FOTOgraphia 192 giugno 2013

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Mensile, 6,50 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano

ANNO XX - NUMERO 192 - GIUGNO 2013

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GIAN PAOLO BARBIERI DARK MEMORIES


Mensile, 6,50 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano

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O T N E M A N O B B A N I O L SO

GIAN PAOLO BARBIERI DARK MEMORIES Mensile, 6,50 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano

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ANNO XX - NUMERO 192 - GIUGNO 2013

ANNO XX - NUMERO 191 - MAGGIO 2013

Fukushima 2011 SILENZIO ASSORDANTE Leica Talent 2012 PAOLO CIREGIA

Abbonamento 2013 (nuovo o rinnovo) in omaggio

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MAURO VALLINOTTO APPUNTI FOTOGRAFICI DA CUBA ANNO XX - NUMERO 190 - APRILE 2013

In mostra a Modena TRE STORIE VERE Guerra del Mali RITRATTI DA UN CAMPO PROFUGHI

1839-2009 Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita Compilare questo coupon (anche in fotocopia), e inviarlo a: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano MI (02-66713604; graphia@tin.it)

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prima di cominciare CON TANTI AUGURI. Dallo scorso maggio, è in distribuzione in Italia una nuova rivista di fotografia, interpretata con straordinaria attualità di intenti. Digital Photographer Italia ha le carte in regola per affermare una propria consistente autorevolezza: è pubblicata dall’Editrice Reflex, che nel corso di oltre trent’anni ha acquisito tanti e tanti meriti nel settore, a partire dal mensile di riferimento Fotografia Reflex, per proseguire con monografie tecniche e storiche della fotografia. Ancora, e in sovramercato, si sottolinea la direzione di Giulio Forti, senza ombra di dubbio il più competente giornalista del settore, con proprio curriculum di tutto rispetto. Pagina dopo pagina, Digital Photographer Italia affronta con perizia e autorità il mondo attuale della fotografia, sapendo spaziare dalle presentazioni e analisi di strumenti e complementi di ripresa e gestione delle immagini in formato digitale (come specificato e promesso) al commento e alla passerella di immagini esemplificative, sia di applicazioni tecniche sia per espressività creativa. In un panorama editoriale come è quello italiano, ahinoi impoverito da pressioni economiche incombenti e sovrastanti (oltre che da incapacità proprie e endemiche), questa nuova testata va accolta con grande soddisfazione, perché rivela che c’è ancora chi, come la redazione che si sdoppia dalla rivista “madre” Fotografia Reflex, sa affrontare con piglio, determinazione e abilità l’evoluzione costante e continua della fotografia, che non presenta più e soltanto proprie personalità che affondano le radici indietro nei decenni (e secoli), ma rivela anche -e forse soprattutto- attualità pressanti e trasformazioni sostanziali... alle quali la competente Digital Photographer Italia offre e propone strumenti di avvicinamento, conoscenza, approfondimento e comprensione. Ancora, da un punto di vista strettamente formale, dopo la garanzia sui contenuti, è doveroso annotare come la rivista sia realizzata con cura e perizia. Per quanto si stiano vivendo tormentati momenti di approssimazione e imprecisione, retrogusto amaro di questa epoca di pressante informazione in tempo reale (usa-e-getta, leggi-e-consuma: a partire dalla Rete), Digital Photographer Italia fa ancora tesoro di straordinarie lezioni giornalistiche, confezionate con attenzione, garbo, preparazione e capacità. Buon lavoro, e tanti auguri.

Quando la fotografia non disvela l’incuriosità dei randagi dell’immagine che rendono ogni potere insopportabile, verità e delirio si equivalgono o sono complementari. La fotografia è l’ultima preghiera di una civiltà dello spettacolo che si spegne. Pino Bertelli; su questo numero, a pagina 64 Per me, un pensiero dello stesso struggente sapore della poesia Animula vagula blandula, dell’imperatore Adriano (76-138), citata da Marguerite Yourcenar in un altro libro imperdibile: Le memorie di Adriano. Lello Piazza; su questo numero, a pagina 21 Per quanto spesso possiamo rimproverare all’industria una sua sostanziale e sostanziosa cecità, altrettanto frequentemente dobbiamo rimproverare alla cultura una corrispondente ottusità nei confronti dell’industria. Maurizio Rebuzzini; su questo numero, a pagina 40 Ancora: etica, morale, educazione, disciplina, onestà (anche intellettuale), garbo, eleganza, rispetto, riconoscenza. Anche con la Fotografia. Angelo Galantini; su questo numero, a pagina 60

Copertina Dalle Dark Memories, di Gian Paolo Barbieri, fantastico progetto fotografico -in mostra e monografia- che svela e rivela una personalità interpretativa di straordinario fascino: stile, garbo e gusto. Ne riferiamo da pagina 42

3 Altri tempi (fotografici) Dal catalogo generale Ambrosio, del 1909, otturatore centrale Compound, arrivato fino agli anni Sessanta

7 Editoriale Ritorno al futuro (?). L’attualità della tecnologia digitale impone ai fotografi competenze dall’espressività interpretativa alla gestione completa dell’intero processo tecnico: dalla ripresa all’immagine conclusiva. Come alle origini. Ritorno al futuro, per l’appunto

8 Fotografia in Fiera Annotazioni e considerazioni dal Mia Fair 2013, terza edizione della prima e unica fiera italiana interamente riservata alla fotografia d’autore. Così è

10 Notizie Attrezzature, vicende e altre segnalazioni

12 I bambini ci guardano Con il sorriso negli occhi e la gioia nel cuore Testo e fotografie di Pino Bertelli


GIUGNO 2013

RIFLESSIONI, OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA

19 Grazia Neri Più che biografia, La mia fotografia, di Grazia Neri, è un incessante ricordo di circa cinquant’anni vissuti a stretto contatto con la fotografia: alcuni passi dal testo di Lello Piazza

Anno XX - numero 192 - 6,50 euro DIRETTORE

RESPONSABILE

Maurizio Rebuzzini

IMPAGINAZIONE

Maria Marasciuolo

REDAZIONE

22 Sean Penn

Angelo Galantini

Attraversamenti fotografici in due film interpretati dal bravo attore: The Assassination, del 2004, e Milk, del 2008. Con Nikon a telemetro e Kodak Instamatic Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

Rouge

24 I prodotti di vertice Le quaranta categorie con le quali e nelle quali si esprimono i qualificati e ambìti TIPA Awards 2013 identificano componenti essenziali e discriminanti del panorama tecnico-commerciale della fotografia. Orgoglio per chi attribuisce e per coloro i quali ricevono di Antonio Bordoni

34 Hip, hip, hurrà! Eccellente concorso fotografico internazionale, il Sony World Photography Award ribadisce il proprio buon sapore con una edizione 2013 di conferma

42 Dark Memories Mostra e monografia di Gian Paolo Barbieri. Dalla superficie apparente dei soggetti ai contenuti di una investigazione di rara trasparenza e onestà di Maurizio Rebuzzini

52 Polaroid SX-70 Dal 1972 a cura di New Old Camera

54 Quelli che Fino all’otto settembre, al milanese Palazzo Reale una retrospettiva a cinquant’anni dall’apoteosi calcistica di Milan e Inter, osservata attraverso la personalità dei due rispettivi allenatori: Quelli che... Milan Inter ’63. La leggenda del Mago e del Paròn di Angelo Galantini

FOTOGRAFIE SEGRETERIA

Maddalena Fasoli

HANNO

COLLABORATO

Gian Paolo Barbieri Pino Bertelli Antonio Bordoni Chiara Lualdi Lello Piazza Emanuel Randazzo Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Ryuichi Watanabe (New Old Camera) Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604 www.FOTOgraphiaONLINE.it; graphia@tin.it. ● FOTOgraphia è venduta in abbonamento. ● FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano. ● A garanzia degli abbonati, nel caso la pubblicazione sia pervenuta in spedizione gratuita o a pagamento, l’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e in suo possesso, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi della legge 675/96. ● FOTOgraphia Abbonamento 12 numeri 65,00 euro. Abbonamento annuale per l’estero, via ordinaria 130,00 euro; via aerea: Europa 150,00 euro, America, Asia, Africa 200,00 euro, gli altri paesi 230,00 euro. Versamenti: assegno bancario non trasferibile intestato a Graphia srl Milano; vaglia postale a Graphia srl - PT Milano Isola; su Ccp n. 28219202 intestato a Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; addebiti su carte di credito CartaSì, Visa, MasterCard. ● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti. Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano

Rivista associata a TIPA

62 Regina e leggenda La biografia Betty Page. La vita segreta della regina delle pin-up, di Lorenza Fruci, ci impone un ritorno

64 Richard Avedon Sguardo su un interprete dell’immaginale liberato di Pino Bertelli

www.tipa.com



editoriale R

iflettiamoci. Le attuali applicazioni tecnologiche sono fantastiche: non torniamo più sull’argomento, né -tantomeno- su presunte contrapposizioni con il passato, fosse anche soltanto prossimo. Allo stesso tempo, come più volte rilevato, si potrebbero (dovrebbero?) affrontare le potenziali consecuzioni, nel senso di come e quanto la tecnologia tutta influisce sulla vita quotidiana, a volte con prepotente sopraffazione, determinando comportamenti inadeguati e incoerenti. Spesso, perfino maleducati e insolenti. Ma, tant’è! In assoluto, né angelo né demone, la tecnologia fotografica dei nostri giorni offre eccellenti opportunità, anche espressive, anche lessicali, delle quali fare tesoro e alle quali dare merito. Altri discorsi non hanno alcun diritto di ospitalità, soprattutto se e quando e per quanto declinano soltanto il cattivo sapore di una nostalgia immotivata. Tra le pieghe di tutto, c’è, però, un aspetto che va affrontato e considerato. Tra i tanti suoi argomenti, alcuni dei quali addirittura spinosi, la tecnologia ad acquisizione e gestione digitale di immagini ne ha rivelato uno particolarmente curioso. Oggi, siano professionisti o non professionisti, non fa differenza, i fotografi debbono possedere due competenze coincidenti e coabitanti: quelle proprie dell’espressività interpretativa e creativa e quelle dell’uso costante e continuo delle applicazioni tecniche. In questo senso, e in un certo modo, si è tornati indietro di secoli... addirittura a condizioni originarie, quando il fotografo di metà Ottocento era sia autore sia artigiano (nell’autentico significato del termine). Oggigiorno, tutto il flusso di lavoro deve essere gestito in proprio, e obbliga a capacità che si estendono alla corretta interpretazione dell’intero processo, dalla ripresa all’immagine conclusiva. Ragionevolmente, anche l’industria produttrice ha compiuto lo stesso passo: chi propone apparecchi di ripresa si occupa oggi anche dell’interpretazione formale dei soggetti, accollandosi oneri (e onori?) un tempo propri e caratteristici dei fabbricanti di pellicole e supporti di stampa. Non si tratta di paragonare l’attualità con il passato, non ci si deve dissolvere con considerazioni dispersive: soltanto, bisogna tenere conto delle esigenze e necessità che definiscono la fotografia dei nostri giorni. Ovviamente, ci riferiamo all’esercizio consapevole e convinto: sia professionale, con relativi obblighi propri, sia non professionale, in una intenzione analogamente rivolta alla massima qualità, sia formale sia di contenuti. Ovvero: riflettere e considerare, più che dibattere senza soggetto chiaro. Ovvero: ragionare sulle trasformazioni consequenziali, con quanto significano o possono significare. Ovvero: accogliere il presente, con quanto può orientarsi verso il futuro e futuribile. Ovvero: essere autenticamente fotografi capaci di vivere i propri tempi. Magari districandosi tra le contraddizioni che possono anche manifestarsi. Maurizio Rebuzzini

Stante l’attualità tecnologica dei nostri giorni, che in fotografia registra e segnala l’acquisizione e gestione digitale dell’intero flusso di lavoro, dalla ripresa all’immagine conclusiva, gli apparecchi fotografici assolvono oggi anche l’interpretazione formale del soggetto (un tempo a carico delle pellicole fotosensibili). Analogamente, i fotografi debbono possedere sia competenze e capacità relative all’interpretazione creativa, sia competenze e capacità di affrontare e assolvere l’intero flusso di lavoro: per l’appunto, fino all’immagine finale.

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Parliamone di Maurizio Rebuzzini

FOTOGRAFIA IN FIERA

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Onore e merito all’organizzazione del Mia Fair 2013, la terza edizione della prima e unica fiera italiana interamente riservata alla fotografia, che si proietta nell’ambito delle più significative e consistenti rassegne nazionali d’arte contemporanea. A differenza di altri appuntamenti fieristici della fotografia commerciale (macchine fotografiche e contorni), la manifestazione “culturale” milanese è stata ben promossa, anche con affissioni in città, e le gal-

lerie espositrici si sono -a propria volta- impegnate in una comunicazione costante e continua della propria presenza. Insomma, chi di dovere e diritto ne è stato sicuramente informato, in modo da potervi partecipare. Nel fine settimana dal dieci al successivo dodici maggio scorsi, da venerdì a domenica, duecentotrenta espositori hanno presentato autori-fotografi dei quali hanno proposto la vendita di opere. Alla maniera di altri analoghi

appuntamenti internazionali, al vertice dei quali si possono menzionare almeno un paio di indirizzi statunitensi (a New York e Houston) e l’imprescindibile Paris Photo (del cui svolgimento abbiamo riferito in diverse occasioni, la più recente delle quali nel febbraio 2011), Mia Fair propone la fotografia mercantile: d’arte e dintorni, a uso e consumo del collezionismo. E da qui è doveroso riflettere, appunto alla luce di quanto

COLLEZIONARE FOTOGRAFIA

L’argomento delle quotazioni della fotografia e dei canoni della fotografia collezionistica è intrigante. Ma anche complesso, e definito da mille e mille sfaccettature ignote al grande pubblico, e spesso ignorate anche da presunti addetti. La lacuna, che poi è stato un autentico vuoto, è stata colmata da una edizione libraria, preziosa come poche. A cura di Denis Curti e Sara Dolfi Agostini, Collezionare fotografia si presenta e offre come autentica guida per comprendere le logiche e i criteri del mercato delle immagini, da cui, conseguente e consequenziale, il sottotitolo esplicito (tanto quanto lo è già il titolo): Il mercato delle immagini. Denis Curti è direttore della sede milanese dell’agenzia fotografica Contrasto e vicepresidente della Fondazione Forma, Centro Internazionale di Fotografia [FOTOgraphia, maggio 2009 e settembre 2010] e Sara Dolfi Agostini collabora alle pagine di arte contemporanea di Il Sole 24ore e Arte e Critica). Dunque, due esperienze complementari, che creano una miscela a dir poco avvincente, oltre che convincente. Così, Collezionare fotografia - Il mercato delle immagini si impone come testo fondamentale per comprendere questo aspetto (concreto e determinante) della fotografia. È un manuale di rapida consultazione e pieno di consigli pratici: il primo vademecum sul collezionismo fotografico. Il libro è elaborato su diversi livelli, e attraverso una breve storia del collezionismo fotografico rintraccia le ragioni storiche ed estetiche della presenza, all’interno del mondo artistico contemporaneo, della fotografia, vissuta come parte integrante dell’offerta e quindi del mercato dell’arte. Un’ampia parte è dedicata al tema, quanto mai controverso, del “valore della fotografia”: cosa lo determini e da cosa dipenda. Questioni come la tiratura di un’opera, l’importanza del percorso artistico dell’autore, il valore e il ruolo sul mercato delle opere vintage e delle stampe contemporanee sono affrontate con chiarezza e precisione. Collezionare fotografia offre al lettore anche una serie di “schede tecniche” indispensabili, a cura di Eugenia Bertelé, Roberta Piantavigna e Lorenza Fenzi, dedicate ad alcuni casi del mercato della fotografia e approfondimenti sui problemi di conservazione e manutenzione delle opere fotografiche. In un’epoca, come è la nostra attuale, di troppe parole inutili, il qualificato testo propone con voce sommessa l’autorevolezza di chi sa cosa dire, e perché, dove e quando farlo. Se non ci fossero altri valori -ma tanti ce ne sono-, da sola questa condizione sarebbe non solo sufficiente, ma addirittura fondamentale e indispensabile al concreto percorso individuale, mano nella mano con la Fotografia, inevitabile maiuscola volontaria e consapevole. Collezionare fotografia - Il mercato delle immagini, di Denis Curti e Sara Dolfi Agostini; Contrasto, 2010; 318 pagine 15x21cm; 21,90 euro.

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osservato tra le esposizioni, in forma di stand. Allora: la fotografia che si presenta e prospetta per la propria vendita scandisce almeno tre tempi, adeguatamente cadenzati. Anzitutto, si segnalano professionisti affermati, con proprie immagini da tempo note e conosciute: esauriti i rispettivi indirizzi professionali originari -nel fotogiornalismo, nella moda, nell’illustrazione editoriale e altro ancora-, queste fotografie intendono essere accattivanti per il collezionismo (magari speculativo, e non è un giudizio di merito/demerito, ma soltanto una definizione d’obbligo), per essere incorniciate e appese in casa, o in ufficio, oppure per essere conservate privatamente. Quindi, gli autori che non vantano un percorso professionale, ma subito si indirizzano alla fotografia come “opera” a sé, come “oggetto” d’attenzione, sono scomposti tra quelli che agiscono nell’ambito dell’arte a tutto tondo e quelli che rimangono ancorati al lessico formale e rigido della fotografia. Gli autori-artisti rispondono più ad altre referenze, che a quella esclusiva della fotografia; gli altri, probabilmente, stanno facendo i propri conti con la contrazione professionale, che induce a trovare sbocchi diversi... tra i quali, per l’appunto, la vendita diretta delle stampe. Al Mia Fair 2013 sono stati presenti tutti. Per cui, sorvolando sulla consistenza delle iniziative parallele e di contorno (e rifinitura), quali premi, tavole rotonde, incontri e altro tanto ancora, che appartengono alla cronaca, è opportuno ragionare sull’aspetto propriamente espositivo-propositivo che ha definito e caratterizzato la manifestazione. Per farlo, come è doveroso che sia, esprimiamo opinioni personali: nessun contrasto, nessuna disputa,


Parliamone sia chiarito subito, ma la trasparente intenzione di valutare una situazione, con quanto se ne può dedurre, sia al presente, sia in proiezione verso il futuro, immediato o remoto che sia. Ovviamente, poco da osservare a proposito delle fotografie celebri che provengono da percorsi professionali: sono parte consistente dell’intero mercato della fotografia in forma collezionistica, che animano l’insieme di un mondo (anche internazionale), scomponendosi tra gallerie che rappresentano gli autori e aste periodiche di vendita organizzata (come è stata, rimanendo all’osservatorio nazionale, la sessione di La Fotografia prende Forma, a sostegno della Fondazione, della quale abbiamo riferito giusto un anno fa, nel giugno 2012). C’è soltanto da annotare il doveroso allineamento di queste “stam-

pe” ai canoni propri e caratteristici del collezionismo, per il quale rimandiamo anche alla presentazione dell’ottimo Collezionare fotografia - Il mercato delle immagini, di Denis Curti e Sara Dolfi Agostini, riquadrata sulla pagina accanto. Invece, il panorama della fotografia italiana contemporanea che si propone in prima battuta (e unica?) per la vendita collezionistica è sostanziosamente contraddittorio. Se la passerella del Mia Fair 2013 è (stata) in qualche misura indicativa e sintomatica, allora lo scenario è povero e poco consistente. Abbiamo incontrato poche riflessioni fotografiche degne di questa definizione e identificazione, molta vanità (tanta da consentire anche una visione drastica, nei termini della “fiera delle vanità”), troppe illustrazioni. Insomma, poche ricerche effettivamente me-

ritevoli di un riconoscimento d’autore e molte (troppe) stampe che non vanno oltre l’illustrazione da arredamento (un tanto a dimensione, per ammobiliare, per esempio, un albergo). Insomma, l’insieme di questa fotografia per collezionismo, che forse soffre la propria adolescenza anagrafica, è lontano da qualsivoglia ipotesi di sostanza fotografica capace di affermarsi al presente, per proporsi in proiezione futura, avanti nel tempo. Non rimproveriamo niente e nessuno, e niente a nessuno: questi tempi contraddittori sono talmente confusi, da non consentire alcun chiarimento ideologico e contenutistico sulla fotografia espressiva. Così come, questi stessi tempi, impongono l’individuazione di nuovi possibili sbocchi personali, con i quali confrontarsi e incontrarsi. In assenza di referenze certe (ruolo

che dovrebbero svolgere, in allineamento, le gallerie e i critici), alla ricerca di risultati immediati... l’approssimazione individuale è persino inevitabile. Questo è quanto sui contenuti, osservati con nostro giudizio personale. Dopo di che, l’autentico conteggio definitivo di una manifestazione quale è (stata) il Mia Fair 2013 dipende dal volume e dalle consistenze delle contrattazioni concluse. Ovverosia, oltre l’entusiasmo teorico e apparente, tutto si deve misurare sulla redditività della mostra mercato, cioè sulle vendite effettuate. In questo senso, non c’è modo di avvicinare la verità, perché -a domanda specificaognuno avrebbe risposto secondo preconcetti propri. Insomma, oltre la visita, oltre l’appagamento conoscitivo, quanti collezionisti hanno fatto tesoro di questa passerella? ❖


Notizie a cura di Antonio Bordoni

AMMIRAGLIA PEN. Ennesima interpretazione attuale dell’antica lezione con la quale il geniale Yoshihisa Maitani sconvolse la tecnologia fotografica con la sua mezzoformato Pen, del 1959 [FOTOgraphia, settembre 2009]. Proseguendo con la rivitalizzazione in forma odierna di quel disegno, la nuova Olympus Pen E-P5 si colloca al vertice del proprio sistema CSC (Compact System Camera, già Mirrorless). Con le sue viti praticamente invisibili e il corpo macchina in metallo, la Pen E-P5 è costruita con sapiente maestria. Se il suo design rétro è già sufficiente per farne un’icona degli anni a venire, la tecnologia che incorpora non è da meno, rappresentando a propria volta un punto fermo dell’evoluzione fotografica.

La presenza di un tempo di otturazione limite di 1/8000 di secondo è un primato di categoria, e il sensore Live Mos da sedici Megapixel la pone allo stesso livello della reflex Olympus OM-D. Questo garantisce che la qualità di immagine sia perfettamente in linea con la straordinaria eredità delle precedenti Pen. Si sottolinea anche la massima portabilità e semplicità di uso: la Pen E-P5 è leggera, ha il Wi-Fi incorporato, l’autofocus Fast AF e comandi manuali di facile accesso. (Polyphoto, via Cesare Pavese 11-13, 20090 Opera Zerbo MI; www.polyphoto.eu).

A VOLTE, TORNANO. Hoya ha reso di nuovo disponibili i filtri dedicati al ritratto: i celebrati Softon A. Tempo addietro, il filtro Softon era presente nella borsa di tutti i fotografi di cerimonia e di tutti coloro che si dedicava-

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finizione dei file delle miniature, correzione dei profili di visualizzazione che influiscono sui profili di stampa. Sigma Photo Pro 5.5.2 per Apple Macintosh si può scaricare da: http://www.sigma-sd.com/ download/photopro.html#mac (per Sigma SD) e http://www.sigma-dp.com/download/photopro. html#mac (per Sigma DP). (M.Trading, via Cesare Pavese 31, 20090 Opera Zerbo MI; www.m-trading.it).

EVOLUZIONE GR. La compatno con un certo impegno alla fotografia di ritratto: infatti, la sua capacità di eliminare magicamente le piccole imperfezioni dell’incarnato, senza influire percettibilmente sulla nitidezza generale dell’immagine, consente la realizzazione di ritratti carichi di fascino e atmosfera (qui sopra). Immediatamente a seguire, l’avvento delle tecnologie digitali, con quanto comportano e consentono nella gestione del file digitale, ha segnato il declino del filtro Softon, come di molti altri filtri per “effetti speciali”. Le possibilità di intervento sull’immagine in post produzione, per l’appunto offerta dai software gestionali, ha in un certo modo soppiantato questi filtri, che per tanti anni avevano trovato utilissime e proficue applicazioni. Alla distanza, però, molti si sono accorti che ottenere certi risultati in fase di ritocco dell’immagine, e di sua gestione, comporta tempi molto lunghi, la disponibilità di questi software, e soprattutto (da non dare per scontato) la capacità di saperli gestire in maniera corretta. In conseguenza, la richiesta del Softon (il filtro per effetti speciali di gran lunga più diffuso) è tornata a essere significativa, e Hoya ha nuovamente incluso questa referenza nel proprio catalogo di vendita. Consapevole che il filtro viene oggi impiegato con apparecchi digitali, Hoya ha realizzato la convincente e ottimale Serie Pro 1 Digital: appunto configurata in di-

pendenza e assolvimento delle esigenze dei sensori digitali. Nello specifico, i filtri Hoya Pro 1 Digital sono dotati di sei strati antiriflesso su entrambe le superfici; per evitare l’insorgere di riflessi parassiti, il bordo della montatura è laccato nero; la stessa montatura è in dimensioni “slim”, per evitare vignettature con obiettivi grandangolari; infine, è presente una filettatura anteriore, per consentire l’eventuale collocazione del paraluce. I filtri Hoya Softon A sono disponibili in tutti i diametri compresi tra 52mm e 77mm. (Rinowa, via di Vacciano 6f, 50012 Bagno a Ripoli FI; www.rinowa.it).

AGGIORNAMENTO SIGMA. È disponibile la release Sigma Photo Pro 5.5.2 per Apple Macintosh, indirizzata agli apparecchi della serie DP e SD. L’aggiornamento elimina il malfunzionamento a causa del quale cliccando due volte per avviare il programma questo termina in maniera inappropriata. Quindi, è stata corretta la Modalità Correzione del profilo Obiettivo, con una rinnovata correzione dell’aberrazione cromatica. Ancora: incremento della velocità di visualizzazione delle miniature nella Finestra Principale, correzione ottimale della riduzione del rumore nei settaggi di default quando nella Finestra Principale si salvano immagini e si imposta la Modalità di Regolazione Personalizzata, automatismi della de-

ta Ricoh GR, che riprende i termini di una fantastica genìa, propone oggi un sensore di acquisizione in formato APS-C da 16,2 Megapixel. Sono confermate le doti e caratteristiche di piccole dimensioni, con specifiche di base e funzioni incrementate rispetto i modelli precedenti. Di nuova progettazione, l’obiettivo di ripresa 18,3mm f/2,8 (28mm equivalente) assicura immagini nitide e ottima risoluzione anche ai bordi dell’inquadratura. Quindi, un rinnovato processore di immagine ad alte prestazioni GR Engine V e una progettazione priva di filtro anti-alias assicurano un’elevata risoluzione, una riproduzione del colore ricca di sfumature e una migliorata qualità di immagine complessiva, in particolare alle alte sensibilità. In aggiunta, sono stati collocati un tasto AF e un comando di anteprima della profondità di campo, che agevolano l’operatività della compatta nell’uso quotidiano. È offerta anche una serie di caratteristiche al servizio dell’utente più esigente, come la gestione “on camera” dei dati grezzi Raw e la messa a fuoco manuale assistita. (Fowa, via Vittime di piazza Fontana 52bis, 10024 Moncalieri TO; www.fowa.it). ❖



Dal Marocco

di Pino Bertelli (Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 3 volte maggio 2013)

I BAMBINI CI GUARDANO Ai miei nipotini, Alessandro e Giacomo, che giocano con il diverso da sĂŠ con il sorriso negli occhi e la gioia nel cuore

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Dal Marocco

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Dal Marocco

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Dal Marocco Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli ma non avessi l’amore per la bellezza fragile dei bambini, sono solo una voce nel deserto... Se avessi il dono della parola tradita e conoscessi tutte le cattiverie degli uomini, ma non avessi la dolcezza dei cuori semplici, non sono nulla... Se possedessi tutti i tesori della Terra e li donassi agli ultimi o agli esclusi, ma non avessi la gioia di accogliere lo straniero, niente mi può rendere felice... La giustizia non si vanta e va dove il cuore la porta, non è invidiosa né manca di rispetto, non cerca il proprio interesse né conosce la collera, non permette l’ingiustizia né disprezza il male ricevuto... La libertà si compiace dell’amore per la verità, tutto comprende e di tutto sorride, tutto condivide e di tutto fa primavere di bellezza... La verità dell’amore non avrà mai fine, le brutture scompariranno e la conoscenza dell’altro sarà un viatico di tenerezze infinite, l’impossibile diventerà il possibile magico e tutti i bambini saranno fratelli in sorte... Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, sognavo da bambino... divenuto uomo, ciò che era da bambino non l’ho mai abbandonato... Ora vedo come in uno specchio di sale e di fiori, in maniera distinta, le facce di un mondo imperfetto, che è quello che io ho conosciuto e voglio cambiare... Queste dunque sono le tre cose che rimangono là dove finisce il mare e comincia il cielo: l’amore, la giustizia e la libertà di infanzie intramontabili, ma di tutte la più importante è l’amore dell’uomo per l’uomo... Il pane non si taglia, ma si spezza con chi non ne ha... Il profumo del gelsomino può mutare il corso delle costellazioni... 17



La sua fotografia di Lello Piazza

U

Uno degli esempi più classici e semplici della irreversibilità di certi eventi (che, nella Fisica, va sotto il nome di Secondo Princìpio della Termodinamica) è quello che riguarda il latte e il caffè. È facile mischiare il latte con il caffè, è impossibile (molto improbabile) riuscire a separarli di nuovo. È questa la prima riflessione che mi è venuta in mente leggendo La mia fotografia, di Grazia Neri, pubblicato all’inizio di marzo da Giangiacomo Feltrinelli Editore, nella collana Varia (quattrocentosessantotto pagine, venticinque euro). Il latte della situazione è la vita di Grazia Neri, il caffè è la Fotografia. A un certo punto, poco più di cinquant’anni fa, qualche misterioso demiurgo ha mescolato la vita di Grazia e la Fotografia e, da allora, il Secondo Princìpio della Termodinamica ha reso impossibile separarle. Mi scuso di iniziare la recensione di un libro in questo strano modo, ma approfitto dell’opportunità che FOTOgraphia mi ha offerto, per svelare interamente il mio sentimento alla fine di una lettura appassionante che ritengo IMPRESCINDIBILE (per una volta, uso con serenità l’aggettivo tutto maiuscolo), ineludibile, come il Secondo Princìpio, per chiunque veda nella Fotografia un argomento appassionante. Recensendo questo eccezionale libro, sento anche, e forte, l’imbarazzo di un conflitto di interessi, dal momento che Grazia è uno dei miei amici più cari, uno degli incontri straordinari della mia vita. Perciò, non mi prolungo in lodi, ma propongo una serie di citazioni dal libro, lasciando ai lettori il giudizio. Mi permetterò solo, e non sempre, qualche commento. [Pagina 9] Nella fotografia di Oded Balilty vincitrice del premio Pulitzer 2007 (Categoria Breaking News Photography)

GRAZIA NERI

La mia fotografia, di Grazia Neri; Feltrinelli, 2013; 460 pagine 14x22cm; 25,00 euro.

si vede una colonna israeliana dell’insediamento di Amona, nella West Bank (a est della città palestinese di Ramallah), che si oppone ai soldati delle forze di sicurezza del suo Paese negli scontri scoppiati durante lo sgombero di nuove abitazioni deciso dalla Corte Suprema d’Israele. Una fotografia di grande qualità, che si distingue per la ricchezza di lettura: in alto, la gente che assiste impotente al dolore della donna e, a destra, la

vita che continua. Ci sono, in questa immagine, tanti elementi che ci fanno capire che i problemi sono lontani dall’essere risolti. La composizione fa venire alla mente un affresco. La giovane donna fotografata ha però contestato la veridicità della fotografia. Sostiene di non essere stata sola: dietro di lei c’erano tantissimi altri coloni che le davano man forte. Il fotografo non ha visto? Gli altri erano leggermente staccati? Balilty ha ristretto il campo, per

mettere in evidenza solo la donna? Oppure, la donna mente? Si può immaginare che ci fossero tanti coloni, magari dislocati da un’altra parte. Comunque stiano le cose, la fotografia riassume efficacemente la storia di quelle giornate. Certo, non è la verità, ma ci aiuta a farci un’idea dell’avvenimento, mediata dal punto di vista del fotografo. Come tutte le fotografie, per essere compresa necessita di una didascalia. Non trovate anche voi che queste poche righe risolvono definitivamente il discorso sull’oggettività della fotografia nel giornalismo? [Pagina 14] Spesso gli amici mi hanno chiesto in che cosa consistesse il lavoro d’agenzia. È facile dire: guardare le fotografie e in esse saper cogliere valore estetico, commerciale, storico, vedere definirsi la carriera di un fotografo e le sue potenzialità e salvaguardarle per il futuro. Tutto qui. In un breve tweet, la definizione di agenzia fotografica. Quindi, perché a Grazia è interessata la fotografia? [Pagina 65] Sentivo che uno dei pregi della fotografia era la sua utilità: poter vedere quello che non conoscevo, vedere luoghi ignoti, le situazioni ignote, lontane erano i primi requisiti che facevano scattare la mia curiosità. E poi vedere le persone, la gente nota e non nota. Vedere la bellezza. Poco per volta, capivo che la fotografia poteva essere “altro”, e tutto si fuse insieme prima come foto di denuncia, come foto dell’impegno, poi come fotografie di soggetto letterario, fino ad approdare, anni più tardi, alla ricerca artistica e alla storia della fotografia. Qualche consiglio pratico? [Pagina 69] È meglio il portfolio digitale o stampato? Difficile ri-

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La sua fotografia spondere. Il primo costa poco, può essere rinnovato costantemente e l’art buyer e il photo editor possono vederlo ogni volta che vogliono. Il secondo comporta la necessità di recarsi di persona dal photo editor o dall’art buyer, ed è in se stesso un oggetto bello da vedere; le foto stampate, poi, valgono molto di più di quelle digitali. La perfezione, ma troppo costosa, è il portfolio stampato più un CD da lasciare al possibile cliente. Da un’indagine di ImageBrief Blog si deduce che la questione è al momento irrisolta e lo rimarrà a lungo. Parlando di portfolio, ecco come descrive l’ideale lettore di portfolio, figura sempre presente in tutti i festival di fotografia. [Pagina 72] Chi fa lettura di portfolio non è un critico, ma un insegnante occasionale: deve anche dare informazioni sul mercato, sulle scuole di fotografia, sui festival che possono interessare il fotografo, sull’evolversi delle leggi sul copyright, sulla situazione delle agenzie, delle gallerie o degli editori di libri fotografici, eccetera. La sincerità è necessaria, ma bisogna avere presenti tanti parametri: l’età del fotografo, il suo traguardo personale (può essere troppo giovane e aver bisogno di essere indirizzato, può essere maturo e farsi troppe illusioni, può essere un dilettante per il quale la fotografia deve rimanere una passione personale). Critica fotografica. [Pagina 90] Tra i libri di critica fotografica che mi sono più cari, c’è la raccolta di saggi di Gerry Badger The Pleasure of Good Photography (2010). Architetto, fotografo, curatore di mostre, critico di fotografia, autore di un’importantissima e citatissima storia della fotografia, in questo libro, Badger raccoglie i suoi autori preferiti, ne analizza il lavoro e le critiche a loro rivolte e ci insegna a osservare le fotografie. Conoscevo alcuni degli articoli di Badger, e in particola-

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re i suoi studi su Atget. La lettura di questo volume mi ha rivelato quanto sono cieca davanti alle fotografie che non siano di attualità, per le quali la pratica di oltre cinquant’anni mi dà dei vantaggi. Badger analizza una ventina di autori, soffermandosi su alcune delle loro fotografie. Già a vedere che i fotografi scelti sono più o meno tra i miei preferiti mi ha riempito di gioia, ma un articolo in particolare, Literate, Authorative, Transcendent (una decina di pagine), è stato per me una rivelazione. Il tema è una fotografia molto nota di Walker Evans, il cui titolo è Houses and Billboards in Atlanta, ma che nel mondo della fotografia è chiamata Love Before Breakfast. Questa fotografia mi è sempre piaciuta moltissimo. Il mio sguardo era attratto dalla composizione simmetrica, dal contrasto tra le persiane chiuse e il poster che, rischiarando la fotografia, la rende contemporanea alla casa stessa. Ma non mi ero accorta di un importante particolare: l’occhio nero di Carole Lombard ha la stessa forma dell’ovale di legno che incornicia la finestra della veranda! Ho mostrato questa fotografia ad altre due persone, che l’hanno molto apprezzata, ma neppure loro hanno notato questo particolare. Una fotografia necessita quindi di molto tempo per essere letta, se al suo interno richiude dei valori, e non va solo letta, ma anche riletta. Le grandi fotografie sono belle come poesie: hanno bisogno di tanto tempo. Questo tempo io lo trovo solo osservando la fotografia stampata o guardandola su un libro. Appesa al muro nelle mostre, non riesco a leggere tutto. Guardo ma non vedo. E una deliziosa citazione dalle cose dette e scritte dal grande W. Eugene Smith. [Pagina 100] «La fotografia è una piccola voce. Se è ben concepita, riesce a farsi sentire» (Photomagazine, marzo 1989;

pagina 93). Accompagnata a questa fotografia (Orson Welles che arriva alla prima di Citizen Kane / Quarto Potere, 1941, © W. Eugene Smith/Magnum), la frase mi fa capire che «per farsi sentire» un’immagine necessita della collaborazione di chi la guarda con la sua cultura e i suoi interessi. Altra gustosa segnalazione. [Pagina 108] Ma la frase che più si addice alla fotografia è quella dello storico dell’arte Alessandro Bettagno, citata in un’intervista a Cesare Rossi, che si riferisce alla pittura, ma è perfettamente applicabile alla fotografia: «Nei quadri, uno vede quello che sa». Ancora, una terza, importante citazione, riportata nel bel libro di Angelo Schwarz Trenta voci sulla fotografia, a firma di Marshall McLuhan. [Pagina 124] «Occorrono più di un migliaio di parole per descrivere ciò che c’è in una fotografia istantanea. Questa possibilità che sta nella fotografia di comprimere le informazioni è fantastica». A proposito di Life, che l’Agenzia Grazia neri ha rappresentato per anni. [Pagina 114] Noto che sulla rivista non ci sono fotografie sottoesposte, composizioni squilibrate, presenza di flou, stampe troppo contrastate, effetti speciali, immagini sfuocate, sperimentazioni ardite, geometrie disturbate, eccetera; pochi i tentativi di messa in scena (immediatamente decifrabili). Vedo immagini dirette, senza l’uso di riflessi, con qualche ombra, molte inquadrature frontali, predominanza dei contenuti rispetto alla forma, pochissime persone che guardano l’obiettivo (tranne che nei ritratti). Certo, sono troppo statiche e lontane dal linguaggio attuale del reportage, ma mi sembra di entrare nella realtà dell’epoca, mi incantano. Probabilmente, questo effetto meraviglioso è merito anche dell’impaginazione, che deve essere senz’altro stata d’ispirazione per

il mitico Sunday Times. Essendo quasi tutte fotografie assegnate al fotografo, immagino con quale piacere questi discutesse il layout con il direttore o il photo editor. Su un autore, Serge Larrain, sul quale, visitando una mostra ad Arles, non eravamo d’accordo, ecco cosa scrive a proposito di un libriccino introvabile, Valparaiso, con le fotografie di Serge e testo di Pablo Neruda. [Pagina 124] Sono fotografie di addii. Ho sempre sentito una stretta al cuore quando leggevo degli emigranti, soprattutto quando s’imbarcavano su navi dirette in Paesi lontani. La partenza delle navi era un simbolo di quello che ho sempre temuto di più: l’abbandono. Se poi vedevo le navi illuminate, mi parevano lusinghe di mondi migliori, lusinghe che non si sarebbero avverate. Da Valparaiso si andava o a Nord in California, o a Capo Horn, oppure verso l’Asia. Ma come hanno potuto quelle poche fotografie suscitare in me un’emozione così vibrante? Il fatto è che noi entriamo in una fotografia guardandola con i nostri particolari occhi, con tutto quello che siamo e così come riconosciamo persone, luoghi, libri, ancora di più possiamo decifrare il significato di una foto con un’immediatezza sbalorditiva. Prima viene il piacere, e dopo la spiegazione del piacere. A proposito della prima fotografia della sua collezione, di Jane Evelyn Atwood, che ritrae dei bimbi ciechi che toccano un gatto impagliato per imparare ad accarezzare un gatto vero, riporta (a pagina 127) un pensiero della fotografa americana: «È raro che una fotografia cambi le cose, ma una fotografia di una detenuta americana che doveva partorire con le manette ai polsi ha cambiato la legge americana e, tranne che nell’Illinois, questa barbarie non esiste più». Nel suo libro La mia fotografia, Grazia Neri traccia un ritratto di molti grandissimi fotografi con i quali ha lavorato, da Gian-


La sua fotografia ni Giansanti a James Nachtwey, da Douglas Kirkland a Paolo Pellegrin, da Uliano Lucas a Alfred Eisenstaedt, da Alexandra Boulat a Donna Ferrato, Gianni Berengo Gardin, James Delano, Gabriele Basilico, Harry Benson, Gisèle Freund, Kevin Carter, Tim Hetherington, Chris Hondros, Steve McCurry... e molti altri. E presenta personaggi di rilevanza internazionale, come Christian Caujolle, Robert Pledge, Hubert Henrotte, e tanti altri amici del mondo milanese della fotografia. Molte pagine sono dedicate al passaggio epocale dall’analogico al digitale e ai problemi di copyright, che la distribuzione di immagini via web ha fatto nascere. Superlative, le quattro pagine, fitte fitte, dedicate alla ricchissima bibliografia. E molto belle le fotografie, di cui Grazia parla, stampate in un efficace bianconero, con imprescindibile didascalia. Ma qui quasi mi fermo, e prendo spunto dalla citazione di McLuhan, riportata sopra, che non mi dispiace ripetere: «Occorrono più di un migliaio di parole per descrivere ciò che c’è in una fotografia istantanea. Questa possibilità che sta nella fotografia di comprimere le in-

formazioni è fantastica». Parafrasandola, affermo: occorrerebbero migliaia di pagine per descrivere ciò che c’è in questo libro. La capacità di Grazia di sintetizzare le informazioni è fantastica. Non voglio chiudere senza citare alcuni brani del capitolo Tempo finito. [Pagina 409] Mentre scrivo, ho settantasei anni e sono per così dire in pensione da quasi un anno, nel senso che lavoro autonomamente nella fotografia per piccole cose che mi piacciono, faccio la nonna e scrivo queste riflessioni. In pensione, volevo andarci a settant’anni. Gli amici intorno a me erano preoccupati perché pensavano che sarei caduta in depressione, che avrei rimpianto la mia scelta. Le cose sono andate diversamente, perché l’agenzia è stata liquidata e lì sono rimasta fino all’ultimo giorno a dividere le foto dell’archivio per dare loro la giusta destinazione (al Museo di Fotografia Contemporanea, di Villa Ghirlanda). Credo di aver visto scorrere tra le mani dieci milioni di fotografie. È stato come andare a ritroso a zig-zag nella storia e nella cronaca. Faticoso ma non male. […] Così tempo finito. Lo ve-

devo già negli ultimi Festival a Perpignan, durante i quali al Palais si tenevano conferenze sulla crisi del fotogiornalismo. Possiedo gli atti di quei convegni: sono un’escalation di preoccupazioni per la morte della professione, che però per fortuna non avverrà mai. Chi credeva nella multimedialità, chi sottolineava l’aumento dei fotografi giornalisti, chi rimpiangeva il passato, chi sosteneva che solo la vendita di stampe per collezionismo avrebbe salvato agenzie e fotografi. Chi invocava associazioni e incontri. Chi raccontava ingiustizie e cattivo uso delle immagini. Chi scomodava filosofi e sociologi per dire che la foto era morta da un pezzo. Chi discuteva sulle presunte qualità delle immagini prodotte e mai utilizzate per insipienza dei photo editor. Eppure quel bisogno e quella gioia di essere ancora tutti lì era una grande cosa: fotografi, agenti e i photo editor più appassionati. Un po’ di vino di Perpignan (molto corposo) e il salato prosciutto catalano, la sera con le proiezioni in piazza o al bar chiacchierando di tutto e sorridendoci l’un l’altro, mentre s’intrecciavano nuovi flirt, bastavano a farci sentire eroi. Eroi della sopravvivenza? Io ascoltavo

e poi leggevo e leggevo proprio in quei testi la fine della mia epoca e di un’epoca in generale. Si ripartiva incoraggiati dal fatto di esserci rivisti, sempre le stesse facce, di essere ancora lì da tanti anni affrontando i lunghi ritorni in auto stralunati la domenica mattina per essere pronti a ricominciare il lunedì dei primi di settembre il nuovo anno di paura, frustrazioni e poche prospettive avvincenti. Sono certa che dopo questo lungo periodo di smarrimento l’attenzione verso il copyright tornerà, altrimenti la fotografia sarà gratuita per tutti e i fotografi saranno pagati dai produttori di macchine fotografiche o di altri prodotti legati all’immagine (del resto in parte avviene già così con i premi). In conclusione, sempre dal capitolo Tempo finito, questa confessione indimenticabile: Ho letto disperatamente, ho lavorato come fosse un gioco, ho amato con amore, spesso non sono stata all’altezza. Per me, un pensiero dello stesso struggente sapore della poesia Animula vagula blandula, dell’imperatore Adriano (76138 dopo Cristo), citata da Marguerite Yourcenar in un altro libro imperdibile: Le memorie di Adriano. ❖


Cinema

di Maurizio Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

N

SEAN PENN

Niente di che, questa volta. Non film con consistente presenza della fotografia, come è tradizione di questo appuntamento mensile, ma solo un attore che la incrocia -la fotografia- in due film successivi, entrambi curiosamente retrovisivi degli Stati Uniti degli anni Settanta, con tutte le contraddizioni del caso. Ancora: entrambi interpretati dallo stesso bravo attore, Sean Penn, che incrocia marginalmente la fotografia, andando così a integrare nostre precedenti segnalazioni di attori con apparecchio fotografico tra le mani, che abbiamo riferito nel settembre 2011 e febbraio 2012. Un’altra coincidenza, oltre quelle appena annotate (osservazione degli Stati Uniti degli anni Settanta, medesimo attore protagonista e attraversamento fotografico), segnala che entrambe le vicende sono tratte da storie vere: The Assassination (in originale The Assassination of Richard Nixon), di Niels Mueller, del 2004, e Milk, di Gus Van Sant, del 2008, raccontano, rispettivamente, la tragedia individuale del disadattato Samuel J. Bicke, che nel 1974 cerca di dirottare un aereo in decollo, per farlo precipitare sulla Casa Bianca, ma viene ucciso in aeroporto, e la straordinaria parabola politica di Harvey Milk, consigliere comunale a San Francisco, il primo componente delle istituzioni statunitensi apertamente omosessuale, ucciso il 27 novembre 1978, assieme al sindaco George Moscone, dall’ex consigliere comunale Dan White. Nel primo film, The Assassination, Samuel J. Bicke (sullo schermo, Sean Penn) usa una Kodak Instamatic 124 per fotografare i figli in posa, che vivono con la madre, che sta intentando le procedure di divorzio: con quanto ne consegue a titolo individuale, a monte (o valle?) di una esistenza che slitta verso la paranoia. Anche il lavoro non gli va come vorrebbe, anche le iniziative che intende intraprendere non si svolgono come da previsioni... da cui matura l’intenzione del gesto cla-

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Nel film The Assassination, di Niels Mueller, del 2004, l’attore Sean Penn interpreta lo psicopatico Samuel J. Bicke, che progetta di uccidere il presidente Richard Nixon. In un paio di occasioni, tra le quali questa con i figli in posa, usa una Kodak Instamatic 124. Da un certo punto di vista fotografico, lo stesso attore Sean Penn si ripete nel film Milk, di Gus Van Sant, del 2008, nei panni di Harvey Milk, consigliere comunale a San Francisco, il primo componente delle istituzioni statunitensi apertamente omosessuale, ucciso il 27 novembre 1978. Nella vita privata, Harvey Milk gestisce Castro Camera, un negozio di sviluppo e stampa fotografica. Quando fotografa usa un apparecchio a telemetro Nikon S.

moroso, per l’appunto l’assassinio del presidente della repubblica Richard Nixon, individuato come causa di tutti i mali (con tanto di registrazione audio inviata al compositore Leonard Bernstein, confidente ideale di una alienazione mentale senza altro sbocco). Nel secondo film, Milk, Harvey Milk, impegnato nella lotta per i diritti civili degli omosessuali, gestisce un negozio di sviluppo e stampa foto-

grafica a San Francisco, nel tollerante quartiere Castro: per l’appunto, Castro Camera. Oltre le sequenze ambientate nel negozio stesso, centro di ritrovo della comunità gay della città, si registra un passaggio nel quale Harvey Milk fotografa, con un apparecchio a telemetro Nikon S (del 1951): bella e colta citazione. Niente di più, né diverso. Tutto qui: due moderati incroci dell’attore Sean Penn con la fotografia. E basta. ❖



di Antonio Bordoni

S

oprattutto questo, in ripetizione e conferma a quanto già riferito alle precedenti edizioni annuali dei premi alla tecnica e tecnologia fotografica: assegnati da una competente e autorevole giuria formata da direttori e redattori di ventisette riviste internazionali di fotografia, i prestigiosi TIPA Awards si affermano come i più qualificati riconoscimenti fotografici, capaci di stabilire, stagione dopo stagione, l’inevitabile scorrere del tempo, con quanto influisce sulle trasformazioni oggettive dell’azione fotografica in quanto tale. Per quanto possibile, ecco qui la corretta lettura di slittamenti e microcambiamenti, che si richiamano sempre e coerentemente a categorie tecnico-commerciali di stretta attualità. In questo senso, confrontate tra loro, le categorie nelle quali sono scomposti e scanditi i quaranta TIPA Awards 2013 rivelano indirizzi opportuni, stabiliti dalla attuale realtà mercantile della fotografia. Come è ovvio che sia, eventuali paralleli retrospettivi vanno condotti per anni immediatamente conseguenti e consecutivi. Non si può lasciare trascorrere troppo tempo: per esempio, soprattutto alla luce delle recenti trasformazioni tecnologiche, è assolutamente

Le quaranta categorie con le quali e nelle quali si esprimono i qualificati e ambìti TIPA Awards 2013 identificano componenti essenziali e discriminanti dell’attuale panorama tecnico-commerciale della fotografia. Le assegnazioni della autorevole giuria, composta da direttori e redattori di ventisette riviste fotografiche internazionali, identificano i prodotti migliori, tra quanti sono arrivati sul mercato nell’arco dell’ultimo anno. Premi meritati: motivo di orgoglio per chi li attribuisce e per coloro che li ricevono

All’Assemblea Generale TIPA 2013, durante la quale sono stati assegnati i TIPA Awards 2013, hanno partecipato rappresentanti delle ventisette riviste internazionali di fotografia aderenti alla Technical Image Press Association (per l’appunto, TIPA). Tradizionale, il gruppo fotografico: (senza ordine rispetto l’immagine, ma in ordine per nazioni) Paul Burrows ( Camera, Australia), David Tanaka ( Photo Life, Canada), Chen Zhongyuan e Mark Zhai ( Chinese Photography, Cina), Jean-Christophe Béchet ( Réponses Photo, Francia), Peter Schuffelen (digit!, Germania), Holger Hagedorn ( Foto Hits Magazine, Germania), Henning Gerwers ( Inpho Imaging & Business, Germania), Tobias Habura-Stern ( Photographie, Germania) Thomas Gerwers ( ProfiFoto, Germania),

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Takahiro Ishikawa (Camera Journal Press Club, Giappone), Dimitrios Tzimas ( Photo Business, Grecia), Panagiotis Kaldis ( Photographos, Grecia), Jonathan Adams ( Digital Photo, Inghilterra), Adam Scorey ( Photography Monthly, Inghilterra), Andrew James ( Practical Photography, Inghilterra), Lorna Dockerill ( Professional Photographer, Inghilterra), Giulio Forti ( Fotografia Reflex, Italia), Maurizio Rebuzzini ( FOTOgraphia, Italia), Johan Elzenga ( Fotografie e FotoVisie, Olanda), Jan Paul Mioulet ( P/F, Olanda), Alberto Cabello ( Arte Fotográfico, Spagna), Alfonso Del Barrio ( FV/Foto-Video Actualidad, Spagna), Louise Donald ( PiX Magazine, Sudafrica), George Schaub ( Shutterbug, Usa) e András Bánkuti ( Digitális Fotó Magazin, Ungheria).


I PRODOTTI DI VERTICE TIPA AWARDS 2013: PREMI E VINCITORI

Reflex entry level .......................................................... Canon Eos 100D Reflex advanced .................................................................. Nikon D7100 Reflex expert ..................................................................... Canon Eos 6D Apparecchio professionale .......................................................... Leica M CSC entry level ........................................................ Olympus Pen E-PL5 CSC advanced ..................................... Samsung Smart Camera NX300 CSC expert .......................................................................... Fujifilm X-E1 CSC professionale ..................................... Panasonic Lumix DMC-GH3 Compatta easy ........................................................... Nikon Coolpix S01 Compatta expert .................................................................. Fujifilm X20 Compatta superzoom ............................................. Nikon Coolpix P520 Compatta resistente (Rugged) .................. Panasonic Lumix DMC-FT5 Apparecchio di prestigio ........................... Sony Cyber-shot DSC-RX1 Obiettivo CSC entry level ........................................................... Nikon 1 Nikkor 11-27,5mm f/3,5-5,6 ED-IF Obiettivo CSC expert ....................... Sony E-mount 10-18mm f/4 OSS Obiettivo CSC primario ............................... Fujinon XF 14mm f/2,8 R Obiettivo entry level ..... Sigma 17-70mm f/2,8-4 DC Macro OS HSM Obiettivo expert ........................................ Sigma 35mm f/1,4 DG HSM Obiettivo professionale ................. Canon EF 24-70mm f/2,8L II USM Stampante fotografica expert .............................. Canon Pixma Pro-10 Stampante fotografica multifunzionale ................... Epson Expression Photo XP series Carta inkjet ....................................... Ilford Galerie Prestige Mono Silk Photo TV ................................... Samsung F8000 Smart Led 2D/3D TV Software ....................................................................... DxO Optics Pro 8 Mobile Photo App ................................................. Tiffen Photo fx Ultra Accessorio ...................................................... Metabones Speed Booster Accessorio digitale ................................................................. CamRanger Treppiedi ............................................. Vanguard Abeo Pro Kit 283CGH (con GH300T Pistol Grip Head) Dispositivo di archiviazione ..... Panasonic SDHC Gold, Silver e Blue Series Memory Cards Video con reflex ........................................................... Canon Eos-1D C Videocamera ................................................................ Sony Nex-VG900 Dispositivo mobile fotografico .................... Samsung Galaxy Camera Illuminazione professionale .......................... Profoto Pro-B4 1000 Air Illuminazione portatile ................................... Nissin MG8000 Extreme Monitor ....................................................... LG IPS ColorPrime 27EA83 Borsa fotografica ................................................... Vanguard Quovio 41 Servizio fotografico conto tersi ............................................. WhiteWall Video action ........................................................................ GoPro Hero3 Innovazione imaging ............................ Samsung 45mm f/1,8 (2D/3D) Design .................................... Giottos Silk Road YLT Series (treppiedi)

CamRanger ................................................................. Accessorio digitale Canon Eos 6D ..................................................................... Reflex expert Canon Eos 100D .......................................................... Reflex entry level Canon Eos-1D C ........................................................... Video con reflex Canon EF 24-70mm f/2,8L II USM ................. Obiettivo professionale Canon Pixma Pro-10 .............................. Stampante fotografica expert DxO Optics Pro 8 ....................................................................... Software Epson Expression Photo XP series ............... Stampante fotografica multifunzionale Fujifilm X-E1 .......................................................................... CSC expert Fujinon XF 14mm f/2,8 R ............................... Obiettivo CSC primario Fujifilm X20 .................................................................. Compatta expert Giottos Silk Road YLT Series (treppiedi) .................................... Design GoPro Hero3 ........................................................................ Video action Ilford Galerie Prestige Mono Silk ....................................... Carta inkjet Leica M .......................................................... Apparecchio professionale LG IPS ColorPrime 27EA83 ....................................................... Monitor Metabones Speed Booster ...................................................... Accessorio Nikon D7100 .................................................................. Reflex advanced Nikon Coolpix P520 ............................................. Compatta superzoom Nikon Coolpix S01 ........................................................... Compatta easy Nikon 1 Nikkor 11-27,5mm f/3,5-5,6 ED-IF ...... Obiettivo CSC entry level Nissin MG8000 Extreme ................................... Illuminazione portatile Olympus Pen E-PL5 ........................................................ CSC entry level Panasonic Lumix DMC-GH3 ..................................... CSC professionale Panasonic Lumix DMC-FT5 .................. Compatta resistente (Rugged) Panasonic SDHC Gold, Silver e Blue Series Memory Cards ......................... Dispositivo di archiviazione Profoto Pro-B4 1000 Air .......................... Illuminazione professionale Samsung Smart Camera NX300 ..................................... CSC advanced Samsung 45mm f/1,8 (2D/3D) ............................ Innovazione imaging Samsung Galaxy Camera .................... Dispositivo mobile fotografico Samsung F8000 Smart Led 2D/3D TV ................................... Photo TV Sigma 35mm f/1,4 DG HSM ........................................ Obiettivo expert Sigma 17-70mm f/2,8-4 DC Macro OS HSM ..... Obiettivo entry level Sony Cyber-shot DSC-RX1 ........................... Apparecchio di prestigio Sony E-mount 10-18mm f/4 OSS ....................... Obiettivo CSC expert Sony Nex-VG900 ................................................................ Videocamera Tiffen Photo fx Ultra ................................................. Mobile Photo App Vanguard Quovio 41 ................................................... Borsa fotografica Vanguard Abeo Pro Kit 283CGH (con GH300T Pistol Grip Head) ........................................ Treppiedi WhiteWall ............................................ Servizio fotografico conto terzi

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inutile riscontrare la sparizione delle pellicole fotosensibili (che venti anni fa, all’origine dei premi, scandivano propri passi adeguatamente cadenzati). Quindi, un confronto temporale dilatato potrebbe introdurre dibattiti e nostalgie totalmente fuoriluogo e inutili, non soltanto superflui. Invece, i microcambiamenti annuali sono indicativi dell’attenzione della giuria dei TIPA Awards e significativi della relativa autorevolezza di giudizio. In ogni caso, non si tratta tanto di alcuna contrapposizione, quanto di valutazioni attuali che possano individuare le componenti commerciali del mercato fotografico. Ne abbiamo riflettuto in altre occasioni, soprattutto lo scorso novembre 2012 commentando lo svolgimento della Photokina, inviolabile appuntamento tecnico-commerciale della fotografia; ora ripetiamo: quali sono le motivazioni per le quali si dovrebbero comperare/vendere apparecchi fotografici? a quale pubblico ci si rivolge? con quali motivazioni si sollecita il consumo fotografico? I TIPA Awards 2013 non rispondono a queste domande, non possono farlo: ma la loro autorevolezza è spunto per sostanziose considerazioni di mercato.

CON CONSAPEVOLEZZA Ripetizione d’obbligo: dalle origini dei TIPA Awards, nel 1991, sono passati decenni di grandi trasformazioni tecnologiche. Le segnalazioni annuali dei qualificati TIPA Awards, premi assegnati dall’autorevole e accreditata associazione di categoria Technical Image Press Association, stabiliscono (almeno) due momenti fotografici coincidenti. Il primo, immediato e statutario, riguarda l’indicazione di una identificata serie di prodotti che si sono segnalati e distinti per propri valori tecnologici e operativi. Diciamo, i migliori di ogni categoria, in una visione che tiene conto delle novità tecniche arrivate sul mercato nell’arco dei dodici mesi (precedenti). Il secondo, conseguente, ma non certo in subordine, rileva gli spostamenti della tecnologia fotografica applicata, che dal presente si proietta in avanti, verso un futuro sempre più pressante e sempre meno tale: quasi ad affermare che al giorno d’oggi, dal punto di vista della fotografia, presente e futuro quasi coincidono tra loro, e a volte si accavallano addirittura. Ammesso che serva rilevarlo, il passato, sia remoto sia anche solo prossimo, è tutta altra questione: che andrebbe approfondita, analizzata e impreziosita, appunto per capire meglio l’attualità. Ma questo, come altri del resto, è un discorso diverso, non necessario in questa sede. È un discorso imbarazzante, oltre che inquietante, che dà disagio e affanno: per questo non è mai richiesto, né gradito, soprattutto da quegli addetti, e sono la maggior parte, che preferiscono l’approssimazione alla verità. Superata la boa dei venti anni, come abbiamo appena conteggiato, il tragitto dei premi merceologici e tecnici assegnati dall’associazione europea TIPA è già lungo e differenziato. È partito in un tempo nel quale la fotografia tradizionale argentica imponeva proprie scomposizioni (per esempio, distinguendo nel dettaglio le pellicole: bianconero, negativo colore e diapositiva), e ora si muove in un ambito nel quale, come già annotato in altre occasioni, a questa temporalmente precedenti, è la tecnologia digitale che esige altrettanta minuzia. Nel concreto e specifico, i TIPA Awards hanno via via preso in considerazione la realtà dei fatti, per l’occasione decodificata in categorie merceologiche significative per se stesse e

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BEST DSLR ENTRY LEVEL CANON EOS 100D

La Canon Eos 100D sfida l’idea che le reflex digitali debbano essere ingombranti, e crea un’interessante alternativa alle più piccole CSC (Compact System Camera) per coloro i quali cercano una certa maneggevolezza senza perdere la possibilità di sfruttare l’intera gamma di obiettivi Canon EF e EF-S in un corpo veramente piccolo e leggero. Ha un sensore APS-C Cmos da diciotto Megapixel, una gamma di sensibilità che va da 100 a 12.800 Iso equivalenti per le fotografie e ridotta a 100-6400 Iso equivalenti per i video. L’Hybrid Cmos AF II offre un tracking sempre accurato durante le riprese in Live View; la qualità video Full-HD è stata migliorata grazie alla modalità Movie Servo AF. Il display da tre pollici touch-screen consente di avere sempre a portata di mano i controlli della reflex, tra i quali le modalità scena e quelle creative.

BEST DSLR ADVANCED NIKON D7100

La Nikon D7100 ha un sensore Cmos formato DX da 24,1 Megapixel e sistema AF a cinquantuno punti, tra i quali quindici sensori a croce. La D7100 è in grado di registrare fino a sei fotogrammi al secondo a piena risoluzione, ma vi è la possibilità di aggiungere un fotogramma (a risoluzione inferiore) quando si utilizza la nuova modalità di ritaglio 1,3x. Il grande display LCD da 3,2 pollici ha un risoluzione di ben 1.229.000 pixel, eccellente sia per le fotografie sia per i video HD. Insieme a numerose modalità scena ed effetti (disponibili sia per i fotografi sia per i videomaker) e modalità fotografiche più avanzate, il resistente telaio in lega di magnesio e un ciclo di centocinquantamila scatti alzano il valore di questa reflex.


BEST DSLR EXPERT CANON EOS 6D

La Canon Eos 6D fonde le funzionalità da reflex consumer con una serie di opzioni fotografiche di livello professionale. Ha un sensore Cmos da 20,2 Megapixel ed è in grado di registrare video in Full-HD a 1080p: in questo aspetto, il vantaggio del full frame è l’eccellente qualità alla sensibilità “nativa” di 25.600 Iso equivalenti e oltre. Il luminoso monitor da 104.000 pixel e tre pollici offre una visualizzazione ad alta definizione per i video e per le riprese in Live View, oltre l’accesso a molti controlli creativi. Il pulsante “Q” richiama un menu a schermo con i comandi più utilizzati che, insieme ad altri tasti e al comando a otto vie, rende molto veloce e piacevole l’esperienza fotografica.

BEST PROFESSIONAL CAMERA LEICA M

nel proprio insieme. Anno dopo anno, e ancora più nell’ambito della recente assegnazione dei TIPA Awards 2013, sono state identificate e create nuove categorie, ovviamente dipendenti e coincidenti con l’affermazione sistematica delle tecnologie digitali di acquisizione e gestione delle immagini e con i rispettivi spostamenti e abbandoni (per esempio, c’è stato anche un tempo di minuziosa scomposizione delle stampanti, oggi limitate a due categorie; per esempio, si è definitivamente accasata la tecnologia CSC / Compact System Camera, nata Mirrorless). In particolare, si sono moltiplicate le segnalazioni sostanzialmente infrastrutturali, relative a quei prodotti che sostengono e supportano, appunto, l’attuale iter della fotografia. Così, registriamo ancora la scomposizione delle reflex in tre fasce, all’interno delle quali sono collocate e considerate configurazioni appunto orientate e finalizzate secondo dichiarate intenzioni originarie. Diversamente da come potevano essere interpretate le reflex argentiche del passato, le attuali reflex digitali nascono esprimendo intenti espliciti: con indirizzo verso identificate fasce commerciali e relativi utenti. Dunque, abbiamo le reflex Entry level, quelle di fascia media (Advanced) e quelle professionali (Expert), con nessun tratto in comune tra loro. Ed è esattamente lo stesso, in parallelo e simultanea, per le compatte e le CSC, che vanno analizzate per analoghe interpretazioni e proposizioni tecniche distinte. Allo stesso momento, l’infrastruttura digitale si presenta sempre più come un albero in rapida crescita, dal cui tronco principale si diramano infinite ramificazioni e sottoramificazioni. Dalla scomposizione commerciale delle stampanti, in relazione a rispettivi indirizzi tecnici, si approda ai supporti di memoria, ai dispositivi di archivio e back-up, ai software, alla gestione del colore, alle periferiche, alle innovazioni. Insomma, tutta/tanta materia che compone l’attuale menu dell’attuale flusso di lavoro digitale, sia in proprio sia conto terzi.

APPROFONDIMENTO

Il sensore Cmos full frame da ventiquattro Megapixel della Leica M permette di scattare in Live View e registrare video Full-HD, mentre il processore di elaborazione delle immagini, lo stesso che troviamo nella serie Leica S, con il quale lavora in parallelo, consente di avere una sensibilità che raggiunge i 6400 Iso equivalenti. Ha un monitor da tre pollici e 920.000 pixel, che permette di sfruttare il “Live View Focusing”, che funziona sia con gli obiettivi M sia con quelli R, questi ultimi sono ottimizzati anche per l’utilizzo con un mirino elettronico opzionale. Come si addice alla serie M, sia la piastra superiore sia il fondello sono ricavati da lavorati in ottone massiccio, mentre il corpo macchina è in lega di magnesio ricoperto da un rivestimento che lo protegge da polvere e spruzzi. Anche il display è protetto da un vetro.

In un certo senso, se l’analisi sui TIPA Awards potesse essere approfondita, andando oltre la sola elencazione delle relative indicazioni (sempre più lunga e dettagliata), si potrebbe ricavarne un autentico specchio dei tempi tecnologici della fotografia. Per quanto sia legittima, la visione e la minuta moltiplicazione e scomposizione delle categorie (da anni assestate sulla quantità di quaranta) sta a certificare, non solo suggerire, la radicale trasformazione della gestione fotografica individuale, sia professionale sia non professionale, che oggi si allarga a tutto il processo nel proprio insieme, più e diversamente di quanto non sia mai successo con la consecuzione della pellicola e relativo trattamento. Dagli apparecchi, manco a dirlo, alle stampanti (che possono essere considerate in parallelo agli ingranditori del passato), ma anche alla carta e ai software, il fotografo d’oggi, e ancor più di domani, deve estendere esponenzialmente le proprie competenze di uso e capacità, fino a stabilire un percorso senza soluzione di continuità dai contenuti alla forma. Anche questo, o forse soprattutto questo, offre materia di riflessione. Invece di inutili e aride dissertazioni, dal punto di vista operativo si tratterebbe di valutare quali e quante implicazioni parallele si accompagnano con le trasformazioni tecnologiche. Senza pregiudizi, né preconcetti, l’argomento offre straordinaria materia di analisi, che potrebbe arricchire le conoscenze e coscienze della fotografia, senza che sia necessario schierarsi su fazioni contrapposte. (continua a pagina 32)

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BEST CSC ADVANCED SAMSUNG SMART CAMERA NX300

BEST EASY COMPACT CAMERA NIKON COOLPIX S01

La Samsung NX300 presenta un nuovo sensore Cmos da 20,3 Megapixel, una gamma si sensibilità che va da 100 a 25.600 Iso equivalenti e il sistema Hybrid AF. Può registrare video nel formato Full-HD a 1080p e fotografie sia in 2D sia in 3D (per il quale è necessario l’obiettivo dedicato). Dotata di connessione wi-fi, scaricando l’app Samsung Smart Camera si può utilizzare uno smartphone per scattare. La NX300 è dotata di quattordici diverse impostazioni nella modalità Smart Mode, oltre alla possibilità di controllare manualmente l’esposizione e la messa a fuoco, per cui può essere utilizzato anche il controllo i-Function situato negli obiettivi NX. Lo schermo Amoled touchscreen da 3,3 pollici si aggiunge alla facilità di utilizzo con il controllo a cinque vie.

La piccola Coolpix S01 ha un sensore CCD da 10,1 Megapixel e 1/2,9 pollici e incorpora anche uno zoom Nikkor 3x che equivale a una escursione 29-87mm nel formato 24x36mm. Pesa appena novantasei grammi e misura 51,2x77x17,2mm. La compatta offre tempi di posa da un secondo a 1/2000 di secondo e una gamma di sensibilità da 80 a 1600 Iso equivalenti; registra anche video in HD formato Mov (Mpeg-4 e AVC/H.264). Ha numerose modalità scena ed effetti speciali, compresa la possibilità di compensare l’esposizione +/-2EV. La modalità di esposizione è programmata in Auto, come si addice ad una compatta “facile” e portatile.

BEST CSC EXPERT FUJIFILM X-E1

BEST EXPERT COMPACT CAMERA FUJIFILM X20

Dotata di un sensore Cmos APS-C da sedici Megapixel, la Fujifilm XE-1 richiama la progettazione analogica anche nella gestione: per esempio, attraverso finestre di dialogo per i tempi di scatto e le impostazioni di compensazione dell’esposizione. Le modalità di esposizione sono orientate strettamente al mondo fotografico più esperto, non mancano impostazioni predefinite, ma non sono messe in risalto le modalità scena. All’interno del corpo macchina, in magnesio pressofuso nella parte superiore e frontale, si trova il sofisticato sensore X-Trans Cmos, in grado di raggiungere la sensibilità di 6400 Iso equivalenti, creare file grezzi Raw e video nel formato H.264 con audio stereo. Una delle caratteristiche più impressionanti è la risoluzione da 2.360.000 pixel del mirino elettronico Oled.

La Fujifilm X20 ha un sensore Cmos (2/3 di pollice) da dodici Megapixel e offre una sensibilità fino a 12.800 Iso equivalenti. Lo zoom Fujinon 4x (28-112mm equivalenti) ha un’apertura massima f/2 e solo alla massima escursione focale si riduce a f/2,8. La distanza minima di messa a fuoco è di 1cm. La X20 consente la zoomata manuale così come la messa a fuoco anche durante la registrazione dei video; offre numerose funzioni controllate dall’utente e otto filtri avanzati, più la modalità “Motion Panorama 360”. L’Hybrid AF è veloce e affidabile, in più c’è la funzione Focus Peak Highlight direttamente sul display LCD da 2,8 pollici. Lo stabilizzatore di immagine è integrato, così come un piccolo flash pop-up.


BEST SUPERZOOM CAMERA NIKON COOLPIX P520

BEST CSC PRIME LENS FUJINON XF 14mm f/2,8 R

L’obiettivo Nikkor 42x integralmente costituito da lenti in vetro della Coolpix P520 offre fino a 1000mm di lunghezza focale, con stabilizzatore VR integrato. Il sensore da 18,1 Megapixel ha una gamma di sensibilità che si estende da 80 a 3200 Iso equivalenti. Ci sono numerosi modi scena ed effetti creativi; inoltre, la P520 consente di registrare video a diverse risoluzioni, compreso il Full-HD. La distanza minima di messa a fuoco è di 5cm alla minima escursione focale e 12cm alla massima; e c’è anche una funzione Macro, che porta la distanza minima a 1cm. Infine, c’è un display da 3,2 pollici orientabile e 920.000 pixel punti di risoluzione con il cento percento di copertura.

Con una visione equivalente a 21mm nel formato 24x36mm, il Fujinon XF 14mm f/2,8 R è costituito da dieci lenti in sette gruppi, inclusi due elementi asferici e tre a bassissimo indice di dispersione, oltre a un diaframma a sette lamelle. Progettato tenendo a mente le macchine fotografiche Fujifilm, questo obiettivo vanta una ridotta vignettatura e fornisce delle immagini luminose e ad alta risoluzione fino agli angoli. Sul barilotto dell’obiettivo si trovano anche le scale di distanza e profondità di campo, per aiutare la messa a fuoco. L’apertura minima è f/22 e vi sono diciannove stop in tutto, da gestire con incrementi di 1/3 EV. La messa a fuoco minima è di 0,18m.

BEST CSC ENTRY LEVEL LENS NIKON 1 NIKKOR 11-27,5mm f/3,5-5,6 ED-IF

BEST ENTRY LEVEL DSLR LENS SIGMA 17-70mm f/2,8-4 DC MACRO OS HSM

Realizzato per tutte le CSC Nikon 1, l’altrettanto compatto Nikkor 11-27,5mm (equivalente a una escursione 30-74mm) misura appena 57,5x31mm e pesa solo ottanta grammi. È costituito da otto elementi in otto gruppi, tra i quali una lente asferica e una ED, ha un diaframma a sette lamelle e offre la messa a fuoco minima da 0,3m. Dotato di messa a fuoco interna (IF), che sposta solo i gruppi di lenti durante la messa a fuoco, questo obiettivo aggiunge poco al peso della macchina fotografica e alle sue dimensioni, rendendola un’ideale compagna di viaggio per la sua elevata portabilità.

Disponibile per una vasta gamma di modelli reflex con sensore di acquisizione in dimensioni APS-C, il Sigma 17-70mm offre una escursione focale equivalente di 25,5105mm, e inoltre ha una capacità di messa a fuoco a solo 22cm dal soggetto. L’inserimento di una più piccola unità OS (per la stabilizzazione ottica con le reflex senza dispositivo integrato) rende il design ancora più compatto, 79x82mm. L’obiettivo è composto da sedici lenti in quattordici gruppi e comprende due lenti FLD, una SLD e tre lenti asferiche, che migliorano la qualità d’immagine. Un diaframma a sette lamelle, Hyper Sonic Motor (HSM), la baionetta in ottone e la compatibilità con il Sigma USB Dock, per gli aggiornamenti del firmware, completano le specifiche di grande livello.

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BEST EXPERT DSLR LENS SIGMA 35mm f/1,4 DG HSM

BEST EXPERT PHOTO PRINTER CANON PIXMA PRO-10

Questo obiettivo ultraluminoso copre i sensori full frame. Include il motore Hyper Sonic Motor (HSM), un sistema di messa a fuoco interna flottante e elementi SLD e FLD, che aiutano a correggere le aberrazioni. In tutto, l’obiettivo è costituito da tredici lenti in undici gruppi e ha un diaframma a nove lamelle. L’HSM offre una messa a fuoco veloce e silenziosa, mentre il sistema flottante consente prestazioni di alto livello con soggetti a breve distanza (messa a fuoco minima 30cm). L’apertura massima f/1,4 lo rende ideale per le riprese in condizioni di scarsa luce. L’obiettivo è compatibile con il dock Sigma USB e il software Sigma Optimization Pro, per regolare e mettere a punto i parametri di messa a fuoco.

La Pixma PRO-10 è una stampante wireless e AirPrint, che utilizza i nuovi dieci inchiostri a pigmenti Lucia di Canon, mentre la presenza di una cartuccia Chroma Optimizer consente di eliminare gli effetti metamerici. La stampante dispone di due cassetti di alimentazione per la carta, un vassoio posteriore dove inserire svariati fogli e uno per l’alimentazione manuale per carta più spessa e pesante. Utilizza 7680 ugelli da quattro picolitri ed è in grado di fornire stampe fino a 4800x2400dpi a colori e monocromatiche fino al formato A3+. La velocità di stampa per un’immagine formato A3+ è di tre minuti e trentacinque secondi (cinque minuti per PT-101).

BEST PROFESSIONAL DSLR LENS CANON EF 24-70mm f/2,8L II USM

BEST PHOTO TV SAMSUNG F8000 SMART LED 2D/3D TV

Questo zoom Canon EF dall’apertura costante è composto da diciotto lenti in tredici gruppi e utilizza una lente Super UD e due UD. Questi due tipi di lenti asferiche sono combinati per ridurre l’aberrazione sferica su tutta l’area dell’immagine e lungo tutta l’escursione focale; in più, il rivestimento delle lenti è utilizzato per limitare le immagini fantasma. Lo zoom è dotato di un diaframma circolare a nove lamelle, sfrutta il motore ad anello USM e ha una CPU ad alta velocità, per perfezionare gli algoritmi di messa a fuoco, affinché sia silenziosa e rapida. È costruito per una migliore tenuta alla polvere e all’acqua, con rivestimenti al fluoro sulla superficie posteriore e anteriore delle lenti.

Guardare fotografie e video su un televisore non è una novità. Ciò che è nuovo è la capacità di sfruttare un televisore per interagire con le immagini e condividerle sui social network, lavorare grazie alle app e usare la TV come un contenitore per immagini con numerosi dispositivi, come controller. Con modelli in grado di offrire sia il 2D sia il 3D, Samsung ha affrontato questa integrazione, assicurando che tutti i loro dispositivi, tra cui smartphone e tablet, possano far parte di questo circolo di comunicazione per immagini. Le Smart TV di Samsung sono dotate anche di un Evolution Kit, che permette di scaricare i futuri aggiornamenti firmware.


BEST TRIPOD VANGUARD ABEO 283CGH (GH300T PISTOL GRIP HEAD)

BEST MOBILE IMAGING DEVICE SAMSUNG GALAXY CAMERA

Il Vanguard Abeo Kit Pro in fibra di carbonio, modello GH283CGH, comprende la testa “pistol grip” GH-300T con controllo di scatto remoto integrato. La testa presenta due assi panoramici e dispone di una base a settantadue punti per il panning. La colonna centrale multiangolo del treppiedi consente agli utenti di spostare la colonna da 0 a 180 gradi, sia in verticale sia in orizzontale, ed è dotata di un sistema di bloccaggio facile da impostare e sbloccare. Le gambe sono dotate di chiusure rapide e ad angolo variabile, da 25 a 80 gradi; inoltre, con i piedi 3-in-1, si ottiene una posizione ferma, grazie alla gomma e alla punta, anche sulla sabbia e sulla neve, con la nuova opzione “scarpa”.

Essendo allo stesso tempo una macchina fotografica e un tablet che permette di accedere in modo semplice ai siti di condivisione, ai social network e al web, la Samsung Galaxy Camera da sedici Megapixel ridefinisce il genere di macchine fotografiche “connesse”. L’impressionante display LCD HD da 4,8 pollici domina il retro della configurazione e permette una facile visualizzazione di tutte le applicazioni che un utente possa desiderare, comprese quelle preinstallate e quelle disponibili sul Google Play Store e sull’app store di Samsung. La Galaxy dispone anche della funzione Auto Cloud Backup integrata, che invia le fotografie al momento dello scatto al servizio Cloud di Samsung. Infine, la Galaxy può essere programmata per rispondere a vari comandi vocali.

BEST VIDEO DSLR CANON EOS-1D C

BEST PORTABLE LIGHTING SYSTEM NISSIN MG8000 EXTREME

Come prima reflex “ibrida” di Canon, la Eos-1D C ha un sensore da Cmos da diciotto Megapixel full frame che può acquisire video 4K (4096x2160 pixel), così come immagini in formato Jpeg e/o Raw. Orientata verso la produzione cinematografica e televisiva, la registrazione 4K può essere realizzata a 24p o 25p e quella HD fino a 60p, su schede di memoria CF. Possono essere utilizzati tutti gli obiettivi Canon EF, il che fa della Eos-1D C anche una reflex professionale con tutte le caratteristiche del caso, estremamente versatile e ideale per i fotografi professionisti di oggi.

L’“Extreme” della definizione di questo prodotto si riferisce alla resistenza al calore del corpo e al bulbo flash in quarzo, che in ripresa continua con il lampo elimina gli scatti a vuoto; per esempio, durante un matrimonio, un reportage o una sfilata di moda, eventi durante i quali i fotografi hanno bisogno di lavorare velocemente. Compatibile con Canon E-TTL e E-TTL II e Nikon i-TTL e iTTL-BL, più i TTL wireless con entrambi i sistemi, il flash può essere regolato manualmente a ventidue livelli di potenza, ha un colore molto pulito e può contare sulla rotazione automatica del display. Incorpora un sub flash (Numero Guida 12) e ha i collegamenti per l’uso con il Nissin Power Pack opzionale.

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BEST PHOTO BAG VANGUARD QUOVIO 41

(continua da pagina 27) Angeli e demoni: c’è del bene e del male in tutto (ma anche in tutti, come puntualizzò la doppia personalità letteraria del dottor Jeckyll e di mister Hyde). Dunque, si tratta soltanto, e non già soprattutto, di mettere a frutto ciò che ciascuna tecnologia offre. Così come, in tutta la lunga vicenda tecnica della fotografia, dalle proprie lontane origini, si sono scelti apparecchi, accessori e obiettivi in ordine con le proprie particolari necessità ed esigenze.

TIPA AWARDS 2013

Progettata per il professionista e il non professionista consapevole e motivato, la Vanguard Quovio 41 è una borsa dotata di tracolla ben imbottita, che permette un accesso realmente rapido (Quick Access) al vano centrale, per consentire di aprirla senza problemi attraverso la grande maniglia. Può contenere un camcorder semi professionale, così come una reflex professionale con il suo kit, con sezioni configurabili e porta treppiedi integrato. Ci sono due tasche a rete per i cavi e gli accessori, oltre alla maniglia per agganciare la borsa a un trolley, per muoversi facilmente in città o in aeroporto. La borsa ha una base resistente all’acqua, con piedini “anti-shock”, una mantella per proteggerla dalla pioggia e incorpora una vano per un computer portatile fino a quattordici pollici.

BEST IMAGING INNOVATION SAMSUNG 45mm f/1,8 (2D/3D)

Il Samsung 45mm f/1,8 3D (equivalente a un 70mm nel formato 24x36mm) è il primo obiettivo 3D al mondo per una CSC, come la NX300 (e forse sui futuri modelli), che può essere utilizzato anche per fotografia tradizionale in 2D. Per scattare immagini tridimensionali, attivando l’interruttore 3D, l’utente mette in azione un gruppo secondario di lenti che inviano due immagini separate al sensore, un po’ come accadeva con i vecchi adattatori stereo per gli apparecchi a pellicola. Il meccanismo a doppio otturatore nel barilotto dell’obiettivo si muove avanti-indietro durante l’esposizione, per creare un effetto di parallasse destra-sinistra, anche nel caso di registrazione video. Durante le riprese, l’obiettivo proietta l’intera immagine su tutto il sensore e il processore di immagine gestisce il resto, producendo immagini e video stereo che possono essere visualizzati su un televisore compatibile.

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Al di là delle filosofie di fondo, sollecitate proprio da momenti particolari -come lo è la qualificata sintesi dei TIPA Awards, assegnati dai rappresentanti di ventisette riviste internazionali di fotografia, di quindici paesi-, in se stessi i premi rappresentano un concentrato momento focale della tecnologia fotografica attuale e futuribile. Come abbiamo avuto già modo di sottolineare, e la ripetizione è d’obbligo, per propria natura e personalità professionale, i direttori e redattori delle riviste fotografiche internazionali che compongono Technical Image Press Association (TIPA) sono allo stesso momento al vertice e alla coda del mercato. Al vertice, quando e per quanto debbono intuire le evoluzioni tecnologiche in divenire; alla coda, quando e per quanto debbono registrare, annotandole e magari commentandole, perfino motivandole, le personalità del mercato: comunque questo si esprima. Dunque, per conseguenza, assegnati dai rappresentanti di autorevoli riviste specializzate internazionali, i qualificati TIPA Awards 2013 sono frutto di una competente analisi complessiva del mercato fotografico. Alla resa dei conti, la combinazione di riviste fotografiche tra loro diverse ed eterogenee, sia per intendimento e finalità, sia per osservazione geografica del mercato, finisce per rappresentare una adeguata media planetaria. Ciascuna rivista è portavoce di propri punti di vista e osservazioni nazionali, oltre che di realtà commerciali determinate da particolari equilibri geografici e sociali; quindi, nel proprio insieme, la valutazione TIPA esprime sempre e comunque la più concreta e realistica essenza del mercato fotografico mondiale. Nella sessione giudicatrice, le discussioni tra i giurati nazionali manifestano ed esprimono quella vitalità che dà lustro al mercato. L’affermazione finale arriva al culmine di un processo estremamente severo e approfondito. Nulla è lasciato al caso o sottovalutato. Come già annotato, svolgendo con doverosa serietà e adeguato scrupolo il proprio ruolo, intermediario tra le realizzazioni dell’industria e le aspettative del pubblico, ogni anno la giuria TIPA osserva il presente, tenendo aperti gli occhi anche sul possibile e potenziale futuro: avendo ben chiaro che ciò che conta non sono tanto le soluzioni che si risolvono in se stesse, seppur genialmente, quanto le intuizioni che sanno anche dare spessore generale all’intero mercato fotografico. Dall’aggiudicazione, alla quale fa seguito la cerimonia della consegna dei premi, per un anno, fino alla prossima primavera 2014, le aziende produttrici e distributrici possono combinare la presentazione dei relativi vincitori di categoria con l’identificazione ufficiale dei TIPA Awards 2013: «Quando il marchio dei TIPA Awards appare in un annuncio pubblicitario, un pieghevole o sulla confezione di un prodotto, potete esser certi che è stato meritato. I TIPA Awards sono un motivo di orgoglio per chi li attribuisce e per coloro che li ricevono». ❖



di Maurizio Rebuzzini

P

resto rivelato. Lo svolgimento dell’attuale edizione Sony World Photography Award 2013 conferma e sottolinea il valore e pregio di questo concorso fotografico internazionale, approdato alla sua sesta edizione annuale. Dalla primavera 2008 di partenza, addirittura, e in tutta onestà intellettuale -la nostra di sempre-, la mostra londinese delle fotografie finaliste e vincitrici di categoria (allestita alla Somerset House, dal ventisei aprile al dodici maggio, e poi in tour mondiale -anche in Italia?... speriamolo-), si offre e presenta più accattivante dell’analoga che riunisce i vincitori e segnalati al World Press Photo 2013. In questo senso, svincolato dal contenitore obbligato “Press”, pur comprendendo categorie esplicite di fotogiornalismo, ma non soltanto di questo, il Sony World Photography Award 2013 non è gravato e sovraccaricato dalla e della trasver-

Eccellente concorso fotografico internazionale, il Sony World Photography Award ribadisce ogni proprio buon sapore con una spumeggiante edizione 2013 di assoluta conferma dei valori acquisiti nei suoi precedenti cinque svolgimenti, dal 2008 di origine. Soprattutto di questo riferiamo e a questo ci richiamiamo... con una annotazione finale assolutamente doverosa, oltre che imperiosa. Domanda inevitabile e pressante: quanto diamo in ragione di quanto riceviamo? Senza risposta certa

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salità del dolore, che definisce e caratterizza lo svolgimento e la passerella ufficiale del World Press Photo (più recente approfondimento specifico in FOTOgraphia, dello scorso marzo). Ciò detto e rilevato, a parte altri corollari, dei quali stiamo per riferire, l’insieme del fotogiornalismo delle categorie professionali del Sony World Photography Award, che ne compongono l’ossatura e la personalità più appariscente e qualificante, è equilibrato da altre interpretazioni di mestiere, che ne alleggeriscono il carattere complessivo: per intenderci, dallo sport alla pubblicità, dalla moda al ritratto, dallo still life all’architettura, dal paesaggio alla natura, ai viaggi, all’arte e cultura (sempre senza obbligo “Press” / giornalismo). In aggiunta, la sezione non professionale, Open, nel codice del prestigioso e autorevole Concorso, arricchisce il carattere dell’appuntamento, aggiungendovi note di fotografie, comunque le si consideri, avvincenti e accattivanti.


HIP HIP

HURRÀ! Primo premio Professional People e Iris d’Or 2013: Andrea Gjestvang (Norvegia). Reportage intitolato One day in history, che ritrae i ragazzi sopravvissuti al massacro che il 22 luglio 2011 ha scosso l’isola di Utøya, nei pressi di Oslo.

La norvegese Andrea Gjestvang con l’ Iris d’Or, assegnatole nell’ambito del Sony World Photography Award 2013.

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Primo premio Professional Arts & Culture: Myriam Meloni (Italia).

(in alto) Primo premio Professional Lifestyle: Alice Caputo (Italia).

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OPEN E PRO

Proprio l’allineamento ideale tra fotografia professionale e non professionale, per l’appunto Open, compone i tratti di una caratteristica discriminante, che -a propria volta- esige note altrettanto differenziate, prese subito in considerazione. In pratica, questa vicinanza, questo accostamento (ideale?) consente di rilevare una discriminante sostanziosa e sostanziale della stessa fotografia, del suo linguaggio esplicito. Per lo più, ma forse in assoluto, la fotografia professionale esprime la forza e consistenza di un progetto, qualsiasi questo possa essere; mentre, su un binario diverso, la fotografia non professionale, svincolata da qualsivoglia esigenza e necessità di racconto, si esprime spesso per se stessa e i propri connotati di apparenza. Detto altrimenti, e con maggiore decisione (ma analoga profondità): nel proprio insieme, la fo-

tografia professionale svolge e racconta, mentre quella non professionale si manifesta per i propri connotati di superficie. Ovvero, la fotografia non professionale si presenta spesso (ma forse sempre) come tale... fotografia da guardare e apprezzare. Punto e basta. In questo senso, la fotografia professionale richiede inderogabili e irrinunciabili parole di accompagnamento, forse anche soltanto di presentazione. Al pari di analoghe considerazioni già espresse per i precedenti appuntamenti, puntualmente annotati da FOTOgraphia, anno dopo anno, dal giugno 2008, nel riferimento specifico alle risultanze del Sony World Photography Award 2013 è propriamente il caso della serie che è valsa alla norvegese Andrea Gjestvang l’Iris d’Or 2013, il primo premio assoluto, in consecuzione dell’affermazione nella categoria professionale People [a pagina


34]: ritratti di giovani e bambini scampati al massacro che, il 22 luglio 2011, ha scosso l’isola di Utøya, nei pressi di Oslo. Intitolata One day in history, con grande tatto e realismo, la sequenza ritrae i ragazzi sopravvissuti e testimonia l’incredibile determinazione delle nuove generazioni di fronte a una tragedia inspiegabile. In assoluto, reportage di straordinaria dignità e bellezza, non soltanto formale, ma di contenuto. A completamento, ricordiamo che la stessa vicenda dell’isola di Utøya ha già incrociato il World Press Photo, con il secondo premio nella categoria Spot News Stories, dell’edizione 2012, sul 2011 (FOTOgraphia, marzo 2012), assegnato al reportage in cronaca dello svedese Niclas Hammarström, per Aftonbladet. Ricordiamone la vicenda: il 22 luglio 2011, il terrorista Anders Behring Breivik ha ucciso sessantanove persone sulla piccola

isola di Utøya, in Norvegia; tra altro, il reportage di Niclas Hammarström visualizzò come, per evitare le pallottole del killer, molte persone si gettarono nell’acqua gelata del Mare del Nord. Ecco la necessità di parole di accompagnamento, forse anche soltanto di presentazione, della fotografia professionale, le cui immagini non possono mai essere decontestualizzate dai propri soggetti, dal proprio racconto, dal proprio progetto.

Primo premio Professional Contemporary Issues: Valerio Bispuri (Italia).

SWPA 2013 Tornando in cronaca, oppure restandoci, dipende dal senso dato da ciascuno alla propria lettura, lo svolgimento del Sony World Photography Award 2013 impone una annotazione di stampo nazionalista. Con fierezza e orgoglio confermiamo una nostra considerazione e convinzione riguardo lo stato di salute del fotogiornalismo italiano dei nostri

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Primo premio Professional Current Affairs: Ilya Pitalev (Russia).

Primo premio assoluto Open, e primo premio Open Enhanced: Nguyen Hoang Hiep (Vietnam).

tempi, capace di osservare la vita nel proprio svolgersi con intensità e partecipazione straordinarie (anche questa, soprattutto questa, è la missione della fotografia), appena espressa lo scorso maggio, in presentazione degli eccellenti progetti svolti dai sei finalisti al qualificato Leica Talent 2012, categoria M (professionale). La fotografia professionale italiana si è affermata in tre categorie dell’attuale Sony World Photography Award 2013 e si è presentata in quantità consistente nelle liste dei finalisti e nelle shortlist dello stesso premio. Il conteggio è presto riferito: Alice Caputo, primo posto Lifestyle [a pagina 36]; Myriam Meloni, primo posto Arts & Culture [ancora a pagina 36]; Valerio Bispuri, primo posto Contemporary Issues [sempre a pagina 36]; Alice Pavesi Fiori, terzo posto Fashion & Beauty; Davide Monteleone e Marco Ceccaroni, entrambi nella shortlist finale di Portraiture, che ha espresso soltanto il vincitore di categoria, senza ulteriore classifica; Niccolò Rastrelli e Giorgio Barrera (in coppia), secondo posto Arts & Culture (alle spalle di un’altra italiana, già menzionata, Myriam Meloni); Paolo Pellegrin e Fabio Bucciarelli, rispettivamente secondo e terzo posto Current Affairs; Martina Biccheri, vincitrice di categoria Open - Architecture. La quantità di fotografi italiani, che ha definito la presenza nazionale più consistente alle fasi finali del Sony World Photography Award 2013, si rafforza, quindi, con le presenze nelle shortlist professionali e Open; rispettivamente: Alessandro Viganò e Matteo Scarpellini / Alma Photos (in coppia; Sport ), Filippo Mutani (Fashion & Beauty ), Matteo Butturini (Travel ), Michela Taeggi (People), Daniele Tamagni e Fausto Podavini (Arts & Culture), Flavio D’Aquino (Open - Architecture), Roberto Bettacchi (Open Nature & Wildlife), Luca Benini (Open - Panoramic), Paolo Mezzera (Open - People), Massimo Ferrero, Nicola Genchi e Barbara Roppo (Open - Split Second ). Ancora, e poi basta: Michele Abramo Puricelli, detto Michael Abraham, finalista 3D. Ovviamente, considerata la nostra socialità e contorni, l’Italia è perennemente assente dalla categoria Student Focus (considerata l’inconsistenza della nostra didattica sulla e con la fotografia) e dalla possibilità di essere presa in considerazione per il qualificato e autorevole Kraszna-Krausz Book Award (considerata l’analoga inconsistenza della nostra editoria illustrata, preoccupata più di ottenere committenze pubbliche che di svolgere il proprio mestiere statutario).

CONCORSI E DINTORNI Cosa aggiungere ancora, a margine (o completamento) del Sony Photography Award 2013, con quanto si allinea e collega? Qualche altra considerazione, forse addirittura riflessione. Anzitutto, è doverosa l’annotazione secondo la quale, nell’attuale crisi cronica di mercato, soprattutto nell’ambito del fotogiornalismo, i concorsi fotografici professionali si stiano rivelando fonte di consistenti potenzialità finanziarie per i singoli foto-

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grafi: tra l’altro, diciamolo, l’Iris d’Or non è soltanto una onorificenza formale, ma si completa con un contributo economico tangibile di venticinquemila dollari, più una attrezzatura Sony ben scandita. Ancora, è soddisfacente appuntare che la presenza di fotografe donne (finaliste e vincitrici) è sempre quantitativamente rilevante, pur in assenza di legnosi princìpi di “quote rosa”: annotazione dalla società, dalla professione e dalla passione fotografica senza grottesche scomposizioni imposte e ricercate (con artificio). Quindi, in una sostanziale trasversalità e partecipazione di intenti, si registrano apprezzate sovrapposizioni con il World Press Photo. Per quanto i giudizi delle giurie finiscano anche per risultare diversi, mai divergenti, non sono pochi, né marginali, i reportage presenti in entrambe le manifestazioni: a testimonianza della sostanza e con-


cretezza del fotogiornalismo dei nostri giorni. Infine, non possiamo non rilevare taluni slittamenti verso una sorta di concettualità espressiva. A parte l’apposita categoria professionale, per l’appunto Conceptual, svolgimenti e interpretazioni analogamente riconducibili hanno fatto capolino all’interno di altre categorie, per esempio Fashion & Beauty, con l’italiana Alice Pavesi Fiori. In definitiva, anche questo è uno dei segnali fotografici dei nostri giorni, durante i quali sono sempre più labili i confini tra categorie prestabilite, che un tempo parevano indissolubili e inviolabili. Riguardo l’apparenza formale delle fotografie professionali, e un loro certo contenuto, è giocoforza rilevare che l’impegno in Nature & Wildlife è sempre sacrale e profondo: sempre e soltanto fotografie di eccellente bellezza, sia professionali sia non professionali. Del resto, se un autore si impe-

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Secondo premio Professional Nature & Wildlife: Ernest Goh (Singapore).

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gna e concentra con un fiore da illuminare, con un microsoggetto animato da evidenziare... non può che farlo bene. Altrimenti, può anche andarsene altrove, al cinema o a spasso. Però! Però non è un segnale positivo, per quanto sia stato anche istante apprezzabile e liberatorio, che alla proiezione dei finalisti, con relativa cerimonia di assegnazione dei premi, durante una cena di gala a Londra, la sera prima dell’inaugurazione al pubblico della mostra allestita alla Somerset House, la sera di giovedì venticinque aprile (festivo soltanto per noi italiani), l’unico applauso spontaneo e fuori tempo è stato riservato ai polli in posa del singaporese (singaporiano?) Ernest Goh [qui sopra]: animali apprezzati per quanto imitativi di posture umane. Come al circo, con gli orsi in gonnella, le scimmiette ballerine e contorni. Pazienza: anche così va il mondo.

E ce ne diamo ragione se e quando si tratta di momento marginale e non discriminante di una manifestazione, quale è il Sony World Photography Award, da sei anni, che tanto dà alla fotografia tutta, nel proprio complesso. Sicuramente, Sony dà più di quanto possa ricevere in cambio: anche questa è una sfaccettatura di quella composita medaglia che definisce il rapporto controverso e (spesso) contraddittorio tra industria produttrice e cultura realizzata con i relativi manufatti. Per quanto spesso possiamo rimproverare all’industria una sua sostanziale e sostanziosa cecità (e lo facciamo!), altrettanto frequentemente dobbiamo rimproverare alla cultura (termine che ci incute timore) una corrispondente ottusità nei confronti dell’industria. Sony si impegna, spende (è certo) e investe (non è detto). Ma cosa ottiene in ritorno? Senza risposta certa. ❖



Allestite in una affascinante mostra (di ingrandimenti di dimensioni generose) e riunite in una monografia irrinunciabile, le Dark Memories, di Gian Paolo Barbieri, svelano e rivelano una personalità fotografica di straordinario fascino, che completa l’immagine pubblica del celebre fotografo di moda (ma non soltanto di questo). L’abbiamo annotato in tante occasione, ogni volta che se n’è presentata l’occasione per farlo, ed ora si impone la ripetizione e conferma: in qualsivoglia casellario, esteso o contratto in quantità, Gian Paolo Barbieri è conteggiato, deve essere conteggiato, tra i più significativi autori della Storia della Fotografia. Anche volendo limitare le menzioni al computo con le dita di una sola mano, lui ci deve essere, ci deve stare. Oltre gli aspetti già conosciuti della sua fotografia, quali sono quelli per la moda e quelli etnici/antropologici, si apre il sipario su una ulteriore intenzione espressiva svolta con adeguato garbo ed eccezionale ampiezza. Dalla superficie apparente dei soggetti ai contenuti di una investigazione di rara trasparenza e avvincente onestà. Tante grazie

DARK MEMORIES di Maurizio Rebuzzini (dall’introduzione a Dark Memories, di Gian Paolo Barbieri)

S

iccome la fotografia si distingue da ogni altra forma di comunicazione -non soltanto visiva- per il suo vincolo fondante con un soggetto esplicito, che registra, spesso la si riconduce soltanto a questo: per l’appunto, al soggetto. Sia che si tratti di soggetti reali, ovverosia la vita nel proprio svolgersi, sia che si tratti di soggetti costruiti, non è mai facile per l’osservatore compiere il doveroso passo in avanti: dalla raffigurazione soltanto necessaria alla rappresentazione volontaria e consapevole. Quando dipinge, il pittore può applicare punti di vista a scelta, così come può includere nella propria opera elementi a piacimento; oppure, li può escludere. L’azione del fotografo è vincolata altrimenti, perché deve organizzare il proprio soggetto -fosse anche solo mentalmente, per esempio nel caso della ripresa dal vero- affinché l’osservatore possa riconoscere il contenuto dell’immagine realizzata, oltre la sua forma esplicita e apparente. Nelle proprie fantastiche ricostruzioni in sala di posa, Gian

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Paolo Barbieri risponde a entrambi questi canoni, simultaneamente. Sia quando agisce nell’ambito della fotografia di moda, che lo vede eccellere nel panorama internazionale, con primati fotografici di grande valore (magari a partire dalla copertina del primo numero di Vogue Italia, del novembre 1965), sia quando realizza progetti propri, indipendenti dalla committenza, Gian Paolo Barbieri offre e propone interpretazioni fotografiche assolutamente personali, edificate su solide basi culturali: da cui, richiami e riferimenti espressi e impliciti dalla letteratura, dal cinema, dalla pittura, dall’arte tutta... dalla vita. Così è stato, in tempi precedenti a questa attuale e coinvolgente serie di Dark Memories, con i progetti etnici, definiamoli così, raccolti in affascinanti e suggestive monografie: Silent Portraits (1984), Tahiti Tattoos (1989 e 1998 [FOTOgraphia, aprile 2011]), Madagascar (1997), Equator (1999), Exotic Nudes (2003) e Body Haiku (2007). Così è nella sua fotografia di moda, per la quale testimoniano anche due raccolte di pregio: Artificial, del 1982, e il volume-catalogo della mostra allestita nelle sontuose sale del Palazzo Reale, di Milano, nell’autunno 2007, propriamente intitolato Gian Paolo Barbieri, pubblicato da Federico Motta Editore [FOTOgraphia, settembre 2007]. (continua a pagina 51)




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(continua da pagina 42) nelle emozioni, soprattutto nelle più cuUna nota retrospettiva, prima di afpe e sconcertanti. frontare l’attualità di Dark Memories, utiIn conseguenza, affiora una domanda. le per definire il quadro d’ambiente che Esiste uno stile espressivo che Gian Paoguida la fotografia di Gian Paolo Barbielo Barbieri non abbia assimilato, facenri. Le sue ricerche etniche, appena ricordolo suo? Beh, sì. Non avrà mai nulla a date, che si aggiungono alla sua fantache vedere e a che spartire con l’espresstica fotografia di moda, sollecitano una sionismo astratto, e non ha alcuna ispiriflessione. Il pensiero va agli uomini che razione romantica. Infatti, il romanticismo adoravano la pietra, ed eressero l’inè un sentimento concluso in sé, e non quietante Stonehenge, nel sud dell’atesce dalle cornici che racchiudono le tuale Gran Bretagna. Tutti coloro che la opere, sia pittoriche sia fotografiche. eressero sono periti e sconosciuti, menGian Paolo Barbieri affascina, sconcertre Stonehenge rimane. Eppure quegli ta, tocca il cuore e la mente di chi guaruomini, i nostri antenati, volti anonimi, da. Ed è anche questa la funzione della sono vivi in tutti noi, nei loro discendenfotografia e, più in esteso, dell’arte. Usa ti; mentre Stonehenge, e quello che rap- Dark Memories, fotografie di Gian Paolo Barbieri; la luce con maestria (la fotografia è lupresentava, è morta. Oltre il suo profes- introduzione di Maurizio Rebuzzini, ce!), alternando il vigore alla pienezza sionismo nella moda, con queste foto- prefazione di Nikolaos Velissiotis; Skira Editore, 2013; soggettiva e drammatica, compone i grafie Gian Paolo Barbieri afferma che è 112 pagine 30,5x38cm, stampa a tre neri su carta soggetti con gusto e garbo, presentanGardaPat da 135g, rilegatura bodoniana; 60,00 euro. l’Uomo a continuare in eterno. do la loro profondità e intensità. Queste E l’Uomo, ancora, è il soggetto implicito delle Dark Me- Dark Memories vibrano come l’animo umano. Offrono e promories, attraverso le quali Gian Paolo Barbieri ha investiga- pongono una terribile limpidezza. to, indagato, scrutato l’anima che appartiene a ciascuno di Gian Paolo Barbieri è un fotografo che esprime forza, epnoi: volente o nolente. La declinazione fotografica è esplici- pure risulta stranamente passivo (nel senso positivo del terta e palese: si tratta di visioni che saranno sicuramente eti- mine). La passione e la tragedia che fotografa, le vibrazioni chettate nell’ambito e contenitore dell’erotismo visivo. Sic- intense che sa evocare, la follia e l’impossibilità del vivere come la nostra attuale vita dipende anche da un impoveri- che percorrono la sua opera appartengono ad altri: a noi osmento di natura e cultura, queste classificazioni certe risul- servatori. Vede lo strazio, esprime la passione, ma non postano confortanti, perché permettono a molti di porsi meno siamo sapere se li viva personalmente. problemi di quanti ne potrebbero sorgere se, per esempio, Per propria condizione espressiva, la fotografia supera queste stesse fotografie fossero identificate soprattutto per tempo e spazio. Lo fa con un linguaggio proprio e carattela loro componente fantastica, che alberga in ogni cuore, ristico, che è bene riferire non tanto alla sua apparenza a che avvolge ogni mente. tutti evidente (la cui costruzione potrebbe dipendere da leNonostante l’apparenza fotograficamente elaborata, que- zioni antiche e radicate della storia dell’arte), quanto alla sua ste immagini sono di classica semplicità. Il fondo neutro è sostanza, ovverosia al suo contenuto. In questo senso, è neallegorico nei suoi sottintesi, ma secondario rispetto le fi- cessario sottolineare che uno dei principali debiti di riconogure umane che dominano la scena. Le stesse figure, sog- scenza dell’espressività fotografica dipende dal teatro, dalgetto esplicito e implicito, sono percepite così tanto intima- la messa in scena, dal suo modo di pronunciarsi, dalla creamente da infondere un senso di imbarazzo. Allo stesso tem- zione consapevole di una illusione. Osservando le fotograpo e momento, è difficile ridurre lo stile, il garbo, il gusto di fie erotiche (?) di Gian Paolo Barbieri, realizzate con garbo Gian Paolo Barbieri a una pura descrizione, oppure affer- e lievità (nonostante la forza prorompente delle relative rapmarne una qualsivoglia appartenenza espressiva (non sol- presentazioni, non soltanto raffigurazioni), prende vita una tanto della fotografia). I soggetti sono visualizzati con tagli teatralità visiva che esclude qualsivoglia ambiente circoe lame di luce in attimi sospesi e silenti. Hanno un’asprez- stante, per dare esistenza alle sole immagini. In una sugza che regge il confronto con tutta la storia dell’arte (e del- gestiva sequenza temporale, dal soggetto alla sua abile rapl’Uomo). La loro manifesta bellezza -quanto poco è usato presentazione, dal vero/verosimile alla sua immagine, i pasquesto sostantivo dalla critica corrente!- appartiene a inten- si compiuti da Gian Paolo Barbieri diventano nostri. si capitoli espressivi del passato, come del presente. Dark Memories: ognuno di noi ha sogni che si ripetono alSì. Non possiamo ignorarlo e non averlo notato (e neppu- l’infinito. I termini sono individuali (forse), ma la cadenza è re vogliamo farlo): tutte queste fotografie sono lampanti, di- coincidente, e si presenta inesorabilmente nel cuore e nelchiarate e senza sottintesi. Lo sono sia quelle con soggetto l’animo, da dove si vorrebbe farla uscire, per afferrarla e erotico inequivocabile (corpi o azioni che siano), sia quelle stringerla. Il fotografo ha questa possibilità, possiede la chiache alleggeriscono il passo, la cadenza, con la fragranza e ve della rivelazione, può concretizzare i termini dell’illusiogentilezza dei fiori. Il punto di vista di Gian Paolo Barbieri è ne, esprimendoli. Tutti i sogni, prima o poi svaniscono, somirato e indirizzato: le Dark Memories -memorie oscure o, prattutto quelli cari, soprattutto quelli felici. Alla fin fine, soforse, buie- albergano nei cuori. Ciascuno ha le sue, e, nel no fragili. Mezzo per trattenere le immagini, la fotografia si proprio insieme e complesso, queste evocate sono trasver- presenta e offre come strumento di ricordo, linguaggio di sali alla nostra vita attuale. metamorfosi ideale. ❖ Al cospetto di queste opere, l’osservatore non è tanto inGian Paolo Barbieri: Dark Memories. Sotheby’s, Palazzo Broggi, vitato a voli di fantasia, perché, senza troppi sottintesi, si via Broggi 19, 20129 Milano (www.sothebys.com). è in presenza di una fotografia che già scava, ha scavato Dal 5 al 20 giugno; lunedì-venerdì, 10,00-13,00 - 14,00-18,00.

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dal 1972

Time Magazine (26 giugno 1972) Life (27 ottobre 1972)


Polaroid SX-70

www.newoldcamera.com


Ormai identificata soprattutto con la trasmissione televisiva della domenica pomeriggio, durante il campionato di calcio, Quelli che è un’espressione inventata da Beppe Viola, fantastico giornalista del quale si possono raccontare autentiche imprese televisive (lo facciamo sempre, quando ne riferiamo dal vivo), prematuramente mancato nel 1982, e Enzo Jannacci, profetico musicista, scomparso lo scorso marzo. Una serie di luoghi comuni di Quelli che... è riunita nel primo capitolo di un libro scritto a quattro mani, ormai dimenticato, raramente ben considerato, ma a dir poco eccezionale (per contenuti e raffinato umorismo di vita): L’incompiuter (Bompiani, 1974) [in alto]. Quindi, nel 1975, Quelli che... fu il titolo di un album di Enzo Jannacci, che contiene affascinanti canzoni, tra le quali la commovente Vincenzina e la fabbrica, motivo conduttore del film Romanzo popolare, di Mario Monicelli, del 1974, alla cui sceneggiatura hanno contribuito i dialoghi scritti da Enzo Jannacci (che per il film ha doppiato l’attore Pippo Starnazza) e Beppe Viola (che nel film appare in cameo, alla biglietteria del cinema Abanella, locale storico, oggi occupato dalle prove del Teatro alla Scala).

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Dal ventiquattro maggio all’otto settembre (due date fondanti della Storia d’Italia, tra l’inizio di una guerra e la capitolazione di un’altra), Milano celebra uno dei suoi momenti memorabili... di tono assolutamente più leggero rispetto le due date di riferimento: l’epopea di una rivalità del calcio, che nella prima metà degli anni Sessanta proiettò la città sui palcoscenici europei (quantomeno). Quei giorni di cinquanta anni fa, e appena oltre -che non hanno significati soltanto propri, ma investono ben altre socialità e altro costume-, furono caratterizzati da una fantastica competizione tra gli allenatori di Milan e Inter, le due squadre di calcio cittadine, rispettivamente guidate da Nereo Rocco e Helenio Herrera. Cinquanta anni fa esatti, nel maggio 1963, il Milan vince la Coppa dei Campioni, spezzando il dominio fino ad allora esercitato da Spagna e Portogallo; l’anno dopo, nel 1964, fu la volta dell’Inter. Da cui e per cui, quelli che... il calcio. Ma non solo questo

QUELLI CHE

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Uno dei riti introdotti da Helenio Herrera: il giuramento sul pallone, nell’imminenza della partita; si riconoscono Gerry Hitchens e Giacinto Facchetti. (Proprietà Fiora Gandolfi).

(doppia pagina precedente) 22 maggio 1963: una coppia di triestini leva al cielo la prima Coppa dei Campioni del calcio italiano. Nereo Rocco, allenatore del Milan, e il capitano Cesare Maldini, che indossa la maglia del Benfica (sconfitto), che ha appena scambiato con Mário Coluna. (Collezione privata). Domenica 28 aprile 1963. Nel paese, si vota per le elezioni politiche; a Torino, l’Inter batte la Juventus nella sfida-scudetto, con un gol di Sandro Mazzola, festeggiato a fine partita da Bugatti, Guarneri, Herrera, Picchi, Di Giacomo e Zaglio. La giacca indossata da Mazzola è di un fotografo, che gliel’ha prestata dopo aver preteso la sua maglia (Proprietà Fiora Gandolfi).

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di Angelo Galantini

W

embley Stadium, Londra, 22 maggio 1963, finale della Coppa dei Campioni 1962-1963 (dizione originaria tradotta, precedente l’accettazione dell’ufficiale Uefa Champions League, dal 1992-1993): il Milan batte il Benfica per due a uno, con una doppietta del centravanti brasiliano José Altafini, al tredicesimo e ventunesimo minuto del secondo tempo, dopo il gol iniziale di Eusebio, al diciottesimo del primo tempo. La formazione messa in campo dall’allenatore triestino Nereo Rocco, detto “Il Paròn”, interrompe il ciclo iberico, che aveva visto dominare il calcio europeo da Spagna (Real Madrid campione per cinque volte consecutive, dall’edizione di partenza 1955-1956 fino al 1959-1960) e Portogallo (Benfica campione nelle stagioni 1960-1961 e 1961-1962): Ghezzi, David, Trebbi, Benitez, Maldini, Trapattoni, Pivatelli, Sani, Altafini, Rivera, Mora. A seguire, lo stesso Milan sarebbe salito altre sei volte sul trono continentale: 1968-1969, 1988-1989, 1989-1990, 19931994, 2002-2003 e 2006-2007, approdando altresì ad altre quattro finali perse. Prater Stadium, Vienna, 27 maggio 1964, un anno dopo, finale della Coppa dei Campioni 19631964: a sorpresa, l’Inter di Angelo Moratti e Italo Allodi, presidente il primo, direttore sportivo l’altro, batte il Real Madrid per tre a uno, con gol segnati da Mazzola, Milani e ancora Mazzola, al quarantatreesimo minuto del primo tempo, diciassettesimo e trentunesimo del secondo tempo; inutile, il provvisorio due a uno dello spagnolo Felo, al ventiquattresimo del secondo tempo. L’allenatore Helenio Herrera schierò una formazione di giovani (soprattutto): Sarti, Burgnich, Facchetti, Tagnin, Guarneri,

Picchi, Jair, Mazzola, Milani, Suárez, Corso. Anche l’Inter si sarebbe imposta ancora in Europa, sebbene non tanto quanto il Milan: subito nella successiva edizione 1964-1965 (brutta finale a Milano, sotto una pioggia torrenziale, contro il Benfica, con unico gol di Jair) e nel recente 2009-2010, del “Triplete” di José Murinho (Champions League, Cam-


pionato e Coppa Italia); anche per l’Inter si registrano altre due finali perse.

MILAN INTER 1963 (E 1964)... 2013 Oggi, nel cinquantenario, Milano ricorda quei giorni, sottolineando lo sportivo antagonismo tra le sue due squadre di calcio, appunto Milan e Inter, soprat-

tutto identificato nella contrapposizione tra due straordinarie personalità che hanno trasformato il calcio italiano, consentendogli di competere a livello internazionale: non a caso, le Coppe dei Campioni dell’Inter furono completate da due Coppe Intercontinentali consecutive, entrambe conquistate contro l’argentina Independiente, vincitrice dell’analoga Coppa continentale in Sudamerica. In un clima di autentiche battaglie in campo, negli incontri negli stadi avversari, il Milan non riuscì a fare altrettanto, cedendo ai brasiliani del Santos della leggenda Pelé, al secolo Edson Arantes do Nascimento. Con la forza della fotografia, in lettura dei due allenatori Nereo Rocco e Helenio Herrera, la mostra Quelli che... Milan Inter ’63. La leggenda del Mago e del Paròn rievoca oggi una socialità che ha influito sui decenni immediatamente a seguire. In scala nazionale, oltre le incisioni internazionali (Beatles e dintorni), preludio alle trasformazioni indotte a fine decennio, a partire dalla fantastica stagione del Sessantotto: al Palazzo Reale, di Milano, accanto al Duomo, dal ventiquattro maggio all’otto settembre. Eccola qui, anche qui, ancora qui, la forza irrinunciabile della Fotografia che annota la cronaca, proponendosi poi come testimonianza e visione del Tempo (con due maiuscole volontarie, prima che consapevoli). Dopo aver svolto i propri compiti illustrativi in tempo reale, una incessante sequenza di istantanee racconta oggi una storia assolutamente leggendaria, della quale i giovani hanno solo sentito parlare (mentre altri, noi compresi, l’abbiamo vissuta in diretta, con tante emozioni). La rivalità, la carriera, l’amicizia, le famiglie di una coppia celeberrima del calcio italiano e internazionale, per l’appunto quella formata da Helenio Herrera e Nereo Rocco, non si esauriscono in se stesse, ma raffigurano e rappresentano uno spaccato sociale del qua-

Nereo Rocco in veste di preparatore atletico (Milano, Centro Documentazione Rcs Quotidiani / © Rcs Quotidiani Fotografia di Giuseppe Benzi).

Helenio Herrera e Nereo Rocco in un atteggiamento che lascia intuire la reciproca stima (Milano, Centro Documentazione Rcs Quotidiani / agenzia sconosciuta).

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Ingresso in campo con Armando Picchi, non ancora capitano dell’Inter (prematuramente mancato nel 1971, a trentasei anni; gli è stato intitolato lo stadio di Livorno, città natale): uno dei due leader dello spogliatoio (l’altro era Luisito Suárez), che con il Mago ha avuto un rapporto prima vivacemente dialettico e poi via via più conflittuale. (Milano, Centro Documentazione Rcs Quotidiani / © Rcs Quotidiani) [Attenzione: ritocco attorno il volto di Armando Picchi, finalizzato allo scontorno nella riproduzione a mezzo stampa giornalistica; ne abbiamo riferito, come News Art, in FOTOgraphia, dello scorso febbraio].

In treno, per una trasferta: Nereo Rocco gioca a scopone con il giovane Fabio Capello (Milano, Centro Documentazione Rcs Quotidiani / © Rcs Quotidiani Fotografia di Giuseppe Colombo).

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le tenere conto, con il quale confrontarsi ancora. Entrambi gli allenatori furono identificati da opportuni soprannomi, che sono poi l’identificazione di questa stessa mostra fotografica, allestita con immagini d’archivio: Helenio Herrera (Inter) è “Il Mago” e Nereo Rocco (Milan) è “Il Paròn”; per ciascuno di loro, rilievi e risalti delle rispettive personalità, dei rispettivi modi di intendere e svolgere il proprio ruolo.

LO SPUNTO, L’INTENZIONE Coprodotta dal Comune di Milano - Assessorato alla Cultura (Palazzo Reale) e Skira Editore, la rassegna Quelli che... Milan Inter ’63. La leggenda del Mago e del Paròn è stata curata da Gigi Garanzini, storico giornalista sportivo, e sostenuta dalle due squadre di calcio simbolo della città -FC Internazionale Milano e AC Milan-, che hanno messo a disposizione avvincenti materiali d’archivio, e dal media partner La Gazzetta dello Sport. Come appena rilevato, in prima battuta (ufficiale), la mostra si rivolge agli appassionati di sport: ma non è tutto qui. Infatti, nel proprio allestimento e nella messa in pagina del volume-catalogo di accompagnamento, l’insieme delle fotografie non rivela soltanto questo, ma -attraverso il presupposto del calcio e la premessa del cinquantenario- si indirizza a coloro i quali intendono osservare la Milano degli anni Sessanta, magari rivivendola idealmente, e ai giovani di oggi che non l’hanno vissuta: una città che in quei momenti si proponeva come riferimento in Europa per la cultura, lo spettacolo, il design, la moda, le sue grandi aziende. L’interruzione e la distruzione (perpetuate da una insana politica locale e nazionale) sarebbero arrivate negli anni immediatamente a seguire. Comunque sia, tornando in retrovisione, come già rilevato, cinquant’anni fa, il 22 maggio 1963, il Milan di Nereo Rocco vince la Coppa dei Campioni. In coincidenza e anticipo su quanto sarebbe poi accaduto a livello continentale l’anno seguente, quattro giorni dopo (da mercoledì a domenica), il successivo ventisei maggio, l’Inter di Helenio Herrera festeggia lo scudetto: da queste date prende avvio una stagione protratta fino al 1969, durante la quale i due allenatori proiettarono Milano ai vertici planetari del calcio, alternandosi nella conquista di trofei nazionali, europei e mondiali. I due personaggi erano estremamente diversi tra loro, che di più non avrebbe potuto essere. Helenio Herrera è argentino, uomo internazionale, vissuto in Marocco e Francia, calciatore discreto, allenatore grandissimo. Nasce povero e diventerà ricchissimo. Vince il campionato a Barcellona, nel 1959, e nel 1960 e arriva in Italia come una star, chiamato da Angelo Moratti, storico presidente dell’Inter (padre dell’attuale presidente Massimo). Il suo ingaggio è almeno doppio rispetto le consuetudini del tempo: e questo cambia per sempre il ruolo dell’allenatore -in precedenza non molto considerato- e innalza il parametro economico delle retribuzioni nello sport. Helenio Herrera edifica la fama di “Mago” attraverso vittorie di un’Inter


costruita su elementi giovani, dalla quale furono esclusi i senatori del tempo. L’allenatore parla quattro lingue, da del “lei” ai giocatori e vive per il calcio. È astemio, vive quasi da asceta, si dedica allo yoga. Ha il culto del proclama, un ego ipertrofico ed è un dongiovanni impenitente. Avrà tre mogli: l’ultima, Fiora Gandolfi, celebre giornalista dell’epoca, tuttora fedele custode della memoria di HH, gli darà il figlio Helios. Ha avuto altri sei figli: due francesi e tre spagnoli dalle prime due mogli, e Luna, una bimba adottiva, incontrata a Barcellona e portata in Italia. Nereo Rocco è l’opposto. Nasce da una famiglia borghese triestina, dal cognome Roch all’asburgica, e rivela presto un brillante talento calcistico. Esordisce a sedici anni in Serie A, ma resta a Trieste, dove il padre è proprietario di una macelleria, che in parte gestisce il giovane Nereo. A trentasei anni, guida la Triestina, che si classifica seconda in campionato, alle spalle del Torino; allena per tre anni il Treviso, poi il Padova, che fa salire in Serie A. Il Milan lo assume nel 1961: vince subito il primo scudetto e, nel 1963, la mitica Coppa dei Campioni. Parla solo triestino, o meglio uno slang italo-triestino; si considera il fratello maggiore dei giocatori, alterna il ruolo di padre spirituale a quello di sergente di ferro. Ha il gusto della battuta fulminante. Il suo “ufficio” è in varie osterie; a Milano, al ristorante L’Assassino, il suo tavolo è sempre aperto agli amici e a qualche giornalista; ama mangiare e bere, ha una moglie all’antica, la Siora Maria, che morirà dopo di lui, quasi centenaria, e due figli, Tito e Bruno. La sua straordinaria carriera al Milan vedrà anche un periodo di allontanamento e dissapori, ma il ritorno a Milano, nel 1967, frutterà un altro scudetto al primo tentativo, seguìto dalla Coppa dei Campioni, dalla Coppa Intercontinentale e da due Coppe delle Coppe. Nereo Rocco muore nel 1979: gli è stato intitolato lo stadio di Trieste. Helenio Herrera gli sopravvive di quasi vent’anni, morendo nel 1997. In mezzo, c’è un rapporto di accesa rivalità, all’inizio, ma anche di grande stima reciproca, che con lo scorrere del tempo diventa di complicità e amicizia. Sono due grandi comunicatori, che recitano la parte imposta dai rispettivi ruoli.

CON NOSTALGIA (E RIMPIANTI?) Per quanto la mostra fotografica Quelli che... Milan Inter ’63. La leggenda del Mago e del Paròn, a cura di Gigi Garanzini, prenda avvio dal tema della rivalità iniziale tra i due allenatori e poi proponga due percorsi separati (a scelta), uno nerazzurro e l’altro rossonero, che alla fine confluiscono in spazi conclusivi comuni, come abbiamo già rilevato, non è tutto qui, non è soltanto questo. Ben oltre l’apparenza dei soggetti e ciò che palesa la superficie degli ingrandimenti, c’è un Tempo e un Mondo dei quali prendere visione e conoscenza, ma anche coscienza. Ribadiamolo: è anche questa la forza della fotografia, che -una volta assolti i propri compiti istituzionali, in questo caso in

Dopo l’esilio torinese, Nereo Rocco torna al Milan: dagli spalti lanciano un mazzo di fiori (Milano, Centro Documentazione Rcs Quotidiani / © Rcs Quotidiani).

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Tre gol di Pierino Prati nella finale di Coppa dei Campioni, al Santiago Bernabeu, di Madrid, contro l’Ajax di Johann Cruijff, il 28 maggio 1969 (la seconda vinta dal Milan). Due anni prima, sconosciuto, il giovane calciatore si era presentato al Paròn con una improbabile camicia a fiori, sentendosi appellare «Mi gavevo bisogno de un centravanti, no de un cantante» (Collezione privata © Ubaldo Bungaro / Olycom).

Quelli che... Milan Inter ’63. La leggenda del Mago e del Paròn [prima e quarta di copertina], a cura di Gigi Garanzini; Skira Editore 2013; 192 pagine 21x28cm; 29,00 euro.

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cronaca- si proietta oltre le date, per approdare alla Storia. Ecco, quindi, il senso e valore dei complementi, alcuni dei quali filmati, in accompagnamento ad altrettanti filmati di interviste ai due allenatori: da Celentano al compianto Jannacci (milanista dichiarato), dai panettoni Motta a quelli Alemagna, dall’architettura del Grattacielo Pirelli, oggi Pirellone (fatto proprio dall’avidità della politica locale, ahinoi), di Gio Ponti (con Giuseppe Valtolina, Pier Luigi Nervi, Antonio Fornaroli, Alberto Rosselli, Giuseppe Rinardi e Egidio Dell’Orto), a quello della Torre Velasca, progettata dallo Studio BBPR, da Maria Callas a Renata Tebaldi, regine del Teatro alla Scala. In mostra, non manca un memorabilia di oggetti appartenuti a Helenio Herrera e Nereo Rocco, ed è altresì allestito un omaggio dedicato al giornalista Gianni Brera, straordinario cantore del calcio a tutto tondo, che cucì addosso a Gianni Rivera, autentico simbolo del Milan di tutti i tempi, l’etichetta di “Abatino”. Ancora, oltre l’apparato fotografico, cinematografico e di complemento, maglie, scarpe, ricordi personali, la famosa lavagna tattica di Herrera e un quadro che il grande Giorgio De Chirico aveva regalato a Nereo Rocco per consolarlo di una sconfitta. Quindi, è stata ricostruita l’atmosfera degli spogliatoi, compreso lo scorrere dell’acqua e il profumo di olio canforato, con alcune sorprese per i visitatori, come armadietti che si aprono e mostrano filmati divertenti, spesso inediti. Non manca la Sala dei Trionfi, con le coppe vinte dai due allenatori, configurata in un ambiente rosa arredato con le pagine storiche della Gazzetta dello Sport.

Ebbene: forza e magia della Fotografia (qui altrimenti accompagnata), che ha l’avvincente capacità di annullare il Tempo, sottolineandone gli anni trascorsi, che sono ben di più dei cinquanta conteggiati dall’arido e asettico calendario. Già, il Tempo: quanto è diverso il nostro mondo, rispetto a quello del 1963 e dintorni! Quanti Valori sono stati abbandonati a se stessi, per lasciare posto all’aridità del Presente! Che spirito, in quella rivalità schietta, dichiarata e frequentata, che è stata sostituita da un’attualità nella quale gli “impresentabili” vanno a braccetto con gli “irresponsabili”, e nessuno si ricorda più le affermazioni del giorno prima (ovverosia, finge di non ricordarsele, e neppure di averle pensate)! A ciascuno, il suo, secondo intenzioni: viva il Milan... viva l’Inter. A ciascuno, il suo, secondo coscienza: cronache di oggi, magari dello sport, ma soprattutto della Vita e Consapevolezza sociale. Per quanto ci riguarda: viva l’Inter (a partire da quella di Helenio Herrera, Italo Allodi e Angelo Moratti, la prima che abbiamo incontrato). Ancora: etica, morale, educazione, disciplina, onestà (anche intellettuale), garbo, eleganza, rispetto, riconoscenza. Anche con la Fotografia. ❖ Quelli che... Milan Inter ’63. La leggenda del Mago e del Paròn, a cura di Gigi Garanzini; mostra coprodotta dal Comune di Milano Assessorato alla Cultura (Palazzo Reale) e Skira Editore, sostenuta da FC Internazionale Milano e AC Milan, media partner La Gazzetta dello Sport. Palazzo Reale, piazza del Duomo 12, 20122 Milano (www.comune.milano.it). Fino all’8 settembre; martedì-domenica 9,30-19,30, giovedì e sabato fino alle 22,30.



Biografia di Angelo Galantini

REGINA E LEGGENDA

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Lo scorso aprile, commemorando i novant’anni dalla nascita di Betty Page (o Bettie Page), avevamo promesso di non tornare più sul personaggio, al quale abbiamo già riservato tanta (troppa?) attenzione: sia in ragione della sua fenomenologia, sia in presentazione di mostre celebrative, a partire dal lontano settembre 1997. Ora, in occasione della pubblicazione di una convincente biografia, contravveniamo alla parola data, per commentare, per l’appunto, questa edizione libraria di stretta attualità, alla quale, peraltro, l’autorevole quotidiano La Repubblica, ha riservato addirittura due pagine nella sua edizione dello scorso cinque maggio (domenica). Proprio in coincidenza con il novantesimo anniversario dalla nascita (22 aprile 1923-2013), l’esperta Lorenza Fruci ha compilato una consistente biografia di Betty Page, una delle icone del nostro tempo, mancata l’11 dicembre 2008 [FOTOgraphia, febbraio 2009]. Più e meglio di altri testi, che si possono registrare (puntualmente annotati nella bibliografia inclusa in questo libro), l’attuale Betty Page. La vita segreta della regina delle pin-up, che Giulio Perrone Editore classifica nella propria collana Biotón, approfondisce e rivela il volto reale di una personalità assunta a leggenda. Prima di farlo, però, l’autrice lascia il passo, la parola, a due introduzioni, che, ciascuna all’oscuro dell’altra, affermano il medesimo requisito. Entrambe sono esplicite: «Betty Page interpretava la sua bellezza, il suo essere pin-up, la sua nudità con umorismo. Per essere ancora più chiari: nel suo caso, è stata la modella a fare la fortuna del fotografo, e mai il contrario. Insomma, il fotografo doveva solo scattare, al resto ci pensava lei» (Vincenzo Mollica). E qui, in questa lapidaria considerazione, sta l’essenza di una vicenda che è assolutamente ed esclusivamente fotografica; infatti: «Attenzione, però: quando si parla di Betty Page, di fatto ci si riferisce sempre e comunque alle “fotografie di Betty Page”: cioè non si richiama alcuna

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Betty Page. La vita segreta della regina delle pin-up, di Lorenza Fruci; introduzione di Vincenzo Mollica, prefazione di Maurizio Rebuzzini; Giulio Perrone Editore, 2013; 292 pagine 12,5x20cm; 16,00 euro.

realtà, ma si evoca una trascrizione fotografica, costruita su una sostanziosa quantità di immagini» (Maurizio Rebuzzini nella prefazione al libro, Quella nera, nera, nera frangia). In consistente approfondimento, a partire da questa considerazione, la brava Lorenza Fruci ha compilato la prima biografia in italiano di una esistenza che ha creato i presupposti di cinque anni (nei primi anni Cinquanta) che hanno stravolto i costumi di un’epoca, definendo una linea di confine tra socialità precedenti e successive. Volontariamente uscita di scena, e letteralmente scomparsa, all’indomani della sua più clamorosa celebrazione, con il paginone centrale di Playboy, del gennaio 1955, in costume di Babbo Natale (Mamma Natale?), firmato da Bunny Yeager, Betty Page ha lasciato di sé soltanto una scia fotografica, soprattutto riferita a

pose effettivamente clandestine (realizzate e commercializzate dai fratelli Irving e Paula Klaw, checché raccontino altri: lei fotografa, lui amministratore), che dovevano essere consumate in sostanziale segretezza. Lorenza Fruci ha scavato fino alle radici, analizzando gli anni della adolescenza e formazione, e sfrondato le foglie dell’albero esistenziale, indagando la vita successiva agli anni delle luci della ribalta. Così che, la sua competente biografia Betty Page. La vita segreta della regina delle pin-up smentisce e sgonfia il proprio titolo, che demolisce ogni “segretezza”, in favore di un racconto esplicito e senza sottintesi... di una autentica rivelazione. Serve sottolinearlo? Come sempre registrato, sparendo dalla ribalta in modo repentino e assoluto nel 1957, all’apice della propria carriera fotografica (come modella scabrosa e intrigante), Betty Page ha favorito la nascita della propria leggenda, allungatasi nei decenni. Le sue sembianze e i suoi atteggiamenti davanti all’obiettivo sono stati ripresi da numerosi fumetti e sono stati fonte di ispirazione per molti: soprattutto, si registrano debiti di riconoscenza di certa fotografia di Helmut Newton, del look originario di Madonna (e di celebrate firme della moda internazionale) e di altra fotografia di genere e moda (Horst P. Horst, Paul Outerbridge, Erwin Blumenfeld). Meglio di quanto scritto e narrato in precedenza, perfino dal film-biografia The Notorious Bettie Page, del 2005, diretto dalla canadese Mary Harron (di straordinario successo negli Stati Uniti, ma mai approdato alle sale cinematografiche del nostro paese, dopo la sua presenza al qualificato Festival del Cinema di Torino, nell’autunno 2006 [FOTOgraphia, aprile 2013]), Betty Page. La vita segreta della regina delle pin-up, di Lorenza Fruci, arriva al sodo e concreto. Racconta di come Betty Page, la pari di molte coetanee, abbia cominciato tentando la strada del cinema, nel quale non è riuscita a entrare per colpa di


Biografia BETTY ASSASSINA?

Una modella degli anni Cinquanta, con la fisionomia di Betty Page, identificata come Betty Sue Parker [a destra, nel fotogramma qui in basso], è la protagonista del nono episodio della sesta stagione del serie televisiva Cold Case: Pin Up Girl, del 2008. La squadra di detective di Baltimora risolve un caso irrisolto di omicidio, commesso addirittura nel 1953. Sono indirizzati da una fotografia analoga a quella del luogo del delitto, sulla quale identificano come autoscatto (da fissare sul pulsante di scatto, di una Leica IIIa, va detto) un oggetto che ai tempi venne considerato un accendino, e quindi sottovalutato. Esplorando la vita della modella uccisa cinquantacinque anni prima (!), raggiungono l’amica Betty Sue Baker, somigliante a Betty Page: per l’appunto, l’omicida.

un accento troppo marcato. Dalla natia Nashville, nel Tennessee, celebre per la musica country e rock & roll, si trasferì a New York, dove intraprese presto la carriera di modella in un ambito di erotismo clandestino, defilato dalla fotografia ufficialmente professionale (altri tempi!). Non era bellissima, non era travolgente, ed era anche oggettivamente bassa con fianchi larghi (le fotografie meno riuscite dell’epoca denunciano e rivelano tali “imperfezioni”), ma sapeva posare, era allegra e trasmetteva una leale e trasparente carica erotica, addirittura unica. Assieme a molte colleghe più appariscenti di lei, alle quali la storia non ha però assegnato alcun ruolo, Betty Page ha posato sia nei Camera Club, circoli per fotografi dilettanti, sia nella sala di posa nella quale Irving Klaw e la sorella Paula producevano immagini maliziose e scabrose, commercializzate attraverso circuiti di vendita per corrispondenza adeguatamente furtivi, occulti, sul filo della legalità.

Ai tempi malvisto dalla cultura puritana anglosassone, tanto da essere perfino indagato dall’Fbi, che lo accusò di traviare la gioventù (e più precisamente di favorire, con le sue immagini, la vendita di giubbotti in pelle e di coltelli a serramanico), oggi Irving Klaw è considerato un maestro e un caposcuola (anche se lui gestiva l’attività commerciale e la vera fotografa era la sorella Paula). In ripetizione d’obbligo, dissentiamo da questa attribuzione, assegnando a Betty Page, e poche altre modelle, il valore delle fotografie arrivate fino a noi. Pur considerandola con la simpatia che probabilmente merita, non possiamo non notare che la tecnica fotografica di Irving Klaw (anzi, di Paula Klaw) era primitiva e semplificata -un colpo di flash e via-, il suo studio era indigente e rimediato -un tavolinetto, una tenda, un divanetto e niente più-, la sua fantasia era misera. Ma... Betty Page è stata unica. ❖


Sguardi su

di Pino Bertelli (Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 11 volte marzo 2013)

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RICHARD AVEDON

La fotografia mercantile non “canta” gli uomini, ma le loro armi, le loro ideologie e le loro imposture. Là dove domina l’immaginario dell’apparenza, domina anche la società burocratica/poliziesca. Il mondo è già stato fotografato: ora, si tratta di ri/fotografarlo per cambiarlo alla radice. La fotografia, tutta o quasi, ha sempre avuto in sé l’inclinazione di fermare nel tempo un passato infelice, sparso in sommari di decomposizione familiari o prontuari sul “buon governo”. Nella casistica fotografica, molti affondano nella superficialità, nell’insignificanza o nell’indecenza dell’arte fotografica, dove anche gli angeli sono relegati nella menzogna (motto di spirito). Quando la fotografia non disvela l’incuriosità dei randagi dell’immagine che rendono ogni potere insopportabile, verità e delirio si equivalgono o sono complementari. La fotografia è l’ultima preghiera di una civiltà dello spettacolo che si spegne. Non si accetta di fare-fotografia, se non in piena coscienza dell’ossessione dell’altrove che fa dell’istante scippato alla falsità il principio di ogni sedizione. Nel ventre eretico delle periferie si aggirano fotografi che portano addosso l’infelicità del mondo, e ubriachi fradici di utopia fanno a meno dei demiurghi del calcolo egoista. È deplorevole che lo sguardo tagliente di questi cavalieri erranti dell’anarchia sia sempre stato incriminato o deriso, senza mai essere compreso come eversione dell’esistente. La società spettacolare, che si è emancipata nel sudore e nella polvere da sparo, non merita di essere difesa, ma aiutata a crollare. Ciò che trabocca dalla fotografia in libertà respinge tutte le beatitudini istituite... riconosce troppo le miserie degli uomini al potere per poterli rispettare. La differenza tra intelligenza e stu-

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pidità della fotografia sta nel modo di maneggiare la coscienza, che impedisce al fotografo di affogare nelle banalità e orientarsi verso quella poetica del vero, del giusto e del bello che sono al fondo del sentire e dell’accogliere per ri/scoprire la dignità del bene comune (senza dimostrare nulla, se non la visione di tutto ciò che li nega).

SULLA FOTOGRAFIA DELL’IMMAGINALE LIBERATO A cosa serve la fotografia davanti al cadavere di un bambino ucciso per fame o dalla guerra? La salvezza santificata dei governi forti attiene ai martiri, agli eroi e ai santi: per i poveri restano le fosse comuni. Sotto il sole della fotografia, anche quella più impegnata, trionfano schiere di carogne. Una fotografia senza genio ripete i calchi di un’arte senza destino, e solo nel cinismo sublime dei fotografi senza patrie, né dèi, il colpo di grazia all’immagine del mercimonio diventa il rizoma creativo che partecipa alla scoperta di una felicità superiore. Non si accetta l’avventura della fotografia sociale, se non in piena coscienza di passare la propria vita al margine del comprensibile o nella poetica dell’incompiuto che diventa storia. La critica della fotografia si fa con l’uso insolente della fotografia, ma non secondo i suoi precetti e ordinamenti. La critica della fotografia si fa in nome di una concezione di verità che distingue il falso dal vero e difficilmente raccoglie consensi. All’infuori della fotografia che crede nella propria verità, ogni formula elogiativa è approntata sulla ghigliottina dell’indicibile. A memoria di ubriaco, non ricordiamo molti fotografi che abbiano al proprio attivo un’esistenza non prostituita ai fasti del consenso. Nell’acquasantiera della fotografia emergono le effigi di falliti che hanno fat-

to carriera; tuttavia, là dove la fotografia assopisce la coscienza, la coscienza ridestata rivendica l’amore dell’uomo per l’uomo e sconfigge la farsa del ridicolo. La stupidità della fotografia mercantile non cade in prescrizione. Tutta l’infelicità dei fotografi viene dal fatto che non sanno resistere un pugno di secondi alle ribalte del successo. Non c’è conoscenza del dolore o della gioia, se non si supera l’ignoranza, la genuflessione o il servaggio, poiché la fotografia autentica trabocca di vita vera: non ci sono imbecilli che tengano, o si è complici di una falsa realtà o protagonisti di scelleratezze espressive che negano la casta dell’apparenza. La fotografia non s’impara a scuola, ma nella strada. Come la fierezza dei ragazzi che tirano i sassi ai carri armati e sconfinano in insurrezioni più grandi. Il fatto è che i fotografi gettano i propri sguardi verso la santità di un’arte menzognera, invece di denudare le rovine future della civiltà dello spettacolo. Tra i pochi maestri della fotografia nobiliare, Richard Avedon si caratterizza come fautore di bellezze svergognate. Le sue fotoscritture vanno al di là delle vetrine del mercimonio e, quel che più conta, si accostano con grande valenza autoriale anche ai diseredati, agli indifesi, agli ultimi. Richard Avedon è fotografo forbito, quasi elegante, mai approssimativo. Là dove i fotografi di grido innalzano monumenti ai carnefici dello spettacolare (senza un filo di decoro), Richard Avedon riesce ad architettare la visione di un’epoca senza amore per gli esclusi. Molte delle sue immagini proletarie dicono che ogni miseria ha i propri teatri e ogni rivendicazione sociale è legittima. Un’annotazione a margine. Richard Avedon nasce a New York, nel 1923, muore a San Antonio,

nel 2004. Si arruola nella marina mercantile, e comincia a fotografare autopsie e i soldati del suo reparto. Nel 1944, entra a far parte di Harper’s Bazaar: ci resterà dodici anni, e con la fotografia di moda raggiunge la notorietà. La ritrattistica dei divi (Marilyn Monroe, Brigitte Bardot, Sophia Loren, Elizabeth Taylor, Anna Magnani, Ingrid Bergman, Marlon Brando, Charlie Chaplin, Andy Warhol) conferma la sua singolarità estetica; tuttavia, non disdegna di documentare la guerra in Vietnam, né gli orfani di Danang (con immagini che vibrano di tenerezze infinite). I lauti riconoscimenti di Richard Avedon passano da Vogue, Life, Gianni Versace, Calvin Klein, Clairol, il Calendario Pirelli. Le collaborazioni con The New Yorker e Rolling Stone lo portano tra la gente dei marciapiedi metropolitani; le sue opere entrano (giustamente) nelle collezioni del Museum of Modern Art e Metropolitan Museum of Art, di New York, al Centre Georges Pompidou, di Parigi, e in altri musei del mondo. I suoi libri affascinano per la bellezza formale, e alcuni anche per la potenza estetica/etica che contengono. Però, a noi interessa parlare dei ritratti del padre divorato dal tumore, e -principalmente- di In the American West (1985), che si snoda in cinque anni di lavoro (dal 1979 al 1984), e resta uno dei lasciti fotografici più importanti della fotografia contemporanea. Maurizio Rebuzzini legge la Fotografia di Avedon con l’arguzia libertaria di chi conosce in profondità la materia e, più ancora, restituisce lo splendore della ritrattistica di Richard Avedon fuori dall’occasionale e dall’indistinto: «I ritratti di In the American West, di Richard Avedon, appartengono di diritto (e dovere) alla Storia della Fotografia. Le os-


Sguardi su servazioni complementari, arricchite dallo straordinario backstage raccolto in Avedon at Work in the American West, di Laura Wilson (2003), sono per tutti noi, a nostra disposizione. Utili per il nostro bagaglio di conoscenze e competenze della fotografia, compongono i tratti significativi di quei tasselli che, giorno dopo giorno, anno dopo anno, ci rendono fotografi migliori (di scatto o di interesse per). Soprattutto, persone migliori. Che la fotografia non sia mai un arido punto di arrivo, ma sempre uno straordinario s-punto di partenza. Per la Vita, verso la Vita» (Maurizio Rebuzzini, in FOTOgraphia, del dicembre 2012). Tutto vero. La completezza della fotografia è il tentativo di affermare ciò che l’immaginario della realtà dice. La bellezza convulsiva/magica (uno stadio superiore della realtà; «La bellezza convulsiva sarà erotico-velata, esplosivo-fissa, magico-circostanziale o non sarà», scrive André Breton, in L’amour fou; Einaudi, 1974, e Feltrinelli, 1997) di In the American West investe uomini, donne e ragazzi fotografati (davanti a un telo bianco) di un’aura di dignità e rispetto, e li depone nel sudario “surreale” del loro umanesimo. La macchina fotografica di Richard Avedon (di grande formato, posta su treppiedi; per i curiosi, una Deardorff 8x10 pollici in legno) racconta la delicatezza, la tenerezza e la condivisione del fotografo con i soggetti, e attraverso una cartografia dei corpi riporta la fotografia nell’innocenza del divenire e nel piacere del gesto che vuole eternità. Sottratta all’oggettività (che è sempre falsa), la fotografia materica di Richard Avedon dà libero corso alle passioni che accedono a mondi celati o nascosti... manifesta in ogni persona fotografata il princìpio di accoglienza e coglie l’istante al di là della posa. Non è cosa facile: i corpi che emergono dalle sue fotografie esprimono emozioni, speranze, cadute... concezioni del mondo... fanno comprendere l’odore della vita quotidiana

e insegnano che l’Uomo è la misura di tutte le cose. Quando la fotografia è investita di dignità e mostra che la sofferenza o la realtà è la sostanza di ogni vita, significa che tutti gli uomini hanno diritto di cittadinanza.

SULLA FOTOGRAFIA DELLA DIGNITÀ La fotografia della dignità si manifesta là dove i linguaggi (non solo fotografici) del potere privilegiano tirannie, guerre, genuflessioni dell’intelligenza e li denudano. È deplorevole che l’autore-

a fuoco dell’esistente, in opposizione a tutto quanto emargina o esclude la centralità dell’essere umano. Hans Jonas, Hannah Arendt e Martin Buber (Hans Jonas: Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica; Il Nuovo Melangolo, decima edizione, 2005 - Hannah Arendt: Sulla rivoluzione; Comunità, 1985, e Einaudi, 2009 - Martin Buber: Sentieri in utopia. Sulla comunità; Marietti, 2009) ci hanno insegnato ad amare il nostro prossimo come noi stessi, e tutto ciò

«Quando un’immagine si offusca, un’altra si illumina. L’immagine risplende di singolarità e si mantiene in un’esistenza poetica. Solo l’immaginario insegna a superarsi. Quando attimi di fuoco, lampi o voli irrompono sorprendendoci nella nostra contemplazione, appaiono come istanti di universo. Non ci appartengono, ci vengono dati. Segnano la memoria, ritornano alla rêverie, conservano la loro dinamica d’immaginazione» Gaston Bachelard ferenzialità o l’idolatria del privilegio continuino a essere santificati nei rituali dell’ipocrisia predominante. L’iconografia della dignità riprende la lingua dello schiavo, del meticcio, dello straniero e parla di accoglienza, uguaglianza e amore verso il prossimo. È un invito a far cessare il male e sostenere il bene, ricercare la giustizia là dove viene derisa o calpestata. È una messa

che minaccia il debole o l’oppresso è una minaccia contro la rete sociale. La dignità è l’assunto più importante della vita, e non ci può essere nessuna giustizia senza il rispetto della dignità di un uomo o di un popolo. La dignità è inviolabile: non può essere disconosciuta, né tradita. «Il riconoscimento del pieno statuto di dignità al peggiore dei criminali non deve essere con-

siderato come generoso o caritatevole atto di clemenza concesso sotto l’impulso dell’ideologia del perdono, ma come una garanzia del senso insito nell’istituto morale e giuridico della dignità stessa. [...] La dignità non è negoziabile, non ha prezzo. Riconoscerla anche al peggiore dei carnefici, al più efferato degli aguzzini è la migliore risposta possibile alla logica dell’odio, dello sterminio, del genocidio, traccia un solco invalicabile fra la cultura della vita e il dominio della morte» (Moni Ovadia: Madre dignità; Einaudi, 2012). Tutto vero. Non c’è nessuna dignità là dove non s’accoglie la dignità e l’identità dell’altro, del diverso da sé. La dignità della persona è al di sopra di ogni potere. La fotografia della dignità che fuoriesce da certe/molte immagini di Richard Avedon -quelle del padre morente e In the American West, specialmente- contiene lo sguardo del giusto e riconosce uguale dignità anche all’umile, all’emarginato, all’ultimo dei reprobi. Fraternità, verità e libertà sparse nel fare-fotografia di Richard Avedon aprono viatici nei quali la vita comune è sempre un risorgere, anche quando sembra perduta. Le fotografie del padre morente non hanno niente della pietà religiosa: sono schegge/frammenti di un addio amoroso, e ciò che più attanaglia la lettura di queste immagini è il rapporto intenso, la malinconia, la misura di un padre che lascia al figlio una traccia dell’umano disseminato nella meraviglia e nello stupore. Le inquadrature di Richard Avedon sono spurie di ogni compiacimento, sfondano i cieli-specchio dell’autoritratto ed entrano nella carne dei giorni. Il dolore del padre si trascolora nel dolore del figlio, che lo accompagna in altre primavere di felicità, forse. La fotografia del padre ormai morto, la bocca aperta, le ossa del volto appuntite, i capelli bianchi, un po’ lunghi, distesi sul guanciale... lo fissano nella pelle del reale per l’ultima volta. Il bianconero (con il quale Richard Ave-

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Sguardi su don eccelle in modo particolare) avvolge l’uomo in una poetica della rêverie (Gaston Bachelard: La poetica della rêverie; Edizioni Dedalo, 2008), che incoraggia il ritorno a un’infanzia mai tramontata. L’abbandono ai flussi del sogno a occhi aperti (fantasticare nel fuoco della propria coscienza) si fissa nel ricongiungimento emozionale/creativo con l’essere amato. La bellezza dell’ultimo atto costituisce la profondità del gesto e il tempo della cenere tiene in caldo il fuoco in amore di domani (Gaston Bachelard: Poetica del fuoco. Frammenti di un lavoro incompiuto; Red Edizioni, 1990). Basta cambiare immagini, per mutare il tempo della storia. I fotografi dell’essere esprimono il mondo, e nelle spoglie di ciò che fissano con la propria macchina fotografica spargono desideri ineffabili di linguaggi in amore a fianco di chi non ha voce, né volto. In questo senso, la fotografia fa della propria immaginazione il rinascere di una lunga sofferenza o di una felicità tutta ancora da scoprire. È l’amore che guida le passioni, moltiplica i conflitti, spezza i destini e li rigenera nella riconsacrazione della dignità. La fotografia autentica non contiene sicurezze... va oltre il pensiero mercantista e l’economicismo finanziario come ideologia del brutto d’autore, di ciò che celebra, e non è nemmeno degno di una qualche considerazione, se non della critica radicale che la nega. Nella messe iconografica del fotografo newyorkese (di grande rilievo costruttivo), la richiesta alimentare non ha mai impedito a Richard Avedon di lavorare in forza della propria coscienza. La compiutezza formale di molte immagini, anche di miti dello spettacolo, della politica, del costume -pensiamo ai ritratti di Marilyn Monroe, John Ford, Marella Agnelli, Bob Dylan, Marlene Dietrich, Robert Mitchum e Jean Renoir- contengono una sapienza affabulativa che gli permette di superare la richiesta

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estetica, e nel momento stesso che l’afferma la ricolloca in altri ambiti del fotografare. La dualità tra divo e persona è spesso sottolineata, e non fomenta dietro mondi e verginità che non esistono: semmai, ciò che sborda da queste fotografie è la bellezza o la fragilità di persone che vivono al di là del Cielo e della Terra. Quando è vissuta anzitutto nel sale della storia, la fotografia acquista un’eccezionale carica di verità. La genialità fotografica di Richard Avedon esonda in piena luce nel progetto In the American West. Qui la fotografia si trasforma in storia dell’Uomo con se stesso e nei sentimenti struccati o nella summa teologica (Tommaso d’Aquino non c’entra niente), dove l’amore per l’altro, al di là della condizione sociale nella quale vive o viene tenuto a catena, mostra un immaginario a misura di tutti i possibili e costruisce -pezzo dopo pezzo- un atlante umano di straordinaria bellezza egualitaria. Del resto, Richard Avedon non si è mai sottratto all’impegno sociale, né è stato cieco a quanto è accaduto intorno a lui e nel mondo. Si è affrancato alle proteste contro la guerra nel Vietnam, ai movimenti dei diritti civili, alle intolleranze di razzismo che imperversavano nel suo paese. Nel 1972, è stato arrestato per disobbedienza civile e imprigionato, nel corso di una manifestazione pacifista (al Capitol Building, di Washington). Richard Avedon (come la sua amica Diane Arbus) si è posto a fianco di minoranze in opposizione a maggioranze, per niente silenziose, che ostacolavano il diritto ad avere diritti e combattevano l’ottusità delle idee dominanti. Sapeva che l’evento (non solo fotografico) illumina il passato, e la storia è una catenaria di molti inizi ma nessuna fine. In the American West è un contenitore di segni: immagini di un rizoma epico di uomini, donne, ragazzi che non interpretano nulla, se non i propri corpi in abiti dell’ordinario. In Il ritratto di

Dorian Gray, Oscar Wilde ha sostenuto che «Ogni ritratto non è altro che l’autoritratto dell’autore, il modello è solo un’occasione, l’accidente». Richard Avedon va oltre, trasforma l’accidente in epifania della dignità intrecciata con le persone che sfilano davanti alla sua macchina fotografica: costruisce la situazione, pone i soggetti davanti a un fondale bianco (due metri e settanta per due metri e dieci) e alla maniera di Edward S. Curtis, Mathew B. Brady e August Sander compone una ritrattistica elegiaca, una cartografia di corpi che lo proiettano tra i grandi della storiografia fotografica. È vero. «Nessun ritratto fotografico è a somiglianza del soggetto. Quando un’emozione viene convertita in fotografia, non raffigura più un fatto, ma rappresenta un’opinione. In fotografia non c’è imprecisione. Tutte le fotografie sono rigorose e veritiere, sebbene nessuna racconti la verità» (Richard Avedon). Un ragazzo col fucile, l’uomo delle api, la donna che si abbraccia, la ragazza in tuta, contadini, operai, disadattati... sono variazioni di un medesimo tema e lasciano presagire una verità confessata o un immaginario della realtà nella quale il corpo parla in funzione di sudore e lacrime lasciati alla deriva dell’inconosciuto. Per noi -che facciamo parte della Confraternita della bottiglia- c’è più verità e ragione in un corpo abitato da interrogativi, dubbi e tensioni, che nella sbandierata saggezza dei sociologi o storici (non solo) della fotografia, e solo chi fa ricorso al princìpio di realtà in osmosi col princìpio del piacere può risolvere conflitti, dissidi e certezze dei mille padri che sono all’origine di ogni prostrazione sociale. Il cadavere della fotografia non si trova soltanto nei testi degli addetti al lavoro, è anche nel pensiero dei frequentatori di macellerie dell’immagine, che spargono l’odore di malvagità o malevolenza al servizio dell’ordine costituito. La verità fotografica di In the

American West supera la teatralità o la costruzione del set, va anche al di là dell’immediatezza o caratteristica dei soggetti fotografati e, in punta di poesia, ricompone una dignità dell’umano dimenticata, sconosciuta o deliberatamente vessata (negli Stati Uniti e ovunque nel mondo). È qualcosa che ha del meraviglioso: una terra franca dell’immaginale fotografico, che spesso non ha volto e reinventa il volto della terra. Ciò che non uccide la fotografia, la fortifica. Un fotografo di talento non è mai autore di una sola idea variamente modificata, è una specie di Robin Hood del reale, che non cessa di costruire situazioni sul medesimo tema. È colui che consacra la propria opera a dire, ridire, affinare, e fa del proprio immaginale un’officina di istanti universali. In the American West è un nido/culla, nel quale le persone si lasciano quasi toccare dallo sguardo del fotografo: figure sporche del proprio lavoro, dei propri mestieri, “quasi adatti”, diversi, corpi dell’oblio o della disperazione... formano un florilegio di emozioni infinite, nel quale la dignità dell’uno si mescola alla dignità dell’altro, in una regalità che promuove dal “basso” una rivoluzione culturale. I loro ritratti “infedeli” o autentici -secondo la spregiudicatezza del lettore- sono scevri di ogni furbizia fotografica, sovrastrutturale, e ogni fotografia diventa fonte di dignità sociale e personale. Qui si può parlare di uguaglianza, libertà e democrazia partecipata. Non c’è dignità dove alligna l’arroganza, e ogni forma di sopraffazione della dignità (nelle pretese dei valori, delle morali, delle fedi predominanti) non è condonabile. I dolori dell’oppressione non cadono in prescrizione... e quei volti, quei corpi, quelle posture... sono lì, nel sudario dell’esistenza violentata, anche, che si riappropriano della dignità della persona e attraverso la fotografia cementano un legame indissolubile tra arte e valore della vita. ❖




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