprile 2008], il foro stenopeico è la punta di un iceberg che si allarga agli abusi soltanto formali delle toy camera (apparecchi fotografici giocattolo, introdotti soprattutto dai fenomeni Holga e Diana) e di altre amenità analoghe: che si scompongono tra i salotti buoni dei parvenu (di tendenza) dell’ultimo minuto e le pareti di compiacenti gallerie di nessuno spessore culturale. «Non importa nulla come un autore agisce, ma perché lo fa. Lo affermo con franchezza: è soltanto grottesco pensare che la rivalutazione di strumenti fotografici rudimentali, con i quali autori dell’Ottocento hanno realizzato immagini che ancora oggi tolgono il fiato, basti da sé. È ridicolo fare fotografia senza essere dotati di creatività ed espressività. «Non ho l’ambizione di essere nulla di più di quello che so di essere (un clown, che fa raccolta di attimi). Per questo non elevo oltre il lecito una operazione che accompagna questo libro [due scatti su carta sensibile bianconero, esposta in ripresa, acquisiti allo scanner e gestiti in forma digitale: uno di inizio l’altro di fine]. Però, ho la netta sensazione che l’allineamento passato-presente, origini-attualità dell’esposizione di carta sensibile in ripresa, per l’acquisizione a scanner del negativo-matrice e gestione digitale (alle pagine 12 e 154 [del libro]) rappresenti qualcosa di meglio del solo giochino delle parti, che invece definisce tanti altri presunti richiami storici, suggeriti dall’ignoranza. «È qualcosa che si proietta in avanti, facendo tesoro ideologico del passato: il tutto osservato da un punto di vista obbligatoriamente viziato, quello di giornalista fotografico, con compiti anche tecnici. Infatti, la conoscenza dipende dalla pratica, cioè dalla produzione e dalla propria attività professionale. Oggigiorno, non possiamo ignorare che l’attività produttiva dell’uomo sia l’attività pratica fondamentale, che determina anche ogni altra forma di attività. La conoscenza umana dipende soprattutto dall’attività produttiva materiale: attraverso que-

61


Per gioco? sta, ciascuno riesce a comprendere grado a grado i fenomeni, le proprietà e le leggi della natura, come pure i propri rapporti con la natura e la realtà; inoltre, attraverso l’attività produttiva, a poco a poco ognuno raggiunge i diversi livelli di comprensione di certi rapporti reciproci fra gli uomini. Tutte queste conoscenze non possono essere acquisite al di fuori dell’attività produttiva».

FUN PAPER CAMERAS Ed è esattamente questo il senso e valore di quanto riportato in Build Fun Paper Cameras, il cui testo è scomposto in almeno due parti. Una, distribuita su molte pagine, di cartamodelli di apparecchi fotografici realizzabili (con relative descrizioni e schematizzazioni nel CD allegato, da ritagliare una volta stampate su un supporto cartaceo di consistenza adeguata); la seconda, di sostanza, per le applicazioni espressive, guidate dalle proprie motivazioni intime. Ed è qui che il gioco termina, per lasciare spazio alle emozioni e alla partecipazione convinta e consapevole, indipendentemente dalla mediazione tecnica applicata (oppure, non mediazione tecnologica). Ovviamente, il libro non viene meno a nessuna delle due promesse del proprio titolo di richiamo. Va bene, Paper Cameras, ovverosia macchine fotografiche di carta, ma -visto che ci siamo e che non guasta di certo- anche Fun, cioè apparecchi curiosi e bizzarri, un poco folli. Commentiamoli. Pinolta è una combinazione che riprende le fattezze tradizionali delle reflex [a pagina 61]. Holeiflex si propone con l’aspetto delle biottica dei decenni scorsi, nobilitate soprattutto dall’originaria Rolleiflex, dal 1929 [ancora a pagina 61]. Pinox va sul facile, e recupera forma e contenuti delle più semplificate compatte del passato prossimo (o remoto), ai tempi dei caricatori Instamatic e Pocket Instamatic [in questa pagina, in alto]. Thrillium Fox Holebot è un supporto di carta alla maniera dei treppiedi (ma di gambe ne ha quattro), utile per le pose lunghe [al centro]. Chompy utilizza pellicola 35mm con caricatore di riavvolgimento aggiunto, alla maniera degli Instamatic e Rapid, da-a senza successivo riavvolgimento [in basso].

62


Per gioco? Stencil Cam: impiega pellicola 35mm, con una ulteriore propria interpretazione tecnica.

Pinox: forma e contenuti delle più semplificate compatte del passato prossimo (o remoto), ai tempi dei caricatori Instamatic e Pocket Instamatic.

Thrillium Fox Holebot: supporto di carta alla maniera dei treppiedi (ma di gambe ne ha quattro), utile per le pose lunghe. Chompy: per pellicola 35mm con caricatore di riavvolgimento aggiunto, alla maniera degli Instamatic e Rapid, da-a senza successivo riavvolgimento.

Gli utilizzi: per fotografia bianconero e con dettagliate istruzioni di impiego. Tutto questo, e altro ancora, per la forma. I contenuti sono propri e individuali: «Non importa nulla come un autore agisce, ma perché lo fa. [...] È ridicolo fare fotografia senza essere dotati di creatività ed espressività».

Anche la Stencil Cam impiega pellicola 35mm, con una ulteriore propria interpretazione tecnica [in alto]. Da qui, e da altro ancora, gli utilizzi: per fotografia bianconero e con dettagliate istruzioni di uso [al centro e a sinistra]. Tutto questo, e altro ancora, per la forma. I contenuti sono propri e individuali. Ribadiamo: «Non importa nulla come un autore agisce, ma perché lo fa. [...] È ridicolo fare fotografia senza essere dotati di creatività ed espressività». A ciascuno, la propria. ❖

63


Cinema Fotoricordo di Maurizio Rebuzzini

D

STORIA FAMILIARE

Domanda insidiosa. Perché si comperano, e leggono, libri? A parte quelli di utilità -a ciascun interesse e a ciascuna professione i propri-, perché si leggono romanzi? Più esattamente, perché si legge un romanzo, piuttosto di un altro? Come lo si sceglie? Tante le risposte possibili. Alcune: in base al gradimento dell’autore (e in questo indirizzo si collocano soprattutto gli scrittori seriali del proprio tempo); sollecitati da una recensione particolarmente favorevole; su indicazione di amici; per una copertina accattivante (perché no?); richiamati dal titolo. Da fine settembre nelle librerie italiane, Camera oscura, di Günter Grass, può attirare (ha già attirato?) l’attenzione di coloro i quali si occupano e/o interessano di fotografia -noi tra questiper ragioni e cause esplicite, a tutti noi note: il titolo, anzitutto, che evoca un retrogusto fotografico, peraltro accentuato dall’illustrazione di copertina. Proprio l’Agfa-Box evocata in copertina, in un disegno in punta di penna dello stesso romanziere tedesco, che ha realizzato anche le tante illustrazioni interne al libro, che danno avvio e concludono i singoli capitoli, è il filo conduttore dell’intero romanzo, che tale non è a tutti gli effetti.

Il titolo italiano Camera oscura, adottato dall’autorevole editore Einaudi (uno dei riferimenti culturali privilegiati dell’editoria italiana), è ereditato dall’originario, con doverosa semplificazio-

ne fonetica che ha tenuto conto della nostra mancanza di identificazione immediata e certa con l’apparecchio fotografico che qui funziona da narratore; per l’appunto: Die Box. Dunkel-

Camera oscura, di Günter Grass; traduzione di Claudio Groff, dall’originario Die Box. Dunkelkammergeschichten; Einaudi - Supercoralli, 2009; 200 pagine 13,5x21,5cm, cartonato con sovraccoperta; 18,00 euro.

64

kammergeschichten, alla lettera La Box. Racconti da camera oscura (o giù di lì).

SECONDO CAPITOLO L’attuale Camera oscura, di Günter Grass, è la seconda parte della sua autobiografia. Temporalmente, è immediatamente successiva a Sbucciando la cipolla, pubblicata da Einaudi nella stessa prestigiosa collana dei Supercoralli. Come rivelano le schede ufficiali di presentazione, nella prima parte della autobiografia, Günter Grass ha raccontato gli anni della sua giovinezza, dalla guerra mondiale e l’arruolamento nelle Waffen-SS fino ai suoi esordi e all’affermazione come scrittore: premio Nobel per la letteratura, nel 1999. Ora, con Camera oscura, Günter Grass completa la sua autobiografia, ripercorrendo le vicende della propria famiglia nell’ultimo mezzo secolo. Lo fa dando la parola agli otto figli, di tre mogli diverse e successive, che aderiscono con poco entusiasmo (accettano solo per affetto e per non deludere il padre). La fotografia unisce i loro racconti. Sono le fotografie realizzate da Maria Rama, detta “DàiscattaMariechen” (dall’originario “Knips-mal-Mariechen”), con una vetusta Agfa-Box, la cui


Fotoricordo Cinema

magica visione mostra insieme passato, presente e futuro della famiglia, e i desideri di ognuno. Sul periodico tedesco Focus, Rainer Schmitz ha annotato: «Un libro meraviglioso e divertente. Il trucco di specchiarsi negli occhi dei figli e di collocarsi, grazie a una magica camera oscura, in una posizione privilegiata, è un’idea brillante e realizzata in maniera raffinata. Il libro migliore di Günter Grass da molti anni a questa parte». In un’intervista rilasciata per la pubblicazione in Germania del testo originario, lo scrittore, nato a Danzica, nel 1927, ha commentato la genesi del libro: «Quando ricordiamo, ci troviamo di fronte a un confuso insieme di frammenti di memoria, e quando poi cerchiamo di raccontare quello che ricordiamo, già facciamo una scelta, ha inizio un’estraniazione, forse anche un mascheramento di ciò che ricordiamo. Quando ci si propone di scrivere un’autobiografia bisogna tenere presente questa ambiguità. Per Sbucciando la cipolla l’ho fatto. Affrontando gli an-

ni giovanili, mi sembrava di avere sufficiente distacco. «Sbucciando la cipolla si conclude con la pubblicazione di Il Tamburo di latta [Die Blechtrommel, 1959]. Intanto, ero diventato padre, la famiglia cresceva, a volte in modo confuso, io scrivevo un libro dopo l’altro, ero stato coinvolto dalla politica, erano successe tante altre cose. Riflettere e scrivere di que-

sto, quindi anche dei miei libri, non mi interessava minimamente. Ma gettare uno sguardo su me stesso e su quello che facevo, ad esempio in questo caso dal punto di vista dei miei figli, anche se sulla scorta di una mia invenzione, questo sì mi interessava. Il libro è nato così». Sulla reazione dei figli di fronte al libro, ha dichiarato: «La seconda versione dattiloscritta

l’ho mandata ai ragazzi. Le reazioni sono state critiche, in certi casi estremamente critiche. Ci sono state discussioni anche aspre, durante le quali ho cercato di stare ad ascoltare, il che in parte mi è riuscito. E quando mi convincevano, il che è avvenuto spesso, ho lasciato via dei fatti, oppure li ho descritti con maggiore precisione; però, sempre insistendo sul fatto che se la loro vita è parte della mia, la mia è parte della loro, e che nel momento in cui affronto temi autobiografici, il che è un mio buon diritto, non posso tacere i figli, non posso tacerne la pluralità, non posso non parlare dello sfondo da cui hanno avuto origine. Da questo punto di vista, la terza e la quarta stesura del libro sono anche esito della discussione con i ragazzi. Ma i nove incontri li ho inventati io, perché, come ho già avuto modo di dire, solo quando mento io riesco a essere preciso».

RACCONTI DI VITA Ovviamente, è una (auto)biografia tedesca, che ruota attorno vicende nazionali, molte delle quali

65


Fotoricordo fre Tempo, che arricchisce il cuore, la mente, i sentimenti. Eccolo qui il concetto della fotografia che supera l’usura degli anni e che si arricchisce di questa. Sulla fotografia, sull’esercizio della fotografia sono stati riversati fiumi di inchiostro. Eppure, come in questo caso, ogni volta pare che ci sia ancora qualcosa di nuovo da dire, da scrivere. Dunque, da sola, questa osservazione basta per qualificare, quantificandolo, un fenomeno pressoché infinito: perché l’esercizio della fotografia è parte integrante del fenomeno, fondamentale!, dell’esercizio stesso della vita. Per propria natura raffigurativa, nel senso che ha bisogno della materializzazione di un soggetto davanti allo strumento (indispensabile), la fotografia è per propria intenzione rappresentativa. Scatto dopo scatto, la sfida è affascinante, e per questo irrinunciabile. Ogni volta che agisce, il fotografo, anche quello della fotoricordo, dispiega tutto il proprio lessico per comunicare con l’esterno, con

Alle presentazioni della seconda parte della sua biografia, l’attuale Camera oscura, lo scrittore tedesco Günter Grass si accompagna sempre con un paio di vetuste Agfa-Box, le cui magiche evocazioni fotografiche rappresentano il motivo conduttore dei ricordi.

66

proiettatesi sul palcoscenico planetario. Ma non tutte. Contenuto letterario a parte (Rainer Schmitz: «Il libro migliore di Günter Grass da molti anni»), Camera oscura rivela un proprio retrogusto fotografico. L’abbiamo già rilevato: le fotografie familiari scattate con una AgfaBox sottolineano lo scorrere del Tempo, allungano il passato sul presente, introducono il futuro. Del resto, guardiamoci negli occhi, non è forse questo il senso della Fotografia, con consueta maiuscola consapevole e volontaria? Non pensiamo soltanto alla fotografia che scrive la Storia, ma anche -e qui soprattutto- a quella fantastica fotoricordo che racconta la Vita nel proprio svolgersi, giorno dopo giorno. La fotografia può farlo; forse, deve farlo. Fin dalle proprie origini, e nella sua lunga evoluzione espressiva, la fotografia of-

gli altri. Cosa è il lessico? Quell’insieme di formalismi estetici che permette alla visione soggettiva di raggiungere l’esterno. Il fotografo sceglie cosa includere nello spazio del proprio fotogramma, cosa lasciare fuori; da che prospettiva osservare e far vedere, e via discorrendo. L’insieme delle fotoricordo è una raccolta di attimi isolati dal contesto dell’esistenza, che finiscono per rappresentarla come poche parole potrebbero fare. Dunque, dobbiamo essere grati a queste immagini che fanno entrare il mondo nella nostra vita quotidiana. Privilegiati dalla sua visione, possiamo osservare l’esistenza attraverso rappresentazioni realizzate con il cuore. Per capirla. Una volta ancora, e una di più, con Edward Steichen (1969, in occasione del suo novantesimo compleanno): «Missione della fotografia è spiegare l’uomo all’uomo e ogni uomo a se stesso». Come inequivocabilmente rivela il filo conduttore dell’autobiografia familiare Camera oscura, di Günter Grass. ❖



7$.( ,7 ($6<

Oggi con Nikon D3000 è davvero semplice realizzare foto splendide già dal primo scatto. La combinazione di un sensore CCD formato DX da 10.2 megapixel, di un sistema di elaborazione delle immagini Nikon Expeed e di un evoluto sistema autofocus a 11 punti consente di ottenere immagini nitide e precise in ogni situazione. La vasta gamma di funzioni editing on camera permetterà di esaltare la creatività di ognuno, mentre con la modalità Calendario potrete organizzare le immagini per data e ora di scatto. Ma la vera rivoluzione è il MENÙ GUIDA, l’intuitivo ed evoluto supporto integrato, che rende semplice a chiunque l’utilizzo anche delle funzioni più avanzate. Scopri subito su www.nital.it tutte le straordinarie caratteristiche della nuova Nikon D3000.

ZZZ QLWDO LW

1LWDO &DUG DVVLFXUD DQQL GL JDUDQ]LD H DVVLVWHQ]D SL DFFXUDWD FRQ ULFDPEL RULJLQDOL ,QIROLQH 3HU HVWHQGHUH OD JDUDQ]LD D DQQL q QHFHVVDULR UHJLVWUDUH LO SURGRWWR YLD ZHE DOOH FRQGL]LRQL ULSRUWDWH DOOҋLQWHUQR GHOOD FRQIH]LRQH R VX ZZZ QLWDO LW


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.