FOTOgraphia 202 giugno 2014

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ANNO XXI - NUMERO 202 - GIUGNO 2014

Tipa Awards 2014 QUARANTA ECCELLENZE

Swpa 2014 COMUNQUE, FOTOGRAFIA

LEICA RITORNO A WETZLAR


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O T N E M A N O B B A N I O L SO

Tipa Awards 2014 QUARANTA ECCELLENZE Swpa 2014 COMUNQUE, FOTOGRAFIA

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ANNO XXI - NUMERO 202 - GIUGNO 2014

ANNO XXI - NUMERO 201 - MAGGIO 2014

I sogni di Walter Mitty ATTO D’AMORE PER LIFE Nikon Df e Fujifilm X-T1 OLTRE SE STESSE

ANNO XXI - NUMERO 200 - APRILE 2014

(trentadue visioni più una)

di Filippo Rebuzzini e Maurizio Rebuzzini Compilare questo coupon (anche in fotocopia), e inviarlo a: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano MI (02-66713604; graphia@tin.it)

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prima di cominciare LE SUE ESPERIENZE CON LEICA. Nel 2002, fu realizzata una avvincente campagna pubblicitaria Leica. Su fondo rigorosamente nero, The Craft of Photography sottolineò il sottile e delicato rapporto che lega, e collega, il fotografo ai propri strumenti. L’headline celebrò la Fotografia, prima ancora di riferirsi al prodotto, per quanto implicito (il sistema fotografico Leica del tempo: M7 e R8, in un rapporto cinque a uno). Nel proprio insieme, la campagna pubblicitaria rese merito soprattutto, e prima di tutto, al proprio mondo (fotografico), nel quale l’idea Leica si inserisce, e al quale la filosofia Leica offre preziosi strumenti per manifestarsi dovutamente. Davanti a tutto, il fotografo, che esprime la propria capacità di vedere e raccontare emozioni e sensazioni, usando strumenti messi a disposizione da analoghe e paritetiche capacità progettuali e costruttive. La linea che collega l’autore con i propri strumenti espressivi è continua, diretta e senza soluzione di continuità. Dai fotografi alla Leica, e ritorno. The Craft of Photography: “craft”, nel senso di arte, abilità, maestria o destrezza; ma anche utensile del mestiere artigianale, dell’arte manuale (non “tool”, strumento meccanico). Qualcosa di analogo sta per affacciarsi alla ribalta, ma non è il caso di anticipare nulla: non qui, e non ora, quantomeno. Invece, andiamo alle origini del fotografotestimonial, che nasce proprio con Leica.

Con la fotografia si può diventare Uomini e Donne migliori, e incamminarsi verso il raggiungimento di un mondo più giusto e più umano. Pino Bertelli; su questo numero, a pagina 64 Eccoci qui. Ancora una volta, dopo tante altre volte. Le fasi della vita sono implacabili e inesorabili: procedono senza chiederci il permesso. mFranti; su questo numero, a pagina 9 Leica produce apparecchi fotografici, per suo mandato esplicito e statutario. Ma non bisogna dimenticare, né trascurare, che -a propria voltale macchine fotografiche creano immagini. Karin Rehn-Kaufmann; su questo numero, a pagina 34 Numero conclusivo. Dedicato alle persone che lo hanno fatto. Life (cinematografico); su questo numero, a pagina 18 L’avventura più grande nella vita di ciascuno è quella di cambiare il proprio destino, guidandolo e indirizzandolo. Maurizio Rebuzzini; su questo numero, a pagina 19

Copertina Visione notturna della nuova sede produttiva e amministrativa Leica, in Leitz Park, a Wetzlar (fotografia di Michael Kisselbach). Il ritorno alla città di origine, dopo gli anni di Solms, è stato fatto coincidere con il centenario, conteggiato dal “prototipo” UR Leica, di Oskar Barnack. Ne riflettiamo da pagina 34

3 Fotografia nei francobolli Dalla compendiosa analisi Fotografia nei francobolli, di Maurizio Rebuzzini, in corso d’opera e imminente pubblicazione, dettaglio da un francobollo emesso da Costa d’Avorio, il 2 aprile 1983: serie di cinque valori illustrativi di palloni aerostatici. Tra i quali, Fujifilm

7 Editoriale Subito coinvolto nelle possibilità espressive proprie e caratteristiche dell’istantanea, con una macchina fotografica che sta comodamente in mano, ha tempi di scatto brevi e obiettivi intercambiabili luminosi (per il tempo), il tedesco Paul Wolff (1887-1951) fece della Leica il proprio strumento. Tanto che già nel 1934, quattro anni dopo la prima Leica a obiettivi intercambiabili e due dopo la configurazione con telemetro incorporato e accoppiato alla messa a fuoco dell’obiettivo, pubblicò una monografia dal titolo illuminante: Meine Erfahrengen mit der Leica (Le mie esperienza con la Leica).

Attento e capace fotogiornalista, Andrea Rocchelli è stato ucciso da un colpo di mortaio, lo scorso ventiquattro maggio, nei pressi di Sloviansk, in Ucraina, dove stava documentando la guerra locale. Morire per fotografare la storia: il prezzo è troppo caro

8 Arrivederci, Giovanni Una volta ancora, salutiamo un amico (fotografo) che ci ha lasciati prematuramente: Giovanni Cozzi

10 Una grande luce La versatile alimentazione a batteria consente al flash Profoto B1 di assolvere consistenti impieghi


GIUGNO 2014

RIFLESSIONI, OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA

12 Notizie Attrezzature, vicende e altre segnalazioni

Anno XXI - numero 202 - 6,50 euro DIRETTORE

RESPONSABILE

Maurizio Rebuzzini

14 Quanti tanti libri!

IMPAGINAZIONE

La selezione Gianni Berengo Gardin. Il libro dei libri si propone come autentico casellario di cinquanta anni di professione in fotografia: duecentocinquanta titoli

REDAZIONE

Maria Marasciuolo Antonio Bordoni Angelo Galantini

FOTOGRAFIE

18 Walter Mitty / 2 Torniamo al film I sogni segreti di Walter Mitty, dopo la sua presentazione, dello scorso maggio. Riveliamo la fantastica copertina del Numero conclusivo di Life (nella fantasia cinematografica). E altro ancora Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

Rouge

SEGRETERIA

Maddalena Fasoli

HANNO

COLLABORATO

Avvincente racconto a fumetti, con retrogusto fotografico: la vicenda di Astrid Kirchherr e Stu Sutcliffe (e i Beatles), in Baby’s in black, di Arne Bellstorf

Pino Bertelli mFranti Chiara Lualdi Davide Ortombina Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Ryuichi Watanabe (New Old Camera) Deborah Zuskis

26 Comunque, fotografia

Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604 www.FOTOgraphiaONLINE.it; graphia@tin.it.

22 Ragazza in nero

Nostri distinguo e considerazioni a proposito dell’edizione Sony World Photography Award 2014 (la settima)

34 Ritorno a Wetzlar La sontuosità della nuova sede Leica, che riserva anche spazi al racconto storico della fotografia, è la parte più evidente e clamorosa di una strategia a tutto tondo. Una volta ancora, perentorio: Io sono fotografia di Maurizio Rebuzzini

44 Leica 0 Prototyp 2 2004: centoventicinque anni dalla nascita di Oskar Barnack a cura di New Old Camera

46 Valori assoluti I TIPA Awards 2014 mettono l’accento sull’evoluzione tecnologica dell’intero comparto della fotografia di oggi. Quaranta aggiudicazioni, a ventidue marchi di Antonio Bordoni

● FOTOgraphia è venduta in abbonamento. ● FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano. ● A garanzia degli abbonati, nel caso la pubblicazione sia pervenuta in spedizione gratuita o a pagamento, l’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e in suo possesso, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi della legge 675/96. ● FOTOgraphia Abbonamento 12 numeri 65,00 euro. Abbonamento annuale per l’estero, via ordinaria 130,00 euro; via aerea: Europa 150,00 euro, America, Asia, Africa 200,00 euro, gli altri paesi 230,00 euro. Versamenti: assegno bancario non trasferibile intestato a Graphia srl Milano; vaglia postale a Graphia srl - PT Milano Isola; su Ccp n. 28219202 intestato a Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; addebiti su carte di credito CartaSì, Visa, MasterCard. ● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti. Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano

Rivista associata a TIPA

57 Pennelli di luce Fotografie di mestiere, che non si esauriscono in sé. Sapiente luce pennellata del veneto Davide Ortombina di Angelo Galantini

63 Fotografia dei miserabili Lettera aperta (e di ammirazione) a Michele Smargiassi di Pino Bertelli

www.tipa.com



editoriale A

ndrea Rocchelli, giovane fotogiornalista italiano, è la più recente vittima della fotografia di guerra: in un conteggio che ormai aumenta con una rapidità che ha del tragico. È italiano, e questo ci rende ancora più partecipi. È giovane, e anche questo ci rende ancora più partecipi, perché è stata troncata una vita che avrebbe voluto e potuto esprimersi come è giusto che avvenga: sogni, speranze, affetti, progetti, senza alcuna soluzione di continuità. Non abbiamo partecipato al dibattito, che -da alcuni indirizzi della Rete- ha affrontato il terribile tema della morte in guerra di fotogiornalisti (e giornalisti) presenti ai fatti con l’esplicita intenzione di documentarli e raccontarli. Non abbiamo partecipato, perché la fine di una vita non ci permette di esprimerci oltre questo: la fine di una vita. Di fatto, ci sarebbero / ci sono tante considerazioni da esprimere, ma nessuna può alleviare il dolore degli affetti, dei legami parentali e di amicizia, che la tragedia di una scomparsa prematura, oltre che in modo drammatico, arriva a sconvolgere. Non possiamo ragionare in astratto, come possiamo invece fare in tante altre occasioni della riflessione in fotografia, perché in questo caso, come in tutti quelli coincidenti e analoghi, vengono sconvolte esistenze di coloro i quali rimangono qui, a piangere i propri affetti feriti, sconvolti. Ritengo che il silenzio sarebbe troppo, per cui è obbligatorio pronunciarsi, da questa tribuna che per proprio statuto ha il dovere di affrontare la Fotografia in ogni propria manifestazione, fosse anche di dolore, come è per questo caso. Nel farlo, non ignoro né l’etica assoluta, applicata al fotogiornalismo, né i sentimenti che ogni accadimento tragico coinvolge. E allora? Allora, non sono affatto convinto, non sono più convinto che la vita sia un prezzo legittimo da pagare per raccontare la storia, per raccontare le esistenze nel proprio svolgimento. No! È un prezzo troppo caro, è un prezzo che non si limita al fotogiornalista che soccombe sotto l’incalzare dei combattimenti; è un prezzo che si allunga sugli affetti individuali, verso i quali ciascuno di noi ha solo doveri... nessun diritto. Andrea, non ci siamo conosciuti, almeno non in maniera formale. Soltanto, ho avvicinato la tua esperienza fotografica, che appartiene a pieno diritto alla storia del fotogiornalismo contemporaneo, al quale hai offerto il consistente contributo del tuo coinvolgimento nelle situazioni delle quali ti sei fatto testimone. Morale e etica: quelle di sempre. Avresti dovuto stare discosto, o la testimonianza impone e implica una partecipazione al pericolo? Ti sei messo in gioco. Hai messo in gioco la tua vita. Morire per fotografare la storia. Onore e merito a te, Andrea, amaramente la più recente vittima di una storia di fotogiornalisti e giornalisti morti in guerra che è troppo lunga, di un elenco che è eccessivamente penalizzante. Scusami, Andrea, se penso che la tua vita avrebbe dovuto continuare. Nessuna fotografia può costare così cara. Maurizio Rebuzzini

Andrea Rocchelli, il giovane fotogiornalista italiano colpito a morte in Ucraina, lo scorso ventiquattro maggio, nei pressi di Sloviansk, dove stava documentando la guerra locale. Con lui è stato ucciso anche il suo traduttore Andrey Mironov.

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Ricordo

di Maurizio Rebuzzini (Franti)

ARRIVEDERCI, GIOVANNI FOTOINCONTRI (SAN FELICE

SUL

PANARO MO)

E

Eccoci qui. Ancora una volta, dopo tante altre volte. Le fasi della vita sono implacabili e inesorabili: si manifestano e procedono senza chiederci il permesso. Registriamo gli anni di crescite, individuali e generazionali (anagrafiche), ai quali fanno poi seguito gli anni dell’assestamento... e delle perdite. Tra i due tempi, non c’è un passaggio prestabilito e (neppure) annunciato. Nel secondo tempo della nostra vita, tutto arriva al proprio compimento... ci piaccia o meno. Nel primo tempo, attorno a noi approdano conoscenze e affetti; nel secondo tempo, si susseguono i saluti. Tutto arriva alla conclusione, e ci restano i ricordi e le ricchezze che abbiamo accumulato. Anche oggi, ancora oggi, saluto un amico che ci ha lasciati, che è mancato prematuramente. Bravo fotografo, bella persona, Giovanni Cozzi è ora da qualche altra parte, non più qui. Se ne è andato, così come aveva vissuto -in silenzio-, lo scorso quindici maggio, a cinquantacinque anni. Nell’estate 2002, al culmine di una consistente parabola professionale che lo aveva portato a rinnovare l’immagine della seduzione femminile, Giovanni Cozzi raccolse una sostanziosa qualità e quantità di sue fotografie in una monografia inderogabilmente appassionante, punto stabile di riflessione per questo genere di immagini: Girls don’t Cry, ovverosia Ragazze non piangete, fu un titolo a un tempo emblematico e intrigante, che subito celebrò il proprio intento, esplicitamente rivolto alla bellezza femminile, così come era stata pubblicata e raccontata su prestigiose e qualificate testate nazionali e internazionali. Ritorno oggi a quel ricordo, non adeguatamente lontano, per commemorare l’amico Giovanni Cozzi, noto e riconosciuto per un aspetto eclatante della propria professione, e -soprattutto- la sua contagiosa voglia di vivere. Nel corso degli ultimi anni, il suo nome è stato fotograficamente sinonimo di identificate serie di immagini della bellezza femminile: in quanto tale, nuda e cruda, dalle pa-

Giovanni Cozzi è prematuramente mancato lo scorso quindici maggio, a cinquantacinque anni (era nato il Primo ottobre 1959).

Con lancio dalla copertina, nel luglio 2002, presentammo la monografia di Giovanni Cozzi Girls don’t Cry, nella quale fu celebrata la fotografia di bellezza per la quale il bravo autore romano è considerato un autentico innovatore.

gine di periodici di richiamo e dalle tavole di calendari di grande successo editoriale; in versione moda, dalle pagine di altri periodici e sui cataloghi di presentazione di qualificate griffe. Analogamente, e per proiezione, quando Giovanni Cozzi veniva chiamato a svolgere incontri e workshop a tema, il suo è sempre stato un impegno declinato sul filo della seduzione femminile, appunto l’identità professionale più nota e riconosciuta. In privato, a volte, Giovanni Cozzi rivelava anche altri interessi fotografici, che ormai esercitava solo proprio piacere (anche se non è detto che un domani... si possa dare visibilità anche a queste altre fotografie). Eccellente interprete del bianconero fotografico, affrontato con disarmante abilità formale (e di contenuto), Giovanni Cozzi ha saputo essere attento osservatore della vita, raccontata in reportage intensi e coinvolgenti. Del resto, è già stato scritto tutto, nero su bianco, nella postfazione della sua affascinante monografia d’autore Girls don’t Cry, dalla quale sono partito, una delle più avvincenti raccolte di nudo fotografico dei nostri tempi, che è riuscita ad emergere, distinguendosi per stile e vibrante forza, da una pur abbondante produzione editoriale a tema.

Dopo aver rivelato i propri natali fotografici, datati a una Epifania dei tardi anni Sessanta (o giù di lì), Giovanni Cozzi specificava di aver avuto un padre che sviluppava e stampava il bianconero fotografico nel bagno di casa: un classico di quegli anni. A seguire, c’è stato il magico incontro con Mosca, di William Klein, monografia ingiustamente poco considerata (la cui classe ha finito per essere compromessa, assieme a Tokyo e Roma, dello stesso autore, dall’originaria folgorazione di New York). Giovanni Cozzi rivelava di aver «iniziato a sognare la vita avventurosa del fotoreporter», proprio sfogliando il libro. Cosa ha distinto la fotografia di bellezza di Giovanni Cozzi da tante altre immagini analoghe, così uguali a se stesse da confondersi in un tutt’uno senza anima? Appunto: l’anima. Non è tanto un discorso su una o un’altra fotografia. È un autentico coinvolgimento, che si costruisce pagina dopo pagina, immagine dopo immagine: oltre l’apparenza delle forme (della fotografia come anche dei soggetti: non possiamo negarlo), quella di Giovanni Cozzi è stata comunque una visione di sostanza. C’è anima, passionalità e personalità fotografica, che non dipendono minimamente dalle opulenti figure esplicitamente offerte all’osservatore. C’è anima, passionalità e personalità fotografica, che rivelano l’energia di un autore che non si è fermato al solo dovere professionale, ma ha dato alla propria fotografia (e a noi fruitori) molto di più: un poco di se stesso. Addirittura, contrariamente alla consuetudine della fotografia di nudo, lo stile dell’autore arriva prima dell’indiscutibile fascino dei soggetti: tutti di straordinaria bellezza (magari anche grazie alla complicità di un occhio fotografico attento, complice e ben disposto). Prima dei soggetti, prima dell’apparenza effimera delle bellezze raffigurate, lo stile di Giovanni Cozzi impone e afferma il proprio ruolo primario, che è appunto quello della cosciente e consapevole rappresentazione fotografica. ❖

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Sul mercato di Antonio Bordoni

UNA GRANDE LUCE

P

Premio di categoria agli autorevoli e ambìti TIPA Awards 2014, dei quali riferiamo su questo stesso numero, da pagina 46, il flash monotorcia Profoto B1, accreditato come migliore illuminazione professionale, assolve indifferentemente mansioni in sala di posa, come anche in location esterne, dove e quando non si può avere a disposizione l’alimentazione elettrica a rete. In definitiva, la sua alimentazione a batteria e senza cavi -prontamente sottolineata dalla motivazione del prestigioso premioconfigura la massima libertà di impiego e la più confortevole facilità di utilizzo: «Il comando a distanza Air Remote TTL si collega sul contatto caldo della macchina fotografica e diventa un centro di comando per il flash, regolando la quantità di luce emessa e bilanciando l’esposizione; si può anche impostare manualmente». Ancora, dalla motivazione del TIPA Award 2014 Best Professional Lighting System: «Ogni dispositivo può essere assegnato a un canale e controllato fino a trecento metri di distanza, il che permette di controllare i risultati ed eventualmente modificarli, senza dover abbandonare la postazione di scatto. I 500Ws di potenza totale possono essere regolati su una gamma di nove stop in riduzione: in ogni condizione, tempo di ricarica breve, luce pilota LED e alimentazione con una batteria agli ioni di Litio, con autonomia di duecentoventi lampi a piena potenza». Questa efficace interpretazione flash off-camera segna una pietra miliare nel cammino dell’illuminazione fotografica professionale, consentendo a molti (tutti?) di accedere a un sistema versatile, adattabile a ogni condizione di impiego, anche specifica, anche particolare, sia in sala di posa sia in location. Combinata con la sua semplicità di regolazione e

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utilizzo, l’eclettica e polivalente capacità luminosa del monotorcia flash Profoto B1 consente a ciascuno di dominare la situazione fotografica, garantendo il controllo completo di luce e forma, di inquadratura e composizione. La cadenza di utilizzi possibili, nella fotografia di figura, cerimonia, moda, come anche nello still life e nelle raffigurazioni dinamiche (di azioni in rapido svolgimento) è scandita da una identificata serie e qualità di prerogative pratiche del flash monotorcia Profoto B1, con alimentazione a batteria, senza cavi. Con ordine. Profoto B1: TTL. Questa configurazione flash professionale si basa sull’idea che ogni strumento della fotografia sia parte integrante (oltre che naturale) del processo creativo. Come il pennello del pittore e lo scalpello dello scultore, forma e funzioni del flash devono rendere il più semplice possibile trasformare la visione in realtà. La tecnologia proprietaria AirTTL consente di collegare in remoto la propria macchina fotografica, in una soluzione nella quale il flash adegua automaticamente la propria emissione luminosa, per fornire l’esposizione perfetta. Profoto B1: senza cavi. In metafora, si può richiamare la sensazione di quando -per la prima volta- si è imparato ad andare in bicicletta: il mondo sembrava aprirsi davanti a noi, che eravamo improvvisamente in grado di andare ovunque. La stessa emozione, il medesimo sbalordimento, si può provare lavorando con un flash elettronico di alta potenza (500Ws), alimentato a batteria, e privo di cavi di connessione e collegamento: né con l’apparecchio fotografico, né con l’alimentazione elettrica della corrente di rete. Di fatto, si può posizionare la luce fotografica senza alcun vincolo, senza alcun disagio, senza nessuna difficoltà...


mercato in risposta ed esaudimento soltanto della propria creatività applicata: sia in sala di posa, sia (soprattutto!) in location esterne. Profoto B1: la potenza. L’ampia gamma di regolazioni dalla potenza massima di 500Ws, su una scala fino a nove stop in riduzione proporzionale, così da poter assolvere sia situazioni nelle quali sia richiesta una illuminazione consistente, sia quelle per le quali è più idonea una illuminazione quantitativamente moderata. Ancora: sia come luce principale, sia come luce secondaria, o di riempimento, con relativo controllo della sua morbidezza (o, al contrario: luce diretta). Profoto B1: velocità. Alcune condizioni fotografiche dipendono anche dalla rapidità con la quale sono registrate: movimento, piuttosto che espressione del volto. Il momento culminante è alla portata della rapidità di emis-

sione lampo, che si combina con una ricarica altrettanto veloce. Ovviamente, meno potenza viene selezionata/erogata, più rapido è il lampo, che arriva al ragguardevole valore di venti emissioni al secondo. Profoto B1: luce modellata. La fotografia si basa sulla corretta illuminazione, adeguata alla restituzione espressiva e creativa della composizione. Con riflettore incorporato, il monotorcia Profoto dirige un’ampia angolazione luminosa sul soggetto, in una diffusione perfettamente controllabile. In alternativa, l’ampio sistema di accessori permette di regolare ogni tipo di illuminazione, sia per fotografia di figura, sia per lo still life. La simulazione della luce pilota garantisce il più proficuo controllo dell’illuminazione. (Grange, via Cimabue 9, 20032 Cormano MI; www.grangesrl.it). ❖


Notizie a cura di Antonio Bordoni

LAMPO E LUCE LED. Premio TIPA di categoria (su questo numero, da pagina 46), il Nissin i40 è il primo flash dedicato con illuminatore LED integrato, per riprese video (a proposito: premio TIPA di categoria, per il secondo anno consecutivo, dopo l’affermazione 2013 del versatile MG8000). Va considerato che tutte le reflex, le compatte e le

compatte a obiettivi intercambiabili (CSC - Compact System Camera, già Mirrorless) di ultima generazione sono in grado di effettuare riprese video di alta qualità. A conseguenza, l’offerta tecnica di accessori “dedicati” alle riprese video è la prova che questa funzione è gradita dal pubblico. Da cui, il Nissin i40 adatto a offrire la luce giusta sia alla fotografia sia alla ripresa video. Estremamente compatto (85x 85x61mm; 203g), il flash è alli-

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neato con il design -altrettanto compatto- delle reflex e delle CSC - Compact System Camera dei nostri giorni. La sua potenza luminosa è ottimale: Numero Guida 27 alla focale 35mm (al tradizionale riferimento di 100 Iso). È in grado di operare in TTL Auto, montato direttamente sulla staffa dell’apparecchio fotografico, e in Wireless TTL (come flash slave in remoto senza cavi). La parabola è motorizzata, con copertura da 24 a 105mm, più diffusore grandangolare (copertura 16mm) e schermo riflettente incorporati nella testa del flash, dotata di movimento verticale (più 90 gradi) e orizzontale (più/meno 180 gradi). Il Nissin i40 è alimentato da quattro batterie a stilo, che consentono una eccellente autonomia anche quando si impiega l’illuminatore LED (circa tre ore e mezza di ripresa video). Il piedino di montaggio in metallo, la possibilità di sincronizzare sulla prima e sulla seconda tendina e la funzione sincro “Hi-Speed” (con le dotazioni che supportano questa funzione) completano la sua dotazione tecnica. L’illuminatore LED è regolabile su nove livelli di potenza, ed è posto sul frontale (tra la parabola flash e il servo-illuminatore AF). Il pannello posteriore è interamente occupato da due selettori rotanti con indici luminosi. Attraverso il primo selettore, si imposta la modalità di impiego (TTL Auto, Wireless TTL, Servo-lampo non TTL, Video-Light); mentre il secondo selettore consente di impostare il livello di potenza dell’illuminatore LED e le correzioni di esposizione del lampo in TTL (più/meno due EV, con intervalli di 0,5 EV). (Rinowa, via di Vacciano 6f, 50012 Bagno a Ripoli FI; www.rinowa.it).

AGGIORNAMENTO X-E2. Un aggiornamento firmware apporta consistenti miglioramenti alla Fujifilm X-E2, una delle configurazioni di spicco del convincente sistema fotografico a obiettivi intercambiabili, incluso il mirino Real Time, efficace e veloce,

con un tempo di ritardo di soli 0,005 secondi. Come è logico che sia (debba essere?), il nuovo firmware prende spunto dalle prestazioni della X-T1, la più recente configurazione fotografica Fujifilm, presentata alla fine dello scorso gennaio, per accogliere le richieste di miglioramenti operativi da parte dei clienti. Quindi, nell’ambito di un sistema fotografico ben cadenzato, Fujifilm continua a mantenere alto il livello della tecnologia della X-E2, che -grazie al Firmware Versione 2.00- consente di applicare di una maggiore longevità di utilizzo. (Fujifilm Italia, Strada Statale 11 - Padana Superiore 2b, 20063 Cernusco sul Naviglio MI; www.fujifilm.it).

SCATTO DA SMARTPHONE. Il Triggertrap è un controllo remoto per apparecchi reflex (e non), che, attraverso una applicazione sullo smartphone, permette di scattare a distanza. Lo si può fare in diversi modi: a voce, con vibrazioni, suoni, a intervallo di tempo, WiFi e ancora tanto altro. Parliamone. Scatto flessibile: si preme il bottone dell’otturatore sullo smartphone e la reflex scatta; in quattro modalità, tra le quali scatto singolo e lunga esposizione. Sensore di suono: la reflex scatta quando viene emesso un suono codificato. Intervallo di tempo: la reflex scatta una quantità di fotografie intervallate in misura programmata. Curvatura spazio-temporale: come per “Intervallo di tempo”, ma con accelerazione e decelerazione volontaria degli intervalli. Intervallo di distanza: la reflex scatta in base alla posizione

GPS, con programmazione di spazio (ogni tot metri o chilometri); avvincente per fotografie in viaggio e documentazione tecnico-scientifica. Sismico: la reflex scatta in base a vibrazioni preordinate. Cucù: la reflex scatta quando un volto entra nell’inquadratura. Traccia stelle: la reflex scatta una serie di immagini con tempi molto lunghi. HDR: crea immagini HDR (Ampia Gamma Dinamica). HDR Intervallo di tempo: crea immagini HDR in combinazione con “Intervallo di tempo”.

Tesla (in onore all’ingegnere elettrico, inventore e fisico Nikola Tesla; 1856-1943): la reflex risponde a metallo e magnetismo. Movimento: la reflex risponde al movimento. Bramping: intervallo di tempo, con correzioni indipendenti di luce ed esposizione. Servo Wi-Fi: fa scattare una immagine mandando un segnale da un altro dispositivo wireless. Il Triggertrap è compatibile con i sistemi iOS e Android. La rispettiva applicazione è scaricabile da Appstore e Google Play. L’applicazione Triggertrap Mobile è compatibile con smartphone e tablet con requisiti di sistema minimi Apple iOS 5 o Android 2.3 Gingerbread. Sono disponibili dieci cavetti dedicati, ciascuno compatibile con una serie di reflex (e non) Canon, Contax, Epson, Fujifilm, Hasselblad, Kodak, Leica, Minolta, Nikon, Olympus, Panasonic, Pentax, Ricoh, Samsung, Sigma, Sony. (Silvestri Fotocamere, via della Gora 13/5, 50025 Montespertoli FI; www.silvestricamera.com). ❖



Casellario di Maurizio Rebuzzini

QUANTI TANTI LIBRI!

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Gianni Berengo Gardin con le macchine fotografiche della sua vita (estate 1998).

MAURIZIO REBUZZINI

Garbatamente e con consapevolezza, nel suo saggio introduttivo alla convincente e appassionante raccolta Gianni Berengo Gardin. Il libro dei libri, Peter Galassi fa notare come da qualche tempo ci sia attenzione verso i casellari di “libri di libri”, che lui definisce Photobook. Anche noi, su queste stesse pagine, ne abbiamo presentato qualcuno, sottolineando come la visualizzazione della messa in pagina e della riproduzione litografica, che si sono evolute nel tempo e con il gusto della società tutta, sia confortevole anche per accostare, avvicinandole, esperienze fotografiche che dal passato, spesso remoto, continuano a svolgere e trattare la propria lezione storica. Tra l’altro, in molti casi, si tratta di testimonianze che raccontano persino qualcosa che non c’è più, ma c’è stato: a partire dai sistemi di stampa in tiratura, che si sono evoluti passo a passo, segnando ciascuno la propria epoca. Insieme alla prefazione di Bruno Carbone, curatore di questo emozionante casellario, che fa il punto su una produzione libraria unica nel proprio genere, oltre che nella propria sostanziosa quantità, il testo di Peter Galassi è un prezioso bonus aggiunto all’attuale edizione: sagge parole sulla fotografia, che arricchiscono la conoscenza e consapevolezza della materia di ciascuno di noi. Per chi ne fosse all’oscuro -speriamo pochi-, va rivelato chi sia Peter Galassi, garanzia assoluta di autorevolezza fotografica. Peter Galassi è stato Chief Curator del Dipartimento fotografico del Museum of Modern Art (MoMA), di New York, dal 1991 al 2011, carica che assunse dopo essere stato Curatorial Intern, Associate Curator e Curator della stessa istituzione, rispettivamente nel biennio 1974-1975, dal 1981 al 1986 (quando completò una ricerca fondante della riflessione fotografica: Prima della fotografia. La pittura e l’invenzione della fotografia, pubblicato in Italia, da Bollati Boringhieri, nel 1989) e dal 1986 al 1991.

Così che, le sue affermazioni sono perentorie, nella propria profonda cognizione fotografica. Lapidario: «Non conosco altre figure altrettanto significative nel mondo della fotografia della seconda metà del Novecento il cui lavoro sia così profondamente radicato nei libri fotografici o che ne ab-

biano realizzati un simile numero». Pubblicato da Contrasto, divisione editoriale che accompagna la personalità fotogiornalistica dell’Agenzia omonima, Gianni Berengo Gardin. Il libro dei libri presenta un’ampia scelta della produzione editoriale dell’autore, uno dei modelli che hanno illu-


Casellario minato la fotografia italiana del secondo Novecento. Oltre duecentocinquanta volumi, in cinquant’anni abbondanti di carriera: un patrimonio unico di immagini, voci, sguardi, visioni. Tra monografie a tema e raccolte/analisi retrospettive, i libri che Gianni Berengo Gardin ha realizzato -dal primo titolo, Biagio Rossetti Architetto ferrarese, del 1960, fino al più recente Storie di un fotografo, del 2013 [FOTOgraphia, maggio 2013]testimoniano la sua passione per la fotografia e il suo amore per i libri, que-

Il curatore Bruno Carbone ha amministrato la selezione dei libri di Gianni Berengo Gardin con passione e puntualità, registrando -uno dopo l’altro- il fiore della sua produzione editoriale. Ogni titolo preso in esame si completa con una propria scheda tecnica di identificazione e con illustrazioni di pagine che visualizzano l’impaginazione; ancora, in molti casi, quando è stato reputato doveroso, viene riportata una citazione d’autore o un commento, che contestualizzano l’edizione e riportano alla men-

sti strani oggetti in grado di racchiudere storie, suscitare dibattiti, indicare strade da percorrere. In complemento e supplemento, va annotato che Gianni Berengo Gardin è anche attento alla bibliografia fotografica internazionale. Diciamola così, tra i fotografi che conosciamo personalmente, è uno dei pochi a dare senso e valore alla propria libreria (in una compagnia numericamente povera di altrettanto atteggiamento: ci bastano le dita di una sola mano, per completare il conteggio).

Gianni Berengo Gardin. Il libro dei libri; a cura di Bruno Carbone; con un saggio di Peter Galassi; Contrasto, 2014; 312 pagine 23,5x28,5cm, cartonato; 39,00 euro.

te il significato. Sfogliare Il libro dei libri equivale allora a seguire Gianni Berengo Gardin nella sua avventura prediletta: quella di realizzare fotografie che possano finire in una monografia. Quindi, titolo dopo titolo, ognuno scopre quanto questi volumi rappresentino perfino la testimonianza più viva della nostra storia recente, del nostro modo di pensare... a noi stessi, come anche alla (sola) fotografia. In effetti, i tanti volumi fotografici realizzati da Gianni Berengo Gardin raccontano anche il nostro tempo, il gusto editoriale che cambia e si evolve, il design che trova nuove strade; raccontano gli incontri, tanti e

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Casellario

Morire di classe. La condizione manicomiale fotografata; di Gianni Berengo Gardin e Carla Cerati; a cura di Franco Basaglia e Franca Basaglia Ongaro; Einaudi, 1969; 88 pagine 24x18cm [riedizione anastatica Duemilauno, 2008; FOTOgraphia, maggio 2009].

Venise des saisons; testi di Giorgio Bassani, Mario Soldati (e Giuliano Manzutto); La Guilde du Livre, Losanna, 1965; 112 pagine 22,5x28,5cm.

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importanti, che l’autore ha avuto con intellettuali e scrittori che hanno scritto per lui e di lui, (Mario Soldati, Cesare Zavattini, Federico Zeri, Renzo Piano, Giorgio Bassani e molti altri) e gli incontri con colleghi fotografi, con i quali ha spesso condiviso l’avventura di un libro fotografico, da realizzare come una nave da ormeggiare in porto dopo una lunga traversata in pieno oceano. Gianni Berengo Gardin. Il libro dei libri contiene, offre e propone un sostanzioso e prezioso patrimonio di titoli, copertine, immagini, voci. Annota il curatore Bruno Carbone: «Gianni Berengo Gardin è riconosciuto come uno dei più importanti fotografi del nostro tempo, e crediamo di conoscere la sua opera anche se l’archivio è costituito da più di un milione e cinquecentomila negativi. Inoltre, ha saputo conferire all’immagine dell’Italia una dimensione universale. È questo racconto, puntuale e lirico insieme, a assegnargli di fatto una dimensione di “monumento” della fotografia. I suoi libri hanno realizzato, mattone dopo mattone, questo monumento, ancora in costruzione, accessibile a un largo pubblico. Riunire tutti questi libri insieme costituisce un tentativo per restituirne la dimensione intera. Quindi, l’ultimo titolo che questo nostro volume dovrebbe contenere, forse il più compiuto da un punto di vista bibliografico, è lo stesso libro su cui stiamo scrivendo, Il libro dei libri». Attenzione: non è finita qui. Altri progetti sono in cantiere, altri racconti stanno per maturare. ❖



Cinema

di Maurizio Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

WALTER MITTY / 2

L

Lo scorso maggio, abbiamo ampiamente commentato il film I sogni segreti di Walter Mitty, di e con Ben Stiller. Considerata la sceneggiatura, che si svolge nella redazione di Life, dove si deve preparare l’ultimo numero per l’edicola, prima della chiusura della nobile testata (fantasia cinematografica: è cinema, bellezza, e tu non puoi farci niente), ci siamo soffermati innanzitutto sull’impianto scenografico, prima di allungarci sulla vicenda reale di Life, testata giornalistica, e -soprattutto- fotogiornalistica, fondante del Novecento, le cui vicende editoriali hanno segnato tre vite successive l’una alle precedenti: settimanale (19361972), interruzione, mensile (19782000), interruzione, settimanale allegato a una identificata serie di quotidiani statunitensi (2004-2007). Per l’occasione, non abbiamo rivelato la copertina dell’ultimo numero (di fantasia cinematografica), per non rovinare la visione a nessuno, oggi che è disponibile il Dvd, successivo alla distribuzione nelle sale cinematografiche a cavallo dell’anno. Passato un mese, e considerato che chi ha accolto il nostro invito a guardare il film, che consideriamo uno straordinario atto d’amore (per Life), lo ha già fatto, qui e ora sveliamo, divulgandola, la copertina in questione, illustrata con la fotografia che è l’autentico collante e leitmotiv della trama. Eccoci qui: Final Issue. Dedicated to the People Who Made It è un’ipotesi a dir poco emozionante. Personalmente, noi ci siamo entusiasmati; addirittura, c’è chi ci ha confessato di essersi commosso... fino alle lacrime. In effetti, Numero conclusivo. Dedicato alle persone che lo hanno fatto è una ipotesi toccante e coinvolgente, per di più illustrata con una fantastica fotografia bianconero (di un istante “rubato”) che visualizza proprio Walter Mitty, il responsabile dell’archivio fotografico della rivista, che osserva un foglio di provini, durante la pausa pranzo, nell’area antistante la sede newyorkese di Life! Tra l’al-

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Nella fantasia cinematografica del film I sogni segreti di Walter Mitty, di e con Ben Stiller, la copertina conclusiva di Life celebra le persone che lo hanno fatto. Atto d’amore!

tro, e in aggiunta, è anche un atto d’amore per la fotografia ai tempi della pellicola fotosensibile, con tutta la propria autorevole fisicità! Come avremmo voluto che così fosse stato anche nella realtà! Come avremmo voluto che, attraverso la visualizzazione di uno solo (la parte per il tutto), fosse stato reso

omaggio ai tanti professionismi che, dietro le quinte, hanno reso possibile la leggenda di questo fotogiornalismo che ha segnato indelebilmente la fotografia contemporanea! Onore e merito al film I sogni segreti di Walter Mitty, che ha colmato un vuoto colpevole, una non attenzione illecita, una dimenticanza grave.


Cinema

Nella sua spasmodica ricerca del negativo perduto, che abbiamo raccontato e approfondito lo scorso maggio, Walter Mitty, responsabile dell’archivio fotografico di Life, raggiunge il fotografo Sean O’Connell (cameo dell’attore Sean Penn) durante una sua postazione per fotografare l’irraggiungibile leopardo delle nevi. Annotazioni fotografiche di dovere: Sean O’Connell fotografa con Nikon F3/T; sulla spalla ha una Leica (probabilmente M6).

Ma non è questo, a nostro giudizio, il solo merito di questa sceneggiatura, alla quale diamo eccezionale merito per il proprio alto contenuto fotografico (stiamo per riferirci anche ad altro, oltre a quanto già rilevato lo scorso mese). In definitiva, superato il confine fotografico, si tratta di una trama che rivela come l’avventura più grande nella vita di ciascuno sia quella di cambiare il proprio destino, guidandolo e indirizzandolo. Da cui, fotografia a parte, il valore del contenuto supera spazio e tempo, per raggiungere il cuore di ciascuno di noi (così come, in altri tempi, sottolineammo come -oltre l’impianto fotografico- Il favoloso mondo di Amélie sia soprattutto un film d’amore, per l’amore: in FOTOgraphia, dell’ottobre 2005). Non possiamo che non riconoscerci in Walter Mitty, e nei suoi viaggi con la mente (appunto, i suoi sogni segreti), nei quali si immagina in situazioni nelle quali è un eroe sprezzante del pericolo e desiderato dalla donna che ama (in segreto). Non possiamo che non riconoscerci in Walter Mitty, quando, in procinto di perdere il posto di lavoro, si trova costretto a fare duri conti con la realtà e a osare l’inimmaginabile: passare all’azione, in uno straordinario viaggio attraverso il mondo, in località sperdute e pericolose, alla ricerca di un prezioso negativo. Per l’appunto, quello smarrito, destinato alla copertina finale.

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STEVE WINTER / BBC WILDLIFE PHOTOGRAPHER

OF THE

YEAR 2008

Cinema

Apprezzata citazione nel film I sogni segreti di Walter Mitty. Si richiama la fotografia del leopardo delle nevi, di Steve Winter, affermatasi al BBC Wildlife Photographer of the Year 2008 [ FOTOgraphia, febbraio 2009], che l’ha realizzata dopo dieci mesi di osservazioni delle abitudini dell’animale e tentativi successivi. Nel film, inquadrato il leopardo delle nevi, Sean O’Connell non scatta: «Certe volte, non scatto... Se mi piace il momento... Piace a me... Non amo avere la distrazione dell’obiettivo».

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Preziosa annotazione conclusiva. Quando Walter Mitty raggiunge finalmente il fotografo Sean O’Connell (garbato e intenso cameo dell’attore Sean Penn), a cinquemila metri di altitudine, in un luogo impervio, seduto dietro il suo treppiedi sul quale è collocata una Nikon F3/T dotata di lungo teleobiettivo (e Leica M6?, in spalla), la sceneggiatura/scenografia rende omaggio, citandola di fatto, alla fotografia del leopardo delle nevi (Panthera uncia), dello statunitense Steve Winter, affermatasi al BBC Wildlife Photographer of the Year 2008 [FOTOgraphia, febbraio 2009], che l’ha realizzata dopo dieci mesi di osservazioni delle abitudini dell’animale e tentativi successivi. Il dialogo tra i due è suggestivo: «C’è un leopardo delle nevi, proprio su quel crinale», rivela Sean O’Connell, che poi precisa: «Vedi, dobbiamo cercare di stare molto, molto, molto fermi... Chiamano il leopardo del-

le nevi il “gatto fantasma”, perché non si fa mai vedere». «Gatto fantasma...», annuisce Walter Mitty, al quale il fotografo fa notare che «Le cose belle non chiedono attenzione». Quindi, nel mirino della Nikon F3/T si profila il leopardo delle nevi, in una inquadratura/composizione assai vicina a quella (di riferimento?) di Steve Winter, appena evocata. Sean O’Connell toglie l’occhio dal mirino, per guardare lontano; «Quando pensi di scattarla?», chiede stupito Walter Mitty, confuso dalla flemma del fotografo. Risposta memorabile: «Certe volte, non scatto... Se mi piace il momento... Piace a me... A me, soltanto... Non amo avere la distrazione dell’obiettivo... Voglio solo restarci... Dentro»; «Restarci dentro...», annuisce Walter Mitty; «Sì, restar lì... qui e ora», conclude Sean O’Connell. Che bella lezione! Che lezione da ascoltare ammirati! Che lezione da applicare! ❖



Fumetto di Angelo Galantini

RAGAZZA IN NERO

B

Baby’s in Black è una canzone dei Beatles, firmata da John Lennon e Paul McCartney, la terza dell’album Beatles for Sale, il quarto pubblicato dai Fab Four, il 4 dicembre 1964. Il testo non è particolarmente elaborato, né può vantare alcuna pretesa letteraria. In quegli anni, altri furono gli autori-musicisti degni di nota per le loro parole -a partire, magari, da Bob Dylan-, e anche nella discografia dei Beatles bisognò aspettare ancora qualche anno per incontrare qualcosa di degno... musica a parte, socialità a parte. Il refrain è ripetitivo: «Oh dear, what can I do / Baby’s in black and I’m feeling blue / Tell me, oh, what can I do / She thinks of him / And so she dressed in black / And though he’ll never come back / She’s dressed in black» (Accidenti, cosa posso fare? / La pupa è in nero, e io mi sento triste / Dimmi, cosa posso fare? / Lei pensa a lui / E così si veste di nero / E anche se lui non tornerà mai / Lei è vestita di nero). Chi conosce la storia dei Beatles, immagina a chi ci si stia riferendo: a Astrid Kirchherr, la giovane tedesca, che conobbe i Beatles all’inizio della loro parabola musicale, in occasione di un ingaggio in uno dei locali sulla famigerata Peeperbah, di Amburgo, nel quartiere di St. Pauli, centro della vita notturna e della prostituzione legalizzata, nell’agosto 1960. Non ancora Beatles, il gruppo era allora composto da cinque elementi: John Lennon, Paul McCartney, George Harrison, Stu Sutcliffe (Stuart Fergusson Victor Sutcliffe) e Pete Best, che successivamente sarebbe stato sostituito alla batteria da Ringo Starr. Da cinque che erano, diventarono quattro al loro ritorno in Inghilterra, senza Stu Sutcliffe, modesto chitarrista basso (per sua stessa ammissione), che rimase ad Amburgo per e con Astrid Kirchherr. Stu Sutcliffe è mancato ad Amburgo, il 10 aprile 1962, senza aver avuto modo di compiere ventidue anni; era nato il 23 giugno 1940. Dalla cronaca alla storia, oggi è ricordato co-

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Tra tanto altro a suo merito, va annotato che l’esistenzialista Astrid Kirchherr, così compresa nella cultura tedesca che all’esordio dei Sessanta si risollevava dalla devastazione della Seconda guerra mondiale e del nazismo, inventò il look che rese famosi i Beatles: taglio di capelli (ai tempi, considerati lunghi!), abbigliamento (con giacca priva di colletto) e postura in scena. Ma non è questo che interessa, non è solo questo che interessa, quantomeno a noi, quantomeno qui.

me promettente pittore, e le opere che ha lasciato sono apprezzate, ammirate e, per quanto valga rilevarlo, quotate (www.stuartsutcliffeart.com). Questa breve parabola esistenziale è stata sceneggiata da Michael Thomas e Iain Softley, anche regista, per il film Backbeat, che in Italia si è accompagnato con un sottotitolo esplicativo, quanto banalizzato: Backbeat - Tutti hanno bisogno di amore [FOTOgraphia, dicembre 2008]. Analogamente, eccoci qui, la stessa vicenda, con maggiore concentrazione proprio sul rapporto tra Astrid Kirchherr e Stu Sutcliffe, è raccontata in un avvincente fumetto, che prende il titolo dalla canzone dei Beatles che in un certo modo richiama questo loro amore: Baby’s in black. La storia di Astrid Kirchherr & Stuart Sutcliffe, di Arne Bellstorf, pubblicato in Italia da Black Velvet Editrice, nel 2011 (traduzione di Anna Zuliani; 216 pagine 16,5x24cm; 16,00 euro).

Baby’s in black. La storia di Astrid Kirchherr & Stuart Sutcliffe, di Arne Bellstorf; Black Velvet Editrice, 2011; traduzione di Anna Zuliani; 216 pagine 16,5x24cm; 16,00 euro.

Astrid Kirchherr con Stu Sutcliffe e Klaus Voormann, ad Amburgo, nell’autunno 1960.

Ritratto in doppia posa di Stu Sutcliffe (il quinto Beatles), realizzato da Astrid Kirchherr.


Fumetto

Invece, siamo incuriositi e attratti dalla personalità fotografica di Astrid Kirchherr, ai tempi allieva e assistente di uno dei grandi fotografi tedeschi del secondo Novecento, Reinhart Wolf, che ha segnato indelebilmente i tempi e modi del suo avvicinamento ai Beatles, ben raccontati da questo affascinante racconto a fumetti, che scorre parallelamente a tanta altra socialità, magari proprio a partire dalle lacerazioni lasciate in Germania dagli anni dell’ideologia nazista. Tra le tante fonti di documentazione, l’autore Arne Bellstorf ha consultato anche una delle più accreditate biografie dei Beatles: Shout!, di Philip Norman, sottotitolata La vera storia dei Beatles (in edizione italiana Oscar Mondadori, dal novembre 1981). Su queste pagine, l’incontro con i musicisti inglesi è adeguatamente dettagliato. Klaus Voormann [che successivamente avrebbe suo-

La prima sessione fotografica nella quale Astrid Kirchherr coinvolse i Beatles, appena conosciuti nel locale di Amburgo dove suonavano, fu ambientata a Der Dom, il parco di Amburgo dove c’era un luna-park: li fece posare accanto ai carrozzoni, con i loro strumenti. Questa vicenda è narrata nel fumetto Baby’s in black, di Arne Bellstorf. La stessa situazione delle pose al luna-park di Amburgo è raccontata nel film Backbeat Tutti hanno bisogno di amore, di Iain Softley, del 1994.

nato nel gruppo di Paul McCartney], amico di Astrid Kirchherr, la convinse ad andare al Kaiserkeller, per sentire la qualità della musica che vi si suonava; vestita con la sua giacca nera di pelle da exi, il viso pallido, i capelli cortissimi e spettralmente fredda, Astrid Kirchherr interpretava la propria parte («Dato che eravamo solo degli adolescenti, la nostra filosofia era di vestirci di nero e incamminarci osservando il mondo attorno con malumore e malinconia. Naturalmente, avevamo un riferimento ben preciso in Sartre. Ci ispirammo agli artisti e agli scrittori francesi, perché erano vicini a noi occidentali, mentre l’Inghilterra era talmente lontana e gli Stati Uniti erano fuori questione. Così provammo a pensare e a vivere come gli esistenzialisti francesi. [...] Noi perseguivamo la libertà, volevamo essere diversi e provammo ad essere distaccati, scettici»: da un’intervista della Bbc, del 26 agosto 1995). Quando i Beatles cominciarono a suonare, anche lei ne fu conquistata, istantaneamente. A propria volta, i Beatles erano lusingati dall’interesse di questa ragazza delicata, bellissima, dagli occhi spettrali, così diversa dalle solite frequentatrici della Freiheit. E furono ancora più lusingati quando, con le sue poche parole di inglese, chiese se poteva fotografarli. Si incontrò, il giorno dopo, con tutti e cinque, al Reeperbahn, e li portò a Der Dom, il parco cittadino, dove c’era un luna-park che arrivava ad Amburgo due volte

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Fumetto

l’anno. Astrid Kirchherr li mise in posa, con le loro chitarre e col tamburo militare di Pete Best, vicino a uno dei carrozzoni del luna-park, poi sull’ampio cofano di un trattore. Oltre alle costose macchine fotografiche e alla giacca di pelle, Astrid Kirchherr aveva una piccola automobile personale. Finito di scattare, la ragazza invitò i cinque Beatles a prendere il tè a casa sua, ad Altona. Pete Best rifiutò, dicendo di dover andare a comprare delle pelli nuove per i tamburi della sua batteria. Gli altri quattro si stiparono in men che non si dica intorno alla ragazza. «Conobbero mia madre, che ne rimase profondamente impressionata, così come lo ero stata io. Appena li vide, volle dare loro da mangiare». Astrid Kirchherr li portò di sopra, nello studio bianco e nero che aveva progettato personalmente. Loro rimasero a bocca aperta, vedendo il tavolo col piano di vetro e le lenzuola di raso nero del letto. Rimasero lì seduti, al lume di candela, bevendo tè e mangiando panini al prosciutto.

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«Avrei voluto parlare con loro, ma a quel tempo conoscevo solo qualche parola d’inglese. John sembrava duro, cinico, sarcastico, ma anche qualcosa di più. Paul sorrideva... sorrideva sempre ed era diplomatico. George non era che un ragazzino, con i capelli alti e le orecchie a sventola. Disse che non sapeva che la Germania avesse panini al prosciutto. Il piacere di essere fotografati da una bellissima ragazza tedesca dai capelli biondi non fu nulla rispetto a quello provato alla vista delle fotografie stesse, che non erano le solite istantanee scattate dalla prima persona di passaggio, in genere nel momento meno adatto possibile. Si trattava di stampe di grandi dimensioni e a grana grossa, fatte apparire, come per incanto, dalle nicchie della stanza di raso nero, e mostravano i Beatles così come loro non si erano mai immaginati prima. L’obiettivo di Astrid Kirchherr, infatti, aveva colto quell’aspetto di loro che attirava intellettuali come Klaus Voormann e lei: il paradosso di teddy boy con la fac-

Allieva e assistente dell’importante fotografo Reinhart Wolf, uno dei più significativi autori del secondo Novecento, Astrid Kirchherr ne seguiva le tracce espressive e creative. Nel fumetto Baby’s in black, di Arne Bellstorf, la figura di Reinhart Wolf compare nel momento nel quale valuta le opere pittoriche di Stu Sutcliffe, consigliandogli poi di rimanere ad Amburgo, per seguire corsi alla locale accademia d’arte.

cia da bambini; di pretesa durezza e di indistinguibile candore onniprotettivo. Le massicce e pesanti macchine del luna-park, su cui sedevano, sembravano simboleggiare il loro lieve ma fiducioso posarsi sulla vita adulta. John, con il suo colletto rialzato, che stringeva con forza la sua nuova Rickenbacker; Paul, inclinato, scontento di una chitarra scartata da un altro; George, così infantile; Pete Best, così riservato, un po’ di lato: ogni immagine aveva in sé la propria vera profezia. In una fotografia, Stu Sutcliffe gira le spalle agli altri, il lungo braccio della chitarra è rivolto a terra. Questa fu la prima di molte sedute fotografiche con Astrid Kirchherr, nelle settimane che seguirono. Ogni volta, lei li metteva in posa, con o senza chitarra, sullo sfondo di qualche parte dell’Amburgo industriale: le banchine, aree dismesse o lo scalo di smistamento delle ferrovie. Preistoria Beatles con accompagnamento di fotografia, ora in racconto a fumetti. Bello e avvincente. ❖



di Maurizio Rebuzzini

Sony World Photography Award 2014: primo premio Professional Contemporary Issues e Iris d’Or 2014 alla statunitense Sara Naomi Lewkowicz. Reportage sulla condizione familiare e femminile, che si è affermato anche al World Press Photo 2014, sul 2013, nella categoria Contemporary Issues Stories.

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iversamente da quanto registrato alle e per le precedenti edizioni del qualificato Sony World Photography Award, quest’anno pochi hanno condiviso le scelte della giuria. Questo è quanto si è respirato, percepito e avvertito durante la serata di solenne annuncio e assegnazione dei premi; questo è quanto si era già rivelato durante la giornata, riservata alla visita guidata alla mostra delle fotografie finaliste (dei fotografi finalisti) al Sony World Photography Award 2014, allestita nelle sontuose e autorevoli sale espositive della Somerset House, di Londra (per il pubblico, in cartellone dal Primo al diciotto maggio).

In assoluto, tra i quattordici vincitori di categoria, nulla da eccepire all’Iris d’Or 2014, altrimenti indicato come Professional Photographer of the Year (fotografo professionista dell’anno), conferito alla fotogiornalista statunitense Sara Naomi Lewkowicz, primo premio Contemporary Issues, con lo stesso reportage che si è affermato nella categoria Contemporary Issues Stories, al World Press Photo 2014, sul 2013 [FOTOgraphia, aprile 2014]. Se proprio volessimo sottilizzare, in finale, l’alternativa al fotogiornalismo del dolore e della sofferenza, al quale appartiene -per l’appunto- questo servizio/progetto, avrebbe potuta essere la natura dello statunitense Michael Nichols, a propria volta spesso presente nei premi del World Press Photo, con una


COMUNQUE

FOTOGRAFIA Se vogliamo vederla così, se vogliamo vederla anche così, quest’anno, il consistente Sony World Photography Award ha manifestato la proverbiale e stereotipata “crisi del settimo anno”, dal 2008 di origine. Rispetto le edizioni precedenti, le scelte della giuria 2014 hanno sollevato qualche perplessità. È anche questo che traspare, ahinoi, dallo svolgimento dei concorsi fotografici professionali, nel proprio insieme e complesso: il punto di vista, le prevenzioni e l’opinione di chi giudica. In ogni caso, nostri distinguo a parte (che non pregiudicano il valore complessivo), si tratta sempre e comunque di uno dei più qualificati e autorevoli e prestigiosi appuntamenti annuali della fotografia

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intensa serie sui leoni africani. Però, come ben sappiamo, e come stiamo ancora oggi per considerare, gli indirizzi delle giurie internazionali si discostano raramente (mai, saremmo tentati di quantificare, con assoluto imperativo) dal fotogiornalismo che dalla cronaca si propone di assolvere il racconto della vita (grama) nel proprio svolgersi. È sempre e comunque un problema di composizione di giuria e relativi intendimenti: come stiamo per vedere insieme. Così che questa ipotesi relativa al valore delle fotografie di Michael Nichols (ipotesi nostra!, sia chiaro) ci porta diritti alla considerazione di sostanza, che abbiamo ricavato/dedotto dallo svolgimento del Sony World Photography Award 2014, oltre la cronaca dei suoi tempi e dettagli logistici. Ovviamente, quanto stiamo per rilevare non si basa soltanto e unicamente su questo concorso, ma si estende alla (nostra!) interpretazione trasversale e sottotraccia dei concorsi fotografici professionali nel proprio insieme e complesso. Così che scriverne qui e ora, in allungo sullo svolgimento del Sony World Photography Award 2014, è soltanto utilitaristico, per quanto sia anche esplicito riferimento alla valutazione espressa in avvio. Riprendiamo da lì.

CHI GIUDICA, E COME LO FA Come annotato, le scelte della giuria del Sony World Photography Award 2014 hanno partorito un panorama complessivo che molti hanno stimato inferiore a quello delle edizioni precedenti [delle quali abbiamo relazionato in FOTOgraphia, del giugno 2008, maggio 2009, giugno 2010, giugno 2011, giugno 2012 e giugno 2013]. Addirittura, tra la rosa dei tre finalisti

di categoria, è spesso risultata vincitrice la serie meno convincente di tutte. Quindi, per estensione di pensiero, possiamo ipotizzare, e persino dedurre, che non siano state prese in considerazione, per la finale, proposte fotografiche di buon valore, più alto spessore, maggiore aderenza ai contenuti preposti (categorie). Quindi, eccoci qui con la (nostra!) opinione: inesorabilmente, all’interno di qualsivoglia insieme fotografico, per forza di cose di profilo sempre alto, la differenza la crea e stabilisce la giuria. Nell’esprimere giudizi, nel separare dal totale, per approdare all’affermazione e attestazione, ciascun giurato manifesta inevitabili individualismi culturali. In origine, ci sta la geografia di vita, che impone a ciascuno di noi modelli, valori e richiami; quindi, si affacciano le visioni maturate nel corso della propria vita, a somma di esperienze e gusti e pre-intenzioni. La giuria del Sony World Photography Award 2014 ha portato all’estremo quanto era già emerso in edizioni precedenti, in forma latente. Oramai inviolabilmente anglocentrica, la giuria si è altresì rivelata consenziente, troppo consenziente, con progetti fotografici autenticamente fuori tema. Certo, non è semplice imbrigliare in identificazioni certe la fotografia contemporanea, il cui svolgimento sfugge spesso dai contenitori rigidi, stabiliti in tempi interamente antecedenti ai nostri giorni. Però, da qui a uscire dal seminato... la strada è comunque lunga, oltre che fuorviante.

SONY PHOTOGRAPHY AWARD Dopo le nostre considerazioni, con percorso curiosamente alternato, approdiamo al soggetto, ammesso e non concesso che ci sia ancora qualcuno che

Primo premio Professional Lifestyle: Myriam Meloni (Italia).

Primo premio Professional Nature & Wildlife: Michael Nichols (Usa).

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Primo premio Professional Arts & Culture: Viviana Peretti (Italia).

ne è all’oscuro: lanciato per la sua edizione inaugurale del 2008, il Sony World Photography Award si offre e propone come concorso fotografico di livello straordinariamente alto. Se così si può considerare la vicenda, in questo senso, annotiamo l’apprezzabile e apprezzato impegno di Sony nel mondo della fotografia consapevole (non solo fotoricordo: argomento per se stesso affascinante, ma estraneo all’azione fotografica riferita al proprio linguaggio espressivo), nel quale la casa giapponese è entrata all’indomani dell’acquisizione delle linee produttive Konica-Minolta, con la propria famiglia di reflex e CSC -

Compact System Camera α / Alpha (in attualità, Sony α7R, premio di categoria ai TIPA Awards 2014; su questo stesso numero, da pagina 46). Al Sony World Photography Award 2014, promosso in Rete e sostenuto dai distributori nazionali, sono arrivate quasi centoquarantamila fotografie (139.554), da centosessantasei paesi del mondo (furono settantamiladuecentottantasei / 70.286, all’edizione di partenza 2008). Già da sola, questa cifra sarebbe impressionante, almeno quanto alto è lo standard dei finalisti di categoria arrivati alla selezione finale (con i distinguo appena richiamati), dove sono stati procla-

Primo premio Professional Sport: Salvatore Di Gregorio (Italia).

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PREMIO ALLA CARRIERA: MARY ELLEN MARK

Come tradizione, durante la cerimonia conclusiva del Sony World Photography Award 2014 è stato assegnato il rituale Outstanding Contribution to Photography Award, premio alla carriera insignito alla fotogiornalista statunitense Mary Ellen Mark, una delle più luminose personalità della fotografia contemporanea. Riprendiamo da una sua dichiarazione, espressa nell’ambito del dibattito sull’essenza della fotografia dei nostri giorni, della sua missione, del suo valore sociale e di racconto della vita nel proprio svolgersi. «Detesto fare ed esprimere distinzioni tra una fotografia che è utilizzata a fini giornalistici e un’altra catalogata a fini artistici. Per spiegarmi, faccio l’esempio di Larry Burrows, che è stato un grande fotografo [è morto in Laos, ai margini della guerra in Vietnam, il 10 febbraio 1971, quando l’elicottero dal quale fotografava è stato abbattuto]. Ricordi? Ha lavorato a lungo in Vietnam e la sua celebre fotografia del soldato ferito è vera e autentica arte. Infatti, evoca tutta una varietà di emozioni come fa l’arte: per questo è arte. «Perciò, non amo la distinzione tra art photography e documentary photography. Quando scatto una fotografia, non penso che “sto realizzando una immagine artistica”. Semplicemente, può darsi che mi accorga che sto scattando una grande fotografia o che almeno stia cercando di scattarla [queste sensazioni di pelle appartengono a tutti coloro che fotografano allineando il cuore con il cervello, in allegoria dell’allineamento analogo teorizzato da Henri Cartier-Bresson]. È difficile scattare grandi fotografie. Una fotografia è arte se è una grande fotografia, sia che si tratti di fotogiornalismo, di paesaggio o di una interpretazione concettuale». Mary Ellen Mark In copertina di FOTOgraphia, dell’ottobre 2010, Mary Ellen Mark (con Ram Prakash with His Elephant Shyama; Great Golden Circus; Ahmedabad, India, 1990), in un ritratto polaroid 50x60cm di Tim Mantoani, per la sua serie Behind Photographs.

mati i vincitori di ogni categoria prevista e il vincitore assoluto (nello specifico, la vincitrice assoluta). Il programma del Sony World Photography Award 2014 è stato scandito al ritmo di premi e attribuzioni per la fotografia non professionale e per quella professionale (di richiamo principale). In questo ordine: Student Focus Award, per gli istituti scolastici di fotografia (Italia sempre assente); Youth Award, per giovani sotto i vent’anni; Open Competition, con dieci vincitori di categoria e un vincitore assoluto (l’italiano Ivan Pedretti, vincitore nella categoria Panoramic); Kraszna-Krausz Book Awards, in tre categorie. I Professional Awards sono scanditi in quattordici categorie: Contemporary Issues, People (con l’italiano Vinicio Drappo tra i tre finalisti), Architecture, Still Life (con l’italiano Matteo Mezzadri tra i tre finalisti), Conceptual, Travel, Lifestyle (nella quale si è affermata l’italiana Myriam Meloni; con un altro italiano, Salvatore Esposito, finalista), Arts & Culture (nella quale si è affermata l’italiana Viviana Peretti; con un’altra italiana, Elisa Sturaro, finalista), Sport (nella quale si è affermato l’italiano Salvatore Di Gregorio), Campaign, Nature & Wildlife, Current Affairs

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(con l’italiano Salvatore Esposito, finalista anche in Lifestyle, tra i tre finalisti), Landscape, Portraiture (con l’italiana Anna Di Prospero tra i tre finalisti). Quindi, l’Outstanding Contribution to Photography Award, premio alla carriera, alla vita in fotografia, è stato assegnato alla statunitense Mary Ellen Mark. Ma il conforto dei numeri e dettagli non è il solo valore della manifestazione, che fin dalla sua prima edizione si è imposta nel panorama internazionale non solo per la quantità, ma soprattutto per la qualità delle immagini (con i distinguo 2014 appena richiamati), che si concretizza anche in un ben allestito catalogo ed è riunita in una avvincente e affascinante mostra: nostri distinguo a parte, considerazione che riferiamo al gradimento fotografico del pubblico. Ed è giusto questo che vale più di qualsivoglia analisi: il coinvolgimento fotografico del pubblico, magari con relativa proiezione sui consumi (come legittimamente si augurano gli operatori commerciali). Da parte nostra, ci basta e appaga la diffusione di buona fotografia, la sottolineatura di buona fotografia. Per questa edizione, con nostri distinguo espressi con determinazione. ❖



di Maurizio Rebuzzini

C

ominciamo da questo. Da una rilevazione che sottolinea -stabilendola, persinola cifra stilistica e sostanziale della straordinaria cerimonia di inaugurazione della nuova fabbrica e sede direzionale di Leica -che è tornata a Wetzlar, dove affondano le sue radici-, fatta coincidere con la solenne celebrazione dei cento anni, conteggiati dall’apparato originario di Oskar Barnack, per fotogrammi 24x36mm su pellicola 35mm a doppia perforazione, di origine cinematografica (ne riferiamo da pagina 37). Cominciamo da una considerazione che Karin Rehn-Kaufmann, Direttore Artistico Leica Galerie, ha espresso nel suo discorso introduttivo, che nel programma di inaugurazione, lo scorso ventidue maggio, ha completato le relazioni tecnico-commerciali della direzione.

Dall’autorevolezza del proprio ruolo, della propria personalità aziendale, Karin Rehn-Kaufmann ha affermato che Leica produce apparecchi fotografici, per suo mandato esplicito e statutario. Ma non bisogna dimenticare, né trascurare, che -a propria volta- le macchine fotografiche creano immagini. Ed è questa la fantastica e magica differenza che distingue (dovrebbe distinguere) anche il processo produttivo, proiettandolo verso una missione che si presenta nella società, sia quando la fotografia è realizzata da attori (professionisti) che raccontano la vita nel proprio svolgersi, sia quando la fotografia è declinata nell’ambito e territorio privato: in ogni caso, azione creativa attiva e non passiva. In definitiva, questa dovrebbe essere una condizione/considerazione/opinione/convinzione trasversale e sovrastante a tutto l’impianto commerciale della fotografia, ma in genere non lo è. E que-

Inaugurata lo scorso ventidue maggio, la nuova sede amministrativa e fabbrica Leica non si profila come semplice e sola vicenda di ordine logistico. Ma la sua sontuosità, che riserva anche ampi spazi al racconto storico di se stessa e della fotografia in assoluto, è

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RITORNO A


NUOVO INIZIO

Allo stesso momento, nei momenti di inaugurazione, ha fatto capolino anche un’altra ipotesi, che Leica rivela di aver interpretato con piglio e decisione: quella di un ritorno, che si accompagna con un nuovo inizio. Nata a Wetzlar, in Germania, nell’ambito del contenitore ottico Leitz -dal quale, per l’appunto, il fortunato conio Leica, da Leitz Camera-, negli anni Ottanta, la produzione di macchine fotografiche si separò dalla casa madre, trasferendo la propria sede a Solms, a pochi chilometri di distanza, nella medesima area geografica. Ora, alla luce di strategie tecnico-commerciali che miscelano con saggezza e lungimiranza il presente al passato, per affrontare il futuro del mercato, anche il ritorno a Wetzlar è una delle tessere di un elaborato mosaico da osservare con rispetto e, perché no?, ammirazione. Infatti, questa affascinante combinazione, che

MICHAEL KISSELBACH

sta ufficializzata da Leica, non soltanto a parole, ma con i fatti (esposizioni fotografiche alla Photokina [in FOTOgraphia, del novembre 2012], Leica Museum nella nuova sede di Wetzlar, che stiamo per incontrare, Leica Galerie nel mondo [a Milano, da metà maggio]), è una educazione di impresa che si estende oltre i soli riferimenti tecnici, per comprendere la definizione di un commercio rivolto all’applicazione attiva di un interesse. In ripetizione d’obbligo: sia che si tratti di semplice e nobile fotoricordo domenicale, sia che si tratti di impegno individuale più sostanzioso (quel fotoamatorismo, anche organizzato, frequentato da molti), sia che si svolga nel fotogiornalismo, che dalla cronaca si proietta verso la Storia del mondo, la fotografia è una disciplina diversa da altre. Diversa, perché migliore: sempre e comunque attiva e non passiva. Il valore del Tempo che l’attraversa non è certo questione da poco.

la parte più evidente e clamorosa di una strategia a tutto tondo: dalla progettazione alla produzione, al commercio. Prodotto di alto profilo, Leica si distingue dall’insieme al quale (giocoforza) appartiene, affermando una personalità a dir poco perentoria

A WETZLAR

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MICHAEL AGEL (2)


fa tesoro della propria Storia e che sottolinea anche la Storia della Fotografia, è interpretata come valore in più, come valore distintivo di una linea di attrezzature fotografiche che si offre e presenta in analogo accostamento: soluzioni tecnologiche d’attualità abbinate a interpretazioni classiche senza tempo. Ne è esempio, che vale per tutto, il rigore assoluto degli obiettivi a focale fissa e messa a fuoco manuale del fantastico e ambìto sistema Leica M, nella sua odierna consistenza ad acquisizione digitale di immagini, sull’impianto storico avviato con la M3, del 1954. In ogni propria interpretazione, indiscutibile linea di apparecchi di alto valore contenutistico, con corrispondente collocazione economica altrettanto elevata, l’attuale personalità Leica non fa alcun mistero della propria vocazione verso la qualità fotografica assoluta, senza deroghe, né negoziazioni: dal sistema a telemetro M alle compatte di classe X, dalla medio formato S2 alla recente compatta a obiettivi intercambiabili T [FOTOgraphia, maggio 2014]. A conseguenza, la strategia di mercato è coincidente e corrispondente: commercializzazione attraverso una selezionata rete di punti vendita spe-

cialistici, che in ambiente idoneo e confortevole, estraneo al chiasso della concorrenza serrata sui prezzi, offrano servizi adeguati e siano in grado e condizione di sottolineare le prerogative tecniche che determinano i valori di vendita-acquisto. Ancora, per avvicinare un pubblico (di alto profilo) estraneo al circuito tradizionale della fotografia, Leica Store monomarchio, che danno peso e risalto alla distinzione del brand all’interno della pur vasta ed eterogenea offerta globale per fotografia. A tutt’oggi, per quanto riguarda l’Italia, Leica Store a Firenze, nei pressi di Ponte Vecchio, in pieno circuito turistico-culturale del capoluogo toscano, e a Milano, di fatto in piazza del Duomo, di fronte alla cattedrale. Nel caso di Milano, il Leica Store è completato da una affascinante e appassionante Leica Galerie, che si propone di promuovere la Fotografia, e dalla sede dei corsi propedeutici periodici e specialistici della prestigiosa Leica Akademie.

STRATEGIA GLOBALE Se ce ne fosse bisogno, tutto questo per annotare che la sontuosità della nuova sede aziendale di Wetzlar -che oltre a svolgere i propri compiti istituzionali si propone come indirizzo di richiamo

La nuova sede Leica, a Wetzlar, da dove tutto è nato, inaugurata lo scorso ventidue maggio, occupa una vasta area, definita Leitz Park, declinata con una architettura di grande fascino e visibilità (in notturno, sulla doppia pagina precedente), e interpretata con una avvincente e convincente atmosfera di alta fotografia, di fotografia che definisce la Storia contemporanea. All’ingresso della nuova sede Leica, tra diversi richiami storici, alcuni anche per l’evoluzione tecnologica del sistema fotografico, dal 1914, il Leica Museum certifica il racconto della vita nel proprio svolgersi... in punta di Leica: 36 aus 100 (Trentasei da Cento).

MAURIZIO REBUZZINI

1914: DA OSKAR BARNACK

Come le storiografie più accreditate certificano, la nascita della Leica è tratteggiata da una sorta di “preistoria”, che va ricordata. Quello che viene oggi definito UR (prefisso che in tedesco significa primitivo, primordiale: rafforzativo del concetto di originario) non fu un autentico prototipo. Più semplicemente, era stato inteso da Oskar Barnack come una sorta di portapellicola-esposimetro. Attorno al 1913-1914, gli serviva per esporre fotogrammi 24x36mm su pellicola cinematografica 35mm a doppia perforazione, utilizzati per controllare l’esposizione. Girando spezzoni di film per conto di Émil Méchau, che li avrebbe impiegati in un cineproiettore di sua progettazione, Oskar Barnack finalizzava i negativi UR alla comparazione per lo sviluppo della pellicola cinematografica. Per ogni sequenza cinematografica ripresa, veniva scattata anche una “fotografia”, con regolazioni equivalenti di tempo e diaframma. Prima di sviluppare la costosa pellicola cinematografica, si sviluppava lo spezzone di pellicola “fotografica”. In relazione agli scatti, si sarebbe potuto eventualmente modificare lo sviluppo della pellicola cinematografica, per ottenerne fotogrammi esposti adeguatamente. Da cui, la definizione di “esposimetro a rimando”. Si sa che, in seguito, questo “involucro” venne apprezzato da Ernst Leitz II, che l’usò con successo in un suo viaggio a New York. Da cui l’ipotesi di produrre una macchina fotografica 24x36mm, assolutamente insolita nei primi decenni del Novecento. A questo proposito, è doveroso annotare che, nel frattempo, si erano resi disponibili ingranditori per amplificare i negativi fotografici sulla stampa positiva, su carta; altrimenti, se si fosse dovuto agire solo per stampe a contatto diretto del negativo, come fatto per tutto l’Ottocento, l’ipotesi 24x36mm non sarebbe stata percorribile. Coraggiosamente, la storia evolutiva Leica ha preso avvio nel 1923, con una pre-serie di trentuno prototipi operativi Leica 0 (Nullserie), destinati alle prove sul campo (altre fonti parlano di venticinque esemplari). A seguire, nel 1925, venne prodotta e iniziò a essere commercializzata la Leica I originaria, dalla quale parte l’albero genealogico che approda alle attuali Leica M9-P, M-E, M e M Monochrom ad acquisizione digitale di immagini, per quanto riguarda la linea diretta degli apparecchi a telemetro.

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COPIE DIFFORMI

(chiaramente ispirato alla figura del protagonista di 1984, di George Orwell, appunto incaricato di falsificare la storia) è stato pubblicato in Italia dalla casa editrice Corbaccio (Milano, 1994). Più recente è lo straordinario e imperdibile Un’autentica bugia. La fotografia, il vero, il falso, di Michele Smargiassi (Contrasto, 2009): il titolo dice tutto. Dal nostro osservatorio, pur biasimando le operazioni truffaldine e disoneste, ribadiamo ancora una volta come la serena falsificazione si configuri come attestato di valore: si falsifica ciò che vale ed è mitico. Dunque, ipotizziamo una lettura in chiave di certificazione di grandezza. Nel caso Leica, quando l’operazione non è condotta nel senso dell’inganno, le tante copie che si possono acquistare nei mercatini fotografici vanno prese per ciò che realmente sono: omaggio alla leggenda. Si tratta di falsi tanto grossolani, da essere appunto certificati come autenticamente tali: falsi, e non altro. All’atto pratico, non vale neppure la pena approfondire se si tratta di apparecchi Leica modificati, oppure di contraffazioni complete, con tanto di imitazione di marchi, nomi e incisioni in grande quantità e profusione, oltre che a richiesta: Luftwaffen-Eigentum, eserciti vari e personalizzazioni eterogenee. Del resto, le simil-Leica interpretano bene lo spirito di questi nostri tempi, tanto uguali al paese delle meraviglie nel quale si perde l’Alice di Lewis Carroll: apparenza e realtà si fondono in uno. Niente è ciò che sembra.

SIMIL-LEICA DALLA COLLEZIONE

DI

MASSIMO RICCHIO,

DI

CERVIGNANO,

IN PROVINCIA DI

LODI (FOTOGRAFIA DI MAURIZIO REBUZZINI)

Le simil-Leica reperibili nei mercatini d’antiquariato fotografico sono imitazioni grossolane quanto gradevoli, peraltro sono vendute come tali e non in vece degli originali che raffigurano. Dunque, con coraggio intellettuale, affermiamo come e quanto la falsificazione sia un attestato di valore. Niente truffa, ma solo il piacere di giocare con gustosi soprammobili. L’ipotesi ideologica della falsificazione affonda le proprie radici nella Storia. Dal punto di vista bibliografico, vanno citati titoli di libri che sono ormai considerati classici della materia. Pubblicato da Arnoldo Mondadori Arte (Milano, 1991), Veramente falso è il volume-catalogo della mostra allestita a cura della Fondation Cartier pour l’art contemporain, che ha affrontato la fenomenologia nel proprio insieme. Invece, il catalogo della mostra esposta al British Museum Fake? The Art of Deception (Falso? L’arte della contraffazione; Londra, 1990) si limita al solo mondo dell’arte, che successivamente è stato sconvolto dalle tesi espresse dalla giornalista Alice Beckett nel suo studio Fakes: forgeries and the art World (Falsi: contraffazioni e il mondo dell’arte; Londra, 1995). Alice Beckett espone una teoria sconcertante; afferma che oltre il quaranta percento delle opere esposte in musei o vendute all’asta sarebbero false. Parecchi galleristi lo saprebbero, ma fanno finta di niente, oppure fanno loro stessi parte del gioco. Invece, la falsificazione della Storia, attraverso cronache truffaldine e losche manipolazioni di fotografie, è stata messa in ordine da Alain Jaubert, il cui Il commissariato agli archivi

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MICHAEL AGEL

per la Storia della Fotografia (osservata dal punto di vista Leica)- e la luminosità della sua solenne inaugurazione non vanno lette unicamente in termini passivi, come fatto puramente logistico, ma debbono essere identificate come parte di una strategia aziendale. Consapevole del proprio valore, consapevole della propria personalità all’interno dell’ampio contenitore “fotografia”, Leica affronta oggi la trasformazione sociale del consumo fotografico distinguendo la propria identità, presto elevata a sinonimo stesso di fotografia. Due anni fa, alla luce di quanto già fu realizzato in occasione dell’edizione 2012 della Photokina, il più significativo appuntamento fieristico della fotografia tecnico-commerciale, dove e quando Leica prese addirittura in carico l’allestimento di una quantità e qualità di mostre fotografiche (in assenza/mancanza della precedente Visual Gallery, a cura della fiera), ipotizzammo una sua personalità forte e assoluta nei termini di Io sono fotografia. Proseguendo nel cammino allora avviato, con personalità perentoria, l’affermazione di princìpio di Leica è sempre più assoluta, inviolabile e inderogabile: Io sono fotografia; io ho contribuito a scrivere capitoli fondamentali della sua

storia evolutiva, che a propria volta si sono proiettati anche in capitoli altrettanto capitali e nodali della Storia del mondo contemporaneo. Nello spirito che ci è particolarmente caro del come e quanto la fotografia influenzi e abbia influenzato la vita, il fotogiornalismo del Novecento è stato scritto in punta di Leica (soprattutto!). E questo, insieme a tanto altro che sottolinea il valore della Storia, propria e in senso assoluto, è anche uno dei passaggi presenti nella nuova sede amministrativa e produttiva Leica, a Wetzlar, dove il passo del fotogiornalismo del Novecento è scandito per cadenze e richiami assoluti e inderogabili: presenti nella memoria collettiva.

Ovviamente, nella nuova sede Leica, in Leitz Park, a Wetzlar, non manca un ampio spazio tecnico-commerciale contemporaneo: alla maniera di quanto presente in molte città del mondo (in Italia, a Firenze e Milano), il Leica Store presenta la gamma di prodotti fotografici e il merchandising collegato, altrettanto apprezzato dal pubblico.

LA FOTOGRAFIA LEICA Se fino a qualche stagione fa si è potuto identificare come “Leica” una fotografia composta con garbo e riflessione, di soggetti avvicinati quasi in punta di piedi, inquadrati con la solennità e delicatezza del mirino esterno (con inviolabile accoppiamento alla messa a fuoco a telemetro), all’indomani del balzo in avanti ideologico della attuale personalità Leica (tra progettazione, produzione e (continua a pagina 43)

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DIECI PER DIECI FA CENTO

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Nell’ambito della solenne e sontuosa inaugurazione della nuova sede produttiva e amministrativa di Leica, nella affascinante area del Leitz Park, di Wetzlar, sono state allestite anche iniziative per celebrare il centenario, conteggiato dal “prototipo” originario di Oskar Barnack, storicizzato come UR Leica [a pagina 37]. Ovviamente, e come da convincente copione, tutte queste iniziative sono state declinate sulla cifra “100”, del centenario: per esempio, cento lotti di apparecchi Leica (e dintorni) e altrettanti cento lotti di fotografie per l’asta organizzata e svolta dalla rinomata WestLicht Photographica Auction, di Vienna, trasferitasi per un giorno a Wetzlar, per un intenso pomeriggio di aggiudicazioni. Ancora: affascinante collettiva 10x10, di dieci autori, ciascuno con dieci fotografie (ancora cento), ispirate a un autore storico della fotografia del Novecento. Con ben allestito catalogo, che riunisce le cento immagini, introdotte da opportuni testi esplicativi e a commento (116 pagine 21,5x28cm; distribuzione Leica Italia).

Alec Soth: Mind of Winter (William Eggleston).

Amedeo M. Turello: Street Scene (William Klein).

Thomas Ruff: Positive/Negative (Alexander Rodchenko).

Craig Semetko: Serendipity (Elliott Erwitt).

Evgenia Arbugaeva: Arctic Magic (André Kertész).


Kirill Golovchenko: Excavation (Lee Friedlander).

Julia Baier: Suspension (René Burri).

MAURIZIO REBUZZINI

Saga Sig: Dance of Lights (Jeanloup Sieff).

Allestimento della collettiva 10x10, nel foyer della nuova sede Leica, in Leitz Park, a Wetzlar, nell’area antistante l’avvincente Leica Museum, che celebra l’azienda e la fotografia.

Jing Huang: Poetry of Light (Henri Cartier-Bresson).

Dominic Nahr: Victoria (Robert Capa).

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MICHAEL AGEL (3)


(continua da pagina 39) commercio), dobbiamo aggiungere altro ancora. Sì, certo, ammesso e concesso che esista una Fotografia Leica (che pure esiste!), definita dai connotati appena richiamati, esiste ora un’altra Fotografia Leica che attraversa con piglio deciso e consapevole la Storia della stessa fotografia e del mondo. Entrambe queste Fotografia Leica sono realizzate e interpretate da autori capaci di raccontare la vita nel proprio svolgersi, capaci di trasmettere emozioni e sentimenti, capaci di cogliere quell’attimo decisivo che Henri Cartier-Bresson (inviolabile testimonial Leica, mancato il 3 agosto 2004, ricordato e celebrato da Le Monde come L’occhio del secolo e da Il Manifesto come Lo scatto del secolo) ha motivato e teorizzato fin dalla sua epocale raccolta fotografica originaria. Da Images à la Sauvette, del 1952, con edizione statunitense coeva e coincidente The Decisive Moment : «Nella fotografia esiste un nuovo genere di plasticità prodotta dalle linee istantanee, composte dai movimenti del soggetto. Noi lavoriamo all’unisono con il movimento, come se fosse un presentimento del modo in cui si svolge la vita. Ma all’interno del movimento esiste un mo-

mento in cui gli elementi dinamici si equilibrano. La fotografia deve fissare questo istante e mantenerne immobile l’equilibrio. L’occhio del fotografo deve sempre vagliare [...]. Avvicinando o allontanando la macchina fotografica dal soggetto, estrae un dettaglio che può essere subordinato, o che, a propria volta, può invece opprimerlo. [...] Aspettate e aspettate, e allora finalmente scattate: ve ne andate con la sensazione (sebbene non sappiate perché) di aver realmente realizzato qualcosa. [...] Se l’otturatore ha scattato nel momento decisivo, avete istintivamente fissato uno schema geometrico, senza il quale la fotografia sarebbe risultata informe e senza vita». In semplificazione: «A volte, c’è un’unica immagine la cui struttura compositiva ha un tale vigore e una tale ricchezza, e il cui contenuto irradia a tal punto al di fuori di essa, che questa singola immagine è in sé un’intera narrazione». È il momento decisivo, che Henri Cartier-Bresson ha fatto suo, riprendendo un pensiero del Cardinale de Retz (1613-1679): «Non vi è alcunché a questo mondo che non abbia un momento decisivo». Ritorno a Wetzlar: Storia, Tradizione, Presente. Per il Futuro. ❖

Oskar Barnack (1879-1936), alla sua postazione di lavoro, all’inizio degli anni Trenta. Tutta la storia Leica ha origine dal suo “prototipo” del 1914, dal quale ha preso avvio la fotografia 24x36mm, che ha definito l’intero Novecento, e che ancora oggi è riferimento principale della tecnologia applicata: in qualsivoglia interpretazione d’attualità.

Ovviamente, l’architettura interna della nuova sede Leica, in Leitz Park, a Wetzlar, risponde a canoni architettonici di stretta contemporaneità, con spazi ampi e luce ben distribuita.

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nel 2004: centoventicinque anni dalla nascita di Oskar Barnack (1879-2004)

Emissione filatelica della Micronesia, del 1999: Leica, “prima macchina fotografica 35mm di successo commerciale (1925)”. È raffigurato il prototipo Leica 0 (Nullserie).


Leica 0

Prototyp 2

www.newoldcamera.com


Selezionati con competenza tra quanti sono stati introdotti sul mercato nell’ultimo anno, gli autorevoli TIPA Awards 2014 ribadiscono la personalità di queste significative attribuzioni. Sono i più prestigiosi, qualificati e ambìti premi della fotografia, assegnati dalla selettiva giuria della Technical Image Press Association, composta da direttori e/o redattori di ventotto qualificate riviste internazionali di fotografia. Assegnate a ventidue marchi, quaranta aggiudicazioni mettono l’accento sull’evoluzione tecnica dell’intero comparto della fotografia

All’Assemblea Generale TIPA 2014, durante la quale sono stati assegnati i TIPA Awards 2014, hanno partecipato rappresentanti di ventitré riviste internazionali di fotografia aderenti alla Technical Image Press Association (TIPA); gli assenti, hanno votato per delega. Tradizionale, il gruppo fotografico (senza ordine rispetto l’immagine, ma in ordine per nazioni): Paul Burrows e Victoria Jefferys ( Camera, Australia), Guy Langevin ( Photo Life, Canada), Chen Zhongyuan e Zhai Xiaodong ( Chinese Photography, Cina), Jean-Christophe Béchet ( Réponses Photo, Francia), Roland Franken ( digit!, Germania), Holger Hagedorn ( Foto Hits, Germania), Henning Gerwers ( Inpho Imaging & Business, Germania), Thomas Gerwers ( ProfiFoto, Germania),

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Taku Yoshinaga (Camera Journal Press Club, Giappone), Dimitrios Tzimas ( Photo Business, Grecia), Panagiotis Kaldis ( Photographos, Grecia), Shridhar Kunte ( Better Photography, India), Jonathan Adams ( Digital Photo, Inghilterra), Adam Scorey ( Professional Photographer, Inghilterra), Ben Hawkins ( Practical Photography, Inghilterra), Giulio Forti ( Fotografia Reflex, Italia), Maurizio Rebuzzini ( FOTOgraphia, Italia), Johan Elzenga ( Fotografie e FotoVisie, Olanda), Jan Paul Mioulet ( P/F, Olanda), Alberto Cabello ( Arte Fotográfico, Spagna), Alfonso Del Barrio ( FV/Foto-Video Actualidad, Spagna), Louise e Gavin Donald ( PiX Magazine, Sudafrica), George Schaub ( Shutterbug, Usa) e András Bánkuti ( Digitális Fotó Magazin, Ungheria).


VALORI ASSOLUTI TIPA AWARDS 2014: PREMI E VINCITORI

Reflex entry level ............................................................... Nikon D3300 Reflex advanced .............................................................. Canon Eos 70D Reflex expert .......................................................................... Pentax K-3 Reflex professionale ................................................................ Nikon D4s Sistema medio formato ............................................... Phase One IQ250 CSC entry level .................................................. Olympus OM-D E-M10 CSC advanced ................................................................. Samsung NX30 CSC expert .......................................................................... Fujifilm X-T1 CSC professionale ........................................................... Sony Alpha 7R Compatta easy .............................................................. Samsung WB50F Compatta expert ................................. Canon PowerShot G1 X Mark II Compatta superzoom ................. Panasonic Lumix DMC-TZ60 / ZS40 Compatta resistente (Rugged) ........................................... Nikon 1 AW1 Apparecchio di prestigio ........................................................... Nikon Df Obiettivo CSC entry level ....................... Olympus M Zuiko Digital ED 14-42mm f/3,5-5,6 EZ Obiettivo CSC expert ......................... Fujinon XF 10-24mm f/4 R OIS Obiettivo CSC prime lens ........................................... Zeiss Touit Series Obiettivo entry level .................................. Sigma 18-200mm f/3,5-6,3 DC Macro OS HSM Obiettivo expert ............. Tamron SP 150-600mm f/5-6,3 Di VC USD Obiettivo professionale ............................. Canon EF 200-400mm f/4L IS USM Extender 1,4x Stampante fotografica ...................... Epson Expression Photo XP-950 Carta inkjet ................................... Hahnemühle Photo Silk Baryta 310 Photo TV ........................................................ LG UHD UB980 Series TV Proiettore ................................................................... Epson EH-TW7200 Software ........................................................................ DxO ViewPoint 2 Mobile Photo App .............................................................. Photosmith 3 Accessorio ................................ SanDisk Connect Wireless Flash Drive Treppiedi ................................................ Manfrotto New 190 Collection Dispositivo di archiviazione ................................ SanDisk Extreme Pro SDHC/SDXC UHS-II Memory Card Video con reflex ....................................... Panasonic Lumix DMC-GH4 Videocamera ............................................................... Sony FDR-AX100 Dispositivo mobile fotografico ..................................... Sony QX Series Illuminazione professionale .................. Profoto B1 Off-Camera Flash Flash portatile ........................................................................... Nissin i40 Monitor ....................................................... LG 21:9 UltraWide 34UM95 Borsa fotografica ............................................... Thule Perspektiv Series Servizio fotografico conto terzi .... Sigma Mount Conversion Service Video action ....................................... Sony Action Cam HDR-AS100V Innovazione imaging ................................ Canon Dual Pixel Cmos AF Design ........................................................................... Sigma dp Quattro

Canon Eos 70D .............................................................. Reflex advanced Canon PowerShot G1 X Mark II ................................. Compatta expert Canon EF 200-400mm f/4L IS USM Extender 1,4x ............................... Obiettivo professionale Canon Dual Pixel Cmos AF ................................ Innovazione imaging DxO ViewPoint 2 ........................................................................ Software Epson Expression Photo XP-950 ...................... Stampante fotografica Epson EH-TW7200 ................................................................... Proiettore Fujifilm X-T1 .......................................................................... CSC expert Fujinon XF 10-24mm f/4 R OIS ......................... Obiettivo CSC expert Hahnemühle Photo Silk Baryta 310 ................................... Carta inkjet LG 21:9 UltraWide 34UM95 ....................................................... Monitor LG UHD UB980 Series TV ........................................................ Photo TV Manfrotto New 190 Collection ................................................ Treppiedi Nikon D3300 ............................................................... Reflex entry level Nikon D4s ................................................................ Reflex professionale Nikon Df ........................................................... Apparecchio di prestigio Nikon 1 AW1 ........................................... Compatta resistente (Rugged) Nissin i40 ........................................................................... Flash portatile Olympus OM-D E-M10 .................................................. CSC entry level Olympus M Zuiko Digital ED 14-42mm f/3,5-5,6 EZ ........................... Obiettivo CSC entry level Panasonic Lumix DMC-TZ60 / ZS40 ................. Compatta superzoom Panasonic Lumix DMC-GH4 ....................................... Video con reflex Pentax K-3 .......................................................................... Reflex expert Phase One IQ250 ............................................... Sistema medio formato Photosmith 3 .............................................................. Mobile Photo App Profoto B1 Off-Camera Flash .................. Illuminazione professionale Samsung WB50F .............................................................. Compatta easy Samsung NX30 ................................................................. CSC advanced SanDisk Connect Wireless Flash Drive ................................ Accessorio SanDisk Extreme Pro SDHC/SDXC UHS-II Memory Card .... Dispositivo di archiviazione Sigma 18-200mm f/3,5-6,3 DC Macro OS HSM ......................................... Obiettivo entry level Sigma dp Quattro ........................................................................... Design Sigma Mount Conversion Service .... Servizio fotografico conto terzi Sony Alpha 7R ........................................................... CSC professionale Sony Action Cam HDR-AS100V ....................................... Video action Sony FDR-AX100 ............................................................... Videocamera Sony QX Series ..................................... Dispositivo mobile fotografico Tamron SP 150-600mm f/5-6,3 Di VC USD ............. Obiettivo expert Thule Perspektiv Series ............................................... Borsa fotografica Zeiss Touit Series ........................................... Obiettivo CSC prime lens

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di Antonio Bordoni

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omanda d’obbligo: qual è il percorso per il quale un prodotto fotografico, uno strumento della fotografia, viene insignito con il TIPA Award di categoria? La selezione e distinzione dell’autorevole giuria dei TIPA Awards, composta da direttori e redattori di ventotto riviste fotografiche internazionali (in origine, soltanto europee, da qualche stagione, autenticamente planetarie), non si basa tanto sul confronto (scontro?) tra configurazioni analoghe e omogenee nella propria proposizione tecnico-commerciale, quanto su un giudizio autonomo e indipendente: diciamo, per se stesso (prodotto) in quanto tale. Da cui, la motivazione del premio rivela l’essenza, sottolinea il senso e valore. Come da qualche stagione a questa parte, all’indomani della consistente manifestazione della tecnologia fotografica digitale, che ha moltiplicato gli strumenti di uso e consumo, i TIPA Awards 2014 hanno indicato quaranta prodotti, per altrettante categorie operative di riferimento. Ovviamente, la scomposizione/suddivisione si basa sull’ufficialità dei termini e relazioni tecniche; altrettanto ovviamente, qualcuno può oggi dissentire da tanto e tale frazionamento, che se arrivasse integro al pubblico consumatore, verso il quale è orientata la produzione industriale, potrebbe risultare persino disarmante, se non già addirittura sconcertante. Infatti, come altri che la pensano allo stesso modo, siamo perfettamente convinti che l’utente che desidera uno strumento fotografico non scandisca la propria aspirazione, ma si comporti linearmente: sta all’interlocutore commerciale indirizzarlo verso la scelta più adeguata, sia questa entry level, piuttosto che advanced, o expert, se non persino professional. Ancora, e poi basta, anche la separazione tra reflex, CSC - Compact System Camera (in origine, Mirrorless) e compatte ha motivo di esistere soltanto nella propria misura statistica: perché al pubblico deve arrivare la nozione di macchina fotografica, punto e basta. Casomai, macchina fotografica congeniale e compatibile con le necessità da assolvere. In particolare, vorremmo che le CSC - Compact System Camera smettessero di essere classificate, quantomeno sugli scaffali di vendita, per essere integrate nella personalità attuale della fotografia dei nostri giorni. In ogni caso, è logico che i TIPA Awards cadenzino e sillabino le categorie di riferimento dell’intero mercato, in modo da poter segnalare ciò che la giuria ha ritenuto e ritiene degno di aggiudicazione. Sta poi al percorso commerciale fare tesoro di queste indicazioni, sottolineare il valore dei singoli prodotti, certificare la relativa valenza tecnica, se non già persino tecnologica. Insomma... i TIPA Awards si affermano nella propria qualificata e competente proiezione di mercato: con certificazioni di capacità sulle rispettive confezioni di vendita, piuttosto che in accompagnamento agli annunci pubblicitari.

QUARANTA TIPA AWARDS 2014 In una apposita sintesi tabellare, ricapitoliamo la sequenza dei quaranta ambìti e prestigiosi TIPA Awards 2014, ribadiamo assegnati dalla valida giuria composta da direttori e/o redattori delle ventotto riviste internazionali di fotografia aderenti alla Technical Image Press Association (www.tipa.com). Al solito, li riepiloghiamo in due elenchi distinti: uno sequenziale delle quaranta categorie indicate, con progressione razionale dalla ripresa fotografica vera e propria (autentica-

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BEST DSLR ENTRY LEVEL NIKON D3300

Una delle prime reflex entry level prive di filtro passa-basso, la Nikon D3300 ha un sensore Cmos da 24,2 Megapixel in formato DX, una gamma di sensibilità da 100 a 12.800 Iso (equivalenti) e offre una velocità di ripresa di cinque fotogrammi al secondo. Fotografie e video in formato Full-HD a 1080p possono essere condivisi con l’adattatore Nikon WU-1a (il trasferimento di video agli smart device è possibile con l’app Android WMU - Wireless Mobile Utility). La Nikon D3300 è compatta, 124x96x73mm: il che la fa rientrare nella nuova generazione di DSLR che competono con le CSC per chi voglia le caratteristiche di una reflex digitale in un corpo macchina maneggevole e più comodo da trasportare. Per chi si avvicina alle reflex digitali per la prima volta, al suo interno c’è la modalità Guida che fornisce istruzioni passo-passo per ottenere risultati migliori.

BEST CSC ADVANCED SAMSUNG NX30

La Samsung NX30, con sensore APS-C Cmos da 20,3 Megapixel, offre la velocità massima di otturazione pari a 1/8000 di secondo e una cadenza di scatto fino a nove fotogrammi al secondo. È dotata di un mirino elettronico orientabile e di monitor ad alta risoluzione Super Amoled da tre pollici, altrettanto orientabile e con funzionalità touch screen. Mentre molte macchine fotografiche si possono connettere a dispositivi associati, la Samsung NX30 sembra incarnare lo stato dell’arte in questo senso: la modalità “Tag & Go” sfrutta la connettività NFC ed è in grado di collegarsi a quattro dispositivi distinti, grazie al “MobileLink”. Ha la funzione “Auto Share”, che invia automaticamente le immagini a uno smartphone o un tablet; inoltre, sono preinstallate le applicazioni web Dropbox e Flickr, utilizzabili in alcune regioni.


BEST DSLR ADVANCED CANON EOS 70D

BEST DSLR PROFESSIONAL NIKON D4S

La Canon Eos 70D ha un sensore APS-C Cmos da 20,2 Megapixel e il processore Digic 5+, che permette di scattare fino a sette fotogrammi al secondo e offre una gamma di sensibilità da 100 a 12.800 Iso (equivalenti), che può essere espansa fino a 25.600 Iso (altrettanto equivalenti). Il sistema AF si arricchisce di diciannove punti a croce. La svolta nella Canon Eos 70D è il sistema Dual Pixel Cmos AF, che consente di acquisire anche i video in Live View, con grande precisione di messa a fuoco, così come la rapidità di messa a fuoco per le fotografie. Il touch screen LCD Clear View II, ad angolazione variabile, misura tre pollici e ha una risoluzione di 1.040.000 pixel. Modulo wireless integrato per la condivisione o la gestione della reflex in remoto, tramite l’app Canon Eos.

La Nikon D4s adotta un sensore FX di nuova concezione, da 16,2 Megapixel, che lavora in combinazione con il processore di elaborazione delle immagini Expeed 4, fornendo immagini e video Full-HD ottimali, in diversi frame rate. La nuova funzione Group AF e miglioramenti complessivi nel sistema Nikon AF a cinquantuno punti, insieme alla sensibilità -che raggiunge l’incredibile valore di 409.600 Iso equivalenti-, rappresentano le più importanti novità. Potenziata anche la velocità di circa il trenta percento; può scattare fino a undici fotogrammi al secondo, con autofocus e esposizione automatica. La Nikon D4s utilizza schede CF e supporta anche il formato XQD super veloce, per raggiungere la più elevata rapidità possibile di trasferimento e scrittura.

BEST CSC EXPERT FUJIFILM X-T1

BEST CSC PROFESSIONAL SONY ALPHA 7R

La Fujifilm X-T1 è una macchina fotografica a obiettivi intercambiabili, resistente agli agenti atmosferici, con mirino elettronico Oled, dotata del sensore di ultima generazione X-Trans Cmos II APS-C da 16,3 Megapixel. La Fujifilm X-T1 ha circa ottanta guarnizioni di tropicalizzazione, che le consentono di resistere alla polvere e all’acqua. Il monitor LCD da tre pollici ha 1.040.000 pixel di risoluzione, ed è realizzato in vetro temperato, per ulteriore protezione. Integrati nel sensore, ci sono i pixel per la rilevazione di fase, che permettono di utilizzare la funzione “Digital Split Image”, per l’aiuto nella messa a fuoco, aumentando la precisione nelle riprese a tutta apertura e in quelle macro. La tecnologia LMO - Lens Modulation Optimizer integrata mostra tutti i dati di scatto con tutti gli obiettivi.

La Sony α7R è la più piccola e più leggera CSC dotata di sensore full-frame: Exmor Cmos, da ben 36,4 Megapixel, privo di filtro passa-basso. Utilizzo, accesso ai controlli e gestione dei parametri di scatto sono familiari ai fotografi: insieme a una serie di funzioni che comprendono l’Auto HDR, numerosi effetti, il peak focus, video 1080p a sessanta e ventiquattro fotogrammi al secondo e gamma di sensibilità che va da 100 a 25.600 Iso (equivalenti) sono la base della Sony α7R. Inoltre, e ancora: quattro fotogrammi al secondo in modalità di scatto continuo. In simultanea, sono stati presentati cinque obiettivi dedicati, con baionetta Sony FE. Tramite adattatori dedicati, si possono utilizzare anche gli obiettivi E mount, che automaticamente si adattano al formato APS-C, e A mount. La dotazione comprende anche la connettività NFC e WiFi.

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mente tale) alla gestione infrastrutturale dell’immagine; l’altro alfabetico, per case produttrici. Da questa seconda sintesi, si ricava una ulteriore indicazione, da sottolineare: i quaranta TIPA Awards sono stati assegnati a ventidue marchi. E qui corre l’obbligo di una evidenziazione. Quattro premi sono andati a Canon e Nikon, indiscutibili leader di mercato, che si esprimono sempre e comunque ai massimi livelli qualitativi e fotograficamente propositivi. Altrettanti quattro premi a Sony, equamente suddivisi tra ripresa fotografica e registrazione video. Tre premi a Sigma, che si sta esprimendo sia nel proprio comparto istituzionale degli obiettivi universali (core business), sia in avvincente interpretazione dell’acquisizione digitale di immagini, con percorso completamente suo, autenticamente autonomo. Due premi sono stati assegnati, in ordine soltanto alfabetico, a Epson, Fujifilm, LG, Olympus, Panasonic, Samsung e SanDisk. I restanti undici TIPA Awards 2014 indicano DxO, Hahnemüle, Manfrotto, Nissin, Pentax, Phase One, Photosmith, Profoto, Tamron, Thule e Zeiss. Dunque, selezionati con lodevole competenza tra quanti sono stati introdotti sul mercato nell’ultimo anno, dall’aprile 2013 al marzo 2014, gli autorevoli TIPA Awards 2014 confermano e ribadiscono la personalità di queste significative attribuzioni, affermatesi stagione dopo stagione. Sono i più prestigiosi, qualificati e ambìti premi della fotografia, assegnati dalla selettiva giuria della Technical Image Press Association, che riconoscono, rilevano, rimarcano e mettono l’accento sull’evoluzione tecnica dell’intero comparto della fotografia.

BEST EASY COMPACT CAMERA SAMSUNG WB50F

La Samsung WB50F ha un sensore CCD da sedici Megapixel, per scattare fotografie e acquisire video HD, e uno zoom ottico 12x (equivalente all’escursione 24-288mm della fotografia 24x36mm). La compatta, che misura 101x66x25mm, ha un display LCD da tre pollici e stabilizzatore ottico di immagine, per contrastare l’effetto mosso anche alle lunghezze focali più spinte e in condizioni di luce scarsa. Numerose modalità Smart consentono applicazioni creative; c’è anche la funzione “Soft flash”, per ritratti morbidi e primi piani. Come per tutte le configurazioni Samsung, si segnala una ampia serie di opzioni per la connettività, tra le quali il “Tag & Go”, per collegare la compatta e gestirla in remoto con uno smartphone o un dispositivo abbinato.

VALORE DEI TIPA AWARDS Riprendendo il testo di un annuncio tabellare specifico e dedicato, che ne sottolinea lo spessore, ospitato anche su queste pagine, va sottolineato quanto ribadisce in termini oggettivi e condivisibili il valore dei TIPA Awards: «Se avete bisogno di conoscere quali siano i migliori prodotti fotografici, video e imaging, cercate i qualificati e autorevoli logotipi dei TIPA Awards. I TIPA Awards vengono assegnati in base a qualità, prestazioni e valore, tanto da farne i premi indipendenti della fotografia e dell’imaging dei quali potete fidarvi. Sono attribuiti dai direttori di ventotto riviste di fotografia e imaging, leader nel mondo, in cooperazione con il Camera Journal Press Club of Japan». Come già rilevato in altre occasioni, e la ripetizione si impone, statisticamente parlando, l’eterogeneità dei punti di vista dei membri dell’autorevole Technical Image Press Association, che riprendono l’intero pianeta, assicura la fondatezza dei giudizi espressi e meriti accordati, che appunto derivano e dipendono da una confortevole e concentrata osservazione tecnica a giro tondo, senza soluzione di continuità. La configurazione TIPA - Technical Image Press Association evita ogni possibile predominanza e preconcetto. Addirittura, risulta benefica, oltre che straordinariamente efficace, la comunione di intenti tra riviste dichiaratamente tecniche, che con competenza elevano le relative condizioni a valore assoluto e inviolabile, e riviste rivolte all’immagine, che subordinano il momento originariamente tecnico all’interpretazione creativa (se proprio vogliamo rilevarlo, FOTOgraphia, che porta in TIPA la propria particolare esperienza e visione, è ancora altro: riflessione, analisi, approfondimento anche del linguaggio e degli stilemi espressivi). Confermiamo, ribadendolo, che le riviste TIPA rivendicano un ruolo di competenza fuori dal comune, capace di analiz-

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BEST PREMIUM CAMERA NIKON Df

La Nikon Df è una reflex full frame disegnata seguendo lo stile di leggendarie Nikon del passato (a pellicola), con numerose ghiere di controllo che gestiscono le funzioni fotografiche. All’interno del corpo retrò in magnesio, si trovano un sensore Cmos full frame da 16,2 Megapixel, un processore Expeed, 2016 pixel per la misurazione Matrix e un sistema AF a trentanove punti. La reflex offre fino a cinque scatti nella funzione auto-bracketing (per l’esattezza, 5,5 fotogrammi al secondo) e sensibilità massima di 204.800 Iso (equivalenti). La Nikon Df permette di utilizzare tutti gli obiettivi Nikkor attuali, così come gli obiettivi Ai e i classici/storici non Ai. Infine, è dotata sia di mirino a pentaprisma in vetro sia di un monitor LCD da 3,2 pollici.


BEST EXPERT COMPACT CAMERA CANON POWERSHOT G1 X MARK II

BEST RUGGED CAMERA NIKON 1 AW1

Le compatte della serie Canon PowerShot G sono sempre state tenute in alta considerazione; la più recente Canon PowerShot G1 X Mark II offre 13,1 Megapixel di risoluzione, con sensore da 1,5 pollici, zoom 5x f/2-3,9 (equivalente all’escursione 24-120mm della fotografia 24x36mm) e molte funzioni personalizzabili. Può scattare fotografie in formato grezzo Raw a quattordici bit, più file compresso Jpeg, con un sistema AF accurato e veloce a trentuno punti. La composizione è semplificata, grazie al display LCD touch-screen orientabile, da 1,04 Megapixel sRGB, con il cento percento di copertura del campo inquadrato. L’esposizione e altri accomodamenti possono essere gestiti individualmente, grazie alla doppia ghiera sull’obiettivo. Disponibile la registrazione video Full-HD, così come le connettività Wi-Fi e NFC. La distanza minima di messa a fuoco è a 5cm, ed è disponibile anche la messa a fuoco manuale con focus peak.

La Nikon 1 AW1 è la prima configurazione CSC impermeabile (fino a 15m), resistente agli urti (cadute da 2m) e al freddo (fino a -10 gradi). Realizzata per gli appassionati di sport estremi, o semplicemente escursioni in natura, incorpora il GPS, l’altimetro, il profondimetro, una bussola elettronica e un indicatore visivo dell’orizzonte, oltre al Wi-Fi, grazie all’adattatore Nikon Wu-1b. Dispone anche di un flash pop-up resistente all’acqua! In combinazione con il processore Expeed 3a, il sensore Cmos da 14,2 Megapixel permette di scattare fotografie e realizzare video HD con una gamma si sensibilità da 160 a 6400 Iso (equivalenti). Possono essere utilizzati tutti gli obiettivi Nikon 1, ma due in particolare accompagnano questa consistente AW1, lo zoom 11-27,5mm e un grandangolare 10mm f/2,8, entrambi impermeabili; altri ne arriveranno.

BEST CSC EXPERT LENS FUJINON XF 10-24mm f/4 R OIS

BEST ENTRY LEVEL DSLR LENS SIGMA 18-200mm f/3,5-6,3 DC MACRO OS HSM

Questo zoom, la cui escursione equivale alla variazione 15-36mm della fotografia 24x36mm, inevitabile riferimento d’obbligo, incorpora lo stabilizzatore di immagine e può contare su un sistema ottico di nuova progettazione, che comprende quattro lenti asferiche e lenti in vetro a basso indice di dispersione. Il motore interno permette una messa a fuoco accurata e molto veloce, che lo rende uno zoom rapido e silenzioso. Sfruttando la funzione macro, la distanza minima di messa a fuoco è da circa 30cm (fino a circa 3m), mentre in condizioni standard (da 45cm all’infinito) si può sfruttare l’apertura minima di diaframma, per una buona profondità di campo, o -viceversa- alla massima apertura si realizzano sfondi morbidi. Attraverso il rivestimento multistrato HT-EBC, un’attenzione particolare è stata dedicata alla riduzione delle immagini fantasma e del flare.

L’incredibilmente compatto (7x8,5cm) e conveniente Sigma 18-200mm f/3,5-6,3 Macro DC OS HSM (equivalente all’escursione 27-300mm della fotografia 24x36mm) è esclusivamente progettato per le reflex con sensori di dimensioni APS-C. È più piccolo e leggero della precedente analoga versione e offre una distanza minima di messa a fuoco ancora più ravvicinata. Al suo interno, c’è anche un nuovo elemento in vetro SLD oltre a tre vetri asferici compresi nelle sedici lenti totali, divise in tredici gruppi. Lo zoom è dotato anche del sistema di stabilizzazione ottico (OS), per quelle reflex che non lo hanno integrato nel proprio corpo macchina, e riconosce automaticamente il movimento del panning, modificando le impostazioni dell’OS su un solo asse. La distanza di messa a fuoco minima è di 45cm, per tutte le lunghezze focali: il che lo rende molto versatile in molteplici applicazioni fotografiche.

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zare il mercato fotografico che dal proprio presente si proietta in possibili e potenziali scenari del futuro, immediato ma anche più lontano. A diretta conseguenza, così profondamente studiati e motivati, i TIPA Awards si affermano come i più qualificati e prestigiosi premi della tecnica e tecnologia fotografica, e per questo sono ambìti. Ogni anno, i TIPA Awards scompongono il mercato, identificando al proprio interno categorie merceologiche significative per se stesse e nell’insieme che disegnano e definiscono. A differenza delle analisi commerciali compilate su schemi adeguatamente oggettivi, il punto di osservazione dei vivaci e brillanti TIPA Awards è assolutamente meno asciutto: soprattutto, è guidato da una competente visione reale e realistica del mercato fotografico, che dalla tecnica si proietta all’uso e, quindi, all’espressione creativa individuale.

BEST PROFESSIONAL DSLR LENS CANON EF 200-400mm f/4L IS USM EXTENDER 1,4X

ALLA RESA DEI CONTI In un certo senso, se l’analisi sui TIPA Awards potesse essere approfondita, andando oltre la sola elencazione delle relative indicazioni (sempre più lunga e dettagliata), si potrebbe ricavarne un autentico specchio dei tempi tecnologici della fotografia. Per quanto sia legittima, la visione e minuta moltiplicazione e scomposizione delle categorie (da anni assestate sulla quantità di quaranta) sta a certificare -non solo suggerire- la radicale trasformazione della gestione fotografica individuale, sia professionale sia non professionale, che oggi si allarga a tutto il processo nel proprio insieme, più e diversamente di quanto non sia mai successo con la consecuzione della pellicola e relativo trattamento. Dagli apparecchi, manco a dirlo, alle stampanti (che possono essere considerate in parallelo agli ingranditori del passato), ma anche alla carta e ai software, il fotografo di oggi, e ancor più di domani, deve estende esponenzialmente le proprie competenze di uso e capacità, fino a stabilire un percorso senza soluzione di continuità dalla forma ai contenuti. Anche questo, o forse soprattutto questo, offre materia di riflessione. Invece di inutili e aride diatribe, dal punto di vista operativo, si tratterebbe di valutare quali e quante implicazioni parallele si accompagnano con le trasformazioni tecnologiche. Senza pregiudizi, né preconcetti, l’argomento offre straordinaria materia di analisi, che potrebbe arricchire i contenuti e le coscienze della fotografia, senza che sia necessario schierarsi su fazioni contrapposte. Angeli e demoni: c’è del bene e del male in tutto (ma anche in tutti, come puntualizzò la doppia personalità letteraria del dottor Jeckyll e di mister Hyde). Dunque, si tratta soltanto, e non già soprattutto, di mettere a frutto ciò che ciascuna tecnologia offre. Così come, in tutta la lunga vicenda tecnica della fotografia, dalle proprie lontane origini, si sono scelti apparecchi, accessori e obiettivi in ordine con le proprie particolari necessità ed esigenze. Al di là delle filosofie di fondo, sollecitate proprio da momenti particolari, come lo è la qualificata e autorevole sintesi dei TIPA Awards, in se stessi i premi tecnici e operativi rappresentano un concentrato momento focale della tecnologia fotografica attuale e futuribile. Come abbiamo avuto già modo di sottolineare, e la ripetizione è d’obbligo, per propria natura e personalità professionale, i direttori e redattori delle ventotto riviste fotografiche internazionali che compongono Technical Image Press Association (TIPA) sono allo stesso momento al vertice e alla coda del mercato. Al vertice, quando e per quanto debbono in-

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Dedicato ai fotografi di sport e naturalisti, il Canon EF 200-400mm f/4L IS USM Extender 1,4x è un super teleobiettivo ad alte prestazioni, con un moltiplicatore 1,4x integrato. Il grande vantaggio sta nelle situazioni in cui non è possibile cambiare obiettivo rapidamente, ma si sottolinea anche la protezione delle parti sensibili della dotazione, come il sensore della reflex, in ambienti con polvere e umidità elevata. Lo zoom è dotato di una lente alla fluorite, quattro elementi UD e diaframma circolare a nove lamelle. La modalità Power Focus mette a fuoco muovendosi delicatamente e silenziosamente, fattore prezioso per la ripresa video. Lo zoom è anche altamente resistente alla polvere e all’acqua.

BEST PROFESSIONAL LIGHTING SYSTEM PROFOTO B1 OFF-CAMERA FLASH

Alimentato a batteria e senza cavi, il Profoto B1 Off-Camera Flash ha avuto un successo immediato tra i fotografi professionisti che hanno colto i benefici della libertà e della facilità di utilizzo della sua interpretazione flash. Il comando a distanza Air Remote TTL si collega sul contatto caldo della macchina fotografica e diventa un centro di comando per il flash, regolando la quantità di luce emessa e bilanciando l’esposizione; si può anche impostare manualmente. Ogni dispositivo può essere assegnato a un canale e controllato fino a trecento metri di distanza, il che permette di controllare i risultati ed eventualmente modificarli, senza dover abbandonare la postazione di scatto. I 500Ws di potenza totale possono essere regolati su una gamma di nove stop in riduzione: in ogni condizione, tempo di ricarica breve, luce pilota LED e alimentazione con una batteria agli ioni di Litio, con autonomia di duecentoventi lampi a piena potenza.


BEST PHOTO PRINTER EPSON EXPRESSION PHOTO XP-950

BEST PHOTO PROJECTOR EPSON EH-TW7200

Multifunzione che stampa fotografie e testi e esegue scansioni e copie, grazie alla capacità di stampare fino al formato A3, utilizzando gli inchiostri Claria Photo HD a sei colori, l’Epson Expression Photo XP-950 porta il concetto di “all-in-one” a un nuovo livello. Produce copie 10x15cm in meno di dieci secondi e consente di stampare anche in wireless via smartphone, tablet o computer, utilizzando le app Epson Connect. La scansione arriva a una risoluzione di 4800dpi, ed è possibile stampare anche su CD/Dvd attraverso l’apposito caricatore. Il vassoio posteriore è predisposto per la stampa su carta in grandi quantità, e attraverso il display LCD da 3,5 pollici si naviga a gesti tra tutte le funzioni, raggiungendo facilmente ogni opzione.

Nonostante sia indirizzato soprattutto all’utilizzo per l’home video, l’Epson EH-TW7200 offre una grande qualità anche per le fotografie, adatta ai club fotografici o per sale di insegnamento. Il proiettore offre opzioni di spostamento dell’obiettivo -da grandangolare a tele-, consentendone l’utilizzo a diverse distanze, con luminosità di 2000 lumen sia per il colore sia per il bianco. Il rapporto di contrasto di 120.000:1 permette di avere colori vividi e un ottimo contrasto. La risoluzione raggiunta è Full-HD a 1080p, e c’è un controllo manuale di correzione trapezoidale fino a +/-30 gradi. Le interfacce di cui dispone includono l’USB 2.0, l’ HDMI 1.4, Composite In, Component In e S-Video in. Inoltre, è possibile usufruire dei contenuti 3D grazie al set di occhiali 3D RF, in kit con il proiettore.

BEST PORTABLE LIGHTING SYSTEM NISSIN i40

BEST PHOTO SERVICE SIGMA MOUNT CONVERSION SERVICE

Il piccolo e leggero Nissin i40 (8,5x6,1x8,5cm; 203g senza batteria e soft box) è disponibile nelle versione dedicate Canon, Nikon, Sony, Fujifilm e configurazioni QuattroTerzi. Copre un angolo di illuminazione di 24-105mm, con 16mm addizionali, utilizzando il diffusore in dotazione. Il Numero Guida è 40 a 105mm e 27 a 35mm. Un innovativo illuminatore a LED si trova dove in passato veniva collocato il modulo per il flash di riempimento: la sua luce può essere sfruttata sia per le fotografie sia per la registrazione video. Il flash Nissin i40 ha la sincronizzazione con la tendina posteriore o con quella anteriore; può essere comandato wireless e può ruotare di 180 gradi a destra e sinistra e di 90 gradi verticalmente.

Mentre i fotografi potrebbero essere attratti da nuovi formati o marchi differenti di macchine fotografiche, i produttori di obiettivi potrebbero interrompere la propria esplorazione verso nuove possibilità nel modo di fotografare. Il Sigma Mount Conversion Service offre l’opportunità di modificare/cambiare l’innesto di uno specifico set di obiettivi Sigma, indipendentemente dalla baionetta originaria Canon, Nikon, Pentax, Micro QuattroTerzi e Sony E. I prezzi dipendono dal tipo di obiettivo e dalla lunghezza focale. Il servizio è gestito dal distributore locale di Sigma [in Italia, M Trading]; l’intervento richiede dalle due alle quattro settimane.

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BEST IMAGING INNOVATION CANON DUAL PIXEL CMOS AF

Canon Dual Pixel Cmos AF è una tecnologia a rilevazione di fase AF, condotta direttamente sul piano del sensore. Il vantaggio è il raggiungimento di prestazioni AF notevolmente migliorate sulle reflex Eos durante il Live View e le riprese video. Poiché Live View può essere utilizzato in un modo simile al mirino della reflex, le prestazioni veloci e fluide del sistema AF sono state migliorate. Il Dual Pixel Cmos AF è attualmente disponibile sulla Canon Eos 70D e -come opzione- nelle videocamere Canon Eos C100 e C300, indirizzate al cinema, che a propria volta sono compatibili con centotré obiettivi Canon EF. Riteniamo che questa estensione sia la base per ulteriori miglioramenti per l’acquisizione di immagini e le possibilità di gestione e elaborazione.

BEST DESIGN SIGMA DP QUATTRO

È raro che un produttore riveda completamente il design delle proprie macchine fotografiche, mentre studia anche una nuova e aggiornata versione dei sensori: questo è proprio ciò che ha fatto Sigma, con la nuova configurazione dp Quattro. La configurazione Sigma dp Quattro è stata completamente riprogettata per la prossima generazione di sensori Foveon X3 “direct image”. Ognuna delle tre versioni/interpretazioni della gamma condividono tra loro forma e funzioni, ma ciò che le distingue è l’obiettivo a focale fissa in dotazione (rispettivamente, 19mm, 30mm e 50mm, che equivalgono a 28mm, 45mm e 75mm della fotografia 24x36mm); quindi, sensore e obiettivo sono allineati e finalizzati a ciascuna dotazione. L’ aspetto unico e il funzionamento delle Sigma dp Quattro le distingue dalle concorrenti, ed è una evidente dichiarazione di attenzione al design da parte del produttore.

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tuire le evoluzioni tecnologiche in divenire; alla coda, quando e per quanto debbono registrare, annotandole e magari commentandole, perfino motivandole, le personalità del mercato: comunque questo si esprima. Nella sessione giudicatrice, le discussioni tra i giurati nazionali manifestano ed esprimono quella vitalità che dà lustro al mercato. L’affermazione finale arriva al culmine di un processo estremamente severo e approfondito. Nulla è lasciato al caso o sottovalutato. Come già annotato, svolgendo con doverosa serietà e adeguato scrupolo il proprio ruolo, intermediario tra le realizzazioni dell’industria e le aspettative del pubblico, ogni anno la giuria dei TIPA Awards osserva il presente, tenendo aperti gli occhi anche sul possibile e potenziale futuro: avendo ben chiaro che ciò che conta non sono tanto le soluzioni che si risolvono in se stesse, seppur genialmente, quanto le intuizioni che sanno dare anche spessore generale all’intero mercato fotografico. Dall’aggiudicazione, alla quale fa seguito la cerimonia ufficiale della consegna dei premi, per un anno, fino alla prossima primavera 2015, le aziende produttrici e distributrici possono combinare la presentazione dei relativi vincitori di categoria con l’identificazione ufficiale dei TIPA Awards 2014. In ripetizione d’obbligo: quando il marchio dei TIPA Awards appare in un annuncio pubblicitario, un pieghevole o sulla confezione di un prodotto, potete esser certi che è stato meritato. I TIPA Awards sono un motivo di orgoglio per chi li attribuisce e per coloro che li ricevono (www.tipa.com). ❖




di Angelo Galantini

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avide Ortombina è un professionista veneto che assolve incarichi fotografici eterogenei: come è sempre stato nella grande e vivace provincia italiana, ricca di personalità produttive di alto profilo. Per questo, il suo mestiere è di quelli che definiscono la sostanza della fotografia nazionale, che si richiama e riferisce all’illustrazione di cataloghi, brochure e ogni tipo di comunicazione aziendale. Quindi, alla resa dei conti, è un fotografo a tutto campo -come tanti ce ne sono in Italia-, che si muove con abilità e disinvoltura dalla sala di posa alla fotografia industriale, dalla documentazione di eventi a ogni possibile e potenziale richiesta della committenza.

In questo senso, il bagaglio fotografico di professionisti di questo stampo deve essere ampio, eterogeneo (almeno tanto quanto lo sono le destinazioni del mestiere) e costruito giorno per giorno in una inflessibile professionalità senza tempo, né esitazioni. Nell’eseguire il proprio lavoro, i propri lavori, al pari di ogni fotografo professionista, Davide Ortombina fa tesoro e lezione di ogni svolgimento. Diciamola anche così: a differenza di tante altre professioni, la fotografia è una disciplina che si impara... svolgendola. Nulla accade per caso, nulla è tralasciato lungo la strada. Così, ancora oggi, Davide Ortombina applica spesso una luce in sala di posa che andò di moda una ventina di stagioni fa. Dopo la sbornia e l’intontimento di quei lontani momenti, durante i quali l’esercizio della luce pennellata sovra-

PENNELLI

DI LUCE Fotografie di mestiere, con i relativi obblighi e confini stretti, che non si esauriscono in se stesse, come potrebbe apparire a prima vista, a una valutazione superficiale. Invece, l’applicazione di una sapiente luce pennellata permette al veneto Davide Ortombina di svolgere la professione quotidiana arricchendola di quel piacere e quella consapevolezza che raggiungono l’osservatore. Pur nel vincolo di incarichi chiusi e condizionati, efficace fotografia di gioia e amore. Con tutto quanto questo possa significare

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stò addirittura i soggetti rappresentati, finendo per raffigurare soprattutto se stessa (esercizio atletico privo di sostanza), oggi il sapiente dosaggio della stessa luce pennellata, via via rivolta alla pertinente definizione dei dettagli del soggetto, è stilema fotografico di grande efficacia. Bravo è stato Davide Ortombina a lasciare perdere gli eccessi del passato, per concentrarsi sull’essenza del proprio mestiere. Quindi, per quanto si stia parlando di fotografia professionale, che assolve, risolvendoli, incarichi preordinati, la riflessione non può mancare. Tanto che, una volta ancora, una di più, mai una di troppo, rileviamo come sulla fotografia, sull’esercizio della fotografia siano stati riversati fiumi di inchiostro. Eppure, ogni volta pare che ci sia ancora qualcosa di nuovo da dire, da scrivere. Dunque, da sola, questa osservazione basta per qualificare, quantificandolo, un fenomeno pressoché infinito: perché l’esercizio della fotografia è parte integrante del fenomeno, fondamentale!, dell’esercizio stesso della vita. Prima di affrontare lo specifico delle fotografie di Davide Ortombina (still life di prodotti alimentari), corre l’obbligo di precisare cosa sia la fotografia, in termini oggettivi. Per propria natura raffigurativa, nel senso che ha bisogno della materializzazione di un soggetto davanti allo strumento (indispensabile), la fotografia è per propria intenzione rappre-

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sentativa. Scatto dopo scatto, elaborazione intellettiva dopo elaborazione intellettiva, la sfida è affascinante, e per questo irrinunciabile. Ogni volta che agisce, il fotografo consapevole, l’autore, deve dispiegare tutto il proprio lessico per comunicare con l’esterno, con gli altri. Cosa è il lessico? Quell’insieme dei formalismi estetici che permette alla visione soggettiva di raggiungere l’esterno. Il fotografo sceglie cosa includere nello spazio del proprio fotogramma, cosa lasciare fuori; da che prospettiva osservare e far vedere; come combinare il proprio elaborato, come illuminarlo e via discorrendo. Non conta tanto cosa si fotografi, quanto perché e con che intenzioni. Ovvero, a volte, come nel caso delle ricerche personali di Davide Ortombina, che percorre la strada fotografica anche oltre l’impegno professionale del proprio indirizzo commerciale (comunque, non qui e non ora), il soggetto è soltanto un pretesto raffigurativo per rappresentazioni di ampio respiro. Per quanto in origine sia mestiere, alla resa dei conti, nei confini dei termini imposti dalla committenza, questi still life di Davide Ortombina decifrano l’insieme dei propri interventi, delle proprie lavorazioni fotografiche, per penetrare la forma apparente, la forma necessaria, lasciando così all’osservatore -isolato nella propria contemplazione- l’emozione, la seduzione e il personale coinvolgimento: in questo caso, fi-

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nalizzato all’apprezzamento del soggetto, del prodotto. Quando incontriamo personaggi come Davide Ortombina, che combina il mestiere con la soddisfazione individuale, obblighi con scelte, necessità professionali con ricerche creative, ci scopriamo vulnerabili. Il parallelo tra le personalità diventa inevitabile: Davide Ortombina, fotografo per mestiere e fotografo (ancora!) per piacere. Noi, giornalisti della fotografia per professione e appassionati di fotografia per piacere. Osservando queste fotografie di mestiere, con tutto questo voglia dire, ci immedesimiamo e riconosciamo, nel momento stesso in cui incrociamo la sua fantastica personalità d’autore, che prontamente sveliamo. Davide Ortombina, fotografo a tutto campo, svolge la materia con garbo, acume e competenza. Oltre che con un apprezzato senso delle proporzioni. Ma non è soltanto questo: manifesta una coinvolgente gioia fotografica, che trasmette immagine dopo immagine. Eccolo qui! Fotografa con gioia e per gioia, in entrambe le proprie personalità: quella professionale e quella della passione. La buona comunicazione fotografica ha il potere di aprirci la porta del paese delle meraviglie nel quale si perde l’Alice di Lewis Carroll: apparenza e realtà si fondono in uno. Niente è ciò che sembra. Tutto è come sogniamo che sia. ❖




Lettera aperta di Pino Bertelli

FOTOGRAFIA DEI MISERABILI

C

Caro Michele, ho letto con attenzione il tuo scritto sui “mirabili/sti” e a me, per quello che vale, sembra uno scritto di straordinaria bellezza e forza autoriale, che investe la fotografia nel proprio esecrabile insieme. Così, mi sono trovato coinvolto in un tema (non solo) fotografico che mi interessa molto, e ho provato a intrecciare la tua profonda analisi sul “miserabilismo fotografico” con la miseria della fotografia o fotografia della miseria che studio da sempre (e sparso altrove). Lo farò a gatto selvaggio, secondo la critica radicale situazionista, e poco m’importa se qualcuno o molti non comprenderanno la stima profonda che il tuo scritto ha portato nella mia anima in utopia. 1. I miserabili(sti) sono ovunque, e siccome la fotografia (come ogni forma d’arte) è lo specchio di un’epoca, si affanna a creare miti, simulacri, dèi, e si precipita poi ad adottarli come saperi imperanti; la capacità di adorazione dei fotografi -quando non è complice- è responsabile di tutti i crimini che l’industria dello spettacolo e la politica della corruzione commettono nel nome santificato della “società consumerista”. In generale, i fotografi sono degli stupidi che non sono in grado di vedere il dolore degli altri (Susan Sontag diceva) e aiutarli a sconfiggere la secolarizzazione delle lacrime... la “pelle della fotografia” è il mercato e il successo di qualche coglione che si fa passare per artista d’avanguardia... i beoti della macchina fotografica ci credono... storici, critici, fotografi, fotoamatori sono parte di uno spettacolo mercantista, nel quale il comportamento individuale e collettivo partecipa allo stesso spirito di assoggettamento degli sguardi. Nella sua prostituzio-

ne più vasta, la fotografia fa parte di un’idea di felicità consacrata dall’impero dei media, ed è mantenuta in un sistema economico/pubblicitario che ingloba tanto l’estetica di Warhol quanto i rutti della Coca-Cola. Una fotografia fondata sulla miseria è idiota. Le immagini più miserabili hanno la fatale prerogativa di servire all’uso della grande maggioranza come illusione d’esistenza. Il valore educativo della fotografia è da un’altra parte: in una splendida carica di cavalleria lanciata contro morte certa o nell’immaginario che prende per la realtà i sogni di rivolta delle giovani generazioni. «Non passa anno che persone da noi amate non cedano, per non aver chiaramente compreso le possibilità presenti, a qualche vistosa capitolazione. Ma essi non rafforzano il campo nemico, che annovera già imbecilli a milioni, e nel quale si è obiettivamente condannati ad essere imbecilli. La prima deficienza morale resta l’indulgenza, sotto tutte le sue forme» (Guy Debord). Sotto ogni fotografo del miserabilismo giace il cadavere del genio. 2. Che si consideri l’età classica della fotografia, quella storica o contemporanea, si rimane colpiti dal fatto che ogni paese in ascesa, come in quelli colonizzati, ha la propria inevitabile percentuale di fotografi afflitti da stupidità. L’allarmante crescita del numero degli sprovveduti è un’emorragia culturale, ma il fuoco della fotografia non è

fuoco, finché non ci ha bruciato l’anima. «La mia fotografia è onesta», affermava un fotografo di talento. «Purtroppo, le mie fotografie lo sono meno». Ogni lascito della fotografia incensata è avvelenato... ecco perché nei vernissage sulle Terrazze Martini più finemente pubblicizzati, una pletora di cadaveri brinda all’arte degli assegni: lì, anche le stelle brillano di luce falsa. La “bella fotografia” o la “fotografia del miserabilismo” tormenta soltanto i santi, gli assassini e gli stupidi... gli altri sguazzano nella santificazione dell’arte da supermercato come ratti su un cumulo di spazzatura. Non si fa la fotografia del dolore se non in piena coscienza di accusare i produttori di questo dolore. La fotografia della genuflessione è l’ultima immagine di una civiltà che si spegne. 3. Nell’arte della fotografia che imita l’arte del mercimonio non c’è spazio se non truccato. La sovversione non sospetta dell’arte -di tutte le forme di comunicazione- figura il rovesciamento di prospettiva di un mondo rovesciato: non ti stupire di aver fotografato qualche volta un bambino che moriva per fame in un campo di grano falciato dalle bombe delle “forze di pace”. La fotografia è di vetro, il tuo successo è protetto dai fucili dell’ordine finanziario/politico che lo riveste di mille applausi riflessi nelle coppe di champagne... la trasparenza della fame è solo un incidente di percorso. La fotografia (sot-

Questo testo è apparso lo scorso sedici dicembre sul Blog di Michele Smargiassi, Fotocrazia, come lettera aperta al suo splendido scritto, I miserabi(listi), postato il precedente nove dicembre. Lo riproponiamo nella sua integrità, che rappresenta una summa del pensiero dell’autore Nota del Fotocrate: «Pubblico in via eccezionale questo commento, benché superi smisuratamente i limiti di lunghezza suggeriti dal galateo del Blog, perché la dismisura delle passioni e della scrittura è la cifra stessa del pensiero dell’amico Pino, al quale peraltro ho rubato la conclusione del mio articolo qui sopra».

to ogni cielo impietoso di lacrime) si compie nel pensiero libertario che la nega. L’ingiustizia governa l’universo, e ogni Uomo si nutre dell’agonia di un altro Uomo. A un certo grado di verità, ogni immagine della franchezza diventa indecente. 4. La fotografia è fatta del tessuto del quale sono fatti i nostri sogni... diceva. La sola fotografia buona è quella che possiamo vedere due volte senza bruciarla! A incendiare la miseria della fotografia o la fotografia della miseria bastano un Lazarillo de Tormes e una torcia... in ogni fotografo alberga un’anima di assassino o di un demente... gli eresiarchi di ogni eresia sono i soli per i quali conta solo ciò che non si è fatto o semplicemente abbattuto... tra la Genesi delle convenienze dell’arte e l’Apocalisse dello stupore e della meraviglia regna l’impostura e la falsificazione. Bisognerebbe essere fuori del mondo, come un angelo o come un idiota, per credere che la fotografia mercantile (come qualunque forma d’arte), o insegnata, non produca schiere di imbecilli che andrebbero soppressi per il disgusto e la vergogna che ci fanno provare quando fanno del dolore degli altri uno spettacolo sulla rassegnazione del divenire. La fotografia sarebbe intollerabile senza le forze eversive che la negano. Ai fotografi del miserabilismo: «Come piedistallo avrete un letamaio e come tribuna un armamentario di tortura. Non sarete degni che di una gloria lebbrosa e di una corona di sputi» (Emil M. Cioran). L’amore per la dignità non s’impara a scuola, e nemmeno la fierezza, ma nella strada. 5. La fotografia muore di fotografia. La follia per la “bella fotografia” nasce da una cattiva educazione all’immagine, che l’impero dei mass-media ha dis-

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Lettera aperta perso nell’immaginario collettivo. L’ignoranza dei fotografi (specie i più foraggiati dai produttori di macchine fotografiche, dalle gallerie del mondano e dalle aziende di calendari) è abissale. Credono di sapere tutto sul valore degli attrezzi di lavoro, sulle sensibilità delle pellicole, sull’avanzare del digitale nella presa del potere della fotografia da parte del popolo... e insieme a una marea montante di squinternati che si appendono la macchina fotografica al collo, come un giogo, e imperversano a ogni angolo delle metropoli, delle campagne e nei viaggi specializzati nel turismo sessuale sui bambini, non si accorgono che la loro cecità creativa è una sorta di schiavitù e genuflessione ai riti e codici della società dello spettacolo. Il dominio dello spettacolo è tentacolare. Arriva ovunque, e ovunque l’umanesimo della merce si è sostituito ai soggetti sociali. Nel tempo dell’inganno universale, dire dell’amore dell’Uomo per l’Uomo è un atto rivoluzionario, forse. Nessuno rilascia certificati di benevolenza, e sotto il sole marcio della fotografia trionfano primavere di carogne. 6. La fotografia del miserabilismo comincia con un conflitto con l’ordine istituito e finisce col farsi sostenere dai suoi fucili. «Il governo dello spettacolo, che attualmente detiene tutti i mezzi per falsificare l’insieme della produzione, nonché della percezione, è padrone assoluto dei ricordi e padrone incontrollato dei progetti che plasmano l’avvenire più lontano. Egli regna ovunque; egli esegue le sue sentenze sommarie» (Guy Debord). La storia della fotografia consumata non mostra l’inefficacia delle fotografie per la conquista di un’umanità migliore, è soltanto la somma delle vanità mercantili smerciate come “avvenimento” artistico. Di contro, la fotografia di strada insorge nella poetica randagia che la fotografia insegnata non è, né conosce. La verità spettacolare manifestata nell’impostura delle ideo-

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logie e delle fedi è il teatro delle maschere, nel quale l’uso manipolato della creatività cancella la selvatichezza della vita quotidiana e la principale produzione della società attuale è lo spettacolo. Ai quattro venti della Terra, il falso ha preso il posto del vero e il consumo delle immagini fa del cattivo uso della verità e della poesia la distruzione della memoria storica. 7. Nell’epoca del mercato globale, ogni guerra è giustificata dalle promesse dei governi dei paesi ricchi. Il genocidio continua. Dopo Auschwitz, Hiroshima e i gulag, il linguaggio delle armi ha preso il posto della ragione, e i canti dei poeti e i pianti dei bambini sono seppelliti nella distruzione di massa dei popoli impoveriti. I limiti etici del profitto non hanno confini. I veri “nemici” dell’umanità sono i rigidi trattati di libero commercio, le armi nucleari, le tecnologie produttive basate sulla violenza, l’ingegneria genetica, le guerre del petrolio e dell’acqua, lo sviluppo del neocolonialismo di pace. «Il terrorismo è la guerra dei poveri, la guerra è il terrorismo dei ricchi» (Frei Betto diceva). Maledette siano le guerre e le canaglie che le fanno. Ogni fotografia del miserabilismo si alimenta nel sangue dei suoi proseliti, si allarga e diventa mito quando viene adottata dall’ottimismo ebete delle folle; acquasantiere e sputacchiere sono sinonimi, e si celano nell’immaginale ineluttabile del “progresso”. Tutto quello che so, l’ho imparato dai chi non ha voce né volto, i quasi adatti, i folli, gli impoveriti. Quando l’amore per gli esclusi cancella la conoscenza, la coscienza ridestata uccide l’inganno. 8. La fotografia di strada (o i grandi fotografi citati da Michele Smargiassi) è una scrittura visuale dei corpi. È un viaggio o un ritorno verso i valori dell’umanesimo, riconosciuti e fissati nella storia in un’immagine che è in grado di reinventare l’unicità dei soggetti. Lewis W. Hine, August Sander, Tina Modotti e

Diane Arbus hanno lavorato su visioni diverse dell’esistente, e sono giunti al medesimo fine: non basta più trasformare il mondo, perché muta di pelle con le “truccherie” e i tradimenti delle politiche dominanti. Si tratta d’interpretare adeguatamente questo mutamento, affinché non produca il regno degli idioti che emerge dalla civiltà che si autodefinisce “moderna”. Ogni fotografia della coscienza insorta porta lontano e permette qualsiasi cosa. La fotografia della stupidità che caratterizza i momenti culminanti della storia non ha equivalenti se non nell’idiozia di coloro che ne sono i portatori: in questo senso, nessuno può dire “sono un fotografo”, senza arrossire di vergogna. 9. Il liberalismo delle idee -strano a dirsi- non ha mai voluto dire rispetto per i diritti umani dei più deboli e “tolleranza” del libero pensiero. Le politiche delle società “evolute” hanno pianificato le relazioni sociali, e con il clamore delle forche hanno imposto un rigore della permissività fondata sulla violenza e il crimine istituzionalizzato. «Non siamo mai usciti dal tempo dei negrieri» (Raoul Vaneigem). Di più. La società spettacolarizzata non ha solo trasformato servilmente la percezione, ma soprattutto ha fatto del monopolio dell’apparenza la ricostruzione e il confortorio dell’illusione religiosa. La fotografia del vero esprime l’essenza di ciò che non si riesce a distruggere. Con la fotografia non si fanno le rivoluzioni... le rivoluzioni si fanno con le rivoluzioni; tuttavia, con la fotografia si può diventare Uomini e Donne migliori, e incamminarsi verso il raggiungimento di un mondo più giusto e più umano. 10. L’insieme delle conoscenze che continua attualmente a evolversi come pensiero dello spettacolo dove giustificare la miseria di una società senza giustificazione e porsi come scienza generale della falsa coscienza... si riflette in ogni forma di comunicazione, nella farsa elettorale e nel genocidio

autorizzato dai poteri forti. Il sistema spettacolare esprime una sotto-comunicazione diffusa, che smussa i conflitti sociali e ri/produce spettatori o complici. Quando alcuni storici, galleristi e critici della fotografia -iscritti nei gazebo dei saperi accademici e dell’avanguardia del vuoto- ci hanno chiesto a cosa serve la fotografia di strada o della miseria, nell’epoca della tecnologia satellitare, abbiamo risposto con un motto di spirito: «A niente, come la musica di Mozart!». La fotografia ha adorato coloro che l’hanno tradita, e la fotografia non è pensabile senza il grado di verità che vi si mette. La fotografia concepita come rituale del mercimonio rende l’intelligenza asservita al regno della stupidità. 11. Cogliere l’immaginario dal vero e rubare l’istante dell’“angelus novus” nell’Apocalisse dell’ordinario non è cosa facile. Henri Cartier-Bresson, August Sander, Roman Vishniac, Tina Modotti, Diane Arbus e Sebastião Salgado sono, forse, i soli passatori di confine, i franchi tiratori della fotografia sociale: hanno profanato la forma pittorica prestata alla fotografia e affabulato un’etica dell’arte fotografica senza eguali. La loro opera è lì a sottolineare che la fotografia in forma di poesia è l’epifania del tragico scippata alle macerie della storia. È nel contempo domanda e risposta dell’accadere di fronte alla macchina fotografica. Per significare il mondo, occorre scegliere la parte contro la quale stare. Fotografare vuol dire tenere nel più grande rispetto se stessi e i soggetti che abbiamo di fronte, senza dimenticare mai che è indecoroso uccidere i bambini per febbre di fame, anche con la fotografia. Nell’ossario della fotografia miserabilista riposano princìpi e formule, codici e morali, valori e barbarie inaudite. L’universo della fotografia autentica comincia e finisce con il rifiuto o con la sconfitta di una virtù da schiavi: c’è un bottegaio in ogni santo, un


Lettera aperta criminale in ogni eroe, un demente in ogni martire che depositano la propria vita nel marcitoio delle certezze. La saggezza della demenza, in fotografia e dappertutto, si affastella in un sistema di segni di assoggettamento a un impero di macellai di prima qualità, ma una civiltà esiste e si afferma soltanto grazie ad atti di insubordinazione. Quando l’Uomo comincia a rinsavire, i terrori eleganti che lo tendono a catena si sgretolano. La distruzione dei simulacri porta con sé quella dei pregiudizi. 12. La fotografia di strada (o dell’amore dell’Uomo per l’Uomo) è la costruzione di un percorso che segue l’istinto del gatto, l’intuizione dell’aquila, la passione ereticale dei cuori in amore... si tratta di costruire una situazione in rapporto con quello che si percepisce. La macchina fotografica (per noi) è uno

strumento di conoscenza e non un grazioso giocattolo meccanico: «Fotografare è trattenere il respiro quando tutte le nostre facoltà di percezione convergono davanti alla realtà che fugge: in quell’istante, la cattura dell’immagine si rivela un grande piacere fisico e intellettuale. Fotografare è mettere sulla stessa linea di mira la testa, l’occhio e il cuore» (Henri Cartier-Bresson). La bellezza della fotografia non addomesticata ai linguaggi dominanti non è quella che proviene dallo studio delle “belle arti”, ma quella che contravviene o si oppone all’esposizione della banalità del male. Ogni ritratto è un autoritratto. È la scoperta di se stessi per mezzo della macchina fotografica e discorso sul mondo. «Il fotografo saccheggia e insieme conserva, denuncia e insieme consacra» (Susan Sontag). Su questi

crinali estetici, mai considerati nella propria reale portata eversiva, la Neue Sachlichkeit tedesca degli anni Venti -in modo particolare la fotografia di Heinrich Zille- (che traduciamo arbitrariamente in Nuova cosalità, contravvenendo la dizione acquisita di Nuova oggettività) ha figurato la dignità della sofferenza e si è imbattuta in una poetica del dolore che non è predazione, ma contaminazione e condivisione fuori dal simbolico e dal moralismo d’accatto. La fotografia sociale così fatta ha destituito la mistificazione della realtà per destare le intemperanze generazionali e mostrare che questo non è il migliore dei mondi possibili. 13. La poetica ereticale della fotografia di strada (che disvela il miserabilismo della fotografia) è una scrittura iconografica del diverso che avanza sulle mace-

rie del banale che crolla. È la fotografia dell’“angelus novus” che si appropria della filosofia dello stupore di Immanuel Kant, Karl Jasper e Walter Benjamin, e congela lo spazio e il tempo fuori dai “segni” dell’impotenza e dell’imposizione. La realtà non nasce dalla nostra coscienza e non ha nulla a che fare con lei. Resta a noi sconosciuta e inconoscibile, forse. La coscienza è sempre coscienza di qualcosa che rovescia le categorie date della conoscenza. Alla maniera di Giordano Bruno: L’atto che ci rende liberi da ogni forma di soggezione culturale/politica è sempre una rottura (il mistero del mondo finito è dentro di noi, e quello del mondo infinito -finalmente degno dell’Uomo- si manifesta nella bellezza che l’Uomo può incontrare nella natura, nell’arte, nella sorgività del-


.

Lettera aperta l’essere). In questo senso, la finalità senza fine di Kant s’intreccia alla libertà dello spirito di Jasper e al risveglio dell’esistenza di Benjamin. Dunque, il linguaggio (in)diretto, metaforico, casuale della fotografia di strada figura la felicità sofferta e quella possibile. Nel fare-fotografia di strada, il momento dell’“angelus novus” è un colpo di dadi sul culo della storia. Conferisce l’aura del singolare, dello straordinario e del fatato all’istante scippato alla particolarità del qualunque... è una rottura del consueto; e in una specie di lotta amorosa tra soggetto e fotografo è la comunicazione di un’esistenza che s’intreccia con un’altra esistenza, e tutto ciò dà vita a una filosofia della meraviglia che fa dell’esperienza del limite lo strappo con tutte le scritture cifrate, decifrandole. Il “lievito” della ribellione che l’“angelus novus” porta con sé si scaglia contro la civiltà del profitto e dell’ipocrisia, e denuncia il rovescio dell’eterno nell’immaginale degli Uomini. 14. I politici (come i fotografi) diventano ogni giorno più stupidi... tutti. I loro precetti e le loro promesse tradite irritano anche i cani randagi nei giardini pubblici, e i loro miracoli economici (lavoro, crescita, mercato, successo) fanno sorridere perfino l’ultimo migrante che muore di freddo in un cartone o affogato nel Mediterraneo. Per sanare una razza di serpi occorre, dunque, tornare a far volare le pietre che, qualche volta, sono state più lievi delle ali degli angeli, e hanno impresso alla Storia un’altra versione dei fatti: la libertà non è mai stata un privilegio che si concede, ma una conquista degli Uomini in rivolta. Agire è una cosa, sapere contro chi indirizzare la propria indignazione è un’altra. Nel Sessantotto, la gioia di una gioventù libertaria si riversò nelle strade del mondo, per portare la fantasia al potere... non per possederlo, ma per meglio distruggerlo. Poi, le cose andarono diversamente; molto di que-

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gli giorni formidabili è stato recuperato, stravolto e devastato, tuttavia vogliamo ricordare che in quell’anno anche i vini e le marmellate vennero più buoni. Chiese, ideologie, polizie, mercati sono all’origine dell’orrore che si nutre della stupidità delle masse... i ceppi dell’illusione sono più forti delle galere, e il fucile, l’aspersorio e le merci battezzano il tremore dei servi. Non si diventa Uomini liberi per decreto, né per concessione, e -se ci soffermiamo a considerare lo stile del nostro tempo- non possiamo non interrogarci sulle ragioni della sua mediocrità: degno del nostro interesse è soltanto chi non ha alcun riguardo per le convenienze, né per le restaurazioni. Sappiamo che alla splendida disgregazione dei linguaggi ne consegue la caduta degli imperi. La vera vita è fuori dal destino imposto. 15. Per chiudere, ma anche per aprire ai sospiri di una felicità superiore... il linguaggio fotografico è uno strumento di disvelamento della verità o non è nulla. Nel cimitero delle buone intenzioni riposano i dettati, le mitografie, le scuole di un farefotografia che al massimo riproduce l’immaginale mercantile al quale si foraggia. I poeti maledetti di ogni arte non hanno bisogno di credere a una verità per sostenerla, né di amare il tempo dello spettacolare integrato per giustificarlo, dato che ogni predica è infausta, e ogni avvenimento si abbevera alla fonte della menzogna e della genuflessione. Ideologia e barbarie sono sinonimi. L’inclinazione degli Uomini a servire fa il resto: un Uomo, come un Popolo, muore quando non ha più la forza di dire la mia parola è No! E l’arte? L’arte è una vecchia troia al servizio di tutti i padroni (James Joyce diceva, e Picasso -che di puttane dell’arte s’intendeva bene- sosteneva): la fotografia non tollerabile senza il grado di sovversione non sospetta che vi si mette. Che la Fotografia sia con voi. Fine. ❖

Chi? Fujifilm X: sistema fotografico in pertinente equilibrio tra prestazioni tecniche di profilo alto e design ereditato dalla lunga e nobile storia evolutiva della tecnologia fotografica. New Old Camera: indirizzo privilegiato del commercio fotografico, sia in interpretazione storica-collezionistica-antiquaria, sia in personalità attuale (per quanto concentrata soprattutto su apparecchi fotografici di alta qualità). FOTOgraphia: proposta giornalistica con visioni trasversali della propria materia.

Cosa? NewOld, ovvero oggi (domani) e ieri. Fujifilm X-T1, con Mir-20, grandangolare estremo 20mm f/3,5 di produzione sovietica (dal 1972), tramite anello adattatore K e ulteriore raccordo alla vite 42x1, slitta flash doppia Voigtländer e flash Ferrania Microlampo alimentato a batteria (dal 1957), per bulbi FB 1b.

Come? Ancora NewOld, ovvero oggi (domani) e ieri. Fotografia di Angelo Galantini scattata con Fujifilm X-E1, montata sul corpo posteriore di una Sinar Norma 4x5 pollici (del 1955) tramite anello stringiobiettivo RBM, già BRM (Romualdo Brandazzi, di Milano; degli anni Trenta... Cinquanta), e anello adattatore Quenox Nikon, su colonna Fatif (anni Sessanta). Obiettivo Rodenstock Imagon 300mm H=5,8 (anni Quaranta), con selettore H 9,5-11,5 aperto.

Perché? Perché no?


La forma per il contenuto Combinazioni fantasiose di macchine fotografiche Fujifilm X, tra oggi (domani) e ieri, in doppia interpretazione NewOld, ideate e realizzate da

www.newoldcamera.com



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