FOTOgraphia 175 ottobre 2011

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Mensile, 6,50 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano

ANNO XVIII - NUMERO 175 - OTTOBRE 2011

Mirrorless SISTEMA NIKON 1 Cannes e Origini CHE BELLE MONOGRAFIE


Non è venduta in edicola. Per averla hai una sola possibilità: sottoscrivere l’abbonamento annuale. 12 numeri 65,00 euro

Abbonamento 2011 (nuovo o rinnovo) in omaggio 1839-2009

Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita M A U R I Z I O

R E B U Z Z I N I

1839-2009 Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita

Come dire, dal dagherrotipo all’acquisizione digitale di immagini. E consecuzioni

INTRODUZIONE

DI

GIULIANA SCIMÉ

F O T O G R A P H I A L I B R I



prima di cominciare IL LUNGO ADDIO. Lunedì ventisei settembre è mancato Sergio Bonelli, il più autorevole editore italiano di fumetti; nella sua scuderia: Tex (personaggio creato dal padre Gian Luigi), Zagor e Mister No (di sua invenzione), Dylan Dog, Martin Mystère, Nathan Never, Legs Weaver, Julia... e altri ancora. Insomma, i più seguiti e fascinosi comics italiani contemporanei. Ci siamo conosciuti in una particolare occasione, più volte richiamata su queste pagine. È stato molti e molti anni fa, quando Tex Willer ha incontrato il fotografo Timothy H. O’Sullivan (in origine, numero 250 dell’edizione mensile di Tex: Il solitario del West; e poi, altre repliche, puntualmente annotate in FOTOgraphia). Nel suo ufficio di via Buonarroti, a Milano, abbiamo parlato di fumetti e fotografia, le nostre rispettive materie di competenza. E anche di suo padre Gian Luigi, prima che venisse a mancare, che ha raccontato un paese e luoghi, gli Stati Uniti del West, che non aveva mai visto, né voluto visitare: ma conosciuto soltanto attraverso i libri. Meraviglioso! È proprio vero: soltanto i poeti sanno veramente parlare della libertà, dolcissima e inebriante (da e con Pino Bertelli). Quando qualcuno viene a mancare, come è appena accaduto a Sergio Bonelli, si aprono le porte delle riflessioni e considerazioni. Non le varco, chiudendomele non alle spalle, ma davanti. No. Non approdo alla retorica di maniera, e rimango con me stesso e le mie considerazioni individuali, forte di una esistenza maturata anche attraverso Tex, inevitabile riferimento generazionale (a ciascuno, i propri). Non sono tutti simpatici e gradevoli i personaggi pubblicati da Sergio Bonelli Editore, anche se i più recenti si impongono di esserlo (Dylan Dog, Legs Weaver, Martin Mystère, Nathan Never). Ma sono tutti coerenti con il proprio tempo e spazio. Ecco dunque sottolineato un valore che va oltre gli impegni professionali, per definire quel senso etico del dovere che si antepone al diritto: dovere di una casa editrice di conciliare la propria redditività di impresa con qualcosa che vada ben oltre e avanti. Dovere verso i propri lettori, spesso giovani, che vanno indirizzati verso il senso e valore della Vita. Non esagero, non mi allargo: soltanto, osservo. Questa è stata ed è la personalità che Sergio Bonelli ha trasmesso alla propria casa editrice: rispetto del pubblico, conciliazione dei sentimenti, indirizzo coerente con la comprensione degli altri. Lo ha fatto con i fumetti, forma letteraria poco apprezzata e compresa nel nostro paese. Ma lo ha fatto. E tutti gli dobbiamo essere grati. Come già sottoscritto altre volte, mai una di troppo, a presto rivederci. M.R.

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La fotografia autentica soffia dove vuole... da nessuna parte è l’arte, se al centro della propria espressione non mette la felicità dell’intera umanità. Pino Bertelli; su questo numero, a pagina 66 Se la fotografia è uno specchio di un tempo e di uno spazio... e se la fotografia documentaristica ha quale scopo fondante la “ricerca della verità”, questa è la verità che mi ha suggerito Dorothea Lange. Andrea Villanis; su questo numero, a pagina 23 In ogni epoca e tempo, la macchina fotografica ha espresso i connotati esatti e pertinenti della propria contemporaneità, della propria tecnologia applicata. In ogni epoca e tempo, la macchina fotografica è stata la compagna fedele di ogni autore. Maurizio Rebuzzini; su questo numero, a pagina 7 Non siamo, non siamo, non siamo... con Francesco Guccini; su questo numero, a pagina 25

Copertina Edgar Degas: La stella, o La danzatrice sulla scena; pastello su monotipo 58x42cm, del 1876-1877. Uno dei dipinti più rappresentativi dell’Impressionismo, la prima corrente pittorica immediatamente successiva all’invenzione della fotografia (nel 1839, come raccontano le Origini, in monografia Skira, della quale riferiamo da pagina 48). A partire da un fantastico racconto e approfondimento, pubblicato dal colto e intrepido Taschen Verlag, sempre lui, immancabilmente lui, consideriamo quanti e quali sono i debiti di riconoscenza tra il movimento artistico e la fotografia. Da pagina 26

3 Altri tempi (fotografici) Copertina del dépliant Ensign. Folding Reflex, del 1913; dalla presentazione: «Non vi è camera che possegga tante attrattive palesi come una Reflex ben costrutta»

7 Editoriale Amico: ammesso, e non concesso, che ne esistano. Lo strumento della fotografia è spesso un amico fedele, che dona tranquillità e bellezza, da proiettare al proprio esterno. Magia e mistero della Fotografia. Anche

8 I AM Nikon 1 Ci si augura che il neonato sistema mirrorless a obiettivi intercambiabili Nikon 1 possa contribuire all’auspicabile allargamento del mercato fotografico nel proprio complesso. Oltre i valori tecnici, autorevolezza del marchio

12 Notizie Attrezzature, vicende e altre segnalazioni


OTTOBRE 2011

R , RIFLESSIONI IFLESSIONI, OSSERVAZIONI E COMMENTI OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA SULLA FOTOGRAFIA

14 Memento (immediato) Autentico cult generazionale, ma persino trasversale, il film Memento si impone per consistenti prerogative espressive proprie. Dal nostro punto di vista... polaroid Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

Anno XVIII - numero 175 - 6,50 euro DIRETTORE

RESPONSABILE

Maurizio Rebuzzini

IMPAGINAZIONE

Maria Marasciuolo

REDAZIONE

18 Ici Bla Bla

Angelo Galantini

Appunti e attualità della fotografia internazionale a cura di Lello Piazza

Rouge

FOTOGRAFIE SEGRETERIA

Maddalena Fasoli

22 Migrant Mother Davanti a una autentica icona fotografica del Novecento, simbolo della Depressione statunitense degli anni Trenta di Andrea Villanis

24 Dieci anni dopo Il ricordo dell’Undici settembre, in tre copertine

26 La lezione dell’Impressionismo Straordinaria monografia Taschen, Impressionismo sollecita una consecuzione di riflessioni e osservazioni adeguatamente fotografiche. Considerazioni mirate di Silvia Zotti

HANNO

COLLABORATO

Pino Bertelli Antonio Bordoni Chiara Lualdi Angelo Mereu Danilo Pedruzzi Lello Piazza Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Andrea Villanis Silvia Zotti Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604 www.FOTOgraphiaONLINE.it; graphia@tin.it. ● FOTOgraphia è venduta in abbonamento.

37 Mercato fotografico (?) Annotazioni e sintesi dal Sondaggio TIPA 2011 di Antonio Bordoni

42 Dal SWPA 2011 Fotografie non professionali, segnalate nelle sezioni Open Arts and Culture e Open Fashion dello strepitoso Sony World Photography Award 2011. Altre a seguire

48 Alle origini... e poco oltre Primo di quattro titoli che si propongono di raccontare la storia della fotografia: appunto, Le origini 1839-1890 di Maurizio Rebuzzini

58 Emozioni individuali Dialogo esemplare dal fumetto Legs Weaver. Ottimo

● FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano. ● A garanzia degli abbonati, nel caso la pubblicazione sia pervenuta in spedizione gratuita o a pagamento, l’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e in suo possesso, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi della legge 675/96. ● FOTOgraphia Abbonamento 12 numeri 65,00 euro. Abbonamento annuale per l’estero, via ordinaria 130,00 euro; via aerea: Europa 150,00 euro, America, Asia, Africa 200,00 euro, gli altri paesi 230,00 euro. Versamenti: assegno bancario non trasferibile intestato a Graphia srl Milano; vaglia postale a Graphia srl - PT Milano Isola; su Ccp n. 28219202 intestato a Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; addebiti su carte di credito CartaSì, Visa, MasterCard. ● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti. Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano

Rivista associata a TIPA

60 Cannes Cinéma Monografia che evoca sapori di tempi memorabili di Angelo Galantini

64 Helmut Newton Sguardi sulla fotografia dello spettacolo (e indignazione) di Pino Bertelli

www.tipa.com

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editoriale A

nche se in un certo senso costa fatica e dolore ammetterlo, la frequentazione della fotografia dipende in larga misura dal fascino dei suoi strumenti. L’ho rilevato in altre occasioni, e qui lo ribadisco. Per quanto si possano anche individuare eccezioni (che probabilmente confermano la regola), in generale tutti si sono avvicinati alla fotografia attirati più da una macchina fotografica che dall’eventuale apprezzamento di una immagine o un autore. Che poi, da questo inevitabile punto di partenza, qualcuno sia andato oltre, ben oltre, non cambia lo stato delle cose. Volente o nolente, proprio la macchina fotografica compone i tratti qualificanti dell’esercizio della fotografia. Magistralmente, all’interno di una offerta sempre vasta, sia per quantità sia per qualità, si sono manifestati tanti richiami, che hanno consentito a molti (tutti) di individuare e avvicinare l’amico fidato. Sì, proprio l’amico, nel più autentico valore che il termine e concetto può esprimere: la propria macchina fotografica di fiducia e riferimento è quell’amica che non inganna mai, che non tradisce, che è sempre pronta a soddisfare le nostre esigenze e, perché no?, richieste. In ogni epoca e tempo, la macchina fotografica ha espresso i connotati esatti e pertinenti della propria contemporaneità, della propria tecnologia applicata. In ogni epoca e tempo, la macchina fotografica è stata la compagna fedele di ogni autore, molti dei quali l’hanno adeguatamente celebrata (tanto che, per esempio, raccontando del marito Aleksandr Rodchenko, straordinario autore, esponente di spicco del costruttivismo russo, il 25 novembre 1928, Varvara Stepanova annota nel suo diario: «Aleksandr ha acquistato una Leica per trecentocinquanta rubli»). Così, non posso, né voglio, ignorare che le potenzialità tecnico-commerciali del nuovo sistema Nikon 1, del quale riferiamo nelle pagine immediatamente a seguire, agiranno sulla socialità della fotografia nello stesso modo -così come hanno agito tutte le macchine fotografiche della Storia-, fino a creare amicizie e complicità che dall’esercizio fotografico originario si allungheranno nell’esistenza di ciascuno. Anche questo va rilevato: oltre a come e quanto la Fotografia influenza / ha influenzato la Vita, nel proprio complesso, approdo a come e quanto le macchine fotografiche abbiano influenzato le esistenze individuali. Rendendole sicuramente migliori. Ovverosia, in estensione di pensiero, oltre il fatto di essere un hobby diverso degli altri, in quanto migliore (al minimo, attivo e non passivo; e poi c’è tanto altro ancora), quello fotografico può contare anche su un particolare rapporto amicale e di complicità (espressiva) con i propri strumenti operativi. Può mettere a buon frutto questi amici fedeli, che arricchiscono l’esistenza e la rasserenano, affinché ciascuno proietti questa tranquillità e bellezza altrove e altrimenti: verso altre esistenze. Mistero della Fotografia. Magia della Fotografia. Anche. Fotografia: amica fedele. Maurizio Rebuzzini

Se è vero quello che ipotizziamo e speriamo, la proiezione commerciale del sistema Nikon 1 (Nikon one; qui, la mirrorless Nikon 1 V1) verso utenti nuovi, che avvicinerà alla fotografia nuovi frequentatori, non si esaurisce nel proprio aspetto originario, appunto commerciale, ma si allunga su una socialità che abbiamo particolarmente a cuore. Frequentare la fotografia rende persone migliori, con tanto quanto ne consegue.

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Eccoci qui! di Maurizio Rebuzzini

I AM NIKON 1

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Come annotato e rilevato giusto un mese fa, sul nostro numero dello scorso settembre, l’esuberanza della tecnologia attuale consente ormai interpretazioni fotografiche estremamente versatili ed eterogenee, con applicazioni semplicemente improponibili e impensabili nelle passate stagioni meccaniche. Si può fare tutto, non soltanto molto; e, allora, si tratta di stabilire come configurare gli apparecchi fotografici dei nostri tempi attuali, di cosa consentire loro di fare nella pratica quotidiana. L’interpretazione della corretta esposizione, con adeguata combinazione di tempo di otturazione e apertura di diaframma, non si limita più a se stessa, ma si proietta in avanti, molto in avanti, spesso troppo in avanti (giudizio di merito assolutamente personale e individuale, del quale non tenere alcun conto).

Rivolta e indirizzata a un pubblico più ampio, a un pubblico della fotoricordo (applicazione fantastica), la Nikon 1 J1 è disponibile in cinque finiture colorate: black, white, silver, red e pink.

gliore (secondo parametri oggettivi). E poi, tanto altro ancora, che ognuno può individuare attraverso canali di informazione preposti: a partire dall’immancabile sito del distributore italiano, www.nital.it. Sempre che siano questi dettagli a fare la differenza, andando a soddisfare possibili e potenziali esigenze del pubblico al quale ci si rivolge.

PREROGATIVE Qui e ora, soprattutto qui e ora, non conta approfondire l’insieme delle caratteristiche tecniche: compren-

Ovviamente, approdando al comparto delle mirrorless a obiettivi intercambiabili, anche Nikon ha dotato le proprie avveniristiche Nikon 1 V1 e Nikon 1 J1 di rigogliose dotazioni e caratteristiche tecniche. Soprattutto, si segnalano consistenti prestazioni nell’ambito della rapidità di acquisizione (fino a sessanta fotogrammi al secondo!), capacità video e registrazione di immagini in sequenza rapida, tra le quali lo stesso apparecchio fotografico seleziona poi la fotografia considerata mi-

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In livrea bianca o nera, la Nikon 1 V1, di vertice, dispone di mirino elettronico ad alta risoluzione, alternativo alla visione dal monitor LCD posteriore.

Un flash integrato completa la dotazione base della Nikon 1 J1.

sibilmente e inevitabilmente di alto profilo e eccellenti possibilità operative. Quello che invece merita attenzione è la condizione di mercato che si va a delineare, e che fa l’autentica differenza, oltre a comporre i termini concreti di una situazione che non si esaurisce nel solo commercio fotografico, entro il quale nasce e si manifesta, ma si proietta all’intero comparto, andando a definire personalità assolute e inviolabili. Avviato da altri, interpretato con vivaci, briose, vitali ed euforiche configurazioni fotografiche, il comparto delle mirrorless a obiettivi intercambiabili, con sensore di generose dimensioni (liberato dalle reflex, ormai orientate verso il full frame), è nato per scandire al meglio e verso il meglio l’offerta fotografica. Si è collocato tra le compatte di ogni giorno e le impegnative reflex, facendosi forza delle positività di entrambe: praticità di impiego e versatilità di uso delle compatte, consistenza del-


Eccoci qui! le reflex a obiettivi intercambiabili. Dunque, senza troppi giri di parole, le mirrorless a obiettivi intercambiabili si propongono di accontentare e soddisfare coloro i quali considerano limitanti le compatte e complesse le reflex. E qui sta la questione di sostanza: costoro sono clienti e utenti nuovi, che non hanno ancora avvicinato la fotografia, oppure sono utenti già affiliati, che semplicemente sostituiscono una dotazione tecnica con un’altra? Ci viene detto che in altre geografie le mirrorless a obiettivi intercambiabili avrebbero conquistato consistenti quote di mercato. Personalmente, sono affascinato da questa tecnologia e configurazione, ma le individualità qui contano nulla. Dunque, mi domando se queste presunte quote di mercato sono state acquisite a scapito di altri comparti egualmente fotografici (un poco dalle compatte e un altro poco dalle reflex), oppure si tratta di vendite in aggiunta. Ovvero, le mirrorless a obiettivi intercambiabili hanno effettivamente richiamato nuovi consumatori, nuovi utenti, che hanno ingrossato le fila del mercato? Oppure, si sono inserite a cuneo in una quantità e redditività di impresa che sono rimaste le stesse di prima? Il mercato della fotografia, sia chiaro e assodato, ha bisogno di allargarsi, non certo di frazionarsi.

TRA LE MANI!

Il lancio commerciale del sistema mirrorless a obiettivi intercambiabili Nikon 1 (Nikon one), che parte con le due configurazioni originarie Nikon 1 V1 e Nikon 1 J1, accompagnate dagli obiettivi 1 Nikkor e da accessori di uso, è stato supportato da una intensa promozione. Anzitutto, la presentazione ufficiale, il ventuno settembre (equinozio d’autunno), è stata svolta simultaneamente in diverse città del mondo; quindi, ogni presentazione si è accompagnata con una affascinante visualizzazione scultorea dell’immagine simbolo del sistema: due mani che impugnano l’apparecchio (a Milano, è stata strategicamente collocata di fronte alla Stazione Centrale). In due tempi: dal diciassette settembre, sono state collocate le braccia giganti, alte sei metri, appoggiate al terreno, che già hanno sollecitato curiosità (anche della stampa nazionale); quindi, dal mezzogiorno del ventuno settembre è stata aggiunta la macchina fotografica. Così che vale la spesa sottolineare quanto questa vistosa e abbagliante installazione sia sollecitante: assolutamente visibile, è stata notata, osservata e, persino, fotografata dai passanti. Sì: promozione della Nikon 1 e del suo sistema mirrorless a obiettivi intercambiabili, ma, allo stesso tempo e momento, fantastica propaganda per la fotografia nel proprio insieme.

Il diciassette settembre, la misteriosa installazione Nikon 1 è stata collocata di fronte alla Stazione Centrale, di Milano.

ALLORA, NIKON A questo punto, una domanda è inevitabile (e si tratta anche e soprattutto di una autentica speranza): la personalità tecnica delle due nuove Nikon 1 V1 e Nikon 1 J1, che danno vita al neocostituito sistema fotografico Nikon 1 (Nikon one!), e l’autorevolezza assoluta del marchio hanno modo di fare l’agognata differenza? Ovverosia, il prestigio, la rilevanza, l’importanza, la potenza, l’influenza, la credibilità di Nikon avrà modo di spingere consistentemente in avanti? Di richiamare alla fotografia nuovi clienti, che incrementino le quote attuali? Al solito, per osservare la vicenda in modo positivo (ottimistico), per quanto riguarda l’Italia, sono stati evocati valori commerciali internazionali. Li conosco bene, sono quelli di sempre, che vengono sbandie-

Da mezzogiorno del ventuno settembre, l’installazione ha rivelato la propria promozione del neonato sistema Nikon 1: assolutamente visibile, è stata notata, osservata e, persino, fotografata dai passanti.

Fronte e retro dell’apparecchio Nikon 1 tenuto tra le gigantesche mani, di fronte alla Stazione Centrale, di Milano.

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Eccoci qui! rati da decenni, e che in passato hanno fatto la fortuna fonetica e aziendale di personaggi di levatura commerciale e gestionale più che modesta. Una volta, il riferimento è stato declinato sulla quantità di rullini fotografici consumati a famiglia, oggi definisce la quantità di apparecchi fotografici: ma i valori e rapporti sono sempre gli stessi. In Germania e Inghilterra, prese a

esempio, ci si muove sulla cifra “3”, là dove l’Italia è appena sopra l’“1”: ripeto, ieri rullini annui consumati per famiglia, oggi macchine fotografiche (digitali) a famiglia. Da cui, ecco che si ipotizza un possibile e potenziale margine d’azione, di crescita, fino ai più alti valori delle geografie di riferimento. Ma! Ma non si tiene mai conto che se questa è la situazione, ci deve essere un motivo valido,

confermato dalla stabilità nei decenni dello stesso dato: altrove, il potere di acquisto delle famiglie è superiore a quello italiano. È banale. Gli stipendi sono diversi, e altrettanto differenti sono la stabilità nazionale e la democrazia quotidiana. Le nazioni si costruiscono sull’onore e l’integrità, una pietra solida sopra un’altra pietra solida. E lo stesso penso per i mercati, il commercio.

QUALCHE VALORE

Per quanto sia opportuno rimandare alla completezza di informazioni divulgate da fonti competenti, e preposte a questo, a partire dal sito del distributore italiano www.nital.it, è doveroso annotare alcune prerogative delle nuove Nikon 1 V1 e Nikon 1 J1, mirrorless a obiettivi intercambiabili che avviano il rivoluzionario sistema fotografico Nikon 1. Come è logico e ovvio che debba essere, Nikon entra in un nuovo comparto tecnico, appunto quello delle mirrorless, con passo deciso e autorevole, offrendo prima di tutto un autofocus e uno scatto continuo di estrema rapidità: al momento, i più rapidi al mondo. In novità assoluta e completa, le due Nikon 1 V1 e Nikon 1 J1 propongono diverse ed eccellenti funzionalità fotografiche, come la tecnologia di acquisizione immagini pre e post scatto, che rende possibili modalità di ripresa innovative, utili a realizzare immagini formalmente perfette in ogni condizione. Addirittura, iniziano a registrare immagini prima che venga premuto completamente il pulsante di scatto e continuano a farlo per qualche istante anche dopo che è stato rilasciato, in modo da registrare una sequenza di fotografie tra le quali selezionare la migliore, la preferita... quella voluta. La modalità Motion Snapshot consente di acquisire momenti fugaci e riprodurli, in modo da fare apparire un’immagine letteralmente “animata”. Con questa funzione, la mirrorless registra contemporaneamente un filmato rallentato e un’immagine, quindi li combina istantaneamente, per generare una fotografia dinamica, che racconta la storia di un singolo istante. Di fatto, si può documentare un istante nel corso del suo svolgimento: ciò è possibile combinando la fotografia di un istante con il filmato degli attimi precedente e successivo lo scatto dell’immagine stessa. Un’altra funzione innovativa, resa possibile dalla straordinaria velocità di risposta delle mirrorless Nikon 1 V1 e Nikon 1 J1

Il sistema mirrorless a obiettivi intercambiabili Nikon 1 nasce con due configurazioni fotografiche originarie, Nikon 1 V1 (a destra, dall’alto e il retro, con monitor LCD) e Nikon 1 J1, quattro obiettivi e un flash dedicato. Tramite anello adattatore (accessorio opzionale), si possono utilizzare gli obiettivi in baionetta Nikon F Mount.

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(del sistema Nikon 1: Nikon one), è la Smart Photo Selector, che consente di scattare un’immagine a piena risoluzione nel modo più corretto possibile, evitando l’anticipo e/o ritardo dell’azione inquadrata. In questa modalità, alla pressione del pulsante di scatto si avvia l’acquisizione rapida di venti immagini ad alta risoluzione; quindi, l’apparecchio seleziona automaticamente le cinque fotografie ritenute migliori (in base a una serie di parametri predefiniti, relativi alle espressioni facciali, composizione e messa a fuoco) e propone l’immagine migliore in assoluto, visualizzandola sul display LCD ad alta risoluzione. Ovviamente, nulla è assoluto e definitivo; qualora la fotografia proposta non soddisfi l’utente, si passa ad altri suggerimenti, senza perdere le acquisizioni appena registrate. La Nikon 1 J1 è la più semplice delle mirrorless Nikon originarie. È dotata di flash e sufficientemente piccola e leggera da poter essere portata sempre con sé, ovunque e in qualsiasi occasione. È disponibile in cinque colori: black, white, silver, red e pink. Invece, la Nikon 1 V1 si rivolge e indirizza agli appassionati di tecnologia e a coloro i quali desiderano esplorare sempre nuovi modi di esprimersi attraverso la fotografia. Dispone di mirino elettronico a 1.440.000 pixel, alternativo al monitor LCD. Nelle livree black e white.


Eccoci qui! Non è legittimo confrontarsi con altre geografie, con paesi solidi e ben organizzati, nei quali si manifestano energiche sovranità che semplificano il quotidiano di ciascuno. Casomai, potrebbe essere più proficuo fare i conti con se stessi e basta, con la propria realtà. E la realtà commerciale italiana che si indirizza al tempo libero (entro il quale agisce la fotografia non professionale) non ha concorrenti orizzontali, ma verticali. La competizione non riguarda tanto i marchi coinvolti, l’uno contro l’altro armati, ma l’insieme della fotografia verso/contro altri consumi del tempo libero, che sono sempre più aggressivi e gratificanti. In realtà, la Fotografia (questa volta con maiuscola volontaria, oltre che consapevole) avrebbe frecce al proprio arco, se solo le volesse usare e lanciare: dipendono tutte proprio dalla fotografia, fantastico hobby e avvincente passione assolutamente diverso/diversa da ogni altro/altra. Diverso/diversa, perché migliore. Penso a una educazione commerciale che si estenda oltre i soli riferimenti tecnici, per comprendere la definizione di un commercio rivolto all’applicazione attiva di un interesse; anche solo in queste pagine, l’ho già rilevato in tante occasioni, e a propria volta questa ulteriore potrebbe non essere l’ultima, ma soltanto una ancora e una in più: sia che si tratti di semplice fotoricordo domenicale, sia che si tratti di impegno individuale più sostanzioso (quel fotoamatorismo, anche organizzato, frequentato da molti), ribadisco che la fotografia è un hobby diverso dagli altri. Diverso, perché migliore: sempre e comunque attivo e non passivo. Il valore del Tempo che l’attraversa non è certo questione da poco.

A PARTIRE DA In assoluto, e per concludere, non ho dubbi sul fatto che la passione fotografica dipenda in larga misura dal fascino dei suoi strumenti, a partire dalla macchina fotografica, richiamo assoluto e inviolabile: e a questi si rivolge sempre. Sono consapevole che nessuno si sia mai avvicinato alla fotografia attiva per amore di qualche immagine o autore. Ma, più concretamente, tutti sono stati attirati da una macchina fotografica (sano feticismo).

Mirrorless Nikon 1 V1 con zoom 1 Nikkor VR 10-100mm f/4,5-5,6 PD-Zoom: efficace dotazione fotografica e video.

Il sistema ottico mirrorless 1 Nikkor nasce con quattro focali: grandangolare luminoso 1 Nikkor 10mm f/2,8; zoom 1 Nikkor VR 10-30mm f/3,5-5,6; zoom 1 Nikkor VR 10-100mm f/4,5-5,6 PD-Zoom, particolarmente indicato per riprese video; zoom compatto 1 Nikkor VR 30-110mm f/3,8-5,6.

Per questo, e in questo senso, le due nuove mirrorless a obiettivi intercambiabili Nikon 1 V1 e Nikon 1 J1 hanno le carte in regola, così come le avrà quanto Canon sta per annunciare in allineamento mirrorless (a novembre). Da cui, le basi sono solide e consistenti; l’edificazione può partire da qui, ma non ci si deve (dovrebbe) limitare a qui: per spaziare, invece, verso autentici e affascinanti discorsi fotografici. In questo senso, mi confortano gli impegni di identificati fotonegozianti, che da tempo promuovono, purtroppo ciascuno per sé, consistenti programmi fotografici. Da una parte, consolidano la fidelizzazione della propria clientela; da un’altra, agiscono per avvicinare nuovi utenti. E, allo stesso tempo, mi entusiasma l’approdo di Nikon (e poi Canon) nel comparto mirrorless a obiettivi intercambiabili. Non penso che si tratti di un impegno da sottovalutare, perché non posso immaginare che i due marchi intendano farsi del male, andando a vendere mirrorless al posto delle proprie compatte e reflex, ma che, al contrario, si impegnino per l’allargamento del mercato della fotografia, con i benefici che ne arrivano a conseguire. Insomma, penso, non saranno così sprovveduti da andare a minare le proprie cifre commerciali, ridistribuendo e spalmando le proprie quote in una nuova merceologia. Vorranno fare di più e meglio. Ripeto, ribadendolo: le nazioni si costruiscono sull’onore e l’integrità, una pietra solida sopra un’altra pietra solida. E lo stesso penso per i mercati, il commercio. A partire da quello fotografico, che mi sta particolarmente a cuore. ❖

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Notizie a cura di Antonio Bordoni

AMPIO IL SISTEMA. Con l’arrivo della Sony Nex-7, temporalmente preceduto da quello della Nex-C3 [FOTOgraphia, settembre 2011] e della Nex-5N, la proposizione di configurazioni mirrorless a obiettivi intercambiabili della prestigiosa gamma si estende a un valore assoluto: quello di un sistema estremamente diversificato e scandito. La Nex-7 propone una consistente risoluzione di 24,3 Megapixel, entro i quali l’utente può fare effettivamente di tutto (e di più), muovendosi agilmente tra prestazioni di ripresa differenziate e gestione di file superbamente consistenti. Caratteristiche e maneggevolezza di livello professionale e creatività senza limiti (e qui abbiamo già approfondito, lo scorso settembre): queste sono le promesse e premesse di una mirrorless che proietta in avanti, molto in avanti la tecnologia del particolare comparto tecnico-commerciale della fotografia dei nostri giorni. Comunque, con ordine. Come anticipato, la Sony Nex-7 è dotata di sensore Cmos Exmor APS HD da 24,3 Megapixel effettivi, al quale si affianca la più recente evoluzione del processore di immagine Bionz -tecnologia proprietaria-, per un connubio esclusivo, che garantisce sia una elevata velocità di scatto sia immagini di qualità formale impeccabile e a basso rumore, sia in fotografia sia in video Full-HD. La mirrorless offre, quindi, una funzione autofocus rapida e reattiva e risposta di scatto

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estremamente veloce (0,02 secondi). Un nuovo sistema di controllo Trinavi, versatile e veloce, è garanzia di efficaci gestioni dei file acquisiti. Ovviamente, possibilità di registrare filmati Full-HD a cinquanta e venticinque fotogrammi al secondo. La sensibilità estremamente elevata si estende da 100 a 16.000 Iso equivalenti, in modo da acquisire immagini nitide e a basso rumore anche negli ambienti poco illuminati, al crepuscolo e in condizioni precarie. Grazie alla nuova funzione Object Tracking, che permette di mantenere perfettamente a fuoco il soggetto inquadrato anche se in movimento, la messa a fuoco automatica è confortevolmente rapida e precisa. Premendo il pulsante di navigazione, si passa rapidamente da una modalità di scatto all’altra, ed è possibile personalizzare le impostazioni e controllare le immagini con la stessa flessibilità di una reflex. Ultimo, ma non ultimo (tanto altro c’è ancora), la Sony Nex-7 è la prima mirrorless a obiettivi intercambiabili a integrare un mirino elettronico TruFinder Oled XGA -alternativo al monitor LCD Xtra Fine da tre pollici (7,5cm), inclinabile in ogni direzione-, per inquadrare e mettere a fuoco il soggetto con la massima precisione. Paragonabile ai mirini ottici di livello professionale, questa dotazione offre una visualizzazione luminosa, dettagliata e ad alto contrasto, sia nel caso di immagini fisse (fotografia) sia in video, con il cento percento di copertura dell’inquadratura e un ampio campo visivo. Per perfezionare la composizione, si possono poi visualizzare griglia e livella. (Sony Italia, via Galileo Galilei 40, 20092 Cinisello Balsamo MI; www.sony.it).

TRASPORTO EFFICACE. La Collezione Tenba Vector non ha potuto fare a meno di considerare una certa urgenza e attualità della borsa fotografica, approdando a finiture dai colori accesi e sgargianti: tre tonalità (verde chiaro - Krypton Green, az-

zurro vivace - Oxygen Blue e rosso acceso - Cadmium Red), oltre il nero classico (Carbon Black), certamente gradite a un pubblico che interpreta la fotografia (e contorni) in modo brillante e disinvolto. La Collezione Vector comprende fondine per reflex dotate di un solo obiettivo, più borse a spalla e uno zaino per trasportare corredi più ampi, versatilizzati con diversi obiettivi intercambiabili e accessori. Al solito, i materiali e i componenti impiegati in ciascuna borsa corrispondono alla filosofia “realizzata senza compromessi”, che identifica la firma Tenba.

Ogni cerniera lampo, clip, Dring, copertura antipioggia, panno di pulizia e tessuto utilizzato in ciascuna borsa è accuratamente tinto in uno dei tre colori vivaci (più il nero), per abbinarsi perfettamente anche dal lato cromatico. Tutte le fondine, le borse a spalla e gli zaini sono dotati della copertura antipioggia Tenba WeatherWrap, il sistema veloce per la protezione dal maltempo, oltre che di panni in microfibra per la pulizia degli obiettivi, anche questi in colori coordinati. Per le reflex con un obiettivo aggiuntivo sono disponibili due misure di fondine, che si possono portare con la tracolla in dotazione, oppure appese alla cintura. Borse a spalla nelle misure Piccola, Media e Grande accolgono dotazioni con più obiettivi, flash e accessori. Lo zaino è un pratico e confortevole modo per trasportare l’intero corredo fotografico insieme ad effetti personali dei quali si possa avere bisogno nel corso di un’intera giornata di riprese. (Fowa, via Tabacchi 29, 10132 Torino; www.fowa.it).

E QUATTRO. La compatta Ricoh GR Digital IV succede alla precedente GR Digital III. Si conferma la consistenza e alta qualità di una genìa che fa dell’obiettivo fisso grandangolare 28mm f/1,9 (equivalente) il punto di forza fotografico, e del motore GR Engine e di un sensore CCD ad alta sensibilità il plus digitale. La nuova Ricoh GR Digital IV è dotata di un nuovo motore per l’elaborazione delle immagini e di un filtro ottico perfezionato: supera la precedente GR Digital III e raggiunge il livello più elevato di qualità delle immagini nella storia della serie GR. Inoltre, per incrementare le funzionalità di scatto rapido necessario per essere certi di non perdere mai uno scatto durante la ripresa, Ricoh ha introdotto un sistema AF ibrido e una funzione di stabilizzazione di immagine con movimento del sensore, che utilizza il sensore AF esterno elaborato autonomamente da Ricoh, e un display LCD VGA da tre pollici e 1,23 Megapixel, per una migliorata visibilità in esterni. La facilità d’uso è perfezionata anche con l’aggiunta di una livella elettronica in grado di rilevare l’inclinazione in senso verticale oltre a quella convenzionale orizzontale.

Inoltre, la presenza della compensazione di gamma dinamica rende possibile riprese di soggetti in controluce o di scene dal contrasto elevato, così come vengono viste dall’occhio; la composizione di riprese intervallate consente la combinazione di fotografie scattate in un determinato intervallo di ripresa. Ricoh continua anche a rendere disponibili i suoi servizi di personalizzazione e di fornitura di firmware. (M.Trading, via Cesare Pavese 31, 20090 Opera Zerbo MI; www.m-trading.it). ❖



Cinema

di Maurizio Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

MEMENTO (IMMEDIATO)

C

Certamente, il film Memento, di Christopher Nolan, del 2000, è uno dei cult trasversali dei nostri tempi, che attraversa anagrafi diverse ed esperienze individuali altrettanto differenti: a ciascuno, le proprie. Un poco lo si deve alla fama del controverso regista londinese, che ha inanellato una consistente serie di successi (tra i quali sono obbligatorie le menzioni di Batman Begins, del 2005, The Prestige, del 2006, Il cavaliere oscuro, del 2008, e Inception, del 2010); altro (tanto) dipende dalla particolare costruzione cinematografica del film, del quale il regista è anche sceneggiatore, come lo è degli altri titoli ricordati. Subito, va rilevato che la confezione Dvd di Memento comprende due versioni del montaggio: una è quella propria del film, della quale stiamo per raccontare, l’altra è cronologica e consequenziale (voluta dalla distribuzione, spaventata dalla costruzione del film). Semplifichiamola così, perché il montaggio è qualcosa di più, è molto di più, e definisce una personalità cinematografica di straordinaria grandezza. Memento non scorre linearmente da un inizio alla conclusione, ma parte dalla fine per tornare indietro con avvincenti e disorientanti (va detto) passaggi continui indietro e avanti, che si incrociano, intersecano e attraversano. E questo è il cinema.

NON RICORDA Oltre i propri consistenti meriti, che lo proiettano nell’Olimpo della cinematografia dei nostri tempi, Memento ha un retrogusto fotografico, sul quale -a nostro solito- ci soffermiamo. Interpretato da un convincente e allettante Guy Pearce, Leonard Shelby è un californiano che per un incidente ha perso la facoltà di memoria breve. Cerca di rintracciare l’assassino della moglie, ma è oggettivamente limitato dalla sua deficienza. Dunque, è costantemente e perennemente armato di Polaroid 680, con la quale scatta continuamente fotografie che scandiscono la sua giornata e i suoi incontri.

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Sia il poster di Memento, sia i titoli di testa del film sottolineano subito, non soltanto presto, la combinazione con la fotografia a sviluppo immediato: polaroid integrale.

Perennemente e costantemente armato di Polaroid 680, Leonard Shelby (l’attore Guy Pearce) scandisce la propria esistenza al ritmo di fotografie a sviluppo immediato.

Fotografa tutto e tutti, perché proprio non ha modo di ricordare nulla di quello che ha appena fatto. Per dirne una, la sua discontinuità lo porta a dimenticare una persona con la quale ha parlato, se questa esce dalla stanza. Deve fotografarla, annotando sul bordo bianco di chi si tratta (sul fronte) e le sue impressioni e considerazioni al proposito (sul retro). Così facendo, edifica una mappa esistenziale, fisicamente appesa a una parete della sua stanza in motel, sulla quale traccia linee di collegamento e consecuzioni temporali della sua indagine. Ancora, si fa tatuare sul corpo riflessioni, considerazioni e attenzioni che compongono quello che dovrebbe essere il suo bagaglio di espe-


Cinema rienze esistenziali: al rovescio, in modo da poterle leggere allo specchio. Pur senza rivelare nulla che possa compromettere la corretta visione a coloro i quali ancora non avessero visto il film, e volessero vederlo, non possiamo soprassedere su una delle ovvietà di sceneggiature del tipo. Non tutto scorre liscio, e nella vicenda si intromette qualcuno che approfitta del suo oblio, per manipolarne l’azione.

FOTOGRAFIA IMMEDIATA

Nel film Memento, Leonard Shelby (l’attore Guy Pearce) fotografa tutto e tutti, perché non ha modo di ricordare quello che ha appena fatto. Annota sul bordo bianco di chi o cosa si tratta (sul fronte) e le sue impressioni e considerazioni al proposito (sul retro). La fotografia a sviluppo immediato è il suo modo di sopperire alla mancanza cronica di memoria breve: da cui, una avvincente collezione di polaroid di vita e esistenza.

Comunque, e oltre i confini del film, che consigliamo vivamente, si affacciano altre considerazioni fotografiche, che dipendono tutte dal nostro particolare modo di intendere il suo linguaggio e la sua espressività esplicita, in questo caso -come in altrettanti altri- a partire da una notazione tecnica, strumentale: come e quanto gli apparecchi di ripresa influenzano, fino a condizionarla e definirla, la stessa fotografia. Anzi, Fotografia, con maiuscola volontaria, oltre che consapevole. Per quanto ci riguarda, la vicenda polaroid è adeguatamente leggendaria, oltre che significativa: tra tanto altro, una delle quattro svolte senza ritorno prese in considerazione e analizzate nell’avvincente storia 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita, pubblicata dalla nostra casa editrice nel novembre 2009, che per l’appunto racconta di quattro cambiamenti fotografici conseguenti ad altrettante invenzioni, tra le quali la fotografia a sviluppo immediato. Dopo l’anteprima della presentazione e annuncio, del 21 febbraio 1947, al Pennsylvania Hotel, di New York (FOTOgraphia, febbraio 2007), l’autentico mito ha preso avvio con la vendita dei primi apparecchi a sviluppo immediato, ai Grandi magazzini Jordan Marsh, di Boston, Massachusetts, il 26 novembre 1948 (FOTOgraphia, novembre 2008). La prima dimostrazione pubblica e relativa vendita della Polaroid Model 95 originaria stabilisce il tempo di una delle più grandi invenzioni dell’era moderna, che supera con un balzo il proprio ambito (fotografico) di partenza. La fotografia a sviluppo immediato è una invenzione di Edwin H. Land, del suo sogno e delle sue intuizioni. Tutti coloro che l’hanno conosciuto e frequentato sono concordi nell’affer-

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Cinema

Con le polaroid di vita che sopperiscono alla mancanza di memoria breve, nel film Memento, Leonard Shelby (Guy Pearce) edifica una mappa esistenziale, fisicamente appesa a una parete della sua stanza in motel. Queste polaroid rappresentano anche il suo tramite di conversazione ed esistenza quotidiana.

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mare che la sua personalità era magnetica, in ordine con il suo valore scientifico, che ha dato altresì eccezionali contributi allo studio della colorimetria e percezione del colore. Peter C. Wensberg, che lavorò alla Polaroid Corporation per ventidue anni, arrivando alla carica di vicepresidente, autore della biografia Edwin H. Land e la Polaroid (Land’s Polaroid - A company and the man who invented it), pubblicata da Sperling & Kupfer Editori, nel 1989, afferma che «Quando lo si incontrava, prima di tutto si notavano gli occhi. Solo in un secondo tempo si osservavano gli altri lineamenti. Gli occhi erano l’uomo». Oltre tanti altri valori oggettivi, senza alcuna soluzione di continuità dalla fotoricordo all’analisi scientifica e medicale, soprattutto svincolandosi dai tempi inevitabilmente prolungati tra lo scatto e la stampa, indispensabili alla fotografia tradizionale, e acquisendo il valore della copia unica, con lo sviluppo immediato, la creatività ha acquisito uno strumento che le ha consentito di allinearsi con i gesti caratteristici di altre espressività: con manifestazione del gesto temporalmente coincidente con la sua rivelazione. Dalle origini della fotografia a sviluppo immediato, qualificati e apprezzati autori (alcuni dei quali anche ben quotati là dove si vende l’arte) hanno espresso e realizzato una fantastica quantità e qualità di immagini, che hanno arricchito la storia della fotografia e quella dell’Uomo. Sia aderendo alle condizioni standardizzate di utilizzo di apparecchi e pellicole, sia divergendone con manipolazioni e interpretazioni proprie, ciascuno ha comunque sottolineato i pregi e valori della fotografia pronta in una manciata di secondi (altresì in copia unica), con quanto significa in termini utilitaristici e per l’interpretazione profonda della creatività espressiva: mai raffigurazione apparente, ma sempre rappresentazione coinvolgente. In conclusione cinematografica, l’appassionante polaroid che compone il filo conduttore di Memento fa il proprio paio con le altrettante polaroid del nanetto-viaggiatore di Il favoloso mondo di Amélie, di Jean-Pierre Jeunet, del 2001, complementari alle cabine automatiche per fototessera, motivo conduttore del raffinato film. In entrambi i casi... emozionanti! ❖



Ici Bla Bla a cura di Lello Piazza

Questa rubrica riporta notizie che sono appartenute alla cronaca. Però, nel loro richiamo e riferimento molti motivi ci impediscono di essere tempestivi quanto la cronaca richiederebbe. Ciononostante riteniamo giusto proporle, perché siamo convinti che non abbiano perso la propria attualità, e continuino a offrire spunti di riflessione.

LEICA’S LIST. Tutti ricordano il film di grande successo Schindler’s List, di Steven Spielberg, del 1993, dove si narra la storia dell’industriale tedesco Oskar Schindler, che riuscì a salvare centinaia di ebrei nonostante la sua azienda lavorasse per il Reich. Su Wikipedia si può trovare una storia simile, ma molto meno conosciuta (www.en.wikipedia.org/wiki/Leica_Free dom_Train): è quella che riguarda Ernst Leitz II, che nel 1920 era subentrato al padre, alla guida della Leitz Wetzlar, e sua figlia Elsie Kühn-Leitz. Anche ai due Leitz riuscì di salvare decine dei loro impiegati ebrei dalle mani insanguinate di Adolf Hitler, procurando loro visti per l’estero, pagando le spese di viaggio e riuscendo in parte a trasferire questi ebrei negli uffici di New York. Tanto grande era la dipendenza dell’apparato militare nazista dai prodotti ottici Leitz-Leica, che i gerarchi chiusero più di un occhio su questa operazione. Tutto ciò potè accadere prima dello scoppio della guerra, nel settembre 1939. Il fatto è tornato di attualità, perché lo scorso aprile la rivista statunitense Amateur Photographer ha rivelato che, grazie a una ricerca condotta dal rabbino Frank Dabba Smith (che nel 2002 ha pubblicato il libro The greatest invention of the Leitz family: The Leica freedom train; al centro), sono stati trovati altri “salvati” dai Leitz. Amateur Photographer ha accompagnato la pubblicazione della notizia con un’intervista a Knut KühnLeitz, nipote di Leitz II [in alto]. «Mio nonno non poteva sopportare che degli esseri umani dovessero soffrire sotto l’implacabile crudeltà nazista», ha dichiarato Knut in una riunione del-

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Ernst Leitz II e sua figlia Elsie Kühn-Leitz hanno salvato decine di loro impiegati ebrei. Nel 2002, è stato pubblicato il libro The greatest invention of the Leitz family: The Leica freedom train, del rabbino Frank Dabba Smith. (a sinistra) Knut Kühn-Leitz, nipote di Leitz II, ha dichiarato: «Mio nonno non poteva sopportare che degli esseri umani dovessero soffrire sotto l’implacabile crudeltà nazista». L’austriaco Niko Alm ha ottenuto di farsi mettere sulla patente un ritratto con uno scolapasta in testa, copricapo religioso del Pastafarianesimo.

la Leica Society tenutasi in Inghilterra, all’inizio di aprile, «ma ha rifiutato di essere considerato un eroe e ha sempre cercato di minimizzare la vicenda, non parlandone mai». Però, l’intera operazione non era priva di rischi. Nel 1938, fu arrestato Alfred Turk, direttore vendite dello stabilimento, dopo che qualcuno segnalò alla Gestapo l’attività di aiuto agli ebrei. E nel 1943, la figlia di Ernst, Elsie, finì in carcere per aver aiutato Hedwig Palm, un ebreo residente a Wetzlar, a fuggire in Svizzera. Elsie e Turk furono liberati solo grazie a cospicue bustarelle pagate a membri della Gestapo. Tra i personaggi divenuti famosi tra gli ebrei salvati, c’è Edith Katzenstein, capo della camera oscura dell’azienda, che fuggì dalla Germania nel 1933. Dopo un’esperienza professionale come responsabile della camera oscura del londinese Picture Post Magazine, avviò il suo laboratorio di sviluppo e stampa. Tra i suoi clienti Henri Cartier-Bresson.

SEGNALETICA. Più di una volta, FOTOgraphia si è occupata della clinica fotografia segnaletica, non necessariamente giudiziaria. Giusto come curiosità, proponiamo il caso di Niko Alm, un giovane austriaco che, dopo tre anni di guerre burocratiche, ha ottenuto di farsi mettere sulla patente un ritratto con uno scolapasta in testa [qui sotto]. Niko Alm si professa pastafariano e lo scolapasta è il suo copricapo religioso. Come riporta Wikipedia, il Pastafarianesimo è una religione parodistica nata nel 2005 per protestare contro l’imposizione del consiglio per l’istruzione del Kansas di insegnare il creazionismo nei corsi di scienze, come alternativa alla teoria dell’evoluzione, di Darwin. Secondo i pastafa-

riani, la Terra, l’universo e tutto ciò che ci circonda è nato grazie a un creatore sovrannaturale molto somigliante a un piatto di spaghetti con le polpette. Chiedono che questa teoria venga insegnata nelle scuole insieme a quella creazionista. Dunque, la questione ha motivazioni molto serie, più serie di un colapasta. Niko Alm non avrebbe potuto ottenere lo stesso risultato nel nostro paese. Infatti, la circolare del Ministero degli Interni del 2 dicembre 2010, che si esprime in proposito (Protocollo 4391/DGT/NO, Oggetto: Uso del copricapo nelle fotografie di conducenti professanti determinati culti religiosi), recita: «La circolare numero 88827 del 5 novembre 2010, conformemente a quanto previsto all’articolo 289 del Regolamento di esecuzione del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, ha rammentato che la fotografia da applicare sulla patente di guida debba riprodurre l’immagine a capo scoperto (nella norma da cui trae origine la dizione è “senza cappello”)».

ANSA IN MOSTRA. Dal venti ottobre al trenta novembre prossimi, sette sale del Museo del Vittoriano, a Roma (via San Pietro in carcere; museovittoriano@tiscali.it), divise per decenni, 1945-1950, 1951-1960, 1961-1970... fino al 2010, sono dedicate alla mostra fotografica Fotografiamoci - 60 anni di storia dell’Italia dal 1945 a oggi. Le fotografie, edite e inedite, provengono dell’archivio Ansa (Agenzia Nazionale Stampa Associata). Coordinata da Giulio Anselmi, presidente dell’agenzia, la mostra prevede una ulteriore sala dedicata alle immagini del 2011, che verranno aggiornate giorno per giorno, partendo dall’inaugurazione, per una sorta di mostra nella mostra. L’Ansa è stata fondata a Roma, nel gennaio 1945, da Giuseppe Liverani, direttore amministrativo di Il Popolo, Primo Parrini, direttore amministrativo dell’Avanti!, e Amerigo Terenzi, consigliere delegato di L’Unità, in rappresentanza delle maggiori forze politiche della Resistenza italiana. L’idea era quella di creare una fonte di informazione giornalistica sotto forma di cooperativa di giornali, non controllata dal governo e neppure da gruppi privati.


Ici Bla Bla

TIZIANO PROJECT. A Los Angeles, esiste Tiziano Project, una organizzazione che sostiene giornalismo online praticato da i citizen journalist di paesi che sono in guerra, o appena usciti dalla guerra o di cui nessun medium si occupa. Il ventidue giugno, questa organizzazione no profit si è aggiudicata i duecentomila dollari del Knight News Challenge Grant. I soldi serviranno per implementare il suo web-site 360 Kurdistan. Tiziano Project è uno dei sedici vincitori del Grant, che si sono divisi i quattro milioni e settecentomila dollari messi in palio da Knight News Challenge, nato per sostenere il giornalismo su Internet. La lista completa dei vincitori si trova a: www.knightfoundation.org/fundinginitiatives/knight-news-challenge/. Per completare la notizia, segnaliamo che 360 Kurdistan (www.360.tizianoproject.org/) è nato per offrire «una solida e completa panoramica su vita, cultura e informazione nel Kurdistan odierno». Attualmente, il sito manda in onda slideshow e filmati inediti, realizzati da giornalisti locali con il sostegno di mentori occidentali. Per quanto riguarda Tiziano Project, riportiamo la dichiarazione d’intenti del suo fondatore e presidente Andrew McGregor: «Ci sono quarantadue milioni di persone nel mondo che sono state allontanate a forza dalla propria casa. Ogni anno, più di ottocentomila persone rimangono vittime del traffico di esseri umani. Nel 2009, quindici milioni di bambini sono morti per fame. Allo stesso tempo, YouTube può oggi raggiungere cento milioni di utenti. Ogni mese, circa due miliardi e mezzo di fotografie sono postate su Facebook. Nel 2009, Twitter è rimasta l’unica voce libera in Iran, dopo che i media occidentali hanno dovuto lasciare il paese. Internet ha realizzato una rivoluzione nel mo-

do di comunicare, che ha permesso a gente di vari paesi, giovani e anziani, di mettersi universalmente in comunicazione. Tiziano Project è stato fondato sull’idea che è moralmente inaccettabile che, nell’attuale storia dell’umanità, esistano contemporaneamente YouTube e una serie di ingiustizie di cui non si ha notizia». Perciò, Tiziano Project (www.tizianoproject.org; a sinistra) ha lo scopo di sostenere e incoraggiare un giornalismo di qualità su scala globale. I suoi uomini si dedicano a diffondere conoscenza e ad aumentare l’accesso all’informazione, incoraggiando le comunità locali a raccontare le proprie storie.

ALEX MASI PREMIATO. Istituito nel 2009, il Getty Grants for Good è stato ideato per sostenere fotografi e professionisti della comunicazione impegnati in imprese che hanno lo scopo di realizzare cambiamenti positivi nel nostro mondo. I Getty Grants offrono due premi da quindicimila dollari ciascuno per aiutare fotografi, film maker e agenzie nella produzione di immagini a sostegno delle organizzazioni no profit. L’edizione 2011 ha assegnato uno dei due premi al fotogiornalista italiano Alex Masi e a Colin Toogood, del Bhopal Medical Appeal, che operano a Bhopal per aiutare i figli dei sopravvissuti alla terribile esplosione avvenuta nel 1984 nello stabilimento chimico di proprietà della multinazionale americana Union Carbide, situato nei pressi della città indiana [qui sotto]. Chi fosse interessato a questa tragica e feroce storia, vada a http://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_di_Bhopal. Gli altri quindicimila dollari sono andati al fotografo Gwenn Dubourthoumieu e al Gva Studio, a supporto della campagna Raped lives, nata per

Tiziano Project (www.tizianoproject.org) sostiene e incoraggia un giornalismo di qualità su scala globale.

contrastare la discriminazione contro le vittime di abusi sessuali in Congo.

PREMIO LEICA OSKAR BARNACK 2011. Con il suo lavoro Haiti Aftermath (Il seguito di Haiti), il fotogiornalista danese Jan Grarup, dell’agenzia olandese Noor, si è aggiudicato questo prestigioso premio [qui sotto]. Assegnato il quindici giugno a Solms (Germania), il riconoscimento si concretizza in una Leica M9 con obiettivo (del valore di circa novemila cinquecento euro) e da un assegno di cinquemila euro. Con un bianconero di grande intensità, le fotografie di Jan Grarup narrano come procede la vita nell’isola di Haiti dopo il devastante terremoto che l’ha colpita il 12 gennaio 2010.

Con il suo lavoro Haiti Aftermath, Jan Grarup, dell’agenzia olandese Noor, si è aggiudicato il Premio Leica Oskar Barnack 2011.

Il fotogiornalista italiano Alex Masi si è aggiudicato uno dei due Getty Grants for Good 2011, per i suoi servizi da Bhopal, dove nel 1984 si è verificato una terribile esplosione nello stabilimento chimico della Union Carbide.

Jan Grarup, classe 1968, che è stato a Haiti in diverse occasioni su assignement per molti giornali, è uno dei grandi fotografi che hanno testimoniato le tragedie terribili che hanno colpito l’umanità negli ultimi vent’anni. Indimenticabili i suoi reportage dal Sudan, che ho avuto l’onore di presentare alla prima edizione di Passion & Profession, di Carlo Roberti. Jan Grarup ha anche realizzato molti lavori in collaborazione con Médecins Sans Frontières e l’Unicef, ed è stato premiato al World Press Photo e al concorso Unicef Photo of the Year. Il suo lavoro viene pubblicato con regolarità dalle più importanti riviste del mondo, come Guardian, Sunday Times Magazine, Stern, Geo e Paris Match. Insieme a Jan Grarup, il cinese Jing Huang è stato premiato con il Leica Oskar Barnack Newcomer Award riservato ai novizi (newcomer), per il suo portfolio dal titolo Pure of Sight (Purezza dello sguardo). Il portfolio in bianconero non ha un tema specifico, ma è composto da paesaggi, immagini di natura e visioni macro.

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Ici Bla Bla Le devastanti alluvioni che hanno colpito il Pakistan nel 2010: distretto di Muzaffargarh, in Punjab; fotografia di Adrees Latif (Reuters), primo premio Free-lance, al POYi 2011.

QUATTRO ITALIANI NEL NEWSMUSEUM DI WASHINGTON. Dallo scorso sedici maggio, i nomi di Cosimo Cristina, Giuseppe Impastato, Mauro Rostagno e Giovanni Spampinato sono stati aggiunti a quelli di duemilaottantaquattro giornalisti, fotografi e comunicatori che il Newseum di Washington (www.newseum.org) ha inciso nel Journalists Memorial, il memoriale dei caduti in missione. I quattro giornalisti italiani sono morti perché scrivevano di mafia. Nella stessa occasione, al Journalists Memorial sono stati aggiunti i nomi di altri cinquantanove giornalisti morti in missione nel 2010, e di altri diciotto morti in passato. Potete ascoltare il toccante discorso che Chris Wells, dello staff del Newsmuseum, ha tenuto per l’occasione, all’indirizzo web www.newseum.org/ programs/2011/0516-special-program/ journalists-honored-at-newseum.html. Grazie al film I cento passi, di Marco Tullio Giordana, dedicato a Giuseppe Impastato, la sua storia è nota a tutti: è stato ucciso a trent’anni anni da sicari di suo zio Gaetano Badalamenti, perché attaccava la mafia da Radio Aut, da lui fondata. Mauro Rostagno, torinese, lavorava come giornalista per una televisione locale a Trapani. È stato ucciso a quarantasei anni. Giovanni Spampinato era un giornalista del mitico quotidiano siciliano L’Ora, di Palermo. È stato freddato con sei colpi di pistola il 27 ottobre 1972 dal figlio di un alto magistrato siciliano, che Spampinato aveva indicato come possibile autore dell’omicidio di un imprenditore a Ragusa. Aveva ventisei anni. Cosimo Cristina è considerato il primo giornalista italiano ucciso dalla mafia. Corrispondente del quotidiano L’Ora da Termini Imerese, fu rapito il 3 maggio 1960 e trovato morto due giorni dopo. Aveva venticinque anni.

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Come può La Repubblica (del ventitré giugno) pubblicare una fotografia del ritrovamento del cadavere di Aldo modo, scattata da Rolando Fava, senza indicare il credito? Inconcepibile.

David LaChapelle sostiene che il video Pink Room Scene, della cantante pop ventiduenne Rihanna (a sinistra), copia o comunque si ispira chiaramente, a suoi scatti stile sado-maso, realizzati e pubblicati negli ultimi anni (a destra).

Chi avesse occasione di passare da Washington prima del trentuno ottobre è vivamente consigliato di visitare la mostra Pictures of the Year, che raccoglie le news events images del 2010 (le immagini dei più importanti fatti di cronaca). Sponsorizzata da Nikon, la mostra è stata creata in collaborazione con il premio POYi (Pictures of the Year International Competition), organizzato dal Donald W. Reynolds Journalism Institute della Missouri School of Journalism. Qui proponiamo una straordinaria immagine del pakistano Adrees Latif (premio nella categoria Free-lance al POYi 2011 [a sinistra]), realizzato per Reuters nel distretto di Muzaffargarh, in Punjab, Pakistan, durante le devastanti alluvioni che hanno colpito il paese asiatico nel 2010.

essere protetto da copyright. Ma, allo stesso tempo, il video è sostanzialmente simile a Striped Face. Per questa ragione, la denuncia viene accettata e il processo istituito. Anche in questo caso non ci interessa minimamente come possa finire. È invece interessante rilevare come e quanto la giustizia americana si occupa di copyright.

IN TRIBUNALE. Alla fine di luglio, la corte federale di Manhattan (New York) ha accettato di discutere l’accusa formulata a febbraio da David LaChapelle contro la ventiduenne cantante pop Rihanna. Il celebre fotografo sostiene che il video Pink Room Scene, realizzato da Melina Matsoukas per S&M, la più recente canzone di Rihanna, che per ora si è potuto vedere solo nella versione di trial, copia o comunque si ispira chiaramente, per abiti, composizione, luci, setting, colori, concetti (e chi più ne ha più ne metta) a otto suoi scatti stile sado-maso, realizzati e pubblicati negli ultimi anni all’interno di una lavoro titolato Striped Face. Il fotografo sostiene che molti suoi scatti sono stati addirittura usati nella stesura della sceneggiatura del video. Il giudice ha stabilito che sia il lavoro di David LaChapelle, sia quello di Melina Matsoukas narrano una storia di donne che dominano gli uomini, e questo è un tema che non può

ACCIDENTI E ACCIDENTI: MANCANO I CREDITI. Ora, alcune delle più importanti immagini di cronaca della Storia della nostra Repubblica riguardano il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, che concluse tragicamente il suo rapimento avvenuto, da parte di Brigate (sedicenti) Rosse, il 16 marzo 1978. Solo due fotogiornalisti hanno scattato queste immagini. Uno è abbastanza famoso in Italia, molto più noto all’estero: gli abbiamo dedicato una storia di copertina in occasione della sua scomparsa (FOTOgraphia, aprile 2009), Gianni Giansanti. L’altro è meno noto, ma è un bravo fotocronista, come ce ne sono tanti nelle agenzia di stampa del mondo e che non vincono mai un premio, né vengono invitati ai Festival Internazionali: Rolando Fava, dell’Ansa, mancato nell’ottobre 2010, a settantasei anni. Ora, come può un quotidiano importante come La Repubblica (del ventitré giugno; qui sopra) pubblicare una fotografia di quel ritrovamento, scattata da Rolando Fava, senza indicare il credito? Inconcepibile. ❖



Davanti a una fotografia di Andrea Villanis

MIGRANT MOTHER

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Tramite Dorothea Lange, la Farm Security Administration e la crisi economica e finanziaria del 1929 ho l’opportunità di parlare di un paio di questioni che mi stanno a cuore. Inizio col raccontare una storia (che ridurrò all’osso per motivi di spazio) nota a molti, ma non totalmente investigata. Uno degli anni più importanti all’interno della storia americana è il 1835: l’unico nel quale il debito pubblico fu totalmente saldato. In quel tempo, presidente era Andrew Jackson, il cui credo politico fu (quasi unicamente) la chiusura della Banca Centrale, con la dichiarazione: «I tenaci sforzi che l’attuale Banca ha compiuto per riuscire a controllare il governo non sono altro che i segni premonitori di quello che attende il popolo americano, che dovrebbe essere deluso della costrizione di questa istituzione o di un’altra». Con un “piccolo” balzo in avanti, arriviamo al 1910, anno nel quale, a Jekyll Island, in Georgia, avviene un incontro segreto tra una decina di banchieri internazionali, durante il quale viene compilato il Federal Act Reserve (Far): una vera e propria legge scritta da banchieri e non da legislatori, che regolamenta attività, poteri e composizione all’interno della Federal Reserve. Il Far fu consegnato al senatore Nelson W. Aldrich (imparentato con la famiglia Rockefeller, a seguito di un matrimonio) e approvato dal presidente Woodrow Wilson, nel 1913, con la conseguente istituzione di quella che a tutti gli effetti era una nuova Banca Centrale, denominata Fed (appunto, Federal Reserve): una società privata e in quanto tale non soggetta a regolamentazioni da parte del governo statunitense. Senza voler indugiare sul “piccolo riscaldamento” avvenuto con la “leggera” crisi del 1920,

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«Credo che le istituzioni bancarie siano più pericolose per le nostre libertà di quanto non lo siano gli eserciti spiegati. Se il popolo americano consentirà mai alle banche private di controllare l’emissione del denaro, dapprima attraverso l’inflazione e poi con la deflazione, le banche e le compagnie che nasceranno intorno alle banche priveranno il popolo dei suoi beni finché i loro figli si sveglieranno senza neanche una casa nel continente che i loro padri hanno conquistato»

(Thomas Jefferson; 28 maggio 1816) passerei a quegli otto anni (19221929) durante i quali la principale operazione della Fed fu l’accrescimento dell’offerta monetaria, che andò a determinare un vasto incremento dei prestiti nei confronti delle famiglie e delle banche. È chiaro che al prestito si accompagna quello che potremmo definire come un “piccolo colpo di pistola”: l’interesse! Maggiore è il prestito, maggiori sono le banconote in circolazione, maggiore è l’inflazione e maggiori sono gli interessi... ma non siamo ancora all’abbandono del gold standard, in favore del dollar standard. Quindi, procediamo con ordine. Come anticipato, la Fed inizia a elargire offerta monetaria, inserendo un nuovo e “proficuo”

tipo di prestito, definito “prestito di margine”, che porta con sé il non piccolo inconveniente di poter essere richiamato in qualsiasi momento e... dover essere restituito entro ventiquattro ore, appunto tramite una clausola denominata, per l’appunto, “del margine”. Tipico risultato di queste operazioni fu la vendita del titolo assieme al debito sottostante. Pochi mesi prima dell’ottobre 1929, assistiamo all’uscita silenziosa dal mercato di John Davison Rockefeller (che controllava circa il 2,53 percento del prodotto interno lordo americano!), Bernard Barack e altri industriali. Il ventiquattro ottobre -passato alla Storia come il giovedì nero della Borsa statunitense-, i finanzie-

ri newyorkesi che avevano concesso prestiti del margine iniziarono a richiamarli in massa, obbligando la copertura dei margini di prestiti. Questo diede vita a prelievi di massa, contribuendo al crollo di oltre sedicimila banche: la cospirazione dei banchieri internazionali funzionò! Consentì loro, non solo di comprare banche rivali a prezzi risibili, ma anche di acquistare intere corporazioni a pochi penny. Fu la più grande rapina di tutti i secoli [«È più criminale fondare una banca o rapinare una banca?», ha annotato Bertolt Brecht; fondarla e gestirla, pensiamo noi]. La mossa successiva fu abbastanza scontata: invece di incrementare l’offerta monetaria, la Fed diminuì l’emissione di danaro, in modo da sancire e suggellare la più grande crisi economica della storia... soltanto temporalmente anteriore a quella che stiamo vivendo oggi. È risaputo che il nostro sistema finanziario è fondato sul debito e che dal debito dipende: più ci sono soldi, più c’è debito; e viceversa, più c’è debito, più ci sono soldi. Il repubblicano Louis Thomas McFadden (membro del Congresso) tentò procedure di impeachment contro il Consiglio Fed, affermando (circa) che il crollo e la Depressione erano stati eventi provocati in modo scientifico. Dopo due precedenti tentativi di omicidio, fu avvelenato a un banchetto, prima di aver avviato le procedure. Tutti sappiamo che il presidente Franklin D. Roosevelt è stato il principale fautore della ripresa economica degli Stati Uniti, attraverso quello che nella storia è stato denominato New Deal (nuovo corso). All’interno del New Deal, una delle riforme “per la ripresa” fu identificata con il passaggio dal gold standard (sistema monetario basato sul-


Davanti a una fotografia le riserve auree) al dollar standard (termine coniato da Milton Keynes), nel quale furono fissate parità centrali tra le singole valute e il dollaro/sterlina, che divennero le principali monete di riserva; successivamente, la sterlina inglese assunse un ruolo marginale, al contrario del dollaro, che s’impose quale moneta internazionale per eccellenza, il che, invece di garantire la parità aurea, operava in modo che fosse il valore dell’oro ad adeguarsi, non senza sacrifici per la nazione, a quello del dollaro. La Fed agì per rimuovere il sistema aureo, ragion per cui bisognava acquistare tutto l’oro in circolazione. Fu a questo punto che si inserì la politica della confisca dell’oro (1933), in base alla quale veniva chiesto a tutti gli americani di consegnare al Tesoro i propri oggetti preziosi in oro, pena l’incarcerazione per un periodo di dieci anni. Come annotato, Franklin D. Roosevelt era l’allora presidente, nonché il fautore e protagonista del New Deal; ma chi era, in realtà? La famiglia Roosevelt era proprietaria di diverse banche newyorkesi fin dal Diciottesimo secolo. Lo zio di Franklin D. (Frederick A. Delano) fu membro del primo Consiglio Fed, quando l’interesse sovrastante era l’entrata in guerra (la Prima mondiale); si sa bene, la guerra è uno degli strumenti di controllo e guadagno, maggiormente redditizio, non tanto per lo Stato, ma per “colui che tiene lo Stato sotto il suo scacco”. È a questo punto che inserisco Dorothea Lange e la Farm Security Administration (Fsa). Questa istituzione nacque nel 1935, come Rural Resettlement Administration (Agenzia per il riassetto agricolo), con lo scopo (fittizio!) di documentare la situazione del settore agricolo nel periodo della grande riforma del New Deal, al fine di “dare una risposta” a quella parte del paese colpita dalla siccità e dalla recessione economica (nella fattispecie, gli stati agricoli del centro e centro sud). Quando, nel

1937, l’agenzia diviene parte integrante del Department of Agriculture, assumendo la denominazione ufficiale di Farm Security Administration (Fsa), Rexford G. Tugwell (sottosegretario all’Agricoltura) chiamò a dirigerla un suo ex-allievo, Roy E. Stryker, un sociologo della Columbia University, con il dichiarato compito di organizzare un ampio reportage fotografico, che non documentasse soltanto le attività dell’ente, ma che fornisse anche un’immagine esauriente della vita rurale americana. Ora, se dovessi affrontare Dorothea Lange dal punto di vista della fotografia documentaristica, nonostante la poetica autentica e dedita degli aderenti al movimento della Straight photography, sarei costretta a sottolineare la funzione paradossale e manipolatoria esercitata da qualunque strumento culturale, artistico o scientifico che sia, quando è direttamente finanziato dalla politica (a propria volta direttamente gestita dagli

istituti bancari e finanziari). Quindi, per quanto riguarda la funzione sociale e documentaristica dell’intento fotografico di Dorothea Lange, credo fortemente che abbia adempiuto agli intenti di Stato (come tutti gli aderenti alla Fsa), fotografando una situazione da loro “scientemente” creata tramite una politica da loro voluta. Lo specchio che dona Dorothea Lange è quello del risultato di una politica finanziaria totalmente sbagliata, quella da cui i Padri Fondatori della società americana avevano messo in guardia (come sottolinea l’affermazione del terzo presidente degli Stati Uniti, Thomas Jefferson, evocata in queste pagine). Lo stesso Abraham Lincoln, sedicesimo presidente, primo repubblicano, a seguito della guerra civile, aveva in mente la fondazione di una moneta politica libera dal debito, che si sarebbe chiamata greenback; ma questo sistema, ingestibile per i banchieri internazionali, ha portato

al sistema di schiavitù del dollaro, dando come risultato, per esempio, il ritratto della Madre migrante... fotografia, scultura... un bassorilievo di introspezione psicologica così profonda da far perdere totalmente la percezione del “fuori”... quel “fuori” di gran lunga più importante: quel “fuori” che è anche un “dietro le quinte” che non deve essere sbirciato, visto, compreso... quello che tutti noi tendiamo a dimenticare in favore della schiavitù quotidiana. Dal punto di vista stilistico, nel modo di fotografare la condizione di uomini e donne dell’America della Depressione, nonostante si sia svincolata da quello stile pittorialista che tanto l’aveva caratterizzata ai propri esordi (quando, ancora diciassettenne, aprì uno studio fotografico a San Francisco), Dorothea Lange mostra di non essersene affatto liberata, ma di averlo solo evoluto a favore di linee, di tagli semplici e netti, di quella ricerca dell’efficacia di una sintesi, che, finalmente maturi, andarono ad arricchire e comporre la sua “ricerca della verità in ogni cosa e a ogni costo”. Sono consapevole del fatto che queste note aderiscono a una visione maggiormente storico-economico-politica, più che fotografica... ma se la fotografia è (in modo più o meno parziale) uno specchio di un tempo e di uno spazio... e se la fotografia documentaristica ha quale scopo fondante la “ricerca della verità”, questa è la verità che mi ha suggerito Dorothea Lange “davanti alla SUA fotografia”. Concludo con un nostro noto ricercatore di verità: «Mi fan patir costoro il grande stento, / Che vanno il sommo bene investigando, / E per ancor non v’hanno dato drento. // E mi vo col cervello immaginando, / Che questa cosa solamente avviene / Perché non è dove lo van cercando. // Questi dottor non l’han mai intesa bene, / Mai son entrati per la buona via, / Che gli possa condurre al sommo bene». Galileo Galilei, dal Capitolo contro il portar la toga. ❖

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Undici settembre di Angelo Galantini

DIECI ANNI DOPO

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Previsto e prevedibile (e annotato lo scorso numero di settembre). Il decimo anniversario dell’attentato terroristico alle Torri Gemelle, di New York, è stato ricordato e celebrato come di dovere: soprattutto a Manhattan, ma anche in tutto il mondo. Tante le commemorazioni ufficiali, proiettatesi persino in consistenti speciali televisivi, trasmessi da ogni rete, ciascuna con i propri princìpi e le proprie visioni: niente da discutere; come sempre, massimo rispetto per gli altri (al quale non veniamo mai meno, nonostante tutto, non soltanto molto). Fotograficamente, c’era nulla da scoprire, nulla che potesse aggiungersi alla robusta e compatta quantità di immagini che abbiamo visto in diretta, dalla cronaca alle prime ricostruzioni e rievocazioni. Casomai, se ce ne fossero (e potrebbero essercene, eccome!), dovrebbero venire alla luce chiarimenti e responsabilità,

che certamente non si limitano agli esecutori materiali, ma si estendono ben oltre, raggiungendo le terribili irragionevolezze della politica internazionale [a questo proposito, su altro fronte, ma non è neppure detto, rimandiamo alle considerazioni che Andrea Villanis esprime, dalla precedente pagina ventidue, su questo stesso numero, a corollario e margine della celebre Migrant Mother, di Dorothea Lange, icona della Depressione statunitense degli anni Trenta, innescata dal crollo della Borsa di New York, dell’ottobre 1929]. No. La fotografia ha nulla da aggiungere alla catastrofe dell’Undici settembre, ed è bene che rimanga in disparte, nei propri panni, senza indossarne di altri, di maniera. Così, e per questo, evitiamo qui di tornare su alcune considerazioni che abbiamo già esposto e palesato in altre occasioni, a questa temporalmente pre-

The New Yorker, del dodici settembre, ha celebrato il decimo anniversario dall’Undici settembre con una illustrazione della spagnola Ana Juan: riflesso dello skyline di New York City con commovente evocazione delle Torri Gemelle abbattute (nel riflesso). In cronaca, il 24 settembre 2001, il settimanale aveva celebrato le Torri Gemelle con una straordinaria illustrazione di Art Spiegelman, in toni prossimi al nero assoluto.

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cedenti. Ovverosia, lasciamo perdere le raccolte di ritratti inconsistenti, che hanno animato certo fotogiornalismo: sopravvissuti, parenti, soccorritori e altri in posa anonima a-certificazione-di. Ancora, no. Fotogiornalismo è altro: e questo abuso di ritratti insipidi non ne fa parte (chi vuole, torni alle considerazioni sulle identità incerte, approfondite nel settembre 2007, e sulla legittima difesa del buon ritratto in fotogiornalismo -ritratto espressivo e significativo, non vuoto e senza sapore-, di Piero Raffaelli, in FOTOgraphia del febbraio 2009). Invece, non ignoriamo tre belle copertine, di altrettanti settimanali statunitensi. Con ordine. In immediata consecuzione all’evocazione numerica divenuta tristemente celebre, “9/11”, che nel codice statunitense equivale all’Undici settembre (prima il mese, poi il giorno), e identifica l’Undici settembre per antonomasia, appunto quello della tragedia del 2001, New York Magazine è vigorosamente diretto (numero doppio, data di copertina dodici settembre). Un asciutto One Day, Ten Years (un giorno, dieci anni) dice tutto quanto c’è da dire al proposito [pagina accanto]. Nulla di più; e anche l’immagine di copertina è adeguatamente laica: niente pietismi, niente piaggerie, ma soltanto un ammasso di fumo sprigionato dal crollo delle Torri. Se ci è concessa l’osservazione, niente affatto cinica (di tragedia stiamo parlando, quindi il nostro rispetto per il dolore degli altri, che ci appartiene anche), si tratta di un apprezzato impiego della fotografia, che non sempre deve colpire la pancia, come sta facendo troppo giornalismo dei nostri giorni, ma raggiungere il cuore e la mente, con civili e commossi percorsi di andata-e-ritorno, senza alcuna soluzione di continuità. Altrettanto esplicito “9/11” sulla copertina di Time Magazine (datato diciannove settembre), in questo caso in declinazione Beyond 9/11, ovverosia oltre l’Undici settembre [pagina accanto]. L’illustrazione è evocativa,


Undici settembre Time Magazine, del diciannove settembre, ha proposto una proiezione in avanti, oltre l’Undici settembre, con una visione (illustrazione) che da Ground Zero abbraccia il pianeta.

Un giorno, dieci anni: richiamo di copertina di New York Magazine, numero doppio del dodici settembre.

quanto allungata in avanti, al superamento della tragica vicenda: i due fasci di luce che da Ground Zero si proiettano nel cielo, al posto delle Torri abbattute, sono contestualizzati in una visione planetaria, che dalla costa degli Stati Uniti, da New York, abbraccia tutto il pianeta. Infine, in un casellario senza alcu-

na gerarchia o graduatoria, segnaliamo la copertina di The New Yorker, datato dodici settembre. Al solito, e come antica e profonda tradizione dell’autorevole e colto settimanale, si tratta di una raffinata illustrazione, realizzata dalla spagnola Ana Juan, che collabora con la testata dal 1995 [pagina accanto]. Pri-

ma del commento di dovere (e piacere e onore), ricordiamo che per la cronaca dell’Undici settembre, il 24 settembre 2001, The New Yorker affidò a Art Spiegelman una commovente evocazione: la sagoma delle Torri in blu scuro, vicino al nero assoluto, su uno sfondo di tono cromatico appena più lieve [ancora, pagina accanto]. Ora, Ana Juan richiama uno skyline di Manhattan che si riflette nella sua baia: assenti nel profilo dei palazzi, le Torri Gemelle compongono l’elemento forte del riflesso. Da e con Francesco Guccini, da Quello che non..., del 1990: «Non siamo la polvere di un angolo tetro, né un sasso tirato in un vetro, / lo schiocco del sole in un campo di grano, non siamo, non siamo, non siamo... / Si fa a strisce il cielo e quell’alta pressione è un film di seconda visione, / è l’urlo di sempre che dice pian piano: / “Non siamo, non siamo, non siamo...”». ❖


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LA LEZIONE DELL’


«L’Impressionismo non è una corrente, ma una visione del mondo» Max Liebermann

Al lettore curioso, al neofita, al cultore e -più in generale- all’appassionato d’arte, Taschen Verlag garantisce sempre spunti di approfondimento. Una nuova e proficua occasione di scoperta è offerta dalla edizione italiana della imponente raccolta Impressionismo. Una vera e propria enciclopedia; fino a prova contraria, l’opera definitiva su una delle espressioni pittoriche più amate, indagate e riproposte all’attenzione del pubblico, con costante puntualità (se si volesse polemizzare, una corrente artistica spesso abusata mediaticamente attraverso mostre-spettacolo, quotazioni record e riferimenti superficiali). Ben diversa occasione di trattazione

IMPRESSIONISMO

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(doppia pagina precedente) Edouard Manet: Le déjeuner sur l’herbe; olio su tela, 208x264cm; 1863 (Parigi, Musée d’Orsay).

(pagina precedente) Pierre-Auguste Renoir: Le déjeuner des canotiers; olio su tela, 129,5x172,5cm; 1881 (Washington DC, Phillips Memorial Gallery).

Edgar Degas: La stella [ La danzatrice sulla scena]; pastello su monotipo, 58x42cm; 1876-1877 (Parigi, Musée d’Orsay).

Pierre-Auguste Renoir: La Loge; olio su tela, 80x63,5cm; 1874 (Londra, Courtauld Institute Galleries).

di Silvia Zotti

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rontamente, non solo presto: a cura di Ingo F. Walther, la consistente e imponente raccolta Impressionismo si propone di presentare la corrente artistica epocale in tutte le proprie sfumature, anche le meno note, citando persino artisti poco conosciuti e prendendo addirittura in considerazione le particolarità di movimenti affini e similari di nazionalità differenti rispetto la patria (francese) degli esponenti per eccellenza. In due volumi riuniti in cofanetto, settecentododici pagine 24x31,6cm totali, con sovraccoperta, 39,99 euro. Sì, è proprio così, non si tratta di un errore di stampa: quaranta euro, che impongono una ripetizione di quanto già richiamato in altre occasioni, a questa precedenti. Con tutti i distinguo del caso, ci spieghino gli editori italiani come fanno i volumi illustrati Taschen a rimanere sempre entro cifre oggettivamente e soggettivamente abbordabili al grande pubblico: quaranta euro per un’opera di questa mole -settecentododici pagine- e tanto contenuto sono effettiva-

mente pochi, senza riscontro alcuno nell’editoria internazionale e nazionale. Il primo volume, che si basa su studi e approfondimenti di Peter H. Feist, autore anche dei testi, è dedicato al movimento impressionista originario, in Francia, dal 1860 al 1920. Contiene una importante premessa del curatore dell’intera opera, il già citato Ingo F. Walther, ed è diviso in capitoli di riferimento che scandiscono il ritmo di premesse, esplosione e affermazione della corrente pittorica, fino alle sue trasformazioni e derive in Neoimpressionismo e Postimpressionismo. Oltre ai grandi maestri riconosciuti -come Edouard Manet, Pierre-Auguste Renoir, Claude Monet, Paul Cézanne, Edgar Degas-, sono degni di nota i riferimenti ad artisti minori: Gustave Caillebotte, Eva Gonzales, Berthe Morisot, Armand Guillaumin, e molti altri, trattati in profondità. A seguire, il secondo volume tratta l’Impressionismo in Europa e nell’America del Nord, con testi di Beatrice von Bismarck, Andreas Blühm, Peter H. Feist, Jens Peter Munk, Karin Sagner e Ingo F. Walther. Con notevole e apprezzata puntualità, sono descritti fenomeni correlati e similari: veri o presunti “impressionismi” dalle caratteristiche particolari, negli Stati Uniti e in Europa (Germania, Olanda, Belgio, paesi scandinavi, Spagna, Gran Bretagna e Italia, dove il movimento dei Macchiaioli costituisce un esempio specifico e concentrato anche della situazione politica e culturale nel nostro paese).

CHE PAROLE! Conclusiva dell’intera opera monografica in due tomi, l’appendice in coda al secondo volume denota il rigoroso lavoro di ricerca che sostiene la sostanza di questo straordinario studio. Lessico dell’Impressionismo si offre e propone come sconfinato e puntuale elenco di riferimenti bibliografici e biografie dei duecentotrentasei artisti citati (!): brevi ma importanti riferimenti per meglio capire e inquadrare il tema in generale, completi, se e quando disponibili, dei loro volti (spesso fotografici), e ritratti di personaggi collegati in modi differenti alla corrente pittorica. Come anticipato, la narrazione è in forma di racconto, per individuati capitoli generali: è fitta di particolari sulle vite degli artisti, nell’aspetto privato e pubblico, e approfondisce e contestualizza la situazione socio-culturale generale entro la quale il movimento è nato e si è evoluto. Insomma, un quadro complessivo che, nelle intenzioni, è rivolto sia a chi conosce poco o niente l’Impressionismo, sia a chi ha già avuto modo di amarlo e non si stanca mai di continuarne lo studio. Dopo questa doverosa introduzione alla considerevole opera, una domanda deve (dovrebbe?) essere formulata: perché parlarne in una rivista di fotografia, che potrebbe ignorare la storia dell’arte? (ma è vero l’esatto contrario: non deve affatto ignorarla!). Premettendo che personalmente spaziamo sempre lungo e verso argomenti trasversali (ma con-

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PETER HORN

Ingo F. Walther, che firma l’edizione dei due straordinari volumi di Impressionismo, in edizione Taschen, è nato a Berlino, nel 1940. Ha compiuto studi sul medioevo, la letteratura e la storia dell’arte, a Francoforte e Monaco di Baviera. Ha pubblicato numerosi libri sull’arte del medioevo e del Diciannovesimo e Ventesimo secolo. È mancato nel 2007.

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vergenti) e riferimenti meno scontati, la risposta è persino scontata, nella propria ovvietà: questo Impressionismo, a cura di Ingo F. Walther, in raffinata edizione Taschen Verlag, fornisce un ottimo spunto per indagare su quanto gli impressionisti (appunto) siano stati “fotografici”, a partire dal loro essere i primi pittori all’indomani dell’invenzione della fotografia, che liberò la stessa pittura dagli obblighi di raffigurazione “veritiera” della realtà [in alternativa, riquadro sulla pagina accanto].

EN PLEIN AIR Prima considerazione (personale): la questione appare leggermente pruriginosa, e di difficile impostazione critica. Ma nel caso della pittura impressionista, per nostra fortuna, siamo avvantaggiati in partenza dal considerare il mero riferimento cronologico. Togliendoci subito il dente: gli impressionisti cominciarono a operare quando la fotografia era già realtà consolidata e avviata lungo il proprio cammino. Questo assunto di partenza basterebbe a chiarire quanto sarebbe sicuramente riduttivo, e forse persino futile, limitare alla sola lettura “fotografica” (a noi vicina) la pittura impressionista. Invece, come appena ricordato, come detto più volte, e appena ricordato, si deve andare più in profondità, magari anche solo per trarne benefici da spendere nella nostra fotografia quotidiana, tenendo altresì conto che proprio la nascita della “riproduzione” fotografica ha liberato (termine quanto mai evocativo) la pittura dalla costrizione della resa mimetica della realtà, che per secoli ha caratterizzato tutta l’arte occidentale. Considerazione, questa, che di sicuro va a scapito della ormai famosissima espressione con la quale l’artista Paul Delaroche (che non ha goduto della stessa fama d’autore riservata alla propria esternazione) avrebbe commentato la presentazione del dagherrotipo, il 19 agosto 1839, alle parigine Accademie delle Scienze e Belle Arti in riunione congiunta: un catastrofico «Da oggi la pittura è morta!» (affermazione che, come molte posizioni del presente, di identica cretineria, non ha senso per chiunque sappia in cosa consiste un’espressione estetica). Tutt’altro! La pittura non ha perso nessuna delle proprie compiute identità e libertà di espressione, neppure per quanto ha riguardato le esigenze di committenza. Infatti, per quanto sempre più spesso aristocratici e borghesi arrivarono a offrire i propri volti all’obiettivo della macchina fotografica, per essere ritratti, dal 1839, la pittura ha potuto non assolvere il semplice (riduttivo?) compito di riportare fattezze secondo rigorose impostazioni tecniche, ma si è liberata per spaziare in indagini psicologiche, in ricerche compositive e cromatiche, in invenzioni che dalla forma sono approdate ai contenuti. Per tornare alla spinosa questione, bisognerebbe comunque cercare di impostare anzitutto i parametri per definire le caratteristiche fotografiche da riscontrare in un movimento o in una espressione pittorica. Si parla di luce? Di compo-


TEMPI CADENZATI

Attenzione: quando si ipotizza una sorta di pre-fotografia della pittura di Caravaggio (da FOTOgraphia, del febbraio 2010, e in richiamo nel corpo centrale dell’odierno intervento redazionale), si declina in attualità. Ovverosia, alla luce delle conoscenze ed esperienze dei nostri giorni e delle nostre esistenze individuali. Analogamente, le attribuzioni “fotografiche” alla pittura impressionista vanno valutate in relazione a una lettura presente, odierna. Infatti, i connotati presuntamente “fotografici” di questa pittura si riferiscono a valori “fotografici” assenti nella seconda metà dell’Ottocento, che si sono manifestati in seguito, nella fotografia del Novecento. Dunque, nessuna intenzione “fotografica” originaria, ma una completa liberazione nell’osservazione del mondo e della vita, che avrebbe qualificato la fotografia molti decenni dopo i tempi dell’Impressionismo. Se si vuole, è la fotografia che ha tratto dall’Impressionismo più di quanto M.R. l’Impressionismo possa essere stato ispirato dalla fotografia.

sizione? Di taglio prospettico? La prima, in realtà, è la proprietà più indagata, assieme al colore, dal movimento impressionista. Come gli accostamenti cromatici tra colori secondari per una resa vibrante della realtà che stimoli la percezione dell’osservatore, la scomposizione della pennellata è da considerare come l’elemento distintivo che ha determinato la portata rivoluzionaria del movimento espressivo (oltre che pittorico). Ma basta parlare di luce, la materia prima di cui sono composte le fotografie, per risolvere in toto la questione? No! Parliamo allora di composizione. Nel testo di Impressionismo si rintracciano riferimenti pertinenti: per esempio, a proposito delle opere del sottovalutato Gustave Caillebotte (fantastico tanto quanto i maestri più riconosciuti ed evocati, ma abbandonato a se stesso), i cui tagli prospettici azzardati e la scelta di spazi inconsueti (grandi luoghi aperti, tetti, vertiginose visioni da scogliere) inducono la riflessione critica di Peter H. Feist a usare l’identità “fotografica”. Piccola digressione personale. Per quanto riguarda l’italiano Giovanni Fattori (1825-1908) ci si riferisce addirittura al cinema: le sue fughe prospettiche, i lunghi tagli orizzontali della composizione, le sue immagini aventi per soggetti soldati a cavallo in desolati, assolati, polverosi orizzonti hanno richiamato un antecedente delle straordinarie inquadrature del grande regista Sergio Leone (1929-1989): da questo punto di vista, allora sì, che parliamo di anticipazione! Ma possiamo anche declinare all’opposto, approdando alla spiegazione più semplice: Sergio Leone ha ripetuto le visioni di Giovanni Fattori.

Paul Cézanne: Natura morta con frutta; olio su tela, 45x54cm; 1879-1880 (San Pietroburgo, Hermitage).

PRE-FOTOGRAFIA Della presunta o individuata “fotograficità” di espressioni pittoriche abbiamo già commentato e analizzato in FOTOgraphia, riferendoci al geniale e rivoluzionario Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio. Lui sì “anticipatore” della fotografia, per alcuni aspetti, e in anni ben poco sospetti! In premessa, si è richiamato l’uso della camera obscura, ausilio per il disegno dal vero, generico e abusato parametro di riferimento per riprendere i

Paul Gaugin: Femmes de Tahiti ou Sur la plage; olio su tela, 69x91,5cm; 1891 (Parigi, Musée d’Orsay).

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ALTRO IMPRESSIONISMO

Per chi desidera un approccio soprattutto visivo rapido e concentrato del movimento impressionista, c’è anche la monografia L’Impressionismo, della collana Il mondo dell’arte, di Logos. Il testo, in italiano (inglese e spagnolo), compie un viaggio attraverso le opere più famose e celebrate dell’Impressionismo nella sua accezione più conosciuta, quella del grande periodo francese, soffermandosi in particolar modo sugli esempi rilevanti di Edouard Manet, e sua relativa discendenza dal Naturalismo, Claude Monet e l’attenzione alla luce, Pierre-Auguste Renoir e Edgar Degas, per la rappresentazione dell’attimo fugace. Non vengono tralasciati gli influssi che lo straordinario e rivoluzionario movimento ha proiettato in tutto il mondo europeo e internazionale, oltre la sua trasformazione verso il fenomeno conseguente Post-impressionista, fino alla pittura Pointilliste di Georges Seurat. A seguito di una efficace introduzione, per quanto sintetica, una cronologia delle opere più famose e degli avvenimenti degni di nota introduce alla bellezza delle immagini, opportunamente identificate da didascalie pertinenti. A termine del volume, le biografie degli artisti più noti e affermati. L’Impressionismo; Logos, 2010 (strada Curtatona 5/2, 41100 Modena; www.books.it); 352 pagine 19,5x24cm; 14,95 euro.

termini della pre-fotografia nell’arte: «Due nomi di vedutisti si impongono immancabilmente sugli altri, su tutti gli altri: Giovanni Antonio Canal, detto Canaletto (1697-1768) e suo nipote Bernardo Bellotto (1722-1780), figlio di una sorella, a propria volta identificato pure come Canaletto in Germania, dove ha operato a lungo, soprattutto a Dresda». L’importanza dei due pittori nell’essere citati come pre-fotografici (e con loro tutti i vedutisti veneziani; FOTOgraphia, dicembre 2008) è data dalla spettacolare capacità di restituzione prospettica della realtà osservata. Ma in quell’articolo si chiarisce subito che «fotografia non è soltanto questo, non dipende soltanto dai valori e contenuti formali della propria composizione. L’anima dell’immagine fotografica poggia anche, e forse soprattutto, su altro: in particolare, è una delicata e magica miscela di luce e istante». Se quindi ci riferiamo al paesaggio, nella raccolta Impressionismo ammiriamo le opere di grandi pittori, come Camille Pissarro e Alfred Sis-

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ley, che si specializzarono quasi esclusivamente in questo, applicandovi la peculiare ricerca sul colore e la luce che li denota e definisce rappresentanti del movimento francese. Rimanendo all’articolo del febbraio 2010, appena evocato, Caravaggio torna al centro della questione: «In questo senso, la lezione di Caravaggio è a dir poco mirabile. A Caravaggio va riconosciuta una sostanziosa idea di “istantanea” della visione, oltre alla sapiente distribuzione della luce all’interno della composizione. In tutti i casi, si tratta di straordinarie rappresentazioni che hanno influenzato il linguaggio fotografico (e che possiamo conteggiare “fotografia” così come la intendiamo: luce, composizione e capacità di sintesi visiva), e che dovrebbero appartenere al bagaglio di conoscenze e competenze di tutti coloro i quali si occupano di fotografia e realizzano fotografie, sia con connotati professionali sia con intendimenti non professionali». Dunque, Caravaggio straordinario precursore dei tempi. E gli Impressionisti? Sì, rispondono a proprio modo al linguaggio di luce, composizione e capacità di sintesi visiva, ma ormai non c’è molto da dimostrare in termini di pre-fotografia, in quanto (lo si ripeta), l’epopea impressionista vive i suoi anni parallelamente all’affermazione del mezzo fotografico. Ultimo riferimento estrapolato dall’articolo citato, in speculazione attuale: «Riguardo l’idea di pre-fotografia, la pittura di Caravaggio è tale e tanta “fotografia”? Osserviamo insieme la distribuzione delle luci, il congelamento di un istante (che è stato diverso un secondo prima e lo sarà anche un secondo dopo), la composizione, la distribuzione degli elementi, i punti di richiamo e attenzione. Sì, con determinazione, possiamo declinare questi dipinti in relazione ai parametri che riconosciamo alla fotografia».

MOMENTO DECISIVO Prendendo allora in considerazione la resa dell’istante, beh sì, allora questa è una caratteristica precisa e fondante dell’Impressionismo, volto a cogliere la realtà nei propri aspetti mutevoli, rendere la dinamicità non soltanto dei soggetti ritratti, ma anche di un certo momento culturale e sociale: il gusto per nuovi piaceri borghesi, il teatro, il balletto, le gite ai parchi, sui fiumi, in località marittime. Tutti aspetti che permisero addirittura a molti, e per lungo tempo, di marchiare l’Impressionismo come movimento futile, senza spessore culturale, senza impegno ideologico. Eppure, anche quella era realtà da indagare... ma all’epoca suscitava feroci appunti, pari a quello del presidente della giuria del Salon del 1863 (il Salon dei rifiutati), il conte Alfred Emilien de Nieuwerkerke, che si è espresso sulla pittura “sociale” di Jean-François Millet in questi termini: «Questa è pittura di democratici, di uomini che non si cambiano la biancheria e che vogliono imporsi alla buona società; disprezzo quest’arte, che mi ri-


pugna». Parole di fuoco! E allora, via ancora con le critiche per i soggetti “borderline” di Edouard Degas, le cantanti d’operetta, le sue fanciulle equivoche, i bevitori di Toulouse-Lautrec. Nel testo che racconta tutto sull’Impressionismo, non soltanto molto, oltre al sorprendente e poco conosciuto Gustave Caillebotte, è Degas l’artista citato per il suo interesse per la fotografia e per gli azzardati tagli di inquadratura (per esempio, per le sue donne che si lavano nella tinozza, o le sue intriganti visioni notturne di interni di palcoscenici e scuole di danza). Un suo dipinto, L’ufficio del cotone a New Orleans, viene descritto così: «Una vera e propria fotografia parrebbe aver sostituito il disegno. [...] Il punto di partenza per un “realismo impressionista”». A ogni modo, non sentiremo fare menzione di denunce sociali dirette, che appartengono ad altre espressioni visive: tra tutte, la fotografia dalla fine dell’Ottocento; dunque, l’eventuale ceto sociale basso dei soggetti ritratti deriva dal semplice fatto che erano più

Claude Monet: Le jardin de Monet, les iris; olio su tela, 81x92cm; 1900 (Parigi, Musée d’Orsay).

Max Slevogt: Der Papageienmann [ L’uomo dei pappagalli]; olio su tela, 81,5x65,7cm; 1901 (Hanover, Niedersächsisches Landesmuseum).

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Impressionismo; a cura di Ingo F. Walther; Taschen Verlag, 2010 (distribuzione Inter Logos, strada Curtatona 5/2, Località Fossalta, 41100 Modena; 059-412648; www.books.it); in italiano; in due volumi, in cofanetto; 712 pagine 24x31,6cm, cartonato con sovraccoperta; 39,99 euro.

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facilmente disposti a posare, magari per pochi spiccioli. Niente di diverso, forse. Resta un gusto per il gesto pittorico che fa dell’Impressionismo il movimento moderno per eccellenza, un gesto che deriva da una capacità di osservare, vedere e riflettere ciò che la realtà offre in una maniera molto più acuta e immediata rispetto ai contemporanei, che il più delle volte trascende il soggetto stesso: «Questi esperimenti pittorici finalizzati a un nuovo modo di vedere parevano loro una legittimazione essenziale del fare pittorico, che li induceva talora ad affermare l’assoluta irrilevanza del soggetto da rappresentare». Pura pittura, non pre-fotografica, ma pre-astratta! Addirittura, c’è stato chi ha evocato la fotografia come spettro negativo per i pittori: come il romanziere Jules Claretie, che al Salon del 1874 ha criticato i paesaggisti per l’influenza subìta dalle fotografie; o il critico tedesco Adolf Rosemberg, che nel 1884, nel commentare un quadro di Jules Bastien-Lepage lo definisce con disprezzo “un’istantanea” (termine successivamente acquisito dalla fotografia). E non entriamo nel merito della scarsa considerazione per la fotografia di gran parte della critica (sopra tutti, l’immancabile Charles Baudelaire). Insomma, tra Impressionismo e fotografia ci sono stati rimandi e collegamenti assolutamente logici e normali, visto che si tratta di fenomeni storicamente coevi. Persino annotata e raccontata da FOTOgraphia, nel febbraio 2010, la stessa prima presentazione ufficiale del movimento, avvenuta nei locali dello studio del fotografo Nadar, il 15 aprile 1874, è riportata nel libro come una semplice coincidenza, avvenuta in un ambiente artistico omogeneo e complice (e poi, perché no?, le ristrettezze economiche del fotografo farebbero ipotizzare il pagamento di duemilaventi franchi per l’affitto dei locali: da credere?). Ancora all’oscuro di queste rilevazioni, noi la raccontammo in modo analogo e coincidente, appunto nel febbraio 2010; testuale: «Liberata da tanti vincoli di riproduzione della realtà (dal paesaggio al ritratto), proprio con la nascita della fotografia, l’arte ha potuto incamminarsi per luminosi percorsi espressivi. A partire dall’Impressionismo, prima scuola di pensiero pittorico immediatamente successiva alla fotografia. Come è risaputo, la prima mostra degli Impressionisti, non accettati all’accademico Salon, si è tenuta nello studio del fotografo Nadar (35, boulevard des Capucines, a Parigi), il 15 aprile 1874. Ma non si deve pensare ad alcun rapporto estetico tra le sue fotografie e le opere degli Impressionisti. Non concordano né i tempi (negli anni 1853-1860 di massimo splendore della fotografia di Nadar, l’Impressionismo non era neppure nell’aria), né le visioni: Nadar è completamente estraneo all’osservazione della vita, figuriamoci alla sua raffigurazione». Comunque, all’interno dei questi due volumi di Impressionismo si individuano piccoli ma avvincenti riferimenti fotografici: oltre ai ritratti degli


«I motivi più semplici sono i più immortali» Pierre-Auguste Renoir artisti, alla fine del secondo volume, a cappello delle loro relative biografie, spesso sono visualizzate immagini d’epoca e cartoline anonime, strategicamente collocate accanto ai dipinti, per un raffronto storico e geografico dei luoghi e delle persone raffigurate. E capita di incappare in sorprese gradite: come una fotografia di Eugène Atget, del 1896, Barche a vela presso La Rochelle, a commento di vedute marine. Inquadrare la realtà, renderla per quello che realmente è, osservarla in tutti i suoi aspetti, anche quelli meno scontati, anche dai punti di vista più curiosi: questi, in definitiva, sono gli aspetti in comune tra pittura impressionista e fotografia. Non resta che godere appieno delle sterminate immagini, riprodotte in formato generoso e alta qualità formale, che i due ricchissimi volumi Impressionismo offrono alla gioia dei nostri occhi, Ah, nota finale: del catastrofista Paul Delaroche, quello secondo il quale la pittura sarebbe stata uccisa dal dagherrotipo (dalla fotografia), negli autorevoli volumi, neanche l’ombra. Che il suo anatema gli si sia rivolto contro? Oppure, più semplicemente, abbiamo ragione noi, quando rileviamo che la sua è stata una affermazione che non ha senso per chiunque sappia in cosa consiste un’espressione estetica? ❖

John Henry Twachtman: Horseshoe Falls, Niagara; olio su tela, 76,8x64,5cm; 1894 circa (Southampton NY, The Parrish Art Museum).

(centro pagina, in alto) John Singer Sargent: The Luxembourg Garden, at Twilight; olio su tela, 64,8x91,4cm; 1879 (Philadelphia, Philadelphia Museum of Art).

Edvard Munch: Vår på Karl Johan [ Primavera su Karl Johan]; olio su tela, 200x100cm; 1891 (Bergen, Bergen Billedgalleriet).

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MERCATO FOTOGRAFICO (?) di Antonio Bordoni

L’analisi delle risultanze statistiche e percentuali ricavate dal Sondaggio TIPA 2011 rivelano un panorama straordinariamente vivace e concentrato. Certo, si tratta di valori dedotti da risposte di un pubblico consapevole e convinto, diciamo di vertice. Però le indicazioni sono adeguatamente concrete e utilizzabili, se solo il mercato fotografico italiano potesse specchiarsi in qualche modo o misura con il commercio internazionale, che sappiamo essere più brillante e motivato di quello che viviamo giorno dopo giorno nel nostro paese, nel quale tutto scompare e poco si crea

P

roposta da ventitré delle trenta riviste riunite nel cartello TIPA (Technical Image Press Association), rappresentative di un panorama ormai planetario di quattordici nazioni (quindici, con il Giappone, presente come Camera Journal Press Club), l’indagine conoscitiva dei propri lettori, significativi e caratteristici di un insieme assai più vasto, per quantità, offre consistenti spunti di riflessione. Il TIPA Survey 2011, ovverosia il Sondaggio TIPA 2011, è stato promosso, lanciato e svolto a cavallo dell’anno. FOTOgraphia ha pubblicato le tre pagine di questionario lo scorso dicembre [qui sotto]. Va rilevato, perché non farlo?, che rispetto le edizioni originarie dell’inchiesta biennale, le edizioni 2011 e 2009 hanno registrato adesioni consistentemente superiori alle due precedenti. Forse (?) perché i questionari in risposta hanno partecipato all’estrazione di premi di prestigio: le reflex premiate con i TIPA Award dell’anno in corso (e per il Sondaggio 2009, il primo

SONDAGGIO TIPA 2011

13 Leggo una copia di FOTOgraphia per un totale di ......... minuti

COMPILA IL QUESTIONARIO (ANCHE IN FOTOCOPIA) E INVIALO PER POSTA O E-MAIL. PARTECIPI ALL’ESTRAZIONE DI UNA DELLE SEI MACCHINE FOTOGRAFICHE* PREMIATE CON I TIPA AWARDS 2010.

14 Oltre a me, altre ......... leggono ogni numero di FOTOgraphia

18 Leggo la pubblicità che appare su FOTOgraphia sempre ❏ spesso ❏

di rado

mai

*le quattro reflex, solo corpo; eventuali tasse o imposte sono a carico del vincitore; regolamento in inglese e spagnolo alla pagina www.tipa.com/italian/latest_news.php.

19 La pubblicità che appare su FOTOgraphia

È POSSIBILE PARTECIPARE ANCHE ONLINE SU http://presseforschung.de/FOTOgraphia

tipa.com La Technical Image Press Association (TIPA) è un’associazione non-profit registrata in Spagna.

SONDAGGIO TIPA 2011

01 Scatto fotografie ❏ Da privato ❏ Da semi-professionista ❏ Da utente professionale (libero professionista: architettura, designer, altro) ❏ Da fotografo professionista

Sondaggio tra i lettori delle trenta riviste associate alla Technical Image Press Association LA VOSTRA OPINIONE VALE Ogni due anni, TIPA rileva e valuta le opinioni e tendenze dei lettori delle trenta riviste associate, in tema di fotografia. Partecipare al sondaggio significa fornire all’Associazione importanti informazioni, che -analizzate dall’istituto WIP, di Colonia, Germaniasaranno presentate alle maggiori industrie del settore, per sottoporre alla loro attenzione l’orientamento dei clienti finali. Tra tutti i lettori delle riviste TIPA partecipanti al Sondaggio 2011 saranno estratte a sorte presso uno studio notarile di Madrid le sei macchine fotografiche* insignite dai TIPA Awards 2010. *le quattro reflex, solo corpo; eventuali tasse o imposte sono a carico del vincitore; regolamento alla pagina www.tipa.com/italian/latest_news.php

Best Digital SRL Professional Nikon D3s (solo corpo)

TRA TUTTI I PARTECIPANTI AL SONDAGGIO TIPA 2011 IN PALIO LE SEI MACCHINE FOTOGRAFICHE PREMIATE CON I TIPA AWARDS 2010

07 La funzione video nella reflex da completamente vero

Ha una qualità insufficiente da completamente vero

Partecipo spesso ai concorsi La mia attrezzatura deve essere in linea con le ultime tecnologie Spendo in accessori tanto quanto per le macchine fotografiche Regolarmente, do consigli per l’acquisto di un prodotto fotografico

❏ ❏ ❏

a non vero

❏ ❏ ❏

❏ ❏ ❏

1. 2. 3. 4. 5. 6.

Su riviste di fotografia Su riviste di computer Su riviste di tecnica varia (foto digitale / video / audio) Presso il mio negoziante Alle fiere specializzate Su dépliant dei distributori

7. Su Internet Tra tutte, mi fido di più della fonte numero ......... spesso ogni tanto

❏ ❏ ❏ ❏ ❏

❏ ❏ ❏ ❏ ❏

di rado

mai

❏ ❏ ❏ ❏ ❏

❏ ❏ ❏ ❏ ❏

Best Compact System Camera Advanced Panasonic Lumix G2 (con 14-42mm f/3,5-5,6)

❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏

a non vero

❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏

❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏

16 Una versione formato digitale di FOTOgraphia da completamente vero

❏ ❏

❏ ❏

❏ ❏

❏ ❏

con funzioni addizionali a pagamento

La leggo quando altri l’hanno già letta Altrimenti

Reflex digitale Sistema digitale medio formato

❏ ❏ ❏ ❏

Sistema digitale grande formato Compatta digitale a obiettivi intercambiabili Compatta digitale Obiettivi intercambiabili Sistema di gestione colore (color management) Software foto / grafico Luci da studio Scanner Stampante fotografica Treppiedi Proiettore Accessori

Ha un valore informativo Mi ha già spinto a chiedere più informazioni Mi ha già spinto a fare un acquisto

❏ ❏ ❏

❏ ❏ ❏

a non vero

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❏ ❏ ❏

meno spesso

mai

❏ ❏ ❏ ❏

❏ ❏ ❏ ❏

20 La pubblicità che appare su FOTOgraphia più volte una volta ogni al mese al mese 2-3 mesi

❏ ❏ ❏ ❏

Per tenermi aggiornato Per gli argomenti di fotografia Per le curiosità della fotografia Per la cultura della fotografia

❏ ❏ ❏ ❏

❏ ❏ ❏ ❏

a non vero

La troverei attraente L’acquisterei al posto di quella cartacea L’aggiungerei al mio abbonamento,

17 Nei prossimi ventiquattro mesi (due anni) intendo acquistare 09 FOTOgraphia pubblica dieci numeri all’anno Ne leggo ......... numeri all’anno Questa è la prima volta che la leggo

10 Ottengo FOTOgraphia (indicare solo la più pertinente) In abbonamento Come saggio promozionale

04 Scatto circa ......... fotografie al mese Uso ❏ una macchina fotografica / ......... macchine fotografiche Ne stampo circa ......... personalmente circa .......... più grandi di mezza pagina di rivista Ordino circa ......... stampe a un laboratorio/negozio circa .......... più grandi di mezza pagina di rivista

❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏

11 Sfoglio o leggo ogni numero di FOTOgraphia circa ......... volte Best Digital SRL Advanced Canon Eos 550D (solo corpo)

❏ ❏ ❏ ❏ ❏ Dà ottimi consigli per l’acquisto di accessori ❏ Rende il mercato fotografico più trasparente ❏ Se FOTOgraphia non ci fosse, mi mancherebbe ❏ Fonte di ispirazione (riflessione) Di grande aiuto pratico Molto attendibile e competente Dà ottimi consigli per l’acquisto di attrezzatura

08 Mi informo regolarmente sui prodotti fotografici

03 Produco le mie fotografie con Reflex digitali Reflex con sensore digitale medio formato Reflex con sensore digitale a pieno formato In formato grezzo RAW In formato compresso Jpeg

❏ ❏ ❏

a non vero

da completamente vero da completamente vero

Un’importante rivista di fotografia

Mi sembra una aggiunta utile La uso frequentemente 02 Mi riconosco nelle seguenti definizioni

15 Giudico FOTOgraphia

06 In un anno creo e stampo circa ......... photo book

❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏

21 Informazioni personali Sono maschio Ho ......... anni

femmina

22 La disponibilità mensile netta della mia famiglia è (indicazione facoltativa) Inferiore a 1000,00 euro ❏

❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏

Tra 1000,00 e 1499,00 euro Tra 1500,00 e 1999,00 euro Tra 2000,00 e 2499,00 euro Tra 2500,00 e 2999,00 euro Tra 3000,00 e 3499,00 euro Tra 3500,00 e 3999,00 euro Tra 4000,00 e 4499,00 euro Superiore

Grazie per aver partecipato al SONDAGGIO TIPA 2011

05 Per presentare le mie fotografie scelgo spesso ogni tanto

Photo community gratuite Photo community a pagamento Photo community italiane Photo community internazionali Altri siti Internet

❏ ❏ ❏ ❏ ❏

❏ ❏ ❏ ❏ ❏

di rado

mai

❏ ❏ ❏ ❏ ❏

❏ ❏ ❏ ❏ ❏

12 Di ciascun numero di FOTOgraphia leggo Tutte o quasi tutte le pagine Circa tre quarti della rivista Circa la metà della rivista Circa un quarto della rivista Solo alcune pagine della rivista

❏ ❏ ❏ ❏ ❏

Best Digital SRL Expert Canon Eos 7D (solo corpo) Best Digital SRL Entry Level Pentax K-x (solo corpo)

Le reflex sono visualizzate complete di obiettivo per motivi puramente estetici

Best Compact System Camera Entry level Olympus PEN E-PL1 (con 14-42mm f/3,5-5,6)

PER LA PRIVACY, L’AREA TRATTEGGIATA CON I DATI PERSONALI VERRÀ SEPARATA AL RICEVIMENTO SE NON VOLETE RITAGLIARE QUESTE PAGINE, FOTOCOPIATE LE DUE FACCIATE, OPPURE SCARICATELE DAL SITO www.FOTOgraphiaONLINE.it IL QUESTIONARIO (FRONTE E RETRO) DEVE PERVENIRE ENTRO IL 31 GENNAIO 2011 È POSSIBILE INVIARE IL QUESTIONARIO IN FORMA ANONIMA, RINUNCIANDO ALL’ESTRAZIONE Potete evitare di fornire i vostri dati (che comunque non saranno forniti a terzi). Però, in questo modo rinunciate alla possibilità di partecipare all’estrazione di una delle sei macchine fotografiche in palio. L’anonimato è garantito, perché questa parte del questionario verrà separata dalle risposte. Elaborati dall’istituto WIP di Colonia, i risultati saranno pubblicati

sul sito tipa.com, su FOTOgraphia e su Fotografia Reflex. L’estrazione delle sei macchine fotografiche avverrà entro marzo 2011, presso uno studio notarile a Madrid, in Spagna (attenzione: eventuali tasse o imposte sono a carico del vincitore). Regolamento su www.tipa.com/italian/latest_news.php

COMPILAZIONE FACOLTATIVA (rinunciando all’estrazione dei premi) nome

cognome

indirizzo CAP

città

telefono

provincia fax

e-mail

INVIATE IL QUESTIONARIO A

O INVIATELO

FOTOgraphia - Sondaggio TIPA via Zuretti 2a - 20125 MILANO MI

ALLA POSTA ELETTRONICA

graphia@tin.it

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premio assoluto, una Nikon D3 / Best D-SRL Professional Tipa Award 2008, è stato vinto da un nostro lettore, Pietro Guidugli, di Molazzana, in provincia di Lucca, presidente del Circolo Fotocine Garfagnana). Tante le domande poste dal Sondaggio, scomposte in due serie, rispettivamente indirizzate all’atteggiamento di mercato e all’apprezzamento (?) della rivista di riferimento (e risposta). Da cui, il Sondaggio TIPA 2011, promosso e svolto tra i lettori delle riviste associate alla Technical Image Press Association, si propone di rilevare e valutare le opinioni e tendenze in tema di fotografia. La partecipazione al Sondaggio ha fornito all’Associazione importanti informazioni, che -analizzate dall’istituto WIP, di Colonia, Germania- sono state presentate alle maggiori industrie del settore, per sottoporre alla loro attenzione l’orientamento dei clienti finali.

COME CI SI INFORMA

In estrapolazione dal Sondaggio TIPA 2011 (pubblicato in FOTOgraphia, dicembre 2010, in contemporanea con altre ventidue riviste internazionali di fotografia), riprendiamo la sintesi percentuale delle risposte analizzate. Mi informo regolarmente sui prodotti fotografici attraverso Totale Europa Nord Altri Centrale Sud America paesi Riviste fotografiche 93,7% 95,1% 89,9% 99,4% 97,1% Internet 86,3% 88,3% 84,5% 86,7% 85,7% Negozio specializzato 28,5% 28,4% 25,4% 39,4% 30,6% Dépliant 28,4% 31,4% 25,7% 31,4% 25,4% Fiere commerciali 26,1% 30,1% 26,0% 21,7% 17,1% Riviste di più argomenti 24,9% 21,0% 27,1% 27,4% 28,3% Riviste di computer 23,6% 23,8% 21,8% 27,7% 26,1% Europa Centrale (Inghilterra, Francia, Olanda, Germania e Polonia; nove riviste) Sud d’Europa (Spagna, Italia, Grecia e Ungheria; nove riviste) Nord America (Stati Uniti e Canada; due riviste) Altri paesi (Sudafrica, Australia e Cina; tre riviste)

ALCUNE CIFRE 2011

Allora: tra le fonti di informazione, le riviste fotografiche sopravanzano ogni altra. In particolare, là dove siamo soliti riferire atteggiamenti proiettati in avanti, oltre il cartaceo, diciamo Nord America e Cina, le percentuali superano la media totale e le medie europee. Ancora, è minato il valore delle fiere commerciali, che tra l’altro impongono agli espositori onerose spese di allestimento e svolgimento. Ci rammarica, quindi, la scarsa attitudine a rivolgersi ai fotonegozianti, che a nostro modo di vedere rappresentano sempre un riferimento certo e accertato. Ma qui contano, forse, le delusioni di incontri inconcludenti (molti ne immaginiamo, pensando a qualche indirizzo italiano), che pesano molto di più di quelli appaganti (altrettanti ne immaginiamo, pensando a qualche altro indirizzo italiano).

Al TIPA Survey 2011, ovverosia Sondaggio TIPA 2011, hanno risposto oltre diecimila lettori di riviste di fotografia (aderenti al cartello): 10.281, per l’esattezza, in maggior parte online (quarantasette percento) e email (quarantuno percento); e poi quasi il dodici percento per fax (11,6 percento). Il totale è stato scomposto per regioni geografiche: Europa Centrale (Inghilterra, Francia, Olanda, Germania e Polonia; nove riviste), Sud d’Europa (Spagna, Italia, Grecia e Ungheria; nove riviste), nord America (Stati Uniti e Canada; due riviste) e Altri paesi (Sudafrica, Australia e Cina; tre riviste). Le risposte predominanti sono arrivate da utenti maschi: più dell’ottanta percento (80,7 percento, per

FONTI DI INFORMAZIONE

Dal Sondaggio TIPA 2011 (in FOTOgraphia, dicembre 2010). Mi informo regolarmente sui prodotti fotografici attraverso 52,8% Riviste di più argomenti 20,7% Riviste di computer 6,4% Dépliant 2,8% Nessuna risposta

Riviste fotografiche Internet Negozio specializzato Fiere commerciali

Riviste di computer 1,5%

Dépliant 0,9%

1,7% 1,5% 0,9% 13,2%

Nessuna risposta 13,2%

Riviste di più argomenti 1,7% Fiere commerciali 2,8% Negozio specializzato 6,4%

Internet 20,7%

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Riviste fotografiche 52,8%


FIDUCIA A

Dal Sondaggio TIPA 2011 (in FOTOgraphia, dicembre 2010).

Riviste fotografiche Internet Negozio specializzato Fiere commerciali Riviste di più argomenti Riviste di computer Dépliant Nessuna risposta

Tra le mie fonti di informazione, mi fido di più di Totale Europa Centrale Sud 52,8% 58,7% 42,5% 20,7% 19,6% 24,6% 6,4% 6,7% 5,9% 2,8% 3,6% 3,4% 1,7% 1,0% 3,0% 1,5% 0,8% 2,7% 0,9% 0,8% 0,9% 13,2% 8,8% 17,0%

Nord America

Altri paesi

63,0% 14,6% 11,4% 0,8% 0,3% 0,8% 1,5% 7,6%

59,6% 16,2% 3,8% 0,2% 0,7% 0,3% 1,0% 18,2%

Europa Centrale (Inghilterra, Francia, Olanda, Germania e Polonia; nove riviste) Sud d’Europa (Spagna, Italia, Grecia e Ungheria; nove riviste) Nord America (Stati Uniti e Canada; due riviste) Altri paesi (Sudafrica, Australia e Cina; tre riviste)

Riviste di computer 2,7%

Dépliant 0,9%

Nessuna risposta 17,0%

Riviste di più argomenti 3,0% Riviste fotografiche 42,5%

Fiere commerciali 3,4% Negozio specializzato 5,9%

Internet 24,6%

Scomposizione percentuale Sud d’Europa

Si conferma la fiducia nelle riviste fotografiche, alla quale corrisponde una sostanziosa sfiducia nelle altre forme di informazione cartacee: riviste di più argomenti, riviste di computer, dépliant. Clamorosa è anche la sfiducia nelle fiere commerciali, che crollano

l’esattezza: dato assoluto e generale discordante con quello di FOTOgraphia, definito da un trenta percento femminile). L’età media di quasi quarantacinque anni (44,7) è oggettivamente inferiore alla nostra di quasi quarantanove anni (48,9, con una punta massima a ottant’anni), e altrettanto constatiamo per un’età femminile inferiore a quella maschile (rispettivamente trentotto e quarantasei anni), con il sessantuno per cento del totale inferiore ai cinquant’anni (FOTOgraphia non può vantare altrettanto: le nostre età sono adeguatamente superiori alla media TIPA). Il sessantuno percento dei lettori di riviste fotografiche che hanno risposto al Sondaggio scattano fotografie in forma privata, e il sessantaquattro percento del totale acquisisce in formato grezzo Raw: per una media di quasi seicento fotografie al mese (per l’esattezza, 595) Da cui, conseguono sostanziosi consumi aggiuntivi: in media, sessantuno stampe prodot-

in prossimità dello zero in Nord America e Altri paesi. I dati regionali sono assolutamente squilibrati tra loro e in relazione al totale planetario. Così, sintetizziamo la scomposizione percentuale del Sud d’Europa, all’interno del quale si trova l’Italia.

TIPA: TRENTA RIVISTE, TRENTA

La Technical Image Press Association (TIPA) riunisce trenta riviste fotografiche associate (compreso il Camera Journal Press Club, dal Giappone). In ordine geografico: Camera (Australia); Photo Life (Canada); Chinese Photography (Cina); Réponses Photo (Francia); Digit!, Foto Hits, Inpho Imaging & Business, Photographie, Photo Presse, ProfiFoto (Germania); Photographos, Photo Business (Grecia); Digital Photo, Photography Monthly, Professional Photographer, Practical Photography (Inghilterra); Fotografia Reflex, FOTOgraphia (Italia); Fotografie F+D, FotoVisie, P/F (Olanda); Foto (Polonia); Arte Fotográfico, Diorama, FV / Foto Video Actualidad, La Fotografia Actual (Spagna); PiX Magazine (Sudafrica); Shutterbug (Stati Uniti); Digitális Fotó Magazin (Ungheria).

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INTENZIONI DI ACQUISTO

Dal Sondaggio TIPA 2011 (in FOTOgraphia, dicembre 2010). Nei prossimi ventiquattro mesi (due anni) intendo acquistare Reflex digitale 45,9% Sistema digitale medio formato 6,9% Sistema digitale grande formato 4,1% Compatta digitale a obiettivi intercambiabili 9,8% Compatta digitale 12,0% Obiettivi 63,0% Sistema di gestione colore (color management) 9,7% Software foto / grafico 29,0% Luci da studio 19,7% Scanner 9,7% Stampante 18,1% Treppiedi 22,7% Proiettore 6,8% Accessori 52,7% Che in classifica, dall’intenzione maggiore alla minore, si traduce in: Obiettivi; Accessori; Reflex digitale; Software foto / grafico; Treppiedi; Luci da studio; Stampante; Compatta digitale; Compatta digitale a obiettivi intercambiabili; Scanner; Sistema di gestione colore (color management); Sistema digitale medio formato; Proiettore; Sistema digitale grande formato.

te in proprio e settantadue attraverso il servizio di negozianti specializzati. Con un conteggio di quasi cinque album fotografici commissionati ogni anno (4,8).

QUALCHE CONSIDERAZIONE Tenendo conto del fatto che coloro i quali hanno risposto al Sondaggio rappresentano meno una media di quanto siano significativi di atteggiamenti convinti e consapevoli (tra i quali, per l’appunto, ci sta anche l’adesione al questionario), altri valori sono trasversali alla sintesi statistica e percentuale. Per esempio: «Mi capita spesso di partecipare a concorsi», «Sono attento all’evoluzione tecnologica, e aggiorno sistematicamente la mia dotazione foto-

grafica», «Spendo per gli accessori almeno quanto ho speso per la macchina fotografica», «Seguo consigli di esperti per orientare le mie scelte». E, poi, per quanto vale (e/o serve), i comportamenti e atteggiamenti medi verso le riviste di settore -sui quali sottolineiamo nei riquadri pubblicati in queste pagine-. Le riviste sono sfogliate almeno sei volte, per un totale di ottantatré minuti. Di ogni numero di rivista, viene preso in considerazione l’ottantasette percento delle pagine totali (86,5 percento). E qui si impone un dettaglio scandito: il sessantacinque percento legge tutta la rivista (65,0 percento); il ventidue percento, circa tre quarti (21,9 percento); il nove percento, la metà (9,0 percento); il due percento, un quarto e un coincidente due percento, solo qualche pagina (rispettivamente, 2,2 e 1,9 percento). Il tempo medio di lettura di una rivista, di ottantatré minuti, è equidistante tra i due estremi di ventinove e centotrentadue minuti; così come la consultazione di sei volte sta tra tre e nove; ogni rivista risulta letta da due persone e mezzo. Infine, il sessantatré percento delle risposte (63,3 percento) è arrivato da lettori abituali, e l’otto percento da lettori che hanno avvicinato la rivista per la prima volta (8,1 percento). Piaggeria (a che fine, poi)? Oppure, dobbiamo considerare che la compilazione del Sondaggio presuppone una fidelizzazione alla rivista? Fatto sta che il novantaquattro percento considera la rivista di riferimento “molto importante” e il novantadue percento l’ha qualificata “attendibile e competente”. Stesso valore, novantaquattro percento, per quanto riguarda l’autorevolezza come fonte di informazione. Il cinquantatré percento dei lettori rivela di fare affidamento su quanto scritto sulle riviste. E poi, l’ottantatré percento trae ispirazione dagli articoli (83,4 percento), un coincidente ottantatré percento ha comperato apparecchi fotografici in base ai giudizi letti (83,2 percento) e il settantadue percento giudica che le riviste contribuiscano alla trasparenza del mercato. Ancora, e poi basta: l’ottantadue percento considera in modo positivo le pagine pubblicitarie!. ❖



SWPA

DAL201 1

a cura di Angelo Galantini

OPEN Arts and Culture e Fashion

Terzo di cinque appuntamenti programmati (i prossimi, a seguire, fino a dicembre), dal Sony World Photography Award 2011, del cui svolgimento abbiamo ampiamente riferito nel numero dello scorso giugno, andando sottotraccia e approfondendo connessioni e considerazioni adeguatamente cadenzate e scandite. In ripetizione, d’obbligo: oltre tanti altri propri valori espliciti e impliciti -a partire dalla fantastica promozione di se stesso e della fotografia in toto (ben presentata ed esposta in un palcoscenico di richiamo, come è quello di Londra)-, il concorso Sony ha il considerevole merito di dare risalto anche a una fotografia non professionale di straordinaria espressività e concretezza (in sovramercato, spesso proveniente da paesi insospettabili, da paesi estranei al consueto circuito della fotografia occidentale). Da cui, la nostra caparbia segnalazione delle fotografie segnalate nelle sezioni Open, appunto della fotografia non professionale, ribadisce e conferma come e quanto la fotografia sia una passione diversa da ogni altra. Diversa, sia chiaro e dichiarato, perché... migliore! Dopo Action e After Dark (luglio) e Architecture e Panoramic (settembre), altre due categorie Open del Sony World Photography Award 2011. Nei prossimi mesi, le restanti quattro, fino al totale delle dieci categorie di riferimento. Sony World Photography Award 2011 Open - Arts and Culture: vincitore di categoria, Hubert Januar (Indonesia). Sony World Photography Award 2011 Open - Fashion: vincitore di categoria, Edina Csoboth (Ungheria).

A luglio e settembre: Action e After Dark, Architecture e Panoramic. Dalla sezione Open del Sony World Photography Award 2011 (fotografia non professionale), sui prossimi numeri di FOTOgraphia, non necessariamente in questo ordine: Nature and Wildlife e Travel, People e Smile.

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VESELINA KERTIKOVA (CINA): OPEN ARTS AND CULTURE

ALAM SYAH (INDONESIA): OPEN ARTS AND CULTURE

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JAROSLAV SVOBODA (REPUBBLICA CECA): OPEN FASHION

GDE WIRA BRAHMANA (INDONESIA): OPEN FASHION

MADALINA TODERASCU (ROMANIA): OPEN FASHION




Danilo Pedruzzi con FOTOgraphia di aprile 2011 ne abbiamo parlato


ALLE ORIGINI...

La Fotografia. Le origini 1839-1890 (volume 1); a cura di Walter Guadagnini; Skira Editore, 2011; 304 pagine 21x28cm, cartonato con sovraccoperta; 60,00 euro.

Lodevole progetto dell’editore Skira, La Fotografia propone un piano d’opera ambizioso, oltre che avvincente. A cura di Walter Guadagnini, quattro volumi percorrono la Storia della fotografia, scandendo i tempi delle successioni temporali 1839-1890, 1891-1940, 19411980 e 1981-2010. Ovviamente, l’edizione è consequenziale e cronologica, diciamola così: il primo volume tratta Le origini 1839-1890, con tante parole a commento e altrettante immagini che hanno definito l’evoluzione del linguaggio e dell’espressività fotografica 48


E POCO OLTRE di Maurizio Rebuzzini

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rima di tutto, una osservazione d’obbligo (almeno per noi). In una bibliografia eccessivamente americanocentrica, si ha tanto bisogno di storie della fotografia scritte da autori di altra geografia, addirittura italiani, quantomeno di storie scritte con la competenza a farlo: e non è successo sempre, anzi è esattamente vero il contrario. Per cui, accogliamo con gioia e piacere, addirittura con esultanza, l’annunciato progetto dell’editore Skira, che in quattro volumi consequenziali si propone di raccontare la storia della fotografia da un punto di vista italiano. A cura di Walter Guadagnini, La Fotografia scandirà l’evoluzione di oltre centosettanta anni di Storia con tempi opportunamente ritmati. Prima uscita, La Fotografia. Le origini 1839-1890. Lo so bene (in prima persona singolare, qui d’obbligo), i momenti delle immediate origini della fotografia, dall’annuncio e presentazione del gennaio e agosto 1839, sono fondanti e fondamentali. Sono decenni che specificano e delimitano il tempo di una fotografia autoreferenziale -così la vedo e racconto-, che muove i primi passi tra contraddizioni sollecitate da secoli di pittura e oggettivi condizionamenti operativi e strumentali, per certi versi sciolti, questi ultimi soltanto, dall’epocale Box Kodak, di George Eastman, del 1888: la prima di quelle che personalmente considero le svolte senza ritorno della tecnologia fotografica, che influisce sul linguaggio, e poi il linguaggio si proietta sulla società tutta. Come dire, come e quanto la fotografia ha influenzato (e influenza) la nostra vita.

SOTTOTRACCIA A seguire, i tre volumi successivi della entusiasmante collana La Fotografia proseguiranno il camino intrapreso, con progressione cronologica, oltre che ideologica (a diretta conseguenza). Con ordine: il secondo, terzo e quarto volume affronteranno, rispettivamente, Una nuova visione del mondo 1891-1940, Dalla Stampa al Museo 1941-1980 e L’età contemporanea 1981-2010. E qui, una volta rivelate le visioni del curatore Walter Guadagnini, si impongono rilevazioni, assolutamente d’obbligo. Partiamo da una mia prima sovrastante, della quale sono irrimediabilmente convinto, con le proprie successioni. La storia della fotografia si è manifestata, è ovvio; ma, per certi versi, non è mai stata raccontata correttamente (per esempio, in genere manca-

Joseph Nicéphore Niépce: Veduta dalla finestra di Le Gras, Saint-Loup-de-Varennes; 1827 (o 1826) [Eliografia su vetro (originale distrutto, riproduzione da una fotoincisione)].

Henry Peach Robinson: Morire; 1858 [Stampa all’albumina, 24,4x39,3cm; George Eastman House, dono di Alden Scott Boyer].

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Maxime Du Camp: Colosso occidentale del grande tempio rupestre di Ramesse II, Abu Simbel, Nubia; 1849-1850 [Carta salata da negativo calotipico, 21,5x19,8cm; Parigi, Musée d’Orsay, collection Roger Thérond].

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no l’Est europeo e l’Oriente; anche se oggi si parla di Cina in relazione alla creatività contemporanea). Per quanto ciò che non è mai stato raccontato non abbia influito sui grandi equilibri, oggigiorno dovrebbe essere degno di attenzione e considerazione: oggi, più che mai. Diciamo che tutti i racconti dipendono da preorientamenti in base a geografia, ideologia e gusti individuali. Quindi, non si può ignorare che la Storia nel proprio insieme (non soltanto quella del-

la fotografia) è sempre Storia dell’emisfero Nord e del mondo occidentale. E così ha legittimamente agito anche il curatore Walter Guadagnini, come rivelano i tempi scanditi dai quattro titoli in successione, che svelano un punto di vista adeguatamente soggettivo. Come abbiamo già riferito all’analoga soggettività visiva e culturale delle cinquanta icone individuale da Hans-Michael Koetzle (in FOTOgraphia dello scorso settembre), dobbiamo far tesoro delle competenze che pro-


ducono racconti avvincenti, quale è l’attuale di La Fotografia. Le origini 1839-1890. Come appena sottolineato, le scelte e interpretazioni sono individuali, e quindi non necessariamente condivisibili: ognuno di noi ne avrebbe sicuramente fatte di diverse. Ma questo del personalismo è un merito/valore che non va sottovalutato. Anzi, è esattamente vero il contrario: soprattutto oggi, in epoca di “politicamente corretto”, nella quale ancora pochi scelgono e indicano vie. In

un mondo nel quale i più si limitano a seguire e accontentare il branco, ben vengano quelle voci che si elevano non per il tono, ma per i contenuti. Del resto, per quanto ciascuno cerchi di evitare ogni qualsivoglia forma di autorefenzialità (ma sarà vero?), ogni trattazione dipende dalla natura, educazione e formazione di chi racconta; oltre che dai contenitori di riferimento. Per esempio, nella mia docenza a incarico di Storia della (continua a pagina 54)

Roger Fenton: L’abbazia di Rievaulx; 1854 [Stampa all’albumina; Londra, Victoria and Albert Museum].

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PRE-FOTOGRAFIA IN ORIGINALE

Legittimamente, l’attuale La Fotografia. Le origini 1829-1890, a cura di Walter Guadagnini, evita il racconto della preistoria, spesso presente in altre narrazioni. In genere, l’insieme compatto di queste preistorie è una rimasticazione da altri libri, con adattamenti di copertura (della fonte). Per mille e mille motivi, pochi dei quali razionali e utilitaristici, proprio questa estate mi sono impegnato in una ricerca che ha attinto alle fonti originarie di alcune considerazioni, generalmente riferite “a pappagallo”. Serve a niente, a nessuno, ma ho rintracciato testi antichi ai quali si è soliti fare riferimento meccanicamente e per sentito dire. Ho agito su quattro citazioni riportate in molte storie, e lasciate lì in sospeso. Uno. Per quanto, in una confusione di idee e buona volontà, Leonardo da Vinci (1452-1519) sia indicato e avvalorato da molti come l’inventore della camera obscura, non è assolutamente vero. Infatti, le descrizioni dello strumento vanno inequivocabilmente indietro di secoli: almeno, al 1027 di Alhazen (Ab Al al-Hasan ibn al-Hasan ibn al-Haytham; 965-1038; uno dei più importanti e geniali scienziati del mondo islamico, e in genere del principio del Secondo millennio, considerato l’iniziatore dell’ottica moderna). Per non parlare, poi, della conoscenza dell’azione della luce e formazione delle immagini: nel IV secolo aC, Aristotele osserva che i raggi del sole che passano per una piccola apertura producono un’immagine circolare; un secolo prima (V secolo aC), anche il cinese Mo Ti aveva annotato lo stesso fenomeno.

Giovanni Battista della Porta: da Magiae Naturalis, del 1558, descrizione di una stanza oscurata, con foro stenopeico verso l’esterno per l’osservazione agevolata di paesaggi assolati ( Quomodo in tenebris ea conspicias, quæ foris à Sole illustrantur, & cum suis coloribus [qui sopra], tradotto in Inche modo si possa uedere le cose con il proprio colore, benche il Sole gli percuota sopra / A ueder le cose nel proprio calore benche sieno percosse dal sole, nelle edizioni in volgare, dal 1560 [pagina accanto]).

Del resto, Leonardo dedica alla camera obscura qualche centinaia di schemi [e qui propongo una tavola; a sinistra], soprattutto riferiti alla dimostrazione di un certo numero di fenomeni ottici di base, quali l’inversione e la non interferenza delle immagini, oppure la loro proprietà di essere «tutte in tutto e tutto in ogni parte». Poiché la camera obscura simula le funzioni di base del processo visivo, per Leonardo, il suo confronto con l’occhio fisiologico assume un significato fondamentale, consistente in una serie di affermazioni basate su studi empirici. Soprattutto, per Leonardo, l’apertura della camera obscura è analoga all’apertura della pupilla. Ancora: per Leonardo, gli esperimenti di astronomia con la camera obscura sono di poco interesse (mentre sono fondamentali per altri scienziati); invece, si indirizza verso quelli che individuano analogie tra la visione dell’occhio fisiologico e il funzionamento dello strumento. La camera obscura gli serve per dimostrare una lunga e differenziata serie di caratteristiche della visione. La prima è che la pupilla, come il foro stenopeico, capovolge e inverte da destra a sinistra le immagini del campo visivo (ed è poi il cervello che le raddrizza). Le prime considerazioni al proposito risalgono al 1483-1485, e il princìpio dell’inversione viene successivamente descritto in altri fogli, fino al 1487 circa. In numerosi schemi, compaiono sia l’occhio sia la camera obscura, per evidenziarne le affinità di funzionamento [per approfondimenti individuali: L’ottica di Leonardo tra Alhazen e Keplero; di Linda Luperini; Skira, 2008]. Due. In molte storie si afferma che il (ventitreenne) filosofo, alchimista e commediografo italiano Giovanni Battista della Porta (1535-1615) avrebbe riportato una descrizione della camera obscura nel suo Magiae Naturalis, del 1558, nel quale viene espressa una concezione magico-spiritualistica del mondo simile a quella di Paracelso/Paracelsus (Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim; 1493-1541). In particolare, molti (tutti) affermano che avrebbe descritto il princìpio della camera obscura con foro stenopeico come ausilio al disegno. No! Non è proprio così. In realtà, nel libro IV, capitolo II, con Quomodo in tenebris ea conspicias, quæ foris à Sole illustrantur, & cum suis coloribus (tradotto in Inche modo si possa uedere le cose con il proprio colore, benche il Sole gli percuota sopra, nelle edizioni in volgare, dal 1560, che in sommario/indice iniziale semplificano in A ueder le cose Leonardo da Vinci: schema di raggi di luce che penetrano all’interno di un occhio (in alto, a destra) e di una camera obscura (immediatamente sotto).

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nel proprio calore benche sieno percosse dal sole), della Porta descrive una stanza oscurata, con foro stenopeico verso l’esterno per l’osservazione agevolata di paesaggi assolati (producendo una proiezione simile a quelle fotografate in interno da Abelardo Morell; FOTOgraphia, luglio 2006). Ho rintracciato due edizioni esemplari alla Biblioteca Pubblica Bavarese, e qui riproduco le pagine in questione [in alto]. Tre. In assoluto, ogni storia che si avventuri in questo propone come prima visualizzazione di una camera obscura con foro stenopeico quella che il fisico, matematico, cartografo, filosofo e costruttore di strumenti tecnici olandese Rainer Gemma Frisius (1508-1555) pubblicò nel 1545 nel suo De radio astronomico & geometrico liber, relativa alla contemplazione dell’eclissi di sole dell’anno precedente. Sì, ma non si va mai oltre questa semplice e sola illustrazione (anche nella mia storia 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita, del 2009). Presso la biblioteca dell’Università Complutense, di Madrid, ho rintracciato due edizioni del testo: l’originaria del 1545 e una successiva, del 1558. Nella prima, l’illustrazione è effettivamente quella ampiamente usata e abusata [qui sotto, a sinistra]; nell’altra è stata cambiata, sostituita da un’altra visualizzazione [qui sotto, a destra]. Per quanto serva... ecco qui.

Rainer Gemma Frisius: illustrazione di camera obscura con foro stenopeico, relativa alla contemplazione dell’eclissi di sole dell’anno precedente, in De radio astronomico & geometrico liber, del 1545, e altra illustrazione nelle edizioni successive (questa, del 1558).

Athanasius Kircher: visualizzazione di una camera obscura portatile, in Ars Magna Lucis et Umbrae, del 1646 [dettaglio inferiore della pagina intera].

Quattro. Un’altra menzione ripetuta “a pappagallo” è quella che riguarda il gesuita, filosofo e storico tedesco Athanasius Kircher (1602-1680), che nel suo trattato Ars Magna Lucis et Umbrae, del 1646, visualizza una grande camera obscura portatile [qui sopra]. Ancora, è stata utile una biblioteca universitaria, nello specifico di quella di Losanna, in Svizzera. Tra l’altro, a seguire, lo stesso libro riporta numerose applicazioni astronomiche del foro stenopeico (che così diventa foro gnomonico) e un intenso capitolo su strumenti che compongono la preistoria delle lanterne magiche: altri discorsi.

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Mathew B. Brady: Ritratto a mezza figura di Abraham Lincoln, candidato alla presidenza degli Stati Uniti, prima del discorso alla Cooper Union, New York City; 27 febbraio 1860 [Stampa ai sali d’argento; Washington DC, The Library of Congress].

Lewis Carroll: San Giorgio e il drago; 1875 [Stampa all’albumina, 12,2x16,2cm; Los Angeles, The J. Paul Getty Museum]. Lewis Carroll: Edith, Lorina e Alice Liddell; 1862 circa [Stampa all’albumina; New York, The Pierpont Morgan Library, dono di Arthur A. Houghton Jr].

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(continua da pagina 51) Fotografia, alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Brescia), volente o nolente, io dipendo sia dalla mia natura (di docente), formata in parti uguali da cultura (?) e istinto, sia dal contenitore di riferimento: Lettere e Filosofia. Da cui, i tempi individuati stabiliscono un identificato modo di osservare l’evoluzione della fotografia, del proprio linguaggio e della propria espressività. Per esempio, in parallelo, l’analoga cronologia è stata diversamente scandita e scomposta dall’esposizione permanente del Museo Nazionale Alinari della Fotografia (Mnaf), di Firenze. A cura di Monica Maffioli, che è anche direttrice del Museo, Le origini della fotografia (1839-1860) richiama subito la contrapposizione primigenia della storia. Da una parte, l’ufficialità dell’invenzione della fotografia, abbinata al processo dagherrotipico di Louis Jacques Mandé Daguerre (1787-1851), incoronato dall’accademico Dominique François Jean Arago nella nota sequenza di date successive (7 gennaio 1839, annuncio all’Académie des Sciences, e dicianno-


ve agosto presentazione del procedimento); dall’altra, le prime coeve stampe fotografiche da negativo di carta, ottenute con il processo calotipico dell’inglese William Henry Fox Talbot (18001877). Affascinanti e avvincenti opere suddivise per generi, dal paesaggio al ritratto, alla composizione artistica, rivelano come fin dalla nascita la fotografia abbia affrontato la propria espressività creativa e rappresentativa, ulteriore all’appagamento tecnico dell’invenzione. Con L’età d’oro della fotografia (1860-1920), il curatore Italo Zannier accompagna l’osservatore lungo un tragitto fantastico per creazioni e prolifico per idee. Sono i serrati decenni nei quali la tecnica si evolve e -a conseguenza- l’espressione fotografica acquista sicurezza formale, che subito proietta nei propri contenuti culturali. Attraverso l’opera e l’impegno di straordinari autori, la fotografia afferma la propria autonomia artistica. Dall’Europa all’America rimbalzano idee, correnti, scuole di pensiero (e azione). Ormai, la fotografia non limita le proprie potenzialità a una individuata schiera di facoltosi appassionati. È alla portata di tutti, e si allarga a macchia d’olio. Dal

André-AdolpheEugène-Disdéri; Giuseppe Verdi [Stampa all’albumina, 8,5x5,2cm; Parigi, Musée d’Orsay, dono di J.J. Journet].

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ALTRA STORIA

Originariamente compresa nell’edizione Einaudi L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, dal 1972, la Piccola storia della fotografia, di Walter Benjamin, è un breve saggio di grande portata e importanza, che ora Skira propone nella collana Sms (SkiraMiniSaggi). È un bene, perché la successione dei cinque saggi riuniti in L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica è in qualche modo e misura disorientante, considerato che ognuno fa storia a sé e la loro comunione potrebbe confondere. Infatti, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, del 1936), che dà il titolo alla raccolta Einaudi, merita attenzione autonoma. Walter Benjamin sostiene che l’introduzione, all’inizio del Ventesimo secolo, di nuove tecniche per produrre, riprodurre e diffondere opere d’arte a livello di massa ha radicalmente trasformato l’atteggiamento verso l’arte stessa, sia degli artisti sia del pubblico. Secondo Benjamin, tecniche quali la fotografia, il cinema e il fonografo invalidano la concezione tradizionale di “autenticità” dell’opera d’arte. Infatti, queste nuove tecniche permettono un tipo di fruizione nella quale perde di senso il distinguere tra fruizione dell’originale e fruizione di una copia. Per esempio, mentre per un quadro di epoca rinascimentale non è lo stesso valutarne l’originale o guardarne una copia realizzata da un altro artista, per un film questa distinzione non esiste, in quanto la fruizione dello stesso avviene mediante migliaia di copie che vengono proiettate contemporaneamente in luoghi diversi; e nessuno degli spettatori del film ne fruisce in modo “privilegiato” rispetto qualsiasi altro spettatore (da aggiornare alla televisione e agli attuali Dvd). In forza di ciò, si realizza il fenomeno che Walter Benjamin definisce la “perdita dell’aura” dell’opera d’arte. L’aura, secondo Benjamin, era una sorta di sensazione, di carattere mistico o religioso in senso lato, suscitata nello spettatore dalla presenza materiale dell’esemplare originale di un’opera d’arte. Analogamente, sono autonome le considerazioni che Walter Benjamin esprime negli altri quattro saggi: Piccola storia della fotografia, Eduard Fuchs, il collezionista e lo storico, Che cos’è il teatro epico? e Commenti ad alcune liriche di Brecht. Dunque, la Piccola storia della fotografia, del 1931, scorre indipendente in questa attuale edizione Skira. Il testo di Walter Benjamin (1892-1940), uno dei massimi filosofi e pensatori tedeschi del Novecento, è in qualche modo e misura pionieristico: fantastica e convincente analisi di una disciplina -la fotografia, per l’appunto- che proprio in quegli anni si andava affermando su più fronti e in modo sempre più massiccio e accessibile al vasto pubblico. Walter Benjamin individua le tematiche e le ricerche che muovono la fotografia, dai primi dagherrotipi fino agli autori a lui contemporanei, intrecciando il suo racconto con un dibattito di natura teorica (e marxista) sui legami tra arte e fotografia, ancora oggi di grande attualità. Questa edizione Skira comprende alcune delle immagini commentate dallo stesso Benjamin nel 1931. Piccola storia della fotografia, di Walter Benjamin; Skira Editore, 2011; 48 pagine 12,5x17cm; 9,00 euro.

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Novecento, soprattutto all’indomani della Grande guerra, si registrano sperimentazioni di nuovi linguaggi espressivi, non necessariamente limitati e/o vincolati al presunto realismo e alla schematica oggettività della registrazione ottica. In serrato confronto, suggestive correnti artistiche spalancano porte di visioni che ancora oggi appartengono alla fotografia contemporanea. La fotografia, ormai emancipata, non chiede più soccorso alla pittura, ma impone il valore del proprio linguaggio espressivo, proponendosi sia nel mondo dell’arte sia nella vita quotidiana. È questo il senso della sezione L’avvento delle avanguardie (1920-2000), con la quale Charles-Henri Favrod conclude il percorso storico. Selezione di opere dei maggiori protagonisti del Novecento, che hanno arricchito la cultura visiva del mondo con vere e proprie icone del nostro tempo.

BEN ALTRA FORMA Come è giusto che sia, la scomposizione sillabata da Walter Guadagnini è diversa, perché propria: chi non ne ha ancora decifrata la scuola di pensiero e riferimento consideri l’intestazione del terzo capitolo, Dalla Stampa al Museo 19411980, che definisce il punto di vista e osservazione. Ribadisco, legittimo e prezioso. Allo stesso tempo, di necessità virtù, è anche la forma che indirizza il racconto, che si esprime in pertinente equilibrio tra immagini (tante) e parole (di più) e che fa i propri conti con un piano editoriale che si propone in forma monografica e autorevolmente didattica, completa di consistenti saggi che approfondiscono alcune delle tematiche principali del periodo storico preso in esame. Da cui, eccoci!, i quattro volumi propongono anche consistenti apparati a completamento: ottimi e di pregio. Nello specifico del primo volume La Fotografia. Le origini 1839-1890, un opportuno glossario riporta definizioni sintetiche, ma opportune, sui processi fotografici delle origini, che ne stabiliscono sia il valore sia i princìpi: da Albumina a Stereoscopia. Quindi, una efficace cronologia sintetizza i tempi, dal 1816 al 1899. Opportunamente scomposta tra richiami propri (della fotografia) e riferimenti a Cultura e arti e Storia e società, questa tempistica colloca la materia (disciplina?, arte?, linguaggio?) in un contesto più che legittimo, che ci è oltremodo caro; una volta di più, mai una di troppo: come la fotografia influisce / ha influito sulla vita. Ancora: più che straordinaria la bibliografia conclusiva, con espliciti capitoli di riferimento. Si tratta di un approfondito e dettagliato casellario che può fare gola a molti appassionati (qualcuno ne conosciamo personalmente). Tra titoli introvabili e volumi ancora reperibili è una guida indispensabile per coloro i quali volessero indagare, oppure ascoltare altre voci. Nota finale (senza livore, capriccio, né tignosità): personalmente auguro successo a questo


primo volume, e agli altri tre successivi, della consistente opera La Fotografia. Per quanto spesso annotiamo e sottolineiamo titoli che reputiamo indispensabili nelle librerie personali di coloro i quali si occupano di fotografia con consapevolezza e applicazione, la quantità di segnalazioni non va mai a scapito dei singoli valori. Dunque, ecco qui un altro titolo indispensabile, del quale non fare assolutamente a meno (altri tre titoli in successione).

Allo stesso tempo, auguro al volume anche un successo di “critica”. Per quanto il mio 18392009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita, un altro modo personale e individuale di vedere e raccontare (a ciascuno, il proprio), sia stato adeguatamente ignorato dalla stampa di settore, esorto chi di dovere a non fare altrettanto con La Fotografia. Le origini 1829-1890: che merita lodi incondizionate e segnalazioni appassionate. ❖

Jacob A. Riis: Bandits’s Roost; 1887 [Stampa ai sali d’argento; New York, Museum of the City of New York].

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Per bancarelle di Antonio Bordoni

EMOZIONI INDIVIDUALI

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Non si può seguire tutto quello che si vorrebbe. Le sollecitazioni e possibilità si sono moltiplicate esponenzialmente e, allo stesso momento, l’avvento di nuove tecnologie che avrebbero dovuto semplificare l’esistenza... l’hanno invece complicata. C’è veramente tanto, sicuramente troppo, e le ore della giornata sono rimaste ventiquattro. Che fare? Che dire? Fare e dire quello che si può, al meglio di come si può. Per il resto, dovendo rinunciare a molto (troppo), ci si affidi al Caso, che spesso interviene benevolmente, avvicinandoci e facendoci raggiungere ciò che ci è sfuggito. Spesso, avvincenti perle di saggezza si incontrano là dove non ci aspetteremmo di trovarle. Non sui libri quotati e nelle parole preposte, ma tra le pieghe di qualcosa d’altro, che non ha questo scopo, che non lo avrebbe, quantomeno. Da cui, ennesima scoperta del meraviglioso Caso, ci è capitato tra le mani un antico numero del mensile a fumetti Legs Weaver, del fantastico Sergio Bonelli Editore, venuto a mancare lo scorso ventisei settembre [lo ricordiamo a pagina quattro, Prima di cominciare]. Per chi non lo sapesse, lo precisiamo: in un futuro non meglio precisato (2101 e oltre), dal gennaio 1995 (reale), l’agente speciale Legs è un personaggio nato dalla costola di Nathan Never (fumetto dal giugno 1991), del quale è collega nel servizio di sicurezza Alfa, che ha meritato una strada autonoma e indipendente. Sua amica e collega è May Fraya, protagonista dei passaggi che stiamo per sottolineare. L’albo mensile che abbiamo appena incrociato, per quel Caso che spesso evochiamo in aiuto, è il quattordici, del gennaio 1997 (i primi due anni, Legs Weaver è stato pubblicato a cadenza bimensile), intitolato Ritorno a Waldur. Eccoci qui: Maya Fraya e Rick, l’immancabile vicino di casa, visitano una mostra di arte antica. Siamo di fronte a La ronda dei carcerati, di Vincent Van Gogh (olio su tela di 80x64cm, del 1890, dipinto da

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una incisione di Gustave Doré, attualmente conservato al Museo Puškin, di Mosca): «Incredibile...» / «Che cosa è incredibile, May?» / «Questo quadro, Rick... La ronda dei carcerati di Vincent Van Gogh... Non vedi la sua forza?» / «Francamente no... Sono qui perché mi ci hanno mandato dall’università... Devo fare una relazione su questa mostra di quadri ritrovati nei sotterranei di un vecchio museo... Ma devo dire che non mi sto entusiasmando» / «Perché?» / «Beh... È tutto troppo statico... Dov’è il movimento dei quadri elettronici? Dov’è il suono digitale che ti avvolge? Dove sono tutti i sistemi sensoriali che ti fanno vivere davvero le emozioni che un artista vuole trasmettere? Qui ci sono solo dei colori immobili...».

Da Legs Weaver, numero 14, Ritorno a Waldur [in doppio dettaglio dalle tavole originali], dialogo generazionale davanti a La ronda dei carcerati, di Vincent Van Gogh. Con quanto ne consegue.

Soprattutto nelle grandi città, accanto le proposte commerciali consuete o proiettate in avanti, si possono incontrare manifestazioni particolari, dense di sapore. Tra queste, le bancarelle e i negozi di libri e riviste di “seconda mano” (almeno) offrono testimonianze del passato che possono risultare preziose. Si possono ritrovare titoli andati perduti, da tempo ricercati, ma si possono fare anche scoperte originali: procedendo a caso, e avendo tempo e modo di soffermarsi per sola e semplice curiosità, magari in quel confortevole perdere tempo che può anche essere per se stesso benefico. Ecco qui, una delle nostre riscoperte d’annata.

Più avanti, dopo uno scambio di schermaglie: «Alla tua età ormai dovresti capire che le emozioni sono qualcosa che noi abbiamo dentro, non qualcosa che ci viene imposto dall’esterno! / Quel quadro non ti ha dato una impressione di angoscia e di solitudine? Quegli uomini soli, senza volto, tutti uguali, che girano in tondo, senza possibilità di una meta... non ti hanno trasmesso qualcosa?». Conclusione: «Tu e gli altri della tua età siete abituati ad avere tutto su un piatto d’argento... Non avete neppure voglia di analizzare le vostre stesse emozioni... Preferite quelle artificiali create dalle macchine, che vi guidano in un percorso determinato, invece di quelle che può creare un artista con la sua opera... Emozioni diverse in ognuno di noi». Punto e basta. A ciascuno, le proprie riflessioni (ed emozioni). ❖



Cinema Retrospettiva di Antonio Bordoni

CANNES CINÉMA

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Acquisiti da tempo i diritti della autorevole, celebre e celebrata testata francese Cahiers du cinéma (una autentica leggenda), l’editore inglese Phaidon sta mettendo a frutto il patrimonio fotografico conservato negli archivi del prestigioso periodico, che tanto ha fatto e detto sul cinema internazionale. In stretti termini temporali, la più recente monografia nata dalla selezione storica è la brillante raccolta Cannes Cinéma, pubblicata la scorsa primavera, in coincidenza temporale con il Film Festival della rinomata località della Costa Azzurra. Impaginata alla maniera dei rotocalchi dei decenni scorsi, quelli che hanno sancito l’epopea del Festival, anche oltre la stretta osservanza dei suoi crediti ufficiali (film in proiezione, valutazione di giuria e premi conseguenti), Cannes Cinéma si offre e propone come storia visuale (illustrata) del più rinomato e seguìto festival internazionale del cinema. Edificata sulle e con le fotografie della genìa Traverso, la famiglia di fotografi che, generazione dopo generazione, hanno “coperto” la mondanità della manifestazione, la monografia scandisce i tempi del Festival, dando soprattutto peso e consistenza a quel dietro-le-quinte che

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Cannes Cinéma, fotografie della famiglia Traverso; testi di Serge Toubiana; Phaidon - Cahiers du cinéma, 2011; 500 fotografie in bianconero; 336 pagine 23x28cm; 35,00 euro.


Retrospettiva ne ha sempre caratterizzato l’indiscutibile anima. Oltre cinquecento fotografie, in rigoroso e inviolabile bianconero (d’annata? di sempre?), in armoniosa

composizione quadrata (Rolleiflex!), celebrano una storia straordinaria, raccontata da quattro generazioni di affermati fotografi (appunto, i Traverso), che hanno sempre avuto acParty per La dolce vita, di Federico Fellini; 1960.

L’attore Burt Lancaster, al Carlton Hôtel; 1963.

cesso esclusivo ai momenti di complemento, ma discriminanti, dei giorni cinematografici di Cannes: mondanità a piene mani. Va rilevato e sottolineato: dagli esordi del Festival, nel 1939, in un tempo nel quale il mondo stava per affrontare ben altri propri conti, i Traverso si sono costruiti una reputazione unica a Cannes, conquistando il diritto ad accedere ai luoghi privati dei protagonisti. La prima sezione del libro evidenzia in modo specifico questa intimità, mostrando volti famosi nelle proprie stanze di albergo, al riposo sulla spiaggia o in posa su yacht privati. Mentre Henri Traverso si gustava cocktail nella stanza della affascinante Grace Kelly (non ancora principessa di Monaco), Gilles Traverso è ancora oggi uno dei soli otto fotografi ammessi sul tappeto rosso, posizione privilegiata che assicura l’aggiornamento continuo dell’archivio di famiglia, che già comprende oltre centosettantamila negativi del solo Festival. A seguire, pagina dopo pagina, organizzate cronologicamente, le avvincenti immagini di Cannes Cinéma ripercorrono la storia del Festival, dalla sua atmosfera provinciale e rilassata dei tardi anni Quaranta alla sua crescita nel corso degli anni Cinquanta, quando la Costa Azzurra iniziò ad attirare star di livello internazionale, fino alla sua affermazione mondana (e cinematografica) definitiva degli ultimi anni. L’introduzione e i testi esplicativi di Serge Toubiana (caporedattore dei Cahiers du cinéma dal 1973 al 1991, attuale direttore della Cinémathèque Françai-


Retrospettiva


Retrospettiva

Gli attori Elizabeth Taylor e Mike Todd; 1957.

Il regista Marco Ferreri e l’attore Michel Piccoli; 1973.

se), che accompagnano le immagini, rendono fresca e curiosa la monografia, arricchita da gradevoli aneddoti e pettegolezzi (d’annata), derivati da didascalie del settimanale Paris Match. Dal punto di vista fotograficamente filologico, quello che compone i tratti e le tessere della Storia della fotografia, l’attuale e convincente Cannes Cinéma raccoglie per la prima volta un consistente corpus di immagini dei Traverso-fotografi, che abitualmente non vendono scatti singoli

ai quotidiani, ma pubblicano soprattutto servizi fotografici che fanno emergere la vena artistica della famiglia. Ribadiamo e quantifichiamo: con umiltà e costanza, i Traverso sono stati addetti ai lavori del Festival di Cannes dalle origini, e le loro fotografie costituiscono un archivio eccezionale, che racconta non solo una storia particolare dei giorni pubblici della manifestazione, ma finiscono per esprimere l’anima stessa del cinema nel proprio complesso. ❖

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Sguardi su

di Pino Bertelli (Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 8 volte aprile 2011)

HELMUT NEWTON

P

Prologo in forma di indignazione. Il senso della fotografia per la bellezza è una sorgente inesauribile di verità: nell’amore, nel bene, nella giustizia, nel bello di cui i grandi fotografi sono interpreti c’è una domanda di eternità e un’indignazione contro gli espropriatori delle democrazie che merita ricevere una risposta. Anche con la fotografia possiamo dire che «l’interesse generale deve prevalere sull’interesse particolare, l’equa distribuzione delle ricchezze prodotte dal mondo del lavoro deve prevalere sul potere del denaro» (Stéphane Hessel). La sola fotografia buona è quella che possiamo vedere due volte senza bruciarla! A incendiare la miseria della fotografia o la fotografia della miseria bastano un Lazarillo de Tormes e una torcia. In ogni fotografo alberga un’anima di assassino o di un demente; gli eresiarchi di ogni eresia sono i soli per i quali conta solo ciò che non si è fatto o semplicemente abbattuto. Tra la Genesi delle convenienze dell’arte e l’Apocalisse dello stupore regna l’impostura e la falsificazione: bisognerebbe essere fuori dal mondo come un angelo, o come un idiota, per credere che la fotografia (come qualunque forma d’arte) mercantile (o insegnata) non produca schiere di imbecilli che andrebbero soppressi per il disgusto e la vergogna che ci fanno provare quando trasformano il dolore degli altri in reliquiario sulla rassegnazione del divenire.

SULLA FOTOGRAFIA DELL’INDIGNAZIONE Non c’è decenza nella fotografia (come negli altri dispositivi di comunicazione seriale), solo genuflessione e servitù volontaria per entrare nei libri paga di qualche mercante e ascendere al cielo del consenso o del successo nel bordello senza muri della società dello spettacolo. Sognare un’impresa di demolizioni in grande stile,

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che non risparmiasse neppure un fotografo (artista o politico) e le sue cialtronerie, non è solo auspicabile, è una richiesta di bellezza e resistenza sociale. Occorre un’immensa umiltà per imparare a ben vivere come a ben morire (Jules Bonnot, nostro maestro in tutto), mentre la polizia lo ammazzava

l’arte, della politica e di loro stessi. Prima di condividere i grandi meriti degli imbecilli della politica (specie di sinistra), o degli artisti visitati dalla camicia di forza della merce, preferiamo di gran lunga stare accanto a un ritardato mentale e ridere delle loro menzogne e tradimenti. Occorre un

«Continuiamo a invocare “una vera e propria insurrezione pacifica contro i mass media, che ai nostri giovani, come unico orizzonte, propongono il consumismo di massa, il disprezzo dei più deboli e della cultura, l’amnesia generalizzata e la competizione di tutti contro tutti”. [...] A quelli e a quelle che faranno il XXI secolo diciamo con affetto: “Creare è resistere. Resistere è creare”» Stéphane Hessel, da Indignatevi! (novantatré anni, ex partigiano della Resistenza francese, uno degli estensori della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, nel 1948) nell’ora del tè, senza un filo di regalità o nobiltà d’animo, solo perché aveva saccheggiato un certo numero di banche e fatto fuori la benevolenza della burocrazia... rapinare una banca, non è ignobile quanto fondarla, diceva; solo ciò che invita alla rivolta e al collasso delle istituzioni conniventi con il crimine organizzato merita essere ascoltato. «Ciò che vi è di più arcaico è la rivolta, vale a dire la più vitale delle nostre reazioni. [...] Vi è del ciarlatano in chiunque trionfi in qualsiasi campo» (Emil M. Cioran). Pietà per coloro che hanno esaurito le proprie riserve di disprezzo e non sanno più che sentimento provare nei confronti del-

minimo di intelligenza o ironia per capire che il fucile, l’aspersorio e l’arte sono l’ultimo rifugio delle canaglie che fanno professione di pensare. Il confine tra il cretinismo e il genio è labile... solo grazie alla sofferenza, e solo grazie ad essa, la smettiamo di essere al servizio in permanenza della demenza istituzionalizzata. Nella società consumerista, i miti non possono essere “toccati”, disvelati o spodestati dai loro altari. Gli storici, i galleristi, i mercanti d’arte e gli imbecilli dorati che fanno fotografia difendono le proprie convenienze con i denti e con la polizia, se occorre. Per evitare ogni sorta di incomprensione sulla parola “imbecille”, an-

diamo alla radice etimologica: l’imbecille è colui che va a spasso senza il “baculo”, il bastone che snida i serpenti tra le foglie secche del sentiero; quindi, per analogia, di sprovveduto che si incammina nei percorsi intellettuali più ardui delle proprie capacità, senza la piccozza della conoscenza o la corda del pudore. Nulla eguaglia l’imbecille nell’oblio di sé. Non avendo rinunciato alla santità del successo, l’imbecille è consustanziale con l’immagine sacrale del Cristo (falsa come tutto ciò che viene adorato come simulacro) e si resta stupiti che artisti di tanta elevatezza estetica siano potuti morire. Uno di questi semidei della fotografia dello spettacolo è Helmut Newton. Vedo già i bravacci della fotografia che portano la legna per il rogo... destinato agli eresiarchi di ogni epoca. Tuttavia, finché vi sarà ancora un solo “dio” da adorare ciecamente da qualche parte della Terra, il compito dei distruttori di oracoli non sarà finito. Helmut Newton ci piace. È uno di quei fotografi che non dice niente e tutti lo comprendono. Lo dipingono audace, controcorrente, provocatore, scandaloso, personaggio controverso... vero niente. Il fotografo tedesco è stato una vera e propria star della comunicazione del Novecento, questo è vero. Ha ricevuto premi e osanna da critica e pubblico; editori, riviste, musei di tutto il pianeta se lo sono contesi a colpi di dollari... e la fotografia? La fotografia qui non c’entra... la fotografia autentica, anche quando figura la moda (che è una sorta di paravento della civiltà dello spettacolo) è da un altra parte. Lo statuto mediale brilla di mediocrità infinite a fa del banale (truccato ad arte) la rappresentazione di sé divinizzata. Il mercato è l’altare dove tutto finisce e dove tutto riluce di bassezze indicibili. Lo spettacolo è la principale produzione della socie-


Sguardi su tà moderna, e il dominio spettacolare detiene tutti i mezzi di espressione per falsificare la percezione dei propri sudditi. «Lo spettacolo organizza magistralmente l’ignoranza di ciò che succede e, subito dopo, l’oblio di ciò che siamo riusciti ugualmente a sapere» (Guy Debord). La fotografia dello spettacolo è un’illusione che oscura tutti i disincanti della disobbedienza: un solo attimo di stupore che profuma di gelsomino e di rivolte del pane include il crollo delle caste, non risparmia nulla dell’ordinamento spettacolare e stabilisce d’improvviso la fine dell’arroganza. Il fulcro di ogni resistenza è l’indignazione. La capacità di indignarsi è un sentimento di repulsione contro tutte le forme di autoritarismo, perché ogni uomo o donna a diritto di cittadinanza nel mondo intero.

SULLA FOTOGRAFIA DELLO SPETTACOLO La fotografia possiede già l’immaginario sovversivo di un tempo nel quale le barricate degli insorti figuravano la “camera chiara” del desiderio di vivere tra liberi e uguali; adesso, si tratta di possedere la coscienza di vivere realmente l’immaginario liberato di uomini e donne in rivolta contro ogni forma di oscurantismo e privazione della libertà. I filosofi hanno interpretato il mondo, i fotografi (autentici) lo hanno reso umano, più umano. Un’annotazione necessaria a quanti si avvicinano alla fotografia per ascendere ai fasti del successo riconosciuto da cani e porci della storiografia dell’immagine patinata (anche quelli impropri o gonfiati vanno bene). «La disinformazione sarebbe il cattivo uso della verità. Chi la diffonde è colpevole, e chi ci crede, imbecille» (Guy Debord). Helmut Newton (Neustädter), il fotografo del mondano d’autore, nasce in una famiglia della buona borghesia ebraica, nel 1920, a Berlino. Lavora con la fotografa Else Simon (Yva) e apprende che la fotografia può essere anche altro dall’iconografia della strada che praticano poeti dello straor-

dinario, come Heinrich Zille o August Sander (per la loro testardaggine ad approfondire un’arte libertaria dell’immagine sociale furono costretti alla fame). Con l’avvento delle leggi razziali, Helmut Newton lascia la Germania, nel 1938. Si imbarca a Trieste sul piroscafo Il Conte rosso, e si rifugia a Singapore. Nella Seconda guerra mondiale si arruola nell’esercito australiano. Nel 1948, sposa la fotografa June Browne (Alice Springs) e inizia a lavorare nella moda e per riviste, tra le quali Playboy. Negli anni Sessanta, si stabilisce a Parigi. Le sue fotografie appaiono su importanti testate di moda (Vogue, Harper’s Bazaar, Elle, GQ, Vanity Fair, Max, Marie Claire) e sanciscono la sua fama. Nel 1970, ha un attacco di cuore, tuttavia continua la sua saccente produzione: i sarti acclamati in tutto il mondo (nei dividendi delle Borse; Chanel, Gianni Versace, Yves Saint Laurent, Dolce&Gabbana), i personaggi della borghesia internazionale che giocano a fare le belle statuine nei cessi del potere e anche i proletari che vogliono le mutande firmate decretano la sua celebrazione in bella uniformità. Il mito nasce, la fotografia muore! Helmut Newton vive tra Montecarlo e Los Angeles, e qui muore, nel 2004, per un infarto mentre è al volante della sua Cadillac, sul Sunset Boulevard, che Billy Wilder ha reso indimenticabile nel film Viale del tramonto (in originale, Sunset Boulevard, del 1950). Le opere di Helmut Newton sono presenti in tutte le più grandi collezioni di fotografia del mondo. L’eufemismo è il coprifuoco degli imbecilli colti. Del fotografo che si era rifugiato nella prolissità (come altri) e aveva raggiunto l’estasi, sì, ma ai bordi di una piscina dove sguazzano donne improbabili e camerieri di gomma. Mai fotografo si è stimato tanto... è così che si creano i destini. Se gli angeli si mettessero a fotografare, tranne quelli ribelli, sarebbero invedibili! L’intera opera di Helmut Newton contiene il riflesso opaco dell’edonismo etico... quello, per intender-

ci, dei filosofi libertini (autentici aristocratici o sovversivi dell’ordine costituito), che facevano della bellezza convulsiva il principio di tutte le libertà (l’abate di campagna Jean Meslier, Charles Fourier e il marchese de Sade, per ricordare qualcuno che se ne intendeva di sovversione dei costumi). Sedurre con la menzogna è la meta dei demiurghi del calcolo degli eccessi e ciò che importa a questi esteti del mercimonio che conta (che non elude nemmeno calendari per camionisti o mense aziendali dei servizi segreti) non è tanto sovvertire i codici e i costumi delle ideologie/dottrine correnti, quanto perpetuare i princìpi affaristici della cultura da boudoir. Helmut Newton diceva «Se c’è qualcosa che odio, è sicuramente il buon gusto: per me è una parolaccia». La sua cartografia fotografica contiene questo concetto; infatti, il sublime fotografico è da un’altra parte, nell’opera irripetibile di E.J. Bellocq, per esempio. La figurazione delle puttane di Bellocq rivela la singolarità e l’unicità dei soggetti trattati per l’amorevolezza, la complicità, la condivisione con la storia che il fotografo coglie in ogni volto, ogni corpo, ogni postura destinata al volo dell’anima bella. «Il sublime fa lega col piacere e col dolore, intesi sia come distensione e rilassamento delle fibre, sia come tensione e contrazione dei nervi» (Michel Onfray). Nella scrittura fotografica di Helmut Newton non c’è traccia del piacere estremo, né del dolore vissuto; però, c’è l’immaginale modellato alle istanze o richieste del proprio tempo, quelle che fanno dello spettacolo l’apologia dell’effimero, il linguaggio alienato della merce. Ogni opera d’arte che si richiama alla sacralità del peccato permesso o tollerato è un appello alla schiavitù che riempie di gioia i mercanti del tempio. Non ci sono fotografie stupide, ci sono solo fotografi imbecilli. Ci rendiamo conto che la nostra critica radicale su un “intoccabile” della fotografia possa suscitare disgusti comprensibili e rim-

proveri maldestri. Quando ci capita di leggere che Helmut Newton è «un ironico amante del glamour, capace di coniugare in modo eccelso e drammatico [?!], sarcastico e celebrativo, la moda, il nudo, i feticci del nostro tempo [...] Grande fotografo -molto più grande di quanto si possa pensare- grande ritrattista, grande interprete della moda, corteggiato da stilisti come da modelle, da attori e produttori» (Helmut Newton; Contrasto Due, 2004) siamo assaliti da qualcosa di strano e ci invade il raffinato sospetto che non tutti hanno la ventura di essere disgustati dalla mancanza del meraviglioso in Helmut Newton, come in tutta la fotografia dello spettacolo, e occorre un’insolente inclinazione alla collera per fronteggiare confessioni infauste, di natura messianica o corporativa. All’ufficio delle lusinghe, preferiamo gli anatemi o i delitti d’indiscrezione di giganti della fotografia estraniante, come Lewis Carroll, Tina Modotti o le immagini antropologiche/libertarie di Pietro Gori nella Terra del fuoco (forse). La sola fotografia buona è quella che sovverte l’ordine delle cose e riattualizza il tempo e lo spazio della vita quotidiana. Esercizi di decomposizione nella fotografia di Helmut Newton. Uno. La tecnica del sacro cuore. Il linguaggio fotografico di Helmut Newton è sapienziale; attraverso la tecnica del sacro cuore, cioè la fabbricazione di forme accattivanti, i bianchi e i neri “sparati”, le posture spregiudicate dei modelli (si fa per dire), accostate sovente a luoghi contrapposti a tanta bellezza beatificata, diventano caricature di quanto l’epoca spettacolare produce. Detto meglio: l’utilitarismo giocoso che Helmut Newton sparge nelle sue immagini cela malamente le astuzie della fabbricazione e, suo malgrado, lascia intendere una morale subordinata a interessi estranei all’arte fotografica (il libretto degli assegni). È accettabile tutto ciò che procura soddisfazione allo sguardo, espulso tutto quanto genera sofferenza o indignazione. La preminenza dell’istante è

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Sguardi su subordinata alla misura condizionata del consenso. Il progetto è quello di un impudore falso, disseminato a beneficio esclusivo della fotografia divenuta merce e basta. Gli ambienti, le luci notturne, gli edifici addossati ai modelli di Helmut Newton, ripresi con maestria e capacità tecnica indiscutibili, restano però scenografie di taglio “modernista”, legate sempre alla simulazione dello sguardo trasgressivo e al coinvolgimento dei lettori affogati in tanta bellezza magnificata, che nulla aggiunge a un bel lampadario, una strada di notte o un cane che annusa il corpo nudo di una modella al sole. Quella di Helmut Newton è una fotografia della benedizione di culi mai visti, che cerca il clamoroso in forme dove la dismisura e la cattività sono farse di un fanciullo che gioca a fare il grande. Comunque lo si voglia leggere, il suo casellario fotografico contiene le virtù del contabile, e nella trasfigurazione dei corpi rimanda a un’ebbrezza o impotenza che priva l’artista autentico di ridere di sé. La “purezza” estetica è sempre l’ombra della forca o dell’inganno, perché è compatibile con le chiacchiere. La fotografia dello spettacolo esiste fintantoché dura l’applauso dei mercanti, come la fotografia sovversiva di poeti che fecero l’impresa, finché il plotone di esecuzione non finisce il proprio lavoro. Poi, ogni cosa è recuperata dal potere e destinata alla filatelia, ai fumetti o imbalsamata nei musei. Due. L’erotismo all’acqua di rose. C’è da ridere dell’erotismo all’acqua di rose di Helmut Newton. Nulla è così falso e ampolloso dell’erotismo accattivante di questo voyeur tutto chiesa e padrone. I sarti quotati in Borsa (c’è chi li chiama stilisti) gli debbono molto dei loro successi planetari. Helmut Newton li ha accontentati tutti. I nudi di donna, specie in bianconero, non vogliamo ricordare nemmeno i nomi, tanto ci sono indifferenti, sembrano usciti da un bordello cinematografico o da qualche villa o albergo sulla Costa Azzurra. E si vede che sono oggetti da ve-

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stire, s’intende con abiti griffati, sovente non sanno nemmeno fare le puttane dabbene: sono interpreti del sensazionale, del glamour (fascino), figurine in una vetrina di moda, bellezza, celebrità e tutto quanto fa tendenza (?!)... tendenza di che? La glamour generation non è altro che un’ondata di disperati che fanno dell’apologia dell’apparenza il debutto in società... una messe di rincoglioniti da film giovanilisti, pubblicità, televisione, grandi fratelli e isole dei famosi. Ovvero, una marea di imbecilli da buttare nella merda spettacolare nella quale sguazzano agonizzanti e infelici. Coglioni!, vi siete impiccati alle mutande di Armani e nemmeno vi siete accorti di essere parte di un gioco mercantile che è parte dell’impero dello spettacolo... nemmeno vi accorgete -coglioni vestiti Dolce&Gabbana- che ai quattro venti della Terra le nuove generazioni in rivolta reclamano, con tutti i mezzi necessari, la fine della discriminazione e la felicità per gli ultimi (anche a difesa della vostra inguaribile stupidità). Per deplorare la visione erotica di Helmut Newton non importa resuscitare gli immortali della fotografia libertaria, libertina o autori anonimi della fotografia pornografica al tempo del dagherrotipo, specialmente. Le fotoscritture sensuali, ironiche, blasfeme di Betty Page, una pin-up, è vero, ma così anomala da ridicolizzare anche il ruolo che interpreta, sono il controcanto linguistico più importante e meno studiato che fa impallidire le fotoscritture di Helmut Newton. Il lettore più acuto dell’iconografia erotica di Betty Page è Maurizio Rebuzzini, il quale, a giusta ragione, nel sorriso malizioso e nelle splendide gambe fasciate con le calze nere di Betty Page non vede nulla di scabroso. Gli storici della fotografia hanno voluto ignorare o non sono riusciti a comprendere che il suo corpo, al di là di ciò che figurava, conteneva il ridestarsi dell’emotività, della fantasia e dell’attività onirica giovanile. Betty Page

e Paula Klaw -scrive Maurizio Rebuzzini da qualche parte- sono «due eccezionali interpreti di un mondo e un’epoca (oltre che una intenzione esplicita), che non si trovano in alcuna Storia della fotografia. Anche così va il mondo: anche così si protegge (?) la fotografia accademica. Anzi, spesso è vero l’esatto contrario». Le fotografie di Betty Page, al contrario di quelle di Helmut Newton, lavorano sull’imperfezione, sul consueto, sull’allegrezza del proibito. Le fotografie di Betty Page non sono per così dire “raffinate” o ben composte... anzi sono abbastanza primitive... un letto, un divano, qualche tendaggio, una poltrona e niente più... sono lo sfondo... poi c’è lei, piccola, un po’ in carne, gambe forti, sorriso sfacciato, ludico, da ragazza di campagna che si spoglia per il suo uomo o per la sua donna, amabilmente. L’erotismo androgino di Betty Page va oltre il moralismo dell’America puritana degli anni Cinquanta e non è un caso che l’Fbi aprì un fascicolo su questa gioiosa interprete della visione erotica/dionisiaca per famiglie. A dispetto di tutto, l’iconologia di Betty Page ha attraversato le finzioni e le rappresentazioni della vita quotidiana e il suo corpo/icona di carta è diventato sogno o messaggero della bianca terra dell’immaginale che ancora turba la superficialità e le contraddizioni della fotografia dominante. Tre. Il ritratto ignudo. La ritrattistica ignuda di Helmut Newton è architettata sulla mascheratura. Visioni lesbiche, pistole in bocca, baci allo specchio, falsi amplessi, ninfette acerbe, ragazzi falsamente feroci, dive del cinema che si abbandonano alla macchina fotografica in maniera volgare (ma è un falso), labbra dipinte, gambe aperte/divaricate, seni strizzati, autoritratti edonistici, ma senza grazia: sono l’armamentario estetico sul quale Helmut Newton ha eretto la propria fortuna... sotto un certo taglio anche meritata. Tuttavia, il suo splendente bestiario denuncia la mancanza di immaginazione o fantasia e ciò che resta sulle ter-

razze dei grattacieli, ai bordi delle piscine o sui tavoli dei bar sono soltanto i santini di un fotografo intelligente, che ha saputo cosa vuole il mondo e lo ha portato nel suo teatrino privato. Nel firmamento immaginale dei grandi poeti della storiografia fotografica, anche maledetti (Diane Arbus, per tutti), si mostra che l’angelo necessario della fotografia è al contempo il corpo dell’immagine e l’anima di qualcosa che abita il senso sotterraneo delle cose. Si tratta di percepire e costruire immagini con i significati archetipali dell’esistenza, interpretare i sogni e non distruggere l’immaginazione in mitografie sì estranianti, ma che appartengono alle categorie imprigionate nell’estetismo o nella coloritura che prevaricano i destini e dunque imprigionano l’anima nel fantasma dell’arte. Aderire alla fotografia che vale significa non tradurre in immagini significati che non ci sono, perché la fotografia non è un simbolo, né un’allegoria... è una richiesta morale o amorale di fronte allo spettacolo indegno che mercifica tutto, anche il canto degli usignoli dalle parti di Chernobyl. Conoscere la scrittura fantastica della fotografia vuol dire conoscere a fondo se stessi. L’epifania amorosa che ne consegue è un’interrogazione del presente che cade a pezzi o è ulcerato dalla bruttezza dei poteri forti. La fotografia non è solo la rappresentazione dei nostri sogni, è anche, e soprattutto!, l’immaginazione che disvela la realtà e nella sua indignazione diventa storia. La fotografia che conta è quella che rende la vergogna ancora più vergognosa. Lo scoramento avviene quando vediamo la cultura dell’ottimismo (una mania da ebeti certificati) che invalida tutti i domani della fotografia come arte di ribaltamento dell’ingenuità. Il bisogno di servire dispensa dal bisogno di disobbedire. La fotografia autentica soffia dove vuole... da nessuna parte è l’arte, se al centro della propria espressione non mette la verità e la felicità dell’intera umanità. ❖




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