Mensile, 6,50 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano
ANNO XXI - NUMERO 199 - MARZO 2014
Gian Paolo Barbieri Giovanni Gastel LA MODA FOTOGRAFATA
Gabriele Chiesa Paolo Gosio DAGHERROTIPI E CONTORNI
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O T N E M A N O B B A N I O L SO
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ANNO XXI - NUMERO 199 - MARZO 2014
Gian Paolo Barbieri Giovanni Gastel LA MODA FOTOGRAFATA
Gabriele Chiesa Paolo Grosio DAGHERROTIPI E CONTORNI
ANNO XXI - NUMERO 198 - FEBBRAIO 2014
Alcide Boaretto VOLTI DEL CINEMA
Steve McCurry QUANTE STORIE!
Abbonamento 2014
(nuovo o rinnovo) in omaggio Fotografia nei francobolli di Maurizio Rebuzzini prefazione di Giuliana Scimé testimonianza di Michele Smargiassi
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1839 - 2014 CENTOSETTANTACINQUE ANNI
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ANNO XX - NUMERO 197 - DICEMBRE 2013
Parliamone SOPRA TUTTI, FRANTI Wpoty 2012 CHE BELLA NATURA
GINO BEGOTTI 14 DICEMBRE 1963: THE BEATLES
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prima di cominciare FOTOGRAFIA DI... Su questo numero di FOTOgraphia, ne scrivono Antonio Bordoni, Angelo Galantini e Maurizio Rebuzzini. Per certi versi, che qui e ora sottoscriviamo coralmente, è questo l’autentico filo conduttore dell’intera fogliazione. Infatti, anche se non è dato saperlo, anche se non importa decifrarlo, anche se le pagine possono scorrere una successiva alle altre, un’altra in anticipo sulle altre, senza essere altrimenti collegate... infatti, va bene anche così. Però, per chi è interessato ad averne notizia e cognizione, sia chiaro ed esplicito che nulla di quanto pubblicato in queste nostre pagine è casuale, sia nel proprio contenuto sia per l’inevitabile forma. In conseguenza, mille e mille e mille sono i collegamenti, rimandi e richiami che si susseguono e inseguono. Comunque, nello specifico, oggi sottolineiamo come la fotografia di sia l’attuale tramite di ogni conoscenza. Raramente si conoscono i soggetti della fotografia, sempre si riconoscono proprio mediante e tramite le relative fotografie di. Antonio Bordoni: «Attraverso l’interpretazione mirata e colta e educata di straordinari autori, che si sono avvicendati nei decenni, la fotografia industriale ha rivelato, svelandoli, i termini di mondi sconosciuti alla visione diretta dei più». Angelo Galantini: «È la capacità interpretativa dei vari autori, dei fotografi -guidata dalla loro percettibilità e etica- che ha tracciato le linee narrative della storia quotidiana della moda, che in alcuni casi si è proiettata nella Storia, quantomeno del costume, ma anche della società nel proprio insieme». Maurizio Rebuzzini: «In definitiva, si sottolinea come la moda, così come la si intende comunemente, non esiste in altro modo che attraverso la sua registrazione e documentazione fotografica. Nessuno ha mai visto questi abiti, quegli abiti, ma ciascuno li conosce (se e per quanto li conosca) attraverso la loro raffigurazione/rappresentazione fotografica: dunque, onore e merito agli autori che sanno essere avvincenti e convincenti interpreti, anche oltre lo svolgimento necessario e obbligatorio del proprio mestiere». Tutto questo è stato sollecitato, forse sì, forse no (ma è sì!), dall’onestà intellettuale con la quale Julius Wiedemann, competente curatore della monografia Illustration Now! Fashion (che lanciamo dalla copertina), ha attribuito legittimo valore agli illustratori della moda, in anticipo sul richiamo agli stilisti per i quali hanno agito. Non sempre questo avviene in fotografia, nonostante il fatto che le conoscenze del Mondo si basino oggi soltanto su fotografie di..., che superano ogni possibile confine di Spazio, Tempo e Luogo. Così è, ci piaccia o meno. Senza alcuna autoreferenzialità di casta.
L’onestà intellettuale è una compagnia e frequentazione irrinunciabile, se effettivamente si vuole vedere, oltre il solo e semplice guardare. Angelo Galantini; su questo numero, a pagina 30 Attraverso l’interpretazione mirata e colta e educata di straordinari autori, che si sono avvicendati nei decenni, la fotografia industriale ha rivelato, svelandoli, i termini di mondi sconosciuti alla visione diretta dei più. Antonio Bordoni; su questo numero, a pagina 55 Attraverso la fotografia passa la cultura di un popolo e di una nazione. Pino Bertelli; su questo numero, a pagina 64
Copertina Dalla monografia a tema Illustration Now! Fashion, a cura del competente Julius Wiedemann, pubblicata dall’immancabile Taschen Verlag, di Colonia, una visualizzazione che strizza l’occhio alla fotografia, complemento socioculturale ragionevole della moda (illustrazione di Alexandra Compain-Tissier per Bill Cunningham; acquerello). Considerazioni e riflessioni e osservazioni, da pagina 24
3 Fotografia nei francobolli Dalla compendiosa analisi Fotografia nei francobolli, di Maurizio Rebuzzini, in corso d’opera e imminente pubblicazione, dettaglio da un francobollo emesso dal Cile, il 12 dicembre 1985: in una serie di quattro valori sulle professioni, la raffigurazione del fotografo
7 Editoriale Allora! Allora: chi fotografa, oggi? Approfondimento che rimandiamo al prossimo aprile, quando sarà doveroso ricordare venti anni di edizioni di FOTOgraphia, con un numero Duecento, conteggiati a partire dal numero Uno di esordio, del maggio 1994
8 Fotografia di... S-punto di riflessione, s-punto di partenza: nell’attuale società delle immagini, non si conoscono i soggetti (fatti o oggetti che siano), ma la loro fotografia. Così, sottolineiamo che questo è particolarmente vero nell’ambito della moda, per la quale la monografia Illustration Now! Fashion certifica i singoli autori (da pagina 24), mentre altrove, in Italia, ci si dimentica di farlo. La moda! La moda! Con Gian Paolo Barbieri e Giovanni Gastel, rispettivamente da pagina 32 e 42
10 L’amico Enrico Enrico Giovenzana, protagonista di altre stagioni, è mancato dopo un lungo e volontario isolamento
MARZO 2014
RIFLESSIONI, OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA
12 Notizie Attrezzature, vicende e altre segnalazioni
Anno XXI - numero 199 - 6,50 euro DIRETTORE
RESPONSABILE
Maurizio Rebuzzini
14 Processi originari
IMPAGINAZIONE
Ha proprio ragione Michele Smargiassi, in commento all’edizione Web: Dagherrotipia, Ambrotipia, Ferrotipia Positivi unici e processi antichi nel ritratto fotografico, di Gabriele Chiesa e Paolo Gosio, è un libro monumentale, nel quale anche chi crede di sapere scopre che non ne sa abbastanza. Mai abbastanza
REDAZIONE
Maria Marasciuolo Antonio Bordoni Angelo Galantini
FOTOGRAFIE Rouge
SEGRETERIA
Maddalena Fasoli
HANNO
21 Famiglia reale La fotografia di cronaca rosa, rubata all’insaputa dei soggetti, è protagonista del film La rapina perfetta Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
24 Progetti di moda La monografia Illustration Now! Fashion, a cura di Julius Wiedemann, presenta un inedito punto di vista sulla moda, che arricchisce le nostre conoscenze di Angelo Galantini
32 Dalla moda alla storia La affascinante fotografia di Gian Paolo Barbieri ha scritto capitoli fondanti della storia del nostro tempo di Maurizio Rebuzzini
40 Mamiya Press Dal 1962 a cura di New Old Camera
42 L’essenza della moda La contemporaneità della fotografia di Giovanni Gastel rivela il senso di ogni fotografia. Molto di noi stessi di Maurizio Rebuzzini
50 Foto/Industria Preposto anche a questo, l’avvincente Mast, di Bologna, celebra una delle più convincenti applicazioni della fotografia: I mondi industriali 014. Fino a fine marzo di Antonio Bordoni
COLLABORATO
Gian Paolo Barbieri Pino Bertelli Rinaldo Citterio mFranti Giovanni Gastel Chiara Lualdi Manuel Randazzo Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Ryuichi Watanabe (New Old Camera) Deborah Zuskis Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604 www.FOTOgraphiaONLINE.it; graphia@tin.it. ● FOTOgraphia è venduta in abbonamento. ● FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano. ● A garanzia degli abbonati, nel caso la pubblicazione sia pervenuta in spedizione gratuita o a pagamento, l’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e in suo possesso, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi della legge 675/96. ● FOTOgraphia Abbonamento 12 numeri 65,00 euro. Abbonamento annuale per l’estero, via ordinaria 130,00 euro; via aerea: Europa 150,00 euro, America, Asia, Africa 200,00 euro, gli altri paesi 230,00 euro. Versamenti: assegno bancario non trasferibile intestato a Graphia srl Milano; vaglia postale a Graphia srl - PT Milano Isola; su Ccp n. 28219202 intestato a Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; addebiti su carte di credito CartaSì, Visa, MasterCard. ● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti. Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano
Rivista associata a TIPA
58 Cento e MilleUno Carrellata (casellario?) di monografie illustrate che raccontano lo scorrere del Tempo e delle Personalità
64 Antonio Biasiucci Sguardo sulla fotografia del magico e meraviglioso di Pino Bertelli
www.tipa.com
editoriale
ALBERTO DUBINI (4)
A
nticipo qui una considerazione che approfondiremo il mese prossimo, aprile, che ci impone (imporrà) di riflettere a partire dalla nostra esperienza individuale, nel senso di professionale: la meta di duecento numeri di FOTOgraphia, conteggiati dal numero Uno, di esordio, del maggio 1994, prescrive di riflettere e guardarsi alle spalle. Lo faremo al presente, per sottolineare i cambiamenti che la prepotente evoluzione tecnologica dell’acquisizione e gestione digitale di immagini ha imposto, sollecitando nuovi comportamenti, incalzando rinnovati atteggiamenti, pressando nuovi equilibri e, perché no?, inducendo anche aggiornamenti espressivi dei quali tenere gran conto. La Fotografia nel proprio insieme si è trasformata come mai è successo nei decenni precedenti, durante i quali le innovazioni e trasformazioni non sono mai state tanto radicali... e rapide. Del resto, la Fotografia non rappresenta alcuna avanguardia socioculturale, ma rispecchia fedelmente lo svolgimento complessivo dell’Esistenza: che si è effettivamente trasformata, in questi venti anni, in maniera addirittura radicale (i ragionamenti relativi, non qui e non ora). La questione, come da venti anni ribadiamo in ogni occasione richiesta e ragionevole, non sta affatto nella presunta contrapposizione temporale e tecnologica tra passato, anche soltanto prossimo, e presente, quanto nella comprensione e messa a frutto del solo presente. Ora, tra le tante possibili, una domanda richiede considerazioni, che -svolte con onestà intellettuale- possono/potrebbero/dovrebbero risultare utili e proficue sia al comparto tecnico-commerciale, sia al mondo della fotografia espressiva e creativa, sia a coloro i quali riflettono sulle successioni sociali. Rapidamente, per poi rimandare agli approfondimenti che esprimeremo ad aprile: chi fotografa oggi? Che dipende, in larga misura, da come si fotografa oggi. Ne scriveremo e analizzeremo alla nostra solita e consueta maniera: senza anatemi, senza autoreferenzialità, con indagine approfondita, con tranquilla serenità, sia di intenti sia di svolgimento. A monte di tutto, sia però chiaro ed esplicito che oltre i diritti di esercitare una attività, magari anche solo di svolgere una passione, non si assolvono e risolvono soltanto diritti, ma ci si impegna (ci si dovrebbe impegnare) con relativi doveri. Quindi, tra i tanti che fotografano, che frequentano la Fotografia dei nostri giorni, coloro i quali lo fanno con convinzione e intensa partecipazione hanno il sacrosanto dovere della conoscenza e competenza. Non basta una reflex ben accessoriata: serve anche cultura e coltivazione, sia del proprio gesto sia delle sue relative implicazioni. E qui mi rivolgo, soprattutto, alla fotografia non professionale organizzata, che deve superare la propria sola autoreferenzialità, per abbracciare la conoscenza della Fotografia, educata dall’avvicinamento di autori (mostre di consistenza) e lettura/assimilazione di parole competenti (libri, soprattutto, ma non soltanto). Maurizio Rebuzzini
Quando frequento la fotografia non professionale italiana, soprattutto quella che si riconosce nelle organizzazioni preposte (circoli e dintorni/contorni), raramente incontro qualcosa che vada oltre la propria sola e semplice autoreferenzialità. Raramente incontro il piacere della conoscenza, sia del proprio gesto sia delle sue relative implicazioni. In questi luoghi circolano poche idee, poche parole (oltre quelle in autoreferenzialità), pochi libri, poca condivisione. Chi fotografa oggi? E a quali doveri viene meno? Ne riparleremo, ad aprile, in occasione del numero Duecento di FOTOgraphia.
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Parliamone di Maurizio Rebuzzini (Franti)
S
FOTOGRAFIA DI...
Su questo numero di FOTOgraphia, da pagina trentadue e da pagina quarantadue, due straordinarie passerelle fotografiche seguono la presentazione di una convincente monografia sulla moda. Ne dobbiamo parlare, ammesso e non concesso che la rivista, che qualsivoglia rivista, venga valutata con attenzione e piglio in ogni propria componente... e -ancora- ammesso e non concesso che sia chiaro come nulla di quanto pubblicato in queste nostre pagine è casuale, sia nel proprio contenuto sia per l’inevitabile forma. Ancora, e poi basta, ammesso e non concesso che le urgenze esistenziali individuali consentano di andare oltre se stessi, per accogliere qualcosa di esterno ed estraneo, seppure coincidente con taluni propri interessi, nello specifico relativi al mondo e alle logiche della Fotografia, nel proprio insieme e complesso. In volontaria e consapevole sintonia di considerazioni e analisi, ciascuna per sé e entrambe insieme, le parole che accompagnano la fotografia di moda di Gian Paolo Barbieri e Giovanni Gastel approdano alla medesima conclusione, che è poi anche uno dei motivi dell’attuale accostamento. Dal testo per Gian Paolo Barbieri: «E qui sta il senso di un’esistenza compiuta, di una professione svolta con un alto senso di etica (e morale). Del resto, come spesso annotiamo, e qui una volta di più, una ancora, mai una di troppo, dopo aver esaurito il proprio compito istituzionale, la Fotografia vale sempre e comunque per qualcosa che ciascuno di noi trova in se stesso. Non è fondamentale che una Fotografia riveli l’intensità del soggetto (anche se questo avviene), quanto è basilare e sostanziale (essenziale?) che sveli l’anima dell’autore». Dal testo per Giovanni Gastel: «La fotografia è magica e magia giusto per questo. Non necessariamente racconta dei propri soggetti, spesso invitati a richiamare altre intimità che non la loro apparenza a tutti manifesta. Ma rivela sempre qualcosa
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In sequenza serrata di messa in pagina, su questo numero di FOTOgraphia, si incontrano tre interventi allineati. In allungo sulla presentazione della convincente monografia Illustration Now! Fashion, a cura del competente Julius Wiedemann, pubblicata dall’immancabile Tashen Verlag, di Colonia, che dà legittimo merito e riconoscimento agli illustratori della moda, sottolineiamo che tutta la conoscenza dei nostri giorni non si basa su competenze del/dal reale, ma, soprattutto (soltanto?), su fotografie di... moda, per esempio. Da cui, le luci della ribalta si accendono sulla fotografia di moda di Gian Paolo Barbieri e Giovanni Gastel. Rispettivamente, dalle pagine 24, 32 e 42. (pagina accanto) In tempi successivi, il 9 marzo 2000, Primo settembre 2001 e 30 agosto 2002, le Poste Italiane hanno emesso francobolli celebrativi del design e della moda. In nessun caso sono stati menzionati e/o creditati i fotografi autori. Clamoroso: la moda e il design esistono solo nelle rispettive raffigurazioni fotografiche. D’autore.
Parliamone dell’autore, che coinvolge tutti nella sua visione. Alla fin fine, è esattamente questo il senso di ogni fotografia. Se la osservate attentamente, e vi allineate con il suo spirito, vi può rivelare molto su voi stessi». Stessa riflessione, stessa considerazione espressa con termini diversi... ma uguali. In definitiva, si sottolinea come la moda, così come la si intende comunemente, non esiste in altro modo che attraverso la sua registrazione e documentazione fotografica. Nessuno ha mai visto questi abiti, quegli abiti, ma ciascuno li conosce (se e per quanto li conosca) attraverso la loro raffigurazione/rappresentazione fotografica: dunque, onore e merito agli autori che sanno essere avvincenti e convincenti interpreti, anche oltre lo svolgimento necessario e obbligatorio del proprio mestiere. In questo senso, l’allungo su e con Gian Paolo Barbieri e Giovanni Gastel sottolinea come e quanto questa loro fotografia sia indispensabile al racconto del mondo che si manifesta attraverso l’abile composizione dei relativi e rispettivi soggetti. E questa considerazione la esprimiamo prolungando dalla monografia Illustration Now! Fashion, nella quale il competente Julius Wiedemann dà giusto risalto non tanto ai riferimenti espliciti dei singoli stilisti, ma soprattutto alla mediazione dei relativi illustratori: a propria volta, efficaci interpreti e narratori della storia che sono stati invitati a raccontare. In opposizione, le Poste Italiane la pensano in altro modo. Addirittura, ed è più che probabile, non la pensano affatto. In tempi successivi, e programmati, il 9 marzo 2000, il Primo settembre 2001 e il 30 agosto 2002 hanno emesso tre serie filateliche rispettivamente dedicate al design, le prime due, ciascuna di sei valori, e alla moda, la terza, altrettanto di sei valori. Come spesso accade, oltre i francobolli autonomi, le tre emissioni sono state riunite anche in fogli Souvenir (codice filatelico), comprensivi di testi a presentazione e commento. Ebbene... nessuna delle diciotto fotografie è creditata, di nessuna viene indicato l’autore. E qui sta l’inghippo, che nel caso della moda e del design è più evidente che in altri ambiti della vita quo-
tidiana: questi oggetti e questi abiti sono soltanto teorici. Pochi li conoscono, li usano e/o indossano, li hanno toccati con mano. Tutti, invece, li conosciamo attraverso rispettive rappresentazioni fotografiche: ovverosia, conosciamo le fotografie dei soggetti, non i soggetti. Questa approssimazione italiana, che nel mondo della filatelia internazionale, che stiamo frequentando in relazione alla stesura e edizione dell’imminente monografia Fotografia nei francobolli, è più una eccezione che la regola, non è un momento sociale e di costume a sé stante, ma rispecchia la superficialità verso la quale siamo stati indotti ad andare da decenni di malcostume nazionale (e non ci interessa individuare eventuali colpevoli: ci basta essere involontarie vittime). Quindi, non solleviamo la questione a tutela della Fotografia, come però anche facciamo, ma -come sempre- da qui avviamo s-punti di partenza, che ci consentano di capire per migliorare la nostra esistenza e, a diretta conseguenza, l’Esistenza nel proprio complesso. Sì, la Fotografia è stata mal trattata, ma non è questo che conta, quanto il fatto che tutti noi siamo stati mal trattati. Dunque, invertendo il senso di marcia, l’osservazione ci serva per agire nel nostro e con il nostro in senso diverso/contrario, dando a ciascuno per i propri meriti, riconoscendo la differenza tra realtà e fotografia della realtà, attribuendo merito e valore a coloro i quali (fotografi) sanno raccontare per farci capire. Perché qui sta il senso di tanto nostro vivere, in questa epoca nella quale l’immagine (anche fotografica) ha rivelato l’esistenza di mondi geograficamente, logisticamente e temporalmente distanti da ciascuno di noi. Se dal Novecento possiamo pensare in termini di documentazioni visive, lo dobbiamo anche, cioè soprattutto, a una identificata qualità di interpreti che sanno raggiungere sia il nostro cuore sia la nostra mente. In rappresentanza di tutti, Gian Paolo Barbieri e Giovanni Gastel, nel proprio ambito della fotografia di moda (in allungo sulla monografia Illustration Now! Fashion): su questo numero, rispettivamente da pagina trentadue e quarantadue. ❖
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Ricordo
Di Maurizio Rebuzzini e Rinaldo Citterio
A
L’AMICO ENRICO
Al giorno d’oggi, si fa anche così (lo riconosciamo con amarezza e rimpianto di altre cortesie, altre educazioni, altra generosità). Se cercate “Enrico Giovenzana” attraverso i diffusi motori di ricerca, in Rete trovate generiche informazioni sulla sua professione in fotografia, sulle monografie che gli hanno riservato convincenti collane, a partire, magari, dal terzo fascicolo della serie Foto Magazine Tecnica e immagini dei grandi fotografi, pubblicato con la direzione di Edo Prando, nella seconda metà degli anni Novanta. Dopo di che, complici stravolgimenti esistenziali che ne hanno abbattuto lo spirito, soprattutto ma non soltanto, sulla figura di Enrico Giovenzana è calato l’oblio. Tanto che la sua scomparsa, lo scorso gennaio, è stata sostanzialmente ignorata. Ribadiamo: se cercate attraverso i motori di ricerca, la Rete vi racconta soltanto frammenti di passato, spesso di passato remoto. Personalmente, anch’io, Maurizio Rebuzzini, ho saputo per caso della sua morte, tra un tramezzino e un aperitivo, in una occasione professionale che avrei anche potuto disertare, oppure raggiungere in altro momento: se così fosse stato, non ne avrei saputo nulla. Poco passaparola, emozioni limitate e contenute, rare comunicazioni, partecipazioni modeste, commozioni discrete (nella quantità, non nei sentimenti). Sì, lo so bene, da tempo Enrico Giovenzana si era ritirato da qualsivoglia passerella pubblica, per coltivare in privato e in solitudine (volontaria? indotta?) i propri dolori e i propri tormenti. Sì, lo so bene, anch’io non l’ho più cercato; oggi, potrei nobilitarmi, affermando di aver rispettato la sua discrezione e il suo abbandono; invece, conosco bene la realtà, e non posso che confessare una colpevole disattenzione (minimizziamola così). L’ultima volta che l’ho incontrato, ormai una decina di anni fa, fu sostanzialmente per caso, nell’ufficio di Giorgio Bossi, a propria volta scomparso di lì a qualche settimana, dove lui si era recato per condividere la
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passione per la musica classica. Sotto il braccio, aveva una pila di long playing, in vinile, perfettamente tenuti, e camminava accompagnandosi con un bastone. Sono sincero, non lo riconobbi, perché era già allora un’ombra impallidita e rinunciataria di quello che fu nelle sue luminose stagioni fotografiche. Quindi, in giorni prossimi, in redazione, è venuto Rinaldo Citterio, che segue le nostre pagine, che fu vicino a Enrico Giovenzana quando collaborarono a progetti scientifici comuni: ognuno per proprio compito e merito, uno biologo e l’altro fotografo. Anzi, proprio questa originaria comunione di intenti sta alla base della evoluzione professionale dello stesso Rinaldo Citterio, oggi valente biologo-fotografo. In una dedica autografa alla monografia appena ricordata, Enrico Giovenzana gli attribuisce anche meriti sulla propria dimensione professionale, cresciuta nella collaborazione e amicizia comune. Allora: nell’intimità delle parole, mai vuote mai circostanziali, con Rinal-
Da Fotopratica, del settembre 1979 (o era ottobre?): intervista con Enrico Giovenzana, inserita in una serie di incontri con fotografi professionisti sull’ipotesi di Fotografare stanca?; ovverosia, La fotografia da mito a routine quotidiana. Cosa può ancora significare dopo anni di lavoro?... a domande, rispose.
do Citterio abbiamo ricordato rispettivi aneddoti. I suoi sono stati densi di osservazioni concrete e tangibili, fino al riconoscimento assoluto e inviolabile della personalità professionale di Enrico Giovenzana, indiscutibilmente il fotografo scientifico che ha trasformato la sola e obbligata documentazione tecnica, declinando al contempo un’estetica della visione e della composizione e della raffigurazione fotografica che non si esaurisce nell’assolvimento del compito assegnato, ma approda a qualcosa che vale ed emoziona anche per se stesso, per la propria suadente rappresentazione. I miei ricordi sono stati e sono ancora meno profondi -lo riconosco-, e si focalizzano su una stagione durante la quale reciproche serenità esistenziali ci hanno consentito di inframmezzare le giornate professionali anche con attestazioni di simpatia in andata-e-ritorno: non entro nel merito, ma per molto tempo Enrico Giovenzana fu una delle vittime delle mie improbabili telefonate impossi-
bili, durante le quali lo provocavo sia in relazione alla sua omonimia con un celebre e celebrato negozio milanese di fotografia (di Peppino Giovenzana, prima in via Durini, quindi in largo Augusto, sempre in centro città), sia facendo leva sul suo orgoglio professionale, con giochi di parole e nonsense sulle dimensioni degli apparecchi a grande formato (ormai pensionati: chi può, cerchi di capire e sintonizzarsi) e sulle sue straordinarie capacità fotografiche. Tra tanto altro, tra tanti altri meriti, Enrico Giovenzana è stato uno dei principali interpreti e complici (in senso buono, oltre che positivo) di una stagione fotografica italiana, che personalmente giudichiamo ancora oggi con riserva, se non già proprio severità. Lui non ne ha avuta colpa alcuna, perché mise soltanto a disposizione la propria capacità fotografica, che, va ribadito ancora, trasformò la semplice fotografia scientifica, oggettiva e essenziale, in qualcosa di
più e -certamente- meglio: non infrastruttura al solo servizio, ma proprio Fotografia con proprio linguaggio espressivo e intensità di contenuti. Quindi, eccoci qui a registrare come e quanto Enrico Giovenzana fu per anni e anni uno dei perni della Sezione Culturale, che negli anni Settanta e Ottanta affiancò il salone merceologico Sicof, offrendogli una patente intellettuale, probabilmente istruttiva, altrettanto probabilmente formativa. E lo svolgimento delle esistenze successive (la sua in termini dolorosi e tormentati) rivela oggi che quel tempo fu soltanto lucrativo, non di amicizia e stima autentiche. Come altri, anche Enrico Giovenzana fu allora manovrato e manipolato per edificare altro palcoscenico, per indirizzare le luci della ribalta non sul soggetto esplicito e indicato (la Fotografia, qualsiasi cosa ciò possa significare), ma sull’appagamento dell’autoreferenzialità di colui il quale gestiva l’intero circo. Anche Enrico Giovenzana fu
MAURIZIO REBUZZINI
Ricordo Enrico Giovenzana: 28 gennaio 1944 14 gennaio 2014.
soltanto una marionetta nelle sue mani, utile per sollecitare meriti per interposta persona, per interposte capacità espressive e interpretative. Ma! Ma Enrico Giovenzana ne è uscito pulito e candido: la sua fotografia scientifica, la sua interpretazione della fotografia scientifica, la sua concezione della fotografia scientifica hanno fatto scuola, hanno avviato stagioni successive. Per esempio, stanno alla base di quanto intendiamo al giorno d’oggi per fotografia scientifica. In ripetizione d’obbligo, non sola documentazione impersonale e finalizzata, ma avvincente coinvolgimento espositivo, con relativa celebrazione (al giorno d’oggi) anche in prestigiosi concorsi internazionali, in autorevoli manifestazioni internazionali. Tanto ti era dovuto, Enrico, e a nessuno servono i rimpianti individuali, che rimangono nel cuore di coloro i quali (noi tra questi) non hanno saputo capire il tuo disagio, negandoti il conforto che avresti meritato. ❖
Notizie a cura di Antonio Bordoni
CHE BELLA LUCE! Le competenze e gli ambiti operativi del fotografo professionista sono sempre più diversificati, addirittura si trasformano, stagione dopo stagione. Oggigiorno, la committenza richiede non solo immagini fisse, ma anche filmati, soprattutto per la comunicazione attraverso la Rete. Quindi, sempre più spesso, oltre alle fotografie, il professionista è chiamato a realizzare contemporaneamente anche riprese video, sia in ambito commerciale sia nella fotografia diretta/privata (per esempio, ci si riferisca alla fotografia di matrimonio e, in estensione, di cerimonia). A conseguenza di questa rinnovata condizione, le esigenze di illuminazione sono diverse, e, grazie alla compattezza e ai bassi consumi che assicurano, gli illuminatori Led hanno offerto un contributo sostanzioso e sostanziale alla possibilità di realizzare buone immagini. In allungo, e nello specifico, eccoci!, con il nuovo modello Led 312 DS, la convincente gamma LS allarga ulteriormente la quantità/qualità dei modelli “prosumer”. Questo nuovo Led 312 DS deriva direttamente dalla precedente versione Led 312 AS, di consistente successo tecnico-commerciale, della quale ne ripropone tutte le caratteristiche che hanno contribuito all’affermazione della versatile dotazione: leggerezza, compattezza, potenza, flessibilità di impiego, affidabilità, facilità di uso e trasporto. Dopo di che, due consistenti novità lo distinguono dal “modello base” (in ripetizione, Led 312 AS), che resta in gamma: la presenza di un set di alette paraluce (removibili e ripiegabili) e l’inserimento, sul
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pannello posteriore dell’illuminatore, di un ampio display LCD retro-illuminato, che visualizza tutte le funzioni impostate. In conferma: dimensioni molto contenute (20x12x6cm) e peso altrettanto contenuto (390g, senza batterie). In ulteriore conferma: uno strumento perfetto per essere ancorato alla slitta della reflex e/o della telecamera (a corredo è fornita una testina a sfera che consente una collocazione veloce e sicura). Sempre in conferma: come certifica la sigla identificativa, l’LS Led 312 DS è equipaggiato con trecentododici elementi Led ad alto rendimento, che forniscono un’ottima erogazione luminosa (1530 lux a un metro). L’illuminatore è dotato di circuito di controllo “anti-flickering” e di dimmer per la regolazione della potenza (regolazione continua da dieci a cento percento). Inoltre, un secondo comando consente di variare in maniera continua la temperatura di colore della luce emessa, tra 3200 e 5600 Kelvin. Quindi, nessuna necessità di inserire filtri nel passaggio da riprese in luce naturale a riprese in interni, con qualsivoglia luce artificiale. Ecco che, anche grazie alla doppia alimentazione (due battery pack agli ioni di Litio e adattatore a rete, in corredo), il nuovo Led 312 DS è in grado di muoversi con agilità in tutti i contesti operativi, passando in un attimo dalle riprese “on location” al lavoro di studio. In dotazione anche: borsa-rigida per il trasporto, diffusore opalino e adattatore per la ricarica in auto degli accumulatori. (Rinowa, via di Vacciano 6f, 50012 Bagno a Ripoli FI; www.rinowa.it).
QUARTA GENERAZIONE. Il progetto Sigma dp approda alla sua quarta versione, per l’appunto Sigma dp1 Quattro, Dp2 Quattro e dp3 Quattro: compatte di alta qualità, che si basano sull’esclusivo sensore di acquisizione digitale diretta di immagini Foveon X3 Quattro, da trentanove Megapixel (tecnologia proprietaria). Esclusivo tra i sensori di immagi-
ne, il Foveon agisce come la tradizionale pellicola fotosensibile a colori a strati multipli, capace di registrare tutte le informazioni trasmesse dalla luce visibile. Insieme alla tecnologia Sigma di elaborazione delle immagini, ancora in tecnologia proprietaria, il sensore Foveon offre una risoluzione elevata, cromatismo fedele e una resa dell’immagine di alto e convincente realismo... ovverosia, propone e sottolinea una qualità di immagine incomparabile. In combinazione, il rinnovato motore di elaborazione delle immagini True III (Three-layer Responsive) è finalizzato alla gestione e elaborazione dei dati provenienti dal sensore Foveon X3 Quattro a immagine diretta. Un algoritmo proprietario rende possibile la lavorazione ultraveloce di un consistente volume di dati riguardanti l’immagine, senza alcun deterioramento del file finale. Ne conseguono fotografie ad alta definizione, ricche di dettagli e colori. Per la nuova serie Sigma dp1 Quattro, dp2 Quattro e dp3 Quattro sono stati ripensati e ridisegnati tutti i costituenti operativi, sia attivi sia passivi: sensore, motore, obiettivo e corpo
macchina. Mantenendo una alta qualità, il nuovo sensore a immagine diretta Foveon produce immagini ricche di colori e sfumature fedeli all’originale. Con ogni componente finalizzato alla massima qualità fotografica (formale), le compatte realizzano e consentono di realizzare immagini impeccabili. Grazie alla perfetta integrazione tra corpo macchina e obiettivo a focale fissa, la serie dp Quattro porta la combinazione sensore/obiettivo a risultati del più alto livello, con una elevata qualità di immagine. Oltre a prestazioni superiori, il corpo macchina offre una forma equilibrata e una corretta distribuzione dei pesi, che si combinano con un utilizzo operativamente intuitivo. Le specifiche di impiego permettono di concentrarsi completamente sulla fotografia e sfruttare il potenziale della macchina fotografica per produrre immagini di alto livello. Nelle situazioni della vita quotidiana, la serie Sigma dp Quattro consente di assolvere inaspettate opportunità, per sperimentare emozioni e godere della fotografia in modo nuovo e personalizzato. (M.Trading, via Cesare Pavese 31, 20090 Opera Zerbo MI; www.m-trading.it). ❖
Centosettantacinque anni di Antonio Bordoni
PROCESSI ORIGINARI
S
Subito specificato in Positivi unici e processi antichi nel ritratto fotografico, il testo di Dagherrotipia, Ambrotipia, Ferrotipia mantiene le promesse, e ci aggiunge anche qualcosa d’altro, tanto d’altro. Infatti, per quanto le intenzioni dichiarate siano assolte senza battere ciglio, i due attenti e autorevoli autori Gabriele Chiesa e Paolo Gosio finalizzano ogni riferimento e tutte le proprie osservazioni, analisi e riflessioni al ritratto fotografico -genere sempre imperante, avvicinato e frequentato sin dalle origini della fotografia-, per raccontare qualcosa di più: sia in misura quantitativa, sia in senso fotografico più generale. E, per quanto umanamente possibile, gli intraprendenti e convincenti autori evocano qualcosa di meglio... soprattutto: l’epopea pionieristica, che, all’indomani del 1839 di riferimento storico assoluto, si allargò a macchia d’olio, sollecitando sperimentazioni chimiche e applicazioni estetiche. Le prime, che diedero avvio a una ricerca sul campo ancora oggi in corsa, con tecnologie via via al passo con i propri tempi socioculturali, scandiscono i tempi di processi che stanno alla base della fotografia così come l’abbiamo sempre intesa, e ancora oggi intendiamo, seppure su base operativa che non dipende più da superfici e supporti fotosensibili. Le seconde, alle quali va tutta la nostra incondizionata ammirazione, hanno tracciato indelebili solchi per la fioritura di un linguaggio visivo che nel corso dei decenni, secoli ormai, ha impegnato straordinari interpreti e autori, altrettanti ne impegna ancora, altrettanti arriveranno nel futuro. Evviva. Analoga incondizionata ammirazione, non soltanto la nostra, va ai due autori di questo fantastico e imperdibile Dagherrotipia, Ambrotipia, Ferrotipia (sottotitolo Positivi unici e processi antichi nel ritratto fotografico), per la cui stesura Gabriele Chiesa e Paolo Gosio hanno allineato il cuore con le loro indubbie conoscenze e competenze sulla materia, che frequentano con quella passione e quell’entusiasmo che definisco-
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Dagherrotipia, Ambrotipia, Ferrotipia - Positivi unici e processi antichi nel ritratto fotografico, di Gabriele Chiesa e Paolo Gosio; YouCanPrint, 2013 (www.YouCanPrint.it); mille illustrazioni circa; 366 pagine 17,6x25cm; 48,00 euro.
no, caratterizzandoli addirittura, gli animi liberi e sognatori. Il loro testo colma un vuoto bibliografico che è sempre gravato sull’editoria fotografica italiana, che raramente si è occupata di Storia in cronaca, preferendole l’appagante e conveniente ripetizione di accadimenti noti, rimescolati da scritture precedenti, mai analizzati con documenti originari. Al contrario, tutto quanto raccontano e analizzano Gabriele Chiesa e
Lo specchio che ricorda. Espressione originaria per definire la dagherrotipia. Tutti i ritratti a positivo diretto non sono altro che specchi che catturano e cristallizzano l’immagine del soggetto che ha posato davanti all’obiettivo. Ambrotipo inglese; 1860 circa.
Paolo Gosio si basa soltanto su conoscenza diretta e pertinenti considerazioni di soggetti e applicazioni. Sanno esattamente ciò che dicono, e sanno dirlo con fascino e coinvolgimento, perché raccontano per esperienza diretta, non certo per sentito dire. Questa qualità è sostanziale. Ragion per cui, anche alla luce dell’attuale centosettantacinquesimo anniversario dall’origine della fotografia (1839-2014), che andrebbe celebrato a proposito (ma da chi, poi? dalle istituzioni italiane? dove sono? dove si nascondono, se ci sono?) Dagherrotipia, Ambrotipia, Ferrotipia - Positivi unici e processi antichi nel ritratto fotografico è un’edizione fondante, che dovrebbe fare parte del bagaglio culturale di tutti (di tutti!) coloro i quali si occupano di linguaggio visivo, indipendentemente dal fatto di frequentarne, eventualmente, anche l’attualità in termini di scatti fotografici. Nelle proprie note di presentazione, i due autori sono espliciti e diretti, oltre che franchi e schietti. È nostro dovere, oltre che onore, avvalerci delle loro parole, che sono sicuramente più palesi e sentite, oltre che più credibili, delle nostre. Anzitutto, come appena annotato, affermano che il libro è nato dalla loro passione per la storia degli antichi processi fotografici. Testuale: «Decenni di collezionismo e studio hanno condotto gli autori a raccogliere materiali, sperimentare tecniche e approfondire ricerche». Come ci piace pensarla, e dirla: teoriapratica-teoria, in un tragitto di andata-e-ritorno senza alcuna soluzione di continuità, costellato di richiami, riferimenti ed esemplificazione sostanziosamente esemplari. Come anticipato, e come espresso nel sottotitolo, l’ambito specifico è quello del ritratto fotografico, particolarmente quello femminile: «L’idea fondamentale è stata quella di riunire, per la prima volta, in una pubblicazione in italiano, una serie di informazioni che costituiscono un’autentica novità nel settore dalla storia dei processi fotografici che pos-
Centosettantacinque anni
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Centosettantacinque anni Brillante orotone in confezione “miniature doré”. L’illuminazione e il sapiente uso della sfocatura sottolineano la successione dei piani. (pagina accanto) Ritratto di bambina tinto a mano; ivorytype di James W. Williams, di Philadelphia. Lastra 16,5x21,5x0,4cm. (in basso, a sinistra) Ritratto femminile con gioielli dipinti in oro. Dagherrotipo da 1/6 di lastra, con coloritura manuale. Superbo dagherrotipo francese (1/4 di lastra), tinto con tecniche miste a più colori.
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sono essere estensivamente intesi come “a positivo unico”. Di molti, si è quasi persa la memoria. Di alcuni, è ancora nota la denominazione, ma talvolta ne è ignota la natura persino agli esperti e ai conservatori dei fondi fotografici». Ragion per cui, «Le possibilità di sopravvivenza di importanti testimonianze fotografiche antiche restano legate alla corretta identificazione dei materiali. Questo testo si propone di contribuire alla conoscenza di tecniche e procedimenti ormai dimenticati. Il libro presenta i processi fotografici attraverso i quali il ritratto, un privilegio riservato -fino al 1839ai ricchi e alla nobiltà, divenne testimonianza di vita, presenza e ricordo per la gente comune». Ecco qui, la concretezza: «Spiegazioni approfondite e schemi per il riconoscimento e la classificazione delle antiche immagini sono accompagnati da un corredo iconografico di oltre novecento immagini inedite, che provengono dai fondi collezionistici degli autori stessi. «Tra l’altro, il libro propone una tavola di identificazione e classifica-
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Centosettantacinque anni
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Centosettantacinque anni Dagli anni Settanta, Gabriele Chiesa si occupa di studi e ricerche nell’ambito della storia della fotografia. Si è laureato con una tesi su Uso e funzione sociale dell’album di famiglia. È autore di contributi relativi alle antiche tecniche fotografiche e alla valorizzazione delle immagini d’epoca. Fondatore di Gruppo Ricerca Immagine, è curatore culturale della Fondazione Negri.
Per decenni, Paolo Gosio ha svolto attività professionale in una casa editrice primaria, occupandosi degli aspetti della produzione dell’immagine, fino a divenire un competente cultore di storia e tecniche della stampa. Fornisce consulenze collezionistiche, perizie ed expertise. Si dedica al collezionismo e alla ricerca nel settore della ritrattistica fotografica. Il lieve effetto di solarizzazione sulle aree più brillanti della camiciola induce l’impressione di colore e di maggiore rilievo del tessuto. Dagherrotipo da 1/6 di lastra, con coloritura manuale.
(pagina accanto) Le ambrotipie di qualità e in buono stato di conservazione sono meno comuni delle dagherrotipie. Ambrotipo da 1/4 di lastra, colorato a mano (Bath, Somerset, Inghilterra).
Etichetta di Abraham Bogardus, 363 Broadway, New York City, uno dei primi studi fotografici in attività negli Stati Uniti, dal 1846.
zione dei marchi (hallmark) utilizzati dai produttori di lastre dagherrotipiche e dagli studi fotografici. I riquadri di presentazione europei e americani sono classificati per tipologia. Sezioni e disassemblati mostrano la successione degli elementi che compongono i montaggi d’epoca». Tra le proposte originali che il testo contiene, si registra soprattutto (ma non già soltanto): un sistema di classificazione dei profili di riquadri (mat) usati nelle confezioni in astuccio (case); un sistema di classificazione dei punzoni (hallmark) usati da produttori, importatori e dagherrotipisti; una tavola di identificazione degli hallmark, con centosessantasei punzoni (The American Daguerreotype, il testo che finora è stato adottato come riferimento dai curatori dei musei di tutto il mondo, ne riporta soltanto sessantatré); la proposta di nuovi specifici termini tecnici in lingua italiana, in relazioni a elementi di confezione e montaggio degli oggetti fotografici antichi; un approfondimento storico sui formati fotografici; numerosi esempi illustrati di disassemblaggio; nuovi dettagli di informazione storica finora mai raccolti e coordinati in italiano, oltre ad alcune novità assolute; criteri di riconoscimento e identificazione relativi a procedimenti fotografici antichi, finora soggetti a imbarazzanti ambiguità. Altre parole autorevoli, in aggiunta. Se ancora servissero testimonianze, ecco qui Michele Smargiassi, che il 12 giugno 2010, sulla scorta della prima edizione Web, ha scritto per Repubblica.it: «Monumentale, dettagliatissimo, sontuosamente illustrato, finalmente un trattato in italiano sugli antichi procedimenti fotografici: storia, tecnica e suggerimenti per recuperarli e farli rivivere. Per quanto ne sappiate, scoprirete che non ne sapete abbastanza. Chimica, fisica, artigianato, arte, pittura, fotografia, lacca, legno, vetro, tessuto, metallo: gli incunaboli della fotografia convocavano attorno alla propria fattura tutti i saperi più specializzati della loro epoca, erano oggetti complessi, stratificati, sofisticati, e lo erano in un modo materiale e tattile che la condizione digitale ci fa sottovalutare». 1839 (e dintorni) - 2014: centosettantacinque anni dopo. ❖
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Cinema
di Maurizio Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
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FAMIGLIA REALE
Film inglese (e statunitense e australiano) del 2008, La rapina perfetta è stato sceneggiato su una storia autentica (?), presa dallo svolgimento della vita e dall’intreccio di esistenze reali. Altrimenti tradotto, il titolo originario avrebbe potuto conservare l’umore e sapore natio: infatti, The Bank Job sottintende collegamenti e implicazioni che sono effettivamente materia dell’intricata vicenda (Job: non solo “lavoro”, ma soprattutto incarico, faccenda, impegno, mansione e via discorrendo). In ogni caso, e prima di affrontare la presenza della fotografia nel film, come siamo soliti fare in questo specifico ambito redazionale, liquidiamo subito i riferimenti ufficiali del film: regia di Roger Donaldson e ottima interpretazione del bravo Jason Statham, pertinentemente accompagnata dalle altre recitazioni che ruotano attorno a lui, che da qui è poi partito per Hollywood, dove è stato chiamato dall’industria del cinema a replicare le proprie doti d’attore, con contorno di competenza il arti marziali. Come specifica il titolo italiano, il film racconta la preparazione e attuazione di una rapina in banca, così come fu effettivamente compiuta, a Londra, l’11 settembre 1971 (prima che la data assumesse altre valenze: sanguinoso colpo di stato in Cile, nel 1973, e attentato aereo alle Torri Gemelle, di New York, nel 2001, indiscutibilmente l’Undici settembre per antonomasia). Soprattutto, ed è questo ciò che effettivamente conta, La rapina perfetta (The Bank Job) si allunga sui retroscena dell’accadimento, la cui regia è sempre stata tra le mani dei servizi segreti di Sua Maestà britannica, per quanto l’esecuzione sia stata delegata a una banda di malavitosi londinesi: nessuno dei quali è stato, però, arrestato o inquisito. Infatti, tutto è stato sapientemente e opportunamente insabbiato, perché l’intera vicenda non ha mai riguardato la rapina nel proprio complesso, con perdita dei propri averi da parte dei titolari delle cassette di sicurezza de-
predate, ma il recupero di fotografie imbarazzanti per la famiglia reale inglese. Eccoci qui, nel nostro territorio statutario e legittimo. Per quanto fantasiosa nella sua stesura e nel relativo svolgimento (fantasiosa fino a che punto?), la spumeggiante sceneggiatura di Dick Clement e Ian La Frenais dà una plausibile interpretazione dietro-le-quinte di questa controversa storia, per la quale -confermiamo- non ci sono stati strascichi e seguiti penali. Senza anticipare nulla, ma in forma di prologo, come nelle più giudiziose e accettabili spy stories, in anticipo sui titoli di testa del film, scorrono immagini che paiono avere nulla a che vedere con la vicenda vera e propria, ma che -in definitiva- ne rappresentano l’autentica chiave di lettura. Nell’estate 1970, su una spiaggia
Come vanta il richiamo sulla locandina del film, La rapina perfetta ( The Bank Job), di Roger Donaldson, del 2008, è stato sceneggiato su una storia autentica: effrazione notturna in banca, con saccheggio di cassette di sicurezza. Siccome non è mai stato incriminato nessuno, si ipotizza una regia dei servizi segreti, intenzionati a recuperare una serie di fotografie imbarazzanti della principessa Margareth, che dà l’avvio al film, prima dei titoli di testa.
caraibica, tre giovani si divertono come la loro spensieratezza concede e richiede. Una ragazza si intrattiene con due affascinanti giovanotti: prima, tra i flutti dell’oceano; quindi, tra le lenzuola di un letto matrimoniale. Furtivamente, si avvicina un altro giovane, che -armato di reflex Pentax Spotmatic (ai tempi, assai frequentata dal mondo fotografico inglese)- registra tutto con dovizia di particolari. Punto. Subito accantonato il prologo, la sceneggiatura racconta di una effrazione notturna in banca, a una serie di gonfie cassette di sicurezza, suggerita a un gruppo di giovani londinesi, che vivono ai margini della legalità, da una amica di vecchia data. I personaggi coinvolti sono all’oscuro di altre trame, ma noi pubblico sappiamo che la ragazza è sta-
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Cinema ta ingaggiata dai servizi segreti della Regina, desiderosi soltanto di recuperare il contenuto di una sola delle cassette di sicurezza conservate in banca, la numero centodiciotto, che -per l’appunto- contiene i negativi e copie delle fotografie che abbiamo visto scattare in prologo. Le fotografie sono imbarazzanti per la Corona, in quanto la giovane che si intrattiene in audaci capriole di sesso è nientemeno che la principessa Margareth, della famiglia reale. Ovviamente, come conviene a un racconto che intende essere avvincente, una serie di controversie scandisce tempi e ritmi della rapina in quanto tale e delle sue successioni, fino a quando, e finalmente, i negativi arrivano là dove i Servizi hanno piacere che rimangano, lontani da occhi indiscreti e da intenzioni ricattatorie nei confronti del Potere («È una scapestrata», dice della principessa Margareth l’attempato incaricato del ministero alla trattativa con i rapinatori). Questo incontro tra fotografia, che qui è solo e semplicemente infrastruttura narrativa, per quanto in qualche modo protagonista, e vita è un motivo ricorrente nella controversia esistenza del Regno Unito. Non è il caso evocare la criminalizzazione dei fotogiornalisti (loro malgrado) coinvolti nell’incidente mortale che, a Parigi, la notte del 31 agosto 1997, costò la vita a Lady D, moglie separata Per il matrimonio di Sarah Ferguson, duchessa di York, con il principe Andrew, l’Isola di Man emise un francobollo impaginato in forma giornalistica (23 luglio 1986). Successivamente, proprio il giornalismo e la fotografia di cronaca rosa scandirono tempi e modi di nuove intenzioni esistenziali della esuberante duchessa. Nell’agosto 1992, il settimanale popolare italiano Oggi pubblicò uno scoop, che presto fece il giro del mondo: intimità di coppia con il finanziere John Bryan, subito certificata come l’“Alluce di Sarah”, in decifrazione di un gesto palese ed evidente. Non siamo lontani dal pensare a una regia della stessa Sarah Ferguson alla ricerca di una scappatoia per fuggire dalla invadente famiglia reale inglese. Del resto, anche altre istantanee in fotocronaca hanno spesso rivelato la leggerezza della duchessa di York, così lontana da qualsivoglia rigore.
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Cinema «È una scapestrata», sussurra l’attempato incaricato del ministero alla trattativa con i rapinatori coinvolti nel “recupero” delle fotografie compromettenti della principessa Margareth. È la conclusione della lunga vicenda.
del principe Charles, erede al trono, e al suo compagno Dody Al-Fayed (e soprattutto, non è il caso di riprendere i lati oscuri della vicenda e alimentare le ipotesi di coinvolgimento, anche qui, dell’Intelligence). Però, non possiamo dimenticare come e quanto, nell’estate 1992, lo scandalo di Sarah Ferguson, duchessa di York, moglie del principe Andrew, fu edificato proprio su e con una consistente serie di fotografie che la ritraevano in atteggiamenti inequi-
vocabili con la fiamma del tempo, il finanziere John Bryan. In generale, nelle fotografie in riva al mare, Sarah era vestita di soli sandali ai piedi; in particolare, un’intimità di coppia, con lui che bacia un dito del piede di lei, fu appellato come l’“Alluce di Sarah” (e forse e magari si trattava di un altro dito del piede... ma “alluce” è foneticamente bello e accattivante). Rimbalzate sui settimanali scandalistici e popolari di tutta Europa, dopo lo scoop dell’italiano Oggi (nu-
(pagina accanto) Quando si rendono conto di essere stati manipolati, i rapinatori si spaventano: «Questi non sono semplici sbirri... fanno cose che la polizia non fa».
mero 36, in pieno agosto), le fotografie di quella liason consentirono a Sarah di liberarsi della famiglia reale, uscendone con convenienza economica. Tanto che, a posteriori (ma già fu ventilato in cronaca), non è improprio pensare a una sua regia: infatti, siamo sinceri e onesti, se qualcuno non vuole essere colto in fallo (è il caso!)... nessun fotogiornalista è in grado di superare le sue barriere. Dopo di che, e a conclusione, circa, potremmo esprimere perplessità sulla furente sessualità accreditata Sarah Ferguson, della quale si raccontano favole, che avrebbe mietuto vittime illustri, alla quale si attribuisce anche un incontro con tre sceicchi, che avrebbero pagato trecentomila sterline per la sua intimità. Non lo facciamo, ma, a completamento, illustriamo con fotocronache che rivelano quantomeno atteggiamenti lontani dal rigore della famiglia reale. Così... a integrazione e in alleggerimento giornalistico. ❖
di Angelo Galantini
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rima di arrivare alle lavorazioni vere e proprie, prima di approdare alla passerella pubblica, per il solito in sontuose sfilate, sempre più sfarzose, sempre più acclamate ed elogiate, anche dalla cultura popolare (da ridere?), la moda inizia con un’idea. La prima visualizzazione di un abito, qualsiasi questo sia, è una illustrazione realizzata a mano, magari anche solo delineata da pochi tratti essenziali. In questo, il progetto della moda non differisce da qualsivoglia altro programma, altra pianificazione. Soltanto... l’illustrazione della moda non si esaurisce con le fasi esecutive successive, ma ne fa parte integrante, e continua a esistere di vita propria, con un arco vitale autonomo ed esaltante. Ne è riprova che per decenni le più illustri testate di settore, quelle che tracciano linee conduttrici, han-
Subito detto. Personalmente e individualmente siamo lontani dal mondo della moda, che osserviamo soltanto da debita distanza. Però, con irrinunciabile onestà intellettuale, indispensabile compagna di vita e mestiere, non possiamo non riconoscere l’autorevolezza e la competenza e, perché no?, l’amore, quando li incontriamo. La monografia Illustration Now! Fashion presenta un inedito punto di vista sulla moda, che ha arricchito il nostro bagaglio (fardello?), dischiudendoci la porta di un mondo del quale sapevamo poco. In precedenza
PROGETTI
DI MODA
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Katarzyna Bogucka: Senza titolo, 2011; M.O.D.A., K. wie ak, Wydawnictwo Dwie Siostry; digitale.
(pagina accanto) Tanya Ling: Chloé, Primavera/Estate 2013; dalla serie Ling’s International Ready-to-Wear; acrilico e inchiostro su carta.
(doppia pagina precedente) Alexandra Compain-Tissier: Bill Cunningham, 2011; Les Inrocks Magazine; acquerello. Gi Myao: The Way We Wore, 2010; The Washington Post; gouache su carta.
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no fatto tesoro e ragione di esistere di queste illustrazioni, da non molto tempo (tutto è relativo, è scontato) sostituite dalla fotografia. Spesso... affiancate dalla fotografia. In questo senso, l’edizione della recente monografia esplicita, Illustration Now! Fashion, a cura di Julius Wiedemann, pubblicata dal solito e incrollabile Taschen Verlag, di Colonia, è avvincente, oltre che intrigante. Ci sono tanti motivi per avvicinare e apprezzare questa edizione, alcuni spontanei, altri individuali. Al solito, con ordine. Anzitutto, onore e merito al curatore e all’editore, che hanno realizzato un’opera di pregio e prestigio (e anche questa attenzione bibliografica ha un proprio merito) che dà legittimo e straordinario merito ai singoli autori, ai singoli illustratori, certificati e individuati in anticipo rispetto i richiami agli stilisti di riferimento, qui infrastruttura necessaria, e poco più che sufficiente. In questo senso, come riflettiamo altrove, su questo stesso numero, con una osservazione riportata da pagina otto, va certificato che, più
e meglio di altri soggetti (in genere tutti quelli verso i quali la fotografia rivolge le proprie attenzioni caratteristiche e distintive), la moda dipende assolutamente, necessariamente e pienamente, non soltanto intensamente, dalla fotografia. Infatti, (qui) in ripetizione e sottolineatura d’obbligo, nessuno, proprio nessuno, ha mai visto gli abiti dei quali si parla e favoleggia: casomai, tutti, proprio tutti, hanno visto, hanno potuto vedere... le fotografie degli abiti. In conseguenza diretta è la capacità interpretativa dei vari autori, dei fotografi -guidata dalla loro percettibilità e etica- che ha tracciato le linee narrative della storia quotidiana della moda, che in alcuni casi si è proiettata nella Storia, quantomeno del costume, ma anche della società nel proprio insieme. In allineamento d’obbligo è l’illustrazione della moda, sia in anticipo progettuale, sia in racconto/certificazione/testimonianza/documentazione successiva, che svolge e ha svolto lo stesso ruolo e incarico: doverosa, a questo punto, la certificazione e sottolineatura degli autori.
Lisa Billvik: Senza titolo, 2011; Catwalk Studio; matita.
Gladys Perint Palmer: Alexandre Vauthier, Autunno/Inverno 2011-2012 (Haute Couture); inchiostro e gouache.
Fredrik Tjernstrรถm: Oscar Jacobson #2, 2012; art direction Magnus Lรถwenhielm; inchiostro e gouache su carta colorata.
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Illustration Now! Fashion, a cura di Julius Wiedemann; introduzione di Steven Heller; con un saggio storico di Adelheid Rasche; Taschen Verlag, 2013 (distribuzione: Inter Logos, strada Curtatona 5/2, Località Fossalta, 41126 Modena; www.libri.it); edizione multilingua italiano, spagnolo e portoghese; 400 pagine 21,5x27,4cm, cartonato con sovraccoperta; 39,99 euro.
Ancora -e qui la fotografia non ha modo di competere, perché per propria natura si esprime in altro modo e con altro linguaggio (proprio!)-, l’illustrazione della moda, il tratto a mano approda a una raffigurazione che ha del magico e portentoso: escludendo qualsivoglia richiamo al reale (o al presunto tale, comunque sia così percepito dal pubblico: che, per l’appunto, assegna anche questo ruolo alla fotografia), dischiude le porte di mondi fantastici, all’interno dei quali ciascun osservatore trova (o può trovare) conforto e sollievo individuale. Sì, ogni abito inizia con un disegno, con un tratto a matita (o penna). Ma non è tutto, ma non è solo questo: l’illustrazione è parte integrante della visualizzazione della moda, non solo come punto di partenza di ogni progetto, ma anche in quanto mezzo di espressione autonomo ed efficace: anche per modelli e stampe, nonché per illustrazioni editoriali. Spesso, gli artisti disegnano direttamente in passerella; altre volte partecipano alle fasi progressive dell’ideazione e produzione dell’abito.
Lovisa Burfitt: Maquillage green, 2008; H&M, decorazione murale; inchiostro, penna d’oca, spazzola e matite colorate.
(accanto alla copertina di Illustration Now! Fashion) Illustrazione di Ruben Toledo: Spring Time Candy Land, 2012; Vogue Japan (da sinistra: Valentino, Miu Miu, Jil Sander, Balenciaga, Blumarine, Chanel); acquerello.
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Hiroshi Tanabe: Senza titolo, 2011; Shop Iza, website; matita e digitale.
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A cura del bravo e competente Julius Wiedemann (brasiliano, art editor di riviste digitali e di design a Tokyo, che per Taschen Verlag ha già curato le consistenti monografie a tema Illustration Now!, Advertising Now, Logo Design e Brand Identity Now! ), l’attuale Illustration Now! Fashion è una suggestiva e convincente passerella di novanta artisti di tutto il mondo, che agiscono nell’ambito della moda: tra i tanti, spiccano i nomi di Tanya Ling, Gladys Perint Palmer, Lisa Billvik, Katarzyna Bogucka, Erin Petson, Alexandra Compain-Tissier e Lovisa Burfitt. A completamento, le illustrazioni si alternano con commenti e riflessioni di personalità della moda di tutti i tempi: da Valentino, che si riferisce specificamente alla mediazione di Gladys Perint Palmer, a Christian Dior, Louis Vuitton e H&M. Quindi, un ulteriore valore che si assomma al tutto/tanto: dopo una specifica introduzione di Steven Heller, autorevole esperto di illustrazione, si trova un qualificato e competente saggio di Adelheid Rasche, storico dell’arte, che approfondisce una propria in-
fluente e prestigiosa esplorazione del soggetto. Retrosservando fino al Diciassettesimo secolo, viene delineata una guida temporale di illustrazione della moda, che approda ai nostri giorni. Da non perdere. Ancora, e poi basta (anche se altro ci sarebbe, anche se altro c’è). L’argomento non è affrontato con alcuno spirito autoreferenziale (che nei propri valori più negativi sta inquinando l’osservazione contemporanea della fotografia: va rilevato), ma contestualizzato in richiami sociali e di costume che non si possono ignorare, e neppure si devono (dovrebbero?) ignorare. In fondo, ma neppure troppo in fondo, per quanto personalmente e individualmente lontani da questo mondo, non possiamo certo ignorare la sua presenza e permanenza nel mondo contemporaneo: qualsiasi cosa ciò possa voler dire, qualsiasi opinione si possa avere al proposito. Sempre in fondo, e ancora neppure troppo in fondo, l’onestà intellettuale è una compagnia e frequentazione irrinunciabile, se effettivamente si vuole vedere, oltre il solo e semplice guardare. ❖
DALLA MODA
FELICITAS; VOGUE ITALIA (1983)
Attraversando i decenni, dagli anni Sessanta, la fotografia di moda di Gian Paolo Barbieri ha svolto con maestria il proprio compito istituzionale. Una volta esaurite le necessità d’obbligo, questa stessa Fotografia ha scandito modi e tempi di un altro racconto, di un’altra vicenda: quella della Vita e delle Esistenze. Da un punto di vista sostanzialmente indirizzato, appunto alla moda, e con l’accompagnamento di ricerche individuali di altro orientamento (etnico e antropologico, per semplificare), con la maestria delle sue composizioni e il fascino della sua luce, Gian Paolo Barbieri ha scritto capitoli fondanti della storia del nostro tempo. Missione della Fotografia è quella di spiegare l’Uomo all’Uomo
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SIMONETTA GIANFELICI
PER
VALENTINO (1983)
ALLA STORIA
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LILÒ; VOGUE ITALIA (1979)
di Maurizio Rebuzzini
DALMA; GIANFRANCO FERRÉ (1979)
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uando si compiono i destini, l’armonia che ne consegue è a dir poco confortevole. Affascinato dal cinema, dei suoi anni di maturità alla vita, Gian Paolo Barbieri ha realizzato e frequentato la fotografia di moda arricchendo il suo linguaggio espressivo dell’intensità dei propri progetti, composti con incoraggiante perizia e straordinaria maestria: inquadrature e luci dalle quali trarre lezione, delle quali fare prezioso tesoro. Dati i tempi, ma anche i modi (va sottolineato), la fotografia di Gian Paolo Barbieri è nata e cresciuta in momenti di alta moda, definiti da abiti attraenti, espressione di un clima di eleganza che ha caratterizzato un’epoca di chiarezza assolutamente lontana dall’approssimazione (e confusione) oggi imperante e sovrastante. Non si tratta affatto di giudicare quel mondo e quell’epoca, soprattutto non è il caso di farlo con punti di vista attuali. Eccezionale cantore di un mondo, quello della moda che si proietta sulla socialità tutta, fino ad aver firmato la copertina del primo numero di Vogue Italia (intenso ritratto di Benedetta Barzini), Gian Paolo Barbieri ha interpretato il proprio ruolo con leggiadria, oltre che capacità. Riprendiamo dallo Sguardo su, di Pino Bertelli, che abbiamo pubblicato nel luglio 2011: «Come la poesia immaginifica di John Keats, la fotografia di verità spirituale di Gian Paolo Barbieri contiene una dolcezza sconosciuta a chi della fotografia fa merce soltanto. Gian Paolo Barbieri ama il principio di bellezza in tutte le cose, e le sue immagini contengono la gentilezza degli angeli ribelli. La sua poetica della grazia avversa il pittoresco e costruisce, sotto un certo taglio, anche ereticale (del non convenzionale galleristico o dell’avanguardia del cattivo edonismo), la rivincita del bello sul crepuscolo del mondano. Ciò che vi è di più arcaico nella fotografia è la bellezza, vale a dire la più vitale visione politica dell’esistenza».
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DONYALE LUNA PER CASALINO; VOGUE ITALIA (1966)
EMILIO PUCCI (1974) COPPOLA E TOPPO; VOGUE ITALIA (1969) COLLANA DI
VALENTINO, PER
IVANA BASTIANELLO ANN ANDERSEN; VOGUE ITALIA (1979)
VIVIENNE WESTWOOD, LONDRA (1998)
Ancora da e con Pino Bertelli: «Il senso del sublime della fotografia di Gian Paolo Barbieri è “cosa” per coloro che lo capiscono. Volteggia sul princìpio di affinità elettive e a vedere bene non tiene molto di conto gli incensamenti che la cultura consumerista veicola nelle griffe di “sarti di successo” (Armani, Versace, Dolce & Gabbana, Valentino), che concepiscono la fotografia come prolungamento della merce. «Nulla è al di sopra, nulla è al di sotto del sublime egualitario dell’arte autentica. Non è vero che tutto è possibile col consenso dell’altro. In margine alle istituzioni e fuori dalle convenienze resta l’arte della capacità di differire e fare del piacere e della cultura di sé il princìpio spirituale di ogni bellezza convulsiva. In ogni forma espressiva, il sublime raggiunge la grandezza universale nella rinuncia alle connivenze collettive. Il sublime estetico/etico di Gian Paolo Barbieri è un lavoro del fare-anima che espelle l’entusiasmo degli stolti e si attesta nell’inguaribile malinconia che abita le grandi opere d’arte, sempre». E qui sta il senso di un’esistenza compiuta, di una professione svolta con un alto senso di etica (e morale). Del resto, come spesso annotiamo, e qui una volta di più, una ancora, mai una di troppo, dopo aver esaurito il proprio compito istituzionale, la Fotografia vale sempre e comunque per qualcosa che ciascuno di noi trova in se stesso. Non è fondamentale che una Fotografia riveli l’intensità del soggetto (anche se questo avviene), quanto è basilare e sostanziale (essenziale?) che sveli l’anima dell’autore. La moda di Gian Paolo Barbieri compone i tratti dell’aspetto ufficiale ed evidente della sua professione, per la quale, se servissero conferme tangibili, a tutti accessibili, testimoniano anche due raccolte di pregio e sostanza: Artificial, del 1982, e il volume-catalogo della mostra allestita nelle sontuose sale del Palazzo Reale, di Milano, nell’autunno 2007, propriamente intitolato Gian Paolo Barbieri, pubblicato da Federico Motta Editore [FOTOgraphia, settembre 2007].
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GIANFRANCO FERRÈ (1993)
SIMONETTA GIANFELICI
PER
VALENTINO; VOGUE ITALIA (1983)
JILL KELLINGTON, ABITO MISSONI; VOGUE FRANCIA (PORT SUDAN, 1974) VALENTINO; VOGUE ITALIA (ATENE, 1983) PER
NEITH HUNTER FRANCIA (PARIGI, 1977) VOGUE
YVES SAINT LAURENT; PER
SUE SMITHERS
Da qui, hanno, quindi, preso avvio le sue ricerche etniche e antropologiche, definiamole così (certamente in semplificazione), raccolte in affascinanti e suggestive monografie: Silent Portraits (1984), Tahiti Tattoos (1989 e 1998 [FOTOgraphia, aprile 2011]), Madagascar (1997), Equator (1999), Exotic Nudes (2003) e Body Haiku (2007). Ancora da qui, e in simultanea, è maturata la fantastica serie delle Dark Memories, delle quali abbiamo riferito in due occasioni oggettivamente recenti, lo scorso giugno e novembre 2013, in entrambi i casi con lancio in copertina: invito a riprendere e considerare di nuovo quelle fotografie e, perché no?, i rispettivi testi di presentazione e commento. Conclusione affidata a Pino Bertelli: «La fotografia di seduzione di Gian Paolo Barbieri contiene l’innocenza del divenire e l’eresia di tutte le inquisizioni. [...] Il linguaggio fotografico di Gian Paolo Barbieri incanta e inaugura stagioni di memorie dimenticate, che coincidono con le tracce in amore del poeta che inventa la malinconia per non morire di verità (storiche) insopportabili. [...] Di più. Sotto molti aspetti, la geografia iconografica di Gian Paolo Barbieri inventa l’intimità del mondo, supera gli schemi di una sessualità schiavizzata nei codici del “buon costume” e inchiodata alle bassure delle morali dominanti. Il suo fotografare sfugge ai segni del tempo che consuma e la sostanza della propria unicità piange lacrime di dolcezze sconosciute. È un’archeologia espressiva che riprende la cosmogonia magica dei sentimenti struccati e si compenetra nella filosofia androgina/antropologica del grandi valori. Ciascuno è il pane che mangia e l’amore che vive». Al mondo, soprattutto oggi, tanti fotografano... giorno dopo giorno. Per certi versi, lo fanno tutti. Molti fotografi professionisti raccontano la Vita e le Esistenze. Qualcuno di questi scrive anche capitoli fondanti della Storia, in assoluto, e di quella della Fotografia. Gian Paolo Barbieri è tra questi. ❖
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dal 1962
Mamiya Press
www.newoldcamera.com
Scrivere di fotografia, sulla fotografia, è un esercizio individuale. In questo, non si discosta da alcun altro indirizzo di vita, che ciascuno interpreta sulla scorta delle proprie esperienze e nella proiezione delle proprie visioni e intenzioni. Scrivere di fotografia, sulla fotografia, non può mai prescindere dall’osservazione educata individualmente, e maturata in riflessioni, rilievi, esplorazioni. Chi scrive ha già guardato le immagini, in questo caso di Giovanni Gastel: le conosce e offre una chiave di lettura a chi ancora le deve guardare, al quale consiglia un tempo doppio... almeno. Dopo una prima presa di contatto generale e complessiva, ognuno ritorni a capo, per consentire alle emozioni individuali di affiorare in superficie e accomodarsi nella mente e nel cuore di Maurizio Rebuzzini
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DELLA MODA
VANITY FAIR (2010) COLORI DELLA NOTTE;
L’ESSENZA
I
COME THELMA E LOUISE; VANITY FAIR (2008)
C
ome tutti i fotografi, autori e artisti che palesano la propria espressività da centosettantacinque anni esatti (da quel fatidico 1839, nel quale è cominciato tutto), anche Giovanni Gastel è un inguaribile bugiardo. Lo è perché e per quanto controlla, fino a dominarlo perfettamente, il proprio linguaggio. Così come un bravo narratore mente per far comprendere il proprio racconto, omettendo qui, sottolineando là, soprassedendo a destra e allungandosi a sinistra, anche il bravo fotografo mente per lo stesso, identico motivo: per far comprendere il proprio racconto. Per cui, anche conoscendo i soggetti della moda fotografati da Giovanni Gastel, che compongono i tratti del suo colto narrare per immagini, non si percepiranno le stesse emozioni che, invece!, trasmettono le sue immagini. La realtà è una cosa, la sua rappresentazione un’altra. Ciò detto, è necessario rilevare e rivelare la prepotente personalità linguistica della fotografia, che è raffigurativa per necessità (per forza di cose, deve rivolgersi a un soggetto effettivo, naturale o costruito che sia), e rappresentativa per scelta e volontà: non necessariamente ciò che mostra è quello che vediamo, dobbiamo vedere, possiamo comprendere. Dove sta la bugia di Giovanni Gastel? Paradossalmente, nella sua sincerità di intenti ed esecuzione. Offre una sua elegante e convincente lettura e interpretazione di soggetti, di più soggetti, non importa, affinché ciascuno di noi, alla presenza delle sue fotografie, possa esprimere pensieri suoi autonomi, partire per viaggi individuali. (continua a pagina 49)
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ISPIRAZIONE GAUGUIN; VANITY FAIR (2010)
DESTINAZIONE PARADISO; VANITY FAIR (2010)
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DESTINAZIONE PARADISO; VANITY FAIR (2010)
MARGARYTA; AMICA (2012)
ISPIRAZIONE GAUGUIN; VANITY FAIR (2010)
VESTITI USCIAMO; AMICA (2012)
COME THELMA E LOUISE; VANITY FAIR (2008) VANITY FAIR (2010) COLORI DELLA NOTTE;
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(continua da pagina 42) Ancora, dove sta, allora, la sua bugia ? Nel raccontare con cognizione di causa, affinché nessun osservatore possa disperdersi in una confusa selva di sollecitazioni casuali, ma imbocchi con decisione il proprio cammino, che può coincidere con le sue intenzioni d’autore, ma anche distaccarsene. Mettiamola così: con la qualità dei contenuti delle sue fotografie, Giovanni Gastel scandisce i tempi del racconto e del coinvolgimento conseguente. Non si perde per strada, non racconta nulla di superfluo, per sottolineare quanto è effettivamente necessario: visioni nelle quali il riposo che l’osservazione ne guadagna non è valore da sottovalutare, che impongono la riflessione, inducono in tentazione. Da non credere, soprattutto ai nostri giorni: inducono alla tentazione di pensare, ciascuno per sé, ma anche in condivisione con altri.
Soltanto, non si cerchi sintonia con l’autore: si è già espresso con le proprie immagini, e nulla altro ha da aggiungere, null’altro ha da addizionare. Quindi, ognuno parta da queste fotografie, da queste folgorazioni, da questi squarci nel buio per comporre i tratti del proprio percorso, che sarà avvincente per almeno due motivi: perché proprio, anzitutto, e perché sollecitato da una fotografia di alto profilo. La fotografia è magica e magia giusto per questo. Non necessariamente racconta dei propri soggetti, spesso invitati a richiamare altre intimità che non la loro apparenza a tutti manifesta. Ma rivela sempre qualcosa dell’autore, che coinvolge tutti nella sua visione. Alla fin fine, è esattamente questo il senso di ogni fotografia. Se la osservate attentamente, e vi allineate con il suo spirito, vi può rivelare molto su voi stessi. ❖
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Come da programma statutario, continua il cammino fotografico del Mast (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia), di Bologna, che si propone come osservatorio autorevole e privilegiato della cultura sociale dell’Industria: maiuscola volontaria, oltre che consapevole. La sua inaugurazione, lo scorso ottobre, fu accompagnata da un consistente programma di mostre fotografiche distribuite in città : con qualche distinguo (non qui, non ora), Foto/Industria, al ritmo di diciassette personali/collettive che hanno appagato e gratificato il cuore di chi -speriamo, noi tra questi- apprezza la bella fotografia, senza soluzione di continuità tra tempo, stili e applicazioni. Ora, il proposito espositivo si allunga sulla collettiva I mondi industriali 014, in cartellone fino a fine marzo
FOTO/IN
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Walter Vogel: Ruhrgebiet, 1965-2006 (Area Industriale della Ruhr, 1965-2006).
(pagina accanto) Lewis Baltz: 89-91 Sites of Technology, 1989-1991 (Siti Tecnologici, 1989-1991).
NDUSTRIA
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(pagina accanto) Naoya Hatakeyama: Maquettes/Light, 1995 (Plastici/Luce, 1995).
Robert Doisneau: Atelier de montage des moteurs, 1938; from Doisneau – Renault, at the Grande Halle de la Villette, Paris (Officina Assemblaggio Motori, 1938; dalla serie Doisneau – Renault, alla Grande Halle de la Villette, Parigi).
Lewis Wickes Hine: Young spinner at looms, 1908 (Giovane filatrice al telaio, 1908).
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di Antonio Bordoni
A
vviata lo scorso ventitré gennaio, in ricercata concomitanza con ArteFiera, l’autorevole rassegna bolognese di arte contemporanea, I mondi industriali 014 è una collettiva fotografica che conferma l’indirizzo espositivo e propositivo della nuova e avveniristica Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia (Mast), del capoluogo emiliano (abbiamo riferito dell’inaugurazione, in FOTOgraphia, di dicembre). Al pari e in prosecuzione ideale delle rassegne che, in città, accompagnarono il debutto
dell’indirizzo, anche l’attuale rassegna, soprattutto l’attuale rassegna, sottolinea il piglio e valore della fotografia industriale, nel proprio attraversamento dei decenni e dei relativi richiami/riferimenti socioculturali. Tutte le immagini presenti e presentate fanno parte della Collezione Mast su Industria e Lavoro. Di fatto, nei sontuosi locali di via Speranza 4042, di Bologna (www.mast.org), è stato allestito un consistente tragitto che ripercorre trasversalmente l’intera Storia della fotografia (ma anche del mondo), che nel corso di un secolo e mezzo (abbondante) ha tracciato linee conduttrici e sollecitato riflessioni. È proprio questo uno dei do-
COLLEZIONE FOTOGRAFICA MAST SU INDUSTRIA E LAVORO
La collettiva I mondi industriali 014, allestita nelle sontuose sale espositive della nuova e avveniristica Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia (Mast), di Bologna (qui sopra, l’ingresso con un’opera di Mark di Suvero), è composta da sessantotto opere fotografiche di venticinque autori, tra storici e contemporanei, le cui immagini fanno parte della Collezione Mast su Industria e Lavoro. In rigoroso alfabetico, la raccolta va da Berenice Abbott a Ludwig Windstosser. Qui a seguire, i venticinque presenti nell’attuale rassegna sono specificati con un asterisco conclusivo della loro segnalazione e la quantità di opere selezionate per l’occasione. Berenice Abbott (Usa; 1898-1991), Max Wladimirowitsch Alpert (Ucraina; 1899-1980), Erich Angenendt (Germania; 1894-1962), Lewis Baltz (Usa; 1945) * 1, Bernd e Hilla Becher (Germania; 1931-2007 e 1934), Margaret Bourke-White (Usa; 1904-1971) * 1, Bill Brandt (Germania-Inghilterra; 1904-1983) * 1, Joachim Brohm (Germania; 1955) * 12, Beate Clodt von Jürgensburg (Estonia; 1910) * 1, Stéphane Couturier (Francia; 1957) * 2, Dawid (Björn Dawidsson; Svezia; 1949) * 5, Robert Doisneau (Francia, 1912-1994) * 3, Walker Evans (Usa; 1903-1975) * 3, Hans Finsler (Svizzera; 1891-1972) * 1, Vincent Fournier (Francia; 1970), Robert Frank (Svizzera, Usa; 1924), Peter Fraser (Inghilterra; 1953), Lee Friedlander (Usa; 1934) * 6, Emmet Gowin (Usa; 1941), Harry Gruyaert (Belgio; 1941) * 3, Guido Guidi (Italia; 1941), Andreas Gursky (Germania; 1955) * 1, Heinz Hajek-Halke (1898-1983), Naoya Hatakeyama (Giappone; 1958) * 8, Lewis Wickes Hine (Usa; 1874-1940) * 3, Peter Keetman (Germania; 1916-2005) * 3,
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André Kertész (Ungheria, Usa; 1894-1985), Torkel Korling (Svezia; 1903-1998), Erich Lessing (Austria; 1923), El Lissitzky (Lazar’ Markovič Lisickij; Russia, Unione Sovietica; 1890-1941), Werner Mantz (Germania; 1901-1983) * 1, Doug Menuez (Usa; 1957) * 2, Simon Norfolk (Inghilterra; 1963) * 1, Timm Rautert (Germania; 1941) * 3, Albert Renger-Patzsch (Germania; 1897-1966) * 2, René-Jacques (René Giton; Cambogia, Francia; 1908-2003) Arkadij Samojlovic Sajchet (Russia, Unione Sovietica; 1898-1959), Toni Schneiders (Germania; 1920-2006) * 1, Toshio Shibata (Giappone; 1949) * 1, W. Eugene Smith (Usa; 1918-1978) * 1, Henrik Spohler (Germania; 1965), Thomas Struth (Germania; 1954), Hisoshi Sugimoto (Giappone; 1948), Jakob Tuggener (Svizzera; 1904-1988), Walter Vogel (Germania; 1932) * 2, Ludwig Windstosser (Germania; 1921-1983).
veri della Fotografia, una delle sue funzioni. Con e da Edward Steichen, nel 1969, in occasione del suo novantesimo compleanno: «Missione della fotografia è spiegare l’uomo all’uomo e ogni uomo a se stesso». Da cui e per cui, attraverso l’interpretazione mirata e colta e educata di straordinari autori, che si sono avvicendati nei decenni, la fotografia industriale ha rivelato, svelandoli, i termini di mondi sconosciuti alla visione diretta dei più. Come sottolineiamo in altre occasioni, su questo stesso numero, con altri riferimenti e richiami, la nostra epoca della comunicazione visiva permette a tutti di conoscere, anche senza contatti
diretti. Certo... conoscere per interposta persona (il fotografo autore), conoscere le fotografie di, non la realtà che queste stesse fotografie abilmente sintetizzano e rappresentano con l’immediatezza del proprio esclusivo linguaggio. Ma, comunque, conoscere... per ragionare, pensare e, forse e perfino, comprendere. L’attuale selezione (casellario, addirittura!) I mondi industriali 014, al Mast di Bologna, fino a fine marzo, è sintomatica, oltre che consistentemente rappresentativa di questo stesso linguaggio espressivo, declinato in maniere autonome e coincidenti, ma anche divergenti, a volte, da avvincenti e convincenti autori, la cui so-
Stéphane Couturier: Melting Power Alstom # 2, 2010 (Unità di fusione Alstom # 2, 2010).
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Toni Schneiders: Schienenspinne, Hamburg - Altona, 1950 (Binari a ragnatela, Altona - Amburgo, 1950).
Doug Menuez: From Fearless Genius, Exercise Break at Intel Fab 11X, Rio Rancho, New Mexico, 1998 (dalla serie Fearless Genius, Pausa esercizio presso Intel Fab 11X, Rio Rancho, New Mexico, 1998).
la elencazione alfabetica scandisce tempi e termini di un percorso di Storia della fotografia. È indispensabile ricordarli tutti venticinque, in rappresentanza del mondo occidentale, tra Europa e Stati Uniti (con qualcosa di Oriente), e di un secolo abbondante di Fotografia: riquadro pubblicato a pagina 54, esteso ai quarantasei autori presenti nella Collezione, ricordati nel catalogo che accompagna l’attuale rassegna. In allestimento, sessantotto fotografie. Operativamente, come appena annotato, l’esposizione è stata selezionata da opere della Collezione di Fotografia Industriale della Fondazione Mast, curata da Urs Stahel. Il suo allesti-
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mento scenico è stato suddiviso in cinque sezioni tematiche: il ritratto dei lavoratori, l’immagine del paesaggio industriale, il teatro della produzione industriale, la visibilità rispetto all’invisibilità di oggi e, a concludere l’itinerario, ciò di cui nessun processo produttivo industriale può fare a meno... energia, trasporti e comunicazioni, l’odierno flusso di dati. ❖ I mondi industriali 014, dalla Collezione di Fotografia Industriale della Fondazione Mast, a cura di Urs Stahel. Mast (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia), via Speranza 40-42, 40133 Bologna; www.mast.org. Fino al 30 marzo; martedì-sabato, 10,00-19,00. ❯ Catalogo di 48 pagine 17x17cm, con sedici illustrazioni.
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Casellari di Angelo Galantini
CENTO E MILLEUNO
S
Spesso, su queste pagine, da queste pagine, in queste pagine, contravveniamo a un obbligo che sarebbe statutario dell’editoria di settore (fotografico), che infrangiamo bellamente e consapevolmente. Ovvero -come rivelano anche interventi redazionali distanti dalla fotografia canonica, ma a nostro giudizio vicini alla sua frequentazione (per esempio, le presentazioni di storie a fumetti o di storiografie degli stessi fumetti, come è recentemente accaduto, lo scorso febbraio)-, non intendiamo la Fotografia soltanto come sovrastruttura dominante e assoluta, estranea a ogni altra influenza, ma la consideriamo spesso per la propria dote di infrastruttura di altri racconti (da-a / a-da, in avvincente tragitto di andata-e-ritorno). Per questo, e in questo senso, spesso sottolineiamo la condizione essenziale ed esistenziale di come e quanto la fotografia influisce (abbia influito) sulla nostra vita. Dunque, non fotografia asettica, ma fotografia di racconto, testimonianza, certificazione, accompagnamento, attestato... e altro tanto ancora. Osservando l’editoria illustrata, entro la quale si esprimono e manifestano le monografie propriamente fotografiche (tante ne segnaliamo dalle pagine di FOTOgraphia), siamo andati oltre i titoli specifici, fino a individuare una tematica assolutamente affascinante, oltre che efficace (purtroppo, soltanto in lingua inglese). Ci riferiamo, indirizzandoci, ai titoli che definiamo con convinzione “casellari”. Tanti ne furono pubblicati alla fine del 1999, per sintetizzare l’epocale conclusione di decennio/secolo/millennio: e di quei titoli abbiamo riferito nell’edizione speciale del dicembre 1999, per l’appunto a nostra volta rivolta al passaggio dal Novecento al Duemila, dal Ventesimo al Ventunesimo secolo. Quindi, in aggiunta, non mancano titoli che evocano le fotografie che hanno cambiato la storia: vero niente! Fatti salvi soltanto tre casi (Napalm girl, di Nick Ut [la più recente evoca-
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100 Days in Photographs; a cura di Nick Yapp; National Geographic Books, in collaborazione con Getty Images, 2007; 320 pagine 22,5x28cm.
Da 100 Days in Photographs: 17 aprile 1912; dopo il disastro, la notizia del Titanic sui quotidiani inglesi. 1001 Days That Shaped the World; a cura di Peter Furtado; Barron’s, 2008; 960 pagine 15,5x21cm.
Casellari
Da 100 Days in Photographs: madre con figlio sulle rovine di Hiroshima, dopo la bomba atomica del 6 agosto 1945.
ALFRED EISENSTAEDT (LIFE )
Da 100 Days in Photographs: 26 aprile 1937; bombardamento nazista su Guernica, in Spagna.
(pagina accanto) Da 100 Days in Photographs: Mao Zedong e Zhou Enlai, durante la Lunga Marcia (dal 16 ottobre 1934).
zione in FOTOgraphia, dello scorso novembre 2012, nell’ambito del contenitore della presenza Leica alla Photokina 2012], l’esecuzione sommaria del presunto Vietcong, di Eddie Adams, e la Terra che sorge dalla Luna, osservata e fotografata dall’equipaggio di Apollo 8, la prima missione spaziale ad aver orbitato attorno al nostro satellite), nessuna fotografia ha cambiato la storia... tutt’al più ci sono fotografie di avvenimenti, eventi e accadimenti che hanno cambiato la storia: e sono appunto quelle riportate nelle raccolte specificate. Ancora, e avanti, la tematica dei “casellari” che prendiamo in considerazione oggi è elaborata attorno il fascino di cifre evidenti: cento e milleuno (100 e 1001). Personalmente, al cento, preferiamo il novantanove: da cui, oltre che per gli indiscutibili contenuti, abbiamo apprezzato la monografia intitolata Ninety Nine Years Leica [FOTOgraphia, marzo 2013] e la quantità degli Esercizi di stile, di Raymond Queneau, composti da una stessa trama raccontata in novantanove modi, ognuno in un diverso sti(continua a pagina 62)
Da 100 Days in Photographs: 23 ottobre 1956; cittadini ungheresi bruciano il ritratto di Stalin.
Da 100 Days in Photographs: 22 febbraio 1997; la pecora Dolly, primo animale clonato.
Da 100 Days in Photographs: Ing Pech, sopravvissuto allo sterminio del regime di Pol Pot, che dal 1976 al 1979 ha ucciso due milioni di cambogiani, su una popolazione di quattordici milioni, posa davanti alle terribili fototessere dei condannati a morte.
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Casellari
Da History’s Greatest Events: prima edizione della Bibbia di Gutenberg, del 1455. Da History’s Greatest Events: acquedotto a Roma, edificato sotto l’impero di Caligola, nel 38. Da History’s Greatest Events: visualizzazione delle prestazioni fotografiche dello studio di William Henry Fox Talbot, a Reading, in Inghilterra, nel 1846.
Da History’s Greatest Events: copia del 1215 della Magna Carta. Da History’s Greatest Events: dagherrotipo di Samuel Morse, l’inventore del telegrafo e pioniere statunitense della dagherrotipia.
(in alto, a sinistra) History’s Greatest Events; a cura di Kelly Knauer; Time Books, 2010; 154 pagine 27x30cm.
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Casellari Da History’s Greatest Events: quartiere operaio a Glasgow, in Scozia, nel 1868. Da History’s Greatest Events: 1919; diciotto anni dopo l’invenzione di Guglielmo Marconi, bambini inglesi affascinati dalla radiotrasmissione.
THOMAS ANNAN
Da History’s Greatest Events: 5 maggio 1920; comizio di Lenin, sulla piazza Sverdlov, a Mosca. Fotografia controversa ( FOTOgraphia, maggio 2011): sulla destra, Leon Trotsky, poi eliminato nelle copie distribuite dopo la sua emarginazione. Da History’s Greatest Events: coda per il cibo, durante la Depressione statunitense dei primi anni Trenta. Da History’s Greatest Events: 7 dicembre 1941; attacco aereo giapponese a Pearl Harbor. Da History’s Greatest Events: 6 agosto 1945; atomica su Hiroshima. Da History’s Greatest Events: James Watson e Francis Crick con il modello tridimensionale del DNA, annunciato il 28 febbraio 1953. Da History’s Greatest Events: Auguste Marie Louis Nicolas e Louis Jean Lumière, gli inventori del cinema e del processo fotografico a colori Autochrome.
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Casellari
(continua da pagina 59) le narrativo (prima edizione Gallimard, del 1947; seconda edizione aggiornata, nel 1999; edizione Einaudi, del 1983, nella traduzione di Umberto Eco, con testo originale a fronte). Però, nonostante la nostra preferenza, che conta nulla, e malgrado questa, la cifra tonda di cento (100) e il palindromo milleuno (1001) sono adeguatamente accattivanti. Al solito, con ordine.
100 Days in Photographs, a cura di Nick Yapp, pubblicato nel 2007 da National Geographic Books, in collaborazione con Getty Images, specifica un corretto sottotitolo: Pivotal Events That Changed the World (Avvenimenti significativi che hanno cambiato il mondo). Come appena annotato, la descrizione è adeguata: non fotografie che hanno cambiato il mondo, ma fotografie di avvenimenti che hanno influito sulla Storia (320 pagine 22,5x28cm, cartonato con sovraccoperta). Per quanto la visione sia -come spesso è- americanocentrica, non mancano accadimenti internazionali, influenti sull’intero pianeta: dal fascismo e nazismo europei, che hanno portato alla Seconda guerra mondiale, alla rivoluzione degli anni Sessanta, in una certa misura innescata dalla musica pop (a partire dai Beatles), alle guerre contemporanee, ai disastri naturali. La presentazione è cronologica: dal Primo maggio 1851, di inaugurazione della grande esposizione universale al Crystal Palace, di Londra, edificato per l’occasione sotto la monarchia della regina Vittoria, al 29 aprile 2005,
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GJON MILI / LIFE
GIORNO DOPO GIORNO
Da 100 People Who Changed the World: Pablo Picasso fotografato a Vallauris, in Francia, nel 1949.
100 People Who Changed the World; Life Books, 2010; 128 pagine 21,5x27,5cm.
del devastante uragano Katrina. Altrettanto cronologica, e ci mancherebbe altro, è la narrazione di 1001 Days That Shaped the World (Milleuno giorni che hanno modellato/plasmato/configurato il mondo), a cura di Peter Furtado: volume di aspetto fisico più consistente del precedente, per quanto di dimensioni inferiori delle sue novecentosessanta pagine (960, 15,5x21cm, cartonato con sovraccoperta; Barron’s, 2008). In questo caso, ancora ri-
spetto l’edizione precedente, si dà più peso e importanza alle parole, con accompagnamento di immagini riprodotte in dimensioni modeste: non soltanto fotografiche, considerata la retrovisione remota. La partenza è veramente lontana e remota, agli albori dell’universo: quasi quattordici miliardi di anni fa (13.700.000.000), con l’ipotizzato Big Bang dal quale sarebbe nato, per l’appunto, l’universo. La cadenza è però rapida, e subito si passa
Casellari alla storia/preistoria della Terra, così come supponiamo si sia svolta: l’era dei grandi sauri (sessantacinque milioni di anni fa) e, subito dopo le civiltà antiche, dal 4004 avanti Cristo, per concludere, passo dopo passo, al 12 maggio 2008, con il terremoto che ha devastato la provincia di Sichuan, in Cina, causando almeno sessantottomila vittime (in questa edizione, la fotografia è datata alla sua presentazione del 19 agosto 1839, successiva al precedente annuncio del sette gennaio). Analogamente storico, fin dalla preistoria, e ben illustrato, considerate le confortevoli dimensioni delle centocinquantaquattro pagine 27x30cm (cartonato, con sovraccoperta), History’s Greatest Events, a cura di Kelly Knauer, fa adeguato uso della fotografia, anche in relazione alle intenzioni in sottotitolo 100 Turning Points That Changed the World: An Illustrated Journey (Cento momenti di svolta che hanno cambiato il mondo: un viaggio illustrato). Pubblicato da Time Books, nel 2010, è meno americanocentrico di tanti altri casellari. Ovviamente, non può esserlo fino al 1492 di scoperta dell’America, ma poi, a seguire, è attento alle vicende complessive e significative del mondo (compresa l’invenzione della fotografia). Niente da obiettare, oltre il solito rispetto per le scelte della curatrice: come spesso annotiamo, nel caso di raccolte retrospettive, ognuno è meritevole per le valutazioni espresse, anche se possono divergere da quelle che personalmente avremmo compiuto. A ciascuno, la propria visione: sempre, onore e merito.
CREAZIONI E GENTE Ancora in edizione Time Books, 100 Ideas That Changed the World (Cento idee che hanno cambiato il mondo), a cura di Richard Lacayo, del 2010, osserva lo scorrere del Tempo attraverso l’espressione di pensieri (soprattutto), concetti e opinioni: autorevole e affascinante visione, in 128 pagine 20x27,5cm, cartonato con sovraccoperta. Le epoche della Storia sono divise in cinque capitoli consequenziali (traduciamo): Il mondo antico, dall’animismo, monoteismo e geometria (!); Il medio evo, fino al mistici-
1001 Inventions That Changed the World; a cura di Trevor Baylis; Barron’s, 2009; 960 pagine 15,5x21cm.
100 Ideas That Changed the World; a cura di Richard Lacayo; Time Books, 2010; 128 pagine 20x27,5cm.
Da 100 Ideas That Changed the World: blogosfera, visione straordinaria della tecnologia dei nostri giorni.
smo; Il Rinascimento, fino a Copernico (Nicolaus Copernicus); L’età dei lumi, dal metodo scientifico alla separazione stato-chiesa; e I tempi moderni, dal Romanticismo al World Wide Web (con la fotografia collocata e considerata al proprio tempo, nella prima metà dell’Ottocento). In un certo modo, questa visione si completa idealmente con un altro casellario: 1001 Inventions That Changed the World (Milleuno invenzioni che hanno cambiato il mondo), a cura di Trevor Baylis, pubblicato da Barron’s, nel 2009, che fa il paio con il già commentato 1001 Days That Shaped the World, del quale replica la forma (visto che, indiscutibilmente, si tratta di una collana): 960 pagine 15,5x21cm, cartonato con sovraccoperta. Ancora e anche qui l’apparato illustrativo è sostanzialmente contenuto (nelle dimensioni, non nella quantità), e l’excursus affonda le radici indietro nei millenni: si comincia con l’utensile di pietra (2.600.000 anni prima di Cristo) e si approda al Largo Collisore di Androni (Large Hadron Collider) del Cern, dove peraltro è nato anche il Web. Per finire, l’Uomo! La sua personalità, la sua influenza, la sua potenza, la sua autorità: 100 People Who Changed the World (Cento personaggi che hanno cambiato il mondo), a cura di Robert Sullivan, in edizione Life Books, del 2010. Ovviamente, un casellario di personaggi raffigurati in ritratto, dal 1839 in fotografia (tanti posati e qualche istantanea), in relazione a una visione che osserva a trecentosessanta gradi le vicende della vita: arte, musica, politica, filosofia, invenzione. Sia nel bene (dalla copertina, Gandhi, Nelson Mandela, i Beatles), come nel male (dalla copertina, Adolf Hitler). Naturalmente, la fotografia non è solo infrastruttura, ma anche argomento, con Joseph Nicéphore Niépce (1765-1833), considerato l’autentico pioniere della natura che si fa di sé medesima pittrice, ovverosia della fotografia. Mentre il precedente 1001 Inventions That Changed the World riferisce in termini ufficiali di annuncio e presentazione del dagherrotipo, nel 1839. Centosettantacinque anni fa, come stiamo sottolineando dallo scorso febbraio... e ancora faremo. ❖
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Sguardi su
di Pino Bertelli (Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 30 volte ottobre 2013)
ANTONIO BIASIUCCI
A
Attraverso la fotografia passa la cultura di un popolo e di una nazione. In generale, appena diventa merce, una fotografia cessa di essere bella. È considerato folle chi predilige Caravaggio o Bellocq alle pentole firmate Mulino bianco... darei tutte le patacche di Andy Warhol, in cambio di una fotografia di Diane Arbus. Motto di spirito: a cosa serve la fotografia? A niente, come la musica di Mozart! Del resto, Friedrich Nietzsche (dinamitardo di tutte le morali) aveva compreso che i soli filosofi da tenere in considerazione sono quelli che conoscono la strada e fanno piazza pulita di chiese, palazzi e tribunali; parole di Étienne de La Boétie gli fanno eco: «Siate decisi a non servire più, ed eccovi liberi». Dunque, la fotografia autentica respinge il letamaio della gloria, e ciò che non la uccide la rende viva.
SULLA FOTOGRAFIA DEL MAGICO La fotografia del magico, di Antonio Biasiucci, non ha niente a che vedere con le mistiche dell’arte fotografica deputata al facile consenso o successo da gallerie/musei del mondano... il fotografo del magico sa bene che il possesso e il profitto reprimono qualsiasi libertà creativa, e solo se si svincola da ogni utilitarismo può accedere alla conquista di un’umanità più libera, più amorosa e più umana. Il valore di un fotografo non sta nella verità che qualcuno possiede o presume di possedere, ma nella sincera fatica compiuta per raggiungerla. E non c’è chiesa o stato che possa sostituirsi alla ricerca della verità come forma etica, eversiva, ereticale della pratica del disinganno. Ecco cosa il fotografo napoletano scrive nel suo sito: «Antonio Biasiucci nasce a Dragoni (Caserta), nel 1961. I suoi primi interessi vanno alla fotografia an-
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tropologica e al mondo contadino campano, al quale dedica numerose ricerche. Si trasferisce a Napoli, nel 1980, dove comincia un lavoro sugli spazi delle periferie urbane. Nel 1984, inizia a collaborare con l’Osservatorio Vesuviano, svolgendo un ampio lavoro di documentazione sui vulcani attivi in Italia. Nel 1987, conosce Antonio Neiwiller, attore e regista di teatro: con
centi- in un viaggio dentro gli elementi primari dell’esistenza e della memoria personale. «Molte sue opere fanno parte della collezione permanente di musei e istituzioni, tra cui: Centre Méditerranéen de la Photographie, di Bastia (Francia), Bibliothèque Nationale de France, di Parigi, Departamento de Información y Documentación de la Cultura Audiovisual, Benemé-
«L’ultima cosa che mi preoccupi è di essere coerente con me stesso. L’amore, è sempre davanti di voi. Amate! Nessuna verità merita di rimanere esemplare. Il meraviglioso è sempre bello, anzi, solo il meraviglioso è bello. La bellezza sarà convulsiva o non sarà. La letteratura è una delle strade più tristi che portano dappertutto. Le soluzioni immaginarie sono il vivere e il cessare di vivere. L’esistenza è altrove» André Breton lui nasce un rapporto di collaborazione che durerà fino al 1993, anno della sua scomparsa. Nel 1992, vince ad Arles il premio European Kodak Panorama. Fin dagli inizi della sua attività, lavora a una ricerca che si radica nei temi della cultura del Sud e dell’Italia, e si trasforma -in anni re-
rita Universidad Autónoma, di Puebla, in Messico, Centre de la Photographie, di Ginevra, in Svizzera, Galerie municipale du Château-d’Eau, di Tolosa, in Francia, Maison Européenne de la Photographie, di Parigi, Fondazione Banca del Gottardo, di Lugano, in Svizzera, Musée de
l’Elysée, di Losanna, in Svizzera, Galleria Civica di Modena, Fondazione Banco di Napoli, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo per l’Arte Contemporanea, di Guarene, in provincia di Cuneo, Galerie Freihausgasse Stadt Villach, in Austria, Calcografia di Stato, Roma, PAN Palazzo delle Arti, di Napoli, Collezione Banca UniCredit. «Ha ottenuto importanti riconoscimenti: tra i quali, per il volume Res - Lo stato delle cose, pubblicato nel 2004, il Kraszna-Krausz Photography Book Award, assegnato a Londra, nel marzo 2005, e il Premio Marco Bastianelli, conferitogli a Roma, nell’aprile 2005». Sbrigate le faccende biografiche è bene passare a parlare di fotografia.
SULLA FOTOGRAFIA DEL MERAVIGLIOSO
Molti dei lavori di Antonio Biasiucci confermano il concetto del meraviglioso caro ai surrealisti (che non riguarda solo la poetica surrealista nel cinema, ma coinvolge l’insieme delle arti figurative): «Meraviglioso è ciò che viene alla luce nei sogni, nelle ossessioni, nelle preoccupazioni, nell’amore, nel caso; nelle allucinazioni, nei presunti disordini, negli oziosi vagabondaggi, nella poesia, nel soprannaturale e nell’insolito, nell’empirico, nella superrealtà» (Maurice Nadau: Storia e antologia del surrealismo; Mondadori, 1972). Con la grazia e la leggerezza comunicativa che gli è solita, Antonio Biasiucci si è fatto carico di una ricerca espressiva che parte dai processi del sogno (Freud non c’entra nulla, semmai è agli archetipi di Jung che guarda), per esprimere un’interpretazione della realtà celata nel desiderio di comunicare fuori da ciò che corre o si consuma nei dispositivi fotografici... è un viaggio nel tempo interiore, che s’in-
Sguardi su vola verso la liberazione del sentire e contrasta tutte le convenzioni che incatenano la fotografia sul sagrato dell’imbecillità. Dunque, la fotografia del magico, di Antonio Biasiucci, è una figurazione estetica dell’anomalia che riguarda il desiderio di libertà dell’artista, legato alla liberazione materiale di ciò che lo circonda; l’immaginale del fotografo si avventa contro secoli di pregiudizi, per irrompere nella storia e trasformare, agire e rovesciare le sottomissioni alle religioni, alle politiche e alle menzogne del calcolo predominante: qui la realtà entra nel sogno e il sogno si rovescia nella realtà in una fusione prospettica, nella quale significante e significato s’intrecciano e fanno dell’opera fotografica un inno all’amore. La fotografia del meraviglioso, di Antonio Biasiucci, si dipana in una catenaria di immagini, anche surreali, che percorrono tutta la sua fotovita. Ad entrare nel profondo di queste foto scritture, vediamo che il filo conduttore non è solo la sperimentazione di nuovi linguaggi del fotografare, ma anche -e soprattutto- la ridefinizione di un medesimo progetto: quello di collegare una poetica tragica alla quotidianità dell’indicibile. Le metafore, le visioni e i cicli affabulativi indicano un diverso modo di entrare nel sacro e nel magico... sono motivi eidetici che fanno riflettere sulla natura dell’esistere... non c’è avventura priva di sostanza, e la distruzione dei simulacri si porta dietro anche quella dei valori e morali imposti. Fotografare è una cosa, sapere come e perché fotografare è un’altra. La raffinatezza sta nell’osare l’inattualità, esponendosi all’esilio o al disprezzo del non conformarsi ai costumi di un tempo che ha fatto della bruttezza il calco di una cultura. A partire da Vapori (19821987), passando per Magma (1998), Madri (1995-2002), Pani (2012) e, a gatto selvaggio, Ex voto, Res, Vacche, Corpus, Il filo di Arianna, Stazioni, Dove non è mai sera, Antonio Bia-
siucci costruisce una cartografia di corpi, segni e metonimie che vanno a incrociarsi a una visione dell’autentico che non si concilia con l’illusione della ricchezza, né con la prostituzione della sapienza... la commozione, la bellezza, la fraternità, anche, sembrano fuoriuscire dalle sue immagini nude, severe e spoglie, che tuttavia conservano le concatenazioni della realtà col principio di vita vera. Certo, una certa inclinazione all’estetica “pura”, non esente da vizi accademici, sborda qualche volta nella compiacenza (pensiamo a Res, Vacche e Corpus, forse anche a Madri e Pani ), ma l’iconografia di Ex Voto, Il filo di Arianna, Stazioni, Vapori, Dove non è mai sera resta a testimoniare il talento dell’artista, costruttore di situazioni passionali nelle quali la bellezza si fa anima del mondo e diventa storia. Gli Ex Voto non hanno nulla a che fare con l’impostura delle religioni, anche pagane; semmai, figurano -e forse incrinano- la coscienza regredita di antiche mitologie... lasciano presagire che al fondo dell’estasi individuale e collettiva sopravvive la notte più buia e profonda dell’umanità. Come è noto, il fanatismo si può materializzare ovunque, ma si forma specialmente nei credi religiosi (James Hillman: L’anima nel mondo. Conversazione con Silvia Ronchey; Rizzoli, 1999). Le ideologie della genuflessione e della sopraffazione vengono dopo. Le religioni e le ideologie (come sosteneva Jung) non sono altro che contenitori predisposti alla follia umana (Carl Gustav Jung: Il libro rosso. Liber novus; Bollati Boringhieri, 2010). Gli Ex Voto di Antonio Biasiucci sono graffiti che denudano -non so quanto questo sia voluto- i falsi credi, e forniscono una valenza critica contro la perpetuazione delle lacrime. Queste icone di speranza sparse contro la rassegnazione inducono ad esaltare la forza dell’istante e a viverlo pienamente. È il magico che illumina il fuoco
delle idee. Attinge nell’inconscio dell’individuo al quale si rivolge, entra in relazione con l’inconscio del poeta e rifiuta il cattivo impiego dell’empatia e della tradizione atavica. Non si tratta di espiare, ma di vivere e rivendicare il diritto allo stupore. Gli Ex Voto di Antonio Biasiucci vanno oltre l’adorazione votiva, e attraverso l’espansione di sé infrangono ciò che li ostacola. Il mistero della vita regredisce man mano che progredisce la coscienza o la meraviglia in quel magico che diventa mondo. Il filo di Arianna accorpa una povertà estrema ai lasciti di una memoria sociale spesso devastata dai mandarini del totalitarismo. Muri, effigi, lenzuola, sedie, specchi, fiori esausti, vasini di bambini posti sotto il loro ritratto restituiscono il delizioso e drammatico passaggio della vita sulla morte, e il contenuto si fa messaggio di amori mai dimenticati... il rimosso torna sempre nel pianto delle nostre disaffezioni e mostra ogni volta il graffio di qualcosa che non è mai finito. Qui, l’inesistente è più importante del reale, e il fantasma è l’irruzione di un’immagine che aspira a riparare i torti, le cadute e le ingiustizie subìte: la forza dello sguardo trasfigura le apparenze in realtà immaginali, e la resurrezione del giusto aderisce al riscatto che lo rende vivo. Il fotografo rifiuta gli anestetici e i calmanti della derisione e della benevolenza, e rigetta la condizione di schiavi degli esseri umani. La fotografia, come la franchezza, non s’impara a scuola, ma nella strada. Stazioni è un’antologia di corpi, gesti, cani arrabbiati lasciati alla deriva della propria vivenza. Sono frammenti di napoletanità che rimandano a culture millenarie, e riportano alla superficie il pensiero plurale, la condizione umana e una filosofia dell’esistenza che abita un universo comune. La costruzione in bianconero mira all’essenziale, e le inquadrature forti, decise ed epiche (anche!) raccontano scheg-
ge di vita che s’accordano con il romanzo architetturale nel quale il fotografo le colloca. Pescatori, sposi, ragazzi di porto, baci rubati (la citazione del film di François Truffaut è voluta), solitudini e turbolenze giovanili, abbracci di sposi debordano in una tensione estetica di notevole spessore, e sembrano parlare a nome di un’intera popolazione. La figura bianca che corre verso il fondo di una strada scura, deserta, contiene la malinconia, il naufragio e forse l’annunciazione di un’amara felicità, e assegna alla compassione una metafisica dell’amore. Il fotografo si fa portatore di istanze sociali mai troppo gridate, evita la rappresentazione e la disperanza di una realtà della politica sovente collusa con la camorra, ed elabora un rizomario della sofferenza che di per sé è accusatorio, quanto esplicita la disaffezione contro i catechismi della soggezione. Per Antonio Biasiucci gioia e destino non significano la stessa cosa, e i morsi tra cani in lotta tra loro dicono che c’è bisogno di un taglio fotografico diverso per ripristinare il senso e l’importanza della propria vita di fronte alla ferocia della realtà imposta. Si tratta di ritrovare il viatico verso la bellezza, per non morire nelle abitudini e nell’indifferenza. I politici, i religiosi, i militari e i finanzieri sono dei traditori, perché allevano le miserie della Terra e solo l’amore per il prossimo riscatta e sovverte la rapacità di ogni potere. Vapori è una catenaria di immagini sulla morte del maiale. Non è cosa nuova [soprattutto se ci richiamiamo alle stagioni della fotografia non professionale italiana, soprattutto emiliana, soprattutto inquadrata negli schemi ufficiali/ufficiosi dei circoli fotografici formali e catechizzati]... ma Antonio Biasiucci s’accosta alla fine dell’animale come fosse un’esecuzione capitale. Fumi, ombre e coltelli in controluce si alzano crudi sulla carcassa bianca, e la svuotano di ogni cosa. La severità dello
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Sguardi su sguardo s’incrocia all’audacia delle riprese, e cancella ogni sorta di naturalismo e documentarismo fotografico. Ciò che si vede è il rituale della morte, dell’uccisione e dell’indifeso sacrificato alla ragione del più armato (e non importa se l’intenzionalità del fotografo è stata altra). La scrittura fotografica non è volutamente espressa con eccessiva veridicità, né si staglia con troppa abbondanza di particolari cruenti: il corpo dell’animale diventa il corpo dell’uomo vessato, soggetto a costrizioni e angherie... suggerisce, sollecita ed evoca pratiche violente, e si prende la facoltà di entrare in contatto con l’asprezza dell’ordinario. L’oscuro e l’indistinto, il mosso e l’incerto penetrano nei soggetti fotografati fino a toccarne l’essenza. La pietà laica, come la coscienza insorta, non la si riconosce nel fotografo dell’oggettività, ma in quello soggettivo, e solo lo sperimentatore -ostile a qualunque dipendenza- produce risultati eccellenti contro le tenebre dell’ordine imperante. Siamo coscienti che la nostra interpretazione di questa fotosequenza è fortemente discriminatoria e personale. Tuttavia, con l’insolenza libertaria che ci è propria, ce ne freghiamo altamente se quanto abbiamo analizzato è condiviso o meno, e siccome pensiamo che ogni negazione è feconda per l’emancipazione dello spirito, ci adoperiamo a conquistarla e farla nostra: una volta acquisita, la rovesciamo e ne facciamo una realtà come un’altra o polvere di stelle. Dove non è mai sera è un poema figurativo quantomai straordinario. I corpi neri degli uomini, i cani giocosi, la nebbia che avvolge i monti (graffiati in bianconero contro cieli cupi) sono messaggeri di epoche antiche, e i loro sguardi, posture e piste immaginarie contengono -credo- l’alternativa nomade (Bruce Chatwin: L’alternativa nomade. Lettere 1948-1989; Adelphi, 2013) o -meglio ancora- lo spaccio della bestia trionfante,
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di Bruno, il nolano (Giordano Bruno: Spaccio della bestia trionfante; R. Carabba Editore, 2010). Qui l’abbiamo detta grossa... però, ad andare al fondo di questo fare-fotografia, non è impossibile incrociare un umanesimo male amato che guarda con diffidenza l’irreggimentazione della civiltà contemporanea. Questi uomini arroccati nei propri pastrani neri, appoggiati a bastoni (non importa se sono pastori, contadini o che altro), che fissano la macchina fotografica (o porgono le spalle) come fossero gli ultimi eredi o sopravvissuti di una predazione prolungata, ci ricordano che la civiltà è stata insediata a colpi di fucile e assolta dall’aspersorio, sempre. Sono portatori di fatiche inaudite e segreti di felicità che i civilizzati hanno perduto o mai conosciuto. Sotto un certo taglio, magari a una seconda decifrazione dell’immaginario fotografico di Antonio Biasiucci, la critica all’organizzazione spettacolare della società è salace. Le civiltà si distruggono da sé, a quanto ne sappiamo, il pensiero nomade non ne ha mai distrutta una, diceva. Si tratta di non confondere i nomadi con i barbari: la loro erranza ha sostenuto le comunità di mutuo appoggio, mentre la stanzialità della barbarie ha fondato le banche, gli eserciti, la politica e lo sterminio di massa. I nomadi hanno vissuto la vita che hanno immaginato, e il loro “sapere nulla” (senza conoscere Socrate) ha avanzato in direzione dei propri sogni. Il senso della fotografia per lo splendore che si rinnova a ogni aurora dei sentimenti struccati rifiuta la schiavitù della civiltà consumerista, e riconfigura l’umano alla semplicità di una società selvatica e meno ingiusta. La fotografia sarà convulsiva o non sarà... la fotografia è una delle arti più infami, quando è solo merce... la fotografia che vale è sempre altrove... la fotografia, quando è autentica, esprime i furori, le lacrime e il meraviglioso di un’epoca. ❖
Chi? Fujifilm X: sistema fotografico in pertinente equilibrio tra prestazioni tecniche di profilo alto e design ereditato dalla lunga e nobile storia evolutiva della tecnologia fotografica. New Old Camera: indirizzo privilegiato del commercio fotografico, sia in interpretazione storica-collezionistica-antiquaria, sia in personalità attuale (per quanto concentrata soprattutto su apparecchi fotografici di alta qualità). FOTOgraphia: proposta giornalistica con visioni trasversali della propria materia.
Cosa? NewOld, ovvero oggi (domani) e ieri. Fujifilm X-T1, con Mir-20, grandangolare estremo 20mm f/3,5 di produzione sovietica (dal 1972), tramite anello adattatore K e ulteriore raccordo alla vite 42x1, slitta flash doppia Voigtländer e flash Ferrania Microlampo alimentato a batteria (dal 1957), per bulbi FB 1b.
Come? Ancora NewOld, ovvero oggi (domani) e ieri. Fotografia di Angelo Galantini scattata con Fujifilm X-E1, montata sul corpo posteriore di una Sinar Norma 4x5 pollici (del 1955) tramite anello stringiobiettivo RBM, già BRM (Romualdo Brandazzi, di Milano; degli anni Trenta... Cinquanta), e anello adattatore Quenox Nikon, su colonna Fatif (anni Sessanta). Obiettivo Rodenstock Imagon 300mm H=5,8 (anni Quaranta), con selettore H 9,5-11,5 aperto.
Perché? Perché no?
La forma per il contenuto Combinazioni fantasiose di macchine fotografiche Fujifilm X, tra oggi (domani) e ieri, in doppia interpretazione NewOld, ideate e realizzate da
www.newoldcamera.com