FOTOgraphia 216 novembre 2015

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ANNO XXII - NUMERO 216 - NOVEMBRE 2015

Ansel Adams con Horseman RICORDI E TESTIMONIANZE Pino Ninfa L’ANIMA DEL JAZZ


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prima di cominciare IL SENSO DELLE NOVITÀ. E IL LORO COMPITO. Il mondo cambia, ma spesso è sempre uguale a se stesso. In adattamento marginale, ininfluente sul contenuto, riprendiamo parole altrui, prese a esempio e testimonianza del concetto di novità tecnica. «In ogni momento, la macchina fotografica ha utilizzato tutte le risorse della tecnica costruttrice ottica, meccanica e chimica [e poi anche elettronica], per rendersi sempre più pratica, pronta, economica e funzionale, e per aderire sempre di più alle innumerevoli e svariate applicazioni richieste dagli utilizzatori. «Si può dire che a ogni progresso della macchina fotografica è seguita una evoluzione del modello ideale, e sul mercato si sono affermati nuovi tipi, mentre hanno volto al tramonto quelli precedenti, anche se gloriosi. «Trarre profitto da questi progressi tecnici per dare alla macchina fotografica le dimensioni più opportune per conciliare nella maniera più pratica e conveniente la sua funzionalità, la sicurezza d’impiego, l’economia di esercizio e, non ultima, la disponibilità in ogni occasione, è il tema che si propongono tutti i progettisti. Infatti, una macchina fotografica leggera e al tempo stesso capace di rendere sulle fotografie tutto quello che è necessario e sufficiente per appagare l’occhio dell’osservatore più raffinato è l’ideale verso il quale hanno sempre teso gli sforzi dei progettisti specializzati. Perché tutti hanno constatato che in molti casi si sono trovati di fronte a un soggetto interessante, a un accadimento straordinario e non hanno potuto soddisfare il vivissimo desiderio di registrarlo, perché erano sprovvisti di macchina fotografica. «Una macchina fotografica che ciascuno può avere sempre con sé, senza accorgersene, può essere di utilità e praticità insuperabili in tutte le occasioni; basta formulare il pensiero che ciò che ci sta dinnanzi è meritevole di essere registrato/fissato e in pochi istanti il desiderio si trasforma in fatto compiuto».

La storia della fotografia è storia di prostituzioni, disinganni e ribellioni. Pino Bertelli; su questo numero, a pagina 65 [In fotografia] La volontà di non essere sempre e solo accademici bisognerebbe frequentarla... forse. mFranti; su questo numero, a pagina 8 A fronte di una offerta modesta da parte di peones vessati da banditi messicani, che per essere protetti possono pagare con pochi monili, che rappresentano tutto quello che possiedono, Chris Larabee Adams (Yul Brynner) osserva che, per il suo mestiere di pistolero, spesso, ha ricevuto molto... mai tutto. Maurizio Rebuzzini; su questo numero, a pagina 28

Copertina Mediante il basculaggio ragionato dei corpi mobili dell’apparecchio grande formato è possibile disporre un piano di messa a fuoco solidale al soggetto inclinato avanti-dietro e alto-basso. In questo modo, si può distribuire una estensione ottimale della profondità di campo sul e per il minimo ingombro volumetrico dello stesso soggetto. Approfondiamo da pagina 34

3 Fotografia nei francobolli Dalla compendiosa analisi Fotografia nei francobolli, di Maurizio Rebuzzini, in corso d’opera e prossima pubblicazione, dettaglio dall’apprezzato valore emesso dagli Stati Uniti, il 26 giugno 1978, per la Fotografia: Deardorff 8x10 pollici, con accompagnamenti espliciti. Quindi, visualizzazione di una edizione da collezione, con Ansel Adams, evocato -su questo stesso numeroda pagina sedici, insieme a questioni Deardorff

7 Editoriale

ARCHIVIO FOTOGRAPHIA

Bisogna assolutamente prendere atto dell’attualità dei Social Network: ci piaccia o meno, espressione inviolabile dei nostri giorni. La Fotografia non solo infrastruttura, a partire dal contenitore Instagram

8 Coincidenze di garbo Camera - Centro Italiano per la Fotografia, con sede a Torino, nei pressi della Gran Madre di Dio Dalla presentazione della Microcamera Ducati, storicizzata come Ducati Sogno, prodotta e commercializzata dal 1946. Parole riprese da un raffinato opuscolo del marzo 1947: 24 pagine illustrate 21x29,5cm. Ancora e conclusione: la voglia di assaporare il profondo di un’esperienza che sembra essere sempre uguale, ma che invece è sempre così diversa.

10 Photokina 2016 Svolgimento nella seconda metà di settembre

12 Non consuete Macchine fotografiche particolari (proprio inconsuete), tra le pieghe di scenografie cinematografiche Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini


NOVEMBRE 2015

RIFLESSIONI, OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA

16 Dal (tra)passato

Anno XXII - numero 216 - 6,50 euro

Dall’album di ricordi di Tosh Komamura, che ha guidato la produzione di apparecchi grande formato Horseman: da Ansel Adams a Merle Deardorff... onore e merito

DIRETTORE

RESPONSABILE

Maurizio Rebuzzini

IMPAGINAZIONE

Maria Marasciuolo

20 Sacro e Profano Avvincente, consistente e coinvolgente programma di mostre allestite nell’autorevole contenitore espositivo di Photolux Festival 2015, a Lucca, dal ventuno novembre

REDAZIONE

Filippo Rebuzzini

FOTOGRAFIE Rouge

SEGRETERIA

Maddalena Fasoli

HANNO

25 Ancora Odissea 2001 L’imponente monografia The Making of Stanley Kubrick’s “2001 Space Odyssey” è ora disponibile in edizione standard, a un prezzo di acquisto conveniente

28 Yul Brynner Fotografo Con il proprio concentrato impegno, l’attore statunitense ha arricchito il tragitto della fantastica fotografia non professionale che osserva la vita nel proprio svolgersi di Maurizio Rebuzzini

34 Basculando basculando I movimenti rotatori degli apparecchi a corpi mobili, per i quali caldeggiamo un Ritorno al grande formato, sono finalizzati all’orientamento della messa a fuoco di Antonio Bordoni

45 JazzGigs Dobbiamo essere grati a quegli autori fotografi, quale è Pino Ninfa, che con le proprie interpretazioni fanno entrare il mondo all’interno degli spazi e momenti nei quali ciascuno di noi conduce la propria esistenza di Angelo Galantini

52 Cubanos Con cuore partecipe, Massimo De Gennaro ha realizzato una convincente serie fotografica tra le strade di Cuba: luce, ombre, colori, persone

COLLABORATO

Albano Ballerini Pino Bertelli Antonio Bordoni Massimo De Gennaro mFranti Emilio Frisia Angelo Galantini Andreas Ikonomu Tosh Komamura Chiara Lualdi Pino Ninfa Franco Sergio Rebosio Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604 www.FOTOgraphiaONLINE.com; graphia@tin.it. ● FOTOgraphia è venduta in abbonamento. ● FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano. ● A garanzia degli abbonati, nel caso la pubblicazione sia pervenuta in spedizione gratuita o a pagamento, l’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e in suo possesso, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi della legge 675/96. ● FOTOgraphia Abbonamento 12 numeri 65,00 euro. Abbonamento annuale per l’estero, via ordinaria 130,00 euro; via aerea: Europa 150,00 euro, America, Asia, Africa 200,00 euro, gli altri paesi 230,00 euro. Versamenti: assegno bancario non trasferibile intestato a Graphia srl Milano; vaglia postale a Graphia srl - PT Milano Isola; su Ccp n. 1027671617 intestato a Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; addebiti su carte di credito CartaSì, Visa, MasterCard e PayPal (graphia@tin.it). ● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti. Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano

60 Cambiamenti a NYC Changing New York, di Berenice Abbott, per la Fiera Mondiale del 1936. Con accompagnamento filatelico

Rivista associata a TIPA

62 Vicende fotografiche Racconti dalla camera oscura, a cura di Walter Guadagnini

65 Alfred Stieglitz Sguardi su un esponente (?!) della fotografia dandy di Pino Bertelli

www.tipa.com


Attrezzature fotografiche usate e da collezionismo Specializzato in apparecchi e obiettivi grande formato

di Alessandro Mariconti

via Foppa 40 - 20144 Milano - 331-9430524 alessandro@photo40.it

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editoriale S

iamo qui. Siamo qui... a osservare. Siamo qui... a rilevare. Siamo qui... a riflettere. Siamo qui... a considerare. Siamo qui... con tanti nostri pre-concetti, ma senza alcun preconcetto, né pregiudizio. Soprattutto, cerchiamo di considerare la Fotografia, nostro territorio di incontro e dialogo, con dovuta serenità e tranquillità di intenti, priva di qualsivoglia conclusione già stabilita, alla quale approdare per nostro conforto, alla sola luce di una capacità dialettica che sappiamo di possedere (?). Fino a qualche tempo fa territorio frequentato unicamente con convinzione e volontà di farlo, la Fotografia è oggi qualcosa di diverso, che si è inviolabilmente esteso a tutto il vivere quotidiano, senza alcuna limitazione e/o barriera (tecnica, piuttosto che ideologica). È qualcosa che è andato oltre il solo e unico ambito degli addetti. Ovvero, volente o nolente (ma... volente, per quanto ci riguarda direttamente), non c’è più un’unica Fotografia applicata per professione o frequentata per passione, ma esiste e si manifesta anche una fotografia in forma di infrastruttura, che accompagna le singole esistenze: questa Fotografia, non più sovrastruttura autoreferenziale, si manifesta soprattutto attraverso i Social Network, che compongono una indiscutibile ossatura dei nostri giorni: ci piaccia o meno, ci interessi frequentarli, oppure rimanerne discosti. Questo è. Punto! Ciò detto, non possiamo ignorare, né -tantomeno- vogliamo ignorare, come e quanto l’attuale realtà di Instagram si stia esprimendo anche con progettualità fotografiche degne di nota e meritevoli di stima. Tra l’altro, la pubblicazione in Rete, con il proprio corollario di seguito e apprezzamenti, risolve e assolve una antica condizione della fotografia non professionale, che non ha mai potuto uscire dall’individualità della propria azione, per proporsi a un palcoscenico più ampio (circuito dei circoli fotografici organizzati, a parte). Infatti, questa attuale visibilità pubblica, magari accompagnata da retrogusti amari (prezzo legittimo da pagare), è gratificante e confortevole per tutti coloro i quali agiscono con questo tipo di Fotografia dei nostri giorni. A ben guardare, e privi di pregiudizi (che, personalmente, ci fanno frequentare altra Fotografia: ma sono soltanto fatti nostri), è proprio questo il senso di ogni impegno fotografico: andare oltre i propri confini individuali, per abbracciare e frequentare una comunità senza confini di sorta e senza animosità preventive (almeno, lo speriamo). Dunque, dobbiamo considerare i Social Network come biforcazione dal tragitto lineare della Storia della Fotografia; come percorso che da questo ceppo originario è partito per stabilire un altro passo, un nuovo passo, con affinità e divergenze da quanto cadenzato in oltre centosettantacinque anni di evoluzione lessicale, dal fatidico 1839 di partenza. Lo abbiamo riconosciuto, nell’ambito del recente PhotoShow, di Milano, nel finesettimana ventitré-venticinque ottobre scorsi, curando la selezione #WeAreIgersMilano, anticipatoria di altri successivi e imminenti svolgimenti a tema. Infatti... siamo qui! Maurizio Rebuzzini

Sponsorizzata da Epson, e a cura di Filippo e Maurizio Rebuzzini, in collaborazione con Instagramer Milano, #WeAreIgersMilano, presentata allo scorso PhotoShow (dal ventitré al venticinque ottobre), ha proposto dodici autori con una selezione di dodici immagini ciascuno. Tanti i generi affrontati, differenti tra loro, rappresentati con un linguaggio espressivo attuale, fresco e intraprendente. Fotografie di: Marzia Bellini (@milkydrop), Enrico Bruscia (@takkeb), Alessandro Carpentiero (@alessandro_carpentiero), Benedetto Demaio (@benedettodemaio), Giulia Dini (@giuliadini), Laura La Monaca (@dailybreakfast), Marco Lamberto (@polylm), Elisa Pella (@elisagram), Domenico Principato (@domenicoprincipato), Livia Sala (@liviasala), Francesca Simone (@franzsimone) e Andrea Tamburrini (@anddicted).

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Parliamone di Maurizio Rebuzzini (Franti)

COINCIDENZE DI GARBO

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Certe nozioni occorre possederle... forse. La volontà di non essere sempre e solo accademici bisognerebbe frequentarla... forse. La visione di una materia comprensiva delle proprie interconnessioni e combinazioni e trasversalità potrebbe essere auspicabile... forse. L’idea di una Fotografia viva e brillante, sia nei propri valori autoriali, sia nella quotidianità di attraversamenti leggeri e gradevoli, che allontanino qualsivoglia ipotesi di noiosa e tediosa retorica intellettuale (?), sgraverebbe le parole di contorno... forse. La tenacia e il proposito di presentare la Fotografia con lieve e consistente energia, vitalità, esuberanza e intelligenza, che ne consentirebbero una percezione universale e unanime, senza barriere né steccati di sorta, sarebbe augurabile... forse. Con solennità e consistente presenza/partecipazione di apparati pubblici, lo scorso trenta settembre è stato inaugurato un convincente, autorevole e affascinante spazio fotografico. Le premesse dei duemila metri quadrati di Camera - Centro Italiano per la fotografia, a Torino, sono di profilo alto, garantito sia da un solido supporto economico/finanziario, sia da alleanze politiche al di sopra di ogni sospetto (forse). E la questione di fondo è così risolta. Come abbiamo avuto già modo di annotare e rilevare, e qui la ripetizione si impone, da tempo ogni relazione giornalistica -quale è questa nostra attuale- deve fare i propri conti con la socialità del proprio tempo. Così, trenta giorni dopo la maestosa inaugurazione, e altrettanti trenta giorni dopo l’inizio delle attività scandite da un programma estremamente concentrato e finalizzato (mostre -avvio con Boris Mikhailov: Ukraine-, archivio, didattica, luogo di parole e, perfino, Leica Store in allineamento), sarebbe grottesco stare qui a cadenzare le intenzioni e presentare i proponimenti. Infatti, il Web ha provveduto a tutto questo in tempo reale, con annotazioni compilate in cronaca diretta. Con franchezza -e in conferma d’obbligo-, in questi momenti di infor-

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Veduta della Gran Madre di Dio, primo dagherrotipo italiano accreditato (successivo a precedenti prove a Firenze e Pisa, delle quali si sono perse le tracce), realizzato dal torinese Enrico Federico Jest l’8 ottobre 1839 (formato mezza lastra, circa; Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino).

mazioni rapide (e, spesso, transitorie... ahinoi), è giornalisticamente doveroso differenziare il Web rispetto altre scritture e comunicazioni. Cioè, la Rete si distingue per freschezza e rapidità di argomenti, con relativa facilità e velocità di ricerca e informazione, mentre la lettura (scrittura) di riviste e/o libri offre tempo e modo per elaborare e riflettere. Come dire, e diciamolo!, che la scrittura/lettura di riviste (e/o libri) favorisce la comprensione di argomenti complessi e articolati. Da cui e per cui... eccoci qui, soprattutto a completare l’incipit odierno (nella convinzione che il Web accende soltanto fiammate di interessi che vengono presto/subito dimenticati e immediatamente sostituiti da altri, a propria volta preso/subito accantonati). Camera - Centro Italiano per la Fotografia è localizzato in via delle Rosine 18, a Torino (011-0881150; www.camera.to, camera@camera.to), a due passi dalla chiesa della Gran Madre di Dio (e tralasciamo le note relative al misterioso e al satanismo: con Praga e Lione, Torino è valutata e conteggiata città magica, con “qualcosa” di più, che la fa considerare la capitale occulta d’Europa, con la Gran Madre eretta a simbolo e indirizzo di spicco).

La combinazione “fotografica” Camera / Gran Madre di Dio, che nasce dalla topografia dei rispettivi luoghi, è di quelle irripetibili: infatti, la Gran Madre di Dio è stata soggetto del primo dagherrotipo scattato in Italia, e conteggiato per la sua primogenitura. La Veduta della Gran Madre di Dio, il cui originale è oggi custodito e conservato nella Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea del capoluogo piemontese, è stata realizzata da Enrico Federico Jest, l’8 ottobre 1839, all’alba della propria attività commerciale: primo apparecchio italiano per dagherrotipia. Ancora: di un suo secondo dagherrotipo dello stesso Enrico Federico Jest si ha testimonianza diretta dalla Gazzetta Piemontese dell’undici ottobre: «Noi intanto porgiamo vive grazie al sig. Jest della sua nobile prova, e facciam voti che a questa sola ei non limiti il suo potente intelletto e la sua industre meccanica: imperocché il Daguerrotipo francese è già per lui renduto italiano, e forse per alcuni aspetti superiore al francese medesimo [...] con quella sua veduta così chiara ed esatta, ottenuta in sì pochi momenti [...]. Chi di noi non griderà agli italiani: Coraggio! L’esempio del


PER LA

CAMERA - CENTRO ITALIANO

fisico francese ci inanimi a diuturni sforzi per emularlo». Dal punto di vista commerciale, a completamento di osservazione, registriamo anche qui che dal successivo novembre 1839, il milanese Alessandro Duroni importò in Italia i primi apparecchi Daguerre-Giroux, in vendita a Parigi dal dieci agosto. Dunque, questa vicinanza “fotografica-toponomastica” avrebbe potuto essere sottolineata all’avvio di Camera - Centro Italiano per la Fotografia, se soltanto... ci fosse «la volontà di non essere sempre e solo accademici», si intendesse «la visione di una materia comprensiva delle proprie interconnessioni e combinazioni e trasversalità», si frequentasse «l’idea di una Fotografia viva e brillante, sia nei propri valori autoriali, sia nella quotidianità di attraversamenti leggeri e gradevoli, che allontanino qualsivoglia ipotesi di noiosa e tediosa retorica intellettuale (?)», si avesse «la tenacia e il proposito di presentare la Fotografia con lieve e consistente energia, vitalità, esuberanza e intelligenza, che ne consentirebbero una percezione universale e unanime, senza barriere né steccati di sorta». Ma questa nostra osservazione/rilevazione, così particolare e viziata (dal nostro modo di intendere la materia e frequentare le sue coincidenze), nulla toglie al sostanzioso valore e merito dell’autorevole Camera Centro Italiano per la Fotografia, che

FOTOGRAFIA

Parliamone

sicuramente svolgerà il proprio programma con concentrazione e capacità e grandezza. Soltanto, due ulteriori note a commento, in risposta a coloro i quali hanno espresso perplessità e dubbi (che sempre accompagnano qualsivoglia iniziativa, soprattutto nel nostro paese, soprattutto alla luce di precedenti iniziative fotografiche che si sono presto esaurite in se stesse: e, sicuramente, non sarà questo il caso). Anzitutto, una disamina dell’identificazione, così chiara, esplicita e manifesta: «Centro Italiano per la Fotografia», non «Centro per la Fotografia Italiana»; e, poi, «per la Fotografia», non «della Fotografia». Con le relative personalità e distinzioni. Quindi, e poi basta, riconosciamo la legittimità della mostra di avvio Boris Mikhailov: Ukraine, che ha stabilito

Camera Centro Italiano per la Fotografia, via delle Rosine 18, 10123 Torino (011-0881150; www.camera.to, camera@camera.to): chiusura martedì; lunedì-domenica 11,00-19,00, giovedì fino alle 21,00. In questa raffigurazione ufficiale del luogo è soprattutto evidente il Leica Store, che occupa l’angolo con via Giolitti.

subito una visione globale, estranea a qualsivoglia nazionalismo territoriale. Da una parte, questo è. Da altro punto di vista, il visitatore generico -estraneo al dibattito propriamente fotografico, con tutte le proprie sfaccettature- è richiamato dall’argomento, prima che dall’autore. E questa è una intenzione «per la Fotografia»: qualsiasi cosa questo possa significare. Ancora, e in sovramercato, la fotografia italiana è povera di progetti di tanta intensità: qualsiasi autore italiano fosse stato chiamato a inaugurare Camera - Centro Italiano per la Fotografia avrebbe allestito una personale, una antologica, una retrospettiva per la quale il suo nome e il suo prestigio individuale avrebbe prevaricato la cadenza delle immagini presentate e offerte. Dunque, «per la Fotografia». ❖


Mercanti in Fiera di Antonio Bordoni

PHOTOKINA 2016

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ANDREAS IKONOMU

S

Sono state confermate (annunciate?) le date della prossima edizione 2016 della Photokina, di Colonia, che si offre e propone come World of Imaging: da martedì venti a domenica venticinque settembre. Al solito, e in sostanzioso anticipo temporale, sono necessarie precisazioni, che distinguono questo appuntamento fieristico da quanto viene organizzato e svolto a livello locale, come è il caso dell’italiano PhotoShow. Soprattutto, si deve farlo alla luce del fatto che la tecnologia fotografica ha oggi definitivamente tracciato le proprie linee conduttrici, che dal presente si proiettano in avanti, verso il futuro e il futuribile. Come è stato sostanziosamente rilevato (soprattutto in Alla Photokina e ritorno, di Maurizio Rebuzzini: ancora oggi di palpitante attualità), da tempo la Photokina non è più Fiera di novità tecniche: che ci sarebbero state anche senza mettere in piedi una tale kermesse e che si sarebbero conosciute comunque, indipendentemente dall’appuntamento ufficiale di Colonia, in Germania, della fine di settembre. Infatti, non è più un problema di novità di mercato, come è stato fino a qualche anno fa, quando si andava in Photokina per annotare le nuove interpretazioni fotografiche realizzate e proposte dall’industria, che avrebbero caratterizzato il mercato dei mesi/anni immediatamente a seguire. Mentre nei decenni scorsi si andava a Colonia per registrare l’insieme delle novità tecniche, da annotare come tali e valutare per quanto rappresentavano nel proprio complesso, oggi si deve osservare con altro occhio, con differente attenzione. Le novità tecniche non attendono più l’appuntamento biennale della Photokina per essere annunciate e, addirittura, proposte al mercato. Per quanto riguarda la comunicazione, il tempo reale della rete Internet assolve egregiamente e risolve. A conseguenza, alla Photokina più che guardare, sentire e dedurre, si deve soprattutto annusare: sollevare la superficie per guardarvi sotto, per trarre altre deduzioni e, addirittura, conclusioni.

Ingresso Sud della Fiera di Colonia, che nella seconda metà degli anni pari ospita la Photokina. Edizione dopo edizione, ne abbiamo puntualmente riferito (qui, la scorsa edizione 2014; FOTOgraphia, novembre 2014). La prossima edizione 2016, da martedì venti a domenica venticinque settembre.

Qual è, a nostro avviso lo spirito fotografico che la Photokina evidenzia da qualche edizione, fino ad elevarlo a cifra stilistica di un settore? Soprattutto è quello di un’industria produttrice che si è perfettamente resa conto che l’elemento fotografico non dipende soltanto dalle statistiche commerciali e dai volumi di vendita, ma a monte di tutto sta il fatto che l’esercizio della fotografia, a ogni proprio livello, dalla semplice fotoricordo (nella propria nobiltà) all’impegno altamente professionale, non può prescindere dalla soddisfazione personale e individuale. Ovvero, come abbiamo annotato in tempi antecedenti a oggi, in tempi non sospetti, il valore aggiunto è proprio questo: la fotografia finale che ciascuno realizza. Insomma: la Photokina ha un rapporto relativo con le novità che i produttori annunciano e presentano. L’anima, il senso e lo spirito attuali della Photokina prescindono, quindi, dalla quantità e qualità di novità espresse nei suoi giorni, che pure ne compongono l’irrinunciabile ossatura. In un tempo tecnologico e commerciale co-

me è l’attuale, le alternanze ed evoluzioni tecniche (e commerciali) prescindono -ormai- da un qualsiasi appuntamento fieristico: per cui è più che grottesco circoscrivere e limitare il valore della Photokina a questo. Sia alla luce del ritmo con il quale i prodotti fotografici si inseguono sugli scaffali di vendita, sia in considerazione dei nuovi/innovativi veicoli di informazione verso il pubblico (a partire dalla già ricordata rete Internet), la tecnica fotografica è un divenire continuo e inarrestabile. Soprattutto per questo, ma non soltanto per questo, la Photokina si esprime e manifesta al di là della somma algebrica delle novità annunciate con la sua occasione, delle quali ne sollecita e favorisce soltanto la presentazione. La Photokina è oggi l’espressione più chiara, trasparente e concreta di infiniti intrecci, legami e collegamenti. Photokina non sono i soli strumenti della fotografia. Alla Photokina e con la Photokina, l’intero mercato della fotografia manifesta spiriti e filosofie trasversali, da decifrare per allineare e finalizzare ogni personalità commerciale quotidiana. ❖


Realizzata per fotografi che amano la rapidità, l’eccezionale Canon EOS 7D Mark II cattura i momenti più straordinari, quelli che sfuggono a chi non dispone di tanta e tale velocità d’azione. Sia che si tratti di fotografie o filmati video, si può oggi esprimere il proprio lato creativo come mai prima d’ora. Costruita sulle eccellenti prestazioni della celebre e affermata EOS 7D, dotata di doppio processore, e mettendo a frutto le tecnologie presenti nell’ammiraglia professionale EOS-1D X, la rivoluzionaria reflex Canon EOS 7D Mark II è stata creata per affrontare e risolvere il dinamismo delle azioni, con potenza e prestazioni estreme, per fornire ai fotografi più esigenti la libertà di scattare un universo di situazioni in continuo svolgimento. Canon EOS 7D Mark II offre tutte le prestazioni della reflex (temporalmente) precedente e ancora molto di più, grazie al nuovo sistema AF a 65 punti a croce e al doppio processore DIGIC 6. EOS 7D Mark II rappresenta, quindi, un nuovo ed entusiasmante punto di riferimento assoluto per velocità e potenza, scattando a un’incredibile raffica di 10 fotogrammi al secondo (fps), senza alcuna perdita di risoluzione. Ideata per immortalare il momento cruciale, con una qualità eccezionale, la reflex vanta un nuovo sensore APS-C CMOS da 20,2 MP con una gamma ISO

nativa 100-16.000, espandibile fino a 51.200. Insieme a un avanzato sensore di misurazione della luce ad alta risoluzione, da 150.000 pixel RGB + IR, e all’innovativo rivelatore di sfarfallio, EOS 7D Mark II garantisce immagini sempre esposte perfettamente. Completamente adattabile allo stile con cui si scatta, la reflex offre controlli personalizzabili sul corpo macchina e un nuovo mirino, con una copertura di circa il 100%. Infine, con caratteristiche video di livello professionale, tra le quali uscita HDMI diretta e tecnologia Dual Pixel CMOS AF, Canon EOS 7D Mark II aiuta a scoprire nuovi livelli di creatività espressiva. Grazie a tutte queste caratteristiche avanzate, Canon EOS 7D Mark II è la fotocamera ideale per raccontare l’inverno da una nuova e avvincente prospettiva. Si tragga ispirazione dai racconti di alcuni fotografi che con la propria Canon hanno trovato nuove storie da raccontare. Si legga il racconto di un utente Canon che, visitando la Valle Engadina, ha scoperto uno sport invernale avventuroso ed eccitante -lo Skijöring-, in cui gli sciatori sfrecciano sul ghiaccio tra gli zoccoli scalpitanti dei cavalli. E, poi... tante altre Winter Story, all’indirizzo Web Canon.it/comeandsee. Buon inverno, con Canon EOS 7D Mark II.

EOS 7D Mark II: raccontare l’inverno! Da una prospettiva unica con Canon EOS 7D Mark II. Congelare l’azione per raccontare le storie più avventurose.


Cinema

di Maurizio Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

NON CONSUETE

Q

Quando consideriamo la presenza della fotografia all’interno di sceneggiature cinematografiche, dobbiamo obbligatoriamente privilegiare gli interventi di maggiore spessore. Ovverosia gli interventi di sostanza, a partire da quelli per i quali e nei quali la fotografia è protagonista della visione e vicenda. In questo senso, sono emblematici titoli di spicco -ciascuno significativo a proprio modo-, dei quali ci siamo ampiamente occupati (e, questa volta, risparmiamo i richiami alle nostre edizioni, indietro nel tempo): Blow-Up, Flags of Our Fathers, Fur Un ritratto immaginario di Diane Arbus, Il favoloso mondo di Amélie, La finestra sul cortile, Jump!, Pretty Baby, I sogni segreti di Walter Mitty, Memento, Occhio indiscreto, One Hour Photo, Smoke, Triage, Gli occhi di Laura Mars, Cenerentola a Parigi, L’œil de l’autre... ai quali si aggiungono titoli relativi a guerre recenti, da Salvador a Sotto tiro, a Un anno vissuto pericolosamente, a Urla del silenzio. Immediatamente a seguire, mese dopo mese, stagione dopo stagione, abbiamo registrato anche trasversalità rilevanti e sostanziose, scomposte tra sceneggiatura e scenografia cinematografica. Qualche esempio rappresentativo della quantità e completezza (ancora senza richiami alle nostre edizioni, indietro nel tempo): Backbeat, Era mio padre, Spy Game, We Were Soldiers, Miseria e nobiltà, Closer, The Terminal, City of God, Apocalypse Now, La chiave. E tanti altri titoli calzano a pennello.

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La caméra de bois (in distribuzione internazionale, The Wooden Camera), film francese di Ntshaveni Wa Luruli, del 2003: avventura per famiglie, attorno una macchina fotografica di assoluta fantasia, autocostruita: come rivelano un posato promozionale e la locandina originaria.

Marisa Tomei, nei panni di Mona Lisa Vito, con una Le Clic, in Mio cugino Vincenzo, di Jonathan Lynn, del 1992. Autovelox stradale utilizzato per registrazione fotografica, in Il mistero delle pagine perdute, di Jon Turteltaub, del 2007.


Cinema Obiettivo Petzval (?) [ FOTOgraphia, dicembre 2014], in L’assasinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, di Andrew Dominik, del 2007.

Apparecchi in legno ad uso giornalistico, in La vera storia di Jack lo squartatore, dei fratelli Albert e Allen Hughes, del 2001.

Holly Hunter, nei panni dell’agente di polizia Edwina “Ed” McDunnough, con apparecchio in legno adattato alla fotografia segnaletica, in Arizona Junior, dei fratelli Joel e Ethan Coen, del 1987.

Totò, nei panni di don Felice Sciosciammocca, con apparecchio a cassetta in legno, tipico dei fotografi ambulanti del primo e secondo Novecento, in Miseria e nobiltà, di Mario Mattoli, del 1954.

Ancora, abbiamo anche fatto esplicito riferimento alle parole fotografiche nel cinema, sconfinando da Woody Allen al Tenente Colombo, a I tre giorni del Condor, in una consecuzione senza soluzione di continuità. Quindi, nel nostro occuparci della presenza convinta e coerente della fotografia al cinema, nel cinema, non abbiamo ignorato come e quanto -nelle scenografie statunitensi- questa sia sempre adeguata, fino al corretto modo di tenere tra le mani l’apparecchio fotografico [in questo caso, il rimando è doveroso: FOTOgraphia, settembre 2011 e febbraio 2012]. Ora, lungo il cammino, avviciniamo un altro tema, quello degli apparecchi fotografici visualizzati nelle scenografie. In particolare, andiamo sottotraccia, e ci rivolgiamo a citazioni ed evocazioni che scartano a lato l’ovvio ed evidente richiamo obbligato (Nikon, Canon, Leica, Rolleiflex e Hasselblad sopra tutto), per incontrare riferimenti meno consueti, commercialmente marginali, forse anche di assoluta nicchia. In questo senso, non intendiamo comporre alcun casellario, che sarebbe arido, ma lasciamo le luci della ribalta e il racconto alle immagini di accompagnamento, fotogrammi selezionati da film censiti con perizia e competenza: questo va proprio sottolineato. Soltanto, ci concediamo sottolineature di sostanza, che superano lo stretto confine entro il quale stiamo oggi agendo. E niente di più, né oltre. Passerella d’onore per la poco conosciuta Brooks-Veriwide, per fotografia grandangolare in 6x9cm, realizzata a New York City in forma artigianale. Con l’occasione, rileviamo che questa intenzione sta alla base di tanti altri assemblamenti, tra i quali ricordiamo ancora quello realizzato dall’architetto e pilota d’aereo Luciano Nustrini, a Firenze, nei primi anni Settanta, con elementi provenienti da diversi sistemi fotografici originari (Luciano Nustrini è mancato in un incidente aereo a Auckland, dove nel frattempo si era trasferito, nel 1999). E sta anche alla base del sistema Silvestri, che si è via via evoluto fino alle configurazioni attuali Bicam II e III e Flexicam. La Brooks-Veriwide 100 è stata realizzata/assemblata dal 1959 al 1965: con Schneider Super-Angulon 47mm f/8 su elicoide e otturatore centrale Synchro-Compur (stile Hasselblad),

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Cinema James Cromwell con monouso Kodak, in L’altra sporca ultima meta, di Peter Segal, del 2005.

Dispositivo Polaroid MP-4, in Zodiac, di David Fincher, del 2007.

Stanley Tucci, nei panni di Stanley Kubrick (nientemeno!), con Minox, in Tu chiamami Peter, di Stephen Hopkins, del 2004.

Apparecchio fotografico di fantasia, nel cartone animato Il gigante di ferro, di Brad Bird, del 1999.

Visore stereo d’epoca, in Appuntamento a tre, di Damon Santostefano, del 1999.

per esposizioni 6x9cm (56x92mm) su pellicola a rullo 120. La cifra “100” identifica l’angolo di campo approssimativo sulla diagonale, equivalente alla visione della focale 18mm sul formato 24x36mm; da cui, mirino ottico esterno Leica 21mm, oppure, in alternativa sostanzialmente economica e conveniente, sovietico Mir-20 (dal sistema di accessori degli apparecchi a telemetro Fed e Zorki). Quindi, dal 1965 al 1975, per dieci anni, venne realizzato un assemblaggio di elementi di diversa provenienza (come fece anche il citato Luciano Nustrini): riquadri di collegamento e magaz-

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Rara Brooks-Veriwide tra le mani di Bill Murray, in Ghostbusters II Acchiappafantasmi II, di Ivan Reitman, del 1989 [ FOTOgraphia, dicembre 2007].

Polaroid Taz, in Unfaithful L’amore infedele, di Adrian Lyne, del 2002.

Vetro smerigliato Sinar 4x5 pollici, in Al vertice della tensione, di Phil Alden Robinson, del 2002.

zino portapellicola 6x9cm Mamiya (dal sistema Press Universal), obiettivo Schneider Super-Angulon 47mm f/5,6 o f/8 su elicoide e con otturatore centrale, mirino ottico esterno del Mamiya-Sekor 50mm f/6,3, la cui inquadratura è analoga a quella del 47mm. Ovviamente, riprese 6x9cm (55x79mm) su pellicola a rullo 120 o 220. Prodotta in una contenuta quantità di esemplari, tutti artigianali, tutti su misura dell’acquirente (piccole personalizzazioni), la Brooks-Veriwide ha avuto un effimero momento di gloria cinematografica. È tra le mani del dottor Peter Venkman (Bill Murray) in

Ghostbusters II - Acchiappafantasmi II (Ghostbusters II, di Ivan Reitman; Usa, 1989) [in questa pagina]. Ancora, e ci fermiamo qui, attiriamo l’attenzione sul dispositivo per riproduzione Polaroid MP-4, rivolto sia al comparto propriamente fotografico sia alla rilevazione scientifica. È stata una dotazione estremamente modulare, con infinite possibilità di personalizzazione e finalizzazione: lo si incontra nel film Zodiac, di David Fincher, del 2007 [ancora, in questa pagina]. Ovviamente, in ambito di indagine di polizia. Per il resto, lasciamo posto e voce alle immagini a corredo. ❖



Sul filo della memoria di Maurizio Rebuzzini

In stagioni fotografiche passate (e tra/passate), caratterizzate e definite da una ampia e differenziata proposizione tecnico-commerciale, il comparto del grande formato ha espresso straordinari momenti di avvincente passione... oltre le applicazioni oggettivamente mirate e finalizzate. Per grande formato si intendono le configurazioni fotografiche per pellicole piane dal 4x5 pollici all’8x10 pollici (dal 10,2x 12,7cm al 20,4x25,4cm), e anche oltre, in costruzione a banco ottico, oppure folding (a base ribaltabile). La specifica è oggi necessaria, visto e considerato che di questa fotografia se ne sono perse le tracce sostanziali. Soltanto, e con orgoglio, possiamo ribadire il nostro personale impegno verso quell’auspicato Ritorno al grande formato, che stiamo sollecitando insieme con Giancarlo D’Emilio (soprattutto, ma non soltanto, in FOTOgraphia di luglio, settembre e ottobre 2014; e da pagina 34, su questo stesso numero). Tra le tante produzioni che animarono quelle fantastiche stagioni, la giapponese Horseman merita una considerazione privilegiata e di vertice. In origine, nacque come divisione Topcon, le cui reflex hanno vivacizzato il mercato fotografico fino a tutti gli anni Ottanta; tanto che sul mercato antiquario e dell’usato si possono ancora individuare folding 6x9cm siglate, per l’appunto, Topcon. In seguito, Horseman confezionò una superba linea di folding 6x9cm e 4x5 pollici estremamente pratiche e versatili. Alla fine degli anni Settanta, arrivò anche il primo banco ottico Horseman 450 (4x5 pollici / 10,2x12,7cm), che interpretò la costruzione modulare con soluzioni intelligenti e opportune, a partire dai corpi a “L”. A parte le successive versioni 13x18cm (570) e 8x10 pollici (810 / 20,4x25,4cm), meno pratiche nell’uso del grande formato di partenza, registriamo che l’allineamento alle dimensioni Sinar -leader assoluto di mercato, con diffusione quantitativamente proporzionale- si rivelò efficace e conveniente. Altro ci sarebbe da annotare, ma non qui, ma non ora: soltanto, ricordiamo le evoluzioni Horse-

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ALTIN MANAF

I

DAL (TRA)PASSATO

Cena conviviale durante la Photokina 2014, mercoledì diciassette settembre: Tosh Komamura, al centro, con Gabriele Gargiani (Silvestri Fotocamere), Maurizio Rebuzzini ( FOTOgraphia), Giulio Forti ( Fotografia Reflex) e Vincenzo Silvestri.

man LX e il successivo allungo verso l’acquisizione digitale di immagini. Tutto questo preambolo, per arrivare alla esuberante personalità di Tosh Komamura, giapponese più che estroverso, che è approdato ai vertici dell’azienda di famiglia alla metà degli anni Settanta; subito annotato: suo è il progetto Horseman 450, al quale vantiamo ancora oggi di aver fattivamente contribuito con nostre osservazioni, annotazioni e rilevazioni (insomma, qualcosa di quel banco ottico si deve alle nostre competenze in materia; punto). Abbiamo conosciuto Tosh Komamura, accompagnato dal suo fedele braccio destro Jin Yamaguchi, prematuramente mancato [FOTOgraphia, novembre 2010], nel giugno 1979, negli uffici dell’allora importatore GiBi... Gianni Baumberger. Da allora, a ogni fiera mercantile alle quali abbiamo rispettivamente presenziato (lui come espositore, noi come giornalisti), la nostra prima visita ufficiale/ufficiosa è stata riservata allo stand Horseman, spesso in anticipo sulla data di inaugurazione: scambio di saluti e regali, in una linea diretta e a

doppio senso Giappone-Italia-Giappone. Anche in questo senso, altro ci sarebbe da annotare; ancora, ma non qui, ma non ora. Comunque, tra i carteggi che ci siamo scambiati, segnaliamo oggi significative testimonianze di lusinghieri apprezzamenti delle interpretazioni grande formato Horseman. Anzitutto, registriamo una lettera che Ansel Adams (nientemeno!) ha inviato il 6 maggio 1983 per complimentarsi con la produzione Horseman, in occasione del cinquantenario dalla fondazione dell’azienda [pagina accanto]. Quindi, sempre da Ansel Adams, incontriamo un fax inviato il 21 dicembre 1978 al commerciante Calumet, uno dei principali riferimenti statunitensi della fotografia professionale, con richieste di precisazioni tecniche [ancora, pagina accanto]. Il fax comincia con una affermazione lapidaria: «Penso che la Horseman [450] sia il miglior apparecchio grande formato che ho incontrato. Desidero acquistarne uno»... mica male, davvero! Da cui, e per cui, in conseguenza diretta, Tosh Komamura ha ricevuto una copia di Time Magazine, del 3 set-


Sul filo della memoria Fax inviato il 21 dicembre 1978 da Ansel Adams al commerciante Calumet, che comincia con una affermazione lapidaria: «Penso che la Horseman [450] sia il miglior apparecchio grande formato che ho incontrato. Desidero acquistarne uno».

TOSH KOMAMURA (2)

Lettera che Ansel Adams ha inviato il 6 maggio 1983 per complimentarsi con la produzione Horseman, in occasione del cinquantenario dalla fondazione dell’azienda.

tembre 1979, al quale ci siamo già riferiti tempo fa [FOTOgraphia, luglio 2007], Ansel Adams - The Master Eye, con autografo del celebrato fotografo [a pagina 18]... beato lui! Chiusura nobile, con una lettera autografa di Merle (e Marion) Deardorff, del 13 novembre 1990, che esprime a Tosh Komamura, anche in ricordo del padre, che l’ha preceduto nella conduzione aziendale di famiglia, ringraziamenti per la sua rivitalizzazione del marchio e della produzione di apparecchi grande formato in legno Deardorff, per l’appunto [ancora, a pagina 18; e Deardorff 8x10 pollici in copertina di FOTO graphia, del luglio 2014]. La vicenda è nota a coloro i quali hanno seguìto anche i dietro-le-quinte della nobile e avvincente stagione del grande formato fotografico: quando, all’inizio degli anni Novanta, Horseman rilevò marchio e produzione Deardorff, riprendendo e riproponendo una storia appassionante della fotografia grande formato. Abbiamo poco o nulla per contrastare e compensare tutto questo. Soltanto, personalmente, possiamo vantare il possesso del poster Apple con Ansel Adams, sempre con banco ottico Horseman 450 [ancora, a pagina 18; dimensioni 66,5x27,1cm, con soggetto 61,5x22cm contornato da un sostanzioso bordo bianco di cornice]. Anche questa vicenda è adeguatamente nota. Nel corso del 1998 e dintorni, al rientro di Steve Jobs ai vertici aziendali, Apple realizzò una serie di annunci istituzionali basati su diverse personalità -tra le quali Ansel Adams (mancato nel 1984)-, voluti proprio da Steve Jobs. L’headline è forte e intelligente Think different. (alla lettera “pensa diverso” -non “pensa differentemente”-, ma qualcosa di più: guardare con una visione libera, senza preconcetti), che in quei tempi definì la filosofia Apple, in combinazione con il riconosciuto logotipo aziendale: la celebre mela multicolore, ben evidente nelle composizioni fotografiche rigorosamente bianconero. Comunque sia, concludiamo in approfondimento. Ma senza inutile nostalgia, né rimpianto: così va la vita. Con Auggie Wren, del cinematografico Smoke [FOTOgraphia, novembre 2003 e maggio 2010], che a propria volta parte da una citazione dal Macbeth (di William Shakespeare): «Sai

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com’è: domani e domani e domani, il tempo scorre a piccoli passi». In entrambi i ritratti, sulla copertina di Time e nella campagna Apple, Ansel Adams è raffigurato con una Horseman 450 un poco particolare. Anzitutto, nel caso Apple, sul corpo anteriore è stato aggiunto un supporto per accessori, soprattutto bandiere paraluce, con innesto di diametro consistente. Quindi, l’obiettivo non è montato su una piastra originaria Horseman (compatibile Sinar), bensì su una piastra porta obiettivi di altro sistema, adattata in modo palesemente artigianale. L’obiettivo di ripresa non è riconoscibile, ma l’otturatore è evidente: Compur numero 1. In tale abbinamento obiettivo-otturatore, sul formato di ripresa 4x5 pollici (10,2x12,7cm), la focale non dovrebbe essere corta; diciamo, almeno da 180 a 210mm. A questo proposito, non ci si faccia in-

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Lettera autografa di Merle (e Marion) Deardorff, del 13 novembre 1990, che esprime a Tosh Komamura ringraziamenti per la sua rivitalizzazione del marchio e della produzione di apparecchi grande formato in legno Deardorff. Copertina di Time, del 3 settembre 1979 (Ansel Adams con Horseman 450), autografato dal celebre fotografo. Poster Apple con Ansel Adams e Horseman 450.

ARCHIVIO FOTOGRAPHIA

TOSH KOMAMURA (2)

Sul filo della memoria

gannare dal soffietto soffice, probabilmente utilizzato per favorire il decentramento dei piani dell’apparecchio più che per l’originaria affinità con gli obiettivi grandangolari. Sulla copertina di Time, del 3 settembre 1979, il ritratto di Ansel Adams è analogo a quello utilizzato da Apple, forse addirittura coevo, però a colori. L’abbigliamento di Ansel Adams è diverso, completato per l’occasione con il caratteristico Stetson bianco, ma la

postura è sostanzialmente coincidente. Ancora con banco ottico Horseman 450 (sebbene con piastra adattatrice artigianale porta obiettivo di diversa finitura), ancora flessibile (bianco, questa volta), ancora il gesto della ripresa. L’obiettivo è diverso. Si tratta di un Super-Angulon 210mm f/5,6 di consistente effetto coreografico. Nota parallela: sulla sua montatura è stata proditoriamente cancellata l’identificazione del costruttore Schneider. ❖



Biennale di Angelo Galantini

SACRO E PROFANO

C

Ci sono state occasioni per annotare, con amarezza e dolore, quanto -nel nostro paese- volontà di programmare appuntamenti culturali a cadenza prestabilita e cadenzata si siano spesso scontrate con dure realtà contrarie e sfavorevoli. A causa di mille e mille avversità d’intorno, molti di questi propositi si sono presto esauriti nelle proprie edizioni iniziali, se non già nella sola edizione di origine. Ci dispiace, disturba e rattrista, per almeno due motivi: anzitutto, per la privazione e smarrimento di impegni meritevoli; quindi, per l’impoverimento sostanziale che ne consegue. Comunque, ahinoi, la registrazione è d’obbligo. Così come, con percorso inverso, è soddisfacente poter annotare ciò che riesce a scartare a lato difficoltà e contrarietà oggettive, riuscendo a scandire in avanti nel tempo i propri propositi fotografici di partenza. In questo senso, il programma biennale Photolux Festival, di Lucca -erede dell’originaria formula annuale Lucca DigitalPhotoFest, della quale abbiamo riferito in tante occasioni (in cronaca), esordendo nel lontano febbraio 2006, in relazione all’edizione di partenza del precedente novembre 2005-, è un esempio appagante (almeno appagante, ma ci sta tanto e tanto di più), che rischiara l’intero comparto dell’osservazione italiana della fotografia a tutto tondo: con ammirevoli e apprezzate visioni d’insieme e dettaglio. Fortemente voluto e sostenuto dal suo ideatore Enrico Stefanelli, il Photolux Festival asserisce e attesta sempre e comunque programmi fotografici di profilo alto, impaginati all’interno di temi conduttori al di sopra di ogni sospetto, oltre che di assoluta autorevolezza di visione e considerazione. In definitiva, come abbiamo spesso annotato -e la ripetizione si impone-, sul senso della Fotografia c’è di che riflettere. C’è di che discutere. Cosa sarebbe più la nostra vita senza fotografia? Cosa sarebbe la nostra mente, senza fotografie d’autore? La nostra percezione della realtà ne rimarrebbe mortificata. La nostra esperienza, impoverita. Il nostro sapere, modesto.

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Joel-Peter Witkin: Still life; Mexico City, 1992.

Bettina Rheims: La nouvelle Eve II; Ville-Evrard, maggio 1997.


Biennale

Aurelio Amendola: La Pietà Vaticana ( La Pietà di Michelangelo); Basilica di San Pietro, Vaticano, 1998.

Ernst Haas: Motion Flower e Surtsey Volcano; da La Creazione, 1971.

L’imminente edizione Photolux Festival 2015, in programma a Lucca dal prossimo ventuno novembre al successivo tredici dicembre, presenta e offre un tema conduttore intrigante, affascinante e coinvolgente, entro il quale sono cadenzate similitudini e differenze che arricchiscono il bagaglio di conoscenze fotografiche di coloro i quali (come e al pari del comitato scientifico del Festival ) distinguono l’apparire dall’essere... a partire, ma non a finire (sia chiaro!), dalla riflessione fotografica: autentico linguaggio, non soltanto visivo, dal Novecento. Sacro e Profano è un intenso e intrigante viaggio intorno al mondo: percorso alto, percorso anche interiore, alla scoperta di luoghi dello Spirito e degli Uomini che li animano, sperimentando una tensione verso il divino, di volta in volta diversa e sempre affascinante. Ancora, è un’occasione, un momento, «per rileggere l’iconografia sacra in chiave dissacrante o provocatoria, di avventurarsi in territori ritenuti generalmente non rappresentabili, confrontandosi con le pulsioni e i sentimenti più terreni dell’animo umano e le sue aberrazioni» (dalla competente introduzione al programma, in forma di motivazione e chiave di lettura). Dunque, e in conferma e in rafforzo, «Il mezzo fotografico come linguaggio privilegiato per svelare questa dualità e indagarne le diverse declinazioni e interpretazioni possibili». Il passo di Sacro e Profano, tema conduttore del Photolux Festival 2015, è scandito da una autorevole successione di mostre personali (più una “collettiva”, circa). Con ordine. ❯ Joel-Peter Witkin (a cura di Enrico Stefanelli) è l’ospite d’onore, con una retrospettiva che approfondisce il rapporto indagato dal Festival, attraverso uno sguardo unico e provocatorio (oltre che confortevolmente dibattuto [FOTOgraphia, giugno 1995; Sguardo su, di Pino Bertelli, FOTO graphia, dicembre 2011]). ❯ Ernst Haas: La Creazione (ancora a cura di Enrico Stefanelli) ripropone il progetto considerato tra i pilastri della Storia della Fotografia, pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti, nel 1971. ❯ Bettina Rheims: INRI (sempre a cura di Enrico Stefanelli) si offre e propone come attenta trasposizione -nel nostro tempo- di storie sacre.

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Biennale ❯ Kenro Izu: Sacredness (immancabilmente a cura di Enrico Stefanelli) presenta la progressione di una riflessione nella quale trova spazio, per la prima volta, la rappresentazione della figura umana (richiamo: una imponente retrospettiva di Kenro Izu fu presentata a Lucca, nel medesimo “contenitore” espositivo, nel 2011). ❯ Aurelio Amendola: San Pietro (imperiosamente a cura di Enrico Stefanelli) riunisce l’approfondita, autorevole e immensa indagine fotografica condotta sull’opera di Michelangelo, appena raccolta un una prestigiosa monografia pubblicata da Franco Maria Ricci, per l’appunto presentata in occasione di Photolux 2015. ❯ Ivo Saglietti: Sotto la tenda di Abramo. Racconto di un possibile e necessario dialogo tra le religioni e gli uomini, scandito dall’esperienza del Monastero siro antiocheo di Deir Mar Musa el-Habasci (Monastero di San Mosè l’abissino). ❯ Patrick Willocq: I am a Walé Respect me (a cura di Azu Nwagbogu) indaga un rito d’iniziazione diffuso tra i pigmei Ekonda del Congo. ❯ Charles Fréger: Wilder Mann (a cura di Mariateresa Cerretelli) esplora riti e tradizioni europee in cui l’abito diventa maschera, travestimento, incarnazione del mito. ❯ Jordi Pizarro: The Believers (a cura di Lucy Conticello) è un progetto ongoing che esplora le comunità religiose di dieci differenti paesi, in quattro continenti. ❯ James Estrin: Observance documenta esperienze spirituali di ogni genere, per catturare l’essenza di qualcosa di invisibile e impalpabile in un’immagine visibile. ❯ Michele Borzoni (a cura di Renata Ferri) ha dedicato più di tre anni alle comunità cristiane del Medio Oriente, concentrandosi sulla morfologia umana e geografica del territorio. ❯ France Keyser: Nous sommes français et musulmans (a cura di Dimitri Beck) è un reportage del 2008 che racconta la vita quotidiana dei musulmani di Francia. ❯ Enrico Rondoni: Nel regno della luce è un reportage dal Tibet che documenta la rappresentazione del rito che simboleggia la lotta tra il bene e il male, che si svolge ogni plenilunio d’agosto nel Monastero buddista del XVI secolo di Phyi-Yang.

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Ivo Saglietti: Sotto la tenda di Abramo; 2004.

Anna Maria Germontani: Momenti nella comunità ebraica di Milano; 1991-1995.

(pagina accanto, in alto) Toni Meneguzzo: da Divine Bovine; 2007-2013.

(pagina accanto, in basso) L’atomica a Nagasaki; Giappone, 9 agosto 1945 (US Army AAF Photo / Library of Congress).


Biennale ❯ Nicolò Degiorgis: Hidden Islam indaga i luoghi musulmani di preghiera, nel Nord Est d’Italia. ❯ Toni Meneguzzo: Divine Bovine è una esplorazione della tradizione Hindu di vestire e adornare le vacche sacre. ❯ Joana Choumali: Resilients attraversa i temi dell’identità femminile, del rapporto della donna africana con le proprie tradizioni. ❯ Anna Maria Germontani: Momenti nella comunità ebraica di Milano nella prima metà degli anni Novanta (a cura di Giuliana Scimé) fa parte di un ampio lavoro sulle comunità a-cattoliche del capoluogo lombardo. ❯ Crimini contro l’umanità (a cura di Giuliana Scimé): collettiva che raccoglie fotografie d’agenzia e video che raccontano i crimini contro l’umanità che il mezzo fotografico (e video) ha potuto documentare. Quindi, nel circuito Photolux Festival 2015 si inseriscono anche la mostra del World Press Photo 2015 [FOTO graphia, aprile 2015], tre mostre dedicate ai progetti vincitori dei contest Roberto Del Carlo Photolux Award, Young Curators Photolux Contest e Fuoco Sacro, la mostra dei vincitori del Leica Oskar Barnack Award 2015, la mostra del vincitore del Documentary Photography Grant 2015 e la mostra Burma, di Carolina Sandretto, in collaborazione con Progetto Vitalità Onlus. Quindi: fitto e ricco calendario di eventi collaterali: convegni, relazioni internazionali, lettura portfolio e Expolux (spazio espositivo dedicato a editori, stampatori, professionisti del settore e scuole di fotografia). In questo ambito, segnaliamo la presenza di FOTOgraphia, con le proprie Riflessioni, Osservazioni e Commenti (a disposizione anche in trasversalità, oltre l’ufficialità di luoghi e orari, magari nella convivialità del soggiorno toscano). Ancora: il nostro direttore Maurizio Rebuzzini sarà tra i lettori di portfolio. Sabato ventotto novembre, durante la Photolux Night, premiazione dei contest e consegna del premio alla carriera all’ospite d’onore JoelPeter Witkin. ❖ Photolux Festival 2015, Biennale Internazionale di Fotografia. Lucca, dal 21 novembre al 13 dicembre; www.photoluxfestival.it.

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Altra edizione di Angelo Galantini

ANCORA ODISSEA 2001

L

ziato inglese e scrittore di fantascienza, autore del racconto La sentinella, del 1948, sul quale si è basata la sceneggiatura di 2001: Odissea nello spazio (e il relativo romanzo coevo). Nota aggiuntiva: in onore di Arthur C. Clarke, l’orbita geostazionaria della Terra è stata definita “Fascia di Clarke”. Infatti, fu lui il primo a ipotizzare in un articolo pubblicato nel 1945, sulla rivista Wireless World- l’utilizzo dell’orbita geostazionaria per i satelliti dedicati alle telecomunicazioni. Ancora: in una intervista per la rete televisiva statunitense Abc, nel 1974 (nel 1974!, quando usavamo la Olivetti Lettera 22), Arthur C. Clarke anticipò che, secondo lui, nel 2001, in ogni casa ci sarebbe stato un personal computer connesso in una rete globale! A proposito di Stanley Kubrick, che prima di fare cinema fu (modesto) fotogiornalista per il settimanale Look, è doveroso riprendere da un intervento di Piero Raffaelli, pubblicato da FOTO graphia, nell’aprile 2004. In origine, con altre consistenti considerazioni, l’articolo commentò l’intrigante monografia

The Making of Stanley Kubrick’s “2001: A Space Odyssey”, a cura di Piers Bizony; Taschen Verlag, 2015 (distribuzione: Inter Logos, strada Curtatona 5/2, Località Fossalta, 41126 Modena; www.libri.it); 562 pagine 16,9x37,8cm, cartonato; 59,99 euro.

Il dottor Frank Poole (interpretato dall’attore Gary Lockwood) sul ponte di comando principale della navicella spaziale.

© STANLEY KUBRICK ARCHIVES / TASCHEN

Lo scorso dicembre 2014 abbiamo presentato le edizioni Limited di una fantastica monografia illustrata. Trasversale alla fotografia, The Making of Stanley Kubrick’s “2001: A Space Odyssey” è una mirabile ed entusiasmante retrospettiva su un film epocale, che ha cambiato il cinema, oltre ad aver influito (positivamente) su molte esistenze. La celebrazione originaria del film e del regista -ovviamente, 2001: Odissea nello spazio e Stanley Kubrick, in questo ordine- fu confezionata in quattro volumi in cofanetto di metallo, ispirato al famoso monolite del film: milletrecentottantasei pagine 19,8x 44cm; tiratura numerata di millecinquecento copie, firmate da Christiane Kubrick, moglie del regista; in cinquecento copie Art Edition e mille Collector’s Edition, rispettivamente vendute a 1000,00 e 500,00 euro. Come tradizione di Taschen Verlag, le edizioni speciali vengono seguite da una edizione standard: The Making of Stanley Kubrick’s “2001: A Space Odyssey”, in cinquecentosessantadue pagine 16,9x37,8cm, a 59,99 euro. Il contenuto è lo stesso, in una messa in pagina configurata sulle dimensioni leggermente ridotte. Per cui, si ripetono le note con le quali abbiamo magnificato l’edizione originaria. In doverosa conferma. 2001: Odissea nello spazio, di Stanley Kubrick, del 1968, è un film che ha letteralmente rivoluzionato la fantascienza e l’arte del cinema: un film che -con i suoi effetti speciali, uno stile narrativo completamente nuovo, l’importanza filosofica trasversale e scelte musicali inusuali- ha trasformato il nostro modo di pensare e percepire i film. A cinquant’anni di distanza, l’edizione di The Making of Stanley Kubrick’s “2001: A Space Odyssey” celebra quello che è conteggiato tra i più grandi film della storia del cinema. È una monografia riccamente illustrata, densa di documenti inediti e fotografie mai pubblicate prima di oggi, che si completa, quindi, con eccellenti testimonianze dello stesso regista, mancato nel 1999, a settantuno anni, e del co-sceneggiatore Arthur C. Clarke (1917-2008), scien-

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© DMITRI KESSEL / GETTY IMAGES

Altra edizione Il dottor Dawe Bowman (interpretato dall’attore Keir Dullea) mentre passa attraverso il corridoio di deposito delle attrezzature.

Stanley Kubrick dà istruzioni agli attori Keir Dullea e Gary Lockwood attraverso uno sportello sul “fondo” della centrifuga.

illustrata Stanley Kubrick. Una vita per immagini, a cura della moglie Christiane, pubblicata in Italia da Rizzoli. Testuale: «Da cineoperatore, si riservava le riprese a mano più dinamiche, quando non esisteva ancora la steadycam, che poi sarà il primo a impiegare, quando arriverà. Non c’era novità tecnica che Stanley Kubrick non abbia cercato di anticipare e imparare personalmente. Insomma, accanto allo Stanley-regista-intellettuale è sempre rimasto lo Stanley-tecnico-fotografo, proprio nello stile della classica tradizione artigianale che conserva il piacere di fare. Forse, questo Kubrick doppio e informale non è l’eccezione, ma quasi la norma, negli Stati Uniti e nel mondo anglosassone in generale, dove cinema e fotografia sono due mondi

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contigui, facili a scambi, incroci e reciproca ispirazione su un piano di parità culturale. E dove la fotografia non se ne sta emarginata e umiliata, come da noi, nel proprio ghetto. «Tipicamente italiana è la classica divisione gerarchica tra mestieri e professioni, in alto i dirigenti-intellettuali, in basso i tecnici-manuali. In alto, sopra tutti, ricordiamo il registacolonnello con la sciarpa bianca lunga, segno di supremazia creativa, in basso l’umile truppa in tuta. «Può anche darsi che tutti gli stereotipi siano ormai scomparsi nella società postmoderna (il gilet multitasche è per tutti), e che nessuno più indossi sciarpe bianche o altri segni di supremazia classista. Le differenze comunque rimangono, e tutti sanno,

© STANLEY KUBRICK ARCHIVES / TASCHEN (2)

Il regista Stanley Kubrick e il co-sceneggiatore Arthur C. Clarke in posa per una fotografia promozionale del film, sul ponte passeggeri del traghetto lunare Aries.

sui set e fuori, chi dev’essere chiamato “dottore” e chi no. «Che significa ciò? Forse davvero poco. Tuttavia, resta l’impressione che la cultura anglosassone stia prevalendo in tutti gli ambiti, cinema, musica, internet e nuovi linguaggi, anche perché non è frenata da formalismi, nonché da cerimonie, steccati, gerarchie, osservanze, rispetti e galatei che impacciano soprattutto la cultura italiana». Una volta ancora, una di più, mai una di troppo: la fotografia non sia mai arido punto di arrivo, ma fantastico s-punto di partenza. Anche trasversalmente alla presentazione di una monografia (nello specifico, The Making of Stanley Kubrick’s “2001: A Space Odyssey” ), alla sua consultazione e assimilazione. ❖



di Maurizio Rebuzzini

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ulij Borisovi Bryner (o Yuli Borisovich Bryner), nato a Vladivostok, in Russia (Unione Sovietica?), nel 1920, è noto come Yul Brynner: attore che ha percorso il secondo dopoguerra, interpretando ruoli di spicco della cinematografia statunitense. Complice l’anagrafe e la fretta (e disordine e approssimazione e superficialità) dei nostri giorni, probabilmente pochi ne ricordano la statura. Certamente, non è nelle conoscenze dei più giovani, che credono soltanto nella fugace contemporaneità: di gesti e personalità. Sicuramente -ancora complice l’anagrafe, ma in percorso inverso-, Yul Brynner è rammentato da coloro i quali -noi tra questi- contano le proprie primavere, esordendo indietro nei decenni (nel nostro caso, dall’inizio degli anni Cinquanta). Chiudiamola qui: caratterizzazione fisica a parte (era completamente calvo), ricordiamo Yul Brynner soprattutto nei panni del faraone Rameses, in I dieci comandamenti, di Cecil B. DeMille, del 1956 (con Charlton Heston in quelli di Mosè), e poi come il pistolero Chris Larabee Adams, in I magnifici sette, di John Sturges,

Yul Brynner con il regista Cecil B. DeMille, sul set del film I dieci comandamenti, nel 1955.

Ingrid Bergman, sul set di Anastasia (con Yul Brynner riflesso nello specchio), nel 1955.

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del 1960 (avvincente il cast). Proprio nella sceneggiatura di questo western americanizzato dall’originario film giapponese I sette samurai, di Akira Kurosawa, del precedente 1954, Yul Brynner esprime una osservazione che appartiene al nostro bagaglio di visioni e intenzioni. A fronte di una offerta modesta da parte di peones vessati da banditi messicani, che per essere protetti possono pagare con pochi monili, che rappresentano tutto quello che possiedono, Chris Larabee Adams / Yul Brynner osserva che, per il suo mestiere di pistolero, spesso, ha ricevuto molto... mai tutto. E la distinzione, valori tangibili a parte, è enorme. Basta. Oggi, richiamiamo la personalità di Yul Brynner oltre il cinema, ma non indipendentemente da questo. Come altri personaggi pubblici, Yul Brynner è stato un brillante fotografo. Non solo ha scattato fotografie di qualità e pregio, ma ha proprio agito con convinzione, partecipazione e concentrazione. Se servissero testimonianze pertinenti e finalizzate, vengono in aiuto due sostanziose monografie, entrambe curate dalla figlia Victoria: Yul Brynner: Photographer, del 1996 (Harry N. Abrams; 210 pagine 24x26,9cm), e il recente e (continua a pagina 32)


YUL BRYNNER FOTOGRAFO A partire dall’esuberanza del cinema, per approdare all’intimità della fotografia, l’attore statunitense di origine russa (sovietica?) Yul Brynner ha arricchito il tragitto della fantastica fotografia non professionale che osserva la vita nel proprio svolgersi. Così agendo, ha ingrossato le fila di quello straordinario percorso che ha scandito i termini concreti e solidi del linguaggio fotografico, espressione visiva e creativa ed espressiva che migliora il nostro quotidiano, dopo aver stabilito i connotati del Tempo, a partire dalla sua fatidica data di avvio, nel 1839

Donna anziana nei pressi del campo di prigionia (della Seconda guerra mondiale) di Ludwigsburg, in Germania (1959).

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FOTOAMATORI CELEBRI

In allungo sulla personalità fotografica dell’attore Yul Brynner, riconoscibile solo a livello generazionale (e non ci importa nulla), ricordiamo qui altri personaggi pubblici altrimenti conosciuti, per i quali certifichiamo anche l’impegno fotografico. Cominciamo da lontano, e partiamo dal nostro paese: anche se a una prima analisi può risultare sorprendente, ebbene sì, nella propria vita espressiva, il noto scrittore siciliano Giovanni Verga (1840-1922) si dedicò anche alla fotografia. Sicuramente, attività secondaria rispetto la sua più conosciuta e vasta produzione letteraria, ma non per questo di minore importanza. Anzi, addentrandoci in una riflessione più approfondita, asseriamo che l’una è servita da integrazione all’altra, non c’è dissonanza tra i due momenti, che si compenetrano e rafforzano a vicenda. Questa doppia capacità di comunicazione non fa che ribadire il meritato ruolo di grande scrittore di uno dei padri del Verismo, e ancora una volta viene sottolineato lo stretto rapporto che lega letteratura e fotografia. Chi possiede la sensibilità e l’abilità di comunicare, ma soprattutto chi possiede la fortuna di avere qualcosa da dire e volerla dire, difficilmente non subisce il fascino delle opportunità implicite in ogni mezzo espressivo. Parole o immagini: il fine ultimo supera il mezzo che si utilizza. Tanto che, nel fervore dei movimenti culturali e sociali dell’Ottocento, altri scrittori furono appassionati fotografi: in Italia, Luigi Capuana (1839-1915) e Federico De Roberto (1861-1927); in Francia, Émile Zola (1840-1902); negli Stati Uniti, Jack London (1876-1916). Come anticipato, a seguire, molti personaggi pubblici esprimono e hanno espresso la propria personalità anche con la fotografia. Nell’estate 2006, la Fiaf (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche), che riunisce e coordina i circoli fotografici, ha allestito una consistente collettiva, tra passato remoto e presente, tra storia e contemporaneità: Fotoamatori Insospettabili, al Centro Italiano della Fotografia d’Autore, di Bibbiena, in provincia di Arezzo [FOTOgraphia, maggio 2006]. Nel concreto, sono stati allineati, gli uni accanto agli altri, scrittori, cantanti, calciatori, industriali, politici, cattedratici, presentatori e altri personaggi emersi per qualità estranee al mondo della fotografia, che hanno coltivato parallelamente un’intensa passione per il linguaggio fotografico. In mostra, una serie di autori che condividono / hanno condiviso una libertà espressiva non vincolata da commissioni professionali, propria dello scatto personale. A ognuno, l’autorevole indirizzo espositivo della Fiaf ha riservato uno spazio espressivo di spessore.

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In rigoroso ordine alfabetico, senza alcuna altra discriminante, per esempio di date di nascita e, in molti casi, morte: Antonio Auricchio (industriale), Luigi Capuana (scrittore), Philippe Daverio (critico d’arte), Fernando de Marzi (senatore), Federico De Roberto (scrittore), Lory Del Santo (soubrette), Ardito Desio (geologo, esploratore), Giuseppe Dozza (ex sindaco di Bologna), Lorenzo Jovanotti (cantante), Enzo Lattanzio (medico chirurgo), Giuseppe Lenzi (generale delle Frecce Tricolore), Dacia Maraini (scrittrice), Arturo Marchi (vescovo), Daniele Massaro (calciatore), Davide Mengacci (conduttore televisivo [FOTOgraphia, settembre 2006 e maggio 2013]), Carlo Mollino (architetto, anche autore di una straordinaria storia della fotografia: Il messaggio dalla camera oscura, del 1949; riedizione AdArte, 2006 [FOTOgraphia, dicembre 2006]), Paola & Chiara (cantanti), Gianpaolo Pansa (ambasciatore), Domenico Riccardo Peretti Griva (magistrato [FOTOgraphia, febbraio 2013]), Guido Rey (letterato, alpinista, ministro del regno e fondatore del Club Alpino Italiano), Cesare Schiapparelli (scienziato), Gustav Thoeni (sciatore), Elisa Toffoli (cantante), Giovanni Verga (scrittore [FOTOgraphia, luglio 2004]), Lina Wertmuller (regista), Giancarlo Zucconelli (vignettista). Personalmente, il ricordo individuale richiama altre personalità, non presenti nella selezione dei Fotoamatori Insospettabili, della Fiaf. In ordine sparso, così come ci vengono in mente, ed escludendo dall’elenco Yul Brynner, attuale soggetto principale: Bettino Craxi (segretario del Partito Socialista Italiano e Presidente del consiglio), Palmiro Togliatti (segretario del Partito Comunista Italiano), Jiang Qing (moglie del presidente cinese Mao Zedong), Charlotte Rampling (attrice), Charles Aznavour (cantante), Jeff Bridges (attore), Peter Sellers (attore), Stanley Kubrick (regista [FOTOgraphia, aprile 2004, dicembre 2014 e su questo stesso numero, da pagina 25]), Diane Keaton (attrice, che ha curato mostre e monografie [FOTOgraphia, novembre 2009]), Harold Lloyd (attore [FOTOgraphia, marzo 2005 e settembre 2006]), Bruno Munari (designer), Ettore Sottsass (architetto), Pierre Louys (scrittore), Lewis Carroll (Charles Lutwidge Dodgson; scrittore e altro [FOTOgraphia, marzo 2013]), Lou Reed (cantante), Allen Ginsberg (poeta [FOTOgraphia, giugno 1997 e febbraio 2005], e, con lui, altri della Beat generation), Dennis Hopper (attore [FOTOgraphia, dicembre 2009]), Matthew Modine (attore), Brad Pitt (attore), Ernesto “Che” Guevara (rivoluzionario [FOTOgraphia, ottobre 2003]), Georges Simenon (scrittore [FOTOgraphia, luglio 2008]), Émile Zola (scrittore), Jack London (scrittore), Tiziano Terzani (scrittore).


L’attrice Mia Farrow (1970).

(centro pagina) L’attore Anthony Perkins (1958).

(pagina accanto) Autoritratto allo specchio di Yul Brynner, con Leica M3, nei giorni della sua interpretazione teatrale in The King and I, a New York (1955).

Jean Cocteau e Doris Brynner (1959).

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Glass (1956).

Yul Brynner (con Leica M3), in costume di faraone Rameses, sul set del film I dieci comandamenti, nel 1955.

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(continua da pagina 28) corposo cofanetto in quattro tomi consequenziali (Life Style, Life on Set, 1956 e Man of Style ) Yul Brynner: A Photographic Journey, del 2010 (Steidl Verlag; 800 pagine complessive 21,6x28,2cm; 98,00 euro). Sia nella frequentazione del proprio mondo cinematografico, dietro le quinte, piuttosto che durante accadimenti complementari, sia nell’attenzione ad altri soggetti, la fotografia di Yul Brynner è affascinante e convincente. Magari influenzata dalla propria attività principale, svolta a diretto contatto con fantastici creatori di immagini e illusioni, è una fotografia che evoca sogni e intimità. Una fotografia che rispetta uno dei canoni ai quali ci riferiamo frequentemente, richiamando una espressione/intuizione di Giacomo Leopardi: «L’anima s’immagina quello che non vede». A partire dall’esuberanza del cinema, per approdare all’intimità della fotografia, Yul Brynner ha arricchito il tragitto della fantastica fotografia non professionale

che osserva la vita nel proprio svolgersi. Così agendo, ha ingrossato le fila di quello straordinario percorso che ha scandito i termini concreti e solidi del linguaggio fotografico, espressione visiva e creativa ed espressiva che migliora il nostro quotidiano, dopo aver stabilito i connotati del Tempo, a partire dalla sua fatidica data di avvio, nel 1839. A completamento, le istantanee che hanno ripreso Yul Brynner in momenti di proprio impegno fotografico compongono i tratti di curiosità e supplementi trasversali di fascino. Sopra tutto, ci riferiamo a una Leica M3 tra le mani di Yul Brynner, in costume di faraone Rameses, sul set del film I dieci comandamenti, nel 1955. Del resto, e in allungo/conferma, come ha rivelato alla figlia Victoria per la sua prima retrospettiva Yul Brynner: Photographer, del 1996 (già ricordata), Doris Brynner, moglie dell’attore, ricorda che «Il primo regalo che mi ha fatto tuo padre è stata una Leica». Questo è tutto. ❖



BASCULANDO

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BASCULANDO di Antonio Bordoni

Mediante il basculaggio ragionato dei corpi mobili dell’apparecchio grande formato è possibile disporre un piano di messa a fuoco solidale al soggetto inclinato avanti-dietro e alto-basso. In questo modo, si può distribuire una estensione ottimale della profondità di campo sul e per il minimo ingombro volumetrico dello stesso soggetto.

A

mmessa (e non concessa?) l’ipotesi e sollecitazione di Giancarlo D’Emilio e Maurizio Rebuzzini verso un armonioso Ritorno al grande formato [da FOTOgraphia, del luglio 2014: invito in un mondo magico e incantato, nel quale «Quel tarlo dell’esistenza chiamato orologio non ha alcuna importanza» (in adattamento, da e con Georges Simenon, in L’enigmatico signor Queen )], ragioniamo oggi sui princìpi basilari della prospettiva e del controllo della nitidezza. In assoluto, sono quanto di più latente esista in fotografia; ma -allo stesso tempo- sono di una concretezza unica: se anche così volessimo considerarla, comporrebbero la base tecnica del linguaggio applicato, che proprio con la regolazione consapevole dei corpi mobili decifra e definisce i propri termini. Sono lì che aleggiano sopra l’esercizio della ripresa, e vengono applicati, coscientemente o incoscientemente, ogni volta che un qualsiasi obiettivo inquadra un soggetto. Nessuno strumento può modificare o alterare le regole base della rappresentazione visuale, così come sono state codificate a partire dal Rinascimento. Ciò che gli apparecchi fotografici fanno -sia quando espongono pellicola fotosensibile sia quando operano con sensori digitali-, è solamente ordine. L’ipotesi teorica è la stessa che -in origine- definisce l’esercizio stesso della fotografia: per propria natura raffigurativa e per propria intenzione rappresentativa.

Per quanto, le Sinar-p e p2 abbiano applicato geometrie dell’accomodamento ragionato e controllato dei corpi mobili, la lievità della Sinar Norma è sicuramente più congeniale al fatidico e volontario e arbitrario Ritorno al grande formato, proposto e sollecitato da Giancarlo D’Emilio e Maurizio Rebuzzini.

ANTONIO BORDONI

In questo senso, l’ipotesi originaria dei corpi mobili ha tenuto appunto conto della resa prospettica dei soggetti fotografati. In avvio, agli albori della fotografia, il decentramento verso l’alto dell’obiettivo, presente in tutti gli apparecchi “da campagna” dei primi decenni della fotografia e in tutte le configurazioni a soffietto commercializzate fino ai primi decenni del Novecento, è servita per correggere le linee cadenti nella fotografia di architettura, ovverosia di territorio e paesaggio. Quando

MAURIZIO REBUZZINI

DUNQUE, CORPI MOBILI

I movimenti rotatori degli apparecchi a corpi mobili, per i quali caldeggiamo un consapevole Ritorno al grande formato, sono finalizzati all’orientamento della messa a fuoco per piani del soggetto convenienti: la messa a fuoco va disposta verso il minor ingombro volumetrico del soggetto, che risolve con maggiore facilità l’estensione ottimale della profondità di campo 35


(pagina accanto) Tre soggetti diversi nell’aspetto, ma coincidenti nell’orientamento volumetrico dello stesso soggetto inclinato avanti-dietro e alto-basso rispetto il punto di vista. Ancora: per orientare la profondità di campo verso l’estensione minore del soggetto, ogni composizione ha richiesto una corrispondente disposizione di un piano di messa a fuoco congeniale (simile per i tre esempi). Fotografando in grande formato 4x5 pollici (10,2x12,7cm), sulla base di ragionamenti espressi nel corpo centrale dell’odierno intervento redazionale -sintetizzati nel riquadro riportato alla successiva pagina 38-, è stata guidata l’inclinazione conveniente tra piano dell’obiettivo e piano immagine. Attenzione, sempre: a parità di rapporto angolare tra i due piani, l’orientamento del piano immagine (piano focale) rispetto al soggetto condiziona e guida la resa prospettica. Per differenza, si bascula in misura adeguata il piano dell’obiettivo.

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la lezione della pittura era ancora endemica nel mondo della rappresentazione visuale, nessun operatore Alinari del secolo scorso e nessun altro fotografo dell’epoca si sarebbero mai sognati di fotografare edifici convergenti verso l’alto. Sinceramente, oggi siamo disposti a qualche concessione prospettica (di troppo!). In tempi più recenti, la combinazione dei movimenti relativi dell’obiettivo rispetto al piano immagine, e viceversa, caratteristici degli apparecchi grande formato folding e a banco ottico del secondo Novecento inoltrato, è stata via via finalizzata sia al controllo della resa prospettica, sia all’estensione ottimale della nitidezza. L’assetto del piano immagine rispetto alla collocazione del soggetto condiziona la prospettiva dell’inquadratura e -di conseguenza- determina la composizione formale della ripresa e la rappresentazione dello stesso soggetto. Nell’inquadratura dall’alto (verso il basso) e dal basso (verso l’alto), la corretta disposizione del piano immagine permette di evitare la convergenza propria degli spigoli verticali. In sala di posa, l’inquadratura dall’alto serve per riprendere simultaneamente più lati del soggetto, appunto prospetticamente definito anche dalla propria profondità volumetrica originaria. La disposizione verticale del piano immagine (dorso in bolla) garantisce la registrazione corretta degli spigoli verticali del soggetto, che altrimenti -inquadrati dall’alto- risulterebbero convergenti verso la base. Analogamente, in esterni, l’inquadratura dal basso di edifici alti è resa obbligatoria dalla situazione ambientale, che non permette un punto di vista diverso da quello della strada. Anche in questo caso, la disposizione verticale del piano immagine (ancora dorso in bolla) garantisce la registrazione fotografica corretta delle architetture originarie, opportunamente priva della convergenza delle linee cadenti, invece caratteristiche della ripresa fotografica senza accomodamento del piano focale dell’apparecchio, oppure senza adeguata disposizione dell’obiettivo di ripresa (al caso possibile solo con obiettivi e sistemi decentrabili). Allo stesso modo, la disposizione ragionata del piano immagine rispetto al soggetto permette anche il controllo della fuga prospettica orizzontale, che -secondo necessità- può essere ammorbidita, ovvero

compressa, oppure esasperata, cioè accelerata. Essendo tutto l’esercizio fotografico assolutamente vincolato alla resa prospettica, che condiziona la rappresentazione delle tre dimensioni volumetriche originarie del soggetto sulle due dimensioni della composizione/inquadratura, la possibilità di comporre ed eseguire diligentemente inquadrature convenienti è materia assolutamente indispensabile della fotografia (professionale): è il suo lessico, ovvero il suo linguaggio caratteristico. I corpi mobili dei sistemi grande formato, e in questo caso la mobilità del piano immagine rispetto al piano dell’obiettivo, sono assolutamente necessari alla corretta rappresentazione scenica propria della simbologia fotografica.

SOPRATTUTTO, NITIDEZZA Così come la prospettiva è controllata e determinata dalla disposizione del piano immagine rispetto al soggetto, la sistemazione differenziata dell’obiettivo (non solo perpendicolare al piano immagine) permette di orientare il piano di messa a fuoco: determinato dall’alterazione del parallelismo originale dei due piani dell’apparecchio, mediante la rotazione del basculaggio. La nitidezza del campo inquadrato e fotografato dipende dall’estensione della profondità di campo, a propria volta condizionata sia dall’apertura del diaframma impostata sull’obiettivo sia dal piano di messa a fuoco. L’apertura del diaframma è un elemento sostanzialmente fisso della fotografia grande formato, visto che una consecuzione di condizioni ottiche note e conosciute, peraltro ribadite dai singoli produttori, consiglia di lavorare -per quanto possibile- al valore ottimale di f/22. Dopo di che, l’estensione della profondità di campo che ne consegue può essere orientata e diretta dal fotografo-operatore secondo la disposizione volumetrica del soggetto. I corpi mobili degli apparecchi grande formato consentono di svincolare la ripresa da legami prefissati, quale è, per esempio, quello del piano di messa a fuoco parallelo al piano immagine, con relativa estensione perpendicolare della profondità di campo verso piani analogamente paralleli, proprio di ogni apparecchio fotografico “rigido” (piccolo e medio formato). (continua a pagina 43)

ARCHIVIO FOTOGRAPHIA

Prima e quarta di copertina, in continuum, della autorevole Rivista Kodak di Fotografia (30, del 1983): fotografia di Steve Kelly. In un tempo nel quale il grande formato fotografico -dal 4x5 pollici (10,2x12,7cm) all’8x10 pollici (20,4x25,4cm), passando attraverso il 13x18cm (5x7 pollici)- è stato una delle discriminanti sostanziali del professionismo in sala di posa e nelle applicazioni industriali e di architettura, le condizioni mercantili e di commercio furono guidate dalla sostanza di prestazioni e caratteristiche tecniche. In questo senso, si registrano ancora oggi le stagioni riferite alle configurazioni Linhof, tra le quali furono magistrali le interpretazioni folding, a base ribaltabile. Dopo l’originaria Sinar Norma, del 1948, che abbiamo evocato e ricordato lo scorso settembre 2014, nell’ambito delle considerazioni sul Ritorno al grande formato, sollecitato e proposto da Giancarlo D’Emilio e Maurizio Rebuzzini, dagli anni Settanta, la Sinar-p (qui illustrata) si è imposta come autentica leader tecnico-commerciale. Se la Sinar Norma originaria, ideata da Carl Koch, fu la prima costruzione a banco ottico con sistema modulare per l’utilizzo di accessori e elementi complementari, dal 1968 di nascita, la Sinar-p definì l’epoca degli aggiustamenti micrometrici e calibrati.


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ANTONIO BORDONI (3)


PIANO DI NITIDEZZA (ABBECEDARIO DEL BASCULAGGIO)

Il nostro esempio fotografico è volutamente semplificato e didascalico, scandito lungo un piano-soggetto continuo. Per evitare equivoci e complicazioni forvianti, agiamo su un piano-soggetto evidente, stabilito e scandito da una serie di giornali appoggiati su un piano orizzontale. Nell’ambito della disposizione dei corpi mobili, si tratta di affrontare e analizzare il soggetto inquadrato in modo da individuare il piano idoneo all’orientamento della messa a fuoco, con corrispondente distribuzione -successiva- della profondità di campo. Il procedimento che qui definiamo stabilisce i princìpi del basculaggio dell’obiettivo rispetto al dorso -e viceversa-, finalizzato alla messa a fuoco su un piano diverso da quello tradizionale parallelo all’obiettivo fisso davanti al piano focale. Si tratta di adempiere a regole ottiche e geometriche estremamente semplici. Ribadiamo che il nostro è un esempio didascalico, che si riferisce a un piano-soggetto che si manifesta come tale (altresì visualizzato nel riquadro pubblicato sulla pagina accanto, a destra). Dopo di che, nella pratica fotografica quotidiana, il concetto resta inalterato. Anche quando il piano del soggetto lungo il quale si intende dirigere la messa a fuoco -per orientare l’estensione della profondità di campo in modo utilitaristico- non è altrettanto continuo, ma è soltanto delimitato dai propri estremi.

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A. PIANO ORIGINARIO DI MESSA A FUOCO Se il corpo anteriore e quello posteriore dell’apparecchio sono paralleli tra loro (condizione basilare, indipendentemente dai corpi mobili), anche il piano di messa a fuoco è analogamente parallelo a loro.

ANTONIO BORDONI (6)

Il soggetto (didascalico) ipotizzato è disposto lungo un piano orizzontale davanti all’apparecchio fotografico a corpi mobili, che lo inquadra dall’alto. Consideriamolo come un autentico soggetto; oppure, finalizziamolo come piano geometrico e basta. Nell’uno come nell’altro caso, la procedura stabilisce il comportamento dei corpi mobili della fotografia in grande formato. Se i due piani principali dell’apparecchio restano paralleli tra di loro, il piano di messa a fuoco è altrettanto parallelo a loro (A). Sul soggetto, si manifesta come una fascia centrale nitida con sfocatura dei piani in avanti e indietro. Come sempre, la nitidezza a tutto campo si recupera con la profondità di campo, che dipende dalla chiusura del diaframma. Considerati i rapporti di riproduzione del soggetto sul grande formato (dal 4x5 pollici / 10,2x12,7cm in su), molte volte questa fotografia si esprime nell’ambito dei valori della ripresa a distanza ravvicinata. Dunque, non sempre l’apertura minima del diaframma consente il recupero totale della nitidezza sull’intero campo inquadrato (B). In queste condizioni, è indispensabile avviare gli accomodamenti propri dei corpi mobili. Mediante la rotazione di basculaggio, si varia il parallelismo tra i piani dell’apparecchio, che modifica il piano originario di messa a fuoco: si può orientare l’estensione della profondità di campo secondo la disposizione degli oggetti inquadrati. Ragionando con il nostro odierno esempio (didascalico), si tratta di mettere a fuoco tutto il piano del soggetto a prescindere dall’apertura del diaframma (abbiamo usato un soggetto didascalico proprio per definire e stabilire un autentico piano continuo, fisicamente ben definito). Prima di tutto, si delimita il campo inquadrato in relazione ai propri estremi: quello più lontano dal punto di ripresa e quello più vicino. Mantenendo i piani dell’apparecchio ancora paralleli tra loro, in due tempi autonomi e successivi, si può evidenziare il princìpio stesso dell’alterazione controllata del parallelismo originario obiettivo-immagine. Il piano più lontano dal punto di ripresa va a fuoco con un tiraggio minimo (C). Invece, la messa a fuoco del piano più vicino, indipendentemente da quello lontano, richiede un tiraggio maggiore tra obiettivo e piano focale (D). Qual è la condizione geometrica nella quale i due estremi sono simultaneamente a fuoco (che per il nostro esempio equivale alla messa a fuoco completa di tutto il piano soggetto, indipendentemente dal valore di diaframma)? È visivamente intuitivo: bisogna basculare il dorso fino a collegare tra loro i due differenti tiraggi, corrispondenti alle rispettive porzioni di campo (E, con F, in basculaggio coincidente del piano dell’obiettivo). La condizione geometrica da rispettare per l’accomodamento dei piani è stata evidenziata dalla procedura seguìta. Basculando il dorso in modo da compensare simultaneamente i due differenti tiraggi, si realizza la messa a fuoco su un piano che non è parallelo né al piano dell’obiettivo né a quello focale: è la condizione di Scheimpflug, tante volte sbandierata (come regola, ma è proprio soltanto una “condizione”): che si assolve operando nel modo opportuno e si applica di fatto. Il piano di messa a fuoco converge su una retta sulla quale si intersecano anche gli ipotizzati proseguimenti del piano dell’obiettivo e di quello focale (riquadro a destra, sulla pagina accanto). A questo punto, il problema fotografico -espressivo!- riguarda l’applicazione della rotazione di basculaggio: che può essere impostata sul corpo posteriore (che influisce sulla prospettiva), oppure su quello anteriore, oppure distribuita tra i due piani. Tutto dipende dalla resa prospettica che si vuole ottenere.

B. PROFONDITÀ DI CAMPO Con il piano di messa fuoco parallelo all’obiettivo e al piano immagine, la nitidezza del campo inquadrato si estende in avanti e indietro mediante la chiusura del diaframma.


ARCHIVIO FOTOGRAPHIA

C. MESSA A FUOCO DELLA PORZIONE DI CAMPO PIÙ LONTANA Ancora con i corpi paralleli tra loro: primo passo per l’individuazione di un nuovo piano di messa a fuoco. Estremo lontano: tiraggio minimo al piano focale (relativamente).

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D. MESSA A FUOCO DELLA PORZIONE DI CAMPO PIÙ VICINA Y

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X

Ancora con i corpi paralleli tra loro: secondo passo per l’individuazione di un nuovo piano di messa a fuoco. Estremo vicino: tiraggio massimo al piano focale (relativamente).

E - F. BASCULAGGIO DEI PIANI DELL’APPARECCHIO Compensazione dei piani vicino-lontano di messa a fuoco; definizione di un nuovo piano di messa a fuoco non più parallelo né all’obiettivo né al piano immagine (focale). L’angolazione è adeguata alla messa a fuoco sul piano ottimale individuato sul soggetto; la posizione del dorso condiziona la resa prospettica: più morbida man mano che il piano immagine si avvicina al parallelismo con il soggetto.

Attenzione: ulteriore sintesi esemplificativa, per chiarimento visivo inequivocabile. La messa a fuoco su un piano diverso da quello originario -parallelo al dorso e all’obiettivo di ripresaprevede la collocazione ragionata dei corpi dell’apparecchio (per l’appunto, a corpi mobili; per lo più, grande formato). La rotazione (ragionata) dei rispettivi movimenti di basculaggio guida e governa la loro opportuna disposizione (piano anteriore rispetto il posteriore / piano anteriore coordinato con il posteriore / piano anteriore armonizzato con il posteriore). In questo esempio didascalico, la messa a fuoco è orientata lungo l’estensione della lima inquadrata sul vetro smerigliato 4x5 pollici di una (antica) Sinar Norma: con visualizzazione grafica abbinata dell’assolvimento della condizione di Scheimpflug (non regola, sia chiaro, come viene spesso erroneamente identificata, ma proprio solo requisito raggiunto e assolto).

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ANTONIO BORDONI (3)

Nel 1968, la svizzera Sinar realizzò il primo banco ottico con regolazione geometrica e ragionata del basculaggio in individuazione del piano di messa a fuoco ottimale per l’estensione volumetrica del soggetto inquadrato. La Sinar-p originaria ha poi ceduto il passo all’evoluzione p2 (qui accanto). Una volta scaduto il brevetto a tutela, anche altri produttori hanno adottato lo stesso princìpio di rotazione (libera, non micrometrica) attorno un asse giacente sul piano focale. Citazione d’obbligo per Horseman LX-C e Cambo Master Plus (a destra).

BASCULAGGIO DIETRO L’ANGOLO

Riguardo la soluzione dei triangoli rettangoli, uno dei teoremi basilari della trignonometria permette di dedurre il valore degli angoli acuti a partire dalle dimensioni dei due cateti. In particolare: «La tangente dell’angolo acuto di un triangolo rettangolo è uguale al rapporto tra il cateto opposto e l’altro cateto». L’elaborazione di questo teorema può essere applicata al basculaggio del grande formato, finalizzato alla disposizione della messa a fuoco su un piano diverso da quello parallelo ai corpi dell’apparecchio, analogamente paralleli tra loro. È questo il princìpio dell’indicatore d’angolo della Sinar-f / f2, che si muove solidalmente alla messa a fuoco successiva e autonoma sui due estremi che definiscono il piano di accomodamento individuato e scelto. La Sinar-f / f2 sottintende che i due estremi del piano vengano disposti sul vetro smerigliato in coincidenza con gli assi definiti H-H’ o V-V’: l’indicatore d’angolo si basa sulla delimitazione di un ipotetico triangolo rettangolo. Un cateto è noto: l’interasse H-H’ e V-V’ (orizzontale e verticale), di 70mm per la Sinar-f / f2 4x5 pollici, 105mm per la versione 13x18cm e 170mm per l’8x10 pollici. L’altro viene definito mediante l’accomodamento della messa a fuoco in due tempi successivi. Quindi, l’angolo acuto che ne consegue è l’angolo di basculaggio tra i due corpi dell’apparecchio. La tabella a destra è universale. In base a pertinenti calcoli aritmetici/trigonometrici, è un indicatore dell’angolo di basculaggio (α) che abbina dimensioni diverse sul vetro smerigliato (fino ai 25cm dell’8x10 pollici / 20,4x25,4cm) a differenti escursioni di accomodamento, qui limitate alla progressione in 3mm, fino a 45mm massimi (A, sul disegno e in tabella).

Il suo uso e la sua applicazione sono semplici. Anzitutto, bisogna stabilire il piano del soggetto verso il quale si intende orientare la messa a fuoco, che è poi quello di minore ingombro volumetrico (di congeniale estensione della profondità di campo). Dopo di che, sul piano focale (vetro smerigliato), si rileva la distanza tra i due estremi che vanno messi a fuoco in due tempi diversi (B, sul disegno e nella tabella). L’indicatore d’angolo (α) collega i due rispettivi valori. Sulla tabella, abbiamo evidenziato l’area operativa fotograficamente pratica, compresa tra il basculaggio di 5 e 25 gradi: accomodamenti inferiori ai cinque gradi possono essere risolti anche senza basculaggio; così come accomodamenti superiori ai venticinque gradi di basculaggio possono risultare difficili da governare. Esempio. Sul vetro smerigliato 4x5 pollici, il piano verso il quale si vuole orientare la messa a fuoco occupa uno spazio di 90mm; l’intervallo di accomodamento dei suoi due estremi impone una escursione del tiraggio di 21mm (tra il tiraggio minimo dell’estremo più lontano e il tiraggio massimo di quello più vicino). La coincidenza tra i due rispettivi valori di 90mm e 21mm precisa un angolo di basculaggio di 13 gradi tra i corpi dell’apparecchio grande formato. Ogni combinazione tra l’inclinazione dell’obiettivo e quella del piano immagine che compone 13 gradi consente la messa a fuoco sul piano del soggetto scelto: 13 gradi sul dorso e nulla sull’obiettivo; viceversa, 13 gradi sull’obiettivo e niente sul dorso; 6 gradi da una parte e 7 dall’altra; 5 e 8 gradi... insomma tredici gradi totali (per l’esempio ipotizzato).

α ANTONIO BORDONI (2)

B

A

L’indicatore d’angolo della Sinar f2 (qui illustrato), alla sinistra del corpo posteriore, si muove solidalmente alla messa a fuoco micrometrica del piano immagine. La sua espressione angolare si basa sulla disposizione sugli interasse H-H’ o V-V’ (qui visualizzati dalla Sinar p2, con regolazione ragionata del basculaggio)

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degli estremi del piano verso il quale si intende orientare la nuova messa a fuoco, mediante il basculaggio calcolato dei corpi dell’apparecchio: conoscendo B (interasse individuato sul piano focale / vetro smerigliato) e ricavando A, si ottiene l’angolo di basculaggio α per il piano di messa a fuoco ottimale (ricercato).


ARCHIVIO FOTOGRAPHIA

Anche il banco ottico Linhof Kardan-Master GTL AMS, in sistema dal 4x5 pollici all’8x10 pollici, è caratterizzato da un asse di basculaggio giacente sul piano focale, che dall’inizio degli anni Novanta è stato adottato da molti apparecchi grande formato a banco ottico. Al pari delle interpretazioni Horseman e Cambo (sulla pagina precedente), anche questa Linhof Kardan-Master GTL AMS offre e propone un asse di basculaggio sul piano focale in collocazione variabile entro una ampia escursione di posizione sul piano immagine (in questo caso, 4x5 pollici / 10,2x12,7cm).

4x5 pollici (10,2x12,7cm) 13x18cm (5x7 pollici) 8x10 pollici (20,4x25,4cm)

Distanza (B) sul vetro smerigliato degli estremi X-Y del piano individuato

INDICATORE DELL’ANGOLO DI BASCULAGGIO (α) PER LA MESSA A FUOCO SU PIANI NON PARALLELI ALL’OBIETTIVO E AL PIANO IMMAGINE (in gradi)

10mm 15mm 20mm 25mm 30mm 35mm 40mm 45mm 50mm 55mm 60mm 65mm 70mm 75mm 80mm 85mm 90mm 95mm 100mm 105mm 110mm 115mm 120mm 125mm 130mm 135mm 140mm 145mm 150mm 155mm 160mm 165mm 170mm 175mm 180mm 185mm 190mm 195mm 200mm 205mm 210mm 215mm 220mm 225mm 230mm 235mm 240mm 245mm 250mm

3mm

6mm

9mm

17 11 9 7 6 5 4 4 3 3 3 3 2 2 2 2 2 2 2 2 2 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1

31 22 17 13 11 10 9 8 7 6 6 5 5 5 4 4 4 4 3 3 3 3 3 3 3 3 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 1 1 1 1 1

42 31 24 20 17 14 13 11 10 9 9 8 7 7 6 6 6 5 5 5 5 4 4 4 4 4 4 4 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 2 2 2 2 2 2 2 2 2

Scarto di tiraggio (A) tra la messa a fuoco dell’estremo vicino del piano e l’estremo lontano 12mm 15mm 18mm 21mm 24mm 27mm 30mm 33mm 36mm 39mm 50 39 31 26 22 19 17 15 13 12 11 10 10 9 9 8 8 7 7 7 6 6 6 5 5 5 5 5 5 4 4 4 4 4 4 4 4 4 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3

56 45 37 31 27 23 21 18 17 15 14 13 12 11 11 10 9 9 9 8 8 7 7 7 7 6 6 6 6 6 5 5 5 5 5 5 5 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 3

61 50 42 36 31 27 24 22 20 18 17 15 14 13 13 12 11 11 10 10 9 9 9 8 8 8 7 7 7 7 6 6 6 6 6 6 5 5 5 5 5 5 5 5 4 4 4 4 4

65 54 46 40 35 31 28 25 23 21 19 18 17 16 15 14 13 12 12 11 11 10 10 10 9 9 9 8 8 8 7 7 7 7 7 6 6 6 6 6 6 6 5 5 5 5 5 5 5

67 58 50 44 39 34 31 28 26 24 22 20 19 18 17 16 15 14 13 13 12 12 11 11 10 10 10 9 9 9 9 8 8 8 8 7 7 7 7 7 7 6 6 6 6 6 6 6 5

70 61 53 47 42 38 34 31 28 26 24 23 21 20 19 18 17 16 15 14 14 13 13 12 12 11 11 11 10 10 10 9 9 9 9 8 8 8 8 8 7 7 7 7 7 7 6 6 6

72 63 56 50 45 41 37 34 31 29 27 25 23 22 21 19 18 18 17 16 15 15 14 13 13 13 12 12 11 11 11 10 10 10 9 9 9 9 9 8 8 8 8 8 7 7 7 7 7

73 66 59 53 48 43 40 36 33 31 29 27 25 24 22 21 20 19 18 17 17 16 15 15 14 14 13 13 12 12 12 11 11 11 10 10 10 10 9 9 9 9 9 8 8 8 8 8 8

74 67 61 55 50 46 42 39 36 33 31 29 27 26 24 23 22 21 20 19 18 17 17 16 15 15 14 14 13 13 13 12 12 12 11 11 11 10 10 10 10 10 9 9 9 9 9 8 8

76 69 63 57 52 48 44 41 38 35 33 31 29 27 26 25 23 22 21 20 20 19 18 17 17 16 16 15 15 14 14 13 13 13 12 12 12 11 11 11 11 10 10 10 10 9 9 9 9

42mm

45mm

77 70 65 59 54 50 46 43 40 37 35 33 31 29 28 26 25 24 23 22 21 20 19 19 18 17 17 16 16 15 15 14 14 13 13 13 12 12 12 12 11 11 11 11 10 10 10 10 10

77 72 66 61 56 52 48 45 42 39 37 35 33 31 29 28 27 25 24 23 22 21 21 20 19 18 18 17 17 16 16 15 15 14 14 14 13 13 13 12 12 12 12 11 11 11 11 10 10

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DA CUI, LE COSTRUZIONI In assoluto, si tenga conto del fatto che tutti gli apparecchi fotografici grande formato possono arrivare al medesimo accomodamento dei propri piani, finalizzato dal fotografo-operatore al controllo prospettico e alla massima estensione della nitidezza. Gli apparecchi fotografici possono essere del tipo a costruzione folding (a base ribaltabile), o a banco ottico, e di differenti marche e modelli: in ogni caso, la mobilità dei rispettivi piani principali consente la medesima sistemazione operativa. La disposizione del piano immagine rispetto al soggetto dirige la resa prospettica; la collocazione del piano dell’obiettivo in relazione al piano focale governa l’orientamento della messa a fuoco, in base alla quale si distribuisce la profondità di campo. Per quanto tutti gli apparecchi grande formato siano oggettivamente uguali, alcuni incorporano facilità di regolazione ed eventuali simulazioni geometriche, che possono rendere più tranquille, sicure e semplici le procedure operative. Però, sapendo dove arrivare, ogni apparecchio grande formato consente al fotografo di eseguire la stessa ripresa. Lavorando in grande formato, le effettive differenze fotografiche non dipendono mai dall’apparecchio... casomai derivano dall’obiettivo usato, che condiziona sia la qualità dell’immagine, sia la possibilità di utilizzare e far rendere al massimo i movimenti possibili e potenziali dello stesso apparecchio fotografico grande formato.

ALBANO BALLERINI

GEOMETRIE LAMPANTI (FORSE) A metà degli anni Sessanta, nella persona del suo fondatore e (allora) conduttore Carl Koch, la svizzera Sinar intuì per prima la possibilità di incorporare le geometrie di regolazione dei corpi mobili in un apparecchio a banco ottico. Nel 1968, Carl Koch ipotizzò una procedura operativa straordinariamente efficace. La sua idea fu acuta e intelligente: invece di operare direttamente sul basculaggio dell’obiettivo, Carl Koch propose di scomporre la procedura di regolazione dei corpi mobili in due fasi consequenziali. Dando per acquisita la condizione secondo la quale per orientare secondo necessità il piano di messa a fuoco occorre una certa angolazione (controllata) tra i piani dell’apparecchio, Carl Koch concluse che si trattava soprattutto di un rapporto angolare che poteva essere distribuito tra il piano anteriore porta obiettivo e quello posteriore focale.

La sua ipotesi presupponeva l’individuazione del rapporto angolare mediante il movimento del dorso, ovvero del piano immagine. Infatti, agendo direttamente sul piano anteriore, si sposta anche la proiezione sul piano focale, mentre ogni basculaggio del dorso è comunque sempre compreso entro il cono di proiezione dell’obiettivo. La Sinar-p, successivamente evolutasi nelle versioni p2 e x, prima di trasformarsi in digitale, prevede un accomodamento diretto. Mentre la coeva Sinar-f, in un secondo tempo f2, dipende da un riporto basato su princìpi trigonometrici che commentiamo e approfondiamo più avanti. L’una e l’altra costruzione furono brevettate, e le attinenti esclusività hanno resistito per tutta la durata delle rispettive patenti. Alla cui scadenza, nel 1988, altri produttori hanno potuto accedere alle medesime regolazioni, interpretate con semplificazioni costruttive e varianti che ciascuno ha ritenuto opportune. Però, e personalmente, consideriamo l’ipotesi trigonometrica della Sinar-f / f2 come autonomamente affascinante, perché applicabile con qualsiasi apparecchio grande formato [riquadro a pagina 40-41].

Tutte le considerazioni riferite alla razionalità del basculaggio dei corpi mobili degli apparecchi grande formato, siano a banco ottico o in costruzione folding, si sono riferite esplicitamente al come della fotografia. Ovviamente, e al solito, la fotografia dipende soprattutto dal perché: ovverosia, dalle intenzioni e capacità espressive dell’autore. Indipendentemente dalle procedure operative, la fotografia è inviolabilmente comunicazione visiva: composizione, luce, emozione, convolgimento...

SI TRATTA DI TRIGONOMETRIA

In allineamento con la Sinar Norma visualizzata in apertura di questo intervento redazionale, a pagina 35, concludiamo con un dettaglio della stessa Sinar Norma, in versione dei secondi anni Cinquanta. Replicando annotazioni già espresse lo scorso settembre 2014, il senso tattile dei morbidi materiali con i quali è costruita l’antica Sinar Norma, il cui (eventuale) uso attuale presuppone l’evocazione di sapori intensi e atmosfere classiche, si combina con la moderna efficacia di comandi micrometrici autobloccanti. Dunque, il piacere personale si accompagna con adeguate efficienze di impiego.

Anche senza arroccarsi su posizioni noiosamente teoriche, bisogna spendere un paio di parole per accennare all’idea della trigonometria: che è quella parte della geometria piana che insegna a risolvere i triangoli, ossia a determinare i valori numerici di alcuni loro elementi, conoscendo i valori degli altri. La Sinarf / f2 fa giusto questo. Con una procedura cadenzata, indica l’angolo di basculaggio dei propri corpi principali per la più opportuna messa a fuoco sul più idoneo piano del soggetto: al culmine di un ragionamento per piani, così come abbiamo visualizzato a pagina 40-41 (obiettivo, piano immagine e soggetto). Sul vetro smerigliato Sinar, gli assi di basculaggio della “p / p2” sono marcati in modo assolutamente caratteristico e visibile. Allo stesso tempo, la medesima indicazione delimita il campo d’azione del simulatore d’angolo della Sinar-f / f2. Considerato che per mettere a fuoco piani diversi, di fatto, lo scarto di accomodamento del dorso disegna un triangolo rettangolo (come evidenziamo in una sintesi grafica pubblicata a pagina 40-41), conoscendo la misura di un cateto -per esempio, i 70mm certificati sul vetro smerigliato delle Sinar-f / f2 4x5 pollici- e misurando il secondo, si può approdare al valore dell’angolo acuto interno. La Sinar-f / f2 incorpora un simulatore d’angolo, che procede solidale alla messa a fuoco del dorso (illustrato a pagina 40). Utilizzando la tabella pubblicata a pagina 41, stilata e compilata in base a pertinenti calcoli aritmetici/trigonometrici, ciascun fotografo può procedere in modo analogo, con piani che sul vetro smerigliato sono definiti da misure/dimensioni scelte a piacere, ovvero in base alle proprie necessità operative. Come spieghiamo nel relativo testo riquadrato, è tutto estremamente semplice. Tutt’al più, può risultare (essere risultata) complessa l’odierna relazione storico-tecnica-trigonometrica. Ma è agevole. ❖

MAURIZIO REBUZZINI

(continua da pagina 36) Basculando in modo adeguato l’obiettivo, ovvero alterando il suo parallelismo originario rispetto al piano immagine, di fatto si realizzano e compensano differenti tiraggi al piano focale, a conseguenza dei quali si può orientare la messa a fuoco in relazione alla disposizione del dorso, che determina la resa prospettica. A conti fatti, il problema della ripresa fotografica con apparecchi a corpi mobili dipende dalla disposizione dei piani (principali) dello stesso apparecchio fotografico, in dipendenza del soggetto e delle intenzioni compositive dell’inquadratura. A conti fatti, è perciò ininfluente come i movimenti dell’apparecchio consentano di arrivare alla disposizione ricercata, che deve assecondare condizioni geometriche della rappresentazione fotografica.

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TAU Visual si presenta

Ciao! Probabilmente ci conosci già, ma ci presentiamo ugualmente: l’Associazione Nazionale Fotografi Professionisti TAU Visual è un’associazione di fotografi professionisti che lavora per offrire strumenti concreti di lavoro. L’obiettivo principale dell’Associazione consiste nell’aiutare il fotografo nelle sue necessità professionali di ogni giorno, con consulenza, informazioni, incontri, testi, documentazione e attività gratuite, per risolvere i problemi immediati della professione. Nel medio termine, poi, lavoriamo assieme per elevare la cultura e la preparazione specifica di tutti gli operatori del settore. Ci sforziamo di affrontare i problemi in chiave positiva: più che contrastare gli aspetti negativi, lavoriamo per favorire gli elementi positivi della vita professionale di tutti.

Diventare Socio TAU Visual

Per avere un’idea delle attività dell’Associazione, la cosa migliore sarebbe che tu chiedessi a qualche collega già Socio, in modo da avere un parere diretto, e non una “pubblicità”. Puoi associarti solo se eserciti l’attività fotografica con una corretta e definita configurazione fiscale. Se sei un professionista, puoi presentare domanda partendo da: www.fotografi.org/ammissione.

Un regalo utile per i lettori di

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Come accennavamo, lavoriamo moltissimo per supportare i Soci nella loro attività, ma produciamo anche documentazione utile per il settore fotografico nel proprio complesso. Fra le altre cose, esiste un volumetto di 125 pagine, che raggruppa le risposte ad alcune delle tematiche su cui ci vengono poste domande con maggior frequenza. Se desideri ricevere via email il file in pdf di questo volumetto, è sufficiente che tu ce lo richieda mandando un’email alla casella associazione@fotografi.org, scrivendo nell’oggetto: “FOTOgraphia - Mandatemi il volume in pdf Documentazione TAU Visual per il Fotografo Professionista”. Indice dei contenuti del volume che ti invieremo Copyright diritto d’autore Tesserini, Pass e Permessi di ripresa Menzione del nome dell’autore Esempi di contratti standard Proteggibilità delle idee Tariffe professionali Pubblicabilità del ritratto Compendio documentazione sulla postproduzione fotografica


BEBO FERRA - CORTILE CASA GRAZIA DELEDDA, NUORO (AGOSTO 2012)

JAZZGIGS

Dobbiamo essere grati a quegli autori fotografi, quale è Pino Ninfa, che con le proprie interpretazioni fanno entrare il mondo all’interno degli spazi e momenti nei quali ciascuno di noi conduce la propria esistenza. Sfogliando la sequenza delle tavole di JazzGigs -progetto a tema esplicito di qualcosa che va oltre se stesso-, si incontra lo svolgimento della vita attraverso rappresentazioni attente di un suo aspetto, che è mirato al soggetto per sola necessità raffigurativa. Tutto sta a distinguerle, a riconoscerle. Una volta intuiti i meccanismi, il gioco è affascinante e appagante

di Angelo Galantini onsiderazione reiterata. Sulla fotografia, sull’esercizio della fotografia sono stati riversati fiumi di inchiostro. Eppure, ogni volta pare che ci sia ancora qualcosa di nuovo da dire, da scrivere. Dunque, da sola, questa osservazione basta per qualificare, quantificandolo, un fenomeno pressoché infinito: perché l’esercizio della fotografia è parte integrante del fenomeno, fondamentale!, dell’esercizio stesso della vita. Prima di affrontare lo specifico delle fotografie di Pino Ninfa, la cui poliedrica personalità d’autore è stata raccolta anche in una preziosa raccolta monografica che riunisce la sua frequentazione della musica jazz e del mondo che lo delinea (fantastico e coinvolgente progetto JazzGigs), corre l’obbligo di precisare cosa sia la fotografia, in termini oggettivi. Per propria natura raffigurativa, nel senso che ha bisogno della materializzazione di un soggetto davanti allo strumento (indispensabile), la fotografia è per propria intenzione rappresentativa. Scatto dopo scatto, elaborazione intellettiva dopo elaborazione intellettiva, la sfida è affascinante, e per questo irrinunciabile. Ogni volta che agisce, il fotografo consapevole (l’autore) dispiega tutto il proprio lessico per comunicare con l’esterno, con gli altri.

C

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GONZALO RUBALCABA - VENEZIA JAZZ FESTIVAL, TEATRO LA FENICE (LUGLIO 2009)

tografia, ma dall’opportuna identificazione del soggetto: personaggio e luogo e data (compresa tra il 1983 e il 2013). Così facendo, Pino Ninfa colloca l’insieme dei propri interventi, delle proprie intuizioni fotografiche, per decifrare la forma apparente, la forma necessaria, lasciando così all’osservatore, isolato nella propria contemplazione, l’emozione, la seduzione e il coinvolgimento personale. Quando si incontrano personaggi come Pino Ninfa, che combina il mestiere con la soddisfazione individuale, obblighi con scelte, necessità professionali con ricerche creative, ci si può scoprire vulnerabili. Il parallelo tra le personalità diventa inevitabile: Pino Ninfa, fotografo per mestiere e fotografo (ancora!) per piacere. Noi altri... chissà? Però! Però, e nel concreto, coinvolti o meno con l’apparenza del soggetto jazz -a tutti evidente, a tutti più che palese-, sfogliando le tavole del portfolio JazzGigs, nel quale Pino Ninfa ha raccolto un avvincente tragitto fotografico, ci si può immedesimare e rico-

UMBRIA JAZZ - PERUGIA (LUGLIO 2001)

Cosa è il lessico? Quell’insieme di formalismi estetici che permette alla visione soggettiva di raggiungere l’esterno. Il fotografo sceglie cosa includere nello spazio del proprio fotogramma, cosa lasciare fuori; da che prospettiva osservare e far vedere; come combinare il proprio elaborato e via discorrendo. Non conta tanto cosa si fotografi, quanto perché e con che intenzioni. Ovvero a volte, come nel caso di molti progetti di Pino Ninfa, che percorre la strada fotografica anche oltre l’impegno professionale con finalità commerciali, spesso, il soggetto è soltanto un pretesto raffigurativo per rappresentazioni di ampio respiro. L’insieme dei propositi fotografici di Pino Ninfa, che nel prezioso portfolio di riferimento odierno ha concentrato la propria attenzione alla musica jazz, è giusto questo: raccolta di attimi individuati nel contesto dell’esistenza, che finiscono per rappresentarla come poche parole potrebbero fare. E con intelligenza, le fotografie di Pino Ninfa non sono accompagnate da parole di circostanza, quei terribili titoli che spesso rovinano l’incanto della fo-

AUTOREVOLE TESTIMONIANZA. PAROLE CONSISTENTI

Pino Ninfa colloca la musica attorno alle cose. I suoi scatti sono scarni, e più che raccontare il suono ne contestualizzano il significato. JazzGigs si muove nelle periferie dell’immagine. Tra spartiti in attesa, strumenti inanimati, luoghi inusuali e ombre. Dunque, i protagonisti non sono i musicisti, ma ciò che questi vedono dalla loro postazione privilegiata di primi attori. Da un camerino improvvisato in una villa antica, o da un palcoscenico di un teatro palladiano.

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È un racconto fatto di piccoli dettagli, il suo, dove si può cogliere ciò che la musica suggerisce e non svela. In un viaggio che, contrariamente al suono proiettato verso l’esterno, va nel dentro o nel retro di un backstage. E se i visi o le silhouette dei musicisti preludono ai propri strumenti, sono gli spazi e gli utensili del quotidiano artistico a svelare la magia del jazz. Magia che in JazzGigs appare intatta e vitale quanto la passione Paolo Fresu (trombettista) di Pino Ninfa verso l’arte.




JAZZ, TRAGHETTO CORSICA FERRIES (AGOSTO 2009) IN

OUICHE LORÈNE - TIME CATERINA COMELIO - CANNICATTINI JAZZ FESTIVAL (AGOSTO 2012)

INCOGNITO - VICENZA JAZZ FESTIVAL (MAGGIO 2010)

- BLU NOTE, MILANO (OTTOBRE 2001) ORCHESTRA

COUNT BASIE SANDRO GIBELLINI - CANNICATTINI JAZZ FESTIVAL (AGOSTO 2012)

noscere, nel momento stesso in cui si incrocia la sua fantastica personalità d’autore, che prontamente va rivelata e svelata. Apparentemente (e ufficialmente), Pino Ninfa è un professionista della fotografia, ma la sua partecipazione non si esaurisce con gli assolvimenti ufficiali del mestiere. Frequentando attivamente diverse espressioni della fotografia creativa, appunto evidenziate dall’insieme delle sue fotografie d’autore, Pino Ninfa arriva all’essenza della comunicazione visiva, del proprio contatto con l’osservatore potenziale, partendo dall’applicazione cosciente e attenta di tecniche fotografiche (o fingendo di farlo); così come, con percorso analogo, inquadra e identifica l’apporto della mediazione tecnica della fotografia quando ne affronta il linguaggio espressivo. Pino Ninfa, fotografo a tutto campo, svolge la materia con garbo, acume e competenza (e per questo, a parte, riprendiamo l’autorevole testimonianza-certificazione del trombettista Paolo Fresu; a pagina 46). Oltre che con un apprezzato senso delle

proporzioni. Ma non è soltanto questo: manifesta una coinvolgente gioia fotografica, che trasmette immagine dopo immagine. Eccolo qui! Fotografa con gioia e per gioia in entrambe le proprie personalità, quella professionale e quella della passione. Dunque, dobbiamo essere tutti grati a quegli autori fotografi, quale è Pino Ninfa, che con le proprie visioni e interpretazioni fanno entrare il mondo all’interno degli spazi e momenti nei quali ciascuno di noi conduce la propria esistenza. Sfogliando la sequenza delle tavole di JazzGigs, si incontra e vede lo svolgimento della vita attraverso rappresentazioni attente di un aspetto, che è limitato al soggetto per sola necessità raffigurativa. Tutto sta a distinguerle, a riconoscerle. Ma, una volta intuiti i meccanismi, il gioco è affascinante e appagante. La buona comunicazione fotografica ha il potere di aprirci quotidianamente la porta del paese delle meraviglie nel quale si perde l’Alice di Lewis Carroll: apparenza e realtà si fondono in uno. Niente è ciò che sembra. Tutto è come sogniamo che sia. ❖

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La fotografia come nessun altro l’ha mai raccontata.

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dicembre 2015

FERDINANDO SCIANNA: NOVANTA PERCENTO FOTOGRAFIA. E IL RESTO? Considerazioni


di Angelo Galantini

R

aramente, o addirittura mai, i fotografi esperti, siano professionisti o non professionisti non fa differenza, si cimentano con luoghi, situazioni e elementi per se stessi fotogenici. Questi soggetti, apparentemente avvicinabili e cordiali, sono pericolosi, se non già addirittura infidi. Facciamo un esempio, per capirci meglio (forse): una “bella” fotografia di un “bel” fiore (esplosione di Natura) è -appunto- “bella” in quanto rappresentazione fotografica della natura, oppure è solo la “bellezza” della natura che dà senso e dimensione alla fotografia? Dilemma irrisolvibile (forse). Cuba, con tutti i propri allegati politici, sociali, ideologici, geografici, etnografici (e chi più ne ha, più ne metta), è proprio uno dei soggetti così fotogenici da essere accuratamente evitato da coloro i quali distinguono, in fotografia, l’essere “fotografia” dall’apparire “fotografia”. Ci vuole una sostanziosa dote di coraggio, audacia e temerarietà per fotografare a Cuba, dove si rischia di cadere in pericolosi tranelli di maniera. Quindi, ancor prima di considerare le fotografie di Massimo De Gennaro, raccolte nel progetto Cubanos, omogeneamente sillabato, all’autore sia presto assegnato il premio per la forza morale con la quale si è messo clamorosamente in discussione, appunto affrontando i pericoli e le insidie dell’apparente fotogenia. Poi, avvicinando e osservando le immagini, e seguendo il ritmo narrativo proposto, tutti i pregiudizi cadono e si dissolvono. Autenticamente, il talentuoso Massimo De Gennaro prende per mano l’osservatore e lo accompagna, come promesso, tra le pieghe di un quotidiano di Cuba che si incontra e con il quale ci si confronta semplicemente camminando per strada, per le strade: avendo, però, la capacità individuale di vedere, oltre quella inevitabile del solo guardare. Ma! (continua a pagina 57)

Con occhio attento e cuore partecipe, Massimo De Gennaro ha realizzato una convincente serie fotografica tra le strade di Cuba: luce, ombre, colori, persone. Ogni situazione è osservata in termini squisitamente fotografici: tanto che le immagini sono inquadrate e composte nel completo e assoluto rispetto di un linguaggio visivo diretto ed esplicito, oltre che nella concentrata intenzione di rivelare, condividendo con altri le proprie emozioni 52


CUBANOS

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(continua da pagina 52) Ma... attenzione! Nonostante la rigogliosa apparenza, a tutti evidente, in definitiva e a conti fatti, nessuna fotografia visualizza l’esuberante esteriorità di Cuba, sulla cui ovvietà è stata edificata la sua riconosciuta fotogenia. Tutte le fotografie di Massimo De Gennaro, ognuna per sé e nel proprio insieme, intaccano oltre l’ovvio e approfondiscono oltre la facciata: si nutrono di luce, ombre, colori e persone. In aggiunta alle proprie capacità e doti fotografiche, l’autore rivela un approccio e una mediazione visiva declinati con amore, partecipazione e coinvolgimento. Ogni situazione è osservata in termini squisitamente fotografici: tanto che le immagini sono inquadrate e composte nel completo e assoluto rispetto di un linguaggio visivo diretto ed esplicito, oltre che nella concentrata intenzione di esporre, condividendo con altri le proprie emozioni. Questi attimi di Cuba, di Massimo De Gennaro, sono effettivamente e autenticamente tali: per l’appunto, attimi e Cuba, in una sequenza che è inviolabilmente fotografica, oltre il tempo e lo spazio; in ripetizione d’obbligo: luci, ombre colori e persone. Una dopo l’altra, le fotografie raccontano di Cuba, così come raccontano dell’autore che l’ha fotografata. Nella tranquillità della propria visione, l’osservatore partecipa a una doppia rappresentazione: quella evidente delle immagini e quella implicita dell’autore. L’esercizio della fotografia ha un che di magico, e in questa occasione è inevitabile rilevarlo. Da una parte, descrive il mondo, attraverso le sue infinite manifestazioni (alcune delle quali terribili, come testimoniano fatti recenti e reiterati), dall’altra rivela affascinanti ed emozionanti personalità d’autore. Cuba è Cuba, e -riprendendo il dubbio amletico d’apertura- la domanda è inevitabile. È “bella” Cuba o è “bello” l’autore, che è stato capace di realizzare “buone” fotografie? (e l’avanzo tra “bello” e “buono” traccia una inviolabile linea di separazione tra il superfluo e il doveroso e dovuto). Ne siamo certi: con il pretesto di Cuba, ma anche con l’occhio specificamente su Cuba, con il suo progetto Cubanos, Massimo De Gennaro svela, confessa e manifesta il proprio amore per la vita e la gente. Non c’è indifferenza o distacco in queste immagini, ma partecipazione; non c’è fredda osservazione, ma caldo coinvolgimento; non c’è giudizio, ma comprensione. In queste fotografie, si possono leggere anni-decenni di frequentazioni sociali individuali, di appassionata vita. ❖

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Nel 2006, il versatile banco ottico Silvestri S5 Micron è stato incluso nel selettivo novero degli oggetti di design insigniti del prestigioso e autorevole Premio Compasso d’Oro ADI. Onore a Vincenzo Silvestri e al designer Gabriele Gargiani. Il Premio Compasso d’Oro si offre e propone come il maggior riconoscimento alla progettualità e alla produzione italiana, e mantiene nel mondo un’elevata considerazione, dimostrata anche dal continuo successo delle mostre della Collezione storica.

*Ovviamente, non è vero: si tratta di stare insieme... con intelligenza


offerta unica a MILLE EURO!* Silvestri S5 Micron schiccolata


Filatelia in contorno di Maurizio Rebuzzini

CAMBIAMENTI A NYC

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Ottima edizione completa di Changing New York, di Berenice Abbott, realizzata nel 1997 dal Museum of the City of New York, con testi di Bonnie Yochelson, ancora reperibile presso le librerie specializzate. Nell’aprile 1939, novantasette di queste fotografie sono state raccolte in volume da E.P. Dutton & Co, con testi di Elizabeth McCausland: volume-guida per i visitatori della Fiera Mondiale di New York.

ARCHIVIO FOTOGRAPHIA (2)

C

Changing New York è stata una campagna fotografica realizzata dalla trentunenne Berenice Abbott (1898-1992) nel corso degli anni Trenta del Novecento. Precisamente, la fotografa avviò la propria documentazione visiva nel gennaio 1929, al suo ritorno a New York, dopo un lungo soggiorno europeo. Già vicina al mondo dell’arte d’avanguardia del primo dopoguerra (con frequentazioni personali di Marcel Duchamp e Man Ray, sopra tutti), all’inizio degli anni Venti, Berenice Abbott lasciò gli Stati Uniti, per studiare scultura e pittura a Parigi e Berlino. Di questo soggiorno europeo è doveroso ricordare che, nel proprio vivere la fotografia, Berenice Abbott incontrò Eugène Atget, allora sconosciuto, del quale acquistò l’intero archivio, nel 1928, all’indomani della scomparsa del fantastico autore-visionario, salvando così l’opera di uno dei più espressivi e grandi pionieri della fotografia moderna. Sicuramente influenzata dalla Parigi di Atget, tornando negli Stati Uniti, Berenice Abbott è stata colpita/folgorata dai cambiamenti avvenuti a New York in meno di un decennio. Così, come annotato, all’alba di quel crollo della Borsa (29 ottobre 1929), che diede avvio alla Depressione, inizia a documentare questa rapida trasformazione, applicando una lezione visiva rigorosa ma partecipe, emotiva quanto oggettiva. Sostenuto dal Federal Art Project (espressione dell’ampio programma nazionale Works Projects Administration), con il fattivo contributo finanziario e ideologico del Museum of the City of New York (che oggi è proprietario delle immagini), il lavoro di Berenice Abbott ha prodotto trecentocinque significative immagini di New York, rappresentative della vitalità architettonica ed esistenziale della città. Nell’aprile 1939, novantasette di queste fotografie sono state raccolte in volume da E.P. Dutton & Co: con testi di Elizabeth McCausland, l’originaria edizione di Changing New York fu usata come volume-guida per i visitatori della Fiera Mondiale di New York. A seguire, nei decenni succes-

Francobollo statunitense emesso il Primo aprile 1939 per la New York World Fair, con la simbologia della manifestazione. La stessa esposizione universale fu accompagnata dalla prima edizione di Changing New York, di Berenice Abbott: volume-guida per i visitatori.

sivi, sono state pubblicate tante altre raccolte omonime, tra le quali preme ricordare l’ottima edizione completa del 1997 (del prestigioso Museum of the City of New York, con testi di Bonnie Yochelson), ancora reperibile presso le librerie specializzate. E questo è l’allineamento odierno, alla chiusura dell’Expo di Milano (?!), per il quale ricordiamo anche un’emissione filatelica dedicata, che qui e oggi presentiamo. Ma quello che conta è l’insieme delle fotografie di Berenice Abbott, del suo progetto Changing New York, che evita il sensazionalismo per abbracciare la rigorosa documentazione che non si esaurisce nella propria cronaca

(che pure mette in evidenza), per proiettarsi avanti nel Tempo, oltre che nello Spazio. A questo proposito, non va sottovalutato che, nonostante la Depressione e le migliaia di disoccupati, in quegli anni, New York era comunque viva e vitale. Il proibizionismo fece proliferare una inconsueta vita notturna, che si proiettò nelle notti di Harlem (a partire dal celebre Cotton Club) e Broadway. Nel 1930 e 1931, in rapida successione, sono stati completati il Chrysler Building e l’Empire State Building. Nel 1933, Fiorello La Guardia inizia il primo dei suoi tre mandati di sindaco, che hanno segnato un’epoca. Il Primo maggio 1939, si inaugura il Rockefeller Center. ❖



Raccolta di Antonio Bordoni

VICENDE FOTOGRAFICHE

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Proprio bella! La selezione di racconti sul filo della fotografia, curata dall’accreditato e autorevole Walter Guadagnini, è proprio bella. Dodici titoli distribuiti nel tempo, dalle origini (o quasi) fino ai giorni nostri (o quasi), che impegnano la fotografia in propri temi, passo dopo passo, in linea con il clima culturale che via via ne ha definite problematiche e intenzioni. In breve, e in assoluto, è questo il fantastico senso di Racconti dalla camera oscura, compilato, o -meglio- stilato, con intenzioni critiche motivate: sottolineate nell’indispensabile introduzione. Giusto l’introduzione è assolutamente fondante: dunque, va letta prima di affrontare i singoli Racconti, perché -di fatto- precisa i termini culturali e critici che hanno guidato la scelta. Il profilo è alto, questo va rilevato subito, in virtù di un punto di vista opportunamente erudito e sofisticato, che poco o nulla concede ad altri punti di osservazione, magari più lievi e aneddotici. Per questo, per esempio, mancano dalla raccolta titoli leggeri, provenienti dalla narrativa popolare e non già soltanto dalla letteratura più ricercata. Per questo, per esempio e per altre intenzioni (spesso, le nostre), non è stato preso in considerazione Piero Chiara di L’uovo al cianuro, piuttosto di Lewis Carroll di La scampagnata di un fotografo: due testi di sola curiosità fotografica, senza ulteriori intenzioni in approfondimento grammaticale e dialettico. Attenzione: le assenze, se così volessimo considerarle, ma non è affatto vero, sono assolutamente legittime, perché il taglio del curatore Walter Guadagnini è esplicito (oltre che dichiarato); lo possiamo estrarre, in selezione motivata a questo, in un passaggio della sua introduzione (riferito ad altro, ma misurabile su quanto stiamo annotando): «processo di revisione del rapporto tra fotografia e mondo esterno». Così che, in pertinente progressione cronologica, ciascuno per sé e a proprio modo, ma tutti in comunione di intenti (del curatore), i dodici Racconti dalla camera oscura scan-

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Racconti dalla camera oscura, a cura di Walter Guadagnini; Skira, 2015; 208 pagine 14x21cm; 15,00 euro (in copertina, illustrazione di Ilaria Demonti, ispirata alla biottica Yashica Mat 124G, l’ultima e definitiva della propria genìa, prodotta dal 1970 al 1986).

discono anche il ritmo di altrettante tematiche trasversali e/o convergenti al dibattito assoluto sulla fotografia e i propri contenuti espliciti e impliciti. Nello specifico, l’avvertimento di Walter Guadagnini è lampante e trasparente, oltre che opportuno (necessario?): «Questi personaggi affrontano la fotografia da un punto di vista teorico, tentando di comprenderne e definirne la natura e al tempo stesso evidenziando il ruolo che essa potrebbe o dovrebbe occupare all’interno del mondo delle scienze e delle arti, della società in senso lato». Quindi, nell’ordine con il quale compaiono nella raccolta, la cadenza dei Racconti dalla camera oscura è scandita dalla fantastica sequenza di: La casa dei sette abbaini, di Hathaniel Hawthorne (1851); The Octoroon, di Dion Boucicault (1859); La mia arte

perduta, di Moncure Daniel Conway (1862); L’eremita, di Guy de Maupassant (1886); Una donna di immaginazione, di Thomas Hardy (1894); da Il soliloquio di re Leopoldo (a difesa del suo dominio in Congo), di Mark Twain (1905); La buon’anima, di Luigi Pirandello (1922); da Il tempo perduto, di Marcel Proust (1927); Una giornata, ancora di Luigi Pirandello (1935); L’invenzione di Morel, di Adolfo Bioy Casares (1940); Le bave del diavolo, di Julio Cortázar (1959) [su cui si basa la sceneggiatura del film Blow-Up, di Michelangelo Antonioni, del 1966]; L’avventura di un fotografo, di Italo Calvino (1970) [sceneggiato per il film televisivo Avventura di un fotografo, di Francesco Maselli, del 1983, nella serie Dieci registi italiani, dieci racconti italiani ]. Insomma, e in definitiva, una affascinante e convincente raccolta a tema, che considereremmo indispensabile, non soltanto utile, a coloro i quali frequentano con convinzione e passione il discorso della fotografia. Del resto, come annota Geoffrey Barnett, fotografo protagonista del romanzo poliziesco Il dettaglio, di William Bayer (Arnoldo Mondadori Editore, 1996): «Comincio a pensare che sia proprio questo il senso di ogni genere di fotografia. Non è detto che una fotografia vi dica qualcosa del suo soggetto. Ma se la osservate attentamente, e se siete stati voi a scattarla, vi può rivelare molto su voi stessi». Al solito, il nostro punto di vista sulla fotografia verso e dal mondo esterno è sempre (e soltanto) lieve: soprattutto, rivolto al costume, con incontri di approfondimento e riflessione insospettabili, dato il contenitore ufficiale. Dall’introduzione di Giuliana Scimé a 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita, di Maurizio Rebuzzini, direttore di FOTOgraphia: «Non lasciatevi fuorviare dalla lievità di certi episodi. La lievità, la sottintesa impertinenza sono brillanti mezzi da abile saggista per alleviare la tensione di un argomento fin troppo serio, e trattato con la più assoluta consapevolezza del sapere». Niente di più. ❖


Raccolta – E questo che cos’è? – domandò Ljusja. – Che strana macchina fotografica. Non ne ho mai viste del genere. – Ma è una normalissima Fed, solo che le ho applicato un obiettivo speciale. Si tratta di un obiettivo che ho costruito io di recente e che permette di fotografare nel futuro. Tu metti a fuoco l’obiettivo sul riquadro di spazio che vuoi fotografare e di cui vuoi sapere come sarà il futuro, e poi schiacci il bottone. Il congegno è ancora molto rudimentale; si può fotografare solo con tre anni di anticipo; più in là non si riesce ad arrivare. – Ma anche con tre anni di anticipo è moltissimo! Ma tu hai fatto una grande scoperta! – Ma va, grande! – disse Sergej, facendo un gesto di noncuranza. – È una roba ancora molto rudimentale. – Ma ne hai già fatte delle foto? – domandò Ljusja. – Sì, le ho fatte; ho girato per la città e ho fatto qualche fotografia. Sergej tirò fuori dalla scrivania alcune stampe 9x12 centimetri. – Guarda, qui ho ripreso una betulla in un prato com’è adesso senza il mio congegno. E guarda qui la stessa betulla come la si vedrà fra due anni. – È cresciuta un po’. – E qui fra tre anni – soggiunse Sergej. – Ma non c’è più – si meravigliò Ljusja. – C’è solo un mozzicone di pianta con una buca accanto, come un imbuto. E là lontano, guarda! ci sono dei militari che corrono. E la loro divisa è davvero strana... Non ci capisco niente! – Sì, anch’io mi sono meravigliato quando ho stampato queste foto – disse Sergej. – Probabile che ci saranno delle manovre, ecco quel che penso. – Sai che ti dico Sergej? Bruciala questa foto. Può esserci dentro qualche segreto militare. La foto potrebbe finire nelle mani di qualche spia! – Hai ragione Ljusja – disse Sergej. – Ci avevo appunto pensato anch’io. Strappò la foto, e la gettò nella stufetta dove c’era già molto ciarpame e l’accese. – Così mi sento più tranquilla – disse Ljusja. – Ma adesso fotografa me, come sarò fra un anno. Ecco mi fotografi su questa poltrona vicino alla finestra. – Il mio obiettivo, però, riprende soltanto l’inquadratura del luogo e quello che ci sarà lì allora. Se tu tra un anno

non ci sarai su questa poltrona, non verrai fuori nemmeno sulla fotografia. – Tu comunque fotografami. Fra un anno esatto, in questo giorno e a quest’ora io mi siederò senza fallo su questa poltrona. – Va bene, allora proviamo. E lui fotografò Ljusja in poltrona con regolazione del tempo su un anno. – La sviluppo e stampo subito – disse. – Oggi il bagno del nostro appartamento è libero e nessuno ci lava la biancheria. Quando la pellicola fu sviluppata, Ljusja la prese delicatamente per i bordi e guardò l’ultimo fotogramma. Ma dal negativo è difficile giudicare l’immagine; comunque, le parve che la donna seduta in poltrona non fosse lei. Lei invece avrebbe tanto voluto esserci proprio lei seduta tra un anno su quella poltrona. “No, probabilmente sono io, – decise – solo che sarò riuscita male”. Quando la pellicola fu asciutta, andarono tutti e due in bagno, dove già era accesa la lampadina rossa. Sergej infilò la pellicola nell’ingranditore, diede luce e l’immagine negativa fu proiettata sulla carta sensibile. Con movimenti rapidi, mise la carta nel rivelatore. Sulla cartolina comparvero i tratti di una donna sconosciuta che sedeva sulla poltrona. Stava ricamando un grosso gatto su un pezzo di tela. Il gatto era quasi finito; gli mancava solo la coda. – Ma questa qui seduta non sono io – disse turbata Ljusja. – Ma è proprio un’altra. – Eh sì, non sei tu – confermò Sergej. – Ma io non so chi sia. Questa donna non l’ho mai vista. – Sai Sergej, è ora che me ne torni a casa – disse Ljusja. – E tu puoi anche non accompagnarmi. La macchina per scrivere la darò ad aggiustare al laboratorio riparazioni. – Ma lascia che ti accompagni a casa. – No, Sergej, non si deve. Sai, io non voglio immischiarmi nel tuo destino. – E se ne andò. “No, proprio non mi portano fortuna le mie invenzioni”, pensò Sergej. Prese un martello e fece a pezzi quella maledetta macchina. Vadim Schefner

Da Un eroe troppo modesto (ovvero Un viaggio dietro la propria schiena); inedito; traduzione di Emilio Frisia

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Sguardi su

di Pino Bertelli (Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 14 volte ottobre 2015)

L

ALFRED STIEGLITZ

La storia della fotografia è storia di prostituzioni, disinganni e ribellioni. Docile al servizio di farse mercantili e illusioni opposte al suo genio, la fotografia ha subìto le farneticazioni dell’arte prone a tutti i regimi. Al tempo di Spartaco, tutti cercavano di scrivere correttamente, ma tutti si capivano perfettamente nella propria lingua. Oggi, il fotografo vuole avere un proprio stile, ma non giunge a questo, perché è parte del linguaggio della macchina che usa, come vuole l’industria dello spettacolo. Solo attraverso la decostruzione (o détournement) del linguaggio e della poetica che ne consegue, possiamo forgiare una lingua alla propria compiutezza e rovesciare le stigmate della rassegnazione. Nella civiltà dello spettacolo, i media esercitano un magistero decisivo sui comportamenti, i costumi, l’immaginario collettivo; in una società di banche, mafiosi, politici, sindacati, polizia, giornalisti, cuochi, cantanti, calciatori, attori, registi, fotografi, giocattolai perfino... l’ambizione ad apparire è un comandamento che fa di colui che vi si dedica (o lo subisce) un demente in potenza. A giudicarla dagli imbecilli che ha prodotto, la nostra epoca sarà stata tutto, tranne che intelligente... diceva. I despoti dell’economia-politica dispensano sicurezze, garanzie e felicità a colpi di bombe; i migranti che fuggono dai paesi in guerra o dalla fame li danno in pasto ai pesci. Quelli che raggiungono la terra promessa sono destinati alle fogne metropolitane o alla galera. Qualcuno viene ammazzato, così, tanto per fare un po’ di cronaca nera nell’ora di punta dei telegiornali. La giustizia, la libertà, la bellezza si possono manifestare soltanto nel vuoto delle ideologie e delle fedi. Va detto. Al tavolo dell’Onu siedono i saltimbanchi, gli istrioni e gli assassini in formato grande (i maggiori produttori di armi).

DELLA FOTOGRAFIA SENZA MUSEO

La fotografia, come tutti sanno, perfino i professori che la insegnano, gli storici che la incensano e gli stupidi che credono di farla per cambiare il mondo... la fotografia non serve a nulla, se non dice qualcosa su qualcosa e possibilmente contro qualcuno. L’abbiamo scritto fino alla nausea: con la fotografia non si fanno le rivoluzioni. La rivoluzione si fa con la rivoluzione... tuttavia, con la fotografia, si può diventare Uomini e Donne migliori.

i pilastri dell’ordine costituito. Gli annali della fotografia annoverano grandi impostori e pochi eretici dell’eresia. L’americano Alfred Stieglitz (che non appartiene certo alla bandiglia dei secondi... tutt’altro), ritenuto con Edward Steichen una delle massime figure della storiografia fotografica, è stato il condottiero della separazione tra reportage e fotografia d’arte, dicono. Vero niente o in parte. Alfred Stieglitz e Edward Steichen sono stati esponenti di una fotografia dandy che andava be-

«Non voglio difendermi e non voglio essere difesa: appartengo completamente alla rivoluzione sociale, e mi dichiaro responsabile delle mie azioni. Bisogna escludermi dalla società, siete stati incaricati di farlo, bene! L’accusa ha ragione. Sembra che ogni cuore che batte per la libertà ha solo il diritto a un pezzo di piombo, ebbene pretendo la mia parte!» Louise Michel Per salvarci dal consenso e dal successo della fotografia, basta praticare quotidianamente il massacro dell’indifferenza e fare di un’odissea del rancore il debutto dei nostri insulti contro la società consumerista. Diciamolo! Gli anarchici non saranno mai lodati abbastanza per aver denunciato i misfatti della proprietà e attentato alla radice

ne a tutti, poeti e mercanti, sociologi e galleristi, servi e padroni. L’immagine letteraria di Alfred Stieglitz si è fusa con quella estetizzante di Edward Steichen; e, invece di liberare i sogni dalla realtà, non solo fotografica, hanno promesso la felicità con una fotografia erudita e sterile. [Sappiamo di toccare, qui e ora, uno dei numi tutelari della

storia della fotografia. Però, sosteniamo che la fama di Alfred Stieglitz come mentore della fotografia “impegnata” o “artistica” è una sciocchezza che si portano dietro gli storici accademici e i coglioni che adorano senza ritegno le mitologie a basso prezzo]. Alfred Stieglitz rappresenta una scrittura fotografica formalista, che vede la povertà estrema come effetto estetico, senza mai porsi in contrasto con l’origine di tanta miseria]. Ci vuole uno stile per fotografare e non fotografare in cerca di uno stile.

SULLA FOTOGRAFIA DANDY Alfred Stieglitz nasce bene, in una famiglia ebraica di origine tedesca, a Hoboken, nel New Jersey (nei pressi di New York), il Primo gennaio 1864; muore nella “grande mela” il 13 luglio 1946. Nel 1871, la famiglia Stieglitz si trasferisce a Manhattan, in una grande casa vicino a Central Park. Nel 1882, il padre vende l’azienda e rientra in Germania. Alfred Stieglitz studia ingegneria meccanica a Berlino, e scatta le prime fotografie in giro per l’Europa. Nel 1884, vince il primo premio al concorso organizzato dalla rivista Amateur Photographer. Nel 1890, è di nuovo a New York, dove mette in piedi un laboratorio di fotoincisione (Photochrome Engraving Company, dal 1893 al 1896) e stampa il periodico American Amateur Photographer. Nel 1897, fonda Camera Notes, bollettino del Camera Club, di New York (dove espone per la prima volta, nel 1899). Nel 1902, Alfred Stieglitz raduna intorno a sé diversi fotografi, e forma il gruppo dei “Secessionisti”: si accedeva all’associazione Photo-Secession solo per invito... la presunta “regalità” di Magnum Photos non è poi così distante da questi “artisti” compresi molto dalla crema intellettuale americana. Non è un

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Sguardi su caso se Henri Cartier-Bresson, uno dei fondatori di Magnum Photos, prese le distanze dall’agenzia e -con quel tanto di grazia e anarchia che gli era propriadisse che lo spirito dei fondatori era stato tradito, e che «L’organizzazione è ormai dedita a una fotografia artificiosa, più creativa, prestigiosa e di lusso. [...] Con tanti cari saluti, le mie più vive congratulazioni e condoglianze. Vostro Henri Cartier-Bresson» (Henri Cartier-Bresson: Lettera all’agenzia Magnum, 4 luglio 1966; Archivio Magnum Photos - Pierre Assouline: Henri CartierBresson. Storia di uno sguardo; Contrasto, 2015). Per Alfred Stieglitz era importante emulare la resa visiva della pittura, per Henri Cartier-Bresson cogliere l’eternità in un attimo. La fotografia è difficile, diceva. Il sofista lavora per lo stile del bello. Il giusto lo distrugge nella finitezza della bellezza. Gli artisti della Photo-Secession sono affascinati dal pittorialismo europeo, e non si accorgono delle misere condizioni degli immigrati nei bassifondi di New York. Nel contempo, i fotografi umanisti Jacob Riis e Lewis W. Hine si aggirano nelle periferie della grande città e figurano una geografia della tenerezza che trionfa sulla violenza istituzionale e sui fallimenti della libertà; la loro cartografia di sopravvivenza mostra che l’unico ordine di grandezza di una politica e una giustizia da macellai è destinato al fallimento. Le loro fotografie esprimono una vita quotidiana senza identità, dove ciò che avviene e vive si paga con ciò che si piega e si annulla. La genuflessione è insieme il paradiso e la tomba di un popolo. La ribellione è la fine di un’inedia coltivata nell’obbedienza e nell’arte di lasciarsi morire di fame. Nel 1903, Alfred Stieglitz dà vita alla pubblicazione Camera Work (che realizza fino al 1917). Insieme con Edward Steichen, apre la Galleria 291, sulla Fifth Avenue (New York), che resterà un punto d’incontro della cultura fotografica americana per dodici

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anni. Poi, è la volta di due spazi culturali, la Intimate Gallery (1925) e la An American Place (1929): qui, Alfred Stieglitz ospita fino alla sua scomparsa (1946) ogni forma d’espressione artistica con un certo successo (Cézanne, Matisse, Picasso, Rodin passarono per quelle vetrine). Comunque, la sua ricerca fotografica non si ferma, e spazia da “fotografie di strada” -tram trascinati da cavalli, treni fumanti, grattacieli controluce- a ritratti della moglie Georgia O’Keeffe (pittrice vicina al “realismo magico” e al “precisionismo” di Charles Sheeler, Charles Demuth e George Ault), alla celebre The Steerage (che ha fatto versare fiumi di inchiostro), a immagini di nuvole, definite Equivalents (equivalenti, appunto, degli stati d’animo del fotografo, non altrove)... senza mai raggiungere la compiutezza estetica/etica da farlo uscire dall’epoca dei salotti.

SULLA FOTOGRAFIA DANDY / 2 La fotografia di strada (non quella fatta in strada, ma quella che fa della strada una costruzione di situazioni ) esprime uno stile che denuncia la tragedia e disvela la diversità. La ritrattistica che fuoriesce dalla fotografia di strada diventa la misura di ogni cosa, e mostra una maniera e un linguaggio che sono la conferma di un’etica e un’estetica che implicano la nascita di nuovi valori. Le immagini diventano grida, ossessioni, rotture... si riappropriano del tempo e dello spazio... più ancora, mettono il lettore in una situazione creativa dalla quale si esce complici, spettatori o ribelli. Non ci sono stati rinascimenti senza rivoluzioni. L’iconografia di Alfred Stieglitz si dipana nel romanticismo della strada. I corpi dei poveri sono avvolti in un sudario di speranze e risentimenti del tutto avulsi dalla realtà, e la benevolenza sconfina nel pietismo di maniera. Si sacralizza il dolore, ma non si deplorano i responsabili da tante sofferenze. Allora, a Alfred Stieglitz vengono in soccorso le nuvole. L’utilitarismo aristocratico

respinge tutto ciò che procura sofferenza: e l’incanto, il mistero e la gioia della vita offesa sono relegati ai mascheramenti e alle astuzie della ragione mercantile. Una fotografia esigente è quella che contiene il vero e definisce la grandezza di quanto viene calpestato e ucciso... è un lavoro dell’anima in libertà. Alfred Stieglitz è considerato una figura fondamentale per la fotografia mondiale... un maestro della street photography, anche. Vero niente. Questo dandy dell’immagine confezionata si è celato nelle pieghe del conformismo autoriale... ha scattato una delle più violente immagini contro le classi meno abbienti del proprio tempo. Si tratta di The Steerage (Il ponte di terza classe, del 1907), presa sul transatlantico tedesco SS Kaiser Wilhelm II, uno dei più grandi e veloci dell’epoca. È stata valutata una delle fotografie più importanti di tutti i tempi. Raccontiamola. Alfred Stieglitz e la moglie Emmy si sistemano nella prima classe, per fare un giro in Europa (i mezzi della famiglia agiata lo permettevano). Mentre passeggia sul ponte della nave, Alfred Stieglitz si affaccia sulla stiva e vede -là in fondo (terza classe)- un gruppo di cenciosi migranti che andavano incontro al sogno americano. Torna in cabina, prende la macchina fotografica e scatta con calma: il nobile tedesco avrebbe affermato di essere stato «attratto dal biancore della passerella dipinta di fresco, l’inclinazione dell’albero verso il cielo, le bretelle bianche che attraversano la schiena di un uomo nella terza classe, la paglietta bianca di un curioso che guarda in basso» (a meno che non sputi su quella gentaglia, non è bene in luce). La miseria umana ammucchiata giù nel buio della stiva è solo parte della scenografia. L’innocenza dispersa sulla pelle degli Ultimi è propria dei rotti in culo che non hanno nulla da perdere e nessuna catena da tagliare. Ti viene il voltastomaco a vedere di che specie d’imbecilli si sono serviti i grandi monopoli del

sapere. C’è proprio da ridere. Per scattare The Steerage, Alfred Stieglitz usa una Auto-Graflex (caricata con una lastra di vetro 4x5 pollici). La fa sviluppare a Parigi, qualche giorno dopo, da un fotografo che è rimasto anonimo, e subito riconosce di avere contribuito a realizzare «Un’altra pietra miliare nel campo della fotografia» (ma i biografi discordano sull’attribuzione della frase). E pensare che nessuno l’ha buttato ai pescecani. Basterebbe una veloce lettura dei dipinti di Honoré Daumier (Il vagone di terza classe, 1862) e Gustave Courbet (Gli spaccapietre, 1849) per comprendere che ogni forma d’arte o è la denuncia politica e sociale di un mondo ingiusto o è solo parte di una dottrina dell’integrazione al servizio della civiltà dei simulacri. Di niente ha tanto paura l’arte contemporanea, come di un’opera d’arte che non esalta il consenso, ma lo distrugge. L’estetica della carogna non si pone in cielo accanto a dio, ma si cala in basso vicino agli Uomini sfruttati e oppressi. Non c’è fotografia se non c’è un’idea che la sostenga ed esprima le lacrime, il riso e lo stupore di vivere tra liberi e uguali. La fotografia del diniego non differisce molto da ciò che ispira il reale. La compiutezza estetica figura una rottura con il fascino dell’approssimativo e la mercanzia del banale: idiozia, stupidità, volgarità sono sempre meritate. Le anime morte della fotografia lo sanno: i fotografi si situano fra il santo e l’imbecille, ed è per questo che sono prossimi all’immondezzaio dei sentimenti struccati. Poiché sono le immagini che ci legano alla vita quotidiana, non ci si può staccare dalla vita (e rovesciarla), senza aver in precedenza rotto con le immagini che l’affogano nella schiavitù e nell’ignoranza. Tutti gli atti della grande fotografia sono impuri e contengono quella delicatezza da fine del mondo (la filosofia dei momenti unici, edificanti ed estremi) che non mira alla posterità, ma alla rivolta sociale. ❖




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