FOTOgraphia 162 giugno 2010

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Mensile, 6,50 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano

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ANNO XVII - NUMERO 162 - GIUGNO 2010

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Swpa 2010 ITALIA SOPRA TUTTI

Tipa 2010 I VINCITORI


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Non è venduta in edicola. Per averla hai una sola possibilità: sottoscrivere l’abbonamento annuale. 12 numeri 65,00 euro

Abbonamento 2010 (nuovo o rinnovo) in omaggio 1839-2009

Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita M A U R I Z I O

R E B U Z Z I N I

1839-2009 Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita

Come dire, dal dagherrotipo all’acquisizione digitale di immagini. E consecuzioni

INTRODUZIONE

DI

GIULIANA SCIMÉ

F O T O G R A P H I A L I B R I


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prima di cominciare IN RISPOSTA. Maurizio, ho letto il tuo articolo [Discussione sterile. Ma!, in FOTOgraphia, dello scorso aprile], al quale rispondo. Non vedo motivo perché tu te la prenda con Il Sole 24 ore, che ha pubblicato la mia opinione sul digitale. È solo un opinione personale, e quindi ho tutto il diritto e il dovere di esprimerla. Non sono d’accordo nemmeno su quanto asserisci circa una sorta di “par condicio”, in seguito alla quale alla mia intervista avrebbe dovuto essere affiancata un’altra di opinione contraria [ma quando mai?]: fortunatamente stiamo parlando di un giornale libero [...]. Non ho mai detto che il digitale sia tutto negativo; ho invece affermato che alcune cose sono negative, mentre altre sono positive, come ad esempio il fatto che, grazie al digitale, molta gente si sia avvicinata alla fotografia. Insisto però nel dire che ha anche aumentato la superficialità dei fotografi, forse proprio perché troppo facile. Come tu certamente saprai, siamo in molti che ancora crediamo nella pellicola, non ultimi alcuni grandi maestri, come Elliott Erwitt, Guy Le Querrec e, per non andare così lontano, Ivo Saglietti, Francesco Cito, Gabriele Basilico e centinaia di altri fotografi. Che poi tu mi rimproveri di avere fatto queste affermazioni quasi approfittando del mio ruolo di rilievo nella fotografia italiana [?], non posso dire altro se non che lo ritengo, proprio per questo, un mio dovere. Non si tratta di una battaglia di retroguardia, ma di “avanguardia”, perché sono le minoranze, come oggi lo sono coloro che difendono l’analogico, quelle che costituiscono le vere avanguardie, in ogni campo. [...] Per finire, a proposito della mia avversione a Photoshop, cito una frase di Elliott Erwitt: «Attenzione! La manipolazione digitale uccide la fotografia». Tra le righe del tuo articolo mi sembra di leggere che tu rilevi una sorta di snobismo da parte mia nei confronti di chi utilizza il mezzo fotografico per le cosiddette fotoricordo [?]: non ho assolutamente nessun pregiudizio nei confronti di chi lo fa, anzi lo ritengo legittimo e importante, ma ho rilevato che, in seguito alla massima diffusione del digitale, proprio la funzione “ricordo” della fotografia ha perso molta della sua importanza: le fotografie rimangono nei computer, e spesso vengono cancellate, accidentalmente o meno, restando non accessibili per chi non ha dimestichezza con le nuove tecnologie. [...] Un caro saluto Gianni Berengo Gardin

Il mondo è pieno di religioni. Ciascuno può trovare quella che gli si adatta meglio. Basta ricordarsi che la nostra è sempre quella giusta, ma è inutile pensarci troppo, finché non ci si è obbligati. M.R.

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A quanti oggetti inutili, poveri nella propria sostanza, superflui nella assoluta inconsistenza, leghiamo i nostri ricordi? i nostri sogni? le nostre emozioni? Allo stesso momento, con segno algebrico opposto, ma significato identico: quanti oggetti della vita quotidiana ci danno dolore, perché ricordano momenti felici che se ne sono andati per sempre, e che, nel proprio manifestarsi originario, non avevamo decifrati come felici, sereni e appaganti? Le stanze vuote, e lei (lui) che non è più con noi. Un biglietto, un fiore, un oggetto trovato per casa ha spesso la capacità magica di aprire porte della nostra mente, che credevamo (speravamo?) chiuse per sempre. Dunque, questo esercizio, pur con i propri risvolti tragici (a ciascuno, i propri) è un esercizio irrinunciabile della vita. Ciascuno di noi è per quello che è stato, e dobbiamo essere eternamente grati a coloro i quali, in mille modi e altrettante maniere, hanno contribuito a fare di noi persone migliori. Angelo Galantini; su questo numero, a pagina 61 e 62

Copertina Tuareg fotografato da Tiziana e Gianni Baldizzone, a Azawagh, in Mali, nel 2007. Questo ritratto fa parte della selezione di immagini allestita in mostra (Esprit Nomade, sulle “Grilles” dei Jardin du Luxembourg, a Parigi) e raccolta in una omonima monografia illustrata. Ne riferiamo, approfondendo, da pagina 42

3 Altri tempi (fotografici) Catalogo Zeiss Ikon B 852, di accessori fotografici, del Primo gennaio 1939 (nel centenario della fotografia)

7 Editoriale Dobbiamo abbracciare un altro ordine, una dottrina dalle radici più antiche. Dobbiamo sintonizzarci su ciò che vediamo e fiutiamo, sui bisbigli che risuonano forti nelle orecchie, sui minimi aromi che solleticano le narici e si presentano come luci e colori nella mente. La vista è soltanto una delle facoltà che dobbiamo usare, e spesso gioca un ruolo secondario rispetto le altre

8 Amedeo Vergani Ricordo del fotogiornalista, mancato il Primo maggio di Lello Piazza

12 2009. Alla fin fine In conclusione (oppure no?), dall’avvincente Storia 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita, di Maurizio Rebuzzini. Tutto cambia, per poi restare sempre uguale. 1839-2009. Centosettanta anni dopo (dopo cosa?) di Antonio Bordoni


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. GIUGNO 2010

R , RIFLESSIONI IFLESSIONI, OSSERVAZIONI E COMMENTI OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA SULLA FOTOGRAFIA

16 David Bailey in pillole Agile monografia, che introduce uno degli autori discriminanti del secondo Novecento. In concentrato, dalla moda allo star system. E poi, alla fotoricordo di Maddalena Fiocchi

Anno XVII - numero 162 - 6,50 euro DIRETTORE

RESPONSABILE

Maurizio Rebuzzini

IMPAGINAZIONE

Gianluca Gigante

REDAZIONE

19 Ici Bla Bla

Angelo Galantini

Appunti e attualità della fotografia internazionale a cura di Lello Piazza

Rouge

FOTOGRAFIE SEGRETERIA

Maddalena Fasoli

24 Ossessione Rolleiflex Tra le pieghe del cinematografico Fur, ma neppure tanto tra le sue pieghe, una ossessione complementare a quella principale di Diane Arbus per i “freaks”. È di scena la fantastica biottica sei-per-sei. Con flash Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

28 Appunti fotografici Due monografie illustrate danno avvio a una nuova collana. I Jean-Christophe Béchet / Carnets rivelano lo spessore e senso di una fotografia realizzata con amore e partecipazione. E altrettanto condivisa

HANNO

COLLABORATO

Tiziana e Gianni Baldizzone Jean-Christophe Béchet Antonio Bordoni Franco Canziani Giulia Ferrari Maddalena Fiocchi Chiara Lualdi Lello Piazza Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604; graphia@tin.it.

34 Gli Oscar della fotografia

● FOTOgraphia è venduta in abbonamento.

Gli autorevoli e prestigiosi TIPA Awards 2010 confermano e ribadiscono la personalità di queste significative attribuzioni, affermatesi stagione dopo stagione di Antonio Bordoni

● FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano.

42 Italiani a Parigi

● A garanzia degli abbonati, nel caso la pubblicazione sia pervenuta in spedizione gratuita o a pagamento, l’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e in suo possesso, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi della legge 675/96.

Esprit Nomade sulle “Grilles” dei Jardin du Luxembourg, nel centro di Parigi (da ottobre, si replica a Torino). Dietro le quinte e considerazioni in conseguenza Testo e fotografie di Tiziana e Gianni Baldizzone

50 (Uno, due) e tre! Trionfo italiano al Sony World Photography Award 2010. Tre vincitori di tappa e vincitore assoluto: Tommaso Ausili di Maurizio Rebuzzini

59 Ritrovati! Segnali e richiami di esistenze recuperati dall’oblio. Tre titoli a tema (a tema?) sono utilitaristicamente finalizzati a considerazioni che avremmo espresso comunque: confessione d’obbligo, non solo necessaria di Angelo Galantini

● FOTOgraphia Abbonamento 12 numeri 65,00 euro. Abbonamento annuale per l’estero, via ordinaria 130,00 euro; via aerea: Europa 150,00 euro, America, Asia, Africa 200,00 euro, gli altri paesi 230,00 euro. Versamenti: assegno bancario non trasferibile intestato a Graphia srl Milano; vaglia postale a Graphia srl - PT Milano Isola; su Ccp n. 28219202 intestato a Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; addebiti su carte di credito CartaSì, Visa, MasterCard. ● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti. Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano

Rivista associata a TIPA

64 Il fotografo (a fumetti) In volume unico, l’avventura in Afghanistan di Didier Lefèvre, al seguito di Medici Senza Frontiere

www.tipa.com

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1839-2009

la finestra di Gras Dalla Relazione di Macedonio Melloni 2009.unaRicordando pagina, una illustrazione alla svolta di Akio Morita

Come dire, dal dagherrotipo all’acquisizione digitale di immagini. E consecuzioni

1839. Dal sette gennaio al dodici novembre sedici pagine, tre illustrazioni

Tappe fondamentali, che si sono proiettate sul linguaggio e l’espressività, con quanto ne è conseguito e ancora consegue Relazione attorno al dagherrotipo diciotto pagine, tre illustrazioni

1839. Fotogenico disegno dieci pagine, quattro illustrazioni

1888. Box Kodak, la prima diciotto pagine, quarantacinque illustrazioni

1913-1925. L’esposimetro di Oskar Barnack ventiquattro pagine, cinquantotto illustrazioni

1947 (1948). Ed è fotografia, subito ventiquattro pagine, sessantadue illustrazioni

1981. La svolta di Akio Morita dodici pagine, ventisei illustrazioni

• centosessanta pagine • nove capitoli in consecuzione più quattro, tre prima e uno dopo • duecentosessantatré illustrazioni 1839-2009 Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita di Maurizio Rebuzzini Prefazione di Giuliana Scimé 160 pagine 15x21cm 24,00 euro

F O T O G R A P H I A L I B R I Graphia srl • via Zuretti 2a - 20125 Milano 02-66713604 • graphia@tin.it

2009. Io sorrido, lui neanche un cenno dieci pagine, ventisette illustrazioni

Le paternità sono ormai certe otto pagine, tredici illustrazioni

2009. Alla fin fine cinque pagine, quindici illustrazioni


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editoriale S

fogliando le pagine della rivista si incontrano argomenti che si susseguono, gli uni agli altri. Come già rivelato in altre occasioni, sono due gli ordini di idee che guidano l’alternanza degli argomenti: uno dipende da una sorta di attualità; l’altro, meno palese, più sottotraccia, risponde a criteri diversi, che si legano assieme, mese dopo mese, e che compongono i tratti di una filosofia di fondo. Non importa individuarne i collegamenti espliciti, quanto affrancarsi su quelli impliciti. Tanto che, per esempio, due degli argomenti presentati su questo numero potrebbero apparire totalmente distanti tra loro. In apparenza. Invece, la loro sostanza è in qualche modo allineata. Almeno, io la vedo così. Mi riferisco alla presentazione dei TIPA Awards, assegnati a una identificata serie di strumenti della fotografia, e ai risultati del Sony World Photography Award 2010: rispettivamente, da pagina 34 e 50. Osservati in superficie, sono due argomenti a sé, distanti e separati uno dall’altro: per intenzione esplicita e per ogni altra considerazione li accompagni. Ma non è così. Abbinati, ognuno per sé e entrambi insieme, danno il senso di una vicenda fotografica unica, che dobbiamo coltivare nonostante sia offuscata dalle comodità del mondo moderno. Rintracciarvi un filo comune significa possedere ed educare un’arte del ragionamento e del pensiero affilato, perfezionato, che dà vita e senso a qualcosa di naturale. Ragionare, dunque. Ma anche ricordare e riflettere. Perché l’osservazione senza memoria è inutile. Quindi, dobbiamo essere costantemente intenti ad assorbire elementi da quanto la fotografia esprime attorno a noi. In un tempo nel quale lo svolgimento della vita ci imporrebbe di non sentire e non vedere, ovvero di pensare di sentire e vedere, in un tempo nel quale ci si lascia sfuggire più di quanto si percepisce, con occhi e orecchie costantemente sintonizzati sulle novità, sul prossimo evento che viene presentato dalla televisione, dalla radio, dal cinema, scartando il vecchio prima ancora di aver cominciato a capirne il significato e valore, dobbiamo essere diversi. Cioè, migliori. In particolare, dobbiamo abbracciare un altro ordine, una dottrina dalle radici più antiche. Dobbiamo sintonizzarci su ciò che vediamo e fiutiamo, sui bisbigli che risuonano forti nelle orecchie, sui minimi aromi che solleticano le narici e si presentano come luci e colori nella mente. La vista è soltanto una delle facoltà che dobbiamo usare, e spesso gioca un ruolo secondario rispetto le altre. Confidando in tutti i sensi dell’anima, utilizzandoli appieno, la nostra mente e il nostro cuore si sintonizzano sulle trasmissioni altrui, anche le più fievoli. Alla resa dei conti, alla fin fine (da pagina 12), certe sollecitazioni sono semplici da intuire. In ripetizione: l’osservazione senza memoria è inutile. E dobbiamo essere costantemente intenti ad assorbire da quanto la fotografia esprime attorno a noi. Fotografia come interpretazione della Vita. Maurizio Rebuzzini

Storie. Storia. Storie. Argomenti apparentemente distanti e separati uno dall’altro: per intenzione esplicita e per ogni altra considerazione li accompagni. Ma non è così. Dobbiamo abbracciare un altro ordine, una dottrina dalle radici più antiche. Dobbiamo sintonizzarci su ciò che vediamo e fiutiamo, sui bisbigli che risuonano forti nelle orecchie, sui minimi aromi che solleticano le narici e si presentano come luci e colori nella mente.

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Ricordo di Lello Piazza

È

AMEDEO VERGANI

È stato Amedeo Vergani a insegnarmi a chiamare fotogiornalisti i fotografi che fanno il mestiere di giornalisti. Da allora, non ho più fatto confusione, anche perché, a lui come a me, la fotografia interessa (è interessata) soprattutto come strumento di informazione. L’occasione in cui mi passò questa perla di saggezza (non sottovalutate, vi prego, la apparente minima differenza tra fotografo e fotogiornalista) si presentò nel 2002, quando cominciammo a frequentarci di più. Prima, lo avevo visto saltuariamente in redazione (di Airone), per qualche servizio. Per scegliere e commissionare immagini, in Italia c’era (e in parte c’è

ancora, anche se la situazione è migliorata) una metà del mondo della fotografia che lavorava nei giornali: photo editor e ricercatori iconografici, sia gli assunti, sia i freelance e i precari. Si trattava (e si tratta) di persone dalla collocazione professionale più diversa. La maggior parte di loro non era iscritta all’Ordine dei Giornalisti, pur svolgendo un incarico chiaramente giornalistico. Nella maggior parte dei casi, neppure quelli “strutturati” riuscivano a ottenere dall’editore un praticantato o un contratto giornalistico. In molti giornali (i quotidiani in testa) non esisteva (e continua a non esistere, almeno evidenziata in tamburino) la figura del pho-

Amedeo Vergani, fotogiornalista specializzato in reportage di taglio geografico-sociale, è mancato lo scorso Primo maggio.

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to editor (direttore della fotografia, in italiano). La ricerca delle immagini era demandata alle segretarie di redazione, che spesso non avevano una formazione professionale specifica. Nel 2001, Amedeo Vergani era saltato fuori con l’idea di riunire questa metà in un gruppo di specializzazione simile a quello del quale era presidente, il Gisgiv, che raggruppa fotogiornalisti operanti in diverse regioni italiane (Gruppo di Specializzazione dei Giornalisti dell’Informazione Visiva). Se ne discusse nell’autunno di quell’anno, in un dibattito tenutosi ad Alberobello, in Puglia, sulla professione di photo editor, organizzato dal Gisgiv e da un altro gruppo molto attivo ed efficiente, Fotografia & Informazione. L’idea di fondo era quella in base alla quale, come gruppo, si sarebbe riusciti a fare più efficacemente pressione sugli editori per professionalizzare chi, nelle redazioni, maneggiava le fotografie. Anche se il “nemico” non era rappresentato soltanto dall’editore: nelle redazioni chi ha a che fare con le fotografie deve difendersi da altri gruppi di potere, i grafici, art-director in testa, e i giornalisti di penna. Come sempre, per tutto quello che riguarda la fotografia in Italia, quell’esperienza fu sweet and sour (dolce e agra). Questo nuovo gruppo nacque nell’ottobre 2002, con l’acronimo di Grin (Gruppo Nazionale Redattori Iconografici; www.photoeditors.it), e avrebbe dovuto, in primis, affrontare i problemi del posto di lavoro e della professione, soprattutto perché si trattava di un gruppo di specializzazione all’interno della Fnsi, il sindacato dei giornalisti. Però, nel Grin prevalse la linea culturale, cioè quella di coloro i quali sono interessati a concentrare il proprio lavoro volontario più sulla organizzazione di premi, mostre, interventi culturali che non sulle problematiche sindacali. Il Grin esiste ancora, è in buona salute, svolge una riconosciuta attività culturale. Il premio che vide la sua prima edizione nel 2003 viene


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Ricordo

Dai reportage di viaggio di Amedeo Vergani: Egitto, 1997; Yemen, marzo 1993.


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Ricordo Due copertine illustrate da Amedeo Vergani: Geo France, dell’aprile 1984, servizio sulla Sicilia; Saison, del novembre1991, servizio dai Caraibi.

consegnato ogni anno; è intitolato ad Amilcare Ponchielli, e gratifica bravi e, talvolta, giovani fotografi. L’attività sindacale è rimasta emarginata dai suoi interessi preminenti (almeno questo è il mio parere). Amedeo Vergani aveva in mente un altro modello di gruppo. Comunque, in quegli anni, crescemmo tutti molto, sia quelli che erano d’accordo con lui, sia quelli che erano in disaccordo. E da lui imparammo molto in lunghissime discussioni al Circolo della Stampa, in corso Venezia, a Milano, dove ci riunivamo. Le discussioni proseguivano anche quando ci si incontrava per una pizza, o al telefono, quando per qualche motivo ci capitava di sentirci. Prima di quegli anni, non conoscevo l’impegno civile e sindacale di Amedeo Vergani per il giornalismo, anzi per il fotogiornalismo. Conoscevo solo le sue qualità professionali come fotogiornalista, soprattutto di viaggio. Sapevo che era brianzolo, e spesso ci apostrofavamo amichevolmente in dialetto. Era nato a Erba, in provincia di Como. Aveva cominciato a lavorare, giovanissimo, dopo il liceo, come cronista per il quotidiano La Provincia, di Como. All’inizio, era un semplice “corrispondente di paese”, poi fu assunto e divenne inviato del quotidiano. Verso la fine degli anni Sessanta, il giornale lo incaricò di aprire la redazione di Lecco. Successivamente, diventò responsabile della “nera”. La sua passione per il mondo lo aveva portato a intraprendere viaggi avventurosi, insieme alla moglie. Appena aveva un po’ di tempo libero, partiva. Si era a metà degli anni Sessanta. Il suo interesse lo por-

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tò dapprima verso i paesi dell’Europa dell’Est: Jugoslavia, Albania, Bulgaria. Successivamente, rivolse il suo sguardo verso il Medio Oriente e il Nord Africa: Egitto, Turchia, Iran, Siria, Iraq, Marocco, Tunisia. Nel Settantacinque, fa il suo viaggio di nozze, affrontando il Sahara a bordo della sua Land Rover: nell’occasione, attraversa Marocco, Algeria, Mauritania, Mali e Senegal. Nel Settantasette, già giornalista professionista, lascia la macchina per scrivere per dedicarsi esclusivamente al giornalismo fotografico, specializzandosi in reportage di taglio geografico-sociale. Il suo lavoro è stato apprezzato dai grandi mensili tedeschi, come Geo e Saison, per i quali ha realizzato molti servizi (sulla mafia, sull’apartheid in Sudafrica, sugli Emirati Arabi, sulla Sardegna del banditismo) e alcune copertine, e dal settimanale Stern, per il quale ha prodotto centinaia di servizi. I suoi reportage vengono pubblicati anche sulle più importanti riviste italiane: Epoca, Natura Oggi, Bell’Italia, Airone, Week End. Posso dire con certezza che i suoi lavori degli anni Ottanta e Novanta hanno contribuito a scrivere un pezzo di storia del fotogiornalismo di viaggio. A partire dagli anni Novanta, l’impegno nell’attività sindacale a difesa dei diritti dei fotogiornalisti va via via intensificandosi. È stato presidente del Gruppo di Specializzazione dei Giornalisti dell’Informazione Visiva dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti e componente della commissione contratto della Fnsi. Non voglio concludere il nostro addio ad Amedeo Vergani, mancato lo scorso Primo maggio, e l’espres-

sione del nostro desolato cordoglio alla sua famiglia, prima di riportare righe tratte dal saluto di Franco Siddi, segretario generale della Fnsi. «Con Amedeo Vergani, morto ieri nel sonno a sessantacinque anni, scompare un protagonista dell’informazione visiva, un promotore della qualificazione professionale e dei diritti dei fotogiornalisti, un uomo del sindacalismo di categoria di inesauribili risorse. «Tenacemente attaccato alla sua professione, amata quanto la sua famiglia, radicato nelle sua provincia, brillante e geniale, entusiasta, ha vissuto con passione non comune il lavoro e l’impegno a favore dei colleghi, occupandosi a fondo delle sfide vecchie e nuove per un fotogiornalismo messo in discussione dallo sviluppo della tecnologia e da modelli industriali e organizzativi che ne disconoscono il valore. Un impegno motivato e competente, incardinato in una esperienza professionale vissuta in profondità. «[...] L’ultima battaglia di Amedeo Vergani è per un tariffario minimo (neanche il tempo di verificare gli effetti del primo accordo con l’Uspi), per il riconoscimento della pari dignità del giornalista. Appena un mese fa, l’ultima riunione a Roma, nella sede della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, con i colleghi dei gruppi regionali del settore. Le sue intuizioni, le sue battaglie, le sue proposte sono bagaglio del sindacato di categoria, che ha ora un compito più difficile: continuare senza potersi giovare delle valutazioni, sollecitazioni, azioni di Amedeo Vergani, pronto a qualsiasi ora del giorno e della notte a dare il proprio contributo. Una voce distinguibile e mai inglobata, la sua. Una figura di giornalista che non ha mai messo se stesso davanti all’obiettivo, ma il suo servizio. Un collega da onorare e ricordare con rimpianto e commozione. «Ai famigliari il cordoglio e i sentimenti di vicinanza e affetto della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, della quale Amedeo Vergani è stato consigliere e, fino all’ultimo, dirigente, con il Gruppo dei Giornalisti dell’Informazione Visiva, nonché componente della commissione contratto e consigliere dell’Associazione lombarda dei giornalisti». ❖


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Curiosità Cinema di Antonio Bordoni

2009. ALLA FIN FINE

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Una volta ancora, e non l’ultima, estraiamo considerazioni dalla Storia scritta dal nostro direttore Maurizio Rebuzzini, e pubblicata in allineamento di intenzioni con questa stessa rivista di riflessioni, osservazioni e commenti sulla Fotografia, come recita il suo incipit (nella doppia pagina del Sommario, sotto la ripetizione della testata). Al culmine dei nove capitoli in consecuzione, più quattro, tre prima e uno dopo, 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita approda a inevitabili conclusioni finali. Per l’appunto, 2009. Alla fin fine è il capitolo “dopo”, che avvolge la sostanza di questa Storia, introdotta da tre capitoli di avvio (la premessa di Giuliana Scimé, le Istruzioni all’uso che specificano considerazioni di fondo e il richiamo alla finestra di Gras, di Joseph Nicéphore Niépce, conteggiata come prima fotografia in assoluto, rievocata in una interpretazione

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attuale, nel centosettantesimo anniversario dalle date ufficiali di inizio). Dunque, in prosecuzione e conclusione: «1839-2009: centosettanta anni dalla nascita della fotografia: tutto cambia, per poi restare sempre uguale. Dalla cronaca delle origini ho escluso le polemiche che ne hanno accompagnato l’annuncio e la presentazione, immediatamente successiva. Soltanto, è sempre obbligatorio citare l’infelice espressione di Paul Delaroche, artista più che minore, passato alla storia solo per l’esclamazione “Da oggi la pittura è morta!”, ovvero per pochi secondi della sua vita. Quella affermazione e molte posizioni del presente, di identica cretineria, non hanno senso per chiunque sappia in cosa consiste un’espressione estetica».

CENTOSETTANTESIMO Con Maurizio Rebuzzini: «Centosettanta anni dai giorni della nascita uffi-

ciale della fotografia, per i quali mi sono esplicitamente richiamato alla prima Relazione pubblica italiana, di Macedonio Melloni, del dodici novembre di quel lontano 1839. E poi, tappe che hanno scandito sostanziosi cambi di passo, non (sol)tanto della tecnologia (per quanto «la tecnologia trasformi in realtà antichi sogni» [da Alla Photokina e ritorno, dello stesso autore]), ma del linguaggio espressivo». Oggigiorno, stiamo vivendo l’epoca dell’acquisizione e gestione digitale delle immagini, ufficialmente avviata nell’agosto 1981 dall’annuncio di Akio Morita, fondatore e presidente Sony, appunto la svolta definitiva. Gli equivoci a questo proposito sono ancora tanti, come certificano anche le posizioni espresse da qualcuno (tra i quali Gianni Berengo Gardin, che insiste Prima di cominciare, a pagina quattro di questo stesso numero). Ma soprattutto, equivoci, voci incompetenti e fraintendimenti

Appositamente realizzate, due illustrazioni definiscono 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita: una dà avvio al racconto, l’altra lo conclude. Omaggi alla Storia: evocazione della Veduta dalla finestra di Gras, di Joseph Nicéphore Niépce, del 1826-27, conteggiata come la prima fotografia della Storia, e Latticed Window, di William Henry Fox Talbot, dell’agosto 1835, prima immagine negativa della Storia (pagina accanto). In entrambi i casi, il gesto fotografico ha onorato il processo di Fox Talbot, del negativo su carta: carta sensibile bianconero 18x24cm esposta in ripresa; negativo acquisito a scanner.


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Curiosità a parte, è straordinario rilevare come e quanto già oggi questa nostra epoca “digitale” meriterebbe una analisi approfondita: per se stessa e per le proprie inevitabili consecuzioni sociali e lessicali. È un’idea da non sottovalutare, né scartare. Comunque, non è ancora a questo che si è riferito l’autore Maurizio Rebuzzini nella sua conclusione, riservandosi magari tempo e spazio per un ulteriore saggio? (staremo a vedere). Invece, è rimasto ancorato alla realtà attuale, del 2009 di riferimento, per la quale sottolinea una sorta di Ritorno al futuro (richiamo cinematografico riconosciuto e gioco di parole attinente). Ancora testuale: «Giusto la fotografia digitale è l’indiscussa protagonista dei nostri giorni: nel bene, come in un ricercato male (soprattutto verbale e fonetico). Tanto che, per contraltare, si stanno moltiplicando atteggiamenti fotografici di preteso e pretestuoso sapore antico. Mai come oggi, il foro stenopeico, per dirne una, ha potuto vantare tanti adepti, per lo più avvicinati e attirati proprio dal rifiuto dell’attualità tecnologica. «[...] Ultima spiaggia per certi imbecilli (presto smascherati per ciò che effettivamente non sono e non valgono), il foro stenopeico è la punta di un iceberg che si allarga agli abusi soltanto formali delle toy camera (apparecchi fotografici giocattolo, introdotti

INCIPIT

Latticed Window, di William Henry Fox Talbot, dell’agosto 1835, prima immagine negativa della Storia, e suo positivo. In combinazione, l’omaggio che conclude il lungo tragitto di 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita.

In allineamento con quello che ha definito il precedente saggio di Maurizio Rebuzzini, Alla Photokina e ritorno (Sono un clown, e faccio raccolta di attimi, da Heinrich Böll), l’incipit che introduce 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita è estrapolato da La locomotiva, di Francesco Guccini, dal suo album Radici, del 1972: «E la locomotiva sembrava fosse un mostro strano, che l’uomo dominava con il pensiero e con la mano; ruggendo si lasciava indietro distanze che sembravano infinite; sembrava avesse dentro un potere tremendo, la stessa forza della dinamite». Sostituiamo “locomotiva” con “fotografia”: il risultato non cambia, non è cambiato nei decenni, dal 1839 di origine. Ancora, sostituiamo “locomotiva” con “digitale”, e ne abbiamo un aggiornamento tragico, per quanto riguarda le sterili posizioni/opposizioni/tifoserie dei nostri giorni. Tutto cambia, per poi restare sempre uguale. 1839-2009. Centosettanta anni dopo.

soprattutto dai fenomeni Holga e Diana) e di altre amenità analoghe: che si scompongono tra i salotti buoni dei parvenu (di tendenza) dell’ultimo minuto e le pareti di compiacenti gallerie di nessuno spessore culturale. «Non importa nulla come un autore agisce, ma perché lo fa. Lo affermo con franchezza: è soltanto grottesco pensare che la rivalutazione di strumenti fotografici rudimentali, con i quali autori dell’Ottocento hanno realizzato immagini che ancora oggi tolgono il fiato, basti da sé. È ridicolo fare fotografia senza essere dotati di creatività ed espressività».

SU CARTA Appositamente realizzate, due illustrazioni definiscono 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita: una dà avvio al racconto, l’altra lo conclude. Entrambe sono omaggi alla Storia. Abbiamo già richiamato l’evocazione del-

la Veduta dalla finestra di Gras, di Joseph Nicéphore Niépce, del 182627, conteggiata come la prima fotografia della Storia [a pagina 12 del libro e pagina accanto]. Quindi, certifichiamo che la seconda immagine ricorda un’altra finestra, di William Henry Fox Talbot, il cui calotipo (disegno fotogenico) sta alla base della fotografia come sempre l’abbiamo intesa, nella somma delle sue tante evoluzioni tecnologiche: Latticed Window, dell’agosto 1835, prima immagine negativa della Storia [a pagina 154 del libro e qui sopra]. In entrambi i casi, il gesto fotografico ha onorato il processo di Fox Talbot, del negativo su carta: carta sensibile bianconero 18x24cm esposta in ripresa; negativo cartaceo acquisito a scanner. Per l’omaggio alla Veduta dalla finestra di Gras, l’autore Maurizio Rebuzzini è tornato nella casa di ringhiera di via Bordoni 2, a Milano, nel-

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Curiosità la quale ha vissuto i primi quattordici anni della sua vita. È solito semplificare, dicendo di essere nato lì. Invece, per curiosa coincidenza, è nato al reparto neonatologia, oggi si dice così, dell’Ospedale Macedonio Melloni, di Milano: segno del destino? Comunque, in via Bordoni, ha fotografato la vista che ha accompagnato la sua infanzia, aggiornata al 2009. Quindi, l’omaggio a Latticed Window è la finestra della sua postazione di scrittura, con immancabile computer. Maurizio Rebuzzini commenta così: «Non [...] elevo oltre il lecito una operazione che accompagna questo libro. Però, ho la netta sensazione che

l’allineamento passato-presente, origini-attualità dell’esposizione in ripresa di carta sensibile bianconero, per le successive acquisizione a scanner del negativo-matrice e gestione digitale [alle pagine 12 e 154 del libro], rappresenti qualcosa di meglio del solo giochino delle parti, che invece definisce tanti altri presunti richiami storici, suggeriti dall’ignoranza. «È qualcosa che si proietta in avanti, facendo tesoro ideologico del passato: il tutto osservato da un punto di vista obbligatoriamente viziato, quello di giornalista fotografico, con compiti anche tecnici. Infatti, la conoscenza dipende dalla pratica, cioè dalla produzione e dalla propria attività pro-

fessionale. Oggigiorno, non possiamo ignorare che l’attività produttiva dell’uomo sia l’attività pratica fondamentale, che determina anche ogni altra forma di attività. La conoscenza umana dipende soprattutto dall’attività produttiva materiale: attraverso questa, ciascuno riesce a comprendere grado a grado i fenomeni, le proprietà e le leggi della natura, come pure i propri rapporti con la natura e la realtà; inoltre, attraverso l’attività produttiva, a poco a poco ognuno raggiunge i diversi livelli di comprensione di certi rapporti reciproci fra gli uomini. Tutte queste conoscenze non possono essere acquisite al di fuori dell’attività produttiva». ❖

NON IN ITALIA (A PARTIRE DAI FRANCOBOLLI)

A parte sterili polemiche interne, in Italia la fotografia è assente dalla vita pubblica. Altrove, ne fa parte. Ed è celebrata anche in filatelia. Oltre tanti altri richiami a francobolli, distribuiti sull’intero testo, il capitolo finale 2009. Alla fin fine, di 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita, testimonia alcuni esempi che certificano la condizione appena sottolineata. Uno. Emessa il 10 luglio 1999, la serie di francobolli che illustrano Les œuvres des grands photographes français (alla lettera Opere dei grandi fotografi francesi) riunisce sei valori dedicati ai grandi fotografi francesi, introdotti da un riferimento a Niépce e Daguerre, padri riconosciuti e ufficiali della fotografia (non solo francese, ma tant’è). I valori postali evocano rispettive opere, significative delle singole personalità d’autore: (nell’ordine del foglio filatelico, estraneo a qualsivoglia sequenza temporale, o cronologica, o altro) Robert Doisneau, Brassaï, Jacques-Henri Lartigue, Henri Cartier-Bresson, Eugène Atget e Nadar [FOTOgraphia, giugno 2003]. Due. Il foglio filatelico dei venti Masters of American Photography, emesso il 13 giugno 2002, è introdotto da una fotografia di William Henry Jackson, o di uno dei suoi assistenti: un fotografo con il proprio apparecchio di grandi dimensioni è in equilibrio precario su un picco dell’Overhanging Rock. Questa immagine simboleggia le sfide che hanno dovuto affrontare i fotografi americani della frontiera [FOTOgraphia, febbraio 2003].

Tre. Foglio filatelico di una emissione canadese del 21 maggio 2008, nel centenario della nascita del fotografo Yousuf Karsh, mancato nel 2002. Tre valori: autoritratto del 1952, ritratto del primo ministro inglese Winston Churchill, del 1941, anche copertina di Life, del 21 maggio 1945 (curiosamente, trentasettesimo compleanno del fotografo), e ritratto dell’attrice Audrey Hepburn, del 1956 [FOTOgraphia, luglio 2009]. Quattro. Francia: centenario della fotografia (date ufficiali), 1839-1939 (anno nel quale c’era ben altro di cui occuparsi, con la guerra mondiale alle porte) [FOTOgraphia, marzo 2008]. Centocinquant’anni della fotografia, 1839-1989: Repubblica popolare cinese, Unione Sovietica e Polonia (uno dei due valori della serie dedicata) [FOTOgraphia giugno 2006]. Cinque. Emissione statunitense del 26 giugno 1978, dedicata alla fotografia: è evidente ed esplicito. Per la cronaca, l’apparecchio in legno è perfettamente riconoscibile: Deardorff 8x10 pollici [FOTOgraphia, ottobre 2003].

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Monografia di Maddalena Fiocchi

DAVID BAILEY IN PILLOLE

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David Bailey: Look, la recente monografia illustrata di Phaidon, curata da Jackie Higgins, è un libretto accessibile nel prezzo e nella consultazione. Di piccole dimensioni ma contenuto sostanzioso, con le sue centoventotto pagine a nove euro e novantacinque (con una banconota da dieci, danno il resto), offre e propone in misura efficace un panorama esaustivo del lavoro del celebre fotografo, che dall’inizio degli anni Sessanta ha attraversato le stagioni della moda e dello star system. Dunque, si presta bene ad essere usato come quei bigini scolastici che in una notte soltanto, di solito quella prima degli esami, hanno colmato le lacune più gravi. Se non si è potuto avvicinare in altro modo la personalità fotografica di David Bailey, questa rapida raccolta rappresenta un buon inizio. La copertina rivela immediatamente una delle caratteristiche che definisce l’insieme delle fotografie di David Bailey: Look. Composto con accuratezza cinematografica, un ri-

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tratto del figlio Sascha richiama la trasversalità tra fotografia privata e pubblica, tra fotografia intima e per mestiere. I ritratti di famiglia sono realizzati con piglio professionale, così come, con percorso analogo e inverso, dalle fotografie professionali traspaiono l’amicizia e la complicità con i soggetti. Così che, per associazione di idee, non possiamo non ricordare anche qui, e ancora (?), che l’origine della rivelazione pubblica di istantanee private di fotografi di grido va attribuita alla straordinaria monografia A Photographer’s Life 19902005, di Annie Leibovitz, tradotto in italiano come Fotografie di una vita 1990-2005 (De Agostini). Le cinquantasei illustrazioni che Jackie Higgins ha selezionato dal capace archivio di David Bailey, che si estende su cinquant’anni di fotografia al più alto livello professionale, coprono con intelligenza l’intero arco del suo lavoro, così che ne otteniamo una proficua sintesi (bigino!). Comodi nella nostra poltrona, pagina dopo pagina attraversiamo un tempo individuale, quello dell’autore, che è anche tempo collettivo, quello dello star system internazionale. In un batter di ciglia, da una affascinante Jean Shrimpton, mito e leggenda della moda degli anni Sessanta, fotografata nel 1962, a New York, per l’edizione inglese di Vogue, con la quale si apre la selezione di immagini, approdiamo al ritratto finale di Michelangelo Antonioni, del 2006, un anno prima della sua scomparsa. E qui ci fermiamo un attimo, non prima di aver ribadito che tra i due estremi passano cinquant’anni di fotografia. Già: Michelangelo Antonioni. Già: ritratto di una straordinaria personalità del cinema contemporaneo, nell’inverno della sua esistenza, con la vista ormai minata dal male che presto l’avrebbe vinto. Già: percezione e rapporto tra verità e visibile, che è l’essenza del più celebre film del regista, quel Blow up, del 1966, che il mondo fotografico, e non soltanto questo, ha elevato a cult. Già: Blow up. Ricordiamo che per la definizio-

Catherine Deneuve, 1965. Johnny Deep, 1995.

ne del protagonista, il fotografo londinese di moda Thomas, interpretato da David Hemmings, Michelangelo Antonioni si è ispirato proprio a David Bailey, ai tempi all’apice della sua carriera, vissuta in equilibrio tra trasgressione (controllata e conformista) e bel mondo [di Blow up, e delle sue terribili consecuzioni in relazione alla raffigurazione del fotografo al cinema, ci siamo occupati in tante occasioni, a partire da FOTOgraphia, del novembre 1995]. Così questa agile monografia sottolinea la personalità di David Bailey, conosciuto soprattutto per aver


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Monografia dato un’immagine all’effimero mondo della moda e della cultura dagli anni Sessanta. Come appena annotato, il bigino (continuiamo) si apre proprio con Jean Shrimpton, la figura che rappresenta quel tempo (in anticipo sul prêt-à-porter, che sarebbe arrivato di lì a poco, a partire dalla Swinging London, magari con la minigonna di Mary Quant e della sua raffigurazione fotografica con la modella Twiggy). Avvincente fotografia di moda, dunque, con una splendida modella, alla quale David Bailey è stato legato sentimentalmente (e dopo, ce ne sono state tante altre), che sintetizza la dialettica tra pubblico e privato introdotta dalla copertina, come abbiamo già annotato. Scatti come questo hanno segnato l’inizio della carriera dell’autore e della trasfor-

Jack Nicholson, 1984.

mazione con la quale ha travolto il mondo della fotografia di moda, abbattendo la fissità delle immagini artificiose e ricercate che allora affollavano le pagine di Vogue. Da David Bailey in poi le figure della moda sono state rese dinamiche dal presupposto di un movimento. Attraverso lo sguardo di David Bailey, la sensualità dei soggetti non è più legata alla loro presenza concreta, ma è in grado di raggiungere l’osservatore anche dalla carta patinata sulla quale è riprodotta la fotografia. Proseguendo con l’attenta monografia, qualche pagina più avanti ci si imbatte nel ritratto di Mick Jagger, quello indimenticabile, con le labbra carnose e gli occhi pesti che fanno capolino dall’orlo di pelliccia di un cappuccio. Siamo nel Sessantaquattro, ai tempi della preparazione della raccolta Box of Pin-Ups, dell’anno successivo. Ancora avanti, girando pagina, ecco John Lennon e Paul McCartney, nel Sessantacinque, quasi abbracciati, uno alle spalle dell’altro, con i due volti che occupano verticalmente la parte centrale della composizione. Questa posa si ripete nel ritratto di Cecil Beaton con Rudolf Nureyev (fotografo il primo e ballerino il secondo), con i volti che si dispongono lungo una linea diagonale. È all’epoca di questi posati che

David Bailey: Look; a cura di Jackie Higgins; Phaidon Press Limited, 2010 (www.phaidon.com); 128 pagine 15,6x13,6cm, cartonato con sovraccoperta; sette illustrazioni a colori e quarantanove in bianconero; 9,95 euro.

David Bailey ha cominciato ad adottare il fondo bianco (magari riprendendo lo stilema espressivo di Richard Avedon?), che fa emergere il soggetto, inquadrato e raffigurato in un contesto neutro. Anche il ritratto del fotografo Jacques-Henri Lartigue, del 1982, appartiene a questa genìa, che si alterna a quella del ritratto ambientato: per esempio, l’attore Peter Ustinov (1965) e il fotografo Bruce Weber (2000), a New York, con le Torri Gemelle alle spalle, una muta di cani e l’immancabile Rolleiflex biottica: in questa inquadratura, Manhattan è lanciata nella parabola di un toboga, attorno alla macchia scura creata dall’abbigliamento dello stesso Bruce Weber. Sempre in esterni, David Bailey ha scattato il ritratto di suo figlio Sascha, riportato anche in copertina, e quelli dei fotografi Don McCullin, Brassaï e Helmut Newton. Così come è ambientato l’ultimo ritratto del libro, quello di Michelangelo Antonioni, appena ricordato. In conclusione, fotografando celebrità del mondo dello spettacolo, modelle, tutte le sue (tante) mogli e una consistente rappresentanza di fotografi, compresi i suoi stessi maestri, David Bailey ha creato immagini che talvolta sono diventate vere e proprie icone, come il celebre ritratto di Michael Caine nei panni dell’agente Harry Palmer, del film Ipcress, del 1965, a propria volta autentica raffigurazione caposcuola. ❖

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Se volete sapere quali siano i migliori prodotti fotografici, video e imaging, o avete bisogno di un consiglio da esperti, cercate i qualificati e autorevoli logotipi dei TIPA Awards. Ogni anno, i direttori di trenta riviste di fotografia e imaging, leader in Europa e nel mondo, votano per stabilire quali nuovi prodotti sono davvero i migliori nelle proprie rispettive categorie. I TIPA Awards vengono assegnati in base a qualità, prestazioni e valore, tanto da farne i premi indipendenti della fotografia e dell’imaging dei quali potete fidarvi.


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Ici Bla Bla a cura di Lello Piazza

POYi 2009. Come è noto, il premio POYi è nato nel 1944 presso l’Università della città di Columbia, stato del Missouri (Usa), dove ha sede la Missouri School of Journalism. Da una parte, il suo scopo è quello di riconoscere i fotogiornalisti che, nonostante i terribili tempi di guerra (all’origine la Seconda guerra mondiale), riescono a svolgere un lavoro egregio per informare i cittadini; dall’altra, quello di creare un archivio delle migliori testimonianze sugli eventi di cronaca più importanti del tempo. Inizialmente, il premio fu definito First Annual Fifty-Print Exhibition, per diventare News Pictures of the Year Contest, nel 1948. Nel 1957, l’Università del Missouri e la National Press Photographers Association (Nppa) riunirono i rispettivi premi con l’unica definizione Pictures of the Year. Nel 2001, l’Università ha ceduto il controllo del premio alla scuola di giornalismo e l’Nppa ha lasciato; sono quindi entrati, tra gli sponsor, Fujifilm, National Geographic e il canale televisivo statunitense via cavo MSNBC. Contemporaneamente, il concorso è diventato internazionale, assumendo l’attuale definizione: POYi. Altre informazioni a www.poyi.org. A cavallo tra febbraio e marzo sono stati annunciati i vincitori della sessantasettesima edizione, datata 2009. Nella sezione Newspaper Photographer of the Year si è affermato Paul Hansen, del quotidiano svedese Dagens Nyheter, con un lavoro sull’Aids in Sudafrica [al centro, in alto], che, con i suoi cinque milioni e settecentomila contagiati, è il paese più colpito del mondo. Nella sezione Free Lance ha vinto Tomas van Houtryve, dell’agenzia inglese Panos Pictures, con un lavoro sui fan del presidente Barack Obama che, davanti a un maxischermo situato nell’Hôtel de Ville di Parigi (il municipio), assistono alla cerimonia di insediamento [al centro, seconda fotografia]. Il tema del reportage che ha fatto guadagnare a Thomas Lekfeldt, del tabloid danese Ekstra Bladet, il primo posto nella categoria World Understanding riguarda i duecentomila bambini che, nel mondo, ogni anno muoiono di cancro: A Star in the Sky (una stella nel cielo) è il suggestivo titolo del suo lavoro [al centro, terza fotografia].

Premiati al POYi 2009. Cimitero di Khayelitsha: funerale di un uomo deceduto per Aids (di Paul Hansen: Newspaper Photographer of the Year). Fan di Barack Obama, che assistono alla cerimonia di insediamento da un maxischermo nell’Hôtel de Ville di Parigi (di Tomas van Houtryve: Free Lance Award). A Star in the Sky (una stella nel cielo), reportage sui bambini che muoiono di cancro (di Thomas Lekfeldt: World Understanding).

Reportage ambientalistico The Death of the Colorado, sulla morte del fiume Colorado (di Brian L. Frank: Global Vision Award). Reportage sugli interventi della polizia di Norfolk, in una zona della città infestata da gang giovanili (di Preston Gannaway: One Week’s Award). Love me, di Zed Nelson, edizione Contrasto, menzione d’onore nella categoria Best Use Books.

Questa rubrica riporta notizie che sono appartenute alla cronaca. Però, nel loro richiamo e riferimento molti motivi ci impediscono di essere tempestivi quanto la cronaca richiederebbe. Ciononostante riteniamo giusto proporle, perché siamo convinti che non abbiano perso la propria attualità, e continuino a offrire spunti di riflessione. Il Global Vision Award è andato a Brian L. Frank, dell’agenzia Redux di New York, per il reportage ambientalistico The Death of the Colorado, sulla morte del fiume Colorado, realizzato per Global Post, un’agenzia di informazione internazionale online [al centro, quarta fotografia]. Sempre in ambito fotogiornalistico, il One Week’s Award è andato a Preston Gannaway, del quotidiano The Virginian-Pilot, con una storia riguardante gli interventi della polizia di Norfolk, Virginia (Usa), in una zona della città infestata da gang giovanili [al centro, quinta fotografia]. Infine, oltre al vincitore della sezione Best Use Books, il libro Rape of a Nation, di Marcus Bleasdale della VII [FOTOgraphia, febbraio 2009], editore Schilt Publishing, segnaliamo con piacere lo speciale riconoscimento dei giudici a Love me, del fotografo Zed Nelson, pubblicato dall’editore italiano Contrasto [al centro, in basso].

HANNO I RAZZI. FUOCO! Invece erano teleobiettivi! Il sette aprile i quotidiani hanno dato notizia dell’ennesima strage di “fuoco amico” (sai che consolazione [a pagina 20]). È il 12 luglio 2007. Un elicottero Apache dell’esercito americano pattuglia dal cielo le strade di Bagdad. Le telecamere dell’elicottero registrano sia quello che si vede dal velivolo, sia le voci dei militari a bordo, che scambiano il teleobiettivo di Namir Noor-Eldeen, fotografo dell’agenzia Reuters, ventidue anni, per un lanciarazzi. Fanno fuoco, e oltre a lui falciano a morte il suo autista, il quarantenne Saeed Chmagh, e altri nove cittadini, tra i quali alcuni bambini, senza contare i feriti, che avevano l’unica colpa di passare da quelle parti. I dialoghi dei militari sono agghiaccianti soltanto per chi non ha abbastanza fantasia per immaginare l’odio che ti cova dentro quando, in

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Ici Bla Bla

Da La Repubblica, del sette aprile, la rivelazione del video trasmesso da www.wikileaks.org, che certifica la carneficina del 12 luglio 2007, quando un elicottero Apache dell’esercito Usa ha sparato sulla folla, dopo aver frainteso il teleobiettivo di Namir Noor-Eldeen, fotografo dell’agenzia Reuters, ventidue anni, per un lanciarazzi.

Da La Repubblica, del tre aprile: prove fotografiche che certificano, testimoniandola, una colossale evasione fiscale avvenuta nella provincia di Milano: 41.031 immobili non dichiarati, per un valore di trentuno milioni di euro.

Il reportage War in Gaza, di Khalil Hamra, ha ottenuto il Robert Capa Gold Medal Award. Khalil Hamra, dell’Associated Press, Robert Capa Gold Medal Award 2010.

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FOTOGRAFIA CONTRO L’EVASIONE. Forse è un po’ tirata per i capelli, ma la fotografia è la incontestabile testimone di una colossale evasione fiscale avvenuta nella provincia di Milano [a sinistra, in basso]. Grazie a un rilievo fotografico aereo, la Guardia di Finanza ha scoperto, e ha ora in mano, le prove dell’esistenza di 41.031 immobili non dichiarati, per un valore complessivo di trentuno milioni di euro, che fanno parte di quella cifra compresa tra i centomila e i duecentomila miliardi di euro di evasione fiscale (secondo, tra gli altri, il Fondo Monetario Internazionale). Come si faccia a nascondere un immobile, mi piacerebbe saperlo: ma i vigili dalla strada non li vedono?

GAMMA E RAPHO RILEVATE DA FRANÇOIS LOCHON. Con una notizia pubblicata dal sito di Le Monde il sette aprile, segnalatami da Guido Alberto Rossi dell’agenzia Tips, di Milano, veniamo a conoscenza del fatto che le prestigiose agenzie francesi Gamma e Rapho e il fondo Keystone, di proprietà del gruppo Eyedea, che lo scorso novembre aveva portato i libri in tribunale, sono state rilevate per centomila euro da François Lochon, fotogiornalista e senior dirigente di Gamma. François Lochon ha promesso di salvare i tre marchi e ventidue posti di lavoro su un totale di sessantacinque. Questi marchi rappresentano uno dei più importanti fondi fotografici del mondo: circa trenta milioni di documenti, stampe, negativi e diapositive, realizzati da più di undicimila autori, che coprono tutta la storia del Ventesimo secolo. I nostri auguri più affettuosi a questa coraggiosa iniziativa.

PREMIO CAPA. Nel 1939, un gruppo di giornalisti fonda a New York l’Overseas Press Club, con lo scopo di mantenere una rete di contatti tra i corrispondenti stranieri in America, di promuovere i più elevati standard professionali e morali nel mon-

SCENA DA UN MATRIMONIO.

ASSOCIATED PRESS

guerra, sei sotto minaccia a ogni istante. Ma questa minaccia non autorizza nessuno a fare quello che fanno troppi soldati, né autorizza i loro comandi a dare una versione diversa dell’accaduto. Secondo il tenente colonnello Scott Bleichwehl, portavoce delle truppe Usa a Bagdad, «le forze della coalizione sono state ingaggiate in combattimento con una forza ostile: è fuori di ogni dubbio». Intanto, secondo una prudente stima dell’Iraq Body Count, le vittime civili delle azioni “ingaggiate in combattimento con una forza ostile” sono molte di più di centomila. La pubblicazione del video non è certo dovuta a un’autodenuncia dei comandi Usa. La carneficina è stata rivelata dal sito www.wikileaks.org.

do dell’informazione, di formare una giovane generazione di giornalisti, di contribuire alla indipendenza e alla libertà dell’informazione (www.opcofamerica.org). Ogni anno, l’Opc assegna premi di giornalismo. Tra i tanti, segnaliamo il Robert Capa Gold Medal Award, attribuito al fotografo Khalil Hamra, dell’Associated Press, per il suo reportage War in Gaza [al centro, in basso] che ha coperto l’incursione militare israeliana nella striscia di Gaza, nel 2007, esponendosi a rischi enormi. Khalil Hamra è nato in Kuwait, nel 1979, da genitori palestinesi. Nel 2001, si è laureato in giornalismo presso l’Islamic University, di Gaza, e nel 2002 ha cominciato a collaborare come freelance con l’Associated Press. Sue immagini sono state esposte nella mostra Intifada, presentata a Visa pour l’Image 2004.

Nel numero di aprile di Photo District News, la nota rivista newyorkese di fotografia, viene segnalato il premio (annuale) PDN’s Topknots, the new school of wedding photography. Sponsorizzato da Nikon, Dwf (software house) e Black River Imaging (società che offre un servizio di stam-


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Ici Bla Bla Fotografia di Lisa Lefkowitz, vincitrice al PDN’s Topknots, the new school of wedding photography.

pa di libri con le proprie immagini via web), come rivela la definizione, il premio è riservato alle giovani generazioni di professionisti che si dedicano alla fotografia di matrimonio. Segnalo uno dei vincitori di quest’anno, non per il suo spessore culturale, ma per la mia sorpresa di vedere premiata una immagine simile, in un contesto dedicato a una cerimonia che celebra il vincolo della famiglia. Sarò vittima di un modo di dire popolare, ma quella testa di bongo (Boocercus eurycerus), che campeggia sopra la sposa, non mi sembra di grande auspicio [qui sopra]. La fotografia è Lisa Lefkowitz, basata a Portola Valley, California. Il titolo è Getting ready (preparazione). Ecco il commento dell’autrice: «Per gli ultimi ritocchi all’abito, ho chiesto alla sposa e a sua madre di mettersi proprio sotto la testa dell’animale. Temevo che non fossero d’accordo con la mia richiesta, e invece ne furono molto felici, soprattutto la sposa». Mah!

(a destra, in alto) Per sei mesi, Justin Quinnell ha lasciato appese per la strada una serie di lattine stenopeiche: il sole ha tracciato sulla carta sensibile il proprio passaggio nel cielo. (a destra, in basso) Fotogramma da Police State Pete, di Mark Fiore, pubblicato sul web del San Francisco Chronicle, premio Pulitzer per l’ Editorial Cartooning.

L’ERUZIONE ISLANDESE. I vulcani possono offrire uno degli spettacoli più belli della natura. Ad aprile, quello nascosto sotto l’Eyjafjallajökull, uno dei ghiacciai più piccoli d’Islanda [con lo stesso nome si indicano sia il vulcano, sia il ghiacciaio: infatti, la desinenza “jökull” significa ghiacciaio], ha dato luogo a una delle più spettacolari eruzioni degli ultimi anni. Questa eruzione ha bloccato per giorni il traffico aereo in tutta Europa. Ma gli scienziati del Monterey Bay Aquarium Research Institute (California) sostengono che, entro una decina di anni, gli oceani potrebbero trarre un enorme beneficio dalla ricaduta delle polveri (dotate di notevoli proprietà fertilizzanti) che hanno bloccato gli aerei. L’eruzione è stata anche l’occasione per scattare alcune fotografie spettacolari, come quella che presentiamo. Ne è autore Lucas Jackson, dell’agenzia Reuters, che il ventidue aprile ha realizzato una ripresa rara, nella quale compare sia il pennacchio infuocato dell’eruzione, sia la magica luce di un’aurora boreale nel cielo [a sinistra, in basso]. CLASS ACTION CONTRO GOOGLE. Il sette aprile, l’American Society

Eruzione del vulcano Eyjafjallajökull, in Islanda, fotografata il ventidue aprile da Lucas Jackson, dell’agenzia Reuters: si vede il pennacchio infuocato dell’eruzione e la magica luce di un’aurora boreale.

of Media Photographers (Asmp) ha annunciato di essersi unita a The Graphic Artists Guild, The Picture Archive Council of America, The North American Nature Photography Association (Nanpa), The Professional Photographers of America (Ppa), i fotografi Morton Beebe, Ed Kashi, Al Satterwhitee e Leif Skoogfors, e gli illustratori John Schmelzer e Simms Taback, in una class action per copyright infringement contro Google, accusata di aver scandito illegalmente milioni di libri e altre pubblicazioni che contengono immagini protette da copyright. Vedremo come va a finire.

MERAVIGLIA STENOPEICA. Tra le incredibili immagini realizzate da Justin Quinnell, ne proponiamo una [a destra, in alto]. Tutte le fotografie sono state scattate nello stesso modo. L’autore ha usato delle lattine di bibita. Sulla parete cilindrica di ciascuna ha praticato un sottile foro stenopeico. All’interno delle lattine ha poi collocato carta fotografica sensibile, da impressionare dalla luce

che attraversa il foro. Infine, per sei mesi, da giugno a dicembre, ha lasciato appese le lattine, così trasformate in “macchina fotografica”, a diversi pali elettrici di Bristol (Inghilterra). Risultato: il sole ha lasciato sulla carta sensibile traccia del proprio passaggio nel cielo: ovviamente, più o meno alta sull’orizzonte, a seconda della stagione. Semplicemente geniale. Maggiori informazioni a: www.pinholephotography.org.

PULITZER A UN GIORNALE ONLINE. Segnalo che, per la prima volta, un giornale digitale, la versione web del San Francisco Chronicle (www.sfgate.com), ha ricevuto un premio Pulitzer. Mark Fiore, che lavora alla versione digitale del Chronicle ed è autore di brevi cartoon (filmatini ironici o satirici, dedicati a fatti di cronaca), si è aggiudicato il Pulitzer per l’Editorial Cartooning. Qui presentiamo un fotogramma del suo Police State Pete, pubblicato sul web il ventotto aprile scorso [qui sotto]. I cartoon di Mark Fiore, appaiono sul sito ogni giovedì. Segnalo anche l’inchiesta che Sheri Fink ha realizzato in collaborazione con il New York Times. The Deadly Choices at Memorial riguarda morti misteriose in un ospedale di New Orleans, dopo l’uragano Katrina. L’inchiesta ha vinto il premio nella categoria Investigative Reporting.

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Ici Bla Bla Eleonora Blanco, Mara Bottoli, Eleonora Calvelli, Chaterine Cameron, Paolo Cenciarelli, Alessia Cerqua, Alessia Cervini, Carlofelice Corini, Jacqueline Crousillat, Nicoletta Di Ruocco, Giulio Favotto, Raffaele Gallo, Eugenio Grosso, Salvatore Lembo, Cristina Marinelli, Antonello Mazzei, Patrizia Mucchi, Alessandro Penso, Marcella Persichetti, Luigi Redavide, Francesca Speranza, Helen Stokes, Gerardo Tomasiello e Domenico Ventura [a sinistra, in basso]. Le stampe della mostra sono state curate da The Photographers Room di Milano (www.thephotographersroom.com). Con le immagini della mostra è stato realizzato un catalogo, sfogliabile su www.blurb.com.

Per quanto riguarda gli altri premi, il Washington Post e il New York Times si sono aggiudicati, rispettivamente, quattro e tre premi in diverse categorie. Il Seattle Times, un “giornale di provincia”, si è aggiudicato il premio nel settore Breaking News. Rimando al sito www.pulitzer.org.

SESSANTA ORE A ROMA. Nella sede Fnac di Roma, presso il Centro Commerciale Porta di Roma, in via Alberto Lionello 201, dallo scorso ventotto aprile al successivo ventisette maggio si è svolta la mostra In Between 60 ore a Roma, frutto del lavoro di ventiquattro fotografi giovani che hanno partecipato a un workshop protrattosi sessanta ore, dalle dieci di mattino del 29 maggio alle dieci di sera del 31 maggio 2009. Durante il workshop, è stata fotografata Roma nei propri angoli meno famosi, eliminando volutamente dai soggetti i richiami turistici di Campo dei Fiori, Trastevere, Trinità dei Monti, Colosseo e Vaticano. L’area individuata è stata la cosiddetta Terra di Mezzo, tra il Centro Storico e il Grande Raccordo Anulare, con i quartieri del Mandrione, Garbatella, Testaccio e Primavalle. Le immagini in mostra sono parte di quelle proiettate l’anno scorso al Palazzo delle Esposizioni, alla fine del progetto. L’iniziativa è nata da una collaborazione tra Carlo Roberti, direttore del Toscana Photographic Workshop, Emiliano Paoletti, di Zoneattive, e Marco Delogu, responsabile di Fotografia (che organizza e svolge eventi in tema). Hanno partecipato al progetto:

HUBBLE COMPIE VENT’ANNI. Il 24 aprile 1990 la missione spaziale Discovery STS-31 ha portato in orbita lo straordinario Hubble Space TelescoFotografia ripresa dal telescopio spaziale Hubble: Nebulosa Carina, a settemilacinquecento anni luce dalla Terra. È rappresentata l’attività cosmica in colonne di gas interstellare alte circa tre anni luce (circa ventottomila e cinquecento miliardi di chilometri, circa centottantacinquemila volte la distanza tra la Terra e il Sole).

Fotografia di Domenico Ventura, da In Between 60 ore a Roma, ventiquattro fotografi giovani, esposti alla sede Fnac della capitale.

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pe, che in questi anni ha realizzato scoperte fantastiche, riuscendo a curiosare fino nelle zone più remote dell’universo [FOTOgraphia, novembre 2008], osservando e scoprendo più di trentamila oggetti celesti e cambiando il volto della astronomia. Dopo recenti guai, che sembravano aver definitivamente compromesso lo specchio principale del telescopio, i tecnici sono riusciti a riparare e ridare la vista al glorioso occhio nello spazio. Proponiamo la fotografia più recente scattata da Hubble. È rappresentata l’attività cosmica in colonne di gas interstellare alte circa tre anni luce (circa ventottomila e cinquecento miliardi di chilometri, circa centottantacinquemila volte la distanza tra la Terra e il Sole). L’ampia area è quella della Nebulosa Carina, a settemilacinquecento anni luce dalla Terra [qui sotto]. ❖


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Cinema

di Maurizio Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

OSSESSIONE ROLLEIFLEX

C

Come è noto e risaputo, soprattutto nell’ambito di coloro i quali seguono con passione e interesse la fotografia in tutte le proprie manifestazioni possibili, il film statunitense Fur. Un ritratto immaginario di Diane Arbus presenta e offre un consistente retrogusto fotografico, peraltro prontamente segnalato già nel titolo. Appunto per coloro i quali conoscono la materia, non certo per il grande pubblico generico, quantomeno per quello non statunitense, “Diane Arbus” è inequivocabilmente fotografia. Infatti, come sappiamo, Diane Arbus è una delle figure predominanti del secondo Novecento, ovverosia della fotografia espressiva sostanzialmente contemporanea. Abbiamo approfondito in tempi adeguatamente recenti, nel dicembre 2008, in occasione della riedizione della monografia Diane Arbus, a venticinque anni dall’originaria e a trentasette dalla prematura scomparsa dell’autrice (per mano propria), proposta in edizione italiana da Photology. In quell’occasione lo certificammo, e ora riprendiamo, testuale: «Figura di spicco della storia espressiva della fotografia, la statunitense Diane Arbus ha manifestato una perso-

nalità creativa quantomeno controversa e sofferta. Lei stessa ne è stata vittima, morendo suicida nell’estate 1971 [il ventisei luglio, con i polsi tagliati, nella vasca da bagno vuota], a quarantotto anni. Certamente, è una autrice con la quale ogni possibile storia della fotografia deve fare i propri conti, condividendone la visione ossessiva, oppure prendendone le distanze, ma mai ignorandola». Prima fotografa (statunitense) ad aver varcato i confini che quarant’anni fa tenevano la fotografia distante e separata dall’espressione dell’arte, con una personale allestita alla (allora) selettiva Biennale di Venezia, dove nel 1972 rappresentò (postuma) il proprio paese, Diane Arbus si impose all’attenzione internazionale nel 1967, partecipando con trenta im-

DUE SOTTO IL PANNO

Rolleiflex a parte, attraverso la quale e con la quale si materializza la ribellione di Diane Arbus agli schemi imposti dalla famiglia e dal lavoro commerciale in sala di posa, per motivi inevitabili, il film Fur offre altri siparietti fotografici. Tra i tanti, segnaliamo una sequenza di fotografia commerciale in sala di posa, durante la quale Allan e Diane Arbus stanno insieme sotto il panno protettivo del vetro smerigliato della Sinar Norma 13x18cm su colonna e controllano l’inquadratura verticale del soggetto, appunto visualizzato scenograficamente.

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Il cinematografico Fur. Un ritratto immaginario di Diane Arbus si propone come flashback. Comincia là dove finisce la ribellione della celebre fotografa agli schemi precostituiti. Indipendentemente dalla sceneggiatura, già commentata in FOTOgraphia del novembre 2006, oggi sottolineiamo l’ossessione Rolleiflex, che attraversa tutta la scenografia.

magini alla fantastica selezione New Documents, presentata al Museum of Modern Art di New York, con la quale il curatore John Szarkowski stabilì i termini della nuova fotografia contemporanea (nella collettiva, anche Lee Friedlander e Garry Winogrand). Secondo Patricia Bosworth, che ha compilato una approfondita biografia, appunto Diane Arbus. Una biografia (alla quale ci stiamo per riferire, a proposito del cinematografico Fur; Serra e Riva Editori, 1987), quella esposizione fu «un trionfo, che rese celebre Diane Arbus, ma ne accelerò anche il declino emotivo; l’artista temeva che la propria opera fosse fraintesa e, soprattutto, soffriva le nuove aspettative che il successo generava intorno a lei».

IL FILM Ne abbiamo riferito in cronaca, nel novembre 2006, e qui si impone una doverosa ripetizione.


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Cinema ISTRUZIONI ALL’USO

Presentato in Italia e lanciato con grande clamore, tanto da inaugurare il Primo Festival del Cinema di Roma, venerdì 13 ottobre 2006, una settimana prima di arrivare ufficialmente nelle sale, dal venti ottobre, Fur ha richiamato l’attenzione dei media prima di altro, e soprattutto, per la protagonista Nicole Kidman, attrice da prima pagina nella cronaca rosa internazionale. Su un’altra lunghezza d’onda, il mondo fotografico è stato invece attirato dalla trama annunciata, peraltro sottolineata nel titolo completo, che, come appena rivelato, specifica Un ritratto immaginario di Diane Arbus. Nonostante le aspettative, firmato dal regista Steven Shainberg, Fur. Un ritratto immaginario di Diane Arbus è un film niente affatto fotografico. Infatti, per quanto Patricia Bosworth, appena citata, sia tra i coproduttori della pellicola, la sceneggiatura di Erin Cressida Wilson non ha alcun debito di riconoscenza con la sua Biografia ufficiale, che Rizzoli

Simbolo ed emblema della ribellione di Diane Arbus, la Rolleiflex biottica, così diversa rispetto le macchine fotografiche del lavoro professionale accanto al marito Allan, è tenuta nascosta sotto il letto, pronta per essere usata per le escursioni verso la Vita (altrui e propria).

Proprio così. Giusto istruzioni all’uso, che paiono riprese dalle sequenze esplicative che hanno accompagnato i libretti di istruzione delle Rolleiflex biottica. Chi ha vissuto questa esperienza conosce le attenzioni per caricare il rullo 120 all’interno, con passaggio obbligato attraverso un labirinto adeguatamente intricato. Chi ha vissuto questa esperienza è consapevole di individuate difficoltà di caricamento, sostanzialmente estranee alle facilitazioni di altri sistemi fotografici, rivolti al grande pubblico. La Rolleiflex biottica no. Indirizzata a utilizzatori consapevoli e convinti, era/è estranea a qualsiasi semplificazione. Aperto il dorso e inserito il rullo 120 nel proprio vano, la carta di protezione va indirizzata con attenzione, fino ad agganciarsi al rocchetto ricevitore, dopo aver percorso un tragitto prestabilito e, come già rivelato, tortuoso. Quindi, si richiude il dorso e si blocca la chiusura con l’apposita leva sul fondo, coassiale all’attacco filettato per treppiedi. Ecco qui, la sequenza cinematografica da Fur, la cui sceneggiatura sottolinea l’ossessione fotografica di Diane Arbus, che si esprime anche con la consapevole finalizzazione della composizione quadrata della Rolleiflex, attraverso le quali (composizione quadrata e Rolleiflex) si manifesta la sua ribellione dagli schemi della famiglia e della fotografia commerciale.

Immancabilmente, concessione scenografica più che utilità fotografica, la Rolleiflex è sempre dotata di proprio affascinante flash a lampadina.

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Cinema ha ripubblicato, in coda allo stesso film: nuovo titolo più appetibile (da un pubblico di taglio consapevolmente pettegolo): Diane Arbus. Vita e morte di un genio della fotografia (350 pagine 14x21,5cm; 18,50 euro; con fascetta esterna aggiuntiva “da questo libro il film Fur con Nicole Kidman”). Semmai, rileviamolo, Fur. Un ritratto immaginario di Diane Arbus si limita, non soltanto attarda, sull’ossessione della fotografa per i definiti “freaks”, soggetto esplicito, addi-

Da Fur, dettagli oltre la Rolleiflex.

Leica a vite e Hasselblad.

ANCHE HASSELBLAD

A un certo momento di Fur, agendo come assistente del marito Allan fotografo, Diane Arbus prepara un’Hasselblad per una sessione fotografica. Recupera un magazzino portapellicola, che prontamente inserisce sul corpo macchina: sequenza cinematografica quasi didattica.

Lampadina inserita nel flash.

rittura unico, della sua concentrata parabola visiva. Se proprio vogliamo, il film descrive la formazione dell’espressione artistica (fotografica) di Diane Arbus, indipendente dall’avvio di una professione nell’ambito della moda e pubblicità a fianco del marito Allan (per la cronaca, Allan Arbus lasciò la fotografia commerciale, per intraprendere una carriera di attore: lo troviamo soprattutto in serie televisive, con apparizioni marginali sul grande schermo).

Oltre la concretezza fotografica del racconto, il film Fur offre e propone avvincenti dettagli di inquadratura con protagonista l’immancabile Rolleiflex. Come ha annotato Guido Crepax, riferendone per la sua Valentina, la Rolleiflex è proprio fotogenica.

Obiettivo per Hasselblad.

Citofono dello Studio Arbus.

UN’ALTRA OSSESSIONE Dunque, Fur. Un ritratto immaginario di Diane Arbus è meno fotografiPiastra porta obiettivi grande formato.

Album nel quale Diane Arbus raccolse le prime fotografie delle sue peregrinazioni attraverso la Vita (altrui e propria).

Rulli 120 esposti (Exposed).

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Cinema

co di quanto lo sono (state) precedenti sceneggiature incentrate sulla figura di fotografi veri o presunti, da E.J. Bellocq, di Pretty Baby (FOTO graphia, febbraio 2010) a Weegee (circa), di Occhio indiscreto, ai fotoreporter Margaret Bourke-White e Joe Rosenthal, rispettivamente evocati in Gandhi e Flags of Our Fathers (FOTOgraphia, maggio 2008). Per non richiamare, ancora, Il coraggio di Margaret, film televisivo basato sulla biografia della celebre fotogiornalista che compare in Gandhi. Dunque, se vanno cercati riferimenti letterari ispiratori, Fur. Un ritratto immaginario di Diane Arbus ha maggiori debiti di riconoscenza con la bibliografia dei titoli sui “freaks”, i fenomeni fisici le cui anomalie sono state messe a frutto nei circhi e spettacoli itineranti di fine Ottocento e inizio Novecento. Tanto è vero che l’etimologia della definizione/identificazione si richiama al film Freaks, del 1932, un horror del regista Tod Browning che accese le luci della ribalta su una serie di personaggi da “corte dei miracoli” (che si ripete in Fur), che Diane Arbus andava a vedere continuamente, nei cinemini alternativi del Village, che lo programmavano senza soluzione di continuità. Da cui, ribadiamo come la sceneggiatura di Fur. Un ritratto immaginario di Diane Arbus sia più orientata verso le ossessioni dell’artista che sulla personalità d’autrice (fatto salvo un dialogo che conclude, quasi, la vi-

Al culmine della propria ossessione per i “freaks”, le cui anomalie fisiche l’hanno clamorosamente attratta, nel film Fur, Diane Arbus (interpretata da una improbabile Nicole Kidman) ritrae il proprio vicino di casa Lionel Sweeney (Robert Downey Jr), liberato dall’eccesso di peli (fur!) che lo relega nel mondo degli anomali.

Immancabilmente Rolleiflex, alla fine di Fur, in collegamento di sceneggiatura con l’inizio del film (a pagina 24).

cenda; in un campo nudisti, Diane Arbus, con Rolleiflex biottica tra le mani, incontra una ragazza: «Vuoi farmi una fotografia?», «No, non ancora»). Ora, esauriti gli interessi originari per il film, possiamo osservarne la scenografia, l’allestimento scenico, da un altro punto di vista, che dà spessore e risalto a un’altra ossessione trasversale a tutta la sceneggiatura: quella di Diane Arbus per la propria Rolleiflex biottica. Il film ne è pieno, il film ne fa prezioso elemento visivo (così come ha fatto per decenni Guido Crepax, mettendo tra le mani una simil Rolleiflex, o anche autentiche Rolleiflex biottica, alla sua eroina a fumetti Valentina. Da un’intervista rilasciataci nel 1989, e ripresa all’indomani della scomparsa del celebre autore [FOTOgraphia, settembre 2003]: a domanda «All’inizio Valentina ha avuto diverse macchine fotografiche; come mai, poi, usò soprattutto la fantasiosa Polly Max, tipo Rolleiflex biottica?», Guido Crepax rispose «Era la più bella da disegnare, tutto lì. Aveva belle forme e poi era bella da tenere tra le mani; se si potesse dirlo, era fotogenica. Poi mi piaceva anche perché lasciava libero il viso, mentre altre macchine fotografiche si debbono portare all’altezza dell’occhio. La Polly Max era congeniale alle esigenze del disegno»). In una cura scenografica addirittura magistrale, come lo sono spesso (sempre?) quelle statunitensi, in Fur compaiono elementi fotografici adeguati ai tempi del racconto, che si distribuisce tra l’inizio degli anni Cinquanta e i secondi anni Sessanta: apparecchi fotografici, obiettivi, accessori e pellicole sono in perfetta armonia e, soprattutto, sono allineati ai tempi narrativi. Trasversale, come appena rilevato, è l’ossessiva presenza della biottica Rolleiflex, che a margine dell’im-

pegno in sala di posa accanto al marito Allan, materializza la fuga di Diane Arbus dalla fotografia commerciale, dalla quale si allontana consapevolmente per abbracciare una propria esigenza esistenziale di creatività visiva e interpretativa. Nel film, la Rolleiflex biottica finisce per diventare addirittura il motivo conduttore della ribellione dagli schemi, anche da quelli della ricca famiglia di origine, formalista oltre ogni possibile sopportazione individuale. Quindi, la incontriamo e ritroviamo con incessante... ossessione. Appunto, dalle prime scene del film, mentre scorrono i titoli di testa (il racconto è una sorta di flashback) [a pagina 24], fino all’inquadratura finale [qui a sinistra]. Con tanto tra i due momenti estremi. ❖

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APPUNTI FOTOGRAFICI


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Noir Vertical. Jean-Christophe Béchet / Carnets - #1. Climats. Jean-Christophe Béchet / Carnets - #2.

Trans Photographic Press, 2009; 48 pagine 24x30cm; 32,20 euro.

Due monografie illustrate danno avvio a quella che si propone come collana fotografica di evocazione, ricordo e riflessione. Pubblicate nel contenitore annunciato Jean-Christophe Béchet / Carnets, Noir Vertical e Climats rivelano e manifestano subito un’intenzione che ci pare esplicita: quella della fotografia realizzata con amore e partecipazione, e condivisa nel medesimo spirito. Tra tanto altro, una straordinaria lezione sui valori che definiscono sempre l’espressività fotografica dei nostri giorni e nei nostri giorni

di Angelo Galantini

P

otrebbe essere vero. Dipende tutto dalle attenzioni individuali e dalla voglia (non soltanto capacità) di ricordare (soprattutto ciò che merita di essere ricordato: è questo il caso). Jean-Christophe Béchet dovrebbe essere rimasto impresso nella mente di chi segue queste pagine di riflessione fotografica per le sue Vues n° 0, che abbiamo presentato e commentato nel maggio di tre anni fa, nella primavera 2007. Rievochiamo che quei suoi fantastici e affascinanti Fotogrammi Zero (e anche meno) definirono i tratti di una posizione decisa e motivata su uno dei delicati rapporti che collegano tecnica a creatività, forma a contenuto, apparenza a sostanza. Esposte in mostra, e quindi raccolte in monografia (tripla), le sue Vues n° 0 hanno composto i tratti visivi di un dichiarato manifesto per la fotografia argentica (analogica). E non apriamo alcun altro dibattito in merito: soltanto, pren-

diamo doverosamente atto di una evocazione partecipe, convinta, motivata e colta. Tanto diversa, per intenderci, dalle sterili diatribe che altrove, e altrimenti, alimentano una discussione che non ha motivo di esistere ed essere perseguita. Punto. In tutti i casi, è obbligatoria, non soltanto necessaria, un’altra precisazione, utile per identificare la personalità fotografica del parigino Jean-Christophe Béchet. Redattore del prestigioso mensile Réponses Photo, uno dei più qualificati a livello internazionale, autorevole personaggio della fotografia francese, Jean-Christophe Béchet ha una personalità in qualche modo e misura allineata con quella che governa e guida le nostre stesse pagine. Senza soluzione di continuità, si muove a proprio agio dalle considerazioni originariamente tecniche agli approfondimenti culturali ed estetici. Tanto che osserva la fotografia senza condizionamenti di sorta e senza stabilire inutili scale gerarchiche. Ciò precisato, Jean-Christophe Béchet è anche raffinato autore, che declina una fotografia di osservazione del vero, per offrire delicate visioni contemporanee. Qualche stagione fa, in anticipo temporale sulla riflessione Vues n° 0, appena richiamata, ha pubblicato una raffinata e coinvolgente serie fotografica, Tokyo Station, dedicata, come rivela il titolo, a una delle più intricate reti metropolitane del mondo, forse la più intricata in assoluto. Qui, l’autore ha individuato sia la forma sia il contenuto di una socialità stravolta (rispetto la tradizione orientale), nella quale si manifestano riti ripetuti e riti effimeri che definiscono una contemporaneità convulsa. Con occhio attento, mano ferma e sicura, educazione visiva solida, in Tokyo Station, Jean-Christophe Béchet ha manifestato una rappresentazione ed espressività fotografica di alto pre(continua a pagina 32)

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(continua da pagina 29) gio e livello, degna di allinearsi al moderno fotogiornalismo di documentazione e interpretazione, che sta definendo i nostri tempi. Allestite con un editing consapevole e convinto, quelle fotografie raggiungono sia l’osservatore ignaro del soggetto, sia quello che conosce in qualche modo e misura l’argomento. Così che, quella fotografia si presenta autenticamente tale, appunto fotografia, ricca della propria profondità comunicatrice e cosciente del proprio linguaggio espressivo: dalla forma (apparente) al contenuto (sottotraccia). Ora, a distanza di anni, quasi a scandire un passo di stagioni che si alternano, succedendosi le une alle altre, Jean-Christophe Béchet pubblica due monografie simultanee, che danno avvio a quella che si annuncia come collana di considerazioni e pensieri fotografici: per l’appunto, Jean-Christophe Béchet / Carnets. Non si tratta (più) di fotografie a tema, di progetti svolti con attenzione coerente, ma di fotografie (d’archivio) riunite in relazione ad altri minimi comun denominatori trasversali, che si distribuiscono su situazioni, tempi e luoghi diversi. Apparentemente diversi, sia chiaro, ma collegati e uniti tra loro da quel sottile filo narrativo che è proprio e caratteristico (o quantomeno dovrebbe esserlo) della fotografia che racconta, della fotografia lieve che si rivolge simultaneamente al cuore e alla mente dell’osservatore. Jean-Christophe Béchet / Carnets - #1: Noir Vertical e JeanChristophe Béchet / Carnets - #2: Climats sono esattamente questo, adempiono effettivamente questa intenzione: della fo-

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tografia da condividere, per muoversi ciascuno sul e con il passo dell’autore, piuttosto che per partire dal suo ritmo per affrontare proprie evocazioni. Nessuna delle fotografie messe in pagina, con una consecuzione che consente la concentrazione individuale e pubblicate con lodevole cura editoriale, rappresenta soltanto se stessa. Nel proprio insieme sono brani di un racconto complessivo, che prende spunto dalla realtà (inevitabile) dei soggetti raffigurati per accompagnare l’osservatore verso altri territori e proprie considerazioni. Sia le ventidue fotografie di Climats, tutte a colori, tutte a inquadratura orizzontale, sia le trentotto di Noir Vertical, ovviamente in bianconero e verticali, appartengono alla memoria dell’autore Jean-Christophe Béchet tanto quanto, con identico spirito e valore, fanno parte del bagaglio di conoscenze ed esperienze individuali di ciascuno, indipendentemente dai singoli soggetti-pretesti. Così che, non si tratta tanto di pensare alle fotografie come tali, lo ripetiamo, ma di considerare il senso di un tragitto al quale invita l’autore. È ovvio: Climats affronta la condizione dell’Uomo che esiste in rapporto al proprio ambiente (e clima conseguente), mentre Noir Vertical stravolge la visione originaria a colori e orizzontale, per osservare tutto in bianconero con inquadratura, composizione e concentrazione opposta. Ognuno ricerchi e ritrovi se stesso e la propria esistenza. Questo è uno dei più nobili compiti e princìpi della fotografia dell’anima, realizzata con amore e condivisa con altrettanto amore. ❖


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di Antonio Bordoni

A Quando il marchio dei TIPA Awards appare in un annuncio pubblicitario, un pieghevole o sulla confezione di un prodotto, potete esser certi che è stato meritato. I TIPA Awards sono motivo di orgoglio per chi li attribuisce e per coloro che li ricevono.

nche se è improprio, l’allineamento ufficiale tra i TIPA Awards (premi TIPA), assegnati ogni anno a una selezionata serie di prodotti fotografici, identificati come i migliori nella propria categoria, e gli Oscar hollywoodiani, analogamente assegnati a una selezionata serie di professionismi del cinema, a propria volta identificati come i migliori nella propria categoria, è più che legittimo. Addirittura, è ideologicamente motivato e lecito. Lo è in chiave giornalistica, diversa da ogni altra affermazione di parte. Infatti, tra le due assegnazioni -per quanto così distanti tra loro e ancora più distanti (per le ripercussioni commerciali)- scorre un filo comune che va subito individuato, segnalato e sottolineato. Gli Oscar del cinema sono conferiti dalla Academy of Motion Picture Arts and Sciences, un’organizzazione professionale onoraria costituita da personalità che hanno condotto la propria carriera nel mondo del cinema. Per l’assegnazione della ambìta statuetta dorata, ufficialmente definita Academy Award of Merit, votano oltre seimila giudici. Tra i tanti propri meriti, l’Oscar ne ha almeno uno, trasversale a tutte le sue categorie: quello di saper identificare gli spostamenti della società -diciamo, il costume che avanza-, ai quali il cinema sa dare voce e senso, proponendosi come momento di analisi e riflessione (oltre l’assolvimento della condizione originaria di “spettacolo”). Allo stesso modo, ecco qui l’allineamento plausibile tra gli Oscar e gli altrettanto ambìti TIPA Awards (su altro piano e con altre prospettive), anche questi premi della tecnologia fotografica, anno dopo anno, stagione dopo stagione, riconoscono, rilevano, rimarcano e mettono l’accento sull’evoluzione tecnica di un intero comparto. Lo spirito è lo stesso, così come è identica l’autorevolezza di una giuria composta da direttori e/o redattori di ventotto riviste di fotografia e imaging, tra i quali gli italiani Giulio Forti, direttore ed editore di Fotografia Reflex e Maurizio Rebuzzini, nostro direttore ed editore.

PREMESSA Riprendendo il testo che accompagna l’annuncio tabellare, ospitato anche su queste pagine, va sottolineato quanto ribadisce in termini oggettivi e condivisibili il valore dei TIPA Awards: «Se volete sapere quali siano i migliori prodotti fotografici, video e imaging, o avete bisogno di un consiglio da esperti, cercate i qualificati e autorevoli logotipi dei TIPA Awards. Ogni anno, i direttori di ventotto riviste di fotografia e imaging, leader in Europa e nel mondo, votano

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per stabilire quali nuovi prodotti sono davvero i migliori nelle proprie rispettive categorie. I TIPA Awards vengono assegnati in base a qualità, prestazioni e valore, tanto da farne i premi indipendenti della fotografia e dell’imaging dei quali potete fidarvi». In anticipo su nuove adesioni, che si sono concretizzate nell’assemblea annuale 2010 TIPA (Technical Image Press Association), e che non hanno partecipato alle votazioni di quest’anno, ma dal prossimo sì, quando giudicheranno trenta direttori e redattori (con l’arrivo dell’australiana Camera e della cinese Chinese Photography ), la giuria 2010 ha impegnato rappresentanti di ventotto riviste fotografiche di prestigio internazionale: Photo Life (Canada); Réponses Photo (Francia); Digit!, Foto Hits, Inpho, Photographie, Photo Presse e Profi Foto (Germania); Photographos e Photo Business (Grecia); Digital Photo, Photography Monthly, Practical Photography e Professional Photographer (Inghilterra); Fotografia Reflex e FOTO graphia (Italia); Fotografie F+D, FotoVisie e P/F (Olanda); Foto (Polonia); Arte Fotográfico, Diorama, Foto/Ventas Digital, FV / Foto Video Actualidad e La Fotografia Actual (Spagna) PiX Magazine (Sudafrica); Shutterbug (Usa); Digitális Fotó Magazin (Ungheria). Come già rilevato in altre occasioni, e la ripetizione si impone, statisticamente parlando, l’eterogeneità dei punti di vista dei membri dell’autorevole Technical Image Press

GLI OSCAR DELL


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Association assicura la fondatezza dei giudizi espressi e meriti accordati, che appunto derivano e dipendono da una confortevole e concentrata osservazione tecnica a giro tondo, senza soluzione di continuità. La configurazione TIPA evita ogni possibile predominanza e preconcetto. Addirittura, risulta benefica, oltre che straordinariamente efficace, la comunione di intenti tra riviste dichiaratamente tecniche, che con competenza elevano le relative condizioni a valore assoluto e inviolabile, e riviste rivolte all’immagine, che subordinano il momento originariamente tecnico all’interpretazione creativa (se proprio vogliamo rilevarlo, FOTOgraphia, che porta in TIPA la propria particolare esperienza e visione, è ancora altro: riflessione, analisi, approfondimento anche del linguaggio e degli stilemi espressivi). Confermiamo, ribadendolo, che le riviste TIPA rivendicano un ruolo di competenza fuori dal comune, capace di analizzare il mercato fotografico che dal proprio presente si proietta in possibili e potenziali scenari del futuro, immediato ma anche più lontano. A diretta conseguenza, così profondamente studiati e motivati, i TIPA Awards si affermano come i più qualificati e prestigiosi premi della tecnica e tecnologia fotografica, e per questo sono ambìti. Ogni anno, i TIPA Awards scompongono il mercato, identificando al proprio interno categorie merceologiche significative per se stesse e nell’insieme che disegnano e definiscono. A differenza delle analisi commerciali compilate su schemi adeguatamente oggettivi, il punto di osservazione dei vivaci e brillanti TIPA Awards è assolutamente meno asciutto: soprattutto, è guidato da una competen-

Selezionati con ammirevole competenza tra quanti sono stati introdotti sul mercato nell’ultimo anno, dall’aprile 2009 al marzo 2010, gli autorevoli TIPA Awards 2010 confermano e ribadiscono la personalità di queste significative attribuzioni, affermatesi stagione dopo stagione. Sono i più prestigiosi, qualificati e ambìti premi della fotografia, assegnati dalla selettiva giuria della Technical Image Press Association, composta dai redattori e/o direttori di ventotto qualificate riviste internazionali di fotografia, di dodici paesi. Assegnati a ventotto marchi, quaranta TIPA Awards 2010 riconoscono, rilevano, rimarcano e mettono l’accento sull’evoluzione tecnica dell’intero comparto della fotografia te visione reale e realistica del mercato fotografico, che dalla tecnica si proietta all’uso e, quindi, all’espressione creativa individuale.

TIPA AWARDS 2010 / 1 In relazione e dipendenza dello spirito già rilevato, ma la consecuzione è inversa (non i premi in subordine, ma i premi che definiscono la condizione), i prestigiosi TIPA Awards 2010 «riconoscono, rilevano, rimarcano e mettono l’accento sull’evoluzione tecnica di un intero comparto». Ne sono stati assegnati quaranta, a certificazione di un mercato in grande sommovimento, che impone sempre nuove attenzioni alle singole espressioni tecnologiche, che scandiscono talmente nuove interpretazioni da richiedere, per conseguenza diretta, altrettante scomposizioni orizzontali (e verticali?). Al solito, con ordine. Quattro categorie di reflex, ancora identificate DSLR, secondo codifica internazionale (appunto, reflex digitale), ma ormai soltanto tali: reflex, perché l’equivoco non sussiste più. Il mondo fotografico attuale è digitale e non può presupporre altre configurazioni tecniche. Tanto è vero che proprio su queste stesse pagine da tempo evitiamo la specifica “digitale”, per riferirci unicamente alla scomposizione plausibile tra “reflex” e “compatte”. (continua a pagina 38)

Nikon D3s: Reflex professionale. Leica M9: Apparecchio di prestigio. Hasselblad H4D-40: Sistema medio formato.

LLA FOTOGRAFIA

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nuova interfaccia Live Guide, che consente anche ai meno esperti di fotografia di ottenere facilmente i risultati desiderati. Basata sul Sistema Micro QuattroTerzi, è una compatta a obiettivi intercambiabili dotata di flash incorporato e stabilizzatore, per immagini di alta qualità, in una costruzione estremamente compatta.

Quando il marchio dei TIPA Awards appare in un annuncio pubblicitario, un pieghevole o sulla confezione di un prodotto, potete esser certi che è stato meritato. I TIPA Awards sono un motivo di orgoglio per chi li attribuisce e per coloro che li ricevono. ■ Best D-SLR Entry Level Pentax K-x

Equipaggiata con sensore Cmos da dodici Megapixel, modalità di rimozione della polvere, stabilizzatore applicato al sensore, modalità di registrazione video, otturatore da 1/6000 di secondo e gamma di sensibilità espandibile a 6400 e 12.800 Iso equivalenti, questa reflex digitale compatta entry-level è la scelta perfetta per scoprire le peculiarità del sistema reflex. Il prezzo conveniente e un contenuto tecnico di tutto rispetto sono ben combinati per assaporare il piacere dello scatto. ■ Best D-SLR Advanced Canon Eos 550D

Con una definizione di diciotto Megapixel, la Eos 550D fa concorrenza alla consorella Canon più costosa. Questa reflex vanta una modalità di registrazione video Full-HD 1920x1080 pixel, un’efficiente Live View, una impressionante quantità e qualità di impostazioni e funzioni e, pur essendo destinata a utenti esigenti, può essere utilizzata anche da non professionisti. Un compromesso eccellente. ■ Best D-SLR Expert Canon Eos 7D

Con questa Eos, realizzata per fotografi non professionisti, Canon dimostra che l’impiego del sensore APS-C non è un ostacolo e permette di ottenere immagini di alta qualità. La nuova Eos 7D da diciotto Megapixel, con sensore Cmos, garantisce risultati eccellenti fino a una sensibilità di 3200 Iso equivalenti. I fotografi d’azione mettono a frutto l’otturatore veloce, fino a 1/8000 di secondo, e il frame-rate molto elevato. L’eccezionale modalità di registrazione di video HD fa di questa reflex la scelta adeguata per i professionisti del video. ■ Best D-SLR Professional Nikon D3s

Caratterizzata da gran parte delle funzioni che hanno determinato il successo della Nikon D3, la D3s rappresenta una pietra miliare nella storia della fotografia: è la prima reflex a vantare la sensibilità record di 102.400 Iso equivalenti. Superbamente costruita, con un eccellente mirino e un sistema autofocus di alto livello, è la reflex ideale per i professionisti, in particolare per chi si occupa di reportage e fotografia d’azione e di sport. ■ Best Compact System Camera Entry Level Olympus Pen E-PL1

Progettata come compatta entry-level, la Olympus Pen E-PL1 è dotata di una

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■ Best Compact System Camera Advanced Panasonic Lumix DMC-G2

Utilizzando lo standard Micro QuattroTerzi, Panasonic ha creato una compatta di nuova generazione, priva di specchio e mirino pentaprisma, ma dotata di un mirino con modalità Live View permanente, AF a contrasto ad alta velocità e precisione, funzione di registrazione di video HD e display touch screen con Touch-AF. Leggera, la Lumix DMC-G2 è la compatta ideale che i fotografi dovrebbero portare sempre con sé. ■ Best Compact Camera Sony Cyber-shot DSC-HX5V

La Sony Cyber-shot DSC-HX5V è la prima compatta al mondo a integrare le funzioni GPS e Compass (bussola), oltre all’esclusiva Sweep Panorama. È dotata di uno zoom 25-250mm (equivalente) e di un sensore Cmos Exmor R da 10,2 Megapixel. La modalità incorporata HDR (High Dynamic Range), con correzione del controluce, produce risultati naturali e bilanciati nelle scene a contrasto elevato. Lo SteadyShot ottico, con la nuova modalità Active, assicura una correzione delle vibrazioni dieci volte superiore rispetto alle compatte tradizionali. ■ Best Expert Compact Camera Canon PowerShot G11

Ben costruita e facile da usare, dotata di tutte le funzioni manuali di cui necessitano i fotografi, la PowerShot G11 è lo strumento perfetto per lavorare con precisione e discrezione. Lo zoom 28140mm (equivalente) e il sensore abilmente limitato a dieci Megapixel sono le due caratteristiche che consentono di definirla una compatta per esperti. Non solo affascina il principiante, ma rassicura lo specialista. ■ Best Superzoom Camera Fujifilm FinePix HS10

I fotografi esperti, che desiderano la versatilità e le prestazioni di una reflex, senza l’ingombro e il prezzo che solitamente la contraddistinguono, ora hanno a disposizione la soluzione perfetta: Fujifilm FinePix HS10. La FinePix HS10 vanta un’ampia gamma di caratteristiche, tra le quali un potente zoom 24-720mm (30x, equivalente), sofisticati controlli fotografici, un’avanzata funzionalità, una gestione simile a quella di una reflex e un’eccellente qualità delle immagini. Il tutto, in un corpo macchina compatto e dal costo contenuto. ■ Best Rugged Compact Camera Casio Exilim EX-G1

La compatta Casio Exilim EX-G1, impermeabile e resistente alle intemperie, è stata progettata con elementi antiurto, sia all’interno sia all’esterno; si è ottenuto così un look accattivante, per una configurazione ultrapiatta dall’estetica funzionale. Oltre ad acquisire immagini da 12,1 Megapixel ad alta risoluzione, la EX-G1, con zoom ottico 3x, vanta altre funzioni sostanziose, come lo scatto multiplo temporizzato, per la registrazione immagini insolite.

■ Best Medium Format D-System Hasselblad H4D-40

La H4D-40 è dotata di un sensore di medio formato da quaranta Megapixel e della tecnologia True Focus, con processore Absolute Position Lock (APL), per una messa a fuoco automatica più semplice ed accurata, a vantaggio dei professionisti della fotografia. La linea H4D è stata progettata per soddisfare le esigenze dei fotografi di fascia alta, che desiderano il meglio in termini di qualità delle immagini e di prestazioni. ■ Best Prestige Camera Leica M9

Da tempo attesa dai patiti del telemetro, la Leica M9 ha subito conquistato un pubblico esigente. Con un sensore da diciotto Megapixel a pieno formato, può essere utilizzata con tutti i leggendari obiettivi Leica M, che mantengono la visione della lunghezza focale nominale. Costruita splendidamente, con una semplicità lussuosa, offre un’eccellente qualità di immagine e riporta il riferimento Leica al centro del reportage fotografico. ■ Best Entry Level Lens Sigma 17-70mm f/2,8-4 DC Macro OS HSM

Progettato per essere utilizzato con reflex digitali con sensore di acquisizione APS-C, questo zoom versatile corrisponde all’escursione 26-105mm (equivalente). Si differenzia dalle configurazioni più tradizionali per la generosa apertura relativa del diaframma (f/2,8-4), lo stabilizzatore ottico (OS) e il sistema HSM dell’autofocus: dotazioni molto apprezzate. Zoom moderno di livello commerciale medio, mette a disposizione caratteristiche ottiche di fascia alta. ■ Best Expert Lens Sony 28-75mm f/2,8 SAM

Questo robusto zoom standard Sony offre una luminosità massima/relativa f/2,8 costante e un’efficace tecnologia SAM, per un autofocus rapido, a fronte di un investimento economico ragionevole. Inoltre, assicura immagini nitide e corrette in termini di distorsione e vignettatura. Ciò significa che non è necessaria la postproduzione per migliorare la qualità dei file. ■ Best Professional Lens AF-S Nikkor 70-200mm f/2,8G ED VR II

Lo zoom tutto tele AF-S Nikkor 70200mm f/2,8G ED VR II è stato realizzato per essere impiegato con le reflex digitali ed analogiche Nikon. Per questo zoom sono state adottate tecnologie esclusive Nikon, tra le quali sette lenti in vetro ED, a basso indice di dispersione, rivestimento ottico Nano Crystal, innovativo sistema di riduzione delle vibrazioni (VR II), che garantisce la compensazione delle vibrazioni della reflex equivalente a un aumento di quattro stop nei tempi di otturazione, e motore SWM (Silent Wave Motor). ■ Best Expert Photo Printer Epson Stylus Pro 3880

Con l’impiego dell’avanzato sistema Epson UltraChrome K3 di quarta generazione, con otto inchiostri a pigmenti Vivid Magenta per stampe di alta qualità, che durano nel tempo, la Epson Stylus Pro 3880 garantisce stampe veloci e flessibili; fino al formato A2+, sia

in bianconero sia a colori, è adatta a diverse applicazioni. Dall’ingombro ridotto, la Stylus Pro 3880 è dotata di numerose funzioni supplementari, come la connettività ad alta velocità tramite USB 2.0 e Ethernet. ■ Best Multifunction Photo Printer Canon Pixma MP990

Progettato per semplificare la stampa fotografica, la multifunzione Canon Pixma MP990 è dotata di numerose caratteristiche innovative, come la Correzione dell’Esposizione Multizona, i miglioramenti nella rilevazione del volto, l’analisi della scena e la correzione della luminosità e della saturazione. La MP990 utilizza la funzione Auto Photo Fix II, che consente di ottenere il massimo dalle fotografie e correggere molti errori comuni, come le immagini sottoesposte. ■ Best Large Format Printer Canon imagePrograf iPF6350

La imagePrograf iPF6350, per formato A1, è caratterizzata dal nuovo sistema Canon di inchiostri a dodici pigmenti Lucia EX e da innovative tecnologie, che garantiscono stampe con una gamma cromatica più ampia. È stata creata per soddisfare le esigenze dei professionisti che desiderano una sofisticata qualità di stampa. La imagePrograf iPF6350 vanta una funzione di calibrazione del colore che utilizza un multisensore interno ad alte prestazioni, per ottenere una riproduzione uniforme del colore. ■ Best Fine Art Inkjet Paper Canson Infinity Baryta Photographique 310

La Baryta Photographique 310, di Canson Infinity, è una autentica carta baritata inkjet finalizzata all’uso di inchiostri a pigmenti. Consiste in una carta bianco puro, in fibra di cellulosa alpha, senza acidi, rivestita con uno strato di solfato di bario (lo stesso rivestimento utilizzato per le carte fotografiche all’alogenuro d’argento) e una patinatura per trattenere i colori a getto d’inchiostro. Questa carta “qualità museo” offre gli stessi risultati estetici e di resa dell’immagine delle tradizionali stampe baritate, eseguite in camera oscura, ed è conforme agli standard stabiliti dalla norma ISO 9706, per la massima durata nel tempo. ■ Best Expert Photo Projector Panasonic PT-AE4000

Il proiettore Panasonic PT-AE4000 proietta immagini Full-HD a 1080p, con una notevole nitidezza, con una luminosità di 1600 lumen, un rapporto di contrasto pari a 100.000:1 e la tecnologia Intelligent Frame Creation a 100Hz, per ridurre l’effetto sfocato. Adesso, gli appassionati di home theatre possono beneficiare di uno schermo in formato wide 2,35:1, senza l’effetto Cinemascope e con la qualità originale voluta dai registi cinematografici e televisivi. ■ Best Pro Photo Projector Epson EH-TW5500

Il proiettore Epson EH-TW5500 vanta uno straordinario rapporto di contrasto di 200.000:1 e incorpora la tecnologia 3LCD, per immagini nitide, luminose e cristalline. Inoltre, la certificazione ISF permette a ogni rivenditore Epson di calibrare il videoproiettore, garantendo così che sia impostato in modo tale da ottenere sempre prestazioni eccellenti. La funzione di interpolazio-


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ne dei frame fa sì che la visione risulti fluida, mentre, grazie alla funzionalità Super-Resolution, le immagini appaiono più chiare.

■ Best Photo Frame Sony DPF-X1000N

Per molto tempo, Adobe Photoshop è stato lo standard indiscusso dei software professionali per l’imaging digitale. Photoshop CS5 rafforza ulteriormente questa fama, aggiungendo funzioni come il Content-aware fill (riempimento in base al contenuto), il nuovo Pennello correttivo al volo, l’effetto burattino e numerose opzioni 3D. La correzione aberrazioni degli obiettivi, basata su database o profili personalizzati, rappresenta una novità avvincente per i fotografi esperti.

Sony ha sfruttato la tecnologia TruBlack per ottenere i contrasti elevati e i riflessi minimi necessari per visualizzare fotografie di alta qualità su un display LCD. La cornice fotografica Sony DPF-X1000N è dotata di una memoria incorporata di 2GB e di un software dedicato, che perfeziona le tonalità dell’incarnato grazie alla funzione di rilevamento dei volti. Inoltre, è disponibile una pratica funzione di ricerca, che consente di individuare facilmente un’immagine all’interno di un intero archivio. Infine, questa cornice fotografica di lusso può essere collegata a un televisore HD (come i Sony Bravia), per la presentazione di diapositive su monitor di grandi dimensioni.

■ Best Photo Scanner Epson Perfection V600 Photo

■ Best Storage Media SanDisk Extreme Pro

Lo scanner Epson Perfection V600 Photo vanta un consumo ridotto, per una massima efficienza, e non necessita di riscaldamento iniziale, per acquisizioni immediate. Lo scanner crea immagini di alta qualità, alla risoluzione ottica di 6400dpi e alla densità ottica pari a 3,4 Dmax. Epson Perfection V600 Photo è caratterizzato da un lettore per trasparenti incorporato, che supporta anche fotogrammi panorama in medio formato. Peculiarità di questo scanner è la funzione di rimozione di polvere e graffi con le tecnologie Digital ICE, utilizzabile per l’acquisizione di pellicole e fotografie.

La linea di schede SanDisk Extreme Pro CompactFlash è stata progettata per soddisfare il flusso di lavoro dei fotografi professionisti. Con memorie disponibili da 16GB a 64GB, la serie consente una velocità di lettura/scrittura di 90 MB/s, consentendo sequenze continue di immagini grezze RAW più compresse Jpeg, oppure lunghe sessioni di registrazioni di video HD con reflex professionali. San Disk Power Core Controller distribuisce più rapidamente i dati dell’immagine all’interno della scheda, e perciò garantisce prestazioni professionali. Le schede SanDisk Extreme Pro sono operative a temperature che vanno da meno 25 a più 85 gradi, e vantano un rivestimento in silicone RTV che aumenta la protezione contro l’umidità.

■ Best Photo Software Adobe Photoshop CS5

■ Best Imaging Innovation Fujifilm FinePix Real 3D Technology

La tecnologia 3D Fujifilm mette a disposizione dei consumatori un modo semplice per creare e vedere fotografie e video tridimensionali (appunto, 3D). Con la compatta FinePix Real 3D W1, la fotografia tridimensionale avanzata diventa possibile come la fotografia standard (in due dimensioni). Il display della compatta consente di visualizzare immediatamente le immagini 3D acquisite. La cornice digitale 3D (opzionale) permette di mostrarle in dimensioni più grandi. Infine, possono essere prodotte stampe su supporti lenticolari, che restituiscono l’effetto 3D. ■ Best Accessory Manfrotto RC2 Joystick Heads

Le nuove teste joystick Manfrotto offrono un modo ergonomico di sbloccare, muovere e bloccare rapidamente una macchina fotografica, in modo tale che si possa inquadrare e riposizionare liberamente. L’ultima generazione di teste joystick Manfrotto utilizza tecnologie e materiali innovativi, per design e specifiche tecniche. Le teste offrono un funzionamento intuitivo e rapido, un maggior confort e un peso ridotto. ■ Best Digital Accessory Wacom Cintiq 21UX

Progettata per soddisfare le esigenze particolari di fotografi professionisti, designer, artisti ed esperti dell’animazione, la tavoletta Wacom Cintiq 21UX è in grado di rilevare la più lieve pressione dello stilo sulla superficie LCD, con duemilaquarantotto livelli di sensibilità (2048). Otto pulsanti ExpressKey, totalmente programmabili, posizionati su ciascun lato della cornice del display, permettono di migliorare il flusso di lavoro e la produttività, grazie alla comoda collocazione dei comandi necessari per le diverse applicazioni.

prese grandangolari. I sistemi di stabilizzazione si concentrano sulla massima estensione dello zoom, ma i tremolii si verificano anche con focale grandangolare, specialmente quando chi riprende si muove insieme al soggetto. Nella videocamera GZ-HM1, JVC ha applicato la tecnologia a prisma, per risultati efficaci in queste condizioni.

bisogno di spazio. Le borse Up-Rise sono dotate di un parapioggia rimovibile, numerose tasche per le schede di memoria e gli accessori minimi, oltre a un interno arancione, che consente di individuare facilmente l’equipaggiamento in ogni condizione luminosa.

■ Best Mobile Imaging Device Kodak Playsport

Progettato per gestire sia fotografie sia video, il monitor Eizo CG243W widescreen da 24,1 pollici è dotato di un pannello LCD con tecnologia IPS e una risoluzione nativa di 1920x1200 pixel. Il monitor vanta ampi angoli di visione di 178 gradi in orizzontale e verticale. La sua gamma cromatica riproduce il 98 percento dello spazio colore Adobe RGB. ColorEdge CG243W e consente la calibrazione dell’hardware, applicata al monitor stesso e non alla scheda grafica del computer.

Al giorno d’oggi non è possibile ignorare l’importanza dei social network e il ruolo significativo dell’imaging al loro interno. Negli ultimi anni, le cosiddette “videocamere tascabili” si sono diffuse molto tra gli utenti abituali dei social network. La Kodak Playsport si differenzia dai competitor per il corpo impermeabile (fino a tre metri di profondità). Inoltre, registra video HD da 1080p e acquisisce fotografie da cinque Megapixel: è dotata di pulsanti facili da usare e di un design accattivante, lucido e resistente. ■ Best Retail Finishing System HP Photosmart ML1000D Minilab Printer

HP Photosmart ML1000D Minilab è il primo minilab a getto d’inchiostro a secco, in grado di produrre stampe fotografiche su un solo lato e pagine fronte-retro, per fotolibri e calendari in un’unica macchina. I rivenditori al dettaglio che utilizzano questo minilab possono aumentare la propria efficienza operativa riducendo notevolmente il consumo energetico, eliminando l’impiego di pericolosi agenti chimici e di acqua e limitando i costi di produzione.

■ Best Storage Backup System LG NAS N2B1

■ Best Photo Kiosk HiTi Mini Photo Kiosk P510K

LG NAS N2B1 è un dispositivo che prima era disponibile solo per il mondo del business: si tratta di un sistema di storage NAS per la rete, con masterizzatore Blu-ray. È dotato di due slot per hard disk, con capacità massima di 2TB ciascuno, configurabili singolarmente e “hot swappable” (non è necessario spegnere o riavviare la piattaforma). È dotato di interfacce USB 2.0, e-SATA e Ethernet di 1GB, oltre a un lettore di schede di memoria SD, MMC, MS e xD; per cui è molto utile per gli utenti esperti e i professionisti.

HiTi Mini Photo Kiosk P510K rappresenta la più pratica soluzione standalone per la finitura fotografica professionale, e offre ai fotografi il più piccolo chiosco a sublimazione di colore con bobina di carta integrata. È dotato di un ampio monitor touch screen LCD TFT da 10,2 pollici, che garantisce una grande flessibilità e robustezza, nonostante il peso di soli diciotto chili. Può essere gestito dai clienti del negozio tramite un computer o indipendentemente.

■ Best Entry Level Camcorder Samsung HMX-H205

La linea di flash Multiblitz Profilux Plus, con monotorcia da 200Ws, 400Ws e 600Ws, propone nuovi standard tecnologici. Le unità possono funzionare tramite alimentazione a rete o a batteria. La fotocellula del ricevitore radio integrato, a sedici canali, garantisce un funzionamento flessibile a distanza. La serie Profilux Plus vanta una durata del lampo a partire da 1/3000 di secondo e tempi di ricarica da 0,2 secondi. La potenza variabile fino a sette stop, con Profilux Plus 600, e a sei stop, con Profilux Plus 400 e 200, consente regolazioni di precisione.

La videocamera Samsung HMX-H205 vanta una impressionante quantità/qualità di funzioni avanzate e rappresenta un’opportunità impareggiabile per i consumatori che desiderano registrare video Full-HD di alta qualità, a un prezzo competitivo. La HMX-H205 è dotata del nuovo sensore Cmos BSI, progettato per assorbire più luce dei sensori tradizionali e garantire prestazioni eccellenti in condizioni di scarsa luminosità. La HMX-H205 utilizza il sistema Solid State Drive (SSD), che garantisce un vantaggio sostanziale rispetto all’uso degli Hard Disk Drive (HDD) in una videocamera digitale. ■ Best Expert Camcorder JVC Everio GZ-HM1

In condizioni di scarsa luminosità, la videocamera JVC GZ-HM1 garantisce risultati migliori, grazie a un nuovo sensore Cmos con sensibilità fino a quattro Lux. JVC ha anche perfezionato il contenimento delle vibrazioni nelle ri-

■ Best Flash System Multiblitz Profilux Plus

■ Best Photo Bag Vanguard Up-Rise

La linea Vanguard Up-Rise è disponibile in cinque versioni e ridefinisce gli standard delle borse fotografiche, grazie alla possibilità di aumentare le dimensioni per soddisfare le esigenze di sostituzione di obiettivi e attrezzatura. Ogni modello Up-Rise amplia la capacità di carico grazie a una semplice cerniera, e la riduce quando non si ha più

■ Best Photo Monitor Eizo Color Edge CG243W

■ Best Photo TV Display LG Electronics 50/60PK950

LG 50/60PK950 (come le versioni 960, 980 e 990) offre una connettività a banda larga e utilizza le tecnologie più recenti, per un’ottima qualità delle immagini, siano esse fotografiche o video. Gli schermi da 50 e 60 pollici non solo riproducono video HD in modo eccellente, ma offrono agli amanti della fotografia un’opportunità di alta qualità, per visualizzare le immagini salvate su una penna USB. Il filtro LG TruBlack contribuisce a bloccare i bagliori durante la riproduzione delle immagini sullo schermo, per migliorarne la resa. Il rapporto di contrasto di 5.000.000:1 garantisce colori vivaci e neri profondi. ■ Best Photo Service Blurb Inc

Nel mercato attuale, esistono molte società di self-publishing rivolte direttamente al consumatore, ma nessuna offre l’esclusiva combinazione di libri fotografici dalla qualità professionale (con un massimo di quattrocentoquaranta pagine) e un servizio online per la vendita degli stessi libri. I libri Blurb sono caratterizzati da stampa a quattro colori di qualità commerciale su carta opaca da ottanta grammi o su carta con finitura seta da cento grammi. Le edizioni con sovra-copertina rigida prevedono una rilegatura resistente nel tempo con finitura in lino da otto punti o con sovraccoperta laminata a quattro colori. ■ Best Special Award The Impossible Project

TIPA onora il progetto The Impossible Project, che mira a reintrodurre nel mercato le classiche pellicole a sviluppo immediato utilizzate dagli apparecchi Polaroid. La pellicola a sviluppo immediato è stata, e lo è tuttora, un importante supporto per la fotografia artistica, ma è scomparsa subito dopo che Polaroid Corporation ne ha cessata la produzione. Il materiale della pellicola usata per The Impossible Project combina le caratteristiche del formato, della sensibilità e della manipolazione della pellicola istantanea analogica tradizionale con la presenza nuova ed esclusiva di tonalità monocromatiche con base argento. Supportato dalla Ilford Photo, attualmente The Impossible Project prevede due confezioni di pellicole PX monocromatiche (è già stata annunciata una nuova pellicola a colori, e ne seguiranno altre), e porta avanti il lavoro (e il sogno) dell’inventore della fotografia a sviluppo immediato Edwin H. Land.

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AF-S Nikkor 70-200mm f/2,8G ED VR II: Obiettivo professionale. Sony 28-75mm f/2,8 SAM: Obiettivo expert. Sony DPF-X1000N: Cornice digitale.

Sony Cyber-shot DSC-HX5V: Compatta. Olympus Pen E-PL1: Compatta (sistema) entry level. Pentax K-x: Reflex entry level.

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(continua da pagina 35) Comunque, nell’ambito dei TIPA Awards segnaliamo quattro categorie di reflex. In progressione: Entry Level (Pentax K-x), Advanced (Canon Eos 550D), Expert (Canon Eos 7D) e Professional (Nikon D3s). A seguire, il comparto delle compatte è stato scomposto in sei categorie, che tengono esattamente conto delle intenzioni anche commerciali dell’espressione tecnica della fotografia. Tra l’altro, e in continuazione di ragionamento, questa accuratezza della giuria TIPA rivela giusto la sua attenzione al mercato, via via sollecitato da proposte che vanno a soddisfare condizioni di impiego sempre più raffinate e mirate. Ecco dunque, le sei categorie di compatte del nostro tempo attuale: System Entry Level (Olympus Pen E-PL1), System Advanced (Panasonic Lumix DMCG2), Compact e basta (Sony Cyber-shot DCSHX5V), Expert (Canon PowerShot G11), Superzoom (Fujifilm Fine Pix HS10), Rugged (Casio Exilim EX-G1). Ancora due macchine fotografiche, di profilo adeguatamente alto, diciamolo con franchezza (entrambe nel catalogo di marchi storici e nobili): Hasselblad H4D-40 (Medium Format D-System) e Leica M9 (Prestige Camera). Quindi, la ripresa fotografica propriamente tale, che dunque registra quindici TIPA Awards sul totale di quaranta (trentasette e mezzo percento dell’insieme), si completa con tre obiettivi, al solito scanditi: Entry Level (Sigma 17-70mm f/2,8-4 DC Macro OS HSM), Expert (Sony 28-75mm f/2,8 SAM) e Professional (AF-S Nikkor 70-200mm f/2,8G ED VR II).

TIPA AWARDS 2010 / 2 A conseguenza diretta, testimonianza dei tempi, gli altri venticinque TIPA Awards spaziano in lungo e largo attraverso le tecnologie digitali di gestione dell’immagine. Fatto salvo quattro premi trasversali -Acces-

sory (la famiglia di teste per treppiedi Manfrotto RC2 Joystick), Flash System (Multiblitz Profilux Plus), Photo Bag (la gamma Vanguard Up-Rise) e il riconoscimento Special Award (The Impossible Project, di rinascita della fotografia a sviluppo immediato)-, si tratta proprio ed esclusivamente di questo. Quattro riconoscimenti alla stampa a getto di inchiostro, con individuazione di merceologie ben definite nei propri intendimenti tecnici e di utilizzo: Expert Photo Printer (Epson Stylus Pro 3880), Multifunction Photo Printer (Canon Pixma MP990), Large Format Printer (Canon imagePrograf iPF6350) e Fine Art Inkjet Paper (Canson Infinity Baryta Photographique 310). Idealmente, si prosegue con i proiettori, scomposti in due indirizzi tecnici diversamente orientati: Expert (Panasonic PTAE4000) e Pro (Epson EH-TW5500). Altro non c’è, perché tutto è evidentemente circoscritto all’impiego professionale, o intenzionalmente tale. Le mille strade dell’applicazione digitale dell’immagine, con i termini della sua gestione quotidiana, sono in pertinente equilibrio tra software e hardware, ovverosia tra programmi di lavoro e strumenti che lo agevolano. Così che, si registrano i TIPA Awards per il Photo Software (Adobe Photoshop CS5), il Photo Scanner (Epson Perfection V600 Photo), il Digital Accessory (Wacom Cintiq 21UX), la Photo Frame (Sony DPF-X1000N), l’Imaging Storage Media (la gamma SanDisk Extreme Pro), lo


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TIPA AWARDS 2010: PREMI E VINCITORI

Reflex entry level .................................................................. Pentax K-x Reflex advanced ........................................................... Canon Eos 550D Reflex expert ..................................................................... Canon Eos 7D Reflex professionale ................................................................ Nikon D3s Sistema medio formato ........................................... Hasselblad H4D-40 Compatta (sistema) entry level ............................. Olympus Pen E-PL1 Compatta advanced .................................... Panasonic Lumix DMC-G2 Compatta .................................................. Sony Cyber-shot DSC-HX5V Compatta expert ................................................. Canon PowerShot G11 Compatta superzoom .......................................... Fujifilm FinePix HS10 Compatta resistente (Rugged) ............................... Casio Exilim EX-G1 Apparecchio di prestigio ........................................................... Leica M9 Obiettivo entry level ........... Sigma 17-70mm f/2,8-4 DC Macro OS HSM Obiettivo expert .................................................... Sony 28-7 f/2,8 SAM Obiettivo professionale .......... AF-S Nikkor 70-200mm f/2,8G ED VR II Stampante fotografica expert .......................... Epson Stylus Pro 3880 Stampante fotografica multifunzionale ............ Canon Pixma MP990 Stampante grande formato ................... Canon imagePrograf iPF6350 Carta inkjet Fine Art .......... Canson Infinity Baryta Photographique 310 Proiettore expert ................................................. Panasonic PT-AE4000 Proiettore professionale ........................................... Epson EH-TW5500 Software ............................................................... Adobe Photoshop CS5 Scanner .................................................... Epson Perfection V600 Photo Innovazione Imaging ............... Fujifilm FinePix Real 3D Technology Accessorio .................................. Manfrotto RC2 Joystick Heads (serie) Accessorio digitale ................................................. Wacom Cintiq 21UX Cornice digitale ......................................................... Sony DPF-X1000N Supporto di memoria ................................ SanDisk Extreme Pro (serie) Dispositivo di archiviazione e back-up ......................... LG NAS N2B1 Camcorder entry level ......................................... Samsung HMX-H200 Camcorder expert .................................................... Jvc Everio GZ-HM1 Camcorder Mobile Imagine Device ............................ Kodak PlaySport Sistema photofinishing ........... HP Photosmart ML1000D Minilab Printer Chiosco fotografico ................................ HiTi Mini Photo Kiosk P510K Flash da studio .................................................. Multiblitz Profilux Plus Borsa fotografica ............................................ Vanguard Up-Rise (serie) Monitor ........................................................... Eizo Color Edge CG243W Display fotografico .................................... LG Electronics 50/60PK950 Servizio fotografico conto terzi .............................................. Blurb Inc Riconoscimento speciale ................................... The Impossible Project

Storage Backup System (LG NAS N2B1), il Photo Monitor (Eizo Color Edge CG243W) e il Photo TV Display (LG Electronics 50/60PK950). Tutti elementi oggigiorno indispensabili, non soltanto utili, alla fotografia quotidiana, in camera chiara, e a una sua certa brillante presentazione (Photo Frame / cornice fotografica, per esempio). Videoripresa: Entry Level Camcorder (Samsung

Adobe Photoshop CS5 ............................................................... Software Blurb Inc .............................................. Servizio fotografico conto terzi Canon Eos 550D ........................................................... Reflex advanced Canon Eos 7D ..................................................................... Reflex expert Canon PowerShot G11 ................................................. Compatta expert Canon Pixma MP990 ............ Stampante fotografica multifunzionale Canon imagePrograf iPF6350 ................... Stampante grande formato Canson Infinity Baryta Photographique 310 ......... Carta inkjet Fine Art Casio Exilim EX-G1 ............................... Compatta resistente (Rugged) Eizo Color Edge CG243W ........................................................... Monitor Epson Stylus Pro 3880 .......................... Stampante fotografica expert Epson EH-TW5500 ........................................... Proiettore professionale Epson Perfection V600 Photo .................................................... Scanner Fujifilm FinePix HS10 .......................................... Compatta superzoom Fujifilm FinePix Real 3D Technology ............... Innovazione Imaging Hasselblad H4D-40 ........................................... Sistema medio formato HiTi Mini Photo Kiosk P510K ................................ Chiosco fotografico HP Photosmart ML1000D Minilab Printer .......... Sistema photofinishing The Impossible Project ................................... Riconoscimento speciale Jvc Everio GZ-HM1 .................................................... Camcorder expert Kodak PlaySport ............................ Camcorder Mobile Imagine Device Leica M9 ........................................................... Apparecchio di prestigio LG NAS N2B1 ......................... Dispositivo di archiviazione e back-up LG Electronics 50/60PK950 .................................... Display fotografico Manfrotto RC2 Joystick Heads (serie) .................................. Accessorio Multiblitz Profilux Plus .................................................. Flash da studio Nikon D3s ................................................................ Reflex professionale AF-S Nikkor 70-200mm f/2,8G ED VR II .......... Obiettivo professionale Olympus Pen E-PL1 ............................. Compatta (sistema) entry level Panasonic Lumix DMC-G2 .................................... Compatta advanced Panasonic PT-AE4000 ................................................. Proiettore expert Pentax K-x .................................................................. Reflex entry level Samsung HMX-H200 ......................................... Camcorder entry level SanDisk Extreme Pro (serie) ................................ Supporto di memoria Sigma 17-70mm f/2,8-4 DC Macro OS HSM ........... Obiettivo entry level Sony Cyber-shot DSC-HX5V .................................................. Compatta Sony 28-75mm f/2,8 SAM ........................................... Obiettivo expert Sony DPF-X1000N ......................................................... Cornice digitale Vanguard Up-Rise (serie) ............................................ Borsa fotografica Wacom Cintiq 21UX ................................................. Accessorio digitale

MHX-H200), Expert Camcorder (Jvc Everio GZ-HM1) e Mobile Image Device (Kodak Playsport). E qui, attenzione, tra breve si dovranno considerare anche le reflex con ripresa video, le cui prestazioni si stanno considerevolmente consolidando ai più alti livelli qualitativi e di prestazioni. Se ne dovrà riparlare. Nella professione conto terzi: Retail Finishing System (HP Photosmart ML 1000D), Photo Kiosk (HiTi Mini Photo Kiosk P510K) e Photo Service (Burb, Usa).

TIPA AWARDS 2010 / 3D Quindi, al totale di quaranta TIPA Awards si arriva con l’Imaging Innovation, attribuita al programma

Kodak Playsport: Camcorder Mobile Imagine Device. Epson Stylus Pro 3880: Stampante fotografica expert.

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Epson Perfection V600 Photo: Scanner. Canson Infinity Baryta Photographique 310: Carta inkjet Fine Art.

Epson EH-TW5500: Proiettore professionale.

Vanguard Up-Rise (serie): Borsa fotografica.

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Fujifilm FinePix Real 3D Technology, una concreta proposta e ipotesi di fotografia tridimensionale, argomento che il cinema ha reso di prepotente attualità universale. Facili profeti. Questa volta, il 3D, la visione tridimensionale di immagini (fotografiche, cinematografiche e video), dovrebbe avercela fatta. Ci tenta dalle origini stesse della fotografia, 1839, di qualche decade precedente a quelle del cinema, 1895. Se non che, tutti i precedenti tentativi di dare senso alla visione tridimensionale, con affascinante restituzione della profondità, si sono sempre infranti contro un muro, fino a ieri invalicabile: quello dell’assoluta necessità di uno strumento di osservazione, leggi occhialini o autentici visori opportunamente combinati. Ma anche contro un’altra barriera: quella della prospettiva, che da sé -memore degli insegnamenti e delle teorie del Rinascimento italiano- assolve la restituzione della terza dimensione, in profondità, appunto, della e sulla raffigurazione a due dimensioni della fotografia e del cinema. Complici il merchandising e la gran cassa che ha accompagnato le recenti proposizioni di cinema tridimensionale, a partire da Avatar, del vulcanico James Cameron, i limiti oggettivi della restituzione tridimensionale sono stati abbattuti, fino a diventare autentico status: non più limitazioni e complicazioni, ma accessori della vita dei quali non poter fare a meno. Tanto che, rileviamolo subito, la televisione e la fotografia si sono a propria volta prontamente adeguate: anche perché la corsa tecnologica in avanti, che negli ultimi decenni ha proceduto con ritmo sempre più crescente, esponenzialmente crescente, comincia ad aver poco di effettivamente nuovo da proporre. Giocoforza rispolverare il 3D, che nelle sue precedenti periodiche apparizioni pubbliche, circa ogni trentaquarant’anni, si è sempre presto esaurito in se stesso. Punto, a capo. In ogni caso, richiamandoci alla nostra personale visione della tecnologia fotografica, non possiamo non riprende-

re quanto il nostro direttore Maurizio Rebuzzini ha scritto a proposito di questa interpretazione, nel suo profetico Alla Photokina e ritorno. In unico approfondimento tecnico nel capitolo dedicato alle compatte del nostro tempo, nel quale affronta e commenta soprattutto filosofie di fondo, troviamo queste considerazioni. Testuale. Soltanto Fujifilm ha fatto qualcosa di autenticamente diverso, incamminandosi per una strada che so interessare anche tanti altri produttori, senza soluzione di continuità da quelli della ripresa fotografica a quelli della stampa in proprio, a quelli, ancora, della gestione delle immagini. Il Fujifilm FinePix Real 3D System si propone e offre come consistente punto di partenza per approdare a una interpretazione visiva tridimensionale, appunto 3D, con restituzione lenticolare: dalla macchina fotografica alla cornice digitale, alla stampa delle copie. Una sagace interpretazione digitale rivela di poter e saper risolvere uno dei più antichi sogni della fotografia: quello della raffigurazione tridimensionale in profondità, oltre la rappresentazione basilare della prospettiva. Fujifilm spinge in avanti i confini della fotoricordo (ma non poniamo limiti), approdando a un realismo visivo estremamente gratificante e appagante, che ancora si rivolge alla interpretazione del soggetto (come si è appena certificato per il “sorriso” e dintorni). La Real Photo Technology si propone di realizzare immagini allineate con la percezione visiva dal vivo. Anima dell’apparecchio di ripresa è un nuovo chip RP (Real Photo), tecnologia proprietaria, con processore 3D che sincronizza i dati di due sensori CCD accoppiati, miscelando istantaneamente le informazioni in una singola immagine tridimensionale di alta qualità. Da cui, l’attuale Tipa Award per l’Imaging Innovation, proiettato in avanti. A risentirci. ❖


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ITALIANI A A differenza di quella del sedentario (preoccupato di difendere casa, terra, città, Stato) la cultura nomade non conosce la proprietà terriera, né concepisce frontiere. Il nomade si muove in uno spazio che non gli appartiene e che considera comune con gli esseri con i quali lo divide. Introdotte dagli uomini a seguito della sedentarizzazione, e risultato della proprietà terriera, le frontiere hanno dato luogo a nazionalismi crescenti, diventando espressione della difficoltà degli uomini a condividere in armonia uno spazio comune (Mauritania, 2000; carovana del sale).

Esprit Nomade, di Tiziana e Gianni Baldizzone, è esposta sulle “Grilles” dei Jardins du Luxembourg, a Parigi, fino al sette luglio. Dal ventotto ottobre sarà replicata a Torino.

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di Tiziana e Gianni Baldizzone

toria già lunga, storia già consolidata, storia nobile. Dal 2000 -dopo il successo della mostra La Terra vista dal cielo, di Yann Arthus-Bertrand [proposta anche a Milano, nel 2004]- le “Grilles” dei Jardins du Luxembourg, a Parigi, giardini dove ha sede il Senato, sono una delle location espositive più ambite dai fotografi. Le “Grilles” sono le cancellate storiche dei Giardini, che, due volte l’anno, in primavera e autunno, accolgono ottanta fotografie stampate in grandi dimensioni (180x120cm), lungo un percorso espositivo di circa cinquecento metri, in uno dei luoghi più frequentati della città, a due passi da Saint-Germain, dal Panthéon e dalla cattedrale di Notre Dame. Da undici anni, queste mostre a cielo aperto (en plein air) sono diventate un appuntamento fotografico che richiama centinaia di migliaia di visitatori. Esporre sulle “Grilles” non è una méta facile da raggiungere. Decine di progetti sono presentati ogni anno. E c’è una sola opportunità. Il progetto viene vagliato dal comitato di selezione diretto dal Presidente del Senato. Se la risposta è negativa, non c’è possibilità di aggiustare il tiro. È indispensabile il soggetto giusto, convincente non solo dal punto di vista artistico/fotografico, ma anche intellettuale. Come si legge nelle comunicazioni ufficiali dello stesso Senato, queste mostre non si caratterizzano solo per la forza delle fotografie esposte. I fotografi devono essere autori, racconta-

S

re una storia, lanciare un messaggio capace di raggiungere un pubblico molto vasto (siamo pur sempre in esterni!), suscitare dibattito e riflessione.

ESPRIT NOMADE L’idea del nostro Esprit Nomade, per esteso Esprit Nomade. Nomades des déserts de sable, d’herbe, de neige (Spirito nomade. Nomadi dei deserti di sabbia, di erba, di neve), nasce un giorno del 2003, mentre facciamo ordine nelle fotografie e testimonianze raccolte in vent’anni di soggiorni tra i nomadi. Dal tavolo luminoso, le fotografie dei noma-


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A PARIGI Due italiani sulle “Grilles” dei Jardins du Luxembourg, nel cuore della capitale francese. Per la prima volta, queste cancellate, che da undici anni ospitano prestigiose e autorevoli esposizioni fotografiche, presentano immagini di autori non francesi. Ventiduesimo appuntamento di un ciclo avviato nel Duemila, e scandito al ritmo di due mostre annuali, Esprit Nomade. Nomades des déserts de sable, d’herbe, de neige (Spirito nomade. Nomadi dei deserti di sabbia, di erba, di neve), di Tiziana e Gianni Baldizzone, si è inaugurata il trenta marzo e dura fino al sette luglio

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di -mescolate tra loro, senza distinguere aree geografiche o etnie- ci mandano l’immagine di un solo popolo, che condivide uno stesso modello di vita e valori comuni. Quel giorno, intuiamo una continuità fotografica (spazio-tempo) e da quel momento ci impegniamo in un progetto a lungo termine, per raccontare i nomadi attraverso il loro spirito: uno spirito che privilegia, da un lato, l’equilibrio con la natura e gli ecosistemi; dall’altro, i valori fondamentali e le relazioni umane. Il nostro scopo è quello di presentare i nomadi pastori che abitano alcune delle terre più ingrate del pianeta come se fossero un soI deserti sono le terre degli eccessi. Tutto è smisurato: lo spazio, il caldo, il freddo, il vento, le catastrofi naturali. La siccità è una minaccia permanente nel Sahel; lo zud (termine locale che indica un inverno particolarmente rigido, preceduto da siccità) stermina le mandrie in Mongolia. Nel 2009, con il crollo della domanda di cashmere causato dalla recessione in Occidente, uno “zud finanziario” si è abbattuto sui pastori mongoli. Nell’impossibilità di restituire i prestiti alle banche, sono stati costretti a vendere il bestiame dato in garanzia o subirne il sequestro. Rimasti privi delle mandrie -unica fonte di sostentamento per poter vivere nelle steppe-, molti nomadi sono finiti in miseria, ai margini delle città, dove li ha condotti la speranza di trovare un lavoro (Deserto del Gobi, Mongolia, 2006; indebolito da una temperatura di meno trenta gradi, un cammello urla la propria sofferenza). All’origine, l’uomo è nomade. È movimento in spazio libero. La mobilità è l’essenza stessa della vita dei popoli nomadi. È dalla mobilità e dalla capacità di adattamento che dipende la loro sopravvivenza. Abitare è un concetto mobile. L’abitazione del nomade si sposta con lui. La sua casa è là dove si ferma: un giorno, un mese o una stagione (Deserto del Gobi, Mongolia, 2006; carovana della legna).

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lo popolo; quindi, mettere in risalto il loro spirito e proporre una riflessione su un modo diverso di considerare le relazioni con l’ambiente e gli altri. Nel 2007, siamo pronti a presentare il progetto. Esprit Nomade è un soggetto ampio, che racconta di natura e ambiente, dell’uomo e dei suoi valori fondamentali; adatto a una mostra per il grande pubblico (nomadi e deserti affascinano da sempre i sedentari) e idoneo a suscitare dibattito e riflessione, con immagini e testi che toccano temi sensibili, come l’ecologia e l’uso durevole delle risorse, la biodiversità, la semplicità dello stile di vita, l’importanza della trasmissione delle conoscenze, senza tra-


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scurare il rapporto dei nomadi con la modernità. Pensiamo che Esprit Nomade sia proprio adatto alle “Grilles”. Prima di sottoporlo al Senato francese, esaminiamo l’elenco delle esposizioni già realizzate. Scopriamo che queste mostre portano la firma di fotografi come Yann Arthus-Bertrand, Eric Valli, Philippe Bourseiller, Yann Layma. Due soli nomi non francesi, Reza e Kevin Kling, peraltro entrambi naturalizzati francesi. Ci chiediamo se le “Grilles” non siano riservate ai fotografi nazionali, o basati in Francia. Non ci sarebbe niente di strano, né riprovevole, poiché le mostre sono allestite in casa di un’istituzione

francese, seconda per importanza solo alla Presidenza della Repubblica.

DETTO... FATTO (?) La questione non ci scoraggia. In fondo -ci diciamo- per essere stranieri, abbiamo due vantaggi: parliamo bene la lingua e il nostro curriculum è denso di libri e pubblicazioni nate in Francia, con editori del calibro di Hachette, Éditions du Chêne, Flammarion, Seuil-La Martinière. Dal primo incontro con il Servizio della Comunicazione del Senato usciamo con un invito a presentare un dossier sul progetto (fotografie, tracciato del

Tdi IZIANA E GIANNI BALDIZZONE: FOTOGRAFI IN COPPIA Lello Piazza

MASSIMO FORCHINO

Ho conosciuto Tiziana e Gianni Baldizzone nel 1986, quando ero photo editor di Airone. Vennero da noi a presentare un reportage sull’indaco, realizzato in Cina. Si erano conosciuti in Madagascar, nel 1977. Li aveva uniti anche la passione per la fotografia e il viaggio. Dunque, al tempo, fotografavano insieme da dieci anni, ma altre esperienze di lavoro li avevano tenuti lontani, fino ad allora, dalla professione reporter, che è quello che entrambi sognavano. Volevano diventare una delle grandi coppie della fotografia di natura e viaggio. Vorrei approfittare dell’occasione per ricordare qui quelle che ho conosciuto personalmente. Sabrina e Roland Michaud, innanzitutto, autori di celeberrimi reportage dall’Asia Centrale, pubblicati sulle pagine di National Geographic e in molti libri indimenticabili, come Caravanes de Tartarie e Mémoire de l’Afganistan. Poi, Chris Eckstrom e Frans Lanting, lei biologa e scrittrice, lui uno dei più grandi fotografi naturalisti del mondo, che insieme hanno realizzato, tra l’altro, più della metà delle pagine del numero del National Geographic del dicembre 1990, dedicate all’Okavango e al Botswana. E Yva Momatiuk e John Eastcott, specializzati nel Grande Nord, con libri e servizi pubblicati ancora da National Geographic. Un’altra coppia esperta di Nord che ho conosciuto è quella di Cherry e Bryan Alexander, entrambi fotografi, lei vincitrice di un Wildlife Photographer of the Year, nel 1995, autori di grandi storie sui popoli che vivono al freddo, come gli Inuit, i Cree, i Sami, i Chukchi. Invece, Christine e Michel Denis-Huot sono esperti di fauna selvaggia del Kenya e della Tanzania; mentre Heidi e Hans Jurgen Koch, due biologi ricercatori, hanno abbandonato la scienza per la fotografia scientifica nell’ambito della biologia e del comportamento animale. E poi cito Peter Menzel e Faith D’Aluisio, lui fotografo, lei sociologa,

Tiziana e Gianni Baldizzone sono rappresentati dall’agenzia Cosmos, di Parigi.

che da molti anni cofirmano libri fondamentali sulle declinazioni degli stili di vita nel mondo, come Material World e Hungry Planet [FOTOgraphia, maggio 2008]. Infine, non posso dimenticare i compianti Barbara e Galen Rowell, lei scrittrice, lui fotografo, autori di memorabili reportage dal Tibet e dal Nepal, dai due Poli e dalle Ande visitate con abilità alpinistica, deceduti in un incidente con il loro piccolo aereo durante l’avvicinamento all’aeroporto di San Francisco, l’11 agosto 2002. Tutte queste coppie gloriose della storia della fotografia di natura e viaggio mostrano l’efficacia del lavorare insieme e la definitiva negazione dello sciocco detto chi fa da sé fa per tre. Tiziana e Gianni Baldizzone meritano di essere inseriti a pieno titolo tra queste coppie. Il primo incontro con me non fu un successo professionale, anche se nacque una simpatia e una stima nei loro confronti, che si sarebbe confermata negli anni. Il loro servizio sull’indaco non era completo, era un’idea mezza cotta e mezza cruda, un’idea buona, con buone fotografie, ma non una storia. Capirono subito quello che ci stavamo dicendo. Sono colti e sensibili. L’Uomo, la sua cultura e il suo ambiente avevano fin dall’inizio orientato il loro lavoro fotografico. E hanno continuato su quella strada, realizzando una carriera professionale invidiabile, che li ha portati ad attraversare i luoghi più remoti della Terra, a vivere coraggiosamente esperienze rischiose, a essere assaliti dai predoni, a condividere la vita quotidiana di popolazioni isolate, riuscendo a testimoniarne le culture. Pubblicate dalle più importanti riviste internazionali e in una ventina di libri (alcuni dei quali ricordiamo nel riquadro pubblicato a pagina 47), esposte in grandi mostre, le loro fotografie testimoniano un lavoro straordinario, un lavoro guidato da un’etica che si riassume in due concetti: capire e condividere. Aggiungo un’ultima annotazione sul loro linguaggio fotografico, un linguaggio solido e tradizionale, dove i soggetti sono a fuoco e non mossi, i colori sono intensi e costituiscono una parte fondamentale dello strumento comunicativo (voglio dire che, secondo me, in bianconero, Tiziana e Gianni Baldizzone non otterrebbero i risultati che ottengono e che il colore è essenziale nelle loro immagini). Questo linguaggio è improntato allo stile documentario classico, che ha caratterizzato le stagioni gloriose della fotografia di viaggio, tra gli anni Sessanta e Novanta, sulle pagine del National Geographic. Poi, il mondo è diventato più pericoloso, le storie più crude, le tradizioni hanno rischiato di essere spazzate via dalla globalizzazione e da molte guerre. Per esempio, l’Afghanistan dei Michaud non esiste più; come stanno scomparendo il Nepal degli anni Sessanta e la Bali degli anni Settanta. Le yurte dei mongoli hanno l’antenna satellitare e molti nomadi hanno il telefonino. Ma, attraverso le immagini di Tiziana e Gianni Baldizzone si viaggia ancora nel Tempo, oltre che nello Spazio, e si scoprono angoli di mondo e abitudini di vita che sembrano ancora a misura dell’Uomo.

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Esercitati fin dalla più tenera infanzia a reperire il più impercettibile punto di riferimento in un paesaggio spesso ripetitivo, gli occhi dei nomadi sanno leggere i deserti. Dotati di un innato senso dello spazio, riescono a orientarsi anche nelle condizioni peggiori. Questa straordinaria dote, che il nomade possiede perché vive integrato in una natura della quale conosce ogni dettaglio, è indispensabile per muoversi nel “nulla” (Dolgan, Siberia, 2007; dopo la corsa delle renne).

CON IL CONTRIBUTO DI

La mostra Esprit Nomade è stata presentata dal Senato Francese con il sostegno della Maison Hermès e dei partner Parie Mutuelle Urbaine (società che gestisce le scommesse alle corse dei cavalli), Regione Piemonte, Sncf (ferrovie francesi), Enel France, Nikon, Fujifilm, Oliviers & Co (distributori di olio d’oliva di alta qualità), Polka (trimestrale francese di fotografia), Éditions de La Martinière, Central Color (laboratorio di stampa digitale), Survival International France. Il Tuareg incarna l’icona del Nomade. Plasmati a immagine del deserto nel quale vivono, il Sahara, gli Uomini Blu -come sono chiamati a causa del colore lasciato sulla pelle dal velo tinto con l’indaco- costituiscono un esempio perfetto di integrazione dell’uomo al proprio ambiente naturale. Consapevoli della forza del deserto, lo hanno capito e lo rispettano; da secoli, si sono adattati a viverci con coraggio e umiltà (Azawagh, Mali, 2007).

percorso espositivo, testi di accompagnamento) e con la conferma di una delle regole: spetta al fotografo trovare i fondi per il finanziamento della mostra! Nel 2007, la crisi non è ancora scoppiata, perlomeno non con la virulenza degli ultimi tempi, e un primo sondaggio appare rassicurante sulla possibilità di trovare i fondi necessari (addirittura da parte di un importante sponsor unico). Per settimane, l’abitazione, dai monitor dei computer al pavimento, è invasa di fotografie. Fare il photo editor di se stessi è di per sé difficile; estrarre ottanta immagini da un archivio di migliaia, senza avere ancora i testi definitivi di accompagnamento, lo è ancora di più. Chiediamo aiuto all’amico Lello Piazza, che si rende disponibile a darci una mano. Così presentiamo il progetto e inizia la nostra attesa del verdetto. In cronaca stringata. 2008: Esprit Nomade è ancora in gara. Gennaio 2009: per le due esposizioni del 2010 siamo rimasti in tre. 6 marzo 2009, arriva la notizia (tanto attesa): retenus, selezionati!, seguìta dalla lettera formale del vice-presidente del Senato, che conferma che la mostra è prevista per la primavera 2010. Una lettera che a Parigi, nell’ambito degli addetti, raccomandano di tenerci cara, perché «vale un sacco di soldi»... nel senso che garantisce di trovare finanziatori.

ALLA MÉTA Già! Intanto, è scoppiata la crisi. Le imprese licenziano, le banche saltano, i budget destinati alla cultura sono tagliati selvaggiamente (anche del settanta percento rispetto al 2008). Nelle grandi società c’è aria da funerale. Gli istituti su cui contavamo ci dicono che tutto è cambiato, «è troppo tardi». I mesi passano, ci improvvisiamo funds raisers [cacciatori di fondi], e incontriamo, imparandoli, i mille e uno modi di declinare la negazione «no». La lettera del Senato diventa sempre più ingombrante, e

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Con i balok trainati dalle renne, ogni dieci giorni circa, i Dolgan del Taymir si spostano in cerca di nuovi pascoli. Le frequenti migrazioni mostrano lo sfruttamento ragionato che fanno del territorio: lo spostamento continuo delle mandrie di renne evita di esaurire la delicata vegetazione della tundra, che cresce di solo tre millimetri l’anno (Siberia, 2007).

la soddisfazione di essere stati selezionati (primi fotografi italiani, primi fotografi non francesi) comincia a trasformarsi nell’incubo di non farcela a trovare il denaro necessario, e dover rinunciare alla mostra. Un anno di stress e follia, tra alti e bassi, come su un ottovolante; un anno passato, con il bastone del questuante in mano, a bussare a ogni porta possibile: oltre sessanta istituzioni, società, enti privati e pubblici contattati in Francia e Italia. Il nostro esprit nomade individuale (pazienza, adattamento e determinazione) è messo a dura prova. Con tanto lavoro e un po’ di fortuna, al limite dello scadere del tempo, riusciamo a mettere insieme un gruppo di partner per la mostra. Il tutto, lavorando contemporaneamente ai due libri con le Éditions de La Martinière (scrittura dei testi compresa) e seguendo tutta la complessa organizzazione materiale che richiede una mostra in esterni dell’importanza di quella al Senato. [Attenzione, due libri: uno dedicato ai bambini, Les Enfants nomades des déserts de sable, d’herbe et de neige (Éditions de La Martinière Jeunesse, 2010; 72 pagine 24,5x24,5cm; 14,00 euro); l’altro per gli adulti, Esprit nomade. Nomades des déserts de sable, d’herbe et de neige (Éditions de La Martinière, 2010; 232 pagine 27x27cm; 37,00 euro)]. Dallo scorso diciannove marzo, e fino al diciotto luglio, Esprit Nomade. Nomades des déserts de sable, d’herbe, de neige orna la cancellata dei Jardins du Luxembourg, a Parigi. La presentazione al presidente del Senato, ai senatori e alle autorità, nella serata inaugurale, ha visto una partecipazione al di là delle nostre previsioni. Cosa resta? Quel senso di svuotamento che segue una grande fatica. Andiamo a sederci sul muretto delle “Grilles”. Le luci si accendono, la gente sfila, si ferma, guarda, legge i testi, commenta, discute, alcuni prendono appunti (molti, ahinoi, fotografano pure le fotografie). Ascoltia-

mo. Volevamo che le nostre fotografie portassero anche un messaggio: a giudicare dalla quantità di persone che visitano, leggono, discutono, spiegano ai bambini, lo scopo di comunicare pare raggiunto. Più ancora degli aspetti economici e di immagine per la nostra professione, è questo che conta. ❖ La mostra Esprit Nomade. Nomades des déserts de sable, d’herbe, de neige (Spirito nomade. Nomadi dei deserti di sabbia, di erba, di neve) sarà esposta a Torino, in piazza San Carlo, dal 28 ottobre al 10 gennaio 2011, con accompagnamento delle edizioni italiane dei due libri Spirito nomade e Ragazzi dei deserti. Crescere in armonia con la natura, entrambi pubblicati da Gallucci Editore, il secondo già in libreria (72 pagine 24,5x24,5cm; 16,50 euro).

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Per la mostra di Parigi, ai prestigiosi Jardins du Luxembourg, nel cuore della città, sono stati realizzati due volumi: Esprit nomade. Nomades des déserts de sable, d’herbe et de neige (Éditions de La Martinière, 2010; 232 pagine 27x27cm) e Les Enfants nomades des déserts de sable, d’herbe et de neige (Éditions de La Martinière Jeunesse, 2010; 72 pagine 24,5x24,5cm). Entrambi sono pubblicati in Italia da Gallucci Editore (largo Messico 15, 00198 Roma; 06-8413033; www.galluccieditore.com): Spirito nomade, in uscita a settembre (38,00 euro) e Ragazzi dei deserti. Crescere in armonia con la natura (72 pagine 24,5x24,5cm; 16,50 euro). Dalla bibliografia di Tiziana e Gianni Baldizzone, segnaliamo i titoli reperibili in distribuzione libraria. ❯ Siddharta, il principe che divenne Buddha; Edizioni White Star, 2008; 348 pagine 29x33,5cm (vincitore dell’Itb Book Award 2009). ❯ Tibet, d’oubli et de mémoire; Éditions Phébus, 2007; 156 pagine 25x31cm. ❯ I Segni del Corpo; 5Continents, 2006; 160 pagine 24x24,5cm. ❯ Sur la route du sel et du savoir; Éditions du Seuil, 2005; 191 pagine 25x30cm. ❯ Visages; Éditions Phébus, 2005; 156 pagine 25x31cm. ❯ Caravanes de bambous; Éditions du Seuil, 2004; 272 pagine 28x35cm. ❯ La Main qui parle; Éditions Phébus, 2002; 160 pagine 25x31cm. ❯ Noces; Flammarion, 2001; 224 pagine 25x32cm. ❯ Brahmapoutre. Légendes du Fleuve; Éditions Olizane, 1998; 240 pagine 25x32cm. ❯ L’Inde des Tribus Oubliées; Éditions du Chêne, 1993 e seguiti; 232 pagine 26,5x35cm.

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«Senza entusiasmo non si è mai concluso niente di grande» Ralph Waldo Emerson L’autore qui considerato e presentato è di Ferrara; sicché, per partecipare alle riunioni e agli eventi del Gruppo Polaser, che ha sede a Faenza, ogni volta deve farsi oltre duecento chilometri di strada, spesso tra le nebbie della bassa pianura emiliana-romagnola o nel traffico dei vacanzieri. Se non fosse sorretto da un grande entusiasmo, probabilmente non si “schioderebbe” dalla poltrona di casa. Questa fantastica passione si riscontra anche nella sua produzione artistica; inoltre, è un bravo organizzatore e coordinatore, e da qualche mese è stato eletto presidente del Foto Club Ferrara, molto attivo e con tanti giovani. Una delle principali caratteristiche di Sergio Guerra è l’umiltà. Tanto che, alla richiesta delle fotografie per presentarlo in queste pagine, ha addirittura ipotizzato che si trattasse di uno scherzo. Sergio Guerra si è appassionato alla fotografia polaroid alla fine degli anni Ottanta, quando conobbe Beppe Bolchi e successivamente partecipò a

un suo seminario, dove apprese le tecniche di manipolazione della fotografia a sviluppo immediato, dando presto vita a una propria realizzazione di opere avvincenti, realizzate con distacchi di emulsione e transfer polaroid. Alcune sere fa, mi ha invitato a Ferrara a parlare di Passione Italia, il consistente progetto fotografico che la Fiaf e Seat Pagine Gialle stanno organizzando per allinearsi alle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Dopo la conferenza, ci siamo intrattenuti per scambiare quattro chiacchiere. Quando hai iniziato a fotografare? «Seriamente, nel 1974-75, durante le scuole superiori, quando imparai a sviluppare e stampare il bianconero». Quando hai incontrato la polaroid? «Alla prima comunione. Un parente mi scattò qualche fotografia con una Polaroid. La consapevolezza è successiva, di decenni». Tra i tanti realizzati insieme, c’è un lavoro personale o di gruppo che ti ha stimolato maggiormente? «In assoluto, mi hanno sollecitato tutti i progetti realizzati col Polaser, in modo particolare quello dedicato a Dino Campana. Ciò che mi ha sempre colpito nel Polaser è l’approccio che si ha nel lavorare in gruppo, nella ricerca e progettazione di un tema». C’è qualche artista al quale ti ispiri? «Ho sempre ammirato la sperimentazione e la ricerca di Nino Migliori; la sua conoscenza personale, avvenuta nel Polaser, ha contribuito sotto ogni aspetto a una maggior apertura mentale nella lettura del linguaggio della fotografia, non solo a sviluppo immediato». E ora, che le pellicole a strappo non si trovano più...? «Eh... sarà uno stimolo per altre ricerche». Parteciperai alla mostra celebrativa del Polaser, alla Pinacoteca di Imola? Con quali opere? «Certamente! Se non lo facessi sarebbe un’offesa al Gruppo con il quale ho condiviso l’amicizia e tanti progetti interessanti; ho saputo che il comitato organizzatore abbia scelto per la mostra e il libro alcune mie fotografie del “lavoro” dedicato ad Alberto Burri e altre tratte da La Notte, omaggio a Dino Campana». Sono arrivate le pellicole instant bianconero prodotte da Impossible Project, le hai già provate?


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«Sì, le ho già usate; e a malincuore debbo rilevare che la delusione è sicuramente superiore alle aspettative». E adesso... «Adesso... facciamo come quelli di Faenza e poi, per fotografare, servono idee. Quindi, ci saranno altri supporti, sia analogici sia digitali. L’amicizia non verrà meno, e continueremo a ritrovarci, magari con una pellicola in meno e un bicchiere di Sangiovese in più». Pino Valgimigli

www.polaser.org

«La limitazione dei mezzi determina lo stile, dà vita a nuove forme e dà impulso alla creatività» Georges Braque Questa citazione dal pittore Georges Braque aiuta a comprendere lo slancio e spirito che guida e ispira gli artisti del Gruppo Polaser, eterogenei per interessi artistico-culturali e per provenienza da molte città italiane e anche dall’estero, accomunati dalla ricerca e sperimentazione di nuove possibilità espressive nelle molteplici forme dell’arte, dalla fotografia alla pittura, scultura, design, architettura, ceramica, letteratura, teatro, a altro ancora.


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Primo nella categoria Contemporary Issues, del contenitore Photojournalism and Documentary, l’italiano Tommaso Ausili ha conquistato l’ Iris d’Or del Sony World Photography Award 2010 (vincitore assoluto). The Hidden Death (La morte nascosta) è un reportage clinico sulla macellazione.

di Maurizio Rebuzzini

A

pprodato alla terza edizione, allineata con le precedenti due, delle quali abbiamo riferito in tempi adeguati [in FOTOgraphia, di giugno 2008 e maggio 2009], il Sony World Photography Award conferma lo spessore e valore delle proprie assegnazioni, così particolari nell’ambito complessivo della fotografia professionale contemporanea (con risvolto anche verso la fotografia non professionale). Allo stesso tempo e momento, orgoglio inevitabile, orgoglio coltivato e assecondato, registriamo le consistenti affermazioni italiane, che pure avevano fatto capolino lo scorso anno e due anni fa, che hanno addirittura raggiunto l’assegnazione del prestigioso Iris d’Or, ovverosia il primo premio assoluto, scelto e indicato tra i vincitori di categoria: Tommaso Ausili si è imposto con il suo affascinante (e scioccante/sconvolgente) reportage The Hidden Death (La morte nascosta), primo nelle Contemporary Issues, della sezione Photojournalism and Documentary. Subito rivelato: si tratta di un reportage sulla macellazione [qui a destra], che potrebbe convincere molti a convertirsi vegetariani; quantomeno, in rispetto delle condizioni di trattamento degli animali sacrificati. Ma questo ultimo, come tanti altri di quelli che passano per la mente, approdandovi con l’impertinenza dell’involontarietà e casualità, è tutto un altro discorso, estraneo allo svolgimento del concorso Sony, per quanto allineato con le intenzioni esplicite e implicite del fotogiornalismo di tutti i tempi: votato alla registrazione della vita nel pro-

Terza tappa di un cammino giovane, ma già svolto con passo sicuro e convinto, il Sony World Photography Award 2010 conferma le doti di concorso fotografico di livello straordinariamente alto. È un programma che ribadisce l’impegno di Sony nel mondo della fotografia consapevole. E poi, ne siamo orgogliosi, tre vincitori italiani di categoria, Tommaso Bonaventura, Paolo Pellegrin e Tommaso Ausili, che si è altresì affermato come vincitore assoluto: Iris d’Or 2010

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(UNO, DUE


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prio svolgersi e indirizzato alla presa di coscienza, o anche solo consapevolezza, individuale. Comunque, è un altro discorso, che riguarda la Fotografia nel proprio insieme, indipendentemente dall’attuale contenitore, del quale stiamo per riferire.

IN OGNI CASO, ITALIANI Comunque sia, rimanendo alla relazione sullo svolgimento del Sony World Photography Award 2010, con doverosi annessi e connessi, per noi inevitabili, continuiamo nel casellario della convincente affermazione di autori italiani. C’è da andarne fieri; ci sarebbe (c’è?) materia e consistenza per rilevare un ottimo stato di salute della nostra fotografia, mortificata soltanto dalla mancanza di sbocchi e prospettive ufficiali. L’editoria italiana è quella che è, ormai; e lo stesso possiamo affermare per il dibattito interno e per mille altre sfumature di accompagnamento. Quindi, se proprio vogliamo calcare la mano, in sot-

The doubles of Mao, di Tommaso Bonaventura: primo premio Fine Art / Portraiture.

UE) E TRE!

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Stars, di Paolo Pellegrin: primo premio Commercial / Arts & Entertainment.

tolineatura, ricordiamo ancora, e anche qui, che gli ottimi risultati ottenuti da fotografi italiani all’attuale Sony World Photography Award 2010 arrivano all’indomani e in rapida consecuzione alla prestigiosa affermazione di Pietro Masturzo, World Press Photo 2010 (FOTOgraphia, aprile 2010). Assente nella categoria Student Focus, divisa per continenti, con l’Europa rappresentata da due allievi della Jan Matejko Academy of Fine Arts, di Cracovia, Polonia, l’Italia fotografica compare tra i nove finalisti del contenitore complessivo Amateur (preferiamo identificarli come non professionisti) del Sony World Photography Award 2010: Marianna Marcantonini, nella categoria Architecture [a pagina 56]. Per dovere di cronaca, registriamo l’affermazione Amateur del tedesco Vitali Seitz, approdato alla finale nella categoria Music [ancora a pagina 56]. Quindi, tanti italiani tra i finalisti (e vincitori) dei

premi professionali: sette (tre), che è poi la quota nazionale più alta del concorso. Li indichiamo seguendo la sequenza ufficiale della successione delle categorie e sottocategorie, sintetizzate in un apposito riquadro pubblicato a pagina 55. Luca Casonato, secondo in Fine Art / Architecture [a pagina 57]. Massimo Siragusa e Paolo Patrizi, rispettivamente secondo e terzo in Fine Art / Natural History [a pagina 56 e 57]. Tommaso Bonaventura, primo in Fine Art / Portraiture, con una affascinante serie di ritratti di sosia del presidente Mao Zedong [a pagina 51]. Paolo Pellegrin, primo in Photojournalism and Documentary / Arts & Entertainment, con un efficace reportage sullo star system statunitense, affrontato e raffigurato con straordinaria personalità [qui sopra]. Tommaso Ausili, come già rivelato anche vincitore assoluto Iris d’Or 2010, primo in Photojournalism and Documentary / Contemporary Issues [a pa-

LE SCUOLE (SENZA VINCITORE ASSOLUTO)

Introdotta la scorsa seconda edizione 2009, la categoria Student Focus del Sony World Photography Award 2010 ha confermato finalisti divisi per aree geografiche. Sono state segnalate le esperienze creative di sei istituti scolastici di fotografia, senza vincitore assoluto. Sud America Rodrigo Terren Toro e Victoria Ines Dobaño Escuela Argentina de Fotografía Buenos Aires, Argentina Oceania Joseph Ruckli e Nicolette Johnson Griffith University Queensland, Australia Nord America Cody Spence e Laura Fetherstonhaugh Sait Polytechnic Calgary, Canada Asia Zubair Hamid e Akshat Jain Jamia Millia Islamia New Delhi, India Europa Joanna Piotrowska e Justyna Gryglewicz Jan Matejko Academy of Fine Arts Cracovia, Polonia Africa Lyndsay Nel e Robyn Thompson Stellenbosch Academy of Design and Photograph Stellenbosch, Sudafrica

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LE GIURIE

In ripetizione dello svolgimento dello scorso anno, gli attuali Sony World Photography Awards 2010 professionali sono stati scomposti in tre macrocategorie di riferimento primario, all’interno delle quali sono state identificate e collocate le dodici sezioni professionali del premio. Altrettante tre le giurie. Photojournalism and Documentary: Aidan Sullivan, vicepresidente di Getty Images, Inghilterra (presidente di giuria); Pablo Bartholomew, fotografo e insegnante, India; Roberto Koch, fondatore e amministratore dell’agenzia Contrasto e di Forma (Centro Internazionale di Fotografia, di Milano), Italia; e Monica Allende, picture editor della rivista Sunday Times, Inghilterra. Commercial: Mark Sealy, direttore di Autograph (associazione dei fotografi di colore), Inghilterra (presidente di giuria); Nadav Kander, fotografo, Inghilterra; Scott Thode, curatore freelance e photo editor, Usa; e Chloe Limpkin, picture director della rivista Harper’s Bazaar, Inghilterra. Fine Art: WM Hunt, cofondatore della Hasted Hunt Kraeutler Gallery, di New York, Usa (presidente di giuria); Trisha Ziff, curatrice, studiosa, regista, Messico; Michelle Dunn, co-publisher di Aperture Magazine e editor-at-large di Chronicle Books, Usa; e Bonchang Koo, fotografo, Corea.

Silk, di Pere Pascual (Spagna): primo premio Fine Art / Natural History.

(al centro, dall’alto) Picture Hunter, di Peter Franck (Germania): primo premio Fine Art / Landscape. Farm Kids, di David Handley (Inghilterra): primo premio Commercial / Fashion. Dirty Mouth, di Martin Brent (Inghilterra): primo premio Commercial / Advertising.

(in alto) Sympathy, di Mohammad Golchin (Iran): primo premio Commercial / Music.

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gina 50]. Davide Monteleone, secondo nella stessa categoria: incontro fratricida [a pagina 57]. Insomma, in sintesi: tre primi premi su dodici; altrettanti tre secondi premi e una terza posizione. Ancora: due italiani finalisti insieme in due categorie. Non male, davvero. Anzi, è esattamente vero il contrario: bene!

IN ASSOLUTO, CHE CONCORSO! In conferma e per ribadire, a questo punto si impone la ripetizione dell’essenza delle note con le quali, un anno fa, abbiamo commentato lo svolgimento della precedente edizione del Sony World Photography Award, che in questa terza edizione ne ha replicato lo svolgimento: selezione internazionale, tre finalisti per categoria e solenne proclamazione dei rispettivi vincitori di tappa e vincitore assoluto di concorso, in una serata di gala, a fine aprile, a Cannes, sulla Costa Azzurra. Nella stessa occasione, è stato assegnato il Lifetime Achivement Award, solitamente tradotto in premio alla carriera, ma più convincentemente definibile l’opera di tutta una vita, alla fotografa statunitense Eve Arnold [a pagina 57], che all’alba dei suoi novantotto anni non ha potuto presenziare alla cerimonia: è stata onorata e applaudita, con una spontanea standing ovation, in differita, ma con identica partecipazione emotiva del pubblico in sala, noi tra questi. In assoluto, una volta ancora, e una di più, speriamo mai una di troppo, la selezione dei fotografi finalisti, quest’anno presentati in una esposizione all’aperto, all’esterno del prestigioso Palais des Festivals, di Cannes, fruibile al pubblico universale, magari anche solo di passaggio, è stata una autentica gioia per gli occhi e, soprattutto, il cuore di coloro i quali, sempre noi tra questi, batte al ritmo dell’amore per la Fotografia, Australian Open Tennis, di Scott Barbour (Nuova Zelanda): primo premio Photojournalism and Documentary / Sport.

(in alto) Blood bath of Madagascar, di Walter Astrada (Argentina): primo premio Photojournalism and Documentary / Current Affairs.

Stasi Prison, di Philipp Lohöfener (Germania): primo premio Fine Art / Architecture.

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SONY WORLD PHOTOGRAPHY AWARDS 2010

Dodici categorie professionali, nove scomposizioni della fotografia non professionale, con unico vincitore assoluto. Oltre le manifestazioni di complemento, è questa l’essenza dei premi dell’attuale Sony World Photography Award 2010. In sintesi, i vincitori di categoria e i finalisti nelle categorie professionali (secondo e terzo posto). Fine Art Davide Monteleone (Italia) [a pagina 57], Bieke Depoorter (Belgio). ❯ Architecture: Philipp Lohöfener (Germania) [pagina accanto], ❯ Current Affairs: Walter Astrada (Argentina) [pagina accanto], Luca Casonato (Italia) [a pagina 57], Duda Carvalho (Brasile). Brent Stirton (Sudafrica), Robin Utrecht (Olanda). ❯ Conceptual & Constructed: Renhui Zhao (Singapore) [qui sotto], ❯ Sport: Scott Barbour (Nuova Zelanda) [pagina accanto], Spencer Murphy (Inghilterra), Martin Mascheski (Germania). Thomas Beyerlein (Germania), Denis Rouvre (Francia). ❯ Landscape: Peter Franck (Germania) [a pagina 53], Herman van den Boom (Belgio), Renhui Zhao (Singapore). Iris d’Or 2010 all’italiano Tommaso Ausili, ❯ Natural History: Pere Pascual (Spagna) [a pagina 53], Massimo primo nella categoria Contemporary Issues, Siragusa (Italia) [a pagina 56], Paolo Patrizi (Italia) [a pagina 57]. nell’ambito di Photojournalism and Documentary. ❯ Portraiture: Tommaso Bonaventura (Italia) [a pagina 51], Nelli Palomäki (Finlandia), Jacek Wierczyski (Polonia). A seguire, o in simultanea, nove categorie Commercial della fotografia non professionale, con unico vincitore assoluto: ❯ Music: Mohammad Golchin (Iran) [a pagina 53], Vitali Seitz, Germania, primo nella categoria Music [a pagina 56]. Marcus Bleasdale (Norvegia), Vladimir Vyatkin (Russia). ❯ Architecture: Marianna Marcantonini (Italia) [a pagina 56]. ❯ Advertising: Martin Brent (Inghilterra) [a pagina 53], ❯ Conceptual & Constructed: Jake Lowe (Australia). Peter Dench (Inghilterra), Peter Franck (Germania). ❯ Documentary: Frederik Jalhed (Svezia). ❯ Fashion: David Handley (Inghilterra) [a pagina 53], ❯ Fashion: Alex Chebotar (Russia). Jose Luis Cuevas (Messico), Tom Seelbach (Germania). ❯ Landscape: Hayri Kodal (Turchia). Photojournalism and Documentary ❯ Music: Vitali Seitz (Germania). ❯ Arts & Entertainment: Paolo Pellegrin (Italia) [a pagina 52], ❯ Natural History: Alex Goh (Malesia). Palani Mohan (Australia), Nicky Loh (Singapore). ❯ Portraiture: Richard Brocken (Olanda). ❯ Contemporary Issues: Tommaso Ausili (Italia) [a pagina 50], ❯ Sport: Maksym Gorbatskyi (Ucraina).

maiuscola volontaria, e persino consapevole. Oltre la sintesi dello svolgimento, che si concretizza nei premi assegnati [qui sopra], e che ha registrato le affermazioni italiane già sottolineate, in quantità e qualità fotografica, vanno ancora richiamate doverose riflessioni di fondo, che rivelano e quantificano gli straordinari valori che già definiscono il pur giovane Sony World Photography Award. Giovane, ma assolutamente autorevole, il concorso ha registrato la partecipazione di ottantamila au-

tori, provenienti da centoquarantotto paesi. Ribadendo quanto abbiamo già annotato in occasione delle prime due edizioni 2008, di esordio, e 2009, il Sony World Photography Award 2010 ha confermato le doti di concorso fotografico di livello straordinariamente alto, peraltro certificato dalle giurie convocate per l’occasione [a pagina 53] e dalle efficaci manifestazioni collaterali che hanno accompagnato, contornandola, la cerimonia ufficiale di consegna dei premi, e poi si proiettano in avanti. Se anPulau Pejantan, di Renhui Zhao (Singapore): primo premio Fine Art / Conceptual & Constructed.

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Vitali Seitz (Germania): primo premio Amateur, dalla categoria Music. (in basso) Ashes, di Massimo Siragusa: secondo premio Fine Art / Natural History.

L’italiana Marianna Marcantonini è arrivata alla finale Amateur, nella categoria Architecture.

QUALCHE CIFRA

Trentasei finalisti nelle dodici sezioni professionali del Sony World Photography Award 2010, divise in tre macrocategorie. Più nove finalisti per la fotografia non professionale. Prima dei dodici vincitori professionali e uno non professionale, quarantacinque finalisti. Ecco qui le partecipazioni nazionali, riferite in un casellario che conferma la consistente supremazia della presenza italiana a questa sessione, con vincitore assoluto (Tommaso Ausili). Otto finalisti italiani, sette professionisti e una non professionista, con tre vincitori di categoria (su dodici), tre secondi posti e un terzo. Quindi, sette finalisti tedeschi, uno dei quali non professionista, con due vincitori professionali e il vincitore non professionista, un secondo posto e tre terzi posti. Quattro finalisti inglesi, due vincitori e due secondi posti. Tre finalisti da Singapore, con un primo posto e due terzi posti. Due finalisti per Australia (un secondo posto e un non professionista), Belgio (un secondo e un terzo posto), Olanda (un terzo posto e un non professionista), Russia (ancora un terzo posto e un non professionista). Un finalista per Argentina (primo posto), Brasile (terzo posto), Finlandia (secondo posto), Francia (terzo posto), Iran (vincitore), Malesia (non professionista), Messico (secondo posto), Norvegia (secondo posto), Nuova Zelanda (vincitore), Polonia (terzo posto), Spagna (vincitore), Sudafrica (secondo posto) e Svezia, Turchia e Ucraina (tutte con un non professionista). Ancora: Renhui Zhao, da Singapore, vincitore nella categoria Fine Art / Conceptual & Constructed, è arrivato anche terzo nella categoria Fine Art / Landscape; il tedesco Peter Franck, vincitore nella categoria Fine Art / Landscape, è arrivato anche terzo nella categoria Commercial / Advertising.

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EVE ARNOLD: LIFETIME ACHIEVEMENT AWARD 2010

Il premio Sony 2010 alla carriera, meglio definibile il riconoscimento per l’opera di tutta una vita, è stato assegnato nell’ambito dei cerimoniali di premiazione del Sony World Photography Award 2010. È stato attribuito alla fotogiornalista americana Eve Arnold, novantotto anni il ventuno aprile. Eve Arnold comincia la sua carriera nei primi anni Cinquanta. Entra a Magnum Photos nel 1951, grazie a una serie di fotografie scattate ai lavoratori immigrati a Long Island, diventa full member nel 1957, e rappresenta una delle prime donne a entrare nell’agenzia. Eve Arnold è uno dei tanti brillanti discepoli (tra i quali si registra anche Irving Penn) della New School for Social Research, di Alexei Brodovitch, geniale fotografo russo, che è stato art director di Harper’s Bazaar dal 1938 al 1958. Tra i suoi lavori più famosi c’è la serie di scatti dedicati a Marilyn Monroe, che si concludono con le immagini riprese sul set del suo ultimo film (Gli spostati, 1961). Eve Arnold ha percorso in lungo e largo la Russia, il Sudafrica, l’Afghanistan e la Cina. Con le immagini scattate in Cina, nel 1980 ha realizzato la sua prima mostra personale, presso il Brooklyn Museum, di New York. Sempre nel 1980, l’American Society of Magazine Photographers le assegna il Lifetime Achievement Award. Nel 1995, diventa fellow della Royal Photographic Society, di Londra, ed è nominata Master Photographer dall’International Center of Photography, di New York. I due precedenti Lifetime Achievement Award Sony sono stati assegnati all’americano Phil Stern (2008) e al francese Marc Riboud (2009).

cora servisse sottolinearlo, è un concorso che conferma l’impegno di Sony nel mondo della fotografia consapevole (non solo fotoricordo: argomento per se stesso affascinante, ma estraneo all’azione fotografica riferita al proprio linguaggio espressivo), nel quale la casa giapponese è entrata all’indomani dell’acquisizione delle linee produttive Konica-Minolta, con la propria famiglia di reflex a (Alpha). Raccolte in un ben allestito catalogo, e riunite in una avvincente e affascinante mostra itinerante (per la quale, nel saggio Alla Photokina e ritorno, è stato testimoniato l’allestimento alla Seipel Galerie, di Colonia, in date coincidenti con la Fiera della fotografia), le immagini finaliste e vincitrici, tutte di alta qualità espressiva, proiettano il Sony World Photography Award nel panorama internazionale dei premi della fotografia. La differenza la fa proprio la qualità, che attraversa trasversalmente l’intera espressività fotografica, evitando altresì quella concentrazione sul dolore, troppo spesso materia unica dei concorsi di fotogiornalismo, magari proprio a partire dal prestigioso World Press Photo. Quindi, e con convinzione e ammirazione, congratulazioni e complimenti a Sony, che è entrata in un mondo per lei nuovo con passo deciso e intelligente (dote rara nel commercio della fotografia), ribadendo che gli impegni o si prendono o si lasciano stare. Se si prendono, ci possono essere tanti diritti e benefit, ma soprattutto ci sono altrettanti doveri. Da svolgere con competenza e decisione. Nel caso di Sony, sono stati svolti anche con apprezzata coerenza e modestia: che ci ha profondamente colpiti. Al positivo. ❖

Starlings, di Paolo Patrizi: terzo premio Fine Art / Natural History. The Republic of Dagestan, di Davide Monteleone: secondo premio Photojournalism and Documentary / Contemporary Issues. Colliders, di Luca Casonato: secondo premio Fine Art / Architecture.

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RITROVATI! Segnali e richiami di esistenze recuperati dall’oblio. Catalogati e classificati, e poi presentati per un qualsivoglia proprio insieme rappresentativo. A partire dall’esperienza dell’associazione statunitense Found, che si muove in un territorio frequentato anche da altri, valutiamo insieme il senso e valore dei ricordi che vengono evocati da richiami apparentemente fittizi, ma profondamente intimi. È un esercizio della mente e del cuore, in certi casi doloroso, ma sempre necessario. Perché giorno dopo giorno, istante dopo istante, abbiamo tutti un solo dovere: di essere sempre migliori

di Angelo Galantini

D

ell’associazione statunitense Found abbiamo già riferito, in breve, lo scorso giugno, a margine della presentazione della consistente esposizione La magia della polaroid, a cura di Claudio Pastrone, allestita nelle avvincenti sale del Centro Italiano della Fotografia d’Autore, di Bibbiena, in provincia di Arezzo. In quella occasione, riferimmo di una raccolta di fotografie polaroid, per l’appunto. Successivamente, la stessa nota è stata ripresa anche sulle pagine del seducente saggio (e seducente è dir poco) 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita, del nostro direttore Maurizio Rebuzzini, pubblicato dalla nostra casa editrice. Riassumiamo la vicenda. Found è una associazione statunitense che si propone di dare visibilità a documenti della vita quotidiana, recuperati dall’oblio e dalla spazzatura: 3455 Charing Cross Road, Ann Arbor, MI 48108-1811, Usa; www.foundma-

gazine.com. Pubblica il periodico Found Magazine monografico a tema, in forma di libro (per lo più novantasei pagine 21x27,5cm); ha realizzato anche libri, che riguardano diversi argomenti. Tra questi, nelle due occasioni appena ricordate, è stato segnalato il titolo Polaroids, di polaroid ritrovate per strada: ognuna certificata con luogo e data dello stesso ritrovamento [ancora, a pagina 61].

Da Love Letters. Lost, fotoricordo abbinata a teneri rapporti intimi e personali. Palpitante testimonianza di vite tracciate anche dalla presenza della fotografia. Appunto.

NULLA VADA PERDUTO! L’approccio di Found, che stiamo per commentare, allungando in avanti il discorso, fino ad appro-

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Found. The Best Lost, Tossed, and Forgetten Items from Around the World; a cura di Davy Rothbart; Fireside, 2004; 252 pagine 20,8x27,3cm; 14,00 dollari.

dare a conclusioni profonde e intime (per ciascuno di noi), è fondamentalmente affascinante. Meglio, affascinante! L’esclamativo si impone. Anzitutto, si accoda alle più nobili forme di collezionismo minore, quello estraneo ai faraonici circuiti del mercato d’arte e contorni e dei collezionismi ufficiali, che si manifesta in mille rivoli, alcuni alimentati persino dai mercatini locali, nei quali è possibile trovare di tutto, anche di insospettabile: capsule di tappi di champagne, (ormai) antiche carte telefoniche, figurine, buste intestate (tematiche), documenti sparsi. È proprio questo collezionismo minore -ma minore rispetto a cosa, poi?- che fa tesoro e bandiera di preziose testimonianze di vita, di esistenza, di socialità. Found, e non solo questa associazione, estende

Lost (Lost and Found. Pet Posters from Around the World); a cura di Ian Phillips; Chronicle Books, 2002; 208 pagine 13,9x17,7cm; 14,95 dollari.

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in là la propria idea e filosofia, fino a offrire «visibilità a documenti della vita quotidiana, recuperati dall’oblio e dalla spazzatura» (ripetizione d’obbligo). Nelle sue intenzioni statutarie non c’è soluzione di continuità. Tutto quanto compone un qualsiasi insieme sociale e fenomenologico è degno di attenzione, raccolta e archiviazione. Tra i tanti possibili, tutti rintracciabili al sito già riferito, www.foundmagazine.com, ne abbiamo isolato uno, che poi stiamo per accostare a altre iniziative, sempre statunitensi, di identica matrice, di uguale sapore, di stesso intendimento: tutti pretesti per parlare/scrivere con il cuore. La raccolta madre (di tutte le raccolte) Found, che sottolinea, ribadendolo, l’identificazione del-


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l’associazione, si offre e propone come The Best Lost, Tossed, and Forgetten Items from Around the World. Ovverosia, la migliore (raccolta) di messaggi persi, lanciati e dimenticati in tutto il mondo (anche se poi, il mondo è geograficamente circoscritto all’area soprattutto americana): a cura di Davy Rothbart, il creatore di Found Magazine, duecentocinquantadue pagine illustrate 20,8x27,3cm, con breve introduzione esplicativa; 14,00 dollari. Di fatto, le pagine della monografia propongono fotografie, biglietti di appunti, avvisi, lettere, comunicazioni volanti... e dintorni. Tutti i soggetti/oggetti sono fittamente accostati gli uni agli altri, in una apparente confusione, che invece visualizza un ordine intimo entro il quale orientare la propria consultazione personale [pagina accanto]. Come accennato, si trova di tutto, e in questa veste tutto appare degno di essere recuperato dalla spazzatura, dove è stato proditoriamente gettato, per comporre i tratti di quella socialità quotidiana nella quale ciascuno può riconoscere se stesso, le proprie pulsioni, i propri gesti. In definitiva, anticipando qui la conclusione alla quale intendiamo approdare, anche questa è Storia: quella che ogni giorno ognuno di noi vive nella propria cronaca individuale, che si proietta in avanti (soprattutto) se e quando le esistenze vengono messe in discussione. A quanti oggetti inutili, poveri nella propria sostanza, superflui nella assoluta inconsistenza, leghiamo i nostri ricordi? i nostri sogni? le nostre emozioni? All’opposto: quanti oggetti della vita quotidiana ci danno dolore, perché ricordano momenti felici che se ne sono andati per sempre, e che, nel proprio manifestarsi originario, non avevamo decifrati come felici, sereni e appaganti? Un biglietto, un fiore, un oggetto trovato per casa ha spesso la capacità magica di aprire porte della nostra mente, che credevamo (speravamo?) chiuse per sempre. Dunque, questo esercizio, pur con i propri risvolti tragici (a ciascuno, i propri), è un esercizio irrinunciabile della vita. Ciascuno di noi è per quello che è stato, e dobbiamo essere eternamente grati a coloro i quali, in mille modi e altrettante maniere, hanno contribuito a fare di noi persone migliori.

A cura di Jason Bitner, Found - Polaroids è una raccolta di polaroid ritrovate per strada, realizzata dall’associazione statunitense Found, che si propone di dare visibilità a documenti della vita quotidiana, recuperati dall’oblio e dalla spazzatura. Ogni polaroid riprodotta sulla monografia è certificata con luogo e data del ritrovamento. ❯ Found - Polaroids; a cura di Jason Bitner; Quack!Media, 2006; 194 pagine 16,5x16,7cm, cartonato con sovraccoperta; oggi quotato da 46,99 dollari.

ALTRI RITROVAMENTI Come accennato, per quanto agisca istituzionalmente e con una prassi rigorosamente prestabilita, Found non si muove da sola nel territorio del ritrovamento e della sua successiva catalogazione e visibilità. Altri, soprattutto negli Stati Uniti (soltanto lì?), operano in modo analogo, e approdano ai medesimi fantastici risultati. Altre due segnalazioni si impongono, tra le tante che si manifestano, e che sono rintracciabili in Rete, territorio ormai indispensabile per la conoscenza quotidiana del mondo. In entrambi i casi, si tratta di raccolte allineabili con quelle di Found, una di identico spirito, l’altra formalmente più rigorosa; ma il fine rimane esattamente lo stesso: recuperare materiale che altrimenti si perderebbe nei meandri dell’incuria, della dimenticanza, dell’oblio. Direttamente intitolato Lost, nel senso di perduto,

e subito identificato con il disegno di un cane, il primo dei due altri libri che oggi consideriamo sottotitola Lost and Found. Pet Posters from Around the World. Ancora, tutto il mondo (questa volta è in qualche misura vero), e specifica diretta: avvisi di animali persi e ritrovati in tutto il mondo. E di questo, proprio, si tratta. Di una carrellata, di un casellario addirittura, di avvisi di animali domestici smarriti, del tipo che se ne vedono spesso per strada (e che ogni volta che li vedo, mi stringono il cuore per il dolore che immagino comporti l’intera vicenda). Burocraticamente: a cura di Ian Phillips, duecentootto pagine 13,9x17,7cm; 14,95 dollari [ancora, pagina accanto].

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Love Letters. Lost; a cura di Babbette Hines; Princeton Architectural Press, 2005; 176 pagine 18x23,5cm, cartonato con sovraccoperta; 19,95 dollari.

Più prezioso nella sua forma editoriale, Love Letters. Lost riunisce lettere d’amore, spesso accompagnate da fotoricordo in sintonia, di persone sostanzialmente anonime. La curatrice Babbette Hines la conosciamo già. L’abbiamo incontrata nell’ottobre 2005, quando ci siamo occupati della fenomenologia della (vituperata) fototessera. Nell’occasione, presentammo un’altra sua ricerca, fondamentalmente fotografica, condotta con le fototessere anonime delle cabine automatiche (Photobooth; duecentoventiquattro pagine 15x20cm, cartonato con sovraccoperta; 19,95 dollari). Il richiamo è d’obbligo, perché queste attuali lettere d’amore appartengono al medesimo filone e portano alle stesse considerazioni. Di fatto, nell’uno come nell’altro caso, con le fototessere e le attuali lettere d’amore, con una trattazione a dir poco esemplare, Babbette Hines identifica e sottolinea la cifra stilistica dei rispettivi fenomeni, in quanto tali e nella propria possibile declinazione artistica (persino!), andandoli a iscrivere nel lungo processo dell’evoluzione stessa del linguaggio visivo e della parola. Nello specifico: Love Letters. Lost; centosettantasei pagine 18x23,5cm, cartonato con sovraccoperta; 19,95 dollari [qui sopra]. Del resto, come abbiamo già rilevato cinque anni fa, è lodevole la sua eccellente attenzione al costume -fotografico e non soltanto-; ma è anche invidiabile, soprattutto dal punto italiano di osservazione, totalmente ripiegato su se stesso, privo della benché minima serenità di intenti. Titolare di una accreditata galleria, Babbette Hines rivolge la propria riflessione ai fenomeni del costume sociale, tra i quali la cabina automatica per le fototessere e le lettere d’amore, osservati come anche noi vorremmo personalmente fare, e purtroppo non troviamo né terreno fertile, né terreno da fertilizzare, né riceviamo adeguato credito. La sua galleria Found: Photo (620 Moulton Avenue, Studio 204, Los Angeles, CA 90031, Usa) si presenta in un affascinante sito,

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www.thefoundphoto.com, ricco di tutti gli indirizzi verso i quali si rivolge. Qui trovano degna ospitalità tutti i fenomeni quotidiani che definiscono l’aspetto autenticamente sociale della vita, a partire proprio dalla fotografia: dalle istantanee familiari alla presenza dell’apparecchio fotografico nell’inquadratura, dall’album alla fotoricordo. Questa sì è Storia sociale!

ALLA FIN FINE Le conclusioni relative alla valorizzazione di oggetti della vita quotidiana le abbiamo già riferite, anticipandole nel testo. Qui e ora è il caso di confermarle. Con il pretesto di tre monografie in successione, in un allineamento di nostra invenzione (giornalismo? cuore? voglia esasperata di ricercare quanto possa migliorarci? farci più belli?), abbiamo trattato un particolare aspetto della Storia, definita e disegnata dalle esistenze individuali: quella Storia che ogni giorno ognuno di noi vive nella propria cronaca individuale, che si proietta in avanti (soprattutto) se e quando le esistenze vengono messe in discussione. A quanti oggetti inutili, poveri nella propria sostanza, superflui nella assoluta inconsistenza, leghiamo i nostri ricordi? i nostri sogni? le nostre emozioni? Allo stesso momento, con segno algebrico opposto, ma significato identico: quanti oggetti della vita quotidiana ci danno dolore, perché ricordano momenti felici che se ne sono andati per sempre, e che, nel proprio manifestarsi originario, non avevamo decifrati come felici, sereni e appaganti? Le stanze vuote, e lei (lui) che non è più con noi. Un biglietto, un fiore, un oggetto trovato per casa ha spesso la capacità magica di aprire porte della nostra mente, che credevamo (speravamo?) chiuse per sempre. Dunque, questo esercizio, pur con i propri risvolti tragici (a ciascuno, i propri) è un esercizio irrinunciabile della vita. Ciascuno di noi è per quello che è stato, e dobbiamo essere eternamente grati a coloro i quali, in mille modi e altrettante maniere, hanno contribuito a fare di noi persone migliori. ❖


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Racconto di Maurizio Rebuzzini

IL FOTOGRAFO (A FUMETTI)

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Originariamente pubblicato in tre volumi italiani fedeli alla prima edizione francese, Il fotografo, titolo esplicito, è un fumetto particolare: almeno per due motivi. Il primo è evidente, e lo si capisce subito, sfogliandone le pagine: il racconto scorre su un binario arditamente doppio, che sulle tavole combina la narrazione a fumetti (vera e propria) con immagini fotografiche, che la completano e integrano; anzi, sono proprio queste il soggetto principale. Il secondo è sottotraccia: palpitante testimonianza della e dalla guerra in Afghanistan, dal punto di vista di una équipe di Medici Senza Frontiere, la più grande organizzazione medico-umanitaria indipendente al mondo (creata da medici e giornalisti in Francia, nel 1971; Premio Nobel per la Pace 1999; www.medicisenzafrontiere.it). Dopo i tre fascicoli in consecuzione, appunto primo, secondo e terzo, pubblicati da Lizard Edizioni nel 2004, 2005 e 2007 (rispettivamente, 17,50 euro, i primi due, e 21,80 euro, il terzo), Il fotografo è stato raccolto in un volume unico da Coconino Press, che l’ha presentato nell’ambito della rassegna specializzata BilBOlbul, a Bologna, all’inizio dello scorso marzo: duecentottanta pagine 23x30,2cm; 29,00 euro, uno dei quali a sostegno di Medici Senza Frontiere (Coconino Press, via dei Fornaciai 21ghi, 40129 Bologna; 051325516; www.coconinopress.com). Subito una annotazione per questa edizione italiana fresca di stampa, la cui copertina richiama soltanto il fumetto, a differenza di quelle delle edizioni internazionali, che precisano subito la particolare combinazione con la fotografia [qui sotto]. Niente di gra-

ve (oppure sì?), e giusto questo: annotazione amara, che probabilmente rivela una sostanziale immaturità del pubblico italiano, da richiamare soltanto per i fumetti e non per il contenuto dell’opera, che le edizioni internazionali annunciano in sottotitolo: Dentro la guerra in Afghanistan con Medici Senza Frontiere. Ma, tant’è! Nello specifico, la recente edizione in volume unico di Il fotografo, titolo pluripremiato in tutto il mondo, si presenta con una nuova traduzione rispetto la precedente scomposizione (si dice che l’autore Emmanuel Guibert fosse scontento di quei testi), che dà maggiore peso e significato alla

Il fotografo, di Emmanuel Guibert, Didier Lefèvre e Frédéric Lemercier; prefazione di Adriano Sofri, postfazione di Sergio Cecchini (Medici Senza Frontiere Italia); Coconino Press, 2010 (via dei Fornaciari 21ghi, 40129 Bologna; 051-325516; www.coconinopress.com); 280 pagine 23x30,2cm; 29,00 euro, uno dei quali a sostegno di Medici Senza Frontiere.

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Nell’incessante cadenza della lettura, in Il fotografo a volte prevale il fumetto, con tavole disegnate che si susseguono con ammirevole ritmo. Altre volte, sono state messe in pagina soprattutto fotografie, a volte soltanto fotografie; nella maggior parte dei casi, disegno e fotografia dialogano e si integrano nel racconto, passando agilmente dal dietro le quinte al davanti all’obiettivo.

trasversalità esplicita dell’azione di Medici Senza Frontiere. Ciò a dire, che il fumetto passa quasi in secondo piano, anche se non è esattamente vero, per portare in superficie il valore documentario del racconto. Tanto che l’edizione di Coconino Press si arricchisce anche di due sostanziosi testi di accompagnamento: una prefazione di Adriano Sofri e una postfazione di Sergio Cecchini, di Medici Senza Frontiere Italia. Fumetto efficace, Il fotografo racconta il viaggio che il fotogiornalista francese Didier Lefèvre (morto di in-


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Racconto A TRE MANI

Il fotografo è firmato da tre autori: disegno e sceneggiatura di Emmanuel Guibert, fotografie di Didier Lefèvre (appunto, il fotogiornalista protagonista del racconto) e realizzazione grafica di Frédéric Lemercier. Emmanuel Guibert è uno dei nomi di punta della nuova scena del fumetto francese. Con La guerra di Alan, nel 2008, ha vinto il prestigioso e autorevole premio Micheluzzi, per la miglior serie a fumetti estera, assegnato al Comicon, festival del fumetto di Napoli. Didier Lefèvre è un fotoreporter francese, nato il 19 dicembre 1957. Farmacista di formazione, è stato compagno di strada di Medici Senza Frontiere per diversi anni, occupandosi dapprima della logistica in seguito di fotografia e fotoreportage. L’esperienza e le fotografie della sua prima missione in Afghanistan, dal luglio 1986, sono la base del fumetto Il fotografo. È mancato prematuramente, nel gennaio 2007, nella sua casa di Morangis. Frédéric Lemercier è nato nel 1962, a Rouen. Dopo studi in arti decorative, legato da una profonda amicizia con Emmanuel Guibert, lo affianca nella realizzazione di diversi volumi illustrati e a fumetti, tra i quali La campagne à la mer e Le Pavé de Paris. E poi, l’attuale Il fotografo.

farto nel 2007, prima di raggiungere i cinquant’anni) compì dal luglio 1986 in Afghanistan, durante la guerra con l’Unione Sovietica, al seguito di una spedizione di Medici Senza Frontiere. Dopo una permanenza di quattro mesi, Didier Lefèvre tornò a Parigi con quattromila negativi di un reportage intenso e approfondito, di quelli che rispondono più a stilemi classici che alla superficialità imposta dai giornali del giorno d’oggi. A seguire, ci sono state altre missioni fotografiche in Afghanistan, con reportage realizzati in aree di combattimento.

Comunque, è stata tradotta in fumetto la prima esperienza, quella del 1986, che ha indelebilmente segnato la vita e l’impegno fotografico del bravo fotoreporter. Illustrato e sceneggiato da Emmanuel Guibert, Il fotografo è stato realizzato accordando assieme i ricordi e le fotografie di Didier Lefèvre, che racconta in prima persona. La fantastica combinazione, perfettamente integrata e allineata, si deve a Frédéric Lemercier, che ha realizzato una affascinante e avvincente impaginazione delle tavole, sulle quali convivono perfettamente disegni e fotografie.

Pubblicato in Franca, tra il 2003 e il 2006, il fumetto scandisce il ritmo della missione fotografica di Didier Lefèvre, opportunamente suddivisa in tre fascicoli consecutivi, originariamente rispettati nella prima edizione italiana. Si parte con la lunga marcia attraverso le montagne del Nuristan, per approdare all’arrivo e soggiorno nel villaggio afghano di Zaragandara e concludere con il drammatico viaggio di ritorno in solitaria, dove il fotogiornalista ha rischiato di morire. Per quanto non sia stato facile accostare due diverse tecniche espres-

Il fotografo racconta la prima esperienza afghana del fotoreporter Didier Lefèvre, del 1986, che ne ha segnato la vita e l’impegno fotografico. Il fumetto è illustrato e sceneggiato da Emmanuel Guibert. Frédéric Lemercier ha realizzato una affascinante e avvincente impaginazione delle tavole, sulle quali convivono perfettamente disegni e fotografie.

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Racconto sive e di comunicazione, il tratto a penna colorata con il bianconero della fotografia, come è stato osservato, Il fotografo ha abilmente evitato di cadere in facili manierismi. Così che i tre autori, ciascuno per sé e tutti insieme, hanno realizzato un’opera efficace, che raggiunge perfettamente le proprie intenzioni: lo svago del fumetto e la concentrazione della documentazione di situazioni crude, come lo sono quelle precarie di ogni guerra. Il disegno di Emmanuel Guibert, anche sceneggiatore, accompagna e accoglie con armonia le fotografie, a propria volta asciutte e dirette, senza alcuna prevaricazione, né scala gerarchica. La narrazione è fresca, lineare e consequenziale. Bene! Nell’incessante cadenza della lettura, a volte prevale il fumetto, con tavole disegnate che si susseguono con ammirevole ritmo. Altre volte, sono state messe in pagina soprattutto fotografie; nella maggior parte dei casi, disegno e fotografia

dialogano e si integrano nel racconto, passando agilmente dal dietro le quinte al davanti all’obiettivo. Come rivelato, Il fotografo è un fumetto francese, tradotto e pubblicato anche in Italia. Non avrebbe potuto essere diversamente -fumetto francese-, visto che oltralpe la tradizione del fumetto è ben più consistente e radicata di quanto (non) lo sia in Italia, dove permangono ancora pregiudizi e prevenzioni. Ovvero, Il fotografo, di Emmanuel Guibert, Didier Lefèvre e Frédéric Lemercier, appartiene a una scuola e una tradizione che considerano la scrittura a fumetti al pari di quella a parole e per immagini fotografiche. Attraverso il linguaggio del fumetto, viene data voce a ricordi, documenti e storie adeguatamente concrete e coinvolgenti: straordinaria lezione di comunicazione... anche giornalistica, anche sociale. In particolare, Il fotografo rivela la vita e il duro impegno dei Medici Senza Frontiere, a fianco e a soste-

Il fotografo è un fumetto particolare: combina la narrazione a fumetti (vera e propria) con immagini fotografiche, che la completano e integrano; anzi, sono proprio queste il soggetto principale. La trama dà visibilità a una palpitante testimonianza della e dalla guerra in Afghanistan, dal punto di vista di una équipe di Medici Senza Frontiere, la più grande organizzazione medico-umanitaria indipendente al mondo.

gno di un popolo dilaniato da una guerra incomprensibile (come tutte le guerre, del resto). Evidenzia l’intreccio tra destini individuali e Storia. Racconto del quale fare tesoro. ❖


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