Wolfgang Tillmans NUOVO MONDO
Edward Weston RETROSPETTIVA A MODENA
VISIONE STRAORDINARIA CELEBRATING THE NEGATIVE
Mensile, 6,50 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano
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Abbonamento 2012 (nuovo o rinnovo) in omaggio 1839-2009
Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita M A U R I Z I O
R E B U Z Z I N I
1839-2009 Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita
Come dire, dal dagherrotipo all’acquisizione digitale di immagini. E consecuzioni
INTRODUZIONE
DI
GIULIANA SCIMÉ
F O T O G R A P H I A L I B R I
prima di cominciare VOGUE, CENTOVENTI ANNI. Il numero di Vogue dello scorso settembre ha celebrato i centoventi anni della prestigiosa edizione, avviata con il primo numero, del 17 dicembre 1892. Lo Special Anniversary Issues 120 Years of Style è stato confezionato con una consistente serie di retrovisioni che scandiscono i tempi e modi del lungo e avvincente percorso: dai fotografi che hanno illustrato le sue pagine alle modelle che hanno segnato i tempi della moda, spesso proiettandosi nel costume sociale (soprattutto negli anni più recenti), agli stili che si sono susseguiti nei decenni. Se così volessimo anche vederla, comunque sia, si tratta di una rievocazione che ha sostanziosi punti in comune con lo scorrere del tempo e della vita, per l’appunto osservati (tempo e vita) da un punto di vista mirato e personale.
Sappiamo riconoscere l’amore... quando lo incontriamo. Antonio Bordoni; su questo numero, a pagina 62 La fotografia testimonia il dovere di disobbedienza, e quando è grande imprime nella storia la coscienza sociale di un’epoca. Pino Bertelli; su questo numero, a pagina 64 Tutte le stampe fotografiche prodotte in tempi successivi la scomparsa dell’autore sono una rielaborazione a partire da negativi originali. Sono una interpretazione ideale da parte dello stampatore di fiducia. Maurizio Rebuzzini; su questo numero, a pagina 46
Copertina Richiamo doppio, in equilibrio di intenzioni... esplicite. Anzitutto, l’immagine è ripresa e riproposta dalla avvincente monografia Celebrating the Negative, di John Loengard, della quale riferiamo da pagina 40. Allo stesso tempo e momento, viene evocata la fotografia di Edward Weston, appunto con il negativo grande formato del celeberrimo Pepper #35p, del 1930, in occasione della convincente retrospettiva allestita a Modena, che poi replicherà a Foligno, in provincia di Perugia, che commentiamo da pagina 26
3 Altri tempi (fotografici) Da un annuncio pubblicitario Lamperti & Garbagnati della seconda metà degli anni Venti e prima metà degli anni Trenta: Industria di fotografia generale; stabilimento proprio istituito nell’anno 1883 per la costruzione di apparecchi per arti fotomeccaniche Il fascicolo celebrativo è editorialmente sostanzioso: novecentosedici pagine, che alternano tra loro articoli di pertinente e palpabile attualità (non avrebbe potuto essere altrimenti) ad articoli che, come appena rilevato, ripercorrono il proprio passato, analizzandolo e raccontandolo. Personalmente, siamo distanti dall’effimero che la testata eleva ad assoluto, ma non possiamo ignorare come tanta fotografia dipenda proprio dalla moda. Ovverosia, siamo consapevoli di come e quanto la Storia della Fotografia comprenda anche autori che si sono espressi in relazione alla moda e immagini che l’hanno supportata. Una volta esauriti i compiti istituzionali di partenza, alcune di queste immagini hanno assunto valori indipendenti dagli incarichi originari, per affermarsi in proprio. E in questo percorso, Vogue è stato sicuramente un veicolo primario di tanta fotografia che oggi conteggiamo d’autore.
7 Editoriale L’anima della fotografia non dipende dagli strumenti della sua esecuzione, ma dal soffio vitale dell’autore. Affermare che le attuali tecnologie fotografiche sarebbero prive di anima significa invertire i termini del discorso, senza conoscere ciò di cui si sta effettivamente parlando
8 Neil A. Armstrong Il venticinque agosto, all’età di ottantadue anni, è mancato l’astronauta statunitense che è entrato nella Storia: primo Uomo sulla Luna, il 21 luglio 1969
12 Notizie Attrezzature, vicende e altre segnalazioni
16 Attraversamenti Miscellanea -non casellario- di attori che hanno incrociato la fotografia nel cinema. Con illustrazioni a complemento Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
OTTOBRE 2012
R , RIFLESSIONI IFLESSIONI, OSSERVAZIONI E COMMENTI OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA SULLA FOTOGRAFIA
22 I buoni sentimenti Ardito parallelo tra il clima di un reality televisivo statunitense (Missione restauro, con lo staff di Rick Dale, da Las Vegas), le illustrazioni di Norman Rockwell e le fotografie di O. Winston Link. Un mondo ideale
26 Retrospettiva Weston Fino al nove dicembre, a Modena, è in cartellone una imponente mostra antologica di Edward Weston, successivamente replicata a Foligno, in provincia di Perugia, dal successivo sedici dicembre
Anno XIX - numero 185 - 6,50 euro DIRETTORE
RESPONSABILE
Maurizio Rebuzzini
IMPAGINAZIONE Maria Marasciuolo
REDAZIONE Angelo Galantini
FOTOGRAFIE Rouge
SEGRETERIA Maddalena Fasoli
HANNO
COLLABORATO
Anche rispetto sue precedenti espressività, il più recente progetto fotografico del tedesco Wolfgang Tillmans si è allargato ed esteso. Neue Welt (Nuovo mondo) è una serie che si allunga sul mondo circostante, con dense esplorazioni verso geografie distanti e lontane di Angelo Galantini
Pino Bertelli Antonio Bordoni Chiara Lualdi Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Wolfgang Tillmans
40 Al negativo!
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34 Questa è la vita?
Torniamo a occuparci di una monografia irrinunciabile, che raccoglie una serie di negativi che appartengono alla Storia della Fotografia. Celebrating the Negative è un punto di vista di John Loengard, che ha composto un fantastico casellario. Emozionante e coinvolgente di Maurizio Rebuzzini
48 Ciò che cambia Anche con questa presentazione di illustrazioni che scandiscono un certo cambiamento ambientale delle città e campagne tedesche del secondo dopoguerra sollecitiamo una applicazione della fotografia: come documento del Tempo e sua testimonianza
54 Cinque autori La galleria online di fotografia d’autore Aristocratic presenta cinque espressioni contemporanee italiane
58 Patrimonio da conoscere A Milano, in uno spazio inconsueto, è allestita la mostra La biodiversità delle praterie alpine nelle Alpi occidentali
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Rivista associata a TIPA
61 E Contarex sia Il libro Contarex, di Pierpaolo Ghisetti e Marco Cavina di Antonio Bordoni
64 Chiara Samugheo Sguardo su una interprete della fotografia dell’emozione di Pino Bertelli
www.tipa.com
editoriale A
nche se mi tengo distante dalle diatribe relative alle nuove tecnologie fotografiche, per le quali non assumo mai posizioni assolute e intransigenti, non posso non considerare quanto e come si siano evoluti (?) i termini del discorso. In origine, l’acquisizione digitale di immagini è stata mal considerata da coloro i quali le hanno imputato una sostanziale scarsa qualità, in confronto diretto con i parametri raggiunti dalla pellicola fotosensibile, in ogni propria personalità: dal bianconero al colore, negativo e invertibile. Quindi, quando la qualità formale della fotografia digitale è approdata a valori assolutamente coincidenti, l’ago della bilancia si è spostato verso una presunta mancanza/povertà di contenuti. Neppure a dirlo, le argomentazioni non hanno espresso nulla di originale, ma -involontariamente e senza la coscienza di farlo- hanno ripreso termini con i quali, nel 1888, certo “purismo” contestò la semplificazione fotografica messa in atto dalla Box Kodak: la prima delle sostanziose svolte tecnologiche senza ritorno del lungo cammino della tecnica fotografica. Anche allora, contenuti attribuiti alla fotografia originaria si contrapposero alla presunta mancanza di sostanza della semplificazione della pellicola flessibile e dell’apparecchio portatile. Inutile riprendere ancora il peso e senso di quella antica rivoluzione, con quanto/tanto ha comportato anche sul linguaggio espressivo della fotografia. Invece, e in allineamento, è doveroso sottolineare che anche allora, come qualcuno afferma ancora oggi, si parlò di mancanza di “anima”: come se questo soffio vitale che certamente definisce l’emozione e lo spessore della Fotografia dipenda dalla sola intermediazione dello strumento tecnico, piuttosto che dall’azione e sentimento dell’autore-interprete. Magistrale forma espressiva, la Fotografia nasce sempre e comunque dal respiro di chi la realizza: in ripetizione, d’obbligo, conta sempre perché la si realizza, senza derivare dal come la si realizza. Certo, lo strumento fotografico è spesso discriminante, e la sua costruzione ha scandito tempi e modi di infinite applicazioni. Ma lo strumento in sé non ha mai condizionato lo spirito fondante e fondamentale della Fotografia. Affermare che la fotografia digitale sarebbe priva di anima significa mortificare l’impegno e il respiro di straordinari autori contemporanei, che -senza alcuna soluzione di continuità- agiscono negli infiniti intrecci della fotografia dei nostri tempi, arrivando alle coscienze di ciascuno di noi: dal fotogiornalismo alla creatività, dalla fotografia del vero a ogni altra applicazione possibile. In sovramercato, se il ragionamento si sposta verso la fotografia non professionale, raggiungendo addirittura la fotoricordo, non possiamo non tenere conto di come e quanto la tecnologia fotografica non possa non esprimersi secondo parametri dei propri tempi. Conclusione: se certa fotografia è senza anima, non lo è a causa degli strumenti, ma per assenza di temperamento dell’autore. Maurizio Rebuzzini
In ogni momento, in ogni epoca, gli strumenti della fotografia sono stati coerenti con i propri tempi. In esemplificazione, visualizziamo con due illustrazioni riprese da questo stesso numero della rivista: rispettivamente, dal film jugoslavo Umetni raj, di Karpo Acimovic-Godina, che racconta una vicenda di inizio Novecento (pagina 19), e dalla segnalazione di novità tecnico-commerciali (Nikon D600, a pagina 12). In ogni momento, in ogni epoca, l’anima della Fotografia dipende solo e soltanto dall’autore, non dalla necessaria mediazione del proprio apparecchio fotografico.
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Lo ricordo bene di Maurizio Rebuzzini
NEIL A. ARMSTRONG
M
Mancato lo scorso venticinque agosto, a ottantadue anni, lo statunitense Neil Alden Armstrong, sempre identificato come Neil A. Armstrong, è prepotentemente entrato nella Storia, là dove occupa un posto assoluto e di rilievo, unico e irripetibile: alle 2,56 del 21 luglio 1969 (ora di New York, per convenzione e codice l’ufficiale delle missioni spaziali americane), fu il primo uomo a mettere piede sulla Luna, esattamente sette ore dopo l’allunaggio del modulo Eagle, alle 22,56 del venti luglio (4,56 del ventuno, per l’Italia),
Il 21 luglio 1969, alle 2,56 (8,56, in l’Italia), Neil A. Armstrong pose piede sulla superficie lunare: primo Uomo sulla Luna. Fotografò la propria impronta, iniziando così una serie di istantanee che hanno documentato il lato umano e aneddotico della missione spaziale Apollo 11.
mo gli archetipi, che non dipendono da fattori temporanei, ma si solidificano con la consapevolezza della conoscenza e l’intimità dei sentimenti. In assoluto, dopo il merito che anche noi riconosciamo a Neil A. Armstrong -uno dei protagonisti del Novecento, e oltre-, da un irrinunciabile punto di vista mirato e viziato rievochiamo alla nostra maniera la missione Apollo 11, che abbiamo già ampiamente celebrato nel luglio 2009, in occasione del quarantesimo anniversario: 20 luglio 1969 - 20 luglio 2009, con i primi due uomini che hanno passeggiato sul nostro satellite naturale. Ecco qui: Neil A. Armstrong e Buzz Aldrin (il più fotografato).
nell’ambito della missione Apollo 11. Ovviamente, all’indomani della scomparsa, tutti i giornali del mondo ne hanno rievocato la figura, completando con note biografiche e curiosità di contorno. Non ripetiamo alcuna di queste osservazioni, a comoda portata di ciascuno, a partire dall’aggiornamento nell’immancabile pagina di Wikipedia. Allo stesso tempo, evitiamo la retorica del “primo uomo sulla Luna”, che è stata declinata con gli stereotipi della commozione e dell’emozione del momento. Al solito, preferia-
NASA
LE FOTOGRAFIE
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Noi viviamo e suscitiamo sentimenti, e i sentimenti se ne vanno. Sono ormai passati più di quarant’anni dallo sbarco dell’Uomo sulla Luna, al culmine del progetto spaziale statunitense Apollo: che appunto si era proposto di portare l’Uomo sulla Luna e riportarlo a Terra. Sono passati più di quarant’anni dall’emozionante diretta televisiva, una delle prime ad ampio raggio. Quarant’anni abbondanti sono tanti oppure pochi, dipende. In tutti i casi, per un numero crescente di adulti e per i giovani di oggi, l’avvenimento è lontano e irreale: appartiene alla Storia. Come in tutte le spedizioni spaziali [che abbiamo storicizzato in FOTOgraphia, del luglio 2009, nel quarantesimo anniversario di Apollo 11, già ricordato], anche in occasione dello sbarco sulla Luna del modulo Eagle, staccatosi dalla navicella base Columbia, erano previste soltanto fotografie di carattere scientifico. Le immagini della superficie terrestre e di quella lunare riprese nel corso delle diverse missioni sono servite soprattutto per l’indagine di fenomeni geologici, atmosferici e meteorologici, che fino ad allora non erano mai stati osservati. Tra le immagini rese note, ci sono anche le documentazioni degli esperimenti effettuati dagli astronauti in volo: passeggia-
Lo ricordo bene
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vano essercene molti nel Cosmo; la Terra era forse unica. Forse non si sarebbe mai visto un posto più bello. Tutti gli esploratori, Cristoforo Colombo compreso, espressero meraviglia per i nuovi luoghi scoperti. Gli astronauti Frank Borman, James Lovell e William Anders si commossero nel guardare la Terra. Il migliore luogo del Cosmo era “home”, come poi avrebbe scoperto anche ET, l’omuncolo extraterrestre di Spielberg. «Guardando la sferetta colorata, si poteva immaginare che tutte le creature viventi ci potessero vivere in simbiosi (John Lennon cantava Imagine). Gli allarmi ecologici che si sarebbero diffusi negli anni seguenti erano stati preparati da quell’impressione di delicatezza: era facile immaginare che il sottile alone azzurrino potesse
te fuori dalla capsula, aggancio di due moduli nello Spazio (appuntamento nello Spazio tra Gemini 6 e Gemini 7, il 15 dicembre 1965). Attraverso la registrazione fotografica, l’uomo comune ha partecipato alle straordinarie prospettive che si sono aperte agli astronauti. L’umanità ebbe un’immagine completamente nuova, e fino ad allora sconosciuta, del mondo in cui vive nell’universo.
FOTORICORDO E ALTRO In tutti i casi, non erano mai previste fotoricordo, neppure durante la breve permanenza sulla Luna: ventidue ore, di cui venti ore e quaranta minuti di lavoro fuori dal modulo. La prima trasgressione spaziale nota è quella del comandante Frank Borman, che nel corso di Apollo 8 riprese la fantastica sequenza della Terra che sorge dalla Luna. A questo proposito, rileggiamo da
Piero Raffaelli, da FOTOgraphia del luglio 1994, replicato nel luglio 2009 (del quarantesimo anniversario): «Un anno prima dell’allunaggio, ci arrivarono dallo Spazio altre immagini. Non furono gasate da una diretta televisiva, ma si imposero ugualmente nella memoria di tutti. Nel corso della missione Apollo 8, gli astronauti si allontanarono dalla Terra tanto da poterla inquadrate tutta intera sullo sfondo nero. E poi, raggiunta l’orbita lunare, dopo aver sorvolato l’emisfero nascosto, videro e fotografarono la Terra che “sorgeva” sopra la Luna. Con questo primo controcampo, lo sguardo umano non si volgeva più verso l’infinito, bensì verso il luogo finito, lì dove c’erano le radici. «Quella piccola sferetta bianca-azzurra-verde-giallina, sospesa sopra il deserto lunare, appariva in tutta la sua preziosa anomalia. Teschi corrosi, come quelli della Luna, dove-
L’astronauta Edwin E. Aldrin Jr, pilota del modulo lunare, secondo Uomo sulla Luna, fotografato da Neil A. Armstrong, comandante della missione spaziale Apollo 11, che si intravede nel riflesso della visiera. Nella sua autobiografia, Aldrin precisa che «Neil aveva sempre con sé la macchina fotografica e quando appare un astronauta su una fotografia, quello sono quasi sempre io».
bucarsi. Certi slogan politici non si sarebbero espressi come progetti “globali” se non ci fosse stato quello sguardo rivolto alla Terra da lontano. “L’uso razionale delle risorse”, “il governo mondiale”, “lo sviluppo sostenibile”, “l’indipendenza tra nord e sud” e altre utopie divennero credibili perché le fotografie arrivate dallo Spazio le aiutavano. Era il Natale del 1968, quando arrivarono». Una volta scesi sulla Luna, anche Neil A. Armstrong e Edwin E. Aldrin subirono il fascino del momento e si lasciarono andare a qualche fotoricordo. Per la verità, questo non è un capitolo a due voci, ma un monologo. Tutte le fotografie note della permanenza sulla Luna degli astronauti sono state scattate dal comandante Neil A. Armstrong, e dunque ritraggono sempre Buzz Aldrin, in posa oppure impegnato nelle attività extra-veicolari.
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Lo ricordo bene
Il 21 luglio 1969, alle 2,56 (8,56, per l’Italia), Neil A. Armstrong pose piede sulla superficie lunare. Per ovvi motivi non c’era nessuno che potesse riprendere questo avvenimento storico, ma Armstrong fotografò immediatamente la propria impronta, inizian-
do così una serie di istantanee che hanno documentato il lato umano e aneddotico della missione [a pagina 8]. Nell’autobiografia di Edwin E. Aldrin Jr si trovano riferimenti a questo riguardo. Aldrin precisa che «con il procedere del lavoro sulla Luna, Neil ave-
Edwin E. Aldrin Jr accanto alla bandiera statunitense fissata al suolo, fotografato da Neil A. Armstrong. Subito dopo, lui e Armstrong avrebbero dovuto invertire i ruoli. Dal controllo a Terra arrivò invece l’ordine di rientrare nel modulo, per ricevere un messaggio del presidente Richard Nixon. Da cui e per cui, clamorosamente, non esistono fotografie di Neil A. Armstrong sulla Luna.
va sempre con sé la macchina fotografica e quando appare un astronauta su una fotografia, quello sono quasi sempre io». Aldrin annota anche di essere stato ripreso accanto alla bandiera statunitense fissata al suolo [qui accanto]. Si ricorda che, subito dopo, lui e Armstrong avrebbero dovuto invertire i ruoli. Dal controllo a Terra arrivò invece l’ordine di rientrare nel modulo, per ricevere un messaggio del presidente Richard Nixon. Poggiando il proprio piede sulla Luna, primo Uomo sulla Luna, quel ventuno luglio di quarantatré anni fa, Neil A. Armstrong pronunciò una frase diventata celebre e ampiamente ripetuta: «That’s one small step for [a] man, one giant leap for mankind»; ovvero, «Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l’umanità». Retorica a buon mercato, dalla quale prendiamo le distanze, pur riconoscendo l’emozione e il valore del momento. ❖
Notizie a cura di Antonio Bordoni
PANORAMICA DIGITALE. Anticipato da tempo, è in dirittura d’arrivo il progetto Horizon D-L3 per fotografia panoramica. Programma congiunto tra la produzione fotografica storica russa di Krasnogorsk, alle porte di Mosca, dove per decenni sono state prodotte le reflex Zenit e le panoramiche a obiettivo rotante per pellicola 35mm Horizont/Horizon (ancora sul mercato, successive alla primigenia FT-2 del 19581965 [FOTOgraphia, maggio
mette di accedere alle opzioni del menu e alla visualizzazione delle immagini acquisite su scheda di memoria SD e SDHC. (Silvestri Fotocamere, via della Gora 13/5, 50025 Montespertoli FI; www.silvestricamera.com).
ANCORA NIKON FULL FRAME. Piccola e leggera, la Nikon
1994]), e l’italiana Silvestri Fotocamere, uno dei fiori all’occhiello della tecnologia fotografica nazionale, l’attuale Horizon D-L3 si basa sulla combinazione di tre obiettivi accostati Zenitar 28mm f/3,5 (focale equivalente), opportunamente orientati (uno verso il centro e gli altri due verso destra e sinistra), che inquadrano un campo di quarantacinque gradi in verticale e centoventi lungo l’asse orizzontale (140x45 gradi). I tre scatti sono simultanei, così che la panoramica è utilizzabile a mano libera, anche con soggetti in movimento, per composizioni finali che tengano adeguatamente conto della successiva combinazione in un file unico che è somma delle tre acquisizioni singole e indipendenti. La risoluzione degli efficaci sensori Cmos, da nove Megapixel ciascuno, assicura un’alta qualità formale delle acquisizioni, la cui combinazione panoramica è governata e gestita da un software dedicato (in dotazione) di facile impiego: cucitura impeccabile in un file definitivo. L’inquadratura è visualizzata con un brillante mirino ottico, comprensivo di bolla per il pertinente allineamento orizzontale/verticale. Un ampio e brillante monitor touch screen da 4,3 pollici per-
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D600 si inserisce nella gamma delle reflex pieno formato, sia per impiego professionale sia per fotografia non professionale. Dotata di sensore di immagine Cmos full frame Nikon FX da 24,3 Megapixel, assicura consistenti livelli di dettaglio e di gamma tonale, anche in condizioni di scarsa illuminazione. La conversione A/D a 14 bit e l’ottimo rapporto segnale/disturbo assicurano immagini di sostanziosa qualità formale e un’ampia gamma dinamica anche a sensibilità Iso elevate. Con una gamma di sensibilità da 100 a 6400 Iso equivalenti, estendibile fino a un massimo di 25.600 Iso equivalenti e a un minimo di 50 Iso equivalenti, la resa della Nikon D600 è qualitativa anche in condizioni di scarsa illuminazione. I sistemi intelligenti di riduzione del disturbo della reflex sono in grado di gestire il rumore noise senza sacrificare alcun dettaglio, anche il più piccolo e minuto, assicurando una notevole flessibilità in tutte le condizioni di luce: le immagini risultano nitide e brillanti, anche con le impostazioni Iso più elevate.
Dotata dell’innovativo e potente motore di elaborazione immagini Expeed 3, presente anche nella D4 di vertice, la Nikon D600 rende immediate anche operazioni che implicano la gestione di grandi quantità di dati, senza sacrificare rapidità e qualità. L’elaborazione di immagini a 16 bit assicura colori e tonalità estremamente vivaci e restituisce gradazioni uniformi con il massimo dettaglio e con tonalità che spaziano su tutta la scala, fino al bianco puro (e neutro), anche in registrazione compressa Jpeg. Grazie al sistema AF a trentanove punti Multi-CAM4800, tecnologia proprietaria, la Nikon D600 consente di eseguire riprese in alta qualità formale, in qualsiasi condizione di luce. Compatibile con obiettivi con apertura fino a f/8 e sensibile fino a -1 EV (a 100 Iso equivalenti), permette l’acquisizione di immagini e video estremamente nitidi, in ogni condizione di luce. Una vasta gamma di modalità AF, come AF ad area dinamica e il tracking 3D, consente di seguire la messa a fuoco anche sui soggetti più piccoli, per quanto sia impossibile anticiparne i movimenti. Basata sulla stessa tecnologia della celebre Nikon D800, la funzione video D-Movie multi-area della Nikon D600 permette massima flessibilità nella realizzazione dei filmati Full-HD. Una vasta gamma di applicazioni video, una serie di frequenze di scatto e comodi controlli personalizzati, che assicurano il controllo completo del funzionamento live view durante le riprese, si uniscono per garantire il massimo nella ripresa video. (Nital, via Tabacchi 33, 10132 Torino; www.nital.it).
POTENZA E QUALITÀ. Con convinzione e fermezza, Fujifilm amplia il proprio sistema fotografico CSC (Compact System Camera, già Mirrorless), anticipato dalla X100 a obiettivo grandangolare fisso e avviato con l’entusiasmante X-Pro1 a obiettivi intercambiabili [FOTOgraphia, marzo e aprile 2012]. La nuova
X-E1 conferma l’intercambiabilità degli obiettivi Fujinon XF, in una configurazione semplificata, proposta a un prezzo di acquisto/vendita più conveniente rispetto la X-Pro1: dunque, indirizzata e rivolta a un pubblico potenzialmente più ampio, al quale offre la consistenza di prestazioni di alta qualità formale. La Fujifilm X-E1 conferma l’affermato sensore APS-C X-Trans Cmos da sedici Megapixel e il sistema proprietario di misurazione TTL: in un corpo macchina più compatto, con flash incorporato (Numero Guida 7) e mirino elettronico Oled, con risoluzione di 2,36 Megapixel. È disponibile in due livree -nera e cromata-, che ribadiscono l’attraente design che riprende connotati classici della costruzione
fotografica senza tempo [FOTO graphia, aprile 2012]: la parte superiore e quella anteriore sono realizzate in lega di magnesio pressofuso, per conferire robustezza e funzionalità, oltre che leggerezza (solo 350g di peso). Ancora, è dotata di impugnatura in gomma, per una presa più sicura e ben bilanciata. I bordi dei selettori posti sul pannello superiore sono finemente zigrinati, per facilitarne la regolazione. Per impostare rapidamente i parametri operativi, senza distogliere lo sguardo dal mirino, con la mano sinistra si ruota la ghiera dei diaframmi posta sull’obiettivo, mentre con la destra si regolano i comandi del tempo di otturazione e della (eventuale) compensazione dell’esposizione, collocati sul pannello superiore. (Fujifilm Italia, Strada Statale 11 - Padana Superiore 2b, 20063 Cernusco sul Naviglio MI; www.fujifilm.it).
Notizie FLASH INVISIBILE. La convincente compatta Minox DTC 600 è dotata di blackflash: completamente invisibile alle persone e agli animali. È stata applicata una tecnologia da tempo in uso con strumenti fotografici di verifica, registrazione e osservazione della natura: un filtro nero davanti al flash a infrarossi rende completamente invisibile l’emissione lampo.
mi o erba. La memorizzazione su scheda SD e SDHC è anticipata sul brillante monitor TFT da due pollici. La stessa archiviazione comprende la sicurezza di un codice individuale di protezione. Allo stesso momento, una analoga password personale governa l’uso della Minox DTC 600, tutelata da furti e usi impropri da parte di terzi. Considerato l’indirizzo verso la fotografia di natura, la compatta è costruita in un corpo macchina robusto e resistente, che previene da infiltrazioni di acqua e polvere e protegge dagli sbalzi climatici verso il freddo e il caldo. Ancora, registrazione video AVI 640x480 pixel. (Rinowa, via di Vacciano 6f, 50012 Bagno a Ripoli FI; www.rinowa.it)
cale 50mm f/5,6 (diaframma fisso) a messa a fuoco manuale e selettiva da 33cm, che consente un’esperienza tangibile di ripresa, con uno spostamento continuo attorno l’area di nitidezza, pertinentemente controllata dal mirino reflex. È compatibile con il sistema di accessori Lensbaby Optic Swap di 37mm di innesto. (Polyphoto, via Cesare Pavese 11-13, 20090 Opera Zerbo MI; www.polyphoto.eu).
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ARBITRARIETÀ SEMPLIFICATA. Una nuova e affascinante
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CRAIG STRONG
Con una risoluzione di otto Megapixel, la Minox DTC 600 si offre e propone per l’acquisizione e registrazione di immagini di alta qualità formale, con eccellente nitidezza in ogni dettaglio dell’inquadratura e efficace contrasto, abbinato a una resa cromatica naturale. Il potente flash a infrarossi, con portata fino a quindici metri, assicura fotografie affidabili anche in condizioni di luce sfavorevole o penombra. La lunghezza d’onda del flash è invisibile alle persone e agli animali, così da rendere la dotazione strumento ideale per la caccia fotografica, oltre che per la sicurezza personale in condizioni e situazioni estreme. Il sensore di movimento intelligente consente una considerevole flessibilità ed efficienza in ripresa, grazie alla sua base di sensibilità regolabile dalla compatta, che dà risalto al soggetto principale, escludendo dalla registrazione movimenti secondari irrilevanti, come quelli di ra-
configurazione ottica arricchisce la gamma Lensbaby [FOTOgraphia, dicembre 2006 e febbraio 2011]. Spark è un obiettivo semplificato su montatura mobile, con messa a fuoco, decentramento e basculaggio manuali e controllati, che si offre e propone come avvicinamento e ingresso nel sistema ad alto potenziale arbitrario e creativo. Spark si orientata verso gli appassionati di fotografia, soprattutto giovani, che sono alla ricerca di una sollecitazione espressiva che vada oltre la ripresa fotografica tradizionale. In baionetta per reflex Canon e Nikon, consente di realizzare immagini creative in-camera, che presentano un’area di messa a fuoco centrale contornata da una avvincente sfocatura verso i bordi dell’inquadratura. Di fatto, si tratta di una dotazione ottica equivalente alla fo-
stema Canon Eos Cinema si arricchisce di un nuovo modello. La Eos C100 è una videocamera compatta e versatile a obiettivi intercambiabili ideale per i videomaker indipendenti. Basata su tecnologie proprietarie già incluse nella Eos C300, questa nuova dotazione combina eccellenti specifiche hardware con una serie di funzioni automatiche che la rendono ideale per i professionisti che operano senza staff e per operatori video che accedono per la prima volta al sistema Eos Cinema. Equipaggiata con un sensore Cmos Canon Super 35mm da 8,3 Megapixel con filtro Bayer, la Eos C100 combina un’eccezionale qualità formale di immagine in un corpo macchina ridotto del quindici percento rispetto la EOS C300 di riferimento e richiamo. Grazie al potente sensore, la videocamera utilizza lo stesso tipo di elaborazione del segnale video dei sistemi RGB a tre sensori, producendo colori realistici e ampia gamma dinamica, con prestazioni eccezionali anche in luce debole. Il completo supporto ai software NLE la rende adatta a un’ampia gamma di utenti e produzioni, e l’innesto Canon EF consente l’accesso al sistema di oltre sessan-
ta obiettivi fotografici EF, oltre alla libertà di sperimentare con il sistema di obiettivi EF Cinema. Progettata per offrire la massima qualità e portabilità, la Canon Eos C100 adotta specifiche progettate secondo le necessità degli utenti che operano autonomamente. Il suo sistema avanzato di imaging utilizza il diffuso codec AVCHD, con un sensore Cmos che registra a una risoluzione video di 1920x1080 pixel (Full-HD) su schede SD a 24 Mbps, con campionamento colore 4:2:0, per una qualità video professionale, nitida e vivace. Grazie al terminale HDMI incorporato, possono anche essere registrati video non compressi -inclusi i dati timecode-, direttamente su un registratore esterno. Il supporto per frame rate 24/25/30p e 50/60i offre ampia flessibilità, mentre la gamma di sensibilità da 320 a 20.000 Iso equivalenti fornisce un controllo completo dell’esposizione e immagini nitide e dettagliate in qualsiasi condizione di illuminazione.
La nuova impostazione Wide Dynamic Gamma permette la ripresa in situazioni critiche, ad alto contrasto, consentendo una gamma dinamica fino all’800 percento senza la necessità di interventi in post-produzione. Inoltre, Canon Log Gamma permette l’acquisizione di video di alta qualità perfetti per il color grading, garantendo al contempo filmati con un “look and feel” coerente, quando la Canon Eos C100 è utilizzata assieme ad altre videocamere Eos Cinema in riprese multi-camera. (Canon Italia, Strada Padana Superiore 2/b, 20063 Cernusco sul Naviglio MI; www.canon.it). ❖
Cinema
di Maurizio Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
ATTRAVERSAMENTI
Diversamente dal solito, soprattutto nell’ambito di questa rubrica dedicata alla presenza della fotografia nel cinema (sceneggiatura, piuttosto che scenografia), le illustrazioni di accompagnamento e completamento sono sostanzialmente svincolate dal testo. Le parole esprimono un’idea sovrastante, alla quale le immagini offrono un supporto eterogeneo in quantità e varietà che sottolinea la qualità delle evocazioni. In particolare, le illustrazioni spaziano tra interpreti e apparecchi fotografici, in modo da ribadire l’attraversamento complessivo della fotografia al cinema.
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Se pensiamo che Marcello Mastroianni, suggestivo interprete di La dolce vita, di Federico Fellini, nei panni del giornalista Marcello Rubini, sempre accompagnato dal fotografo Paparazzo (interpretato da Walter Santesso), da cui il neologismo [FOTOgraphia, giugno 2012], è stato a propria volta fotografo in altri due film (almeno), ne deduciamo che la combinazione e l’attraversamento fotografia-interpreti sono quantomeno vasti, per non dire completi. Marcello Mastroianni è lo sgangherato fotografo Tiberio dei Soliti ignoti (di Mario Monicelli, del 1958) e l’intrigante fotografo Corrado Betti di La fortuna di essere donna (di Alessandro Blasetti, del 1955), nel quale seduce una avvenente Sophia Loren, nei panni di Antonietta Fallari, che originariamente avrebbe voluto fargli causa per una propria immagine finita sulla copertina di un rotocalco. Rimanendo per un poco ancora in Italia, si può evocare anche Totò: sfortunato fotografo non professionista, armato di Rolleiflex biottica, che cerca di sedurre una avvenente Sophia Loren nell’episodio La macchina fotografica di Tempi nostri (o Zibaldone n° 2), di Alessandro Blasetti, del 1954. Dello stesso anno è anche il gustoso breve sketch di Totò / Don Felice Sciosciammocca, scrivano con licenza di fotografare di Miseria e nobiltà [FOTOgraphia, settembre 2008], nel quale l’elemento discriminatorio della scena è più l’avvenente sposina che non la macchina fotografica, sublime pretesto. Nel cast di Miseria e nobiltà
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Cinema c’è ancora e anche Sophia Loren, che così arriva a tre incroci fotografici, che diventano quattro conteggiando anche la sua presenza in Il segno di Venere, di Dino Risi, del 1955, con il fotografo Mario, interpretato da Peppino De Filippo, con «l’occhio che scruta...». Invece, la terza combinazione fotografica di Totò fa capolino in Totò, Vittorio e la dottoressa, di Camillo Mastrocinque, del 1957), nel quale, nel corso di un pedinamento, due improvvisati investigatori privati, Michele Spillone detto Mike (Totò) e Gennaro detto Johnny (Agostino Salvietti), fanno appunto uso di una curiosa attrezzatura fotografica opportunamente camuffata: la macchina a soffietto sotto il cappello di Totò, il flash sotto quello del compare. Ancora in Italia, con il commissario di polizia Gian Maria Volonté di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, di Elio Petri, del 1970, che fa ricorso alla fotografia nei giochi erotici con la compagna Augusta Terzi, interpretata da Florinda Bolkan, affascinata dalle simulazioni di scene del delitto, opportunamente ricostruite nell’intimità di coppia.
Buster Keaton (Elmer) e Dorothy Sebastian (Tribly Drew), in Io... e l’amore ( Spite marriage), di Edward Sedgwick (1929).
Adrian Lester (Jimmy), in Born Romantic, di David Kane (2000).
CORSI E RICORSI Interprete dell’epocale Blow up, nei panni del fotografo protagonista Thomas, che si muove a proprio agio nella swinging London che fa da ambiente e contorno al film di Michelangelo Antonioni, del 1966, dal quale si conteggia una discriminante della raffigurazione cinematografica del fotografo e della fotografia (ampiamente approfondita in FOTOgraphia dello scorso settembre), l’attore David Hemmings torna a essere fotografo in La ragazza con il bastone (The Walking Stick), di Eric Till, del 1970: nei panni di un contraddittorio e controverso Leigh Hartley, definito da una evidente componente delinquenziale. Anche per l’apprezzato attore contemporaneo Jude Law si sottolineano almeno tre attraversamenti fotografici. Anzitutto, in Era mio padre (Road to Perdition), di Sam Mendes, del 2002 [FOTOgraphia, novembre 2005], interpreta il killer della mafia Harlen Maguire, che deve rintracciare e uccidere il protagonista Michael Sullivan e il figlio Michael Jr, rispettivamente interpretati da Tom
Liv Ullmann (Elisabeth Vogler), in Persona, di Ingmar Bergman (1966).
Alec Guinness (il duca), in Sangue blu ( Kind Hearts and Coronets), di Robert Hamer (1949).
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Cinema Hanks e Tyler Hoeclin. Come copertura, Harlen Maguire è un fotografo professionista, con tendenze necrofile, che prova intima soddisfazione per l’immagine della morte. Lo si capisce immediatamente, fin dalla propria entrata in scena: sta fotografando un cadavere, vittima di omicidio, e mentre è al vetro smerigliato della Speed Graphic su treppiedi nota che il suo “morto” respira ancora, dà segni di vita residua. Senza troppo scomporsi, lascia la postazione fotografica e si avvicina al “cadavere”, che rende definitivamente tale... soffocandolo. Nel concreto, la combinazione killer-fotografia è assoluta e inviolabile. Harlen Maguire uccide per denaro, ma soprattutto uccide per poter fotografare la morte: come rivelano anche le sequenze in camera oscura e le panoramiche del suo appartamento, appunto tappezzato di “fotoricordo” di cadaveri. Tanto che, nelle scene finali, è chiaro che, individuati i due Sullivan, li ha attesi al varco preparando preventivamente la Speed Graphic, in modo da poter “immortalare” la propria opera. Da cui, identifichiamo e segnaliamo un parallelo con il romanzo Nove Miglia, poliziesco di Rob Ryan, scritto nel 2000, pubblicato in Italia nella collana popolare dei Romanzi neri del Giallo Mondadori [FOTOgraphia, febbraio 2004]. Come il cinematografico Harlen Maguire di Era mio padre, in Nove Miglia anche Vincent Wuzel è un killer che ama la fotografia. In modo analogo, copre la propria attività principale con un riferimento fotografico: in questo caso di compravendita di libri fotografici e fotografie d’autore, ed è a propria volta scrupoloso collezionista. In particolare, Vincent Wuzel colleziona fotografie di morte, in subordine al fatto che lui non riesce a realizzarne di altrettanto feroci. A complemento, l’attore Jude Law, fotografo (killer) necrofilo in Era mio padre, ha incrociato la raffigurazione fotografica in almeno altre due occasioni, entrambe del 2004. In Sky Captain and the World of Tomorrow, di Kerry Conran, fantascienza, thriller e fantasy [FOTOgraphia, dicembre 2005], interpreta il protagonista Joseph “Sky Captain” Sullivan che salva il mondo dall’invasione di gi-
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Faye Dunaway (Laura Mars), in Gli occhi di Laura Mars ( Eyes of Laura Mars), di Irvin Kershner (1978).
Gérard Depardieu (Raoul-Renaud Homecourt), in Zucchero ( Le sucre), di Jacques Rouffio (1978).
Cinema John Wayne (tenente Lon McQ), in È una sporca faccenda, tenente Parker! ( McQ), di John Sturges (1974).
Vlado Novák (Karol Gatnik), in Umetni raj, di Karpo Acimovic-Godina (1990).
Julie Depardieu (Alice) e Dominique Reymond (Juliette), in L'oeil de l'autre, di John Lvoff (2005).
ganteschi robot-killer. Nel film, la fotografia è tra le mani della fotogiornalista Polly Perkins (Gwyneth Paltrow), compagna inseparabile della lunga avventura. Mentre in Closer, di Mike Nichols [FOTOgraphia, ottobre 2006], è Dan Wolf, scrittore frustrato che posa nello studio di Anna Cameron (Julia Roberts) per il risvolto di copertina del suo libro. Da cui, un secondo richiamo fotografico per Julia Roberts, la fotografa Isabel Kelly di Nemiche amiche (Stepmom), di Chris Columbus, del 1998.
PROFESSIONE E ALTRO Due nomi di spicco del cinema contemporaneo: Clint Eastwood e Rober De Niro. Entrambi hanno interpretato un fotografo professionista; entrambi hanno incrociato la fotografia in una seconda occasione. Anche regista del film, Clint Eastwood è il fotografo Robert Kincaid dei Ponti di Madison County, del 1995, che abbiamo evocato in precedenti occasioni, la più recente delle quali lo scorso luglio. Quindi, nel 2006, lo stesso Clint Eastwood ha ottimamente diretto una fantastica rievocazione della fotografia di Joe Rosenthal della bandiera statunitense issata sul monte Suribachi, dell’isola giapponese di Iwo Jima, sottolineandone l’impatto e l’influenza sulla coscienza americana dell’inizio del 1945, in modo da risollevare l’adesione a una guerra (la Seconda mondiale) ormai sfibrata. Quindi, un seducente Robert De Niro è Wayne “Mad Dog” Dobie, fotografo della polizia in Lo sbirro, il boss e la bionda, di John McNaughton, del 1993 (orrendo titolo italiano, che allinea i tre protagonisti -Robert De Niro, appunto, Bill Murray e Uma Thurman-, scartando a lato l’originale Mad Dog and Glory, dal soprannome del poliziotto-fotografo con il nome della co-protagonista) [FOTOgraphia, novembre 2009]. Oltre le sequenze cinematografiche nelle quali la fotografia è protagonista assoluta e unica, vanno segnalate altre attenzioni, sia scenografiche, sia di sceneggiatura. Anzitutto, rileviamo che sul tavolino del soggiorno dell’appartamento di Wayne “Mad Dog” Dobie è appoggiata la monografia Paul Strand. An American Vision, di attualità ai tempi del-
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Cinema Robert De Niro, nei panni dell’agente segreto Sam, usa una Leica R in Ronin, del 1998. Lo fa nella scena nella quale, all’esterno di un grande hotel della Costa Azzurra, fotografa di soppiatto un presunto terrorista (la semplifichiamo così).
DA UNA CERTA REALTÀ
la lavorazione del film. Poi, sulla parete della cucina si intravede il manifesto di una mostra fotografica di Robert Capa, illustrato con la celeberrima immagine dello sbarco in Normandia. Ancora, sulla rientranza di un muro, collocato ad arte, è appeso l’ingrandimento-poster di una fotografia newyorkese di Berenice Abbott ad inquadratura e composizione stretta e alta (FOTOgraphia, luglio 2005 e settembre 2009). Infine, annotiamo il comportamento delle guardie del corpo del boss
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mafioso Frank Milo, interpretato dall’attore Bill Murray, che guardano le fotografie giudiziarie di morti ammazzati che, ben stampate e incorniciate, arredano le pareti dell’appartamento di Wayne “Mad Dog” Dobie. Si danno di gomito, di volta in volta indicano una inquadratura, sorridono. Riconoscono tutti i morti, amici o nemici loro, e sfogliano queste fotografie come ciascuno di noi sfoglia un album di famiglia: ricordi piacevoli, ritratti ben riusciti, affetti da evocare. In seguito, è doveroso ricordare che
James Woods (Richard Boyle), in Salvador, di Oliver Stone (1986).
Anche fotografi nella vita, gli attori statunitensi Brad Pitt e Dennis Hopper sono stati fotogiornalisti in due film (di diverso spessore cinematografico): Spy Game, di Tony Scott, del 2001, e Apocalypse Now, di Francis Ford Coppola, del 1979. Reclutato da Nathan D. Muir (l’attore Robert Redford), che è il protagonista principale dell’intricata questione di Spy Game, raccontata soprattutto con flashback che rievocano quanto ha portato alla situazione di blocco, che la Cia (l’agenzia statunitense di spionaggio) deve dirimere, Tom Bishop (interpretato da Brad Pitt) è un agente segreto che si mette nei guai nella Repubblica popolare cinese. Il suo stato di servizio viene esaminato e analizzato nei minimi dettagli, per individuare dove e quando si è aperta una incrinatura nella sua capacità di affrontare e risolvere intrighi internazionali. Così, veniamo a sapere che Tom Bishop ha agito sul controverso palcoscenico mediorientale, nei giorni caldi delle contraddizioni libanesi, coprendo la propria effettiva missione di agente segreto in controllo di territorio (e qualcosa di più), fingendosi fotoreporter inviato. E questo è il nocciolo della questione che ci interessa direttamente, che ha già sollecitato nostre osservazioni e riflessioni. E, poi, anche nostre considerazioni in FOTOgraphia, dello scorso maggio. Anche fotografo nella vita, dal 1961 [FOTOgraphia, dicembre 2009], mancato il 29 maggio 2010, Dennis Hopper interpreta il fotogiornalista di Apocalypse Now [FOTOgraphia, novembre 2010]. Nel film, non ha nome, e nel cast è appunto identificato come fotogiornalista. Non sta molto in scena, perché il film è orientato altrimenti. Comunque, le sequenze di sapore fotografico sono sostanziose. Ci sarebbe ancora tanto altro da annotare, ma non è il caso di slittare nel casellario o nell’accademico. Per oggi, questo basta. ❖
Parallelo (?) di Maurizio Rebuzzini
I BUONI SENTIMENTI
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Spin off della serie televisiva Affari di famiglia, di analoga impostazione e produzione, Missione restauro è un reality trasmesso da History Channel, in orari da verificare. Ogni puntata di trenta minuti si svolge sulla medesima traccia: dal restauratore Rick Dale, di Las Vegas, arrivano oggetti dei decenni scorsi arrugginiti e a pezzi: per lo più oggetti degli anni dai Trenta ai Sessanta, e poco oltre, da rimettere in sesto. Ogni puntata presenta le fasi di lavorazione di due oggetti, originariamente in rovina, che vengono abilmente riportati allo splendore iniziale. Il prima-dopo produce risultati sbalorditivi, raggiunti con perizia, competenza e abilità manuali fuori dall’ordinario. In presentazione di puntata, la voce fuori campo di Rick Dale (doppiato in italiano) è perentoria, e prende le distanze con i nostri tempi attuali: « Vi ricordate i tempi in cui le cose venivano fatte a mano e le persone andavano fiere del proprio lavoro?». Nel cast televisivo, che segue una sceneggiatura semplificata, ma non banalizzata, Rick Dale è accompagnato da artigiani del suo staff, che nella realtà immaginiamo ben più gremito: il figlio Tyler, il fratello Ron, la segretaria Kelly e suo figlio Brettly, Kyle e Kowboy, ognuno con proprie predisposizioni di lavoro e alla sua programmazione. Una precisazione è obbligatoria. L’identificazione di “reality”, appena declinata, tiene conto che la serie televisiva è girata in un luogo esistente e concreto: per l’appunto, Rick’s Restorations, di Las Vegas, in Nevada (1112 S Commerce street; con sito www.rickrestrations.com, sulle cui pagine è pubblicata anche una avvincente galleria di lavorazioni, con presentazione del prima-dopo). Ancora, a Las Vegas ha pure sede il banco dei pegni Gold & Silver Pawn Shop, dove si svolge l’altra serie televisiva, sempre in onda su History Channel, che in italiano risulta Affari di famiglia, con la famiglia Harrison: Rick (la volpe), suo figlio Corey (lo smilzo) e suo padre
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Protagonista della serie televisiva Missione restauro, in onda su History Channel, Rick Dale, qui con il suo furgone Ford F100, del 1951, è titolare di Rick’s Restorations, di Las Vegas, in Nevada (1112 S Commerce street; www.rick restorations.com). Nella trasmissione, agisce con il proprio staff di esperti nel restauro di oggetti del recente passato statunitense (che è già Storia): suo figlio Tyler, suo fratello Ron, Kelly, Brettly (figlio di Kelly), Kyle e Kowboy.
Parallelo (?) Richard (il vecchio), capostipite della genìa, aiutati dal commesso Austin “Chumlee” Russell, che aggiunge colore allo svolgimento delle singole puntate. Anche qui, una filosofia di fondo, espressa da Rick: «Ogni articolo, qui, ha una storia... e un prezzo. Se c’è una cosa che ho imparato in ventuno anni è che non sai mai cosa entrerà da quella porta». Missione restauro è una serie derivata, nel senso che Rick Dale parte come consulente per le riparazioni di oggetti acquistati da Gold & Silver Pawn Shop... per poi percorrere una strada propria (che in qualche puntata ha previsto e preordinato anche richiami sia alla serie di partenza Affari di famiglia, sia a un’altra serie televisiva dello stesso History Channel, di acquisto di box di deposito abbandonati: Affari al buio, altro gradevole reality). Prima di arrivare al parallelo individuato, che è motivo di sottolineatura in chiave fotografica (anche), è doverosa una altra, ulteriore precisazione. Sia in Missione restauro sia in Affari di famiglia, ogni oggetto proposto per il restauro o comprato/venduto al banco dei pegni viene commentato e storicizzato da testi in sovraimpressione, che compongono i tratti di una storia moderna degli Stati Uniti. E questo è un valore in più, da non sottovalutare: conoscenza, informazione e apprendimento individuali.
MONDO IDEALE Definito da rapporti professionali interni e dal contatto/incontro con i clienti, il clima di Missione restauro è assolutamente sereno e armonioso: quasi che la soddisfazione del lavoro manuale sia sovrastante e determinante. Addirittura, prevalente. Da cui, il convincente reality definisce i tratti di un mondo ideale, nel quale non ci sono disagi né difficoltà: tutto si può fare, per ridare splendore a oggetti della storia recente americana, qui elevata a rango di Storia individuale e personale. Le quantità e qualità di ghiacciaie Coca-Cola, di distributori di bibite, di radio a valvole del passato remoto, di monopattini e di tanto altro ancora scandiscono i tempi di una nostalgia trasversale. La perizia di Rick Dale e del suo staff ridà luce a sogni nel cassetto: tanto che ritenia-
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Parallelo (?)
mo doveroso inquadrare questo clima nella più ampia rivalutazione -a partire proprio dagli Stati Uniti- dei decenni lontani, soprattutto degli anni Cinquanta e Sessanta, e non molto oltre. Ovverosia, di un’epoca nella quale ciò che questi oggetti hanno rappresentato ha fatto parte di un più generale clima di speranze e allegria. In contrapposizione a una globalizzazione attuale, che genera confusioni e annulla soggettività e caratteri, tornare a qualcosa che aveva una personalità nazionale (e in originale questa serie televisiva titola per l’appunto American Restoration) significa anche rivitalizzare uno sta-
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Illustrazioni di Norman Rockwell (1894-1978) realizzate per le copertine settimanali del Saturday Evening Post, che hanno celebrato una idilliaca visione della provincia statunitense: tutta serenità e buoni sentimenti. Dall’alto e da sinistra: The Runaway, 1958; Doctor and Doll, 1929; Freedom from Want, 1943; Thanksgiving Mother and Son Peeling Potatoes, 1945; Freedom from Fear, 1943; The Stay at Homes, 1927.
to d’animo ottimista. Le automobili, i primi elettrodomestici per la casa e perfino le persone erano splendide e brillanti (o, quantomeno, così si è portati a credere, magari illudendosi anche). La visione di una esistenza solida e tranquilla dipende anche da questo contorni, non sottovalutiamolo.
ECCO, IN PARALLELO In parallelo, a nostro modo di vedere e pensare, il clima di buoni sentimenti che attraversa la serie televisiva Missione restauro richiama un mondo statunitense altrettanto definito: basti pensare a certo cinema
della seconda metà degli anni Quaranta e tutti gli anni Cinquanta, a partire -magari- da quelli diretti da Frank Capra (un titolo, sopra tutti: lo sciropposo La vita è meravigliosa, del 1946, con James Steward nei panni dell’altruista George Bailey e Henry Travers in quelli dell’angelo Clarence). La guerra in Vietnam, con quanto di devastante ha comportato nel clima sociale interno statunitense, e altre ingerenze di politica estera sarebbero maturate successivamente. Nel proprio insieme, e in parallelo, ipotizziamo che i buoni sentimenti di Missione restauro si allineino agli analoghi buoni sentimenti delle illustra-
Parallelo (?)
zioni che, per decenni, in quegli anni, l’eccezionale Norman Rockwell (1894-1978) ha realizzato per le copertine settimanali del Saturday Evening Post, dando vita e corpo a una idilliaca visione della provincia statunitense: tutta mielosamente sorridente e beatamente felice. Tanto romanticismo di maniera e altrettanta utopia di convenienza [visualizzazioni sulla pagina accanto]. Ancora, non possiamo non evocare anche le fotografie che l’assennato Ogle Winston Link, conosciuto e storicizzato come O. Winston Link (1914-2001), ha realizzato per promuovere le ferrovie statunitensi
della potente compagnia Norfolk and Western Railway. Attrezzato e armato di flash elettronici in quantità, ha dato vita a situazioni nelle quali il treno è stato sempre inquadrato e composto in visioni di buoni sentimenti: nonno con nipotino; zia sulla poltrona del soggiorno, con un ricamo tra le mani e il treno che si intravede dalla finestra; anziana coppia di sposi che si tiene per mano; giochi spensierati tra le acque del fiume vicino a casa; profusione di bambini e vecchietti... e via di questo passo. Ancora, l’apoteosi della provincia. Ancora, la celebrazione della bontà teorica e dell’utopia della vita meravi-
Negli anni Cinquanta, il fotografo statunitense O. Winston Link (1914-2001), ha fotografato per la promozione della compagnia ferroviaria Norfolk and Western Railway. Ha creato scenari di vita bella e serena, soprattutto notturna, illuminata con una quantità e varietà di flash (in alto, un significativo autoritratto in doppia posa programmata).
gliosa, senza problemi [visualizzazioni in questa pagina]. Quindi, Missione restauro appartiene a uno stile narrativo che torna periodicamente nel costume sociale statunitense, e oggi -grazie alla programmazione televisiva a tutti accessibile- si proietta in avanti e abbatte ogni possibile confine geografico. Ciò che questo reality mette in scena non è soltanto la propria apparenza, evidente ed esplicita, quanto dà corpo a un retrogusto nel quale la nostalgia di valori che si stanno perdendo può fare una qualche differenza nelle esistenze individuali. Ce ne rendiamo conto. ❖
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RETROSPETT
di Maurizio Rebuzzini
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idascalicamente intitolata Edward Weston. Una retrospettiva, l’imponente mostra allestita a Modena mantiene ciò che promette: si offre e propone come consistente serie di stampe del grande autore del primo Novecento, che ha compilato capitoli fondamentali della storia evolutiva del linguaggio espressivo della fotografia. Quindici anni dopo la sua ultima personale in Italia, si incontrano i più celebri bianconeri di Edward Weston (24 marzo 1886 - Primo gennaio 1958), che scandiscono il tempo e ritmo di una applicazione ossessivamente rivolta alla struttura compositiva: soggetti-pretesto per inquadrature inviolabilmente e solamente fotografiche, senza altre intenzioni aggiuntive. Riprendendo dal titolo di una convincente monografia pubblicata dall’inglese Thames & Hudson, nel 1995, successiva l’originaria francese delle Editions du Seuil (con titolo ideologicamente diverso: Formes de la passion), è il caso di sottolineare e ribadire la pertinente sintesi di Forme della passione / Passione delle forme, che definisce esattamente la fotografia di Edward Weston, con tragitto di andata-e-ritorno, senza alcuna soluzione di continuità. Curata da Filippo Maggia, Edward Weston. Una retrospettiva è stata inaugurata nei giorni del Festivalfilosofia (quattordici-sedici settembre), il cui tema portante è stato Le Cose: fino al nove dicembre, all’Ex Ospedale Sant’Agostino, di Modena. A seguire, la mostra proseguirà in una seconda tappa italiana: al Centro Italiano Arte Contem(continua a pagina 30)
Edward Weston. Una retrospettiva, catalogo della mostra, a cura di Filippo Maggia e Francesca Lazzarini; testi di Filippo Maggia e Chiara Dall’Olio; Skira Editore, 2012; 240 pagine 24x28cm; 40,00 euro.
Edward Weston: Dunes, Oceano; 1936 (©1981 Center for Creative Photography, Arizona Board of Regents).
Per tutto l’autunno, fino al nove dicembre, le suggestive sale espositive dell’Ex Ospedale Sant’Agostino, di Modena, ospitano una imponente mostra di Edward Weston, indiscutibilmente uno dei protagonisti della Storia della Fotografia, che ha lasciato una traccia indelebile nel percorso del suo linguaggio espressivo. A seguire, seconda tappa italiana al Centro Italiano Arte Contemporanea, di Foligno, in provincia di Perugia. Emozionante incontro (diretto) con stampe di soggetti che stanno nel cuore di ciascuno di noi. O, almeno, così dovrebbe essere
IVA WESTON
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Edward Weston: Nude; 1936 (©1981 Center for Creative Photography, Arizona Board of Regents).
Edward Weston: Nude; 1936 (©1981 Center for Creative Photography, Arizona Board of Regents).
Edward Weston: Onion Halved, Carmel; 1930 (©1981 Center for Creative Photography, Arizona Board of Regents).
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IL TALENTO DI WESTON
L’intelligenza di Edward Weston traspare in ogni fase della sua esistenza: è una modalità di approccio organizzativo alla vita che si manifesta nell’abilità a seguire razionalmente il proprio istinto con la necessaria disciplina mai schiava di gabbie mentali o, peggio, fisiche. Weston è un uomo aperto al mondo, curioso ma anche critico, generoso, passionale ma sempre lucido sino a sembrare cinico. Comprende immediatamente quanto importante e determinante sia la conoscenza del mezzo tecnico per poter restituire le forme del reale senza ulteriori additivi, con la consapevole presunzione che quelle forme debbano prima trovare la loro completezza estetica nella mente: «Coloro che non provano nulla, che non si preoccupano a dovere del tempo di esposizione rimandando a una successiva manipolazione il raggiungimento di un obiettivo non premeditato, sono destinati al fallimento». La curiosità, peculiarità tipica dei fotografi, lo invita a esplorare tendenze artistiche emergenti in quegli anni -come il cubismo-, a guardare e studiare altre culture -il Giappone e il modernismo espresso dai fotografi del Sol Levante-, a risiedere in un altro paese -il Messico- respirandone a fondo il clima rivoluzionario di quegli anni con tutte le sue contraddizioni ed eccessi, condividendo il quotidiano vivere con importanti artisti locali e l’eco surrealista che rimbalzava dall’Europa già in subbuglio.
L’insaziabile fame di stimoli e di conoscenza, verso le cose come gli umani, accompagnata dal fascino che il “nuovo” esercita in lui, lo portano ad avere intense relazioni con donne che sono anche sue muse, modelle e specialmente compagne, nella vita di tutti i giorni come nell’arte. È proprio in questa sua disponibilità al cambiamento come costante fonte d’ispirazione, e pratica, che consiste il talento di Weston applicato alla fotografia: «La visione, la reazione istintiva, la conoscenza della vita, sono requisiti necessari per coloro che vogliono rappresentare attraverso la lente dell’obiettivo forme di universale interesse [...]. Magari solo un frammento, ma capace di indicare o simboleggiare i ritmi vitali». [...] Il mondo reale, se è già chiaro ai nostri occhi e se noi riusciamo a riconoscerne le forme, non abbisogna di artifizi per essere riprodotto: sia esso il volto di un uomo o una donna, una “olla” o un “jugete” di un qualsiasi artigiano, il cuore di un carciofo o una coppia di funghi, è nella nostra mente che essi diventano sculture dallo sguardo superbo, oggetti che paiono animarsi da sé o verdure eleganti oppure svogliate. Il fotografo deve restituirli come sono e per ciò che in quel momento essi significano: per questo Weston stampa a contatto. Filippo Maggia (estratto dal catalogo della mostra Edward Weston. Una retrospettiva)
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Edward Weston e Sonya Noskowiak: White Radish; 1933 (©1981 Center for Creative Photography, Arizona Board of Regents).
Dalla straordinaria monografia Celebrating the Negative, di John Loengard [su questo stesso numero, da pagina 40]: Pepper #35p, di Edward Weston, del 1930 (anche in copertina della rivista e a pagina 45). Il negativo da pellicola piana grande formato 8x10 pollici (20,4x25,4cm) è tenuto tra le mani da Dianne Nilsen, curatrice dell’archivio dei negativi conservati al Center for Creative Photography, dell’University of Arizona, di Tucson; 15 maggio 1992.
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(continua da pagina 27) poranea, di Foligno, in provincia di Perugia, dal sedici dicembre al successivo diciassette febbraio. Nel percorso/allestimento espositivo all’Ex Ospedale Sant’Agostino, di Modena, dove la scorsa stagione fu presentata la selezione Ansel Adams. La Natura è il mio regno, e nella seconda tappa italiana, appena menzionata, sono scanditi tutti i temi ricercati e investigati da Edward Weston nel suo cammino di pura fotografia, estranea a qualsivoglia altro contenuto espressivo o significato recondito: dai nudi ai paesaggi, attraverso una galleria di ritratti e “oggetti dalla vita quotidiana” (dai suoi famosi peperoni ai giocattoli indigeni, a utensili e arnesi di uso
comune, trasformati in icone surrealiste e postmoderne, come recita la presentazione della mostra). Già annotato, a differenza di altra fotografia del primo Novecento (e anche precedente e poi successiva), a partire da quella umanista di Lewis W. Hine e Jacob A. Riis, tanto per limitare al minimo possibile i richiami, la fotografia di Edward Weston è, ed è stata, espressione di una ricerca ostinata di purezza esteriore (e apparente): nelle forme compositive, nella rigorosa inquadratura, così come nella perfezione quasi maniacale dell’immagine in se stessa e per se stessa. I soggetti sono un pretesto necessario per esprimere «metafore visive degli elementi stessi della natura» (sempre dalla presentazione).
Edward Weston: Cabbage Leaf; 1931 (©1981 Center for Creative Photography, Arizona Board of Regents).
Edward Weston: Saguaro; 1941 (©1981 Center for Creative Photography, Arizona Board of Regents).
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Edward Weston: Cacti; 1931-32 (©1981 Center for Creative Photography, Arizona Board of Regents).
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Nella consecuzione espositiva di Edward Weston. Una retrospettiva, il percorso esistenziale del celebrato autore statunitense è scandito da centodieci opere, realizzate dai primi anni Venti del Novecento fino agli anni Quaranta, in massima parte provenienti dal Center for Creative Photography, dell’University of Arizona, di Tucson, dove è conservato il suo più consistente archivio di stampe originarie (vintage). Realizzate dallo stesso Edward Weston o sotto la sua diretta supervisione, queste stampe fotografiche sono parte fondamentale e imprescindibile del suo lavoro: spesso, copie a contatto, di medie o grandi dimensioni, nelle quali non è concessa alcuna manipolazione dell’immagine, alcuna modi-
fica del e dal negativo originario, perlopiù di grande formato [a pagina 30]. Descritto con una nitidezza assoluta e sottolineando l’entità stessa della materia e le sensazioni che è capace di trasmettere, ogni dettaglio concorre a definire l’idea di perfezione (formale) dell’autore. ❖ Edward Weston. Una retrospettiva, a cura di Filippo Maggia; promossa da Fondazione Fotografia Fondazione Cassa di Risparmio di Modena; sponsor UniCredit. Ex Ospedale Sant’Agostino, largo Porta Sant’Agostino 228, 41100 Modena; fino al 9 dicembre; martedì-venerdì 11,00-13,00 - 15,30-19,00, sabato e domenica 11,00-20,00; ingresso,7,00 euro (martedì, gratuito). ❯ Ciac - Centro Italiano Arte Contemporanea, Foligno PG, dal 16 dicembre al 17 febbraio 2013.
QUESTA È LA VITA?
Wolfgang Tillmans. Neue Welt; con una conversazione tra l’artista e Beatrix Ruf, direttrice della Kunsthalle, di Zurigo, Svizzera; Taschen Verlag, 2012 (distribuzione: Inter Logos, strada Curtatona 5/2, 41126 Modena; www.libri.it); testi in inglese, francese e tedesco; 216 pagine 22,7x30cm; 29,99 euro.
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IGUAZU; 2010
Anche rispetto sue precedenti espressività, il più recente progetto fotografico del tedesco Wolfgang Tillmans, autore contemporaneo di alto e intenso livello, si è allargato ed esteso. Oltre il proprio vissuto, che ha definito i progetti antecedenti, l’attenzione si è allungata al mondo circostante, con dense esplorazioni verso geografie distanti e lontane. L’autore descrive e identifica questa nuova fase fotografica semplicemente come «Provare quello che la macchina fotografica può fare per me, cosa io posso fare per questo»
di Angelo Galantini
A
utore tedesco sostanzialmente defilato dalla corrente nata attorno i coniugi Bernd e Hilla Becher, che hanno dato vita a quella che è conteggiata e già storicizzata come la Scuola di Düsseldorf [FOTOgraphia, maggio 2010], Wolfgang Tillmans si riferisce comunque a una analoga osservazione fotografica, che nel suo caso non si limita ai luoghi, ma include la gente e i contesti sociali dell’esistenza. Tanto che il suo più recente progetto, raccolto in monografia dall’attento e diligente (e tanto altro ancora) Taschen Verlag, di Colonia, e allestito in una avvincente mostra itinerante, che ha preso avvio alla autorevole Kunsthalle, di Zurigo, in Svizzera, lo scorso Primo settembre (e rimane in cartellone fino al quattro novembre),
titola esplicitamente Neue Welt, ovverosia Nuovo mondo. Giusto di questo si tratta: della vita come la vede, osserva e racconta Wolfgang Tillmans, il cui insieme di fotografie definisce la sua concezione del mondo contemporaneo. Nel corso dei recenti venti anni, l’autore-interprete tedesco ha esplorato i riti del costume sociale dei nostri giorni come nessun altro fotografo ha fatto. Da istantanee dei suoi amici e della vita quotidiana attorno a lui a immagini astratte/arbitrarie, realizzate in camera oscura senza macchina fotografica, a elaborazioni visive combinate con la fotocopiatrice, Wolfgang Tillmans ha compiuto una azione doppia (almeno): nel momento nel quale la sua finalità è stata esplicitamente quella di guardarsi attorno, per raccontare, ha altresì analizzato lo stesso processo fotografico, spesso orientato ben oltre le sue caratteristiche espressive originarie e consuete.
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JURYS INN; 2010
ONION; 2010 KILIMANJARO; 2012 2009 MIXER;
SHANGHAI
Questa ricerca, che si concretizza in una incessante serie di immagini (non soltanto fotografie, nell’accezione consueta dell’identificazione), approda alla sua quarta raccolta pubblicata da Taschen Verlag, dopo le precedenti Truth study center (2005), Burg (1998, rieditata nel 2002) e Wolfgang Tillmans (1995, rieditata nel 2002), alle quali si aggiunge una consistente quantità e qualità di altri titoli, curati da gallerie e editori internazionali. Il contenuto dell’attuale Neue Welt si discosta sostanzial-
mente dai trascorsi fotografici dell’autore, che qui cambia il proprio passo, il proprio ritmo, aggiungendo -come annotato- la riflessione sul mezzo alla considerazione del soggetto. L’attuale ragionamento fotografico di Wolfgang Tillmans si è via via allargato ed esteso. Oltre il proprio vissuto, che ha spesso definito i progetti antecedenti, ora l’attenzione si è allungata al mondo circostante, con dense esplorazioni verso geografie distanti e lontane, non soltanto in senso geografico: da Lon-
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TARSIER; 2009
JEDDAH, 2012 MAN;
YOUNG MARKET I; 2012 ASTRO CRUSTRO; 2012
dra e Nottingham alla Terra del Fuoco, alla Tasmania, all’Arabia Saudita e a Papua Nuova Guinea. L’autore descrive e identifica questa nuova fase fotografica semplicemente come «Provare quello che la macchina fotografica può fare per me, cosa io posso fare per questo» (testuale). Da tutto ciò consegue una visione potente e singolare della vita attuale in diverse parti del mondo, osservata da più angolazioni. Annota ancora Wolfgang Tillmans: «In quanto tali, i miei
viaggi sono senza meta, non sono e non vado in cerca di risultati predeterminati, ma mi muovo nella fiducia e convinzione di trovare argomenti che in qualche modo raccontino di altri in relazione al tempo che ho dentro di me». In metafora, è come se il fotografo fosse partito con uno zaino pieno di speranze, per tornare a casa con una valigia colma di esperienze. E noi con lui. ❖
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AL NEGATIVO! W. Eugene Smith: Dr. Albert Schweitzer; 1954. Center for Creative Photography, University of Arizona, Tucson (novembre 1978).
Alexander Gardner: Abraham Lincoln; 1863. Mani di Ann Shumard, National Portrait Gallery, Washington DC (15 ottobre 1992).
Alfred Eisenstaedt: Headwaiter René Breguet; 1932. Mani di Alfred Eisenstaedt, Time-Life Lab, New York City (4 marzo 1992).
Henri Cartier-Bresson: Behind the Gare St. Lazare; 1932. Mani di George Fèvre, Parigi (11 marzo 1987).
Richard Avedon: Ronald Fischer, Beekeeper; 1981. Mani di Richard Avedon, New York City (3 maggio 1994).
Senza la presentazione delle relative immagini, in positivo, su carta. Torniamo a occuparci di una monografia irrinunciabile, che raccoglie una serie di negativi di immagini che appartengono alla Storia della Fotografia. Ovviamente, quello con il quale l’intrigante John Loengard ha composto il suo Celebrating the Negative è un punto di vista personale, da un osservatorio mirato. Ma che splendida idea, ma che fantastico casellario 41
Walker Evans: Photographer’s Window Display, Birmingham, Alabama; 1936. Mani di Jan Grenci, Library of Congress, Washington DC (8 luglio 1992).
Alfred Eisenstaedt: V-J Day; 1945. Mani di Alfred Eisenstaedt, Time-Life Lab, New York City (4 marzo 1992).
Harry Benson: The Beatles; 1963. Mani di Harry Benson, New York City (20 agosto 1994).
Philippe Halsman: Dalí Atomicus; 1948. Mani di Yvonne Halsman, New York City (27 ottobre 1992).
di Maurizio Rebuzzini Brassaï (Gyula Halàsz): La Môme Bijoux; 1932 circa. Mani di Gilberte Brassaï, Parigi (24 aprile 1994).
Jacques-Henri Lartigue: Avenue des Acacias; 1911. Mani di Noel Bourcier, Mission du Patrimoine Photographique, Parigi (31 marzo 1993).
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E
sistono! Sono veri! E oggi li possiamo vedere -anche se non li possiamo ancora toccare-, grazie a una geniale operazione condotta dal coinvolgente John Loengard, che è stato photo editor di Life, e che abbiamo già incontrato per il suo appassionante reportage su Georgia O’Keeffe, riunito nella monografia Dipinti e fotografie, pubblicata da Johan & Levi Editore [FOTOgraphia, giugno 2007]. Con parata di formati diversi (dalla lastra 43x50cm del ritratto di Abraham Lincoln, di Alexander Gardner, del 1863 [a pagina 41], ai
tanti 24x36mm delle istantanee e dei reportage del Novecento), sono i negativi di una selezionata serie di cinquantadue fotografie storiche, che John Loengard ha cercato e raggiunto in giro per il mondo, e che nel corso degli anni ha fotografato con una impeccabile uniformità formale. Così è stata creata una sorta di casellario, che percorre uno dei possibili tragitti della storia evolutiva del linguaggio fotografico, osservato da un punto di vista adeguatamente individuale. Non vogliamo discutere le scelte di John Loengard, ovviamente americanocentriche, ovviamente parziali, ovviamente personali (e magari anche condizionate da vincoli insuperabili: qua-
QUARANTATRÉ PER CINQUANTADUE
le, per esempio, l’impossibilità di avvicinare negativi tutelati da rigorosi sistemi di sicurezza, oppure protetti da severi contratti assicurativi). Neppure vogliamo contrapporre un altro tipo di percorso: che ovviamente sarebbe altrettanto parziale e personale. Ciò che ci interessa puntualizzare è proprio la grandezza dell’idea messa in pagina in Celebrating the Negative, volume edito dal newyorkese Arcade Publishing, nel 1994. Tutte le fotografie di John Loengard sono simili. Il negativo scelto e individuato è tenuto tra le mani dell’autore o curatore dell’archivio, ed è disposto sopra un piano luminoso che gli dà adeguato risalto.
I cinquantadue negativi riuniti da John Loengard nella monografia Celebrating the Negative, che a metà degli anni Novanta ha accompagnato l’iter espositivo della mostra omonima, allestita in numerose sedi statunitensi, compongono una selezionata aristocrazia della fotografia, tratteggiata con immagini di quarantatré grandi autori. Eccoli, in ordine alfabetico, diverso dall’accesso casuale del libro, sul quale le singole raffigurazioni sono svincolate da qualsivoglia sequenza oggettiva, ma dipendono esclusivamente dalla cadenza e dal ritmo voluti dall’autore. Salvo moderate eccezioni -nel francese originario-, le identificazioni delle fotografie sono in inglese, come è sul libro. Ansel Adams: Moonrise, Hernandez, New Mexico; 1941. Richard Avedon: Ronald Fisher, Beekeeper; 1981 [a pagina 40]. Dmitri Baltermants: Grief; 1941. Frederick E. Barstow: Glass Cracking; 1938. Harry Benson: The Beatles; 1963 [pagina accanto]. Margaret Bourke-White: Buchenwald; 1945. Margaret Bourke-White: Louisville Flood; 1937. Bill Brandt: Drawing Room in Mayfair; 1936 circa. Brassaï (Gyula Halász): La Môme Bijoux; 1932 circa [in questa pagina]. Wynn Bullock: Child in Forest; 1951. Harry Callahan: Aix-en-Provence; 1958. Robert Capa: D-Day; 1944. Henri Cartier-Bresson: Behind the Gare St. Lazare; 1932 [a pagina 41]. Imogen Cunningham: The Unmade Bed; 1957. Imogen Cunningham: Magnolia Blossom; 1925. Louise Dahl-Wolfe: Betty Threat Washing Her Hair in a Japanese Bath; 1954 circa. Harold E. Edgerton: Golfer Densmore Shute; 1938. Harold E. Edgerton: Antique Gun; 1936. Alfred Eisenstaedt: V-J Day; 1945 [pagina accanto]. Alfred Eisenstaedt: Headwaiter René Breguet; 1932 [a pagina 41]. Walker Evans: Bud Fields and Family; 1936. Walker Evans: Photographer’s Window Display, Birmingham, Alabama; 1936 [pagina accanto]. Nat Fein: Babe Ruth Farewell; 1948 [a pagina 46]. Andreas Feininger: Helicopter; 1949. Alexander Gardner: Abraham Lincoln; 1863 [a pagina 41]. Philippe Halsman: Dalí Atomicus; 1948 [pagina accanto]. Lewis Wickes Hine: Donnie Mercurio, Newsboy, Washington; 1912. Lewis Wickes Hine: Icarus atop the Empire State Building; 1931. Yousuf Karsh: Winston Churchill; 1941. Yousuf Karsh: George Bernard Shaw; 1943. André Kertész: Satiric Dancer; 1926. André Kertész: Meudon; 1928. Alvin Langdon Coburn: The Octopus; 1912. Dorothea Lange: Plantation Owner Near Clarksdale, Mississippi; 1936. Jacques-Henri Lartigue: Avenue des Acacias; 1911 [in questa pagina]. Man Ray: Solarization; 1931. Man Ray: Femme avec Lounge Cheveux; 1929 circa. Barbara Morgan: Letter to the World (Kick); 1940. Martin Munkacsi: Dancers in Seville; 1930. Nickolas Muray: Babe Ruth; 1940 circa. Arnold Newman: Igor Stravinsky; 1946. Joe Rosenthal: Iwo Jima Flag Raising; 1945. Andrew Joseph Russell: Meeting of the Rails at Promontory Point; 1869. Sebastião Salgado: Gold Mine, Serra Pelada, State of Pard, Brazil; 1986 / Greater Burhan Oil Field, Kuwait; 1991 [a pagina 46]. Orlando Scott Goff: Chief Joseph; 1877. Aaron Siskind: Pleasures and Terrors of Levitation (#63); 1956. W. Eugene Smith: Dr. Albert Schweitzer; 1954 [a pagina 41]. Ralph Steiner: Ham and Eggs; 1934 circa. Paul Strand: New York; 1916 / Orange and Jug on Porch; 1916 / Jug and Fruit; 1916 / Chair; 1916. Weegee (Arthur H. Fellig): The Critic; 1943. Brett Weston: Negatives, Burned at His 80th Birthday Celebration [a pagina 46]. Edward Weston: Pepper #35p; 1930 [a pagina 45].
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L’EPOCA DELL’ARGENTO
Autore dello stupefacente Celebrating of the Negative, John Loengard ha riunito in un’altra avvincente monografia la sua frequentazione dei fotografi contemporanei e degli archivi che conservano l’opera di quelli precedenti. Pubblicato nel 2011, da PowerHouse Books, Age of Silver (L’epoca dell’argento) è esattamente ciò che promette il suo sottotitolo esplicito: Encounters with Great Photographers, ovverosia incontri con grandi fotografi. In copertina, Richard Avedon nel suo studio, seduto davanti a un sostanzioso ingrandimento di un soggetto della sua fantastica serie di ritratti di American West; subito in frontespizio, su doppia facciata, un coinvolgente ritratto di Henri Cartier-Bresson, nella sua casa, a Parigi, con una Leica M4 portata all’altezza dell’occhio; pagina dopo pagina, incontri fantastici. Per quanto la base ideologica sia analoga a quella della monografia Celebrating the Negative, oggi in (ulteriore) passerella redazionale, Age of Silver celebra l’epopea della fotografia contemporanea con una serie di colloqui con cinquantotto fotografi, incontrati nella vita privata piuttosto che su un set, compresi fotografi scomparsi, considerati attraverso le loro opere (alcuni nomi, sopra tutti: Margaret Bourke-White, Louise Dahl-Wolfe, Man Ray, Bill Brandt, Lewis W. Hine, Robert Capa, W. Eugene Smith, Harold E. Edgerton, Martin Munkácsi, Edward Weston, Alexander Gardner e Walker Evans). Più delle immagini a corredo, autentici dietro-le-quinte di straordinario fascino (anche feticistico, perché non ammetterlo), in questo caso sono fondamentali i testi di accompagnamento e commento, purtroppo in inglese. Anche per questa raccolta, la segnalazione dei fotografi che fanno parte del fantastico casellario, una volta ancora in ordine alfabetico, estraneo alla messa in pagina del libro (alcuni dei quali inclusi anche in Celebrating the Negative, da cui si riprendono anche alcuni negativi presentati su fondo retroilluminato). Berenice Abbott (Abbot, Maine, 1981 / Monson, Maine, 1981); Ansel Adams (Carmel Highlands, California, 1984); Lucien Aigner (Lenox, Massachusetts, 1982); Richard Avedon (New York City, 1994); Dmitri Baltermants (Mosca, 1984); Harry Benson (New York City, 1991); Margaret Bourke-White (Archivio di Time-Life, New York City, 1992); Bill Brandt (Londra, 1994); Brassaï (Gyula Halász) (Parigi, 1981); Wynn Bullock (University of Arizona, Tucson, 1992); Harry Callahan (Atlanta, Georgia, 1994); Cornell Capa (New York City, 1993); Robert Capa (New York City, 1993); Henri Cartier-Bresson (nei pressi di Forcalquier e Parigi, 1987); Imogen Cunningham (Oakland, California, 1993); Louise Dahl-Wolfe (University of Arizona, Tucson, 1993); Harold E. Edgerton (Littletown, Massachusetts, 1993); Alfred Eisenstaedt (Jones Beach, Wantagh, New York, 1981 / Archivio di Time-Life, New York City, 1992 / New York City, 1988); Walker Evans (The Library of Congress, Washington DC, 1992); Nat Fein (Tappan, New York, 1994); Andreas Feininger (New York City, 1992); Alexander Gardner (National Portrait Gallery, Washington DC, 1992); Allen Ginsberg (Lawrence, Kansas, 1996); David Goldblatt (Johannesburg,
Age of Silver. Encounters with Great Photographers, di John Loengard; introduzione di David Friend; PowerHouse Books, 2011; 200 illustrazioni; 136 pagine 25x31,7cm; 45,00 dollari.
Sudafrica, 1989); Philippe Halsman (New York City, 1992); Lewis W. Hine (George Eastman House, Rochester, New York, 1993); Yousuf Karsh (Ottawa, Canada, 1984); André Kertész (New York City, 1981 / Parigi, 1993); Dmitri Kessel (Parigi, 1984); Yevgeni Khaldei (Mosca, 1984); Alfred Kumalo (Johannesburg, Sudafrica, 1989); Olga Lander (Mosca, 1984); Brian Lanker (New York City, 1989); Jacques Henri Lartigue (Parigi, 1981); Annie Leibovitz (New York City, 1991); Stefan Lorant (Lenox, Massachusetts, 1982); Jay Maisel (New York City, 1982); Man Ray (Parigi, 1994); Matuschka (New York City, 1993); Jun Miki (Tokyo, 1987); Gjon Mili (New York City, 1983); Martin Munkácsi (New York City, 1994); Carl Mydans (Larchmount, New York, 1985); Doris C. O’Neil (Danbury, Connecticut, 1984); John Phillips (New York City, 1985); Mark Redkin (Mosca, 1984); Sebastião Salgado (Parigi, 1993); Charles Sheeler (Irfington, New York, 1963); W. Eugene Smith (University of Arizona, Tucson, 1978); Roger Thérond (Parigi, 1989); David e Peter Turnley (Parigi, 1989); James Van Der Zee (New York City, 1981); Sam Wagstaff (New York City, 1984); William Wegman (Ranger Lake, Maine, 1991); Brett Weston (University of Arizona, Tucson, 1993); Edward Weston (University of Arizona, Tucson, 1993); Yao Qirong (Guiyang, Cina, 1989); Boris Yaroslavtsev (Mosca, 1984).
Con rigore museale, sono riportati i dati di identificazione dello stesso negativo, primo tra tutti il luogo della sua conservazione, e non è stata omessa l’indicazione di chi lo sta trattenendo tra le proprie mani. Dopo di che, un testo commenta la fotografia in oggetto che, attenzione, non viene presentata: si dà per scontato che si tratti di una immagine universalmente nota, già sufficientemente definita dalla propria visione al negativo. E chi non riesce a identificarla, ripassi la storia della fotografia. Proprio questo ritorno all’originale assoluto sollecita tante riflessioni, e ciascuno abbia le proprie. Le nostre sono soprattutto due, di contor-
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no. Anzitutto, ci siamo chiesti come mai in alcuni casi il fotogramma 24x36mm sia stato tagliato, per una sua conservazione isolata e svincolata dall’intero rullino al quale appartiene: per esempio, così è per gli scatti di Robert Capa dello sbarco in Normandia (mentre per il soggetto di Henri Cartier-Bresson, Behind the Gare St. Lazare / Dietro la stazione di St. Lazare, ci domandiamo anche perché sia stata eliminata pure una delle due perforazioni perimetrali [a pagina 41]). In secondo luogo, abbiamo apprezzato la presentazione dei negativi interi, che in molti casi sono stati reinquadrati in fase di stampa delle copie (così come sono note e conosciute).
Edward Weston: Pepper #35p; 1930. Mani di Dianne Nilsen, Center for Creative Photography, University of Arizona, Tucson (15 maggio 1992).
E, poi, aggiungiamo una terza considerazione, relativa alle dimensioni dei negativi, spesso in pellicola piana grande formato, o lastra (in relazione ai rispettivi tempi storici), anche nel caso di fotografie di fotogiornalismo. Proprio questo avvincente dietro-le-quinte dello scatto è un valore in più di una particolare lettura e decifrazione della Storia della Fotografia. Non si tratta soltanto di un diletto feticistico, che potrebbe anche starci (e ognuno faccia i conti con se stesso), quanto di ulteriore approfondimento di quello stretto legame che spesso -e in una certa maniera- subordina la creatività alla tecnica. Almeno, la pensiamo così.
Ma non è tutto. E qui la confessione è imbarazzante. Ogni volta che incontriamo l’irripetibile, cioè l’oggetto unico, siamo colti da una tentazione che respingiamo con fatica: d’istinto, vorremmo distruggerlo. Nel senso che il terrore di vederlo deteriorare nel tempo, oppure -peggio- di poterlo perdere, ci fa preferire la sua eliminazione immediata: così non ci pensiamo più. Le immagini alle quali si riferiscono i negativi censiti da John Loengard sono tanto conosciute e appartengono talmente alla storia della fotografia e a quella del costume sociale, che siamo in ansia proprio per questi negativi, da cui tutto ha avuto inizio. Liberiamoci di loro, e vivremo più tranquilli!
Celebrating the Negative, di John Loengard, cinquantadue negativi di fotografie storiche scattate da quarantatré grandi autori (in copertina, Satiric Dancer, di André Kertész, del 1926; in quarta di copertina, Babe Ruth, di Nickolas Muray, del 1940 circa); Arcade Publishing, 1994; 112 pagine 22,5x28cm, cartonato con sovraccoperta; in origine 29,95 dollari, attualmente quotato 120,00 dollari (almeno).
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Nat Fein: Babe Ruth Farewell; 1948. Mani di Nat Fein, Tappan, New York (21 dicembre 1992).
Sebastião Salgado: Gold Mine, Serra Pelada, State of Pará, Brazil; 1986 / Greater Burhan Oil Field, Kuwait; 1991. Mani di Sebastião Salgado, Parigi (31 marzo 1993).
Brett Weston: Negatives, Bourned at His 80th Birthday Celebration; 1992. Mani di Dianne Nilson, Center for Creative Photography, University of Arizona, Tucson (15 maggio 1992).
Del resto, simbolicamente?, la carrellata di John Loengard si conclude con le ceneri di negativi che Brett Weston ha bruciato durante la celebrazione dei suoi ottant’anni (il 15 maggio 1992 -anche se il compleanno anagrafico era del precedente sedici dicembre-, un anno prima della sua scomparsa, il 22 gennaio 1993 [qui sopra, a destra]). E qui si aggiunge un altro possibile dibattito. Tutte le stampe fotografiche prodotte in tempi successivi la scomparsa dell’autore sono comunque una rielaborazione a partire da negativi originali. Sono una interpretazione ideale da parte dello stampatore di fiducia. Da cui partono considerazioni relative alla gestione attuale di ne-
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gativi realizzati indietro nei decenni. Si citano casi di autori che, come Paul Strand e Ansel Adams, hanno specificamente dato il proprio assenso a stampare le proprie immagini a titolo postumo, invitando -a conseguenza- verso nuove riflessioni sul proprio lavoro, ovviamente sollecitate e determinate dalle inevitabili evoluzioni tecnologiche dei mezzi, e accettando di non sottrarsi al giudizio dei posteri. Al contrario, eccoci!, Brett Weston ha formalmente bruciato i propri negativi. In ogni caso, e per chiudere, onore e merito a John Loengard. Questo suo Celebrating the Negative è un autentico e suggestivo monumento alla Storia della Fotografia. ❖
CIÒ CHE
CAMBIA
CITTÀ 8:
MERCOLEDÌ
7
GENNAIO
1976
di Angelo Galantini
A
ttorno a noi si stanno manifestando continui e costanti microcambiamenti, che nel giro di qualche anno produrranno trasformazioni sociali consistenti. Per quanto possiamo aver già osservato quanto accade in altre geografie (magari anche prossime, fossero soltanto europee, a portata di mano), a causa di una mancanza di autorevolezza del Potere, ciò che sta accadendo in Italia si svolge in modo disordinato
e confuso: ma si distende comunque. Nelle nostre città, le comunità in immigrazione stanno acquisendo posizioni sempre più evidenti, andando a occupare soprattutto il commercio al minuto. Tanto che, solo per esemplificare, qui attorno la nostra redazione i negozi gestiti da immigrati sono quantitativamente consistenti e preponderanti, sia con attività proprie sia nella conduzione di esercizi tradizionali (diciamola così). Prima di proseguire, subito una precisazione: personalmente siamo affascinati dal movimento dei popoli, che nella storia dell’Uomo si è sempre accompagnato con evoluzio-
1953 MAGGIO
6 MERCOLEDÌ
CITTÀ 1:
Sollecitiamo una certa applicazione della fotografia, come documento del Tempo e sua testimonianza: oltre quanto già tanta fotografia realizza. Concretamente, si dovrebbe registrare come e quanto -giorno per giorno- qualcosa cambia attorno a noi, in modo che rimangano attestati fotografici che raccontino l’inesorabile corso degli eventi. Soprattutto, richiamiamo i microcambiamenti sociali che stanno influenzando sul e nel nostro quotidiano, e che poi -nel giro di qualche anno- produrranno trasformazioni sociali consistenti
16 AGOSTO 1956 GIOVEDÌ
CITTÀ 2: 1959 NOVEMBRE
20 VENERDÌ
CITTÀ 3: 1963 GENNAIO
19 SABATO
CITTÀ 4:
ni positive, con interscambi fantastici e irrinunciabili. Purtroppo per l’Italia, ridurre tutto questo a sola questione di ordine pubblico non consente di apprezzare quanto sia straordinario l’incontro di culture, usanze e tradizioni, ognuna teoricamente capace di arricchire le altre. Ancora purtroppo, per mille motivi, il giornalismo, e in consecuzione diretta il fotogiornalismo, non stanno annotando, né registrando, questa sottile, quanto capillare, metamorfosi, che sta alla base di una sostanziosa trasformazione sociale. Forse, il giornalismo e il fotogiornalismo -a ridosso- non possiedono gli strumenti espressivi per farlo, per poterlo fare. Se vogliamo vederla anche così, è paradossale annotare co-
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me e quanto soltanto il cinema (soprattutto quello statunitense e quello francese, anche in forma di serie televisive) si stia rivelando capace di annotare con garbo e -spesso- sentimento il nuovo clima, appunto innescato dal movimento dei popoli. Un esempio sopra tutti, e per tutti, è lo stupefacente film di Clint Eastwood (maestro di affetti e passioni) Gran Torino, del 2008, diretto e interpretato con maestria fuori dal comune. Bene, o male. Nella sua espressione di fotogiornalismo, la fotografia è oggi assente da questa rilevazione, che speriamo sia comunque svolta dalla fotografia non professionale, polverizzata sul territorio italiano, che potrebbe fare capo alle associazioni che tengono le fila dei circoli locali, dan-
17 APRILE 1966 DOMENICA
CITTÀ 5: 1969 LUGLIO
14 LUNEDÌ
CITTÀ 6: 1972 OTTOBRE
3 MARTEDÌ
CITTÀ 7:
do loro dimensione nazionale. Lo auspichiamo e ci illudiamo che questo possa avvenire. Ecco, quindi, che proponiamo due serie di tavole realizzate alla metà degli anni Settanta dall’illustratore tedesco Jörg Muller, entrambe relative alla sistematica trasformazione della campagna e della città tedesca [rispettivamente, presentate sulla doppia pagina 52-53 (campagna) e in questa doppia pagina (città), con estremi di partenza e fine sulla precente doppia pagina 48-49]. In effetti, all’indomani della Seconda guerra mondiale, proprio la Germania ha dovuto fare i conti con una ricostruzione dai bombardamenti, che hanno distrutto molto. Da cui, una ricomposizione che ha tenuto conto di inevitabili
modernità d’ambiente. La cadenza delle illustrazioni alle quali ci riferiamo e richiamiamo è scandita al ritmo del passaggio degli anni, con tempistica stagionale e cadenza sui sette giorni della settimana, da mercoledì a martedì: 6 maggio 1953, 16 agosto 1956, 20 novembre 1959, 19 gennaio 1963, 17 aprile 1966, 14 luglio 1969 e 3 ottobre 1972 (e ottava tavola mercoledì 7 gennaio 1976, per la sola visualizzazione della seconda serie, quella della trasformazione della città).
PRIMA-DOPO (INEVITABILMENTE?) In venticinque anni, circa, il panorama urbano tedesco si è completamente stravolto: dal passato al presente-futuribi-
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CAMPAGNA 4:
SABATO
19
GENNAIO
1963
CAMPAGNA 3:
VENERDÌ
20 NOVEMBRE
1959
CAMPAGNA 2: GIOVEDÌ
16 AGOSTO 1956
CAMPAGNA 1: MERCOLEDÌ
6 MAGGIO
1953
17 APRILE 1966 DOMENICA
CAMPAGNA 5: 1969 LUGLIO
14 LUNEDÌ
CAMPAGNA 6: 1972 OTTOBRE
3 MARTEDÌ
CAMPAGNA 7:
le, senza alcun rimorso, né incertezza. A conti fatti, seppure accelerato dagli eventi, si è trattato di un cambio generazionale consueto, simile a quanti tanti lo hanno preceduto negli anni, nei decenni, nei secoli passati (in questa fase, per dirne una, scandito anche dal passaggio dalla bottega al supermercato). Qualcosa di simile è capitato anche nel nostro paese, ma non è questo che riguarda -ancoral’attualità alla quale ci stiamo riferendo. Infatti, queste tavole sono qui proposte a titolo di esempio macroscopico, mentre oggi assistiamo a cambiamenti microscopici, che sarebbero alla portata della rilevazione fotografica. Ed è in questo senso che sollecitiamo una certa applica-
zione della fotografia, come documento del Tempo e sua testimonianza. Concretamente, si dovrebbe registrare come e quanto giorno per giorno qualcosa cambia attorno a noi, in modo che rimangano attestati fotografici che raccontino l’inesorabile corso degli eventi. Delle due, entrambe. Da e con Edward Steichen (1969, in occasione del suo novantesimo compleanno): «Missione della fotografia è spiegare l’uomo all’uomo e ogni uomo a se stesso». Da e con Auggie Wren (l’attore Harvey Keitel, in Smoke, di Paul Auster, del 1995): «Sai com’è: domani e domani e domani, il tempo scorre a piccoli passi». In ogni caso, microcambiamenti da registrare. ❖
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Collezionare di Angelo Galantini
I
CINQUE AUTORI
In occasione della prima edizione di Affordable Art Fair Roma, dal ventisei al ventotto ottobre, a Macro Testaccio La Pelanda, in piazza Orazio Giustiniani 4, nell’ambito dell’undicesima edizione del Festival Internazionale della Fotografia di Roma, la galleria online di fotografia d’autore Aristocratic (www.artistocratic.com) presenta Nicola Cicognani, Franca Giovanrosa, Frances Lansing, Lelli e Masotti e Giorgio Majno. In linea con la regola della manifestazione, che richiede opere di valore inferiore a cinquemila euro, Artistocratic propone artisti contempo-
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ranei ed emergenti, caratterizzati da quotazioni abbordabili e intriganti. In questo senso, la selezione di opere intende dare il senso del poliedrico universo della fotografia contemporanea: una collezione capace di raccontare il mondo reale e immaginario attraverso sguardi e creatività diverse. Con ordine. Autore che si sta affermando con forza nel panorama della fotografia d’autore, Nicola Cicognani racconta le atmosfere metropolitane vissute tra le strade, i negozi, i mercati di Palermo e nelle periferie delle città. Coglie
il fascino delle architetture, delle geometrie, dei colori e delle luci, talvolta soffermandosi sulle persone. Le opere presentate appartengono al progetto Palermo, del 2009, e alla sua più recente ricerca fotografica, Un istante prima o un istante dopo. Artista emergente, Franca Giovanrosa indaga la metropoli attraverso il suo personale sguardo: la città è vista come luogo di isolamento. Nelle serie Cittàltra e Senza Pace, i soggetti della sua ricerca sono le strutture architettoniche degli edifici, delle strade, dei ponti, che diventano linee geo-
Lelli e Masotti (Silvia Lelli e Roberto Masotti), Theatrum Instrumentorum: Sulle Corde (1977), Morimur (2000), Petracchi (1982).
Giorgio Majno: City #6 Chicago (1983), City #3 Chicago (1983).
Collezionare
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Collezionare Nicola Cicognani: Salumeria al Capo (2010).
Frances Lansing: Storm coming (1987).
Franca Giovanrosa: Cittàltra #35 (2009).
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metriche scolpite su uno sfondo seppia e inquadrate all’interno di cornici di ferro trattato. Linee rigide, tagli prospettici serrati, che trasformano le città fotografate in quadri che rimandano alla disciplina formale dell’arte degli anni Venti, al ritorno all’ordine. Artista eclettica nata a New York, poi trasferitasi sulle rive dell’Arno, Frances Lansing presenta il progetto Realtà. Otto immagini che richiamano la classicità dell’arte paesaggistica, realizzate con un linguaggio contemporaneo, dalle atmosfere fiabesche. Soggetti in miniatura, posti su un palcoscenico inventato, diventano personaggi della vita di tutti i giorni. Realtà e finzione convivono nelle inquadrature di Frances Lansing, perché «La realtà, quello strato superficiale che avviluppa gli oggetti materiali e i soggetti viventi e li mantiene nel presente, sembra essere preservata dal processo fotografico». Noti a livello internazionale e specializzati nell’ambito della musica e del teatro, Lelli e Masotti (Silvia Lelli e Roberto Masotti) presentano Theatrum Instrumentorum. La serie esplora lo strumento musicale come oggetto di indagine per la propria natura antica e preziosa, per la struttura e forma, ma anche per la sua presenza contemporanea. La loro fotografia in bianconero coglie l’attimo prima della musica, il momento nel quale lo strumento inizia a vibrare. Le note sono rappresentate dalle ombre, dai giochi di chiaro-scuro, dalle immagini quasi sfocate, che danno l’idea del ritmo. Infine, Giorgio Majno, artista che si contraddistingue per la sua ricerca formale che va a scardinare logiche consolidate, propone due serie: la danza, in Slit Camera, e Chicago degli anni Ottanta, in City. Come ha annotato la critica Gigliola Foschi, «Giorgio Majno gioca con l’imprevedibile e con il caso, fino a creare immagini dove la realtà si metamorfizza, si moltiplica, si stratifica, si scompone e ricompone. La sua macchina fotografica non congela più l’attimo, ma lo segue, lo estende e lo dilata». Come Eadweard Muybridge, autore della Storia, il primo ad analizzare il movimento, alla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento, Giorgio Majno ferma il gesto, il moto, creando una visione stranita e vitale, nella quale le immagini rianimano e risvegliano la città e i passi di danza. ❖
Biodiversità di Angelo Galantini
PATRIMONIO DA CONOSCERE
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ANTONELLO PROVENZALE
I
Inaugurata lo scorso diciannove settembre, al Centro medico Santagostino, di Milano, una mostra fotografica è specificamente dedicata alla biodiversità degli ecosistemi alpini: in esposizione fino al sedici novembre. L’allestimento riprende quanto presentato nella selezione La biodiversità delle praterie alpine nelle Alpi occidentali, realizzata a cura del Parco Nazionale Gran Paradiso, del Parco Naturale Regionale Orsiera-Rocciavrè, dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (Isac) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino, presentata nella sede del Museo, nel capoluogo piemontese, nel novembre 2009. Come altre nostre precedenti segnalazioni (sopra tutte, le mostre di Cesare Gerolimetto negli ospedali di Treviso e Bassano del Grappa, in provincia di Vicenza; FOTOgraphia, marzo 2012), ancora la fotografia si propone in una vetrina alternativa, in un contesto no profit, che coniuga l’arte con la vita di tutti i giorni: una cornice diversa dalla consueta autoreferenzialità, che permette di avvicinarsi all’espressività fotografica in maniera inedita e inaspettata, per entrare in contatto con quello che può essere definito il lato estetico della vita, anche nella quotidianità. In mostra, fotografie di Dante Alpe, Guido Bissattini, Paolo Braghin, Dario De Siena, Andrea De Zan, Alessandro Girodo, Paolo Gislimberti, Annalisa Losacco, Rocco Malgeri, Riccardo Oggioni, Mauro Pasquero, Antonello Provenzale e Renato Valterza. Osservando un piccolo e prezioso repertorio di immagini di valli, boschi, laghi, animali, piante e rocce delle praterie alpine piemontesi e valdostane, la fotografia rende concreto un concetto complesso come quello della biodiversità, così definita dal World Wide Fund for Nature (Wwf): «I milioni di piante, animali e microorganismi, i geni che contengono, e gli intricati ecosistemi che contribuiscono a formare nell’ambiente». La biodiversità è al centro della vi-
Nelle Alpi occidentali, le aree aperte d’alta quota ospitano una grande quantità di laghi alpini.
Sopravvivere grazie a una fuga veloce: una lepre variabile si allontana con grandi balzi, attraversando un’area aperta, priva di ripari.
RICCARDO OGGIONI
Biodiversità
DANTE ALPE
Anche per molti animali, l’inverno è una stagione difficile: freddo, neve e carenza di cibo.
ta: spesso più vicina a noi di quanto non crediamo, è una straordinaria risorsa anche per la vita quotidiana dell’uomo, un patrimonio inestimabile da conoscere, proteggere e conservare. Le Alpi, in particolare, offrono panorami splendidi e ecosistemi ricchi di biodiversità, ma sono anche ambienti fragili e particolarmente esposti alle modifiche del territorio, all’inquinamento, oppure ai cambiamenti climatici. Testimoniando l’estrema varietà e ricchezza naturale racchiusa in queste aree protette, le fotografie raccolte in mostra fanno conoscere la grande bellezza degli ecosistemi alpini, ma anche sensibilizzano il pubblico, ponendo l’accento sulla necessità della loro protezione e l’importanza di una crescita economica e turistica sostenibile, che non distrugga un patrimonio di tutti. ❖ La biodiversità delle praterie alpine nelle Alpi occidentali. Centro Medico Santagostino, piazza Sant’Agostino 1, 20123 Milano; 02-89701701; www.cmsantagostino.it. Fino al 16 novembre; lunedì-venerdì 8,30-20,00, sabato 8,30-13,00.
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Storia degli apparecchi di Antonio Bordoni
A
E CONTAREX SIA
Ammesso e non concesso che la storiografia degli apparecchi fotografici abbia senso e diritto di esistere (e per noi è assolutamente ammesso e concesso), all’interno della rigorosa messa in pagina dell’affascinante il libro Contarex -che l’argomento trattato prevede e impone- sono nascoste perle straordinarie e scoperte eccezionali. Non avrebbe potuto essere diversamente, considerata la singolare statura dei due autori, Pierpaolo Ghisetti e Marco Cavina, che tra tanti altri loro interessi privati e intimi hanno elevato la storia evolutiva della tecnologia fotografica a impegno assoluto, oltre che inderogabile. Ne riveliamo subito due. A pagina centotré della consistente fogliazione (di duecentodiciotto pagine totali 21x29,5cm) si incontra la presentazione e disamina dello zoom Zeiss Vario-Sonnar 40-120mm f/2,8, arrivato sul mercato fotografico nel 1971 e prodotto in un unico lotto di mille esemplari. Oltre le parole -competenti e opportune-, e le illustrazioni di accompagnamento -convincenti e avvincenti-, è riportata una dettagliata analisi ottica, condotta sulla base dei dati matematici originari del progetto, che i due autori Pierpaolo Ghisetti e Marco Cavina hanno rintracciato e recuperato nella propria certosina ricerca storica, che attraversa, caratterizza e definisce tutta la loro dotta relazione. Ancora, la passerella dello Zeiss Hologon 15mm f/8, uno dei più fantastici ipergrandangolari di tutta la Storia, si accompagna con le visualizzazioni grafiche originarie del progettista Erhald Giatzel (che lo disegnò insieme a Hans Schultz, un altro matematico che ha operato presso la divisione ottica Carl Zeiss), che mostrano sia la conformazione di partenza, sia le evoluzioni e modificazioni che sono intervenute nelle configurazioni successive. Due esempi, questi, che certificano lo spessore e valore di il libro Contarex, di Pierpaolo Ghisetti e Marco Cavina, che è intitolato proprio così: con la partenza in minuscolo, che
abbiamo conservato, e con la specifica assoluta. In effetti, questo è proprio il libro di un sistema fotografico che ha illuminato i decenni immediatamente susseguenti ai Cinquanta, non soltanto un libro. Reflex di alta qualità formale, la Contarex vive oggi nella memoria (e nel cuore) di una nicchia di appassionati. Di certo, non condivide il successo antiquario di altri richiami e riferimenti più appetibili (nessun nome, per cortesia). Ma, altrettanto certamente, è spunto per riflessioni e osservazioni sull’evoluzione tecnologica del mezzo fotografico che non si esaurisce in se stessa e con i suoi soli riferimenti e valori. In questo senso, in apertura di testo, immediatamente dopo l’inevitabile e pertinente prefazione, che annota i punti fermi dell’intera trattazione, gli autori Pierpaolo Ghisetti e Marco Cavina riportano una rapida storiografia condensata delle reflex degli anni Cin-
il libro Contarex, di Pierpaolo Ghisetti e Marco Cavina; New Old Camera, 2012 (via Rovello 5 / via Dante 12, 20121 Milano; 02-36589216; www.newoldcamera.com, info@newoldcamera.it); 218 pagine 21x29,7cm; 80,00 euro.
A destra, dall’alto: grandangolare Zeiss Distagon 18mm f/4 con filtri, custodie in cuoio e adattatore; il dorso da diciassette metri di pellicola 35mm, con la propria confezione originale; dalla ampia gamma di accessori Contarex.
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Storia degli apparecchi Contarex I prima serie e Contarex I-D, con pertinente sottolineatura dei relativi dettagli costruttivi e distintivi: tra i quali lo sbocco per il sollevamento preventivo dello specchio reflex, con camma per il diaframma, il contafotogrammi ad azzeramento manuale, lo sblocco di sicurezza e la copertura per l’ago esposimetrico sulla parte superiore del corpo macchina (differente nei due modelli).
quanta, dalle quali sono partite le sistematiche evoluzioni che sono approdate ai nostri giorni, definiti da una rivoluzione tecnologica senza precedenti: quella dell’acquisizione digitale di immagini, che fa tanto dibattere coloro i quali hanno competenza dei passi che si sono susseguiti, con quanto hanno comportato in proiezione sul linguaggio stesso della fotografia, a propria volta allungatosi sulla società tutta. Insomma, i due autori contestualizzano l’esperienza Contarex, che dal loro punto di vista è qualitativamente unica e insuperata, per decifrare quanto ne è seguito in termini di applicazione fotografica. Le lo-
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La straordinaria configurazione Contarex Hologon Ultrawide, con ipergrandangolare Zeiss Hologon 15mm f/8 fisso, completa degli indispensabili filtro grigio neutro degradante e impugnatura a pistola con cavo di scatto flessibile. Nonché, borsa dedicata.
ro esperienze e capacità sono al di sopra di ogni sospetto. Pierpaolo Ghisetti, collezionista ed esperto di materiale fotografico tedesco, collabora da vent’anni con qualificate e prestigiose riviste italiane: Classic Camera, Leica Magazine e Fotografia Reflex. Ha pubblicato quattro libri dedicati a marchi fotografici di spicco, tra i quali, in richiamo diretto all’attuale titolo, si segnala l’ottimo Fotocamere ed obiettivi Zeiss (a quattro mani con Danilo Cecchi), pubblicato dall’Editrice Reflex. Anche Marco Cavina, fotografo, collezionista e studioso di materiale fotografico, scrive per Classic Camera, a tutti gli effetti la testata principe dell’antiquariato fotografico. Da cui, e per cui, questo irrinunciabile il libro Contarex (irrinunciabile quantomeno per coloro i quali -noi, tra questi- tengono in buon conto la storia evolutiva della tecnologia fotografica) è nato e si propone e offre sotto i migliori auspici possibili. Oltre la competenza dei testi, va sottolineato l’impressionante apparato illustrativo, che accompagna ogni oggetto preso in considerazione: in ordine di trattazione, dagli apparecchi fotografici al vasto sistema ottico (comprensivo di analisi qualitative, soprattutto visualizzate in curve MTF), ai prototipi che non hanno mai visto la luce, agli accessori di uso. Non manca nulla, e tutto è approfondito con competenza, fino a dettagli e notizie inedite, che qui sono riferite per la prima volta in assoluto: straordinaria raffinatezza e preziosità della quale fare assoluto tesoro. Quindi, in conclusione, onore e merito ai due coinvolgenti autori Gianpaolo Ghisetti e Marco Cavina. Ma anche onore e merito all’edizione New Old Camera, indirizzo milanese di antiquariato fotografico (www.newoldcamera.com), il cui titolare Ryuichi Watanabe aggiunge questa perla alla collana dei suoi tanti pregi e delle sue intriganti virtù. Qualcuno potrebbe osservare che l’edizione scarta a lato le utilità e congruenze proprie e caratteristiche della produzione libraria di convenienza (aziendale). Per quanto operatori (magari) qualificati, noi non lo facciamo: sappiamo riconoscere l’amore... quando lo incontriamo. E tanto ci basta. ❖
1839-2009
la finestra di Gras Dalla Relazione di Macedonio Melloni 2009.unaRicordando pagina, una illustrazione alla svolta di Akio Morita
Come dire, dal dagherrotipo all’acquisizione digitale di immagini. E consecuzioni
1839. Dal sette gennaio al dodici novembre sedici pagine, tre illustrazioni
Tappe fondamentali, che si sono proiettate sul linguaggio e l’espressività, con quanto ne è conseguito e ancora consegue Relazione attorno al dagherrotipo diciotto pagine, tre illustrazioni
1839. Fotogenico disegno dieci pagine, quattro illustrazioni
1888. Box Kodak, la prima diciotto pagine, quarantacinque illustrazioni
1913-1925. L’esposimetro di Oskar Barnack ventiquattro pagine, cinquantotto illustrazioni
1947 (1948). Ed è fotografia, subito ventiquattro pagine, sessantadue illustrazioni
1981. La svolta di Akio Morita dodici pagine, ventisei illustrazioni
• centosessanta pagine • nove capitoli in consecuzione più quattro, tre prima e uno dopo • duecentosessantatré illustrazioni 1839-2009 Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita di Maurizio Rebuzzini Prefazione di Giuliana Scimé 160 pagine 15x21cm 24,00 euro
F O T O G R A P H I A L I B R I Graphia srl • via Zuretti 2a - 20125 Milano 02-66713604 • graphia@tin.it
2009. Io sorrido, lui neanche un cenno dieci pagine, ventisette illustrazioni
Le paternità sono ormai certe otto pagine, tredici illustrazioni
2009. Alla fin fine cinque pagine, quindici illustrazioni
Sguardi su
di Pino Bertelli (Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 15 volte agosto 2012)
CHIARA SAMUGHEO
N
Nel passaggio dal regime fascista alla nascita della democrazia italiana (fondata su sessantamila morti della Resistenza), la fotografia dell’italietta demo-catto-comunista (ancora in odore di letame mussoliniano) cerca di darsi un “tono” neorealista, e i giornali/riviste che prima avevano appoggiato la dittatura danno spazio a nuove visioni della realtà. Le immagini “artistiche” dei Boggeri, Bricarelli, Wulz, Balocchi, Tato, Veronesi, Luxardo, Stefani, Moncalvo, Castagneri, Mollino, Vender, Cavalli -tanto per fare qualche nome eccellente che circola nelle storie della fotografia insegnata-, anche alcune che non avevano celebrato il ventennio in camicia nera e non erano state certo avverse al manganello e all’olio di ricino dispensati dai fascisti ai dissidenti (pochi) del regime... la fotografia italiana, dicevamo, comincia a guardare la miseria lasciata da una guerra dissennata, e alcuni fotografi comprendono che la verità, non solo in fotografia, è un atto rivoluzionario. Un popolo (e una classe al potere) di voltagabbana affiorano nell’interesse fotografico generalizzato. Tutti (o quasi) non erano mai stati fascisti, e le piazze, come le periferie, rigurgitano di nuovi furori demo-catto-comunisti. La stessa gente che (dopo la Liberazione) ha bruciato la camicia nera ora stringe il pugno o la croce per il nuovo che avanza. Pier Paolo Pasolini (maestro in fatto di eresie) comprende presto che la comunione e l’intrallazzo tra chiesa, democristiani e comunisti porterà alla fine di una cultura popolare già incanalata nella civiltà dei consumi dalla quale nessuno potrà più tornare indietro. La domesticazione sociale manipolerà idee e costumi e anche il disagio che la governa. La devastazione, la violenza, l’inganno perpetuato contro il proletariato emergono nelle moderne for-
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me di gestione della politica e della fede. La cultura, come sempre, sta al giogo, cioè a libro paga dei padroni dell’immaginario.
DELLA FOTOGRAFIA CIVILE La civiltà di un popolo si misura dal grado di verità, bellezza e giustizia che circolano nella vita quotidiana. Se Thomas Jefferson (terzo presidente degli Stati Uniti, dal 1801 al 1809) diceva che «il governo migliore è quello che governa meno», il filosofo, scrittore, poeta, saggista, insegnante, ambientalista, ecologista, abolizioni-
In ogni epoca storica, ciò che conta è la sovranità dell’individuo e la ricerca della felicità possibile. Nessun prete, tiranno, re, capo di Stato o il dispotismo della maggioranza (democrazie della farsa elettorale) può essere arbitro dei diritti universali dell’uomo: perché «Il mestiere di governare è sempre stato monopolizzato dai più ignoranti e ignobili individui del genere umano» (Thomas Paine). Ridurre al minimo l’autorità dello Stato non è solo un’utopia, ma una necessità. Una società giu-
«Non siamo né artisti, né critici, né letterati: noi abbiamo solo dei rancori, delle antipatie, delle convinzioni, degli umori e cerchiamo di esprimerli come meglio ci è concesso. Il capitale ha perduto forza: è soltanto un peso, un peso da difendere: non seleziona, non raffina. Chi possiede un miliardo, possiede novecentonovantanove milioni di più di chi ne possiede uno soltanto: è una differenza di zeri, fra gente che vale zero» Leo Longanesi sta, resistente fiscale, naturalista e pacifista statunitense Henry David Thoreau, autore dell’irrinunciabile Walden, ovvero la vita nei boschi, del 1854, sosteneva che «il governo migliore è quello che non governa affatto». Tutto vero.
sta non ha bisogno di governo, ma di cittadini che partecipano alla cosa pubblica come protagonisti e non da sudditi. Eliminato il cancro dello Stato, il mondo sarà la patria di tutti e il bene la religione di ciascuno. La società
di mutuo aiuto può fare a meno dell’ingerenza delle banche sulla vita degli uomini, e quando la malvagità, la corruzione, il privilegio degenerano in assolutismo e rapina dei ricchi sui poveri, la sollevazione delle genti è auspicabile. Onestà e autogoverno non sono impossibili, la decentrazione dei poteri e riduzione delle competenze del governo sono un primo passo per raggiungere la fine della coercizione politica, dell’ipocrisia delle religioni e la nascita del popolo sovrano. La fotografia che c’entra con tutto questo? C’entra molto, perché dalla sua invenzione (metà dell’Ottocento), la fotografia autentica ha compreso che i palazzi dei re, le prigioni dello Stato, i genocidi delle guerre e la civiltà dello spettacolo sono costruiti sulle rovine dell’Età dell’Oro. Niente è veramente grande se non è parte della felicità pubblica, e la mancanza di libertà reale è il linciaggio sistematico che il potere finanziario opera sui popoli impoveriti. La fotografia, dunque, testimonia il dovere di disobbedienza, e quando è grande imprime nella storia la coscienza sociale di un’epoca. I primi anni della giovane democrazia italiana sono corsi da fotografi che hanno avuto l’ardire di rappresentare le sofferenze e le speranze di un intero popolo. Nelle loro differenze affabulative, Federico Patellani, Paolo Monti, Vincenzo Carrese, Fedele Toscani, Piergiorgio Branzi, Mario Giacomelli, Fulvio Roiter, Nino Migliori, Mario De Biasi, Piero Donzelli, Italo Zannier, Gianni Berengo Gardin, Pepi Merisio, Giorgio Lotti, Alberto Lattuada, Franco Pinna, Ando Gilardi, Chiara Samugheo hanno mostrato le emozioni e i desideri di una società sovente umiliata e offesa, e le loro immagini sono diventate parte della coscienza morale della nazione. Sotto un certo taglio, an-
Sguardi su che eversivo (fuori dal verso), si sono fatti “maestri di civiltà”, non sempre riconosciuti, o compresi male, dai servi contenti della cultura e della politica dominante. I governi passano, le loro devastazioni, però, non sono dimenticate, perché le fotografie restano a insegnamento democratico per le future generazioni.
SULLA FOTOGRAFIA DELL’EMOZIONE Le scritture autentiche della fotografia sono utensili della conoscenza. La bellezza culturale e epica di un tempo fermato in una fotografia esprime una fenomenologia del desiderio e dell’emozione che rifiuta il brutto e l’osceno e imprime il carattere e il costume della scena pubblica nella comunità che viene: rivendica giustizie calpestate, ragioni tradite, idee perseguitate. La fotografia così fatta disvela disperazione e miseria, e -al contempo- rivendica la bellezza e la libertà esiliate dai potenti. La fotografia, senza dubbio, non fa le rivoluzioni, ma viene un giorno nel quale le rivoluzioni hanno bisogno della fotografia per mostrare l’epifania della verità che insorge (come le rivolte popolari arabe o il movimento delle occupazioni a Wall Street) e debutta in nuove pagine di storia. Chiara Samugheo è stata -appunto- uno dei primi fotografi che -dopo la Liberazione- si sono occupati di documentare con una forza emozionale insolita, mai sentimentale, frammenti di un’Italia “minore”, spesso esclusa da insegnamenti accademici e estetismi d’avanguardia. La fotografia così fatta mette a fuoco con esattezza il cuore della storia che attraversa e mette in relazione la cosa fotografata con l’onestà intellettuale che qualcuno non dimentica di dissipare o tradire. Il suicidio morale della fotografia è un suicidio istigato dal marketing internazionale delle mode (politiche, religiose, culturali) e si trascolora in una criminosa svendita della bellezza in cambio di consenso e sottomissione al sopruso. La banalità della fotografia, specie quella italiana -in ogni tem-
po-, si cela nella forma visibile della genuflessione, dimentica il profondo disagio che abita il reale che buca l’indifferenza e insegna il valore del giusto. Una breve annotazione (tanto per darci un tono come chi fa della schedografia il modello da insegnare nelle scuole, stage o workshop per la crescita della demenza fotografica). Chiara Samugheo (Chiara Paparella) nasce a Bari, molto giovane si trasferisce a Milano, dove ne frequenta l’ambiente intellettuale (Enzo Biagi, Oreste Del Buono, Dino Buzzati, Elio Vittorini, Giorgio Strehler). Conosce il napoletano Pasquale Prunas, illustratore e editore, che diventa suo compagno di vita. Inizia come giornalista di cronaca nera, poi incontra Federico Patellani (fotografo di pregio) e lavora con lui. I reportage di denuncia sociale di Chiara Samugheo sono importanti, e le sue immagini delle “invasate”, le baraccopoli di Napoli e le zingare in carcere sono attraversate da una visione etica/umanitaria non molto conosciuta nella fotografia più consumata. Nella Storia culturale della fotografia italiana. Dal Neorealismo al Postmoderno, un’assemblaggio di notizie (sotto un certo taglio interessanti) sui fotografi e le opere che hanno fatto la fortuna (si fa per dire) di storici, critici e vassalli della “cosa fotografica” nostrana, Antonella Russo le dedica una mezza paginetta: forse la redattrice è più attratta da nomi che meglio si adattano alla fioritura di un fotografare che è al fondo del mercantilismo più abusato. Critica e rinnovamento della coscienza fotografica sono un’altra cosa. La passione per il bene, la bellezza e la giustizia impone di uscire da sé, per andare verso gli altri e verso la realtà. Chiara Samugheo lavora per riviste internazionali, pubblica libri fotografici di derivazione antropologica e si accosta alla ritrattistica del divismo cinematografico con grazia. Il film di Federico Fellini, La dolce vita, del 1960 (un’opera aperta, certo di minore afflato neo-
realista, rispetto a film irripetibili diretti in precedenza, come I vitelloni, del 1953, La strada, del 1954, e Le notti di Cabiria, del 1957), che ha inaugurato una sorta di cartellonistica dello starsystem di Cinecittà, diventa il crogiolo di tutti i riferimenti del fotogiornalismo riferito al “paparazzo”, il fotografo che va a caccia di scandaletti degli attori che imperversano nella Hollywood sul Tevere. Una sorta di “cronaca rosa” che molto piace ai giornali illustrati e sollazza la curiosità popolare, euforica del boom economico. Il film è brutto, è una specie di melodramma dove la verità viene dispensata come rivelazione mitica, la criminalità organizzata della politica e della fede sono marginali e l’interesse artistico/commerciale viene prima del primato della coscienza. Chiara Samugheo non cade nella trappola “espressionista” del “paparazzo”. I suoi ritratti delle “stelle del cinema” sono corsi da una scrittura fotografica non proprio piegata ai capricci e alle vezzosità che i divi chiedono al nugolo di fotografi che si occupano di ritrarli. Lavora a Hollywood, in Spagna, in Unione Sovietica: le sue immagini vanno oltre la posa occasionale, e sovente restituiscono il ritratto della persona e non del mito. I suoi lavori sono esposti alla Biennale di Venezia, al Guggenheim di New York, al Museo d’Arte Moderna di San Paolo del Brasile. Riceve molti premi, tra i quali l’Oscar dei Due Mondi di Spoleto, il Premio della Ferrania e, nel 2003, è insignita del titolo di Cavaliere della Repubblica (che non sappiamo se sia una nota di merito o una medaglia ai caduti). Attualmente, vive a Nizza, ed è cittadina onoraria della Francia (quando ci sono di mezzo le onorificenze di Stato, subito dopo si alzano le gogne contro il diritto di libertà di parola). A leggere la ritrattistica generale di Chiara Samugheo si resta abbagliati da tanta bellezza fatturale. La gente delle baracche di Napoli è ripresa con l’intenzionalità di disvelare l’ingiusti-
zia sociale e restano negli occhi quella miseria in bianconero venata di estrema dignità. Qui la fotografa c’insegna a fare buon uso della sofferenza e dell’indignazione, anche. Le immagini delle “tarantolate” riportano antichi rituali nell’alveo delle credenze popolari, ma le inquadrature della fotografa sono prese -senza alcun giudizio- nella luce di una creatività che si sostanzia nella natura delle cose. Le immagini del carnevale di Rio, le maschere di Venezia, la processione di pasqua di Bari, i costumi della Sardegna sono deposti in un colore sacrale e riflettono il rinascimento di un sapere fotografico gravido di valori che nutre, si rinnova e crea il sublime nel vero. Le fotografie di paesaggio, di architettura, di città di Chiara Samugheo si tagliano fuori dall’edonistico, dall’approssimativo, dall’idiozia dell’artisticità e vanno a comporre un cantico della surrealtà visionaria/ emozionale che mostra la poetica dell’immagine come fine della barbarie del brutto. I ritratti di attrici, attori, personalità della cultura sono a dire poco straordinari. Se andiamo a vedere le fotografie di Claudia Cardinale, Jeanne Moreau, Monica Vitti, Jean Simmons, Glenda Jackson e Eleonora Rossi Drago si comprende il rapporto paritario tra fotografo e soggetto, e la fotografia diviene l’icona visibile della bellezza. Elogio della bellezza. Fuori dal brutto e dall’osceno c’è lo sdegno di fronte alla casistica del disvalore, dove il nobile e l’autentico non hanno più forma né etica dell’amore per l’altro. In questo senso, la bellezza è tutto ciò che tracima nella conoscenza approfondita della vita sociale in giustizia e valore del vissuto e del vero. Le forme autentiche della bellezza sono forme della coscienza. Quando Chiara Samugheo si accosta ad attori come Richard Gere, Alain Delon, Gregory Peck, Anthony Perkins, Orson Welles, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Alberto Sordi, Yul Brinner, John Wayne (bianconero o colore) qualcosa funziona meno. Le imma-
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Sguardi su BIANCO E NERO gini, anche quelle più riuscite, raccontano troppo, c’è una sospensione del desiderio, una cifra estetica più generale, un godimento schiacciato e insoddisfatto dei corpi dispersi sulla scena (non solo sul set cinematografico). Qui la fertilità fotografica di Chiara Samugheo lascia il posto alla presenza attoriale a discapito dell’uomo fotografato. Le fotografie di personaggi della cultura figurano una catenaria di situazioni affabulate con rispetto: sia in bianconero sia nel colore restituiscono la dimensione autorevole del soggetto trattato. Al di là delle loro esperienze veridiche, Dino Buzzati, Elsa Maxwell, Ennio Morricone, Giuseppe Marotta, Elio Vittorini, Andrej Voznesenskij, Gianni Agnelli, Luigi Einaudi, Sandro Pertini, duchi, re e regine sono ripresi fuori dal convenzionale e dalla conoscenza normativa dei loro
volti. La libertà, la democrazia, i diritti dell’uomo sono bisogni dell’anima e la verità abita sempre l’uomo interiore. Solo quando i più l’avranno scoperta, si riverserà nella strade del mondo e diventerà storia di tutti. La fotografia scompare quando la bellezza è calpestata. La bellezza (non solo in fotografia) è il bisogno più sconosciuto dell’anima umana. Il ricorso all’amore e non alla violenza anticipa il crollo di ogni potere. Dare libero sfogo alle passioni significa liberare tutte le creatività dell’individuo. Il perseguimento della felicità di ciascuno è un diritto inalienabile, e poiché la stupidità e la violenza vanno insieme, il diritto all’indignazione va sostenuto. L’influenza del governo sulla vita delle persone e sulla cultura va rigettata. La fine del privilegio, dell’ingiustizia, dell’oppressione segna l’inizio della vita buona. ❖
laboratorio fotografico fine - art solo bianco & nero
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