FOTOgraphia 195 ottobre 2013

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ANNO XX - NUMERO 195 - OTTOBRE 2013

Parole di sostanza IL MONDO SALVATO DAI RAGAZZINI

Parole fotografate LUISA MENAZZI MORETTI


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O T N E M A N O B B A N I O L SO

Parole di sostanza IL MONDO SALVATO DAI RAGAZZINI

Parole fotografate LUISA MENAZZI MORETTI

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ANNO XX - NUMERO 195 - OTTOBRE 2013

ANNO XX - NUMERO 194 - SETTEMBRE 2013

Bibliografia ARRIVEDERCI, NEW YORK Tecnologie attuali CANON EOS 70D FUJIFILM X-M1 SONY RX1R E RX100 II Storia della fotografia VERSO LA CONTEMPORANEITÀ

ANNO XX - NUMERO 193 - LUGLIO 2013

Sebastião Salgado GENESI Apparecchi e immagini PASSIONE, STORIA E AMORE

COLLEZIONE AMEDEO M. TURELLO MIRRORS OF THE MAGIC MUSE

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prima di cominciare CHE NOIA! Conoscendo il nostro interesse per le raffigurazioni con la fotografia, un amico ci ha regalato un romanzo pubblicato da Fabbri Editori. Il richiamo originario è lampante: una Rolleiflex biottica, quasi certamente una 3,5F, illustrata in copertina (sulla quale, peraltro, è stata proditoriamente cancellata l’identificazione “Rolleiflex”). Quindi, in consecuzione, il romanzo E adesso guardami, della newyorkese Logan Belle, è fornito di tutto quanto avrebbe potuto appagare i nostri gusti e interessi: è la vicenda di un fotografo (e uno), che conosce una ragazza che assomiglia a Bettie Page (e due), bibliotecaria presso l’affascinante New York Public Library (e tre; due isolati sulla Fifth Avenue, tra la West 42nd street e la West 40th street: una delle nostre visite obbligatorie, quando andiamo a New York). In sovramercato, il racconto si presenta come “erotico”, che potrebbe intrigare, ed è denso di richiami a noi cari, sia della città, sia del mondo librario (per esempio, si cita anche Taschen Verlag: testuale, «forse il principale editore al mondo di fotografia, arte e design»). Allora: nonostante tutti questi valori teorici... il romanzo è di una noia abissale, di uno scontato imbarazzante, di una pochezza senza confronti, di una indolenza inquietante. È totalmente privo di interesse: e neanche il fotografo, e neanche Bettie Page, e neanche New York riescono a risollevarne le sorti. Una unità di misura è presto riferita. Ogni sera, prima di addormentarmi, leggo romanzi polizieschi e/o thriller. In genere, vengo così rapito dalla lettura (che ha il solo scopo di non farmi pensare a nulla), da prolungarmi sulle ore, fino a leggere almeno duecento pagine di romanzo, e sono arrivato anche a quattrocento (con Michael Connelly, Patricia Cornwell, Ken Follett, Frederick Forsyth, Ed McBain, Bill Pronzini, Henning Mankell...). Invece, per completare le quasi trecento pagine di E adesso guardami ho dovuto violentarmi, farmi forza; nonostante tutto, ci ho messo più di una settimana: autentico record stagionale. In conclusione, evviva!: anche la fotografia può essere noiosa, anche Bettie Page può essere noiosa, anche New York può essere noiosa. Non è facile renderle tutte e tre noiose, ma Logan Belle ci è riuscita. Alla grande! M.R.

Come e quanto i fumetti influenzano? Tanto quanto la fotografia accompagna. Angelo Galantini; su questo numero, a pagina 24 Gli aggiuntivi Beep al pulsante di scatto degli apparecchi fotografici (di tutti i tempi) ammorbidiscono la pressione e danno maggiore sensibilità al momento della ripresa. Ma, soprattutto, presentano e offrono una eleganza e raffinatezza di aspetto: la forma, oltre il contenuto. Sono colorati, brillanti, allegri e garbati, almeno tanto quanto dovrebbe esserlo l’azione fotografica volontaria e consapevole: una somma tra la creatività individuale applicata e la grazia e garbo, sia dell’azione sia dei suoi strumenti tecnici indispensabili, non soltanto necessari. Antonio Bordoni; su questo numero, a pagina 64

Copertina Dal fantastico e avvincente racconto fotografico del francese Frédéric Chaubin, sul dissolvimento dell’Unione Sovietica, raccolto in monografia: CCCP - Cosmic Communist Constructions Photographed. In prossimità del centro di detenzione a Kaunas, in Lituania, utilizzato dall’Armata Rossa, il monumento disegnato dallo scultore Alfonsas Ambraziunas, nel 1983, evoca lo sterminio dell’Olocausto. Di questo progetto, riferiamo da pagina 34.

3 Altri tempi (fotografici) Obiettivi Schneider, che negli anni Trenta venivano pubblicizzati da Giuseppe Pettazzi, di Milano, casa grossista che ha agito fino agli anni Ottanta

7 Editoriale Come si avvicinano e svolgono gli argomenti che danno vita alla fogliazione di un numero di rivista? Possiamo rispondere soltanto per noi, slittando verso i perché, in base alle nostre intenzioni e attenzioni

8 Parola ai giovani Gli interventi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, della pakistana Malala Yousafzai (lo scorso dodici luglio) e della canadese Severn Cullis-Suzuki (nel 1992) di Lello Piazza

12 Notizie Attrezzature, vicende e altre segnalazioni

14 GBG: dieci ottobre Per il compleanno del noto e affermato fotografo italiano (per esteso, Gianni Berengo Gardin) Fotografie di Alberto Dubini


OTTOBRE 2013

RIFLESSIONI, OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA

18 Homer e Annie In un episodio della fortunata serie televisiva I Simpson, compare una fotografa caratterizzata sulla figura reale di Annie Leibovitz: citazione apprezzabile. Apprezzata Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

Anno XX - numero 195 - 6,50 euro DIRETTORE

RESPONSABILE

Maurizio Rebuzzini

IMPAGINAZIONE

Maria Marasciuolo

REDAZIONE

21 Ancora supereroi

Angelo Galantini

The Silver Age of DC Comics (1956-1970), a cura di Paul Levitz, continua il racconto di un’epopea che non si esaurisce in sé, ma si proietta sulla società

Rouge

FOTOGRAFIE SEGRETERIA

Maddalena Fasoli

HANNO

26 Il divenire dell’anima All’Ex Ospedale Sant’Agostino, di Modena, la mostra Walter Chappell. Eternal Impermanence si propone come retrospettiva di un fotografo presentato come uno dei protagonisti più controversi della fotografia americana del Ventesimo secolo di Antonio Bordoni

32 Nikon a telemetro Nikon SP, del 1957, e Nikon S3, del successivo 1958 a cura di New Old Camera

COLLABORATO

Beppe Bolchi Antonio Bordoni Caterina De Fusco Alberto Dubini Chiara Lualdi Lello Piazza Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Ryuichi Watanabe (New Old Camera) Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604 www.FOTOgraphiaONLINE.it; graphia@tin.it. ● FOTOgraphia è venduta in abbonamento.

34 Caduta dell’impero Il racconto di CCCP - Cosmic Communist Constructions Photographed, di Frédéric Chaubin è anche pretesto per riflettere sulla fotografia (anche di architettura) che racconta lo svolgersi della Vita. Giorno dopo giorno di Maurizio Rebuzzini

45 Soltanto parole Avvincente progetto, Words, di Luisa Menazzi Moretti, si concentra su parole congelate dalla osservazione fotografica prima che il tempo ne disperda il senso di Angelo Galantini

52 Il bianco e il nero Considerazioni e riflessioni dai Rencontres d’Arles 2013 di Caterina De Fusco

58 Valutazioni 2013

● FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano. ● A garanzia degli abbonati, nel caso la pubblicazione sia pervenuta in spedizione gratuita o a pagamento, l’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e in suo possesso, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi della legge 675/96. ● FOTOgraphia Abbonamento 12 numeri 65,00 euro. Abbonamento annuale per l’estero, via ordinaria 130,00 euro; via aerea: Europa 150,00 euro, America, Asia, Africa 200,00 euro, gli altri paesi 230,00 euro. Versamenti: assegno bancario non trasferibile intestato a Graphia srl Milano; vaglia postale a Graphia srl - PT Milano Isola; su Ccp n. 28219202 intestato a Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; addebiti su carte di credito CartaSì, Visa, MasterCard. ● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti. Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano

Rivista associata a TIPA

I risultati del quinto sondaggio internazionale TIPA

64 Con che scatto! I raffinati ed eleganti aggiuntivi Beep: forma del contenuto

66 Il mondo nuovo Considerazioni d’intorno: prima parte di due. Forse di Maurizio Rebuzzini

www.tipa.com



editoriale C

ome si arriva a un articolo?, si preordina la fogliazione di un numero della rivista?, si alternano o allineano i singoli articoli pubblicati uno dopo l’altro, uno a ridosso del precedente? Possiamo riferirci soltanto e solamente alle nostre intenzioni, alla nostra interpretazione della fotografia, in partenza, e del giornalismo, in sua chiave di decifrazione. Così facendo, siamo perfettamente convinti di non rispondere in modo assoluto, ma in maniera personale. Infatti, siamo consapevoli di come e quanto FOTOgraphia sia una rivista diversa, all’interno dell’ampio e differenziato (oltre che ripetitivo) mondo dell’editoria fotografica italiana e internazionale. Attenzione: diversa, non vuol certo dire, né -tantomeno- intendere, migliore. Ma si ferma proprio a diversa. E basta. Oggettivamente parlando, in termini comunque soggettivi, confessiamo e riconosciamo che la riflessione ci intriga, l’osservazione ci appassiona, il commento ci infiamma, l’approfondimento ci entusiasma (?). Ecco perché, a differenza delle ripetizioni di formule e stilemi redazionali, spesso caratterizzati e definiti dalla replica di argomenti analoghi (la passerella di una novità segue quella della novità del mese precedente e precede quella del mese successivo), percorriamo un tragitto a zig-zag, che abbatte i confini tra i diversi punti di osservazione: arriva al lessico fotografico partendo dalla presentazione di apparecchi (o fingendo di farlo; ormai, non più, rispetto i primi anni di edizione), così come, con percorso analogo, inquadra e identifica l’apporto dell’applicazione tecnica quando affronta il linguaggio espressivo. Ma non è tanto questo il problema, quanto l’approdo a un argomento, quanto l’avvicinamento a una necessità di affrontare un tema e/o un ragionamento. Ancora in assoluta e completa sincerità, lo ammettiamo serenamente: il più delle volte, l’approccio originario è sostanzialmente... casuale. Per quanto, è ovvio, il Caso sia comunque indirizzato, guidato e governato dalla concentrazione sul (solo) mondo della fotografia. In questo senso, la casualità sta nel fatto che il contatto originario, dal quale poi nascono le idee e vengono svolte, non dipende da alcun canone pre-stabilito, ma dal solo e semplice vivere osservando (non solo guardando), con la presunzione -questa sì- di poter estendere e allungare verso altri i propri stupori e le proprie irruzioni nella Vita. Essenzialmente, FOTOgraphia è una rivista che in un certo modo, e una consistente misura, tradisce lo spirito che dovrebbe amministrarne la stesura. Ovverosia, tanto spesso si finalizzano le immagini alla parola, più che alla loro esaltazione. Così che, ne consegue che FOTOgraphia è una rivista di parole; non solo va guardata e sfogliata: soprattutto, va letta. Ancora, FOTOgraphia è una rivista che attraverso la propria materia, per l’appunto la fotografia, guarda alla Vita e alle sue implicazioni. In conclusione, se non abbiamo risposto al come, sicuramente abbiamo risolto (forse) il perché. Maurizio Rebuzzini

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Parliamone! di Lello Piazza

PAROLA AI GIOVANI

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Comincio dalla frase con la quale la giovane pakistana Malala Yousafzai, colpita alla testa e al collo da un colpo di pistola esploso da un talebano, il 9 ottobre 2012, ha concluso il suo discorso al Palazzo delle Nazioni Unite, a New York, lo scorso dodici luglio, nel giorno del suo sedicesimo compleanno, durante l’Assemblea della Gioventù: «L’istruzione potrà salvare il mondo». Condivido con voi lo stupore che provo quotidianamente, quando, alle otto del mattino, osservo una marea di giovani ragazzi iscritti alle Facoltà di Ingegneria del Politecnico, di Milano, che si recano a lezione. Cosa li spinge? Con quale consapevolezza? Cosa c’è dietro la loro scelta? Un mero calcolo economico (come ingegnere trovo lavoro con maggiore facilità e guadagnerò di più) o una “inconsapevole consapevolezza” che il sapere è un bene prezioso e irrinunciabile? E che l’istruzione può cambiare il mondo? I ragazzi che stanno in aula per ore, affrontando argomenti alti, come i teoremi dell’Analisi Matematica e della Probabilità, che io insegno, o le strutture modellistiche della Fisica, della Chimica, dell’Economia, insegnate dai miei colleghi, mi sembrano la più concreta speranza per il futuro del pianeta. Certo, nel suo discorso, Malala parla anche del maligno, di forze che per biechi interessi contro la natura dell’Uomo, sono disposti a uccidere, a lavare i cervelli dei loro figli fin dalla nascita, a segregare le proprie donne come se queste avessero appena la dignità di ubbidienti animali da compagnia. Credo di essermi dilungato troppo. Lascio la parola a Malala, che spiega sinteticamente e molto efficacemente come stanno le cose. Non solo in Pakistan, non solo nelle Terre dei Taliban. Ecco qui, il suo discorso.

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Cari fratelli e sorelle ricordate una cosa. La giornata di Malala non è la mia giornata. Oggi è la giornata di ogni donna, di ogni bambino, di ogni bambina che ha alzato la voce per reclamare i propri diritti. Ci sono centinaia di attivisti e assistenti sociali che non soltanto chiedono il rispetto dei diritti umani, ma lottano anche per assicurare istruzione a tut-

ti, in tutto il mondo, per raggiungere i propri obiettivi di istruzione, pace e uguaglianza. Migliaia di persone sono state uccise dai terroristi e migliaia di altre sono state ferite. Io sono soltanto una di loro. Io sono qui, una ragazza tra tante, e non parlo per me, ma per tutti i bambini e le bambine. Voglio far sentire la mia voce, non perché posso gridare, ma per-

Malala Yousafzai è una giovane ragazza pakistana, nata a Mingora, nel distretto dello Swat, nel Pakistan nord occidentale. È nata il 12 luglio 1997, ed è diventata celebre per aver curato, a partire dal 2010, un blog della BBC dedicato a documentare il regime dei talebani pakistani, che, occupato lo Swat, tentavano di cancellare, nel distretto, ogni diritto delle donne alla loro vita, alla loro istruzione. Il 9 ottobre 2012, è stata gravemente ferita alla testa e al collo da uomini armati, saliti a bordo del pullman scolastico sul quale tornava a casa da scuola. Ihsanullah Ihsan, portavoce dei talebani pakistani, ha rivendicato l’attentato, accusando la ragazza di essere “il simbolo degli infedeli e delle loro oscenità”. Il Primo febbraio 2013, il partito laburista norvegese ha promosso ufficialmente la candidatura di Malala al Premio Nobel per la Pace 2013. Lo scorso dodici luglio, Malala ha parlato al Palazzo delle Nazioni Unite, a New York, indossando lo scialle appartenuto a Benazir Bhutto, la donna che ha ricoperto per due volte la carica di Primo ministro del suo paese, dal 1988 al 1990 e dal 1993 al 1996, uccisa da una bomba, il 27 dicembre 2007, durante un comizio a Rawalpindi, a circa trenta chilometri dalla capitale Islamabad, in un attentato in cui morirono altre venti persone. Con il suo discorso del dodici luglio, Malala ha lanciato un appello all’istruzione per i bambini di tutto il mondo.

ché coloro che non l’hanno siano ascoltati. Coloro che lottano per i propri diritti: il diritto di vivere in pace, il diritto di essere trattati con dignità, il diritto di avere pari opportunità e il diritto di ricevere un’istruzione. Cari amici, nella notte del 9 ottobre 2012, i Taliban mi hanno sparato sul lato sinistro della fronte. Hanno sparato anche ai miei amici. Pensavano che le loro pallottole ci avrebbero messi a tacere. Ma hanno fallito. E da quel silenzio si sono levate migliaia di voci. I terroristi pensavano che -sparandoavrebbero cambiato i nostri intenti e fermato le nostre ambizioni, ma niente nella mia vita è cambiato, tranne questo: la debolezza, la paura e la disperazione sono morte. La forza, il potere e il coraggio sono nati. Io sono la stessa Malala. Le mie ambizioni sono le stesse. Così pure le mie speranze sono le stesse. Cari fratelli e sorelle, io non sono contro nessuno. Nemmeno contro i terroristi. Non sono qui a parlare in termini di vendetta personale contro i Taliban, o qualsiasi altro gruppo terrorista. Sono qui a parlare a favore del diritto all’istruzione di ogni bambino. Io voglio che tutti i figli e le figlie degli estremisti, soprattutto Taliban, ricevano un’istruzione. Non odio neppure il Taliban che mi ha sparato. Anche se avessi una pistola in mano, e lui mi stesse davanti e stesse per spararmi, io non sparerei. Questa è la compassione, che ho appreso da Mohamed, il profeta misericordioso, da Gesù Cristo e dal Buddha. Questo è il lascito che ho ricevuto da Martin Luther King, Nelson Mandela e Muhammed Ali Jinnah. Questa è la filosofia della non-violenza, che ho appreso da Gandhi, Bacha Khan


Parliamone! UN PRECEDENTE

Severn Cullis-Suzuki ha oggi trentaquattro anni. È nata a Vancouver, in Canada, il 30 novembre 1979. Ha presto manifestato un grande interesse per la natura e la sua protezione. Figlia della scrittrice Tara Elizabeth Cullis e del genetista David Suzuki, all’età di nove anni, ha fondato l’Environmental Children’s Organization (Eco), un’organizzazione costituita e gestita da bambini, che ha lo scopo di sensibilizzare i coetanei sui problemi ambientali. A dodici anni, nel 1992, ha partecipato al Vertice della Terra, che si tenne a Rio de Janeiro, in Brasile. Sempre a dodici anni, insieme ad altri ragazzini membri di Eco, ha pronunciato alla Assemblea delle Nazioni Unite un discorso che è diventato un importante manifesto per gli ambientalisti di tutto il mondo e che è noto come La ragazzina che zittì il Mondo per sei minuti (www.youtube.com/watch?v=NStyRt19flA). Nel 1993, è stata insignita del Global 500 Roll of Honour, dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, e ha pubblicato un libro riguardante la salvaguardia ambientale: Tell the World. Laureata a Yale, conduttrice nel 2002 di una trasmissione televisiva per ragazzi, Severn vive oggi a Haida Gwaii (British Columbia, Canada), con il marito e due figli, continuando la sua attività nel mondo ambientalista. Accanto a quello di Malala, proponiamo il suo discorso del 1992, che parla di un’altra minaccia per l’uomo, diversa da quella dei Taliban, ma altrettanto devastante, nella speranza che il titolo di una famosa raccolta di scritti di Elsa Morante, Il mondo salvato dai ragazzini, possa diventare una realtà universale. Buonasera. Sono Severn Suzuki e parlo a nome di Eco (Environmental Children’s Organization). Siamo un gruppo di ragazzini di dodici e tredici anni, e cerchiamo di fare la nostra parte, Vanessa Suttie, Morgan Geisler, Michelle Quaigg ed io. Abbiamo raccolto i soldi per venire in questo luogo lontano da casa nostra, per dire alle Nazioni Unite che devono cambiare il loro modo di agire. Venendo qui, non ho un’agenda nascosta: sto lottando per il mio futuro. Perdere il mio futuro non è come perdere un’elezione o alcuni punti sul mercato azionario. Sono qui a parlare a nome dei bambini che stanno morendo di fame in tutto il pianeta e le cui grida rimangono inascoltate. Sono qui a parlare per conto del numero infinito di animali che stanno morendo sul pianeta, perché non hanno più alcun posto dove andare. Ho paura di andare fuori al sole, perché ci sono dei buchi nell’ozono; ho paura di respirare l’aria, perché non so quali sostanze chimiche contiene. Ero solita andare a pescare a Vancouver, la mia città, con mio padre, ma alcuni anni fa abbiamo trovato un pesce pieno di tumori. E ora sentiamo parlare di animali e piante che si estinguono, che ogni giorno svaniscono per sempre. Nella mia vita, ho sognato di vedere grandi mandrie di animali selvatici e giungle, e foreste pluviali piene di uccelli e farfalle, ma ora mi chiedo se i miei figli potranno mai vedere tutto questo. Quando avevate la mia età, vi preoccupavate di queste cose? Tutto ciò sta accadendo sotto i nostri occhi e ciononostante continuiamo ad agire come se avessimo a disposizione tutto il tempo che vogliamo e tutte le soluzioni. Io sono solo una bambina, e non ho soluzioni, ma mi chiedo se siete coscienti del fatto che non le avete neppure voi.

Non sapete come si fa a riparare i buchi nello strato di ozono, non sapete come riportare indietro i salmoni in un fiume inquinato, non sapete come si fa a far ritornare in vita una specie animale estinta, non potete far ritornare le foreste che un tempo crescevano dove ora c’è un deserto. Se non sapete come fare a riparare tutto questo, per favore smettete di distruggerlo. Qui potete esser presenti in veste di delegati del vostro governo, uomini d’affari, amministratori di organizzazioni, giornalisti o politici, ma in verità siete madri e padri, fratelli e sorelle, zie e zii, e tutti voi siete anche figli. Sono solo una bambina, ma so che siamo tutti parte di una famiglia che conta cinque miliardi di persone, per la verità, una famiglia di trenta milioni di specie. E nessun governo, nessuna frontiera potrà cambiare questa realtà. Sono solo una bambina, ma so che dovremmo tenerci per mano, e agire insieme, come un solo mondo che ha un solo scopo. La mia rabbia non mi acceca, e la mia paura non mi impedisce di dire al mondo ciò che sento. Nel mio paese, produciamo tanti rifiuti, compriamo e buttiamo via, compriamo e buttiamo via, compriamo e buttiamo via, e tuttavia i paesi del nord non condividono con i bisognosi. Anche se abbiamo più del necessario, abbiamo paura di condividere, abbiamo paura di dare via un po’ della nostra ricchezza. In Canada, viviamo una vita privilegiata, siamo ricchi d’acqua, cibo, case, e abbiamo orologi, biciclette, computer e televisioni. La lista potrebbe andare avanti per due giorni. Giorni fa, in Brasile, siamo rimasti scioccati parlando con i bambini di strada. Questo è ciò che ci ha detto un bambino di strada: «Vorrei essere ricco, e se lo fossi vorrei dare ai bambini di strada cibo, vestiti, medicine, una casa, amore e affetto». Se un bimbo di strada, che non ha nulla, è disposto a condividere, perché noi -che abbiamo tutto- siamo così avidi? Non posso smettere di pensare che quelli sono bambini, che hanno la mia stessa età, e che nascere in un paese o in un altro fa ancora una così grande differenza; che potrei essere un bambino in una favela di Rio, o un bambino che muore di fame in Somalia, una vittima di guerra in medio oriente o un mendicante in India. Sono solo una bambina, ma so che se tutto il denaro speso in guerre fosse destinato a cercare risposte ambientali, terminare la povertà e per siglare accordi, che mondo meraviglioso sarebbe questa Terra! A scuola, persino all’asilo, ci insegnate come ci si comporta nel mondo. Ci insegnate a non litigare con gli altri, a risolvere i problemi, a rispettare gli altri, a rimettere a posto tutto il disordine che facciamo, a non ferire altre creature, a condividere le cose, a non essere avari. Allora, perché voi fate proprio quelle cose che ci dite di non fare? Non dimenticate il motivo di queste conferenze: perché lo state facendo? Noi siamo i vostri figli, voi state decidendo in quale mondo noi dovremo crescere. I genitori dovrebbero poter consolare i loro figli dicendo: «Tutto andrà a posto. Non è la fine del mondo, stiamo facendo del nostro meglio». Ma non credo che voi possiate dirci più queste cose. Siamo davvero nella lista delle vostre priorità? Mio padre dice che siamo ciò che facciamo, non ciò che diciamo. Ciò che voi state facendo mi fa piangere la notte. Voi continuate a dire che ci amate, ma io vi lancio una sfida: per favore, fate che le vostre azioni riflettano le vostre parole. Grazie.

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Parliamone! e Madre Teresa. E questo è il perdono che ho imparato da mio padre e da mia madre. Questo è quello che la mia anima mi dice: siate in pace e amatevi l’un l’altro. Cari fratelli e sorelle, tutti ci rendiamo conto dell’importanza della luce, quando ci troviamo al buio, e tutti ci rendiamo conto dell’importanza della voce, quando c’è il silenzio. E nello stesso modo, quando eravamo nello Swat, in Pakistan, noi ci siamo resi conto dell’importanza dei libri e delle penne, quando abbiamo visto le armi. I saggi dicevano che la penna uccide più della spada: ed è vero. Gli estremisti avevano e hanno paura dell’istruzione, dei libri e delle penne. Hanno paura del potere dell’istruzione. Hanno paura delle donne. Il potere della voce delle donne li spaventa. Ed è per questo che hanno appena ucciso, a Quetta, quattordici innocenti studenti di medicina. È per questo che fanno saltare in aria scuole, tutti i giorni. È per questo che uccidono i volontari antipolio, nel Khyber Pukhtoonkhwa e nelle Fata. Perché hanno avuto e hanno paura del cambiamento, dell’uguaglianza che porterebbe nella nostra società.

Ricordo che un giorno un bambino della nostra scuola chiese a un giornalista perché i Taliban sono contrari all’istruzione. Il giornalista rispose con grande semplicità. Indicando un libro disse: «I Taliban hanno paura dei libri, perché non sanno che cosa c’è scritto dentro». Pensano che Dio sia un piccolo essere conservatore, che manderebbe le bambine all’inferno soltanto perché vogliono andare a scuola. I terroristi usano a sproposito il nome dell’Islam, e la società pashtun per il loro tornaconto personale. Il Pakistan è un paese democratico, che ama la pace e che vorrebbe trasmettere istruzione ai propri figli. L’Islam dice che non soltanto è diritto di ogni bambino essere educato, ma certifica anche che quello è il suo dovere e la sua responsabilità. Onorevole signor Segretario generale, per l’istruzione è necessaria la pace, ma in molti paesi del mondo c’è la guerra. E noi siamo veramente stanchi di queste guerre. In molti paesi del mondo, donne e bambini soffrono in altri modi. In India, i bambini poveri sono vittime del lavoro infantile. Molte scuole sono state distrutte in Nigeria. In Afghanistan, da decenni, la popola-

zione è oppressa dalle conseguenze dell’estremismo. Le giovani donne sono costrette a lavorare e a sposarsi in tenera età. Povertà, ignoranza, ingiustizia, razzismo e privazione dei diritti umani di base sono i problemi principali con i quali devono fare i conti sia gli uomini sia le donne. Cari fratelli e sorelle, è giunta l’ora di farsi sentire, di lottare per cambiare questo mondo, e quindi oggi facciamo appello ai leader di tutto il mondo affinché proteggano i diritti delle donne e dei bambini. Facciamo appello alle nazioni sviluppate, affinché garantiscano sostegno ed espandano le pari opportunità di istruzione alle bambine nei paesi in via di sviluppo. Facciamo appello a tutte comunità di essere tolleranti, di respingere i pregiudizi basati sulla casta, sulla fede, sulla setta o sul genere. Per garantire libertà e eguaglianza alle donne, così che possano stare bene e prosperare. Non potremo avere successo come razza umana, se la metà di noi resta indietro. Facciamo appello a tutte le sorelle nel mondo affinché siano coraggiose, per abbracciare la forza che è in loro e cercare di realizzarsi al massimo delle proprie possibilità.

Cari fratelli e sorelle, vogliamo scuole, vogliamo istruzione per tutti i bambini, per garantire loro un luminoso futuro. Ci faremo sentire, parleremo per i nostri diritti e così cambieremo le cose. Dobbiamo credere nella potenza e nella forza delle nostre parole. Le nostre parole possono cambiare il mondo. Perché siamo tutti uniti, riuniti per la causa dell’istruzione, e se vogliamo raggiungere questo obiettivo dovreste aiutarci a conquistare potere tramite le armi della conoscenza e lasciarci schierare le une accanto alle altre con unità e senso di coesione. Cari fratelli e sorelle, non dobbiamo dimenticare che milioni di persone soffrono per ignoranza, povertà e ingiustizia. Non dobbiamo dimenticare che milioni di persone non hanno scuole. Lasciateci ingaggiare, dunque, una lotta globale contro l’analfabetismo, la povertà e il terrorismo, e lasciateci prendere in mano libri e penne. Queste sono le nostre armi più potenti. Un bambino, un maestro, una penna e un libro possono fare la differenza e cambiare il mondo. L’istruzione è la sola soluzione ai mali del mondo. L’istruzione potrà salvare il mondo. Hai detto poco... ❖



Notizie a cura di Antonio Bordoni

il trattamento delle immagini direttamente on-camera e un concetto operativo intuitivo e semplice, per fotografare con la massima flessibilità e spontaneità. La funzione video Full-HD si avvale del monitor di ampie dimensioni da tre pollici. (Leica Camera Italia, Foro Buonaparte 59, 20121 Milano; www.it.leica-camera.com).

ELEGANTE CONDIVISIONE. Parola d’ordine dei nostri giorni, durante i quali la condivisione a distanza, di parole e immagini è un imperativo assoluto, che sovrasta addirittura il piacere dello scambio di parole con chi ci sta accanto. Comunque... In due eleganti livree, la nuova Leica C è la prima compatta del celebre marchio che permette di condividere in Wi-Fi fotografie e video, realizzati secondo gli elevati standard di resa qualitativa che da sempre contraddistinguono la produzione Leica. Un design unico, fedele allo stile del brand tedesco, firmato Audi e declinato in due finiture (light gold e dark red), che racchiude la ormai nota tecnologia di alta gamma. La Leica C è dotata di zoom ad alte prestazioni Leica DC Vario-Summicron 6-42,8mm f/2,59 Asph (28- 200mm equivalenti) e sensore particolarmente ampio, con una risoluzione di dodici Megapixel: la loro combinazione garantisce fotografie e video eccezionalmente ricchi di dettagli. Come anticipato, si tratta, quindi, della prima compatta Leica a disporre di modulo Wi-Fi e Nfc integrato (Near Field Communication), per la trasmissione wireless dei dati immagine verso smartphone e tablet, tramite connessione Wlan. Una volta abilitata la funzione, basta scaricare l’app Leica C Image Shuttle e installarla sul proprio dispositivo iOS o Android. Un altro punto di forza: Wlan e app consentono il controllo remoto della Leica C da smartphone o tablet, per fotografare a distanza e per le riprese con l’autoscatto. Nell’utilizzo, propone un’ampia gamma di funzioni fotografiche, svariate impostazioni, opzioni per

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PROSPETTIVE NUOVE. La nuova well connected Nikon Coolpix S6600 offre e propone un monitor Lcd Tft ad angolazione variabile, sistema Wi-Fi, per una più semplice condivisione e zoom Nikkor 12x, ad ampia escursione focale. Di fatto, sollecita la visione del mondo da una prospettiva diversa. Grazie al monitor ad angolazione variabile, progettato in modo specifico per agevolare la composizione fotografica e video con inquadrature dall’alto e dal basso, è semplice realizzare autoritratti. Inoltre, quando lo schermo è in modalità autoritratto, si attiva automaticamente la funzione “Controllo gestuale”, per scattare fotografie, riprendere video e controllare lo zoom con il semplice movimento della mano davanti allo stesso monitor Lcd, senza bisogno di toccarlo. La Coolpix S6600 è dotata di diverse funzionalità di uso, che contribuiscono a realizzare immagini di alta qualità, in qualsiasi condizione ambientale. Per esempio, il sensore Cmos retroilluminato, da sedici Megapixel, si integra perfettamente con lo zoom ottico Nikkor 12x, permettendo l’acquisizione di fotografie e la ripresa di filmati dai colori vivaci, anche in situazioni di forte luminosità o di scarsa luce. La possibilità di registrare filmati Full-HD con audio stereo aumenta, quindi, il ventaglio di opzioni creative. Oltre alla possibilità di realizzare fotografie di elevatissima qua-

lità, questa compatta offre anche una serie di filtri ed effetti postscatto, che permettono di conferire alle immagini un tono unico. La modalità “Selezione rapida effetti” consente di accedere a ognuno dei trenta diversi effetti, con la semplice pressione di un pulsante; sono inoltre disponibili diciotto modalità scena, per avvincenti applicazioni creative. Ancora, la Coolpix dispone anche della funzione “Panorama semplificato”, per visioni orbicolari fino a 360 gradi, in orizzontale e verticale. Il sistema di riduzione vibrazioni (VR) assicura la massima stabilità quando si riprende in movimento. (Nital, via Vittime di Piazza Fontana 52, 10024 Moncalieri TO; www.nital.it).

AGGIORNAMENTO. È disponibile, pronta per essere scaricata, la release Sigma Photo Pro 5.2.2 per Windows, per apparecchi fotografici delle famiglie DP e SD. Tra i benefici derivanti dall’uso di questa versione aggiornata si registra la correzione dell’inconveniente per il quale l’applicazione si chiudeva improvvisamente quando si salvava un’immagine dalla Finestra Principale. Sigma SD: http://www.sigmasd.com/download/photopro.html #windows. Sigma DP: http://www.sigmadp.com/download/photopro.html #windows. (M.Trading, via Cesare Pavese 31, 20090 Opera Zerbo MI; www.m-trading.it). IN UN LAMPO. Nissin rinnova e raddoppia la gamma dei suoi flash dedicati “di fascia media”, che rappresentano un segmento tecnico di importanza strategica. Con la presentazione dei nuovi flash dedicati Di700 e Di600, Nissin aggiorna la famiglia dei suoi lampeggiatori, diversificando l’offerta con prodotti di caratura tecnica e prezzo differenziato. Il modello base è il Nissin Di600, che ripropone le medesime caratteristiche tecniche del Di622 Mark II (un best-seller ineguagliato), con un prezzo di vendita ancora più conveniente. È disponibile in tre versioni dedicate (ri-

spettivamente) ai sistemi reflex Nikon, Canon e Sony. Il flash offre una buona potenza (NG 44 a 100 Iso), ed è in grado di lavorare in TTL Auto, montato direttamente sulla staffa della reflex e in wireless TTL (come flash slave). La parabola è motorizzata, con copertura da 24 a 105mm, il diffusore grandangolare e lo schermo riflettente sono incorporati nella testa del flash, a propria volta dotata di movimento verticale (-7 gradi / +90 gradi) e orizzontale (+/- 180 gradi). Il Nissin Di700 è dedicato agli utilizzatori più esigenti. Con un Numero Guida 54, a 100 Iso, è possibile realizzare agevolmente lavori di tipo professionale. È disponibile nelle versioni per Nikon e Canon; alle caratteristiche qualificanti già attribuite al precedente Di600, si aggiunge la copertura più estesa della parabola zoom (24-200mm), un ampio display a colori, che visualizza tutte le funzioni, una nuova ghiera circolare, che consente una “navigazione” ancora più rapida nei menu del flash, e la possibilità di supportare le reflex dotate di sincronizzazione flash veloce (fino a 1/8000 di secondo). La vocazione “avanzata” di questo modello è riscontrabile anche nella presenza di un ingresso per l’alimentatore Nissin PS-8 e nel piedino di montaggio in metallo. (Rinowa, via di Vacciano 6f, 50012 Bagno a Ripoli FI; www.rinowa.it). ❖



Buon compleanno di Maurizio Rebuzzini - Fotografie di Alberto Dubini

GBG: DIECI OTTOBRE

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Nato a Santa Margherita Ligure, in provincia di Genova, il 10 ottobre 1930, il noto e affermato fotografo Gianni Berengo Gardin ha compiuto ottant’anni in una delle date propiziatorie e di buon auspicio che hanno scandito il primo decennio del Duemila: dieci-dieci-dieci, nel senso di 10 ottobre 2010. Quindi, il dieci ottobre di quest’anno ne compie ottantatré, per i quali compiliamo questo augurio, redigendolo con accompagnamento di una convincente serie fotografica realizzata dall’attento Alberto Dubini, fotografo non professionista, socio dell’autorevole Circolo Fotografico Milanese, uno dei più antichi del cartello aderente alla Federazione Italiana Associazioni Fotografiche (Fiaf).

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Basata sull’allestimento a Venezia, alla Casa dei Tre Oci, all’inizio dell’anno [ FOTOgraphia, maggio 2013], per la sua esposizione milanese, a Palazzo Reale, dal quattordici giugno all’otto settembre, la mostra Gianni Berengo Gardin. Storie di un fotografo è stata completata con un corpus di fotografie della città. L’attento Alberto Dubini ha documentato l’affissione stradale promozionale.


Buon compleanno

In occasione dell’allestimento milanese della personale Gianni Berengo Gardin. Storie di un fotografo, ennesimo consistente omaggio a uno dei più autorevoli autori italiani di tutti i tempi (e l’identificazione geografica è solo anagrafica... il suo valore professionale non è limitato da confini prestabiliti), nelle prestigiose sale di Palazzo Reale, in piazza del Duomo (immediatamente successiva all’allestimento veneziano alla Casa dei Tre Oci [FOTOgraphia, maggio 2013]), Alberto Dubini ha percorso la città individuando le affissioni stradali che l’hanno promossa. Così, con il suo consueto spirito flâneur, tanto vicino e coincidente con tanta fotografia del vero e dal vero dei nostri tempi, ha realizzato una consistente quantità di fotografie... di passaggio urbano. Il soggetto esplicito, oltre che implicito, è sempre l’affissione stradale, che nelle fotografie di Alberto Dubini si accorda con situazioni cittadine la cui somma di casualità offre un totale di assoluto fascino visivo (come affermava Totò, è appunto la somma che dà il totale). Alberto Dubini è nato a Milano, dove vive e lavora. È un fotografo che sa cogliere l’essenza dell’“immagine” anche in momenti e situazioni inattese. Confrontandosi con le sue visioni, si è colti da folgorazione: “Ecco, qui il Naviglio; ma così non lo avevo

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ANTONIO BORDONI

Buon compleanno

Da tempo, per conservare documenti di dimensioni proporzionali, usiamo una scatola da cinquanta fogli di carta sensibile, per stampa bianconero all’ingranditore (oggigiorno, va specificato): Agfa Brovira, gradazione 3, formato 30x40cm. In origine, ha contenuto e trasportato una stampa che, una quindicina di anni fa, ci regalò Gianni Berengo Gardin, consegnandocela per l’appunto in questa scatola. A propria volta, anche lui la utilizzò... in recupero. Stava nel suo studio da tempo, e non sappiamo che uso lui ne facesse. Però, oltre le indicazioni sul bordo, che specificano Solco difficile (plausibilmente identificazione di una serie di copie conservate in archivio), sul fronte, sul coperchio, leggiamo una nota esplicita: «Antonio, ho finito la carta. Ordina la stessa. 10.10.1960, GBG». Come intuibile, si tratta di una annotazione per un assistente, invitato a approvvigionare la camera oscura. Ed è la data che fa la differenza, quantomeno in questa occasione: dieci ottobre millenovecentosessanta, il giorno in cui Gianni Berengo Gardin compiva trent’anni.

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mai osservato”. Nei suoi itinerari cittadini, guidati da progetti che via via si affacciano alla ribalta, usa la macchina fotografica come lo strumento più adatto a misurare il mondo attraverso volti e sguardi, nello spirito del reportage senza tecniche d’attesa. È proprio con questa sua visione partecipe, insieme fedele e sgargiante, che Alberto Dubini -cercando nei gesti della gente l’espressione che implica tutte le altre- congela il gioco mobilissimo dei lineamenti in una maschera istantanea, insieme unica e paradigmatica. Alla definizione dell’archetipo individuale, che condensa nel punto nodale tutti i movimenti espressivi, la sua fotografia raggiunge spesso la sublimazione del “genere”: lontano dalla superficialità del folklore, il suo occhio è attirato da individui che comunque incarnano -nei lineamenti, nelle acconciature, negli ornamenti, nel modo di vestire, incedere e atteggiarsi- il “personaggio” che può essere idealizzato simbolicamente. Per questo -nonché per lo sguardo insieme delicato e penetrante di Alberto Dubini, che tra i tanti modi di raccontare privilegia la narrazione visiva-, i soggetti fotografati appaiono al meglio di se stessi. Quindi, in conclusione, che riprende l’avvio: buon compleanno, Gianni Berengo Gardin. ❖



Cinema (quasi)

di Maurizio Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

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HOMER E ANNIE

Ventiduesimo episodio della decima stagione della fortunata serie televisiva I Simpson, Springfield utopia delle utopie (?), dall’originario They Saved Lisa’s Brain (Hanno salvato il cervello di Lisa), conferma uno stilema che ne caratterizza le storie: prestigiosa guest star, nello specifico il matematico, fisico e cosmologo britannico Stephen William Hawking [pagina accanto], e apprezzate citazioni/parodie dal reale. In questo senso, ancora e anche qui, ricordiamo il raffinato e colto rimando del Taschen Store Springfield, in un episodio dello scorso anno [ FOTOgraphia, dicembre 2012], che ha richiamato la consistente serie, quantità e qualità di Taschen Store nel mondo. Ma, soprattutto, ed eccoci!, qui e oggi evochiamo la presenza di una fotografa dai tratti fisici (espliciti, consapevoli e volontari) di Annie Leibovitz, nell’episodio in questione. In fretta il riassunto della sceneggiatura di Springfield utopia delle utopie, firmata da Matt Selman. Dopo aver assistito a un concorso indetto a Springfield, dove vivono i Simpson, trasformatosi in una rissa, disgustata, la piccola Lisa -figlia dei coniugi protagonisti- scrive una lettera al quotidiano locale, per denunciare la mancanza di intelligenza della città. Nessuno dei cittadini nota l’articolo, tranne il minuscolo gruppo del Mensa, formato dall’uomo dei fumetti, dal dottor Hibbert, dal direttore Skinner, dal professor Frink e da Lindsey Naegle, che la invitano ad unirsi a loro. Quando il sindaco Quimby lascia la città, pensando che tutta la sua corruzione sia stata scoperta, la gestione municipale spetta a loro, ma il potere acquisito finisce per corrompere il gruppo e farlo comportare in maniera ancora peggiore del resto dei cittadini, finché non interviene Stephen Hawking (che interpreta se stesso in caratterizzazione, con la sua voce, nell’edizione originale). Punto. A margine di tutto questo, Homer Simpson organizza di farsi fotografare in pose ardite (osé), per confezionare un album illustrato da regalare

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Nell’episodio Springfield utopia delle utopie, dei Simpson, la fotografa alla quale si rivolge Homer è caratterizzata sulla figura reale di Annie Leibovitz (a destra al telefono): una prima sessione fotografica in camera da letto dei Simpson. Homer Simpson identifica il termine “fotografia” su un vocabolario, (pagina accanto, in alto, a sinistra); dopo di che, convoca a casa sua la fotografa dello studio Boudoir Photography, che garantisce discrezione (pagina accanto, in alto, a destra). Seconda sessione di fotografie osé, in sala di posa, e confezione dell’album illustrato For my Significant Other, regalato da Homer Simpson alla moglie Marge.


Cinema (quasi)

Nato a Oxford, l’8 gennaio 1942, Stephen William Hawking, che interpreta se stesso nell’episodio Springfield utopia delle utopie, della fortunata serie televisiva dei Simpson, è un matematico, fisico e cosmologo britannico, tra i più importanti e conosciuti del mondo, noto soprattutto per i suoi studi sui buchi neri. Pur essendo condannato all’immobilità dall’atrofia muscolare progressiva, ha occupato la cattedra lucasiana di matematica all’Università di Cambridge (la stessa che fu di Isaac Newton), per trent’anni, dal 1979 al 2009. È membro della Royal Society, della Royal Society of Arts e della Pontificia Accademia delle Scienze. Nel 2009, ha ricevuto la Medaglia presidenziale della libertà, la più alta onorificenza degli Stati Uniti d’America, conferitagli dal presidente Barack Obama.

alla moglie Marge, che però non rimane particolarmente colpita. Anzi, è vero l’esatto contrario: la raccolta For my Significant Other la amareggia. Diretto dal regista Pete Michels, They Saved Lisa’s Brain è andato in onda per la prima volta negli Stati Uniti, il 9 maggio 1999, come già riferito, nella decima stagione dei Simpson, che è stata avviata il 23 agosto 1998, per concludersi in 16 maggio 1999 (sempre negli Stati Uniti). In Italia, la prima televisiva della sua traduzione Springfield utopia delle utopie è stata presentata da Italia 1, il sette ottobre dello stesso 1999. A completamento, annotiamo anche le altre caratteristiche dell’episodio. La frase alla lavagna, che caratterizza ogni puntata, è Nessuno vuole sentire le mie ascelle. La gag iniziale del divano, con sopra la famiglia Simpson (Homer, Marge, Lisa, Bart e Maggie), lo ambienta nel salotto di casa pieno

d’acqua, dove si scontra contro un iceberg e affonda; alla fine, riemerge Maggie, che accende il televisore. Comunque, nel concreto e specifico, le apparizioni della fotografa simil Annie Leibovitz (omaggio a) si scompongono in tre tempi successivi. Dopo che Homer ha acquisito nozione di cosa sia la fotografia, consultando un vocabolario [in alto, a sinistra], si passa allo studio della fotografa, impegnata in una telefonata di richiesta di copie stampate [pagina accanto]. Quindi, due sessioni di posa fotografica vera e propria: una nella camera da letto dei Simpson, con Homer in costume da bagno (orrendo) [pagina accanto] e l’altra in studio, dove Homer si atteggia alla maniera degli spogliarelli maschili (se possibile, ancora più orrendo) [al centro]. In conclusione fotografica, la consegna dell’album illustrato For my Significant Other, nei termini già riferiti. ❖

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Fumetto (e altro) di Angelo Galantini

ANCORA SUPEREROI

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Come da programma annunciato, continua la saga della DC Comics, casa editrice statunitense indirizzata alla pubblicazione di fumetti, compilata dal competente Paul Levitz. Lo scorso aprile, abbiamo approfittato del primo titolo The Golden Age of DC Comics per rilevare, sottolineandole, le peculiarità del racconto illustrato, fondato sulla riflessione indotta al lettore, che influenza tanto quanto la fotografia accompagna. Con l’oc-

casione, dopo aver certificato che questa nuova collana nasce dalla costola dell’imponente 75 Years of DC Comics. The Art of Modern Mythmaking, pubblicato alla fine del 2010, anticipammo, per l’appunto, che la Golden Age, l’epoca d’oro, conteggiata dal 1935 di partenza al 1956, sarebbe stata presto seguìta da altri quattro volumi. Che ora sono ufficiali. Anzitutto, in stretta attualità, segnaliamo la disponibilità del secondo tito-

Batman, numero 205; settembre 1968; illustrazione di Irv Novick.

Da Batman, numero 188; dicembre 1966; avventura The Eraser Who Tried to Rub Out Batman; sceneggiatura di Robert Kanigher, illustrazioni di Sheldon Moldoff, colorazione di Joe Giella.

Teen Titans, numero 16; luglio-agosto 1968; illustrazione di Nick Cardy.

Action Comics, numero 241; giugno 1958; illustrazione di Curt Swan e Stan Kaye.

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Fumetto (e altro) lo, The Silver Age of DC Comics, che si allunga dal 1956 al 1970. E poi, ancora avanti, sono stati già definiti i tempi narrativi conseguenti: The Bonze Age of DC Comics (1970-1984), The Dark Age of DC Comics (1984-1998) e The Modern Age of DC Comics (1998-2013), sempre a cura di Paul Levitz, autentica autorità in materia. Dunque, a margine e completamento del nostro indirizzo statutario in fotografia, si impone una ripetizione e conferma di riflessioni che si aggiungono, assommandosi, al nostro parlare, al nostro occuparci di Fotografia con chiave di interpretazione e visione sociale. Una volta ancora: come e

(centro pagina) The Superman Family, da Superman Annual, numero 6; inverno 1962-1963; illustrazione di Curt Swan e John Forte; colorazione di George Klein.

Strange Adventures, numero 110; novembre 1959; illustrazione di Gil Kane e Jack Adler.

Wonder Woman, numero 136; febbraio 1963; illustrazione di Ross Andru e Mike Esposito.

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quanto la letteratura a fumetti rappresenta e sottolinea e decifra la Vita. Dall’Uomo d’Acciaio (Man of Steel) a Batman e Wonder Woman, passando per Superman, la statunitense DC Comics ha creato e dato fiato a una consistente quantità e qualità di supereroi (che nell’editoria specifica si aggiungono a quelli della squadra Marvel: Spider-Man / Uomo Ragno [FOTOgraphia, novembre 2012], Capitan America, Iron Man, Thor, X-Men, Hulk). Il suo debutto editoriale, con Action Comics, è storicizzato al giugno 1938, quando un nuovo tipo di personaggio è stato lanciato dalla copertina: un uo-

mo in costume con doppia identità, dotato di una forza eccezionale e poteri straordinari; un uomo in grado di proteggere la gente (il pubblico) quando e per quanto le misure ordinarie non sarebbero state sufficienti. A diretta conseguenza, cosa definisce la letteratura a fumetti statunitense, il suo racconto/romanzo illustrato, rispetto quella di altri paesi? Siccome ciò che conta è la storia, in analisi critica bisogna considerare come viene raccontata. A partire dai supereroi -che oggi richiamiamo con l’occasione della fantastica monografia The Silver Age of DC Comics, di Paul Levitz-, la narra-


Fumetto (e altro) Tavola da The Flash; settembre 1962; illustrazione di Carmine Infantino. Our Army at War; agosto 1968; illustrazione di Joe Kubert. Falling in Love; maggio 1968; illustrazione di Rick Estrada. Strange Adventures, numero 207; illustrazione di Neal Adams.

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Fumetto (e altro)

The Silver Age of DC Comics (1956-1970), a cura di Paul Levitz; Taschen Verlag, 2013 (distribuzione: Inter Logos, strada Curtatona 5/2, Località Fossalta, 41126 Modena; 059-412648; www.libri.it); in inglese, e edizioni in francese e tedesco; 396 pagine 23,8x32,4cm, cartonato con sovraccoperta; 39,99 euro.

tiva statunitense a fumetti è da tempo definita -non solo caratterizzatada una schiera di eroi positivi, in perenne conflitto con nemici negativi. E qui si colloca la caratteristica in base alla quale il fumetto statunitense si svolge, offrendo spazio individuale alla riflessione personale del lettore. Eredi di una forma culturale fresca e senza radici antiche, i fumetti statunitensi pescano la propria struttura anche dalla storia del cinema americano, dove i problemi -quando si presentano- vengono affrontati con la frase giusta al momento giusto e il piglio dell’avventura guardata direttamente negli occhi. Ecco come e quan-

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Nello studio di Carmine Infantino, l’illustratore Mike Sekowsky ritrae la modella Joyce Miller, per il personaggio di Diana Prince / Wonder Woman.

to i fumetti statunitensi fanno ragionare, proponendo personaggi in critica o armonia con il proprio mondo. Per esempio, Hulk, della scuderia Marvel, non può arrabbiarsi in una società che obbliga ad arrabbiarsi continuamente (e a indignarsi, anche). Per esempio, Superman, della scuderia DC Comics, si offre e propone come critica alla natura umana. La sua identità segreta Clark Kent rispecchia come il supereroe arrivato dallo spazio vede il terrestre: miope, codardo e debole. Per esempio, Iron Man, ancora Marvel Comics, è un costruttore di armi che rinnega la propria vita, per dedicarsi alla soluzione positiva delle

controversie quotidiane e sociali. Insomma, il fumetto statunitense incarna uno spirito sociale e di costume, che offre e propone. Certo, al pari di altro (cinema, letteratura, musica), è anche portatore di una cultura esportata a piene mani. Ma, attenzione, si sa dove e quando la riflessione individuale può partire, ma non si conosce affatto fin dove riesce ad approdare. E la curiosità e la conoscenza sono elementi portanti e irrinunciabili della nostra vita. Come e quanto i fumetti influenzano? Tanto quanto la fotografia accompagna. Giorno dopo giorno. ❖



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IL DIVENIRE


di Antonio Bordoni

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ersonalmente siamo lontani da certa fotografia di ricerca, che a volte viene identificata come “concettuale”, che risulta estranea ai nostri intendimenti esistenziali e, soprattutto, fotografici. Con onestà intellettuale, quella di sempre, confessiamo come e quanto spesso non riusciamo a sintonizzarci con talune espressioni fotografiche, altrove e altrimenti glorificate, celebrate, elogiate e magnificate. Però, allo stesso momento, non ci chiudiamo nel ristretto ambito delle nostre comprensioni, e osserviamo con attenzione tutta la fotografia nel proprio insieme e complesso. Per farlo e nel farlo, seguiamo un princìpio inviolabile e assoluto: la credibilità e autorevolezza dei richiami e riferimenti. Per esperienza personale, avendo a che fare con giovani laureandi, che rivelano una sostanziosa incapacità di orientarsi nelle ricerche in Rete, non sapendo distinguere l’una fonte dall’altra (per intenderci, non sapendo scegliere tra un blog tignoso e una referenza di prestigio), siamo consapevoli che orientamento e indirizzo sono questioni individuali, oltre che personali. Però! E dunque! Però, e dunque, nella perplessità di una mostra fotografica inaugurata a Modena lo scorso tredici settembre, che rimarrà in cartellone fino al prossimo due febbraio, ci affidiamo alla autorevolezza dello spazio espositivo: quell’Ex Ospedale Sant’Agostino, che in tempi recenti ha presentato personalità fotografiche di grande valore e prestigio (per quanto non tutte a noi gradite, nella misura per cui talune figure storiche della fotografia, soprattutto statunitense, ci paiono sostanziosamente sopravvalutate; confessione che ci attirerà più di un disappunto e potrebbe sollevare contrarietà e rincrescimen-

Walter Chappell; a cura di Filippo Maggia; Skira Editore, 2013; 152 pagine 24x28cm, cartonato; 49,00 euro. Catalogo della mostra Eternal Impermanence, corredato di tutte le opere in esposizione e da testi critici di approfondimento. In occasione della mostra è stata inoltre pubblicata e tradotta in italiano, sempre da Skira, la lunga intervista a Walter Chappell, realizzata dal figlio Aryan, che ne ha raccolto le memorie poco prima della scomparsa.

Walter Chappell: Pregnant Arch; 1963 (Stampa ai sali d’argento; © The Estate of Walter Chappell).

Presentata nelle autorevoli sale espositive dell’Ex Ospedale Sant’Agostino, di Modena, che da tempo frequentano una fotografia di profilo alto, Walter Chappell. Eternal Impermanence è una retrospettiva dedicata al fotografo statunitense, esibito come uno dei protagonisti più controversi della fotografia americana del Ventesimo secolo. Impermanenza: uno dei tre aspetti fondamentali dell’esistenza, nella dottrina canonica del buddhismo. Per l’appunto...

DELL’ANIMA

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Walter Chappell: The Offering; 1978 (Stampa ai sali d’argento; © The Estate of Walter Chappell).

Walter Chappell: senza titolo; 1973 (Stampa ai sali d’argento; © The Estate of Walter Chappell).

ti: Ansel Adams e Edward Weston sono in questo nostro elenco). Comunque sia, individualismi a parte, l’Ex Ospedale Sant’Agostino, di Modena, ha rivelato una propria consistente e qualificata attenzione fotografica: Ansel Adams. La Natura è il mio regno; Edward Weston. Una retrospettiva [FOTO graphia, ottobre 2012]; Flags of America e Domenico Riccardo Peretti Griva e il pittorialismo italiano, in simultanea [FOTOgraphia, febbraio 2013]; Three True Stories [FOTOgraphia, aprile 2013]. Da cui e per cui, consideriamo accreditato l’indirizzo espositivo, e siamo disposti a avvicinare con attenzione la retrospettiva Walter Chappell. Eternal Impermanence, che in fase di anticipazione ci è apparsa modesta e relativamente significativa dell’evoluzione del linguaggio fotografico. Ovvero, ne ri-

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fletteremo dopo la visita personale: abbiamo tempo ancora qualche mese, e giudicheremo. Qui e ora, la doverosa presentazione giornalistica pubblica, per la quale non si dia alcun peso alla lunga introduzione in distinguo (troppo lunga, ne siamo consapevoli).

ESISTENZA Walter Chappell. Eternal Impermanence si propone come retrospettiva dedicata al fotografo statunitense, esibito come uno dei protagonisti più controversi della fotografia americana del Ventesimo secolo. La sua opera, intensamente provocatoria così come la sua vita (e il parallelo d’obbligo è con le controversie che accompagnano la fotografia contemporanea di Jock Sturges [FOTOgraphia, ottobre 1995], è rimasta celata a lungo.


Walter Chappell: Female Water Torso; 1973 (Stampa ai sali d’argento; © The Estate of Walter Chappell).

Presto tradotto: Eternal Impermanence (Impermanenza eterna) richiama un termine sanscrito, che indica uno dei tre aspetti fondamentali dell’esistenza, nella dottrina canonica del buddhismo: per l’appunto, impermanenza, o cambiamento o divenire (anitya), sofferenza o insoddisfacibilità connaturata alle cose mondane (du kha), insostanzialità della personalità, o il non sé o inesistenza di un nucleo permanente e separato (an tman). Insieme, queste tre caratteristiche fondamentali dell’esistenza, della vita di ogni “essere senziente”, formano la base causale della dottrina delle Quattro Nobili Verità, e quindi della ricerca spirituale buddhista, consistente nella vita ascetica per i membri delle comunità monastiche e nella coltivazione del Nobile Ottuplice Sentiero e dei precetti buddhisti per tutti i praticanti buddhisti: monaci,

monache, laici e laiche, che costituiscono la tradizionale quadripartizione della società buddhista. La visione fotografica di Walter Chappell (19252000), capace di trascendere il tempo e i soggetti composti, è presentata a Modena attraverso un’ampia ricognizione: oltre centocinquanta stampe vintage di fotografie realizzate tra gli anni Cinquanta e i primi anni Ottanta e la maquette originale di World of Flesh, libro rifiutato da innumerevoli editori americani -e dunque mai pubblicato-, perché ritenuto troppo esplicito nella propria celebrazione della vita e della natura. La mostra è prodotta da Fondazione Fotografia Modena e Fondazione Cassa di Risparmio di Modena e curata da Filippo Maggia (altra referenza della quale fidarsi, alla quale affidarsi). La sua inaugurazione si è allineata e collegata

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WALTER CHAPPELL (1925-2000)

Nato nel 1925 a Portland, nell’Oregon, Walter Chappell ha studiato architettura, pianoforte e composizione musicale. Nel 1942, durante un’escursione sciistica sul Mount St. Helens, nello stato di Washington, ha conosciuto Minor White, con il quale ha stretto una profonda amicizia e avviato un rapporto creativo durato tutta la vita. Nel 1957, si è stabilito a Rochester, New York, dove ha studiato tecniche di stampa sotto la guida di Minor White, e poi ha accettato l’incarico di curatore presso la George Eastman House, con Beaumont Newhall. Sia in qualità di fotografo sia di autore, ha collaborato con la rivista Aperture, autorevole pubblicazione di fotografia artistica diretta dallo stesso Minor White. Nel 1962, insieme ad altri importanti artisti di New York, tra i quali Paul Caponigro, ha fondato la Association of Heliographers, della quale ha mantenuto la direzione fino al 1965. Nel 1963, si è trasferito in California, dove gli furono commissionati ritratti di Sharon Tate, Elizabeth Taylor e Richard Burton, che rappresentarono una svolta nella sua ricerca, sempre più attratta dal corpo e dalla sua corrispondenza con le forme della natura. Ha trascorso lunghi periodi nella West Coast (Los Angeles, Big Sur, San Francisco), nelle isole Hawaii e nel New Mexico,

dove si è stabilito nel 1980. Dal suo studio, ha continuato a organizzare conferenze e workshop, a allestire mostre, a viaggiare e compiere spedizioni fotografiche. Nei primi anni Settanta, ha intrapreso una lunga sperimentazione con la fotografia elettronica, fotografando piante attraverso una tecnica particolare, ad alto voltaggio. Il lavoro è stato presentato nel portfolio Metaflora, nel 1980. Proseguendo su questo filone stilistico, ha continuato a dedicarsi alla fotografia, concentrandosi sulla forme naturali e del corpo, curando workshop fotografici di nudo in natura. Durante i circa quarantacinque anni di carriera, ha ottenuto per tre volte il Photographer’s Fellowship, del National Endowment for the Arts. Nel 1999, il governatorato del New Mexico gli ha conferito il prestigioso premio per l’eccellenza nelle arti. Le opere di Walter Chappell sono incluse in numerose importanti collezioni: Museum of Modern Art (New York); International Museum of Photography at George Eastman House (Rochester, New York); Library of Congress (Washington); Museum of Art, Stanford University (Palo Alto, California); Metro Goldwyn Mayer Studio (Culver City, California).

al FestivalFilosofia 2013, che si è svolto dal tredici al quindici settembre a Modena, Carpi e Sassuolo, dedicato al tema “amare”.

NELL’INTIMO, LA VITA Da qui, le note ufficiali di presentazione, che trasmettiamo nella propria integrità (quasi). Il pensiero di Walter Chappell e la sua visione del mondo muovono dalle ricerche spirituali e intimiste, elaborate tra gli anni Cinquanta e Settanta da fotografi-artisti, come Minor White, del quale fu allievo, e Paul Caponigro, per approdare a un territorio personale, nel quale la fotografia diventa narrazione di un’esperienza di vita a stretto contatto con la natura e il mondo, intesi come campo d’azione e -specialmente- d’interazione.

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Archetipo dell’artista hippie, Walter Chappell ha sempre rifiutato il concetto di arte come business, tenendosi lontano da gallerie e circuiti commerciali. All’insegna della celebrazione dell’amore come energia che regola il cosmo e della vita come flusso ciclico, ha condotto un’esistenza appartata, bohémienne e primitiva, nella sua fattoria di Velarde, nel New Mexico, costante approdo di artisti e figli dei fiori. La carriera di Walter Chappell nel campo della fotografia d’arte prende avvio dall’intuizione di una realtà profonda, combinata con una tecnica fotografica estremamente attenta, che culmina in ciò che lui stesso definisce Camera Vision. Spirito curioso e anticipatore dei tempi, ha fotografato numerosi soggetti, ma a stimolare più di ogni altra interpretazione la sua visione interiore è stata la na-


Walter Chappell: Stone Body Point Lobos; 1964 (Stampa ai sali d’argento; © The Estate of Walter Chappell).

Walter Chappell: Erosion, Plaza Blanca, Abiquiu; 1982 (Stampa ai sali d’argento; © The Estate of Walter Chappell).

tura evocativa del corpo, spesso in associazione alle forme del paesaggio e della vegetazione. Proseguendo nella propria ricerca, Walter Chappell ha indagato l’origine del flusso creativo, di quell’energia che scorre attraverso i momenti della vita e li collega come un filo sottile, dando loro senso. Parallelamente, i suoi soggetti fotografici divengono sempre più connessi tra loro e meno differenziati. Le sue scoperte possono esprimersi in un autoritratto riflesso sul vetro di una finestra o negli infiniti riflessi della luce che danza sulla superficie dell’acqua, nella carne palpitante del ventre di una donna che partorisce una nuova vita, o, ancora, nei movimenti aggraziati della terra erosa dal tempo. Benché le sue radici affondino nella tradizione degli Equivalents, di Alfred Stieglitz, realizzati dal

1925 al 1934, molti considerano Walter Chappell pioniere al di fuori di ogni convenzione, creatore di una visione unica del paesaggio naturale: quel mondo che per tutta la vita ha amato fotografare e abitare. L’elemento principale dei suoi interessi, nella vita come nell’arte, è stato il rapporto tra realtà e creazione, insieme al desiderio di esprimere efficacemente l’essenza di questi fondamenti filosofici attraverso il mezzo fotografico. ❖ Walter Chappell. Eternal Impermanence; a cura di Filippo Maggia. Mostra prodotta da Fondazione Fotografia Modena e Fondazione Cassa di Risparmio di Modena. Ex Ospedale Sant’Agostino, largo Porta Sant’Agostino 228, 41121 Modena (059-239888; www.fondazionefotografia.it, info@mostre.fondazione-crmo.it). Fino al 2 febbraio 2014; martedì-venerdì 11,00-13,00 - 15,30-19,00, sabato, domenica e festivi 11,00-20,00.

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Nikon SP, 1957 Nikon S3, 1958

Nikon SP, 1957

Nikon S3, 1958

Nikon F, 1959 (versione del 1967)

Nikon F, 1959 (versione del 1973)


Nikon a telemetro

www.newoldcamera.com


CADUTA DE di Maurizio Rebuzzini

H Adler, Russia: piscina in ceramica, colorata da bambini del luogo, progettata da Zurab Tsereteli, nel 1973.

CCCP - Cosmic Communist Constructions Photographed, di Frédéric Chaubin; Taschen Verlag, 2011 (distribuzione: Inter Logos, strada Curtatona 5/2, Località Fossalta, 41126 Modena; 059-412648; www.libri.it); 312 pagine 26x34cm, cartonato; 39,99 euro.

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anno scritto che -in un certo senso-, che conta e vale molto, le donne sarebbero favorite rispetto agli uomini... perché leggono romanzi e non soltanto saggi: per l’appunto, I romanzi aiutano a vivere (e le donne lo sanno), fondo Pubblico&Privato, di Francesco Alberoni, sul Corriere della Sera, del 10 novembre 2008. Il succo della vicenda: «Se una sera andate a cena da amici e portate come regalo un romanzo, spesso il padrone di casa vi dirà: “Grazie, mia moglie ne sarà felice”. Perché la moglie e non lui? Perché i maschi leggono meno delle donne, ma soprattutto leggono meno romanzi. Preferiscono la saggistica o il giornalismo che tratta di storia, di politica, economia, scienza, argomenti che considerano seri, impegnativi. Da questi libri pensano di imparare cose importanti, pratiche, utili. Hanno fiducia nel pensiero razionale, costruito su concetti. [...] «La narrativa, invece, dà loro l’impressione di essere un flusso disordinato di accadimenti fantasiosi che non aiutano a comprendere la realtà e il comportamento degli esseri umani. Vuoi mettere un libro che descrive il sistema politico o il sindacato o la crisi economica? «Senza negare importanza alla saggistica, posso però dire che sbagliano. La narrativa -e le donne lo sanno bene- ti dà quanto la saggistica non potrà mai darti: il flusso reale della vita umana, il significato delle azioni, i pensieri nascosti, i mille contraddittori motivi che stanno dietro le nostre decisioni. La narrativa ti fa partecipare al mondo interiore di uomini e donne che sperano, sognano, amano, soffrono, lottano, vincono, sono felici e hanno paura. Un mondo che non è lineare, dove si mescolano passato, presente e futuro, tenerezza e passione, dubbi e certezze, odio e compassione, violenza e pentimento. Le donne si identificano nei personaggi del romanzo, vivono ciò che vivono e imparano dalla loro esperienza come fosse la propria. [...] «E c’è un altro motivo per leggere soprattutto la grande narrativa: il linguaggio. Sono i grandi narratori che creano il linguaggio. Chi non legge questi libri non imparerà mai a scrivere».

NARRATIVA Concordo a pieno con le osservazioni di Francesco Alberoni, rispetto le quali rappresento una eccezione: io leggo romanzi. Non so se questo influisca, come lui afferma, sulla scrittura, e non è que-

sto il punto; ma, in assoluto, sono fermamente convinto che la narrativa mi accompagni a vivere (meglio) e mi aiuti a comprendere (altrettanto meglio). Come annoto in molte occasioni, soprattutto pubbliche, in una natura/personalità formata in parti uguali di cultura (?) e istinto, e in assenza di radici profonde, penso che il vero luogo natio sia quello dove per la prima volta si è posato lo sguardo consapevole su se stessi: la mia prima (e unica) patria sono stati i libri. La parola scritta mi ha


ELL’IMPERO Anzitutto, l’argomento specifico riguarda un avvincente progetto fotografico del francese Frédéric Chaubin, raccolto in monografia dall’intrepido e immancabile Taschen Verlag, di Colonia. Alla resa dei conti, il racconto di CCCP - Cosmic Communist Constructions Photographed è anche pretesto per riflettere sulla fotografia (anche di architettura) che racconta lo svolgersi della Vita. Dal disfacimento dell’Unione Sovietica ad altre considerazioni parallele, quanto coincidenti, in doveroso accompagnamento

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Havana: ambasciata sovietica a Cuba, progettata da Aleksandr Rochegov, nel 1985.

insegnato ad ascoltare le voci, la vita mi ha chiarito i libri: osservare, piuttosto che giudicare. In conferma, sottolineo la statura di un autore, tra i tanti che affollano i ripiani della mia libreria personale (ulteriore e complementare a quella professionale): Ken Follett. Il suo I pilastri della Terra (1989), elaborato attorno i costruttori delle grandi cattedrali del medioevo, ha rivelato oscure passioni sullo sfondo di un’era ricca di intrighi e tradimenti, pericoli e minacce, conflitti e lotte spietate per la conquista del potere. Quindi, La caduta dei giganti (2010) e il conseguente L’inverno del mondo (2012), primi due titoli dell’annunciata trilogia che si completerà nel 2014 con Edge of Eternity (Confine dell’eternità?), hanno decifrato la storia del Novecento intrecciando i

ANCORA OLTRECORTINA

Il fotografo Roman Bezjak ha viaggiato cinque anni nei paesi dell’Europa dell’Est, concentrando la propria attenzione sulle architetture edificate nel periodo socialista, principalmente nell’ex Unione Sovietica, Germania (Est), Polonia, Repubblica Ceca, Lituania, Ucraina, Georgia, Serbia, Ungheria e Albania. Utilizzando un apparecchio grande formato, con tutto il rigore della propria collocazione, gestione e relativa interpretazione fotografica, l’autore pone di fronte a un paesaggio urbano nel quale emergono, con ordinaria evidenza, edifici monumentali e insediamenti pianificati, di matrice socialista.

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destini di cinque famiglie (in Inghilterra, Germania, Russia/Unione Sovietica e Stati Uniti), sullo sfondo dei drammatici eventi scatenati dallo scoppio della Prima guerra mondiale e dalla Rivoluzione bolscevica (La caduta dei giganti ). Il destino delle cinque famiglie si compie, poi, verso la metà del Ventesimo secolo, in un mondo funestato dalle dittature e dalla guerra. I figli sono coinvolti nelle tensioni che stanno lacerando le famiglie, nei giorni in cui Hitler inizia l’inesorabile ascesa al potere. Il destino li mette a dura prova, così come le vite e le speranze di tanti altri vengono annientate dalla più grande e crudele guerra nella storia dell’umanità, che si scatena con violenza da Londra a Berlino, dalla Spagna a Mosca, da Pearl Harbor a Hiroshima,

Con le sue immagini stampate in dimensioni generose, Roman Bezjak non giudica le architetture o la città; piuttosto, tende a mostrarle in una prospettiva contemporanea naturale. Accompagnata dall’omonima monografia pubblicata dall’accreditato editore tedesco HatjeCantz, nel 2011, la sua personale Sozialistische Moderne. Archäologieeiner Zeit (Socialismo moderno. Archeologia di un’epoca) è stata allestita a metà dello scorso settembre, a Savignano sul Rubicone, in provincia di Forlì-Cesena, nell’ambito del qualificato SIFest 2013.




dalle residenze private alla polvere e al sangue delle battaglie che hanno segnato l’intero secolo (L’inverno del mondo).

E LA FOTOGRAFIA? E la fotografia, che c’entra, in tutto questo? Molto. Molto più di quanto possa apparire a prima vista. Interpretata e realizzata da autori consapevoli, convinti e motivati, oltre che capaci e preparati, la fotografia accentua la nostra percezione della realtà, il nostro sapere. Tra tanto altro, sia la fotografia dal e del vero (alla quale stiamo per riferirci), sia quella predisposta e preparata, ha esattamente e propriamente questo compito: quello di arricchire la nostra vita. Così che, al pari delle capacità narrative del ro-

manzo e assai più profondamente di quelle identificative del saggio, la fotografia supera effettivamente tante parole, sebbene -ne siamo più che convinti- ci siano anche tante parole irraggiungibili dalla fotografia. Buone parole e buone fotografie, insieme e/o ciascuna per proprio conto, rivelano l’essenza dell’esistenza. Da e con Giacomo Leopardi (spesso evocato su queste nostre pagine): «L’anima s’immagina quello che non vede»... ma anche ciò che vede. Magnifica illusione, non inganno, sia chiaro, la fotografia evoca, racconta, sintetizza, esprime, partecipa... e tanto altro ancora. Così che, eccoci!, l’ottimo progetto Cosmic Communist Constructions Photographed, realizzato dal francese Frédéric Chaubin, pubblicato in monografia dall’imperterrito Taschen Verlag,

Armenia: monumento alla Battaglia di Bash-Aparan, del 1918, contro l’esercito turco, realizzato da Rafael Israelyan, nel 1979.

Tbilisi, Georgia: Palazzo delle Cerimonie, progettato da R. Dzhorbenadze e Vazha Orbeladze, nel 1985.

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Belarus: facoltà di architettura al Politecnico di Minsk, progettata da Victor Ivanovich Anikin e I. Yesman, nel 1983.

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di Colonia -a pieno diritto uno dei più attenti e meritevoli editori di libri illustrati-, esprime la decadenza del regime sovietico, osservandone e documentandone la brutalità (sì proprio!) della sua perfida architettura: miglior libro di architettura del 2010, all’International Artbook and Film Festival, di Perpignan, in Francia. Per quindici anni caporedattore della rivista francese Citizen K, Frédéric Chaubin ha condotto il suo progetto CCCP, in parafrasi di C.C.C.P. (Urss, in occidente: Союз Советских Социалистических Республик, Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche), acronimo derivato di Cosmic Communist Constructions Photographed (Costruzioni cosmiche comuniste fotografate), dal 2003 al 2010, attraverso un processo di viaggi in-

tuitivo e creativo. Ciò che risulta va oltre l’apparenza delle immagini, e rivela brutalità di un regime che ha profondamente, intensamente e indebitamente tradito lo spirito originario del marxismo ispiratore (che rimane una dolce utopia, buona ancora -e soltanto!- per coltivare sogni individuali, speranze personali e visioni oniriche). Interpellato al proposito, il regista, sceneggiatore e produttore statunitense Michael Mann ha affermato che Cosmic Communist Constructions Photographed è uno dei suoi due libri preferiti: «Non certo inconsciamente, la megalomania post-sputnik, che si rivela nel Dna di una architettura sarcastica, è un residuo di un socialismo appositamente glorioso, eccessivo e tragico». Per alcune delle stesse ragioni, il suo secondo li-


bro preferito è l’ampia monografia Caravaggio. L’opera completa, sempre pubblicata da Taschen Verlag [FOTOgraphia, febbraio 2010]. Il fascino e la lezione storica del brutalismo sovietico traspaiono da un reportage fotografico di novanta edifici simbolici del socialismo reale (?!), esteso nelle sue quattordici repubbliche. Le avvincenti, profetiche e poetiche fotografie di Frédéric Chaubin rivelano una rinascita inaspettata di immaginazione, che si è manifestata dagli anni Settanta ai Novanta. Contrariamente ai decenni precedenti -dagli anni Venti ai Cinquanta-, non emerge alcuna “scuola” o tendenza. Questi edifici rappresentano un impulso caotico, determinato da un sistema in decomposizione. La loro diversità ha anticipato, annunciandola, la fine dell’Unione Sovietica.

Approfittando della struttura monolitica al collasso, gli architetti sono andati ben oltre il modernismo, tornando a radici liberamente innovative. Alcuni dei più audaci progetti hanno completato i sogni dei costruttivisti (Druzhba Sanatorium, Yalta), altri hanno espresso la propria immaginazione in maniera espressionista (Palazzo delle Cerimonie, Tbilisi). Un campo estivo, ispirato dall’ipotesi di una base lunare, rivendica l’influenza suprematista (Campo della gioventù Prometeo, Bogatyr). Poi arriva l’“architettura parlante”, diffusa negli ultimi anni dell’Unione Sovietica: un crematorio ornato con le fiamme in calcestruzzo (Kiev), un istituto tecnologico con un disco volante che si è schiantato sul tetto (Istituto di Ricerca Scientifica, Kiev), un cen-

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I RESTI DELLA REPUBBLICA POPOLARE

come Grande rivoluzione culturale proletaria, per lo più semplificata in Rivoluzione culturale, lanciata da Mao Zedong, nel 1966, e protrattasi per una dozzina di anni. Curiosamente, questi due intensi reportage in forma di architettura sono stati esposti simultaneamente nell’ambito dell’ampio programma fotografico Photoszene Köln 2012, che ha contornato la fiera merceologica Photokina 2012 [FOTOgraphia, novembre 2012]. Oltre le rispettive personali, in gallerie di prestigio (Tag in Peking e Assembly Halls), gli stessi autori sono stati inclusi nella consistente collettiva Architekturfotografie - Made in China, allestita nelle autorevoli e prestigiose sale del Makk - Museum für Angrwandte Kunst Köln.

MAURIZIO REBUZZINI (2)

L’attualità della Cina, colosso economico ai vertici del mondo (con tutte le proprie stridenti contraddizioni), è assai diversa da quella sorta all’indomani della rivoluzione, con la guida di Mao Zedong (e Zhou Enlai e Zhu De). Se serve, basta considerare i fasti delle Olimpiadi del 2008 e le ardite architetture che definiscono l’attuale paesaggio urbano di Pechino e Shanghai, soprattutto. Alla maniera di quanto fatto dal francese Frédéric Chaubin, con il suo progetto CCCP - Cosmic Communist Constructions Photographed, il tedesco Martin Claßen e i cinesi Mu Chen e Shao Yinong (in coppia) hanno rispettivamente rintracciato e rilevato impronte del passato prossimo, individuate attraverso ciò che è rimasto di un lungo periodo, storicizzato

Da Photoszene Köln 2012: Tage in Peking, di Martin Claßen, nell’elegante Atelier in Im Klapperhof 37.

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Da Photoszene Köln 2012: Assembly Halls, di Shao Yinong e Mu Chen, all’eclettico Forum für Fotografie.


tro politico che osserva come il Grande Fratello (Casa dei Soviet, Kaliningrad). Questo puzzle di stili testimonia tutti i sogni ideologici del periodo, dalla ossessione per il cosmo alla rinascita di identità. Si delinea anche la geografia dell’Unione Sovietica, che mostra come le influenze locali siano state autentici colpi di scena esotici, prima che il paese venisse portato alla sua fine.

E LA FOTOGRAFIA! La lezione della fotografia di architettura, che non si esaurisce nei propri canoni istituzionali, ma racconta la Vita, ha composto i tratti espressivi e interpretativi e creativi del compianto Gabriele Basilico, che ci ha lasciati la scorsa primavera. Non qui e non ora, la sua evocazione, ma la sola certificazione della sua statura, che ha illuminato la fotografia contemporanea, prima in Italia, poi in tutto il mondo. Ancora grazie, Gabriele. Quindi, a supporto e conferma di quanta Vita traspaia dal progetto CCCP - Cosmic Communist Constructions Photographed, di Frédéric Chaubin, aggiungiamo altre note complementari, che rifiniscono e perfezionano il nostro ragionamento odierno. È giocoforza ricordare i progetti analogamente (apparentemente) architettonici dei cinesi Mu Chen e Shao Yinong, in coppia, e del tedesco Martin Claßen, entrambi sulle ceneri della Repubblica popolare cinese ai tempi del presidente Mao Zedong (e del premier Zhou Enlai e del fondamentale Zhu De), presentati in coincidenza di visione e programma culturale nell’ambito della recente edizione Photoszene Köln 2012, che ha accompagnato i giorni di esposizione della Photokina 2012 [FOTOgraphia, novembre 2012], dei quali riferiamo in un apposito riquadro pubblicato sulla pagina accanto. Ancora, riprendendo nostre precedenti considerazioni, rimandiamo a due valutazioni, almeno a due, pubblicate negli anni scorsi: Fotografia turistica e Ritocchi consistenti, rispettivamente in FOTOgraphia del luglio 2010 e maggio 2012. Insieme a quanto osservato oggi, questi due interventi redazionali/giornalistici (in forma di saggio), rifiniscono l’idea e ipotesi della fotografia di città e architettura oltre l’apparenza dei propri soggetti espliciti: nello specifico, albumini ricordo di città turistiche e fotografie di alberghi del nord Italia. Quindi, in aggiunta, non possiamo non ricordare anche, e ancora, lo straordinario racconto di The Disappearance of Darkness. Photography at the End of the Analog Era, di Robert Burley, presentato e commentato lo scorso marzo. La fine della fotografia chimica è stata scandita da una incessante successione di luoghi abbandonati (architetture) nei quali si manifestarono i suoi splendori: dagli stabilimenti di produzione ai laboratori di trattamento, alle sedi amministrative dei colossi chimici (anche qui... Caduta dell’Impero, dal nostro odierno titolo, originariamente riferito al disfacimento dell’Est europeo, che calza bene anche alla decomposizione della fotografia con pellicola fotosensibile).

Al solito, il discorso è in qualche modo e misura trasversale al percorso della fotografia di tutti i tempi, con manifestazioni temporali via via trasformatesi. Come già sottolineato, e originariamente riferito al reportage CCCP - Cosmic Communist Constructions Photographed, di Frédéric Chaubin, raccolto in monografia da Taschen Verlag, l’argomento è quello che si identifica come “fotografare la città”, sul quale molti si sono già espressi. Soprattutto, ribadiamo una volta ancora quanto rilevato da Jean-Claude Lemagny nel catalogo di La Ville, mostra allestita nel 1993 al Centre Georges Pompidou, di Parigi: le sue Metamorphoses des Regards Photographiques sur “La Ville” sono fantastiche riflessioni sul modo di fotografare le città, a dir poco esemplari (il testo ci è stato segnalato e consigliato da Grazia Neri, attenta osservatrice del pianeta fotografia). Testuale. «Riconosciamo prima di tutto il posto relativamente modesto che occupano le fotografie che rinnovano il nostro sguardo sul mondo. Salvo, forse, tra gli anni Trenta e Cinquanta durante il periodo della “fotografia umanistica”». Non a torto, Lemagny si interroga su «la paura di ricadere nei cliché dei monumenti e dei quartieri turistici» da parte dei fotografi. Detto questo, presenta tuttavia con grande intelligenza i lavori di Robert Frank, Bernard Plossu, Gabriele Basilico, Josef Sudek, Mimmo Jodice, Jean-Philippe Charbonnier, Lee Friedlander e altri ancora. Quindi, da e con Italo Calvino (troppo spesso evocato nella riflessione fotografica, spesso a sproposito, altrettanto frequentemente per maniera, a volte in modo inappropriato), da Gli dèi della città, in Una pietra sopra (Einaudi, 1980): «Per vedere una città non basta tenere gli occhi aperti. Occorre per prima cosa scartare tutto ciò che impedisce di vederla, tutte le idee ricevute, le immagini precostituite che continuano a ingombrare il campo visivo e la capacità di comprendere. Poi occorre saper semplificare, ridurre all’essenziale l’enorme numero d’elementi che a ogni secondo la città mette sotto gli occhi di chi la guarda, e collegare i frammenti sparsi in un disegno analitico e insieme unitario, come il diagramma di una macchina, dal quale si possa capire come funziona». A questo punto, dobbiamo stabilire a chi si rivolge la fotografia. Quella d’autore attraversa l’approccio culturale: è una rappresentazione fotografica della città che nasce dal desiderio di documentare la sensazione che la città trasmette alla luce dei propri pregiudizi culturali, con una tensione interna che realizza l’incontro tra il proprio stato d’animo (d’autore), la propria conoscenza delle cose e quel che vediamo davanti a noi. Analogamente, quella che racconta la Storia attraverso l’architettura presente (e recente) è pura poesia: come nel caso di CCCP - Cosmic Communist Constructions Photographed, di Frédéric Chaubin. In ripetizione d’obbligo, da e con Pino Bertelli: «Solo i poeti sanno veramente parlare della libertà, dolcissima e inebriante». ❖

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a cura di Filippo Rebuzzini e Maurizio Rebuzzini; trentadue visioni piÚ una, con accompagnamento di centonovantotto altre pose che rivelano lo splendore dell’epopea di Betty Page; Graphia, 2011; 88 pagine 16,5x23cm; 18,00 euro.


Avvincente progetto, in forma di mostra, con volume-catalogo di accompagnamento, Words, di Luisa Menazzi Moretti, si concentra su parole congelate dalla osservazione fotografica prima che il tempo ne disperda il senso. Parole che scrittori e autori hanno accompagnato con testi inediti e nuovi vocaboli che si affiancano a quelli delle immagini

ROMANZO D’AMORE (2012)

SOLTANTO PAROLE

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(2013) PERDUTO

M

FOLLIA (2013)

etafora, in forma di paradosso (addirittura): la fotografia varrebbe mille parole. È stato detto, e a volte se ne fa bandiera. In alcuni casi, comunque tanti ce ne sono, è vero; in altri, dobbiamo ammettere, riconoscendolo, che ci sono parole irraggiungibili dalla fotografia (e dalla pittura e dal cinema e). La parola scritta, nello specifico, è il soggetto di un particolare e apprezzato progetto di Luisa Menazzi Moretti (www.luisamenazzimoretti.it), per l’appunto identificato Words (oddio, il solito inglesismo di maniera e modo: quando la fini-

remo?, soprattutto in casi sostanzialmente superflui). A cura del qualificato e competente Denis Curti, direttore della sede milanese dell’agenzia Contrasto e dell’autorevole Spazio Forma, la serie fotografica è allestita in una accattivante mostra, già programmata in tre sedi immediatamente consecutive: a Udine, dal cinque ottobre al Primo dicembre; a Bormio, in provincia di Sondrio, dall’otto dicembre al diciotto gennaio; a Reggio Emilia, dal ventitré gennaio al ventotto marzo. Come specificato nelle note ufficiali di presentazione, inevitabile riferimento d’obbligo, Words, di Luisa Menazzi Moretti, si concentra su parole congelate dalla osservazione fotografica prima che il tempo ne disperda il senso. Parole che scrit-

ALLA RICERCA DEL TEMPO

di Angelo Galantini

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tori e autori hanno accompagnato con testi inediti, con nuovi vocaboli che si affiancano a quelli delle immagini in mostra. Nel proprio insieme e complesso, si tratta di immagini che visualizzano frammenti di testi “interrotti”, sciupati, colti nella quotidianità, che l’autrice-fotografa ha registrato prima che svanisse la loro ragione e si cancellasse la poesia che evocano. Queste parole isolate -a volte cercate, altre trovate per caso (per quanto il Caso sia sempre indirizzato e accompagnato a manifestarsi)- sono dettagli e frammenti di pagine di libri, giornali, pubblicità, annunci di bacheche e opere teatrali, il cui inevitabile destino è stato interrotto dalla testimonianza fotografica, che le veste di nuova poetica. L’atto creativo e lo sguardo dell’autri-

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ce si offrono alla percezione dello spettatore, sollecitano pensieri, suggestioni e ricordi in chi le osserva, come immagini recondite, frammenti di esperienze vissute, tracce di storie personali. In effetti, la sostanza è proprio questa. L’esercizio consapevole e convinto della fotografia dipende anche dal sapiente uso e impiego dei suoi strumenti basilari, che l’autore (in questo caso, l’autrice) deve saper controllare e guidare, per orientare la propria espressività e creatività secondo intenzioni: sintassi di un linguaggio che, come ogni altro, presuppone proprie declinazioni e rivelazioni. In similitudine, punteggiatura, tempistica, evocazione e riconoscimento della scrittura e parola. Al solito, in ripetizione d’obbligo: la fotografia è raffigurativa


per natura, ma è rappresentativa e interpretativa per volontà (e capacità). Il soggetto dichiarato ed esplicito induce verso altre considerazioni; in particolare, Luisa Menazzi Moretti ha declinato due condizioni fondanti della fotografia, di entrambe delle quali è perfettamente consapevole, oltre che convinta. Una: (da e con Edward Steichen, fotografo a New York all’inizio del Novecento) «Missione della fotografia è spiegare l’uomo all’uomo, e ogni uomo a se stesso». Due: (divergendo dalla concezione diffusa che allunga la fotografia dalla pittura) sa bene quanto e come la fotografia sia soprattutto illusione. Da cui, uno dei principali debiti di riconoscenza dell’espressività fotografica dipende dal teatro, dalla messa in scena, dal

ANNUNCI (2012)

SCADENZE (2012)

BICI (2012)

suo modo di pronunciarsi. Osservando queste Parole (pardon, Words), ognuno di noi dischiude le porte di un mondo amabilmente rappresentato. In mostra di stampe originarie e dalle pagine della avvincente monografia-catalogo che l’accompagna prende vita una teatralità visiva che esclude qualsivoglia ambiente circostante, per dare esistenza alle sole immagini. In una suggestiva sequenza temporale, dal soggetto alla sua abile rappresentazione, dal vero alla sua immagine, i passi compiuti da dall’autrice diventano nostri. Alle composizioni fotografiche di Words (mai istantanee, ma sempre pose a lungo pensate e meditate), in mostra, si accostano testi di autori-scrittori che lavorano con le parole, che

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UFFICIO (2012)

ogni giorno ne producono sempre di nuove, per raccontare, descrivere e nuovamente costruire una comprensione rinnovata della realtà: Alberto Abruzzese, Francesca Bertoli, Francesco Bonami, Noemi Calzolari, Chiara Carminati, Paolo Coltro, Denis Curti, Leandra D’Antone, Stefano de Asarta, Elio De Capitani, Gabriele Frasca, Piero Maestri, Yamina Oudai Celso, Paolo Patui, Daniele Pitteri, Fausto Raschiatore, Paolo Rossi, Caterina Sagna, Tiziano Scarpa, Roberto Serra, Marisa Sestito, Luigi Maria Sicca e Susan M. Stabile. «Ho proposto ad amici e persone che stimo, una selezione di fotografie di parole che ho cercato di sottrarre alla perdita -racconta Luisa Menazzi Moretti-. Il risultato sono brevi testi, uno

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per ciascuna fotografia: rime, considerazioni, riflessioni che traggono spunto dalle immagini, non le commentano, ma semplicemente aggiungono una divagazione ulteriore di nuove parole scritte, che si alternano a quelle che ho fotografato». ❖ Words, fotografie di Luisa Menazzi Moretti; a cura di Denis Curti. Catalogo Arte’m. ❯ Galleria Civica Tina Modotti, ex Mercato del pesce, via Paolo Sarpi, 33100 Udine (Puntoinforma Comune di Udine, 0432-414717). Dal 5 ottobre al Primo dicembre; venerdì, sabato e domenica 15,00-18,00. ❯ Paola Sosio Con-Temporary @ Hotel Sertorelli Reit, via Monte Braulio 4, 23032 Bormio SO (340-8679527). Dall’8 dicembre al 18 gennaio 2014; 16,00-20,00. ❯ Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Aula Magna Manodori, Palazzo Dossetti, viale Allegri 9, 42121 Reggio Emilia. Dal 24 gennaio al 28 marzo 2014; lunedì-venerdì 9,00-13,00 - 15,00-19,00.



Considerazioni, riflessioni, opinioni e analisi dallo svolgimento dei Rencontres d’Arles 2013, uno degli appuntamenti consolidati della fotografia planetaria, soprattutto espressiva. L’audace orientamento del programma Arles in Black rivela una straordinaria capacità di interpretare e sintetizzare l’attualità di un linguaggio visivo che, altrove, per suo malcostume, indirizza le proprie considerazioni lasciandosi abbagliare dall’apparenza

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di Caterina De Fusco

A

rles ha dedicato al bianconero la sua quarantaquattresima edizione, dal Primo luglio al ventidue settembre: Arles in Black. Il tema potrebbe apparire sorprendente, ma non lo è, se si trova la chiave di un confronto tra ciò che è perdurato e ciò che è moderno e libero da convenzioni. Esplorare la realtà bianconero nell’era del digitale e del colore può apparire controcorrente, ma il bianconero appartiene alle origini della fotografia e al suo lessico esplicito; e Arles, con l’autorevolezza dei suoi Rencontres, facendo tendenza e formazione sulla pratica artistica fotografica, può permettersi di affrontare questo ciclo.


IL BIANCO E IL NERO

La quarantaquattresima edizione dei Rencontres d’Arles si è svolta dal Primo luglio al ventidue settembre. Il tema Arles in Black è stato scomposto e ricomposto in cinquanta mostre ufficiali, altrettanti cinquanta incontri e -ancora- cinquanta mostre del Festival Voies Off. In aggiunta, si sono svolte anche numerose iniziative spontanee. Come tradizione, la settimana di avvio, è stata animata dalle Nuits de la Photographie. Tra tanto materiale e centinaia, se non migliaia di fotografie, in queste pagine illustriamo soltanto gli autori sui quali si è soffermata l’analisi e riflessione di Caterina De Fusco: Arno Rafael Minkkinen (in questa pagina); Pierre Jamet (a pagina 54); Jacques Henri Lartigue e Bernd e Hilla Becher (a pagina 55); Antoine Gonin, Erik Kessels e Gilbert Garcin (a pagina 56).

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(pagina precedente) Arno Rafael Minkkinen: Fosters Pond; 1989 (Copyright Rencontres Arles).

Pierre Jamet: Dina Naked and Splashed; Villeneuve-sur-Auvers Youth Hostel, 1937. The camper’s laugh; Belle-Île-en-Mer, 1937. Dina on the Road; 1937 (Copyright Rencontres Arles).

Bernhard e Hilla Becher: Industriebauten, da 10 Fotografien von B. und H. Becher; Städtisches Museum, Mönchengladbach, 29 agosto - 13 ottobre 1968 (Copyright Rencontres Arles).

Jacques Henri Lartigue: Bibi, Freddy, Margot; Aix-les-Bains, luglio 1928 (Copyright Rencontres Arles). Ubu and Bibi on the road; aprile 1925 (Courtesy Ministère de la Culture – France / Copyright Rencontres Arles).

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A nostro giudizio, il riscontro del tema di quest’anno, strettamente legato alla forza delle opere offerte e emozioni suscitate, è stato estremamente positivo, in controtendenza con le scelte del recente passato, legate quasi esclusivamente alla contemporaneità e alla concettualità. All’interno del percorso generale, è possibile cogliere due linee principali: quella attinente la “memoria” e quella del “come” i fotografi contemporanei sappiano avvalersi del bianconero per raccontare l’attualità sociale e di costume. Jacques Henri Lartigue, Pierre Jamet, Bernd e Hilla Becher invitano a una lettura della fotografia bianconero come espressione di momenti di vita privata e sociale di un tempo passato, con puro intento documentativo. Se mettiamo a confronto i lavori di Lartigue e Jamet, possiamo fruire di due mondi in qualche modo vicini eppure così lontani. Jacques Henri Lartigue (1894-1986) dà segno del bel mondo della Belle Époque. Le sue immagini sono fresche, vitali, colgono gli aspetti del bel vivere di un ceto sociale alto, spesso aristocratico, che può godere di auto, abiti, soggiorni in totale spensieratezza. Le sue visioni mirano a cogliere l’attimo fuggente. Pierre Jamet (1910-2000) offre la piena bellezza e l’importanza della gioventù. La sua retrospettiva documenta la vita negli Ostelli della Gioventù, facenti parte del Fronte Popolare, negli anni immediatamente precedenti la Seconda guerra mondiale. L’autore affronta il tema dall’interno, lui stesso ne ha fatto esperienza durante una vacanza alla Belle-Île-en-Mer. Questa la chiave che gli consente una fotografia semplice, netta, che cattura la poesia, la forza, la gioia del vivere insieme. Il sorriso e la gaiezza leggibile nei volti dei ragazzi sono rara testimonianza di qualcosa di fortemente condiviso, di una felicità vissuta in tutta la pienezza in quell’oggi (ieri), il cui futuro prossimo sarebbero stati i campi di guerra. Bernd e Hilla Becher (1931-2007 e 1934) offrono sagace documentazione di edifici e paesaggi industriali, tracciando una prima storia di trasformazione del territorio. Spiegano e approfondiscono una vera e propria classificazione delle diverse forme degli edifici, sottolineando la ripetitività di moduli che forgiano la forma proprio nella moltiplicazione. Con Erik Kessels (1966), il tema della “memoria” recupera un’antica origine: l’autore compie un’operazione di raccolta di vecchie fotografie, ripescate nei mercatini [sollecitazione spesso richiamata su queste stesse pagine], per far ritorno al confezionamento di album di storie familiari che narrano di nascita, giovinezza, maturità, matrimonio, morte. Se questo recupera la forza del ricordo, immediatamente dopo, in un’altra stanza, quel ricordo si distrugge. Invadendo l’intero spazio, una informe montagna di miriadi di stampe fotografiche, somigliante a scultura artistica, si trasforma in un cumulo di immondizia. Quale la verità, il ricordo, la memoria o la sua precarietà?


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56

GIJS

VAN DEN

BERG


Arles ha proposto significativi autori contemporanei, tra i quali ricordiamo Antoine Gonin (1951), Gilbert Garcin (1929) e Arno Rafael Minkkinen (1945), per il forte impatto emotivo e comunicativo trasmesso attraverso l’uso del bianconero. Come i coniugi tedeschi Becher, il francese Antoine Gonin avvia la propria espressività attraverso una descrizione puntuale del paesaggio industriale, per poi orientarsi verso una visione fortemente personale. Le sue Empreinte mostrano la completa fuoriuscita dal paesaggio. Comprimendo i toni del bianco e del nero, e minimizzando i grigi, traccia segni distintivi, assai personali, che creano composizioni astratte e geometriche di un paesaggio non più riconoscibile, ma che disegna l’impronta dell’attività umana lasciata sulla Natura. L’Uomo ha modificato il paesaggio e la sua relazione con l’ambiente. Gilbert Garcin ha iniziato la sua attività fotografica per gioco (?), dopo il suo pensionamento. Con l’uso del fotomontaggio e dell’assemblaggio fotografico fa riflettere su dilemmi filosofici: il tempo, l’esistenza, la solitudine. Le sue immagini appaiono come frammenti di un racconto aperto, attraverso il quale suggerisce all’osservatore i propri stati emozionali. Compone delle vere e proprie scenografie, ispirandosi al fantastico regista e attore Jacques Tati, all’interno delle quali c’è sempre lui, che diviene una sorta di uomo universale. Il finlandese Arno Rafael Minkkinen rappresenta il vero in ogni propria immagine. Non usa manipolazioni o doppie esposizioni; in ogni suo lavoro, ciò che vede accadere visivamente si manifesta nel mirino della sua macchina fotografica. Assecondando la sua immaginazione, previsualizza centinaia di possibilità. Ma ciascuna idea è ancorata alla realtà che si sta compiendo nel momento. Le prestazioni del suo apparecchio fotografico sono pari alle sue. Entrambi hanno la responsabilità di pervenire a nuove e uniche realtà, quasi impossibili. Le sue immagini mostrano a quale limite di rischio può giungere il corpo umano, il suo stesso. Finito di previsualizzare la composizione, la macchina fotografica conclude semplicemente il lavoro. Il suo corpo è flessibile, forte come gli elementi della natura della quale diviene parte contestuale. Il corpo si piega in mille possibilità, facendo emergere la forza muscolare, e dunque plastica, delle sue membra. Minkkinen afferma che l’arte debba essere considerata rischio: questa la sua filosofia. Si potrebbe continuare a lungo a ragionare di autori e immagini dai Rencontres d’Arles 2013, che nel complesso hanno alzato il livello qualitativo della manifestazione, proprio per l’audace orientamento verso Arles in Black: una svolta orientata a una fotografia più consapevole, svincolata da quella concettualità che ha caratterizzato le edizioni immediatamente precedenti. L’appuntamento è per il prossimo anno, quarantacinquesima edizione. Vedremo... ❖

Antoine Gonin: Corsica; 2010 (Copyright Rencontres Arles).

(pagina accanto, in alto) Gilbert Garcin: The Tightrope Walker; 2002 (Courtesy Les filles du calvaire Gallery, Parigi / Copyright Rencontres Arles).

(pagina accanto, al centro) Fotoricordo di autore anonimo recuperata da Erik Kessels (Copyright Rencontres Arles). Erik Kessels: Ventiquattro ore di fotografie; installazione Foam, Amsterdam (Copyright Rencontres Arles).

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Sondaggio TIPA di Antonio Bordoni

VALUTAZIONI 2013

S

Sui numeri di FOTOgraphia degli scorsi novembre e dicembre, abbiamo pubblicato la modulistica per partecipare al quinto sondaggio TIPA 2013. Ripetiamone le direttive, che esprimono il senso stesso dell’iniziativa: «Sondaggio tra i lettori delle riviste associate alla Technical Image Press Association. Ogni due anni, TIPA rileva e valuta le opinioni e tendenze dei lettori delle riviste associate, in tema di fotografia. Partecipare al sondaggio significa fornire all’Associazione utili spunti e importanti informazioni, che -analizzate dall’istituto WIP, di Colonia, Germania- saranno presentate alle maggiori industrie del settore, per offrire alla loro attenzione l’orientamento dei clienti finali». A margine, ma neppure poi tanto a margine, tra tutti i lettori delle riviste TIPA partecipanti al Sondaggio 2013 sono state estratte a sorte quattro macchine fotografiche insignite dai TIPA Awards 2012 [FOTOgraphia, giugno 2012]: Maria Kafetzi, dalla rivista greca Photographos, Canon Eos-1D X; Renzo Caliari, da Fotografia Reflex, Nikon D800; Eric Paratcha, dalla rivista francese Réponses Photo, Nikon D5100; Randy Johnson, dalla rivista statunitense Shutterbug, Panasonic Lumix GX1. Al Sondaggio TIPA 2013, che si è esteso dal ventinove ottobre all’otto febbraio, hanno partecipato ottomilacinquecentosessantaquattro lettori (8564) di ventitré riviste internazionali di fotografia, di quattordici paesi: il 26,8 percento delle risposte sono arrivate per posta; 5,5 percento per fax; e 67,7 percento sono state compilate online. Con una punta massima di millequattordici risposte ricevute da una sola rivista (1014; non è stato specificato da quale), la media dei questionari è stata di trecentoquarantaquattro per ciascuna testa-

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Mi informo regolarmente sui prodotti fotografici (da Sondaggio TIPA 2013) Totale Su riviste di fotografia Su Internet Presso il mio fotonegoziante Alle fiere specializzate Su riviste di tecnica varia Su dépliant dei distributori Su riviste di computer

94,0% 89,8% 25,5% 24,8% 22,8% 22,6% 21,0%

Europa Centrale del Sud 96,0% 89,5% 93,0% 87,1% 25,5% 22,9% 27,6% 21,9% 17,9% 27,4% 23,6% 21,9% 19,9% 19,3%

America del Nord 98,5% 90,0% 35,0% 20,0% 23,0% 24,5% 27,0%

Altro 96,7% 86,3% 26,1% 26,0% 27,2% 19,9% 25,3%

Tra tutte le fonti di informazioni, mi fido di più di Totale Riviste di fotografia Internet Mio fotonegoziante Fiere specializzate Riviste di computer Su riviste di tecnica varia Dépliant dei distributori

55,5% 22,0% 6,1% 2,5% 1,8% 1,6% 1,3%

Europa Centrale del Sud 58,7% 47,1% 23,1% 23,7% 6,4% 5,4% 2,6% 2,7% 1,4% 2,5% 1,2% 2,6% 1,3% 1,0%

America del Nord 60,0% 20,1% 9,3% 2,5% 1,9% 1,0% 1,0%

Altro 54,1% 15,3% 5,3% 1,3% 1,0% 1,0% 1,0%


Sondaggio TIPA ETÀ DEI LETTORI DI RIVISTE INTERNAZIONALI DI FOTOGRAFIA (DAL SONDAGGIO TIPA 2013) In confronto diretto, quanto è risultato dal Sondaggio TIPA 2013, condotto da ventitré riviste internazionali, di quattordici paesi, in relazione all’età dichiarata dai lettori che hanno compilato il questionario (che FOTO graphia ha pubblicato a novembre e dicembre scorsi). La media complessiva rivela un’età media di 46,1 anni (47,5 per gli uomini e 39,7 per le donne, presenti al Sondaggio al 19,2 percento del totale). In particolare, la fascia di età compresa tra quaranta e quarantanove anni è la preponderante: 24,3 percento; ancora, il cinquantanove per cento ha un’età inferiore ai cinquant’anni. Da qui, le percentuali per aree geografiche, che discostano sensibilmente dalla media complessiva: in Europa Centrale (Francia, Germania, Inghilterra, Olanda e Polonia: dieci riviste), equilibrio tra le fasce di età da quaranta a quarantanove anni e da cinquanta a cinquantanove anni (25,1 e 25,5 percento); in Sud d’Europa (Grecia, Italia, Spagna e Ungheria: otto riviste), l’età si abbassa, con una predominanza della fascia tra trenta e trentanove anni (28,5 percento), immediatamente seguìta dalla fascia di età tra quaranta e quarantanove anni (26,8 percento); in Nord America

Media totale (quattordici paesi: ventitré riviste)

(Canada e Stati Uniti: due riviste), i dati sono completamente sfasati, e si afferma una età media tra sessanta e sessantanove anni (32,8 percento); anche negli Altri paesi (Australia, Cina e Sudafrica: tre riviste), si va oltre la media mondiale, con una affermazione della fascia di età tra cinquanta e cinquantanove anni (27,1 percento). A questo punto, comparazione privata, con il risultato raccolto da FOTOgraphia, conteggiato soltanto sulle duecentoquattro risposte pervenute per posta ordinaria (alle quali si dovrebbero aggiungere quelle online, che dovrebbero confermare l’insospettata e sorprendente tendenza giovanilista della testata). Complice una serie di incontri pubblici del nostro direttore Maurizio Rebuzzini, che ha incontrato in diverse occasioni soci di circoli fotografici e associazioni fotografiche, registriamo una età media oggettivamente bassa: sessantadue sotto i ventinove anni (30,4 percento), ventisette tra trenta e trentanove anni (13,2 percento), quarantuno tra quaranta e quarantanove anni (20,1 percento), trentuno tra cinquanta e cinquantanove anni (15,2 percento), ventotto tra sessanta e sessantanove anni (13,7 percento), quindici oltre i settant’anni (7,4 percento).

Europa Centrale (Francia, Germania, Inghilterra, Olanda e Polonia: dieci riviste)

Sud d’Europa (Grecia, Italia, Spagna e Ungheria: otto riviste)

24,3%

28,5%

22,2%

20,5%

25,1% 25,5% 19,5%

17,5%

14,4%

14,2%

26,8%

16,2%

15,3%

13,2%

7,4%

4,4% 2,5%

Nord America (Canada e Stati Uniti: due riviste)

2,5%

FOTOgraphia

Altri paesi (Australia, Cina e Sudafrica: tre riviste)

32,8%

27,1%

30,4%

22,7%

25,2% 18,4% 17,0% 12,9% 8,2%

20,1% 13,8% 13,2%

11,2%

15,2%

6,8%

13,7% 7,4%

3,9%

1: Meno di 29 anni • 2: Tra 30 e 39 anni • 3: Tra 40 e 49 anni • 4: Tra 50 e 59 anni • 5: Tra 60 e 69 anni • 6: Oltre i 70 anni

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Sondaggio TIPA Scatto fotografie (dal Sondaggio TIPA 2013) Rilevazione totale (quattordici paesi: ventitré riviste)

Europa Centrale (Francia, Germania, Inghilterra, Olanda e Polonia: dieci riviste)

Da professionista (14%) Da utente professionale (4%)

Da professionista (17%)

Da utente professionale (5%)

Da semiprofessionista (21%)

Da semiprofessionista (26%)

Da privato (61%)

Da privato (52%)

Sud d’Europa (Grecia, Italia, Spagna e Ungheria: otto riviste) Da professionista (13%) Da utente professionale (4%)

Da semiprofessionista (14%)

Nord America (Canada e Stati Uniti: due riviste) Da utente professionale (3%)

Da professionista (9%)

Da semiprofessionista (30%)

Da privato (69%)

Altri paesi (Australia, Cina, Sudafrica: tre riviste) Da professionista (10%) Da utente professionale (2%)

Da semiprofessionista (20%)

Da privato (68%)

60

Da privato (58%)

ta (344; FOTOgraphia ne ha ricevute duecentoquattro per posta, e non sappiamo quante sono state accreditate online). In base a parametri stabiliti per regolamento, dal totale, sono state analizzate settemilanovecentoquattro risposte (7904). Per accreditare al meglio i dati complessivi, planetari, si è anzitutto stabilita una suddivisione geografica delle riviste: Europa Centrale (Francia, Germania, Inghilterra, Olanda e Polonia: dieci riviste); Sud d’Europa (Grecia, Italia, Spagna e Ungheria: otto riviste); Nord America (Canada e Stati Uniti: due riviste); Altri paesi (Australia, Cina e Sudafrica: tre riviste).

Come prevedibile, la maggior parte di risposte è pervenuta da utenti/lettori/fotografi uomini, 80,8 percento contro 19,2 percento (per FOTOgraphia, cinquantasette donne su duecentoquattro risposte postali: 27,9 percento). L’età media è risultata 46,1 anni (curiosamente identica alla media di FOTOgraphia), con un’età media femminile inferiore a quella maschile (39,7 anni contro 47,5 anni); il cinquantanove percento dei lettori risulta di età inferiore ai cinquant’anni [sintesi grafiche a pagina 59]. In divisione geografica: Europa Centrale, 83,4 percento uomini (età media 48,0 anni), 16,6 percento donne (età


Sondaggio TIPA Scatto fotografie con (dal Sondaggio TIPA 2013)

Dividiamo ora percentualmente sulle scomposizioni geografiche di riferimento, che mantengono le separazioni, registrando moderati slittamenti quantitativi: Europa Centrale, cinquantadue percento privati, ventisei percento semi-professionisti, diciassette percento professionisti e cinque percento altre professioni (52,0, 26,0, 17,0 e 5,0 percento); Europa del Sud, sessantanove, quattordici, tredici e quattro percento (69,0, 14,0, 13,0 e 4,0 percento); America del Nord, cinquantotto, trenta, nove e tre percento (58,0, 30,0, 9,0 e 3,0

1: Apparecchio analogico (a pellicola) • 2: In formato grezzo Raw 3: In formato compresso Jpeg

percento); Altri paesi, sessantotto, venti, dieci e due percento (68,0, 20,0, 10,0 e 2,0 percento) [pagina accanto]. Riguardo le nuove socialità, il proprio riconoscimento in riviste cartacee discosta dalle convinzioni più radicate: soltanto il trenta percento dichiara di presentarsi in siti web e soltanto il ventinove percento si riconduce a Facebook. Questo atteggiamento, fotograficamente “datato” -va riconosciuto- e infedele rispetto la realtà che tutti conosciamo, ha un riscontro anche nelle funzio-

Uso le funzioni della macchina fotografica (dal Sondaggio TIPA 2013)

22,2%

Occasionalmente (6,6%) Spesso (15,6%)

30,7%

Occasionalmente (9,0%) Spesso (21,7%)

45,7%

Occasionalmente (22,0%) Spesso (23,7%)

56,7%

Occasionalmente (25,3%) Spesso (31,4%)

71,4%

Occasionalmente (48,3%) Spesso (23,1%)

Occasionalmente (57,8%) Spesso (23,4%)

Rilevazione totale (quattordici paesi: ventitré riviste) 81,2%

Spesso (49,6%) Occasionalmente (17,9%)

Spesso (7,7%) Occasionalmente (13,2%)

Spesso (8,3%) Occasionalmente (7,1%)

1: Apparecchio con sensore APS-C • 2: Reflex con sensore a pieno formato 3: Reflex con sensore medio formato • 4: Apparecchio Micro QuattroTerzi

media 39,5 anni); Sud d’Europa, 77,1 percento uomini (età media 43,5 anni), 22,9 percento donne (età media 36,1 anni); America del Nord, 82,5 percento uomini (età media 58,9 anni), 17,5 percento donne (età media 50,7 anni); Altro, 81,0 percento uomini (età media 49,0 anni), 19,0 percento donne (età media 42,8 anni). Da qui, sorvolando su ulteriori suddivisioni, per età e residenza, che interessano in misura relativa, ammesso e non concesso che possano incuriosire, approdiamo alla pratica della fotografia, alla sua frequentazione. Dal totale delle risposte alle riviste aderenti alla Technical Image Press Association (TIPA, in acronimo) risulta che il sessantuno percento scatta fotografie in forma privata, il sessantaquattro percento dei quali le realizza in formato grezzo Raw. Ne consegue una media di trecentotrentanove fotografie mensili (339), con punta massima a ottocentosettantanove (879): cinquantaquattro delle quali stampate presso un servizio conto terzi e quarantanove delle quali stampate in proprio. A seguire, il ventuno percento si è dichiarato semi-professionista, quattordici percento professionisti e il restante quattro percento usano la fotografia in subordine a altre professioni (61,0, 21,0, 14,0 e 4,0 percento).

Spesso (64,2%) Occasionalmente (13,8%)

Rilevazione totale (quattordici paesi: ventitré riviste)

Spesso (8,3%) Occasionalmente (7,7%)

Spesso (36,2%) Occasionalmente (7,6%)

Spesso (43,7%) Occasionalmente (13,0%)

Rilevazione totale (quattordici paesi: ventitré riviste)

1: M - Manuale • 2: Av - Priorità ai diaframmi • 3: Tv - Priorità ai tempi 4: P - Program • 5: Video • 6: Modalità Scena / Arte

ni di uso degli apparecchi, per le quali il sessanta percento delle risposte si identifica nella impostazione della modalità manuale (M) di esposizione [in basso, al centro]. In ogni caso, la stragrande maggioranza scatta fotografie con continuità: 43,7 percento con sensori APS-C, 36,2 percento con sensori full frame [in alto, a sinistra]; quindi, 64,2 percento in Raw, 49,6 percento in Jpeg (e 7,7 percento con pellicola) [in alto, a destra]. Altre considerazioni riguardo l’approccio individuale alla fotografia: il 54,1 percento degli utenti dichiara di condividere con altri le proprie esperienze fotografiche (23,3 percento continuamente e 30,8 percento occasionalmente); il 49,0 percento afferma la propria attenzione all’evoluzione tecnologica; il 45,5 percento è interessato agli accessori della propria dotazione fotografica base e il 24,1 percento partecipa a concorsi e competizioni (9,4 percento con assiduità, 14,7 percento occasionalmente). In relazione al rapporto con le riviste di fotografia, in specifico in richiamo e riferimento a quella attraverso la quale si è partecipato al Sondaggio TIPA 2013, risulta che il 60,1 percento dei lettori le legge integralmente, il 24,8 percento ne legge circa i tre quarti e poi, via via, il 9,8 per-

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Sondaggio TIPA cento ne legge la metà, e i restanti 2,9 e 2,4 percento ne leggono un quarto o qualche pagina (perché, poi?) [al centro]. Il tempo di lettura medio è risultato di ottantaquattro minuti, tra i quarantatré minimi e centoventisette massimi, con un ritorno in lettura di 6,2 volte e una lettura condivisa con altre 2,4 persone. È fin scontato che il novantaquattro percento delle risposte ha attribuito un valore importante e di competenza alla rivista di riferimento, con percentuali di poco inferiori per quanto riguarda le sollecitazioni espressive e/o commerciali dedotte. A diretta conseguenza, le fonti di informazione: le riviste cartacee sono in testa, con il 55,5 percento, seguìte da Internet (22,0 percento), negozianti (6,1 percento), fiere specializzate (2,5 percento). E poi, ancora, le prossime in-

Di ciascun numero della rivista leggo (dal Sondaggio TIPA 2013) Rilevazione totale (quattordici paesi: ventitré riviste) Circa un quarto (2,9%)

Solo alcune pagine (2,4%)

Circa la metà (9,8%)

Circa tre quarti (24,8%)

Tutte o quasi tutte le pagine (60,1%) Visibilità media (83,4%)

Senza alcuna autoreferenzialità, e neppure in difesa di qualcosa di professionalmente nostro, rimaniamo convinti che certe riflessioni e taluni approfondimenti esigano ancora la veicolazione cartacea: rivista e/o libro. A conferma, le opinioni rilevate dal Sondaggio TIPA 2013, che certificano anche una sostanziosa visibilità media.

tenzioni di acquisto, in progressione: obiettivi intercambiabili (66,4 percento), accessori (59,1 percento), nuova reflex (48,6 percento), software (32,0 percento), luci da sala di posa (22,9 percento), treppiedi (20,6 percento), stampante (15,9 percento), apparecchio CSC (10,8 percento), compatta (9,7 percento), scanner (8,2 percento), sistema di gestione colore (8,1 percento), proiettore (4,9 percento), sistema medio formato (4,3 percento). Ovviamente, non commentiamo l’approccio con la pubblicità, per il vero positivo e propositivo, perché ci sono sembrate risposte di maniera, di accomodamento, stile quelle attraverso le quali, ai tempi della scuola dell’obbligo, si guadagnava la fiducia dell’insegnante. Prossimo appuntamento (forse, oppure probabilmente): autunno 2014, sul 2015. ❖



Raffinatezza di Antonio Bordoni

CON CHE SCATTO!

N

Non fidatevi troppo delle illustrazioni che accompagnano questa presentazione: sono soltanto indicative di una consistente offerta merceologica che New Old Camera, di Milano, uno dei più intelligenti punti di riferimento italiani della fotografia di classe e con classe (sia per l’usato/collezionismo, sia per il nuovo selezionato), propone nel suo punto vendita di via Rovello 5, in centro città (ingresso anche da via Dante 12). E sintetizza nell’immancabile sito: www.newoldcamera.it. Eccoli qui gli aggiuntivi al pulsante di scatto degli apparecchi fotografici (di tutti i tempi), che ammorbidiscono la pressione e danno maggiore sensibilità al momento della ripresa. Ma, soprattutto, oltre la praticità oggettiva, presentano e offrono una eleganza e raffinatezza di aspetto: la forma, oltre il contenuto. Sono colorati, brillanti, allegri e garbati, almeno tanto quanto dovrebbe esserlo l’azione fotografica volontaria e consapevole: una somma tra la creatività individuale applicata e la grazia e garbo, sia dell’azione, sia dei suoi strumenti tecnici indispensabili, non soltanto necessari. A memoria, che probabilmente tradisce di più di quanto crediamo e lasciamo intendere, ricordiamo pochi altri precedenti del passato (meccanico) della fotografia. Soprattutto, non va dimenticato l’aggiuntivo per il pulsante di scatto della leggendaria e autorevole Nikon F, dalla quale molto è cominciato, priva di filettatura femmina, originariamente prevista per il flessibile. Ma non ci sono precedenti analoghi alla raffinatezza della attuale gamma Beep, che, come appena rilevato, si proietta anche verso valori estetici a confezione di prestazioni adeguate. E qui il discorso si fa affascinante, oltre che intrigante. Domanda esplicita: il valore e senso di ogni impegno fotografico individuale legittima anche una

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Le illustrazioni degli aggiuntivi Beep da avvitare al pulsante di scatto che riportiamo in queste pagine sono unicamente esemplificative, per quanto significative della linea tecnica proposta da New Old Camera, di Milano (www.newoldcamera.it). La gamma di disegni è rintracciabile e valutabile sia attraverso il sito, sia dal vivo, nel punto vendita di via Rovello 5, in centro città (ingresso commerciale anche da via Dante 12).

dose di feticismo? Ovvero, è ammissibile, oltre che apprezzabile e meritevole dare spazio alla fisionomia e al profilo dei propri utensili? Il discorso implica un doveroso richiamo dalla lingua inglese, là dove e quando distingue tra loro i termini “Craft” e “Tool”. Con Craft, si intende l’utensile del mestiere artigianale, dell’arte manuale; con Tool, si specifica

lo strumento meccanico. In diretta conseguenza, Craft presuppone arte, abilità, maestria e destrezza; Tool spesso basta a se stesso e non richiede empatia con l’utilizzatore (forse). Ancora, e in ricordo di altri tempi fotografici (in ripetizione temporale, meccanici), torniamo agli anni nei quali agivamo anche con e nella fotografia in ripresa, coevi e (ora) precedenti a


Raffinatezza Gli aggiuntivi Beep al pulsante di scatto degli apparecchi fotografici (di tutti i tempi) hanno almeno due motivazioni. La prima, oggettiva: ammorbidiscono la pressione e danno maggiore sensibilità al momento della ripresa. La seconda, inviolabilmente soggettiva: presentano e offrono una eleganza e raffinatezza di aspetto. Oltre il contenuto, si ottiene il piacere della forma (sano e ben riposto feticismo?). Sono colorati, brillanti, allegri e garbati, almeno tanto quanto dovrebbe esserlo l’azione fotografica volontaria e consapevole: una somma tra la creatività individuale applicata e la grazia e garbo, sia dell’azione, sia dei suoi strumenti tecnici indispensabili, non soltanto necessari.

questi attuali, nei quali ne scriviamo soltanto. Torniamo agli anni nei quali, oltre la sostanza, fummo guidati e diretti anche dalla forma (dell’inevitabile e inviolabile contenuto/tasso tecnico). Scattando in trentacinque millimetri, privilegiavamo il telemetro Leica M2 ad altro; certo, la M3 è più elegante, ma gli occhiali da vista ci imponevano di preferire un mirino a visione più ampia, adatta alla combinazione con il Summicron 35mm f/2. Per le reflex, altre certezze: Nikon F (anche se le F2 e F3 erano senza dubbio più pratiche, e la F3 altrettanto perfetta nel proprio design [come rilevammo in FOTOgraphia, del marzo 1998]); Asahi Pentax Spotmatic, con il fascino e la qualità dei suoi obiettivi intercambiabili Takumar; e Canon F1 con il solo e dovuto 50mm f/1,2. Medio formato: in sei-per-sei, Rolleiflex 3,5F, che ci ha sempre impedito di avvicinarci al sistema Hasselblad, e dunque anche alla interpretazione Superwide, con Carl Zeiss Biogon 38mm f/4,5; in sei-per-sette, Mamiya RB67, della quale apprezzavamo le presunte scomodità, corrette poi dalla RZ67, a partire dal magazzino portapellicola autonomo, svincolato dall’ampia leva di ricarica dell’otturatore centrale degli obiettivi (sopra tutti, il Macro 140mm f/4,5); con obiettivo decentrabile, la Silvestri SLV originaria, con Schneider Super-Angulon 47mm f/5,6, su raffinato movimento micrometrico di alto-basso, e magazzini portapellicola Mamiya RB (e anche Horseman). Grande formato: fuori discussione, Sinar Norma, nelle dimensioni 4x5 e 8x10 pollici (10,2x12,7 e 20,4x25,4 centimetri), della quale amavamo il senso tattile dei materiali e la spartana efficacia dei movimenti micrometrici di messa a fuoco; che, poi, i basculaggi attorno i due assi, orizzontale e verticale, fossero liberi e manuali era motivo di orgoglio, non limitazione operativa. Ancora, non dimentichiamo la nostra 8x10 pollici Toyo View 810: imponente folding. Invece, la leggendaria Deardorff è rimasta da noi poco: troppo bella per essere usata, fu monetizzata in un momento di necessità (e tanti ce ne sono stati, e altrettanti ce ne sono ancora). Sull’onda di questo, e altro ancora... aggiuntivi Beep per il pulsante di scatto. ❖

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Considerazioni di Maurizio Rebuzzini

IL MONDO NUOVO

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Con una visione alta, profonda e immensa, nel 1933, il filosofo Ernst Jünger pubblicò Die Veränderte Welt: una delle raccolte fotografiche più significative del Novecento. Non una monografia d’autore, e neppure una selezione a tema. Qui, la fotografia è protagonista in un modo diverso da quello che le viene solitamente assegnato dal proprio mondo, appunto fotografico. A differenza, le fotografie di Die Veränderte Welt sono state individuate dalla cronaca quotidiana, e quindi commentate, per finalizzare la visione fotografica a una osservazione ampia del proprio tempo: dalla quale, in traduzione, Ernst Jünger riflette su Il mondo mutato [avendone scritto in FOTOgraphia, del dicembre 2007, ricordiamo che l’anastatica di Die Veränderte Welt, di Ernst Jünger (a cura di Edmund Schultz), è stata pubblicata in cofanetto, con la traduzione italiana Il mondo perduto. Un sillabario per immagini del nostro tempo: a cura di Maurizio Guerri; Mimesis Edizioni, 2007]. Con profilo più limitato, soprattutto nelle capacità filosofiche, ma non soltanto, ancora oggi, soprattutto oggi, c’è da domandarsi cosa stia accadendo, a questo mondo, così trasformato dalle tecnologie. Non parlo di fotografia, non necessariamente; o forse sì, non solamente. L’incipit di partenza è esplicito e convinto; in ripetizione d’obbligo da molte nostre precedenti evocazioni, una delle quali accompagna, motivandola addirittura, l’edizione di Alla Photokina e ritorno, pubblicata alla fine del 2008: «Qualsiasi viaggio nella vita, se non fosse intrapreso per ragioni umane e con comprensione e amore, sarebbe un viaggio assolutamente inutile. Parlo sempre di qualcosa che vale la pena ricordare, dal momento che la tecnologia trasforma in realtà

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antichi sogni. La fonte della tecnologia applicata è quella stessa fonte che alimenta la vita e l’evoluzione dell’esistenza». Però! Però, un conto sono le tecnologie, un altro il loro impiego. Per quanto sia assolutamente convinto del ruolo e valore della tecnologia, non ignoro, né nego, il sapore amaro di certe sue consecuzioni, di un suo individuato retrogusto sgradito e sgradevole. In aggiunta a nostre precedenti note al proposito, altrimenti motivate, altrimenti indirizzate, penso soprattutto al mondo nuovo in una chiave che sottolinea, prima di altro e oltre altro, non educazioni e autentiche maleducazioni dei nostri giorni, osservati e valutati dal vivere in spazi e modi che si riferiscono alla fotografia. Certo, nel proprio complesso, le applicazioni digitali sono utili, pratiche, agevoli, e hanno consentito interpretazioni professionali assai più versatili e duttili di quelle del passato, anche solo prossimo. Allo stesso tempo e momento, hanno però compromesso socialità e consecuzioni caratteristiche dei nostri precedenti modi di vivere. Non mi interessa la sterile discussione che altri avviano, ma penso, per esempio, che la praticità attuale mi ha vincolato a una tastiera e un monitor, dal quale agisco, creo, comunico e mi informo. Così che, venute meno le escursioni verso il laboratorio di sviluppo e stampa delle copie o trattamento delle diapositive, non ho più occasione di incontrare altri colleghi, con i quali scambiare opinioni e dai quali ricevere sollecitazioni (e magari fornirle anche). Così che, venute meno le interazioni con lo stampatore della rivista, con il quale comunico per posta elettronica e al quale invio file digitali di lavoro, non sento più il magico profumo degli inchiostri della stampa offset, non scambio parole, ma agisco solo con finalità mirate.

Altri discorsi sulla contrapposizione digitale-passato sono infecondi e improduttivi, anche alla luce del fatto che la fotografia non è avanguardia del mondo, casomai ne è soltanto espressione: la fotografia digitale è coeva a quanto oggi si può avere e ottenere; insomma, è figlia dei nostri giorni, come lo è sempre stata (figlia dei propri tempi). In questo senso e in proiezione più ampia e completa, l’autentico retrogusto amaro (oltre la maleducazione individuale, quella che -sul treno e sui mezzi pubblici- ci fa ascoltare ogni sorta di intimità, urlata al proprio smartphone da altri passeggeri), l’autentico retrogusto amaro è la chiusura in se stessi, la perdita dei contatti, l’implosione sociale... beffardamente mascherate, da chi di dovere, dall’esaltazione dell’era della condivisione immediata: sì, a patto di stare ognuno con se stesso e ognuno a casa propria ad agire su tastiere e tastierini come se le proprie dita stessero governando le sorti del mondo. Basti pensare che l’atteso nuovo gioco GtaV, o Gta5, secondo altre dizioni, ufficialmente commercializzato in tutto il mondo (qualche geografia a parte) dalle 00,01 dello scorso diciassette settembre, ore locali, è stato prenotato in prevendita da due milioni e seicentomila acquirenti (per 60,00 euro ciascuno, uguale ben 156.000.000,00 di euro abbondanti: perché la Special Edition costa ottanta euro e la Collector’s Edition, completa di gadget in abbinamento, centocinquanta euro, ed è andata completamente esaurita). Quindi, due milioni e seicentomila giovani sono già sintonizzati sull’argomento: pensiamo che si tratti di tutti i diciottenni del mondo occidentale, ai quali si sono presto aggiunte le vendite attraverso i canali commerciali canonici, ai quali si sono aggiunte anche le speculazioni (il bagari-

naggio) di quanti si sono riforniti in prevendita, consapevoli del veloce esaurimento sugli scaffali. Quindi, oltre le funzioni professionali, sempre più isolate e solitarie, prendiamo atto della estensione al tempo libero dello stesso isolamento, della medesima solitudine. I numeri GtaV -unità di misura del videogioco- si innalzeranno esponenzialmente al momento della versione per personal computer. A questo, si aggiunge l’isolamento delle generazioni più adulte, che magari non videogiocano (ma non è certamente detto), ma che spostano verso la Rete concetti analoghi di individualità esasperata: e poi, ci sono gli utenti Apple Mac, sostanzialmente estranei ai videogiochi, per i quali le funzioni attive e passive del proprio computer vanno oltre le esigenze delle rispettive professioni, spostandosi verso nottate con Photoshop o Facebook o Google o QuelCheVogliono. La ricerca in Rete, l’uso della Rete non è demoniaca, sia chiaro: è utile e straordinaria. Si esprime in tre modi almeno: verso il passato, al presente e sul futuro. Rivolgendosi a ricerche sul passato -come siamo soliti fare anche noi-, si dipende dalla buona volontà di coloro i quali, noi tra questi, si prendono la briga di raccontarlo. Il presente è alla portata di ogni computer e tablet e smartphone: lo si osserva, per presto accantonarlo per un ulteriore presente... più tale del precedente. Il futuro è quello che alimenta i rumors su prodotti e persone nelle aziende: materia ricercata da molti, che -nello specifico- fanno della fotografia, o di ogni altro interesse, arido punto di arrivo, non fantastico e privilegiato s-punto di partenza. Per ora, basta. Sul prossimo numero, continuiamo (magari concludendo), con Angeli e Demoni. ❖




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