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ANNO XXIV - NUMERO 231 - MAGGIO 2017
Giorgio Lotti LUCE... COLORE... EMOZIONI
Martin Parr SENSE OF HUMOUR
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MAURO FABBRI (2)
prima di cominciare SENSE OF HUMOUR (PROLOGO). Su questo stesso numero, da pagina 54, presentiamo e commentiamo l’Outstanding Contribution to Photography, assegnato al fotogiornalista inglese Martin Parr nell’ambito dei Sony World Photography Awards 2017. Con l’occasione, riferendoci esplicitamente alla cerimonia di consegna del Premio, durante la cena di gala di giovedì venti aprile, riferiamo che è stato organizzato e svolto un simpatico e leggero sketch, con un attore vistosamente vestito da donna a fare da cerimoniere (l’artista Grayson Perry). Ancora qui, e anche qui, in anticipazione, lo rileviamo con franchezza: scenetta piacevole, ben interpretata, alla maniera dei mitici Monty Python, il gruppo comico britannico, attivo negli anni Settanta (la storia data ufficialmente dal 1969 al 1983), costituito da Graham Chapman, John Cleese, Terry Gilliam, Eric Idle, Terry Jones e Michael Palin, che ha illuminato la scena teatrale e cinematografica del proprio tempo, allungando in avanti la propria influenza.
La fotografia muore di fotografia. Pino Bertelli; su questo numero, a pagina 66 Quando ci viene chiesto quali doti e valori debba possedere un autore fotografo (interrogativo trasversale a molti incontri diretti), siamo soliti sottolineare l’importanza della cultura individuale. Tanto è! mFranti; su questo numero, a pagina 8 Prima di altro, ognuno di noi deve rispondere a se stesso. Quindi, in successione, deve rispondere a coloro verso i quali riferisce e indirizza il proprio impegno. [...] Ognuno è svincolato e prosciolto da altro che dall’adempimento dei propri intenti. Maurizio Rebuzzini; su questo numero, a pagina 32
Copertina Inizi Novecento, con attribuzioni variabili dal 1900 al 1911: da un annuncio pubblicitario Eastman Kodak, con headline Take a Kodak with you (Prendi una [macchina fotografica] Kodak con te), dal quale conteggiamo la prolifica serie delle definite The Kodak Girl. Da pagina 31, al femminile
3 Fotografia nei francobolli Dalla compendiosa analisi Fotografia nei francobolli, di Maurizio Rebuzzini, in corso d’opera e prossima pubblicazione, dettaglio da una emissione inglese del 21 aprile 1986, nel sessantesimo compleanno della regina Elizabeth II (con Leica): in due valori, rispettivamente da 17p e 34p. Quindi, a seguire, nell’ottantesimo compleanno (21 aprile 2006), ancora la regina con Leica in un foglio Souvenir e un francobollo singolo delle Solomon Islands, e, con analogo richiamo visivo, in due fogli Souvenir, uno di Ascension Island e l’altro delle Pitcairn Islands
7 Editoriale Libri... libri... libri, in fantastico accompagnamento delle nostre esistenze: indispensabile cibo per l’anima
8 Bibliografia ragionata A cura di Martin Parr e Gerry Badger, tre preziosi casellari consequenziali: The Photobook: A History
10 A volte, tornano Filtri Hoya per fotografia bianconero. Quella di sempre
12 Quell’Indagine A completamento, qui e ora, certifichiamo quanto accaduto, con due immagini della serata: straordinario momento di sano e apprezzato sense of humour.
Trasversalità fotografica nella sceneggiatura e scenografia del film Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, del 1970, con Nikon F Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
MAGGIO 2017
RIFLESSIONI, OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA
16 Zhou Enlai
Anno XXIV - numero 231 - 6,50 euro
La fotografia stampata in più copie, al mondo, è il ritratto del premier Zhou Enlai, realizzato da Giorgio Lotti, nel 1973: considerazioni e commenti
DIRETTORE
RESPONSABILE
Maurizio Rebuzzini
IMPAGINAZIONE
Maria Marasciuolo
20 Alla Carriera
REDAZIONE
Premio AIF alla Carriera 2017 a Maurizio Rebuzzini, nostro direttore. Motivazione e richiamo a precedenti, con ipotesi in avanti... verso un libro che dovrà esserci
FOTOGRAFIE
22 Vedere al di là Coabitante nell’ampio e differenziato contenitore dei Sony World Photography Awards 2017, la seconda edizione dello Zeiss Photography Award ha richiamato una attenzione fotografica accattivante: Seeing Beyon Meaningful Places (Vedere oltre - Luoghi significativi)
31 Al femminile Sguardo lieve, per quanto concentrato, sull’illustrazione promozionale della fotografia al femminile. Registriamo una sostanziosa eleganza di forme, che hanno presupposto una efficace comunicazione delicata, raffinata e signorile della stessa fotografia di Maurizio Rebuzzini
42 Chiamiamole emozioni Allineare i sentimenti, accendere l’anima: è questo il senso della concentrata serie Luce, Colore, Emozioni, attraverso la quale Giorgio Lotti declina una ricerca rivolta alla sfera affettiva di richiamo. Astrattismi mirati di Angelo Galantini
54 Sense of humour L’inglese Martin Parr esprime un palese e apprezzato senso dell’umorismo, che accorda l’esistenza quotidiana di Antonio Bordoni
61 La forza con cui Al Mast, di Bologna, la selezione La forza delle immagini è scandita sul passo di sessantasette autori di spicco
65 Decalogo
Filippo Rebuzzini Rouge
SEGRETERIA
Maddalena Fasoli
HANNO
COLLABORATO
Fabio Augugliaro Gábor Baráth Pino Bertelli Antonio Bordoni Mauro Fabbri mFranti Angelo Galantini Giorgio Lotti Franco Sergio Rebosio Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604 www.FOTOgraphiaONLINE.com; graphia@tin.it. ● FOTOgraphia è venduta in abbonamento. ● FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano. ● A garanzia degli abbonati, nel caso la pubblicazione sia pervenuta in spedizione gratuita o a pagamento, l’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e in suo possesso, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi della legge 675/96. ● FOTOgraphia Abbonamento 12 numeri 65,00 euro. Abbonamento annuale per l’estero, via ordinaria 130,00 euro; via aerea: Europa 150,00 euro, America, Asia, Africa 200,00 euro, gli altri paesi 230,00 euro. Versamenti: assegno bancario non trasferibile intestato a Graphia srl Milano; vaglia postale a Graphia srl - PT Milano Isola; su Ccp n. 1027671617 intestato a Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; addebiti su carte di credito CartaSì, Visa, MasterCard e PayPal (graphia@tin.it). ● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti. Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano
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Sguardi contro la stupidità della fotografia. In estratto da... di Pino Bertelli Nella stesura della rivista, a volte, utilizziamo testi e immagini che non sono di nostra proprietà [e per le nostre proprietà valga sempre la precisazione certificata nel colophon burocratico, qui accanto: «È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo)»]. In assoluto, non usiamo mai propietà altrui per altre finalità che la critica e discussione di argomenti e considerazioni. Quindi, nel rispetto del diritto d'autore, testi e immagini altrui vengono riprodotti e presentati ai sensi degli articoli 65 / comma 2, 70 / comma 1bis e 101 / comma 1, della Legge 633/1941 / Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
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editoriale L
entamente, quanto inesorabilmente, la nostra società sta cambiando in misura consistente. Quantomeno nel mondo occidentale, nel mondo della globalizzazione (oltre che nella Società dello spettacolo, da e con Guy Debord e Pino Bertelli), l’incombenza di nuove tecnologie influisce su ogni aspetto della nostra vita quotidiana. Tra le tante suggestioni, basta guardarsi attorno, per strada o sui mezzi pubblici, per confrontarsi con tante e tante persone chine sul monitor dei propri smartphone: per leggere notizie in tempo reale, dialogare a distanza attraverso i social network, ricercare in Rete. A questo proposito, è stato addirittura rilevato che per incontri conviviali al ristorante, per la scelta del locale, oggigiorno, sia più determinante e discriminante la connessione Wi-Fi della qualità del cibo. Infatti, anche al ristorante, la concentrazione individuale su un monitor è ormai panorama diffuso: ciascuno è in contatto con altro/altri, che non i commensali con i quali dovrebbe condividere l’appuntamento. In questo senso, c’è poco da aggiungere; forse, addirittura, nulla da aggiungere. La constatazione basta da sé... e avanza, perfino. Ovviamente, questa ingerenza/incombenza tecnologica non riguarda soltanto se stessa, quanto un insieme di comportamenti indotti, che si allungano sulle singole esistenze: anche in quelle riferite alla frequentazione della fotografia. Bisogna capirsi, però. Un conto sono le indiscutibili facilitazioni e semplificazioni esistenziali; altro conto sono i retrogusti amari. Da cui, premesso che la Storia, fosse anche soltanto quella fotografica, va avanti da sola, con o senza di noi e indipendentemente da noi, non dobbiamo commettere l’errore di azzerare il passato, in onore e obbedienza (passiva) a un qualsivoglia presente, in proiezione futuribile. Ciò a dire che tutto quanto si aggiunge, tra le offerte quotidiane, va a incrementare un bagaglio complessivo, non necessariamente in sostituzione di nulla, ma in accrescimento e supplemento a tutto. Ragion per cui, non c’è motivo di considerare superata la stagione dei libri, attraverso i quali scorrono parole, idee ed esperienze. Su questo stesso numero, dalla successiva pagina otto, commentiamo una fantastica selezione di libri fotografici compilata da Martin Parr, fotogiornalista eccelso, a quattro mani con il critico e storico Gerry Badger: prezioso casellario, cibo per la mente e il cuore, al quale nutrire la propria frequentazione della fotografia. Ancora, i libri sono materia costante delle nostre considerazioni. Inviolabilmente, i libri, non necessariamente soltanto quelli specifici della fotografia, alimentano le crescite individuali: come annotiamo spesso, la parola scritta ci insegna ad ascoltare le voci; la vita ci chiarisce i libri. Inevitabilmente, i libri ci mettono effettivamente in contatto con la Vita (e lo fanno soprattutto i romanzi), più e meglio di quanto possano farlo gli istanti effimeri dell’attualità social (ma nessuna contrapposizione, sia chiaro). Inevitabilmente, i libri introducono verso mondi e pensieri fantastici, con i quali identificarsi, dai quali ripartire per qualsiasi viaggio individuale. Maurizio Rebuzzini
Nonostante le tecnologie dei nostri giorni, e dei prossimi a venire, e nonostante le proposte sostitutive... rivendichiamo il valore del libro, della stampa cartacea, della concentrazione con se stessi. Libri fotografici, per utilità propria, attraverso i quali educarsi. Romanzi, attraverso i quali entrare in mondi straordinari. Come annotiamo spesso, la parola scritta ci insegna ad ascoltare le voci; la vita ci chiarisce i libri.
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Anche questo di Maurizio Rebuzzini (Franti)
BIBLIOGRAFIA RAGIONATA
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Nell’ambito dei Sony World Photography Awards 2017, dei quali relazioneremo il mese prossimo, il fotografo inglese Martin Parr è stato insignito del prestigioso Outstanding Contribution to Photography 2017 (Contributo eccezionale alla fotografia). Con scarto a lato, ne riferiamo, su questo stesso numero, da pagina 54. A completamento, oppure aggiunta, fate voi, qui è opportuno segnalare che nella sua presentazione alla stampa internazionale, convenuta per l’occasione, Martin Parr ha ricordato come e quanto ogni fotografo debba essere consapevole della propria partecipazione a un linguaggio (un esercizio, una disciplina...) che ha tracciato indelebili tracce del proprio tragitto. In sostanza, ha sottolineato il diritto/dovere di ciascun autore di conoscere il cammino evolutivo e storico, avvicinabile attraverso tante e belle monografie che sono state pubblicate nel corso di quasi centottanta anni di Storia. E questo, sia chiarito subito, è esattamente anche il nostro pensiero, incessantemente ribadito dalle pagine della rivista, piuttosto che sistematicamente riaffermato in ogni occasione e situazione nelle quali sia necessario farlo: per esempio, ancora in tempi recenti, con gli incontri di Consapevo-
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The Photobook: A History - Volume I; a cura di Martin Parr e Gerry Badger; Phaidon Press, 2004; 800 illustrazioni; 320 pagine 25x29cm, cartonato con sovraccoperta; 75,00 euro. The Photobook: A History - Volume II; a cura di Martin Parr e Gerry Badger; Phaidon Press, 2006; 750 illustrazioni; 320 pagine 25x29cm, cartonato con sovraccoperta; 75,00 euro. The Photobook: A History - Volume III; a cura di Martin Parr e Gerry Badger; Phaidon Press, 2014; 900 illustrazioni; 320 pagine 25x29cm, cartonato con sovraccoperta; 79,95 euro.
lezza della Fotografia, svolti dall’associazione culturale Obiettivo Camera, che intende replicarli in altre e altre sedi, dopo l’avvio milanese di inizio anno. Tanto che, a domanda specifica, quando ci viene chiesto quali doti e valori debba possedere un autore fotografo (interrogativo trasversale a molti incontri diretti), siamo soliti sottolineare l’importanza della cultura individuale, sia in stretti termini fotografici, sia in proiezione ampia. Tanto è! Quindi, e in conseguenza di considerazioni, in occasione di questo Outstanding Contribution to Photography 2017, è bene ricordare un altro aspetto della personalità fotografica di Martin Parr, attento bibliografo e cultore della Storia della Fotografia, oltre i pro-
pri meriti d’autore. Insieme con Gerry Badger, storico e critico della fotografia, Martin Parr ha curato l’edizione di tre casellari straordinari, pubblicati in tempi successivi dall’attento editore inglese Phaidon Press: in ordine temporale, oltre che consequenziale, The Photobook: A History, scanditi nelle cadenze di Volume I (2004), Volume II (2006) e Volume III (2014). Da iscrivere e considerare nella categoria, ormai ben frequentata, di “libri di libri” (di fotografia), il trittico assolve le promesse implicite nel proprio titolo unificatore: mentre la Storia della Fotografia è (forse) un canone ben consolidato, questi schedari si concentrano sui libri fotografici (appunto, photobook), che sono trattati come vei-
Anche questo colo significativo e fondante per la visualizzazione del lavoro degli autori che l’hanno scritta, la Storia. Nel primo dei tre tomi, The Photobook: A History - Volume I fornisce una panoramica completa dell’idea e pensiero di libro fotografico, dal proprio avvio, all’alba della fotografia, a metà Ottocento, identificandone anche una radice giapponese, fino al modernismo e alla propaganda che si sono estesi dagli anni Trenta ai Settanta del Novecento. La selezione dei fotografi presi in considerazione dai due curatori Martin Parr e Gerry Badger sfida i canoni consueti e sempre ripetuti, fino a indagare sulle influenze e interrelazioni tra fotografi e movimenti fotografici in tutto il mondo. Il passo redazionale è suddiviso in capitoli tematici, sostanzialmente cronologici. Quindi, ogni sezione è introdotta da un testo mirato (in inglese), che offre informazioni basilari e sottolinea le influenze politiche e artistiche dominanti nel periodo preso in considerazione; a seguire, le singole presentazioni sono, a propria volta, scandite da approfondimenti specifici. Il Volume I prende in considerazione oltre duecento titoli, attraverso i quali è raccontata una efficace, concreta e tangibile Storia della Fotografia. Ampiamente illustrato, si propone come passerella alla quale è doveroso prestare la massima attenzione. A seguire, il successivo The Photobook: A History - Volume II scandisce i tempi del Novecento, soprattutto del secondo Novecento, andando a sottolineare l’azione artistica, propriamente artistica, di autori che hanno declinato il linguaggio fotografico verso espressioni di grande personalità, con evidenti scarti a lato rispetto quella che possiamo conteggiare come fotografia del/dal vero, qualsiasi cosa ciò possa significare, per ciascuno di noi, come in assoluto. Da Man Ray, Ed Ruscha e Andy Warhol a Christian Boltanski, Stephen Shore e Sophie Calle, passando per Bernd e Hilla Becher, Andreas Gursky e Lewis Baltz, sono presi in considerazione libri fotografici di grande valore. Attenzione: molti di questi titoli, sostanzialmente innovativi, sono opera di autori anche meno conosciuti; da cui, l’opportunità di individuare e scoprire opere colpevolmente trascurate. Soprattutto, sottolineiamo come e quanto sia rispettato il richiamo proposto -The
Nella propria interpretazione convinta e consapevole della fotografia, che lo porta anche a sottolineare gesti fotografici quotidiani che sfidano il buon senso comune, per sfociare nell’ironia (involontaria?), da tempo, Martin Parr frequenta gli studi fotografici per ritratto che incontra nei suoi viaggi attorno al mondo. In ognuno di questi, realizza un autoritratto in stile (locale), che è tassello di un progetto che spazia in lungo e largo attorno l’idea di raffigurazione del volto: da fotografie
Photobook: A History-, in base al quale non si considera tanto la singolarità delle immagini, quanto proprio il libro illustrato, il fotolibro, come veicolo di sostanziosa diffusione delle rispettive e relative progettualità visive. Ancora, sono presentati oltre duecento libri, accuratamente selezionati, accompagnati da commenti (di Gerry Badger), in analisi delle singole visualizzazioni e della loro partecipazione al tragitto complessivo. A conclusione del lungo e cadenzato cammino, l’approdo The Photobook: A History - Volume III esplora specificamente il libro fotografico contemporaneo, a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta del Novecento. L’analisi copre temi chiave della
digitali orrendamente ritoccate a ritratti in costume (anche in tuta da cosmonauta), a pose costruite (per esempio, in tenuta da judo, accanto a Vladimir Putin). Ottantanove di questi ritratti sono stati raccolti in volume monografico ( Martin Parr: Autoportrait 1996-2015), che, come per tutti i progetti di Martin Parr, è concentratamente ironico, nel momento in cui sollecita anche riflessioni più ampie legate all’identità... magari, mettendo in discussione la nozione di ritratto fotografico.
Martin Parr: Autoportrait 1996-2015; Dewi Lewis Publishing / Éditions Xavier Barral, 2015; 144 pagine 11x15,5cm, cartonato; 25,00 euro.
fotografia moderna, tra i quali spiccano la globalizzazione della cultura fotografica, il fenomeno di auto-pubblicazione e il nuovo approccio “stratificato” di foto-album. Dunque, esplorazione approfondita della relazione simbiotica tra il libro propagandistico contemporaneo rispetto le esperienze (temporalmente) precedenti della protesta, del sesso e della cultura giovanile (degli anni Sessanta e Settanta). Ancora, l’impatto di Internet e dei social media sulla natura del photobook. Le considerazioni sono scandite in nove capitoli tematici, ciascuno con testo introduttivo generale e analisi delle singole presentazioni: anche in questo caso, sono affrontati oltre duecento esempi. ❖
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Toni di grigio di Antonio Bordoni
A VOLTE, TORNANO
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Nella propria continua evoluzione e crescita -volente o nolente, proprio tale: crescita, qualsiasi cosa ciò possa significare-, la proposta tecnica della fotografia compie passi in avanti sistematici e sostanziali e significativi: verso dove, è tutto ancora da stabilire. Allo stesso momento, vanno registrate riproposizioni, forse ripensamenti, che dal passato -spesso, perfino remoto- approdano al presente. Tante le segnalazioni possibili; altrettante, le probabili parole a commento. Tra tutte, in stretta attualità commerciale, registriamo il (gradito) ritorno di una gamma di filtri colorati, dedicati alla ripresa fotografica in bianconero, soprattutto con pellicola fotosensibile. La giapponese Hoya, da tempo immemorabile una delle eccellenze del particolare comparto tecnico, ha ripreso la produzione e vendita di filtri colorati in montatura circolare, commercializzati attraverso la propria rete vendita: in Italia, sono distribuiti da Rinowa, di Bagno a Ripoli, alle porte di Firenze. La qualificata gamma si concretizza in cinque filtri colorati, in cadenza classica, nota e riconosciuta da coloro i quali -magari, noi tra questi- hanno vissuto stagioni (ormai) lontane della fotografia sul campo: Giallo (Y2), Arancio (Y3A), Rosso (R1), Giallo-Verde (X0) e Verde (X1). A questa sostanziosa base, si aggiunge ancora filtro Red Enancher (RA54), particolarmente utile per accentuare i cromatismi rosso, arancione e marrone della ripresa fotografica a colori, alla quale assicura una maggiore saturazione e un contrasto più definito. Generalmente, è abbinato alla fotografia di architettura e paesaggio, nelle quali esalta soprattutto le tonalità di foglie e rocce. Ancora, in applicazione specialistica, è adatto anche per le riprese astronomiche. Questa gamma di filtri colorati ripete e conferma una proposta commerciale classica, nei diametri compresi tra 49mm e 82mm, propri e caratteristici delle consuete molteplicità di obiettivi intercambiabili della fotografia piccolo formato (con estensione al medio formato) di tutti i tempi, anche degli attuali, scomposti tra reflex
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Per quanto la riproduzione litografica possa non rendere merito alle copie bianconero originarie, riassumiamo condizioni basilari dell’uso di filtri colorati per fotografia, soprattutto in pellicola. Lo facciamo alla luce della recente riproposizione in gamma Hoya.
Inquadratura originaria.
Con filtro Giallo Y2.
Con filtro Arancio Y3A.
GÁBOR BARÁTH /
WWW.GABORBARATH.COM
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Toni di grigio
35mm classiche, e da queste derivate, e Mirrorless, di dimensioni più contenute e altrettanta versatilità di impiego. In tempi passati, in momenti di fotografia soltanto chimica (altrove, analogica), al fine di ottenere risultati ottimali, la conoscenza tecnica individuale era più che necessaria, obbligatoria addirittura. Così che i passi della competenza tecnica comprendevano anche la capacità di impiegare filtri colorati, che migliorano, affinano e arricchiscono la
ripresa in bianconero. Oggi, in altro tempo, in altro momento, che spesso azzera le preparazioni individuali, lasciando magari alla post produzione di agire sui file, è (forse) necessario riprendere l’abbecedario dei filtri colorati, per comprenderne l’impiego: come anticipato, sono utili, spesso indispensabili, nella fotografia in bianconero, per differenziare al meglio e al necessario i toni di grigio. Infatti, nella interpretazione bianconero del colore originario, capita che
Con filtro Verde X1.
(in alto) Con filtro Rosso R1.
diverse tonalità siano definite dalla medesima luminosità, con conseguente restituzione in identico tono di grigio. Assorbendo colori e trasmettendone altri (complementari), i filtri colorati favoriscono la separazione dei grigi. La densità del filtro è discriminante... ed è qui che interviene, deve intervenire, la conoscenza e competenza. In breve, note basilari, in relazione alle quali ciascuno può, poi, approfondire. Il filtro Giallo (nella densità Y2, nell’attuale rinnovata gamma Hoya) schiarisce il giallo, scurendo al contempo il blu (e il coincidente viola). Di fatto, nella fotografia di paesaggio, scurisce il cielo, dando maggiore visibilità alle nuvole; ancora, riduce moderatamente la foschia. In tempi di bianconero diffuso, spesso è stato il filtro stabile sugli obiettivi di ripresa, adatto anche a rischiarare cautamente l’incarnato, nella fotografia di ritratto. In prosecuzione, il filtro Arancio (Y3A) accentua le prerogative di quello Giallo: continua a scurire il blu, schiarendo al contempo, giallo, arancione e rosso. Nella fotografia di paesaggio, rafforza quanto già riferito al filtro Giallo: in un cielo ancora più scuro e marcato, le nuvole risaltano maggiormente. Nella fotografia di ritratto, schiarisce ulteriormente la pelle, nascondendone eventuali difetti. Ancora più contrassegnata la risposta del filtro Rosso (R1), che scurisce blu e verde, schiarendo il proprio tono rosso. Nella fotografia di paesaggio, il cielo si avvicina al nero, con coincidente eliminazione della foschia. Nel ritratto, contrasta l’incarnato rispetto al colore delle labbra, approdando quasi a un effetto finale in toni decisamente alti (in gergo, High Key). Nella distinzione di densità GialloVerde (X0) e Verde (X1), al contrario dei filtri “caldi”, i verdi “freddi” si comportano all’esatto opposto: scuriscono il rosso e l’arancio, schiarendo, al contempo, il verde (e, marginalmente, il blu). A conseguenza, per i riferimenti consueti, nella fotografia di paesaggio arricchiscono le tonalità della vegetazione. Invece, nel ritratto, scuriscono il rosso delle labbra, con coincidente intensificazione dell’incarnato. Insomma... controllo completo e consapevole della interpretazione in toni cadenzati di grigio. Su pellicola (Rinowa, via di Vacciano 6f, 50012 Bagno a Ripoli FI; www.rinowa.it). ❖
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Cinema
di Maurizio Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
S
QUELL’INDAGINE
Soprattutto oggi, soprattutto in conseguenza dell’attualità dei nostri giorni, che tutto affronta e nulla approfondisce, è sempre più problematico raccontare qualcosa... qualsiasi cosa. Da una parte, l’ovvio scorrere del Tempo assopisce i ricordi e le conoscenze; da altra parte, paradossalmente, in epoca di facilità di informazione, la curiosità viene sempre meno, sacrificata all’altare della sola e inviolabile autoreferenzialità di se stessi. Così, è difficile presentare momenti e climi del passato, fosse anche soltanto prossimo, se e quando ciascuno considera reale il solo presente, con tutto quanto questo comporta e induce. Per commentare la presenza della fotografia all’interno della sceneggiatura e scenografia del film Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, di Elio Petri (anche sceneggiatore, con Ugo Pirro), del 1970, bisogna richiamare quel tempo e quell’ambiente italiano, fidandosi di coloro i quali possono offrirne testimonianza diretta: noi, tra questi. Ormai dimenticato e relegato in un limbo senza contatti con il presente, il film è (stato) uno dei capisaldi del cinema politico italiano, che ha animato la stagione immediatamente successiva le trasformazioni sociali innescate dai movimenti che hanno dato vita al fatidico Sessantotto. A propria volta, e in allineamento consequenziale (quasi), il protagonista maschile è interpretato da un attore-simbolo di quello stesso cinema politico: Gian Maria Volonté -a nostro personale giudizio, uno dei più grandi della storia italiana del cinema-, qui nei panni del capo della sezione Omicidi della questura di Roma, che in quegli anni caratterizzò numerose figure a sfondo politico, molte delle quali riprese dalla storia contemporanea (in I sette fratelli Cervi, di Gianni Puccini, del 1968; in Uomini contro, di Francesco Rosi, del 1970; in Sacco e Vanzetti, di Giuliano Montaldo, del 1971; in La classe operaia va in paradiso, di Elio Petri, del 1971; in Il caso Mattei, di Francesco Rosi, del 1972; in Sbatti il mostro in prima pagina, di Marco Bellocchio, del 1972; in Todo
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Cinema
Modo, di Elio Petri, del 1976; in Cristo si è fermato a Eboli, di Francesco Rosi, del 1979; e tanto altro ancora). La vicenda di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto è emblematica di molte tematiche trasversali alla società italiana del tempo (e, magari, ancora di oggi). Nel giorno della sua promozione al comando dell’ufficio Politico della questura di Roma, il capo della sezione Omicidi (per l’appunto, Gian Maria Volonté) uccide la propria amante, nel suo appartamento. Dissemina la scena del delitto di indizi che portano a lui, nella ferma convinzione che nessun funzionario di polizia avrà mai l’ardire di raccogliere queste prove a suo carico, ma ognuno rivolgerà l’indagine in altra direzione, che non verso la sua persona intoccabile. Il film si svolge in flashback, di rievocazione di fatti che si sono svolti in precedenza. In particolare, è ricostruito il rapporto intimo ossessivo con l’amante Augusta Terzi, interpretata da Florinda Bolkan, attrice brasiliana, ai tempi assai apprezzata dal cinema italiano (anche dalle commedie sexy di dubbio gusto e nessuna consistenza).
Il film Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, di Elio Petri, del 1970, è tra i più significativi della stagione politica innescata dalle trasformazioni socioculturali del Sessantotto. A margine, la nostra considerazione si limita alla presenza della fotografia: il protagonista Gian Maria Volonté con Nikon F. Del film Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto sottolineiamo la componente fotografica: con la sua amante Augusta Terzi, il capo della sezione Omicidi della questura di Roma replica scene di delitti.
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Cinema
Nello specifico, il nostro osservatorio mirato e indirizzato, oltre che perfino viziato, comunque sia da un posto in prima fila (è il caso), sottolinea la partecipazione della fotografia alla vita privata dei due amanti. Morbosamente, Augusta Terzi si informa sul modo in cui sono stati trovati cadaveri di morti ammazzati (meglio se di morti ammazzate: al femminile), per ripeterne la postura, per replicare la scena del delitto, che il suo amante (capo della sezione Omicidi) fotografa puntualmente: tra le pareti domestiche del lussuoso appartamento romano, piuttosto che in esterni, su una spiaggia deserta. Da cui, risolviamo la trasversalità tecnica: nei panni dell’amante che appaga tanto squilibrio, Gian Maria Volonté fotografa con una Nikon F nera, che in interni è accessoriata con un grottesco flash a lampadina (siamo sinceri, assai più scenografico di un qualsivoglia flash elettronico: nella raffigurazione cinematografica, a volte, è adeguato che l’apparenza visiva sia più accattivante della realtà). Quindi, dal nostro punto di vista,
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non ignoriamo che questa patologia nei confronti della raffigurazione fotografica della morte violenta ha sostanziosi accompagnamenti, ovvero si è rivelata tra le pieghe di altre narrazioni; almeno in due, una cinematografica e l’altra romanzata, che puntualmente richiamiamo, dopo averle già approfondite in precedenti occasioni. Dal cinema, ricordiamo il film Era mio padre, di Sam Mendes (Road to Perdition; Usa, 2002), ambientato nel mondo della mafia statunitense dell’inizio degli anni Trenta. Coprotagonista, accanto al protagonista Tom Hanks, nei panni di Michael Sullivan, Jude Law è il feroce killer Harlen Maguire... ossessivamente necrofilo. Ne abbiamo già scritto, e quindi non ripetiamo: in FOTOgraphia, del novembre 2005 e luglio 2015. Comunque, questa combinazione killer-fotografia è assoluta e inviolabile. Harlen Maguire uccide per denaro, ma -soprattutto- uccide per poter fotografare la morte. In coincidenza, troviamo qualcosa anche nella letteratura, seppure in quella leggera: nel romanzo Nove Miglia, un convincente poliziesco di
Uno dei classici della presenza dei flash a lampadina nelle scenografie del cinema. Dal film Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, sequenza dell’accensione e dello spegnimento del piccolo flash montato sulla slitta porta accessori della Nikon F nera usata dal protagonista Gian Maria Volonté, nei panni del capo della sezione Omicidi della questura di Roma.
Rob Ryan, scritto nel 2000, originariamente pubblicato in Italia nella collana popolare dei Romanzi neri del Giallo Mondadori. La concomitanza fotografica di Nove Miglia è estremamente affascinante, oltre che corrispondente alla morbosità fotografica introdotta, per trasversalità, da Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (attenzione: il film è ben altro, il film affronta e propone riflessioni e considerazioni di alto spessore, che abbiamo tralasciato, per occuparci soltanto del suo accompagnamento fotografico). Al pari del cinematografico Harlen Maguire di Era mio padre, in Nove Miglia, anche Vincent Wuzel è un killer che ama la fotografia. In modo analogo, copre la propria attività principale con un riferimento fotografico: in questo caso di compravendita di libri fotografici e fotografie d’autore, ed è a propria volta scrupoloso collezionista. In particolare, Vincent Wuzel colleziona fotografie di morte, in subordine al fatto che lui non riesce a realizzarne di altrettanto feroci [analisi dettagliata, in FOTOgraphia, del luglio 2015]. Questo è quanto. ❖
Cento milioni di Angelo Galantini
Z
Zhou Enlai -secondo la grafia più corrente di trascrizione degli ideogrammi cinesi originari (周恩來)- è stato il più amato politico cinese dai tempi della Repubblica Popolare. Insieme con Mao Zedong e Zhu De, il fondatore dell’Esercito Popolare di Liberazione (Zhōnggúo Rénmín Jiěfàngjūn, altrimenti identificato come Armata Rossa Cinese), compose un triumvirato che ha guidato il paese all’indomani del Primo ottobre 1949 di costituzione della Repubblica. Curiosamente, per quelle coincidenze che rivelerebbero che la vita possa avere un qualche senso, i tre leader sono mancati nello stesso anno, nel 1976: il primo a morire è stato proprio Zhou Enlai, l’otto gennaio (a settantotto anni, era nato il 5 marzo 1898); poi, registriamo la morte di Zhu De, il sei luglio (a novant’anni, era nato il Primo dicembre 1886); quindi, Mao Zedong è morto il nove settembre (a ottantatré anni, era nato il 26 dicembre 1893). Per mille e mille motivi, Zhou Enlai è stato il più amato dal popolo, come abbiamo appena annotato. Primo ministro dal Primo ottobre 1949 alla sua scomparsa, è stato anche vicepresidente del Partito Comunista per dieci anni (dal settembre 1956 all’agosto 1966), presidente del Comitato nazionale della Conferenza politica consultiva del popolo cinese per ventuno anni (dal dicembre 1954 fino alla sua scomparsa) e autorevole ministro degli Affari esteri della Repubblica Popolare Cinese per nove anni (dal 1949 al 1958). Soprattutto, gli è sempre stata riconosciuta una statura morale ineccepibile. Mentre Mao Zedong ripudiò la sua seconda moglie He Zizhen, nel 1939, per unirsi all’attrice Jiang Qing, non certo amata dal popolo (la prima moglie Yang Kaihui, sposata nel 1921, fu ripudiata nel 1927, e poi giustiziata dal Kuomintang, nel 1930), Zhou Enlai è rimasto con la moglie Deng Yingchao, sposata nel 1925, per tutta la vita. Non ebbero figli, ma adottarono numerosi orfani di “martiri rivoluzionari”, il più famoso dei quali è Li Peng (nato nel 1928 e orfano dal 1931), primo ministro della Repubbli-
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ZHOU ENLAI
Cento milioni ca Popolare Cinese dal 1987 al 1998. L’amore e considerazione del popolo cinese per Zhou Enlai ha un certo risvolto fotografico, legato a doppio filo con il fotogiornalista italiano Giorgio Lotti, del quale -su questo stesso numero,
da pagina 42- presentiamo la riflessione Luce, Colore, Emozioni. Un suo ritratto di Zhou Enlai è conteggiato come la fotografia più riprodotta al mondo, in un valutazione di oltre cento milioni di copie stampate (senza riconoscimento
Giorgio Lotti: ritratto del premier cinese Zhou Enlai (1973). È la fotografia più stampata, al mondo: in oltre cento milioni di copie.
di alcun diritto d’autore, va rilevato). Tanto che in una intervista a Giorgio Lotti, pubblicata dal sito Varese News, in richiamo alla attuale residenza del celebre fotogiornalista, è stato sottolineato che «Se fosse un cantante, sarebbe disco di Platino; se fosse scrittore, un bestseller». È un fotografo, e dunque deve accontentarsi -si fa per dire- di un primato estraneo al circuito della Società dello spettacolo (con Guy Debord e Pino Bertelli; comunque, Sguardo su, dello stesso Pino Bertelli, in FOTO graphia, del maggio 2012). Per i cinesi, il ritratto di Zhou Enlai realizzato da Giorgio Lotti, nel 1973, è denso di significati simbolici e premonitori. Anzitutto, l’amato primo ministro è di profilo e non di fronte, come nell’iconografia ufficiale dei personaggi politici nazionali, in stile fototessera; quindi, il suo sguardo verso l’infinito è stato caricato di valori e significati: è rivolto al futuro della Cina, che lui avrebbe visto oscuro, come buio è il fondo dell’inquadratura (a propria volta diverso dall’azzurro di regime). Comunque, ora e qui, il dietro-lequinte di questo straordinario ritratto, considerabile nel ristretto novero delle Fotografie che hanno scritto la Storia [in richiamo a FOTOgraphia, dell’ottobre 2000]. Ne riferiamo a memoria, riprendendo dalle numerose volte che
Zhou Enlai in chiave fotografica, con tra le mani un apparecchio medio formato, presumibilmente 6x6cm, di produzione nazionale (cinese).
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ARCHIVIO FOTOGRAPHIA
Cento milioni
(in alto) Repubblica Popolare Cinese: 9 settembre 1977, uno dei sei soggetti filatelici emessi per il primo anniversario dalla scomparsa di Mao Zedong, tutti celebrativi di momenti della sua vita politica a capo della nazione. Da una delle fotografie manipolate per cambiare il racconto della Storia, in base a una lunga e frequentata tradizione dei paesi “socialisti”, a partire dall’esempio originario dell’Unione Sovietica: nel novembre 1964, Mao riceve all’aeroporto di Pechino la delegazione che ha confermato lo strappo con il Partito Comunista Sovietico, all’indomani della caduta di Nikita Chruščëv, sostituito da Leonid Brežnev.
abbiamo sentito Giorgio Lotti riferirne, richiesto a farlo in mille e mille occasioni, in ognuna delle quali risponde sempre con la cortesia e lievità che lo caratterizzano e definiscono. Giorgio Lotti racconta che era a Pechino, come inviato del settimanale Epoca, del cui staff fotografico ha fatto parte dal 1964. Per intercessione dell’ambasciatore italiano, fu invitato a una cerimonia alla quale era (appunto) presente Zhou Enlai. La condizione di partecipazione era tassativa: senza macchina fotografica, perché era vietato fotografare in tale occasione. Ovviamente, lui non la lasciò in albergo, ma, da buon fotografo, la portò con sé, infilata in una tasca della giacca. In coda per entrare nel salone di ricevimento, si rese conto che l’unica
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Per decenni, è stata divulgata la fotografia dei tre leader (Zhou Enlai e Zhu De, di ritorno da Mosca), dalla quale era escluso Liu Shaoqui, allora presidente della Repubblica, estromesso ai tempi della Rivoluzione culturale (prima fotografia, a sinistra). Quindi, in seguito, dopo la sua riabilitazione, è tornata l’inquadratura completa, anche a colori (seconda e terza fotografia), addirittura interpretata in un poster del 1983, al quale è stato persino aggiunto Deng Xiaoping, allora ai vertici istituzionali del paese (quarta e ultima illustrazione). Insomma, diciamolo: corsi e ricorsi della politica cinese attraverso gli anni.
occasione per poterlo fotografare sarebbe stata quella del saluto in accesso. Quindi, insieme con il giornalista Raffaello Uboldi, scivolò strategicamente alla fine della coda, perché certamente non avrebbe potuto interloquire con il primo ministro nel corso del cerimoniale. A questo punto, il problema sarebbe stato soltanto la comunicazione verbale. Ricordandosi che Zhou Enlai, negli anni Venti, aveva studiato a Parigi, quando fu al suo cospetto gli rivolse la sua richiesta in francese (appunto). Gli chiese di poter realizzare un ritratto, invitandolo ad accomodarsi su una poltrona. A questo punto, una condizione era chiara: Giorgio Lotti non avrebbe potuto agire come era abituato nel fotogiornalismo, ma aveva a disposizione
soltanto una frazione di tempo, per un solo scatto. Comunque, dopo lo scatto (frontale e consueto), il fotogiornalista ebbe l’ardire di chiedere un altro istante di attenzione; in quel momento, il suo segretario richiamò l’attenzione del primo ministro, che distolse lo sguardo per guardare altrove. Ecco il ritratto: 1/15 di secondo, a f/3,5, con diapositiva Kodak Ektachrome tirata a 800 Iso. Attraverso l’ambasciatore in Italia, Zhou Enlai richiese una copia della fotografia, che divenne il suo ritratto ufficiale. Addirittura, ai suoi solenni funerali, a Pechino, in piazza Tienanmen, tutti i partecipanti esibirono questa fotografia come atto di reverenza al prestigio del primo ministro. Poi... cento milioni di copie. ❖
Riconoscimento di Angelo Galantini
M
ALLA CARRIERA
Mercoledì diciannove aprile, in concomitanza con la presentazione stampa del fitto programma PhotoFestival 2017, di centocinquantuno mostre fotografiche d’autore distribuite in novantacinque sedi di Milano (città metropolitana), in programma dal venti aprile al venti giugno, al nostro direttore Maurizio Rebuzzini è stato assegnato il Premio AIF alla Carriera 2017: «Per il suo lavoro di attento conoscitore del mondo della fotografia, visto non chiuso su se stesso, ma inserito nel più ampio orizzonte della cultura dell’immagine, nonché per la passione e la determinazione con cui, da ventiquattro anni, dirige un periodico originale e anticonformista come FOTOgraphia». Bene. Onore al merito, in una successione di attribuzioni/conferimenti che lo vede in ottima compagnia; a ritroso: Michele Smargiassi (2016), Grazia Neri (2015), Cesare Colombo (2014) e Mario De Biasi (2013). Bene. Onore al merito di un impegno (e, forse, di una competenza), che caratterizza una personalità quantomeno inconsueta nel pur ampio panorama delle parole e considerazioni sulla fotografia. Per quanto qui e ora stiamo anche scrivendoci addosso, non possiamo ignorare, né sottovalutare, considerazioni sicuramente condivise. Con immancabile e irrinunciabile onestà intellettuale, la nostra di sempre, rileviamo che, tra tanto altro, che appartiene alla sua vita quotidiana in fotografia, Maurizio Rebuzzini è editore e direttore di FOTOgraphia -come richiamato in motivazione di Premio alla Carriera-, incontestabilmente mensile di riflessione fotografica. Ancora, dall’Anno Accademico 2005-2006, è docente a contratto di Storia della Fotografia alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Brescia). È curatore della sezione storica degli apparecchi fotografici al Museo Nazionale Alinari della Fotografia, di Firenze. Dal 1972, Maurizio Rebuzzini si occupa di fotografia per riviste di settore, come redattore (Clic/Fotocamera, Photo 13, Photo Italia, Fotopratica, Kodak - ProPassport News, Union-
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Immaginato e avviato nell’estate 2013, lo studio Fotografia nei francobolli, di Maurizio Rebuzzini, dovrebbe esprimere considerazioni, osservazioni e riflessioni sulla stessa fotografia, con il pretesto di sua presenza in filatelia. Da un casellario di oltre millecinquecento soggetti consapevoli, una Storia trasversale, quanto opportuna. La sua stesura è sospesa per mille e mille motivi, ma non interrotta. Siamo in attesa.
fotomarket Informa), collaboratore (Nuova Fotografia, Fotoesperto, Phototeca, Fotografia Reflex, Fotografare) o direttore editoriale (FotoNotiziario Professionale, PRO-Professionisti dell’immagine, Magazine Leica, Il Fotografo). Scrive di linguaggio, tecnica e costume della fotografia applicando idee che, di fatto, abbattono i confini tra i diversi punti di osservazione: arriva al lessico fotografico partendo dalla presentazione di apparecchi (o fingendo di farlo), così come, con percorso analogo, inquadra e identifica l’apporto dell’applicazione tecnica quando affronta il linguaggio espressivo. Potrebbe addirittura essere riconosciuto (e stimato?) per un apprezzato e confortevole senso delle proporzioni. In un curioso rincorrersi di date e anniversari, oltre che di situazioni fotografiche italiane, questo Premio AIF alla Carriera 2017, assegnato dall’autorevole Associazione Italiana Foto & Digital Imaging, che rappresenta l’intera filiera del commercio fotografico nazionale, dai produttori e importatori ai laboratori
e punti vendita, arriva venti anni dopo l’analogo riconoscimento che, in tempi passati, ha accompagnato lo svolgimento del Sicof, la fiera mercantile originaria della fotografia in Italia. Giusto venti anni fa, all’ultima edizione del Sicof, che poi avrebbe lasciato il passo all’attuale PhotoShow, l’Horus Sicof 1997 fu assegnato a Maurizio Rebuzzini con una motivazione che anticipò quella odierna, declinata in termini di merito almeno analoghi: «Da sempre appassionato fotografo professionista e tenace indagatore del mestiere e della cultura fotografica, ha attraversato le grandi stagioni della Fotografia italiana, collaborando a molte tra le più diffuse testate di settore e creandone anche di nuove, soprattutto nel settore professionale. Da alcuni anni, ha fondato e dirige FOTOgraphia, una rivista in cui riversa la sua grande cultura tecnica e la sua acuta competenza culturale. Attraverso di essa contribuisce in maniera decisiva -con i suoi pezzi fatti di misura e di humour, di capacità di sintesi e di attenzione ai dettagli- alla crescita di consapevolezza e di maturità del mondo della Fotografia italiana». In precedenza, ci sono stati altri riconoscimenti professionali: il Premio Giornalistico Assofoto, nel 1984, e il Trofeo Nazionale per la stampa specializzata, a Benevento, nel 1999. Si è soliti affermare che il vero luogo natio sarebbe quello dove per la prima volta si è posato lo sguardo consapevole su se stessi: la prima (e unica?) patria di Maurizio Rebuzzini sono stati i libri. La parola scritta gli ha insegnato ad ascoltare le voci; la vita gli ha chiarito i libri. Per la fotografia, ne ha scritti due: Alla Photokina e ritorno, alla fine del 2008, e 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita, alla fine del 2009. Dall’estate 2013, ipotizza di scriverne e illustrarne un altro, in sospensione per mille e mille motivi: Fotografia nei francobolli, considerazioni e osservazioni e riflessioni sulla stessa fotografia, con il pretesto di sua presenza in filatelia. Siamo in attesa. ❖
Kevin Faingnaert (Belgio): dalla serie Føroyar, Zeiss Photography Award 2017. Casa nel villaggio di Gásadalur, di sedici abitanti (qui sopra). Il pittore e scultore danese Trontur Patursson, che vive a Kirkjubøur, il villaggio più meridionale dell’isola (pagina accanto).
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di Angelo Galantini
A
nticipando quanto relazioneremo il prossimo mese, la vittoria del belga Kevin Faingnaert allo Zeiss Photography Award 2017, abbinato al contenitore complessivo dei Sony World Photography Awards, raddoppia l’affermazione nazionale, che ha assegnato a un altro belga, Frederik Buyckx, il primo premio assoluto Photographer of the Year (in origine, Iris d’Or ). Tra tanto altro da commentare, e contiamo di farlo giusto nella relazione complessiva dai Swpa 2017, che per il vero meriterebbero approfondimenti ben superiori a quanti si possono esprimere in un solo articolo/intervento, subito qui una considerazione, in linea con quanto spesso rileviamo a proposito di premi e giurie.
Fatta salva la considerazione sovrastante, che ci fa sempre accettare le sentenze di merito, qui e ora, non possiamo che sottolineare una volta ancora la soggettività dei giudizi espressi. Infatti, Frederik Buyckx, Photographer of the Year 2017, è incluso anche tra i dieci finalisti dello Zeiss Photography Award 2017, con una serie di immagini ulteriore a quella che si è affermata in categoria agli Swpa 2017, prima di imporsi in assoluto per il premio più ambìto. Come dire, vincitore là e non qui. Del resto, lo stesso accade a concorsi incrociati, con affermazioni che si alternano, a parità di serie fotografiche in analisi ed esame: e già qui registriamo l’intreccio recente tra World Press Photo [FOTOgraphia, aprile 2017] e Sony World Photography Awards, che ripete e conferma alternanze del passato prossimo. Per esemplificare, il primo premio Contemporary Issues Stories
Coabitante nell’ampio e differenziato contenitore dei Sony World Photography Awards 2017, la seconda edizione del prestigioso Zeiss Photography Award ha richiamato una accattivante attenzione fotografica: Seeing Beyond - Meaningful Places, ovverosia Vedere oltre - Luoghi significativi. Un vincitore assoluto: il belga Kevin Faingnaert, individuato all’interno di una rosa di dieci finalisti. Tematiche concentrate, affrontate con impegno e considerazione
VEDERE ` ALDILA
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(a destra) Anna Filipova (Inghilterra): dalla serie Research at the End of the World. Insediamento di Ny-Ålesund, nell’arcipelago delle Svalbard (Norvegia). Precedentemente città mineraria di carbone, oggi ospita un centro scientifico che è il più grande laboratorio per la ricerca artica moderna al mondo. Qui operano équipe di undici paesi.
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del WPP 2017, il reportage della canadese Amber Bracken sull’opposizione dei Sioux all’oleodotto della Dakota Access Pipeline, è stato solo segnalato nella stessa categoria Swpa 2017; al contrario, il terzo premio General News Stories del WPP 2017, dell’italiano Alessio Romenzi, si è affermato nella corrispondente categoria Current Affairs & News dei Swpa 2017. Capita. È capitato. Tornando in cronaca, registriamo -ribadendolo- che lo Zeiss Photography Award, indirizzato come Seeing Beyond, traducibile in Vedere oltre, è un concorso lanciato lo scorso 2016 in combinazione allo svolgimento dei Sony World Photography Awards. Sono richieste serie fotografiche svolte in cinque-dieci immagini che osservino oltre l’ordinario e il “quotidiano”, in rappresentazione di aspetti straordinari del mondo nel quale viviamo e documentazione dell’importanza di uno o più luoghi che hanno un corrispondente significato. Come già annotato, il fotografo belga Kevin Faingnaert ha vinto lo Zeiss Photography Award 2017 / Seeing Beyond - Meaningful Places (Luoghi significativi) con una convincente documentazione sulle Fær Øer, arcipelago subartico formato da diciotto isole, al largo delle coste settentrionali dell’Europa, tra il Mare di Norvegia e il nord dell’Oceano Atlantico, a metà strada tra l’Islanda e la Scozia (circa cinquantamila abitanti). La serie fotografica Føroyar rappresenta la vita nei villaggi remoti e poco popolati delle isole. Testimonianza di Kevin Faingnaert: «Nel febbraio 2016, mi sono immerso nella comunità delle Fær Øer. Ho fatto surfing e mi sono avvicinato attraverso le isole, trovando porte aperte ovunque sono andato. In tutta la costa delle isole, caratterizzata da paesaggi velati di neve e limitati da una geografia straordinaria, i villaggi stanno cadendo lentamente in declino, perché i loro abitanti emigrano dalle isole in cerca di maggiori opportunità di vita. In un viaggio solitario e perennemente gelido, ho imparato ad apprezzare i piccoli semplici conforti della vita, ascoltando storie raccontate nel caldo accogliente delle case delle Fær Øer... il suono delle canzoni sullo sfondo del mare e il mio memorabile incontro con un messaggio-nella-bottiglia sulla spiaggia. In questi paesaggi chiari e incontaminati, disseminati di piccoli villaggi con popolazioni minime, ai margini delle scogliere, ho incontrato una comunità saldamente ancorata alle proprie radici e tradizioni. Comunque, un giorno, questi villaggi scompariranno. Inevitabilmente». Già... verso la fine. Già... (tra tanto altro) missione della fotografia: documentare ciò che va esaurendosi. Rendere permanente nella memoria quanto si dissolve. In questo senso, come non ritornare, con il ricordo, ad altri sostanziosi passi della fotografia, scanditi in tempi di proprio pionierismo? Come non accostare questa documentazione a quella, sostanziosamente più imponente, concretamente più “storica”, adeguatamente allineata, attraverso la quale, all’inizio del Novecento, Edward Sheriff Curtis ha registrato la nazione dei Nativi Americani? Certo, trascorsi i decenni, la fotografia ha modificato anche i termini del proprio linguaggio, della propria cadenza comunicativa, ma il senso e lo svolgimento sono tanto analoghi da costituire un allineamento significativo ed evocativo.
(a sinistra) Christopher Roche (Inghilterra): dalla serie Devotion. A Varanasi, durante il giorno finale di Deva-Diwali, è propiziatorio fare il bagno nel Gange, il fiume più santo dell'India. Si ritiene che bagnarsi nelle sue acque purifichi dai peccati commessi.
Nicholas White (Inghilterra): dalla serie Black Dots. Rifugio ai piedi del passo di montagna scozzese di Bealach na Bà, conservato dai volontari dell’Associazione Mountain Bothy, che rappresenta ormai una caratteristica iconica del paesaggio britannico, un incontro tra l’Uomo e il deserto, nel Ventunesimo secolo.
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Sonja Hamad (Germania): dal progetto «Jin - Jîyan Azadî» Women, Life, Freedom. Gulan, diciannove anni, Zerya, diciotto anni, e Zilan, diciasette anni, a Sinjar, piccola città nell’Iraq nordoccidentale, al confine con la Siria. Qui, con le "figlie", sono iniziati i movimenti di liberazione. Aderendo alla guerriglia, si rinuncia al proprio nome, per adottare una nuova identità, "Haval", che significa qualcosa di simile ad "Amico".
(a destra) Fabian Muir (Australia): dalla serie Shades of Leisure in North Korea. I residenti di Pyongyang, Corea del Nord, frequentano il parco acquatico Munsu, completato recentemente. Il leader Kim Jong-un ha speso grandi somme in centri ricreativi come questo, specialmente nella capitale. L'ingresso al parco acquatico Munsu è estremamente costoso per gli standard locali, tanto da rendere la sua frequentazione dominio dell'élite sociale e politica, mentre i normali cittadini frequentano le altre strutture più antiche della città.
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Quindi, in relazione a quanto sottolineato dal capitolato Seeing Beyond - Meaningful Places, dello Zeiss Photography Award 2017, anche le altre serie finaliste hanno risposto a Vedere oltre - Luoghi significativi. È adeguato riferirne, senza alcun ordine graduatorio stabilito, ma soltanto con una cadenza che ci è congeniale. La Research at the End of the World (Ricerca alla fine del mondo), dell’inglese Anna Filipova, è stata condotta a Ny-Ålesund, sul Settantanovesimo parallelo Nord, insediamento situato nel nord-ovest dell’isola di Spitsbergen, la più estesa dell’arcipelago delle Svalbard (Norvegia), il più settentrionale del mondo. È uno dei luoghi più peculiari della Terra -con circa duecento abitanti, in estate, e soltanto trenta, in inverno-, che ospita il più grande laboratorio per la ricerca artica moderna: un collettivo unico di uomini e donne, ambasciatori globali per i molti paesi che rappresentano. I Portraits of the North (Ritratti del Nord), del ghanese Ben Bond Obiri Asamoah, sono stati realizzati a partire dalla sua personalità professionale nella moda, svolta nella capitale Accra. La sua percezione del “bello” è solitamente edificata su una architettura accattivante e un ambiente attraente. A differenza, il viaggio verso Bolgatanga, capoluogo nordorientale del paese, ha incontrato un’altra bellezza: non grassa e quotidiana, e neppure deviata da altre influenze che non quelle tradizionali e naturali. Uno sguardo sull’Africa dal proprio interno, non condizionata da invasione (fotografica) colonizzatrice. La Devotion (Devozione), dell’inglese Christopher Roche, scandisce il passo di un progetto fotografico che esplora tradizioni di fede di popoli in tutto il mondo: oltre il dogma, l’umanità comune dei popoli. Riti simili -come il pellegrinaggio, la preghiera e la meditazione- rivelano una intenzione condivisa per la realizzazione spirituale che va oltre le differenze superficiali. Dai monasteri buddisti del Tibet alle chiese scavate delle rocce dell’Etiopia, dai santuari sufi dell’Iran alle scalinate Ghats verso i corsi d’acqua dell’India e agli animisti nelle Ande peruviane, il progetto sottolinea sia la natura intima, sia l’epica delle pratiche spirituali. L’Ethiopian Christmas Pilgrimage to Lalibela (Pellegrinaggio etiope di Natale a Lailibela), dell’italiano Mario Adario, è stato svolto nel gennaio 2015, nei giorni del Natale etiope, quando pellegrini provenienti da tutto il paese si trovano nella città sacra di Lalibela per pregare nelle famose chiese scolpite nella roccia. L’autore ha fotografato durante i tre giorni che culminano con le festività di Natale (sette gennaio). Argomento trasversale alla cronaca politica internazionale dei nostri giorni, Shades of Leisure in North Korea (plausibilmente, Parvenze di tempo libero nella Corea del Nord), dell’australiano Fabian Muir, scarta a lato lo stereotipo ormai diffuso nel mondo occidentale. Qui non ci sono sfilate militari e segni del potere, ma una vita quotidiana stratificata, che sottolinea la normalità invisibile del paese, estranea all’attenzione generica altrimenti finalizzata. Questa documentazione presenta aspetti inattesi della Corea del Nord, solitamente estranei alla sua attuale immagine pubblica: dunque, oltre i cliché. Horse Head (Testa di cavallo), del belga Frederik Buyckx, in altro ambito Photographer of the Year ai Sony World Photography Awards 2017, è una commossa
Nicky Newman (Sudafrica): dalla serie Place Of Water. «Avevo appena finito i miei bagni in piscina, credendo di essere solo. Mentre stavo uscendo, è arrivata una scolaresca; ho chiacchierato con gli insegnanti, che mi hanno riferito come i bambini amino questa gita più di qualsiasi altra. È un caso in cui avrei voluto aggiungere l'audio all'immagine: i brividi di gioia, le risate, l'eccitazione e la pura libertà, prima di tornare a scuola».
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documentazione della vita semi nomade in Kirghizistan (altrimenti, Chirghisia), repubblica dell’Asia centrale, al confine con la Cina, terra di cavalieri e ricca di patrimoni nomadi e tradizioni antiche. Durante i mesi estivi, molte famiglie continuano a pascolare le proprie mandrie in prati di montagna, chiamati jailoos, conservando vecchie abitudini e modi di vita nomade. In inverno, i pastori e il loro bestiame affrontano condizioni meteorologiche avverse, su terreni prevalentemente montuosi. Anche se le aree isolate ricevono il segnale per i telefoni mobili, la maggior parte della vita quotidiana non è cambiata molto negli ultimi decenni: il cavallo continua a svolgere un ruolo centrale nel comportamento semi nomade. «Jin - Jîyan - Azadî» Women, Life, Freedom («Jin Jîyan - Azadî» [Che le donne vivano in libertà] Donne, Vita, Libertà), della tedesca Sonja Hamad, entra con decisione nel tumulto delle guerre dei nostri giorni, con uno sguardo trasversale e lieve. Circa un terzo dei combattenti curdi a Rojava (Kurdistan siriano, o Kurdistan occidentale) sono donne. Senza paura della morte, comprese dalla devozione alla patria e dal loro amore per le famiglie e i propri cari, queste donne combattono coraggiosamente lo Stato Islamico. Una delle loro più recenti vittorie riguarda la liberazione di Kobanê, nel nord della Siria, all’inizio di quest’anno; quindi, è stato significativo il salvataggio del popolo Yezidi dal genocidio, a Sindscha City. In patria, sono celebrate come eroi. Poiché il movimento di liberazione della donna è profondamente radicato nell’ideologia del movimento PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), circa diecimila donne, di età compresa tra i quindici e i quarantacinque anni, hanno aderito al partito politico femminile. Realizzate con un banco ottico 4x5 pollici, le fotografie della serie Black Dots (Puntini neri), dell’inglese Nicholas White, sottolineano piccole presenze in ampi spazi naturali. Non è facile attraversare il Bealach na Bà, passo di montagna scozzese: scendendo dalla montagna, nella luce sbiadita, si individua un piccolo edificio, un rifugio. Quattro muri in pietra, un tetto in metallo e un singolo camino a una estremità. Lontana dalla civiltà, e accessibile solo a piedi, questa tenda in pietra offre un confortevole benvenuto dagli elementi: caratteristica iconica del paesaggio britannico, un incontro tra l’Uomo e il deserto, nel Ventunesimo secolo. Infine, Place Of Water (Spazio d’acqua), del sudafricano Nicky Newman, torna alla riflessione intima d’autore. Testimonianza: «Ogni volta che sono stressato o triste, appena mi trovo vicino all’acqua, mi calmo immediatamente: per questo, ho una relazione d’amore con una piscina pubblica a Cape Town, separata dall’oceano da una piccola recinzione, con la Robben Island ben visibile, in lontananza. Ho nuotato qui da quando ero bambino. In quei giorni scuri, per legge, la piscina era solo per i bianchi. Immagino ancora i tanti bambini che non potevano accedervi guardare con inquietudine l’acqua, chiedendosi perché non potessero nuotare anche loro. Venticinque anni dopo, per fortuna, la follia è finita, e ora è un luogo nel quale diverse nazionalità, età e etnie giocano liberamente insieme. Mi piace fotografare qui, percepire la gioia». Dieci Visioni oltre (al di là), verso luoghi significativi. Ancora: missione della Fotografia. Forse. ❖
Ben Bond Obiri Asamoah (Ghana): dalla serie Portraits of the North. Ritratto di una madre con sua figlia. Applicando la propria esperienza nella fotografia professionale di moda, svolta nella capitale Accra, l’autore ha allestito un set completo di illuminazione flash con riflettori bank.
Mario Adario (Italia): dalla serie Ethiopian Christmas Pilgrimage to Lalibela. Un celebrante con la croce etiope tradizionale.
(pagina accanto) Frederik Buyckx (Belgio): dalla serie Horse Head. Nel freddo della mattina, un pastore in abiti pesanti controlla la sua mandria di pecore (in alto). Ogni mattina, i pastori lasciano la piccola città in montagna, nella quale vivono, con le proprie mandrie di pecore da pascolare. In inverno, le temperature scendono spesso sotto i meno venti gradi (in basso).
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Per quanto, al proprio interno, la Storia della Fotografia registri personalità femminili di spessore e rilievo e valore, non possiamo ignorare che l’immagine più diffusa della fotografia sia maschile. Quindi, il nostro sguardo odierno intende essere -e effettivamente è- più lieve: si riconduce all’illustrazione promozionale della fotografia al femminile. Registriamo una sostanziosa eleganza di forme, che hanno presupposto e immaginato una efficace comunicazione delicata, raffinata e signorile della stessa fotografia, a partire dai propri utensili
Con la Box Kodak, del 1888, alle origini della fotografia industriale, dopo i primi decenni di sostanziale artigianato, la donna compare nelle illustrazioni promozionali e di uso. Da questa data, possiamo conteggiare la presenza femminile abbinata a una sorta di tecnica fotografica.
AL FEMMINILE
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(centro pagina) Allegoria della fotografia in una cartolina edita da Giovan Battista Ganzini, a cavallo del Novecento. (in basso, a destra) Copertina del catalogo Zeiss Ikon, del marzo 1941, curato dal distributore italiano Ikonta, di corso Italia 8, a Milano.
ARCHIVIO FOTOGRAPHIA (7)
Catalogo Kodak Italia, dell’agosto 1929: elegante famiglia al femminile, con Pocket Kodak N.1 / N.1A Autographic Serie II.
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di Maurizio Rebuzzini
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rima di altro, ognuno di noi deve rispondere a se stesso. Quindi, in successione, deve rispondere a coloro verso i quali riferisce e indirizza il proprio impegno, qualsiasi questo sia. In tale senso, e in relazione alla nostra materia statutaria di dialogo, per quanto ciascuno sia libero di affrontare e frequentare la fotografia nei modi e con i tempi che ritiene opportuni (a se stesso), ognuno è altrettanto svincolato e prosciolto da altro che dall’adempimento dei propri intenti. Senza anatemi, una volta incamminatisi per il proprio cammino, tutti lo devono soltanto percorrere nell’onestà delle proprie intenzioni originarie, nessuna delle quali è esecrabile, né condannabile, in risposta a capitolati preventivi individuali.
Tutto questo per affermare come e quanto un certo giornalismo di settore, magari il nostro, sia anche indirizzato verso osservazioni trasversali e complementari, che completano, nel proprio insieme, il ragionamento complessivo e articolato attorno la fotografia. In ripetizione d’obbligo, «prima di altro, ognuno di noi deve rispondere a se stesso»: e noi, per l’appunto, rispondiamo a noi stessi quando e per quanto andiamo a individuare prospettive inattese, gradazioni diagonali e intersecanti, utili per definire un insieme di valori e concetti che si sono manifestati, e che -anche per questo- meritano di essere registrati. A margine di tante e tante attuali considerazioni inutili riguardo l’evoluzione tecnologica della fotografia -in tempi recenti, passata dalla registrazione con pellicola fotosensibile, e tutti i connotati del caso, all’acquisizione
digitale di immagini, con altrettanto relative consecuzioni-, ci sono anche considerazioni sostanziali di carattere sociale: come e quanto la fotografia influisce, ha influito, sulla vita. Al solito, non difendiamo aprioristicamente alcuno di questi due presupposti -pellicola contro digitale-, ma, più concretamente, ne analizziamo gli effetti complementari, per incrementare e migliorare quel bagaglio di nozioni, anche storiche, soprattutto storiche, sulle quali edificare libertà di pensiero e visione sempre crescenti. In effetti, il passato è sempre ciò che vogliamo farlo diventare. Sia in atteggiamento individuale, sia in pensiero complessivo, lo possiamo usare per farci del male, o lo possiamo usare per diventare più forti. Noi agiamo proprio nella direzione della forza e della comprensione e dell’arricchimento di osservazione. Forse... è tutto e solo questo.
Così che, oggi e qui, analizziamo la visualizzazione promozionale della fotografia al femminile. Il cammino è cadenzato da tempi storici di riferimento imparziale e spassionato, deducibili dagli esempi concreti che si possono individuare, avendo interesse e cura di farlo. Il tragitto che andiamo a decodificare si basa anche sulla consapevolezza che, volente o nolente, quello della fotografia è stato un esercizio (quella della fotografia è stata una disciplina, una applicazione) soprattutto maschile: sia per maschilismo sociale diffuso, sia per mille e mille altri motivi contingenti. Da cui, se intendiamo considerarla anche così, uno dei retrogusti (socialmente) positivi dell’attuale tecnologia digitale di acquisizione delle immagini, con tutte le proprie coerenti “semplificazioni”, è stato un certo sdoganamento tecnico, una volta implicito nell’uso di attrezCatalogo Generale Kodak Italia (Kodak Società Anonima), del 1923.
(centro pagina, in alto) Catalogo Voigtländer, del 1938. Serena evocazione al femminile. All’aperto.
Annuncio Lastre Gevaert, pubblicato nel corso degli anni Venti e Trenta.
(centro pagina, in basso) Listino Selo / Ilford, del marzo 1935: con quanta eleganza!
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ARCHIVIO FOTOGRAPHIA (5)
Catalogo Zeiss Ikon, del Primo gennaio 1939, per gli accessori fotografici complementari alla produzione di apparecchi di ripresa: donna-madre, in richiamo a una produzione fotografica di alto prestigio, per la quale il distributore «non assume garanzia per l’esattezza delle illustrazioni e descrizioni, e declina ogni responsabilità per eventuali errori di stampa» (testuale!). Ancora avanti: «I prezzi non sono impegnativi. Preghiamo i Sigg. Clienti di citare sempre, nelle proprie ordinazioni, il numero di catalogo dell’articolo richiesto».
zature meccaniche, che ha consentito un notevole allargamento di utenza potenziale. Mai come oggi, mai in passato, la presenza femminile nella fotografia, a tutti i propri livelli, è stata tanto quanto si manifesta oggi. Ne parliamo con/per conoscenza. Per esempio, in diverse occasioni recenti, ci è capitato di svolgere programmi fotografici presso l’Associazione Culturale Sezione Aurea, di Lamezia Terme, in Calabria, in provincia di Catanzaro. Rispetto altri fotoclub che conosciamo, qui abbiamo registrato un dato affascinante, che stabilisce una personalità unica, nel momento stesso nel quale rappresenta la punta di diamante di una tendenza ormai (e finalmente) diffusa. Più della metà dei soci, peraltro di età anche inferiore alle medie nazionali, è costituita da donne. Ovviamente, il loro apporto alla comunità di riferimento è particolare: ascoltando dialoghi
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tra soci maschi, abbiamo sentito parlare soprattutto di apparecchi e obiettivi; mentre, quando dialogano donne, si parla soprattutto di fotografia. E questo va registrato. All’interno del tragitto odierno, questo è soltanto un prologo: necessario, ma non sufficiente. La sua motivazione, appena accennata, attribuisce valore allo sdoganamento tecnico indotto dalla tecnologia digitale, che -come già annotato- ha abbattuto una barriera “maschilista” del passato, remoto quanto prossimo. Comunque, rimane un prologo, introduttivo di quanto stiamo per considerare.
GIÀ... AL FEMMINILE Per quanto, al proprio interno, la Storia della Fotografia registri personalità femminili di spessore e rilievo e valore, non possiamo ignorare che l’immagine più diffusa
Uno dei dodici soggetti della serie Pin Up di schede telefoniche Telecom, del 2000; valore nominale di 5000 lire. Illustrazione di Pearl Frush (1907-1986), uno dei più apprezzati della stagione statunitense che si è allungata sugli anni, a partire dal primo decennio del Novecento.
(centro pagina, in alto) Cartolina postale francese viaggiata, con annullo del 4 febbraio 1905 (forse), con Commandements de l’Amateur-photographe, di Marcel Houjan.
Cartolina postale francese viaggiata, con annullo del 3 gennaio 1910: sposini in posa fotografica.
(centro pagina, in basso) Anni Quaranta-Cinquanta: da una busta portanegativi personalizzata Ilford Selochrome, con garbata raffigurazione al femminile. Pudica!
della fotografia sia maschile. Ottimi sono stati alcuni esami al femminile, così come modesti e stopposi ne sono stati altri. Tra gli eccellenti, ne ricordiamo due: L’altra metà dello sguardo. Il contributo delle donne alla storia della fotografia, a cura di Nicoletta Leonardi, pubblicato da Agorà Editrice, nel 2001 (Atti del convegno omonimo, a cura di Nicoletta Leonardi e Rosalba Spitaleri, svoltosi a Torino, il precedente 4 dicembre 1998), e il recente La fotografia ribelle (Storie, passioni e conflitti che hanno rivoluzionato la fotografia), di Pino Bertelli, in edizione NdA Press del corrente 2017, presentato sullo scorso numero di aprile di FOTOgraphia. Ma il nostro sguardo odierno intende essere -e effettivamente è- più lieve: si riconduce all’illustrazione promozionale della fotografia al femminile. Con questo, non ignoriamo atteggiamenti sgradevoli, stiamo per
riferirne, ma, allo stesso tempo, registriamo una sostanziosa eleganza di forme che hanno presupposto e immaginato una comunicazione delicata e signorile della stessa fotografia, a partire dai propri utensili. Se dobbiamo stabilire una origine certa, torniamo alla Box Kodak del 1888, la prima delle quattro svolte senza ritorno, che dalla fotografia si sono prontamente proiettate sul linguaggio e l’espressività (e la società tutta), con quanto ne è conseguito e ancora consegue: da e con il cammino di 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita (Graphia, 2009). Tra le tante trasformazioni sostanziali introdotte dalla Box Kodak, di George Eastman, qui e ora, ne sottolineiamo una speculativa per le nostre considerazioni odierne: con la Box Kodak, la donna compare per la (continua a pagina 38)
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ARCHIVIO FOTOGRAPHIA (2)
(doppia pagina precedente) Illustrazioni conseguenti Cappelli e Ferrania, degli anni Venti e Cinquanta, rispettivamente in illustrazione di Marcello Dudovich e fotografia di Elio Luxardo (da cartolina pubblicitaria).
Chiudibusta (errinofilia) e identico dettaglio da una cartolina postale, entrambi certificativi dell’Esposizione Fotografica di aprile-maggio 1899, a Firenze.
(centro pagina) Copertina del dépliant francese Kodaks, del marzo 1937. Raffinatezza ed eleganza.
(pagina accanto) Inizi del Novecento, con attribuzioni variabili dal 1900 al 1911: da un annuncio pubblicitario Eastman Kodak, con l’headline (slogan?) Take a Kodak with you, con il quale prende avvio la serie di definite The Kodak Girl.
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Quarta di copertina del Catalogo illustrato dell’Industria Fototecnica Firenze, del 1954. Sempre riconosciuta per la propria gamma di ingranditori fotografici, la Iff ha spaziato anche in sala di posa, proponendo sistemi di illuminazione via via al passo con i propri tempi. Da cui, questo richiamo fascinoso, in illustrazione di Fernando Baldi.
(continua da pagina 35) prima volta nelle illustrazioni di uso. Da una parte, come appena segnalato, potremmo sgradire che il concetto di semplicità di impiego della Box Kodak -la prima macchina fotografica portatile, effettivamente alla portata di ciascuno, anche privo di specializzazione finalizzata- sia ricorso alla Donna, come a sottolineare una scala gerarchica di valori; dall’altra, però, non possiamo ignorare il senso assoluto di una proposta tecnica che per prima ha abbattuto il confine “professionale”, per divulgare la fotografia senza frontiere precostituite. Tanto che, ricordiamolo, proprio con la Box Kodak nasce anche la fotoricordo, così come l’abbiamo sempre intesa, attraverso la quale la Storia della Fotografia comincia a registrare soggetti di vita quotidiana, di vita nel proprio svolgersi, preclusi alle ingombranti attrez-
zature precedenti e ai relativi alti costi di gestione degli scatti su lastra di vetro. (Altro discorso -comunque collegato a questo-, per la fotografia umanista, anticipatoria del fotogiornalismo e della fotografia di documentazione, che si rivolse alla stessa vita nel proprio svolgersi con passo sociale e concentrato).
SEMPRE AL FEMMINILE Comunque, in registrazione temporale, che su queste pagine cadenza esempi storici selezionati (dal nostro archivio e da fonti specializzate), si deve attribuire a Kodak -casa madre e filiali- la maggiore quantità e qualità di raffigurazioni promozionali al femminile, via via seguita da altre case operanti all’inizio del Novecento, soprattutto dalla Germania e, poi, da altri paesi. Rispetto la pubblicità generale e generica, che ha
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Annuncio pubblicitario di Foto Brennero, di Roma (piazza Esedra 61; del commendator A. Vasari e figlio), pubblicato su Novella, del 18 febbraio 1940. In sottolineatura: «La donna è nata per fotografare». In ulteriore sottolineatura: «Reparto dedicato al gentile sesso». Testuale.
sempre e quasi soltanto finalizzato lo stereotipo sessuale, la propaganda fotografica al femminile non ha mai interpretato questo filone. Anzi, e addirittura, ha sempre indirizzato e rivolto il proprio sguardo verso una raffigurazione di garbo, spesso completamente e assolutamente elegante: sia la figura femminile in se stessa e per se stessa, sia in richiamo di Donna-madre, Donna-famiglia, Donna-nella-vita. In questo senso, più che parole a commento e presentazione, che sono esaurite nelle considerazioni fin qui espresse e riportate, valgono soprattutto le illustrazioni a commento. È la loro incessante consecuzione, campionario da una quantità decisamente ampia (testimoniata, tra tanto altro, da siti Internet mirati e da una avvincente monografia a tema: Kodak Girl: From the Martha Collection; a cura di John P. Jacon; Steidl, 2011), che sta-
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bilisce il passo e senso di questa visione trasversale. Ovviamente, la stessa definizione di “Kodak Girl” non va presa tanto alla lettera, per quanto sia mutuata da una effettiva serie di raffigurazioni esplicitate, ma intesa in senso lato e ampio: fino a comprendere promozioni e presentazioni fotografiche al femminile di altre e ulteriori provenienze e fonti. In somma numerica e qualitativa, queste raffigurazioni raccontano una vicenda trasversale allo svolgimento lineare di quella Storia della Fotografia, che siamo soliti raccontare per successione di date e accadimenti. Una vicenda che -nel proprio insieme e complesso- ha migliorato e valorizzato un percorso del quale andare fieri e orgogliosi: comunicazione mai volgare, raffigurazione sempre raffinata, promozione elegante. Tanto quanto è la fotografia. ❖
CHIAMIAMOLE EMOZIONI di Angelo Galantini
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ttività (disciplina, creatività, materia, inventiva...) dalle mille e mille particolarità e individualità, la fotografia esprime anche una personalità/proprietà specifica assolutamente unica, che definisce la soggettività di coloro i quali la frequentano e applicano. Non soltanto viene svolta a compimento di incarichi, ma è frequentata ugualmente con ammirevoli intenzioni riservate. Ciò a dire che, spesso, a completamento del proprio mestiere, e in accompagnamento a questo, fotografi professionisti esplorano privatamente altre cadenze e altri passaggi individuali, applicando ancora termini caratteristici delle proprie rispettive cifre stilistiche (tanti sono i casi), oppure deviando clamorosamente da questi (altrettanti sono i casi). (continua a pagina 51)
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La vita, le persone, gli eventi sono complessi, stratificati, dotati di innumerevoli sfumature. Non così, le parole e... la fotografia. L’esperienza fotografica che passa da una applicazione a un’altra, magari influendole reciprocamente, dischiude ogni limite, stempera lo stile, allinea i sentimenti, accende l’anima. Ecco il senso della concentrata serie Luce, Colore, Emozioni , attraverso la quale Giorgio Lotti, da decadi eccellenza del fotogiornalismo, declina una ricerca rivolta alla sfera affettiva entro la quale richiamare l’osservazione e riflessione individuale. Astrattismi mirati e finalizzati... oltre la superficie apparente a tutti evidente
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(continua da pagina 42) Così che, al culmine di decenni di energico e vigoroso fotogiornalismo, da tempo, Giorgio Lotti sta svolgendo una propria indagine fotografica estranea alla rigorosa documentazione certificata di fatti e accadimenti. Luce, Colore, Emozioni è un impegno espressivo al quale risponde quando si muove in un ambito entro cui cerca e ricerca rapporti (e vincoli) presto specificati. Uno, raggiungere un legame tra il mondo delle forme, della Luce e dei Colori e il mondo dei sentimenti e delle Emozioni (in questa sequenza); due (è ovvio), tagliare i ponti con la fotografia tradizionale; tre, approdare a una interpretazione fotografica innovativa sul soggetto colore. Il primo passo di Giorgio Lotti in questa direzione è stato compiuto nel 1968, in piena maturità del suo fotogiornalismo sul campo. A due anni dall’alluvione di Firenze (4 novembre 1966), dove e quando -per il settimanale illustrato Epoca- realizzò un reportage commovente e coinvolgente, ancora oggi tra le pagine esemplari della fotografia giornalistica italiana, completò la serie Luce Mare, allestita in mostra e poi raccolta in volume da Foto Selex, nel successivo 1982 (altri climi editoriali, così diversi dalla frenesia attuale: scatta-e-pubblica, in tempo reale). Quindi, a seguire, dal 1983, Giorgio Lotti ha avviato la sua seconda ricerca sperimentale sui processi della percezione visiva attraverso l’obiettivo fotografico: ulteriore cammino astratto nell’architettura, nel colore, nel movimento. La cadenza è ribadita: stimolare l’interesse verso l’interpretazione fotografica di nuove visioni/interpretazioni sulla Luce, sul Colore, sulle Emozioni. Ovviamente, ci si può accordare, oppure si può dissentire: a ciascuno, la propria valutazione. Ma, attenzione, non è lecito negare e rifiutare il princìpio originario: infatti, volente o nolente, in fotografia, «la luce è idea, sentimento, colore, profondità, atmosfera, stile, racconto, espressione poetica» (dalla prefazione con la quale Giorgio Lotti introduce le presentazioni pubbliche di questa sua suggestiva serie fotografica). Ancora: «La Luce è il potere magico che aggiunge, cancella, attenua, arricchisce, sfuma, esalta, allude, sottolinea, rende credibile e accettabile il fantastico, oppure -al contrario- crea trasparenze per le quali la realtà più grigia e quotidiana diventa onirica... fiabesca. Il Colore, come rappresentazione di uno stato d’animo, di un valore psichico, di un sentimento legato alle funzioni della mente, indica i processi in atto a ognuno: il rosso, come sensazione del calore familiare, del tepore femminile; il giallo, come indicazione dell’intuizione, della percezione sensoria verso l’acutezza, verso il presentimento; il verde, come simbolo di vitalità interiore della sensazione liberatoria di una natura che risorge; l’azzurro, come energia spirituale, serena, riflessiva, fino al pensiero; l’indaco, come qualità, salute delle soddisfazioni materiali; il violetto, come colore sacro della meditazione, dell’iniziazione, dell’introspezione». Quindi: «Capire e saper vedere la luce vuol dire rubare i colori a un arcobaleno immaginario, inseguendo un percorso misterioso, strettamente legato al gioco delle Emozioni ». È proprio vero: la vita, le persone, gli eventi sono complessi, stratificati, dotati di innumerevoli sfumature. Non così, le parole e... la fotografia. L’esperienza fotografica che passa da una applicazione a un’altra, magari influendole reciprocamente, dischiude ogni limite, stempera lo stile, allinea i sentimenti. Ecco il senso di questa concentrata serie Luce, Colore, Emozioni, attraverso la quale Giorgio Lotti declina una ricerca rivolta alla sfera affettiva entro la quale richiamare l’osservazione e riflessione individuale. Astrattismi finalizzati... oltre la superficie apparente a tutti evidente. Nulla di più. O tanto di più. ❖
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La fotografia come nessun altro l’ha mai raccontata.
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TIPA AWARDS 2017: TECNOLOGIA FOTOGRAFICA DEI NOSTRI GIORNI. Quaranta vincitori.
TIPA AWARDS 2017 / BEST DESIGN: HASSELBLAD X1D
giugno 2017
The Leaning Tower of Pisa, Italy; 1990 (dalla serie Small World).
Acropolis, Athens, Greece; 1991 (dalla serie Small World).
di Antonio Bordoni
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raducibile in Contributo eccezionale alla fotografia, Outstanding Contribution to Photography è la dicitura ufficiale con la quale, per le sue dieci edizioni (dal 2008 di origine), il contenitore dei Sony World Photography Awards ha premiato personalità di spicco nella storia contemporanea della fotografia. In decifrazione accettabile, estranea a qualsivoglia idea di banalizzazione senza anima, possiamo interpretarlo come premio alla carriera, al culmine di un percorso individuale luminoso e convincente. Il più recente riconoscimento, inserito nell’ambito dell’edizione 2017 dell’autorevole programma, è stato assegnato all’inglese Martin Parr, nato nel 1952, dal 1994 membro dell’accreditata e qualificata agenzia Magnum Photos, una delle leggende, uno dei miti della fotografia dal secondo Novecento.
Quello di Martin Parr, autorevole Outstanding Contribution to Photography ai Sony World Photography Awards 2017, è un palese e apprezzato senso dell’umorismo conciliatorio, che fa bene all’anima, che accorda le contraddizioni quotidiane con incoerenze palesi. Per certi versi, presto identificati, riprende una tradizione anglosassone, in declinazione fotografica
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SENSE OF
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© MARTIN PARR, MAGNUM PHOTOS, ROCKET GALLERY (2)
(in alto) The Grand Canyon, Arizona, Usa; 1994 (dalla serie Small World).
(a destra) Szechenyi thermal baths, Budapest, Hungary; 1997.
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Curiosamente, la carriera fotografica di Martin Parr è scandita da due tempi convenzionali consequenziali, sempre sottolineati nelle sue presentazioni. Dopo gli anni del bianconero, si registra il passaggio al colore (per tanti versi inconsueto, nel territorio di certo fotogiornalismo), che lo stesso autore attribuisce all’influenza formale delle riflessioni espressive introdotte dalle personalità fotografiche degli statunitensi Joel Meyerowitz e William Eggleston. Attenzione, però, che si tratta soltanto di forma, magari adeguata al contenuto: perché, poi, il senso della sua fotografia, del suo essere osservatore della vita nel proprio svolgersi (con passo fotogiornalistico), non ha cambiato ritmo, non è mutato. Se è il caso di esprimere identificazione certa e assoluta, Martin Parr svolge progetti
© MARTIN PARR, MAGNUM PHOTOS, ROCKET GALLERY (3)
Sorrento, Italy; 2014.
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Gourock Lido, Scotland, United Kingdom; 2004 (da A8).
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fotografici perfettamente omogenei e riconoscibili: acute e ironiche osservazioni dei riti della società attuale, rivolte alle manifestazioni palesi di consumismo, cerimoniale del cibo e turismo. Quello di Martin Parr è un palese e apprezzato sense of humour conciliatorio, che fa bene all’anima, che accorda le contraddizioni quotidiane con incoerenze palesi. Per certi versi, riprende una tradizione anglosassone, in declinazione fotografica. Tanto che, annotiamolo, per la cerimonia di consegna dell’Outstanding Contribution to Photography, durante la cena di gala di giovedì venti aprile, è stato organizzato e svolto un simpatico e leggero sketch, con un attore vistosamente vestito da donna a fare da cerimoniere (l’artista Grayson Perry) [a pagina quattro, su questo stesso numero].
Rileviamolo con franchezza: scenetta piacevole, ben interpretata, alla maniera dei mitici Monty Python, il gruppo comico britannico, attivo negli anni Settanta (ufficialmente, dal 1969 al 1983), costituito da Graham Chapman, John Cleese, Terry Gilliam, Eric Idle, Terry Jones e Michael Palin, che ha illuminato la scena teatrale e cinematografica del proprio tempo, allungando in avanti la propria influenza. Allo stesso modo, Martin Parr è persona riservata e distaccata, che non estende nei rapporti quotidiani forzature formali (come invece fanno altre modeste figure, soprattutto di comici italiani, che non distinguono la scena dalla vita, imponendoci l’insolenza della propria petulanza). La sua sottile ironia si esprime con il suo tramite espressivo, la fotografia, presto proposto all’osservatore con la chiarezza di una vi-
© MARTIN PARR, MAGNUM PHOTOS, ROCKET GALLERY (4)
sione univoca, prima che condivisa. È una fotografia dell’anima, che può sollecitare altre impressioni, che dalla propria superficie apparente si proiettano in altri ambiti del pensiero e della riflessione individuale, che l’autore richiama e alla quale l’autore invita. Se serve un parallelo con la parola, scritta o detta, è presto fatto: da una parte, c’è la cronaca diretta dei fatti; dall’altra, la poesia delle evocazioni. Ciò a dire che nessuna delle fotografie che Martin Parr ha realizzato nel proprio percorso intimo, che condivide con gli osservatori, cui si rivolge e con i quali si sintonizza in armonia di intenti, è esattamente ciò che raffigura. Forse. Tutte le fotografie sono metafora di vita, istanti di considerazione, momenti effimeri che diventano duraturi, perfino perenni, oltre che solenni: certifi-
cazione di come e quanto la Società dello spettacolo (da e con Guy Debord e Pino Bertelli) stia influendo sul nostro tempo, definendolo addirittura. Così che, nella propria lievità, questa fotografia si alza, si eleva di tono: non sussurra più ciò che raffigura, ma urla quanto rappresenta. E noi ascoltiamo la sua voce. Supponiamo che i soggetti di Martin Parr parlino tra loro, esistano, si muovano, si esprimano: sono reali, anche se non li vediamo con i nostri occhi, ma attraverso i suoi. Del resto, siamo sinceri, la vita è spesso così, è sempre così (ci piaccia, o meno): realtà stratificate su altre realtà, magari nascoste, ma costantemente presenti. Non sempre le possiamo scorgere, ma -se ascoltiamo i loro indizi- saremo comunque in grado di riconoscerle. Certamente. ❖
Venice, Italy; 2005.
(in alto, a sinistra) Glencar, County Sligo, Ireland. Abandoned Morris Minors; 1980-1983 (dalla serie A Fair Day).
(in alto, a destra) Dingle Peninsula, County Kerry, Ireland. Abandoned Morris Minors; 1980-1983 (dalla serie A Fair Day).
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Selezione mirata di Angelo Galantini
LA FORZA CON CUI Edgar Martins: Alto Rabagão power station: busbar shaft (view from the machine hall); 2011 (C-print, montata su alluminio; 120x150cm).
© THOMAS STRUTH (2017)
Thomas Struth: Hot Rolling Mill, Thyssenkrupp Steel, Duisburg; 2010 (Chromogenic print; 178,9x209,4cm).
THE TIME MACHINE © EDGAR MARTINS (WWW.EDGARMARTINS.COM)
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Cento immagini selezionate dal curatore Urs Stahel, dalla collezione di fotografia industriale della Fondazione Mast, di Bologna (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia), realizzate da sessantasette autori: La forza delle immagini sottolinea, ribadendolo, il travolgente e appassionate valore/potere espressivo del linguaggio fotografico, nei propri molteplici ed eloquenti significati visivi. Dato il mandato della stessa Fondazione, che si offre e propone come osservatorio autorevole e privilegiato della cultura sociale dell’Industria [nostra prima riflessione, nel marzo 2014], una significativa selezione di rappresentazioni provenienti dal mondo della produzione: impressioni e osservazioni dell’industria pesante e di quella meccanica, della digitalizzazione, della società usa-e-getta. Lo sguardo di questi sessantasette fotografi conduce attraverso il regno della produzione e del consumo, invitando a elaborare modalità di visione innovative. Nel proprio insieme, la rassegna sottolinea l’essenza degli ambienti che caratterizzano il sistema industriale e tecnologico, espandendosi verso questioni fondanti di natura sociale e politica. Comunque, più che i fatti puri e semplici -in documentazione-, questa continuità di immagini raffigura nessi e riferimenti articolati e profondi, presentando perfino realtà complesse, che determinano anche un coinvolgimento emotivo e sensoriale. In continuità temporale, attraverso i decenni del Novecento, l’universo iconografico dell’industria e del lavoro, della fabbrica e della società, al quale La forza delle immagini dà vita, è stato attraversato dal princìpio della pluridimensionalità: fino a che molte linee temporali corrono parallele e si incrociano. E qui, e da qui, occorre riflettere, una volta ancora, mai una di troppo. Sulla fotografia, sull’esercizio della fotografia sono stati riversati fiumi di inchiostro. Eppure, ogni volta, pare che ci sia ancora qualcosa di nuovo da dire, da scrivere. Dunque, da sola, questa osservazione basta per qualificare, quantificandolo, un fenomeno pressoché infinito: perché l’esercizio della fo-
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COURTESY GALERIE EIGEN + ART LEIPZIG/BERLINO
Selezione mirata
WHO’S WHO
La selezione La forza delle immagini, a cura di Urs Stahel, alla Mast Gallery, di Bologna, fino al prossimo dieci settembre, propone opere di sessantasette fotografi (e agenzie e istituzioni). In ordine alfabetico. Berenice Abbott, Max Alpert, Takashi Arai, Richard Avedon, Lewis Baltz, Gabriele Basilico, Bernd e Hilla Becher, Margaret Bourke-White, Bill Brandt, Joachim Brohm, Gordon Coster, Stéphane Couturier, Thomas Demand, Simone Demandt, César Domela, Piero Donzelli, Arno Fischer, Floto + Warner, Masahisa Fukase, Geissler / Sann, Luigi Ghirri, Jim Goldberg, Brian Griffin, Ferenc Haár, Heinrich Heidersberger, Lewis W. Hine, Rudolf Holtappel, Inp - International, News Photos, Colin Jones, Peter Keetman, André Kertész, Takashi Kijima, Hiroko Komatsu, Germaine Krull, Dorothea Lange, Franz Lazi, Catherine Leutenegger, O. Winston Link, Rémy Markowitsch, Edgar Martins, Reinhard Matz, Pepi Merisio, Nino Migliori, Richards Misrach, James Mudd, Nasa Photographs, Walter Niedermayr, Kiyoshi Niiyama, Federico Patellani, Marion Post Wolcott, Tata Ronkholz, Sebastião Salgado, Victor Shakhovsky, Charles Sheeler, Graham Smith, W. Eugene Smith. Jules Spinatsch, Henrik Spohler, Anton Stankowski, Edward Steichen, Otto Steinert, Thomas Struth, János Szász, Yutaka Takanashi, Shomei Tomatsu, e Jakob Tuggener.
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© JIM GOLDBERG (COURTESY DELL’AUTORE, PACE/MACGILL GALLERY, NYC,
E
CASEMORE KIRKEBY, SF)
Selezione mirata
© RUDOLF HOLTAPPEL E FOTO-ARCHIV RUHRMUSEUM
Jim Goldberg: High Noon, Dhaka Dump, Bangladesh; 2007 (226,1x276,9cm).
(pagina accanto, in alto) Rémy Markowitsch: Psychomotor; 2016 (baryte paper, museum glass, pvc, legno, ferro verniciato; venticinque soggetti 47x47cm ciascuno).
Rudolf Holtappel: Duisburg-Bruckhausen, Ebertstrasse mit August Thyssen Hütte; 1968 (Gelatin silver print; 29,1x37,8cm).
tografia è parte integrante del fenomeno, fondamentale!, della vita. Quindi, senza necessariamente affrontare lo specifico delle fotografie riunite nella selezione La forza delle immagini, ma dipendendo da questa stessa selezione, corre l’obbligo di precisare cosa sia la fotografia, in termini oggettivi. Per propria natura raffigurativa, nel senso che ha bisogno della materializzazione di un soggetto davanti allo strumento (indispensabile), la fotografia è per propria intenzione rappresentativa. Scatto dopo scatto, elaborazione intellettiva dopo elaborazione intellettiva, la sfida è affascinante, e per questo irrinunciabile. Ogni volta che agisce, il fotografo consapevole, l’autore, dispiega tutto il proprio lessico per comunicare con l’esterno, con gli altri. Cosa è il lessico? Quell’insieme di formalismi estetici che permette alla visione soggettiva di raggiungere l’ester-
no. Il fotografo sceglie cosa includere nello spazio del proprio fotogramma (frame) e cosa lasciare fuori; da che prospettiva osservare e far vedere; come combinare il proprio elaborato... e via discorrendo. Non conta tanto cosa si fotografi, quanto perché e con che intenzioni. Ovvero, a volte, il soggetto è soltanto un pretesto raffigurativo per rappresentazioni di ampio respiro. L’insieme degli interventi fotografici accostati in La forza delle immagini, che -tra l’altro- scandiscono la frequentazione volontaria e consapevole di successivi stili espressivi, è giusto questo: una raccolta di attimi isolati dal contesto dell’esistenza, che finiscono per rappresentarla come poche parole potrebbero fare. Con intelligenza, queste immagini non sono accompagnate da parole di circostanza, quei terribili titoli che spesso rovinano l’incanto della fotografia, oppure quelle doverose didascalie che finiscono per impoverire l’insieme della comunicazione. Soltanto, ogni fotografia è individuata per l’insieme dei propri interventi, delle proprie lavorazioni fotografiche, per decifrare la forma apparente, la forma necessaria, lasciando così all’osservatore, isolato nella propria contemplazione, l’emozione, la seduzione e il coinvolgimento personale. Dunque, dobbiamo essere tutti grati a quegli autori fotografi, quali sono quanti riuniti in questa selezione, che con le proprie visioni e interpretazioni fanno entrare il mondo all’interno degli spazi e momenti nei quali ciascuno di noi conduce la propria esistenza. Sfogliando la sequenza di queste immagini, si incontra e vede lo svolgimento della Vita attraverso rappresentazioni attente. Tutto sta a distinguerle, a riconoscerle. Ma, una volta intuiti i meccanismi, il gioco è affascinante e appagante. La buona comunicazione fotografica ha il potere di aprirci quotidianamente la porta del paese delle meraviglie nel quale si perde l’Alice di Lewis Carroll: apparenza e realtà si fondono in uno. Niente è ciò che sembra. Tutto è come sogniamo che sia. ❖ La forza delle immagini; mostra promossa da Fondazione Mast, a cura di Urs Stahel. Mast Gallery (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia), via Speranza 42, 30133 Bologna; www.mast.org. Dal 3 maggio al 10 settembre; martedì-domenica, 10,00-19,00.
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Sguardi su
di Pino Bertelli (Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 12 volte gennaio 2017)
Contro la stupidità della fotografia (Decalogo estratto da Sulla teologia eversiva della fotografia situazionista. La filosofia dell’angelus novus e la società che viene; Piombino, 12 volte gennaio 2017, presentato alla Galerie Eulenspiegel, di Basilea, in Svizzera, con questo titolo: Gerbergässlein Gerne laden wir Sie ein zu einem Treffen mit dem italienischen Fotografen und Filmkritiker Pino Bertelli zur “situazionistischen Fotografie des Alltags”). A Michèle Bernstein, perché sa bere un bicchiere di vino e fumare una sigaretta con la disperata dolcezza dei poeti...
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Mio padre e mia madre mi hanno insegnato ad amare il diverso, il povero, l’escluso, e, vicino al fuoco, mentre il pesce azzurro arrostiva nel sale, mi dicevano che nessuno può comprare un sorriso... e ancora... una mosca, quando muore, soffre quanto un re... e quando fuggivo sul tetto a guardare le stelle, a cercare la regina degli stracci sulla Via Lattea o i briganti del libero sorriso e del coltello facile, «Fai quello che vuoi, ma quello che fai, fallo con amore... perché quand’anche avessi tutti i mari e i cieli della Terra, e tutto l’onore degli Uomini, se non ho l’amore non sono niente». E quando penso a mio figlio e ai figli suoi che mi stringono le dita e giocano con me a guardie e ladri... penso a tutta la cattiveria alla quale andranno incontro, alla mediocrità, alla rapacità, alla violenza della quale è capace una grande parte dell’umanità ricca. È a quei bambini che penso e ai poveri della Terra... e allora sogno di andare a costruire un mondo nel quale ogni Uomo, senza eccezione di razza, religione e nazionalità, possa vivere una vita pienamente umana, liberata dalle schiavitù che gli vengono da altri uomini: fuori dall’amore non c’è salvezza. 1. La teologia eversiva della fotografia situazionista, o di strada,
DECALOGO
si riconosce nella pedagogia degli oppressi, che unisce teoria e prassi, e, secondo l’insegnamento di Paulo Freire, tende a modificare la relazione tra l’uomo oppresso e l’ambiente che lo circonda [Paulo Freire: La pedagogia degli oppressi; Edizioni Gruppo Abele, 2011]. La coscienza critica della fotografia situazionista come teologia di liberazione trova un proprio linguaggio e diventa essa stessa icona, e traccia di trasformazione radicale della società ingiusta. Il trionfo della merce sorge nella civiltà dello spettacolo e i paradisi sono tutti artificiali. «Lo spettacolo non canta gli uomini e le loro armi, ma le merci e le loro passioni. [...] Lo spettacolo è il capitale a un tal grado di accumulazione da divenire immagine [...]; lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini» (Guy Debord: La società dello spettacolo; Vallecchi, 1979). Tutto vero.
giusta degli oppressori, possa sorgere la violenza giusta degli oppressi. Quando l’ingiustizia ha posto al proprio servizio la legalità, l’ordine, il diniego... le classi povere sono private del diritto alla voce, alla dignità, alla presenza... alla fotografia situazionista non resta che lavorare per un’educazione liberatrice, e passare dalle condizioni di vita inumane a condizioni più umane, con ogni mezzo necessario. Trasformare l’illusione di una menzogna in pratica della realtà. 3. La teologia della fotografia situazionista non ha altra bellezza, se non quella di aiutare a spezzare le catene della malvagità, sciogliere i legami del giogo, dare libertà agli oppressi: dividere il tuo pane con l’affamato, vestire chi è nudo e non voltare le spalle al tuo simile, diceva Isai. È ricordare a ogni essere umano che la liberazione autentica sarà opera degli oppressi o non sarà. Una teologia della
«Di qualunque cosa si tratti, io sono contro!» Groucho Marx Quello che Guy Debord considera “spettacolo”, per Marx significava “alienazione” sociale o cosificazione dell’individuo [Karl Marx: Manoscritti economico-filosofici del 1844; Einaudi, 2004], che affoga la propria vita in una rappresentazione... quella del mercato/dittatura delle illusioni. Dunque, la critica radicale della società mercantile e dei regimi comunisti non può essere possibile se non nella pratica di un’azione rivoluzionaria volta a eliminare secoli di soggezione, violenze e burocratizzazione dell’immaginario. Il vero uccide la vita, che solo la rivolta sociale rende possibile. 2. La teologia della fotografia situazionista si oppone alla violenza istituzionalizzata, e non si scandalizza che, contro la violenza in-
speranza è, nel contempo, una teologia di risorgenza o d’insurrezione. Non c’è storia della politica se non c’è storia della libertà. 4. La teologia della fotografia situazionista (e non importa essere situazionisti per praticarla) emerge dalla lezione etica di poeti del disagio rovesciato, come Jacob A. Riis, Lewis W. Hine, August Sander, Roman Vishniac, Robert Capa, Tina Modotti, W. Eugene Smith, Henri CartierBresson, Dorothea Lange, Walker Evans, Ben Shahn, Diane Arbus, Weegee, Robert Frank, Josef Koudelka, Sebastião Salgado (che allarghiamo, con l’insolenza che c’è propria, a Robert Mapplethorpe, Gian Paolo Barbieri, Oliviero Toscani): contiene una teoretica della dissidenza che si
scontra con l’ortodossia o sovraidentità delle democrazie dello spettacolo, che distruggono legami sociali e seppelliscono culture e memorie storiche. «Un popolo che venga generalmente maltrattato contro ogni diritto non deve lasciarsi sfuggire l’occasione in cui può liberarsi delle proprie miserie, scuotendo il pesante giogo che gli viene imposto con tanta ingiustizia, [...] dimodoché le rivoluzioni [...] non si verificano in uno Stato per colpe leggere commesse nell’amministrazione degli affari pubblici. [...] Quando in realtà si verificano colpe gravi, il popolo ha il diritto di resistere e difendersi» (Hannah Arendt: Sulla rivoluzione; Einaudi, 2009). Ogni forma di rivoluzione è sempre in primo luogo distruzione dell’antico regime. 5. La fotografia, tutta la fotografia, «porta il suo referente con sé» (Roland Barthes), e quando è grande coglie il significante fotografico. La cattiva fotografia marcisce di banalità splendenti e permea l’oggetto della sua attenzione nella celebrazione del mondano (Alfred Stieglitz, Edward Steichen, Minor White, Heinrich Kühn, Helmut Newton, David Hamilton, Wilhelm von Gloeden, Nobuyoshi Araki, David LaChapelle, Steve McCurry, Andy Warhol e la quasi totalità della fotografia italiana [qui è doverosa una distinzione, che non si limita a queste riflessioni, ma si estende a tutta la nostra considerazione sulle analisi di Pino Bertelli, per noi... Pinocchio. Come affermiamo e precisiamo in molte occasioni pubbliche, così come abbiamo dibattuto con lui, in assoluto, apprezziamo gli Sguardi su, di Pino Bertelli, pur non condividendone sempre le osservazioni. La nostra diversità, rispettata in doppio senso di marcia, in avanti-e-indietro, è comunque tale da essere onorata da entrambi: Pinocchio e mFranti, in doppio
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BIANCO E NERO
Sguardi su
laboratorio fotografico fine - art solo bianco & nero
ragione e i canti dei poeti e i pianti dei bambini sono seppelliti nella distruzione di massa dei popoli impoveriti. I limiti etici del profitto non hanno confini. I veri “nemici” dell’umanità sono i rigidi trattati di libero commercio, le armi nucleari, le tecnologie produttive basate sulla violenza, l’ingegneria genetica, le guerre del petrolio e dell’acqua, lo sviluppo del neocolonialismo di pace: «Il terrorismo è la guerra dei poveri, la guerra è il terrorismo dei ricchi» (Frei Betto diceva). Maledette siano le guerre e le canaglie che le fanno.
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percorso di andata-e-ritorno. Anche qui, non partecipiamo al suo capitolato, ma! Ma: Pino Bertelli / Pinocchio ha il diritto di esprimersi, noi abbiamo il dovere di pubblicarlo... forse]). Ogni fotografia è una traccia della propria cultura o della propria stupidità. A leggere le opere dei grandi maestri si comprende che la Fotografia non si riconcilia con la società nel mito spettacolarizzato, bensì ne smaschera le brutture e l’effimero. La storia della fotografia come stupore rimanda al cambiamento del luogo comune e fa del dolore degli altri (direbbe Susan Sontag), l’istante di un’adesione e, meglio ancora, il vero bene, che è un atto morale. Scoprire il nostro nonsapere nell’uguaglianza del sentire è un gesto d’accoglienza. La fotografia randagia (situazionista o di strada) accetta i propri limiti e getta uno sguardo radicale al di là del visibile. La fotografia situazionista è desiderio di qualcosa che non si possiede e al quale si aspira: rifiuta i simulacri che riconoscono la politica, la fede e la cultura come criteri del successo che legittimano la sola felicità possibile nella società data. La fotografia situazionista custodisce lo sguardo, come il ribelle salvaguardia l’utopia; l’uno e l’altra sono depositari dell’indicibile, e l’attimo della loro diserzione da tutto quanto è mer-
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ce e ideologia... segna l’interrogazione dell’ordine costituito. 6. La fotografia muore di fotografia. La follia per la “bella fotografia” nasce da una cattiva educazione all’immagine, che l’impero dei mass-media ha disperso nell’immaginario collettivo. L’ignoranza dei fotografi (specie i più foraggiati dai produttori di macchine fotografiche, dalle gallerie del mondano e dalle aziende di calendari) è abissale. Credono di sapere tutto sul valore degli attrezzi di lavoro, sulle sensibilità delle pellicole, sull’avanzare del digitale nella presa del potere della fotografia da parte del popolo... e, insieme a una marea montante di squinternati che si attaccano al collo, come un giogo, la macchina fotografica e imperversano a ogni angolo delle metropoli, delle campagne e nei viaggi specializzati nel turismo sessuale sui bambini, non si accorgono che la loro cecità creativa è una sorta di schiavitù e prostrazione ai riti e codici della Società dello spettacolo. 7. Nell’epoca del mercato globale, ogni guerra è giustificata dalle promesse dei governi dei paesi ricchi. Il genocidio continua. Dopo Auschwitz, Hiroshima, i campi di sterminio (nazisti, sovietici, cinesi del nostro tempo), il linguaggio delle armi ha preso il posto della
8. La fotografia eversiva situazionista è una scrittura visuale dei corpi. È un viaggio o un ritorno verso i valori dell’umanesimo, riconosciuti e fissati nella storia in un’immagine che è in grado di reinventare l’unicità dei ritrattati. Lavorando su visioni diverse dell’esistente, Lewis W. Hine, August Sander e Diane Arbus sono giunti al medesimo fine: non basta più trasformare il mondo, perché esso muta di pelle con le truccherie e i tradimenti delle politiche dominanti. Si tratta di interpretare adeguatamente questo mutamento (con tutti gli strumenti necessari), affinché non produca il regno degli idioti che emerge dalla civiltà che si autodefinisce “moderna”. 9. La teologia eversiva della fotografia situazionista mostra che l’inferno e il paradiso sono lastricati di buone intenzioni, ma la via verso la saggezza non può avere inizio se non nella distruzione pura e semplice dell’ordine istituito... e la filosofia dell’angelus novus, che non partecipa alla passione di dio, ma alla resurrezione dell’Uomo... il momento dell’angelus novus è un colpo di dadi sul culo della storia. Conferisce l’aura del singolare, dello straordinario, del fatato all’istante scippato alla particolarità del qualunque... è una rottura del consueto. In una specie di lotta amorosa tra soggetto e fotografo è la comunicazione di un’esistenza che s’intreccia con un’altra esistenza, e tutto ciò dà vita a una filosofia della meraviglia che fa
dell’esperienza del limite lo strappo con tutte le scritture cifrate, decifrandole. 10. Non importa essere fotografi, né situazionisti, per fare della fotografia di strada/situazionista: basta essere belli e intelligenti, appartenere a un paese qualunque, non riconoscere nessuna patria e nessuna bandiera come propri... rifiutare le menzogne della plebaglia politica, religiosa, culturale e la feccia dei barbari della finanza con quel pizzico di lucida follia che non dispensa di passare dal sarcasmo all’agire a fianco dei popoli oppressi contro i saprofiti del crocifisso, dell’assassinio e del terrorismo dei dividendi bancari. Nei suoi momenti migliori, la nostra epoca è stata sanguinaria, come si addice a ogni società fascista, nazista, comunista, consumerista veramente ispirata. Inquisizione, conquista e violenza sono state eccelse nel massacro e nell’assoluzione... e hanno mostrato che gli stupidi ragionano sempre al contrario. Quando è vissuta anzitutto nel sangue dei giorni, la fotografia acquista un’eccezionale carica di verità. Per chiudere, ma anche per aprire: la società spettacolarizzata non ha solo trasformato servilmente la percezione, ma soprattutto ha fatto del monopolio dell’apparenza la ricostruzione e il confortorio dell’illusione religiosa. «L’insieme delle conoscenze che continua attualmente a svilupparsi come pensiero dello spettacolo deve giustificare una società senza giustificazione, e porsi come scienza generale della falsa coscienza» (Guy Debord: La società dello spettacolo; Vallecchi, 1979). Il sistema spettacolare esprime una sotto-comunicazione diffusa che smussa i conflitti sociali e ri/produce spettatori e complici. Quando storici, galleristi e critici -iscritti nei gazebi dei saperi accademici- ci hanno chiesto a cosa serve nell’epoca della tecnologia satellitare la Fotografia, abbiamo risposto con un motto di spirito: «A niente, come la musica di Mozart!». Riprendere dall’inizio. ❖