Mensile, 6,50 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano
ANNO XXIII - NUMERO 224 - SETTEMBRE 2016
ALBERTO ALICATA BARBIE IN FASHION
Non è venduta in edicola. Per averla hai una sola possibilità: sottoscrivere l’abbonamento annuale. 12 numeri 65,00 euro
Compilare questo coupon (anche in fotocopia), e inviarlo a: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano MI (02-66713604; graphia@tin.it)
Abbonamento a 12 numeri (65,00 euro) ❑ Desidero sottoscrivere un abbonamento a FOTOgraphia, a partire dal primo numero raggiungibile ❑ Rinnovo il mio abbonamento a FOTOgraphia, a partire dal mese di scadenza nome
cognome
indirizzo CAP
città
telefono MODALITÀ DI PAGAMENTO
data
provincia fax
❑ ❑ ❑
Allego assegno bancario non trasferibile intestato a GRAPHIA srl, Milano Ho effettuato il versamento sul CCP 1027671617, intestato a GRAPHIA srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano Addebito PayPal (Graphia srl)
firma
prima di cominciare LUI È TORNATO. Realizzato nel 2015, sulla base dell’omonimo romanzo satirico di Timur Vermes, da questa estate, il film Lui è tornato (Er is wieder da) è disponibile nelle versioni scaricabili dalla Rete. Diretta e sceneggiata da David Wnendt (con sceneggiatura a più mani), la vicenda scandisce passo a passo la cadenza del romanzo originario, per l’occasione impreziosita dalla capacità visiva del linguaggio cinematografico. Di cosa si tratti, è presto riferito: nell’autunno 2014, per l’esattezza il ventitré ottobre, Adolf Hitler si risveglia in un giardino di Berlino e comincia a vivere un’esistenza odierna e contemporanea, nella quale viene scambiato per un attore comico che appassiona chi lo ascolta. Dopo comprensibili disorientamenti, approda a un canale televisivo, in un programma nel quale persiste a proclamare le proprie opinioni e idee sul mondo, adattate all’attualità. Cavalcando scontenti e malesseri quotidiani, proclama l’esigenza di una leadership forte e decisa che riporti la Germania alla vetta del mondo. La gente ascolta affascinata, riconoscendosi nell’esagerato populismo delle sue opinioni. Qual è il senso di tutto, oltre la satira trasversale, che -ovviamente- annota e sottolinea aspetti contemporanei controversi? Il sottile fascino delle parole, che ci raggiungono colpendoci nelle nostre debolezze personali. Infatti, ricordiamolo, negli anni Venti, di sua crescita politica, Hitler aveva già detto ciò che avrebbe fatto, e lo ha fatto. Nel modo in cui tutti conosciamo bene, e con gli esiti che ne sono conseguiti.
Le cose davvero importanti per la propria vita, ognuno le ha sempre di fronte a sé, mai alle spalle. Maurizio Rebuzzini; su questo numero, a pagina 37 È la bellezza dell’imperfezione che crea la poesia e -come sappiamo dagli antichi grecila bellezza contiene anche la giustizia. Pino Bertelli; su questo numero, a pagina 66 Ecco, dunque, che il Tempo che è trascorso dai ritratti realizzati in stagioni precedenti, che si sommerà presto al Tempo che sta per trascorrere da quest’anno, stabilisce il senso della registrazione fotografica, che diventa documento. mFranti; su questo numero, a pagina 10
Copertina Dal progetto Iconic B, di Alberto Alicata, che presentiamo e commentiamo da pagina ventotto, un omaggio alla fotografia di Irvin Penn, che riprende e ripropone la copertina di British Vogue, del giugno 1950, storicizzata come Black & White Vogue Cover (a pagina ventidue). Omaggio alla Storia della Fotografia, in chiave Barbie, inviolabile icona del nostro tempo
3 Fotografia nei francobolli In ripetizione d’obbligo, da FOTOgraphia, dello scorso ottobre 2015. Dalla compendiosa analisi Fotografia nei francobolli, di Maurizio Rebuzzini, in corso d’opera e prossima pubblicazione, dettaglio da un francobollo della Repubblica Democratica Tedesca (DDR), emesso il 9 novembre 1956, nel centodecimo anniversario della fondazione della produzione ottica Carl Zeiss (17 novembre 1846). In una serie di tre valori, il soggetto dedicato proprio a Carl Zeiss (gli altri due, all’ottico Ernst Abbe e alla fabbrica di Jena), e oggi ripetuto nel bicentenario dalla nascita di Carl Zeiss: 11 settembre 1816 - 2016
7 Editoriale Così, senza andare oltre e sconfinare in territori che non ci competono, consigliamo comunque la lettura del libro Lui è tornato, di Timur Vermes (in edizione Bompiani) e la visione del film omonimo, di David Wnendt, disponibile in Dvd e in Rete. Con l’occasione, richiamiamo che in Germania c’è un’edizione libraria particolare, abbinata a ulteriori contributi, in cofanetto, venduta a 19,33 euro. Ovverosia, a un prezzo che richiama la salita al potere di Hitler: per l’appunto, all’alba del 1933. M.R.
Qual è la spinta che indirizza i nostri impegni, le nostre azioni? Sentire la spinta è tutto, nella musica, sulla strada o nel battito del proprio cuore. Ovviamente, è tutto anche in fotografia, qualsiasi cosa ciò possa significare
8 Aspettando Venezia Apparentemente, la fotografia di Alcide Boaretto, che frequenta i Festival del Cinema, potrebbe essere autoconclusiva. Invece, in un’analisi più approfondita e legittima e plausibile, è fotografia sociale. Eccoci qui
12 Ritorno al futuro? Considerazioni alla vigilia della Photokina 2016
SETTEMBRE 2016
RIFLESSIONI, OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA
14 Poesia di Toni Nicolini
Anno XXIII - numero 224 - 6,50 euro
Da Spilimbergo a Milano, il ricordo di un fotografo che ha segnato passi significativi del secondo Novecento
DIRETTORE
RESPONSABILE
Maurizio Rebuzzini
IMPAGINAZIONE
18 (Ancora) in omaggio Casellario delle fotografie alle quali si è ispirato il progetto Iconic B, di Alberto Alicata (da pagina ventotto)
24 Richiamo Leica In copertina di un romanzo avvincente: Andarsene
26 Passato e presente Rievocazione nella miniserie televisiva 22.11.63 Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
28 In omaggio La serie fotografica Iconic B, di Alberto Alicata, è presto decifrata: ripetizione di fotografie celebri della Storia, con interpretazione di Barbie. Affascinante di Maurizio Rebuzzini
39 Portraits
Maria Marasciuolo
REDAZIONE
Filippo Rebuzzini
FOTOGRAFIE Rouge
SEGRETERIA
Maddalena Fasoli
HANNO
COLLABORATO
Alberto Alicata Pino Bertelli Alcide Boaretto Antonio Bordoni Marco Cattani mFranti Angelo Galantini Maurizio Galimberti Nino Migliori Lello Piazza Franco Sergio Rebosio Pio Tarantini Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604 www.FOTOgraphiaONLINE.com; graphia@tin.it. ● FOTOgraphia è venduta in abbonamento.
Consistente monografia di Maurizio Galimberti, con accompagnamento in mostra. Soprattutto mosaici
● FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano.
44 Orizzonti lontani
● A garanzia degli abbonati, nel caso la pubblicazione sia pervenuta in spedizione gratuita o a pagamento, l’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e in suo possesso, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi della legge 675/96.
Convincenti fotografie di natura, di Marco Cattani, che non si limitano all’osservazione asettica e distaccata di Angelo Galantini
52 Novanta! Il ventinove settembre, Nino Migliori compie novant’anni: personalità fotografica di straordinario valore e merito di Pio Tarantini
58 La biottica è bella Tanto da essere magistralmente interpretata nei fumetti di Antonio Bordoni
64 Miroslav Tichý
● FOTOgraphia Abbonamento 12 numeri 65,00 euro. Abbonamento annuale per l’estero, via ordinaria 130,00 euro; via aerea: Europa 150,00 euro, America, Asia, Africa 200,00 euro, gli altri paesi 230,00 euro. Versamenti: assegno bancario non trasferibile intestato a Graphia srl Milano; vaglia postale a Graphia srl - PT Milano Isola; su Ccp n. 1027671617 intestato a Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; addebiti su carte di credito CartaSì, Visa, MasterCard e PayPal (graphia@tin.it). ● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti. Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano
Rivista associata a TIPA
Sguardi su un interprete della fotografia randagia di Pino Bertelli Nella stesura della rivista, a volte, utilizziamo testi e immagini che non sono di nostra proprietà [e per le nostre proprietà valga sempre la precisazione certificata nel colophon burocratico, qui accanto: «È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo)»]. In assoluto, non usiamo mai propietà altrui per altre finalità che la critica e discussione di argomenti e considerazioni. Quindi, nel rispetto del diritto d'autore, testi e immagini altrui vengono riprodotti e presentati ai sensi degli articoli 65 / comma 2, 70 / comma 1bis e 101 / comma 1, della Legge 633/1941 / Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
www.tipa.com
Attrezzature fotografiche usate e da collezionismo Specializzato in apparecchi e obiettivi grande formato
di Alessandro Mariconti
via Foppa 40 - 20144 Milano - 331-9430524 alessandro@photo40.it
w w w. p h o t o 4 0 . i t
editoriale S
entire la spinta è tutto, nella musica, sulla strada o nel battito del proprio cuore. Ovviamente, è tutto anche in Fotografia: in ogni modo in cui ciascuno di noi la vive. Questa spinta dipende da tanti fattori, tutti concomitanti, tutti convergenti, tutti coabitanti. È un insieme di serenità, tranquillità d’animo e certezze esistenziali che sollecita la spinta verso l’azione, verso lo svolgimento coerente e convinto delle proprie azioni, qualsiasi queste siano. Perciò, dobbiamo considerare soprattutto il senso e valore della spinta, che è l’autentico sostegno al nostro impegno. Ovviamente, ognuno costruisce / ha costruito la propria esistenza professionale edificando parametri individuali, oltre che legittimi e plausibili. Per molti, la spinta è autoreferenziale: e finalizzata al proprio benessere quotidiano, soprattutto dal punto di vista finanziario e di redditività individuale. Per altri, la spinta prescinde da convenienze momentanee e si riferisce esclusivamente all’edificazione di un pensiero che sia proficuo e utile alla collettività. Insomma, ognuno di noi agisce in modo proprio, per quanto agisca entro contenitori in comune. In Fotografia, come in ogni ambito della vita quotidiana, diverse spinte guidano e governano gli impegni di coloro i quali, e noi tra i tanti, e noi tra questi, intendono condividere le proprie conoscenze e riflessioni sulla materia. In Fotografia, come in ogni ambito della vita quotidiana, ognuno deve essere consapevole che la propria spinta non si esaurisce in se stessa, e nella propria sollecitazione, ma risponde e rispecchia equilibri etici di altra portata. Assoluta e generale. Non ci sono scappatoie, non ci sono scorciatoie. Tanto che, non siamo certamente lontani dal vero e giusto quando affermiamo che l’attività principale di ciascuno sia anche l’attività pratica fondamentale, che condiziona e guida le valutazioni conseguenti con le quali si giudica lo svolgimento dell’esistenza. Insomma: la conoscenza dipende dalla pratica, a propria volta definita da qualsivoglia spinta individuale. Allora: che la Fotografia non sia mai arido punto di arrivo, ma sempre e comunque fantastico (e privilegiato) s-punto di partenza. Infatti, la conoscenza umana dipende soprattutto dall’attività produttiva materiale: attraverso questa, ciascuno riesce a comprendere grado a grado i fenomeni, le proprietà e le leggi della natura, come pure i propri rapporti con la natura e la realtà; inoltre, attraverso l’attività produttiva, a poco a poco, ognuno raggiunge diversi livelli di comprensione di certi rapporti reciproci fra gli Uomini. Tutte queste conoscenze non possono essere acquisite al di fuori dell’attività produttiva. Nella società, nel corso della propria attività professionale, ogni persona collabora con altri, entra in determinati rapporti di produzione con il prossimo e s’impegna nell’attività produttiva per risolvere problematiche della vita materiale. A tutti gli effetti, questa è la principale fonte di elaborazione della conoscenza umana, ed è logico ritenere che la conoscenza individuale evolva passo a passo, dagli stadi più bassi ai più alti, cioè dal superficiale al profondo, dall’unilaterale al multilaterale. Maurizio Rebuzzini
Da FOTOgraphia, dello scorso luglio. Qual è la spinta che collega tra loro argomenti (apparentemente) tanto distanti, per quanto riuniti in un contenitore omogeneo, di matrice fotografica? L’onestà e l’intelligenza intellettuale, senza alcuna soluzione di continuità: sempre s-punto di partenza, mai arido punto di arrivo.
7
Approfondimento di Maurizio Rebuzzini (Franti)
ASPETTANDO VENEZIA
8
Dal Festival de Cannes 2016, svoltosi in Costa Azzurra dall’undici al ventidue maggio scorsi: Steven Spielberg (regista, qui sopra); Marion Cotillard (attrice, figlia d’arte, a destra; il padre Jean-Claude Cotillard è stato attore, sceneggiatore e regista; la madre Niseema Theillaud è stata attrice); in posa assieme Jodie Foster (regista di Money Monster - L’altra faccia del denaro), Julia Roberts e George Clooney (attori del film) e Amal Alamuddin (moglie di George Clooney).
ALCIDE BOARETTO (3)
D
Della fotografia di Alcide Boaretto abbiamo già riferito nel febbraio 2014, sottolineando la sua assidua frequentazione di Festival del Cinema, dove e quando si apposta in prossimità delle passerelle d’onore per i suoi ritratti di attori e attrici. Ora, in attesa della Settantatreesima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, comunemente riconosciuta come Festival di Venezia, da mercoledì trentuno agosto a sabato dieci settembre, con le solenni proclamazioni dei vincitori, è opportuno osservare qualcosa di più e diverso. Soprattutto, considerata la perseveranza, costanza e continuità di questa fotografia, è doveroso un passo in avanti riguardo la sua sostanza. Di fatto, i ritratti di Alcide Boaretto, che segue i Festival del Cinema senza alcun affanno di carattere professionale -anche solo di frenetico assolvimento di rapporti giornalistici a tempi rapidi-, si assommano gli uni ai precedenti... appuntamento dopo appuntamento (così che, l’attuale attesa di Venezia è qui illustrata con una consistente quantità di ritratti realizzati a Cannes, a metà dello scorso maggio). A diretta conseguenza, rileviamo come e quanto il talentuoso autore padovano stia componendo i tratti di una galleria autenticamente sociale. In cronaca, come possiamo anche conteggiare l’allungo da Cannes a Venezia, questi volti del cinema raccontano una stretta e stringente attualità: sia in forma di divismo, sia in racconto di svolgimento temporale. Quindi, esauriti i compiti istituzionali del momento, lo scorrere del Tempo assegna agli stessi volti altri significati, altri richiami, altri valori. Per cui, è giocoforza considerare la successione e continuità di questi ritratti di Alcide Boaretto come autentica fotografia sociale. Ovviamente, nel farlo e nel condividere l’identificazione, è necessaria una sintonia: quella che non stabilisce alcuna scala gerarchica, ma applica i sostantivi (fotografia) e gli aggettivi collegati (sociale) per ciò che effettivamente intendono, non per cadenzare qualsivoglia classifica. In questo
Approfondimento L’attrice spagnola Rossy de Palma, una delle scoperte del regista Pedro Almodóvar, a Cannes 2016 per la sua interpretazione in Julieta.
Woody Allen, a Cannes 2016 con il film Café Society, ambientato nell’America degli anni Trenta.
Russell Crowe, a Cannes 2016 per la sua interpretazione in The Nice Guys, di Shane Black, al fianco di Ryan Gosling.
ALCIDE BOARETTO (4)
Gli attori Jean Reno e Charlize Theron, interpreti del film The Last Face, di Sean Penn.
9
(dall’alto) L’attrice Vanessa Redgrave; Steven Spielberg, regista di The BFG, con gli attori del film Mark Rylance e Ruby Barnhill e con Kate Capshaw, sua moglie; Sean Penn, regista di The Last Face; Vittorio Storaro, direttore della fotografia di Café Society, di Woody Allen; Mel Gibson, interprete di Blood Father, di Jean-François Richet.
10
ALCIDE BOARETTO (5)
Approfondimento senso, fotografia sociale è esattamente ciò che afferma di essere, in un discorso nel quale è fondamentale l’ipotesi e il princìpio di come e quando (e per quanto) la stessa fotografia influisce sulle nostre singole esistenze. Ecco, dunque, che il Tempo che è trascorso dai ritratti realizzati in stagioni precedenti, che si sommerà presto al Tempo che sta per trascorrere da quest’anno, stabilisce il senso della registrazione fotografica, che diventa documento: di un momento precedente e vissuto, di un momento nel quale certi volti (di attori/attrici) hanno espresso il senso della propria epoca. Sia che si tratti di autentiche celebrità conclamate, sia che si tratti, anche, di meteore presto abbandonate, i volti del cinema raccolti da Alcide Boaretto rappresentano il nostro tempo e mondo più e meglio di altri accadimenti. Soprattutto a partire da stagioni recenti, che hanno affermato la precarietà della memoria e la fragilità del racconto, la frenetica rapidità con la quale ogni notizia si sostituisce a quella immediatamente precedente ha minato il senso del tempo che scorre, sostituito da istanti effimeri, considerati per se stessi, oltre che rappresentativi dell’istante presente. Solo il Cielo sa quanto ci costi riconoscerlo: soprattutto il cinema, e oggi anche le serie televisive che lo accompagnano, accodandosi nelle programmazioni in video, segna inviolabilmente le date e le stagioni. A diretta conseguenza, i volti che danno vita al cinema (e alle serie televisive) sono volti del tempo e fissati al proprio tempo. Dimenticati i passi della vita, nella memoria collettiva si affermano soprattutto le cadenze del cinema, inviolabile contenitore sociale che attraversa ogni barriera geografica (magari imponendo ideologie di matrice statunitense). Dimenticati i passi della vita, nella memoria collettiva rimane il divismo cinematografico, che sta imperando da decenni e oggi ha raggiunto un apice addirittura inquietante. Comunque, fotografia sociale per quanto questo riconoscimento esprime in sostanziale oggettività. Certo, le intenzioni di Alcide Boaretto possono non essere così indirizzate... ma alla resa dei conti è quello che sta facendo, compilando un casellario che stabilisce la successione di stagioni. Di Tempo. ❖
Photokina 2016 di Antonio Bordoni
RITORNO AL FUTURO?
A
Anno pari: dunque, anno di Photokina, appuntamento fieristico mondiale del settore. Da martedì venti a domenica venticinque settembre, si replica nei padiglioni espositivi di Colonia, in Germania. Se dovessimo andare in visita, come sarebbe giusto fare, ma... oggi le condizioni complessive impongono il dubbio, sarebbe la nostra ventitreesima Photokina, dall’edizione del 1974, quando andammo a Colonia inviati da Photo 13, mensile diretto da Ando Gilardi e Roberta Clerici. Sia chiaro che l’incertezza chiama in causa mille fattori, a partire dall’effettiva necessità di una fiera di settore, in tempi di ben altre fonti di informazione e comunicazione. L’ente organizzatore è consapevole più di noi dell’attuale contraddizione di termini, tanto è vero che da qualche edizione a questa parte sono state applicate trasformazioni per adeguare la passerella tecnologica alle potenziali richieste ed esigenze del pubblico visitatore. Soltanto che, a questo proposito, sorge una controversia: quando e per quanto lo stesso ente organizzatore, per bocca di suoi referenti autorevoli, ammette che l’ottanta per cento circa dei visitatori della Photokina è nazionale, ovverosia tedesco, e che una grande percentuale di questi vi approda da un raggio di duecento chilometri da Colonia (dati approssimativi, non intendiamoli in misura rigida, ma prendiamone in considerazione il concetto). Però, attenzione, la Photokina non si esaurisce mai nel suo solo svolgimento di date; la sua influenza si allunga e prolunga in avanti, sia nel tempo sia nello spazio, a partire dalle relazioni giornalistiche che la commentano. Così che, l’effettiva quantificazione dell’effetto a cascata si moltiplica esponenzialmente, andando a toccare l’intero pianeta e approdando a una serie di considerazioni che approfondiscono la materia, partendo dalla dettagliata analisi dei prodotti: sia ognuno per se stesso, sia tutti insieme in comunione di intenzioni e proiezioni tecnologiche in avanti. Tanto è vero che lo svolgimento dell’imminente Photokina 2016 (dal venti al venticinque settembre prossi-
12
mi) preannuncia una interpretazione futuristica del mondo dell’immagine, andando a contemplare quanto è maturato negli ultimi tempi e quanto presenta argomenti tangibili sul modo attuale di intendere, declinare e presentare l’immagine: dall’evoluzione dei video alle applicazioni social, all’uso di droni, alla finalizzazione animata per la Rete... a tanto altro ancora. Per questo, pensiamo che sia necessario rivolgersi a quella componente tecnico-commerciale che sovrintende il mercato fotografico italiano, in una filiera che dagli importatori-distributori raggiunge il punto vendita, per approdare ai consumatori. È questa componente che più di altri dovrebbe frequentare la Photokina visitandola, invece di stazionare ai propri stand di riferimento. Soprattutto in questo modo, si può percepire il senso del tempo, delle sue trasformazioni ed evoluzioni. Soprattutto in questo modo, si può superare la cultura del solo piagnisteo (sollecitato e confortato dalle condizioni economico-finanziarie dei nostri giorni),
Scritto e pubblicato all’indomani della Photokina 2008, ben otto anni fa, la riflessione Alla Photokina e ritorno, di Maurizio Rebuzzini, propone osservazioni e considerazioni ancora oggi utili e proficue per il comparto fotografico, proiettato verso il commercio.
per affrontare programmi e progetti. È da tempo che ci esprimiamo in questo modo e che sollecitiamo a questo, invitando ognuno a svolgere al meglio il proprio mandato, senza limitarlo all’apparenza di un dovere minimo e indispensabile. È da tempo che ipotizziamo una comunione di intenti che consenta la più proficua messa a frutto delle competenze individuali e delle capacità relative: alcune rivolte al commercio, altre alla cultura, altre ancora alla connessione tra i due momenti, con finalità concrete. Ne ha scritto il nostro direttore Maurizio Rebuzzini, al ritorno dalla Photokina 2008, raccogliendo le sue annotazioni e riflessioni al proposito nell’edizione di Alla Photokina e ritorno, che -riferimenti temporali a parte- è un’analisi ancora oggi plausibile, ancora oggi utilizzabile: spunti utili e proficui sia al comparto tecnico-commerciale sia al mondo della fotografia espressiva e creativa. Qui confermiamo, ribadendolo. Pensiamo a una educazione commerciale che si estenda oltre i soli riferimenti tecnici, per comprendere la definizione di un mercato rivolto all’applicazione attiva di un interesse; anche solo in queste pagine, l’abbiamo già rilevato in tante occasioni, e a propria volta questa ulteriore potrebbe non essere l’ultima: sia che si tratti di semplice fotoricordo domenicale, sia che si tratti di impegno individuale più sostanzioso (quel fotoamatorismo, anche organizzato, frequentato da molti), la fotografia è un hobby diverso dagli altri. Diverso, perché migliore: sempre e comunque attivo e non passivo. Il valore del Tempo che l’attraversa non è certo questione da poco. Ripetiamo e concludiamo: da tempo, la Photokina è l’espressione più chiara, trasparente e concreta di tanti infiniti intrecci, legami e collegamenti. Photokina non sono i soli strumenti della fotografia. Alla Photokina e con la Photokina, l’intero mercato della fotografia manifesta spiriti e filosofie trasversali, da decifrare per allineare e finalizzare ogni personalità commerciale quotidiana; anche quelle giornalistiche, sia chiaro. ❖
In mostra di Pio Tarantini
POESIA DI TONI NICOLINI
C
Come è noto, negli ultimi due decenni, il piccolo/grande mondo della fotografia italiana ha vissuto una fase di crescita e forti cambiamenti legati a diversi fattori: dall’uso e fruizione diversa della fotografia di reportage alla nascita di un mercato specifico della fotografia cosiddetta d’arte, dai radicali cambiamenti tecnologici a nuove, importanti riflessioni teoriche sul ruolo e statuto della meravigliosa invenzione. In questo clima di veloci trasformazioni, restano alcune figure legate a un modo classico di intendere la fotografia, in particolare quella di testimonianza sociale. Si tratta di una generazione nata prima della Seconda guerra mondiale, maturata tra gli anni Cinquanta e Sessanta, che ha lavorato con costanza e serietà e che -con il tempoha visto consolidare saldamente i riconoscimenti per il proprio lavoro. È il caso di Toni Nicolini (1935-2012), un autore considerevole e discreto, al quale è stata dedicata la mostra retrospettiva Poesia del reale, a cura di Giovanna Calvenzi e Walter Liva, nata nell’ambito delle iniziative della trentesima edizione di Friuli Venezia Giulia Fotografia 2016, che si è svolta a Spilimbergo, in provincia di Pordenone (fino all’undici settembre). La fotografia di Toni Nicolini nasce nell’alveo della documentazione sociale e antropologica, caratterizzata dalle influenze del neorealismo, che alla fine degli anni Cinquanta assorbiva già esperienze di rinnovamento del linguaggio, provenienti da alcuni maestri italiani, come Paolo Monti e Mario Giacomelli, e da alcuni stranieri, che -partendo dal realismo poetico di Henri Cartier-Bresson e degli autori impegnati dell’agenzia Magnum Photos- assimilavano i nuovi linguaggi provenienti dagli Stati Uniti, in primis Robert Frank e William Klein. In questo ambito, Toni Nicolini ha prodotto progetti fondamentali, oltre quelli più tradizionali, legati alla sua attività documentaria per il Touring Club Italiano: tra gli altri, ricordiamo le immagini dinamiche di Ballo di carnevale a Mortara (1966) e quelle più rigorosamente analitiche realizzate in
14
In mostra
Un giorno a Melissa, in Calabria (1963).
(in alto) Il Naviglio, a Paderno Dugnano, in provincia di Milano (1973).
(in alto, a destra) Il grattacielo Pirelli, a Milano (1965).
(pagina accanto) Marcia per la Sicilia occidentale e per un mondo nuovo (1967).
TONI NICOLINI (1935-2012)
MICHELE TARANTINI
Sulla strada del Santuario della Beata Vergine delle Grazie, a Curtatone, in provincia di Mantova (1973).
Nato a Milano nel 1935, dopo studi classici, Toni Nicolini si è dedicato alla fotografia focalizzando il proprio interesse sul reportage sociale, a partire dai primi anni Sessanta. In quel periodo, collabora con Luigi Crocenzi al Centro per la Cultura nella Fotografia e, nel 1963-1964, con il pittore Ernesto Treccani, realizzando il murale Da Melissa a Valenza, sul tema della migrazione dal Sud al Nord Italia. Nel 1967, pubblica cinquanta sue fotografie nella monografia Nuova Sicilia, nuovo mondo, un reportage realizzato in Sicilia al seguito dell’iniziativa Marcia per una Sicilia nuova, organizzata da Danilo Dolci, autore dei testi del volume nel quale sono stati riprodotti anche alcuni dipinti di Ernesto Treccani. L’amicizia con l’artista fondatore della storica rivista Corrente lo porta a collaborare a lungo, fino alla sua scomparsa, con l’omonima Fondazione, per la quale organizza mostre di fotografia e numerosi incontri. Dal 1970 al 1990, Toni Nicolini ha collaborato con continuità ai programmi editoriali del Touring Club Italiano, partecipando a campagne fotografiche non solo sul patrimonio architettonico e artistico italiano, ma anche sul territorio e il paesaggio. Per la collana del TCI Attraverso l’Europa, ha realizzato una serie di reportage in bianconero. Nel 2010, gli fu conferito il Trofeo Internazionale della Fotografia. Per molti decenni, ha condiviso lo studio con Cesare Colombo, noto fotografo e saggista del quale era amico fraterno, mancato lo scorso gennaio [FOTOgraphia, febbraio 2016].
15
In mostra Inaugurazione del Centro Fly, Milano (1966).
Ballo di carnevale, a Mortara, in provincia di Pavia (1966).
DA SPILIMBERGO A MILANO
La mostra di Toni Nicolini Poesia del reale, a cura di Giovanna Calvenzi e Walter Liva, si è tenuta a Spilimbergo, nelle sale di Palazzo Tadea, dal sedici luglio all’undici settembre; a seguire, sta per essere riproposta presso lo spazio Forma Meravigli, di Milano, dal quindici settembre al ventiquattro ottobre. Edito da Contrasto, il catalogo è arricchito da contributi di numerosi operatori e amici di Toni Nicolini, a cominciare dalla presentazione dell’inseparabile amico Cesare Colombo, al quale è dedicata la monografia, che stava appunto lavorando a questo progetto, interrotto dalla sua improvvisa scomparsa nel gennaio di quest’anno [FOTOgraphia, febbraio 2016]. Sono presenti testi dello stesso Toni Nicolini, che è stato anche un attento osservatore e studioso di fotografia. E poi, ancora, i contributi dei curatori, Giovanna Calvenzi e Walter Liva, un testo di Ernesto Treccani (di qualche decennio fa), e testimonianze di Gianni Berengo Gardin, Italo Lupi, Cristina De Vecchi, Pio Tarantini e del figlio di Toni, Martino. Toni Nicolini. Poesia del reale; Contrasto, 2016; 232 pagine 24x30cm, cartonato; 39,00 euro.
16
Sicilia, nel 1968, nella Gibellina postterremoto del Belice. I riconoscimenti che vengono unanimemente riservati a Toni Nicolini sono caratterizzati dall’apprezzamento, oltre che per la sua produzione fotografica, per la sua persona: serenamente lontano dai presenzialismi invadenti che caratterizzano (purtroppo) il mondo della fotografia e dell’arte in genere, è stato apprezzato per la sua discrezione e per l’intelligenza e ironia con le quali ha affrontato la fotografia e la vita. La sua riservatezza sembrava -e forse era anche- timidezza, in confronto all’esuberanza e alla dialettica dell’amico Cesare Colombo, con il quale, per decenni, ha condiviso gli spazi di lavoro. Però, dietro questo suo atteggiamento discreto, Toni Nicolini ha sempre dimostrato grande acutezza e non ha mancato di chiosare molto spesso i discorsi tra amici, sempre con grande ironia. Un atteggiamento aristocratico, nel senso positivo del termine: di una aristocrazia dello spirito, che si percepiva nella sua persona elegante, nel suo sorriso, nella sua capacità di attenzione e rispetto per i suoi interlocutori. Come ho scritto nel mio contributo al catalogo della mostra odierna, Poesia del reale, a proposito della sua fotografia declinata verso l’indagine sociale e della sua personalità intellettuale «Si trattava di schierarsi -lui intellettuale per molti aspetti privilegiato, operante in una città dinamica e moderna come Milano- dalla parte dei “vinti”, delle classi disagiate, delle arretratezze sociali meridionali: non era una presa di posizione di comoda aderenza alle posizioni di una intellighenzia dominante nel campo culturale, ma un’adesione sentita, percepibile nella sua persona, nei suoi atteggiamenti, nel suo modo di vivere. Il cuore che non si lascia sopraffare dalla ragione e dall’opportunismo di maniera. E la ragione che guida il suo stile di vita seguendo, appunto, un ideale percorso segnato dall’impegno etico, verso la società, la famiglia, il suo lavoro, gli amici. Un illuminista spogliato delle rigidità manichee e già calato in un proto-romanticismo che ne facevano una persona cortese e amabile, non staccata dal mondo reale, ma calata dentro i problemi della società, di cui ha testimoniato egregiamente alcuni momenti». ❖
Dietro le quinte di Angelo Galantini
(ANCORA) IN OMAGGIO
18
GUY BOURDIN: PENTAX CALENDAR 1980
S
Tavola di Guy Bourdin per il Calendario Pentax 1980: tempi nei quali la promozione fotografica è stata brillante e ha valorizzato la fotografia d’autore.
Ritratto della modella canadese Mikhaila Rocha, detta Coco, realizzato da Craig McDean, nel 2006. Coco Rocha è celebre anche per aver preso posizione pubblica a proposito dell’anoressia.
CRAIG MCDEAN: COCO ROCHA (206)
Su questo stesso numero, da pagina ventotto, presentiamo e commentiamo (e lodiamo) il progetto fotografico Iconic B, di Alberto Alicata. Lasciando dove è giusto che rimangano le nostre note in riflessione, qui e ora scandiamo i termini di un casellario complementare: quello dei riferimenti alle fotografie che il bravo autore richiama con le sue composizioni riprese e ripetute, in compagnia di Barbie (la bambola, se servisse precisarlo). In definitiva le icone di Alberto Alicata, tali a partire dall’icona-soggetto trasversale e comune a tutte quindici le fotografie della serie (ipotizzando che qui si fermino: la continuazione sarebbe soltanto duplicazione non necessaria... ma!), stabiliscono tale sostanza e valore anche in relazione alle immagini di richiamo, per l’appunto qui elevate a icona della Storia della Fotografia. Forse sì, forse no. Ribadendo uno stilema giornalistico che ci appartiene, declinato oltre la cronaca effimera, e dunque sillabato per offrire stabilità e compattezza di informazione (in veste di formazione), andiamo dietro le quinte di questa avvincente serie fotografica, passo a passo in riferimento alle singole immagini di riferimento esplicito e dichiarato dei soggetti di Iconic B. Se dovesse essere necessario richiamare anche precedenti analoghi, ma non identici, rimandiamo a nostra volta all’individuazione delle tredici (quattordici) copertine false di Life che compaiono nella scenografia del film I sogni segreti di Walter Mitty [FOTOgraphia, dicembre 2014]. Allora... con ordine. Iconic B 1 (2014): riferimento a Guy Bourdin, Pentax Calendar 1980 [qui sopra]. Oltre se stessa, questa fotografia realizzata dal grande autore francese (spesso non considerato dalle storiografie) -una delle dodici tavole del calendario illustrato della celebre produzione fotografica giapponeserivela un tempo e un clima nel quale l’offerta tecnico-commerciale era accompagnata da iniziative parallele e convergenti, in forma promozionale. È certo che i maggiori margini di reddito dell’epoca, e qui ci si riferisce al 1980, generavano margini d’azione
Dietro le quinte
variopinti, magari anche in forma culturale. Perché no? Iconic B 2 (2014): riferimento a: Craig McDean, Coco Rocha; 2006 [pagina accanto]. La canadese Mikhaila Rocha, detta Coco, è una modella di spicco (perché non ci garbano gli stereotipi tipo “top model”) capace di andare oltre la superficialità incombente nel mondo della moda. Ha preso posizione pubblica a proposito dell’anoressia, in tempi antecedenti la sostanziosa denuncia di Oliviero Toscani [FOTOgraphia, novembre 2007], facendo esplicito riferimento alla consuetudine di incoraggiare disordini alimentari, che finiscono per risultare devastanti su fisico e morale delle modelle. Iconic B 3 (2014): riferimento a Patrick Demarchelier, Christy Turlington, per British Vogue; febbraio 1992 [in alto]. Famoso e straordinario ritratto, declinato in ambito di fotografia di moda, spesso elevato a simbolo stesso della personalità d’autore di Patrick Demarchelier. Certo, il richiamo è ostentato,
oltre che ininfluente su valori sommi e sovrastanti, ma è doveroso richiamare la nostra copertina del febbraio 2000, in lancio della personale allestita al milanese PAC - Padiglione d’Arte Contemporanea [ancora in alto]. Iconic B 4 (2014): riferimento a Guy Bourdin, Charles Jourdan; primavera 1979 [a pagina 23]. La collaborazione del celebrato autore francese (già Iconic B 1) con la linea di calzature Charles Jourdan è durata decenni. Tanto che possiamo tranquillamente affermare che è proprio questa fotografia che ha dato un’impronta determinante (è il caso) all’immagine stessa della linea di scarpe. Sempre e comunque fotografie di straordinario impatto visivo, nelle quali l’ironia e la forzatura delle composizioni hanno determinato uno stile inconfondibile, che -per l’appunto- rimanda a questo brand, rendendolo inconfondibile tra i tanti che ce ne sono. Iconic B 5 (2015): riferimento a Richard Avedon, Dovima with Elephants; agosto 1955 [a pagina 20]. Questa fo-
RICHARD AVEDON: JEAN SHRIMPTON (PARIGI, 3 AGOSTO1965)
Lo stesso ritratto sulla nostra copertina del febbraio 2000, in lancio della personale allestita al milanese PAC - Padiglione d’Arte Contemporanea.
Crocodile Eating Ballerina, di Helmut Newton, del 1983, fa parte della interpretazione del balletto Keushleitslegende, di Pina Bausch.
RICHARD AVEDON
HELMUT NEWTON: CROCODILE EATING BALLERINA (1983)
ARCHIVIO FOTOGRAPHIA
PATRICK DEMARCHELIER: CHRISTY TURLINGTON (FEBBRAIO 1992)
Christy Turlington in un celebre ritratto di Patrick Demarchelier, realizzato per British Vogue.
(in alto, a destra) Ritratto della modella Jean Shrimpton, con acconciatura Alexandre, realizzato da Richard Avedon nell’estate 1965. Nostra rilevazione, certamente superflua, ma... richiamiamo il celebre ritratto di Marella Agnelli, che Richard Avedon realizzò nel 1953: Barbie ante litteram?
tografia, originariamente scattata per Christian Dior, è una delle più note e esaltate della Storia della Fotografia: la modella Dovima tra gli elefanti del Cirque d’Hiver. Tanto che è obbligatorio ritornare al 20 novembre 2010, a Parigi, quando e dove fu svolta un’asta di sessantacinque fotografie di Richard Avedon provenienti dalle proprietà della Fondazione a lui intitolata, creata all’indomani della scomparsa (Primo ottobre 2004, in un anno terribilis [FOTO graphia, febbraio 2005]). Parte delle manifestazioni previste per la quattordicesima edizione di Paris Photo, avviata il precedente diciotto, Avedon: Photographies provenant de la Fondation Richard Avedon ha stabilito un record mondiale per un’asta di fotografie in Francia: sono stati sfiorati cinque milioni e mezzo di euro (5.467.250 euro, per l’esattezza), con la vendita di tutti i sessantacinque lotti presentati, il più consistente insieme di opere di Richard Avedon proposto al mercato. Nella sessione di vendita, una stam-
19
Il binomio Mario Testino / Kate Moss è talmente caratterizzato e stratificato da aver sollecitato un’edizione libraria: per l’appunto, Kate Moss by Mario Testino (qui accanto), pubblicata da Taschen Verlag.
pa della celebre Dovima with Elephants, la sedicesima dell’asta, ha raggiunto la quotazione di ottocentoquarantunomila euro, superando di molto le aspettative, con stima di partenza da quattro a seicentomila euro. Le dimensioni di questa stampa sono importanti: 2,168x1,667 metri: si tratta dell’ingrandimento che, per oltre venticinque anni, dal 1978, ha decorato una parete dell’ingresso dello studio di Richard Avedon, a New York. In base a un casellario attendibile, con questa quotazione, la fotografia si inserì all’ottavo posto di sempre nella classifica dei valori di vendita di fotografie (e, in seguito, la classifica è cambiata). Comunque, e con l’occasione, annotiamo che questa è la posa acclamata dalle storiografie: in ogni caso, come certifichiamo oggi, una dell’intero servizio di moda realizzato [pagina accanto, in alto]. Iconic B 6 (2015): riferimento a Mario Testino, Kate Moss; 2002 [in alto]. Il binomio Mario Testino (fotografo) e
20
Dovima with Elephants, di Richard Avedon. Sulla pagina accanto, un altro scatto dello stesso sevizio e la presentazione dell’icona più nota alla mostra dei cinquant’anni di World Press Photo.
(pagina accanto, in alto, a destra) Fruit Passion, di David LaChapelle, del 1999, con la modella Naomi Campbell. (pagina accanto, in basso, a sinistra) Georgia May Jagger in un ritratto di Sølve Sundsbø, per Love Magazine, dell’autunno-inverno 2013-2014.
RICHARD AVEDON: DOVIMA WITH ELEPHANTS (AGOSTO 1955)
MARIO TESTINO: KATHE MOSS (2002)
Dietro le quinte
Kate Moss (modella) è uno di quelli che hanno caratterizzato recenti stagioni della fotografia di moda. Tanto che è obbligatoria la menzione della monografia-tributo Kate Moss by Mario Testino, in Limited Edition Taschen di millecinquecento copie, alla quale hanno fatto seguito una successiva edizione di pregio e una edizione corrente, proposta a un prezzo di vendita-acquisto adeguatamente conveniente [a sinistra]: 232 pagine 25x34,5cm; 29,99 euro. Chi apprezza questa fotografia, chi asseconda il mito che è stato edificato ha modo di soddisfare il proprio desiderio. In forma di libro. Iconic B 7 (2015): riferimento a Richard Avedon, Jean Shrimpton, hair Alexandre; Parigi, 3 agosto 1965 [a pagina 19]. Ancora un Richard Avedon d’annata, dopo la precedente Iconic B 5. Ovviamente, nulla da eccepire sulla scelta, sia in rispetto al passo stabilito dal bravo Alberto Alicata, con la complicità di Barbie, o viceversa, sia per nostra natura, che
accetta i percorsi altrui, per i quali esprimiamo soltanto riflessioni e osservazioni... mai censure. Soltanto, eccoci qui, ci domandiamo come mai, pensando a Richard Avedon, non sia stato monetizzato il celebre ritratto di Marella Agnelli, del 1953, spesso riportato nelle storiografie generali e -soprattutto- nelle retrovisioni della fotografia del fantastico autore newyorkese, che ha illuminato il secondo Novecento. Tra l’altro, e senza alcuna irriverenza, ci pare che la figura di Barbie si allinea bene, molto bene alla postura di Marella Agnelli [ancora a pagina 19]. Comunque, rilevazione personale, quanto superflua. Iconic B 8 (2015): riferimento a David LaChapelle, Naomi Campbell, Fruit Passion; 1999 [pagina accanto]. Ancora due icone della fotografia di moda semi-contemporanea. Il fotografo David LaChapelle e la modella afroamericana Naomi Campbell, in eccellente combinazione di intenti. Così che, unitamente a altre cadenze della propria
SO/ LVE SUNDSBO/ : GEORGIA MAY JAGGER,
PER
LOVE MAGAZINE (AUTUNNO-INVERNO 2013-2014)
LELLO PIAZZA
DAVID LACHAPELLE: NAOMI CAMPBELL, FRUIT PASSION (1999)
RICHARD AVEDON
Dietro le quinte
La modella Georgia May Jagger, fotografata da Sølve Sundsbø, per un redazionale di Love Magazine (a sinistra), è stata uno dei soggetti che hanno illustrato sei copertine multiple del numero celebrativo di cinque anni di Love Magazine, presentato come The Sweetie Issue, già ben quotato nel mondo del collezionismo, con cifre che partono da cinquanta dollari a copia. Tutte ispirate al personaggio di Minnie Mouse, di Disney, le sei copertine hanno anche celebrato l’attualità sociale e di costume della moda contemporanea. Infatti, oltre a Georgia May Jagger, figlia della modella Jerry Hall e di Mick Jagger, leader dei Rolling Stones, e Minnie Mouse, si segnalano le giovani modelle Rosie Huntington-Whiteley, Cara Delevingne, Edie Campbell e Chiharu Okunugi, tutte destinate a definire la moda dei e nei prossimi anni.
21
serie Iconic B, Alberto Alicata confeziona una ulteriore tessera di composizione di un mosaico di omaggi/tributi alla fotografia contemporanea di moda, che è sostanziosamente influente sul costume collettivo dei nostri tempi, tanto da elevare questa stessa fotografia oltre i propri confini, per proiettarsi sulla società tutta, nel proprio insieme e complesso: pensieri, atteggiamenti, aspirazioni e tanto altro ancora. Iconic B 9 (2015): riferimento a Irvin Penn, copertina di British Vogue; giugno 1950 [in alto, a destra, e in copertina di questo stesso numero di FOTOgraphia]. Storicizzata come Black & White Vogue Cover, questa copertina stabilisce uno dei punti fermi della Storia della Fotografia. La modella Jean Patchett interpreta bene la composizione/combinazione di alternanza tra bianco e nero, senza nulla di aggiunto. Per certi versi, in anticipo di almeno venti anni su quanto sarebbe accaduto poi, possiamo conteggiare questa combinazione -che ripetiamo sulla nostra at-
22
Rebellious Silence, di Shirin Neshat (fotografia di Cynthia Preston), è uno dei soggetti dell’ampio progetto Women of Allah, del 1994: inchiostro su stampa fotografica.
Copertina di British Vogue, del giugno 1950, storicizzata come Black & White Vogue Cover. Da questa messa in pagina di una fotografia di moda di Irvin Penn abbiamo ripreso la copertina di questo stesso numero di FOTOgraphia.
IRVIN PENN: BRITISH VOGUE (GIUGNO 1950)
SHIRIN NESHAT: REBELLIOUS SILENCE (DA WOMEN
OF
ALLAH ; 1994)
Dietro le quinte
tuale copertina, andando a introdurre cromie di servizio- come preavviso della stagione Op Art, che avrebbe fatto del bianco-e-nero linguaggio e invenzione. Iconic B 10 (2015): riferimento a Sølve Sundsbø, Georgia May Jagger per Love Magazine; autunno inverno 2013-2014 [a pagina 21]. Figlia della modella Jerry Hall e di Mick Jagger, leader dei Rolling Stones, la giovane Georgia May Jagger, oggi ventiseienne, si sta imponendo sui palcoscenici internazionali della moda che si proietta sul costume. Questo ritratto è stato realizzato per il periodico Love, pubblicato dalla redazione inglese di Condé Nast: immagine di apertura di un lungo servizio, esteso su trentotto pagine [ancora a pagina 21]. In precedenza, Georgia May Jagger ha illustrato anche una delle sei copertine multiple del numero celebrativo di cinque anni di Love Magazine, presentato come The Sweetie Issue, tutte ispirate al fumetto di Minnie Mouse, di Disney (tutte ben quo-
tate nel mondo del collezionismo: con cifre che partono da cinquanta dollari a copia). Le altre cinque copertine, con le modelle Rosie Huntington-Whiteley, Cara Delevingne, Edie Campbell e Chiharu Okunugi, più Minnie Mouse. Naturalmente. Iconic B 11 (2015): riferimento a Gian Paolo Barbieri, Audrey Hepburn per Valentino; Vogue Italia, 1969 [pagina accanto]. Di questo celebre ritratto di Audrey Hepburn, di Gian Paolo Barbieri, abbiamo riferito in tante occasioni precedenti, la più recente delle quali addirittura lo scorso giugno, in occasione della presentazione del nuovo MA.CO.f / Centro della Fotografia Italiana, di Brescia. Dunque, è assodato che ogni ripetizione sarebbe fuori luogo. Più e meglio che altrove... basta la fotografia. Iconic B 12 (2015): riferimento a Oliviero Toscani, Jesus Jeans, Chi mi ama mi segua; 1973 [pagina accanto]. Sicuramente, questo annuncio pubblicitario, soprattutto in forma di
MI AMA MI SEGUA
(1973)
Una delle più celebri fotografie di Gian Paolo Barbieri: Audrey Hepburn, per Valentino ( Vogue Italia, 1969).
affissione stradale, ha rappresentato una autentica “rottura”, con tanti e tanti risvolti (a partire dall’headline, considerato blasfemo da qualcuno). Comunque, tra questi risvolti, possiamo anche conteggiare l’avvio del cammino dello stesso Oliviero Toscani, che successivamente avrebbe cadenzato tempi e modi di annunci Benetton che hanno fatto molto parlare e scrivere. Addirittura, qualche anno fa, alla maniera di tante altre precedenti “rivelazioni” (molte delle quali relative alla coppia che si bacia davanti all’Hôtel de Ville, a Parigi, in una famosissima fotografia di Robert Doisneau, del 1950), ci fu una ex modella che vantò di aver posato per quell’immagine. In una intervista pubblicata da La Stampa, il 29 ottobre 2009, lo stesso Oliviero Toscani ha smentito, rivelando che la modella era Donna Jordan. Iconic B 13 (2015): riferimento a Steven Meisel, Coco Rocha; Vogue, settembre 2007 [a destra, al centro]. Ancora la modella canadese già incon-
trata con un ritratto di Craig McDean (Iconic B 2). Nulla da aggiungere. Iconic B 14 (2015): riferimento a Helmut Newton, Crocodile Eating Ballerina; 1983 [a pagina 19 e sullo scorso numero di luglio, in anticipazione]. Per quanto questa fotografia di Helmut Newton, dal balletto Keushleitslegende, di Pina Bausch (Wuppertal, 1983), sia meno ripetuta di altre del rinomato fotografo, bisogna apprezzarne termini e valori. Soprattutto, va annotato il ruolo che Helmut Newton ha svolto nell’ambito della fotografia di moda, qui in allungo, della quale ha scosso il nucleo portante, introducendo sostanziosi elementi azzardati, soprattutto in termini di pose provocatoriamente seducenti, riflesso di una rivoluzione sessuale in corso (allora in corso). Iconic B 15 (2015): riferimento a Shirin Neshat, Rebellious Silence, da Women of Allah; 1994 (fotografia di Cynthia Preston); inchiostro su stampa fotografica [pagina accanto]. Chiusura riflessiva. Chiusura in riflessione.
OLIVIERO TOSCANI: JESUS JEANS, CHI
(a destra, in alto) Ai propri tempi fu campagna scandalosa e di “rottura”: Jesus Jeans Chi mi ama mi segua, di Oliviero Toscani, del 1973.
(a destra, al centro) La modella Coco Rocha fotografata da Steven Meisel per Vogue del settembre 2007 (a pagina 18, la stessa modella Coco Rocha fotografata da Craig McDean).
SETTEMBRE
2007)
Il binomio tra il fotografo Guy Bourdin e la linea di calzature Charles Jourdan è durata decenni: soggetto della campagna della primavera 1979.
STEVEN MEISEL: COCO ROCHA (VOGUE ;
GUY BOURDIN: CHARLES JOURDAN (PRIMAVERA 1979)
GIAN PAOLO BARBIERI: AUDREY HEPBURN,
PER
VALENTINO (1969)
Dietro le quinte
Questo Rebellious Silence, ritratto nel quale figura centrale è divisa in due lungo una cucitura verticale creata dalla lunga canna di un fucile, fa parte della serie Women of Allah, attraverso la quale Shirin Neshat ha esaminato le complessità delle identità femminili all’interno del paesaggio culturale medio orientale in rapida trasformazione: sia attraverso la lente di rappresentazioni occidentali delle donne musulmane, sia con soggetti più intimi di convinzione personale e religiosa. È il suo intervento scritto sulla copia fotografica (in questo caso, fotografia di Cynthia Preston) che stabilisce il ritmo della creazione espressiva. Presumibilmente, il fucile è tenuto in grembo, e l’immagine è composta in modo che la sua canna si alzi perpendicolare dal bordo inferiore dell’inquadratura e sfiori il viso alla bocca, il naso e la fronte. Gli occhi della donna fissano intensamente verso lo spettatore da entrambi i lati di questo divario. Iconic B, di Alberto Alicata. Fine. ❖
23
In evocazione di Antonio Bordoni
P
RICHIAMO LEICA
Presto detto: il richiamo Leica sulla copertina del romanzo Andarsene, ripetuto in frontespizio, non trova alcun riscontro nel testo, che pure presenta e offre trasversalità fotografiche, di origine tedesca, che fanno da contorno al filo narrativo principale e unico. Però, allo stesso tempo, il medesimo richiamo, che ha attirato la nostra attenzione (edificata anche su quanto si riferisce alla fotografia, con segnali variegati, come questo oggi in passerella), non è completamente separato e scollegato dal romanzo, per il quale l’accenno fotografico, in forma di Leica, introduce il personaggio cardine della vicenda: Hans Ertl, capofamiglia, cineasta e fotografo tedesco che sotto la direzione di Leni Riefenstahl ha glorificato l’estetica nazista. Hans Ertl è un personaggio reale. Invece, il romanzo è finzione letteraria, adeguatamente condita con passaggi realistici, che si intrecciano con l’esistenza di una famiglia. Tutto comincia all’inizio degli anni Cinquanta, in Bolivia, dove gli Ertl si sono rifugiati all’indomani della Seconda guerra mondiale, con quanto ha comportato nel coinvolgimento al regime del capofamiglia, autore di filmati di propaganda. Da qui, Hans Ertl segue la propria vocazione, organizzando spedizioni archeologiche alla ricerca di città nascoste, città dimenticate (Paitití), luoghi magici. Ovviamente, accompagna le ricerche con l’immancabile impegno fotografico e cinematografico di documentazione. Una delle tre figlie, Monika (altro personaggio storico reale, le sorelle non lo sono), lo accompagna in una spedizione, durante la quale si definiscono i connotati del passo del romanzo, che poi prosegue con gli eventi della famiglia. Alla scomparsa della madre, ognuno prende la propria strada, andando ciascuno a occupare il proprio posto nel mondo. Le due sorelle di fantasia rimangono vincolate a ruoli tradizionali, mentre è Monika che vive la Storia con intensità e partecipazione. Di fatto, maggiore delle tre sorelle, Monika si rivela la più audace, e magari possiamo anche ipotizzare che ha ere-
24
Andarsene, di Rodrigo Hasbún; traduzione di Giulia Zavagna; Sur, 2016 (via della Polveriera 14, 00184 Roma; www.edizionisur.it); 120 pagine 12,5x19,5cm, cartonato; 15,00 euro.
ditato il carattere anticonformista del padre -nonostante tutto, non solo molto-, aderendo ai movimenti politici che hanno caratterizzato gli anni Sessanta dell’America del Sud, proprio a partire dalla Bolivia di sua residenza e vita. Così che, intrecciando ancora una volta la fantasia letteraria con la realtà, Monika diventa compagna di vita di Inti, il leggendario braccio destro di Ernesto “Che” Guevara, che prese le redini della guerriglia alla sua cattura e uccisione. Andarsene non va oltre i termini della militanza di Monika, ma la Storia racconta altro. Racconta che Monika Ertl vendicò la morte di Ernesto Che Guevara e lo scempio del suo corpo: le mani gli furono tagliate e inviate a Cuba, come prova della sua uccisione. I racconti di questa vendetta sono tutti concordi e riferiscono con parole simili, se non identiche. Anche noi, le ripetiamo allo stesso modo. Alle dieci meno venti della mattina
del Primo aprile 1971, una bella ed elegante donna, dai profondi occhi colore del cielo, entra nell’ufficio di Amburgo del console boliviano Roberto Quintanilla, detto “Toto”: l’uomo che aveva guidato la feroce repressione in Bolivia, culminata con la cattura e uccisione del Che (17 ottobre 1967). La donna aspetta di essere ricevuta. Quando il console appare nell’ufficio e saluta, rimane colpito dalla bellezza della sua ospite, che afferma di essere australiana e di avergli chiesto un’intervista. A questo punto, la donna guarda fissa negli occhi del console e, senza aggiungere alcuna parola, estrae una pistola e spara tre volte. Nella sua fuga, lascia dietro di sé una parrucca, la sua borsetta e la sua Colt Cobra 38 Special. Oltre a una dichiarazione esplicita scritta su un biglietto: «Vittoria o morte», grido di battaglia e epitaffio per Roberto “Toto” Quintanilla. È ovvio... era Monika Ertl. ❖
Cinema
di Maurizio Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
PASSATO E PRESENTE
M
Miniserie televisiva conclusa in una stagione di otto episodi, sceneggiata sulla base del romanzo (circa) omonimo di Stephen King 22/11/63, 22.11.63 è veicolata internazionalmente attraverso i canali Fox. Ovviamente, è necessario precisare che i due titoli riguardano le rispettive traduzioni della grafia originaria statunitense “11-22-63”, che antepone il mese al giorno. Da cui, si tratta di una data storica, che nel sentimento americano è ancora viva e palpitante: 22 novembre 1963, assassinio del presidente John Fitzgerald Kennedy, a Dallas, in un contesto che ha suscitato infiniti dubbi e migliaia di controinchieste, in forma di libro e, anche, film a tema [FOTOgraphia, novembre 2013, nel cinquantenario]. Di questo tratta la miniserie televisiva appena introdotta, che -come al solito, come sempre in questo spazio redazionale dedicato- richiamiamo per una propria trasversalità fotografica, alla quale alla fine approderemo. Comunque, dopo precisazioni d’obbligo riguardo la sceneggiatura e lo svolgimento della vicenda di assoluta fantasia. Dunque, è indispensabile rilevare che si tratta di un film e non di realtà. È sempre bene tenerlo presente, perché la sceneggiatura accetta fatti non chiariti, abbracciando una delle infinite tesi che sono state espresse nel tempo. Indipendentemente da questa occasione, la differenza tra cinema e vita deve essere sempre chiara, altrimenti si confondono termini di discorsi autonomi (per esempio, nei film... si trova sempre parcheggio). Come appena accennato, nello specifico di 22.11.63 si ripercorre una delle tante strade che si sono affacciate all’indomani dell’assassinio del presidente Kennedy, tra inchiesta ufficiale e controinchieste approfondite, tutte dipendenti da tesi sovrastanti di complotto a più interessi. Riprendendo dal romanzo di Stephen King, che è anche produttore della miniserie, insieme a J.J. Abrams (l’acclamato creatore della serie Lost, e di tanto altro ancora), si ipotizza una proiezione nel passato, dal 2016 al-
26
l’inizio degli anni Sessanta, attraverso una porta nel tempo accessibile da un armadio di un ristorante. Il viaggio nel passato ha il compito di salvare il presidente Kennedy, impedendone l’assassinio. In questo modo, si pensa di creare una Storia migliore di quella che conosciamo, magari a partire dal (dis)impegno statunitense in Vietnam, sostenuto e fortemente voluto dal presidente Lyndon B. Johnson, succeduto di diritto a Kennedy, da vicepresidente che era, e poi rieletto. Attenzione: non è detto che tutto sia così semplice... perché le trame della Storia non sono lineari come qualcuno vorrebbe credere; dunque, senza anticipare nulla della conclusione della miniserie televisiva 22.11.63, sottolineiamo come sia legittimo conoscere soltanto una delle possibili esistenze collettive, tra le migliaia che sarebbero potute essere sulla scorta di scelte individuali diverse, in ogni
Oltre le segnaletiche della polizia di Dallas, realizzate il 23 novembre 1963, all’indomani dell’arresto per l’assassinio del presidente John Fitzgerald Kennedy, del precedente ventidue [pubblicato anche nel casellario Ritratti criminali, di Raynal Pellicer; FOTOgraphia, novembre 2010], questo è l’unico ritratto noto, riconosciuto e sempre presentato di Lee Harvey Oswald, scattato dalla moglie Marina nella primavera 1963, come rievocato nella miniserie televisiva 22.11.63.
istante delle nostre vite (sempre dal cinema, tema di Sliding Doors, film inglese del 1998, del regista esordiente Peter Howitt, e del precedente Destino cieco, del polacco Krzysztof Kieslowski, del 1987). Ancora a proposito di 22.11.63, e ancora in anticipo sull’approdo -conclusivo- alla fotografia, altre due annotazioni complementari, che ci paiono necessarie. Anzitutto, lodiamo la perfetta scenografia e ricostruzione degli anni Sessanta statunitensi, valorizzati da una accurata sequenza di oggetti di uso quotidiano attenti e precisi. Oltre i macroaspetti, che riguardano l’architettura della provincia americana e la qualità e quantità di automobili, registriamo anche dettagli di pregio: tra i tanti possibili, attiriamo l’attenzione sul cacciaviti con il quale Lee Harvey Oswald, ufficialmente l’assassino di Kennedy, completa il montaggio di un fucile. Cacciaviti con
Cinema
manico in legno, come ricordiamo dai nostri anni Sessanta (in complicità di anagrafe), e consumato dall’uso. Certamente, le attenzioni scenografiche dei nostri giorni sono maturate su una industria del cinema sempre più professionale in ogni proprio ruolo e sempre più diligente e concentrata. Al contrario, all’opposto, se riguardiamo film del passato, magari anche remoto, oggi possiamo annotare infinite superficialità. Per esempio, per quanto ancora avvincenti e insuperate, Le inchieste del commissario Maigret, sceneggiate dalla Rai a metà degli anni Sessanta (sceneggiate da Andrea Camilleri!), dai romanzi seriali di Georges Simenon, sono prive di qualsivoglia attenzione scenica: tanto è vero che, a tavola, Maigret pasteggia con michette milanesi e non con la più probabile baguette, oggi francesino, particolare tipo di pane distinto dalla sua
Dalla miniserie televisiva 22.11.63, sceneggiata dall’omonimo romanzo di Stephen King, rievocazione dalla realtà.
Per il ritratto di Lee Harvey Oswald, la moglie Marina ha usato una biottica Imperial Reflex 620, oggi conservata negli archivi dell’Fbi (a destra, in alto). Per rulli 620, questo apparecchio fotografico in bachelite e plastica era molto economico, come si riscontra in un annuncio pubblicitario del 1955 (a destra, al centro).
forma molto allungata, e dalla sua crosta croccante. Comunque, tornando alla scenografia di 22.11.63, rileviamo che asseconda un certo spirito della sceneggiatura, dipingendo un’America di buoni sentimenti e atteggiamenti positivi. Certo, il Vietnam era ancora da venire, con tutto il proprio tragico carico; però, non possiamo non allineare questi stessi buoni sentimenti alle illustrazioni di Norman Rockwell e alla fotografia di treni di O. Winston Link [FOTOgraphia, ottobre 2012]. Ed ora, finalmente!, la fotografia. Alla quarta puntata delle otto di 22.11.63, viene sceneggiata la situazione nella quale, nella primavera 1963, Lee Harvey Oswald si fa fotografare dalla moglie nel giardinetto di casa con un fucile imbracciato. La fotografia è celebre ed è stata ripetuta e pubblicata mille e mille volte, negli ultimi cinquanta anni abbondanti. Il fotogramma origi-
nario 6x6cm fa oggi parte del dossier che l’Fbi ha istituito per le proprie indagini. È stato scattato con una biottica economica Imperial Reflex 620 (anche in scenografia cinematografica), prodotta dagli anni Cinquanta dalla Herbert George Company, di Chicago. Per rulli 620, come certificato dalla sigla identificatoria, è costruita in bachelite e plastica. In nota parallela, la “fotografia” è in qualche misura ancora evocata in 22.11.63, e riconosciuta soltanto da chi conosce bene la materia, quando il protagonista Jake Epping (interpretato dall’attore James Franco), che nella propria proiezione al passato si presenta come scrittore, cita il libro Sia lode ora a uomini di fama [FOTOgraphia, febbraio 2003], attribuendolo allo scrittore James Agee. Nel mondo fotografico, siamo soliti riferirci all’apparato fotografico di Walker Evans. Questo è tutto. ❖
27
L’avvincente serie fotografica Iconic B, di Alberto Alicata, è presto decifrata: arguta ripetizione di fotografie celebri della Storia, con interpretazione di Barbie. Però, la sostanza non si limita a questo -per quanto da questo prenda avvio-, ma si proietta in una efficace cadenza fotografica rispettosa e consapevole dei termini del proprio lessico esplicito, oltre che implicito
28
di Maurizio Rebuzzini
T
anti e tanti sono i meriti del progetto Iconic B, del talentuoso Alberto Alicata. Se servisse conferma al valore, oltre l’apprezzamento universale già raccolto nella somma delle esposizioni allestite, a partire da quella proposta alla Galleria DaDAEAST, di Milano, lo scorso maggio, va ricordata la prestigiosa affermazione di categoria ai recenti Sony World Photography Awards 2016: primo premio Art / Staged. Ancora, e in ulteriore considerazione mirata e specifica, si tenga anche conto che una delle immagini della serie -quella ispirata a una fotografia di moda di Patrick Demarchelier, realizzata con la celebre modella Christy Turlington (per British Vogue, del febbraio 1992)- ha illustrato la copertina del pieghevole di presentazione della serata di premiazioni dell’accreditato concorso. Ancora, ancora, un’altra sua immagine -dalla moda di Richard Avedon (Jean Shrimpton, con acconciatura di Alexandre; Parigi, 3 agosto 1965)- ha illustrato il Menu della serata di gala durante la quale sono stati assegnati i premi dei Sony World Photography Awards 2016. (continua a pagina 37)
RIFERIMENTO A: IRVIN PENN,
COPERTINA DI
BRITISH VOGUE ;
GIUGNO
1950 (ALBERTO ALICATA, 2015)
RIFERIMENTO A: GUY BOURDIN, PENTAX CALENDAR 1980 (ALBERTO ALICATA, 2014)
IN OMAGGIO
29
30
RIFERIMENTO A: RICHARD AVEDON, DOVIMA WITH ELEPHANTS ; AGOSTO 1955 (ALBERTO ALICATA, 2015)
PER
LOVE MAGAZINE ; AUTUNNO
INVERNO
2013-2014 (ALBERTO ALICATA, 2015)
RIFERIMENTO A: PATRICK DEMARCHELIER, CHRISTY TURLINGTON, PER BRITISH VOGUE ; FEBBRAIO 1992 (ALBERTO ALICATA, 2014)
RIFERIMENTO A: SØLVE SUNDSBØ, GEORGIA MAY JAGGER
VALENTINO; VOGUE ITALIA , 1969 (ALBERTO ALICATA, 2015)
RIFERIMENTO A: GIAN PAOLO BARBIERI, AUDREY HEPBURN
PER
ALEXANDRE; PARIGI, 3 AGOSTO 1965 (ALBERTO ALICATA, 2015)
HAIR
RIFERIMENTO A: RICHARD AVEDON, JEAN SHRIMPTON,
31
32
RIFERIMENTO A: MARIO TESTINO, KATE MOSS; 2002 (ALBERTO ALICATA, 2015)
RIFERIMENTO A: CRAIG MCDEAN, COCO ROCHA; 2006 (ALBERTO ALICATA, 2014)
RIFERIMENTO A: STEVEN MEISEL, COCO ROCHA; VOGUE , SETTEMBRE
2007 (ALBERTO ALICATA, 2015)
33
34
35
RIFERIMENTO A: OLIVIERO TOSCANI, JESUS JEANS, CHI
MI AMA MI SEGUA ;
1973 (ALBERTO ALICATA, 2015)
PRIMAVERA
1979 (ALBERTO ALICATA, 2014)
RIFERIMENTO A: DAVID LACHAPELLE, NAOMI CAMPBELL, FRUIT PASSION ; 1999 (ALBERTO ALICATA, 2015)
RIFERIMENTO A: GUY BOURDIN, CHARLES JOURDAN;
si riconosce che tutta la Fotografia -ripetiamolo: tutta la Fotografia- è Staged / allestita. Ed è qui, ed è in questo senso che Iconic B, di Alberto Alicata, afferma uno dei princìpi basilari e sostanziali di tutto il linguaggio fotografico, che non è mai ciò che rappresenta, raffigurandolo, ma è sempre “fotografia di”. È probabile, forse addirittura certo, che non sono state queste le intenzioni originarie dell’autore; è probabile, sicuramente certo, che Alberto Alicata sia stato sollecitato soprattutto dal senso di omaggio e citazione proposto e offerto dalla ripetizione di celebrate icone della Storia della Fotografia (soprattutto di moda) -da cui, per l’appunto, Iconic B-, con la compiacente complicità di Barbie: protagonista attiva e non complemento oggetto passivo. Dopo di che, la statura autoriale di Alberto Alicata si manifesta ancora e altrimenti, oltre i riferimenti peculiari del suo progetto. Ovvero, a partire da questo, e andando oltre questo, l’autore rivela di essere autenticamente tale, in una personalità esecutiva scandita su termini altrui, gestiti con autorevolezza propria. Un conto è la ripetizione pedissequa; altro conto è la realizzazione efficace. Ed è qui che individuiamo quella sostanziosa differenza che distingue questa serie dalle innumerevoli citazioni a tema, che attingono alle storie della fotografia e dell’arte: nell’esecuzione formalmente inoppugnabile, che applica gli stilemi del lessico fotografico senza compromessi, né arrangiamenti. Dalla forma al contenuto, l’ordine visuale scandisce la grammatica fotografica della quale non si dovrebbe mai fare a meno. Forse. Con questo, sottolineiamo la bravura tecnica di Alberto Alicata? Sì, certo. La rimarchiamo, evidenziandola, per quel princìpio secondo il quale, prima di comunicare, bisogna avere competenza della comunicazione. Prima di scrivere, bisogna affrontare la grammatica. Prima di fotografare, bisogna conoscere e governare i canoni della fotografia. Se fotografia deve e vuole essere, fotografia sia. Il tempo dei giochi (in citazione) si manifesta altrove e altrimenti. Qui si respira fotografia. ❖
RIFERIMENTO A: HELMUT NEWTON, CROCODILE EATING BALLERINA ; 1983 (ALBERTO ALICATA, 2015)
(ALBERTO ALICATA, 2015) INCHIOSTRO SU STAMPA FOTOGRAFICA
ALLAH ; 1994 (FOTOGRAFIA DI CYNTHIA PRESTON); OF
WOMEN DA
RIFERIMENTO A: SHIRIN NESHAT, REBELLIOUS SILENCE ,
(continua da pagina 29) Da parte nostra, e in aggiunta a questi riconoscimenti caratteristici, tra i tanti meriti di Iconic B, apprezziamo il senso delle proporzioni che ha guidato l’azione di Alberto Alicata... che ha opportunamente limitato la quantità delle proprie immagini (a quindici, ma la cifra non conta per se stessa), in un percorso iniziato e concluso: infatti, a ben guardare, le cose davvero importanti per la propria vita, ognuno le ha sempre di fronte a sé, mai alle spalle. Dunque, se Alberto Alicata si fosse fatto prendere la mano, avrebbe potuto continuare all’infinito, ripetendo sistematicamente lo stilema visivo affrontato e svolto, che -però, e nella quantità inutile- avrebbe mortificato la spigliatezza e vivacità originaria e caratteristica, alla quale consegue una apprezzata freschezza che fa l’autentica differenza. In linea di massima, ma non nel concentrato svolgimento e nella autorevole proposizione, Iconic B, di Alberto Alicata, frequenta quel territorio di omaggi e citazioni che percorre di traverso l’intero apparato fotografico. Per lo più, altrove si tratta di giochi fini a se stessi -per quanto, comunque sia, affascinanti e degni di nota-, che non hanno altra intenzione che quella di realizzare divertisment autoconclusivi. Al contrario, e con piglio autoriale, le sue simulazioni con protagonista Barbie, icona del nostro tempo e non semplice e sola bambola, affermano altro e dichiarano di più: forse, la fragilità di un mondo, quello della fotografia di moda, alla quale l’autore si richiama, che è momento fondante della nostra società. Da cui, in allungo di pensiero: fragilità delle esistenze, che -paradossalmente- compongono tessere di un mosaico che alla fin fine è solido e sostanzioso. In proiezione: robustezza della vita in somma di proprie gracilità individuali. Hai detto poco! Quindi, ecco qui: Iconic B, di Alberto Alicata, compone i tratti di una serie fotografica in racconto di Vita. Del resto, se proprio volessimo vederla in questo modo, è anche questa una delle missioni della Fotografia, in maiuscola volontaria oltre che consapevole: raccontare l’esistenza, per fornire elementi e tracce di sua spiegazione, di sua decodifica. Paradossalmente, come spesso accade, l’affermazione nella categoria Art / Staged, dei Sony World Photography Awards 2016, è -allo stesso momento- legittima e illecita... ma indicativa. Legittima, se si tiene conto soltanto del modus operanti; illecita, quando si cerca di confinare l’azione Staged / fotografia allestita entro sbarramenti certi e definiti; indicativa, se e quando
Numerate, firmate e titolate sul retro dall’artista, le opere di Iconic B, di Alberto Alicata (www.albertoalicata.com), sono proposte per la vendita in fotografia d’arte, in ingrandimenti su carta fotografica Hahnemühle, nei formati: ❯ 50x70cm, compresa cornice e passepartout; tiratura in sette esemplari più una Prova d’Autore; ❯ 70x100cm, compresa cornice e passepartout; tiratura in tre esemplari più una Prova d’Autore.
37
oggi Impossible, a qualche minuto di lieve danza attorno al soggetto). Quindi, lo stesso ritratto di Johnny Deep ono pochi gli autori che -in fotopalesa anche la sostanza del contenuto grafia- esigono il richiamo a se della monografia, cadenzata soprattutto al stessi. Ci riferiamo alle monograritmo di mosaici -stilema espressivo che fie illustrate, che -solitamenteè addirittura marchio di fabbrica dell’aupossono essere certificate con il tore-, con moderate integrazioni verso risolo titolo, che segue l’indicazione tratti polaroid a intervento manuale sulla dell’autore. Detta meglio, forse: Titolo che copia, in corso di sviluppo. sia, di Tal dei Tali. Oltre a questo, e in spieInterprete del proprio tempo e acclamato gazione del nostro avvio: una identificata autore dei nostri giorni, per mille e mille qualità di autori è vincolata alla propria svolgimenti professionali, Maurizio Galimprogettualità, alle proprie opere, alla propria berti è stato spesso convocato in occasioni personalità prorompente. Tra questi, Mauchiassose, per definire alla propria maniera rizio Galimberti occupa una posizione aula socialità dei nostri giorni, per la quale torevole e di prestigio, che impone sucsocialità -pur declinando uno stilema incessioni identificative certe e pertinenti. Maurizio Galimberti. Portraits; Così è stato, lo scorso anno, per e con a cura di Benedetta Donato; Silvana Editoriale, 2016; confondibile, oltre che richiesto- ha sempre anteposto l’interpretazione dei singoli sogla monografia Milano by Maurizio Galim- 240 pagine 30x38cm, cartonato; 49,00 euro. getti all’eventuale ripetizione di schemaberti, convenientemente pubblicata in av- ❯ Portraits, di Maurizio Galimberti; rappresentativa di quanto presentato tizzazioni standardizzate. vio di Expo 2015. Così è, in attualità, per inselezione monografia: ritratti da Instant Artist Infatti, oltre l’apparenza a tutti visibile l’imponente Maurizio Galimberti. Portraits, (in auto definizione e auto consacrazione dei suoi mosaici, ognuno è singolo nella in distribuzione libraria da settembre, che più che legittime e motivate). raccoglie la sostanziosa cadenza della ma- Spazio Kryptos, via Panfilo Castaldi 26, 20124 Milano; propria realizzazione, ognuno è a misura www.kryptosmateria.it, spazio@kryptosmateria.it. di una scomposizione del volto, in relazione teria annunciata e assolta: i suoi ritratti da Dal 15 al 30 settembre; lunedì-venerdì, 15,00-19,30. alla personalità del soggetto. Dunque, e a Instant Artist, in auto definizione / auto consacrazione (ed è più che legittimo). Quindi, selezione ragionata conseguenza, uno dei valori principali dell’attuale, prestigiosa in esposizione alla Spazio Kryptos, di Milano (via Panfilo Castaldi monografia Maurizio Galimberti. Portraits sta proprio nel suo ordine, nella sua classificazione, nella sua messa in riga, nel 26), dal quindici al trenta settembre. Il richiamo in copertina riprende e propone il binomio con il suo casellario... se vogliamo vederla e intenderla anche così. ritratto a mosaico dell’attore Johnny Deep, del 2003, che -tra Accostati gli uni agli altri, nell’incessante sequenza delle pagine, tutta la tanta e qualificata produzione di Maurizio Galimberti- dove le tavole si susseguono con affascinante ritmo, tutti questi si è imposto come autentico riferimento assoluto. In effetti, co- ritratti percorrono un doppio binario simultaneo: da una parte, me sappiamo bene, indipendentemente dalla vastità delle ri- esprimono l’essenza visiva dei soggetti; dall’altra, palesano spettive creatività fotografiche individuali, tutti gli autori che molto dell’autore-fotografo. Quindi, in altri termini, oltre che in coincidenza di lettura, la hanno illuminato il lungo e luminoso cammino della Storia della Fotografia sono spesso vincolati a una sola immagine, ovverosia monografia rappresenta uno spaccato sociale della nostra epoa una frazione di secondo della loro esistenza (nel caso del ri- ca, quantomeno uno spaccato che spazia in lungo e largo at(continua a pagina 42) tratto multiplo con pellicola a sviluppo immediato, ieri polaroid,
di Maurizio Rebuzzini
S
PORTRAITS La fotografia di Maurizio Galimberti è nota e riconosciuta. I tratti distintivi delle sue scomposizioni e ricomposizioni a mosaico, con pellicola a sviluppo immediato, sono evidenti: sia nella visione di città, sia nella realizzazione di ritratti. L’attuale monografia Maurizio Galimberti. Portraits non si propone soltanto come raccolta di ritratti (peraltro, di personaggi celebri del costume dei nostri giorni), ma si offre come rivelazione di una affascinante personalità d’autore. In un certo senso -che è poi quello che a noi interessa sottolineare-, nessuna fotografia è significativa in quanto tale, se non considerata e inclusa in un discorso complessivo e concluso: ognuna è il verso di una poesia, che si svolge istante dopo istante davanti ai nostri occhi
39
VITTORIO STORARO; 2009 (85X68,6cm)
40
LUCIO DALLA; 2007 (85X68,6cm)
41
CHRISTOPHER WALKEN; 1996 (25,5X29,4cm)
(continua da pagina 39) traverso il costume, a partire dal mondo dello spettacolo (cinema, soprattutto), per approdare a esponenti di spicco della cultura: tanti i nomi che si potrebbero richiamare, ma non serve farlo. Allo stesso momento, la medesima monografia scandisce il tempo e ritmo di un diario intimo d’autore, del quale rivela sia il processo creativo, sia il sentimento esistenziale. Del resto, a voler essere sinceri, è anche questo il senso di ogni fotografia, che non vale mai soltanto per il soggetto raffigurato e rappresentato, ma esprime molto dell’autore. Se le guardate bene, queste fotografie (e ogni fotografia), potrete percepire l’animo di Maurizio Galimberti, capace di declinare una miriade di riferimenti dalla storia dell’arte, soprattutto la più recente, soprattutto contemporanea, per trasferirli entro i termini e confini del lessico fotografico. A differenza di altro linguaggio, quella di Maurizio Galimberti è sempre una fotografia dell’anima. Sia che si rivolga alla vita nel proprio svolgersi e alle architetture che la disegnano, sia che realizzi ritratti (soggetto unico dell’attuale monografia Mau-
42
rizio Galimberti. Portraits), la sua è una fotografia che sollecita altre osservazioni, che dalle rispettive superfici apparenti si proiettano in ambiti del pensiero e della riflessione individuale, che l’autore richiama e alla quale l’autore invita. Se serve un parallelo con la parola, scritta o detta, è presto fatto: da una parte, c’è la cronaca diretta dei fatti; dall’altra, la poesia delle evocazioni. Insomma, nessuno dei ritratti che Maurizio Galimberti ha qui riunito, e che ora condivide con gli osservatori, ai quali si rivolge e con i quali si sintonizza (anche in mostra), è soltanto chi raffigura. La sua rappresentazione passa attraverso visioni sostanzialmente concrete, perché questo è il linguaggio della fotografia, ma non coincide con la propria raffigurazione. Ciò a dire che il senso della raccolta monografica è quello di sottolineare come e quanto nessuna fotografia sia significativa in quanto tale, se non considerata e inclusa in un discorso complessivo e concluso: ognuna è il verso di una poesia, che si svolge istante dopo istante davanti ai nostri occhi. Già... fotografia dell’anima. ❖
ORIZZONTI LONTANI
44
di Angelo Galantini
S
iamo curiosi. Agendo nel variegato mondo della Fotografia, vogliamo conoscere molto, ambendo al tutto. Sentiamo il bisogno di registrare e classificare i fotografi, coloro che fotografano con consapevolezza e convinzione, indipendentemente da incarichi professionali o pulsioni individuali. Vogliamo capire chi sono, come dobbiamo comportarci con le loro immagini, i loro progetti; cosa possiamo dire incontrandoli, incontrando le loro opere. Tutto questo ci rende la vita un poco più facile e lineare e confortevole. Ma non facciamo mai domande. Perché temiamo che se le facessimo, perderemmo il fascino estraniante della scoperta, del rapporto intimo con la loro Fotografia, con quanto della loro azione ci ha raggiunti, emozionati e coinvolti. L’emiliano Marco Cattani non fotografa per mestiere, ma agisce per se stesso, per appagare la propria necessità di intendere e spiegare a modo proprio la realtà che lo circonda. Percorrendo un nobile e affascinante tracciato, scandito da anni e decenni di fotografia di passione, applica rigori interpretativi che affondano le proprie radici indietro e indietro nel tempo, provenendo -addirittura- dai primi timidi passi del linguaggio visivo applicato. A modo proprio, si inserisce in quel lungo filone di fotografia paesaggistica che racconta il dintorno alle nostre singole esistenze. Per come e quanto domina l’azione fotografica, affrontata e composta con criterio, oltre che con competente distribuzione di un lessico diretto ed esplicito, il bravo Marco Cattani illude sapientemente il proprio pubblico potenziale... rassicurandolo. Non applica alcun artificio visivo, per presentare una natura realistica e plausibile, dalla cui vasta quantità, oggi e qui, isoliamo una serie di visioni in riva all’acqua. Infatti, il pubblico (dei non addetti) è convinto che la fotografia del vero e dal vero abbia una stretta parentela con la realtà... niente è più lontano da questa ipotesi, poco le è meno aderente. A sostanziosa e sostanziale differenza da ogni altra forma di comunicazione ed espressione (non soltanto visiva), la fotografia è sì vincolata dalla e alla presenza di un soggetto fisico (sia naturale, sia allestito artificiosamente), ma tra la raffigurazione indispensabile e la rappresentazione volontaria e consapevole ci sta un autore, la cui azione è guidata e indirizzata dalle proprie esperienze, convinzioni e intenzioni, oltre che dai propri ovvi pre-concetti. Perché no? Ciò premesso, ancor prima di incontrare la fotografia di natura di Marco Cattani -spunto e sollecitazione di altre riflessioni che ne inquadrino spessore e valore-, sono di conforto opinioni in conferma. Da e con Hubertus von Amelunxen (docente di Filosofia dei Media e Studi Culturali alla Graduate School di Saas-Fee, Svizzera); «L’effetto di realtà della fotografia riguarda innanzitutto la propria aderenza formale a ciò che rappresenta; il suo contenuto può essere manipolato e selezionato senza inficiare il suo supposto valore di verità documentaria fondato sulla tecnica» (da The Century’s Memorial. Pho(continua a pagina 50)
Per essere ben eseguita e opportunamente realizzata, la fotografia di natura richiede talmente tanto sacrificio, tanta disciplina e altrettanta etica, da stabilire presto una straordinaria linea demarcatrice: esiste e si manifesta soltanto una bella ed efficace fotografia di natura... forse. Quelle di Marco Cattani sono fotografie di natura che non si limitano all’osservazione asettica e non partecipata. L’autore applica e declina una delle condizioni fondanti della fotografia, della quale è perfettamente consapevole, oltre che convinto: sa bene quanto e come la fotografia sia soprattutto/soltanto illusione, sogno e atmosfera 45
46
47
48
49
(continua da pagina 45) tography and the Recording of History, in A New History of Photography, di Michel Frizot; Konemann Verlag, 1998). E poi, sulla falsa riga dell’uso di strumenti ottici (presuntamente e pretestuosamente intesi “oggettivi”), da e con Lucia Moholy: «Ogni arte ha la sua tecnica. Anche la fotografia. Ma il rapporto fra la fotografia e la sua tecnica è particolare: c’è più uguaglianza di diritti fra le due che tra le altre arti e le relative tecniche. Di qui molti traggono la conclusione che la fotografia non sia per nulla un’arte» (in Cento anni di fotografia 1839-1939; prima e unica edizione italiana, Alinari, 2008). In effetti, è vero. L’esercizio della fotografia dipende anche dal sapiente uso e impiego dei suoi strumenti basilari, che l’autore-fotografo deve saper controllare e guidare, per orientare la propria creatività secondo intenzioni: sintassi di un linguaggio che, come ogni altro, presuppone proprie declinazioni e rivelazioni. In similitudine, punteggiatura, tempistica, evocazione e riconoscimento della scrittura. Da capo: la fotografia è raffigurativa per natura, ma è rappresentativa e interpretativa per volontà (e capacità). Nello specifico odierno: la fotografia di natura di Marco Cattani è raffigurativa per irrinunciabile necessità, ma rappresentativa e interpretativa per indiscutibili intenzioni (e capacità). Il soggetto dichiarato ed esplicito induce verso altre considerazioni, ancora in forma di premessa. Per essere ben eseguita e opportunamente realizzata, la fotografia di natura richiede talmente tanto sacrificio, tanta disciplina e altrettanta etica, da stabilire presto una straordinaria linea demarcatrice: esiste e si manifesta soltanto una bella ed efficace fotografia di natura. Non ne può esistere, né se ne può manifestare, una brutta, perché la sua realizzazione è selettiva. Quelle di Marco Cattani sono fotografie di natura -e subito precisiamo che sono fantastiche fotografie di natura- che non si limitano all’osservazione asettica e non partecipata. No! No, Marco Cattani fotografa dopo aver individuato luoghi rappresentativi non
50
soltanto di se stessi, muovendosi con circospezione, percorrendo sentieri. Così agendo, altresì guidato da quella eccezionale competenza personale che gli fa intuire le ore legittime per la luce migliore e più adeguata (la fotografia è luce), applica e declina una delle condizioni fondanti della fotografia, della quale è perfettamente consapevole, oltre che convinto: (divergendo dalla concezione diffusa che allunga la fotografia dalla pittura) sa bene quanto e come la fotografia sia soprattutto illusione. Da cui, uno dei principali debiti di riconoscenza dell’espressività fotografica dipende dal teatro, dalla messa in scena, dal suo modo di pronunciarsi. Osservando le fotografie di natura (in natura) di Marco Cattani, ognuno di noi dischiude le porte di un mondo amabilmente rappresentato... prende vita una teatralità visiva che esclude qualsivoglia ambiente circostante, per dare esistenza alle sole immagini. In una suggestiva sequenza temporale, dal soggetto alla sua abile rappresentazione, dal vero alla sua immagine, i passi compiuti dall’autore diventano nostri. Per quanto fisicamente fermi e fissi in un luogo a noi confortevole, sollecitati e invitati da una interpretazione fotografica a dir poco superlativa, il nostro cuore guida la mente verso orizzonti lontani, spazi sconosciuti e onirici, atmosfere appassionanti. Questa fotografia è realizzata con tale e tanto amore, sia per il soggetto (natura), sia per la mediazione (fotografia), sia per l’osservatore destinatario (noi tutti), che effettivamente vale le proverbiali mille parole. Anche se, siamo onesti, ci sono altrettante parole irraggiungibili dalla fotografia. E poi, ancora, ci sono fotografie, come queste di Marco Cattani, che evocano parole sentite, fino a chiarirle: (da e con Giacomo Leopardi) «L’anima s’immagina quello che non vede». Dunque. Guardatele bene queste fotografie. Indipendentemente dal soggetto-pretesto, come anche allineati al soggetto-pretesto, quando le osserviamo, queste fotografie valgono per tutto quanto ciascuno di noi trova in se stesso. Siamo curiosi. ❖
NOVANTA!
Inevitabile, oltre che generazionale: «Seduto in quel caffè / io non pensavo a te» (MogolBattisti, in origine per l’Equipe 84). Proprio il ventinove settembre -ecco l’allineamentoNino Migliori compie novant’anni, in occasione dei quali ricordiamo la statura e personalità che ha illuminato il secondo Novecento della fotografia italiana... e che ancora oggi, soprattutto oggi!, impone i tratti di una applicazione che si estende a una concreta e avvincente e convincente didattica creativa rivolta ai giovani. Lungo tragitto fotografico. Individualità brillante 52
Pirogramma su celluloide; 1953 circa.
(pagina accanto) Da Gente dell’Emilia; 1957.
di Pio Tarantini onsiderazione di fondo e partenza. La storia della fotografia italiana contemporanea, dal dopoguerra a oggi, va delineandosi sempre più nettamente, man mano che passano i decenni: come in tutte le espressioni artistiche, quanto più ci allontaniamo dagli anni Cinquanta e Sessanta tanto più i giudizi critici decantano attraverso il filtro del
C
tempo regolatore. Ovviamente, ci saranno sempre aggiustamenti, messe a punto, scoperte e riscoperte, ridimensionamenti, in quel flusso costante che è l’esercizio vivo della critica. Però, per diversi motivi, alcuni autori restano -tuttavia- imprescindibili, riconosciuti come maestri, come coloro che diventano / sono diventati punti di riferimento per altre generazioni, per generazioni a seguire. Per quanto riguarda la fotografia italiana, uno di questi capisaldi e fondamenti è il bolognese Nino
53
Manifesti; 1958.
54
Migliori, che il ventinove settembre compie novanta anni, portati con un entusiasmo, un’ironia e una leggerezza contagiosi. Ogni volta che lo si incontra, in occasione degli appuntamenti che ormai gli vengono richiesti in ogni città italiana, si avverte il piacere non soltanto di ascoltare la dialettica semplice e profonda di un maestro, ma anche di interloquire con una persona disponibile, umanamente ricca, che si rapporta con l’altro non soltanto in termini professionali. Per me, questo aspetto è fondamentale, soprattutto nel tempo attuale, durante il quale, sull’onda di una crescita esponenziale dell’interesse verso il fenomeno fotografia, non pochi fotografi, magari anche giovani, baciati da un po’ di successo, assumono atteggiamenti discutibili, e perfino ridicoli, da grande maestro e grande star. È proprio vero che la grandezza di un artista è inversamente proporzionale alla sua modestia: consapevole modestia.
Risulta difficile delineare in questa sede il lungo e complesso percorso di ricerca fotografica di Nino Migliori, soprattutto perché si tratta di un autore eclettico, cha ha spaziato dalle prime sperimentazioni, che risalgono alla fine degli anni Quaranta, al (neo)realismo degli anni successivi, al suo stretto rapporto con l’arte figurativa, a nuove declinazioni stilistiche del paesaggio, a recenti sperimentalismi dell’ultimo decennio [FOTOgraphia, marzo 2013]. Di sicuro, con la fotografia di Nino Migliori non ci si annoia, in perfetta sintonia con il personaggio, che annovera -tra le sue tante caratteristiche- anche una fantastica caparbia volontà didattica, sempre impegnato a condurre laboratori con giovani e giovanissimi, ai quali trasmette con generosità la propria esperienza, convinto che il dare contiene sempre un ricevere: in questo caso, la freschezza e la creatività -magari acerbe e contraddittorie- dei giovani.
Al proposito, in una sua conferenza organizzata lo scorso maggio da Afip (Associazione Fotografi Italiani Professionisti), presso la Triennale di Milano, Nino Migliori ha raccontato queste sue esperienze didattiche, approfondendo il valore di quanto sia impegnativo, ma nello stesso tempo stimolante, confrontarsi con giovani attratti da una ricerca fotografica orientata verso forme creative (e arbitrarie) contigue ad altre espressioni d’arte attuali. Di fatto, si tratta di contaminazioni che lui stesso ha sempre praticato, frequentate da giovani fotografi più per un aspetto di tendenza che non per maturazione di un percorso. Ecco, allora, la necessità del dialogo, dell’indicazione di una strada che deve essere motivata, articolata, sperimentata, vissuta con passione e non attraverso le scorciatoie e con la furbizia opportunista che sta caratterizzando tante esperienze dell’arte e della fotografia degli anni più recenti.
In uno scambio di idee, per una mia intervista del 2011, Nino Migliori ha rilevato che «Mi piace sempre ricordare una delle definizioni di cultura, che “È ciò che resta quando abbiamo dimenticato tutto quello che avevamo imparato”. E ognuno di noi, nel proprio agire, è condizionato da tutto il pregresso. Saperti dire esattamente cosa e quanto mi ha influenzato, mi riesce difficile. Non riesco a estrapolare e limitate. Senza dubbio, tutte le discussioni, i diversi punti di vista, le chiacchierate che ho avuto con gli amici fotografi, pittori, scultori, poeti, e -ovviamente- letture, concerti, visita a mostre, musei è il coacervo di input che sono stati di stimolo per ulteriori riflessioni». Di sicuro, questo aspetto, questa curiosità instancabile verso il mondo, ha segnato tutta la sua ricerca e ha donato un Maestro alla storia della fotografia italiana contemporanea. Grazie Nino, e auguri di cuore. ❖
Bruno Munari; 1999.
55
DON GUTOSKI (CANADA): A TALE OF TWO FOXES
(UN
RACCONTO DI DUE VOLPI).
WILDLIFE PHOTOGRAPHER OF THE
YEAR 2015
La fotografia come nessun altro l’ha mai raccontata.
ottobre 2016
BBC WILDLIFE PHOTOGRAPHER OF THE YEAR 2015: NATURA! Con mostra
Fotogenia di Antonio Bordoni
58
Biottica Rolleiflex (qui sotto, la sua visualizzazione realistica) da avventure di Valentina, di Guido Crepax (dove, altre volte, è certificata Polly Max): da Il bambino di Valentina (1969-1970, a destra); da Baba Yaga (1971, in basso, a destra); da La Marianna la va in campagna (1968, pagina accanto: Franke & Heidecke). In tutti i casi, avvincente e convincente sottolineatura dei raffinati dettagli attorno i due obiettivi sovrapposti.
ANTONIO BORDONI
D
Diciassette anni fa, nell’estate 1989, Maurizio Rebuzzini intervistò Guido Crepax, l’illustratore che ha creato il personaggio di Valentina (al secolo, Valentina Rosselli, di professione fotografa), per il mensile che allora dirigeva, per conto di Editrice Reflex. L’intervista fu pubblicata sul numero di settembre di PRO, a seguito di un (allora) coincidente abbinamento pubblicitario tra Fujifilm e Valentina, che -tra altro- diede anche vita a una monouso personalizzata. La stessa intervista è stata ripresa da FOTOgraphia, in due occasioni successive: nel settembre 2003, all’indomani della scomparsa del celebre autore (mancato il precedente trentuno luglio), con lancio dalla copertina; nel luglio 2015, a contorno della celebrazione del cinquantenario di Valentina, che nacque a margine di una avventura originaria di Neutron, alla terza puntata, giusto nel luglio 1965, sulle pagine di Linus. Ora, da quell’intervista, riprendiamo un passaggio congeniale a considerazioni che stiamo per esprimere, che riflettono sul valore estetico e formale della costruzione fotografica biottica... in illustrazione. Se a questo proposito qualcuno avesse un dubbio, ovvero pensasse che si tratta anche di feticismo dell’oggetto (per certi versi, d’affezione: da e con Man Ray), risolva presto la propria incertezza; infatti, è garantito e palese e dichiarato: sì, è feticismo dell’oggetto fotografico. L’argomento non è semplice, né scontato. Andrebbe approfondito, ma non qui, ma non ora. Per il momento, accettiamone lo spirito effettivo ed evidente, riconoscendogli valori aristocratici. Almeno. A domanda specifica («All’inizio, Valentina ha avuto diverse macchine fotografiche; come mai, poi, usò soprattutto la fantasiosa Polly Max, tipo Rolleiflex biottica?»), la risposta di Guido Crepax fu chiara e diretta: «Era la più bella da disegnare, tutto lì. Aveva belle forme e poi era bella da tenere tra le mani; se si potesse dirlo, era fotogenica. Poi mi piaceva anche perché lasciava libero il viso, mentre altre macchine fotografiche si debbono portare
GUIDO CREPAX (3)
LA BIOTTICA È BELLA
SERGIO BONELLI EDITORE
Fotogenia
Da Safarà, avventura centottantadue di Dylan Dog, del dicembre 2001: chi viene fotografato con la biottica dotata di obiettivo malefico si trasforma in spietato assassino.
ARCHIVIO FOTOGRAPHIA (2)
Dal periodico francese Fisheye, dello scorso luglio-agosto, una pagina da colorare, ripresa da un celebre autoritratto di Vivian Maier con Rolleiflex [anche, in FOTOgraphia dello scorso luglio].
(pagina accanto) Tavola introduttiva che illustra il romanzo Obiettivo Òstrakon, di Annamaria Ferretti (Edizioni Capitol, Bologna, 1974). Registriamo le inconfondibili forme del treppiedi Gitzo e la probabilità di una medio formato biottica 6x6cm.
all’altezza dell’occhio. La Polly Max era congeniale alle esigenze del disegno». Dunque, prendiamo atto e concordiamo: nell’illustrazione a fumetti, “la biottica lascia libero il viso”, nello specifico di Valentina; poi, “la biottica è più bella da disegnare [...], ha belle forme ed è bella da tenere tra le mani”; ovviamente, “la biottica è fotogenica”. Ed è proprio questo il nostro approdo, o -comunque sia- è proprio questa la nostra riflessione odierna: l’estetica della costruzione fotografica biottica, che ha avuto numerose fantastiche interpretazioni, fino alla affascinante ed elegante livrea della Rolleiflex, della quale preferiamo tra tutte la 3,5F. Ok, Rolleiflex, ma a seguire e contorno e corte, tante e tante altre configurazioni che hanno seguìto un itinerario di avvincenti combinazioni meccaniche, lustro di un tempo (ormai passato, ed è legittimo che così sia) di grande fulgore fotografico-progettuale. In conseguenza diretta, oltre tante e tante altre evocazioni, qui e oggi ci limitiamo nella quantità e qualità dell’estetica biottica. Ovviamente, prima di tutto è necessario ricordare le Rolleiflex / Rolleicord del cinema, delle quali non ci occupiamo, trattandosi di film già commentati nel corso del tempo: da Fur a La dolce vita, a Cenerentola a Parigi, a Mona Lisa Smile,
61
ARCHIVIO FOTOGRAPHIA (2)
Fotogenia
a Backbeat - Tutti hanno bisogno di amore, a... Arancia meccanica. Ed è doveroso ricordare le Rolleiflex usate da personaggi pubblici e fotografi, dei quali ci siamo già occupati, illustrandoli: Bunny Yeager, Elizabeth Taylor, Marilyn Monroe, James Dean, Orson Welles, Robert Doisneau, Sophia Loren, Wanda Tucci Caselli, Weegee, Stanley Kubrick, Grace Kelly, Ernst Haas, Werner Bischof, Gudrun Thielemann, Urs Bernhard, Tazio Secchiaroli, Vivian Maier, Philippe Halsman. Comunque, l’estetica della costruzione biottica è tanta e tale che ne deriva una sostanziosa “eleganza”, sia di se stessa, sia del gesto fotografico indotto: osservazione dall’alto, apparecchio tenuto di fronte a sé, concentrazione sul vetro smerigliato quadrato (con quanto ne consegue, e comporta, nella costruzione dell’immagine, ovverosia della compo-
62
Due copertine statunitensi con biottica: Playboy, del giugno 1958, con dettaglio frontale della coppia di obiettivi Rikenon 80mm, rispettivamente di visione e ripresa, della Ricohflex Diamond L (forse); quindi, Vogue, del 15 maggio 1952, con Rolleiflex Automat 3,5... fotografia di Irvin Penn.
sizione). Certo, non possiamo ignorare altri valori estetici allineati, a partire dalla costruzione reflex medio formato 6x6cm monobiettivo: Hasselblad, prima di tutto, ma anche Zenza Bronica, Kowa Six e contorni. Però, la combinazione di due obiettivi, uno sotto l’altro, uno di visione e l’altro di scatto, è qualcosa di più. Forse, addirittura di meglio. È una costruzione che ha dato vita ad accostamenti meccanici di rara raffinatezza, che hanno segnato per decenni il cammino della progettazione fotografica. Tanto che, ancora oggi, soprattutto oggi, certi ritorni volontari e consapevoli al passato approdano giusto alla fotografia medio formato 6x6cm, proprio a partire dalla configurazione biottica, che sul mercato dell’antiquariato e del collezionismo offre avvincenti interpretazioni. Oltre la Rolleiflex, sono doverosi altri
richiami specifici, tutti provenienti dal passato remoto. A caso: Lubitel, Seagull, Yashica Mat, Pearl River, Voigtländer, Duoflex, Flexaret, Ciroflex, Elioflex, Ricohflex, Halina... e altro tanto ancora. Un per l’altra, e ciascuna a proprio modo, tutte queste biottica hanno lasciato segni indelebili nella costruzione fotografica, andando a interpretare la condizione del doppio obiettivo sincronizzato, che si è esteso anche a configurazioni artigianali di altre dimensioni di ripresa, fino al 4x5 pollici, addirittura (10,2x12,5cm, a partire dalla Gowlandflex [FOTOgraphia, giugno 1999]). Comunque, e oggi, non approfondiamo alcuna condizione tecnicooperativa, ma, come annunciato, ci limitiamo alle considerazioni di pura e semplice estetica: da cui e per cui, evocazioni illustrate. Niente di diverso. ❖
Sguardi su
di Pino Bertelli (Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 3 volte giugno 2016)
B
MIROSLAV TICHÝ
Bisogna amarla molto la fotografia, per volerla distruggere. La coscienza della fotografia dominante è coscienza del mito che ne consegue; la creatività liberata dai cenacoli dello spettacolo è per essenza rivoluzionaria. «La funzione dello spettacolo ideologico, artistico, culturale, consiste nel trasformare i lupi della spontaneità in pastori del sapere e della bellezza» condannati a morte (Raoul Vaneigem: Trattato di saper vivere. Ad uso delle giovani generazioni, Vallecchi, 1974). Di fotografi del consenso sono lastricati gli annali e le antologie della fotografia insegnata, galleristica e museale: la storia li conserva così perfettamente nella gelateria della loro durata che si dimentica di leggere e intendere, meglio ancora, di comprendere la messe di banalità sulle quali ogni fotografo ha diritto a un posto nel confortorio dell’imbecillità. Ogni apocalisse fotografica è bella di una bellezza uccisa o del suo contrario! Ogni storia va rifatta al rovescio: i ribelli non hanno bisogno di conoscersi per pensare la stessa cosa! La liquidazione della civiltà parassitaria (finanziaria, ideologica, religiosa, sapienziale) non merita essere in alcun modo difesa, ma va aiutata a cadere. La fotografia, tutta la fotografia, o attende alla libertà dell’Uomo o è il boia che lo impicca.
ELOGIO DELL’IMPERFEZIONE NELLA FOTOGRAFIA RANDAGIA DI UN FLÂNEUR Sulla fotografia dell’imperfezione. Le immagini dell’imperfezione esprimono una fare-fotografia che smaschera le ipocrisie della fotografia come apologia del bello, e toglie i veli all’avvenimento, alla maschera, al ruolo... risveglia l’estraniamento brechtiano della presenza, che lo obbliga a prendere decisioni e comunicare conoscenze e argomentazioni. La fotografia dell’imperfezione è
64
l’immagine rovesciata della realtà prostituita alle codificazioni del mercato dell’arte e della politica. «La pretesa di fare arte è sempre stata la prerogativa dei mercanti di fotografie» (Gisèle Freund). Ora tocca ai fotografi dell’imperfezione fare della fotografia millantata la cloaca di tutte le stupidità fantasmate come successo artistico. La fotografia non pensa quello che sa, può pensare soltanto quello che ignora. L’ignoranza del sapere è immensa! Il divenire degli spiriti liberi è nella fotografia dell’indignazione! Sotto il sole della fotografia paludata trionfa una primavera di carogne. Da qualche parte, abbiamo scritto: «La Bellezza non può entrare nell’arte se lo spirito dell’individuo non è ancorato alla sua opera e non riflette la decostruzione del sacro. La Bellezza ha a che fare con la nuda anarchia dell’immaginazione. La via alla Bellezza comincia nell’incontro d’amore tra le genti. Camminare insieme alla Bellezza significa opporsi a tutto quanto si mostra come negazione del piacere o rituale del puritanesimo mercantile delle idee». La bellezza dell’imperfezione (in fotografia e dappertutto) si schiude alla veridicità del proprio dolore e fa della fierezza il luogo di pubblico passaggio, come possiamo vedere e restare abbagliati nella poetica libertaria e libertina delle fotografie di Miroslav Tichý. La fotografia dell’imperfezione sboccia nel mondo con il bene dei giusti e combatte -con tutti i mezzi necessari- l’origine del male.
SULLA FOTOGRAFIA RANDAGIA DI UN FLÂNEUR
Un’annotazione fuori margine. Miroslav Tichý è un clochard, un vagabondo, un barbone ritenuto folle da molti, disadattato, un pezzente: e invece è stato un poeta della fotografia di strada, diretta (non quella banalizzata nel pittorialismo manicheista di Alfred Stieglitz, s’intende).
Miroslav Tichý nasce a Kyjov, nel 1926, in Moravia (al tempo Cecoslovacchia); si trasferisce a Praga, nel 1945, per iscriversi all’accademia d’arte e, sulle correnti delle avanguardie artistiche del tempo, inizia a lavorare come pittore e disegnatore. Nel 1948, il Partito Comunista sale al potere; la Cecoslovacchia si dichiara “democrazia popolare” e diventa parte dell’impero sovietico: e, secondo i princìpi marxisti-leninististalinisti consolidati, chi non sta dalla parte del potere comunista viene bastonato, buttato in galera o eliminato. I proletari vengono catechizzati dal regime e gli artisti devono celebrare l’Uomo Sovietico e imbalsamare, nel mito Stalin, i suoi genocidi. All’accademia d’arte di Praga, i professori non allineati sono cacciati, gli studenti dissidenti fatti sparire nelle segrete della polizia politica o gettati nel fiume Moldava; ai più “fortunati” tocca il manicomio... come è successo a Miroslav Tichý. Negli anni Sessanta, Miroslav Tichý faceva parte del collettivo artistico Brněnská Pětka (Brno Five), ostile all’impalcatura criminale comunista; viene arrestato, rinchiuso in carcere e in cliniche psichiatriche. Intanto, scoppia la Primavera di Praga (1968) e l’Armata Rossa reprime la contestazione popolare con i carri armati (come aveva già fatto a Budapest, nel 1956). Naturalmente, il Partito comunista italiano sta dalla parte degli assassini. La seduzione del potere ci rabbrividisce: come la santità e l’eroismo, è un’altrettanta forma di mancanza di talento. I malati di speranza si richiamano a un “umanismo” d’accatto e alle promesse di felicità che la negano. La salute menatale di Miroslav Tichý è fragile: per rifiutare la società nella quale dovrebbe vivere sceglie l’autoesilio. Torna a vivere a Kyjov, da clochard, in una casetta/baracca fatiscente. Non possiede nulla (né lo vuole), solo
la sua fantasia e la libertà degli Ultimi; si chiama fuori dal giogo sociale, così reinventa il “grado zero della fotografia”. Costruisce macchine fotografiche con compensato, cartone, pezzi di plastica, lenti prese da macchine fotografiche giocattolo, lattine di birra, plexiglas (lavorato con cenere, dentifricio, carta vetrata) e porta la fotografia dell’imperfezione nella strada... o viceversa. La fotografia sarebbe intollerabile senza i poeti maledetti che la bruciano. A un certo grado di disobbedienza civile, ogni franchezza diventa indecente. Nei documentari che circolano in YouTube -Tarzan v důchodě (Miroslav Tichý) - cely dokument, di Roman Buxbaum, del 2008, e Ballad Of A Deadman / Miroslav Tichý, di David Sylvian- si resta abbacinati dalla lucida follia/anomalia di questo artista: lo sguardo incisivo, la risata sdentata, i capelli sporchi, lunghi, da Cristo laico delle discariche, lo incidono fuori dalla menzogna ammaestrata del successo, e non c’è nessuna identificazione d’accesso a un qualsiasi altare o comportamento che lo decifri oltre la vita disadattata che ha scelto. La frontiera tra follia e autoisolamento sta nel meglio perdersi nell’ottimismo moderno, per meglio ritrovarsi nella radicalità della propria presenza nel mondo. I teatri creativi di Miroslav Tichý sono la stazione degli autobus, la piazza principale, i giardini pubblici, strade, parchi, rive dei fiumi: insomma, ruba ciò che può alla quotidianità di Kyjov. La visione è diretta, quella del voyeur, del libertino, dell’anarca che non vuole l’amore di Cristo, né l’odio degli uomini, ma solo la giustizia necessaria, che non passa dalla carità del perdono, ma dalla forza del riscatto creativo. In modo particolare, “scruta” le donne: le “denuda” senza oltraggiarle, e costruisce un florilegio di bellezza dell’umano che ha pochi precedenti nella storiografia fotografica.
Sguardi su «Il tempo di una mia passeggiata determina quello che voglio fotografare. Io sono un profeta della decadenza e un pioniere del caos, perché solo dal caos è possibile che emerga qualcosa di nuovo. Il tuo pensiero è troppo astratto! La fotografia è qualcosa di concreto. La fotografia è percezione, sono gli occhi che intravedi, e succede così velocemente che potresti non vedere proprio nulla! Per raggiungere questo, ti serve innanzitutto una pessima macchina fotografica! Prima di tutto è necessario avere una macchina fotografica scadente. Tutti i disegni sono già stati disegnati, tutti i dipinti sono già stati dipinti, cos’era rimasto per me?» Miroslav Tichý Il libro di Gianfranco Sanguinetti, Miroslav Tichý: Les formes du vrai / Forms of truth, del 2011, non è solo un tributo dovuto a un fotografo di genio. Il testo che accompagna le immagini schiude lo scenario ereticale di un fabbricatore d’immagini che sta al margine della fotografia, poiché ne rivendica la fine. Per avere un posto di rilievo nella fotografia, bisogna essere commedianti, rispettare il merletto delle idee e farsi portatori di falsi problemi. L’improntitudine di una sovversione senza rimpianti è l’ultima parola di una civiltà che si spegne. Il collezionista svizzero Roman Buxbaum scopre la fotografia della spazzatura di Miroslav Tichý negli anni Novanta, e il fotografo-barbone viene incluso nella Biennale di Siviglia, del 2004, curata da Harald Szeemann, critico e storico dell’arte (alla sua ultima uscita pubblica, prima della scomparsa, il 19 febbraio 2005). Da quel momento, come dicono, Miroslav Tichý «acquisì fama a livello mondiale e le sue opere furono esposte a Madrid, Palma di Maiorca, Parigi e presso la prestigiosa galleria ICP, di New York». Va detto: come sappiamo, il mercato recupera tutto, anche gli avanzi di galera, se vendono... e, forse, anche l’erotismo imper-
fetto di Miroslav Tichý finirà sulle pareti dei salotti buoni e sugli scaffali dei centri commerciali: tuttavia, non sarà facile dissertare sulla sua arte all’ora del tè. Tutto ciò che non accetta l’esistenza in quanto tale confina con il disprezzo per l’ordine costituito. Miroslav Tichý muore il 12 aprile 2011, a Kyjov. Lascia in eredità una cartografia fotografica che esprime una visione dell’imperfezione e un immaginale dell’erotismo tra i più alti del Novecento (certo il più fuori gioco). Scompare l’Uomo, ma resta la sua opera a testimoniare che la storia è una sfilata di falsità assolute, una successione di templi innalzati a pretesto del più armato, un avvilimento della conoscenza dinanzi ai simulacri del dominio dell’Uomo sull’Uomo.
ELOGIO DELL’IMPERFEZIONE SULLA FOTOGRAFIA DELLA SPAZZATURA (VOLONTARIA)
La fotografia che non è in difesa delle cause perse non serve a niente. Per manifestarsi, la fotografia esige la verità e spesso vi soccombe, ma non cessa di disseminare ai quattro venti della Terra la sua vitalità e utopia libertaria. La condizione esistenziale della fotografia della flânerie o fotografia di strada non è quella
che si fa PER la strada ma che affabula un’utopia delle situazioni NELLA strada: smaschera i luoghi comuni e la stupidità sui quali si sostengono religioni, partiti, economie, culture... è un’invettiva contro l’impostura istituzionale che rende il vero che uccide la vita una scenografia da operetta. Avevamo scritto nel nostro moleskine, in una deriva fotografica, a New York, nel 2010. Ricordiamolo: «A ritroso. Con queste idee in testa, qualche hanno fa, ho preso una manciata di pellicole scadute (poi passate in uno scanner da tre soldi), una mappa di Berlino per girare New York (alla maniera dei situazionisti) e insieme a mia moglie e mia figlia siamo andati a iniziare l’anno nuovo nella grande mela. Naturalmente, avevo in testa la mia maestra in TUTTO, Diane Arbus, e pensavo a lei, a lei soltanto mentre fotografavo a Central Park. Ero commosso di essere lì, sentivo i suoi passi, il suo fiato, l’odore di mughetto che veniva dai suoi abiti sgualciti; l’ho vista sulla faccia di un barbone dalla bellezza fulminante e mi ha detto: “La fotografia non sta nel distruggere i miti, gli idoli, gli oracoli... sta nel non crearne mai”. Poi, ho ricordato che si era uccisa, nel 1972, forse per coraggio, forse per poesia, forse
per non vivere in un mondo disabituato all’amore, alla fraternità, alla condivisione. È difficile quanto trovare un uomo onesto in parlamento... nulla è più sospetto dei partiti, delle religioni, dell’alta finanza... sono i nuovi feudatari e governano l’universo col ferro e col fuoco. Amen! E così è». In generale, la fotografia è un avvilimento dell’anima. Anche quando si allontana dalla stupidità, la fotografia rimane assoggettata agli inganni infantili e del mercimonio che la determinano. Il bisogno di consenso e successo dei fotografi trionfa sulla mediocrità e sul ridicolo. La capacità di adorazione della fotografia verso i responsabili di tutti crimini impuniti è sovente un’impostura o un tradimento: c’è sempre una definizione dell’arte della fotografia all’origine di un tempio della confessione, dell’assoluzione o dell’impiccagione. E non c’è forma d’intransigenza ideologica, sacrale e mercantile che non riveli l’imbecillità dell’entusiasmo. La scrittura fotografica di Miroslav Tichý è quella di un flâneur, di un filosofo del margine, di un libertino che cerca nella strada l’imago (rappresentazione o immagine inconscia) di momenti svelati, e si legge in contrapposizione alle norme sociali. È il diario di un’os-
65
Sguardi su sessione erotica, anche... la constatazione che l’immaginario dal vero non nasce da una macchina fotografica (quale che sia), ma dallo sguardo impertinente che sta dietro questa scatola magica. La scrittura fotografica di Miroslav Tichý è un percorso di tentazioni e vertigini dispersi nella climatizzazione dell’incompiuto: una sorta di archeologia dei sentimenti che traboccano di vita vera. C’è Niezsche, Baudelaire, Benjamin, financo Pasolini, in quelle fotografie randagie, scorticate, disperate. Anche la fotografia muore quando tollera verità che la escludono. Le derive fotografiche di Miroslav Tichý sono seducenti... scatta ciò che lo imprigiona... l’erotismo rubato e la bellezza fugace di un corpo di donna si configura nell’inquadratura sbilenca, nel rapporto emozionale, nel modo di maneggiare la macchina fotografica (come già detto, uno strumento fatto con plastica, cartone, colla, nastro isolante e lenti trovate nei cassoni dell’immondizia) e renderla invisibile e nemmeno credibile a quanti si fanno complici di questo sudicio barbone e si mettono in posa per il ritratto. Al fondo delle sue immagini c’è una “ruvidità figurativa” non priva di rimandi alla decostruzione dell’arte propri al Dada, Surrealismo, Lettrismo o -più ancora- alla costruzione delle situazioni dell’Internazionale Situazionista (Internazionale situazionista 1958-69; Nautilus, 1994). Ciò che cambia il modo di vedere la vita è molto più importante di ciò che cambia la nostra maniera di vedere la pittura, il cinema, la fotografia, le parole, dicevano i situazionisti. Lo spostamento senza scopo del flâneur si fonda sul gioco d’incontri, dove niente è preso sul serio è tutto diventa una proclamazione di bellezza e un invito a respingere dappertutto l’infelicità. Non c’è impudicizia nei nudi slabbrati di Miroslav Tichý, più o meno rubati all’istante, ai bordi di un fiume, al limitare di un bosco o nelle gambe (appena scoperte) che spingono una bicicletta. In massima parte, sono le donne che attirano la sua attenzione: le
66
inquadra di spalle, mentre si aggiustano i capelli, camminano in allegrezza per strada... o cerca la complicità frontale di ragazzine che lasciano la propria freschezza nella macchina fotografica di latta del fotografo di Kyjov. Il ritratto di una ragazzina incollato su un pezzo di cartone (sbiadito) è un autentico capolavoro: la ragazzina guarda in macchina in maniera decisa, sfrontata, ripresa quasi di taglio. L’immagine è mossa, sfocata; tuttavia, contiene una bellezza eversiva di non poco contro. Qui, la poetica dell’imperfezione di Miroslav Tichý tocca le forme più alte dell’incompiuto: il fotografo interviene sul viso della ragazzina, tratteggia con una biro gli occhi, i capelli, il maglioncino nero; la bellezza della sua malinconia è pari al suo destino di disingannato. La leggenda dice che Miroslav Tichý vagabondava per le strade di Kyjov, in cerca dei cento scatti da realizzare ogni giorno, e ne scatta migliaia, specie tra il 1960 e il 1985. Le fotografie sono spesso mosse, sfocate, male esposte, sviluppate in cattività (una vascaccia da bagno, una bacinella ammaccata, un vaso da notte), macchiate, graffiate... si vedono anche le impronte delle sue dita... tuttavia queste imperfezioni fuoriescono da una visione poetica della realtà che le rende estremamente singolari, se non uniche. A vedere con cura certe immagini di giovani donne in costume che prendono il sole sull’erba, riprese di spalle, più che anonime, o il nudo di donna con le giarrettiere immerso nel buio e aperto alla storia del peccato rivendicato alla maniera di Bellocq si resta stupiti di tanta nobiltà architetturale e presa d’eternità del momento vissuto. È la bellezza dell’imperfezione che crea la poesia e -come sappiamo dagli antichi greci- la bellezza contiene anche la giustizia. C’è un’immagine che rimanda direttamente al nudo di Hedy Lamarr (Hedwig Eva Maria Kiesler), nel film Estasi, di Gustav Machatý (girato a Vienna e Praga; 1933): è la prima scena di nudo integrale nel cinema, ma a Miroslav Ti-
chý basta una donna in costume bagnata dall’acqua del fiume per ricordare non solo la bellezza ignuda di Hedy Lamarr, ma più ancora un’etica atea, una morale senza Dio né Stato che decidono cos’è il bene e cosa il male. A ogni atto generato dal desiderio succede l’incantamento di una rivelazione improvvisa e ciò che conta è l’estasi del visionario, non i suoi ragionamenti. Le belle fotografie, come si dice, possono avere come cornice solo il vero che nasce dall’aristocrazia del dolore che contrasta i deliri collettivi e come scaturigine solo la libertà come atto di trasformazione del reale tradito. La fotografia dell’incompiuto è una critica della separazione, della negazione dei ruoli, di ogni tipo di specializzazione come detrito e forma compiuta dell’alienazione totale del capitalismo parassitario. Ricordiamolo, se ce ne fosse ancora bisogno: contro il benessere quantitativo dello spettacolo diffuso (l’avanzare delle tecnologie in mano ai saprofiti della comunicazione) e dello spettacolo concentrato (la dittatura del mercato attraverso le manipolazioni dei partiti e dei governi) «Lo spettacolo è il discorso ininterrotto che l’ordine presente tiene su se stesso, il suo monologo elogiativo. È l’autoritratto del potere all’epoca della gestione totalitaria delle condizioni di esistenza. Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini. Lo spettacolo è il capitale giunto a un tal grado di accumulazione da divenire immagine» (Guy Debord: La società dello spettacolo; Vallecchi, 1979). Lo spettacolo non canta solo gli uomini e le loro armi, ma le merci e le loro pedagogie consumeriste. Là dove impera lo spettacolo, non c’è spazio che nella soggezione generalizzata. La poetica dell’imperfezione di Miroslav Tichý esprime una gioia libertaria e una filosofia della felicità nella passione di vivere e nell’incuranza della ragione imposta. Il suo stile di vita è anche quello del suo fare-fotografia: una consunzione di corpi e di sogni a nutri-
mento di un’anima che ama e non chiede di essere riamata... un encomio a vivere che è l’autobiografia dei fatti, voluttà della carne, geografia dei sentimenti struccati. La sua opera è intrisa nel libertinaggio dei giusti sprovvisti d’ingiustizia e non coincide con un ideale di santità presentato come perfetto; non c’è nessuna colpa nel suo immaginale, semmai la grazia che la cancella. Il sentimento d’innocenza edidetica del suo portolano figurativo non è incline a buone intenzioni. L’arte del voyeur da calendari viene amputata come delitto e più ancora il dispendio della fattografia pulsionale (i richiami alla fotografia più compiuta di Lewis Carroll sono dovuti) implica la decadenza della dossologia fotografica, e tramite il diritto d’inventario del suo rizomario estetico/etico mostra una metafisica dei corpi in amore e un’innocenza dello stupore che ridicolizzano ogni forma di potere. La fotografia desiderante di Miroslav Tichý disperde spore d’anarchia, libera l’epifania delle passioni e -al meglio di un pensiero dionisiaco che non piega la schiena sotto il peso delle costrizioni sociali- rivendica il diritto all’intelligenza che rigetta la nostalgia del passato e l’angoscia del divenire. «La bellezza che non è promessa di felicità, dev’essere distrutta» (Internazionale Situazionista). Il ricatto dell’utilitarismo modella il tempo, lo spazio e la realtà che impedisce di sognare un mondo più giusto e più umano, e va sconfitto. Le situazioni per rovesciare l’esistente non si trovano nei libri, nei discorsi politici, nei mercati globali, nei sermoni delle religioni monoteiste, ma girando in tondo di notte consumati dal fuoco della sovversione non sospetta... in derive prolungate di grandi giornate nelle quali niente somigliava al giorno prima. E, attraverso il rovesciamento di prospettiva di un mondo rovesciato, fare della lezione epicurea, nietzschiana, libertaria una critica profonda della secolarizzazione delle lacrime... costruire una festa di avvenimenti radicali contro la quotidianità dell’impossibile e fare della propria vita un’opera d’arte. ❖