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ANNO XXIII - NUMERO 227 - DICEMBRE 2016
Grande formato PROSPETTIVA & CONTORNI Dal passato SGUARDI ELOQUENTI Archivi Storici Aem CATTEDRALI DELL’ENERGIA
FRANCESCO RADINO GUARDARE, PER VEDERE
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prima di cominciare NULLA È PER CASO. Come specificato lo scorso novembre, in risposta a una lettera inviataci da Lello Piazza, che si è riferito ad argomenti trattati sul nostro numero del precedente ottobre, nulla di quanto pubblicato in queste pagine è casuale, sia nel proprio contenuto sia per l’inevitabile forma. In effetti, oltre i grandi equilibri, sottotraccia, si muovono e manifestano intenzioni che compongono i tratti dell’impianto redazionale: per combinazione e alternanza di argomenti, o loro sostanziale similitudine, così come per altre intenzioni latenti. Di queste -che si concretizzano in combinazioni numeriche, di parole chiave (spesso occultate tra le righe), e altro ancoranon vale la pena parlarne, perché sono ininfluenti sull’impianto generale, e riguardano soltanto mescolanze e accostamenti personali, per se stessi adeguatamente irrilevanti. Invece, se è il caso di farlo, sono doverose altre notazioni di contenuto, che -come appena accennato- sono componente sostanziale della messa in pagina di ogni numero della rivista. Prima di tutto, prima di farlo, è necessaria una premessa: ognuno è libero di agire come meglio crede. Quindi, ogni rivista risponde soltanto a sé e alle proprie intenzioni; tanto che, come possiamo constatare anche solo osservando il nostro piccolo-grande mondo fotografico, abbiamo riviste definibili di “collaborazione”, che svincolano tra loro gli argomenti trattati, e riviste di “redazione”, che implicano -invece- una sorta di consecuzioni in qualche modo e misura allineabili tra loro. A ciascuno, le proprie intenzioni. Così, per esempio, sullo scorso numero di novembre, la presentazione della straordinaria monografia Expanding Universe. Photographs from the Hubble Space Telescope è stata in qualche modo integrativa del capitolo Luna di Hasselblad, indispensabile in una fogliazione che si è intensamente occupata della attuale personalità tecnico-commerciale della nobile produzione svedese. Così, ancora in esempio, il Sommario di ogni numero presenta raffigurazioni “fotografiche” (nel senso di apparecchi) sulla colonna/pagina di sinistra. Così, sempre in esempio, su questo numero di dicembre Le cattedrali dell’energia. Architettura, industria e paesaggio nelle immagini di Francesco Radino e degli Archivi Storici Aem sono scomposte nelle due componenti annunciate -Francesco Radino e Archivi Storici Aem, per l’appunto-, ognuna per proprio contro, ma entrambe in collegamento ideale tra loro. Ovviamente, non è stato per caso che -ancora lo scorso novembre- una fotografia a piena pagina del bravo Giorgio Cravero sia stata ripetuta: pubblicata nel suo esaustivo portfolio e presentata nell’ambito dei vincitori del prestigioso e ambìto Hasselblad Masters 2016, dopo essere stata anche immagine di anticipo sul precedente numero di ottobre. E tanto altro, ancora. mFranti
La fotografia, come la fierezza, non s’impara a scuola, ma nella strada. Pino Bertelli; su questo numero, a pagina 65 Ciò che conta è saper dominare gli strumenti della fotografia, per finalizzarli alle singole esigenze della ripresa. Anche per il Ritorno al grande formato. Antonio Bordoni; su questo numero, a pagina 57 Però, come spesso accade, c’è proprio un “però”. mFranti; su questo numero, a pagina 8 Da questo momento, il fotografo applica il proprio linguaggio espressivo caratteristico non riflettendo più l’aspetto fenomenico, gli aspetti singoli e i nessi esterni dei fatti, ma cogliendo l’essenza della realtà, il proprio insieme e il proprio nesso interno. Maurizio Rebuzzini; su questo numero, a pagina 43 La fotografia, quando è grande, esprime il ritratto di un’epoca. Non evoca nulla. Mostra una parte per il tutto. In ogni forma d’arte, ciò che è importante è compiere una scelta, elaborare una sintesi. Pino Bertelli; su questo numero, a pagina 65
Copertina Termoutilizzatore di Brescia, in una interpretazione del talentuoso Francesco Radino, dall’imponente esposizione Le cattedrali dell’energia, Architettura, industria e paesaggio nelle immagini di Francesco Radino (per l’appunto) e degli Archivi Storici Aem. In due tempi distinti, ne riferiamo da pagina 18, per quanto riguarda la parte storica, e da pagina 34, in approfondimento alla personalità di Francesco Radino
3 Fotografia nei francobolli Dalla compendiosa analisi Fotografia nei francobolli, di Maurizio Rebuzzini, in corso d’opera e prossima pubblicazione, dettaglio da un francobollo ungherese ricreativo da una serie filatelica di dodici valori, emesso il 20 giugno 2008. Ovviamente... la fotografia
7 Editoriale Forza e valore della didascalia, che attesta e contestualizza l’immagine. Un tempo, sono state certificate “rare istantanee”. E oggi? E domani?
8 Presidente Truman Clamorose elezioni presidenziali statunitensi del 1948, con consueto risvolto fotografico. Dalla cronaca alla Storia
10 Sondaggio TIPA 2017 Tra i lettori delle riviste associate a TIPA. Con premi
DICEMBRE 2016
RIFLESSIONI, OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA
14 Del domani...
Anno XXIII - numero 227 - 6,50 euro
Quali certezze e dubbi rimangono alla fotografia? Da leggere l’ottimo Photo Generation, di Michele Neri di Lello Piazza
DIRETTORE
RESPONSABILE
Maurizio Rebuzzini
IMPAGINAZIONE
Maria Marasciuolo
18 Quelle Cattedrali La parte storica della sostanziosa mostra a doppio passo Le cattedrali dell’energia, Architettura, industria e paesaggio nelle immagini di Francesco Radino e degli Archivi Storici Aem. Con rimando a pagina 34
22 Et voilà, Nikkormat Due affascinanti combinazioni cinematografiche Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
24 Sguardi eloquenti Settantatré volti di un insieme scolastico di fine Ottocento sollecitano considerazioni sullo scorrere del Tempo di Angelo Galantini
34 Guardare, per vedere Coinvolgente serie fotografica di Francesco Radino, declinata con le Cattedrali dell’energia, che induce a riflettere non venendo meno a se stessi. Piccoli passi di Maurizio Rebuzzini
46 Prospettiva & contorni Proseguiamo nella sostanziosa e appagante ipotesi di affascinante Ritorno al grande formato, in visione lieve e gratificante. Considerazioni tecniche mirate di Antonio Bordoni
59 Il suono del silenzio Ritorno di Tiziano Scavi alla sceneggiatura di Dylan Dog, in una avventura con attraversamento fotografico
62 Tenba... Sumo Quando la comunicazione promozionale, ben interpretata e declinata, merita attenzione. La nostra, soprattutto
65 Francesco Mazza
REDAZIONE
Filippo Rebuzzini
FOTOGRAFIE Rouge
SEGRETERIA
Maddalena Fasoli
HANNO
COLLABORATO
Pino Bertelli Antonio Bordoni Luigi Facchinetti Forlani mFranti Angelo Galantini Gianfranco Gardoni Lello Piazza Francesco Radino Franco Sergio Rebosio Alessandro Sidari Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604 www.FOTOgraphiaONLINE.com; graphia@tin.it. ● FOTOgraphia è venduta in abbonamento. ● FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano. ● A garanzia degli abbonati, nel caso la pubblicazione sia pervenuta in spedizione gratuita o a pagamento, l’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e in suo possesso, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi della legge 675/96. ● FOTOgraphia Abbonamento 12 numeri 65,00 euro. Abbonamento annuale per l’estero, via ordinaria 130,00 euro; via aerea: Europa 150,00 euro, America, Asia, Africa 200,00 euro, gli altri paesi 230,00 euro. Versamenti: assegno bancario non trasferibile intestato a Graphia srl Milano; vaglia postale a Graphia srl - PT Milano Isola; su Ccp n. 1027671617 intestato a Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; addebiti su carte di credito CartaSì, Visa, MasterCard e PayPal (graphia@tin.it). ● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti. Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano
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Sguardi sulla fotografia del pane amaro e della bellezza di Pino Bertelli Nella stesura della rivista, a volte, utilizziamo testi e immagini che non sono di nostra proprietà [e per le nostre proprietà valga sempre la precisazione certificata nel colophon burocratico, qui accanto: «È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo)»]. In assoluto, non usiamo mai propietà altrui per altre finalità che la critica e discussione di argomenti e considerazioni. Quindi, nel rispetto del diritto d'autore, testi e immagini altrui vengono riprodotti e presentati ai sensi degli articoli 65 / comma 2, 70 / comma 1bis e 101 / comma 1, della Legge 633/1941 / Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
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editoriale D
omani, dopo domani, o il giorno ancora successivo -dipende dal senso del Tempo che adottiamo-, l’attualità che stiamo vivendo verrà raccontata in forma di Storia. Addirittura, verrà anche giudicata: guai a noi. Ma non è questo che ci preme, qui e ora, intenzionati come siamo a restare vicini alla nostra materia istituzionale, la Fotografia, in consueta maiuscola volontaria e consapevole. Per quanto -in queste pagine- la Fotografia sia sempre e soprattutto s-punto utile e proficuo verso l’esistenza individuale e collettiva, rimane il fatto che non smette mai di essere soggetto esplicito, piuttosto che complemento oggetto di (proprio) comodo e altrettanto propria autoreferenzialità (altrui). Il racconto storico che vivisezionerà il nostro presente sarà inevitabilmente accompagnato da supporti fotografici, intesi per quel valore di documento al quale tutti fanno fede. Riprendiamo da Hubertus von Amelunxen, in The Century’s Memorial. Photography and the Recording of History, introduttivo alla compendiosa A New History of Photography, a cura di Michel Frizot (Könemann, 1998): «L’effetto di realtà della fotografia riguarda innanzitutto la propria aderenza formale a ciò che rappresenta, il suo contenuto può essere manipolato e selezionato senza inficiare il suo supposto valore di verità documentaria fondato sulla tecnica». Dunque, di questo si tratterà: di fotografie utilizzate a supporto e credito delle parole. Tutto sommato, questa prospettiva non è affatto preoccupante, magari è soltanto marginalmente minacciosa, se e per quanto siamo consapevoli della capacità che la fotografia ha di mentire con la propria raffigurazione pilotata da intenzioni anticipatorie degli autori. Ma, tutto sommato, il Tempo darà ragione a una sorta di autenticità che si accumula sullo scorrere dei giorni. Infatti, per quanto inesorabile, il Tempo ha comunque tanta e tale malleabilità, che tutto avvolge e nulla perde. Soltanto, eccoci qui, tutti noi sappiamo come e quanto l’immagine fotografica plausibilmente documentativa dipenda in larga misura dal testo di accompagnamento, a propria volta allineato con intenzioni pilotate e guidate “a priori”. Così, nello specifico, ogni fotografia non rappresenta mai soltanto se stessa, ma assolve le descrizioni della propria didascalia (in gergo di mestiere, “dida”). A questo punto, possiamo ragionare sul presente, confrontandolo con un passato prossimo a tutti noto. Così che è anche legittima una riflessione quantitativa. Domanda generazionale: quante fotografie abbiamo dei nostri genitori? Se penso a me stesso, elevandomi a campione statistico, rispondo prontamente con una cifra risibile, che non arriva a una dozzina di loro ritratti, distribuiti sulla lunghezza delle rispettive esistenze. All’opposto, al giorno d’oggi, ciascuno di noi possiede migliaia, di propri ritratti. Quindi, in un prossimo futuro, nessuna didascalia potrà avere il sapore di quelle che abbiamo letto in biografie di personaggi (del passato remoto) di riferimento della nostra esistenza, per i quali la stessa didascalia ha certificato spesso la raffigurazione del soggetto “in una rara istantanea”. Oggi, nulla è più raro... con didascalie a diretta conseguenza. Questo è quanto. Maurizio Rebuzzini
Testuale, da un libro di testo della scuola dell’obbligo dei nostri (antichi) tempi: in una rara istantanea, Cesare Pavese, Leone Ginzburg, Franco Antonicelli e Carlo Frassinelli durante una gita nelle Langhe, nel 1932. Già... “in una rara istantanea”, a certificazione di un’epoca nella quale la quantità di scatti fotografici è stata sostanziosamente diversa dalla compulsione dei nostri giorni. Ovviamente, nessun giudizio, né di merito né di demerito, ma -come sempre, come al solitosolo osservazione fenomenologica in chiave fotografica: nostra materia istituzionale.
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Precedente curioso di Maurizio Rebuzzini (Franti)
PRESIDENTE TRUMAN
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Alle prime luci dell’alba del 3 novembre 1948, acquisita la certezza della propria elezione alla presidenza degli Stati Uniti, Harry S. Truman si è presentato al tradizionale discorso di accettazione esibendo il titolo errato del quotidiano Chicago Tribune, stampato prima dell’ufficialità del voto, con l’annuncio della vittoria del repubblicano Thomas Edmund Dewey. In alto, l’icona del momento (Associated Press); a destra, una inquadratura analoga dello stesso momento, realizzata da W. Eugene Smith.
W. EUGENE SMITH / LIFE
AP / ASSOCIATED PRESS
M
Mediaticamente, e non soltanto mediaticamente, all’inizio di novembre, ha tenuto banco l’elezione del quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti. Non spetta a noi, che non siamo affatto qualificati a farlo, alcun commento sulla vittoria del repubblicano Donald Trump sulla rivale democratica Hillary Clinton, moglie del quarantaduesimo presidente, Bill Clinton, in carica per due mandati consecutivi, dal 20 gennaio 1993 al 20 gennaio 2001. Soltanto, è necessario precisare che l’assegnazione dipende da una combinazione di vittorie Stato per Stato, magari a discapito delle cifre totali e complessive. Infatti, Donald Trump è presidente nonostante abbia ottenuto qualche voto in meno di Hillary Clinton (nella quantità di 60.086.008 contro 60.523.087, pari a una lieve differenza percentuale: 47,3 percento, rispetto 47,6 percento: dati ufficiosi, prossimi a quelli ufficiali). Comunque, Donald Trump si è affermato in una sostanziosa quantità di Stati, lasciando alla contendente soltanto qualche briciola. Ovviamente, questa vicenda riguarda altro che non il territorio fotografico, entro il quale agiamo e operiamo noi. Però, come spesso accade, c’è proprio un “però”. Nelle prime ore dello spoglio delle schede, nella notte statunitense, coincidente con le prime luci della mattina (dopo) in Italia, si sono alternate previsioni e considerazioni. Così, nella nostra memoria ha fatto capolino una curiosa vicenda precedente, con annessi e connessi fotografici: i nostri di sempre. Eccoci qui. Le elezioni presidenziali statunitensi del 1948, che si svolsero martedì due novembre, opposero il candidato repubblicano Thomas Edmund Dewey e il presidente democratico uscente Harry S. Truman, in carica dal 12 aprile 1945, quando subentrò a Franklin Delano Roosevelt, entrato alla Casa Bianca il 4 marzo 1933, unico presidente per quattro mandati, in deroga al regolamento per l’eccezionalità del ruolo, durante la Seconda guerra mondiale. Alla morte di Franklin D. Roosevelt, Harry S. Truman ereditò le sorti della nazione, in un momento
critico: spettarono a lui le decisioni sulle azioni finali e conclusive della guerra, a partire dalle atomiche su Hiroshima e Nagasaki, lanciate il 6 e 9 agosto 1945, per piegare definitivamente la resistenza del Giappone. [Per quanto, poi, lo stesso Harry S. Truman avrebbe confessato di aver sofferto a lungo per la sua decisione suprema -«Mi sentii come se il cielo mi fosse caduto addosso», avrebbe dichiarato-, non possiamo ignorare un passaggio significativo dal suo annuncio del bombardamento nucleare su Hiroshima: «Il mondo sappia che la prima bomba atomica è stata sganciata su Hiroshima, una base militare [non vero!]. Abbiamo vinto la gara per la scoperta dell’atomica contro i tedeschi. L’abbiamo usata per abbreviare l’agonia della guerra, per risparmiare la vita di migliaia e migliaia di giovani americani, e continueremo a usarla sino alla completa distruzione del potenziale bellico giapponese»; per l’appunto, tre giorni dopo, la replica su Nagasaki].
ARCHIVIO FOTOGRAPHIA (2)
Precedente curioso
Tornando a noi, le elezioni presidenziali statunitensi del 1948 sono storicizzate per quello che è conteggiato e considerato come uno dei più clamorosi errori di previsione dei sondaggisti (e tale rimane, anche alla luce di quanto accaduto lo scorso novembre). Sopravvalutato il valore di due candidati democratici dissidenti (il progressista George Wallace, go-
Interpretazione dell’icona di Truman in un Foglio filatelico di Grenada Grenadines, a cinquant’anni dalla Seconda guerra mondiale. Trasformazione filatelica dell’icona di Harry S. Truman.
vernatore dell’Alabama, e il segregazionista senatore James Strom Thurmond), rispetto il designato Harry S. Truman, fu attribuito un sostanzioso vantaggio al repubblicano Thomas Edmund Dewey, tanto da condizionare anche la decifrazione dei primi voti e delle relative proiezioni. Addirittura -in avvicinamento alla promessa combinazione “fotografica”-, fu clamoroso il titolo del quotidiano Chicago Tribune, stampato prima che lo spoglio delle schede giungesse a una ragionevole soglia di attendibilità, che la mattina dopo il giorno di voto annunciò la vittoria di Dewey. Ovviamente, una volta acquisita la certezza della propria elezione, Harry S. Truman comparve sul palco per il tradizionale discorso di accettazione esibendo orgogliosamente il titolo errato del quotidiano di Chicago: Dewey defeats Truman... Dewey sconfigge Truman. Di questo momento esiste un’ampia documentazione fotografica. L’immagine simbolo è attribuita all’Associated Press, ma tra i fotografi presenti si conteggia anche il grande W. Eugene Smith, inviato da Life: declinata in identico modo, e allo stesso istante, la sua inquadratura è leggermente diversa da quella ormai iconica. Comunque, in registrazione dovuta, qui protocolliamo la trasformazione filatelica dell’immagine, che per certi versi appartiene al cammino tracciato dalle visioni che scandiscono anche un certo tragitto della Storia della Fotografia: uno dei quindici soggetti del Foglio filatelico dedicato agli anni Quaranta del Novecento, che fa parte delle celebrazioni del Secolo, emesso il 18 febbraio 1999 [FOTOgraphia, febbraio 2004]. In coincidenza di intenti, va annotata anche un’emissione di Grenada Grenadines, dell’8 maggio 1995, nel cinquantenario dalla fine della Seconda guerra mondiale (fronte occidentale), con raffigurazione analoga del presidente Harry S. Truman con prima pagina di giornale (anonimo e di fantasia), che in questo caso recita It’s V-E Day!, nel senso di È il giorno della vittoria!. Quindi, in casellario, registriamo anche l’esistenza di infinite parodie della fotografia originaria alla quale stiamo riferendoci, che non è il caso di visualizzare, tante ce ne sono... tutte facilmente rintracciabili in Rete. Fate voi. ❖
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tipa.com La Technical Image Press Association (TIPA) è un’associazione non-profit registrata in Spagna.
SETTIMO SONDAGGIO TIPA 2017 Sondaggio tra i lettori delle riviste internazionali associate alla Technical Image Press Association
LA VOSTRA OPINIONE VALE
Ogni due anni, TIPA rileva e valuta le opinioni e tendenze dei lettori delle riviste associate, in tema di fotografia. Partecipare al sondaggio significa fornire all’Associazione utili spunti e importanti informazioni, che -analizzate dall’istituto WIP, di Colonia, Germania- saranno presentate alle maggiori industrie del settore, per sottoporre alla loro attenzione l’orientamento dei clienti finali. Tra tutti i lettori delle riviste TIPA partecipanti al Sondaggio 2017 saranno estratte a sorte, presso uno studio notarile di Madrid, tre macchine fotografiche* insignite dei TIPA Awards 2016. * le reflex Nikon D500 e Pentax K-1 e la Mirrorless Sony α7R II in palio sono solo corpo: quindi, senza obiettivo, che appare nelle illustrazioni per motivi estetici. Eventuali tasse o imposte sono a carico del vincitore; regolamento completo sul sito www.tipa.com.
TRA TUTTI I PARTECIPANTI AL SONDAGGIO TIPA 2017 IN PALIO TRE MACCHINE FOTOGRAFICHE PREMIATE CON I TIPA AWARDS 2016
2
1
Best Full-Frame DSLR Expert Pentax K-1 (solo corpo)
Best APS-C DSLR Expert Nikon D500 (solo corpo)
3 Le reflex e la Mirrorless sono visualizzate complete di obiettivo per motivi puramente estetici
Estratto dal regolamento. Al Sondaggio TIPA 2017 partecipano i lettori della riviste associate alla TIPA, compilando il presente questionario (anche in fotocopia) o rispondendo ai quesiti online direttamente su https://presseforschung.de/fotographia, entro il 27 gennaio 2017. Tra i partecipanti verrano estratti i tre premi sopra indicati. Non è ammesso l’invio per email. TIPA garantisce la privacy e si riserva il diritto di sostituire il premio con prodotto di analogo valore e prestazioni, in caso di in-
Best Mirrorless CSC Professional Sony α7R II (solo corpo)
disponibilità di quello proposto, e di sospendere limitare, modificare o cancellare l’iniziativa in qualunque momento. TIPA e FOTOgraphia (Graphia srl) non sono responsabili per qualsivoglia disguido, perdita o danno riconducibile al sondaggio o a qualunque altra circostanza o inconveniente. L’elenco dei vincitori sarà disponibile sul sito tipa.com e pubblicato su questa rivista. Eventuali tasse o imposte relative ai premi vinti, a seconda della legislazione del paese di residenza, sono a carico del vincitore.
SETTIMO SONDAGGIO TIPA 2017 COMPILA IL QUESTIONARIO (ANCHE IN FOTOCOPIA) E INVIALO PER POSTA. PARTECIPI ALL’ESTRAZIONE DI UNA DELLE TRE MACCHINE FOTOGRAFICHE* PREMIATE CON I TIPA AWARDS 2016.
* le reflex Nikon D500 e Pentax K-1 e la Mirrorless Sony α7R II in palio sono solo corpo: quindi, senza obiettivo, che appare nelle illustrazioni per motivi estetici. Eventuali tasse o imposte sono a carico del vincitore; regolamento completo sul sito www.tipa.com.
È POSSIBILE PARTECIPARE ANCHE ONLINE SU
https://presseforschung.de/fotographia
01 Come fotografo, mi definisco
❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏
05 Mi informo regolarmente sui prodotti fotografici su
(Sono possibili più risposte)
(Sono possibili più risposte)
Generico, senza indirizzo principale Fotografo amici, familiari... Amo temi precisi (natura, moda...) La fotografia è l’attività preferita Sono un fotografo esperto È la mia professione primaria Fotografo per mia professione (grafico, media, architetto...)
1. Riviste di fotografia 2. Altre riviste tecniche 3. Presso il mio negoziante 4. Alle fiere specializzate 5. Sui dépliant delle case 6. Su internet Tra tutte, mi fido di più della fonte numero ....................
02 La mia attrezzatura fotografica Per le riprese uso N. .................... macchine fotografiche diverse
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06 FOTOgraphia pubblica dieci numeri all’anno Leggo .................... numeri all’anno Questa è la prima volta che la leggo
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07 Ottengo FOTOgraphia Sono abbonato Come saggio promozionale La leggo quando altri l’hanno già letta
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(Inserire il numero) da completamente vero
Non esco mai senza macchina fotografica Tengo l’attrezzatura tecnologicamente aggiornata Spendo in accessori quanto per la fotocamera/e Acquisto prodotti di una certa marca Do consigli di acquisto ad altri
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03 Scatto le mie fotografie con (dimensioni del sensore) spesso
Macchine fotografiche Micro QuattroTerzi Macchine fotografiche con sensore APS-C Macchine fotografiche reflex “full frame” Macchine fotografiche con sensore medio formato ... in particolare Con pellicola In formato RAW In formato JPEG
08 Sfoglio o leggo ogni numero di FOTOgraphia circa .................... volte 09 Di ciascun numero di FOTOgraphia, leggo Tutte / quasi tutte le pagine Circa tre quarti Circa la metà Circa un quarto Solo poche pagine
❏ ❏ ❏ ❏ ❏
10 Leggo una copia di FOTOgraphia per un totale di .................... minuti 11 Oltre a me, altre .................... persone leggono ogni numero di FOTOgraphia
04 Uso le seguenti funzioni della macchina fotografica spesso
Modo Manuale (M-mode) Automatismo a priorità (Tv-Mode o AV-Mode) Video WiFi/WLAN
❏ ❏ ❏ ❏
continua
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PER LA PRIVACY, L’AREA TRATTEGGIATA CON I DATI PERSONALI VERRÀ SEPARATA AL RICEVIMENTO SE NON VOLETE RITAGLIARE QUESTE PAGINE, FOTOCOPIATE LE DUE FACCIATE IL QUESTIONARIO (FRONTE E RETRO) DEVE PERVENIRE ENTRO IL 27 GENNAIO 2017 È POSSIBILE INVIARE IL QUESTIONARIO IN FORMA ANONIMA, RINUNCIANDO ALL’ESTRAZIONE Potete evitare di fornire i vostri dati (che comunque non sarebbero riferiti a terzi). Però, in questo modo, rinunciate alla possibilità di partecipare all’estrazione di una delle sei macchine fotografiche in palio. L’anonimato è garantito, perché questa parte del questionario verrà separata dalle risposte.
Elaborati dall’istituto WIP, di Colonia, i risultati saranno pubblicati sul sito tipa.com e su FOTOgraphia. L’estrazione delle tre macchine fotografiche avverrà presso uno studio notarile a Madrid, in Spagna. Eventuali tasse o imposte sono a carico del vincitore).
Regolamento sul sito www.tipa.com
12 Considero FOTOgraphia Rivista importante ❏ Fonte di ispirazione ❏ Competente ❏ ❏ Di grande utilità Chiara ❏ Indipendente ❏ Attuale ❏ D’intrattenimento ❏ Gradevole ❏ Varia ❏
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Non importante Non ispira Incompetente Poco utile Confusionaria Dipendente Non attuale Noiosa Sgradevole Monotona
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AWARDS 2016
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Un’associazione globale non-profit di riviste fotografiche e imaging Premi attributi a strumenti fotografici e imaging di alta qualità Raccomandazioni di acquisto dei redattori TIPA Nulla: il loro significato mi è sconosciuto
21 In generale, quando ho intenzione di acquistare prodotti di alta qualità ❏ I test e l’assegnazione di premi mi forniscono una indicazione utile ❏ I test e l’assegnazione di premi sottolineano una qualità elevata ❏ I test e l’assegnazione di premi sostengono la mia intenzione di acquisto 22 «Se dovessi scegliere tra due prodotti fotografici, uno dei quali ha vinto un TIPA Award, deciderei in favore di quello segnalato con il TIPA Award» Quanto si applica a voi questa dichiarazione di intenti? Per il sondaggio, si valuti lungo una scala da 1 («Si applica pienamente») a 10 («Non si applica a tutti») 1 10 Si applica pienamente ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ Non si applica a tutti 23 Visito il sito “FOTOgraphiaONLINE.com” di FOTOgraphia Giornalmente / più volte al giorno ❏ Ogni mese Più volte la settimana ❏ Meno spesso Ogni settimana ❏ Mai Più volte al mese ❏ 24 Informazioni personali Sono maschio ❏ Ho .................... anni
femmina
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Grazie per aver partecipato al SONDAGGIO TIPA 2017
cognome
indirizzo CAP
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(Sono possibili più risposte)
PER LA PRIVACY, L’AREA SOTTOSTANTE VERRÀ SEPARATA AL RICEVIMENTO DEL QUESTIONARIO COMPILAZIONE FACOLTATIVA (rinunciando all’estrazione dei premi) nome
mai
a non importante
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15 L’edizione digitale di FOTOgraphia (se ci fosse) La leggerei regolarmente In generale, potrebbe soddisfarmi L’acquisterei al posto di quella cartacea L’acquisterei con un supplemento, se avesse servizi o altre caratteristiche
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da completamente vero
Per me ha valore informativo Mi ha già spinto a chiedere più informazioni Mi ha già spinto a fare un acquisto
14 Argomenti che desidero leggere su FOTOgraphia Dettagliati test di fotocamere Test comparativi di fotocamere Consigli per gli accessori Test di accessori Informazioni di mercato Consigli di tecnica Fotografi / Arte Mostre Concorsi
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19 La pubblicità che appare su FOTOgraphia
moltissimo
Mi mancherebbe...
17 Ogni anno, investo in attrezzatura fotografica Meno di 2000,00 euro Da 2000,00 a 3999,00 euro Da 4000,00 a 5999,00 euro Da 6000,00 a 7999,00 euro Da 8000,00 a 9999,00 euro Da10.000,00 a 11.999,00 euro Oltre 12.000 euro
città
provincia fax
INVIATE LE DUE PAGINE DEL QUESTIONARIO A
FOTOgraphia - Sondaggio TIPA via Zuretti 2a - 20125 MILANO MI
Da leggere! di Lello Piazza
P
DEL DOMANI...
Più che un libro di fotografia, Photo Generation, di Michele Neri, è una riflessione sulla nostra vita e sul mondo, che viene osservato, studiato, analizzato, sofferto e amato attraverso la fotografia. Un po’ con lo stile di FOTO graphia, la rivista per la quale sto scrivendo, che può essere meglio apprezzata -in tutti i propri percorsi più profondi- dagli appassionati di cultura in generale, filosofia, sociologia e storia, che non dai Ventundin tifosi della fotografia. [Attenzione, e decifrazione dovuta, soprattutto alla luce della scarsa memoria che attraversa il nostro piccolo-grande mondo della fotografia: il richiamo a Ventundin, un tempo unità di misura della sensibilità delle pellicole fotografiche, è ripreso dallo straordinario libro illustrato di Bruno Bozzetto -per l’appunto, Le avventure di Ventun Din, fotoamatore, pubblicato da Il Castello, nel 1972-: clinica/cinica/partecipe osservazione di riti e stereotipi del tempo... alcuni dei quali si sono allungati in avanti, arrivando perfino a noi, ai nostri giorni attuali]. Nota: nel prosieguo, riporterò in corsivo i brani tratti dal libriccino di Michele Neri. “Libriccino” che, secondo me, è un piccolo capolavoro. Per ragioni che spero di riuscire a spiegare. Intanto, è scritto da un autore di nobile lignaggio. Infatti, per qualcosa di più di dieci anni (1997-2009), gli ultimi della sua pluridecennale esperienza, Michele Neri è stato direttore dell’agenzia fotogiornalistica fondata dalla madre Grazia... dunque Agenzia Grazia Neri (Della vecchia Agenzia, ho un ricordo più forte di altri. L’archivio. Il luogo dove si accumulavano, nel tentativo di tenerle in ordine, migliaia di diapositive e stampe, con l’utopia di creare un doppio visivo del pianeta. La catalogazione era elementare ma efficace: geografia, politica, cultura, dinastie reali, cinema eccetera. C’era quasi tutto. Era una magnifica illusione. Il pianeta ha cominciato ad aver bisogno di partecipare direttamente all’illusione: per farlo, sta portando con sé la fotografia da un’altra parte). Poi, perché leggere il libro è come riascoltare l’interminabile fila di pensieri
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Photo Generation, di Michele Neri; Gallucci Editore, 2016; 112 pagine 15x21cm; 12,90 euro (disponibile anche in versione Kindle, a 6,90 euro).
che si susseguono nella mia testa e che non sembrano portare buone novelle. Mettere in fila i pensieri in un lungo susseguirsi, mi sembra anche la tecnica adottata dall’autore per compilare Photo Generation. Il lettore viene continuamente stimolato con pensieri a raffica, alcuni sono confinati in poche righe, altri riempiono un paio di pagine. Tutti questi pensieri nascono dalla osservazione costante, dallo studio e dalla interpretazione dei cambiamenti della fotografia. Per esempio: L’invasione delle immagini scattate dalla gente non mi ha sorpreso. Già nei primi anni Duemila, insieme al fotografo Marcello Mencarini, avevo fondato la prima community
al mondo dedicata alla promozione e alla pubblicazione, non solo online, degli scatti realizzati da non professionisti con i primi cellulari dotati di fotocamera. Uno dei tanti elementi di inquietudine che le riflessioni di Michele Neri sollecitano è rappresentato dalla “invasione”: Facebook contiene un totale provvisorio di 250 miliardi d’immagini, soprattutto ritratti (35 per ogni essere umano). Nel 2015 il conto delle foto pubblicate supererebbe il triliardo. Quando comparvero, questi “contenuti della gente” (in inglese Users Generated Content UGC) sembrarono liberatori: un’estensione sperimentale, verace, del panorama professionale. S’immaginava chissà quale rivoluzione.
Da leggere! Se possibile, è accaduto l’inverso. E poco più avanti, sempre a proposito della invasione: Una colata d’immagini si spande sulle nostre giornate. Sono diventate l’alfabeto universale, il battito del tempo quotidiano, un’estensione luminosa di ogni evento, emozione, desiderio. Una propaggine dei sensi. Se puoi scattare, puoi anche vivere. Da qualche parte sopra di noi, mescolata, o sotto questo strato d’immagini, la fotografia, che non è più quella che conoscevamo, vive un’ora d’incertezza. È una mutazione irruente: la sovrapposizione della fotografia tradizionale con quella realizzata con gli smartphone possiede un’energia potenzialmente infinita; fa pensare ai primi atomi impazziti dopo il Big Bang. È impossibile pronosticare che cosa ne verrà fuori. Se la fotografia dovrà aprirsi, o piuttosto ritirarsi sempre di più nella riserva. È già arrivato il momento di guardare indietro e celebrarsi, come se la Storia nata ufficialmente nel 1839 fosse giunta, uguale ad altre, alla fine? Tra qualche anno la marmellata d’immagini avrà fatto dimenticare la fotografia, oppure l’avrà assorbita dentro di sé, come il latino nell’italiano? È necessario che finisca così, oppure c’è una possibilità di contagio, di connessione virtuosa, che accorci le distanze tra Sebastião Salgado capace d’interpellare direttamente il pianeta e Kim Kardashian [personaggio televisivo statunitense che, nel 2015, ha pubblicato il coffee table book Selfish] che si ritrae allo specchio con il proprio smartphone? Si può fare? E se sì, ne vale la pena? E quali sono invece le conseguenze di non avvicinare le distanze? Dunque, questa inquietudine non riguarda solo l’invasione, ma anche (e, credo, soprattutto) la sua qualità. Aggiungo una osservazione scontata: l’invasione e la sua qualità sono strettamente legate alle autostrade di Internet che facilitano, promuovono, stimolano sia l’invasione, sia la sua qualità. Infatti: Cadute le barriere d’ingresso grazie alla tecnologia, i cittadini non sono più soltanto consumatori o clienti: sono diventati soggetti e vittime, autori e distributori d’istantanee. Occupandoci, però, di qualità bisognerebbe arrendersi a un fatto: anche se tutti possono comperare vernice per imbrattare i muri, non possiamo certo pretendere che siano
tutti dei Basquiat; se a tutti è concesso di portare alla conoscenza del mondo i propri pensieri, non è lecito aspettarsi che siano tutti dei Montaigne; se tutti possono scattare immagini, non saranno tutti dei Salgado. Facciamocene una ragione. Tornando a Photo Generation, non posso non ricordare che l’autore affronta (a modo proprio, con una serie di pensieri e riflessioni cruciali) alcuni temi fondamentali. Per esempio, la manipolazione della verità: Il fotografo americano Evan Baden si occupa da anni, con uno sguardo originale, del punto di convergenza tra adolescenti, tecnologia e autorappresentazione. Ha scritto sul suo sito: «Dalla nascita della fotografia, l’opinione naturale del pubblico è che la fotografia dica la verità meglio di qualunque altro mezzo. Sono stati ingannati. Oggi, più che mai, siamo circondati da bugie. La nostra cultura è dominata da fotografie che desiderano disperatamente di essere vere. Per essere la prova dei nostri viaggi, risultati e popolarità. Il mondo dei Social Media è pieno di false verità, esagerazioni e bugie spudorate. Questo è il mondo in cui i giovani stanno cercando di crescere: le biografie che creano -di chiunque conoscano, anche degli amici più intimi- sono un mix delle finzioni che vedono nei post dentro i Social Media, e delle esperienze dirette che hanno. Nessuno è esattamente ciò che sembra». Oppure, la privacy: Il consenso è continuamente accordato [ai social media], senza che l’interessato possa ribattere. Così sono commessi tanti “digital kidnapping” [...]. Non era mai successo prima che potessimo essere identificati con precisione da chi non ci ha mai conosciuto né mai ci vedrà in carne e ossa. Oppure, la professione: Se le condizioni sono queste, l’antica domanda, “chi glielo fa fare?”, appare di un’attualità schiacciante. Eppure i fotogiornalisti hanno continuato, in grandissima parte, a fare il loro mestiere (in una classifica pubblicata dal Wall Street Journal nel 2010, la professione del fotogiornalista figurava, in ordine di convenienza, al 189esimo posto su duecento, mettendo a confronto costi umani e tecnici da una parte e ritorni economici dall’altra). E, più avanti: Un nome da dare alla tempesta perfetta della fotografia è scontato: crisi dei media tra-
dizionali, sia in termini di copie vendute sia di pubblicità. Si pensi al fotoreporter che, qualche anno fa, nel caso di un evento come il viaggio di Papa Francesco negli Usa, si sarebbe preparato giorni prima, cercando l’appostamento migliore, avrebbe forse fatto un sopralluogo, si sarebbe assicurato un ordine da un giornale per coprire le spese; non essendoci ancora il digitale si sarebbe preoccupato di fare rapidamente una scelta, e poi inviarla con un corriere; il giornale avrebbe magari aspettato proprio l’arrivo di quel plico, per chiudere le pagine e mandarle in stampa. Sembra preistoria, e pure scomoda. Guardiamo su Google le foto del viaggio di Papa Francesco, mentre attraversa Central Park, a New York (ma potrebbe essere qualunque altro evento, concerto, manifestazione). Ci sono più smartphone sollevati verso il pontefice che foglie sugli alberi. Non si può più parlare di esclusiva, o di un diverso punto di vista, e ormai nemmeno di soldi. È vero che a fotografare la massa di fedeli e curiosi è stato un professionista, ma tra poco basterà un drone. O la conservazione della memoria: Se si considera che oggi in media solo un’immagine su centomila scattate viene stampata, di questo passo la generazione più fotografata di sempre non possiederà nemmeno una fotografia di sé. Le immagini di sei sette anni fa sono probabilmente custodite dentro supporti non più leggibili; molte altre sono scomparse quando abbiamo cambiato smartphone. Ne abbiamo condivise molte sui social media, ma ciò non basterà a testimoniare che cosa è successo veramente nella nostra vita, anche perché la selezione è realizzata attraverso algoritmi che non ci “conoscono”. E più avanti: Vint Cerf, uno dei cosiddetti “padri” della Rete, ha ammonito che non è sufficiente affidare le proprie fotografie alle nostre sicurezze digitali. Cerf, oggi uno dei capi di Google, prevede un “Medioevo digitale” in cui l’accelerazione di software e hardware renderà invisibili o inutilizzabili i nostri documenti sui dispositivi di domani. Il suo consiglio è: «Stampate le foto». O, ancora, un altro tema fondante, che a noi sta particolarmente a cuore: È arrivato il momento di ridare lustro alla didascalia. Arriva anche a citarci: ln un editoriale della rivista FOTOgraphia da lui diretta
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Da leggere! (febbraio 2015) il critico Maurizio Rebuzzini ha scritto: «Si deve rispondere prima di altro alla domanda fondante: come e quanto questi usi hanno cambiato e cambiano la vita; come e quanto questi abusi introducono retrogusti amari. Infatti, non è in pericolo una certa “purezza” della Fotografia, quanto è a rischio una necessaria serenità e armonia della Vita». Infine, il libro è pieno di aneddoti curiosi: Il primo essere umano ricoverato per danni psicofisici derivati dall’accumulo di immagini digitali -mille al giorno, e quattro ore e mezza impiegate quotidianamente per la loro organizzazione- è un olandese di 47 anni. Non aveva il tempo di guardarle: per la frustrazione non dormiva più. Oppure: Qualche tempo fa un giovane canadese, tale Jarad Frank, ventiduenne, era in vacanza in Perù insieme a un amico. Mentre camminavano lungo una ferrovia, Jarad decise che quello era un posto ideale per un selfie. Si avvicinò ai binari, tirando fuori l’espressione più seria che aveva. Alle sue spalle arrivò un trenino e il macchinista lo spedì lontano dal binario appena in tempo, con un calcio alla testa. La foto -in realtà 11 secondi di video- finì su YouTube. In una settimana la videro 24 milioni di persone, il che, tradotto nella nuova economia degli “autori” al tempo dei social media, significa che, grazie alla pubblicità, al ragazzo sono arrivati circa 200mila dollari. Una tale cifra, per qualche scat-
to involontario, con un’attrezzatura che vale poche centinaia di euro, e il tutto mentre era in vacanza. Per generare gli stessi introiti i professionisti lavorano cinque anni (è la media internazionale dei fatturati). Qualcosa non torna. Chiudo, ricordando un’altra importante riflessione di Michele Neri: Nel 2003 l’architetto australiano William J. Mitchell, un consulente per il MIT che tra i primi ha studiato la frontiera sempre più labile uomo e apparato tecnico, pubblicò un saggio dal titolo attuale: Me ++ (The MIT Press, 2003). Con quei due segni + dopo l’io, presagiva quello che vediamo oggi, esseri umani dotati di un’estensione tecnologica, destinata a comunicare. È l’ibridazione di cui scrive Benasayag. Mitchell non aveva previsto che la funzione principale di questi corpi ibridi sarebbe stata guardare e farsi guardare. Stiamo diventando macchine che guardano. Resta un passaggio, la fotocamera inserita nel corpo, con il compito dello scatto lasciato alla macchina, che conoscerà il momento migliore per entrare in azione. In questo modo diventeremo noi stessi macchine fotografiche e le immagini saranno una costante della realtà, tanto ovvia quanto il tempo. Non manca molto: sul mercato esistono già micro-camere indossabili che pesano appena venti grammi e sono in grado di scattare quattromila immagini di seguito, con una sola carica di batteria. A questo punto, verrebbe da dire
un po’ semplicisticamente: fermate il mondo, voglio scendere. Ma no, questo non deve avvenire. La Storia della nostra specie è un continuo scontro tra qualcosa e qualcosa altro, lo yin e lo yang, il bene (quello che piace a me) e il male (quello che piace agli altri). Dunque, io voglio fare tutto fuorché scendere. Ce ne sono di cose che ho ancora voglia di fare per il trionfo del bene (quello che piace a me). Un po’ di ottimismo, che diamine! Cito qualche frammento della poesia Oh me oh vita, di Walt Whitman: «Oh me, oh vita! / Domande come queste mi perseguitano, / infiniti cortei di infedeli, / città gremite di stolti. / Che v’è di nuovo in tutto questo, / oh me, oh vita? / Risposta. Che tu sei qui, / che la vita esiste e l’identità, / che il potente spettacolo continua, / e che tu puoi contribuire con un verso». Anche l’ultimo delicato e poetico pensiero con il quale Michele Neri saluta i propri lettori profuma di amore e ottimismo e rappresenta un piccolo verso: Sono al mare, c’è un sole invernale incredibilmente brillante. Mi fermo, estraggo l’iPhone e scatto. Se non mi sono accontentato di guardare il sole sul mare, è perché avevo in mente chi non era lì con me. Si fotografa sempre per qualcuno. Forse basta ricordarsi di questo. Cioè: la fotografia è sempre e comunque atto di amore. L’abbiamo letto anche su FOTOgraphia nel numero dello scorso ottobre. ❖
La parte storica di Angelo Galantini
QUELLE CATTEDRALI
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Come solo accennato in altra parte della rivista, su questo stesso numero, là dove commentiamo la sostanziosa partecipazione del talentuoso Francesco Radino all’imponente allestimento fotografico Le cattedrali dell’energia. Architettura, industria e paesaggio nelle immagini di Francesco Radino e degli Archivi Storici Aem [da pagina 34], allestita ed esposta fino al prossimo ventisette gennaio presso la Casa dell’Energia e dell’Ambiente, di Milano, la rassegna offre al pubblico un’ampia panoramica su luoghi e architetture che -tra passato e presente, da nord a sud Italia- rappresentano le strutture dell’impresa legate all’energia, dal 1910 a oggi: in allungo temporale distribuito su oltre un secolo di progetti e proposte pubbliche Aem (Azienda Elettrica Municipale). Nel modo e maniera sottolineati dal (lungo) titolo didascalico ed esplicito, il consistente resoconto fotografico, curato da Francesco Radino e Fabrizio Trisoglio, si articola in due sezioni, tra loro in stretto dialogo di contenuti, sottolineato dall’avvincente allestimento scenico. La prima ripartizione è scandita all’incessante ritmo di una sostanziosa campagna fotografica a colori, realizzata dall’attento Francesco Radino, nel 2016: in cadenza persistente, con ingrandimenti di dimensioni generose che si susseguono gli uni agli altri, gli uni ai precedenti, fino a comporre un tragitto a dir poco suggestivo e coinvolgente, sono visualizzati edifici simbolo dell’impresa, le nuove architetture del Gruppo a2a e i relativi territori, dalle centrali valtellinesi al Friuli, dai termovalorizzatori lombardi agli invasi della Calabria. La seconda sezione, dal taglio storico, propone un’accurata selezione di immagini in bianconero, appartenenti al rilevante patrimonio fotografico conservato negli Archivi Storici Aem: da questo fondo le illustrazioni riportate in queste pagine. Datate alla prima metà del Novecento, le fotografie documentano e testimoniano luoghi memorabili di Aem: imponenti centrali, officine, ricevitrici e monumenti elettrici
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dislocati a Milano, Cassano d’Adda (in provincia di Milano, nel territorio della Martesana) e in Valtellina, realizzate da Vincenzo Aragozzini, Guglielmo Chiolini, Antonio Paoletti, Gianni Moreschi e altri interpreti di primo piano della fotografia industriale. Così accostato, in un ritmo a due passi coabitanti, il corpus fotografico avvicina tra loro due sguardi, due epoche, due narrazioni diverse che intrecciano trasversalmente paesaggio, architettura ed estetica attraverso quattro principali elementi: acqua, terra, aria e fuoco, fondamentali anche per la produzione di energia. La mostra Le cattedrali dell’energia. Architettura, industria e paesaggio nelle immagini di Francesco Radino e degli Archivi Storici Aem è accompagnata da un volume-catalogo che riunisce e sintetizza lo stesso percorso espositivo... in ordine inverso: edizione che consente di ricordare meglio questo attraente e convincente cammino, lasciando traccia (car-
Quadro di manovra per le linee elettriche in entrata e uscita dalla centrale di piazza Trento, a Milano (Fotografia di Gianni Moreschi; gennaio 1931). (pagina accanto, in alto) Cabina elettrica all’aperto della ricevitrice nord Aem, Milano (Fotografia di Antonio Paoletti; anni Trenta). (pagina accanto, in basso) Particolare della diga Aem di San Giacomo, Valtellina (Fotografia di Adolfo Ferrari; 7 agosto 1970). [A pagina 40, rivisitazione nel 2016 di Francesco Radino].
tacea) indelebile della sequenza visiva che allinea Storia con Contemporaneità, in interpretazioni autoriali (e, a questo proposito, rimandiamo alle considerazioni in presentazione della campagna fotografica a tema, di Francesco Radino, su questo stesso numero, da pagina 34). Quindi, in anticipo sulle Rivisitazioni di Francesco Radino, qui e ora sono opportune note aggiuntive sull’Archivio storico fotografico Aem (altrove, Archivi Storici Aem). Dichiarato di interesse storico-culturale dalla Soprintendenza archivistica per la Lombardia, questo Archivio comprende oltre centottantamila documenti fotografici, che illustrano la realtà industriale dai primi anni del Novecento fino ai giorni nostri. Si passa dalla storia ed evoluzione dell’azienda elettrica municipalizzata, che oggi si propone come impresa multiservizi, ai cambiamenti storico-economici e politici della città referente (Milano), al passo delle trasformazioni sociali della comunità ed evoluzioni del
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STORICO FOTOGRAFICO
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La parte storica
territorio lombardo, a partire da quello montano valtellinese. Suddiviso in diversi fondi, l’Archivio si è progressivamente composto per addizione, grazie all’opera dei tanti fotografi che hanno collaborato con l’Azienda Elettrica Municipale. In particolare, dal fascismo ai primi anni Cinquanta, con i propri servizi fotografici, autori del calibro di Antonio Paoletti, Vincenzo Aragozzini e Guglielmo Chiolini hanno costituito un diario serrato di immagini che racconta la progressiva modernizzazione elettrica di Milano e la costruzione dei grandi impianti in Valtellina. Comunque, in nota parallela e accompagnatoria, va annotato che l’elettricità a Milano nasce nel secondo Ottocento con un contributo celebre (per accadimenti successivi). Originario della Germania del sud, per la precisione nato a Bad Buchau, nel land del Baden-Württemberg, Hermann Einstein (1847-1902) fu un pioniere dell’elettricità: nel 1885, realizzò l’illuminazione di edifici nel quartiere del-
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La parte storica Cantiere della diga di San Giacomo, Valtellina (Fotografia di Guglielmo Chiolini; anni Quaranta).
ARCHIVIO
STORICO FOTOGRAFICO
AEM / FONDAZIONE AEM, MILANO (3)
Gasometro “Cutler” dell’Officina del gas alla Bovisa, Milano (Fotografia Studio 22; 24 luglio 1962).
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Giochi d’acqua temporanei installati presso la ricevitrice nord Aem, Milano (Fotografia di Antonio Paoletti; 13 settembre 1938).
l’Oktoberfest, di Monaco di Baviera. Sull’incalzare di concorrenze industriale agguerrite, in particolare delle potenti Siemens & Halske e Aeg, nel 1895, trasferì a Milano le proprie apparecchiature per la corrente continua, basandosi sulla centrale elettrica di Santa Radegonda, in pieno centro cittadino, costruita nel 1883 dall’ingegner Giuseppe Colombo (la prima nell’Europa continentale). Questa vicenda, spesso relegata a margine di storiografie cittadine, è in qualche modo ricordata da una delle tante targhe marmoree che sottolineano luoghi storici di Milano. Nella centrale via Bigli 21, pochi passi da via Manzoni, sono collocate due targhe: una ricorda il salotto di Clara Maffei, nel quale si sono svolte memorabili serate di discussioni d’arte e letteratura, e dove sono stati alimentati i cuori dei patrioti del Risorgimento; l’altra certifica che nel palazzo, tra il 1894 e il 1900, visse Albert Einstein (1879-1955), il padre della teoria della relatività, premio Nobel per la Fisica, nel 1921. Per quanto si riferisca a un’età giovane, in anticipo sulla sua maturazione culturale e scientifica, la targa è comunque ideologicamente falsa. Infatti, negli anni durante i quali la famiglia Einstein visse a Milano (papà Hermann, sua moglie Pauline e la figlia Maja), peraltro neppure continuativamente, Albert Einstein vi compì apparizioni quantomeno fugaci. Tanto che in nessuna sua biografia si menzionano frequentazioni milanesi. Nulla di che, ma soltanto il piacere dell’aneddotica. Forse. ❖ Le cattedrali dell’energia. Architettura, industria e paesaggio nelle immagini di Francesco Radino e degli Archivi Storici Aem; a cura di Francesco Radino e Fabrizio Trisoglio; mostra ideata e promossa dalla Fondazione Aem - Gruppo a2a. Casa dell’Energia e dell’Ambiente, piazza Po 3, 20144 Milano; 02-7720 3935; www.fondazioneaem.it, fondazioneaem@a2a.eu. Fino al 27 gennaio 2017; lunedì-venerdì, 9,00-17,30 (chiusura dal 23 dicembre al 7 gennaio 2017). ❯ Volume-catalogo Le cattedrali dell’energia. Architettura, industria e paesaggio nelle immagini di Francesco Radino e degli Archivi Storici Aem; Fondazione Aem - Gruppo a2a, 2016; 96 pagine 22,7x21cm; distribuzione a cura della Fondazione Aem - Gruppo a2a.
Cinema
di Maurizio Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
ET VOILÀ, NIKKORMAT
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Fino al 1979, di nascita della piccola ed economica Nikon EM, l’identificazione “Nikon” ha indicato solo e soltanto gli apparecchi di vertice della prestigiosa proposta fotografica: nata a telemetro, con l’originaria Nikon I, del 1948, e approdata alla prima reflex a sistema, la leggendaria Nikon F, nel 1959. Fino alla citata EM, in tempi di reflex, le configurazioni non a sistema furono definite altrimenti, proprio per sostanziosa distinzione tecnico-commerciale. Così, la reflex Nikon non a sistema, che però accedeva alla gamma di obiettivi in baionetta F Mount, fu identificata Nikkormat (in Europa, dove non fu possibile conservare l’originaria enunciazione Nikomat, troppo simile ad altre allora sul mercato). E, per anni e anni, la Nikkormat fu reflex di successo: porta di ingresso all’ambìto sistema fotografico, economicamente più accessibile delle Nikon F e Nikon F2. Tante le testimonianze individuali al proposito... la nostra personale, tra tutte. Per quanto riguarda la presenza Nikon in sceneggiature e/o scenografie fotografiche ne abbiamo riferito in tante occasioni, sia in richiamo/abbinamento film singoli (tanti e tanti i titoli), sia in riferimento a se stessa: soprattutto, nel marzo 2009, ne sottolineammo un casellario approfondito. Quindi, in subordine, non possiamo dimenticare l’analoga presenza al cinema della Nikkormat, che si è ritagliata almeno un paio di ottime citazioni. Eccole. Una Nikkormat è tra le mani del confusionario neolaureato ingegner Colombo (interpretato da Maurizio Nichetti, qui alla sua prima regia) di Ratataplan, del 1979, amabile e surreale film che ha illuminato una stagione cinematografica, influendo -magari- anche su una generazione... addirittura. Ai tempi, ormai remoti, sia anagraficamente sia per sopraggiunte evoluzioni sociali e di costume, che tutti ben conosciamo, avendole vissute in diretta, giorno dopo giorno, ci domandammo come mai “Nikkormat” e non “Nikon F” (oppure, Nikon F2, dal 1971, ma non Nikon F3, che sarebbe arrivata nel 1980). Risposta facile, risposta evi-
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dente: perché la Nikkormat è congeniale alla sconclusionata personalità del protagonista del film, più e meglio di quanto avrebbe potuto esserlo l’aristocratica reflex Nikon a sistema, top di gamma (e non ce ne voglia l’amata Nikkormat, che occupa un posto privilegiato nel nostro cuore, ma la gerarchia esistenziale qui ci sta tutta). È ancora e altrettanto Nikkormat nello stopposo film Ospite d’inverno, di Alan Rickman (The Winter Guest, Gran Bretagna e Usa, 1997), ovviamente in base a un parametro esistenziale individuale, che nulla toglie alle intenzioni originarie della sceneggiatura. Comun-
Nikkormat tra le mani di Emma Thompson, nei panni di Frances, protagonista del film Ospite d’inverno, di Alan Rickman, del 1997. Nikkormat per il confusionario neolaureato ingegner Colombo (interpretato da Maurizio Nichetti, alla sua prima regia) di Ratataplan, del 1979: film surreale e amabile.
que, nel film, la protagonista Frances, interpretata dall’attrice Emma Thompson, riflette sulla propria macchina fotografica (per l’appunto, una Nikkormat): «Vede quello che dico io. Di volta in volta, scopre l’animo delle persone, vede quello che hanno dentro, se si lasciano andare. [...] Se sono fortunata, mi mostrerà anche i loro segreti, li porterà allo scoperto, uno ad uno». Tra l’altro e a margine e a completamento: se questa intenzione, tale finalità, tanto proponimento non è anche una delle missioni della fotografia... diteci voi cosa altro è. ❖ Restiamo in attesa.
di Angelo Galantini
S
ettantratré ritratti di piccole dimensioni, montati su cartoncino 72x40mm, arrotondato ai bordi, tutti certificati sul retro, come si è stati soliti fare con le pose in studio fino a qualche decina di anni fa (Carte de visite, Formato Margherita e altre finiture): Photographie Artistique & Industrielle Kirsch - 3, Rue des Calisses, Liége - Maison foundée en 1856 [a pagina 32]. Settantatré volti che ci fissano dal passato remoto; settantatré volti che osserviamo oggi, chiedendoci chi siano, che speranze hanno avuto, che sogni sono riusciti a concretizzare, se sono stati felici, oppure hanno subìto sventure o eventi dolorosi. Di loro, dal fronte del cartoncino di supporto, immediatamente sotto il ritratto sfumato su fondo bianco, sappiamo soltanto i cognomi, che rivelano l’essenza di un mondo (scolastico) multietnico di classe medio-alta. Sono gli allievi dell’Anno Scolastico 1896-1897 (esattamente, centoventi anni fa), dell’Istituto Elettrotecnico Montefiore, di Liegi: è scritto, in italiano, in bella calligrafia, sul retro del supporto sul quale i ritratti sono stati pazientemente accostati [ancora, a pagina 32], per stare tutti assieme, in una austera cornice 51x53cm (sei file di dodici ritratti ciascuna, e uno tenuto da parte, considerata l’impossibilità di frazionare per quantità numericamente accostabili). Non ci interessa minimamente approfondire le vicende e la logistica dell’istituto scolastico italiano (è evidente), con sede nella città francofona del Belgio. Non ci interessa la retrovisione storica, che sarebbe puro esercizio di stile, fine a se stesso, oltre che inutile e superfluo. Invece, ci soffermiamo davanti ai volti, davanti alle posture, davanti ai ritratti. Li scorriamo uno a uno, li accostiamo tra loro; smontata la cornice di contenimento -entro la quale li abbiamo individuati-, conserviamo l’ordine originario, che probabilmente ha risposto a una certa disciplina (per quanto a noi estranea e sconosciuta), e ricostruiamo un cammino consequenziale (forse si, forse no), allestito originariamente: per similitudine o discordanza, secondo l’umore del momento. Però, qualsiasi sia l’ordinamento, qualsiasi sia la cadenza, si impone soprattutto l’intensità di sguardi e la fierezza delle pose. Non lasciamoci ingannare dall’aspetto esteriore, dalla postura e dall’abbigliamento. Non si tratta di signori avanti negli anni, come potrebbe sembrare a prima vista. Sono passati oltre cento anni, centoventi per la precisione, e dunque non possono essere applicati i parametri che definiscono l’aspetto fisico dei nostri giorni, della contemporaneità: questi impettiti signori sono tutti vicini ai venti anni di età... molto probabilmente, alcuni sono addirittura più giovani, tanto da essere ancora in un tempo di apprendimento scolastico. (continua a pagina 32)
In un mercatino antiquario è stata rintracciata una cornice entro la quale sono riuniti settantatré ritratti di un insieme scolastico di fine Ottocento (1896-1897). Non è questo che conta, ma da questo si parte per altre considerazioni sullo scorrere del Tempo e sulla sua sottolineatura attraverso ritratti fotografici del passato remoto. Centoventi anni dopo, siamo ancora qui a osservare, stupiti di poter liberare il nostro pensiero verso tragitti evocativi individuali, e forse fantastici. La fotografia è magica e magia giusto per questo (forse). Se la osservate attentamente, e vi allineate con il suo spirito, vi può rivelare molto su voi stessi 24
SGUARDI ELOQUENTI
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(continua da pagina 24) Ma questa dell’età, subito accantonata, non è la questione fondante, la questione che definisce il valore e senso della fotografia che attraversa il Tempo. Invece, l’argomento-soggetto è un altro: riguarda, prima di tutto, la forza evocativa del ritratto fotografico, che -volente o nolente- finisce per definire non solo l’aspetto esteriore/fisico, a tutti evidente, ma lascia intravedere l’animo interiore. Davanti alle imponenti attrezzature da sala di posa di fine Ottocento, questi settantatré allievi hanno osservato l’obiettivo del fotografo, che sicuramente li ha invitati a “guardare verso la macchina (fotografica)”, pensando a se stessi, alla propria vita, al proprio futuro. Ecco, dunque, che -riprendendo note introduttive- oggi noi osserviamo settantatré volti che ci fissano dal passato remoto, «chiedendoci chi siano, che speranze hanno avuto, che sogni sono riusciti a concretizzare, se sono stati felici, oppure hanno subìto sventure o eventi dolorosi». Come abbiamo già avuto modo di rilevare, una sostanziosa distinzione tra pittura (realistica) e fotografia sta proprio nella caratteristica fondante della stessa fotografia, il cui effetto di realtà riguarda innanzitutto la propria aderenza formale a ciò che rappresenta. Per quanto il suo contenuto possa essere manipolato e selezionato, il suo supposto valore di verità documentaria fondato sulla tecnica non ne viene scalfito. Infatti, la grande rivoluzione della fotografia è stata quella di mostrare la realtà senza apparenti mediazioni e da qui, forse, è nata la sua diffusione e popolarità anche come documento. Quindi, questi settantatré volti sussurrano storie, suggeriscono esistenze, annullano il Tempo. Centoventi anni dopo, siamo ancora qui a osservare, stupiti di poter liberare il nostro pensiero verso tragitti evocativi individuali, e forse fantastici. La fotografia è magia giusto per questo. Non necessariamente racconta dei propri soggetti, spesso invitati a richiamare altre intimità che non la loro apparenza a tutti manifesta. Ma rivela sempre qualcosa di più, di altro, di alto, che coinvolge tutti nella sua visione. ❖
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GUARDARE, P
Vedere, non solo guardare, in allineamento alle intenzioni dell’autore. Così che, mai come nel caso della consistente serie fotografica di Francesco Radino, declinata per e con le Cattedrali dell’energia, è indispensabile il consiglio di guardare non venendo meno a se stessi, così come chi scrive lo fa dal proprio punto di vista, oggettivamente viziato, quantomeno mirato: guardare, per vedere
PER VEDERE
CENTRALE TERMOELETTRICA DI CASSANO D’ADDA (MI)
di Maurizio Rebuzzini
(DOPPIA PAGINA PRECEDENTE) TERMOUTILIZZATORE
DI
BRESCIA
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essuna delle fotografie che modulano la campagna realizzata dal talentuoso Francesco Radino raffigura i soggetti che promettono e anticipano: Le cattedrali dell’energia. Architettura, industria e paesaggio nelle immagini di Francesco Radino, per l’appunto, che in allestimento scenico si accompagnano con ulteriori analoghe immagini del passato, degli Archivi Storici Aem. Nessuna, proprio nessuna, raffigura ciò che promette e anticipa. Invece, allo stesso momento, e per imperiosa azione d’autore, tutte insieme rappresentano i soggetti garantiti e assicurati. Da cui, come spesso annotiamo -e qui lo facciamo una volta ancora, una di più, mai una di troppo-, la differenza tra raffigurare e rappresentare è sostanziosa, sostanziale e fondamentale: implica la consapevolezza di cosa sia il lessico della fotografia, per ciò che ciascuno di noi intende con adeguata nozione. Questa specifica è sempre stata necessaria per definire l’idea stessa di Fotografia. In attualità, e con cognizione di causa, oggi più che mai, la stessa specifica è più che necessaria: addirittura, dovuta. Infatti, complice la socialità dei nostri giorni, i parametri di immagine si sono dilatati e smembrati, fino a confondere tra loro gli effettivi termini del discorso. Dunque, sia chiaro e chiarito subito, che per Fotografia continuiamo a intendere l’applicazione volontaria e consapevole del proprio lessico specifico, lasciando ad altri territori e altre istanze l’uso compulsivo dell’immagine per e da social network, che vive e si manifesta per conto proprio. Da cui e per cui, anche alla luce di questa attuale campagna, finalizzata a una imponente mostra, con volume-catalogo di accompagnamento [su questo stesso numero, da pagina 18], Francesco Radino è un fotografo, con tutto quanto questa identificazione comporta, ha sempre comportato e sempre comporterà. Essere fotografi significa soprattutto, ma non già soltanto, essere capaci di declinare un linguaggio visivo specifico, contornato da adeguate doti etiche e dentologiche.
Convinti come siamo che l’espressività fotografica abbia sostanziosi debiti di riconoscenza con il teatro, la sua messa in scena, il suo modo di pronunciarsi, osservando le fotografie di Francesco Radino -che qui declina al culmine di una esperienza individuale radicata nei decenni-, ognuno di noi dischiude le porte di un mondo amabilmente rappresentato. In mostra di stampe originarie, dalle pagine della monografia di accompagnamento (che introduce anche la possibilità di un ritmo visivo individuale), dal monitor del computer, persino, prende vita una teatralità visiva che esclude qualsivoglia ambiente circostante, per dare esistenza alle sole immagini. In una suggestiva sequenza temporale, dal soggetto alla sua abile rappresentazione, dal vero alla sua immagine, i passi compiuti da Francesco Radino diventano nostri. Vedere, non solo guardare, in allineamento alle intenzioni dell’autore. Così che, mai come nel caso di questa consistente serie fotografica di Francesco Radino, declinata per e con le Cattedrali dell’energia, è indispensabile il consiglio di guardare non venendo meno a se stessi, così come chi scrive lo fa dal proprio punto di vista, oggettivamente viziato, quantomeno mirato: guardare, per vedere. Non si può rimanere indifferenti di fronte alla solenne qualità di contenuti di queste fotografie, che l’autore ha visualizzato e realizzato in chiara dipendenza e relazione dalla propria lunga parabola esistenziale, che dal punto di vista produttivo si sta estendendo da mezzo secolo, tra l’altro in un lasso di tempo assolutamente discriminante per il linguaggio fotografico applicato, che è debitore alla propria mediazione tecnica (e di questo non è il caso di parlare). Questo progetto è significativo e significante da infiniti punti di vista, tanto che ciascuno ha pure il dovere di aggiungerne anche di propri. Subito va sottolineato come in fotografia, al pari e allo stesso tempo diversamente da altre forme di comunicazione, esiste un legame indissolubile tra conoscenza e pratica, tra sapere e fare. In questo, sono esemplari l’esperienza professionale e l’impegno personale di Francesco Radino, che ha fotografato sia per incarico, sia sollecitato da progetti personali. L’avvicinamento alle sue foto-
CALUSIA (KR) IDROELETTRICA DI
CENTRALE
grafie, la presa di contatto con il suo modo di registrare la realtà (questa è la materia delle sue immagini) deve seguire la consecuzione che ha guidato la sua stessa azione. Per ogni fotografia, Francesco Radino ha sempre applicato un rigore morale assoluto. Ha agito come pochi autori di grande statura espressiva sanno fare (e per questo merita di essere elencato nel ristretto casellario dei maestri della fotografia contemporanea). Mai invasivo, mai sovrapposto ai propri soggetti, è stato testimone partecipe della vita, riuscendo a congelare istanti rappresentativi non soltanto di se stessi. Francesco Radino ha usato la macchina fotografica con una abilità fuori dal comune: da un lato, la stessa macchina fotografica ha sollecitato il contatto con i soggetti, dall’altro lui ha saputo tenerla a necessaria distanza. Nell’apparenza del semplice e quotidiano, la sua fotografia si è focalizzata su aspetti di esistenza non sempre facili. Non si è nascosto dietro la macchina fotografica, facendosi proteggere dal suo filtro tra realtà e rappresentazione, ma l’ha usata per introdursi in mondi e situazioni altrimenti impenetrabili. Anche in questo, non soltanto in questo, sta la sua grandezza d’autore. Nel suo lavoro si è lasciato guidare e condurre da ciò che di volta in volta l’ha toccato e sorpreso. Le sue fotografie hanno un alto tasso di misterioso, che consente a ciascun osservatore di aggiungere visioni proprie personali (ancora!). Alcune volte richiamano per ciò che è incluso nell’inquadratura, altre volte per quanto ne è restato fuori. Nella propria sensibilità d’autore, Francesco Radino rivela l’essenza stessa della fotografia, che non prevede formule assolute per la propria realizzazione. È sempre un processo misterioso, quasi una sfida senza fine. Con la macchina fotografica consapevolmente tra le mani, nuove idee si schiudono continuamente e nuove possibilità si rivelano a ogni passo. È per questo sottile territorio, invisibile e non delineato da confini certi e certificati, che passa la linea discriminante che separa “fare fotografie”, “scattare fotografie”, dall’“essere fotografo”: tra quanti (tutti) possono tenere tra le mani una macchina fotografica, solo
il fotografo è capace di aprirsi abbastanza, di mettersi in gioco, per riconoscere queste “possibilità” nel momento in cui appaiono. Solo il fotografo sa portarle avanti e perseguirle. Dal punto di vista fotografico, allo stesso momento, Francesco Radino è figlio e padre dei propri tempi. Ha materializzato un dualismo definito da una conoscenza della vita basata sulla propria pratica quotidiana, cioè dalla produzione e dalla propria attività professionale. Nel concreto, oggigiorno, non possiamo ignorare che l’attività produttiva dell’uomo sia l’attività pratica fondamentale, che determina anche ogni altra forma di attività. La conoscenza di ciascuno dipende soprattutto dall’attività produttiva materiale: attraverso questa, ognuno riesce a comprendere grado a grado i fenomeni, le proprietà e le leggi della natura, come pure i propri rapporti con la natura e la realtà; inoltre, attraverso l’attività produttiva, a poco a poco, ognuno raggiunge diversi livelli di comprensione di certi rapporti reciproci tra gli uomini. Tutte queste conoscenze non possono essere acquisite al di fuori dell’attività produttiva. Nella società, nel corso della propria attività (soprattutto professionale), ogni persona collabora con altri, entra in determinati rapporti di produzione con il prossimo e si impegna nell’attività produttiva per risolvere i problemi della vita materiale. Come rivela la progressione delle fotografie di Francesco Radino, scandite dal ritmo degli anni che trascorrono tra le une e le altre (e qui osserviamo una visione assolutamente contemporanea), facendo altresì accumulare tempo ed esperienze personali, a tutti gli effetti, questa è la principale fonte di accrescimento della conoscenza umana, ed è logico ritenere che la conoscenza individuale evolva passo a passo, dagli stadi più bassi ai più alti, cioè dal superficiale al profondo, dall’unilaterale al multilaterale. Se, di fronte all’imponente opera fotografica di Francesco Radino, è lecito esprimere un valore sopra tutti, è doveroso chiamare in causa un identificato senso di consapevolezza via via acquisita, prontamente trasmessa all’esterno. (continua a pagina 43)
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CENTRALE TERMOELETTRICA DI MONFALCONE (GO)
DIGA DI SAN GIACOMO (SO)
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CENTRALE
IDROELETTRICA DI
GROSIO (SO)
CENTRALE TERMOELETTRICA DI MONFALCONE (GO)
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TERMOUTILIZZATORE
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BRESCIA
CENTRALE
IDROELETTRICA DI
FRAELE (SO)
Ormai aveva al suo attivo centinaia di inchieste. Sapeva che quasi tutte si svolgono in due tempi e comportano due fasi diverse. All’inizio, il poliziotto deve prendere contatto con un’atmosfera nuova, con persone di cui fino al giorno prima ignorava l’esistenza, con un piccolo mondo sconvolto da un dramma. Entra in quel mondo da estraneo, da nemico. Deve scontrarsi con esseri ostili, scaltri o enigmatici. Eppure, per Maigret quella era la fase più appassionante. Si annusa l’aria. Si va a tentoni. Non ci sono punti di riferimento, e spesso nemmeno un vero punto di partenza. (continua da pagina 37) Servizio dopo servizio, tema dopo tema, progetto su progetto, l’autorevole Francesco Radino è stato guidato da una intuizione che fa la differenza; la stessa che oggi guida l’esame di questa sua recente produzione: la pratica è superiore alla conoscenza (teorica), perché possiede non solo il pregio dell’universalità, ma anche quello dell’immediata realtà. Lo scorrere del tempo, durante il quale il bravo fotografo toscano (di origine, ma milanese per consapevolezza) ha affrontato argomenti in logica consecuzione (d’autore!), sottolinea che la teoria dipende dalla pratica, che la teoria si basa sulla pratica e, a propria volta, serve la pratica (teoria-pratica-teoria, dunque). In altri termini, le singole osservazioni riscontrate hanno provocato determinate percezioni, fatto sorgere una serie di impressioni collegate da un nesso approssimativo esteriore. Dopo questa prima fase della conoscenza, proseguendo nel contatto diretto con il proprio impegno fotografico, Francesco Radino è approdato a numerose ripetizioni degli avvenimenti, che hanno suscitato in lui percezioni e impressioni: e allora si è prodotto un subitaneo cambiamento (un salto) nel processo della conoscenza e sono nati i concetti. Da questo momento, il fotografo applica il proprio linguaggio espressivo caratteristico non riflettendo più l’aspetto fenomenico, gli aspetti singoli e i nessi esterni dei fatti, ma cogliendo l’essenza della realtà, il proprio insieme e il proprio nesso interno. Come rivela la progressione della fotografia di Francesco Radino, che ognuno di noi può misurare e conteggiare in relazione allo scorrere del tempo, la differenza tra concetto e percezione non è stata soltanto quantitativa ma anche qualitativa. Procedendo in questa direzione e servendosi dei metodi del giudizio e della deduzione, l’autore ha offerto conclusioni logiche (provocatoriamente, ma neppure poi molto, rimandiamo a un passaggio da un romanzo di Georges Simenon, riportato qui sopra). Dunque, dal punto di vista espressivo, Francesco Radino è stato figlio e padre di un’epoca nella quale la fotografia si è manifestata
Si resta a guardare la gente che si agita, e chiunque può essere il colpevole. All’improvviso, si afferra il bandolo della matassa, e così comincia la seconda fase. L’inchiesta si avvia. L’ingranaggio si mette in moto. Ogni passo, ogni iniziativa porta a una nuova scoperta, e, quasi sempre, il ritmo si fa più rapido per poi sfociare in una brusca rivelazione. Il poliziotto non è più solo ad agire. Gli eventi lavorano per lui, quasi a prescindere dalla sua volontà. Lui deve solo seguirli, senza lasciarsi mai prendere la mano. Georges Simenon, da La balera da due soldi; Adelphi, 1995 ed espressa anche attraverso la riflessione e (certa) lentezza dei propri strumenti. In ripetizione da quanto annotato in avvio, l’osservazione è obbligatoria oggi, non soltanto necessaria, alla luce delle frenetiche rapidità che stanno condizionando sia la socialità tutta del mondo occidentale, sia aspetti mirati della vita (tra i quali, quello del ricercare fotografie e dell’essere fotografo). Nell’ambito fotografico, e indipendentemente da altre tante considerazioni possibili, Francesco Radino ha perfezionato il proprio percorso espressivo con la fotografia argentica: quella esposta su pellicola fotosensibile, successivamente trattata e trasformata con processi (chimici) adeguatamente cadenzati. Questa è una Fotografia, la maiuscola è d’obbligo, che affonda le proprie radici espressive indietro nei decenni, fino addirittura nei secoli, e non dipende dalla sola produzione automatica di immagini. A parte altri aspetti positivi, che qui non interessano, una certa essenza della fotografia digitale dei nostri giorni non ha analoghi natali, ma dipende da una società che consuma tutto in fretta e furia. Invece noi, ora, guardiamo queste fotografie di Francesco Radino, la cui ciclopica produzione distribuita in un lungo arco temporale di cinquant’anni (mezzo secolo, ci dà da pensare) è abilmente suddivisa in opportune sezioni tematiche. Non capiremo mai, se non rallentiamo. Non si vada troppo in fretta. Ogni fotografia è parte di un insieme, che aiuta a comporre, ma è diversa dall’altra. Rallentare. Questo è il consiglio. Sapete com’è: domani e domani e domani, il tempo scorre a piccoli passi. ❖ Le cattedrali dell’energia. Architettura, industria e paesaggio nelle immagini di Francesco Radino e degli Archivi Storici Aem; a cura di Francesco Radino e Fabrizio Trisoglio; mostra ideata e promossa dalla Fondazione Aem - Gruppo a2a. Casa dell’Energia e dell’Ambiente, piazza Po 3, 20144 Milano; 02-7720 3935; www.fondazioneaem.it, fondazioneaem@a2a.eu. Fino al 27 gennaio 2017; lunedì-venerdì, 9,00-17,30 (chiusura dal 23 dicembre al 7 gennaio 2017). ❯ Volume-catalogo Le cattedrali dell’energia. Architettura, industria e paesaggio nelle immagini di Francesco Radino e degli Archivi Storici Aem; Fondazione Aem - Gruppo a2a, 2016; 96 pagine 22,7x21cm; distribuzione a cura della Fondazione Aem - Gruppo a2a.
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La fotografia come nessun altro l’ha mai raccontata.
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GIULIANO FERRARI: GRAND TOUR. SMARTPHONE E DINTORNI... È FOTOGRAFIA. Ruolo narrativo
di Antonio Bordoni
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Proseguendo nella sostanziosa e appagante ipotesi di affascinante Ritorno al grande formato, in una interpretazione lieve e gratificante (nessun assoluto, nessuna religione), riprendiamo una condizione discriminante, oltre che sostanziosamente pedagogica per l’indivisibile impegno fotografico complessivo. A parte annotazioni parallele, non utilitaristiche, oggigiorno la vera discriminante tecnica degli apparecchi grande formato, per quanto nel proprio Ritorno, non deriva tanto dalle dimensioni dei fotogrammi esposti, quanto -invece- dalla costruzione a corpi mobili. Mediante il basculaggio e il decentramento dei piani principali si possono controllare la prospettiva e la distribuzione della nitidezza secondo esigenze di rappresentazione fotografica. Una volta ancora e una di più: la prospettiva dipende dal punto di ripresa e dalla collocazione del piano immagine
LUOGO A DUE PASSI DAL CIELO
nzitutto, è obbligatoria una precisazione perentoria e decisiva: a partire da un punto di vista tecnico-commerciale, che presto si proietta verso e sull’espressività del linguaggio applicato e svolto, è inutile -non soltanto superfluo- ignorare la realtà fotografica dei nostri giorni. Oggigiorno, la tecnologia di acquisizione (e gestione) digitale di immagini è inviolabilmente sostitutiva della lunga storia chimica (materiali sensibili alla luce e contorni e dintorni), evolutasi a partire dal 1839, di nascita ufficiale della fotografia, in forma di dagherrotipo. Senza alcuna animosità, lontani da qualsivoglia nostalgia (fine a se stessa), estranei a inutili controversie e contrapposizioni, siamo qui a registrare che la Storia (fosse anche solo quella tecnologica) va comunque avanti, con o senza di noi. Però, con altrettanta pacata e lieve serenità, registriamo come e quanto a qualcuno piaccia attardarsi con compagnie fotograficamente storiche: del passato, sia prossimo, sia remoto, che da questo stesso passato avvolgono il presente con un’aura che arricchisce e impreziosisce le nostre esistenze. A conseguenza, e in collegamento, non applichiamo, né frequentiamo, né proponiamo, né sollecitiamo alcuna antitesi, alcun contrasto, ma -molto più concretamente- siamo consapevoli che il proposto Ritorno al grande formato, sostenuto da FOTOgenia (nelle persone di Giancarlo D’Emilio e Maurizio Rebuzzini, il nostro direttore) con-
LUIGI FACCHINETTI FORLANI:
Prima di arrivare a esemplificazioni didascaliche, scandite soltanto in relazione alle proprie utilità visive contingenti, è opportuno riflettere insieme sul contenuto: lasciando poi i passi della forma ai campioni riportati -per l’appuntoa solo titolo di esempio. Per farlo, per riflettere sul contenuto, attingiamo dall’avvincente e convincente progetto Bergamo Città Alta. Un luogo a due passi dal cielo, di Luigi Facchinetti Forlani, in monografia Bolis Edizioni, del 2010 [ FOTOgraphia, ottobre 2010]. All’atto pratico, tre interpretazioni fotografiche dell’attento Luigi Facchinetti Forlani sono oggi finalizzate al senso e valore della restituzione prospettica, con tutti i propri carichi di racconto fotografico pertinente. Sulla doppia pagina: Porta san Giacomo Palazzo Medolago [da inquadratura orizzontale].
PROSPETTIVA & CONTORNI
Corretta raffigurazione di un quadretto tridimensionale di evocazione fotografica (dalla Collezione di Maurizio Rebuzzini). Tre passi evidenziano come le visioni laterali, da destra e sinistra, possano essere prospetticamente corrette con aggiustamenti competenti del piano immagine rispetto il piano del soggetto, ma rimangono “visioni da destra e sinistra”, per/con quanto ciò comporta in termini volumetrici (e relativa prospettiva).
voca verso un mondo magico e incantato, nel quale «Quel tarlo dell’esistenza chiamato orologio non ha alcuna importanza» (in adattamento, da e con Georges Simenon, in L’enigmatico signor Qwen ). Fino a qualche stagione fa utensile indispensabile e irrinunciabile del professionismo fotografico, oggigiorno, la configurazione grande formato a corpi mobili (dotati di movimenti controllati di decentramento e basculaggio dei piani principali) si offre e presenta con altri connotati, si ri-propone per altra personalità. In questo senso, il Ritorno al grande formato è da interpretare sia per se stesso (l’attardarsi sul passato può anche limitarsi a questo), sia come autentica e privilegiata e autorevole base strumentale per eventuali e successive proiezioni in allungo. In questo senso, la conoscenza di princìpi operativi è ancora utile, forse addirittura necessaria, per l’interpretazione attuale della fotografia in grande formato e con il grande formato... qualsiasi cosa ciò possa significare per ciascuno di noi. Si tratta di semplici condizioni geometriche, la maggior parte delle quali perfino intuitive, che dirigono e governano la raffigurazione del soggetto, anzitutto composto e inquadrato con efficace restituzione prospettica, in altre situazioni e condizioni inteso con opportuna e consapevole nitidezza; oppure, all’opposto, con distribuzione personalizzata di piani di sfocatura volontaria, collaudata e indirizzata [FOTOgraphia, novembre 2015].
Uno: punto di vista frontale (con relativa fuga prospettica destra-sinistra simmetrica).
Due: punto di vista laterale, da destra (con relativa fuga prospettica del lato sinistro).
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BERGAMO CITTÀ ALTA. UN DA
LUIGI FACCHINETTI FORLANI:
Ancora dal progetto fotografico di Luigi Facchinetti Forlani Bergamo Città Alta. Un luogo a due passi dal cielo (in monografia Bolis Edizioni, del 2010): Biblioteca Angelo Mai piazza Vecchia.
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Tre: punto di vista laterale, da sinistra (con relativa fuga prospettica del lato destro).
Nel concreto di considerazioni operative, è dovuta un’altra puntualizzazione, sulla quale insistiamo e insisteremo a lungo: non è assolutamente vero che la prospettiva dipende dalla lunghezza focale dell’obiettivo usato. Ovverosia, non è affatto vero che gli obiettivi grandangolari deformano e i teleobiettivi no. Ciò che condiziona la prospettiva è -prima di tutto- la distanza di ripresa: più vicini si sta al soggetto, più si possono introdurre alterazioni prospettiche, dovute alle diverse distanze di visione all’interno dell’angolo di campo. A conseguenza, è necessaria un’altra annotazione: a parità di distanza di ripresa, più l’angolo di campo dell’obiettivo è ampio, maggiore risulta la deformazione periferica, appunto condizionata dai diversi ingrandimenti delle relative porzioni del soggetto (come evidenziato nel riquadro schematico pubblicato a pagina 54 e 55). I punti di ripresa sistematicamente più lontani ammorbidiscono i rispettivi valori, perché la differenza tra i piani distinti del soggetto -rispetto al punto di vista- è sostanzialmente ininfluente. Dunque, uno stesso soggetto, nello specifico il frontale di una Jaguar XJ6 Sport 4000, è stato inquadrato da distanze diverse, ognuna delle quali, a parità di inquadratura, ha imposto differenti lunghezze focali (sequenza fotografica a pagina 54). Dopo di che, il concetto secondo il quale la prospettiva dipende dal punto di ripresa e non già dalla lunghezza focale, è evidenziato dal confronto tra le riprese fotografiche effettuate con obiettivi di diversa lunghezza focale, utilizzati dallo stesso punto di vista (confronto a pagina 55, con relative annotazioni e comparazioni esemplificative).
LUOGO A DUE PASSI DAL CIELO
PER L’APPUNTO, RESA PROSPETTICA
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Riferendosi ai corpi mobili degli apparecchi grande formato, con costruzione a banco ottico piuttosto che a base ribaltabile (folding), non si devono separare i riferimenti tecnici attribuiti al movimento lineare di decentramento e alla rotazione di basculaggio. I singoli accomodamenti, appunto di decentramento e basculaggio, vanno invece valutati pariteticamente e assieme, quali componenti del procedimento globale della regolazione dell’apparecchio fotografico. Se si ragiona dissociando tra loro i singoli movimenti (come molti erroneamente fanno: attribuendo compiti separati al decentramento e al basculaggio dei piani), si perde di vista il problema complessivo. Infatti, non si tratta tanto di considerare il decentramento e il basculaggio dei piani principali dell’apparecchio a corpi mobili come valori assoluti, quanto di riferirli alla propria influenza sulla ripresa: controllo prospettico del soggetto e sua messa a fuoco ottimale [FOTOgraphia, novembre 2015]. Del resto, riferendoci alla guida dell’automobile non ci sogneremmo di scomporre la svolta a destra da quella a sinistra, ma pensiamo soltanto a dove vogliamo andare; il come è sostanzialmente secondario. Lo stesso è per la composizione fotografica: contano dove e perché (in riferimento alla rappresentazione), e il come è un elemento infrastrutturale oggettivamente accessorio, da conoscere e dominare. I corpi mobili degli apparecchi grande formato -anteriore porta obiettivo e posteriore focale- servono per regolare secondo necessità la disposizione dell’obiettivo rispetto al piano immagine. E lo stesso si riferisce alle proprietà di solo decentramento di apparati fotografici finalizzati: obiettivi per reflex, piuttosto che autentiche configurazioni dedicate (a partire dalla genìa Silvestri: va rivelato).
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Come registra la storia evolutiva della tecnica/tecnologia fotografica (in ogni ordine di idea), alla fine degli anni Sessanta, la svizzera Sinar presentò il proprio progetto “p” -successivamente evoluto nelle conseguenti configurazioni “p2” e “x”-, che per primo introdusse una procedura di regolazione sistematica dei corpi mobili. A seguire, anche le simulazioni della Sinar-f (poi, Sinar f2) prevedono una metodologia che scarta a lato ogni idea di casualità. Scaduti i brevetti Sinar, altri produttori si sono adeguati ai medesimi princìpi di disposizione ragionata dei piani. A partire dal 1988, sono quindi proliferati gli assi di basculaggio simmetrici e asimmetrici giacenti sul piano focale: Cambo, Horseman, Linhof e Toyo [ancora, FOTOgraphia del novembre 2015]. Impegnandosi soprattutto sulla metodologia della disposizione dei piani dell’apparecchio, l’evoluzione costruttiva ha preso atto -causa o effetto, non importache la combinazione tra la tecnologia delle emulsioni fotografiche e quella degli strumenti e dei materiali delle arti grafiche ha consentito di superare un legame un tempo indissolubile. In precedenza, la qualità della trasformazione dell’immagine fotografica (stampa fotografica all’ingranditore, oppure tipografica e offset in arti grafiche) è stata subordinata alle dimensioni dell’originale. In seguito, e oggi ancora, l’idonea qualità fi-
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RAPPORTI RELATIVI
DA
Da FOTOgraphia, dell’ottobre 2010, in presentazione di questa coinvolgente serie fotografica. «Può la fotografia, nella semplicità della propria veste e complessità del proprio linguaggio, arrivare a tanto? Certamente! Soprattutto in questo caso, nel quale l’amore si manifesta in tutta la propria avvolgente ricchezza. Amore della mente, amore del cuore, amore fisico che trasuda da un omaggio visivo che scorre su un binario perlomeno doppio. A un tempo, Bergamo Alta è pretesto e fine. A un tempo, il soggetto conta e non conta. A un tempo, la fotografia svolge il proprio meraviglioso compito: quello di sollecitare il cuore che batte nel petto di ciascuno di noi. Sia chiarito subito, non soltanto presto. Nessuna di queste immagini raffigura Bergamo Alta. Queste atmosfere, questi luoghi non esistono nella realtà. In queste pagine non c’è Bergamo Alta, ma fotografie di Bergamo Alta, così come le ha intuite e realizzate l’autore. In ideale prosecuzione, verso la quale Luigi Facchinetti Forlani invita, ciascuno ricostruisca la propria Bergamo Alta. Là, dove il cuore rivela che l’anima è tutto ciò che noi siamo. Nel momento in cui questo avviene, la Fotografia raggiunge il proprio scopo. Non la natura che si fa di sé medesima pittrice, verso la quale ambivano i pionieri, ma la vita che si rivela tra le pieghe della propria raffigurazione. Raccogliamo questo invito di Luigi Facchinetti Forlani, la cui fotografia fa del nostro tempo un tempo migliore nel quale vivere e amare».
IN ASSOLUTO
LUIGI FACCHINETTI FORLANI:
Terza immagine dal progetto fotografico di Luigi Facchinetti Forlani Bergamo Città Alta. Un luogo a due passi dal cielo (in monografia Bolis Edizioni, del 2010): Basilica di Santa Maria Maggiore e Cappella Colleoni viste dal Duomo.
DALLA CAMERA OBSCURA: VEDUTISMO, CON CAMERA OTTICA
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Nella propria sostanza, la prospettiva va considerata come elemento fondante della fotografia, ai fini della propria invenzione, in forma e intenzione di natura che si fa di sé medesima pittrice, come sempre annotiamo e precisiamo. Su questo si basa uno dei più forvianti concetti della stessa Fotografia, spesso considerata estensione dalla pittura, proprio per la consecuzione dall’uso della camera obscura, con la quale i vedutisti ricalcavano successioni di piani plausibili e -in qualche misura- oggettivamente pertinenti. Personalmente, la pensiamo in modo diverso. Come abbiamo già avuto modo di annotare, soprattutto nel febbraio 2010, in commento alla fantastica monografia Caravaggio. L’opera completa, pubblicata da Taschen Verlag, noi preferiamo sottolineare l’aspetto di illusione della fotografia, non tanto la propria precisione ottica (da e con Giacomo Leopardi: «L’anima si immagina quello che non vede»). Se proprio dobbiamo pensare a una pre-fotografia in forma pittorica, richiamiamo giusto l’opera di Caravaggio: oltre la luce, a tutti evidente, ci sta la sintesi dell’attimo, la raffigurazione di un istante culminante. Comunque sia, non ignoriamo, e neppure sottovalutiamo, come e quanto la sintesi della natura che si fa di sé medesima pittrice abbia profondi debiti di riconoscenza con tutta la storia dell’arte e della stessa raffigurazione dal vero (o non necessariamente dal vero). Tant’è che la fotografia afferma di essere una invenzione culturalmente occidentale, con espliciti richiami alle lezioni di prospettiva, avviate con il Rinascimento. Tanto che, consapevolmente o inconsapevolmente, le costruzioni fotografiche sono riconoscenti verso la pittura dei vedutisti. A questo proposito, fu ottima la rassegna Canaletto. Venezia e i suoi splendori, allestita a Ca’ dei Carraresi, di Treviso, a cavallo del 2009, con relativo volume-catalogo pubblicato da Marsilio Editori, commentata in FOTOgraphia del dicembre 2008; e altrettanto sostanziosa è stata la più recente cadenza di Lo Splendore di Venezia: Canaletto, Bellotto, Guardi e i vedutisti dell’Ottocento, a Palazzo Martinengo, di Brescia, fino allo scorso dodici giugno, con volume-catalogo Silvana Editoriale. Non pensiamo tanto e soltanto alla finalizzazione della camera obscura (camera ottica) per la definizione prospettica dei piani (ribadiamolo: dotata di una vera e propria lente/obiettivo, la camera obscura fu usata da molti pittori come ausilio per il disegno dal vero), quanto proprio allo sguardo e luce. Allo stesso modo, richiamando questa (altrove) accreditata pre-fotografia -dalla cui consecuzione prendiamo adeguate distanze-, che si è espressa con minuziosa ricostruzione e restituzione della realtà e del paesaggio
(paesaggio urbano, abbiamo cominciato a dire nei decenni più recenti), ribadiamo il sostanzioso debito che la fotografia ha con la pittura di Caravaggio, alla quale riconosciamo una certa idea di “istantanea” della visione, oltre alla sapiente distribuzione della luce. In ogni caso, come esplicitamente certificato dalle due imponenti esposizioni a tema appena ricordate, nessun luogo, come Venezia, è mai stato tanto raffigurato -e mai lo è stato come nel Settecento-, al punto che il soggetto è stato in grado di determinare un genere, quasi fosse nato per celebrare la Città prima della fine della Repubblica millenaria. Proprio per questa ragione, entrambe le mostre hanno avuto come grande protagonista proprio Venezia, sottolineata da declinazioni della produzione vedutistica veneta. È Canaletto il fulcro attorno cui ruota tutta la vicenda, sia per il suo ruolo egemone, sia per la complessità del suo percorso artistico (Giovanni Antonio Canal, 1697-1768; mentre, in Germania, intendono per “Canaletto” suo nipote Bernardo Bellotto, 1722-1780). Comunque, nelle due rassegne, è stata raccolta una avvincente e convincente selezione di autori e opere che coprono l’intero arco delle rispettive produzioni pittoriche, che danno un’immagine adeguata del valore delle relative creazioni, così affini alla successiva rappresentazione fotografica, che sarebbe nata nel 1839: con conteggio ufficiale alle fatidiche date di annuncio e presentazione del processo dagherrotipico (sette gennaio e diciannove agosto). In riferimento privilegiato, Canaletto ha avuto un modo di lavorare assolutamente personale: usciva in gondola solo durante le giornate di sole, alla ricerca del giusto scorcio; la sua esperienza rappresenta un caso eccezionale nella cultura figurativa del Settecento: non inventa il genere della veduta, ma lo ricrea, superando gli esempi dell’olandese Gaspar van Wittel e del friulano Luca Carlevarijs. Profondamente radicato nella tradizione veneziana, e successivamente esteso a una esperienza pittorica che influenzerà la fotografia, e che, ancora in seguito e successione, sarà trasformata dalla stessa fotografia, il suo genio visivo eleva il vedutismo a una corrente di gusto caratteristica dell’illuminismo europeo, rivale e concorrente di successo della pittura di storia e figura che, fino al suo arrivo, dominò il panorama pittorico italiano. In conclusione, è obbligatoria la segnalazione del Canaletto Projekt, che si è svolto a Dresda, in Germania, il 3 luglio 2008... con scolari sulle tracce di Bernardo Bellotto. Muniti di camere obscure repliche di quella originaria del pittore veneto, gli studenti hanno ripercorso il suo intenso tragitto di “documentazione” pittorica della città, ripetendone visioni, per l’appunto prospetticamente coincidenti.
Canaletto: L’ingresso solenne del Conte de Gergy a Palazzo Ducale (1727); olio su tela, 181x259,5cm (San Pietroburgo, Museo Statale Ermitage).
Canaletto: Il campo San Giacometto verso Rialto (1729); olio su tela, 95,5x117cm (Dresda, Gemäldegalerie Alte Meister / Staatliche Kunstsammlungen Dresden).
nale è ottenibile e sostenibile anche a partire da originali fotografici di dimensioni sostanzialmente contenute. Per questo, ribadiamo che la discriminante definitiva del grande formato fotografico, che approda al suo attuale ipotizzato Ritorno, non passa più attraverso l’elemento originariamente qualificante del grande, quanto dipende -invece- dall’aggiustamento dei piani principali -obiettivo e piano immagine-, finalizzati all’estensione della nitidezza e al controllo della prospettiva. Per questo è dunque lecito esprimersi nei termini discriminatori dei corpi mobili, più che in quelli (non più selettivi) del formato grande, che nel frattempo ha anche ceduto il passo ai sensori digitali, di dimensioni estremamente limitate rispetto l’inquadratura totale 4x5 pollici (10,2x12,7cm) del grande formato di partenza, che poi si ingrandisce ancora nelle configurazioni fotografiche 13x18cm e 8x10 pollici (20,4x25,4cm)... e oltre, ancora. Bernardo Bellotto: Veduta di Dresda dalla riva destra sotto il ponte di Augusto (1748), esposta alla Gemäldegalerie Alte Meister / Staatliche Kunstsammlungen Dresden insieme a una visualizzazione della sua azione con camera obscura, in forma di allestimento scenico.
SIMULAZIONE FOTOGRAPHIA
ACCOMODAMENTO DEI PIANI
Bernardo Bellotto: Lucca, piazza san Martino verso la Cattedrale (1742). Con evidenziazione e sottolineatura delle linee di fuga prospettica.
In assoluto, con ogni apparecchio fotografico, di qualsiasi dimensione (dal piccolo formato 24x36mm alle pellicole piane 4x5 pollici, 13x18cm e 8x10 pollici), la prospettiva dipende anzitutto dalla distanza di ripresa. Dopo di che, l’assetto del piano immagine rispetto al soggetto condiziona la resa prospettica dell’inquadratura e -di conseguenza- determina la composizione formale della ripresa. Nell’inquadratura dall’alto (verso il basso) o dal basso (verso l’alto), la corretta disposizione del piano immagine rispetto al soggetto (ovvero piano immagine parallelo al soggetto) evita la convergenza propria degli spigoli verticali: le cosiddette linee cadenti. In sala di posa, l’inquadratura dall’alto serve per raffigurare simultaneamente più lati del soggetto, appunto prospetticamente definito anche dalla sua profondità originaria. La disposizione verticale del piano immagine (dorso “in bolla”, cioè parallelo al soggetto) garantisce la registrazione corretta degli spigoli verticali, che altrimenti -inquadrati dall’alto- risulterebbero convergenti verso la base. Fotograficamente all’opposto, ma in similitudine geometrica, in esterni, l’inquadratura dal basso di edifici alti è condizionata dalla situazione ambientale, che non permette punti di vista diversi da quelli della/dalla strada. Anche in questo caso, la disposizione verticale del piano immagine (ancora dorso “in bolla”, ancora parallelo al soggetto) garantisce la registrazione fotograficamente corretta delle architetture originarie: senza la convergenza propria delle linee cadenti, caratteristiche della ripresa fotografica priva della possibilità di accomodamento del piano focale dell’apparecchio oppure priva della adeguata disposizione di obiettivi decentrabili o di dispositivi a decentramento controllato (soprattutto... Silvestri).
FUGA PROSPETTICA
Dresda, Germania, 3 luglio 2008: Canaletto Project, con scolari sulle tracce di Bernardo Bellotto, ripercorrendone l’intenso tragitto.
Analogamente, con gli apparecchi a corpi mobili, la collocazione ragionata del piano immagine rispetto al soggetto permette anche il controllo della fuga prospettica orizzontale, che può essere ammorbidita secondo necessità, ovvero compressa (piano immagine che tende al parallelismo con i piani orizzontali del soggetto), oppure esasperata, cioè accelerata (piano immagine volonta(continua a pagina 56)
Indipendentemente dalle nostre opinioni riguardo la pre-fotografia in forma pittorica, a proposito di Vedutismo, anche a partire da Canaletto (Giovanni Antonio Canal, 1697-1768), o dal nipote Bernardo Bellotto (1722-1780, riconosciuto come “Canaletto” in Germania), non possiamo ignorare il possibile e plausibile allineamento di certo stilema espressivo del Vedutismo con alcuni dei princìpi ottici della stessa fotografia: non fosse altro che per l’impiego finalizzato di un medesimo strumento di visione e osservazione (circa). Comunque la si veda e consideri, la Fotografia è anche questo: un modo di guardare il mondo che, attraverso l’obiettivo, parrebbe essere infinitamente più bello del reale. Da cui e per cui si manifesta una certa ipotesi di fotoricordo turistica, complementare alle raffigurazioni fotografiche altrui degli stessi luoghi. Infatti, per quanto il mondo sia magnifico anche a occhio nudo... l’espediente ottico lo fa apparire migliore. In fondo, l’itinerario del Vedutismo pittorico ha stabilito il ruolo egemone della prospettiva “scientifica”, che -di fattostimola un evidente concetto di spaziosità, al quale ha attinto molta e molta fotografia. Ovvero, in fotografia, così come in questa pittura, ciò che conta è l’impeccabilità, magari la complessità dei soggetti (degli edifici) raffigurati, con le relative vicende di piani e spigoli espressi esattamente. Ne consegue una sorta di cronaca dell’architettura, intesa come geometria dei solidi e teoria delle ombre (anche). Ovviamente, ci riferiamo alla forma... tanto altro ci sarebbe da dire per il contenuto. Sia chiaro ed esplicito!
53
PUNTO DI VISTA E ALTRE CONSIDERAZIONI (CON PASSO DOPPIO,
ANGOLO DI CAMPO 94/90 GRADI 20-21mm sul 24x36mm 72mm sul 4x5 pollici
ANGOLO DI CAMPO 85/80 GRADI 24mm sul 24x36mm 90mm sul 4x5 pollici
ANGOLO DI CAMPO 76/74 GRADI 28mm sul 24x36mm 100mm sul 4x5 pollici
ANGOLO DI CAMPO 65/62 GRADI 35mm sul 24x36mm 120mm sul 4x5 pollici
ANGOLO DI CAMPO 47/44 GRADI 50mm sul 24x36mm 180mm sul 4x5 pollici
ANGOLO DI CAMPO 28/26 GRADI 85mm sul 24x36mm 300mm sul 4x5 pollici
La prospettiva è l’elemento fondamentale del lessico fotografico: è la base della sua grammatica. Prima di applicare altre creatività, il fotografo trasforma la naturale raffigurazione del soggetto inquadrato nella più idonea rappresentazione visiva, proprio a partire dalla resa prospettica. Come affermiamo ancora oggi, declinando in chiave di coerente, consapevole e appagante Ritorno al grande formato, in fotografia, il controllo della resa prospettica dipende da tre elementi concomitanti: punto di ripresa, posizione relativa soggetto-piano immagine e illuminazione. La prospettiva dipende dal punto di ripresa. Allontanandosi dal soggetto -dal punto di vista prossimo “1” a quello più lontano “2” (qui sotto)-, la prospettiva si ammorbidisce, perché cambiano i rapporti relativi tra le diverse distanze. Nel caso delle inquadrature dal punto di vista prossimo (dal punto 1), si debbono fare i conti con tutti gli scarti dimensionali del soggetto. Ogni differenza è notevolmente influente: le porzioni del soggetto vicine al punto di vista (A) risultano più ingrandite di quelle lontane (B); da cui consegue una evidente forzatura prospettica. Invece, ogni differenza tra le visioni 2-A e 2-B del soggetto inquadrato da lontano, ovvero dal punto 2, risulta oggettivamente ininfluente rispetto al punto di vista: le porzioni del soggetto vicine e lontane al punto di vista sono tra loro approssimativamente omogenee; da cui risulta una resa prospettica sistematicamente morbida. Per ottenere una medesima inquadratura sul piano immagine, è evidente che il punto di vista vicino impone l’uso di obiettivi grandangolari (di ampio angolo di campo), che quindi vengono erroneamente rimproverati di deformare i soggetti: tutto dipende invece dalla vicinanza del punto di ripresa. A seguire, come puntualizziamo da pagina 56, la prospettiva dipende poi dalla posizione relativa tra piano immagine e soggetto e anche e ancora dall’illuminazione, ovvero dalla percezione visiva del volume disegnato da luci e ombre.
B
ANGOLO DI CAMPO 12 GRADI 200mm sul 24x36mm 720mm sul 4x5 pollici
ANGOLO DI CAMPO 8 GRADI 300mm sul 24x36mm 1200mm sul 4x5 pollici
54
B
2
5
1
1
GIANFRANCO GARDONI (10)
ANGOLO DI CAMPO 19/17 GRADI 135mm sul 24x36mm 420mm sul 4x5 pollici
GIANFRANCO GARDONI (10)
ANGOLO DI CAMPO 24 GRADI 100mm sul 24x36mm 360mm sul 4x5 pollici
A
2
GIANFRANCO GARDONI
INQUADRATURE UGUALI PUNTI DI RIPRESA DIVERSI FOCALI DIVERSE = CAMBIA LA PROSPETTIVA (CHE DIPENDE SOPRATTUTTO DAL PUNTO DI VISTA, OVVERO DALLA DISTANZA DI RIPRESA)
2
2
CADENZATO E CONSEQUENZIALE). FORSE SÌ, FORSE NO. FORSE! INQUADRATURE DIVERSE STESSO PUNTO DI RIPRESA FOCALI DIVERSE = CAMBIA L’ANGOLO DI VISIONE (CHE DIPENDE SOPRATTUTTO DALLA FOCALE)
STESSO PUNTO DI RIPRESA FOCALI DIVERSE INGRANDIMENTO DELLA MEDESIMA PORZIONE DI CAMPO DA INQUADRATURE DIVERSE = PROSPETTIVA IDENTICA
ANGOLO DI CAMPO 47/44 GRADI 50mm sul 24x36mm 180mm sul 4x5 pollici
ANGOLO DI CAMPO 94/90 GRADI 20-21mm sul 24x36mm 72mm sul 4x5 pollici
ANGOLO DI CAMPO 85/80 GRADI 24mm sul 24x36mm 90mm sul 4x5 pollici
ANGOLO DI CAMPO 76/74 GRADI 28mm sul 24x36mm 100mm sul 4x5 pollici
ANGOLO DI CAMPO 65/62 GRADI 35mm sul 24x36mm 120mm sul 4x5 pollici
ANGOLO DI CAMPO 24 GRADI 100mm sul 24x36mm 360mm sul 4x5 pollici
ANGOLO DI CAMPO 47/44 GRADI 50mm sul 24x36mm 180mm sul 4x5 pollici
ANGOLO DI CAMPO 28/26 GRADI 85mm sul 24x36mm 300mm sul 4x5 pollici
ANGOLO DI CAMPO 19/17 GRADI 135mm sul 24x36mm 420mm sul 4x5 pollici
ANGOLO DI CAMPO 24 GRADI 100mm sul 24x36mm 360mm sul 4x5 pollici
ANGOLO DI CAMPO 12 GRADI 200mm sul 24x36mm 720mm sul 4x5 pollici
ANGOLO DI CAMPO 19/17 GRADI 135mm sul 24x36mm 420mm sul 4x5 pollici
INGRANDIMENTO DEL DETTAGLIO 50mm sul 24x36mm fino all’inquadratura 100mm (e corrispondenze) [360mm sul 4x5 pollici]
INGRANDIMENTO DEL DETTAGLIO 85mm sul 24x36mm fino all’inquadratura 135mm (e corrispondenze) [420mm sul 4x5 pollici]
ANGOLO DI CAMPO 28/26 GRADI 85mm sul 24x36mm 300mm sul 4x5 pollici ANGOLO DI CAMPO 8 GRADI 300mm sul 24x36mm 1200mm sul 4x5 pollici
55
Cambiamenti di forma delle immagini, a partire da un punto di vista sempre frontale al soggetto inquadrato. Passo a passo. 1. Inquadratura frontale, con nessun intervento sui corpi mobili dell’apparecchio, coincidente a una ripresa con apparecchio fotografico tradizionale a corpi rigidi: prospettiva non alterata. 2. Inclinazione verso sinistra dell’apparato fotografico, con solo decentramento dell’obiettivo per recuperare l’inquadratura: nel rapporto piano focale / soggetto, fuga prospettica evidente. 3. Stessa condizione del precedente punto “2”, con inclinazione verso destra e aggiustamenti utilitaristici a conseguenza. 4. Inquadratura sostanzialmente laterale, senza altri aggiustamenti, che produce una raffigurazione sostanziosamente normale (tanto per dire), con forte fuga laterale verso destra. 5. Ripetizione della precedente condizione “4”, con aumento sensibile della fuga prospettica, soprattutto nel rapporto relativo.
(continua da pagina 53) riamente divergente dai piani orizzontali del soggetto). Siccome l’intero esercizio della fotografia è assolutamente vincolato alla resa prospettica (che condiziona la rappresentazione dei tre piani originari del soggetto sulle due dimensioni dell’immagine fotografica, e che -dunque- dà il senso volumetrico e delle distanze), la possibilità di comporre ed eseguire diligentemente inquadrature adeguate è materia assolutamente indispensabile della fotografia professionale: è il suo linguaggio caratteristico, la sua grammatica, la sua declinazione, il suo lessico. I corpi mobili dei sistemi grande formato, e in questo caso la mobilità del piano immagine rispetto i piani del soggetto inquadrato, sono assolutamente necessari alla corretta rappresentazione scenica propria della simbologia fotografica. Così come la prospettiva è controllata e determinata dalla disposizione del piano immagine in relazione al soggetto, la collocazione differenziata dell’obiettivo permette di orientare il piano di messa a fuoco in dipendenza dell’ingombro volumetrico del soggetto inquadrato. In questo modo, l’estensione della profondità di campo può essere guidata e diretta dal fotografo-operatore secondo la disposizione del soggetto [in ripetizione, FOTOgraphia, del novembre 2015].
In alto, a centro pagina, dal manuale Tecnica di Ripresa (Linhof / Sixta, 1982).
56
ANTONIO BORDONI (3)
PROSPETTIVA... FINALMENTE Riassumendo, da capo: in fotografia, il controllo della prospettiva dipende da tre elementi concomitanti. Uno: la prospettiva è condizionata dal punto di ripresa; lo sottolineiamo con la sequenza fotografica accostata a pagina 54. E, poi, estendiamo le considerazioni sul punto di vista, mettendolo in relazione allo sviluppo volumetrico del soggetto: cioè punto di vista centrale oppure laterale, dall’alto o dal basso (schematizzazione qui sopra). Due: la prospettiva dipende dalla posizione relativa tra soggetto e piano immagine. Inquadrando un soggetto dall’alto o dal basso, da sinistra o da destra, i suoi spigoli verticali e orizzontali (rispettivamente) non
LINHOF PRÄZISIONS-SYSTEMTECHNIK
Ancora il quadretto tridimensionale di evocazione fotografica (dalla Collezione di Maurizio Rebuzzini), già incontrato a pagina 48. Altri tre passi cadenzati evidenziano come una visione laterale, da sinistra, possa essere variata prospetticamente con aggiustamenti competenti del piano immagine rispetto il piano del soggetto. A conseguenza diretta, la fuga in lontananza degli spigoli orizzontali può essere spinta/guidata verso la compressione o accelerazione volontaria: piano immagine rispetto al soggetto, mediante rotazione del dorso (qui sotto).
ARCHIVIO FOTOGRAPHIA LINHOF PRÄZISIONS-SYSTEMTECHNIK (2) ANTONIO BORDONI (2) ANTONIO BORDONI
vengono resi paralleli come sono in realtà, ma tendono a convergere. Nel caso della convergenza degli spigoli orizzontali, che si assottigliano sistematicamente, questo è comunque uno degli stilemi caratteristici della resa prospettica, costruita anche sul senso della fuga in lontananza delle geometrie originarie del soggetto. La correzione della convergenza, soprattutto nel caso della ripresa dall’alto o dal basso di soggetti che debbono essere resi rigorosamente perpendicolari (una confezione o un edificio, per esempio), si effettua disponendo il piano immagine parallelo agli spigoli del soggetto. Analogamente, la stessa convergenza può essere esasperata -magari in orizzontale- alterando la disposizione del piano immagine: più diverge dal soggetto, più accentuata risulta la sua convergenza prospettica. Più il piano immagine tende a essere parallelo al soggetto, più risulta naturale la sua resa prospettica (pagina accanto). Tre: la prospettiva dipende anche dall’illuminazione. La forma e la direzione dell’ombra del soggetto contribuiscono alla percezione visiva del suo volume. In sala di posa, tutto deriva dall’illuminatore adottato, a luce concentrata oppure avvolgente, dalla distanza dal soggetto e dalla sua inclinazione, sempre rispetto al soggetto inquadrato; in esterni, si devono considerare l’intensità e la pienezza delle ombre della luce solare. Introducendo il discorso dell’illuminazione, scartiamo a lato quelle che sono le regolazioni proprie degli apparecchi fotografici, per entrare nel territorio della percezione visiva e delle sue relative illusioni: che è tutta un’altra questione.
IN ORIZZONTALE, E POI BASTA Solitamente la raffigurazione verticale, con inquadratura dall’alto o dal basso, impone una rappresentazione analogamente verticale degli spigoli del soggetto (qui a sinistra). Sono inaccettabili le fotografie di architettura con le linee degli edifici convergenti verso l’alto (le cosiddette linee cadenti), e le fotografie di still life e di catalogo di confezioni a piramide rovesciata. O, quantomeno, dovrebbero essere inaccettabili. A differenza, nell’inquadratura laterale, la fuga prospettica verso l’infinito definisce la dimensione del soggetto, ovvero le intenzioni rappresentative del fotografo (a sinistra, in basso). Anche in questo caso, la relazione prospettica si basa sulla disposizione del piano immagine. Con un apparecchio fotografico a corpi rigidi, piccolo o medio formato che sia, la prospettiva orizzontale dipende soltanto dal punto di ripresa e dalla inclinazione della stessa macchina fotografica. Con i sistemi a corpi mobili, il piano focale può essere orientato per ottenere effetti diversi. Ribadiamo: avvicinandosi al parallelismo con il soggetto, il piano immagine crea le condizioni di una inquadratura prospetticamente moderata; divergendo dagli spigoli del soggetto determina invece una accelerazione prospettica volontaria (ancora, pagina accanto). I risultati visivi non sono mai oggettivi, ma dipendono dalle condizioni di lavoro e dalle intenzioni della rappresentazione fotografica, oltre che dal gusto e dalla sensibilità individuali. Ciò che conta è saper dominare gli strumenti della fotografia, per finalizzarli alle singole esigenze della ripresa. Anche per il Ritorno al grande formato. ❖
Il punto di vista condiziona comunque la resa prospettica, accompagnata altresì dalla distribuzione della luce. Anche nel caso di una visione in pianta, dall’alto (zenitale), rileviamo come l’impaginazione su un dépliant Konica Auto Jump, dei primi anni Novanta, non abbia tenuto conto dell’inquadratura prospettica originaria.
A volte, e in determinate circostanze, la correttezza della disposizione del piano immagine dà un senso visivo alterato del soggetto, che richiede dunque sottocorrezioni controllate. È il caso dell’edificio, la cui trama (dei balconi) crea un senso visivo di apertura verso l’alto (da Tecnica di Ripresa, Linhof / Sixta, 1982).
Ancora correzione prospettica teorica di un pacchetto di sigarette (immagine di destra dell’esemplificazione), che, invece, per una rappresentazione visivamente corretta, deve mantenere una moderata fuga prospettica orizzontale (immagine di sinistra dell’esemplificazione).
Gli spigoli del soggetto che si assottigliano in lontananza danno il senso della fuga prospettica. È questa la rappresentazione fotografica sulle due dimensioni delle tre originarie. Quindi, la stessa fuga prospettica può essere governata attraverso l’applicazione competente dei corpi mobili.
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A volte, tornano di Angelo Galantini
I
IL SUONO DEL SILENZIO
In edicola lo scorso ventotto ottobre, il numero trecentosessantadue di Dylan Dog, celebre e celebrato fumetto della scuderia Sergio Bonelli Editore, si è distinto per la copertina interamente bianca, priva di alcuna illustrazione: oltre l’immancabile e inevitabile testata, soltanto il titolo dell’avventura, Dopo un lungo silenzio, e il richiamo all’autore Tiziano Sclavi, leggendario creatore del personaggio, da tempo assente dalle sue storie, che qui firma il soggetto e la sceneggiatura (interpretata, quindi, dal disegno di Giampiero Casertano). Il titolo è bivalente: si riferisce tanto alla vicenda narrata, quanto alla lunga separazione dello stesso Tiziano Sclavi, che torna alla sceneggiatura di Dylan Dog, l’Indagatore dell’Incubo, nove anni dopo il suo ultimo racconto ( Ascensore per l’inferno, numero duecentocinquanta, del giugno 2007), e -così agendo- si accoda in un certo modo alla ricorrenza del trentesimo anniversario, dall’ottobre 1986 di origine (con L’alba dei morti viventi ). Personalmente, apprezziamo molto questo bianco/assenza, con il proprio indotto a conseguenza -che ha azzerato anche i testi delle consuete presentazioni sul retro della copertina e sulla pagina quattro, solitamente dedicata al “dialogo” con i lettori-, che osiamo allineare al nostro numero nero, dell’aprile 2011, quando invitammo a un dibattito sullo stato dell’arte, esortando esplicitamente: Vogliamo parlarne?, recitammo. Però, come appena annotato, il caso Dylan Dog è sostanziosamente diverso, perché riferito alla propria nobile e avvincente storia, che compone tratti significativi dell’intero tragitto del fumetto italiano nel proprio insieme e complesso. Da qui, allo specifico di questa avventura, con annotazioni e registrazioni del caso. Dal punto di vista del personaggio protagonista, per l’appunto Dylan Dog / l’Indagatore dell’Incubo, sempre alle prese con vicende che scorrono tra horror e misticismo (circa), Dopo un lungo silenzio è scandito sul ritmo di due temi intimi condivisi dal personaggio di fantasia e dal suo au-
tore: alcolismo e solitudine. Ex alcolizzato, Dylan Dog cade di nuovo, sull’onda delle emozioni provocate dalla caccia ai fantasmi della quale è incaricato da Owen Travers, all’indomani della scomparsa di sua moglie. Proprio questa combinazione aggiunge consistenza al fumetto. Infatti, il bravo disegnatore Giampiero Casertano, che ha firmato numerose trasposizioni di Tiziano Sclavi, con titoli
Il titolo Dopo un lungo silenzio, avventura numero trecentosessantadue di Dylan Dog, è almeno bivalente. Anzitutto, si riferisce alla vicenda narrata; su un altro piano, filologico (forse), sottolinea il ritorno di Tiziano Sclavi alla sceneggiatura del personaggio da lui creato trenta anni fa. Per l’occasione, la copertina è interamente bianca, così come sono assenti i testi delle consuete presentazioni sul retro della copertina (a sinistra) e sulla pagina quattro, solitamente riservata al “dialogo” con i lettori. Copertina bianca analoga alla nostra nera dell’aprile 2011?
che appartengono al solido mito di Dylan Dog (i fan sono soliti riferirsi ad almeno quattro avventure, La casa degli uomini perduti, speciale numero cinque, del luglio 1991, Dopo Mezzanotte, numero ventisei, del novembre 1988, Memorie dall’invisibile, numero diciannove, dell’aprile 1988, e -sopra tutte- Attraverso lo specchio, numero dieci, del luglio 1987), ha attinto anche alla Storia della Fotografia, visualizzando una serie di immagini di fantasmi, tanto in voga all’inizio del Novecento. È noto e risaputo che queste fotografie altro non furono che falsificazioni proditorie, finalizzate a carpire la buona fede di creduloni del tempo. Il princìpio tecnico ci è chiaro, è chiaro a tutti noi, che da tempo siamo smaliziati sul rapporto che collega le basi della pellicola fotosensibile, nella combinazione inviolabile e coniugata di tempo di otturazione e apertura di diaframma, in dipendenza della quantità di luce inquadrata e della sensibilità della stessa pellicola. Così che, in doppia posa volontaria e consapevole (in questo caso, soprattutto truffaldina), basta registrare l’alone di una presenza umana accanto al soggetto, tale per controllata sottoesposizione su fondo scuro di un elemento chiaro, per lasciare dedurre che si tratti di fantasmi. In conseguenza, non possiamo che apprezzare, fino ad ammirare, addirittura, la competenza specifica di Giampiero Casertano, che, al pari di altri qualificati autori di fumetti, rivela di saper attingere da conoscenze radicate e da esperienze trasversali. Nello specifico, e per quanto ci riguarda, dalla fotografia. A questo proposito, va ricordata la personalità di sir Arthur Conan Doyle, lo scrittore inglese inventore di Sherlock Holmes. Anche appassionato ed esperto di fotografia, come abbiamo già rivelato lo scorso luglio, documentando anche con una raccolta bibliografica di suoi Essays on Photography, sir Arthur Conan Doyle era soprattutto attratto dal paranormale: tanto che, come spesso ricordato, cadde nell’inganno delle cugine Elsie Wright e Frances Griffiths, che, nel
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A volte, tornano
1916, asserirono di aver incontrato e fotografato fate nel loro giardino (da cui, Le fate di Cottingley, caso mediatico di cento anni fa, trascritto anche nella sceneggiatura del film Favole, di Charles Sturridge, del 1997, in originale Fairy Tale: A True Story ). Cadde nell’inganno, proprio perché... voleva crederci a tutti i costi. Comunque, su questo aspetto della personalità di sir Arthur Conan Doyle, in equilibrio tra fotografia e paranormale, si è detto e scritto mol-
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Registrato il ritorno di Tiziano Sclavi alla sceneggiatura di Dylan Dog, certifichiamo anche che Dopo un lungo silenzio include citazioni alla fotografia di fantasmi (presuntamente tali) di inizio Novecento.
to. Soprattutto, si può richiamare uno studio approfondito dell’accademico francese Antoine Faivre, pubblicato sul numero di ottobre-dicembre 2003 dell’autorevole periodico Ethnologie française, edito da Presses Universitaires de France. Per l’appunto, questo Sir Arthur Conan Doyle et les esprits photographiés affronta e approfondisce giusto la presunta fotografia di fantasmi, con esempi storici e dissertazioni indagate con competenza e straordinaria dedizione.
Per concludere con il soggetto principale di queste note, al quale torniamo dopo la deviazione d’obbligo, va annotato che un’edizione libraria di Dopo un lungo silenzio è stata presentata all’autorevole Lucca Comics and Games, la più seguìta rassegna italiana per i e dei fumetti. In edizione Mondadori, e ora in distribuzione libraria, la monografia comprende anche contenuti extra e l’intera sceneggiatura del racconto. Il suono del silenzio! ❖
TAU Visual si presenta
Ciao! Probabilmente ci conosci già, ma ci presentiamo ugualmente: l’Associazione Nazionale Fotografi Professionisti TAU Visual è un’associazione di fotografi professionisti che lavora per offrire strumenti concreti di lavoro. L’obiettivo principale dell’Associazione consiste nell’aiutare il fotografo nelle sue necessità professionali di ogni giorno, con consulenza, informazioni, incontri, testi, documentazione e attività gratuite, per risolvere i problemi immediati della professione. Nel medio termine, poi, lavoriamo assieme per elevare la cultura e la preparazione specifica di tutti gli operatori del settore. Ci sforziamo di affrontare i problemi in chiave positiva: più che contrastare gli aspetti negativi, lavoriamo per favorire gli elementi positivi della vita professionale di tutti.
Diventare Socio TAU Visual
Per avere un’idea delle attività dell’Associazione, la cosa migliore sarebbe che tu chiedessi a qualche collega già Socio, in modo da avere un parere diretto, e non una “pubblicità”. Puoi associarti solo se eserciti l’attività fotografica con una corretta e definita configurazione fiscale. Se sei un professionista, puoi presentare domanda partendo da: www.fotografi.org/ammissione.
Un regalo utile per i lettori di
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Come accennavamo, lavoriamo moltissimo per supportare i Soci nella loro attività, ma produciamo anche documentazione utile per il settore fotografico nel proprio complesso. Fra le altre cose, esiste un volumetto di 125 pagine, che raggruppa le risposte ad alcune delle tematiche su cui ci vengono poste domande con maggior frequenza. Se desideri ricevere via email il file in pdf di questo volumetto, è sufficiente che tu ce lo richieda mandando un’email alla casella associazione@fotografi.org, scrivendo nell’oggetto: “FOTOgraphia - Mandatemi il volume in pdf Documentazione TAU Visual per il Fotografo Professionista”. Indice dei contenuti del volume che ti invieremo Copyright diritto d’autore Tesserini, Pass e Permessi di ripresa Menzione del nome dell’autore Esempi di contratti standard Proteggibilità delle idee Tariffe professionali Pubblicabilità del ritratto Compendio documentazione sulla postproduzione fotografica
Sul mercato di Antonio Bordoni
O
TENBA... SUMO
Ognuno di noi affronta la propria esistenza professionale, ovvero pubblica, alla luce (e con la forza/competenza?) delle proprie esperienze. Da cui, personalmente, abbiamo potuto annotare la distribuzione Tenba, passata all’attenta e perspicace Rinowa, di Bagno a Ripoli, nella provincia di Firenze, richiamandone le origini lontane [in FOTOgraphia, dello scorso maggio]. In effetti, quella della linea di borse fotografiche Tenba è una storia che abbiamo potuto seguire in diretta: dall’arrivo originario in Italia, per tramite del Gruppo Frabel, di Francesco Bellasich, attento osservatore del panorama produttivo internazionale, alla fine degli anni Settanta. Ancora, abbiamo conosciuto e frequentato il fondatore Bob Weinreb, fotografo naturalista newyorkese, in trasformazione professionale, e la moglie tibetana Chamba, alla quale si deve l’identificazione Tenba, che in lingua tibetana significa “robustezza”. A parte qualche disagio iniziale, in Italia, dove e quando -per imposizioni grammaticali scolastiche- ci furono relazioni giornalistiche declinate in Temba (per ortografia), si deve andare al sodo. In un tempo nel quale imperavano precedenti proposte fotografiche a bauletto, spesso metallico, con l’intuizione di Bob Weinreb, primo a mettere a frutto la praticità di materiali morbidi (nello specifico, cordura), nacque il concetto moderno di borsa fotografica, dal quale è partita la genìa di proposte agili e versatili che ancora oggi caratterizzano l’attualità dell’offerta tecnico-commerciale della fotografia a tutto campo, dall’impegno professionale all’altrettanto impegno non professionale. A questo punto, in un panorama tecnico-commerciale presente e corrente di tante e tante scelte, Tenba rimane se stessa, rimane Tenba, con la sua gamma ricca in quantità di proposte e suggestiva per qualità formale di confezione e impiego. Tanto che, se è il caso di sottolinearlo, ne deriva una campagna promozionale adeguatamente declinata sul concetto primario di “robustezza”: con relativa visualizzazione di impatto, basata su un maestoso lottatore Sumo, che -di volta in
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Sul mercato Sia in annunci tabellari, sia in cartelli vetrina per i negozi, l’attuale comunicazione promozionale delle linee di borse fotografiche Tenba visualizza sempre il concetto portante di “robustezza”, con la raffigurazione esplicita di un maestoso lottatore Sumo, che -di volta in voltasi abbina a situazioni e a prodotti.
volta- interpreta le prerogative esplicite (oltre che implicite) di ciascuna linea. Quindi, siamo qui giusto a sottolineare questo: a dare rilievo e importanza a una personalità commerciale ancora oggi capace di muoversi su territori ampi, realizzando una comunicazione mirata e accattivante. In fondo, ma neppure poi tanto in fondo, non è anche questa una delle inderogabili missioni professionali alle quali ciascuno deve rispondere, agendo dal proprio punto di vista, dal proprio osservatorio? Non chiusura in se stessi e nell’arido unico conteggio di convenienze temporanee, ma arricchimento del proprio comparto d’azione, qualsiasi questo sia. Arricchimento che passa anche attraverso quell’infrastruttura che risveglia e sollecita fidelizzazioni e piaceri individuali. Da questo, una nostra riflessione personale, che si aggiunge alle tante (speriamo, mai troppe) che compongono l’ossatura redazionale e giornalistica di queste pagine, mai passive, ma sempre intese e declinate come s-punti utili e proficui, senza alcuna soluzione di continuità entro il territorio della fotografia, al quale facciamo riferimento d’obbligo (oltre che interesse). Raramente, parliamo del nostro mestiere, e ancor più raramente esprimiamo opinioni sugli uomini e le loro istituzioni. Diffidiamo delle idee, sempre troppo nette per aderire alla realtà, che -invece- sappiamo per esperienza essere così mutevole. Soprattutto oggi, in tempi confusi e contraddittori, per lo più governati e guidati da renitenze che si manifestano in Rete, da Blog improvvisati e parole in caduta libera, alcuni si immaginano che il giornalismo fotografico debba principalmente smascherare trame e costringere a confessioni. Questa è una delle idee sbagliate che circolano; alla fine, ci si fa l’abitudine, e nessuno si preoccupa di verificare. Invece, uno dei nostri compiti principali è osservare e raccontare, sapendo prima di tutto individuare quanto di buono può tornare utile a ciascuno di noi, nel proprio cammino all’interno della Fotografia, qualsiasi cosa questo significhi per ognuno: quanto di buono può rendere il nostro interesse migliore e comprensibile, prima a noi stessi, poi agli altri. Magari anche attraverso una comunicazione commerciale ben interpretata e declinata, che aggiunge fascino e attrattiva al tragitto. Tenba... Sumo, per esempio. ❖
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Sguardi su
di Pino Bertelli (Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 17 volte novembre 2016)
FRANCESCO MAZZA
L
La fotografia, quando è grande, esprime il ritratto di un’epoca. Non evoca nulla. Mostra una parte per il tutto. In ogni forma d’arte, ciò che è importante è compiere una scelta, elaborare una sintesi, escludere l’inutile e il troppo facile. Si tratta di tagliare le fronde dell’opulenza descrittiva, per lavorare nel rizoma del segno rovesciato. Dietro ogni grande fotografia c’è un criminale o un poeta dell’anima bella... sempre. Chi conosce la forca non sempre sa fotografare e chi fotografa non conosce la forca, anche se spesso la meriterebbe! L’ho conosciuto Francesco Mazza, l’ho conosciuto bene: in Calabria, la sua Terra, ci siamo incontrati per una mia piccola mostra sull’Etiopia, che aveva ospitato nel suo megastore/galleria dove si mangia fotografia, pane amaro (tra compagni di strada, si spezza non si taglia) e utopie su un buon governo. Francesco Mazza è fotografo, imprenditore, film-maker, pedagogo del linguaggio fotografico... o, forse, è solo un Uomo del Sud che porta addosso una cultura millenaria mai prona al malaffare e alla servitù volontaria... un Uomo in Utopia morso dalla libertà del pensiero meridiano e dalla bellezza misterica, magica, dionisiaca del Mediterraneo.
SULLA FOTOGRAFIA DEL PANE AMARO
Il nostro incontro (con Anna Maria, Paola, Alessandro, Iside...) ha suscitato un progetto di fotografia sociale, Genti di Calabria, e così ci siamo imbarcati sul battello ebbro di Rimbaud... e siamo partiti alla ricerca di un atlante fotografico di geografia umana della Calabria: un portolano di bellezza e verità sui corpi, i gesti, gli sguardi, le posture dei calabresi. E la loro capacità di accogliere lo straniero, il diverso, lo svantaggiato, l’umile ci ha portati a co-
noscere l’importanza di un popolo cantato dai grandi poeti dell’antichità e spesso dimenticato dalla politica e dalla religione della società moderna. Ogni potere si regge con il consenso di coloro sui quali si esercita. La fotografia del pane amaro che facciamo nella strada (non per la strada) con Francesco Mazza si accosta alla gente, racconta le piccole cose che si celano e riversano nel comune sentire: è un’iconografia del reale che, attraverso la conoscenza del dolore e della gioia, si trasforma in coscienza sociale.
streghe che danzano intorno al fuoco e cantano canzoni popolari calabresi. Non siamo avversi alle cattive reputazioni... così -tra la fotografia di un pastore, quella di un contadino ritornato da Boston o una ragazzina che con gli occhi afferra per la coda la Luna- discutiamo di soggezione e disobbedienza civile. Mi salta in mente quello che diceva un mio amico filosofo su ogni forma di malvagità: di fronte a ogni abuso di potere, pensate a Gulliver. Il gigante nell’isola di Lilliput voleva fare il despota... i piccoli abitanti dell’isola accesero una moltiplicazione di
«Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone» Pier Paolo Pasolini La ritrattistica del pane amaro è legata al pudore, al rispetto, alla dignità dei volti, dei corpi, delle situazioni che fuoriescono nell’istante preso ai soggetti fotografati e, secondo una visione antropologica dell’immagine, dove la persona è interprete di una memoria storica/politica di profonda importanza per un intero Paese. Il fotografo può essere innocente, la fotografia mai! La fotografia del pane amaro coniuga l’Uomo e il Mondo in punta di macchina fotografica, e ricostruisce la vita quotidiana del proprio tempo. La fotografia così realizzata mette a nudo il cuore suo e quello dei soggetti in ritratto, e riporta la loro presenza all’innocenza di un esistere sovente faticoso e maltrattato... tuttavia è un frammento di Realtà che si fa Storia. È di questo che parliamo con Francesco Mazza, mentre ci aggiriamo nei monti della Sila: lì incontriamo angeli e briganti, anche
legami sottili, una proliferazione di piccole azioni congiunte, una tela di ragno libertaria e inchiodarono il gigante a terra. La libertà non si concede, si prende! Il lavoro culturale di Francesco Mazza travalica l’immediato e il conforme; le sue idee sulla fotografia non sono “fisse” (non sono le certezze che servono alla fotografia come coscienza di sé); i suoi discorsi, anche quelli “educativi”, elaborano uno smontaggio teorico del “tutto a fuoco”, della “sezione aurea”, del “punctum” e/o di ogni altra diavoleria dell’abbecedario fotografico. La fotografia, come la fierezza, non s’impara a scuola, ma nella strada. Non lo dice così, ma è a questo che tende il pensiero di Francesco Mazza, credo: per realizzare fotografie basta sfogliare il libretto delle istruzioni della macchina fotografica, e in un paio di giorni ciascuno è in grado di fotografare; per imparare il
senso della luce non basta una vita. Fino a vent’anni, tutti scattano fotografie o scrivono poesie, poi restano gli imbecilli e i poeti. La bellezza della fotografia del pane amaro è il punto più vicino fra il genere umano e l’eternità.
SULLA FOTOGRAFIA DELLA BELLEZZA
La fotografia della bellezza o del pensiero meridiano della quale discutiamo con Francesco Mazza, sulla via delle stelle, è una filosofia della migrazione, dell’accoglienza, della fraternità, della condivisione. E figura percorsi della contraddizione, della tenerezza, della grazia nel “mare in mezzo alle terre” e nel mondo... è una cartografia di corpi in amore che cercano qualcuno che li accetti, porga loro vestimenti, spezzi il pane con i loro bambini e -più di ogni cosa che apra le porte della convivenza reale- pacifica tra gli Uomini e le Donne della Terra. La fotografia meridiana fuoriesce da un’etica del comportamento, da un’estetica antropologica dei sentimenti struccati e -fuori da ideologie, dottrine, mercati dei saperi- restituisce dignità e bellezza ai soggetti, che rifiutano la miseria (della Storia) vissuta come destino. Nella bellezza c’è anche la giustizia, dicevano gli antichi greci. Il diritto della forza va combattuto con la forza del diritto. Maestri del pensiero meridiano, come Platone, Friedrich Nietzsche, Ernst Jünger, Pierre Bourdieu, Fernand Braudel, Predrag Matvejevi , Pier Paolo Pasolini, Albert Camus e Franco Cassano, ci hanno insegnato la geografia umana della prossimità, il senso di cordialità dovuto allo straniero che viene in cerca di un’esistenza meno feroce, più giusta, più umana... ci hanno insegnato che lo stupore del diverso da sé che diviene storia comune è un messaggio di pace e scambio, aiuta a valicare la soglia, la frontiera, il li-
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ALESSANDRO SIDARI
Sguardi su
Contravvenendo una volta ancora alla tradizione di questa rubrica, come già fatto in almeno due occasioni precedenti, pubblichiamo una immagine a corredo. In effetti, qui e oggi, il caustico Pino Bertelli presenta più una persona, Francesco Mazza, che la sua opera... per quanto persone e rispettive azioni siano indissolubili. Sempre. Dunque, visualizziamo le due personalità qui protagoniste: Pino Bertelli, per l’appunto, a sinistra, e Francesco Mazza.
mite: e l’accettazione si trascolora in casa della meraviglia. Ancora, ci hanno insegnato che da sempre l’erranza (migranti, profughi, sopravvissuti a guerre e povertà ataviche) culmina nel princìpio di ospitalità. Le cicogne, come il sorriso dei bambini, non conoscono frontiere, confini, divieti... la sola patria che ha valore universale è quella dell’umanità intera. Francesco Mazza è un filmmaker, e ha conoscenze profonde della grande cultura calabrese. I suoi docu-film su Tommaso Campanella, Mattia Preti, San
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Francesco di Paola, Gioacchino da Fiore, Corrado Alvaro, Fortunato Seminara sono anomali, mai agiografici, sempre protesi a raccontare la storia dell’Uomo e non la mitologia del personaggio: sono sempre rivolti a una politica etica che si preoccupa della maggiore felicità per il maggior numero. L’architettura filmica dei suoi lavori è asciutta, sobria, diretta e porta a riflettere sulla brutalità dei poteri costituiti; la bella fotografia, il commento pulito, la forza delle inquadrature delle sue opere esprimono una poetica di pas-
sioni identitarie, e nel florilegio figurale che ne consegue ammiccano al progresso dello spirito umano. Ne siamo certi. L’imprenditore/artista calabrese sa che il Mediterraneo è storia di conflitti e rivoluzioni e la fotografia meridiana che cerchiamo di realizzare è una sorta di cavalcata attraverso i millenni in Calabria. Abbiamo bevuto l’acqua fresca che ci ha offerto un pastore e mangiato pane nero, salami, funghi e dolci di una famiglia calabrese: tutto era scomparso... l’autorità, l’ordine, la gerarchia, i
poteri, i malavitosi... una signora “svantaggiata” ci ha regalato un sorriso sdentato commovente, come poche volte mi è capitato di vedere... l’apparenza non è la verità, ma l’ombra del patibolo che la sostiene. C’è più verità in una valigia piena di sogni che in tutti i santi del cielo. La fotografia della bellezza o della rêverie è qualificata dalla coscienza che la pratica. Di questo dibattiamo con Francesco Mazza, mentre il sorriso aperto di Paola e l’attenzione intima di Anna Maria ci proteggono nelle nostre favole di fraternità e giustizia sociale. Pensiamo che una scrittura fotografica così fatta contiene e si muove in una filosofia d’indignazione che disvela il conformismo e détourna o decostruisce l’arte servile e sapienziale nell’autentico e nel differente! Ciascuno è composto del tessuto di cui sono confezionati i suoi desideri. Sotto gli alberi del pane amaro ricordiamo a “gatto selvaggio” i nostri “cattivi maestri”, i passatori di confine dell’immaginale liberato e dell’iconografia della bellezza: Lewis Carroll e Eugène Atget, August Sander e Walker Evans, Dorothea Lange e Henri CartierBresson, Lewis W. Hine e Jacob A. Riis, W. Eugene Smith e Robert Capa, Tina Modotti e Diane Arbus, Robert Frank e Peter Magubane, Roman Vishniac e Sebastião Salgado. Al di là dei differenti linguaggi etici ed estetici affabulati, nelle loro immagini si coglie il genio collerico che porta alla critica radicale delle disuguaglianze. Siamo la memoria delle nostre gesta e dei nostri canti. La libertà, come la bellezza, non si dà, si conquista. Nessun Uomo è veramente libero di godere della bellezza se da qualche parte della Terra altri esseri umani sono privati della libertà. Dove c’è lo spirito d’amore dell’Uomo per gli altri Uomini, lì c’è la bellezza della libertà. L’esercizio del potere non si concilia mai con il rispetto dell’Uomo. Quando i popoli si accorgeranno della fame di bellezza che c’è nei lori cuori, ci sarà la rivoluzione nelle strade della Terra. ❖